Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento difesa | ||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento difesa | ||
Titolo: | Disposizioni per la partecipazione italiana alle missioni internazionali - Schede di letttura - A.C. 1288 | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 16 | ||
Data: | 11/07/2006 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
III-Affari esteri e comunitari
IV-Difesa |
Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI
Progetti di legge
Disposizioni per la
partecipazione italiana
alle missioni internazionali
Schede di lettura
n. 16
11 luglio 2006
Il dossier è stato redatto in collaborazione con il Dipartimento Affari esteri.
Si compone di due volumi: il primo contiene le schede di lettura e il testo del disegno di legge (n. 16); il secondo contiene i riferimenti normativi e altra documentazione (16/1)
Dipartimento difesa
SIWEB
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File:DI0009.doc
INDICE
Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Necessità dell’intervento con legge
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
Collegamento con i lavori legislativi
Articolo 1 (Interventi umanitari, di stabilizzazione, ricostruzione e cooperazione)
Articolo 2 (Missioni Internazionali delle Forze Armate e delle Forze di Polizia)
Articolo 2, Commi 1 e 2 (Missione in Iraq)
Articolo 2, Comma 3 (Missione in Afghanistan)
Articolo 2, Comma 4 (Missioni nel Golfo Arabico e nel Mediterraneo)
Articolo 2, Commi 5, 6, 7 e 8 (Missioni e altri interventi nei Balcani)
Articolo 2, Commi 9 e 10 (Missioni in Medio Oriente)
Articolo 2, Commi 11, 12 e 13 (Missioni in Africa)
Articolo 2, Comma 14 (Missione ONU a Cipro)
Articolo 2, Commi 23, 24 e 25 (Trattamento economico ed assicurativo)
Articolo 2, Commi 26, 27, 28 e 29 (Disposizioni in materia penale)
Articolo 2, Commi 30, 31 e 32 (Disposizioni in materia contabile)
Articolo 2, Comma 33 (Valutazione del servizio prestato in missioni internazionali)
Articolo 2, Comma 34 (Richiamo in servizio)
Articolo 2, Comma 35 (Rinvii normativi)
Articolo 2, Comma 36 (Attività di ricerca scientifica a fini di prevenzione sanitaria)
Articolo 3 (Copertura finanziaria)
Articolo 4 (Disposizioni finali)
§ Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza
Le elezioni nazionali e locali in Iraq
Il conflitto israelo-palestinese
§ Sviluppi più recenti (2002-2006)
§ Albania 2
§ Althea
§ Antica Babilonia
§ Bilaterale Interni
§ Enduring Freedom
§ EU BAM Moldova e Ucraina
§ EU BAM Rafah
§ EUFOR RD Congo
§ EUPM
§ EUPOL COPPS
§ EUPOL Kinshasa
§ EUPT
§ ISAF
§ KFOR
§ Missione europea di sostegno ad AMIS II
§ MSU
§ NATO Headquarters Sarajevo
§ NATO HQ Skopje
§ NATO HQ Tirana
§ NTM-I
§ TIPH II
§ UNFICYP
§ UNMIK
§ A.C. 1288 (Governo), Disposizioni per la partecipazione italiana alle missioni internazionali (stralci)
Numero del progetto di legge |
1288 |
Titolo |
Disposizioni urgenti per la partecipazione italiana alle missioni internazionale |
Iniziativa |
Governo |
Settore d’intervento |
Politica estera; forze armate; Stati esteri. |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
4 |
Date |
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§ presentazione alla Camera |
5 luglio 2006 |
§ annuncio |
5 luglio 2006 |
§ assegnazione |
5 luglio 2006 |
Commissione competente |
III e IV |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
Commissioni I, II, V, VIII, XI, XII, XIV |
Il disegno di legge è finalizzato ad assicurare la prosecuzione della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace e d’aiuto umanitario, a disporre il rientro del contingente militare italiano dall’Iraq nonchè ad assicurare la prosecuzione dei programmi di cooperazione delle Forze di polizia italiane in Albania e nei Paesi dell’area balcanica
Sulla materia delle missioni internazionali di pace sono stati emanati finora numerosi decreti-legge, che hanno, di volta in volta, autorizzato la partecipazione italiana a nuove missioni militari internazionali ovvero prorogato i termini per ciascuna delle missioni internazionali in corso.
In considerazione di ciò, si rende necessaria l’adozione di un atto normativo di rango equiparato.
La materia oggetto del provvedimento, investendo questioni di politica estera e di difesa, rientra fra quella di competenza esclusiva dello Stato.
La materia delle missioni internazionali è stata finora regolata con decreti legge, l’ultimo dei quali (n. 273/2005, convertito con Legge n. 51/2006), ha prorogato le missioni in corso fino al 30 giugno 2006. Al riguardo, l’art. 4 del disegno di legge reca una clasuola di salvaguardia, in forza della quale sono convalidati gli atti adottati, le attività svolte e le prestazioni effettuate a far data dal 1° luglio 2006.
La presentazione di un disegno di legge in tema di missioni internazionali costituisce una innovazione sul piano ordinamentale, dal momento che in precedenza si era sempre fatto ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza. Peraltro, l’impianto del provvedimento richiama sostanzialmente quello dei precedenti decreti, con particolare riferimento al dispositivo di proroga delle singole missioni in corso.
Quanto alla formulazione del testo, si osserva che il disegno di legge è composto di pochi articoli, alcuni dei quali recano tuttavia numerosi commi, dal contenuto non sempre omogeneo. Tale struttura, caratterizzata anche dalla presenza di molteplici rinvii normativi, non è pertanto idonea a configurare una disciplina organica della materia in oggetto.
Si segnale che in data 6 luglio 2006 è stato presentato il disegno di legge “Conversione in legge del decreto-legge 5 luglio 2006, n. 224, recante disposizioni urgenti per la partecipazione italiana alle missioni internazionali” (A.C. 1301). Il decreto-legge reca un contenuto del tutto analogo a quello del disegno di legge A.C. 1288, pur presentando una diversa articolazione delle disposizioni. Il decreto-legge scade il 3 settembre 2006.
Comma 1
L’articolo 1, comma 1, autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la spesa di 33.320.634 € per la prosecuzione della missione umanitaria, di stabilizzazione e di ricostruzione in Iraq, al fine di fornire sostegno al Governo provvisorio iracheno nella ricostruzione e nell’assistenza alla popolazione. Tale missione era stata precedentemente autorizzata fino al 30 giugno 2006 dal comma 1 dell’art. 39-vicies bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273 (“Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti”), convertito con modificazioni dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51.
Si ricorda al proposito che la proroga al 30 giugno 2006 era stata originariamente prevista dall’art. 1 del D.L. 17 gennaio 2006, n. 9, recante disposizioni urgenti per la partecipazione italiana alla missione internazionale in Iraq: tuttavia, nel corso dell’iter parlamentare, le norme concernenti tanto la missione umanitaria quanto la missione militare in Iraq sono state fatte confluire nell’art. 39-vicies bis, aggiunto al citato D.L. 273 del 2005.
Comma 2
Il comma 2 individua gli scopi della missione, collocandoli nell’ambito degli obiettivi e delle finalità individuati nella Risoluzione n. 1637 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e prevedendo, in primo luogo, la prosecuzione degli interventi nei settori indicati dall’articolo 1, comma 2, del D.L. 10 luglio 2003, n. 165 (“Interventi urgenti a favore della popolazione irachena”), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 219.
L’articolo 1, comma 2, del D.L. n. 165/2003 stabilisce che gli interventi nell’ambito della missione umanitaria sono destinati, in particolare: a) al settore sanitario, per la riabilitazione e la riorganizzazione delle strutture clinico-assistenziali e per il potenziamento e la ristrutturazione del sistema di sanità pubblica, con particolare riferimento alla attività di prevenzione e profilassi delle malattie trasmissibili; b) al settore delle infrastrutture, con particolare riferimento alla riabilitazione ed al risanamento di quelle viarie, portuali ed aeroportuali, elettriche, idriche, agricole e delle comunicazioni, anche elettroniche; c) al settore scolastico, con particolare riguardo alla riabilitazione funzionale delle relative strutture; d) al settore della conservazione del patrimonio culturale, per il ripristino della funzionalità delle strutture destinate alla tutela ed alla gestione dello stesso, nonché al restauro dei beni culturali danneggiati.
Il comma 2 in esame prevede, inoltre, che vengano realizzate iniziative concordate con il governo iracheno, volte, tra l’altro: a) al sostegno dello sviluppo socio-sanitario in favore delle fasce più deboli della popolazione; b) al sostegno istituzionale e tecnico; c) alla formazione nel settore della pubblica amministrazione, delle infrastrutture, dell’informatizzazione, della gestione dei servizi pubblici; d) al sostegno dello sviluppo socio-economico; e) al sostegno dei mezzi di comunicazione.
Comma 3
Il comma 3 affida al capo della rappresentanza diplomatica italiana a Baghdad la direzione in loco della missione umanitaria disciplinata dai precedenti commi.
L’articolo 35 del DPR 18/1967 (Ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri) prevede che le delegazionidiplomatiche speciali vengano istituite con Decreto del Ministro degli Affari esteri, di concerto con il Ministro del tesoro (oggi Ministro dell’economia e delle finanze), laddove lo svolgimento di determinati eventi internazionali (conferenze, trattative o riunioni internazionali) richieda la costituzione in loco di un ufficio apposito. Con tale decreto vengono altresì determinati i compiti della delegazione e la sua composizione. Si ricorda altresì che la legge 28 novembre 2005, n. 246 “Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005”, all’articolo 9, ha previsto che le delegazioni diplomatiche speciali possano venire istituite anche in “casi particolari richiesti dalle relazioni internazionali con alcuni Paesi”. Secondo la relazione introduttiva del Governo al disegno di legge di semplificazione 2005 si è in tal modo adeguata la normativa, prendendo atto di una prassi già in atto che ha condotto alla costituzione di delegazioni diplomatiche speciali nei recenti casi della Somalia, dell’Iraq e di Taiwan, in quanto non esisteva un’entità statuale presso la quale accreditare un’ambasciata o una legazione o in quanto l’accreditamento stesso poteva risultare inopportuno a livello di politica internazionale.
Comma 4
Il comma 4 autorizza il Ministero degli affari esteri a ricorrere ad acquisti e lavori in economia, anche in deroga alle disposizioni di contabilità generale dello Stato, nei casi di necessità ed urgenza, per le finalità e nei limiti temporali di cui al presente articolo.
Si ricorda che l’articolo 14 della legge 11 agosto 2003, n. 231, recante il differimento della partecipazione italiana a operazioni internazionali, ha previsto che ogni sei mesi i Ministri degli affari esteri e della difesa riferiscano al Parlamento sulla realizzazione degli obiettivi fissati, sui risultati raggiunti e sull’efficacia degli interventi effettuati nell’ambito delle operazioni internazionali in corso.
L’ultima Relazione è stata trasmessa il 20 gennaio 2006 (Doc. CCIX, n. 3).
Comma 5
Il comma 5 autorizza il Ministero degli affari esteri – purché con le finalità e nei limiti temporali specificati dai commi precedenti – all’affidamento di incarichi di consulenza a tempo determinato, anche eventualmente a enti e organizzazioni specializzati; l’autorizzazione si estende altresì alla stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa con personale estraneo alla P.A. e in possesso di appropriate professionalità. L’autorizzazione di cui al comma 5 in commento è concessa al Ministero degli affari esteri in deroga al disposto dell’art. 1, comma 9, della legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266).
Si ricorda che il comma 9 della legge finanziaria 2006 impone una disciplina restrittiva delle spese per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei alla pubblica amministrazione, stabilendo che le stesse non possono essere superiori al 50 per cento di quelle sostenute nel 2004. La disposizione si pone in linea di continuità con l’art. 1, comma 11, della legge finanziaria per il 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311), che aveva previsto, per gli anni 2005, 2006 e 2007, un limite analogo ma meno rigoroso, pari al totale della spesa sostenuta nel 2004. Il comma 9 in oggetto prevede una limitazione di carattere permanente a decorrere dal 2006 e, come già la disposizione della legge finanziaria per il 2005, si applica alla generalità delle pubbliche amministrazioni, con esclusione delle università, degli enti di ricerca e degli organismi equiparati
Va inoltre ricordato che una norma di tenore analogo a quello del comma 5 in commento figurava all’art. 4, comma 1, del sopra citato D.L. 165/2003.
Comma 6
Il comma 6, per quanto non diversamente previsto, disciplina l'organizzazione della missione, il regime degli interventi, le risorse umane e le dotazioni strumentali attraverso il rinvio agli articoli 2, comma 2, 3, commi 1, 2, 3, 5 e 6, e all'articolo 4, commi 2 e 3-bis, del citato D.L. n. 165/2003, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 219/2003. Si illustra di seguito il dettaglio della normativa appena richiamata.
Articolo 2
(Organizzazione della missione)
Il comma 2 dell’articolo 2 prevede che al personale impegnato nella missione in Iraq sia corrisposta l’indennità di missione determinata dal decreto del Ministrodell’economia e delle finanze 13 gennaio 2003 con riferimento alle diarie attribuite al personale in missione in Arabia Saudita, Emirati arabi e Oman, con una maggiorazione dell'importo del 30 per cento.
Si ricorda che il decreto ministeriale 13 gennaio 2003, “Determinazione, in unità di euro, delle diarie di missione all’estero del personale statale civile e militare, delle università e della scuola”, aggiorna la tabella B allegata al decreto ministeriale 27 agosto 1998, e successive modificazioni, contenente gli importi delle diarie nette per le missioni all’estero riferite a ciascun paese e ai gruppi di personale specificati nella tabella A del citato decreto ministeriale 27 agosto 1998. Il citato D.M. 13 gennaio 2003 è stato, a sua volta, modificato dal decreto ministeriale 6 giugno 2003, recante “Rettifica al decreto di determinazione, in unità euro, delle diarie di missione all'estero del personale statale, civile e militare, delle università e della scuola“[1] .
Articolo 3
(Regime degli interventi)
Per la realizzazione della missione umanitaria in Iraq, l’articolo 3, comma 1, del D.L. 165/2003 rinvia tra l'altro alle norme contenute nella legge 26 febbraio 1987,n. 49 (“Nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con il Paesi in via di sviluppo”) e al decreto legge 1° luglio 1996, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1996, n. 426 (“Differimento di termini previsti da disposizioni legislative concernenti il Ministero degli affari esteri e norme relative ad impegni internazionali nella cooperazione allo sviluppo”).
La legge 26 febbraio 1987, n. 49, "Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo", reca la più recente regolamentazione organica della materia e pone infatti come fine della cooperazione allo sviluppo sia gli interventi di medio-lungo periodo sia gli interventi straordinari.
Essa introduce inoltre una notevole innovazione definendo la cooperazione come "parte integrante della politica estera dell'Italia". A questo principio si affianca quello in base a cui la politica di cooperazione dell'Italia deve ispirarsi ai criteri sanciti dalle Nazioni Unite e dalla Comunità europea, riconoscendo così l'importanza della interrelazione tra i diversi strumenti di aiuto internazionale.
La legge disegna un complesso sistema di organi, procedure e strumenti caratterizzati da una forte autonomia e specialità rispetto alle norme generali. Essa traccia le linee portanti dell'intervento di cooperazione, rinviando la disciplina di dettaglio non solo ad atti normativi secondari del Governo (regolamento di esecuzione, adottato con DPR 12 aprile 1988, n. 177, e decreti ministeriali) ma anche alle delibere degli organi istituiti dalla legge stessa.
I principali strumenti d'intervento per realizzare le iniziative di cooperazione bilaterale sono il dono e il credito d'aiuto. La scelta dello strumento da utilizzare nei singoli casi dipende essenzialmente dalle condizioni economiche del paese beneficiario e dal tipo e dimensione dell'intervento.
Ai sensi della legge n. 49 del 1987, l'attività di cooperazione si svolge attraverso due canali: quello degli accordi bilaterali tra l'Italia e i singoli paesi in via di sviluppo, di cui si è detto, e quello degli accordi multilaterali.
In particolare, tra le attività di cooperazione allo sviluppo l'art. 1, comma 4, della legge 49/1987 ricomprende gli “interventi straordinari destinati a fronteggiare crisi di calamità e situazioni di denutrizione e di carenze igienico-sanitarie che minacciano la sopravvivenza di popolazioni”. Una più articolata descrizione di tali tipologie di interventi è contenuta nell'articolo 11, ai sensi del quale essi includono "l'invio di missioni di soccorso, la cessione di beni, attrezzature e derrate alimentari, la concessione di finanziamenti in via bilaterale"; l'inizio di interventi meno contingenti volti soprattutto alla dotazione infrastrutturale in campo sanitario e agricolo; la messa in opera di un ciclo di raccolta, immagazzinamento e distribuzione di attrezzature e derrate.
Per tali attività la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Ufficio VI) si avvale dei mezzi e del personale facenti capo ai diversi Ministeri ed enti pubblici o locali interessati, e può altresì avvalersi di ONG riconosciute idonee, affidando loro progetti o finanziando quelli da esse messi in campo. L’art. 1, comma 15-sexies, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, “Disposizioni urgenti nell’ambito del piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, ha attribuito tra l’altro - limitatamente alla realizzazione degli interventi di emergenza in commento mediante fondi accreditati alle rappresentanze diplomatiche - al capo della missione diplomatica italiana in loco la facoltà di stipulare convenzioni con le ONG impegnate nell’esecuzioni di progetti nel territorio di competenza.
La DGCS può inoltre effettuare gli interventi d'intesa con la protezione civile, che mette in tal caso a disposizione mezzi e personale specializzato (i cui oneri rimangono tuttavia a carico della DGCS). Si ricorda al proposito che l’art. 4, comma 2, del D.L. 31 maggio 2005, n. 90, “Disposizioni urgenti in materia di protezione civile”, dopo aver fatte espressamente salve le competenze dei Ministro degli affari esteri in tema di cooperazione, stabilisce che l’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (che prevede le modalità della dichiarazione dello stato di emergenza e i conseguenti poteri speciali di ordinanza del Presidente del Consiglio), e l’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343 (che rende applicabile la disciplina relativa allo stato di emergenza anche ai “grandi eventi”) si applicano anche agli interventi all’estero del Dipartimento della protezione civile, per quanto di sua competenza e in coordinamento con il Ministero degli affari esteri. Inoltre, per gli interventi previsti dall’articolo 11, comma 2, della legge 26 febbraio 1987, n. 49, possono essere adottate le ordinanze[2] di protezione civile disciplinate dall’articolo 5, comma 3, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, ma ciò su richiesta della DGCS.
Si ricorda infine il decreto-legge 1° luglio 1996, n. 347, recante "Differimento di termini previsti da disposizioni legislative concernenti il Ministero degli affari esteri e norme relative ad impegni internazionali", convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1996, n. 426. In particolare l'articolo 11 stabilisce norme finalizzate a completare la disciplina degli aiuti di emergenza, regolamentata dagli artt. 1, comma 4, e 11 della legge n. 49 del 1987.
Lo stesso comma 1 dell’articolo 3 del D.L. 165/2003 dispone, inoltre, che si applichino le disposizioni contenute nella legge 6 febbraio 1992, n. 180 (“Partecipazione dell’Italia alle iniziative di pace ed umanitarie in sede internazionale”), anche relativamente all’invio di personale, all’affidamento degli incarichi e alla stipula dei contratti e dell’utilizzo delle necessarie dotazioni strumentali previsti dal successivo articolo 4 del D.L. 165/2003.
Al riguardo si rammenta che la richiamata legge 6 febbraio 1992, n. 180 autorizza interventi da realizzarsi sia attraverso la fornitura diretta di beni e servizi, sia attraverso l'erogazione di contributi ad organizzazioni internazionali, a Stati esteri e ad enti pubblici e privati italiani e stranieri.
Tali organizzazioni ed enti di rilievo internazionale sono indicati in un apposito elenco approvato con decreto del Ministro degli affari esteri previo parere favorevole delle competenti commissioni parlamentari, aggiornato annualmente. In circostanze particolari, tuttavia, il Ministro può autorizzare contributi ad organizzazioni ed enti non compresi nel detto elenco.
La legge prevede inoltre che il Ministro degli affari esteri invii annualmente al Parlamento una relazione sulle iniziative effettuate in attuazione della legge medesima e, alla loro conclusione presenti un rendiconto.
E’ inoltre stabilito che le somme per le attività di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale indicate, non impegnate in ciascun anno, possano esserlo nell'anno successivo.
Il comma 2 prevede, in materia di lavori pubblici, che per gli interventi di ricostruzione e risanamento di opere danneggiate o distrutte di importo inferiore a 5 milioni di euro, il Ministro degli affari esteri possa ricorrere alla trattativa privata prevista dall’articolo 24, commi 1, lett. b), e 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), anziché mediante gara di appalto o concessione.
Va tuttavia osservato che nel frattempo la legge 109/1994 è stata abrogata dall’art. 256 del Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).
Il comma 3 dispone il ricorso alla trattativa privata anche per le procedure in materia di appalti pubblici di servizi e di forniture, come previsto, rispettivamente dall’art. 7, comma 2, lett. d), del decreto legislativo n. 157 del 1995 (Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi) e dall’articolo 9, comma 4, lett. d) del decreto legislativo n. 358 del 1992 (Testo unico delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive 77/62/CEE, 80/767/CEE e 88/295/CEE).
Il sopra citato art. 256 del Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163 è tuttavia intervenuto ad abrogare i Decreti legislativi 157/1995 e 358/1992.
Pertanto, il riferimento normativo attuale dei commi 2 e 3 precedenti si trova ora nell’articolo 57 del Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dedicato alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara. L’articolo provvede a specificare i casi nei quali tale procedura può essere utilizzata dalle stazioni appaltanti al fine di aggiudicare contratti pubblici relativi a lavori, forniture e servizi.
Il comma 5 estende la deroga prevista dall’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, agli enti esecutori degli interventi previsti dal decreto in esame precisando che, qualora questi ultimi fossero soggetti privati, è necessaria una garanzia fideiussoria bancaria.
L’articolo 5, comma 1-bis, del citato D.L. n. 79/1997 - recante misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica -, prevede una deroga al divieto (stabilito al comma 1 del medesimo articolo 5) posto alle amministrazioni pubbliche e agli enti pubblici economici di concedere anticipazioni del prezzo in materia di contratti di appalto di lavori, di forniture e di servizi, con esclusione dei riguardanti attività oggetto di cofinanziamento da parte dell'Unione europea. Il comma 1-bis, infatti, prevede che tale divieto non si applichi ai finanziamenti erogati dal Ministero degli affari esteri, ai sensi degli articoli 7 e 18 del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1988, n. 177[3], per la realizzazione di iniziative, interventi, programmi ed attività nel settore della cooperazione allo sviluppo, in favore di università e di organizzazioni non governative riconosciute idonee ai sensi dell'articolo 28 della legge 26 febbraio 1987, n. 49, salvo quanto disposto dall'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni. Ai soggetti sopra indicati potranno essere concessi anticipi nella misura del 50 per cento del valore complessivo del progetto nel primo anno, seguiti da anticipi del 40 per cento negli anni successivi
Il comma 6 prevede che per le attività di soccorso e di intervento umanitario, ai volontari impiegati dalla Croce Rossa Italiana in Iraq viene riconosciuto il diritto alla conservazione del posto di lavoro per un impegno non superiore a 90 giorni annui, anche non continuativi, che il datore di lavoro è tenuto a consentire. Ai volontari in oggetto è altresì riconosciuta e corrisposta, a titolo di mancato guadagno giornaliero, una somma non superiore a euro 103,29 lordi, oltre alle somme pari agli oneri assicurativi e previdenziali eventualmente anticipate dai datori di lavoro. Il rimborso di tali somme avviene tramite richiesta alla Croce Rossa Italiana, da presentarsi entro e non oltre un anno dal termine della missione in esame.
Articolo 4
(Risorse umane e dotazioni strumentali)
Per la durata degli interventi illustrati in precedenza, il comma 2 autorizza il Ministero degli affari esteri ad avvalersi di personale proveniente dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165 del2001[4], posto in posizione di comando oppure reclutato a seguito delle procedure di mobilità di cui all’articolo 30, comma 1, del richiamato D.Lgs. 165[5].
Infine, il comma 3-bis stabilisce che il Ministro degli affari esteri identifica le misure volte ad agevolare l'intervento di organizzazioni non governative[6]che intendano operare in Iraq per fini umanitari.
Comma 7
Il comma 7 prevede che per l’affidamento degli incarichi e per la stipula dei contratti di cui all’articolo 4, comma 1, del D.L. n. 165/2003, si applicano anche le disposizioni di cui alla citata legge 26 febbraio 1987, n. 49.
Si ricorda che il comma 1 dell’art. 4 del D.L. 165/2003 autorizza il Ministero degli affari esteri – analogamente a quanto previsto dal già citato comma 5 dell’art. 1 del disegno di legge in commento - ad affidare incarichi temporanei di consulenza anche ad enti e organismi specializzati, di diritto pubblico o privato, nonché a stipulare contratti di lavoro previsti dalla legislazione vigente con personale estraneo alla pubblica amministrazione, in possesso di specifiche professionalità in deroga a quanto stabilito dall'articolo 34, comma 13, della legge 27 dicembre 2002, n. 289[7].
Si rileva che il riferimento alla legge fondamentale attualmente vigente sulla disciplina della cooperazione allo sviluppo dell’Italia – appunto la L. n. 49/1987 – appare piuttosto generico. Sarebbe forse opportuno rinviare in maniera più puntuale all'articolo 15 di detta legge, e in particolare al comma 5. Tale norma prevede che la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo può stipulare convenzioni e contratti con soggetti esterni alla Pubblica Amministrazione, per l'esecuzione del complesso di interventi previsto dalla legge. La legge n. 49/1987, infatti, come in precedenza illustrato, prevede, ad esempio, l'affidamento di progetti elaborati dalla Direzione generale ad Organizzazioni non governative riconosciute idonee.
Comma 8
Il comma 8 aumenta di 200.000 euro per il 2006 lo stanziamento di cui al comma 1 dell’articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 2005, n. 90 (Disposizioni urgenti in materia di protezione civile), convertito con modificazioni dalla legge 26 luglio 2005, n. 152.
L'articolo 9, unico comma, del decreto-legge 90/2005, autorizza la spesa di 200.000 euro per gli anni 2005, 2006 e 2007 per il funzionamento dell’Unità di crisi del Ministero degli affari esteri, da iscrivere in apposito capitolo, nell’ambito dell’unità previsionale di base n. 2.1.1.0 dello stesso Ministero. A tale onere si provvede mediante riduzione dello stanziamento iscritto nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, con parziale utilizzo dell’accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri per l’anno 2005. La somma in questione è destinata al pagamento delle prestazioni effettuate dal personale dell’Unità di crisi per assicurare adeguati interventi, in occasione di catastrofi naturali, eventi bellici, e in qualunque altra situazione di emergenza all’estero.
L’Unità di crisi è stata istituita con Decreto del Ministro degli esteri del 19 gennaio 1990 ed ha il compito di: analizzare le situazioni internazionali di tensione; predisporre intereventi operativi per garantire la sicurezza dei cittadini italiani all’estero; raccogliere gli elementi necessari all’eventuale messa in opera di piani di emergenza, in coordinamento con altri organi dello Stato; distribuire apparecchiature di emergenza quali, ad esempio, sistemi di telecomunicazioni; gestire un Centro Operativo. L’Unità è diretta da un funzionario della carriera diplomatica e opera nell’ambito della Segreteria generale del Ministero degli affari esteri, secondo quanto stabilito dall’articolo 3, comma 4, lettera b), del D.P.R. 11 maggio 1999, n. 267 [8].
Comma 9
In base al comma 9 si autorizza la spesa di 181.070 euro, entro il 2006, allo scopo di coprire le spese di missione di personale non diplomatico presso l’Ambasciata italiana in Iraq. Il trattamento economico di tale personale è determinato secondo quanto previsto dall’art. 204 del DPR 5 gennaio 1967, n. 18, che tuttora regola l’ordinamento dell’Amministrazione degli Affari esteri.
L’art. 204 in questione, con una complessa serie di rinvii interni al provvedimento, prevede l’attribuzione di un’indennità adeguata, e di un assegno per oneri di rappresentanza, ai componenti delle delegazioni diplomatiche speciali di cui all’art. 35 (v. supra il commento al comma 3, art. 1, del provvedimento in esame). l’attribuzione è operata con Decreto del Ministro degli Affari esteri, di concerto con il Ministro del bilancio (oggi dell’economia e delle finanze), in maniera tuttavia da non eccedere il trattamento economico complessivo del personale di analogo livello nella medesima sede di lavoro. Ai componenti delle delegazioni diplomatiche speciali si applicano altresì le disposizioni relative alle indennità per viaggi di servizio.
Comma 10
Il comma 10 autorizza la spesa di 17.500.000 euro ad integrazione degli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo dell’Italia, come determinati nella tabella C della sopra citata legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266. Tale incremento è finalizzato alla realizzazione di interventi di cooperazione in Afghanistan e Sudan, allo scopo di conseguire un miglioramento nelle condizioni di vita delle popolazioni, con particolare riguardo allo sviluppo socio-sanitario in favore delle fasce più deboli.
Si ricorda che nella tabella C della legge finanziaria 2006 figurano stanziamenti, per i capitoli della cooperazione allo sviluppo, pari a 392 milioni di euro per il 2006.
Comma 11
Il comma 11 autorizza fino al 31 dicembre 2006 la spesa di 2.000.000 di euro per la partecipazione italiana ai Fondi fiduciari (Trust funds) della NATO, con particolare destinazione al reinserimento nella vita civile di militari in esubero, a seguito della riforma delle forze armate in Bosnia-Erzegovina, Serbia e Montenegro.
I Fondi fiduciari della NATO si sono dimostrati un utile strumento nell’ambito del Partenariato per la pace, che ha coinvolto i Paesi dell’ex blocco orientale, buona parte dei quali ormai entrati a far parte dell’Organizzazione. I fondi fiduciari hanno avuto una duplice applicazione, ovvero da un lato l’assistenza ai Paesi membri del Partenariato per la pace nella distruzione dei loro surplus di armi convenzionali – tra le quali in particolare le mine antipersona -; e dall’altro il supporto nella gestione delle conseguenze della riforma delle forze armate (democratizzazione delle stesse e apertura al controllo sui piani di armamento e sui bilanci, reinserimento nella vita civile di personale in eccesso, riconversione di basi militari).
Commi 12-13
Il comma 12 autorizza fino al 31 dicembre 2006 la spesa di 199.895 euro per la prosecuzione del corso di formazione in Italia – nell’ambito della missione europea EUJUST LEX – organizzato dal Ministero della giustizia a beneficio di operatori iracheni del diritto, già previsto dall’art. 39-vicies bis, commi 7 e 8, del citato decreto-legge 273/2005, che ha operato da ultimo la proroga della missione internazionale in Iraq, nonché in precedenza dall’articolo 4 del D.L. n. 112/2005, recante disposizioni urgenti per la partecipazione italiana alla missione internazionale in Iraq.
Il comma 13 prevede che con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti: la misura delle indennita' orarie e dei rimborsi forfettari delle spese di viaggio per i docenti e gli interpreti; la misura delle indennità giornaliere e delle spese di vitto per i partecipanti ai corsi; la misura delle spese per i sussidi.
