Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||
Titolo: | Allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza - D.L. 181/2007 - A.C. 3292 - Schede di lettura e normativa di riferimento | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 298 | ||
Data: | 10/12/2007 | ||
Organi della Camera: |
I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia | ||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati |
XV LEGISLATURA |
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SERVIZIO STUDI |
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Progetti di legge |
Allontanamento dal territorio nazionale D.L. 181/2007 - A.C. 3292 |
Schede di lettura e normativa di riferimento |
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n. 298 |
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10 Dicembre 2007 |
DIPARTIMENTO ISTITUZIONI
SIWEB
DIPARTIMENTO GIUSTIZIA
SIWEB
Ha partecipato alla redazione del dossier l’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: D07181.doc
INDICE
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Motivazioni della necessità ed urgenza
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Specificità ed omogeneità delle disposizioni
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
§ Il decreto legislativo 30/2007, di recepimento della direttiva 2004/38/CE
Modificazioni apportate dal D.L. n. 181 del 2007 al D.Lgs. n. 30 del 2007
Normativa di riferimento
Normativa nazionale
§ Costituzione (artt. 77 e 87)
§ Codice di procedura penale (artt. 380, 444)
§ Legge 27 dicembre 1956, n. 1423. Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità (art. 1)
§ Legge 31 maggio 1965, n. 575. Disposizioni contro la mafia (art. 1)
§ Legge 13 ottobre 1975, n. 654. Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966 (art. 3)
§ D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. (artt. 13, 14, 44)
§ D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215. Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (artt. 2, 4)
§ Legge 22 aprile 2005, n. 69. Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (art. 8)
D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30. Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri
Normativa comunitaria
§ Trattato 2 ottobre 1997. Trattato di Amsterdam che modifica il trattato sull'Unione europea, i trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi.
§ Trattato che istituisce la Comunità europea (art. 13)
§ Dir. 29 aprile 2004, n. 2004/38/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE
Giurisprudenza costituzionale
§ Sentenza n. 222 del 15 luglio 2004
Numero del disegno di legge di conversione |
A.C. 3292 |
Numero del decreto-legge |
181/2007 |
Titolo del decreto-legge |
Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza |
Settore d’intervento |
Diritti e libertà fondamentali; Unione europea; immigrazione |
Iter al Senato |
Sì (A.S. 1872) |
Numero di articoli |
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§ testo originario |
2 |
§ testo approvato dal Senato |
4 |
Date |
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§ emanazione |
1 novembre 2007 |
§ pubblicazione in Gazzetta ufficiale |
2 novembre 2007 |
§ approvazione del Senato |
6 dicembre 2007 |
§ assegnazione |
7 dicembre 2007 |
§ scadenza |
1 gennaio 2008 |
Commissione competente |
Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) |
Pareri previsti |
Commissioni III (Affari esteri), V (Bilancio), XII (Affari sociali) e XIV (Politiche dell’Unione europea) |
Il testo del decreto-legge, come modificato dal Senato in sede di esame del disegno di legge di conversione, consta di quattro articoli.
L’articolo 1 reca diverse modifiche testuali al D.Lgs. 30/2007, principalmente volte a ridefinire i presupposti e le modalità di esecuzione degli allontanamenti dal territorio nazionale dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, quando tali provvedimenti sono adottati per motivi di pubblica sicurezza, introducendo tra l’altro la nozione di “motivi imperativi di pubblica sicurezza”.
I commi 2-bis, 2- ter e 2-quater dell’articolo, peraltro, recano materia diversa, novellando il D.Lgs. 215/2003 in tema di parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.
L’articolo 1-bis interviene sull’art. 3 della L. 654/1975 con l’intento di sanzionare penalmente chiunque incita a commettere o commette atti di violenza, di provocazione alla violenza o di discriminazione che siano fondati sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.
L’articolo 1-ter trasferisce al tribunale ordinario in composizione monocratica le competenze in materia di espulsioni degli stranieri non appartenenti all’Unione euroipea, attualmente riconosciute al giudice di pace dal testo unico sull’immigrazione.
L’articolo 2 dispone in ordine alla immediata entrata in vigore del provvedimento.
Il disegno di legge di conversione presentato dal Governo al Senato non è corredato né della relazione sull’analisi tecnico-normativa (ATN), né della relazione sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR).
Il preambolo del decreto-legge fa riferimento alla “straordinaria necessità ed urgenza di introdurre disposizioni volte a consentire l’allontanamento dal territorio nazionale di soggetti la cui presenza contrasti con esigenze imperative di pubblica sicurezza”.
Si ricorda che, in base all’articolo 117, comma primo della Costituzione, la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo stesso articolo 117 Cost., al comma secondo, attribuisce allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di: “immigrazione”, “ordine pubblico e sicurezza”, “norme processuali”, “ordinamento penale”, “giustizia amministrativa”.
Benché la maggior parte delle disposizioni recate dal provvedimento incidano sul diritto di circolazione e soggiorno negli Stati membri dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, alcune di esse, introdotte nel corso dell’esame al Senato, riguardano materie diverse: ci si riferisce segnatamente ai commi 2-bis, 2- ter e 2-quater dell’articolo 1 (norme a tutela parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica); all’articolo 1-bis (sanzione penale di atti afferenti a discriminazione) ed all’articolo 1-ter (competenze giurisdizionali in materia di espulsione degli stranieri non appartenenti all’Unione europea).
La massima parte delle disposizioni recate dal provvedimento interviene sulla disciplina legislativa di recepimento di direttive comunitarie.
Il 12 dicembre 2006 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[1] ex art. 226 del TCE[2] per mancata attuazione della direttiva 2004/38/CE, il cui termine di recepimento scadeva il 24 aprile 2006.
Dal 1° ottobre 2007 la procedura di infrazione risulta in fase di archiviazione in seguito all’adozione del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, recante attuazione della direttiva in questione.
Il 15 novembre 2007, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sull’applicazione della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, anche in riferimento ai recenti avvenimenti italiani.
In particolare, il Parlamento,
§ esprime il proprio dolore per l'assassinio della signora Giovanna Reggiani, avvenuto a Roma il 31 ottobre scorso 2007, e presenta sentite condoglianze ai suoi familiari;
§ ribadisce il valore della libertà di circolazione delle persone quale principio fondamentale dell'Unione, parte costitutiva della cittadinanza europea ed elemento fondamentale del mercato interno;
§ riafferma l'obiettivo di fare dell'Unione e delle collettività uno spazio in cui ogni persona possa vivere vedendosi garantito un elevato livello di sicurezza, libertà e giustizia;
§ osserva che la direttiva 2004/38/CE circoscrive la possibilità di espellere un cittadino dell’Unione entro limiti molto ben definiti, specificando in particolare che:
- in base all’articolo 27, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di residenza solo per motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sanità pubblica e tali motivi non possono essere invocati per fini economici, ogni misura presa deve rispettare il principio di proporzionalità e deve essere adottata esclusivamente in relazione al comportamento della persona nei riguardi della quale è applicata e non basarsi su considerazioni di prevenzione generale.
- in base all’articolo 28, ogni espulsione deve essere preceduta da una valutazione della situazione personale dell’interessato, tenendo conto di elementi quali la durata del suo soggiorno nel territorio dello Stato membro, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare ed economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante;
- in base all’articolo 30, il provvedimento di espulsione deve essere notificato per iscritto alla persona interessata secondo modalità che gli consentano di comprenderne il contenuto e le conseguenze. L’interessato deve essere informato in modo preciso e completo circa i motivi della decisione, l’organo giudiziario o l’autorità amministrativa dinanzi al quale può opporre ricorso e il temine entro il quale deve agire e, all’occorrenza, il termine impartito per lasciare il territorio, in ogni caso non inferiore ad un mese dalla data di notificazione;
- in base all’articolo 31, la persona interessata deve avere accesso ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante e deve avere il diritto di richiedere un’ordinanza provvisoria di sospensione dell’esecuzione, che deve essere garantita, salvo nei casi specificamente definiti;
- in base all’articolo 36, le sanzioni determinate dagli Stati membri devono essere effettive e proporzionate;
- in base al punto 16 del preambolo e all’articolo 14, i cittadini possono essere allontanati qualora diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante, a condizione tuttavia che ogni caso individuale sia esaminato approfonditamente. Inoltre, l’onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale non è di per sé condizione sufficiente a giustificare un’ espulsione automatica.
§ ribadisce che qualsiasi legislazione nazionale deve rispettare rigorosamente tali limiti e garanzie, compreso l'accesso a un ricorso alle vie legali contro l'allontanamento e all'esercizio dei diritti della difesa e che qualsiasi eccezione definita dalla direttiva 2004/38/CE deve essere interpretata in modo restrittivo; ricorda che le espulsioni collettive sono proibite dalla Carta dei diritti fondamentali e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
§ si compiace della visita effettuata dal Primo ministro rumeno in Italia e della dichiarazione congiunta di Romano Prodi e Călin Popescu-Tăriceanu; manifesta il proprio appoggio all'appello del Presidente del Consiglio e del Primo ministro per l'impegno dell'Unione a favore dell'integrazione sociale delle popolazioni meno avvantaggiate e della cooperazione fra gli Stati membri in termini di gestione dei movimenti della loro popolazione, in particolare mediante programmi di sviluppo e di aiuto sociale inclusi nei Fondi strutturali;
§ invita la Commissione a presentare senza ritardi una valutazione esauriente dell'attuazione e del corretto recepimento, da parte degli Stati membri, della direttiva 2004/38/CE nonché a presentare proposte, a norma dell'articolo 39 di tale direttiva;
§ fatte salve le competenze della Commissione, incarica la propria commissione parlamentare competente di effettuare entro il 1°giugno 2008, in collaborazione con i parlamenti nazionali, una valutazione dei problemi di recepimento di tale direttiva in modo da mettere in evidenza le migliori prassi nonché le misure che potrebbero portare a discriminazioni tra i cittadini europei;
§ invita gli Stati membri a superare qualsiasi esitazione e a procedere più rapidamente al rafforzamento degli strumenti di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale a livello dell'Unione per garantire una lotta efficace contro la criminalità organizzata e la tratta degli esseri umani, fenomeni di dimensione transnazionale, garantendo, al contempo, un quadro uniforme di garanzie procedurali;
§ respinge il principio della responsabilità collettiva e ribadisce con forza la necessità di lottare contro qualsiasi forma di razzismo e xenofobia e qualsiasi forma di discriminazione e stigmatizzazione basate sulla nazionalità e sull'origine etnica, come previsto dalla Carta dei diritti fondamentali;
§ ricorda alla Commissione che è urgente presentare una proposta di direttiva orizzontale contro tutte le discriminazioni menzionate all'articolo 13 Trattato CE[3], prevista nel programma legislativo e di lavoro della Commissione per il 2008;
§ ritiene che la protezione dei diritti dei Rom e la loro integrazione costituiscano una sfida per l'Unione nel suo complesso e invita la Commissione ad agire senza indugio elaborando una strategia globale per l'inclusione sociale dei Rom, facendo ricorso, segnatamente, alle linee di bilancio disponibili nonché ai Fondi strutturali per sostenere le autorità nazionali, regionali e locali nei loro sforzi atti a garantire l'inclusione sociale dei Rom;
§ propone l'istituzione di una rete di organizzazioni che si occupino dell'integrazione sociale dei Rom nonché la promozione di strumenti volti ad aumentare la consapevolezza in materia di diritti e doveri dei Rom, ivi compreso lo scambio di migliori prassi; considera, a questo proposito, molto importante una collaborazione intensa e strutturata con il Consiglio d'Europa;
§ ritiene che le recenti dichiarazioni rilasciate alla stampa italiana da Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione, in occasione dei gravi episodi verificatisi a Roma, siano contrarie allo spirito e alla lettera della direttiva 2004/38/CE, direttiva che gli si chiede di rispettare pienamente.