La missione EUJUST LEX nasce dalla decisione, presa dal Consiglio dell’Unione europea il 21 febbraio 2005, di avviare una missione integrata sullo stato di diritto per l’Iraq, e si fonda sull’azione comune 2005/190/PESC del Consiglio medesimo, adottata il 7 marzo 2005, che l’ha formalmente istituita. La missione, che comprende una fase di pianificazione da avviare entro il 9 marzo 2005, e una fase operativa, a decorrere dal 1° luglio 2005, intende rispondere alle impellenti necessità dell’ordinamento giudiziario penale iracheno attraverso la formazione dei funzionari per la gestione dell’indagine penale. EUJUST LEX è finalizzata a: promuovere la stretta collaborazione tra i diversi attori dell’ordinamernto giudiziario penale; potenziare la capacità di gestione dei responsabili ad alto livello, provenienti dalla polizia e dai sistemi giudiziario e penitenziale; migliorare capacità e procedure in materia di indagini penali, nel rispetto dello Stato di diritto e dei diritti dell’uomo. La struttura della missione è composta da: un Capomissione; un ufficio di coordinamento a Bruxelles; un ufficio di collegamento a Baghdad; strutture di formazione e formatori messi a disposizione dagli Stati membri.
Comma 14
Il comma 14 autorizza fino al 31 dicembre 2006 la spesa di 5.010.000 euro per interventi urgenti, ovvero acquisti e lavori da eseguire in economia, anche in deroga alle disposizioni di contabilità generale dello Stato, disposti dai comandanti dei contingenti mlitari impegnati nelle varie missioni previste dal provvedimento in esame. Tali interventi devono essere finalizzati a sopperire ad esigenze di prima necessità della popolazione locale, ivi compreso il ripristino dei servizi essenziali.
La prima parte dell’articolo 2 del disegno di legge in esame (commi da 1 a 22) contiene il differimento del termine della partecipazione italiana alle missioni internazionali delle Forze armate e delle Forze di polizia, individuando, per ciascuna di esse, il costo previsto ed il termine temporale del differimento.
Lo stesso articolo reca l’autorizzazione allo svolgimento di tre nuove missioni.
Per informazioni dettagliate sulle singole missioni si veda l’allegato I.
La proroga delle missioni in corso era stata operata, da ultimo, dai D.L. 17 gennaio 2006, n. 9, recante disposizioni urgenti per la partecipazione italiana alla missione internazionale in Iraq e dal D.L. 17 gennaio 2006, n. 10, recante disposizioni urgenti per la partecipazione italiana a missioni internazionali.
I due decreti-legge non sono stati convertiti nei termini costituzionali e le disposizioni in essi contenute sono state inserite nel D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51 (articoli 39 vicies semel e 39 viciesbis).
Il disegno di legge in esame opera il differimento del termine delle missioni con riferimento a quanto previsto dai sopraccitati articoli 39 vicies semel e 39 viciesbis. Si segnala che non risulta finanziato il differimento di tre missioni previste dai commi 5, 8 e 23 dell’articolo 39 vicies semel.
Si tratta, rispettivamente, della missione EUMM dell’Unione europea nei Balcani, della missione UNMIS dell’ONU in Sudan, e della missione EUPAT (ex EUPOL Proxima) dell’Unione europea in Macedonia.
Il comma 1 autorizza la spesa di129.381.507euro, per la fase di rientro del contingente militare che partecipa alla missione Antica Babilonia in Iraq, da realizzarsi entro l’autunno 2006.
Il comma 2 autorizza invece fino al 31 dicembre 2006, la spesa di 550.268euro per la partecipazione di esperti militari italiani alla riorganizzazione dei Ministeri della difesa e dell’interno iracheni, nonché alle attività di formazione e addestramento del personale delle Forze armate irachene. Tale attività risulta svolgersi nell’ambito della missione NTM-I (NATO Training Mission – Iraq).
Il comma 3 differisce al 31 dicembre 2006, con una spesa prevista di 136.631.975 euro, il termine per la partecipazione di personale militare alla missioneinternazionale ISAF (International Security Assistance Force) in Afghanistan.
Il comma 16 prevede anche l’utilizzo di unità della Guardia di finanza nell’ambito della stessa missione.
Il comma 4 differisce al 31 dicembre 2006, il termine per la partecipazione del personale militare impegnato nel Golfo arabico nella missionemultinazionale Enduring Freedom e di quello impegnato nella missionead essa collegata, Active Endeavour, che si svolge nel Mediterraneo; la spesa complessiva prevista è pari a 25.569.180 di euro.
Il comma 5 autorizza la spesa di 95.174.625 euro, per il differimento, fino al 31 dicembre 2006, della partecipazione di personale militare alle missioni seguenti internazionali nei Balcani:
a) Multinational Specialized Unit (MSU), in Kosovo;
b) Joint Enterprise, nell’area balcanica;
c) Criminal Intelligence Unit (CIU), in Kosovo;
d) Albania 2, in Albania.
L’operazione Joint Entreprise coordina le attività delle missioni: KFOR in Kosovo, NATO HQ Skopje in Fyrom, NATO HQ Tirana in Albania e NATO HQ-Sarajevo in Bosnia.
Il comma 3 dell’articolo 39 vicies semel del D.L. 273/2005, richiamato dal comma in esame, comprendeva nel personale militare autorizzato allo svolgimento delle missioni indicate dallo stesso comma, il personale appartenente al corpo militare dell’Associazione dei cavalieri italiani del Sovrano Militare ordine di Malta.
Il comma 6 differisce al 31 dicembre 2006, la partecipazione di personale militare alla missione dell’Unione europea Althea, in Bosnia-Erzegovina, ed alla missione IPU (Integrated Police Unit) che opera nell’ambito della stessa, con una spesa di 28.861.078 euro.
Il comma 7 autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la spesa di 641.286 euro, per il sostegno logistico della compagnia di fanteria rumena, che partecipa alla missione Joint Enterprise.
Una compagnia di fanteria rumena è stata inserita nella missione internazionale di pace in Kosovo KFOR a partire dal 1° gennaio 2002. I D.L. di proroga delle missioni internazionali hanno operato un finanziamento destinato al contributo per il sostegno logistico della compagnia. La norma ha lo scopo di favorire la cooperazione con lo Stato rumeno nel quadro dell’accordo bilaterale stipulato il 26 febbraio 1997, attuativo, nel settore militare, del Trattato di amicizia e cooperazione con l’Italia, fatto a Bucarest il 23 luglio 1991, la cui ratifica è stata autorizzata dalla legge 15 febbraio 1995, n. 53, e di ampliare la composizione multinazionale dei contingenti militari impiegati in operazioni internazionali, similmente a quanto già realizzato da altri Stati europei.
L'Accordo sulla cooperazione militare firmato a Roma il 26 febbraio 1997 dal Ministro della Difesa italiano e da quello rumeno (la cui ratifica è stata autorizzata ai sensi della legge 14 gennaio 2003, n. 8), in vigore dal 3 aprile 2003, si ispira, come altre analoghe intese stipulate in tempi recenti con paesi ex comunisti, ai principi stabiliti in alcuni documenti di alto impegno politico quali la stessa Carta delle Nazioni Unite, la Carta di Parigi per una nuova Europa, il Trattato sulle Forze Armate convenzionali in Europa, nonché alle disposizioni contenute in accordi bilaterali come il Trattato di amicizia e cooperazione del 23 luglio 1991. Questi atti sono esplicitamente richiamati nel Preambolo all'Accordo, in quanto essi contribuiscono al rafforzamento della sicurezza e della stabilità in Europa. L'obiettivo di cooperazione militare cui mira l'Accordo rientra, inoltre, tra gli impegni comuni che coinvolgono entrambe le Parti nei loro rapporti con l'Alleanza atlantica, in modo particolare nell'ambito dell'Euro-Atlantic Partnership Council (EAPC) - e del programma di Partenariato per la Pace (PfP). La Romania, che è tra i paesi di cui è previsto il futuro ingresso nell'Unione Europea, dal 29 marzo 2004 è entrata a far parte della NATO (insieme a Repubblica slovacca, Slovenia, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania).
Il comma 8 autorizza, fino al 31 dicembre 2006, lo svolgimento di una nuova missione dell’Unione europea in Kosovo, denominata EUPT (European Union Planing Team), disposta dal Consiglio con l’azione comune 2006/304/PESC del 10 aprile 2006. E’ previsto che alla missione partecipi personale dell’Arma dei carabinieri, con una spesa di 45.665euro.
Il comma 9 differisce al 31 dicembre 2006, la partecipazione di personale militare alla missione internazionale TIPH 2 (Temporary International Presence in Hebron), con una spesa prevista di 761.702 euro.
Il comma 10 autorizza la spesa di 510.598 euro, fino al 31 dicembre 2006, per il proseguimento della partecipazione di personale militare alla missione dell’Unione europea EUBAM Rafah (European Union Border Assistence Mission in Rafah), di assistenza alle frontiere per il valico di Rafah.
Il comma 11 autorizza la prosecuzione, fino al 31 dicembre 2006, dell’attività del personale militare impegnato nella missione dell’Unione europea, di sostegno alla missione svolta dall’Unione africana nella regione del Darfurin Sudan, denominata AMIS II. A tale scopo è autorizzata la spesa di 167.692 euro.
Il comma 12 differisce al 31 dicembre 2006, la partecipazione di personale militare alla missione di polizia nella Repubblica democratica del Congo, denominata EUPOL Kinshasa, con una spesa prevista di 201.296 euro.
Il comma 13 autorizza, fino al 31 dicembre 2006, lo svolgimento di una nuova missione dell’Unione europea nel Congo, denominata EUFOR RD CONGO e disposta con l’azione comune 2006/319/PESC del Consiglio del 27 aprile 2006 a sostegno della missione di osservazione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo; la spesa prevista è pari a 4.523.032 euro.
Il comma 14 autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la partecipazione di personale militare alla missione delle Nazioni Unite denominata UNFICYP (United Nations Peacekeeping Force in Cipro). Per tale finalità è autorizzata la spesa di 126.303 euro.
Il comma 15 autorizza la prosecuzione, fino al 31 dicembre 2006, della partecipazione di personale del Corpo della guardia di finanza alla missione UNMIK (United Nations Mission in Kosovo) con una spesa di 95.432euro.
Il comma 16 autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la spesa di 482.804euro perla partecipazione di personale del Corpo della guardia di finanza alla missione ISAF in Afghanistan.
Il comma 17 differisce al 31 dicembre 2006, il termine per la partecipazione di personale della Polizia di Stato alla missione UNMIK (United Nations Mission in Kosovo), con una spesa prevista di 582.293 euro.
Il comma 18 differisce al 31 dicembre 2006 il termine, da ultimo fissato al 30 giugno 2006 dall’articolo 39 vicies semel, comma 21, del D.L. n. 273/2005, relativo allo sviluppo di programmi di cooperazione delle Forze di polizia italiane in Albania e nei paesi dell’area balcanica[9]. Per la prosecuzione dei citati programmi viene stanziata la somma di 4.159.702 euro.
Il comma 19 differisce, al 31 dicembre 2006, il termine per la partecipazione di personale dell’Arma dei carabinieri alla missione in Bosnia-Erzegovina denominata EUPM (European Union Police Mission). Tale proroga viene finanziata con lo stanziamento di 581.491 euro
Il comma 20 autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la spesa di 136.754 euro, per il differimento della partecipazione di personale della Polizia di Stato alla missione dell’Unione europea EU BAM Moldova e Ucraina, con il compito di svolgere assistenza alla gestione delle frontiere e dei controlli doganali al confine dei due Paesi.
Il comma 21autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la partecipazione di personale della Polizia di Stato ad una nuova missione dell’Unione europea in Palestina EUPOL COPPS (European Union Police Mission for the Palestinian Territories), disposta con l’azione comune 2005/797/PESC del Consiglio del 14 novembre 2005, con compiti di assistenza alla polizia civile palestinese. La spesa prevista è pari a 31.828 euro.
Il comma 22 autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la spesa di 102.78 euro per l’invio di un funzionario diplomatico in Afghanistan, con l’incarico di consigliere diplomatico del comandante della missione ISAF. La spesa è determinata ai sensi dell’articolo 204 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, che tuttora regola l’ordinamento dell’Amministrazione degli Affari esteri.
L’art. 204 in questione, con una complessa serie di rinvii interni al provvedimento, prevede l’attribuzione di un’indennità adeguata, e di un assegno per oneri di rappresentanza, ai componenti delle delegazioni diplomatiche speciali di cui all’art. 35 (v. supra il commento al comma 3, art. 1, del provvedimento in esame). L’attribuzione è operata con Decreto del Ministro degli Affari esteri, di concerto con il Ministro del bilancio (oggi dell’economia e delle finanze), in maniera tuttavia da non eccedere il trattamento economico complessivo del personale di analogo livello nella medesima sede di lavoro. Ai componenti delle delegazioni diplomatiche speciali si applicano altresì le disposizioni relative alle indennità per viaggi di servizio.
L’articolo 2, comma 23, attribuisce al personale impegnato nelle missioni internazionali disciplinate dal provvedimento l’indennità di missione di cui al regio decreto 3 giugno 1926, n. 941, in misure diversificate a seconda delle missioni stesse (v. paragrafo successivo).Tale indennità viene riconosciuta a decorrere dalla data di entrata nel territorio, nelle acque territoriali e nello spazio aereo dei Paesi interessati e fino alla data di uscita dagli stessi per rientrare nel territorio nazionale, ed è attribuita per tutto il periodo della missione in aggiunta allo stipendio o alla paga e agli altri assegni a carattere fisso e continuativo. A tale indennità devono essere detratti, tuttavia, le indennità e i contributi eventualmente corrisposti agli interessati direttamente dagli organismi internazionali.
Il R.D. n. 941/1926 reca la disciplina generale del trattamento di missione all’estero del personale statale. Le indennità per l'estero sono dovute dal giorno in cui si passa il confine o si sbarca all'estero, fino al giorno in cui si ripassa il confine o si prenda imbarco per il ritorno o si sbarca in Italia, sino al giorno del ritorno in residenza. Viene disciplinata, inoltre, l’indennità spettante: ai componenti delle delegazioni italiane presso commissioni, enti o comitati internazionali, che si rechino all'estero per partecipare alle relative riunioni; al personale di tutte le amministrazioni, sia civili che militari, che si rechi all'estero in commissione, per rappresentanza del regio governo, oppure anche isolatamente per partecipare a commissioni di carattere internazionale; ai funzionari del gruppo A del ministero degli affari esteri che si rechino in missione isolata all'estero. Si prevedono, poi, alcuni casi particolari e i rimborsi per le spese di viaggio.
Successivamente, l’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1971, n. 286, ha sostituito gli articoli 2 e 3 del decreto luogotenenziale. 21 agosto 1945, n. 540, relativo alle indennità del personale dell'Amministrazione dello Stato incaricato di missione all'estero, prevedendo indennità giornaliere di missione sostitutive di quelle previste dall’articolo 1 del citato R.D. n. 941/1926. Tali indennità sono determinate con decreto del Ministro del tesoro paese per paese direttamente in valuta locale o in altra valuta, al netto delle ritenute erariali, e, se necessario, modificate in rapporto alle variazioni delle condizioni valutarie e del costo della vita di ciascun paese. In applicazione di questa disposizione si è provveduto periodicamente ad adeguare le diarie di missione, da ultimo con D.M. 27 agosto 1998. E’ poi intervenuto il D.M. 2 aprile 1999 che ha determinato la misura in euro delle diarie nette per le missioni effettuate dal personale civile e militare nei Paesi che hanno adottato tale moneta. Al fine di eliminare la disparità di trattamento esistente per il personale che opera nei paesi dell’area balcanica, l’articolo 4 del D.L. 17 giugno 1999, n. 180, convertito dalla legge 2 agosto 1999, n. 269, ha autorizzato il Ministero del Tesoro ad aggiornare le diarie di missione stabilite dal citato D.M. 27 agosto 1998 per il personale militare italiano impiegato nelle missioni umanitarie e di pace nei territori della ex Jugoslavia e dell’Albania, equiparandole a quelle fissate per la Bosnia e per la Repubblica federale jugoslava. In conformità a quanto disposto dall’articolo 4 appena citato, è stato quindi emanato il D.M. 30 agosto 1999. E’ stato quindi emanato il D.M. 13 gennaio 2003 che ha determinato il valore in euro delle diarie da corrispondere al personale in missione all’estero anche nei Paesi che non abbiano adottato l’euro come moneta unica di pagamento, successivamente modificato dal D.M. 6 giugno 2003.
Si ricorda che il D.M. 27 agosto 1998 suddivide il personale statale, civile e militare, in sei gruppi, indicati in una specifica tabella allegata al decreto medesimo e modificata, da ultimo, dai citati D.M. 13 gennaio e 6 giugno 2003, determinando le diarie nette per le missioni in proporzione al gruppo di appartenenza e in relazione al Paese presso il quale si svolge la missione stessa.
La lettera a) del comma 23 prevede che la suddetta indennità sia corrisposta nella misura del 98 per cento al personale militare che partecipa alle missioni MSU, Joint Enterprise, Albania 2 e ALTHEA, nei Balcani, TIPH 2 ed EUBAM Rafah, in Medio Oriente, nonché al personale del Corpo della guardia di finanza e della Polizia di Stato che partecipa alla missione UNMIK in Kosovo;
la lettera b) quantifica, per il personale militare che partecipa alle missioni Antica Babilonia in Iraq, Enduring Freedom e Active Endeavour ISAF in Afghanistan, l’indennità di missione nella misura del 98 per cento, calcolata sulla diaria prevista con riferimento ad Arabia Saudita, Emirati Arabi e Oman;
la lettera c) stabilisce che il personale della Polizia di Stato che partecipa alla missione dell’UE in Moldavia e Ucraina ed alla missione EUPOL COPPS nei territori palestinesi percepisca l’indennità di missione nella misura intera;
la lettera d) dispone che il personale che partecipa alle missioni CIU ed EUPT, nei Balcani, AMIS II, EUPOL Kinshasa ed EUFOR RD CONGO, in Africa, UNFICYP, a Cipro, ed al personale dell’Arma dei carabinieri che partecipa alla missione EUPM in Bosnia-Erzegovina, percepisca l’indennità di missione nella misura intera, eventualmente incrementata del 30 per cento, se detto personale non usufruisce, a qualsiasi titolo, di vitto ed alloggio gratuiti;
la lettera e) prevede che l’indennità di missione sia corrisposta nella misura intera incrementata del trenta per cento, calcolata sulla diaria prevista con riferimento ad Arabia Saudita, Emirati Arabi e Oman, al personale che, nell’ambito della missione Antica Babilonia in Iraq, è impiegato nella NATO Training Mission (NTM), nonché agli esperti militari impiegati in Iraq, al personale militare impiegato in Bahrain e nella cellula nazionale interforze operante a Tampa, se non usufruiscono, a qualsiasi titolo, di vitto e alloggio gratuiti;
la lettera f) attribuisce al consigliere diplomatico del comandante del contingente militare che partecipa alla missione ISAF, in Afghanistan, la predetta indennità in misura intera incrementata del trenta per cento, calcolata sul trattamento economico all’estero previsto per Arabia Saudita, Emirati Arabi e Oman.
L’articolo 2, comma 24, prevede che al personale che partecipa ai programmi di cooperazione delle Forze di polizia italiane in Albania e nei paesi dell’area balcanica si applicano il trattamento economico previsto dalla legge 8 luglio 1961, n. 642, e l’indennità speciale, di cui all’articolo 3 della stessa legge, nella misura del 50 per cento dell’assegno di lungo servizio all’estero.
La legge n. 642/1961 disciplina il trattamento economico del personale dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica destinato isolatamente all'estero presso Delegazioni o Rappresentanze militari ovvero presso enti, comandi od organismi internazionali. L’articolo 1 della legge prevede che il personale destinato presso gli organi citati per un periodo superiore a 6 mesi, percepisce: lo stipendio o la paga e gli altri assegni a carattere fisso e continuativo previsti per l'interno; un assegno di lungo servizio all'estero in misura mensile ragguagliata a 30 diarie intere come stabilito dalle norme in vigore per il Paese di destinazione; le ulteriori indennità che possono spettare ai sensi delle disposizioni contenute negli articoli della legge. L’articolo 3 della medesima legge prevede che al citato personale militare può essere attribuita, qualora l'assegno di lungo servizio all'estero non sia ritenuto sufficiente in relazione a particolari condizioni di servizio, una indennità speciale da stabilirsi nella stessa valuta dell'assegno di lungo servizio all'estero.
L’articolo 2, comma 25, infine, autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la spesa di euro 8.747 per l’attribuzione del trattamento assicurativo previsto dall’articolo 3 del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2002, n. 15, al personale dell’Arma dei carabinieri impiegato in Iraq per il servizio di protezione e sicurezza dell’Ambasciata d’Italia e del Consolato generale.
L’articolo 2, comma 26, dispone che al personale militare impegnato nelle missioni “Antica Babilonia”, “Enduring Freedom”, “Active Endeavour” e ISAF, si applica il codice penale militare di guerra[10] e l’articolo 9 del decreto legge 1° dicembre 2001, n. 421, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 2002, n. 6, recante disposizioni per la partecipazione all’operazione “Enduring Freedom”.
Il comma 27 del medesimo articolo prevede che al personale militare che partecipa alle missioni MSU, Joint Enterprise, CIU, Albania 2, ALTHEA, EUPT, UNMIK, ed EUPM, nei Balcani; TIPH 2 ed EUBAM Rafah, in Medio Oriente; AMIS II, EUPOL Kinshasa ed EUFOR RD CONGO, in Africa; UNFICYP, a Cipro, si applicano il codice penale militare di pace e l’articolo 9, commi 3, 4, lettere a), b), c) e d), 5 e 6, del decreto-legge n. 421 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla citata legge n. 6 del 2002.
I commi 1 e 2 dell’articolo 9 del citato D.L. n. 421/2001 escludono espressamente l’applicazione delle disposizioni contenute nel Libro IV del codice penale militare di guerra, relativo alla procedura penale militare di guerra, e di quelle concernenti l’ordinamento giudiziario militare di guerra, contenute nella Parte II dell’ordinamento giudiziario militare, approvato con regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022, e successive modificazioni. La relazione governativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 421 ha giustificato questa scelta in considerazione del fatto che le norme citate contemplano organi, quali i tribunali militari di guerra ordinari, a composizione prevalentemente militare, e comunque dipendenti dal comandante supremo, i tribunali militari di guerra straordinari, i tribunali di bordo, il tribunale supremo militare di guerra, di dubbia costituzionalità, e la cui costituzione, comunque, nella presente circostanza, appare eccessiva rispetto alle effettive necessità e comporta un notevole aggravio di spesa pubblica. In conseguenza di tale scelta, il comma 3 dell’articolo in esame attribuisce la giurisdizione penale agli organi dell’ordinamento giudiziario militare di pace, individuando la competenza territoriale al tribunale militare di Roma, in conformità a quanto disposto dall’articolo 9 della legge 7 maggio 1981, n. 180, recante “Modifiche all’ordinamento giudiziario militare di pace”, che prevede, appunto, la competenza del tribunale militare di Roma per i reati commessi all’estero.
Il comma 4 dell’articolo 9 del D.L. 421/2001 prevede i casi in cui gli ufficiali di polizia giudiziaria militare devono obbligatoriamente procedere all’arresto in caso di flagranza di reato. La prima ipotesi è quella generale, regolata dall’articolo 380, comma 1, del codice di procedura penale, in base al quale si procede all'arresto di chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni. Successivamente vengono indicate alcune fattispecie di reato militare in presenza delle quali, a prescindere dalla pena edittale prevista, si ritiene opportuno disporre l’arresto obbligatorio in flagranza per garantire una migliore tutela della disciplina militare e l’efficacia del servizio. Si tratta di alcuni reati contro la disciplina militare previsti dal codice penale militare di guerra attraverso il rinvio alle fattispecie disciplinate dal codice penale militare di pace[11], e dei reati di violata consegna e forzata consegna di cui agli articoli 124 e 138 del codice penale militare di guerra. Vediamoli più nel dettaglio.
§ a) Disobbedienza aggravata, ex articolo 173, secondo comma del codice penale militare di pace. L’articolo 173 punisce con la reclusione militare fino a un anno il militare, che rifiuta, omette o ritarda di obbedire a un ordine attinente al servizio o alla disciplina, intimatogli da un superiore. Il secondo comma prevede l’aggravante quando il fatto è commesso in servizio, ovvero a bordo di una nave o di un aeromobile, comminando la reclusione militare da sei mesi a un anno; estensibile fino a cinque anni, se il fatto è commesso in occasione d'incendio o epidemia o in altra circostanza di grave pericolo.
§ b) Rivolta, ex articolo 174 del codice penale militare di pace. La norma punisce con la reclusione militare da tre a quindici anni i militari che, riuniti in numero di quattro o più: mentre sono in servizio armato, rifiutano, omettono o ritardano di obbedire a un ordine di un loro superiore; prendono arbitrariamente le armi e rifiutano, omettono o ritardano di obbedire all'ordine di deporle, intimato da un loro superiore; abbandonandosi a eccessi o ad atti violenti, rifiutano, omettono o ritardano di obbedire alla intimazione di disperdersi o di rientrare nell'ordine, fatta da un loro superiore La pena per chi ha promosso, organizzato o diretto la rivolta è della reclusione militare non inferiore a quindici anni. La condanna importa la rimozione.
§ c) Ammutinamento, ex articolo 175 del codice penale militare di pace. La norma punisce con la reclusione militare da sei mesi a tre anni i militari, che, riuniti in numero di quattro o più: rifiutano, omettono o ritardano di obbedire a un ordine di un loro superiore; persistono nel presentare, a voce o per iscritto, una domanda, un esposto o un reclamo. La pena per chi ha promosso, organizzato o diretto l'ammutinamento è della reclusione militare da uno a cinque anni. Se il fatto ha carattere di particolare gravità per il numero dei colpevoli o per i motivi che lo hanno determinato, ovvero se è commesso in circostanze di pericolo a bordo di una nave o di un aeromobile, le pene suddette sono aumentate dalla metà a due terzi. La condanna importa la rimozione. Se il colpevole cede alla prima intimazione, si applica la reclusione militare fino a sei mesi, salvo che abbia promosso, organizzato o diretto l'ammutinamento, nel qual caso la pena è della reclusione militare fino a un anno.
§ d) Insubordinazione con violenza, ex articolo 186 del codice penale militare di pace. La norma punisce con la reclusione militare da uno a tre anni il militare che usa violenza contro un superiore. Se la violenza consiste nell'omicidio volontario, consumato o tentato, nell'omicidio preterintenzionale ovvero in una lesione personale grave o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata.
§ Violenza contro un inferiore aggravata, ex articolo 195, secondo comma, del codice penale militare di pace. L’articolo 195 punisce con la reclusione militare da uno a tre anni il militare, che usa violenza contro un inferiore. Il secondo comma dell’articolo prevede l’aggravante quando la violenza consiste nell'omicidio volontario, consumato o tentato, nell'omicidio preterintenzionale, ovvero in una lesione personale grave o gravissima. In tali casi si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata.
§ e) Abbandono di posto o violata consegna da parte di militari di sentinella, vedetta o scolta, ex articolo 124 del codice penale militare di guerra. La norma punisce con la reclusione militare da uno a dieci anni il militare che, essendo di sentinella, vedetta o scolta, abbandona il posto o viola la consegna. Se il fatto è commesso in presenza del nemico, la pena è della reclusione militare non inferiore a quindici anni. Se il fatto ha compromesso la sicurezza del posto, della nave, dell'aeromobile, ovvero di militari, si applica la pena di morte mediante fucilazione nel petto[12]. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche ai militari e agli agenti della forza pubblica, che sono dislocati lungo le linee ferroviarie, telegrafiche, telefoniche o altre vie di comunicazione o di trasporto, per la tutela di esse, ed ai militari, che compongono la scorta di qualsiasi mezzo di trasporto terrestre, marittimo o aereo, con consegne determinate. Il militare, che, essendo di sentinella, vedetta o scolta, si addormenta, è punito con la reclusione militare da uno a sette anni.
§ f) Forzata consegna aggravata, ex articolo 138, commi secondo e terzo, del codice penale militare di guerra. L’articolo 138 punisce con la reclusione militare da tre a sette anni il militare che in qualsiasi modo forza una consegna. I commi secondo e terzo prevedono le seguenti aggravanti: se il fatto è commesso con armi, ovvero da tre o più persone riunite, o se ne è derivato grave danno, la pena è aumentata, se il fatto è commesso durante il combattimento o, comunque, in presenza del nemico, la reclusione militare è da cinque a quindici anni; e, se la consegna aveva inoltre per oggetto la sicurezza di una parte delle forze armate terrestri, marittime o aeree, di una fortezza assediata o di un posto militare, e il fatto l'ha compromessa, ovvero ha impedito un'operazione militare, si applica la pena di morte mediante fucilazione nel petto[13].
Il comma 5 dell’articolo 9 intende risolvere il problema posto dalla necessità di procedere alla convalida dell’arresto in flagranza nei termini fissati dall’articolo 13 della Costituzione, anche se il giudice competente non è facilmente raggiungibile, in conseguenza della scelta, di cui si è prima trattato, di non ricorrere ai tribunali di guerra. La soluzione viene individuata nel ricorso, in caso di necessità, alla comunicazione telematica o audiovisiva.
Più precisamente, il comma 5 prevede che, nei casi di arresto in flagranza o fermo, qualora le esigenze belliche od operative non consentano che l’arrestato sia posto tempestivamente a disposizione dell’autorità giudiziaria militare, l’arresto mantiene comunque la sua efficacia purché il relativo verbale pervenga, anche con mezzi telematici, entro quarantotto ore al pubblico ministero e l’udienza di convalida si svolga, con la partecipazione necessaria del difensore, nelle successive quarantotto ore. In tale caso gli avvisi al difensore dell’arrestato o del fermato sono effettuati da parte del pubblico ministero. In tale ipotesi e fatto salvo il caso in cui le oggettive circostanze belliche od operative non lo consentano, si procede all’interrogatorio da parte del pubblico ministero, ai sensi dell’articolo 388[14] del codice di procedura penale, e all’udienza di convalida davanti al giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell’articolo 391[15] del codice di procedura penale, a distanza mediante un collegamento videotelematico od audiovisivo, realizzabile anche con postazioni provvisorie, tra l’ufficio del pubblico ministero ovvero l’aula ove si svolge l’udienza di convalida e il luogo della temporanea custodia, con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto viene detto e senza aggravio di spese processuali per la copia degli atti. Il difensore o il suo sostituto e l’imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei. Un ufficiale di polizia giudiziaria è presente nel luogo in cui si trova la persona arrestata o fermata, ne attesta l’identità dando atto che non sono posti impedimenti o limitazioni all’esercizio dei diritti e delle facoltà a lui spettanti e redige verbale delle operazioni svolte. Senza pregiudizio per la tempestività dell’interrogatorio, l’imputato ha altresì diritto di essere assistito, nel luogo dove si trova, da un altro difensore di fiducia ovvero da un ufficiale presente nel luogo. Senza pregiudizio per i provvedimenti conseguenti all’interrogatorio medesimo, dopo il rientro nel territorio nazionale, l’imputato ha diritto ad essere ulteriormente interrogato nelle forme ordinarie.