L’art. 1, co. 01, rimette a un decreto del ministro dell’interno le modalità per la dichiarazione di presenza sul territorio nazionale, ivi disciplinata.
L’art. 1, co. 3, lett. a), dispone che con decreto del ministro dell’interno e del ministro degli affari esteri sia stabilito il modello di attestazione di obbligo di adempimento dell’allontanamento.
Il provvedimento ricorre ordinariamente alla tecnica della novellazione.
Il disegno di legge A.S. 1694[4], presentato dal Governo al Senato il 5 luglio 2007, del quale non è ancora iniziato l’esame, modifica l’art. 3 della L. 654/1975, in termini diversi rispetto alla modifica operata dall’art. 1-bis del decreto-legge in esame.
È tuttora aperta la delega per l’adozione di interventi integrativi e correttivi al decreto legislativo 30/2007, oggetto di modifiche ad opera del decreto-legge in esame, prevista dalla legge comunitaria 2004 (L. 62/2005, art. 1, co. 5), che aveva incluso la direttiva stessa nell’allegato B Tale delega scadrà il 10 ottobre 2008 (18 mesi dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. 30/2007, ovvero dal 10 aprile 2007).
All’art. 1-bis, capoverso, lett. a), come evidenziato anche nel corso dell’esame presso il Senato, la disposizione richiama erroneamente gli “atti di discriminazione di cui all’art. 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam”. La disposizione intende presumibilmente riferirsi all’art. 13, n. 1, della versione consolidata del Trattato 25 marzo 1957, che istituisce la Comunità europea.
Per ulteriori osservazioni su aspetti specifici del testo, si rinvia alle schede di lettura.
La direttiva 2004/38/CE[5] ha come obiettivi quelli di
§ agevolare i cittadini dell’Unione nell’esercizio del diritto a circolare e a soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;
§ ridurre allo stretto necessario le formalità amministrative;
§ definire meglio lo status dei familiari;
§ circoscrivere le possibilità di rifiuto o revoca del diritto di soggiorno.
Il diritto d’ingresso e soggiorno dei cittadini dell’Unione nel territorio degli Stati membri era disciplinato da un corpus legislativo formato da due regolamenti e nove direttive. La presente direttiva modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68[6] ed abroga le direttive 64/221/CEE[7], 68/360/CEE[8], 72/194/CEE[9], 73/148/CEE[10], 75/34/CEE[11], 75/35/CEE[12], 90/364/CEE[13], 90/365/CEE[14] e 93/96/CEE[15].
La direttiva disciplina:
§ le modalità d'esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari;
§ il diritto di soggiorno permanente;
§ le restrizioni ai diritti sopra menzionati per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.
Occorre sottolineare che ai fini dell’art. 2 della direttiva, la definizione di “familiare” deve altresì includere il partner, definito come colui che ha contratto con il cittadino dell'Unione un’“unione registrata” sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio.
Il successivo art. 3, inoltre, prescrive che lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevoli l’ingresso e il soggiorno di altre categorie di familiari (a carico o conviventi) non comprese tra quelli (titolari di un diritto soggettivo all’ingresso e soggiorno) di cui al punto 2 dell’art. 2, nonché del “partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata”. Per tali soggetti, l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno deve seguire un esame approfondito della situazione personale, e dev’essere giustificato dallo Stato membro ospitante.
Il punto 6) della premessa alla direttiva precisa al riguardo che “per preservare l'unità della famiglia in senso più ampio senza discriminazione in base alla nazionalità, la situazione delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della presente direttiva, e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante, dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l'ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone, tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell'Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell'Unione”.
Qualsiasi cittadino dell'Unione ha il diritto di recarsi in uno Stato membro munito di una carta d'identità o di un passaporto validi. In ogni caso, non può essere imposto alcun visto di uscita o di ingresso. Se il cittadino in questione non dispone di documenti di viaggio, lo Stato membro ospitante gli concede ogni agevolazione affinché egli ottenga o faccia pervenire i documenti richiesti. I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, dotati di passaporto, beneficiano dello stesso diritto del cittadino che accompagnano. Ai fini di rendere appieno operante il principio della libera circolazione dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, coloro che hanno già ottenuto la carta di soggiorno (vedi infra) potranno essere esentati dall’obbligo di munirsi di visto d’ingresso a norma del regolamento (CE) n. 539/2001[16] o, infine, a norma della legislazione nazionale applicabile. Il permesso di soggiorno è considerato equivalente al visto di breve durata.
Per i soggiorni inferiori a tre mesi, la sola formalità imposta al cittadino dell'Unione è il possesso di un documento d'identità o di un passaporto valido (artt. 4, 5, 6). Lo Stato membro ospitante può prescrivere all'interessato di dichiarare la sua presenza sul territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L’inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie.
Il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi resta soggetto ad alcune condizioni:
§ esercitare un'attività in qualità di lavoratore subordinato o autonomo; o
§ disporre di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione malattia al fine di non divenire un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno. A questo proposito, gli Stati dell'Unione possono fissare l'ammontare delle risorse considerate sufficienti; o
§ seguire un corso di studi o di formazione professionale in qualità di studente, disponendo di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione malattia al fine di non divenire un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro ospitante;
§ essere un familiare di un cittadino dell'Unione facente parte di una delle categorie sopra menzionate.
Il permesso di soggiorno per i cittadini dell'Unione è soppresso. Tuttavia, lo Stato membro ospitante può chiedere al cittadino l'iscrizione presso le autorità competenti entro un periodo che non può essere inferiore a tre mesi dal suo ingresso. L'attestato di iscrizione viene immediatamente rilasciato dietro presentazione:
§ di una carta di identità o un passaporto validi;
§ di una dichiarazione o qualsiasi altro mezzo, a scelta del cittadino, comprovante che egli soddisfa le condizioni sopraelencate;
I familiari di un cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro devono chiedere una “carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione”, che ha di norma validità di cinque anni (artt. 7, 8, 9, 10, 11). Il decesso, la partenza dal territorio dello Stato membro ospitante del cittadino dell'Unione così come il divorzio, l'annullamento del matrimonio o lo scioglimento della unione registrata non pregiudicano il diritto di soggiorno dei familiari, qualora ricorrano le condizioni stabilite dagli artt. 12 e 13.
Qualsiasi cittadino dell'Unione acquisisce il diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante dopo avervi risieduto legalmente e in via continuativa per un periodo di cinque anni. La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze superiori per l’assolvimento degli obblighi militari, né da un’assenza di dodici mesi complessivi dovuta a motivi rilevanti (gravidanza, malattia, formazione, distacco per motivi di lavoro presso un altro Stato membro). Tale diritto non è più soggetto ad alcuna condizione, se non quella relativa ad assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi. Le stesse disposizioni si applicano ai familiari dell'interessato, non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, che hanno legalmente risieduto cinque anni con il suddetto nello Stato in questione.
La direttiva riconosce ai cittadini dell'Unione che svolgono un'attività di lavoro subordinato o autonomo e ai loro familiari il diritto di soggiorno permanente prima dello scadere dei cinque anni consecutivi di residenza se determinate condizioni si verificano (art. 17). Il documento che attesta il soggiorno permanente ha durata illimitata. Esso è rilasciato, su domanda, al cittadino dell’Unione nel più breve tempo possibile (art. 19), mentre ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e che siano titolari del diritto di soggiorno permanente, entro sei mesi a partire dalla presentazione della domanda, la carta di soggiorno permanente, rinnovabile di diritto ogni dieci anni (art. 20). Il cittadino può provare la continuità della sua residenza con qualsiasi mezzo ammesso dallo Stato membro ospitante (art. 21).
Qualsiasi cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, così come i familiari, gode di pari trattamento rispetto ai cittadini nazionali nel campo d'applicazione del trattato. Tuttavia, prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad accordare il diritto a prestazioni di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno alle persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi o ai loro familiari né il diritto ad una borsa di mantenimento ai titolari del diritto di soggiorno recatisi nel territorio nazionale per motivi di studio (art. 24). I familiari, indipendentemente dalla loro cittadinanza, se titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente potranno esercitare un'attività come lavoratori subordinati o autonomi (art. 23).
Le limitazioni alla libertà di circolazione di un cittadino dell'Unione o di un suo familiare, incluso l’Allontanamento dal territorio dello Stato membro, possono essere motivate da ragioni di ordine pubblico, sicurezza pubblica o sanità pubblica. In nessun caso, la decisione può essere dettata da ragioni economiche. Tutti i provvedimenti relativi alla libertà di circolazione e di soggiorno devono basarsi sul comportamento personale dell'interessato. L'esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare tali provvedimenti. Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Al fine di verificare se l’interessato costituisca veramente un pericolo, lo Stato membro ospitante può chiedere informazioni allo Stato membro di origine ed eventualmente ad altri Stati membri. La scadenza del documento che ha consentito al cittadino l'ingresso nel paese non costituisce motivo sufficiente a giustificarne l'allontanamento (art. 27).
In ogni caso, prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio, lo Stato membro deve valutare alcuni elementi quali la durata della residenza nel suo territorio dell'interessato, l'età di quest'ultimo, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e il grado di integrazione sociale nel paese che lo ha accolto così come i suoi legami con il paese d'origine.
Il soggetto che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente non può essere allontanato se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Solo in casi eccezionali, per “motivi imperativi di pubblica sicurezza”, può essere disposto l’allontanamento di un cittadino dell'Unione che abbia soggiornato nei dieci anni precedenti nello Stato ospitante o che sia minorenne (salvo che l'allontanamento sia necessario nell'interesse del bambino: art. 28).
Dal punto di vista della sanità pubblica, le sole malattie che possono giustificare misure restrittive della libertà di circolazione sono quelle con potenziale epidemico, nonché altre malattie infettive o parassitarie contagiose (art. 29).
Il provvedimento di rifiuto dell'ingresso o di allontanamento dal territorio deve essere notificato all'interessato, deve essere motivato e i mezzi di ricorso disponibili ed i termini entro cui agire devono esservi indicati. Fatta eccezione per casi urgenti, il termine ultimo per lasciare il territorio non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notifica (art. 30). La direttiva prevede il diritto dell’interessato ad accedere ai mezzi di impugnazione giurisprudenziale e, all’occorrenza, amministrativa e reca una serie di garanzie procedurali (art. 31). Il provvedimento di divieto di ingresso può essere revocato su domanda; l'interessato può presentare una domanda di riesame della sua situazione decorso un congruo periodo, e comunque dopo tre anni (art. 32).