Infine, il comma 6 dell’articolo 9, disciplina l’interrogatorio della persona sottoposta alla misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, prevedendo che si proceda con le stesse modalità di cui al comma 5 quando questa non possa essere condotta, nei termini previsti dall’articolo 294 del codice di procedura penale, in un carcere giudiziario militare per rimanervi a disposizione dell’autorità giudiziaria militare.
L’articolo 294, commi 1-2, del codice di procedura penale prevede che fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice che ha deciso in ordine all'applicazione della misura cautelare se non vi ha proceduto nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo di indiziato di delitto procede all'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia, salvo il caso in cui essa sia assolutamente impedita. L'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare deve avvenire entro il termine di quarantotto ore se il pubblico ministero ne fa istanza nella richiesta di custodia cautelare. Nel caso di assoluto impedimento, il giudice ne dà atto con decreto motivato e il termine per l'interrogatorio decorre nuovamente dalla data in cui il giudice riceve comunicazione della cessazione dell'impedimento o comunque accerta la cessazione dello stesso.
L’articolo 2, comma 28, stabilisce che i reati commessi dallo straniero in territorio iracheno o afghano, a danno dello Stato o di cittadini italiani partecipanti alle missioni di cui al comma 26, siano puniti sempre a richiesta del Ministro della giustizia, sentito il Ministro della difesa per i reati commessi a danno di appartenenti alle Forze armate.
Per tali reati il comma 29 attribuisce la competenza territoriale al Tribunale di Roma.
La disposizione di cui al comma 28 sancisce l'applicabilità della legge penale italiana ai reati sopra descritti prevedendo, quale condizione di promuovibilità dell'azione penale, la richiesta di procedimento del Ministro della giustizia, sentito il Ministro della difesa per i reati commessi a danno di appartenentialle Forze armate.
Va ricordato che gli articoli 7, 9 e 10 del codice penale contemplano diverse ipotesi di reati comuni commessi all'estero, differenziate per la natura del reato in questione e/o per la nazionalità di appartenenze dell'autore del fatto criminoso.
Sulla base delle disposizioni dell'articolo 7 del codice penale, alcuni reati, commessi in territorio estero, non importa se da un cittadino o da uno straniero, vengono incondizionatamente puniti secondo la legge italiana. Si tratta:
· dei delitti contro la personalità dello Stato;
· dei delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto;
· dei delitti di falsità in monete avente corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo, o in carte di pubblico credito italiano;
· dei delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni;
· di ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l'applicabilità della legge penale italiana.
L'articolo 9 disciplina il fenomeno della punibilità del cittadino per delitti comuni commessi all'estero, diversi da quelli di cui all'articolo 7, rispetto ai quali però la punibilità medesima è subordinata alla presenza di alcune condizioni:
· che si tratti di delitto per il quale la legge italiana stabilisca l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, ovvero che sussistano gli altri presupposti previsti dall'articolo 9, commi due e tre;
· che il cittadino si trovi nel territorio dello Stato;
· ove si tratti di delitti punibili con una pena inferiore a tre anni (articolo 9, comma 2) occorre - oltre alla presenza del reo nel territorio dello Stato - la richiesta del Ministro della Giustizia o l'istanza o querela della persona offesa.
Qualora invece si tratti di delitto comune commesso all'estero a danno delle Comunità europee (art. 9, comma 3), di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia, sempreché l'estradizione non sia stata concessa o accettata.
L'articolo 10 disciplina l'ipotesi dello straniero che commette all'estero delitti comuni (diversi da quelli indicati nell'articolo 7) a danno dello Stato o di un cittadino italiano (articolo 10, comma 1) ovvero a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero.
Le condizioni cui la punibilità è subordinata mutano in ragione del mutare del soggetto passivo.
Se il reato è commesso a danno dello Stato o di un cittadino italiano, occorre
· che si tratti di delitto punito con la reclusione non inferiore nel minimo ad un anno;
· che il reo si trovi nel territorio dello Stato;
· che vi sia richiesta del Ministro della giustizia o istanza o querela della persona offesa.
Qualora il reato sia commesso dallo straniero a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di un cittadino straniero sono necessari:
· la presenza del reo nel territorio dello Stato;
· la richiesta del Ministro;
· la previsione della pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni;
· la circostanza che l'estradizione non sia stata concessa o accettata.
Una previsione particolare è contenuta poi nell'articolo 8 del codice penale relativamente ai delitti politici.
In base a tale disposizione, il cittadino o lo straniero che commette all'estero un delitto politico non compreso tra quelli di cui al n. 1) dell'articolo 7 è punito secondo la legge italiana a richiesta del Ministro della giustizia o querela della persona offesa.
Secondo poi la definizione contenuta nel medesimo articolo 8, agli effetti della legge penale è delitto politico ogni delitto che offende un interesse politico dello Stato ovvero un diritto politico del cittadino o anche il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici.
La norma in esame, pertanto, prevede - per i reati commessi dallo straniero in territorio iracheno o afghano, a danno dello Stato o di cittadini partecipanti alle missioni militari - la condizione della richiesta del Ministro della giustizia, sentito il Ministro della difesa per i reati commessi a danno di appartenenti alle Forze armate.
In linea generale va ricordato che la richiesta di procedimento è condizione irrevocabile solo di promuovibilità dell’azione penale.
A differenza dell'istanza, che promana dalla persona offesa, la richiesta di procedimento è formulata dalla pubblica autorità indicata dalla legge.
Essa consiste in una manifestazione di volontà punitiva e si estende di diritto a tutti i responsabili (articoli 127-129 c.p.). La necessità della richiesta scaturisce dalla natura del reato o da ragioni di opportunità politica.
E' necessaria ad esempio la richiesta del Ministro della giustizia affinché il P.M. possa promuovere l'azione penale per i delitti in danno del Presidente della repubblica, come sopra ricordato, per taluni delitti politici o comuni commessi all'estero dal cittadino o dallo straniero.
In ordine alla forma, la pubblica autorità redige richiesta scritta che deve essere formulata, come la querela e l'istanza di procedimento, entro tre mesi dalla notizia del fatto a pena di inefficacia.
Come evidenziato nella relazione illustrativa, la previsione della richiesta del Ministro appare necessaria per consentire all'autorità di Governo la valutazione dei fatti-reato e la loro corrispondenza ai delitti contro la personalità dello Stato per i quali è prevista l'incondizionata punibilità e la procedibilità assoluta nei confronti dei presunti colpevoli a norma dell'articolo 7 del codice penale.
In altri termini, mentre è pacifica l'applicazione della legge penale italiana e la procedibilità d'ufficio, allorché le azioni delittuose toccano direttamente interessi vitali dello Stato, l'esperienza maturata durante lo svolgimento delle missioni in Iraq ed Afghanistan suggerisce di verificare in concreto, in presenza di atti ostili, la sussistenza - ad esempio - delle finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico richieste dall'articolo 280 c.p. e di subordinare l'avvio dell'azione penale da parte della magistratura ordinaria all'effettiva aggressione dei beni giuridici primari protetti dai delitti contro la personalità dello Stato.
La cognizione di tali reati è poi concentrata nel Tribunale di Roma al fine di evitare conflitti di competenza e consentire unitarietà di indirizzo nella qualificazione delle fattispecie, nonché un più diretto e efficace collegamento tra l'autorità giudiziaria ordinaria e quella militare.
L’articolo 2, comma 30del disegno di legge in esame stabilisce che le disposizioni in materia contabile previste dall’articolo 8, comma 2, del D.L. n. 451/2001, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2002, n. 15, si applicano, entro il limite complessivo di 50.000.000 €, anche alle acquisizioni di materiali d’armamento, di equipaggiamenti individuali, nonché di materiali informatici.
L’articolo 8, comma 2, del D.L. n. 451/2001, ai fini e per la durata delle missioni prorogate dall’articolo 1 del decreto medesimo, autorizza il Ministero della difesa, in caso di necessità ed urgenza, a ricorrere ad acquisti e lavori da eseguire in economia, anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia di contabilità generale dello Stato e a quanto previsto dai capitolati d’oneri, entro il limite complessivo di 5.164.569 euro, a valere sullo stanziamento di cui all’articolo 15 dello stesso decreto. Tali acquisti e lavori devono essere volti a soddisfare le esigenze di: revisione generale dei mezzi da combattimento e da trasporto; esecuzione di opere infrastrutturali aggiuntive e integrative; acquisizione di apparati di comunicazione a per la difesa nucleare, biologica e chimica.
Il comma 31 prevede che i mezzi e materiali, escluso il materiale d’armamento di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185, utilizzati a supporto dell’attività operativa di unità militari all’estero, per i quali non risulta conveniente il rimpatrio in relazione ai costi di trasporto, su disposizione degli ispettorati o comandi logistici di Forza armata, previa autorizzazione del Capo di stato maggiore della difesa, possono essere ceduti, direttamente e a titolo gratuito nelle località in cui si trovano, alle Forze armate e alle Forze di polizia estere, ad autorità locali, a organizzazioni internazionali non governative ovvero a organismi di volontariato e di protezione civile, prioritariamente italiani, ivi operanti. Con decreto ministeriale si provvede a disciplinare le modalità attuative.
Come evidenziato nella relazione illustrativa del disegno di legge, la disposizione in esame è finalizzata a consentire, nell’ambito dei piani di rientro dei contingenti militari impiegati all’estero, il contenimento dei costi di trasporto per il rimpatrio di mezzi e materiali al seguito. La normativa vigente (art. 49, comma 2, della legge n. 388 del 2000; decreto interministeriale 30 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 39 del 15 febbraio 2002) consente infatti che la cessione a titolo gratuito possa aver luogo solo a seguito di due esperimenti di vendita con esito negativo. L’applicazione di tale normativa risulta tuttavia spesso difficoltosa in relazione al contesto sociale ed economico della zona di operazioni, con la conseguenza di dover disporre il rimpatrio di mezzi e materiali, ormai fortemente usurati, a prescindere dalla relativa convenienza economica, salvo a prevedere la permanenza di personale militare in loco per l’eventuale espletamento delle procedure di vendita con inevitabili costi aggiuntivi a carico della Difesa. E’ altresì previsto che, con decreto ministeriale, vengano disciplinate le modalità di cessione dei materiali e mezzi.
Il comma 32 autorizza infine il Ministero della difesa a cedere a titolo gratuito al Governo iracheno sei motovedette del Corpo delle capitanerie di porto dismesse alla data di entrata in vigore della presente legge.
Con tale autorizzazione si intende accedere alla richiesta formulata dal Governo iracheno di poter acquisire mezzi idonei a integrare il dispositivo di sorveglianza delle zone costiere in funzione di sicurezza e di tutela ambientale. Nella relazione governativa si precisa che le previste cessioni si inseriscono nel programma di attività volte alla ricostruzione delle capacità delle forze di sicurezza irachene.
L’articolo 2, comma 33, consente di valutare i periodi di comando, di attribuzioni specifiche, di servizio e di imbarco svolti dagli ufficiali delle Forze armate e dell'Arma dei carabinieri presso i comandi, le unita', i reparti e gli enti costituiti per lo svolgimento delle missioni internazionali disciplinate dal decreto in esame, ai fini del loro avanzamento. Tali periodi sono, quindi, validi ai fini dell'assolvimento degli obblighi previsti dalle tabelle 1, 2 e 3 allegate ai decreti legislativi 30 dicembre 1997, n. 490, recante “Riordino del reclutamento, dello stato giuridico e dell'avanzamento degli ufficiali, a norma dell'articolo 1, comma 97, della L. 23 dicembre 1996, n. 662”, e 5 ottobre 2000, n. 298, relativa al “Riordino del reclutamento, dello stato giuridico e dell'avanzamento degli ufficiali dell'Arma dei carabinieri, a norma dell'articolo 1 della L. 31 marzo 2000, n. 78”, e successive modificazioni.
L’articolo 2, comma 34, prevede che, per le esigenze connesse con le missioni internazionali, anche nell’anno 2006 possano essere richiamati in servizio, a domanda, quali ufficiali delle forze di completamento, gli ufficiali appartenenti alla riserva di complemento, altrimenti non richiamabili in base alla normativa generale (art. 64 della legge n. 113 del 1954). La disposizione consente, in via temporanea e solo per le esigenze connesse con le missioni internazionali, di ampliare il bacino degli ufficiali richiamabili nelle forze di completamento, potendo attingere a personale appartenente a fasce di età superiore, comprese tra i quarantacinque e i sessantacinque anni, al fine di consentire alle Forze armate di avvalersi di pregiate professionalità presenti in tali ambiti.
L’articolo 2, comma 35, del disegno di legge, per quanto non diversamente previsto, rinvia a specifiche disposizioni del già citato D.L. n. 451/2001, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 15/2002, per la disciplina delle missioni internazionali. Tali disposizioni vengono di seguito specificamente commentate.
Articolo 2
(Indennità di missione)
Il comma 2 dell’articolo 2 del D.L. n. 451/2001 prevede che al personale militare e della Polizia di Stato impegnato nelle missioni internazionali nei periodi di riposo e recupero previsti dalle normative di settore per l’impiego all’estero, goduti al di fuori del teatro di operazioni durante lo svolgimento della missione, viene anche attribuita un’indennità giornaliera pari alla diaria di missione estera percepita. Tale disposizione, che è stata introdotta per la prima volta dalla citata legge n. 339/2001, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge n. 294/2001, è volta a favorire l’effettiva fruizione dei necessari periodi di riposo e di rientro in famiglia, che veniva scoraggiata dalla prospettiva di perdite retributive.
Il comma 3 dell’articolo 2 dispone che, ai fini della corresponsione dell’indennità di missione i volontari in ferma annuale, breve e prefissata delle Forze armate siano equiparati ai volontari di truppa in servizio permanente[16], sanando in tal modo la disparità di trattamento esistente tra queste categorie di personale militare anche se in possesso di analogo stato giuridico ed impiegato negli stessi compiti. Norma analoga era già contenuta nell’articolo 1, comma 3, del citato D.L. n. 421/2001.
Articolo 3
(Trattamento assicurativo e pensionistico)
Il comma 1 dell’articolo 3 prescrive che al personale militare e della Polizia di Stato impegnato nelle missioni sia attribuito il trattamento assicurativo previsto dalla legge 18 maggio 1982, n. 301, con l’applicazione del coefficiente previsto dall’articolo 10 della legge 26 luglio 1978, n. 417. Il comma in esame fissa un massimale minimo ragguagliato al trattamento economico del personale con il grado di sergente maggiore o grado corrispondente, favorendo in tal modo il personale appartenente ai gradi inferiori.
La legge n. 301/1982, "Norme a tutela del personale militare in servizio per conto dell'ONU in zone di intervento" – disponendo, all'articolo 1, l'applicazione dell'articolo 13 della legge 18 dicembre 1973, n. 836 e dell'articolo 10 della legge 26 luglio 1978, n. 417 - prevede che al personale militare in oggetto sia dovuto - per il periodo di effettiva presenza nella zona di intervento - anche il rimborso della spesa di un'assicurazione sulla vita, nei limiti di un massimale ragguagliato allo stipendio annuo lordo e indennità di funzione, o assegno perequativo pensionabile o altro analogo assegno annuo pensionabile, moltiplicati per il coefficiente 10 per i casi di morte o di invalidità permanente, indipendentemente dall'uso di mezzi di trasporto e per tutti i rischi derivanti da attività direttamente o indirettamente riconducibili alla missione.
Il comma 2 dell’articolo 3 prevede il trattamento in caso di decesso ed invalidità del citato personale impegnato nelle operazioni.
Più precisamente, il primo periodo del comma 2 prevede l'applicazione dell'articolo 3 della legge 3 giugno 1981, n. 308, in caso di decesso per causa di servizio, mentre, in caso di invalidità per la medesima causa, dispone l’applicazione delle norme in materia di pensione privilegiata ordinaria di cui al testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.
La legge 308/1981, "Norme in favore dei militari di leva e di carriera appartenenti alle Forze armate, ai Corpi armati ed ai Corpi militarmente ordinati, infortunati o caduti in servizio e dei loro superstiti", all'articolo 3 dispone che alle vedove e agli orfani degli ufficiali e sottufficiali delle Forze armate o dei Corpi di polizia caduti vittime del dovere in servizio di ordine pubblico o di vigilanza ad infrastrutture militari e civili, ovvero in operazioni di soccorso, sia attribuito un trattamento pensionistico pari al trattamento complessivo di attività percepito dal congiunto all'epoca del decesso o, qualora più favorevole, al trattamento complessivo di attività del grado immediatamente superiore a quello del congiunto, ivi compresi gli emolumenti pensionabili, con esclusione delle quote di aggiunta di famiglia e dell'indennità integrativa speciale che sono corrisposte nella misura stabilita per i pensionati. Per le vedove e gli orfani dei militari di truppa delle Forze armate e delle Forze di polizia vittime del dovere, la pensione privilegiata ordinaria, spettante secondo le disposizioni vigenti, è liquidata sulla base della misura delle pensioni privilegiate di cui alla tabella B annessa alla legge 29 aprile 1976, n. 177, e successive modificazioni. In mancanza della vedova o degli orfani, la pensione spettante ai genitori e ai collaterali dei predetti militari è liquidata applicando le percentuali previste dalle norme in vigore sul predetto trattamento complessivo.
Il D.P.R. n. 1092/1973 ha disciplinato in linea generale la materia del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato. Le disposizioni sul trattamento privilegiato in caso di lesioni o infermità determinate da fatti di servizio sono contenute nel titolo IV. In particolare, con riferimento al personale militare, l’articolo 67 dispone che al militare le cui infermità o lesioni dipendenti da fatti di servizio siano ascrivibili ad una delle categorie di menomazioni indicate nella tabella A annessa alla legge n. 313/1968 e non siano suscettibili di miglioramento, sia corrisposta la pensione privilegiata calcolata con riferimento alla base pensionabile per il trattamento di quiescenza normale applicando percentuali differenziate secondo la categoria cui la lesione stessa è ascrivibile.
Il secondo periodo del comma 2 dell’articolo 3 del D.L. n. 451/2001 prevede che il trattamento previsto per i casi di decesso e di invalidità, che si è appena esposto, si cumula con quello assicurativo di cui al precedente comma 1, nonché con la speciale elargizione e con l’indennizzo privilegiato aeronautico previsti, rispettivamente, dalla legge 3 giugno 1981, n. 308, e dal regio decreto-legge 15 luglio 1926, n. 1345, convertito dalla legge 5 agosto 1927, n. 1835, e successive modificazioni, nei limiti stabiliti dall’ordinamento vigente.
La legge n. 308/1981 contiene due differenti tipologie di “speciale elargizione”. La prima è disciplinata dall’articolo 5 che attribuisce una speciale elargizione, pari a quella prevista dalla legge 28 novembre 1975 n. 624 a favore dei superstiti delle vittime del dovere, ai superstiti dei militari individuati dalla norma stessa.[17] La seconda, prevista dall’articolo 6, è corrisposta, in misura pari al 50 per cento di quella prevista dalla legge citata, in favore dei familiari dei soggetti elencati nell’art. 1 della stessa l. 308/1981 e dei militari in servizio permanente e di complemento, delle Forze di polizia, compresi i funzionari di pubblica sicurezza e del personale della polizia femminile deceduti in attività di servizio per diretto effetto di ferite o lesioni causate da eventi violenti riportate nell’adempimento del servizio.
Ai sensi del regio decreto n. 1345/1926, ai militari che prestano servizio di volo nella Aeronautica, anche come allievo presso le scuole di pilotaggio, i quali in seguito ad incidente di volo subito in servizio comandato, siano dichiarati permanentemente inabili al servizio, è concesso, una tantum, in aggiunta alla pensione dovuta a termini delle vigenti disposizioni, un indennizzo privilegiato aeronautico nella misura di cui alla tabella allegata al decreto, aumentata di tanti dodicesimi quanti sono gli anni di servizio militare effettivamente prestati in servizio di volo.
Infine, il terzo periodo del comma 2 dell’articolo 3 del D.L. n. 451/2001 prevede che nei casi di infermità contratta in servizio si applichi l’articolo 4-ter del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 393, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2001, n. 27, come modificato dall’articolo 3-bis del decreto-legge 19 luglio 2001, n. 294, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 agosto 2001, n. 339.
Il D.L n. 393/2000 reca “Proroga della partecipazione militare italiana a missioni internazionali di pace, nonché dei programmi delle Forze di polizia italiane in Albania”. L’articolo 4-ter, come modificato dal decreto legge sopra citato, contiene disposizioni per il personale militare e della Polizia di Stato che abbia contratto infermità in servizio.
In particolare, l’articolo appena citato prevede che il personale militare in ferma volontaria che abbia prestato servizio in missioni internazionali di pace e contragga infermità idonee a divenire, anche in un momento successivo, causa di inabilità possa, a domanda, essere trattenuto alle armi con ulteriori rafferme annuali, da trascorrere interamente in licenza straordinaria di convalescenza o in ricovero in luogo di cura, anche per periodi superiori a quelli previsti dal decreto legislativo 30 dicembre 1997 n. 505 , fino alla definizione della pratica medico-legale riguardante il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio. Il periodo di ricovero in luogo di cura o di assenza dal servizio di tale personale, fino a completa guarigione delle stesse infermità, non è computato nel periodo massimo di aspettativa, a meno che dette infermità comportino inidoneità permanente al servizio. Fino alla definizione dei procedimenti medico-legali riguardanti il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, al personale in parola è corrisposto il trattamento economico continuativo, ovvero la paga, nella misura intera. Infine l’articolo 4-ter in commento prevede l’applicazione dei benefìci di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 23 novembre 1998, n. 407, come modificato dall'articolo 2 della legge 17 agosto 1999, n. 288, a favore del coniuge e dei figli superstiti, ovvero, qualora unici superstiti, dei fratelli germani conviventi ed a carico, dei militari delle Forze armate e degli appartenenti alle Forze di polizia, deceduti o divenuti permanentemente inabili al servizio militare incondizionato, ovvero giudicati assolutamente inidonei ai servizi di istituto per lesioni traumatiche o per infermità, riconosciute dipendenti da causa di servizio.
I benefici previsti dall’articolo 1, comma 2, della L. n. 407/1998 a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e dei loro parenti, riguardano la precedenza rispetto ad ogni altra categoria e, con preferenza a parità di titoli, nel diritto al collocamento obbligatorio di cui alle vigenti disposizioni legislative e la chiamata diretta, anche per coloro che già svolgono un’attività lavorativa, per i profili professionali del personale contrattualizzato del comparto Ministeri fino all'ottavo livello retributivo. Per i livelli retributivi dal sesto all'ottavo, e ferme restando le percentuali di assunzioni previste dalle vigenti disposizioni, sono previste assunzioni, da effettuarsi previo espletamento della prova di idoneità - prevista per i soggetti aventi diritto all’assunzione obbligatoria - di cui all'articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, come sostituito dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1997, n. 246, che non potranno superare l'aliquota del 10 per cento del numero di vacanze nell'organico.
Articolo4
(Personale in stato di prigionia o disperso)
L’articolo 4 del D.L. n. 451/2001 prevede che le disposizioni di cui agli articoli 2, comma 1, e 3, comma 1, del decreto medesimo, in materia di indennità di missione e di trattamento assicurativo, si applicano anche al personale militare e della Polizia di Stato in stato di prigionia o disperso, e che il tempo trascorso in stato di prigionia o quale disperso è computato per intero ai fini del trattamento di pensione.
Articolo 5
(Disposizioni varie)
L’articolo 5 del medesimo decreto prevede alcune deroghe alla legislazione vigente a favore del personale impegnato nelle operazioni internazionali indicate dall’articolo 1 del decreto. In particolare, a tale personale non si applica la disposizione dell’articolo 3, lettera b) della legge 21 novembre 1967, n. 1185, in base alla quale i genitori di figli minorenni non possono ottenere il passaporto di servizio, se non vi sia l'autorizzazione del giudice tutelare, o quella dell'altro genitore[18] e le disposizioni in materia di orario di lavoro. Al personale in parola è invece consentito l’utilizzo a titolo gratuito delle utenze telefoniche di servizio, se non risultano disponibili sul posto adeguate utenze telefoniche per uso privato, fatte salve le priorità correlate alle esigenze operative.
Articolo 7
(Personale civile)
L’articolo 7 estende al personale civile eventualmente impiegato nelle operazioni militari le disposizioni contenute nel decreto-legge, in quanto compatibili, ad eccezione di quelle in materia penale di cui all’articolo 6.
Articolo 8
(Disposizioni in materia contabile)
Il comma 1 dell’articolo 8, permette agli Stati maggiori di Forza armata e, per essi, ai competenti Ispettorati di Forza armata, in caso di urgenti esigenze connesse con l’operatività del contingente impegnato nella missione e qualora sia accertata l’impossibilità di provvedere attraverso contratti accentrati già operanti, di disporre l’attivazione delle procedure d’urgenza per l’acquisizione di beni e servizi previste dalla normativa vigente.
L’articolo 41, nn. 5) e 6), del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, recante “Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato”, prevede che si proceda alla stipulazione dei contratti a trattativa privata quando l'urgenza di lavori, acquisti, trasporti e forniture sia tale da non consentire l'indugio degli incanti o della licitazione privata, e in genere, in ogni altro caso in cui ricorrono speciali ed eccezionali circostanze per le quali non possano essere utilmente seguite queste forme.
Il comma 2 dell’articolo 8 del D.L. n. 451/2001, ai fini e per la durata delle missioni prorogate dall’articolo 1 del decreto medesimo, autorizza il Ministero della difesa, in caso di necessità ed urgenza, a ricorrere ad acquisti e lavori da eseguire in economia, anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia di contabilità generale dello Stato e a quanto previsto dai capitolati d’oneri, entro il limite complessivo di 5.164.569 euro, a valere sullo stanziamento di cui all’articolo 15 dello stesso decreto. Tali acquisti e lavori devono essere volti a soddisfare le esigenze di: revisione generale dei mezzi da combattimento e da trasporto; esecuzione di opere infrastrutturali aggiuntive e integrative; acquisizione di apparati di comunicazione a per la difesa nucleare, biologica e chimica.
Articolo 9[19]
(Prolungamento delle ferme)
L’articolo 9, in relazione alle esigenze connesse con le operazioni internazionali, prevede la possibilità di prolungare il periodo di ferma dei volontari in ferma annuale di cui all’articolo 16, comma 2, del decreto legislativo 8 maggio 2001, n. 215, da un minimo di ulteriori sei mesi ad un massimo di ulteriori nove mesi. L’articolo in commento consente quindi un prolungamento della ferma annuale ulteriore rispetto a quella prevista dalla norma appena citata.
Il comma 2 dell’articolo 16 del D.Lgs. n.215/2001 stabilisce che il periodo di ferma dei volontari in ferma annuale può essere prolungato, su proposta dello Stato maggiore della Forza armata di appartenenza e previo consenso dell'interessato, sino ad un massimo di ulteriori sei mesi, per consentirne l'impiego ovvero la proroga dell'impiego nell'àmbito di operazioni condotte fuori dal territorio nazionale o a bordo di unità navali impegnate fuori dalla normale sede di servizio, ovvero in concorso con le Forze di polizia per il controllo del territorio nazionale, nonché per la partecipazione ai concorsi per l'accesso alla ferma breve o prefissata.
Articolo 13[20]
(Norme di salvaguardia del personale)
Il comma 1 dell’articolo 13, a salvaguardia delle aspettative del personale militare che partecipa alle missioni “Enduring Freedom” e ISAF, prevede che tale personale che abbia presentato domanda di partecipazione ai concorsi interni banditi dal Ministero della difesa per il personale in servizio e non possa partecipare alle varie fasi concorsuali in quanto impiegato nell’operazione o impegnato fuori dal territorio nazionale per attività connesse, sia rinviato al primo concorso utile successivo, fermo restando il possesso dei requisiti di partecipazione previsti dal bando di concorso per il quale ha presentato domanda.
Il comma 2 dispone che al personale di cui al comma precedente, qualora vincitore del concorso e previo superamento del relativo corso ove previsto, siano attribuite, ai soli fini giuridici[21], la stessa anzianità assoluta dei vincitori del concorso per il quale ha presentato domanda e l’anzianità relativa determinata dal posto che avrebbe occupato nella relativa graduatoria.
L’articolo 2, comma 36, autorizza la spesa di 300.000 € per l’anno 2006, per la prosecuzione dello studio epidemiologico di tipo prospettico seriale, volto all’accertamento dei livelli di uranio e di altri elementi potenzialmente tossici presenti nei campioni biologici dei militari impiegati nelle missioni internazionali, al fine di individuare eventuali situazioni espositive idonee a costituire fattore di rischio per la salute. Tale studio è stato disposto dall’articolo 13-ter del D.L. n. 9/2004, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 68/2004, e ulteriormente finanziato dai successivi provvedimenti di proroga delle missioni internazionali.
Si ricorda che la questione dei rischi derivanti dall’impiego di munizionamento all’uranio impoverito da parte di contingenti NATO in Bosnia e Kosovo, è emersa nel corso della XIII legislatura, tramite il risalto che ad essa hanno dato i mezzi di informazione negli ultimi mesi del 2000, con un notevole impatto a livello di opinione pubblica. In realtà la questione era nota a livello internazionale e in Italia era stata posta all'attenzione parlamentare già dalla fine del 1999, in seguito alla presentazione di alcuni atti di sindacato ispettivo.
La IV Commissione della Camera, concordando sull’opportunità di attenersi alla certezza degli avvenimenti al fine di evitare strumentalizzazioni dell'accaduto, non ha inteso sovrapporsi al lavoro delle apposite commissioni medico-scientifiche istituite a livello internazionale e nazionale e ha concentrato la propria attenzione sugli aspetti politico-militari della vicenda.
Al fine di rispondere all’esigenza di una maggiore chiarezza e trasparenza sulla vicenda dell’uranio, anche in relazione alle notizie riportate dai mezzi di informazione, la Commissione ha pertanto deciso di procedere ad un'indagine conoscitiva, non essendo peraltro ipotizzabile il ricorso all'istituzione di una commissione di inchiesta, per motivi legati alla ristrettezza dei tempi a disposizione, dovuta allo scadere della legislatura.
Le finalità dell’indagine sono state individuate essenzialmente nell'approfondimento della conoscenza delle modalità di informazione dei vertici delle Forze armate in ordine all'impiego di munizioni all'uranio impoverito; delle aree di impiego delle predette munizioni; del grado di inquinamento ambientale e dei fattori di rischio per la salute umana; delle misure precauzionali adottate; delle notizie a disposizione del Ministero della difesa e delle autorità militari nazionali e della NATO relative a patologie analoghe registrate in ordine a personale militare di altri Paesi impegnati nelle medesime aree.
Al riguardo la Commissione ha ritenuto di particolare utilità la ricostruzione cronologica in merito alla trasmissione delle informazioni dalla NATO a vertici politici e militari, nonché delle misure cautelative che sono state assunte in conseguenza di tali informazioni.