Tra le disposizioni finali recate dalla direttiva si segnalano le seguenti:
§ art. 35: gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio;
§ art. 36: gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali adottate in attuazione della direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione;
§ art. 37: le disposizioni della direttiva non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno più favorevoli ai beneficiari del testo;
§ art. 39: entro il 30 aprile 2008 la Commissione presenta al Parlamento e al Consiglio una relazione relativa all'applicazione della presente direttiva e, all'occorrenza, ogni opportuna nuova proposta;
§ art. 40: il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è fissato al 30 aprile 2006.
Il decreto legislativo 30/2007 reca attuazione della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Esso è stato adottato in virtù della norma di delega conferita al governo nell’art. 1, commi 1 e 3, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004)[17].
Il decreto, in conformità all’atto normativo europeo, prevede la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, stabilendo pertanto la normativa diretta a sostituire interamente la precedente disciplina adottata con il D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea.
Il provvedimento (articolo 1) disciplina le modalità di esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio dello Stato da parte dei cittadini dell'Unione europea e dei familiari che li accompagnano o li raggiungono, i presupposti del diritto di soggiorno permanente, nonché le limitazioni ai predetti diritti per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza.
Un particolare rilievo assume il recepimento degli articoli 2 e 3 della direttiva.
Come si è già accennato nella relativa scheda di lettura, tali articoli – recanti, rispettivamente, le definizioni dei termini usati nel testo e l’individuazione dei titolari del diritto di ingresso e soggiorno – individuano, nell’ambito dei familiari destinatari della direttiva medesima, il partner del cittadino dell’Unione europea.
La direttiva configura un vero e proprio diritto soggettivo all’ingresso e soggiorno per coloro che soddisfano le caratteristiche necessarie per essere definiti partner ai sensi dell’art. 2, lettera b), punto 2: tale condizione deve tuttavia risultare da un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro e diviene vincolante solo qualora lo Stato membro ospitante abbia una legislazione che equipari l’unione registrata al matrimonio, nel rispetto delle condizioni previste da tale legislazione.
In Italia tale previsione normativa non appare oggi applicabile, poiché manca nel nostro ordinamento una specifica disciplina giuridica delle “unioni di fatto” ed un riconoscimento giuridico delle “unioni civili” previste dagli ordinamenti di alcuni Paesi dell’Unione europea.
Peraltro, il comma 2, lett. b), dell’articolo 3 della direttiva, riferendosi alla (diversa) figura del “partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata”, pur non configurando per essa un diritto soggettivo pieno, prevede che lo Stato membro ospitante – conformemente alla sua legislazione nazionale, ne agevoli l’ingresso e il soggiorno.
Con riguardo a tale questione, come sottolinea la relazione illustrativa che accompagna lo schema di decreto presentato alle Camere per il prescritto parere, la scelta operata è stata quella di utilizzare quale modalità di recepimento l’integrale e testuale riproposizione degli artt. 2 e 3 della direttiva 2004/38/CE nei corrispondenti articoli 2 e 3 del decreto: ciò – precisa la relazione, “al fine di evitare che con il provvedimento venissero introdotti istituti non previsti dal nostro ordinamento”.
Gli articoli 4, 5 e 6 disciplinano il diritto di libera circolazione nell’ambito dell’Unione Europea a favore del cittadino dell’Unione europea e dei suoi familiari, qualunque sia la loro cittadinanza. Il diritto è condizionato esclusivamente al possesso di un documento d’identità valido per l’espatrio, per il cittadino europeo, ovvero al possesso del passaporto valido, per il suo familiare extracomunitario. Per questi ultimi è anche richiesto il visto d’ingresso, quando previsto dalla normativa vigente. Il visto non è richiesto nei casi in cui il familiare, non cittadino europeo, sia in possesso della carta di soggiorno.
L’articolo 7 riconosce il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi al cittadino dell’Unione che sia lavoratore subordinato o autonomo, ovvero quando l’interessato disponga per sé e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti per il periodo del soggiorno non divenendo un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato e di una assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi. Analogo diritto è riconosciuto anche a chi frequenti un corso di studi o di formazione professionale presso un istituto pubblico o privato. Anche in tal caso il diritto di soggiorno è subordinato alla titolarità di una assicurazione sanitaria e alla dimostrazione di disporre di risorse economiche sufficienti per il periodo del soggiorno. Infine il diritto di soggiorno è riconosciuto al familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che accompagna o raggiunge il cittadino dell’Unione cui è riconosciuto il diritto di soggiorno. E’ prevista la conservazione del diritto di soggiorno a favore del cittadino comunitario, già lavoratore subordinato o autonomo, nei casi d’inabilità temporanea al lavoro per malattia o infortunio ovvero in stato di disoccupazione involontaria, dopo aver lavorato nello Stato per oltre un anno. Nell’eventualità, invece, in cui la disoccupazione involontaria si è verificata durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio nazionale, il cittadino dell’Unione conserva il diritto di soggiorno per un solo anno.
A tutela dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, nei casi di rifiuto o revoca del diritto di ingresso e soggiorno è ammesso ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui dimora lo straniero il quale provvede sentito l’interessato pronunciandosi in camera di consiglio ai sensi dell’art. 737 del codice di procedura civile (articolo 8).
L’iscrizione anagrafica del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari rinviano alla normativa generale in materia[18]. Trascorsi tre mesi, dall’ingresso nel territorio nazionale, l’interessato deve chiedere l’iscrizione al comune. Per l’iscrizione, oltre l’ordinaria documentazione prevista dalla normativa vigente per i cittadini italiani, è anche richiesta una documentazione specifica secondo le condizioni cui è collegato il diritto di soggiorno (articolo 9).
L’articolo 10 disciplina la carta di soggiorno per il familiare del cittadino dell’Unione con cittadinanza di Stato extracomunitario: trascorsi tre mesi dall’ingresso nel territorio nazionale, il familiare interessato deve fare richiesta alla questura del luogo di residenza per il rilascio della carta di soggiorno.
La carta di soggiorno ha validità quinquennale anche nell’eventualità di assenze temporanee non superiori a sei mesi e, nel caso di periodi maggiori, quando l’assenza è dovuta all’assolvimento di obblighi militari o è dovuta a rilevanti motivi quali gravidanza e maternità o malattia grave.
Nel caso di decesso o partenza dallo Stato del cittadino dell’Unione, l’articolo 11 garantisce la conservazione del diritto di soggiorno a favore dei suoi familiari, cittadini di Stati membri dell’Unione europea, purché questi abbiano acquisito il “diritto di soggiorno permanente” (vedi infra) oppure abbiano i requisiti che consentono il riconoscimento del diritto di soggiorno autonomo (attività lavorativa ovvero polizza assicurativa e disponibilità di risorse economiche, etc.).
Per i familiari non cittadini dell’Unione, la conservazione del diritto di soggiorno è consentita a condizione di aver soggiornato nel territorio nazionale per almeno un anno e purché i familiari abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente o esercitino una attività lavorativa o dimostrino di possedere risorse economiche sufficienti e una polizza assicurativa sanitaria.
Nell’eventualità che non si sia verificata la condizione del soggiorno per almeno un anno, lo schema di decreto rinvia all’applicazione della disposizione di cui all’articolo 30, comma 5, del testo unico n. 286/1998 che, con disposizione valevole in via generale per i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea regolarmente soggiornanti, prevede, nelle medesime ipotesi, il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo o per studio purché ne ricorrano le condizioni. Si è ritenuto necessario estendere tale disposizione anche ai familiari di cittadini comunitari in quanto, in assenza di tale specifica previsione, per il caso in esame sarebbe stata prevista una normativa più favorevole ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea rispetto alla regolamentazione prevista per i comunitari.
Specifiche disposizioni sono previste in caso di divorzio o annullamento del matrimonio del cittadino dell’Unione europea (articolo 12).
Il diritto di soggiorno è conservato ai sensi della disposizione in esame fino a quando gli interessati hanno le risorse economiche stabilite in modo da non diventare un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato o fin quando non costituiscano un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica (articolo 13).
Qualsiasi cittadino dell’Unione europea, così come i suoi familiari, che abbia soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato, gode del diritto di soggiorno permanente.
Gli articoli 14 e 15, che contengono le previsioni al riguardo, accolgono quanto stabilito in materia dalla direttiva 2004/38/CE. Relativamente all’attestazione della titolarità, l’articolo 16 prevede che la richiesta dell’interessato, accompagnata dalla documentazione attestante le condizioni stabilite, venga inoltrata al Comune di residenza che rilascia, entro trenta giorni, l’attestato che certifica la titolarità del diritto di soggiorno permanente. E’ poi stabilito che l’attestato potrà essere sostituito da una istruzione contenuta nel microchip della carta d’identità elettronica ai sensi del decreto legislativo n. 82/2005[19].
I familiari extracomunitari del cittadino dell’Unione europea possono presentare richiesta alla questura competente che entro 90 giorni rilascia una “Carta di soggiorno permanente per familiari di cittadini europei” (articolo 17).
Lo schema di decreto rinvia alla legislazione vigente in ordine ai mezzi di prova per i requisiti richiesti per il mantenimento del soggiorno e per le deroghe relative al diritto di soggiorno permanente. La continuità del soggiorno è comunque interrotta dal provvedimento di allontanamento adottato nei confronti dell’interessato (articolo 18). Conformemente alla normativa in vigore, ai cittadini dell’Unione ed ai loro familiari, indipendentemente dalla loro cittadinanza, è consentito lo svolgimento di qualsiasi attività economica autonoma o subordinata escluse quelle attività che la legge, conformemente ai Trattati dell’Unione europea ed alla normativa comunitaria, riserva ai cittadini italiani. In linea con quanto disposto dalla direttiva 2004/38/CE, lo schema di decreto stabilisce che per i primi tre mesi di soggiorno i cittadini comunitari e i loro familiari non godono del diritto a prestazioni d’assistenza sociale (articolo 19).
I provvedimenti restrittivi in questione sono adottati nel rispetto del principio della proporzionalità ed in relazione ai comportamenti della persona che comunque devono rappresentare una minaccia reale ed attuale tale da pregiudicare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica. La valutazione è fatta con riferimento a comportamenti concreti e non è di per sé sufficiente l’esistenza di condanne penali. Nell’adottare il provvedimento di allontanamento, deve comunque tenersi conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale in Italia e dell’importanza dei suoi legami con il paese di origine. Per i cittadini comunitari ed i loro familiari che hanno acquisito il diritto di soggiorno permanente, l’allontanamento è disposto esclusivamente per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica. Invece l’allontanamento di coloro che hanno soggiornato nel territorio dello Stato per oltre dieci anni e per i minorenni può essere disposto esclusivamente per quei motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato. Salva la possibilità, per i minorenni, di adottare l’allontanamento nel caso in cui questo è necessario nell’interesse del minore stesso come previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite del fanciullo.
L’allontanamento previsto dalla disposizione è adottato con provvedimento del Ministro dell’interno. Il provvedimento deve essere motivato, ed è prevista la notificazione con l’indicazione dei mezzi di impugnazione e della durata del divieto di reingresso per un periodo massimo di tre anni. Sempre nel provvedimento deve essere indicato il termine, non inferiore ad un mese, entro il quale lasciare il territorio nazionale, salvo i casi di comprovata urgenza. La violazione del divieto di reingresso è sanzionata con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda de 500 a 5.000 euro, prevedendo in tale ipotesi anche l’allontanamento immediato. L’esecuzione immediata dell’allontanamento da parte del questore è altresì disposta nel caso in cui il provvedimento è fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettono a repentaglio la sicurezza dello Stato ovvero quando il destinatario si è trattenuto sul territorio dello Stato oltre il termine fissato dal provvedimento (articolo 20).
L’allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno (articolo 21) è invece previsto, per il cittadino dell’Unione e i suoi familiari, indipendentemente dalla loro nazionalità, nei casi in cui vengono a mancare le condizioni che hanno determinato il diritto di soggiorno. In tali ipotesi, l’allontanamento è disposto con provvedimento motivato del prefetto notificato all’interessato. Nell’adottare il provvedimento si deve tener conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale in Italia e dell’importanza dei suoi legami con il paese di origine. Per queste ipotesi di allontanamento il provvedimento non può prevedere un divieto di reingresso.
L’articolo 22 dello schema di decreto prevede i mezzi di tutela avverso il provvedimento di allontanamento adottato dal Ministro (articolo 20) o dal prefetto (articolo 21). Per il provvedimento del Ministro, basato sui motivi di ordine e sicurezza pubblica, il ricorso può essere presentato al T.A.R. del Lazio. Con la disposizione si è voluto ribadire quanto già previsto per le espulsioni adottate con provvedimento del Ministro. Il ricorso può essere presentato anche dall’estero e può contenere l’istanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento. Il provvedimento di allontanamento adottato dal prefetto è invece ricorribile avanti al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che lo ha adottato.
Il ricorso deve essere presentato, a pena d’inammissibilità, entro venti giorni dalla notifica e deciso nei successivi trenta giorni.
Unitamente al ricorso può essere presentata anche l’istanza di sospensione dell’allontanamento. In tal caso l’efficacia dell’allontanamento è sospesa fino alla decisione della relativa istanza, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale. Il tribunale provvede in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 737 ss. c.p.c..
L’articolo 23 estende l’applicabilità delle norme contenute nel decreto legislativo, se più favorevoli, ai familiari di cittadini italiani di diversa cittadinanza.
L’articolo 24 prevede la norma di copertura finanziaria con un onere derivante valutato in 14,5 milioni di euro annui, a decorrere dal 2007, a carico della disponibilità del Fondo di rotazione di cui alla legge 183/1987[20] cui risorse sono assegnate all’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) e al Fondo sanitario nazionale.
L’articolo 25 reca le norme finali e dispone l’abrogazione delle disposizioni già vigenti in materia, in particolar modo quelle recate dal testo unico approvato con D.P.R. 54/2002.
Il decreto-legge 1º novembre 2007, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza, è stato pubblicato nella G.U. n. 255 del 2 novembre 2007. Scadrà pertanto in data 1° gennaio 2008.
Il testo del decreto-legge, comprensivo delle modificazioni e integrazioni apportate nel corso dell’esame al Senato del disegno di legge di conversione (A.S. 1872), consta di quattro articoli.
L’articolo in esame reca una serie di modifiche testuali al D.Lgs. 30/2007[21], che ha recepito nell’ordinamento interlo la direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri[22].
La finalità perseguita dal Governo, secondo quanto si desume dalla relazione illustrativa al d.d.l. di conversione presentato al Senato, è quella di “assicurare celerità ed effettività all’esecuzione degli allontanamenti dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, quando tali provvedimenti sono adottati per motivi di pubblica sicurezza”.
Fanno eccezione i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, introdotti nel corso dell’esame al Senato, che novellano il D.Lgs. 215/2003, in tema di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.
I commi da 01 a 04 dell’articolo sono stati introdotti in sede di conversione del decreto-legge al Senato.
Il comma 01 aggiunge un comma all’art. 5 del D.Lgs. 30/2007, ai sensi del quale il cittadino dell’Unione o il suo familiare che abbia fatto ingresso in Italia, può dichiarare presso un ufficio di polizia la propria presenza nel territorio nazionale. Tale adempimento non è obbligatorio; la sua mancanza, peraltro, fa sorgere la presunzione giuridica (salva prova contraria), che il soggiorno si sia protratto da oltre tre mesi.
Le modalità della dichiarazione saranno fissate con decreto del ministro dell’interno entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione.
L’onere di dichiarazione e la correlata presunzione si collegano al diritto, riconosciuto ai cittadini dell'Unione (e ai familiari) dall’art. 6 del D.Lgs. 30/2007 (che riprende il disposto dell’art. 6 della direttiva) di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di un documento d'identità valido per l'espatrio (o, per i familiari, di un passaporto valido).
Si ricorda che l’art. 5, co. 5 della direttiva dà allo Stato membro la possibilità di “prescrivere all'interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L'inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie”.
I commi 02 e 03 modificano l’elencazione dei requisiti posti dall’art. 7 e dall’art. 9 del D.Lgs. 30/2007 ai fini, rispettivamente, del soggiorno del cittadino dell’Unione nel territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi e dell’iscrizione nell’anagrafe dei residenti. Ad entrambi i fini, il requisito della disponibilità di risorse economiche sufficienti per sé stesso e per i propri familiari, prescritto dalla vigente disciplina (e la relativa documentazione) è integrato con la precisazione che tali risorse devono derivare da fonti lecite e dimostrabili.
Il comma 04 integra l’art. 18, co. 2, del D.Lgs. 30/2007, ove si prevede che la continuità del soggiorno sia interrotta dal provvedimento di allontanamento adottato nei confronti della persona interessata, precisando che tale provvedimento di allontanamento costituisce causa di cancellazione anagrafica.
Il comma 1 modifica l’articolo 20 del D.Lgs. 30/2007, che reca la disciplina in tema di limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico. L’intervento governativo si appalesa, sin dalla modifica apportata alla rubrica dell’articolo, come volto a prevedere l’innovazione della suddetta disciplina limitativa con riferimento ai profili di pubblica sicurezza.
In particolare, è la disciplina dell’allontanamento ad essere innovata, con riguardo sia ai presupposti sia al procedimento.
Quanto ai presupposti dell’allontanamento, l’inserimento di un nuovo comma 1-bis nell’art. 20 (previsto da una modifica apportata dal Senato al testo del decreto-legge) precisa in via generale che i provvedimenti di allontanamento sia per motivi di ordine pubblico, di sicurezza dello Stato o di pubblica sicurezza, sia per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno, non possono essere motivati da ragioni estranee ai comportamenti individuali della persona interessata. Alla luce di tale criterio dovranno dunque essere interpretate le condizioni che, ai sensi delle ulteriori modifiche apportate all’articolo, giustificano l’allontanamento.
In base al comma 1 dell’art. 20 – non modificato dal decreto-legge – il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere in generale limitato solo per motivi “di ordine pubblico o di pubblica sicurezza”.
L’art. 20, co. 4, nel testo previgente, consente l’allontanamento nei confronti dei cittadini della UE titolari del diritto di soggiorno permanente, solo per “gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica”. In base al testo modificato, l’allontanamento può essere disposto per “gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza”.
Si ricorda che, in base all’art. 14 del D.Lgs. 30/2007, il cittadino dell'Unione che ha soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale ha diritto al soggiorno permanente, così come il familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro che abbia soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale unitamente al cittadino dell'Unione[23].
In base all’art. 28 della direttiva 2004/38/CE lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell'Unione o del suo familiare qualunque sia la cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio, se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
Nei riguardi dei cittadini dell'Unione europea che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni, il testo previgente (art. 20, co. 5) condizionava l’allontanamento alla sussistenza di “motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato”. Il testo modificato, invece, individua il presupposto per l’allontanamento nell’esistenza di “motivi di sicurezza dello Stato”, ovvero di “motivi imperativi di pubblica sicurezza”.
In base all’art. 28 della direttiva, le tipologie di cittadini sopra citate non possono essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo che la decisione sia adottata per “motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato”.
Resta salva, nel testo modificato, la possibilità di allontanamento del minore disposta nel suo stesso interesse, secondo quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176.
Tali modifiche testuali appaiono funzionali a una riclassificazione dei presupposti definiti dal testo previgente (motivi di ordine e di sicurezza pubblica; motivi di pubblica sicurezza ridondanti in rischio per la sicurezza dello Stato) in più distinti e autonomi presupposti, ciascuno di per sé legittimante l’allontanamento:
§ motivi di ordine pubblico;
§ motivi di sicurezza dello Stato;
§ motivi di pubblica sicurezza;
§ motivi imperativi di pubblica sicurezza.
Il testo in esame non reca una definizione delle categorie testé elencate, ad eccezione di quella dei motivi “imperativi” di pubblica sicurezza (sulla quale, vedi infra).
Tale riclassificazione incide, come si dirà, sia sulla titolarità del potere di allontanamento sia sulle modalità di esercizio di tale potere.
Quanto alla titolarità del potere di allontanamento, i commi 7 (novellato) e 7-bis(di nuova introduzione) dell’articolo 20 delineano un “doppio binario”.
Spettano al ministro dell’interno (co. 7) i provvedimenti di allontanamento disposti:
§ per motivi di ordine pubblico;
§ per motivi di sicurezza dello Stato;
§ nei riguardi di cittadini dell'Unione europea che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni.
La competenza del ministro dell’interno è fondata pertanto in due casi sulla tipologia del presupposto, nel terzo sulle caratteristiche personali del soggetto destinatario del provvedimento.
Competono invece al prefetto(co. 7-bis), i provvedimenti disposti
§ per motivi di pubblica sicurezza;
§ per motivi imperativi di pubblica sicurezza, se riguardanti soggetti diversi da quelli di cui al co. 5 (cittadini dell'Unione che hanno soggiornato in Italia nei precedenti dieci anni o minorenni).
La competenza territoriale del prefetto è individuata secondo la residenza o dimora del destinatario del provvedimento.
In base al codice civile, per residenza s’intende il luogo in cui la persona ha la dimora abituale (art. 43). Il concetto di dimora non è invece definito a livello codicistico; la dottrina ritiene che esso indichi il “luogo ove una persona si trova sia pure momentaneamente purché in via non passeggera” (Gazzoni).
Quanto all’allontanamento disposto dal ministro dell’interno (art. 20, co. 7), nel testo modificato dal Senato si prevede che la durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale non possa essere superiore a dieci anni (erano tre anni nel testo previgente del D.Lgs. 30/2007), e che il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, non inferiore ad un mese dalla data della notifica, nei casi di comprovata urgenza può essere ridotto a dieci giorni.