Dalla ricostruzione effettuata è risultato che:
- la Balkans Task Force delle Nazioni Unite, formata dall’UNEP (Programma ambientale delle Nazioni Unite) e dall’UNCHS (Centro per gli insediamenti umani delle Nazioni Unite), ha organizzato nel luglio-ottobre 1999 una missione tecnica internazionale, finanziata anche dal Ministero dell’ambiente italiano, per lo studio delle conseguenze della guerra in Kosovo per l’ambiente e gli insediamenti umani;
- la Balkans Task Force ha pubblicato nell’ottobre 1999 una relazione preliminare, in cui si sottolineano i rischi per la salute umana e per l’ambiente in caso di utilizzo di uranio impoverito;
- sulla base della relazione, l’ONU ha chiesto alla NATO, nello stesso ottobre 1999, una informativa sull’uso di munizioni all’uranio impoverito; la NATO ha risposto il 7 febbraio 2000, confermando l’utilizzo di 31.000 proiettili ad uranio e fornisce una prima cartografia dei siti bombardati;
- nel marzo 2000 sono state richieste informazioni più dettagliate alla NATO e, nel settembre 2000, la Balkans Task Force ha ricevuto la mappatura dettagliata dei 112 siti colpiti;
- nel novembre 2000 la Balkans Task Force (anche con il contributo degli esperti italiani) ha quindi effettuato i sopralluoghi e le missioni nelle aree interessate.
Particolare attenzione è stata rivolta alle indagini di tipo medico scientifico, promosse dalle organizzazioni internazionali, nonché dallo stesso Governo italiano tramite la costituzione di apposite commissioni di esperti.
In particolare la Commissione Difesa della Camera ha ritenuto opportuno non procedere all'approvazione del documento finale dell'indagine conoscitiva, fino a che non fossero stati resi noti i risultati degli studi scientifici in corso.
Al riguardo si ricorda che:
- nel marzo 2001 sono state rese note le conclusioni delle indagini condotte dalle diverse organizzazioni internazionali che si sono occupate del problema. Le conclusioni cui sono giunti sia l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), sia l'UNEP (programma dell'Onu per l'ambiente)[22], sia la commissione di esperti incaricata dalla Commissione europea[23], sembrano essere concordi nell'escludere, almeno allo stato delle conoscenze attuali, un rapporto di causalità diretto tra l'impiego di munizioni all'uranio impoverito e l'insorgere di patologie tumorali.
- per quanto riguarda più specificamente l'Italia, con decreto del Ministro della Difesa 22 dicembre 2000, è stata istituita una Commissione medico-scientifica presieduta dal prof. Franco Mandelli incaricata di accertare tutti gli aspetti medico-scientifici dei casi di patologie emersi tra i militari italiani, con particolare riferimento a quelli che hanno operato nei Balcani. Nel marzo del 2001, la Commissione ha reso noti i risultati dell'indagine effettuata, negando che vi siano prove di una diretta relazione tra l'impiego di munizioni all'uranio impoverito e le patologie riscontrate. La stessa Commissione ha però ribadito l'opportunità di continuare ad effettuare controlli ripetuti nel tempo. Il 28 maggio 2001 è stata trasmessa una seconda relazione con dati aggiornati al 30 aprile, nella quale l’incidenza dei casi di neoplasie maligne diagnosticate è confrontato con i dati di 12 Registri Tumori Italiani invece dei 7 precedentemente utilizzati. Nelle conclusioni si conferma che “il numero delle patologie tumorali ha un’incidenza inferiore ai casi attesi”, ma si segnala anche “un eccesso statisticamente significativo di linfomi di Hodgkin”; si ravvisa pertanto l’opportunità estendere nel tempo il monitoraggio avviato per individuarne le cause e i possibili fattori di rischio. L’11 giugno 2002 è stata presentata una terza relazione nelle cui conclusioni è stato sottolineato che i risultati dell’indagine a campione, svolta sui militari impiegati in Bosnia e Kosovo, non hanno evidenziato la presenza di contaminazione da uranio impoverito, e che, sulla base dei dati rilevati e delle informazioni attualmente disponibili, non è stato possibile individuare le cause dell’eccesso di linfomi di Hodgkin evidenziato dall’analisi epidemiologica svolta.
Si ricorda, che in sede di conversione del decreto legge 29 dicembre 2000, n.393 recante “Proroga della partecipazione militare italiana a missioni internazionali di pace, nonché dei programmi delle Forze di polizia italiane in Albania" (convertito con modificazioni nella legge 28 febbraio 2001, n.27), è stato approvato alla Camera dei deputati l’articolo 4-bis che ha disposto la realizzazione di una campagna di monitoraggio sulle condizioni sanitarie dei cittadini italiani che a qualunque titolo abbiano operato od operino nei territori della Bosnia-Herzegovina e del Kosovo, in relazione a missioni internazionali di pace e di assistenza umanitaria, nonché a tutto il personale civile ed ai familiari. Gli accertamenti sanitari sono svolti a titolo gratuito presso le strutture sanitarie nazionali (militari e civili). E' inoltre stabilito che il Governo trasmetta quadrimestralmente al Parlamento una relazione del Ministro della difesa e del Ministro della sanità sullo stato di salute del personale militare e civile italiano impiegato nei territori della ex Jugoslavia. In adempimento di tale disposizione sono state presentate cinque relazioni: il 2 settembre 2004 (Doc. CCVII n. 1), il 16 dicembre 2004 (Doc. CCVII n. 2), il 25 agosto 2005 (Doc. CCVII n. 3), il 12 dicembre 2005 (Doc. CCVII n. 4) il 12 dicembre 2005 (Doc. CCVII n. 5).
Il 12 febbraio 2004 il Sottosegretario alla difesa On Cicu, rispondendo in Commissione difesa all’interrogazione presentata dall’On. Cima sull'uso di proiettili all'uranio impoverito nei Balcani ed in Iraq, ha ricordato che dal gennaio 2001, sentito il parere del Prof. Franco Mandelli, è stato definito il protocollo di monitoraggio sanitario per il personale militare e civile della Difesa impiegato in Bosnia e Kosovo, così come definito dall'articolo 4-bis appena citato. Il protocollo prevede che il suddetto personale sia sottoposto ad una visita medica e ad un pannello di indagini laboratoristiche eseguite preliminarmente all'impiego in quelle aree e successivamente al rientro, con cadenza periodica per la durata di cinque anni. In particolare, nei primi tre anni con cadenza quadrimestrale e nel successivo biennio con frequenza annuale. Tale monitoraggio ha trovato attuazione a tutela del personale in servizio, impiegato nei territori di Bosnia e Kosovo a far data dal 1° agosto 1994, a cura delle strutture della sanità Militare sin dal 2001. Per i militari nel frattempo congedati, l'effettuazione del monitoraggio è stata condizionata dalla promulgazione di un decreto Interministeriale, previsto ai sensi dell'articolo 4-bis della stessa legge, che ha visto la luce il 22 ottobre 2002. Tale decreto ha identificato modalità e responsabilità all'interno del SSN per la messa in atto dell'iniziativa. Il Sottosegretatio ha precisato, inoltre, che mentre il controllo sanitario preliminare e successivo all'impiego in area di operazioni, essendo finalizzato anche ad una verifica di idoneità, non èeludibile da parte dei singoli interessati, i successivi accertamenti periodici, avendo finalità esclusivamente preventiva, sono da intendersi vincolati ad una espressione di consenso informato. Infine, ha rimarcarto come il protocollo di monitoraggio debba intendersi applicato al solo personale in servizio anche in ragione di impieghi operativi in aree diverse della Bosnia e Kosovo con periodicità di effettuazione annuale, per almeno cinque anni a far data dall'ultimo rientro in Patria. Pertanto, tale controllo viene eseguito anche ai militari che abbiano operato e/o operino in Afghanistan e in Iraq.
E’ stato, quindi, approvato l’articolo 13-ter del D.L. n. 9/2004, introdotto dalla legge di conversione n. 68/2004, che ha disposto lo studio epidemiologico di cui si è detto sopra.
A tale proposito si segnala che, in data 29 giugno 2004, la Commissione Difesa della Camera ha udito il Direttore generale della Sanità sullo studio epidemiologico mirato all’accertamento della presenza di uranio impoverito e di altri elementi potenzialmente tossici in campioni biologici di militari impiegati in zona di operazioni internazionali. Tale studio, finanziato dal citato articolo 13-ter del D.L. n. 9/2004 e denominato SIGNUM (Studio sull’impatto genotossico nelle unità militari) si propone di valutare la presenza di esposizione di uranio impoverito o di altri tossici noti; di evidenziare la presenza di esposizioni non previste a sostanze cancerogene e di stimare il rischio di tumore in funzione della variazione della frequenza delle sostanze tossiche studiate. Allo studio, in fase di realizzazione, sono chiamate a concorrere, oltre all’Istituto Superiore di Sanità, altre istituzioni nazionali di alto livello scientifico.
Infine, l’articolo 8 della citata legge n. 208 del 30 luglio 2004 ha autorizzato l'ulteriore spesa di euro 800.000 per l'anno 2004, per la realizzazione dello studio epidemiologico sopra descritto.
Si segnala che, con delibera dell’Assemblea del Senato del 17 novembre 2004, è stata istituita la Commissione parlamentare d’inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali di pace, sulle condizioni della conservazione e sull'eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale. La Commissione ha svolto la sua prima seduta il 15 febbraio 2005. I lavori sono ancora in corso. Proprio per venire incontro alle esigenze di informazione di tale Commissione e, più in generale, del Parlamento, il Ministero della difesa, nell’aprile 2005, ha predisposto il documento “Elementi di documentazione sull’interazione tra uranio impoverito e salute umana nelle operazioni militari”.
Il comma 1, che contiene la norma di copertura finanziaria, prevede che agli oneri derivanti dall’attuazione del disegno di legge in esame, pari complessivamente a 488.039.565 € per l’anno 2006, si provveda, per la maggior parte, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa recata dall’articolo 1, comma 97, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria 2006) e, quanto al residuo, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando alcuni accantonamenti.
L’articolo 1, comma 97, della legge finanziaria 2006 conferma la previsione di un unitario Fondo per le missioni internazionali di pace - già istituito dalla legge finanziaria 2004 (articolo 3, commi 8 e 9 della legge n. 350/2003) e ribadito dalla legge finanziaria 2005 (articolo 1, comma 233 della legge n. 311/2004) - nonché dei relativi obblighi informativi gravanti sul Ministro dell'economia e delle finanze, che è chiamato a trasmettere al Parlamento copia delle deliberazioni relative all’utilizzo del Fondo. Di tali deliberazioni deve essere data comunicazione formale alle Commissioni parlamentari competenti.
La disposizione, tuttavia, varia l'ammontare dello stanziamento destinato al Fondo, il cui importo è ora determinato in 1.000 milioni di euro, mentre negli anni scorsi era di 1.200 milioni di euro.
Il comma 2 autorizza il Ministro dell’economia ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio con propri decreti.
L’articolo 4 prevede, al comma 1, la clausola di salvaguardia degli atti adottati, delle attività svolte e delle prestazioni effettuate dal 1° luglio 2006 alla data di entrata in vigore della legge e, al comma 2, stabilisce il termine di entrata in vigore della legge.
L’ONU e l’intervento in IRAQ
La risoluzione 1483, approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 22 maggio 2003 con 14 voti su 15 (la Siria non ha partecipato alla votazione) ha riconosciuto, in particolare, il ruolo delle autorità occupanti nel passaggio a una fase democratica della vita dell’Iraq, sottolineandone le responsabilità, in base al diritto internazionale, per il benessere presente e futuro del popolo iracheno.
Con la risoluzione, al contempo, viene ampliato il ruolo delle Nazioni Unite, al di là dei compiti di assistenza umanitaria, con la nomina di un Rappresentante speciale per l’Iraq del Segretario Generale[24]: il Rappresentante ha avuto il compito di collaborare con le autorità angloamericane per giungere alla formazione di un Governo iracheno riconosciuto dalla Comunità internazionale. Una tappa intermedia prevista dalla risoluzione 1483 è stata la costituzione di un’amministrazione transitoria diretta da elementi locali.
Le Nazioni Unite riconoscono il processo di transizione, con l’abolizione immediata delle sanzioni contro l’Iraq – escluso l’embargo sugli armamenti -, che dovrà continuare a rispettare i propri obblighi di disarmo, mentre il Consiglio di Sicurezza rivedrà il mandato degli ispettori dell’ONU.
La risoluzione prende altresì atto della creazione di un Fondo per lo sviluppo dell’Iraq, sotto l’egida della Banca centrale irachena e la supervisione di rappresentanti dell’ONU, del FMI, della Banca Mondiale e del Fondo arabo per lo sviluppo economico e sociale. Alle risorse del Fondo si attingerà per i bisogni umanitari e di ricostruzione dell’Iraq, nonché per le spese dell’amministrazione civile provvisoria e della formazione di nuove istituzioni locali. Al Fondo affluiranno proventi petroliferi non impegnati in base al Programma Oil for Food, nonché i ricavi da vendite future[25] effettuate prima della formazione di un Governo nazionale. Al Fondo giungeranno inoltre i proventi derivanti dal congelamento, in tutto il mondo, dei beni e capitali di proprietà della famiglia di Saddam Hussein. I pagamenti a valere sui depositi del Fondo vengono autorizzati dalle autorità occupanti, sentito il governo provvisorio iracheno.
La risoluzione 1483 ha inoltre prorogato di ulteriori sei mesi il Programma Oil for Food come rettificato a partire dalla risoluzione 1472 del 28 marzo 2003.
L’applicazione dell'Accordo Oil for food, e più precisamente del Memorandum d'intesa tra l'ONU e l'Iraq – sottoscritto il 20 maggio 1996 ma poi sospeso per la crisi del Kurdistan iracheno nella tarda estate del 1996 – è iniziata il 10 dicembre 1996 Il Memorandum d’Intesa fissa le modalità applicative della risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 986 del 14 aprile 1995, da principio rifiutata dal Governo di Baghdad. In base all'accordo raggiunto, veniva concesso all'Iraq un limitato ritorno sul mercato mondiale del petrolio dopo le sanzioni adottate dall'ONU nel 1990, successivamente all'invasione del Kuwait. La risoluzione 986 permetteva all'Iraq di vendere petrolio per un valore di 2 miliardi di dollari USA nello spazio di 6 mesi (più esattamente di 1 miliardo ogni 90 giorni) per comprare cibo, medicinali ed altri beni umanitari al fine di attenuare gli effetti delle sanzioni sulla popolazione irachena. Parte dei proventi della vendita di petrolio – circa un terzo - dovevano essere versati ad un fondo, gestito dalle Nazioni Unite, per la riparazione dei danni provocati dalla guerra del Golfo e per le spese sostenute dall’UNSCOM in Iraq. Sia la vendita del petrolio, sia l'acquisto di beni erano soggetti a stringenti controlli da parte di un apposito Comitato dell'ONU.
L’Accordo Oil for food è stato in seguito numerose volte rinnovato fino allo scoppiare della crisi che ha portato all’intervento angloamericano. L’applicazione del Programma, tuttavia, è stata di fatto interrotta con la partenza dall’Iraq del personale delle Nazioni Unite nell’imminenza dello scoppio della guerra, avvenuto il 20 marzo 2003: tuttavia, già il 28 marzo è stata approvata la risoluzione 1472, che per la durata di 45 giorni ha autorizzato il Segretario Generale dell’ONU ai necessari aggiustamenti tecnici al Programma Oil for Food, in modo da privilegiare i contratti per forniture alimentari e sanitarie, divenute ancor più necessarie nel corso del conflitto. La risoluzione 1476 del 24 aprile 2003 ha poi prorogato tali poteri del Segretario Generale fino al 3 giugno, data di scadenza naturale del Programma Oil for Food in base alla precedente risoluzione 1447.
La risoluzione 1483, da ultimo, ha prorogato di ulteriori sei mesi il Programma Oil for Food come rettificato a partire dalla risoluzione 1472 del 28 marzo 2003.
La risoluzione 1483 prevede anche l’impegno di tutti gli Stati membri dell’ONU a non accogliere personaggi del passato regime iracheno accusati di crimini e atrocità, e a consegnarli alla giustizia se nei rispettivi territori. Inoltre, gli Stati membri delle Nazioni Unite si impegnano alla ricerca e alla restituzione dei beni archeologici trafugati dal museo di Baghdad.
E’ infine calendarizzata la revisione dell’intero accordo sul dopoguerra entro 12 mesi dalla data della risoluzione.
La risoluzione 1500 adottata dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU il 14 agosto 2003 sottolinea con soddisfazione la creazione del Consiglio Provvisorio Iracheno e decide di stabilire, per un periodo iniziale di 12 mesi, una Missione d’assistenza delle Nazioni Unite con le strutture e le responsabilità delineate nel rapporto del 15 luglio 2003.
In attesa delle elezioni politiche, previste inizialmente per la metà del 2004, l'amministrazione del Paese è stata infatti affidata al Consiglio di Governo ad Interim, insediatosi il 13 luglio 2003. Del Consiglio, i cui componenti sono stati scelti dall'amministrazione civile americana in collaborazione con i principali raggruppamenti politici iracheni, facevano parte 25 rappresentanti delle diverse comunità etniche che vivono nel paese tra cui sciiti, sunniti, curdi, cristiani e turcomanni. L’amministratore americano Paul Bremer aveva precisato che il Consiglio avrebbe avuto immediatamente reale potere politico, avrebbe nominato i ministri interinali e lavorato con la coalizione per stabilire una strategia politica e di bilancio.
Le priorità indicate dalla Coalition Provisional Authority erano quelle di rilanciare l'economia, mettere a punto una bozza di Costituzione, preparare elezioni democratiche e ripristinare la sicurezza e l'ordine pubblico.
La risoluzione 1511 del 16 ottobre 2003 (approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza) sottolinea, nel Preambolo, il fatto che la sovranitànazionale dell’Iraq appartiene allo Stato Iracheno e saluta con favore la decisione del Consiglio di Governo dell’Iraq di istituire una commissione provvisoria con l’incarico di giungere alla stesura di una costituzione che dia forma alle aspirazioni del popolo iracheno.
La risoluzione, inoltre:
- conferma che l’amministrazione dell’Iraq passerà progressivamente nelle mani delle strutture dell’ amministrazione irachena provvisoria e invita l’Autorità a trasferire le responsabilità ed i poteri di governo al popolo iracheno al più presto possibile ;
- invita il Consiglio Governativo iracheno a sottoporre entro il 15 dicembre al Consiglio di Sicurezza un calendario e un programma per la redazione della nuova costituzione e per l'indizione di elezioni democratiche in base alla nuova costituzione.
- decide che le Nazioni Unite debbano rafforzare il loro ruolo in Iraq, fornendo soccorso umanitario, promuovendo la ricostruzione economica e le condizioni per uno sviluppo sostenibile e portando avanti sforzi per ripristinare e stabilire istituzioni nazionali e locali;
- sottolinea l’importanza di istituire una forza di polizia e di sicurezza irachena efficace nel mantenere l’ordine e la sicurezza e nel combattere il terrorismo;
- autorizza una forza multinazionale sotto comando unificato a prendere tutte le misure necessarie per contribuire al mantenimento della sicurezza e della stabilità in Iraq, anche allo scopo di assicurare le condizioni necessarie per l'attuazione del calendario e del programma e per contribuire alla sicurezza della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Iraq, del Consiglio di governo dell'Iraq e delle altre istituzioni dell'amministrazione provvisoria irachena, e delle infrastrutture economiche e umanitarie;
- invita gli Stati Membri ad impedire il transito di terroristi diretti in Iraq, di armi destinate ai terroristi e di finanziamenti a sostegno dell’attività terroristica;
- fa appello agli Stati membri e agli istituti finanziari internazionali affinché intensifichino i loro sforzi per assistere il popolo dell'Iraq nella ricostruzione e nello sviluppo della loro economia.
- ribadisce che il Fondo di Sviluppo per l’Iraq deve essere usato in maniera trasparente e ricorda a tutti gli Stati Membri gli obblighi che spettano loro, in particolare quello di trasferire immediatamente i fondi e le altre risorse finanziarie ed economiche al Fondo di Sviluppo per l’Iraq a favore del popolo iracheno.
La Risoluzione 1546 dell’8 giugno 2004 è diretta a disciplinare una nuova fase della transizione irachena verso un governo eletto democraticamente, caratterizzata dalla fine dell’occupazione e dall’assunzione di piene responsabilità ed autorità da parte di un Governo ad interim sovrano e indipendente entro il 30 giugno 2004.
Nel preambolo sono contenute quattro affermazioni di rilievo:
1) viene salutato l’impegno del governo ad interim a lavorare in direzione di un Iraq federale, democratico, pluralista e unificato dove viga il pieno rispetto dei diritti umani e politici;
2) si afferma che l’Onu deve svolgere un ruolo guida nell’assistenza del popolo e del governo iracheni nella formazione delle istituzioni per un governo rappresentativo;
3) si riconosce la richiesta del Primo ministro del Governo ad interim al Presidente del Consiglio di sicurezza (contenuta nella lettera del 5 giugno, allegata alla risoluzione) affinché venga confermata la presenza della forza multinazionale;
4) si riconosce inoltre l’importanza dell’accordo espresso dal Governo iracheno ad interim circa lo stretto coordinamento tra la forza multinazionale e quel governo. Tra gli impegni della forza multinazionale viene evidenziato anche quello relativo alla fornitura di condizioni di sicurezza alla presenza ONU in Iraq.
La Risoluzione, al paragrafo 4, accoglie la tempistica della transizione (formazione del Governo ad interim entro il 30 giugno 2004; convocazione entro dicembre 2004 ed al più tardi entro gennaio 2005 di elezioni democratiche per un’Assemblea nazionale transitoria, con il compito di esprimere un governo transitorio e di approvare una costituzione che conduca ad un governo eletto entro il 31 dicembre 2005). Viene inoltre prevista, senza indicazioni di data (ma v. il paragrafo 7), la convocazione di una conferenza nazionale che rifletta la diversità della società irachena.
Viene esplicitato, al paragrafo 7, il ruolo della missione ONU (UNAMI) che, a condizione che le circostanze lo avessero permesso, doveva svolgere compiti di natura politica (preparazione di una conferenza internazionale, nel luglio del 2004, per selezionare i membri di un Consiglio consultivo; appoggio del governo ad interim dell’Iraq, della commissione elettorale indipendente e dell’assemblea nazionale di transizione; promozione del dialogo e della costruzione del consenso sulla nuova Costituzione nazionale) e di assistenza umanitaria e di nation building (sviluppo dei servizi civili e sociali; riconciliazione nazionale; riforma legale e giudiziaria ecc.).
Nei paragrafi 9 e 10 della Risoluzione è contenuta la disciplina dei compiti di mantenimento della sicurezza e della stabilità: viene ribadita l’autorizzazione alla forza multinazionale (già presente nella risoluzione 1511) ma con due fondamentali precisazioni: vi è stata una richiesta del Governo iracheno in tal senso; l’autorizzazione è in rapporto (ovvero, deve essere esercitata nei termini di cui alle ..) con le lettere allegate alla Risoluzione a firma del Presidente del Consiglio iracheno e del Segretario di Stato americano; viene chiaramente affermato che la forza multinazionale ha l’autorità di prendere tutte le misure necessarie per contribuire al mantenimento della sicurezza e della stabilità in Iraq conformemente al contenuto di dette lettere.
La Risoluzione richiama quindi, (paragrafo 11) le lettere in questione sottolineando come siano innanzitutto dirette a stabilire un rapporto di cooperazione tra governo iracheno e forza multinazionale. Viene quindi ricordato che le forze irachene saranno responsabili esclusivamente nei confronti del Governo iracheno e che solo quel governo avrà la facoltà di destinarle alla forza multinazionale per l’impegno in operazioni congiunte. Il principio chiave, richiamato anch’esso dalla Risoluzione, è che il Governo iracheno e la forza multinazionale si impegnano a trovare un accordo su tutta la gamma delle questioni fondamentali strategiche e di sicurezza, inclusa la strategia sulle operazioni offensive sensibili, nonché a garantire una piena partnership attraverso una stretta coordinazione e consultazione. Si tratta di richieste avanzate dal Primo ministro iracheno che nella sua lettera manifesta inoltre la volontà di creare organismi di coordinamento con la forza multinazionale a livello nazionale, regionale e locale, comprendendovi sia i comandanti militari sia le autorità civili, al fine, in particolare, di garantire l’unità di comando nelle operazioni in cui le forze irachene siano impegnate con la forza multinazionale. La forza multinazionale ed il governo dovranno tenersi reciprocamente informati, consultarsi regolarmente per assicurare la migliore collocazione ed utilizzo del personale e delle risorse, condividere l’intelligence, riferire alle rispettive catene di comando quando necessario, garantire la progressiva assunzione di maggiori responsabilità da parte degli iracheni in parallelo con l’incremento delle capacità.
La lettera del Segretario di Stato americano aderisce, richiamandole testualmente, a tutte le richieste del Primo ministro iracheno. Vi si afferma inoltre, che, dopo consultazioni con l’ONU, in merito ai requisiti di sicurezza dell’Organizzazione, si ritiene che la sicurezza del personale delle Nazioni Unite dovrà essere assicurata da una forza con le dimensioni di una brigata.
Nella lettera si afferma inoltre che gli Stati contributori di truppe hanno la giurisdizione sul proprio personale. E’ tuttavia contenuto anche l’impegno da parte delle forze che compongono la forza multinazionale a continuare a rimanere vincolate al rispetto delle obbligazioni derivanti dal diritto dei conflitti armati ivi inclusa la Convenzione di Ginevra.
Il paragrafo 12, riproducendo una richiesta del Primo ministro iracheno, ha stabilito inoltre che il mandato della forza multinazionale sarebbe stato rivisto su richiesta del Governo iracheno o a dodici mesi dalla data della risoluzione. La Risoluzione aggiunge inoltre che il mandato scadrà comunque al completamento del processo politico di transizione (la formazione di un governo costituzionalmente eletto entro il dicembre del 2005) e che il mandato verrà revocato anche prima se richiesto dal governo dell’Iraq [26]. L’UNAMI è stata prorogata fino al 12 agosto 2005 dalla risoluzione del consiglio di Sicurezza n. 1557 (2004).
La Risoluzione riconosce al popolo iracheno il diritto ad esercitare piena autorità e controllo sulle proprie risorse economiche e naturali. I fondi del Fondo per lo sviluppo dell’Iraq saranno erogati esclusivamente per disposizione del governo iracheno (paragrafo 24). Stabilisce che gli accordi sul deposito dei ricavati dalla vendita di petrolio e gas all’estero stabiliti ed il Consiglio internazionale di monitoraggio sul Fondo, integrato da un componente designato dal Governo ad interim, continuino ad essere disciplinati dalla risoluzione 1483 (2003), salvo revisione della relativa disciplina da effettuarsi su richiesta del Governo iracheno o a dodici mesi dalla Risoluzione, e fermo restando la scadenza delle norme in questione al completamento del processo politico (dicembre 2005). Inoltre, il Governo di transizione assumerà diritti, responsabilità, obblighi derivanti dal programma Oil for Food che erano stati trasferiti all’Autorità (paragrafo 26). La vigente disciplina in materia potrà inoltre essere modificata su richiesta del Governo stesso.
Il Vertice NATO di Istanbul (28-29 giugno) ha definito l’approvazione della risoluzione 1546 un passo importante verso la transizione ad un governo democratico e ha garantito pieno supporto alla Forza multinazionale, della quale viene ricordato, tra l’altro, l’obiettivo di garantire la protezione della presenza delle Nazioni Unite. Il Vertice ha risposto positivamente alla richiesta del governo transitorio iracheno di assistenza nell’addestramento delle forze di sicurezza, che sarà fornita dai singoli paesi della NATO, in Iraq o in altri Stati, secondo la disponibilità di ciascuno dei membri dell’Alleanza. Al Consiglio atlantico viene inoltre affidato il mandato di considerare altre proposte volte a sostenere le nascenti istituzioni di sicurezza irachene, in risposta alle richieste del governo provvisorio.
La successiva Risoluzione 1637 dell’8 novembre 2005, ricordando come la continuazione della presenza della Forza multinazionale in Iraq dipenda dalla richiesta del Governo di Baghdad, e facendo esplicito richiamo alle lettere del Primo ministro dell’Iraq (27 ottobre 2005) e del Segretario di Stato USA (29 ottobre 2005) al Presidente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU; estende sino alla fine del 2006 l’autorizzazione alla Forza multinazionale, di cui alla precedente Risoluzione 1546/2004. Il mandato della Forza multinazionale può essere ridiscusso a richiesta del Governo iracheno, o comunque non più tardi del 15 giugno 2006, e sempre a richiesta del Governo iracheno può esser posto fine al mandato stesso.
La Risoluzione 1637, inoltre, ha esteso al 31 dicembre 2006 le disposizioni relative al Fondo di Sviluppo per l’Iraq.
Il 30 gennaio 2005 si sono tenute in Iraq le elezioni per eleggere i 275 membri dell’Assemblea Nazionale Provvisoria con il compito di esprimere un Governo di transizione.
Alla campagna elettorale per l’elezione dell’Assemblea nazionale Provvisoria, iniziata il 16 dicembre, hanno partecipato 66 partiti politici e 9 liste di coalizione, con 7.785 candidati, appartenenti a 111 liste. Per ragioni di sicurezza e di tutela della loro incolumità, durante la campagna elettorale non sono stati resi pubblici i nomi di molti candidati.
Gli iracheni iscritti alla lista della commissione elettorale indipendente sono 14.662.639 (i dati delle province di Anbar e Ninewa sono stimati). La popolazione irachena è composta per il 60% circa da sciiti, per il 20% da sunniti e per il 20% da curdi.
In base alla legge elettorale n. 96 del 15 giugno 2004 approvata dalla Coalition Provisional Authority (CPA), l’Iraq è stato considerato un’unica circoscrizione elettorale. Il sistema elettorale adottato è stato quello proporzionale (il numero di seggi per ogni partito o coalizione in lizza è proporzionale al numero totale di voti ricevuti in tutto il paese). Gli elettori hanno potuto esprimere la loro preferenza per un partito ma non per singoli candidati. I candidati sono stati eletti nell’ambito di liste chiuse di partito nell’ordine di presentazione
Ogni lista doveva avere non meno di 12 candidati e non più di 245. Nell’elenco dei candidati di ogni singola lista una candidatura su tre era riservata a una donna (con un sistema progressivo che prevede una donna tra i primi tre candidati, due donne tra i primi sei, ecc.).
Poiché non è stato possibile procedere per tempo alla registrazione dei votanti, è stato stabilito di effettuare la preventiva registrazione degli elettori tramite la presentazione delle tessere alimentari rilasciate nell’ambito del programma oil for food.
Contemporaneamente alle elezioni per l’Assemblea nazionale, si sono svolte le elezioni per il Parlamento della regione autonoma curda (111 seggi, cui concorrono 13 liste e 463 candidati) e per i 18 Consigli provinciali (cui partecipano 524 liste con 10.650 candidati).
Si è votato nei 5.216 uffici elettorali, distribuiti in tutto il territorio iracheno (con circa 28.350 seggi) sono rimasti aperti per 10 ore, dalle 7 alle 17, gestiti da 194.000 persone.
La sicurezza è stata garantita da 40 brigate dell'esercito nazionale, la nuova forza militare irachena, utilizzata per la prima volta dalla caduta del regime. Le forze statunitensi e inglesi hanno contestualmente incrementato i loro contingenti (12.000 militari USA e 650 inglesi) per contribuire al mantenimento della sicurezza in occasione delle elezioni. Gli USA hanno così portatoil numero complessivo dei soldati inIraq a 150.000, mentre gli inglesi hanno superato le 9.000 unità.
Le formazioni politiche sciite sono confluite nella lista dei candidati patrocinata dal grande ayatollah Al Sistani comprende 228 nomi che rappresentano tutte le correnti sciite tranne quella che fa capo a Moqtada al Sadr. La coalizione, che si chiama Alleanza unificata irachena, riunisce i rappresentanti dei principali partiti sciiti e comprende le seguenti formazioni politico-religiose:
Ø Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica in Iraq (SCIRI, islamici sciiti), Abdul Aziz al-Hakim.
Ø Partito islamico Dawa (islamici sciiti), Ibrahim Jaafar, attuale vice-presidente dell'Iraq;
Ø Organizzazione del Partito Islamico Dawa dell'Iraq (islamici sciiti), Abdul Karim Anizi;
Ø Congresso Nazionale Iracheno (non religioso), Ahmad Chalabi;
Ø Partito Islamico della Virtù (islamici sciiti), Nadim Issa Jabiri;
Ø Unione Islamica Turcomanna (turcomanni), Abbas Hassan al-Bayati;
Ø Organizzazione per l'Azione Islamica (islamici sciiti), Ibrahim al-Matiri;
Ø altre nove formazioni minori sciite e turcomanne e l'autorevole dissidente all'epoca del regime di Saddam Hussein, Hussain al-Shahristani.
Il premier Allawi ha presentato la Lista irachena, che comprende 233 candidati ed è frutto dell'alleanza della sua formazione laica, l'Accordo Nazionale Iracheno e di altri cinque partiti non religiosi che comprendono personalità tribali e alcuni indipendenti.
Diverse formazioni sunnite hanno presentato le loro liste alle elezioni:
il Partito nazionale democratico, guidato da un ex membro del Consiglio di Governo, Naseer Kamel al Charderchi, ha presentato a sua volta 48 candidati.
il Raggruppamento dei democratici indipendenti di Adnan Pachachi, con 78 candidati, guidato da Saad Abdel Razzak;
la formazione Iraqiyoun (iracheni), con 80 candidati, guidata dal presidente ad interim Ghazi al Yawar.
Il partito comunista iracheno, guidato da Hamid Majid Moussa, ha presentato una lista di 275 candidati con il nome “Unione del popolo”. Comprende personalità di tutte le confessioni ed etnie. Il partito comunista, fondato nel 1930, è il più vecchio partito dell’Iraq. Prima di essere indebolito dall’attività repressiva esercitata dal regime baathista, era uno dei più potenti partiti dei Paesi arabi.
I curdi si sono presentati alle elezioni con una formazione unitaria: la lista per l’Alleanza curda, con 165 candidati, tra i quali Massud Barzani, leader del Partito democratico del Kurdistan, e Jalal Talabani, leader dell'Unione patriottica del Kurdistan. La lista comprende anche altre nove formazioni curde minori, tra le quali alcune rappresentanti delle minoranze cristiane (Unione democratica caldea, Partito nazionale assiro e Casa democratica di Nahrain).
La Lista Nazionale Rafidain (Mesopotamia), con 28 candidati, guidati da Younadam Kana, già nel Consiglio di governo, è un gruppo cristiano assiro. La lista riunisce i tre principali movimenti cristiani (Movimento democratico assiro, Consiglio caldeo nazionalista e Consiglio caldeo assiro-siriaco) ed altri due movimenti minori.
La Commissione elettorale indipendente ha comunicato che hanno partecipato alle elezioni 8.456.266 su 14.662.639 aventi diritto, pari al 58,3% degli aventi diritto. Gli iracheni all’estero che hanno esercitato il loro diritto di voto sono stati 265.000.
Nelle province a maggioranza sunnita la percentuale dei votanti è stata molto bassa: nella provincia di Anbar ha votato soltanto il 2% degli aventi diritto; in quella di Salahadin sono andati a votare il 29% degli aventi diritto.
I risultati ufficiali, comunicati il 13 ed il 17 febbraio assegnano la maggioranza assoluta dei seggi alla lista dell'Alleanza sciita del grande Ayatollah Ali al Sistani, che ha ottenuto 140 seggi su 275. La Alleanza curda diviene la seconda formazione parlamentare con 75 seggi, mentre la lista del premier uscente Allawi ottiene 40 seggi.
Hanno ottenuto seggi le liste che hanno riportato almeno 30.750 voti complessivi. I seggi dell’Assemblea Nazionale provvisoria sono ripartiti tra 12 liste, secondo il seguente schema:
Lista |
Seggi |
Voti |
% |
Alleanza unificata irachena |
140 |
4.075.295 |
48,2 |
Alleanza curda |
75 |
2.175.551 |
25,7 |
Lista irachena del premier Allawi |
40 |
1.168.943 |
13,8 |
Iraqiyoun (lista del presidente ad interim, al Yawar) |
5 |
150.680 |
1,8 |
Alleanza del fronte turcomanno dell'Iraq |
3 |
93.480 |
1,1 |
Quadri dell'elite nazionale indipendente (lista vicina alla corrente del radicale sciita Moqtada al Sadr) |
3 |
69.938 |
0.8 |
Unione del popolo (comunisti) |
2 |
69.920 |
0,8 |
Gruppo islamico del Kurdistan |
2 |
60.592 |
0,7 |
Organizzazione dell'azione islamica in Iraq - Direzione centrale (sciita) |
2 |
43.205 |
0,5 |
Alleanza nazionale democratica di Abed Faycal Ahmed |
1 |
36.795 |
0,4 |
Lista nazionale di Mesopotamia (cristiana) |
1 |
36.255 |
0,4 |
Movimento di riconciliazione e liberazione, del sunnita Michaane al Joubouri |
1 |
30.796 |
0,4 |
I successivi sviluppi del processo di transizione iracheno si sono incentrati anzitutto sulla convocazione e l’attività dell’Assemblea Nazionale di transizione, nonché sulla formazione del nuovo Governo transitorio.
L’ Assemblea Nazionale di transizione, riunitasi il 16 marzo 2005, ha designato dopo una serie di trattative il Presidente dell’Iraq, nella persona dell’esponente curdo Jalal TALABANI (7 aprile). Nei successivi negoziati per la formazione del Governo transitorio è emerso il problema della componente sunnita della popolazione irachena, che, in massima parte, ha disertato le urne e non dispone pertanto di un’adeguata rappresentanza in seno all’ Assemblea Nazionale di transizione.
In ogni modo, le trattative fra i due gruppi politici maggioritari nell’ Assemblea Nazionale di transizione, l’Alleanza unificata irachena e l’Alleanza curda, sono sfociate il 28 aprile nel sostegno al nuovo Governo transitorio, sotto la guida di Ibrahim JAAFARI (sciita).
Il procedimento di formazione del nuovo governo si è protratto per oltre tre mesi con effetti fortemente negativi sul piano della sicurezza. Le forze eversive, terroristi e guerriglia sunnita, hanno intensificato la loro attività cercando di sfruttare le difficoltà della transizione democratica.
Gli obiettivi delle azioni terroristiche sono andati peraltro parzialmente modificandosi. Il target, già noto ma ormai nettamente prevalente, è rappresentato dalle nuove forze di polizia e dalle nuove forze armate irachene. Colpire questi apparati, ed in particolare le reclute, palesa la volontà di impedire al nascente Stato democratico di acquisire la capacità di gestire la sicurezza interna ed esterna affrancandosi dalla tutela della forza internazionale. Significativi sono inoltre i sempre più numerosi ed indiscriminati attacchi nei confronti della popolazione civile, espressione della volontà di generare insicurezza, disordine e instabilità.
E’ in atto da tempo un mutamento di strategia che mira a valorizzare il ruolo delle forze di sicurezza autoctone, attribuendo un ruolo più discreto alla componente internazionale. La linea dell’Amministrazione americana riflette le sempre più diffuse riserve manifestate dall’opinione pubblica statunitense in merito all’andamento della crisi irachena ed alla condotta della Casa Bianca.
Gli stessi Stati Uniti sembrano ormai convinti che, a fronte di una generalizzata insofferenza per il perdurare della presenza militare straniera, solo forze di sicurezza irachene possono aspirare a stabilizzare il paese.
L’altra fondamentale novità emergente della strategia americana per l’Iraq, strettamente legata a quella a cui si è adesso accennato, è rappresentata dalla sempre più netta propensione a coinvolgere gli ex Baahtisti nella ricostituzione delle forze di sicurezza e nello stesso governo iracheno. Anche per la via ora indicata passa il recupero della componente sunnita, che non si è, come noto, presentata come tale nel gennaio 2005 alle elezioni del Parlamento ma che è invece rappresentata nel Governo. I Sunniti vantano un vicepremier, quattro ministri e un segretario di Stato. La nomina più significativa e quella di Al Dulaimi al Ministero della difesa.
Dopo la formazione del nuovo Governo, la successiva tappa istituzionale è stata la messa a punto di una bozza di Costituzione: il Governo ha rispettato la scadenza del 15 agosto, ma i contrasti emersi sul testo tra gli sciiti, i curdi e i sunniti hanno dapprima consigliato un rinvio di una settimana nella presentazione (22 agosto) all’Assemblea Nazionale; e, successivamente, hanno fatto sì che il Parlamento non votasse la bozza di Costituzione, limitandosi a prenderne atto e rinviandone l’approvazione al referendum di ottobre. Pur avendo infatti gli sciiti e i curdi nell’Assemblea Nazionale una maggioranza sufficiente ad approvare il testo, i sunniti avrebbero poi potuto determinarne la bocciatura nel referendum: la mancata votazione in Parlamento è stato dunque un modo di evitare l’accendersi di uno scontro frontale prima della consultazione popolare di ottobre.
La bozza di Costituzione definisce la Repubblica irachena uno Stato indipendente, parlamentare e federale. L'Islam e' una fonte principale di diritto, e nessuna legge puo' essere contraria agli standard dell'Islam, come pure agli standard democratici. Almeno un quarto dei seggi in Parlamento è riservato alle donne.
Dal regime politico pluralista del Paese è bandita qualsiasi organizzazione che adotti una ideologia razzista, terroristica, estremista o settaria o che diffonda o giustifichi simili ideologie. Un divieto ad hoc si applica al Partito Baath Saddamita e ai suoi simboli.
Vengono garantite la liberta' e la dignita' umana, e proibito qualsiasi genere di tortura fisica o psicologica o di trattamento inumano. Sono assicurate la libertà di espressione e comunicazione con tutti i mezzi, nonché quella di fondare organizzazioni politiche.
E’ sancito il principio dell’appartenenza di tutte le risorse minerali del Paese a tutto il popolo nelle varie regioni e province.
I principali nodi della transizione irachena.
Riconciliazione nazionale. La componente sunnita chiede che ai quadri politici e militari del precedente regime sia consentito rivestire cariche pubbliche. Si dovrà discutere anche di una possibile amnistia per gli appartenenti al partito Baaht. Favorevoli sono i paesi confinanti sunniti, nettamente contrario l’Iran.
Religione. I Sunniti temono una teocrazia sciita. Ma Al Sistani sembra in tal senso rappresentare una garanzia in quanto espressione della corrente teologica quietista che si contrappone al velayat al faqih di ascendenza iraniana. Il clero, seguendo l’impostazione che si attribuisce ad Al Sistani, dovrebbe limitarsi ad essere guida morale senza lasciarsi coinvolgere nella vita politica. L’Islam non a caso è stato ricompreso nella bozza di Costituzione tra le fonti del diritto (non è quindi l’unica fonte del diritto): un compromesso, questo, probabilmente accettabile anche dai settori più laici della società irachena.
Sicurezza. Rendere polizia e forze armate in grado di fronteggiare la situazione è una priorità condivisa, ma il punto di disaccordo, per ora, sta nello scioglimento delle varie milizie facenti capo alle diverse formazioni etniche e politiche.
Presenza straniera. Tutti gli iracheni sono concordi circa l’opportunità di porre fine al più presto alla presenza straniera. Si vuole un calendario che scandisca il ritiro degli USA. Solo i Curdi non sembrano del tutto convinti.
Potere centrale e potere locale. Curdi e Sciiti ambiscono entrambi all’autonomia politica. L’incubo delle cancellerie è un possibile smembramento dell’Iraq con la nascita del Kurdistan e di province sciite indipendenti. I Curdi rappresentano allo stato l’incognita maggiore. Godono già di un’indipendenza di fatto stabilitasi in 12 anni di no fly zone, tutelata da 80 mila peshmerga (milizia antisaddam mai smantellata), ma l’autonomia senza risorse petrolifere rischia di risolversi in una chimera (Kirkuk e Mosul producono insieme circa il 50% del petrolio del paese). E’ inoltre assai controverso lo status della provincia di Kirkuk, dove esiste una forte comunità turcomanna: gli arabi e i turcomanni ivi residenti non vogliono essere inglobati nella regione autonoma curda. La tensione interetnica è alta e le dichiarazioni indipendentiste da parte dei leader politici curdi frequenti. I Curdi stanno inoltre stabilendo stretti rapporti con Israele: israeliani acquistano terreni e case nella regione dagli arabi spinti ad allontanarsene ed istruttori militari israeliani addestrano i peshmerga. In Israele si parla di ripristinare l’oleodotto Mosul-Haifa. La creazione di uno Sciistan appare invece prospettiva assai più remota, anche per il forte nazionalismo della componente sciita e per la presenza in essa di una robusta componente laica. Il localismo è in ogni caso fortemente sviluppato in tutte le province irachene ed il riconoscimento di un’autorità centrale presenta profili di forte problematicità.
Il referendum del 15 ottobre 2005 ha approvato la bozza di Costituzione, con un’affluenza alle urne del 63% a livello nazionale, e il 78% dei voti favorevoli: solo due province sunnite – Salaheddin e Al-Anbar – hanno respinto il testo con più dei due terzi dei voti, mentre affinchè il referendum avesse un esito negativo era necessario che ciò avvenisse anche in una terza provincia.
Il 15 dicembre 2005 si svolgono le prime elezioni in base alla nuova Costituzione, al fine di individuare un Parlamento e un Governo nella pienezza del loro mandato. Alla consultazione partecipano circa 7.500 candidati e 275 partiti. Su 275 seggi da assegnare, 128 sono andati all’Alleanza irachena unita (sciiti), 53 al blocco dei curdi e 44 e 11 rispettivamente ai due partiti sunniti. La formazione politica dell’ex premier Allawi ha ottenuto 25 seggi. Rispetto alle precedenti consultazioni, si avvertono gli effetti della più consistente partecipazione sunnita, che ha determinato un riequilibrio nella distribuzione dei seggi a detrimento delle altre principali componenti politiche. La conflittualità fra le tre principali componenti della società irachena, sciiti, curdi e sunniti,ha determinato tuttavia, da questo momento in avanti, una sorta di paralisi istituzionale.
Il nuovo Parlamento iracheno, riunito dopo continui rinvii il 22 aprile 2006 (una prima riunione, il 16 marzo, era stata sospesa per mancanza di un accordo sulla candidatura del Presidente dell’Assemblea), ha eletto come suo presidente il sunnita Mahmud al Mashadani. Nella stessa riunione il presidente uscente, Jalal Talabani, è stato riconfermato Capo dello Stato e, come primo suo atto, ha designato premier incaricato lo sciita Jawad al Maliki: dopo trattative lunghe e difficili, la compagine governativa proposta da al Maliki ha ottenuto il 20 maggio 2006 l’approvazione del Parlamento di Baghdad.
Pur essendo quello capeggiato da al Maliki il primo Governo non transitorio della lunga vicenda irachena, esso mantiene uin forte carattere di precarietà, poiché la sua formazione è stata possibile solo a prezzo di forti concessioni, quale quella dell’attribuzione solo provvisoria di tre Dicasteri-chiave (Interni, Difesa e Sicurezza nazionale). Inoltre, la formazione del Governo ha dovuto tener conto del termine ultimo del 22 maggio, dopo il quale si sarebbero dovute indire nuove elezioni politiche generali in mancanza di un accordo sull’Esecutivo. Nel complesso, al momento del varo del nuovo Governo gli sciiti hanno ottenuto 15 Ministeri, i curdi 6, e 4 Ministeri ciascuno sono andati ai laici dell’ex premier Iyad Allawi e al Fronte sunnita.
COMPOSIZIONE DELL’ATTUALE GOVERNO IRACHENO (al 15 giugno 2006):
Primo Ministro |
Nuri al-MALIKI |
Vice Primo Ministro |
Barham SALIH |
Vice Primo Ministro |
Salam al-ZUBAI |
Min. dell’agricoltura |
Yuarib Nadhim al-ABUDI |
Min. dlle comunicazioni |
Muhammad Tawfiq ALLAWI |
Min. della cultura |
Asad Kamal al-HASHIMI |
Min. della difesa |
Abd al-Qadir al-MUFRIJI |
Min. per i profughi e le migrazioni |
Abd al-Samad SULTAN |
Min. dell’istruzione |
Khudayr al-KHUZAI |
Min. dell’elettricità |
Karim Wahid al-HASAN |
Min. dell’ambiente |
Nermin OTHMAN |
Min. delle finanze |
Bayan JABR |
Min. degli esteri |
Hoshyar Mahmud ZEBARI |
Min. della salute |
Ali al-SHAMMARI |
Min. per l’istruzione superiore |
Abid Dhiyab al-UJAYLI |
Min. per le politiche abitative e le costruzioni |
Bayan DIZAYEE |
Min. per i diritti umani (interim) |
Wijdan Mikhail SALIM |
Min. dell’industria e delle risorse minerarie |
Fawzi al-HARIRI |
Min. dell’interno |
Jawad al-BULANI |
Min. della giustizia |
Hashim al-SHIBLI |
Min. del lavoro e degli affari sociali |
Mahmud Muhammad Jawad al-RADI |
Min. delle municipalità e dei lavori pubblici |
Riyad GHURAYIB |
Min. del petrolio |
Husayn al-SHAHRISTANI |
Min. per la pianificazione |
Ali BABAN |
Min. della scienza e tecnologia |
Raid Fahmi JAHID |
Min. del commercio |
Abd al-Falah al-SUDANI |
Min. dei trasporti |
Karim Mahdi SALIH |
Min. per le risorse idriche |
Latif RASHID |
Min. dello sport e della gioventù |
Jasim Muhammad JAFAR |
Min. di Stato per gli affari della società civile |
Adil al-ASADI |
Min. di Stato per gli affari esteri |
Rafi al-ISSAWI |
Min. di Stato per l’Assemblea Nazionale |
Safa al-Din al-SAFI |
Min. di Stato per il dialogo nazionale |
Akram al-HAKIM |
Min. di Stato per la sicurezza nazionale |
Shirwan al-WAILI |
Min. di Stato per le province |
Saad Tahir Abd Khalaf al-HASHIMI |
Min. di Stato per il turismo e i beni archeologici |
Liwa SUMAYSIM |
Min. di Stato per le donne |
Fatin Abd al-RAHMAN |
Min. di Stato senza portafoglio |
Ali Muhammad AHMAD |
Min. di Stato senza portafoglio |
Hasan Radhi Kazim al-SARI |
Min. di Stato senza portafoglio |
Muhammad Abbas al-URAYBI |
La Camera ed il Senato sono stati costantemente informati dal Governo e hanno esaminato molteplici atti ispettivi e di indirizzo in merito alle vicende irachene. Intense discussioni si sono inoltre svolte in occasione dell’esame dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge volti a disciplinare lo svolgimento della missione militare italiana in Iraq.
In particolare, va segnalato l’intervento del Ministro degli Affari esteri, Massimo D’Alema, il quale, intervenendo il 14 giugno 2006 presso le Commissioni Esteri riunite dei due rami del Parlamento per illustrare le linee programmatiche del suo Dicastero, si è soffermato anche sulla missione in Iraq, rispetto alla quale – in accordo peraltro con precedenti pronunciamenti propri, nonché del Presidente del Consiglio Romano Prodi -, ha ribadito la volontà dell’Esecutivo di procedere entro il 2006 al ritiro, graduale ma completo, del contingente militare italiano, conformemente al programma di governo della maggioranza. Parallelamente, l’On. D’Alema ha sostenuto la necessità per l’Italia di continuare nello sforzo di assistenza all’Iraq sul piano umanitario e della ricostruzione materiale e civile: per tale obiettivo è al lavoro una Commissione mista italo-irachena, e si prevede di raggiungere entro settembre un’intesa per un accordo di cooperazione bilaterale.
In merito alla permanenza in Iraq della Forza multinazionale, è da ultimo intervenuta la risoluzione del Consiglio di sicurezza 1637 dell’8 novembre 2005, che ha esteso sino a tutto il 2006 il mandato della Forza, precisando che esso può essere sempre ridiscusso a richiesta del Governo iracheno e dovrà comunque essere nuovamente oggetto di esame da parte del Consiglio non più tardi del 15 giugno 2006.
L'Assemblea generale dell'ONU adotta la risoluzione n. 181 sul "governo futuro della Palestina" comprendente il piano di spartizione che prevede la fine del mandato britannico entro il 1948, la costituzione di uno Stato palestinese e di uno Stato ebraico con un'unione economica per tutta la Palestina, un regime internazionale speciale per Gerusalemme, costituita in corpus separatum e amministrata dalle Nazioni Unite in base ad apposito statuto.
Il 15 maggio, giorno successivo alla scadenza del mandato britannico sulla Palestina, il Consiglio nazionale per lo Stato ebraico proclama, con decisione autonoma, la creazione dello Stato d'Israele. Immediatamente le forze degli Stati arabi (Egitto, Siria, Transgiordania, Libano, Iraq, Arabia Saudita), che si oppongono alla spartizione della Palestina ed alla creazione di uno Stato ebraico, invadono il territorio israeliano.
Dopo lunghi negoziati sotto l'egida dell'ONU, la prima guerra arabo-israeliana si conclude con la stipulazione di quattro accordi di armistizio generale (accordi di Rodi) che fissano una linea di demarcazione che reggerà fino al 1967: Israele, oltre a riconquistare tutto il territorio ad esso assegnato dal piano di spartizione dell'ONU, estende il suo controllo su altre zone arabe; la Transgiordania occupa il territorio arabo ad ovest del Giordano (Cisgiordania) che, in base al piano dell'ONU, avrebbe dovuto far parte del previsto Stato palestinese. L'annessione formale di questo territorio alla Transgiordania avverrà poi nell'aprile del 1950 con la proclamazione del Regno Hashemita di Giordania. La striscia di Gaza, anch'essa parte dello Stato arabo previsto dal piano di spartizione, resta in mano all'Egitto.
Dopo la nazionalizzazione da parte dell'Egitto della Compagnia universale del Canale di Suez, l'esercito israeliano passa la frontiera con il Sinai e avanza verso Suez. Due giorni dopo Gran Bretagna e Francia, con l'obiettivo di garantire il libero transito del Canale, intervengono militarmente contro l'Egitto. In pochi giorni le truppe israeliane occupano l'intero Sinai e la striscia di Gaza, mentre le forze anglo-francesi bloccano entrambi gli accessi al Canale occupando postazioni chiave lungo la riva. La crisi viene risolta con l'intervento delle Nazioni Unite, che inviano una propria Forza d'emergenza per garantire il ritiro dall'Egitto delle truppe israeliane e anglo-francesi. Il ritiro sarà ultimato nel marzo del 1957.
Nel corso del primo summit arabo al Cairo viene fondata l'Organizzazione per la Liberazione dellaPalestina (OLP), che si riunisce per la prima volta lo stesso anno nel settore arabo di Gerusalemme. L'organizzazione Al Fatah, il Movimento per la liberazione della Palestina fondato da Yasser Arafat nel 1957, si unirà all'OLP nel 1968 e da allora Arafat sarà ininterrottamente eletto capo del Comitato esecutivo.
Al culmine di un periodo di estrema tensione con i Paesi arabi confinanti, sfociata nel ritiro delle forze di polizia internazionale dell’ONU e nel blocco egiziano del golfo di Aqaba, Israele lancia un attacco su larga scala nei confronti di Egitto, Giordania, Siria e Iraq, anche come reazione all’adesione giordana e irachena al Patto militare siro-egiziano. Il 10 giugno, al momento del cessate il fuoco, le forze israeliane controllano l'intero Sinai, la Cisgiordania, la striscia di Gaza e le alture del Golan. Israele si assicura così il controllo dell'intera Palestina, compresa la città di Gerusalemme: il settore arabo della città, con la rimozione delle mura e delle barriere di divisione, viene di fatto annesso e il 29 giugno il Knesset (il Parlamento israeliano) vota una deliberazione con la quale Gerusalemme viene riunita sotto la sovranità israeliana. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite condanna le misure prese da Israele nei confronti della città di Gerusalemme considerandole "non valide" con la risoluzione n. 2253, adottata all'unanimità il 4 luglio.
In un summit a Khartum alla fine di agosto i Capi di Stato arabi dichiarano la loro ferma decisione di non negoziare direttamente con Israele, di non riconoscerlo e di non firmare nessun trattato di pace. Il Governo israeliano, d'altra parte, annuncia di essere disposto ad intraprendere solo negoziati diretti; in caso contrario manterrà le forze israeliane sui territori occupati. Intanto, fin da settembre, coloni israeliani iniziano ad insediarsi nei territori occupati.
Il 22 novembre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta all'unanimità la risoluzione n. 242, con la quale afferma che alla base di una pace giusta e duratura in Medio Oriente stanno due princìpi: il ritiro delle forze armate di Israele dai territori occupati nel recente conflitto ed il riconoscimento della sovranità, integrità territoriale e indipendenza politica di ciascuno Stato nell'area, sottolineando anche la necessità che si giunga ad una giusta soluzione del problema dei profughi.
Il 6 ottobre, giorno della festività ebraica di Yom Kippur, le forze egiziane e siriane attaccano Israele in Sinai e sulle alture del Golan. Dopo una prima avanzata degli arabi, gli israeliani contrattaccano e il 25 ottobre, quando si arriva al cessate il fuoco, questi ultimi hanno riguadagnato le loro posizioni.
Il 21 dicembre si apre a Ginevra la Conferenza per la pace in Medio Oriente, frutto delle numerose missioni diplomatiche del Segretario di Stato americano Henry Kissinger, convocata dal Segretario generale dell'ONU con la copresidenza di Stati Uniti e Unione Sovietica.
Risultato della Conferenza di pace di Ginevra è la conclusione di tre accordi sul disimpegno delle forze: due riguardanti le forze egiziane ed israeliane a confronto nella zona del Canale di Suez e del Sinai, stipulati rispettivamente il 18 gennaio 1974 e il 4 settembre 1975; il terzo relativo alle forze siriane ed israeliane sul fronte del Golan, concluso il 31 maggio 1974. Gli accordi prevedono l'intervento di forze delle Nazioni Unite chiamate a garantire la tregua ed il ritiro delle truppe dietro le linee concordate, anche mediante la costituzione di zone-cuscinetto occupate dai caschi blu.
L'Assemblea generale dell'ONU adotta due risoluzioni: la n. 3236 con la quale riconosce il diritto dei palestinesi all'indipendenza e all'autodeterminazione, e la n. 3237 con la quale accorda all'OLP lo status di osservatore permanente. Con un'altra risoluzione, la n. 3379 del 1975, l'Assemblea generale che denuncia il sionismo quale "forma di razzismo e discriminazione razziale".
Sfidando la posizione contraria del resto del mondo arabo, il 19 novembre il Presidente egiziano Sadat si reca a Gerusalemme ed il giorno seguente, davanti al Parlamento israeliano, lancia un appello per una pace giusta e duratura in Medio Oriente.
In settembre, il Presidente americano Carter invita i governi di Egitto ed Israele a Camp David negli Stati Uniti per riprendere il negoziato di pace. Il 17 settembre, dopo 12 giorni di negoziati, il Presidente Carter annuncia che il Primo Ministro israeliano Begin e il Presidente egiziano Sadat hanno concluso due accordi: il primo è un "accordo quadro per la pace in Medio Oriente" che prevede un periodo di transizione di cinque anni, durante il quale le popolazioni della Cisgiordania e della striscia di Gaza possono progressivamente acquisire autonomia e indipendenza, ed alla fine del quale si sarebbe stabilito lo status definitivo dei territori attraverso ulteriori negoziati ed un trattato di pace con la Giordania; il secondo documento è un "accordo quadro per la conclusione di un trattato di pace fra Egitto ed Israele" che prevede la firma di un trattato di pace entro tre mesi, il ritiro delle truppe israeliane dal Sinai e lo stabilimento di normali relazioni diplomatiche fra i due paesi. Solo quest'ultimo accordo troverà effettiva applicazione: il 26 marzo 1979, Egitto ed Israele firmano a Washington il trattato di pace ed Israele inizia il progressivo ritiro dal Sinai che sarà completato il 25 aprile 1982; il 26 gennaio 1980 saranno stabilite le relazioni diplomatiche fra i due paesi. Il giorno dopo la firma del trattato di pace la Lega araba, riunitasi a Bagdad, condanna pesantemente la politica di Sadat e dispone un boicottaggio politico ed economico contro l'Egitto.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta all'unanimità la risoluzione n. 465 che condanna la politica di colonizzazione dei territori occupati da parte di Israele, chiedendo la cessazione della pianificazione di nuovi insediamenti e lo smantellamento di quelli esistenti.
Il 30 luglio il Knesset approva la Legge fondamentale su "Gerusalemme riunificata, capitale eterna d'Israele". La reazione internazionale è immediata: il Consiglio di Sicurezza dell'ONU approva la risoluzione n. 478 nella quale afferma che l'adozione della Legge fondamentale su Gerusalemme è un ostacolo all'instaurazione della pace in Medio Oriente, costituisce una violazione del diritto internazionale, e va quindi considerata nulla. In ottemperanza alla richiesta dell'ONU tutti i paesi che mantenevano missioni diplomatiche a Gerusalemme le trasferiscono a Tel Aviv.
Il 14 dicembre 1981 il Knesset vota l'annessione del territorio siriano delle alture del Golan. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approva la risoluzione n. 497, nella quale afferma di considerare l'azione israeliana inammissibile e di conseguenza nulla.
Il 6 giugno, sorretto da massicci bombardamenti, l'esercito israeliano invade il Libano con l'obiettivo di distruggere le basi dei terroristi palestinesi; si trova a fronteggiare la Siria, che mantiene ingenti forze in territorio libanese. In pochi giorni gli israeliani sono alle porte di Beirut ed iniziano l'assedio della città, nella quale si trovano circa 9000 uomini dell'OLP; dopo due mesi di assedio i palestinesi accettano di evacuare la città e viene inviata una forza delle Nazioni Unite per controllare l'evacuazione. Il 23 agosto il falangista Bachir Gemayel, pro-israeliano, è eletto Presidente del Libano. Il 14 settembre Gemayel viene assassinato ed il giorno seguente le truppe israeliane invadono il settore musulmano di Beirut, contravvenendo agli accordi sul cessate il fuoco. Pochi giorni dopo le milizie falangiste compiono un massacro nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila. Le forze israeliane si ritireranno da Beirut nel settembre 1983, attestandosi nel sud del paese, mentre il nord resterà sotto controllo siriano.
L'11 febbraio Re Hussein di Giordania e Yasser Arafat sottoscrivono ad Amman un accordo per un'azione comune giordano-palestinese nei futuri negoziati di pace. Tale accordo segue di pochi mesi un'altra iniziativa giordana per la ricostituzione di un fronte comune arabo: prima fra tutte le nazioni arabe dopo gli accordi di Camp David, la Giordania riprende i rapporti diplomatici con l'Egitto.