Il principale elemento di innovazione in tema di competenza all’allontanamento risiede peraltro nella attribuzione della relativa titolarità al prefetto ove i motivi legittimanti attengano alla pubblica sicurezza (art. 20, co. 7-bis). Nel testo previgente, infatti, i poteri di allontanamento erano attribuiti in tutti i casi al ministro dell’interno.
La relazione governativa afferma che la nuova competenza del prefetto è introdotta al fine di “assicurare celerità ed effettività all’esecuzione degli allontanamenti dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, quando tali provvedimenti sono adottati per motivi di pubblica sicurezza”.
Il Governo segnala che, a livello sistematico, il potere prefettizio di allontanamento trova un precedente legislativo nell’art. 13 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
La disposizione richiamata stabilisce (co. 1) che per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell'interno può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al ministro degli affari esteri. L'espulsione è invece disposta dal prefetto quando lo straniero, tra l’altro (co. 2, lett. c)) , rientri nella categoria delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, ovvero in quella degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.
Il provvedimento prefettizio di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza deve avere i seguenti connotati (art. 20, co. 7-bis):
§ va in ogni caso disposto con atto motivato[24];
§ va notificato all’interessato;
§ va tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese;
§ deve riportare le modalità di impugnazione;
§ deve indicare la durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere superiore a cinque anni (tre anni nel testo originario del decreto-legge: il termine è stato ampliato nel corso dell’esame al Senato);
§ deve indicare il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica ma, nei casi di comprovata urgenza, può essere ridotto a dieci giorni (anche questo secondo termine è stato introdotto dal Senato).
In base al testo in esame, normalmente l’allontanamento per motivi di pubblica sicurezza è eseguito dal prefetto mediante intimazione a lasciare il territorio nazionale entro un certo termine. Ove però ricorrano motivi imperativi di pubblica sicurezza, il provvedimento di allontanamento è immediatamente eseguito dal questore.
Il testo non chiarisce con quali modalità il questore debba provvedere all’esecuzione dell’allontanamento. L’art. 13, co. 4 del D.Lgs. 286/1998 (che nel silenzio potrebbe ritenersi applicabile), precisa come l’espulsione dello straniero non appartenente all’Unione europea debba essere eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
Il testo prevede invece espressamente, tramite rinvio all'art. 13, co. 5-bis, del D.Lgs. 286/1998, che il rimedio giurisdizionale esperibile avverso il provvedimento di allontanamento eseguito dal questore per motivi imperativi di pubblica sicurezza è il medesimo previsto per gli stranieri cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea.
L’art. 13 del T.U. disciplina l’espulsione amministrativa dello straniero. Il comma 5-bis prevede che, nei casi di espulsione con accompagnamento alla frontiera, il questore comunica immediatamente e, comunque, entro 48 ore (decorrenti dal momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria) al giudice di pace territorialmente competente, il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida[25], che avviene in udienza camerale, con decreto motivato, entro le 48 ore successive, garantito il contraddittorio. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei CPT (centri di permanenza temporanea) salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto. Avverso il decreto di convalida è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione dell'allontanamento dal territorio nazionale. Il termine di quarantotto ore entro il quale il giudice di pace deve provvedere alla convalida.
A tale proposito va sin d’ora segnalato che l’articolo 1-ter del decreto-legge in esame, introdotto nel corso dell’esame al Senato (vedi infra), trasferisce al tribunale ordinario in composizione monocratica le competenze attualmente riconosciute al giudice di pace dal testo unico sull’immigrazione.
Il questore dispone l’allontanamento immediato dal territorio dello Stato anche nei casi in cui:
§ il provvedimento – in questo caso disposto dal ministro dell’interno – sia fondato su motivi di sicurezza dello Stato;
§ l’intimato non abbandoni il territorio dello Stato entro il termine in precedenza assegnato in sede di intimazione (art. 20, co. 9, novellato);
§ il destinatario del provvedimento rientri nel territorio dello Stato in violazione del divieto di reingresso.
Il novellato art. 20, co. 8, stabilisce che quest’ultimo caso configura un’ipotesi di delitto, punito con la reclusione fino a tre anni. Sul punto, il decreto-legge innova rispetto al testo previgente, che prevedeva per la stessa condotta una fattispecie contravvenzionale, punita con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000.
Si ricorda, quanto alle ulteriori conseguenze processuali della innovazione in esame, che possono essere disposte misure cautelari coercitive solo ove si proceda per delitti puniti con l’ergastolo o con la reclusione superiore nel massimo a tre anni. L’applicazione della custodia cautelare in carcere, peraltro, è possibile ove si proceda per un delitto punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni (art. 280 c.p.p.). Pertanto, l’introduzione della nuova ipotesi di delitto non pare comportare l’applicabilità di misure cautelari di tipo coercitivo.
A seguito delle modifiche apportate, nel corso dell’esame al Senato, alle lettere f) e g) del comma 4 dell'articolo 1 del decreto-legge, anche alle ipotesi di allontanamento immediato testé elencate è assicurata l'applicabilità del già richiamato rimedio giurisdizionale previsto dall'art. 13, co. 5-bis, del testo unico in materia di immigrazione.
Il comma 7-ter introdotto nell’art. 20 (e riformulato nel corso dell’esame al Senato) reca una definizione legislativa della nuova nozione di motivi imperativi di pubblica sicurezza: essi ricorrono quando il cittadino dell'Unione o un suo familiare che non abbia la cittadinanza di uno Stato membro, abbia tenuto “comportamenti che costituiscono una minaccia effettiva, concreta e grave alla dignità umana o ai diritti fondamentali della persona umana ovvero all’incolumità pubblica, rendendo urgente l’allontanamento perché la sua ulteriore permanenza sul territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza”.
Il comma 7-quater, introdotto dal Senato, integra il comma precedente individuando una serie di elementi che devono essere presi in considerazione dal prefetto in sede di adozione del provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale per motivi imperativi di pubblica sicurezza.
La norma in esame fa riferimento, in primo luogo, ad eventuali sentenze di condanna pronunciate da un giudice nazionale o straniero per uno o più delitti non colposi, anche tentati contro la vita o l'incolumità della persona, ovvero per taluni delitti corrispondenti a quelli previsti dall'articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69, anche nel caso in cui la pena inflitta per i citati reati sia stata oggetto di patteggiamento ai sensi dell'articolo 444 c.p.p..
La citata L. 69/2005 reca disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri. In particolare, l'articolo 8, richiamato dal comma in esame,delimita il campo di applicazione obbligatoria del mandato di arresto europeo che prescinde dalla necessità di doppia punibilità (nel Paese emittente il mandato ed in quello ricevente) enucleando un elenco di 32 reati (per i quali la pena sia, nel Paese emittente, pari o superiore a 3 anni): tra essi, si segnalano la partecipazione ad un’associazione criminale, il terrorismo, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento sessuale e la pornografia minorile, lo stupro, numerose fattispecie di traffico illecito (droga, armi, materiali nucleari e radioattivi, organi e tessuti umani, veicoli rubati, sostanze ormonali), la corruzione, frode (anche a danno delle comunità europee) il riciclaggio, l’omicidio volontario, reati ambientali, il razzismo e la xenofobia.
Inoltre, dovrà essere tenuta in considerazione l'eventuale appartenenza della persona nei cui confronti si intenda disporre il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale per motivi imperativi di pubblica sicurezza a taluna delle categorie di persone nei cui confronti è possibile applicare una misura di prevenzione personale ai sensi dell'art. 1 della L. 1423/1956[26], e dell'art. 1 della L. 575/1965[27].
La L. 1423/1956 individua i seguenti destinatari delle misure di prevenzione personale:
§ coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che siano abitualmente dediti a traffici delittuosi;
§ coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
§ coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
A sua volta, la L. 575/1965 individua i destinatari delle misure di prevenzione “antimafia”, in coloro che siano “indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”.
Da ultimo, il citato comma 7-quater fa, altresì, riferimento all'eventuale applicazione di misure di prevenzione o di allontanamento disposte da autorità straniere.
Un ulteriore elemento è apportato dal comma 7-sexies, anch’esso introdotto dal Senato, secondo il quale i provvedimenti di allontanamento comunque motivati sono adottati tendendo conto anche delle segnalazioni motivate del sindaco del luogo di soggiorno del cittadino dell’Unione o del suo familiare.
Il comma 7-quinquies, anch’esso introdotto in sede di conversione, introduce una procedura che consente al cittadino dell’Unione destinatario del provvedimento di allontanamento per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sicurezza dello Stato di chiedere la revoca del divieto di reingresso, qualora ritenga di poter dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione, purché sia decorsa almeno la metà della durata del divieto, o comunque almeno tre anni, dall’esecuzione del provvedimento. di vietarne il reingresso nel territorio nazionale. Sulla domanda decide entro sei mesi con atto motivato l’autorità che ha emanato il provvedimento. Durante l’esame della domanda l’interessato non ha diritto di ingresso nel territorio nazionale.
La direttiva 2004/38/CE (art. 32) prevede che la persona nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di divieto d'ingresso nel territorio per motivi d'ordine pubblico o pubblica sicurezza possa presentare una domanda di revoca del divieto d'ingresso nel territorio nazionale dopo il decorso di un congruo periodo, determinato in funzione delle circostanze e in ogni modo dopo tre anni a decorrere dall'esecuzione del provvedimento definitivo di divieto validamente adottato ai sensi del diritto comunitario, nella quale essa deve addurre argomenti intesi a dimostrare l'avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne l'ingresso nel territorio. Lo Stato membro interessato si pronuncia in merito a tale nuova domanda entro sei mesi dalla data di presentazione della stessa. La persona interessata non ha diritto d'ingresso nel territorio dello Stato membro durante l'esame della sua domanda.
L’articolo 1, comma 2, del decreto-legge in esame introduce nel D.Lgs. 30/2007 un nuovo articolo 20-bis, composto da tre commi e rubricato: Allontanamento del cittadino dell’Unione o di un suo familiare sottoposto a procedimento penale.
Il comma 1 prevede che, qualora il destinatario del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza sia sottoposto a procedimento penale, si applicano le disposizioni di cui all’art. 13, co. 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies del testo unico sull'immigrazione, di cui al citato D.Lgs. 286/1998. In altri termini, si rinvia alla analoga disciplina già vigente per i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea e per gli apolidi. Tale disciplina si basa sulla necessità di un nulla-osta da parte dell'autorità giudiziaria.
In particolare, il co. 3 del suddetto art. 13 afferma che quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l'espulsione, richiede il nulla osta all'autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali, valutate in relazione:
§ all'accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e
§ all'interesse della persona offesa.
In tal caso l'esecuzione del provvedimento è sospesa fino a quando l'autorità giudiziaria comunica la cessazione delle esigenze processuali.
Il questore, ottenuto il nulla osta, provvede all'espulsione. Il nulla osta si intende concesso qualora l'autorità giudiziaria non provveda entro 15 giorni dalla data di ricevimento della richiesta. In attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore può adottare la misura del trattenimento presso un centro di permanenza temporanea.
Ai sensi del co. 3-bis, nel caso di arresto in flagranza o di fermo, il giudice rilascia il nulla osta all'atto della convalida, salvo che applichi la misura della custodia cautelare in carcere o che ricorra una delle ragioni per le quali il nulla osta può essere negato ai sensi del co. 3.
Secondo il co. 3-ter, le disposizioni di cui al co. 3 si applicano anche allo straniero sottoposto a procedimento penale, dopo che sia stata revocata o dichiarata estinta per qualsiasi ragione la misura della custodia cautelare in carcere applicata nei suoi confronti. Il giudice, con lo stesso provvedimento con il quale revoca o dichiara l'estinzione della misura, decide sul rilascio del nulla osta all'esecuzione dell'espulsione. Il provvedimento è immediatamente comunicato al questore.
Il co. 3-quater prevede che nei casi previsti dai commi precedenti, il giudice, acquisita la prova dell'avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. È sempre disposta la confisca delle cose indicate nel secondo comma dell'art. 240 c.p. (cose che costituiscono il prezzo del reato e cose la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituiscono reato). Si applicano le disposizioni di cui ai commi 13, 13-bis, 13-ter e 14.
I commi 13, 13-bis, 13-ter e 14, richiamati dal comma 3-quater dell’art. 13 citato, contengono una disciplina del reingresso che differisce da quella di cui all'art. 20 del D.Lgs. 30/2007 (e alla direttiva 2004/38). Pertanto parrebbe che il rinvio al comma 3-quater non dovrebbe essere interpretato nel senso di ricomprendere anche l'ultimo periodo.
Infine, ai sensi dell'art. 3-quinquies, se lo straniero espulso rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dal comma 14 ovvero, se di durata superiore, prima del termine di prescrizione del reato più grave per il quale si era proceduto nei suoi confronti, si applica l'art. 345 c.p.p.. Se lo straniero era stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima della custodia cautelare, quest'ultima è ripristinata a norma dell'art. 307 c.p.p..
Per i motivi suindicati, anche il rinvio al comma 3-quinquies sembrerebbe porre qualche problema di coordinamento con la disciplina del reingresso per i cittadini dell'Unione europea.
Il comma 1-bis, introdotto dal Senato, dà facoltà al questore di disporre, nei casi di cui al comma 1, il trattenimento in strutture già destinate per legge alla permanenza temporanea.
La normativa in materia di immigrazione prevede una pluralità di strutture destinate alla permanenza temporanea degli stranieri.
I centri di permanenza temporanea e accoglienza (CPTA) sono disciplinati dal testo unico nel quadro delle misure sanzionatorie disposte per la violazione delle norme sull’immigrazione (art. 14 T.U.). I centri, istituiti con decreto del ministro dell’interno, costituiscono lo strumento per trattenere lo straniero quando non è possibile, per motivi contingenti, eseguire immediatamente il respingimento alla frontiera o l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera. Il testo unico indica tassativamente i motivi che consentono il trattenimento:
§ necessità di prestare soccorso;
§ accertamento dell’identità o nazionalità dello straniero;
§ acquisizione dei documenti per il viaggio;
§ indisponibilità di un mezzo di trasporto idoneo per l’espulsione.
Il D.L. 241/2004 ha aggiunto una ulteriore ipotesi: lo straniero in attesa della definizione del procedimento di convalida del provvedimento del questore di esecuzione dell’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera deve essere trattenuto in uno dei centri, a meno che non si possa procedere immediatamente alla convalida (art. 13, co. 5-bis TU come modificato dal D.L. 241, art. 1, co. 1).
Il trattenimento è disposto con provvedimento del questore per un periodo di 30 giorni, prorogabile, su richiesta del questore e solo in presenza di gravi difficoltà, di altri 30 giorni[28]. Anche questo atto, in quanto incidente sulla libertà di circolazione del cittadino straniero, è sottoposto a verifica giurisdizionale (convalida da parte del giudice di pace).
Attualmente sono operativi 11 centri di permanenza temporanea e assistenza localizzati a Torino, Milano, Bologna, Modena, Roma, Lecce, Lametia Terme, Caltanissetta, Agrigento, Lampedusa, Trapani.
I centri di prima assistenza (CPA) sono stati istituiti con la L. 563/1995 (la cosiddetta “legge Puglia”)[29] finalizzata a fronteggiare la massiccia affluenza nelle coste pugliesi di immigrati clandestini provenienti dall’Albania verificatisi nell’estate 2005.
I centri sono destinati a garantire un primo soccorso agli stranieri irregolari rintracciati sul territorio nazionale per assicurare interventi di aiuto e assistenza alla persona e, comunque, per il tempo necessario alla loro identificazione o espulsione.
Inizialmente istituiti nella sola regione Puglia, sono stati in seguito costituiti anche in altre zone del Sud. Attualmente i CPA sono 5: Bari-Palese, Crotone, Caltanissetta, Foggia e Siracusa. Uno status particolare è stato assunto dal centro di Lampedusa che da centro di permanenza temporanea è stato trasformato in centro di primo soccorso e assistenza volto a ospitare gli stranieri per breve tempo prima del loro trasferimento, dopo una permanenza di 24-48 ore, presso un CPTA o un CID[30].
I centri di identificazione (CID) sono destinati al trattenimento dei richiedenti asilo per il tempo strettamente necessario alla definizione delle autorizzazioni alla permanenza nel territorio dello Stato. Tale tipologia di centri è stata prevista dalla legge 189/2002 attraverso l’introduzione dell’art. 1-bis del D.L. 416/1990).
Il provvedimento di trattenimento, disposto dal questore, è facoltativo nei seguenti casi:
§ per verificare la nazionalità o identità, qualora egli non sia in possesso dei documenti di viaggio o d’identità;
§ per verificare gli elementi su cui si basa la domanda di asilo;
§ in dipendenza del procedimento concernente il riconoscimento del diritto ad essere ammesso nel territorio dello Stato.
Il trattenimento è, invece, disposto in via obbligatoria:
§ a seguito della presentazione di una domanda di asilo presentata dallo straniero fermato per avere eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo, o, comunque, in condizioni di soggiorno irregolare;
§ a seguito della presentazione di una domanda di asilo da parte di uno straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento.
In quest’ultimo caso lo straniero viene trattenuto nei centri di permanenza temporanea e assistenza.
Nei casi di trattenimento non viene rilasciato il permesso di soggiorno temporaneo.
I centri attualmente operativi sono 4: Milano, Crotone, Foggia e Trapani.
Il comma 2 prevede che, contrariamente a quanto previsto dal suddetto comma 3-quater dell'art. 13 del Testo unico sull'immigrazione, nell'ipotesi di reati di cui all'art. 380 c.p.p. il giudice non pronuncia la sentenza di non luogo a procedere una volta avvenuta l'espulsione.
Alla luce di tale disposizione sembrerebbe dunque esservi una diversità tra la situazione del cittadino extracomunitario, nei cui confronti viene pronunciato il non luogo a procedere, e quello dell'Unione, nei confronti del quale, in alcuni casi, ciò non avviene.
Ai sensi dell'art. 380 c.p., gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto (arresto obbligatorio in flagranza) di chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni.
Anche fuori dei casi predetti, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza di uno dei seguenti delitti non colposi, consumati o tentati:
a) delitti contro la personalità dello Stato per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni o nel massimo a 10 anni;
b) delitto di devastazione e saccheggio previsto dall'art. 419 c.p.;
c) delitti contro l'incolumità pubblica per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel minimo a 3 anni o nel massimo a 10 anni;
d) riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), prostituzione minorile (art. 600-bis , primo comma, c.p.); pornografia minorile (art. 600-ter, commi primo e secondo, c.p.) anche se relativo al materiale pornografico di cui all'art. 600-quater.1, e iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-quinquies c.p.);
e) furto, quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall'art. 4 della legge 8 agosto 1977, n. 533 quella prevista dall'art. 625, primo comma, numero 2), prima ipotesi, c.p., salvo che, in quest'ultimo caso, ricorra la circostanza attenuante di cui all'art. 62, primo comma, numero 4), c.p.;
e-bis) delitti di furto previsti dall'art. 624-bis c.p., salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all'art. 62, primo comma, numero 4), c.p.;
f) rapina (art. 628 c.p.) ed estorsione (art. 629 c.p.);
g) illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall'art. 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110;
h) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope puniti a norma dell'art. 73 del testo unico approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che ricorra la circostanza prevista dal comma 5 del medesimo articolo;
i) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a 4 anni o nel massimo a 10 anni;
l) promozione, costituzione, direzione e organizzazione delle associazioni segrete previste dall'art. 1 della legge 25 gennaio 1982, n. 17, delle associazioni di carattere militare previste dall'art. 1 della legge 17 aprile 1956, n. 561, delle associazioni, dei movimenti o dei gruppi previsti dagli artt, 1 e 2, della legge 20 giugno 1952, n. 645, delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 3, comma 3, della legge 13 ottobre 1975, n. 654;
l-bis) delitti di partecipazione, promozione, direzione e organizzazione della associazione di tipo mafioso prevista dall'art. 416-bis c.p.;
m) delitti di promozione, direzione, costituzione e organizzazione della associazione per delinquere prevista dall'art. 416, commi 1 e 3, c.p., se l'associazione è diretta alla commissione di più delitti fra quelli previsti dal comma 1 o dalle suddette lettere a), b), c), d), f), g), i).
Il comma 3 stabilisce che, per i suddetti reati di cui all'art. 380 c.p.p., può procedersi all’allontanamento solo nell’ipotesi in cui il soggetto, per qualsiasi causa, non sia sottoposto a misura cautelare detentiva (e non solo, dunque, nel caso in cui esso non si trovi in stato di custodia cautelare in carcere, come previsto dall'art. 13, co. 3, del D.Lgs. 286/1998).
I commi 2-bis, 2-ter e 2-quaterdell’articolo 1 – introdotti nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione del decreto presso il Senato – novellano il D.Lgs. 215/2003, in tema di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica[31].
Il D.Lgs. 215/2003 recepisce la direttiva 2000/43/CE e reca disposizioni relative alla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, prevedendo le misure necessarie ad evitare che le differenze di razza o etnia siano causa di discriminazione, diretta e indiretta, anche in considerazione del differente impatto che le medesime forme di discriminazione possano avere su donne e uomini e sull’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso.
In particolare, il comma 2-bis interviene sull’art. 2 del D.Lgs. 215/2003, che introduce la nozione di discriminazione.
Ai sensi dell’art. 2, la parità di trattamento è assicurata qualora non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica (comma 1).
Si ha una discriminazione diretta, quando, per la razza o l’origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga.
La discriminazione indiretta si verifica invece quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.
Sono altresì considerate alla stregua di discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo (comma 3).
Anche l’ordine di discriminare le persone a causa della razza o dell’origine etnica è una forma di discriminazione (comma 4).
Il provvedimento in commento modifica il comma 3 dell’art. 2 sostituendo fra le parole “umiliante” e “offensivo” la particella “e” con la particella “o”. Ciò comporta che costituiscono discriminazione anche le molestie o i comportamenti indesiderati che hanno come scopo o effetto di violare la dignità di una persona così da creare un clima intimidatorio, ostile, degradante umiliante o offensivo.