Tra febbraio e maggio Israele si ritira dal Libano, mantenendo al confine una "zona di sicurezza", e i siriani riprendono il controllo dell'intero paese, distruggendo le ultime basi dell'OLP (il cui quartier generale si era trasferito a Tunisi nel 1983, in piena crisi libanese).
Il 19 febbraio Re Hussein di Giordania annuncia la fine della collaborazione politica con l'OLP. Le ragioni del dissenso sono fondamentalmente due: la priorità data dall'OLP al principio dell'autodeterminazione, a discapito di quello della liberazione della terra sostenuto dalla Giordania, ed il rifiuto dell'OLP di accettare la risoluzione n. 242 dell'ONU a causa dell'implicito riconoscimento di Israele che essa comporta. Tale accettazione costituisce la condizione preliminare richiesta dagli Stati Uniti per l'avvio di qualsiasi negoziato.
Dopo un periodo di violenti scontri episodici, ed un conseguente inasprimento della repressione israeliana, il 9 dicembre scoppia nei territori occupati una rivolta di massa dei palestinesi (che verrà chiamata Intifada, ovvero sollevamento). Il movimento, nato spontaneamente, viene ben presto coordinato da un apposito comitato direttivo nel quale sono rappresentate le diverse componenti dell'OLP.
Il 15 novembre il Consiglio Nazionale Palestinese, riunito ad Algeri, approva una dichiarazione che proclama l'indipendenza dello Stato di Palestina, con capitale Gerusalemme. La dichiarazione, che avviene dopo la rinuncia della Giordania alla sovranità sui territori della Cisgiordania, richiama i principi contenuti nella risoluzione n. 181 del 1947 dell'Assemblea generale dell'ONU. Una dichiarazione politica separata chiede l'apertura di una conferenza internazionale di pace sul Medio Oriente sotto la supervisione delle Nazioni Unite, sulla base delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 242 del 1967 e 338 del 1973. Con tale accettazione da parte dell'OLP delle risoluzioni dell'ONU viene così soddisfatta una delle condizioni richieste dagli Stati Uniti ai fini di una conferenza di pace. Il 13 dicembre Arafat presenta all'Assemblea generale dell'ONU un piano di pace, dichiara la volontà di riconoscere esplicitamente Israele e di rinunciare definitivamente al terrorismo. Pochi giorni dopo gli Stati Uniti intraprendono un dialogo ufficiale con l'OLP.
In ottobre il Segretario di Stato americano James Baker propone un nuovo piano di pace, sul quale il governo israeliano si divide: mentre la corrente di destra della Likud, il partito del Primo Ministro Itzhak Shamir, annuncia che non accetterà nessun compromesso, il partito laburista minaccia di abbandonare il governo di coalizione se Shamir non intraprenderà iniziative concrete per risolvere la questione dei territori occupati.
Il 6 marzo, alla fine della guerra del Golfo, il Presidente americano Bush dichiara che la soluzione del conflitto arabo-israeliano è uno degli impegni prioritari del suo governo. Dopo numerose missioni diplomatiche del Segretario di Stato Baker e con l'appoggio dell'Unione Sovietica, il 30 ottobre si apre a Madrid la Conferenza di pace. La Conferenza avvia i negoziati bilaterali israelo-palestinesi e quelli multilaterali tra Israele e gli altri Stati arabi. Viene stabilito che lo status definitivo dei territori potrà avere inizio solo dopo la messa in pratica di un periodo transitorio di autogoverno.
Il 16 dicembre l'Assemblea generale delle Nazioni Unite revoca la posizione sul sionismo come forma di razzismo e discriminazione razziale adottata con la risoluzione n. 3376 del 1975.
Il 23 giugno, alle elezioni legislative, il partito laburista guidato da Itzhak Rabin conquista la maggioranza persa nel 1977. Rabin, che ha basato la sua campagna elettorale sulla priorità per Israele di giungere ad un accordo di pace, nel discorso di investitura del nuovo governo di centro-sinistra afferma che il primo passo verso una soluzione permanente del conflitto è la concessione dell'autonomia ai palestinesi.
Mentre viene avviato il dialogo ufficiale tra il governo israeliano e l'OLP, hanno luogo negoziati segreti in Norvegia che conducono, il 28 agosto 1993, alla firma di una dichiarazione di principi su un piano d'autonomia dei territori occupati, cominciando da Gaza e Gerico. Nel settembre viene firmato l'accordo di riconoscimento reciproco tra lo Stato ebraico e l'OLP, nonché la dichiarazione di principi sugli accordi transitori di autonomia. Il ritiro delle truppe israeliane da Gaza e Gerico, fissato per il 13 dicembre, sarà rinviato fino al maggio 1994, a seguito della firma del successivo accordo del Cairo, in base al quale i territori passano sotto l'amministrazione di un'Autorità Nazionale Palestinese appositamente nominata, in attesa delle elezioni del Consiglio Palestinese, e la sicurezza è affidata ad un corpo di polizia palestinese.
Durante una funzione religiosa per il periodo del Ramadan un colono israeliano fa fuoco con un fucile automatico in una moschea affollata di fedeli a Hebron, in Cisgiordania, e uccide 50 palestinesi. La strage è condannata dalla risoluzione dell'ONU n. 904 che dispone anche l'invio ad Hebron di una presenza internazionale temporanea per garantire la sicurezza dei civili. La missione, cui partecipano Italia, Danimarca e Norvegia, si svolgerà dal maggio all'agosto 1994.
Dall'ottobre 1994 si assiste ad una violenta ondata di attentati terroristici rivendicati dal movimento fondamentalista islamico Hamas, spesso compiuti da terroristi suicidi, che provocano numerosissime vittime. Gli attentati proseguiranno per tutto il 1995, conducendo, nel marzo 1996, al vertice di Sharm el-Sheikh contro il terrorismo, cui partecipano 27 Capi di Stato e di Governo.
Dopo la firma di Israele e Giordania, nel settembre 1993, dell'Agenda per la pace, che ha stabilito un programma di normalizzazione dei rapporti tra i due paesi entro due anni, nel giugno 1994 vengono firmati tra i due paesi a Washington una serie di accordi settoriali (collaborazione nel campo dei trasporti, delle risorse idriche e naturali). Nel luglio, il Primo Ministro israeliano Rabin e il Re Hussein di Giordania, incontratisi per la prima volta, firmano una dichiarazione che mette ufficialmente fine allo stato di belligeranza che opponeva i due paesi da 46 anni, mentre nell'ottobre 1994, sulle rive del Giordano, alla frontiera fra Israele e Giordania, i due Capi di Statofirmano lo storico accordo di pace.
Dopo la firma di un accordo tra Israele ed OLP che estende alla Cisgiordania i poteri amministrativi, nel settembre viene concluso un altro accordo (Oslo II), contenuto in 400 pagine di documenti, che prevede, nella prima fase, il ritiro completo delle truppe israeliane dalle sei città dei territori occupati, da 450 villaggi ed in parte da Hebron. Viene inoltre fissata la data delle elezioni del Consiglio palestinese e viene stabilito un calendario che riguarda la liberazione dei prigionieri palestinesi, la definizione della situazione di Gerusalemme, degli insediamenti e dei rifugiati palestinesi. Il calendario verrà rispettato fino al maggio 1996, quando, subito prima delle elezioni israeliane, si apre la fase finale del negoziato, ad oggi non ancora conclusa.
Il 4 novembre 1995, uno studente israeliano di 25 anni, Igal Amir, uccide il Primo Ministro Ytzak Rabin mentre lascia il palco allestito a Tel Aviv in occasione della manifestazione della pace. E' la prima volta dalla creazione dello Stato d'Israele che viene ucciso un Primo Ministro. Alla carica succede Shimon Peres.
Il 20 gennaio 1996 si svolgono le elezioni nei territori palestinesi. Yasser Arafat è eletto Presidente del Consiglio con oltre l'88 % dei voti ed il partito di al-Fatah ottiene il 51% dei voti per l'Assemblea legislativa. Il Consiglio nazionale palestinese si pronuncia a grande maggioranza per l’eliminazione dalla Carta dell'OLP dei paragrafi contrari all'esistenza dello Stato ebraico, che alla fine dell’anno lamenterà tuttavia la mancata attuazione di tale indirizzo.
Mentre continua l'ondata di violento terrorismo di Hamas ed ha inizio una fase di scontri tra gli israeliani e gli hezbollah libanesi, il 29 maggio si svolgono le elezioni politiche anticipate ad Israele. Con uno scarto dello 0,6 per cento è eletto primo ministro il leader del Likud, Benjamin Netanyahu. Ma la nuova legge elettorale, che prevede l'elezione diretta del premier, ha provocato una frammentazione dei voti confluiti ai singoli partiti, costringendo il governo ad allearsi con i gruppi religiosi.
Gli accordi su Hebron del 16 gennaio 1997 rappresentano la prima tappa del processo negoziale realizzata durante il periodo di governo Netanyahu. Quegli accordi, che sono in realtà un protocollo aggiuntivo all'Accordo 'Oslo II', definiscono le modalità del ridispiegamento israeliano da Hebron e prevedono la ripresa dei negoziati sulle parti non attuate dell'accordo interinale (c.d. non Hebron related issued). I palestinesi riaffermano la volontà di combattere il terrorismo e rifiutare la violenza, e gli israeliani accettano di attuare gli ulteriori tre ritiri dalla Cisgiordania previsti dall'Accordo interinale, benché prolungandone il calendario. Il negoziato tuttavia si arena sull'ampiezza del territorio dal quale Israele dovrebbe ritirarsi, non definita dagli Accordi interinali.
Il 23 ottobre, con la mediazione americana e dopo una paralisi dei negoziati durata quasi 20 mesi, viene raggiunto un accordo tra israeliani e palestinesi che prevede: un primo ritiro israeliano entro 90 giorni dal 13,1 per cento della Cisgiordania; un secondo ritiro dal 14,2 per cento della Cisgiordania; l’impegno israeliano ad attuare una terza fase del ritiro; l’apertura dell’aeroporto di Gaza. In cambio, l’autorità palestinese disarmerà i gruppi estremisti ed arresterà un trentina di terroristi; sarà inoltre convocato il Consiglio nazionale palestinese per abrogare le clausole dello statuto che prevedono la distruzione di Israele[27].
Dopo l’avvio della prima fase del ritiro, il processo di pace subisce un nuovo arresto, determinato anche dalla decisione israeliana di andare ad elezioni politiche anticipate.
Il 17 maggio 1999 si svolgono le elezioni anticipate della Knesset e del Premier israeliano, che portano all’elezione del candidato laburista Ehud Barak alla carica di Primo Ministro di Israele, nonché ad una sostanziale frammentazione delle forze politiche rappresentate in Parlamento, con un ridimensionamento sia del Partito laburista, sia del Likud. Il nuovo esecutivo si appoggia pertanto su una maggioranza composita, in cui entrano due partiti degli “ebrei russi” e due partiti di ispirazione religiosa.
Con un Memorandum firmato il 4 settembre 1999 (c.d. Wye II), si decide di superare lo stallo nei reciproci rapporti tra israeliani e palestinesi, fissando una serie di principi per cui le parti si impegnano a dare attuazione agli Accordi di Wye Plantation e ad avviare i negoziati sullo status finale dei territori palestinesi. Dopo la firma dell’accordo, tuttavia, nonostante una serie di importanti passi in avanti, si apre una nuova fase di crisi, legata soprattutto al rispetto delle scadenze fissate nello stesso Memorandum.
Circa due mesi prima del 13 settembre 2000, data stabilita da israeliani e palestinesi per arrivare ad un accordo definitivo, inizia a Camp David (11 luglio 2000) una “maratona negoziale” tra il premier israeliano Barak e il leader palestinese Arafat, con il ruolo preponderante di mediazione degli Stati Uniti. Il negoziato si conclude il 25 luglio con un “nulla di fatto”. Tra i problemi rimasti in sospeso vi è soprattutto la questione dello status di Gerusalemme, che i palestinesi rivendicano come capitale del futuro Stato indipendente. Il 29 luglio i colloqui riprendono a Gerico su questioni più tecniche, ma non vengono toccati i punti più delicati del negoziato. Il 10 settembre il Parlamento palestinese (Consiglio legislativo) rinvia sine die la proclamazione dell’indipendenza dello Stato palestinese, che era stata fissata il 3 luglio dal Consiglio centrale dell’OLP per il 13 settembre.
Il 28 settembre, alla testa di un gruppo di propri sostenitori, l'esponente del Likud Ariel Sharon si reca alla spianata delle Moschee, alle cui pendici di trova il Muro del pianto, con l’intento, non espressamente dichiarato, di ribadirvi la sovranità ebraica: a seguito di ciò si verificano violentissimi incidenti con numerose vittime palestinesi e con il coinvolgimento anche della polizia palestinese, a fronte di un impiego israeliano di armi pesanti. Una risoluzione (n. 1322) del Consiglio di sicurezza dell’ONU, adottata il 7 ottobre con il voto di astensione degli USA, condanna gli atti di violenza e in particolare l'uso della forza contro i palestinesi. Il linciaggio di due soldati israeliani a Ramallah (12 ottobre) provoca peraltro una dura reazione militare da parte di Israele, che per la prima volta bombarda alcune città palestinesi, tra cui la stessa Ramallah, nei pressi della sede del “quartier generale” di Arafat.
Il vertice di Sharm el Sheikh, convocato per mettere fine agli scontri, si conclude il 17 ottobre con una mera intesa di principio tra Barak e Arafat: nessun documento congiunto firmato dalle Parti in causa, quindi, ma una semplice dichiarazione del Presidente americano Clinton che fissa le condizioni per il “cessate il fuoco”, annuncia la creazione di una commissione d’inchiesta[28] guidata dagli USA e si impegna per una ripresa dei negoziati di pace. L’intesa prevede il ritiro dell’esercito israeliano alle posizioni precedenti al 28 settembre, la riapertura delle frontiere dei Territori palestinesi e dell’aeroporto di Gaza. Ciononostante non cessano gli scontri in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. L'intesa di Sharm el Sheikh viene infatti respinta dalle frange estremiste delle due Parti: Hamas, l'organizzazione islamica che combatte per l'indipendenza dello Stato palestinese, e Tanzim, la milizia giovanile di Al-Fatah, si oppongono agli accordi, mentre Ariel Sharon annuncia la rottura delle trattative con Barak per la formazione di un governo di unità nazionale.
Il 20 ottobre l'Assemblea Generale dell'ONU adotta una nuova risoluzione, di contenuto analogo alla n. 1322 del Consiglio di sicurezza. I voti favorevoli sono 92, quelli contrari 6, mentre si registrano 46 astensioni, tra cui quella dell'Italia. Successivamente, nel corso del Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000, i paesi UE adottano una Dichiarazione a sostegno della ripresa dei negoziati di pace, sollecitando l'impegno personale dei leaders delle due Parti e promuovendo l'avvio dei lavori della commissione d'inchiesta, cui è designato a partecipare anche Javier Solana, in qualità di Alto rappresentante PESC dell'Unione europea.
Il 10 dicembre il premier israeliano Barak presenta le proprie dimissioni al Capo dello Stato Moshe Katzav. Le nuove elezioni si svolgeranno agli inizi di febbraio 2001. Per il momento, si ritiene che debbano tenersi le sole elezioni per il premier, ma non si esclude ancora, in via definitiva, che possa essere sciolto anche il Parlamento (Knesset). Barak, che resta in carica per il disbrigo degli affari correnti, è proclamato candidato ufficiale del Partito laburista alle nuove elezioni, a seguito di una difficile riunione dei vertici del partito.
Dopo tre mesi di violenze, il Presidente americano Clinton riapre, alla fine del 2000, le porte al negoziato, presentando a israeliani e palestinesi una proposta di mediazione al fine di portare ad un accordo di pace. I punti principali della proposta riguardano:
- Ai palestinesi andrebbe il 95 per cento della Cisgiordania. Di tali terrritori, Israele acquisirebbe in via transitoria, per 20 anni, il tre per cento della Cisgiordania, corrispondente al centro di Hebron, e l'uno per cento nel Nord della striscia di Gaza. In cambio del cinque per cento della Cisgiordania, che resterebbe sotto il suo controllo, Israele dovrebbe cedere i territori a Sudest della striscia di Gaza.
- Israele manterrebbe inoltre il controllo degli insediamenti ebraici più grandi intorno a Gerusalemme, rinunciando in cambio a 60-70 insediamenti in Cisgiordania e nella striscia di Gaza.
- E’ infine prevista la realizzazione di un corridoio di circa 15 chilometri, che dividerebbe in due parti la Cisgiordania, portando dal Mar Morto a Gerusalemme.
Il piano prevede la sovranità palestinese sulla Spianata delle Moschee, il terzo luogo sacro dell'Islam: Israele manterrebbe il controllo dei siti archeologici sotto la superficie e sul sottostante Muro del Pianto e su tutto il pendio occidentale della collina. Ai palestinesi andrebbe inoltre il controllo dei quartieri arabi di Gerusalemme.
Le truppe di Israele rimarrebbero nella valle del Giordano pattugliando i confini per un periodo di tempo fra tre e sei anni. In seguito, le truppe sarebbero sostituite da una forza internazionale.
Il piano americano metterebbe da parte, per il momento, il "diritto al ritorno" per buona parte dei tre milioni e mezzo di palestinesi usciti da Israele e dai Territori dal 1947. Soltanto una parte dei profughi troverebbe infatti posto nel nuovo stato palestinese, ancora di meno in Israele. Verrebbe inoltre costituito un “pacchetto” di aiuti internazionali, per compensare i profughi e favorirne l'insediamento definitivo in Libano, Siria e Giordania, dove attualmente vivono.
Di fronte al proseguire dell’ondata di violenze, il 18 gennaio 2001, poche ore dopo l'assassinio a Gaza del direttore generale della televisione palestinese Hisham Miki, il leader palestinese Arafat e il Ministro degli esteri israeliano Ben Ami decidono di tenere un nuovo incontro al Cairo, per discutere alcune questioni legate al futuro dei negoziati e ai punti principali della proposta di mediazione americana. Al termine dell’incontro, il Presidente del Consiglio nazionale palestinese, Ahmed Qrei, riferisce di un accordo di massima raggiunto per una ripresa dei colloqui “ad oltranza” tra palestinesi e israeliani, da realizzare a Taba, sul Mar Rosso (Egitto), secondo quanto proposto da Arafat, a partire dal 21 gennaio 2001. Obiettivo della nuova “maratona negoziale” è quello di raggiungere un accordo-quadro, prima delle elezioni israeliane del 6 febbraio 2001. I colloqui tra le due delegazioni terminano però il 27 gennaio con una mera dichiarazione congiunta, in cui si sottolinea che, date le circostanze e le ristrettezze di tempo, non è stato possibile giungere a un’intesa su tutti i punti, anche se sono stati fatti alcuni progressi. In particolare, sono stati discussi quattro temi principali: i rifugiati palestinesi, la sicurezza, i confini e lo status di Gerusalemme. Sono state prese inoltre in considerazione anche le proposte avanzate dal Presidente Clinton.
Il 6 febbraio si svolgono in Israele le elezioni per il Primo Ministro. Risulta vincitore Ariel Sharon, leader del Likud, che ottiene il 62,5 per cento dei voti contro il 37,5 per cento del premier uscente Barak. Il 21 febbraio Barak rinuncia definitivamente al ministero della Difesa offertogli da Sharon e si dimette sia dalla direzione del partito laburista sia dalla carica di deputato alla Knesset. I 26 ministri e i 13 sottosegretari, tra cui spicca il nome di Simon Peres agli Esteri, appartengono ad una coalizione di sette partiti, che si avvale di una maggioranza numericamente solida (73 seggi su 120). Il nuovo Governo ottiene la fiducia del Parlamento il 7 marzo 2001, data in cui viene anche abrogata la legge per l’elezione diretta del premier (in vigore dal 1996), reintroducendo il vecchio sistema proporzionale.
Malgrado l’aggravarsi del conflitto israelo-palestinese dopo lo scoppio della seconda Intifada (settembre 2000), la Comunità internazionale non ha smesso di perseguire l’obiettivo del raggiungimento di un accordo per la cessazione delle violenze. La Commissione Mitchell già il 21 maggio 2001 aveva depositato il proprio rapporto, in base al quale si auspicava una distensione in più fasi, in primis con la cessazione di ogni ostilità per un breve ma congruo periodo, poi con l’avvio immediato di reciproche iniziative di ristabilimento della fiducia e, in un momento successivo, la ripresa dei negoziati per il raggiungimento di intese di fondo sulla scorta dei numerosi accordi degli anni precedenti. Il rapporto Mitchell richiedeva da parte palestinese la chiara dimostrazione di voler perseguire il terrorismo con atti concludenti, quali l’incarceramento degli estremisti e il blocco sul nascere delle azioni suicide. Agli israeliani veniva invece richiesto di fermare l’ulteriore espansione degli insediamenti in Cisgiordania e a Gaza, e di rispondere alle proteste di piazza palestinesi in modo più proporzionato e possibilmente non letale. Di poco successivo è il piano proposto dal Direttore della CIA, George Tenet, reso noto il 13 giugno 2001, che prevedeva l’ottenimento di un cessate il fuoco credibile e duraturo quale condizione necessaria per l’applicazione delle indicazioni contenute nel rapporto Mitchell.
Il rapporto Mitchell – per la cui applicazione Israele esige la cessazione totale e duratura di ogni attacco terroristico - ha costituito la base di tutti i successivi tentativi della Comunità internazionale di tamponare la gravissima situazione mediorientale.
In particolare, sia il comunicato congiunto USA-UE, nel contesto del Consiglio europeo di Goteborg di metà giugno 2001, sia le posizioni del G8 di Genova (20-22 luglio), hanno fatto esplicito riferimento al rapporto, e in quest’ultima sede si è ipotizzata la presenza di osservatori internazionali neutrali, sempre respinta però dagli israeliani.
Il Consiglio europeo di Laeken (14-15 dicembre 2001) ha ribadito, in un Allegato alle Conclusioni della Presidenza, la prospettiva di un meccanismo neutrale di sorveglianza nella regione, premessa per la fine delle sanguinose ostilità e la ripresa di colloqui di pace, con l’obiettivo finale di giungere ad una pacifica coesistenza di due Stati. Da Laeken è uscita la richiesta a Israele di cessare ogni azione militare e ritirarsi dalle aree palestinesi, e ad Arafat – di cui è stata ribadita la centralità come unica controparte credibile degli israeliani – di rafforzare la propria autorità nell’ANP. L’impegno economico della UE per alleviare le critiche condizioni materiali dei palestinesi per mezzo di un piano di aiuti vasto e organico è stato un altro punto nodale dell’Allegato di Laeken.
Il 30 marzo 2002, al termine di una sessione di emergenza aperta dal Segretario Generale Kofi Annan, il Consiglio di sicurezza dell’ONU - che il 12 marzo aveva adottato una risoluzione (la n. 1397) in cui si auspicava la coesistenza di due Stati, Israele e Palestina, all’interno di confini sicuri e riconosciuti - ha approvato la risoluzione n. 1402 chiedendo il ritiro delle truppe israeliane dalle città palestinesi, inclusa Ramallah. Il Consiglio di sicurezza ha inoltre approvato il 4 aprile la risoluzione n. 1403, presentata dagli Stati Uniti, per chiedere l’applicazione immediata della risoluzione n. 1402, cioè la cessazione delle operazioni militari da parte israeliana.
L’attuazione immediata della Risoluzione n. 1402 è stata ribadita anche nella Dichiarazione congiunta UE-USA-ONU e Russia, approvata a Madrid il 10 aprile 2002.
Nella Dichiarazione è stato accolto positivamente il piano di pace saudita approvato a Beirut dalla Lega Araba e si è espresso un forte sostegno alla imminente missione del Segretario di Stato americano in Medio Oriente.
La Dichiarazione si chiude con un invito rivolto alla Comunità internazionale, chiamata a tutelare, rafforzare e assistere l’Autorità Nazionale Palestinese, sostenendo finanziariamente la ricostruzione economica e istituzionale della stessa.
Un ulteriore tentativo di mediazione è stato quello del Ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer, reso noto in un’intervista pubblicata dal settimanale tedesco Die Zeit l’11 aprile 2002.
I primi punti del c.d. Piano Fischer hanno previsto una tregua senza condizioni e il ritiro delle forze israeliane da tutti i territori palestinesi, con il blocco di nuovi insediamenti, vale a dire l’attuazione immediata delle risoluzioni approvate dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Il passo successivo alla tregua sarà, secondo Fischer, la “completa separazione”, cioè il riconoscimento reciproco di israeliani e palestinesi. Sarà compito della comunità internazionale (in particolare USA, Russia, ONU e UE) fornire una efficace “componente di sicurezza”, cioè una forza internazionale a garanzia del processo di pace. Un altro punto centrale della proposta riguarda l’insistenza sulla creazione di istituzioni democratiche palestinesi, basate sulla divisione dei poteri, l’autonomia dei tribunali e una singola forza di polizia, in altre parole lo smantellamento di tutte le milizie armate attualmente tollerate da Arafat. Per quanto riguarda le scadenze temporali, la proposta di Fischer ha auspicato lo svolgimento di negoziati per la chiusura della questione israelo-palestinese entro due anni, nonché la normalizzazione dei rapporti israeliani con i paesi arabi.
Alla Quinta Conferenza euromediterranea (Valencia, 22-23 aprile 2002), i quindici Paesi dell’Unione si sono confrontati con Israele e i palestinesi sulla possibilità di sbloccare la crisi in Medio Oriente, ma Siria e Libano non hanno partecipato ai lavori della Conferenza.
Il 5 maggio 2002 è stato siglato da israeliani e palestinesi un Memorandum d’intesa per l’evacuazione pacifica di 126 palestinesi rimasti asserragliati nella Chiesa della Natività a Betlemme.
Entrambe le Parti hanno concordato che 39 militanti presenti nella chiesa costituivano “un gruppo associato con precedenti attività nefaste che provocano preoccupazione a Israele”, e, in quella lista, 13 erano da considerarsi militanti “duri”, da inviare all’estero per un periodo da stabilire. Per quanto riguarda il trasferimento all’estero di questi ultimi, il 9 maggio è stata trovata una soluzione “europea”: secondo l’intesa messa a punto dalla presidenza di turno spagnola i tredici sono stati trasferiti a Cipro per qualche giorno, in attesa di raggiungere i Paesi[29] di destinazione finale.
Il 7 maggio 2002 l’Assemblea Generale dell’ONU, riunita in sessione speciale di emergenza, ha approvato una risoluzione che condanna Israele per la sua offensiva in Cisgiordania e per aver rifiutato di collaborare con le Nazioni Unite per far luce sui presunti massacri avvenuti nel campo profughi di Jenin.
Al fine di poter meglio contrastare l’escalation di attentati terroristici, il Governo israeliano ha deciso di avviare, a metà giugno 2002, la costruzione di una barriera di reticolati e cemento per separare il territorio di Israele da quello della Cisgiordania, un confine “virtuale” che per circa 360 Km corre a ridosso della linea verde di demarcazione precedente all'armistizio del 1967.
I leader europei, riuniti nel Vertice di Siviglia (21-22 giugno 2002), hanno ribadito la necessità di un intervento della Comunità internazionale, attraverso una Conferenza con la partecipazione dei membri del 'quartetto', Ue, Usa, ONU e Russia, e dei paesi arabi moderati, accanto a Israele e Anp. Insieme a una nuova ferma condanna da parte degli europei di tutti gli attentati terroristici, i Quindici si sono pronunciati anche per la fine dell'occupazione dei territori palestinesi e per la creazione di uno Stato palestinese riformato - e qui vi è stato un richiamo alle responsabilità di Arafat -, democratico, pacifico e sovrano. Nel complesso l'Unione europea ha marcato una posizione distinta rispetto a quella americana, soprattutto in merito al ruolo di Arafat, del quale gli europei non condividono l'emarginazione, e alla necessità di una Conferenza internazionale.
Il 24 settembre il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha approvato, con 14 voti favorevoli e l’astensione degli Stati Uniti, la Risoluzione n. 1435 che chiede il sollecito ritiro delle forze di occupazione israeliane dalle città palestinesi per tornare alle posizioni precedenti al settembre 2000 e la cessazione delle misure dirette alla distruzione delle infrastrutture civili e di sicurezza palestinesi. Le Nazioni Unite richiamano, nel contempo, l’Autorità palestinese a conformarsi agli impegni assunti per contrastare il terrorismo, consegnando alla giustizia i responsabili degli attacchi compiuti.
Alla fine di ottobre 2002 si è aperta in Israele la crisi di Governo che ha portato alla decisione di indire elezioni anticipate per il mese di gennaio.
La crisi è stata innescata dal rifiuto dei ministri laburisti di votare a favore della legge di bilancio per il 2003: il 5 novembre il Presidente israeliano Moshe Katsav ha quindi disposto lo scioglimento della Knesset. Alle primarie dei laburisti, nella scelta della nomination per il futuro premier la vittoria non è andata al leader ed ex Ministro della difesa Ben Eliezer, bensì al sindaco di Haifa Amram Mizna. Sul versante opposto, alle analoghe primarie del Likud per la candidatura a Primo ministro, il premier Sharon ha nettamente superato Benyamin Netanyahu.
Il Consiglio europeo di Copenhagen (12-13 dicembre 2002) non ha registrato sul Medio Oriente particolari novità, mostrando peraltro particolare preoccupazione - oltre logicamente rispetto alla situazione di perdurante violenza - per il proseguire della politica israeliana degli insediamenti e della confisca di terre palestinesi per la costruzione di barriere difensive, nonché per la situazione umanitaria sempre più deteriorata a Gaza e in Cisgiordania. I Quindici hanno inoltre auspicato la sollecita fissazione, da parte del Quartetto, di una road map (tabella di marcia) che conduca alla fine, mediante negoziati in progress, alla creazione di uno Stato palestinese entro il 2005. Proprio sui tempi della messa a punto di questo piano di pace, tuttavia, la consultazione semestrale USA-UE, tenutasi a Washington il 18 dicembre, non ha registrato alcuna intesa.
A metà dicembre 2002, intanto, vi è stata una netta presa di posizione di Arafat contro Al Qaida e Bin-Laden, esplicitamente accusato - in un'intervista al Sunday Times - di strumentalizzazione della causa palestinese e diffidato dal continuare a percorrere questa via.
Il 22 dicembre la direzione politica dell'ANP ha annunciato la temporanea rinuncia a far svolgere le elezioni presidenziali e legislative palestinesi, previste per il 20 gennaio 2003, motivando la decisione con l'occupazione israeliana di ampie zone dei Territori formalmente sotto il proprio controllo. Anche il dibattito palestinese sulla Costituzione nazionale, previsto a Ramallah per il 9 gennaio 2003, è stato di fatto impedito dopo l'attentato di Tel Aviv del 5 gennaio che ha provocato circa venti morti. Un appello di Arafat per una cessazione degli attentati in vista delle elezioni israeliane è stato respinto dallo sceicco Yassin, capo spirituale di Hamas, e l'incontro promosso al Cairo (28 gennaio 2003) dal Governo egiziano tra i principali raggruppamenti politici palestinesi si è concluso senza una dichiarazione finale, soprattutto per l'incertezza sulla proposta egiziana di una tregua annuale negli attentati contro Israele.