I commi 2-ter e 2-quater intervengono sull’articolo 4 del decreto legislativo n. 215/1993, relativo alla tutela giurisdizionale dei diritti dei soggetti che si ritengano lesi dalle forme di discriminazione di cui all’art. 2.
Tale tutela si svolge nelle forme previste dall’articolo 44 del Testo unico sull’immigrazione (comma 1).
Per coloro che intendono agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una discriminazione e che non ritengano di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, si prevede la possibilità di promuovere il tentativo di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile o, nei casi di rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165[32]. Il tentativo di conciliazione può essere promosso anche tramite le associazioni di cui al successivo art. 5 (comma 2).
Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può inoltre dedurre in giudizio elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che vengono valutati dal giudice nei limiti di cui all’articolo 2729, primo comma, del codice civile[33] (comma 3).
Il giudice che accoglie il ricorso, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, impartisce le opportune disposizioni per la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente. Inoltre, al fine di impedire la ripetizione degli atti di discriminazione, il giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate (comma 4).
Ai fini della liquidazione del danno, il giudice tiene conto del fatto che l’atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso finalizzata ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento (comma 5).
Il giudice può ordinare la pubblicazione della sentenza per una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale, a spese del convenuto (comma 6).
Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale di cui all’articolo 3, comma 1, del Testo unico sul pubblico impiego[34] (comma 7).
Il disegno di legge in commento apporta a tale procedimento le seguenti modifiche:
§ sostituendo il comma 3, dispone che laddove il ricorrente fornisca in giudizio degli elementi di fatto gravi, precisi e concordanti in ordine all’esistenza di una discriminazione in suo danno, spetta al convenuto provare che la parità di trattamento non è stata violata (comma 2-ter);
§ modificando il comma 5, ed eliminando il riferimento al soggetto leso, amplia le possibilità nella quali il giudice può tener conto nella liquidazione del danno del fatto che la condotta discriminatoria è ritorsione rispetto ad una attività volta ad ottenere il rispetto della parità di trattamento. Potrà trattarsi, infatti, non solo di una ritorsione rispetto ad una attività del soggetto leso, ma anche e più in generale, di una ritorsione a fronte dell’attività diretta ad ottenere il rispetto della parità di trattamento, da chiunque svolta (comma 2-quater).
D.Lgs. 215/2003 – testo vigente |
D.Lgs. 215/2003 – testo modificato dal D.L. 181/2007 (come emendato dal Senato) |
[…] |
[…] |
Art. 2 |
Art. 2 |
1. Ai fini del presente decreto, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell'origine etnica. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite: a) discriminazione diretta quando, per la razza o l'origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in situazione analoga; b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone. |
1. [Identico]. |
2. È fatto salvo il disposto dell'articolo 43, commi 1 e 2, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, di seguito denominato: «testo unico». |
2. [Identico]. |
3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo. |
3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. |
4. L'ordine di discriminare persone a causa della razza o dell'origine etnica è considerato una discriminazione ai sensi del comma 1. |
4. [Identico]. |
[…] |
[…] |
Art. 4 |
Art. 4 |
1. La tutela giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti di cui all'articolo 2 si svolge nelle forme previste dall'articolo 44, commi da 1 a 6, 8 e 11, del testo unico. |
1. [Identico]. |
2. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una delle discriminazioni di cui all'articolo 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, nell'ipotesi di rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite le associazioni di cui all'articolo 5, comma 1. |
2. [Identico]. |
3. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio, anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta ai sensi dell'articolo 2729, primo comma, del codice civile. |
3. Qualora il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, deduca in giudizio elementi di fatto in termini gravi, precisi e concordanti, incombe alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento. |
4. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti. Al fine di impedirne la ripetizione, il giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. |
4. [Identico]. |
5. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 4, che l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento. |
5. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 4, che l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento. |
6. Il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento di cui ai commi 4 e 5, a spese del convenuto, per una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale. |
6. [Identico]. |
7. Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. |
7. [Identico]. |
[…] |
[…] |
Anche l’articolo 21 del D.Lgs. 30/2007, che dispone in tema di allontanamento del cittadino UE per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno, è oggetto di modifiche testuali ad opera dell’articolo 1, comma 3, del decreto-legge.
In caso di cessazione delle predette condizioni (di cui agli artt. 6, 7 e 13 del decreto legislativo, precisa il nuovo testo), spetta al prefetto territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, con atto motivato e notificato all'interessato, provvedere al relativo allontanamento dal territorio nazionale, mediante intimazione.
Il testo in esame ha introdotto la previsione secondo cui, unitamente al provvedimento di allontanamento, va consegnata all'interessato una “attestazione di obbligo di adempimento” dell'allontanamento, secondo un modello stabilito con decreto del ministro dell'interno e del ministro degli affari esteri. Detta attestazione deve essere presentata presso un consolato italiano (il testo originario del D.L., poi modificato dal Senato, prevedeva dovesse trattarsi del consolato italiano del Paese di cittadinanza dell'allontanato).
Inoltre, è introdotta una specifica fattispecie contravvenzionale, sanzionata con l'arresto da un mese a sei mesi e con l'ammenda da 200 a 2.000 euro, che ricorre allorquando l’allontanato sia individuato sul territorio dello Stato oltre il termine fissato nel provvedimento di allontanamento, e non abbia provveduto alla presentazione dell'attestazione di cui sopra.
La relazione illustrativa chiarisce che la ratio di tali modifiche è quella di garantire l’ottemperanza all’allontanamento del cittadino dell’Unione europea quando vengono a mancare le condizioni che determinano il soggiorno. Va ricordato, al riguardo, che il provvedimento di allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno non può prevedere un divieto di reingresso sul territorio nazionale.
Il decreto-legge in esame, infine, apporta (articolo 1, comma 4) alcune modifiche all'articolo 22 del D.Lgs. 30/2007, in materia di ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento, che conseguono alle modifiche apportate dai commi precedenti.
Il testo previgente dell'art. 22 prevedeva che il provvedimento del ministro, basato su motivi di ordine e sicurezza pubblica, potesse essere impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma.
Il provvedimento di allontanamento adottato dal prefetto – nei casi in cui fossero venute a mancare le condizioni che avevano determinato il diritto di soggiorno – era invece ricorribile innanzi al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l'autorità che lo ha emanato.
Il testo modificato dell'art. 22 specifica che il ricorso al TAR del Lazio è esperibile nel caso di provvedimenti di allontanamento per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (di competenza del ministro). I provvedimenti prefettizi di espulsione per motivi di pubblica sicurezza sono impugnabili, analogamente a quelli per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno, con ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l'autorità che l'ha disposto.
Si è inoltre esplicitato che l’istanza di sospensione dell'esecutorietà del provvedimento di allontanamento prevista dal comma 7 riguarda i ricorsi avverso i provvedimenti di espulsione per motivi di pubblica sicurezza e per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno (di cui al comma 4), e che la presentazione dell'istanza di sospensione non sospende l'efficacia del provvedimento impugnato nel caso in cui esso si basi su motivi imperativi di pubblica sicurezza.
Il comma 8, infine, precedentemente stabiliva che al cittadino comunitario o al suo familiare cui fosse stata negata la sospensione del provvedimento di allontanamento erano consentiti l'ingresso e il soggiorno in Italia per partecipare alle fasi essenziali del procedimento, salvo che la loro presenza potesse procurare gravi turbative o grave pericolo all'ordine e alla sicurezza pubblica.
Conformemente alle modifiche apportate nelle restanti parti del testo, la dicitura "all'ordine e alla sicurezza pubblica" è stata sostituita con: “all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica”. Un’ulteriore, più sostanziale modifica è stata apportata dal Senato prevedendo che l’ingresso e il soggiorno in Italia può essere consentito per partecipare al procedimento (e non solo alle sue “fasi essenziali”).
Attraverso questa disposizione – introdotta nel corso dell’esame del disegno di legge presso il Senato – il legislatore intende sanzionare penalmente chiunque incita a commettere o commette atti di violenza, di provocazione alla violenza o di discriminazione che siano fondati sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.
Analiticamente, la disposizione interviene sull’articolo 3 della legge n. 654 del 1975[35], di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966.
La Convenzione condanna qualsiasi forma di discriminazione razziale, ed in particolare le forme più estreme quali la segregazione razziale e l’apartheid. Gli Stati contraenti si impegnano, da un lato, a non porre in essere pratiche di discriminazione razziale e, dall’altro, ad adottare provvedimenti volti ad eliminare tali pratiche, ove esistano.
In particolare, si prevede che ciascuno degli Stati che aderiscono alla Convenzione modifichi la propria legislazione penale nel senso di prevedere i delitti di propaganda e di violenza razziale. Tali modifiche sono state apportate nel nostro ordinamento dalla L. 654/1975 di ratifica della Convenzione e, in particolare, dall’art. 3.
La formulazione vigente dell’articolo 3 della legge n. 654/1975 è oggi diversa da quella originariamente approvata nel 1975; sono infatti intervenute due importanti novelle:
§ la c.d. “Legge Mancino” (D.L. 26 aprile 1993, n. 122[36], nel testo modificato dalla relativa legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205);
§ la recente riforma dei reati di opinione (L. 24 febbraio 2006, n. 85[37]).
L’articolo 3 prevede oggi le seguenti sanzioni penali (comma 1):
§ reclusione fino a 1 anno e 6 mesi o multa fino a 6.000 euro per chi “propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” (lett. a));
§ reclusione da 6 mesi a 4 anni per chi “istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” (lett. b)).
Il co. 3 vieta ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo che abbia tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e sanziona:
§ con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chi partecipa a tali organizzazioni;
§ con la reclusione da 1 a 6 anni chi promuove o dirige tali organizzazioni.
In particolare, il disegno di legge sostituisce il comma 1 dell’articolo 3 della legge n. 654, prevedendo le seguenti fattispecie penali:
a) incitamento alla commissione o commissione di atti di discriminazione di cui all’art. 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam: reclusione fino a 3 anni;
b) incitamento alla commissione o commissione di violenza o di atti di provocazione alla violenza per i motivi di cui all’art. 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam: reclusione da 6 mesi a 4 anni.
Per quanto riguarda la formulazione della lettera a), come evidenziato anche nel corso dell’esame presso il Senato, la disposizione richiama erroneamente gli atti di discriminazione di cui all’art. 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam.
Per Trattato di Amsterdam si intende il Trattato 2 ottobre 1997, firmato ad Amsterdam, che modifica il trattato sull'Unione europea, i trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi[38]. Tale Trattato, all’articolo 13, reca esclusivamente la seguente previsione: “Il presente trattato è concluso per un periodo illimitato”.
Il legislatore intendeva invece presumibilmente riferirsi all’articolo 13, n. 1, della versione consolidata del Trattato 25 marzo 1957, che istituisce la Comunità europea, cioè al trattato CE come modificato a seguito dei successivi trattati[39].
Tale disposizione – frutto di una modifica introdotta dal Trattato di Amsterdam – prevede che il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, possa prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.