Uguale continuità si è registrata nella prima parte del 2003 per quanto concerne la stasi nelle iniziative internazionali per giungere a una pace negoziata: in questo periodo è stata la crisi irachena a calamitare la maggior parte dell'attenzione della Comunità internazionale, vicenda peraltro strettamente connessa, per i riflessi nell'intera area mediorientale, anche a quella del conflitto israelo-palestinese.
Il 28 gennaio 2003 si sono tenute le elezioni in Israele: il Likud di Sharon è risultato il primo Partito nella Knesset con 37 seggi su 120: il Partito laburista è invece sceso al minimo storico, con appena 19 seggi. Il terzo partito è risultato il laico Shinui, guidato da Tommy Lapid, passato da 6 a 15 seggi dopo una campagna elettorale fortemente connotata in senso anticlericale (contro cioè l'influenza politica e sociale dei gruppi ebraici ultraortodossi, in primo luogo il Partito Shas, al quarto posto con 11 seggi).
Una novità nel campo palestinese - peraltro investito anche dall'inchiesta aperta dall'Ufficio UE antifrodi (OLAF) sulla gestione degli ingenti finanziamenti europei all'ANP - si è registrata il 14 febbraio 2003, quando Arafat ha annunciato ai rappresentanti del 'quartetto' la decisione di nominare un premier palestinese.
Il 27 febbraio il nuovo Governo Sharon ha ottenuto la fiducia della Knesset: la compagine rappresenta nel complesso uno spostamento a destra, anche se Sharon ha potuto fare a meno del partito ultraortodosso sefardita Shas, includendo nel Governo lo Shinui.
Il 14 marzo 2003 il Presidente USA Bush ha annunciato che la consegna alle Parti in causa della road map sarebbe avvenuta dopo la conferma, da parte del Consiglio legislativo palestinese, della nomina del moderato Abu Mazen[30] a nuovo premier con effettivi poteri, avvenuta quattro giorni dopo.
Tuttavia, i rapporti tra Arafat e Abu Mazen si sono fatti tesi alla metà di aprile, quando il primo ha respinto la lista di ministri presentatagli, e il contrasto si è mostrato assai aspro in merito al Dicastero-chiave degli Interni. Le forti pressioni internazionali hanno infine fatto pendere la bilancia a favore del neo premier, che il 23 aprile ha avuto il placet di Arafat, e il 29 aprile la fiducia del Consiglio legislativo palestinese. Il 30 aprile è stata finalmente presentata alle Parti la road map.
Il piano nella prima fase richiede da parte palestinese l'immediata cessazione degli attacchi terroristici contro Israele, accompagnata dalla ripresa di un dialogo sulla sicurezza con lo Stato ebraico e da riforme politiche globali in seno all'Autorità palestinese. Israele, dal canto suo, dovrà adoperarsi per la normalizzazione della vita dei palestinesi, ritirandosi progressivamente - in corrispondenza con il ripristino di sempre maggiori condizioni di sicurezza - dai territori rioccupati dopo l'inizio (settembre 2000) della seconda Intifada e congelando ogni attività di colonizzazione. Israele dovrà più precisamente smantellare gli insediamenti successivi al marzo 2001, e dovrà riconoscere senza ambiguità il diritto alla nascita di uno Stato palestinese indipendente e sovrano.
La seconda fase prevede la creazione entro il 2003 di uno stato palestinese con frontiere provvisorie, riconosciuto dalle Nazioni Unite, e dotato di istituzioni democratiche, da realizzare attraverso libere elezioni. Verrà convocata una Conferenza internazionale per una pace globale in Medio oriente.
La terza fase prevede lo svolgimento nel 2004 di una seconda Conferenza internazionale, al fine di giungere entro l'anno seguente alla creazione entro confini definitivi di uno Stato palestinese. In quel momento si affronteranno anche in via definitiva i nodi dello status di Gerusalemme, degli insediamenti e del ritorno dei profughi palestinesi.
L'itinerario da perseguire continua tuttavia ad essere reso difficilissimo dal perdurare degli attentati suicidi contro gli ebrei, e dalle reazioni militari di questi, e ciò è proseguito quasi senza soluzione di continuità anche per tutto il 2003.
Per quanto riguarda il premier israeliano Sharon, questi, già nel contesto immediatamente successivo alla caduta del regime di Saddam Hussein, ha rilasciato dichiarazioni di disponibilità - nel nuovo clima mediorientale - a prendere in considerazione anche la rinuncia a importanti siti storici ebraici in cambio di una vera pace, consentendo altresì la nascita di uno Stato palestinese. Successivamente però Sharon - soprattutto dopo la presentazione della road map - è sembrato assumere una posizione assai più prudente in vista dei negoziati connessi all'attuazione del tracciato di pace. Una sua visita negli USA, programmata per il 20 maggio, è stata rinviata per gli ennesimi gravi attentati a Gerusalemme e Hebron, e ciò ha impedito anche il viaggio di Abu Mazen - che tuttavia si è incontrato per la prima volta con Sharon - a Washington. Sharon ha ribadito con nettezza la sua contrarietà al perdurare di qualsiasi ruolo di Arafat, ventilandone la possibile espulsione.
Il confronto intorno al testo della road map è comunque proseguito, con gli israeliani che hanno avanzato una serie di riserve[31], e che avrebbero voluto poter modificare su alcuni punti la road map: i palestinesi hanno insistito invece sull'inizio dell'attuazione della road map senza alcun emendamento, pur non escludendo di poter avanzare a loro volta, in un secondo momento, alcune obiezioni al piano di pace.
In ogni modo, il 25 maggio il Governo israeliano ha dato il suo assenso alla road map, precisando tuttavia che il via libera al piano di pace tiene conto dell'atteggiamento americano di disponibilità a un esame serio e completo delle riserve già avanzate. Inoltre, gli israeliani hanno separatamente affermato che in nessun caso la questione dei profughi potrà mai risolversi con il loro rientro nel territorio di Israele, poiché ciò snaturerebbe il carattere ebraico dello Stato. Negative le reazioni di Abu Mazen - per tacere di quelle dell'ala radicale palestinese -, contrario a qualunque modifica della road map.
Il 28 maggio è iniziata a Teheran la Conferenza dei ministri degli Esteri dell'OCI (Organizzazione della Conferenza islamica): rispetto all'evoluzione della crisi israelo-palestinese, l'OCI è apparsa piuttosto divisa al proprio interno, tra le posizioni di adesione critica all'attuazione della road map - sostenute dai segretari generali dell'OCI e della Lega Araba - e quelle di rinnovato sostegno alla resistenza palestinese (Iran) o di indifferenza per il piano di pace (Siria).
Nella serata del 30 maggio si verifica il secondo incontro tra Abu Mazen e Sharon, da entrambi definito molto positivamente: il Governo di Israele si è impegnato al rilascio di un centinaio di palestinesi, mentre le forze israeliane hanno lasciato le città palestinesi della Cisgiordania, attestandosi tuttavia nelle periferie. Inoltre Israele ha deciso alcune misure per attenuare il disagio economico e sociale dei palestinesi, riammettendo nel Paese 25.000 pendolari e 8.000 uomini d'affari, e sbloccando le entrate fiscali e doganali di competenza dell'ANP congelate dagli israeliani in concomitanza con l'Intifada. Tutto ciò si pone nella prospettiva dell’imminente incontro di Aqaba (Giordania) tra Sharon, Abu Mazen e il Presidente Bush, che ha luogo il 4 giugno.
Yasser Arafat, da Ramallah, ha commentato con forte scetticismo i risultati del vertice di Aqaba, mentre il movimento Hamas ha dichiarato doversi considerare interrotto il dialogo con Abu Mazen e l'ANP, in ragione degli impegni assunti dal premier palestinese, ignorando il fatto dell'occupazione israeliana di territori palestinesi, i diritti dei profughi e quelli dei detenuti 'politici' nelle prigioni israeliane.
La Siria e il Libano, dal canto loro, hanno reagito con durezza alla missione mediorientale di Bush, lamentando la mancanza di una road map che concerna il superamento dei contrasti di Israele con i due Stati, e non dando eccessivo credito alla volontà di pace del Governo Sharon.
Nonostante nuovi cruenti attacchi dei gruppi armati palestinesi, e una dura contestazione subita al congresso del proprio partito, il Likud, Sharon dispone il 9 giugno l'inizio dello smantellamento di alcuni insediamenti ebraici illegali.
Tuttavia, dopo un fallito attentato israeliano al numero due di Hamas, Rantisi, l'11 giugno un kamikaze palestinese provoca una strage in un autobus a Gerusalemme: Sharon dichiara una guerra totale contro Hamas - sostenendo che la difesa dagli attacchi terroristici è una prerogativa di Israele che prescinde dagli impegni assunti ad Aqaba -, con rappresaglie missilistiche immediate.
Dopo alcuni giorni in cui ad azioni massicce di rappresaglia e di arresto di palestinesi da parte dell'esercito israeliano hanno fatto da pendant divergenze all'interno di Hamas, e nuovi attacchi contro civili israeliani; il ministro dell'ANP per la sicurezza interna Dahlan e il generale israeliano Ghilad hanno raggiunto il 27 giugno un accordo sul ritiro, a partire dal 30 giugno, delle truppe israeliane dalla parte nord della striscia di Gaza e da Betlemme.
L'incontro tra Abu Mazen e Sharon del 1° luglio, avvenuto a Gerusalemme in un clima di speranza, ha visto il premier palestinese accolto con tutti gli onori. Nelle settimane successive la tregua è sembrata nel complesso reggere, anche se vi sono stati isolati episodi di violenza - stigmatizzati da Abu Mazen quali "atti di terrorismo" - che hanno provocato contenute reazioni isreliane.
Tuttavia, con il trascorrere dei giorni il dissidio tra Arafat e Abu Mazen riguardo alle trattative con Israele per l’attuazione della road map è divenuto sempre più aspro.
All'inizio di agosto, pur proseguendo la successione di segnali contraddittori nei comportamenti delle parti in conflitto, le tensioni si aggravano: all'annuncio della lista di prigionieri palestinesi che il Governo di Tel Aviv intende rilasciare, Abu Mazen cancella il previsto incontro del 6 agosto con Sharon, come segno dell'insoddisfazione dell'ANP per la portata del provvedimento.
Il 12 agosto due attentati suicidi contro Israele hanno riacceso le preoccupazioni: il movimento Hamas, rivendicando uno dei due attacchi, lo ha correlato all'uccisione l'8 agosto di quattro palestinesi. L'attentato ha provocato il congelamento de facto, da parte israeliana, dell'attuazione della road map.
Il 19 agosto si verifica uno dei più gravi attentati della storia di Israele: un kamikaze palestinese, facendosi esplodere in un autobus pieno di famiglie religiose ebree, provoca venti morti (tra cui diversi bambini) e oltre cento feriti: da questo momento il già difficile processo di attuazione della road map entra in una fase di incertezza pressoché totale. Il 21 agosto l'aviazione israeliana uccide a Gaza Abu Shanab, uno dei più alti dirigenti di Hamas: il movimento dichiara di non considerarsi più vincolato dalla tregua di giugno, seguito subito dopo da analoga presa di posizione della Jihad islamica. Il Gabinetto per la sicurezza di Israele autorizza l'esercito a una serie di operazioni repressive, comprese nuove eliminazioni mirate (il 29 agosto saranno otto gli esponenti di Hamas liquidati). Gli Stati Uniti procedono intanto a congelare i beni di sei esponenti politici di Hamas e quelli di alcune Organizzazioni non governative europee sospettate di finanziare il gruppo integralista palestinese.
Il 4 settembre il premier Abu Mazen riferisce al Consiglio legislativo palestinese sui primi cento giorni del proprio mandato: nel corso dell’intervento, Abu Mazen pone un aut aut, giudicando insufficiente il consenso che fino a quel momento ha accompagnato la sua azione, soprattutto per i problemi con Arafat (da ultimo sulla questione del controllo complessivo dei servizi di sicurezza, che il premier ha rivendicato). In mancanza di un più forte sostegno, Abu Mazen ha posto al Consiglio legislativo l’alternativa di revocargli il mandato. Il Consiglio rinvia alla settimana successiva il voto di fiducia, ma il 6 settembre Abu Mazen presenta le dimissioni.
L'8 settembre il Presidente del Consiglio legislativo palestinese, Abu Ala[32], che il giorno precedente aveva ricevuto da Arafat la richiesta di dar vita a un nuovo esecutivo, scioglie la riserva, appellandosi a un forte sostegno USA e UE per l'attuazione della road map. La reazione israeliana è molto prudente, e comunque totalmente scettica sul perdurare del ruolo politico di Arafat.
Mentre Abu Ala rende note le condizioni poste per la prosecuzione del proprio tentativo di formare un nuovo Governo (nuovo impulso internazionale per il rilancio della road map, libertà di movimento per Arafat, fine delle operazioni militari israeliane nei terrirori e trattamento paritario dell'ANP); Hamas consuma (9 settembre) la vendetta per il fallito attacco contro lo sceicco Yassin, quando un kamikaze palestinese si fa esplodere vicino a una base israeliana, uccidendo diversi militari.
L'11 settembre la dialettica politica in seno ai Palestinesi costringe Abu Ala a rinunciare al progetto – utile per acquistare credito presso USA e UE - di un Governo con pochi ministri e tutto concentrato sui problemi della sicurezza: in base a quanto deciso dal Comitato esecutivo dell’OLP e dal Comitato centrale di Al Fatah, il nuovo Governo si profila come esecutivo di ampia rappresentanza, che oltretutto verrà affiancato da un Consiglio per la sicurezza nazionale diretto dallo stesso Presidente Arafat.
Nella stessa giornata il Presidente egiziano Mubarak, in visita a Roma, ove ha avuto un lungo colloquio con il premier italiano e Presidente di turno della UE Silvio Berlusconi, ha ribadito il ruolo centrale di Arafat nel processo di pace.
Da parte israeliana si è palesato tutt'altro avviso: il Governo ha deciso in linea di principio l'espulsione di Arafat dai Territori, rinviando però l'esecuzione immediata del provvedimento, soprattutto per la contrarietà degli Stati Uniti, preoccupati delle ripercussioni sul già arduo processo di attuazione della road map. Anche l'Italia ha espresso disappunto per la decisione israeliana, sia nella persona del ministro degli Esteri Frattini a nome della Presidenza UE, sia in una dichiarazione letta dal Capo dello Stato Ciampi a margine del proprio incontro (12 settembre) con Mubarak. Le reazioni di contrarietà alla decisione israeliana coinvolgono anche tutti gli altri principali Stati membri dell'Unione europea, nonché la Russia, gli Stati arabi e lo stesso Segretario generale dell'ONU.
Sempre l'11 settembre l'Unione europea, facendo seguito a un'intesa politica raggiunta il 6 settembre nel Vertice informale dei ministri degli Esteri dei Quindici di Riva del Garda, formalizza l'accordo - in vigore dal giorno successivo - per l'iscrizione anche dell'ala politica di Hamas nella propria "lista nera" dei movimenti terroristici, con il conseguente congelamento nel territorio dell'Unione di tutti i fondi riconducibili al movimento palestinese.
Il 16 settembre gli Stati uniti si avvalgono del diritto di veto in seno al Consiglio di sicurezza dell'ONU per bloccare un progetto di risoluzione presentato dalla Siria, con il quale si chiedeva a Israele di cessare dalle minacce di espulsione nei confronti di Arafat. Il 19 settembre un analogo testo, emendato per iniziativa della Presidenza italiana della UE nel senso di esprimere anche una condanna degli attentati contro civili israeliani, viene approvata da una larga maggioranza dell'Assemblea Generale dell'ONU.
Il 4 ottobre un nuovo grave attentato provoca 19 morti israeliani a Haifa: Abu Ala condanna l'episodio, chiedendo ai gruppi armati palestinesi di porre fine al terrorismo, ma ambienti del Governo di Tel Aviv accusano esplicitamente l'ANP per l'attentato. La ritorsione di Israele, immediata (5 ottobre), colpisce per la prima volta dopo 21 anni il territorio siriano, ove i jet israeliani attaccano un obiettivo definito "campo d'addestramento di terroristi": il raid viene duramente condannato dal ministro degli esteri iraniano Kharrazi. Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU si riunisce in seduta d'urgenza.
Intanto Arafat nomina Abu Ala a capo di un Governo di emergenza, composto di soli otto ministri, dichiarando nel contempo lo stato di emergenza nei Territori: il nuovo esecutivo, in base alla legge palestinese, può governare per decreto, proprio perché nominato in presenza di uno stato di emergenza. Trascorso un mese, tuttavia, dovrà chiedere la fiducia del Consiglio legislativo palestinese.
Il 13 ottobre si chiarisce che almeno temporaneamente Arafat ha prevalso sugli oppositori interni: si riunisce infatti per la prima volta il nuovo Governo di emergenza, presieduto da Abu Ala (che ha ritirato le dimissioni presentate il 9 ottobre).
Il 22 ottobre, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato, con 144 voti a favore, 4 contrari e 12 astensioni, una risoluzione che chiede al governo di Tel Aviv di porre termine alla costruzione del muro nei territori occupati palestinesi. L'Unione europea e la Russia - componenti del “Quartetto” di promotori del piano di pace (Road map) - hanno votato a favore della risoluzione, mentre gli Stati Uniti (insieme a Israele, isole Marshall e Micronesia) hanno votato contro.
Il 12 novembre il nuovo governo di Abu Ala riceve la fiducia del Consiglio legislativo palestinese (CLP). IL governo è formato da 26 ministri, dei quali 22 appartenenti ad Al Fatah, il movimento palestinese fondato e guidato da Yasser Arafat, 2 indipendenti e 2 esponenti di partiti minori.
Per la prima volta il papa Giovanni Paolo II ha parlato (16 novembre) del muro che il governo israeliano sta costruendo. Il papa ha rinnovato la ''ferma condanna'' per ogni azione terroristica compiuta in Terra Santa aggiungendo però che ''la costruzione di un muro tra il popolo israeliano e quello palestinese è vista da molti come un nuovo ostacolo sulla strada verso una pacifica convivenza”.
Prima giornata (17 novembre) della visita a Roma del Premier israeliano Sharon, che ha incontrato i Presidenti di Camera e Senato e la Comunità ebraica italiana. Nel corso di quest’ultimo incontro, Sharon ha dichiarato che “l’Italia è il più grande amico che abbiamo in Europa”.
Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha approvato (19 novembre 2003) all'unanimità una risoluzione (n. 1515), presentata dalla Russia, che approva la Road Map e fa appello alle parti affinché vengano rispettati gli obblighi da essa previsti per il raggiungimento di due Stati che possano coesistere fianco a fianco in condizioni di pace e sicurezza. In risposta all’approvazione della risoluzione 1515, il governo di Israele ha diffuso un comunicato nel quale si precisa che l’attuazione della Road Map è comunque subordinata alle 14 riserve poste da Israele[33] e agli accordi fra Israele e gli Stati Uniti. Il comunicato aggiunge anche che il piano di pace può essere realizzato solo con negoziati diretti e intese con i palestinesi.
In una situazione di permanente conflitto, senza che l’attuazione della road map segnasse progressi, la strategia israeliana nel 2004 si è progressivamente incentrata sull’approccio unilaterale a una serie di questioni aperte, accompagnato da una lotta senza quartiere contro i gruppi armati palestinesi. In tale contesto si pone certamente come principale risultato la messa a punto del piano Sharon per il ritiro unilaterale di Israele da Gaza e da parte della Cisgiordania.
In dettaglio, il Piano prevedeva l’abbandono israeliano di tutti gli insediamenti e di tutte le strutture militari della striscia di Gaza, con la creazione di un’amministrazione fiduciaria internazionale che ne avrebbe curato il trasferimento di proprietà ai palestinesi (con eventuale indennizzo parziale a Iasraele). Il confine tra Gaza e l’Egitto sarebbe rimasto, almeno in una prima fase, sotto controllo israeliano, come anche lo spazio aereo di Gaza e la relativa fascia costiera. Il ritiro dalla Cisgiordania, di portata limitata, doveva comprendere quattro insediamenti minori, ma progressivamente l’esercito avrebbe ridotto la propria presenza in tutte le città della Cisgiordania, e smantellato i posti di blocco; tuttavia, apparivano rilevanti le previsioni volte a facilitare – mediante la costruzione di adeguate infrastrutture - la mobilità della popolazione palestinese, nonché la revisione del tracciato della barriera di sicurezza fatta in modo da lasciarne fuori una porzione maggiore di territorio palestinese.
Respinto dapprima dal partito di Sharon, il Likud, il Piano veniva poi approvato dal Governo (giugno 2004) e dal Parlamento (ottobre 2004), e si rivelava come propedeutico a un sensibile cambiamento nello scenario politico: l’esecutivo guidato da Sharon, infatti, dopo il ritiro del partito Shinui di Tommy Lapid, si trovava in forte minoranza all’interno della Knesset. L’approvazione del Piano rendeva possibile gettare un ponte verso l’opposizione laburista, alla quale alla fine lo stesso Likud accettava di allargare il Governo, con la formazione di una compagine di unità nazionale con otto ministri laburisti, che il 10 gennaio 2005 otteneva l’approvazione parlamentare. Non va dimenticato il fatto-chiave che ha costituito lo sfondo per l’evoluzione politica israeliana, ossia la morte di Yasser Arafat, avvenuta l’11 novembre 2004 in un ospedale militare nei pressi di Parigi. Per la successione di Arafat come presidente dell’ANP è emersa quasi subito la candidatura di Abu Mazen, che, pur avversato dalle frange palestinesi più estremiste, il 9 gennaio 2005 veniva eletto presidente dell’ANP con una larga maggioranza di voti.
Grandi speranze ha destato il primo atto significativo della presidenza di Abu Mazen, ossia l’incontro di Sharm-el-Sheik con Sharon, avvenuto l’8 febbraio 2005 alla presenza del presidente egiziano Mubarak e del re di Giordania: l’incontro non ha definito impegni specifici, ma in esso sono state rilasciate dichiarazioni significative della volontà di pace delle due parti. Tuttavia le fazioni palestinesi estremiste si sono dichiarate non vincolate dalle posizioni dll’ANP, per la quale ultima un primo campanello di allarme sono state le elezioni amministrative a Gaza, nettamente dominate da Hamas. In ogni modo, l’incontro di Sharm-el-Sheik ha sancito pro-tempore la fine, dopo quattro anni, della seconda Intifada: il Governo di Tel Aviv, dal canto suo, ha compiuto dopo l’incontro alcuni gesti di disponibilità, come la liberazione di circa cinquecento prigionieri palestinesi e la riapertura di diversi transiti chiusi da mesi. Inoltre, e non meno rilevante, Israele si è impegnata a trasferire al più presto sotto controllo palestinese due città, tra le quali Gerico.
Ben più rilevante è stata, nel 2005, l’attuazione del Piano Sharon, accelerata dopo che nel giugno 2005 la Corte Suprema israeliana ha rigettato numerosi ricorsi di coloni, con l’argomentazione – invero di grande momento – che i Territori palestinesi non sono parte integrante dello Stato ebraico, in quanto occupati a seguito di eventi bellici. Già nel mese successivo veniva impedito l’accesso a Gaza agli attivisti ebrei contrari allo sgombero, mentre in Israele gli stessi elementio inscenavano numerose manifestazioni di protesta. Nel clima politico surriscaldato l’ex premier Netanyahu si dimetteva da ministro delle finanze. Nonostante il successo dello sgombero di coloni da Gaza, le ripercussioni politiche interne vedevano da un lato il rafforzamento nel Likud delle istanze più oltranziste, e dall’altro la sconfitta di Shimon Peres nelle primarie laburiste, a favore del leader sindacale Amir Peretz, contrario alla prosecuzione della collaborazione di governo con Sharon. Nei mesi di settembre e ottobre 2005, peraltro, si verificavano diversi attacchi israeliani proprio contro la striscia di Gaza, in risposta a lanci di missili e attentati perpetrati da estremisti palestinesi.
A questa situazione Ariel Sharon ha reagito come in passato con una clamorosa svolta, ossia l’uscita dal Likud e la fondazione del partito Kadima(Avanti!), cui avevano aderito molti importanti esponenti della destra e della sinistra, che i sondaggi – in vista delle lezioni politiche del 28 marzo 2006 – davano in netto vantaggio sui due tradizionali partiti di Israele.
Il Piano Sharon, come si è visto, prevedeva originariamente che il confine tra Gaza e l’Egitto sarebbe rimasto, almeno in una prima fase, sotto controllo israeliano: in realtà l’accordo raggiunto a metà novembre 2005, soprattutto per le pressioni USA su Israele, sulla riapertura entro dieci giorni del passaggio di Rafah ha visto l’accettazione israeliana di un confine diretto tra Gaza e l’Egitto controllato dai plaestinesi e dagli egiziani, con una mera supervisione a distanza degli israeliani, e la presenza di osservatori dell’Unione europea - guidati da un generale dei Carabinieri italiani -, che potranno intervenire in caso di controversie, ma anche procedere al fermo di persone o mezzi sospetti. L’accordo, che riflette anche le preoccupazioni della Comunità internazionale per il deteriorarsi della situazione economica a Gaza, include inoltre un collegamento tra Gaza e Cisgiordania mediante autobus scortati, la risistemazione del porto di Gaza e la riapertura entro il 2005 del valico commerciale di Karni, posto tra Gaza e Israele, e che permetterà allo Stato ebraico il controllo sulle importazioni.
Il clima di ottimismo seguito allo sgombero di Gaza e all’accordo su Rafah è stato però subito offuscato da un attentato suicida palestinese a Netanya, al quale sono seguite misure di rappresaglia decise da parte israeliana, e l’annuncio della ripresa delle esecuzioni mirate di esponenti palestinesi contigui al terrorismo. E’ stata inoltre creata una zona cuscinetto di 2,5 km. Nel nord della striscia, per cercare di contenere i lanci di razzi verso il territorio israeliano. A Gaza la situazione si presentava in termini di semi anarchia, con lotte intestine nell’ANP e iniziative in ordine sparso degli altri gruppi palestinesi, sempre nel segno della violenza. Per sovrammercato, il 29 dicembre Al Qaeda rivendica il lancio di missili dal Libano meridionale contro Israele, attività che finora era stata monopolio degli sciiti filoiraniani Hezbollah, che non si pensava avrebbero consentito all’ultra sunnita e wahabita Al Qaeda di assumere un tale livello di controllo nel loro territorio.
Nei primi giorni del 2006 Sharon, già colpito in dicembre da un leggero ictus e in procinto di essere operato al cuore, viene colpito da una grave emorragia cerebrale, dalla quale l’anziano leader – tuttora in vita, ma in stato vegetativo– non si è più ripreso. La fine della vicenda politica di Sharon, i cui poteri sono subito passati al vice premier Ehud Olmert, è un evento non previsto, ma suscettibile di rimettere in discussione il cammino di superamento del conflitto israelo-palestinese, e lo stesso futuro del partito Kadima, a tale obiettivo quasi interamente votato, nel progetto di uno Stato israeliano più piccolo – ma proprio perciò capace di mantnero il carattere ebraico -, da far coesistere con analoga entità palestinese.
A complicare la situazione è venuta la netta vittoria di Hamas nelle elezioni legislative palestinesi del 26 gennaio 2006: il movimento integralista ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi e il diritto a dar vita al nuovo Governo (il premier Abu Ala, conseguentemente, ha subito rassegnato il mandato). Caute ma improntate al pessimismo le reazioni di Ehud Olmert, consapevole dei riflessi negativi che la vittoria di Hamas potrebbe avere anche sul successo del partito Kadima.
Dal canto suo Hamas si trova di fronte al problema delle risorse con le quali finanziare l’ampio ventaglio di misure sociali promesse ai palestinesi: infatti, in mancanza di pprese di posizione nette contro la violenza e in favore degli accordi tra ANP e Israele, il rischio – in qualche caso già realtà – è quello di un congelamento sia dei fondi internazionali, sia di quelli di origine doganale o fiscale, che proprio in ragione degli accordi pregressi Israele versava alla ANP.
Dopo un periodo di incertezza, determinata anche dai possibili risultati delle ripetute pressioni internazionali su Hamas, il Governo israeliano ha messo in atto un’azione di forza: alla metà di marzo 2006 è stato attaccato con ingenti forze militari il carcere di Gerico, città ormai sotto il controllo dell’ANP, ottenendo dopo una giornata di combattimenti la resa dei detenuti. L’obiettivo dell’attacco erano sei detenuti, dei quali Israele temeva l’imminente rimessa in libertà, e in particolare tra questi Ahmed Saadat, capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (di ispirazione marxista e nazionalista araba). Saadat si trovava nel carcere di Gerico in attuazione di un’intesa pregressa, in quanto mandante dell’omicidio, nel 2001, del ministro israeliano per il turismo Zeevi. Rifugiatosi nel quartier generale di Arafat a Ramallah, Saadat fu destinato alla detenzione di Gerico da un accordo mediato dagli Stati Uniti, e in base al quale gli israeliani tolsero un pesante assedio a Ramallah.
Le reazioni palestinesi al blitz sono state violente, con attacchi di manifestanti ad uffici dell’ONU e dell’Unione europea, nonché il sequestro di undici stranieri, presto tuttavia rilasciati. L’attacco è stato definito da Abu Mazen un crimine imperdonabile e un’umiliazione per i palestinesi, i quali hanno attuato uno sciopero generale. Senza dubbio l’operazione, che ha rafforzato la posizione di Olmert nei sondaggi pre-elettorali, si è rivelata invece come ulteriore fattore di indebolimento per Abu Mazen e la sua visione più moderata, allontanando ulteriormente la prospettiva di un Governo palestinese di coalizione tra Hamas e Fatah. Non a caso, dopo ulteriori contrasti in merito al mancato riconoscimento, da parte di Hamas, dell’OLP (Organizzazione per la liberazione per la Palestina) quale vertice rappresentativo di tutto il popolo palestinese; si è giunti alla formazione di un Governo del solo Hamas, guidato da Ismail Haniyeh, che il 28 marzo 2006 ha ottenuto la fiducia del Consiglio legislativo palestinese. Nello stesso giorno si sono svolte le elezioni politiche israeliane, nelle quali il Partito di Olmert, Kadima, ha conquistato 29 seggi alla Knesset, maggioranza relativa ma meno ampia del previsto. I laburisti di Peretz hanno ottenuto 20 seggi, mantenendo sostanzialmente le precedenti posizioni, mentre il Likud è franato, con appena 12 seggi, gli stessi del partito religioso sefardita Shas. 11 seggi sono andati al partito di estrema destra degli ebrei russi, 9 alle liste arabe, 6 all’altro Partito religioso (ashkenazita), 7 ai pensionati, 5 al partito di sinistra Meretz.
Il movimento Hamas al Governo ha subito confermato di non voler procedere al riconoscimento di Israele, preferendo inoltre parlare di “tregua” più che di pace con Tel Aviv. In questo contesto i ministri degli Esteri della UE, riuniti a Lussemburgo il 10-11 aprile 2006, hanno deciso di interrompere gli aiuti finanziari diretti al Governo palestinese, mantenendo solo gli aiuti a carattere umanitario somministrati dalla Comunità internazionale; la decisione coinvolge anche gli aiuti forniti a livello bilaterale dagli Stati membri. In precedenza anche gli Stati Uniti avevano congelato i finanziamenti, mentre le Nazioni Unite hanno imposto ai propri funzionari di evitare incontri di livello politico con esponenti di Hamas. Un grave contrasto tra il presidente Abu Mazen e il Governo in merito al controllo prevalente delle forze di sicurezza palestinesi non contribuisce certo a rasserenare il clima nell’ANP.
Il 27 aprile è stato siglato un accordo di governo tra il Partito Kadima e i laburisti, nel quale si ammorbidiscono i toni rispetto al Piano enunciato qualche settimana prima da Olmert, e che prevedeva sì il ritiro da ampie zone della Cisgiordania, ma anche l’annessione di quelle con i più omogenei e più territorialmente contigui insediamenti ebraici. In conseguenza, il 4 maggio il Governo Olmert ha ricevuto la fiducia della Knesset.
Il 23 e 24 maggio il premier israeliano Olmert ha effettuato una visita negli Stati Uniti, ove si sono registrate pressioni americane per una soluzione non unilaterale della questione dei confini futuri: Olmert si è mostrato ancora relativamente ben disposto verso l’ala palestinese facente capo al Presidente Abu Mazen, ma in totale chiusura verso Hamas, accusato di terrorismo e antisemitismo.
Il 9 giugno la situazione subisce un ulteriore aggravamento: una rappresaglia israeliana dopo l’ennesimo lancio di razzi contro il territorio ebraico provoca una strage su una spiaggia di Gaza, con la morte di un’intera famiglia palestinese e altri due civili – in tutto sette morti – e più di trenta feriti. Di conseguenza, esplode il conflitto sempre latente fra Hamas e al-Fatah, con il movimento islamico al governo che dichiara la fine della tregua con Israele in corso da un anno e mezzo. Il contesto dello scontro politico palestinese vede l’approssimarsi del referendum indetto dal Presidente Abu Mazen per il 31 maggio, in vista di negoziati finali con Israele: Hamas osteggia la consultazione, e anche il numero due di Al-Qaeda, al-Zawahiri, ha invitato i palestinesi a disertare il referendum. Altro elemento di grande tensione è stata la prosecuzione da parte di Israele delle eliminazioni mirate, che già l’8 giugno avevano condotto all’uccisione di un personaggio di primissimo piano, Abu Samhadana, autore di numerosissimi attentati e designato da Hamas per la direzione generale del Ministero dell’interno palestinese, nonché quale capo della discussa “polizia parallela” di Hamas.
Il 12 giugno il conflitto fra Hamas e al-Fatah subisce una clamorosa escalation:a Ramallah (Cisgiordania) una manifestazione delle forze di sicurezza e delle brigate Al-Aqsa, entrambe fedeli ad Abu Mazen, è degenerata in assalto alle istituzioni governative palestinesi nelle mani di Hamas, che è giunto fino a dare alle fiamme la palazzina del Governo.
Il 25 giugno un commando palestinese attacca in territorio israeliano, non lontano dal confine con Gaza, e rapisce il caporale israeliano Gilad Shalit, di 19 anni: successivamente il braccio armato di Hamas propone lo scambio del prigioniero con tutte le donne e i ragazzi palestinesi sotto i 18 anni detenuti in Israele. La risposta di Olmert è lo schieramento dell’esercito sul confine di Gaza, pronto a un’azione su vasta scala nella striscia. La situazione non fa che approfondire il solco tra al-Fatah e Hamas.
Nella notte fra il 27 e il 28 giugno inizia l’offensiva israeliana, con l’ingresso dell’esercito nella parte meridionale di Gaza, preceduto da attacchi aerei contro infrastrutture di importanza vitale per Gaza: il 29 giugno le truppe israeliane arrestano otto ministri del governo di Hamas, mentre numerosi parlamentari e capi militari palestinesi vengono arrestati in Cisgiordania. Un gruppo collaterale ad Hamas annuncia l’uccisione di un giovane colono israeliano rapito il 26 giugno, mentre le truppe di Tel Aviv si avvicinano anche a Gaza nord. La situazione della popolazione nella striscia diviene insostenibile, con mancanza di acqua ed elettricità per settecentomila persone: al valico di Rafah vengono respinti molti palestinesi che tentavano di passare nel Sinai. Nella notte fra il 27 e il 28 giugno una trentina di attacchi aerei israeliani a Gaza colpiscono, tra l’altro, il Ministero palestinese dell’interno. Il 30 giugno il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si riunisce in sessione di emergenza, su richiesta dell’Algeria, per esaminare i profili di legittimità internazionale dell’azione israeliana a Gaza, che tuttavia prosegue e si intensifica a seguito della decisione del Governo di Tel Aviv (5 luglio): si configura in pratica una rioccupazione parziale della striscia, con la creazione di una zona-cuscinetto nella parte nord.
Il conflitto afghano è stato una diretta e quasi immediata conseguenza degli attentati terroristici dell’11 settembre. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il giorno successivo agli eventi, ha adottato la risoluzione 1368, nel cui preambolo si riconosceva il diritto di legittima difesa individuale e collettiva degli Stati Uniti. Va aggiunto che il par. 1 definiva gli attacchi terroristici “una minaccia alla pace” e nel par. 5 si affermava che il Consiglio era “pronto ad adottare tutte le misure necessarie per rispondere agli attacchi terroristici”. In sostanza il Consiglio, pur riconoscendo la possibilità di esercizio della legittima difesa, non è sembrato in un primo momento escludere l’eventualità di un intervento dell’Organizzazione.
Gli sviluppi internazionali successivi sono stati tuttavia di segno diverso. Lo stesso 12 settembre 2001, il Consiglio atlantico ha adottato una determinazione in cui si affermava che, qualora fosse stato accertata l’origine esterna degli attacchi terroristici, avrebbe trovato applicazione l’articolo 5 del Trattato di Washington, ai sensi del quale un attacco armato contro un membro dell’Alleanza deve essere considerato come un attacco contro tutti i membri dell’Alleanza stessa.
Il 4 ottobre i Ministri degli esteri e della difesa, dopo che al Consiglio atlantico l’ambasciatore statunitense aveva prodotto le prove del coinvolgimento dell’organizzazione terroristica Al Qaeda negli attentati, determinando il verificarsi della condizione per l’applicazione dell’art. 5 del Trattato, hanno riferito alle Commissioni riunite esteri e difesa di Camera e Senato sulla situazione, e in particolare sull’impegno richiesto all’Italia anche per effetto della sua appartenenza all’Alleanza atlantica.
A breve, è risultato chiaro che la grande maggioranza della comunità internazionale, con la sola eccezione di Iraq e Iran, concordava, o non nutriva in ogni caso obiezioni, all’equiparazione dell’azione terroristica dell’11 settembre con un attacco armato ai sensi dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. Una coalizione di Stati a guida statunitense ha quindi autonomamente avviato il 7 ottobre l’Operazione Enduring freedom, con l’obiettivo di colpire le cellule dell’organizzazione terroristica Al Qaeda presenti in Afghanistan, nonché il regime talebano complice di quest’ultima.
Le operazioni militari, iniziate il 7 ottobre, si sono protratte nei due mesi successivi dando luogo soprattutto ad attacchi aerei contro obiettivi militari e basi terroristiche in territorio afghano – causando tuttavia numerose vittime tra la popolazione civile - e provocando la caduta del regime talebano. A seguito della Conferenza di Bonn rappresentativa delle diverse espressioni della società afghana, svoltasi sotto il patrocinio dell’ONU, si è quindi addivenuti alla costituzione di un governo ad interim, che ha guidato il paese nel primo semestre del 2002. Il 13 giugno 2002 la Loya Jirga (l’Assemblea tradizionale afghana) ha eletto il premier Hamid Karzai alla guida del governo per un periodo di due anni, fino allo svolgimento delle elezioni generali. Le consultazioni elettorali si sono tenute il 9 ottobre 2004 e hanno confermato Karzai nella carica di presidente.
L’Italia ha partecipato alla missione a partire dal 18 novembre 2001 con un Gruppo navale d’altura composto dalla portaeromobili Garibaldi, da due fregate e da una rifornitrice di squadra. Successivamente l’impegno italiano si è ridotto prima a due e poi ad una sola unità navale.
Al termine del conflitto, la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 1386 del 2001, come previsto dall’allegato 1 dell’accordo raggiunto a Bonn, ha autorizzato la costituzione di una forza di intervento internazionale (International Security Assistance Force: ISAF) con il compito di garantire un ambiente sicuro nell’area di Kabul, a tutela dell’Autorità provvisoria afghana guidata da Hamid Karzai. Successive risoluzioni del Consiglio di sicurezza hanno prorogato il mandato della forza internazionale che, sulla base della risoluzione 1510 del 13 ottobre 2003, ha svolto la propria attività anche al di fuori dell’area di Kabul. A partire dall’aprile del 2003, la NATO ha assunto i compiti di comando, coordinamento e pianificazione della missione ISAF.
La partecipazione italiana ad entrambe le missioni ha, nel tempo, mutato le proprie caratteristiche. Per quanto riguarda Enduring Freedom, dal 15 marzo al 15 settembre 2003 è stata operativa in Afghanistan la Task Force “Nibbio”, costituita da circa mille unità dell’Esercito, con il compito di impedire infiltrazioni di talebani e di terroristi in una zona al confine tra Afghanistan e Pakistan. Inoltre, dal gennaio 2003 al dicembre 2004 la componente italiana ha operato nell’ambito della forza marittima europea EUROMARFOR che, con l’operazione Resolute Behaviour ha svolto compiti di sorveglianza, interdizione e monitoraggio di traffici illeciti nella zona del Corno d’Africa e del Golfo Arabico. Al momento, oltre che con otto uomini presso il Comando Usa di Tampa, in Florida, l’Italia partecipa alla missione con una fregata incaricata di svolgere operazioni di interdizione e contrasto navale, controllo del traffico marino e scorta di unità della coalizione.
Per quanto riguarda invece la missione ISAF, l’Italia, dopo che il vertice NATO di Istanbul del giugno 2004 aveva deciso di rafforzare la presenza militare in vista delle elezioni presidenziali, ha potenziato il proprio contingente con l’invio, da metà settembre a metà novembre, di 500 unità dell’esercito. A partire dal marzo del 2005, nel quadro della strategia NATO di estensione dell’attività di ISAF su tutto il territorio afghano, l’Italia ha assunto il compito di coordinare la FSB (Forward Support Base) di Herat ed i PRT (Provincial Reconstruction Team) della regione ovest del paese. Dalla seconda metà del 2005 l’impegno italiano si è ulteriormente rafforzato passando da 600 a circa 2 mila unità in vista dell’assunzione del comando di ISAF, avvenuta il 4 agosto 2005 per un periodo di sei mesi.
Il conflitto del Darfur, in essere dal gennaio 2003, ha matrice tribale ed è originato dalla storica rivalità interetnica tra pastori nomadi arabi e agricoltori ed allevatori stanziali neri, questi ultimi tradizionalmente marginalizzati dal governo sudanese.
La crisi si è sviluppata attraverso alterne vicende, e ha registrato diversi tentativi di mediazione, effettuati da alcuni paesi occidentali e, soprattutto, dall’Unione africana. In tal modo si è riusciti ad ottenere dalle parti in conflitto la sottoscrizione di un cessate il fuoco per rendere possibile l’aiuto umanitario alle popolazioni coinvolte, ma non si è raggiunto un accordo di pace definitivo.
La crisi ha prodotto fino ad oggi circa due milioni di sfollati e rifugiati, nonché tra le 180 e le 300 mila vittime (stime Nazioni Unite).
L’attività del Consiglio di sicurezza riguardo al Darfur è stata, in una prima fase, condizionata dalla posizione di Cina e Russia, ma anche di Pakistan ed Algeria, tendenzialmente contrari all’adozione di sanzioni contro il governo sudanese, accusato da più parti di sostenere i pastori nomadi arabi, ed in particolare i famigerati “Janjaweed”, i “diavoli a cavallo”, responsabili di indiscriminati attacchi contro la popolazione civile.
Il Consiglio di sicurezza ha approvato la risoluzione n. 1564 del 2004, nella quale ha espresso grave preoccupazione per la situazione in Darfur e ha prospettato la possibilità di prendere in considerazione l’adozione di sanzioni contro il Sudan, qualora il governo non avesse ottemperato alla richiesta di fornire sicurezza alla popolazione civile e di disarmare le milizie musulmane responsabili delle violenze, assicurando i responsabili alla giustizia. La risoluzione ha inoltre istituito una Commissione con l’incarico di indagare sulla portata e la natura dei crimini commessi in Darfur, che gli Stati Uniti avevano espressamente qualificato in termini di genocidio.
Le violenze sono tuttavia proseguite, e ciò anche dopo la firma, il 9 novembre 2004 ad Abuja, sotto l’egida dell’Unione africana, di un protocollo di sicurezza tra le delegazioni dei ribelli del Darfur ed i responsabili del governo sudanese.
Il 1° febbraio 2005 è stato reso pubblico il rapporto della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, presieduta dal giurista Antonio Cassese. Pur non minimizzando assolutamente la portata degli eventi, il documento escludeva che fosse in atto un vero e proprio “genocidio” secondo il diritto internazionale, ossia un’azione sistematica posta in essere dal governo e motivata dall’odio etnico. Venivano denunciate, tuttavia, gravi violazioni dei diritti umani, e si suggeriva di affidare alla Corte penale internazionale il compito di giudicarli, nonché di prendere in considerazione l’adozione di sanzioni contro il Sudan.
L’attenzione della Comunità internazionale e del Consiglio di sicurezza, peraltro, è sembrata in questa fase prevalentemente concentrata sui progressi del processo di pace tra il governo sudanese ed il movimento di liberazione del Sud del paese, destinato a sfociare nella firma di un accordo di pace, nel mese di gennaio del 2005.
Tuttavia, il perdurare di una situazione di conflitto ha indotto il Consiglio di sicurezza ad approvare le risoluzioni 1591, del 29 marzo, e 1593, del 31 marzo 2005. La prima risoluzione, approvata con l’astensione di Russia, Cina ed Algeria, deplora il comportamento del governo e delle forze ribelli e condanna le ripetute violazioni degli accordi sul cessate il fuoco e dell’accordo di Abuja, disponendo l’adozione di sanzioni mirate contro individui colpevoli di atrocità o di aver compromesso il processo di pace, che devono essere individuati da un Comitato ad hoc. La risoluzione 1593, adottata con l’astensione di Stati Uniti, Cina, Brasile ed Algeria, autorizza, invece, il deferimento degli imputati di crimini di guerra nel Darfur alla Corte penale internazionale dell’Aja.
La fine della guerra civile nel Sudan meridionale è apparsa in grado di condizionare anche la situazione in Darfur. In particolare, il leader dell’Esercito polare di liberazione del Sudan, John Garang, divenuto il 9 luglio del 2005 Vice Presidente del Sudan in seguito alla firma degli accordi di pace, si era posto l’obiettivo di concorrere alla pacificazione del Darfur e di rappresentare le istanze anche di quelle popolazioni. La morte dello stesso Garang, avvenuta il 30 luglio 2005 scorso a causa della caduta dell’elicottero sul quale viaggiava, concorre quindi a rendere incerte le prospettive del Darfur e dell’intero Sudan. Garang è stato in ogni caso tempestivamente sostituito alla vicepresidenza dal suo numero due, Salva Kiir Mayardit, con il benestare del presidente sudanese Omar el-Bashir. Il governo sudanese ha inoltre nominato una Commissione d’inchiesta per fare piena luce sull’incidente che ha portato alla morte di Garang.
Un rapporto del 29 luglio 2005 dell’Alto Commissario ONU per i diritti umani, intitolato “Accesso alla giustizia per le vittime di violenze sessuali”, ha denunciato il proseguire degli stupri nel Darfur, spesso ad opera di poliziotti e militari, che rimangono per lo più impuniti grazie all’atteggiamento connivente delle autorità, con la mancata annotazione delle denunce o con intimidazioni verso le vittime. Il governo sudanese ha istituito una Corte penale speciale – la cui autorità è contestata dai ribelli del Darfur -, con l’intento di applicare una giurisdizione interna e prevenire quella eventuale della Corte penale internazionale: il 13 agosto 2005 la Corte sudanese ha condannato tre membri delle forze armate a cinque anni di carcere, con l’accusa generica di aver commesso atti di guerra.
Il 16 settembre 2005 ad Abuja (Nigeria) sono ripresi i colloqui di pace sul Darfur sotto l’egida dell’Unione africana, peraltro senza grandi aspettative: il governo unitario sudanese, infatti, subentrato dopo gli accordi del gennaio 2005, si trova ancora in una fase di impasse dopo la morte di John Garang, e le stesse forze ribelli del Darfur registrano forti divisioni interne. La situazione sul campo intanto è sempre molto difficile, anche se la diminuzione delle violenze più efferate ha distolto in gran parte l’attenzione internazionale.
Dal 7 al 9 ottobre si è svolta una missione nella regione dell'Alto rappresentante per la PESC Solana, che ha toccato il Sudan (incluso il Darfur) e il Ciad, dove si trovano circa 230.000 profughi del Darfur.
Dopo un ulteriore periodo di negoziati inconcludenti ad Abuja, il 5 maggio 2006 viene finalmente raggiunto un accordo tra il Governo sudanese e l’ala maggioritaria del più importante dei movimenti ribelli del Darfur, l’Esercito di liberazione del Sudan (SLA); in base all’intesa il Governo di Khartoum dovrà procedere a disarmare le milizie janjaweed, mentre i guerriglieri del SLA – al cui disarmo provvederà il contingente dell’Unione Africana – saranno poi incorporati nell’esercito del Sudan. Sono previsti aiuti internazionali immediati e poi con cadenza annuale. Il punto debole dell’accordo sta nel non esser stato siglato dagli altri due movimenti della guerriglia, e nel clima di perdurante violenza e dramma umanitario nel quale si dovrebbe procedere all’attuazione di esso. Nei giorni successivi, non a caso, si sono moltiplicate le pressioni dell’ONU e degli Stati Uniti per l’invio nel Darfur di caschi blu delle Nazioni Unite, a rilevare la debole presenza dell’Unione africana con un contingente doppio (14.000) uomini di quello dispiegato dalla UA. Il 25 maggio l’inviato dell’ONU Brahimi ha ottenuto il consenso sudanese per l’invio di una missione preliminare, allo scopo di preparare il successivo dispiegamento dei caschi blu.
Il 1° giugno è tuttavia scaduto il termine ultimo posto dalla UA ai due gruppi ribelli del Darfur che non avevano firmato l’accordo di maggio per associarsi all’intesa: si tratta dell’ala minoritaria del SLA e del JEM (Movimento per la giustizia e l’uguaglianza), di matrice musulmana.
Il 2 luglio, infine, l’Unione africana ha accettato la proposta dell’ONU per un prolungamento a tutto il 2006 del mandato della propria forza di peace-keeping, altrimenti in scadenza il 30 ottobre prossimo: la mossa delle Nazioni Unite si spiega con il perdurare dell’opposizione sudanese al dispiegamento dei caschi blu ONU.
[1] Si veda il decreto ministeriale 27 agosto 1998, con le annesse tabelle, così come modificato dal D.M. 13 gennaio 2003 e dal D.M. 6 giugno 2003, nel fascicolo “Riferimenti normativi” del presente dossier.
[2] Si tratta delle ordinanze di protezione civile finalizzate ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose.
[3] Il D.P.R. 12 aprile 1988, n. 177 reca l’approvazione del regolamento di esecuzione della legge 26 febbraio 1987, n. 49, sulla disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo. In particolare, l’articolo 7 prevede che la realizzazione di iniziative ed interventi di cooperazione possa essere affidata, mediante convenzione che ne determina le modalità di esecuzione e di finanziamento delle spese, ad amministrazioni dello Stato diverse dal Ministero degli affari esteri od enti pubblici e organizzazioni non governative riconosciute idonee, mentre l’articolo 18 stabilisce le competenze della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo in materia di formazione, ivi comprese la stipula di convenzioni o contratti con università, enti ed organismi specializzati, la concessione agli stessi di appositi contributi, l’erogazione di borse di studio, ecc.
[4] Sono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
[5] Il citato comma 1 stabilisce che le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento è disposto previo consenso dell'amministrazione di appartenenza.
[6] Si ricorda che le Organizzazioni non Governative (ONG) sono associazioni di volontariato operanti nel campo specifico della cooperazione allo sviluppo. La definizione trova la sua fonte nella legge 49/87 per identificare quelle Organizzazioni che dopo un’istruttoria particolarmente selettiva, vengono ritenute affidabili, dallo Stato, al fine d’affidare loro l’attuazione di progetti di cooperazione allo sviluppo. Anche le ONG sono organizzazioni senza fini di lucro ed in teoria, si basano sul volontariato.
[7] Il citato articolo 34 reca disposizioni in merito al blocco del turn-over nelle pubbliche amministrazioni, alla riduzione degli organici e alle deroghe al blocco. In particolare, il comma 13 prevede che per l'anno 2003 le pubbliche amministrazioni possono procedere all'assunzione di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero alla stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 90 per cento della spesa media annua sostenuta per le stesse finalità nel triennio 1999-2001. Per l'anno 2004, le amministrazioni di cui al comma 53 possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nei limiti di spesa previsti dall'articolo 34, comma 13, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni.
[8] Si tratta del Regolamento recante norme per l’individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, nonché delle relative funzioni dell’Amministrazione centrale del Ministero degli affari esteri.
[9] Per una ricostruzione di tali programmi si veda più avanti nel commento all’articolo 14 del D.L. n. 451/2001, espressamente richiamato dall’articolo 14 della proposta di legge ora all’esame del Parlamento.
[10] Si ricorda che le leggi n. 6/2002, di conversione del D.L. n. 421/2001, n. 15/2002, di conversione del D.L: n. 451/2001, e n. 42/2003, di conversione del D.L. n. 4/2003, hanno disposto varie modifiche ed abrogazioni di articoli del codice penale militare di guerra. In particolare: sono stati modificati gli articoli 9, 15, 47, 165 e 185; sono stati introdotti gli articoli 184-bis e 185-bis; sono stati quindi abrogati gli articoli 5, 10, 17, commi primo, secondo e terzo, 18, 19, 20, 76, 80, 86, 87, 155 e 183.
[11] Tale rinvio è contenuto nell’articolo 47 del Codice penale militare di guerra che prevede che, nei casi non previsti da detto codice, si applicano le disposizioni del codice penale militare di pace, concernenti i reati militari in particolare.
[12] Si ricorda che la pena di morte, per i delitti previsti dal Codice penale militare di guerra, è stata abolita dall'art. 1 della legge 13 ottobre 1994, n. 589 che ad essa ha sostituito la pena massima prevista dal codice penale.
[13] Vedi nota precedente.
[14] L’articolo 388 C.P.P prevede che il pubblico ministero può procedere all'interrogatorio dell'arrestato o del fermato, dandone tempestivo avviso al difensore di fiducia ovvero, in mancanza, al difensore di ufficio. Durante l'interrogatorio, osservate le forme previste dall'articolo 64, che contiene le regole generali per l’interrogatorio, il pubblico ministero informa l'arrestato o il fermato del fatto per cui si procede e delle ragioni che hanno determinato il provvedimento comunicandogli inoltre gli elementi a suo carico e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, le fonti.
[15] L’articolo 391 C.P.P. reca la disciplina dell’udienza di convalida.
[16] La disciplina dei volontari di truppa in servizio permanente e in ferma breve è contenuta nel D.Lgs. 12 maggio 1995, n. 196, recante “Attuazione dell'art. 3 della L. 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli, modifica alle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo delle Forze armate”, mentre i volontari di truppa in ferma prefissata, della durata di cinque anni, sono stati introdotti dall’articolo 12 del D.Lgs. 8 maggio 2001, n. 215, recante “Disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, a norma dell'articolo 3, comma 1, della L. 14 novembre 2000, n. 331”. Per la ferma annuale si veda l’articolo 16 del citato D.Lgs. n. 215/2001.
[17] Tale elargizione è stata elevata ad euro 200.000 dall'articolo 2 del decreto legge 28 novembre 2003, n. 337, recante “Disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all'estero” e convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 24 dicembre 2003, n. 369.
[18] L’articolo 24 della legge 16 gennaio 2003 n. 3, recante “Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione” ha modificato la disposizione contenuta nella lettera b) dell’articolo 3 della legge n. 1185/1967, che ora dispone che “Non possono ottenere il passaporto: b) i genitori che, avendo prole minore, non ottengano l'autorizzazione del giudice tutelare; l'autorizzazione non è necessaria quando il richiedente abbia l'assenso dell'altro genitore, o quando sia titolare esclusivo della potestà sul figlio.
[19] L’articolo contiene disposizioni analoghe a quelle introdotte dall’articolo 6 del D.L. n. 421/2001 già citato.
[20] L’articolo ripropone la disciplina a favore del personale impegnato nell’operazione Enduring Freedom introdotta dall’articolo 5 del D.L. n. 421/2001 già citato.
[21] Questo inciso non è contenuto nell’articolo 5 del D.L. n. 421/2001.
[22] L'UNEP ha concluso il suo lavoro il 13 marzo 2001. Le analisi hanno riguardato 355 campioni prelevati sul terreno: acqua, latte e anche sette frammenti di munizioni all'uranio. Secondo tale studio, l'uranio impoverito usato dalla Nato in Kosovo nel 1999 avrebbe creato rischi di contaminazione radioattiva o chimica ''trascurabili e persino inesistenti''.
[23] Nel lavoro conclusivo si sottolinea che, benché non si possa escludere un possibile effetto combinato dell'esposizione ad agenti tossici e chimici cancerogeni e alle radiazioni, non vi sarebbero evidenze che supportino questa ipotesi.
[24] Il brasiliano Sergio Vieira de Mello, Alto commissario ONU per i diritti umani ha ricoperto l’incarico fino al 19 agosto, data in cui è rimasto vittima dell’attentato contro la sede ONU di Baghdad.
[25] I supervisori del Fondo assicureranno la vendita delle risorse naturali irachene a congrui prezzi di mercato.
[26] Le ultime due condizioni risolutive del mandato, pur non risultando dallo scambio di lettere, appaiono politicamente assai significative. Il Governo iracheno ad interim appare infatti in grado di porre fine in ogni momento alla permanenza della Forza multinazionale, anche se per la revoca sembrerebbe comunque necessaria una pronuncia del Consiglio di sicurezza. Inoltre, il mandato sembra destinato a scadere in modo automatico con il completamento del processo politico, senza bisogno di un ulteriore pronunciamento del Consiglio di sicurezza (la Risoluzione non risulterebbe in altri termini più idonea a produrre effetti).
[27] In effetti il 14 dicembre 1998 la rappresentanza del Consiglio nazionale palestinese, convocato a Gaza alla presenza di Arafat e del Presidente USA Clinton, conferma l’abrogazione dei paragrafi in questione, il cui superamento era stato comunque già attestato da Arafat in una lettera a Clinton, approvata il 10 dicembre 1998 dal Consiglio centrale palestinese. Il carattere ristretto di tale organo faceva tuttavia considerare insufficiente il pronunciamento al Governo israeliano, che insisteva appunto per il voto del Consiglio nazionale palestinese espresso poi il 14 dicembre.
[28] La commissione, giunta a Gerusalemme nel mese di dicembre 2000, è guidata dall’ex senatore americano George Mitchell; ne fanno poi parte il Ministro degli Esteri norvegese Thorbjoern Jagland, il rappresentante della UE per la politica estera Javier Solana, l’ex Presidente della Turchia Suleyman Demirel e un altro ex senatore americano, Warren Rudman.
[29] Con il decreto-legge 22 maggio 2002, n. 97 (convertito dalla legge 19 luglio 2002, n. 141) recante “Misure urgenti per assicurare ospitalità e protezione temporanea ad alcuni palestinesi” è stato autorizzato l’ingresso e la permanenza nel territorio italiano, per un periodo massimo di dodici mesi, di tre cittadini stranieri (palestinesi) inclusi nella lista dei tredici nominativi indicati nell’intesa raggiunta tra Israele e Autorità palestinese. Successivamente, il decreto-legge 21 maggio 2003, n. 111, convertito dalla legge 8 luglio 2003, n. 174, ha disposto la proroga della permanenza dei cittadini palestinesi al 31 dicembre 2003.
[30] Abu Mazen è il nome di battaglia di Mahmud Abbas.
[31] Le riserve sono contenute in un documento assai dettagliato apparso il 27 maggio sulla stampa israeliana: in 14 punti vengono riassunte le questioni principali che per Israele si connettono inscindibilmente all'attuazione della road map. In sintesi, il documento richiama l'attenzione sul fatto che non si potrà passare ad una nuova fase senza il totale completamento della precedente. In ambito palestinese dovrà emergere e consolidarsi una dirigenza del tutto nuova, che si coordini con Israele nel processo di consolidamento democratico. Mentre il monitoraggio sui progressi della road map dovrà essere controllato dagli USA, lo Stato provvisorio palestinese scaturirà da negoziati tra le due Parti, e in nessun caso potrà avere proprie Forze Armate, né concludere Accordi a carattere militare, e i suoi confini e lo spazio aereo saranno controllati da Israele. I futuri Accordi definitivi saranno negoziati direttamente tra le Parti, e dovranno contenere il riconoscimento all'esistenza di Israele quale Stato ebraico, nonché la rinuncia al ritorno dei profughi nel suo territorio.
[32] Prima di assumere nel 1996 la Presidenza del Consiglio legislativo, Abu Ala (Ahmed Qrea) era stato il principale architetto degli accordi di Oslo del 1993 sull'autonomia della Palestina.
[33] Vedi nota 5.
[34] Sono inoltre operative nell’ambito della PESD la missione di riforma del settore della sicurezza nella Repubblica democratica del Congo (EUSEC Congo), istituita con azione comune 2005/355/PESC del 2 maggio 2005 e la missione di monitoraggio degli accordi di pace fra governo e guerriglia separatista nella provincia indonesiana di Aceh, istituita con l’azione comune2005/643/PESC del 9 settembre 2005.
[35] Il 18 maggio 2004 il Consiglio Affari generali ha deciso lo sviluppo di una forza di d'intervento militare rapido da utilizzare in caso di crisi, formata da “gruppi tattici” interarma (battlegroups), composti di 1.500 uomini ciascuno, mobilitabili in tempi brevi (15 giorni) e impiegabili per un periodo di un mese (estendibile a tre), che potranno essere dispiegati a turno.
[36] La costituzione dei battlegroups è prevista con il seguente calendario:
· 2006: Germania, Francia; Italia, Spagna, Portogallo, Grecia; Francia, Germania, Belgio.
· Primo semestre 2007: Francia, Belgio; Germania, Olanda, Finlandia. Secondo semestre 2007: Italia, Ungheria, Slovenia; Grecia, Cipro, Bulgaria, Romania.
· Primo semestre 2008: Svezia, Finlandia, Estonia, Norvegia; Spagna, Francia, Germania. Secondo semestre 2008: Germania, Francia, Spagna, Belgio, Lussemburgo; Regno Unito.
· 2009: Italia, Spagna, Portogallo, Grecia; Repubblica ceca, Slovacchia; Belgio e Francia (da confermare).
· 2010: Polonia, Germania, Lettonia, Lituania, Slovacchia; Regno Unito, Olanda; Italia, Romania e Turchia (da confermare).