Laddove il legislatore intenda riferirsi a questa elencazione di discriminazioni mantenendo fermo il riferimento al Trattato di Amsterdam dovrà spostare il richiamo dall’art. 13, n. 1, all’art. 2, parte 1, n. 7, ai sensi del quale: “Il trattato che istituisce la Comunità europea è modificato in base alle disposizioni del presente articolo. […] 7) È inserito il seguente articolo: ‘Articolo 6 A – Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell'ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali’”.
La fattispecie penale sanziona dunque con la reclusione fino a tre anni chiunque istighi a discriminare ovvero discrimini qualcuno in base al sesso, la razza, l’origine etnica, la religione, le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali; sanziona con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque, per i medesimi motivi, commetta atti di violenza, o di provocazione alla violenza, ovvero inciti alla violenza.
Rispetto all’attuale formulazione dell’art. 3 della L. 654/1975 si rilevano, oltre ad un ampliamento delle ipotesi discriminatorie sanzionate (attraverso il rinvio alla formulazione del trattato europeo), le seguenti differenze:
§ inasprimento della sanzione penale: da “reclusione fino a 1 anno e 6 mesi o multa fino a 6.000 euro” a reclusione fino a 3 anni” (lett. a));
§ eliminazione dalla condotta penalmente rilevante della propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico (lett. a));
In merito si ricorda che la previsione di una sanzione penale per tali ultime condotte è richiesta dalla Convenzione di New York.
La Convenzione, all’art. 4, così dispone: “Gli Stati contraenti condannano ogni propaganda ed ogni organizzazione che s'ispiri a concetti ed a teorie basate sulla superiorità di una razza […], e si impegnano […] in particolare: a) A dichiarare crimini punibili dalla legge, ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull'odio razziale […]; b) A dichiarare illegali ed a vietare le organizzazioni e le attività di propaganda organizzate ed ogni altro tipo di attività di propaganda che incitino alla discriminazione razziale e che l'incoraggino, nonché a dichiarare reato punibile dalla legge la partecipazione a tali organizzazioni od a tali attività;[…]”.
§ sostituzione del termine “istigazione” (a commettere atti di violenza) con il diverso termine “incitamento” (lett. b)).
Così facendo il legislatore ripristina la formulazione della lett. b) in vigore prima della legge 24 febbraio 2006, n. 85 (Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione): è stato infatti l’art. 13 di questa recente legge a sostituire il termine “incita” con “istiga”. Peraltro, come evidenziato già dai commentatori della riforma del 2006, la scelta dell’uno o dell’altro termine è priva di rilevanti effetti sul piano sostanziale[40], salvo per un più vincolante richiamo ai criteri ricostruttivi del concetto di istigazione in chiave di pericolo concreto. Diversamente, ai fini della sussistenza del reato di incitamento a commettere violenza, non rileva che l'incitamento risulti raccolto dalle persone presenti al fatto, non essendo il conseguimento di tale effetto richiesto dalla norma incriminatrice, che si limita a prevedere un reato di pura condotta e di pericolo astratto (cfr. Cassazione penale, Sez. I, sent. n. 724 del 21 gennaio 1998, Insabato).
Si ricorda, peraltro, che la Corte di cassazione ha affermato che “l'incitamento ha un contenuto fattivo di istigazione ad una condotta”, con questo riconoscendo all’incitamento “un ‘quid pluris’ rispetto alla mera manifestazione di opinioni personali” (cfr. Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 31655 del 24 agosto 2001, Gariglio).
L. 654/1975 – testo vigente |
L. 654/1975 – testo modificato dal D.L. 181/2007 (come emendato dal Senato) |
[…] |
[…] |
Art. 3 |
Art. 3 |
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell'attuazione della disposizione dell'articolo 4 della convenzione, è punito: |
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell'attuazione dell'articolo 4 della convenzione, è punito: |
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; |
a) con la reclusione fino a tre anni chiunque incita a commettere o commette atti di discriminazione di cui all’articolo 13, comma 1, del Trattato di Amsterdam; |
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; |
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per i motivi di cui alla lettera a); |
2. [...][41]. |
|
3. È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni. |
3. [Identico]. |
[…] |
[…] |
L’articolo – inserito nel corso dell’esame del provvedimento presso il Senato - trasferisce al tribunale ordinario in composizione monocratica le competenze in materia di espulsioni attualmente riconosciute al giudice di pace dagli artt. 13, 13-bis e 14 del testo unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998)[42].
Come già ricordato, la disciplina recata dal D.Lgs. 286/1998 si applica ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea e gli apolidi che facciano ingresso o siano presenti sul territorio nazionale. Non trova applicazione, dunque, per i cittadini dell’Unione (fatti salvi gli espliciti richiami a singole disposizioni, operati dal decreto-legge in esame, dei quali s’è detto innanzi).
L’art. 13 del T.U., oltre all’espulsione amministrativadello straniero disposta dal Ministro dell’Interno, “per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato” (avverso cui è ammesso ricorso al TAR del Lazio, sede di Roma), prevede – in presenza di determinati presupposti – un’espulsione amministrativa disposta dal Prefetto nei confronti di stranieri clandestini o irregolari.
L’espulsione ordinata dal prefetto (con decreto motivato immediatamente esecutivo) è di regola eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Il comma 5-bis dell’art. 13 prevede che il questore debba comunicare immediatamente e, comunque, entro 48 ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida. L'udienza per la convalida del provvedimento si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L'interessato è anch'esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l'udienza. Il giudice di pace provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l'osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dal presente articolo e sentito l'interessato, se comparso. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei centri di permanenza temporanea ed assistenza, di cui all'articolo 14, salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto. Avverso il decreto di convalida da parte del giudice di pace è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione dell'allontanamento dal territorio nazionale. Il termine di quarantotto ore entro il quale il giudice di pace deve provvedere alla convalida decorre dal momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria.
Il decreto motivato di espulsione è ricorribile entro 60 giorni dalla data di comunicazione del provvedimento davanti al giudice di pace del luogo in cui ha sede l’autorità che lo ha disposta (art. 13 comma 8). Come accennato, l’impugnazione non sospende l’efficacia del decreto, che è immediatamente esecutivo.
Il giudice di paceaccoglie o rigetta il ricorso entro 20 giorni dalla data di deposito dell’impugnazione.
L’art. 13-bis del TU prevede che il giudice di pace fissa l’udienza in camera di consiglio con decreto, steso in calce al ricorso; quest’ultimo, con in calce il provvedimento del giudice è notificato al prefetto, a cura della cancelleria.
La decisione del giudice di pace non è reclamabile ma impugnabile per cassazione.
L’art. 14 del TU, in sede di esecuzione dell’espulsione, attribuisce allo stesso giudice di pace la competenza al controllo giurisdizionale sulla decisione del questore che, non potendo dare immediato seguito alla espulsione[43], dispone il trattenimento dello straniero presso il centro di permanenza temporanea più vicino. Il questore trasmette, infatti, copia degli atti al giudice di pace territorialmente competente, per la convalida, al massimo entro 48 ore dall'adozione del provvedimento. L'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore e dell’interessato. Il giudice di pace – in presenza dei presupposti - provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le 48 ore successive. Il provvedimento cessa di avere ogni effetto qualora non sia osservato il termine per la decisione. La convalida comporta la permanenza nel CPT per 30 giorni, prorogabile per analogo periodo, su richiesta del questore, qualora l'accertamento dell'identità e della nazionalità, ovvero l'acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà. Anche prima di tale termine, il questore esegue l'espulsione o il respingimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice di pace.
In particolare, la disposizione dispone che agli articoli 13, 13-bis e 14 del testo unico sull’immigrazione ogni riferimento al giudice di pace sia sostituito con la competenza del tribunale in composizione monocratica.
L’articolo si limita a prevedere che il decreto-legge entri in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.
La tabella che segue pone a confronto il testo originario del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, recante Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri e il testo del medesimo decreto legislativo risultante dalle modificazioni apportate dal D.L. 1° novembre 2007, n. 181, nel testo a sua volta modificato dal Senato in sede di esame del disegno di legge di conversione. Le differenze tra i due testi sono evidenziate in carattere neretto.
D.Lgs. 30/2007 |
D.Lgs. 30/2007 |
[…] |
[…] |
Art. 5 |
Art. 5 |
Diritto di ingresso. |
Diritto di ingresso. |
1. Ferme le disposizioni relative ai controlli dei documenti di viaggio alla frontiera, il cittadino dell’Unione in possesso di documento d’identità valido per l’espatrio, secondo la legislazione dello Stato membro, ed i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, ma in possesso di un passaporto valido, sono ammessi nel territorio nazionale. |
1. Ferme le disposizioni relative ai controlli dei documenti di viaggio alla frontiera, il cittadino dell’Unione in possesso di documento d’identità valido per l’espatrio, secondo la legislazione dello Stato membro, ed i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, ma in possesso di un passaporto valido, sono ammessi nel territorio nazionale. |
2. I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono assoggettati all’obbligo del visto d’ingresso, nei casi in cui è richiesto. Il possesso della carta di soggiorno di cui all’articolo 10 in corso di validità esonera dall’obbligo di munirsi del visto. |
2. I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono assoggettati all’obbligo del visto d’ingresso, nei casi in cui è richiesto. Il possesso della carta di soggiorno di cui all’articolo 10 in corso di validità esonera dall’obbligo di munirsi del visto. |
3. I visti di cui al comma 2 sono rilasciati gratuitamente e con priorità rispetto alle altre richieste. |
3. I visti di cui al comma 2 sono rilasciati gratuitamente e con priorità rispetto alle altre richieste. |
4. Nei casi in cui è esibita la carta di soggiorno di cui all’articolo 10 non sono apposti timbri di ingresso o di uscita nel passaporto del familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea. |
4. Nei casi in cui è esibita la carta di soggiorno di cui all’articolo 10 non sono apposti timbri di ingresso o di uscita nel passaporto del familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea. |
5. Il respingimento nei confronti di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro, sprovvisto dei documenti di viaggio o del visto di ingresso, non è disposto se l’interessato, entro ventiquattro ore dalla richiesta, fa pervenire i documenti necessari ovvero dimostra con altra idonea documentazione, secondo la legge nazionale, la qualifica di titolare del diritto di libera circolazione. |
5. Il respingimento nei confronti di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro, sprovvisto dei documenti di viaggio o del visto di ingresso, non è disposto se l’interessato, entro ventiquattro ore dalla richiesta, fa pervenire i documenti necessari ovvero dimostra con altra idonea documentazione, secondo la legge nazionale, la qualifica di titolare del diritto di libera circolazione. |
|
5-bis. In ragione della prevista durata del suo soggiorno, il cittadino dell’Unione o il suo familiare può presentarsi ad un ufficio di polizia per dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno da pubblicare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Qualora non sia stata effettuata tale dichiarazione di presenza, si presume, salvo prova contraria, che il soggiorno si sia protratto da oltre tre mesi. |
[…] |
[…] |
Art. 7 |
Art. 7 |
Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi. |
Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi. |
1. Il cittadino dell’Unione ha diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi quando: |
1. Il cittadino dell’Unione ha diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi quando: |
a) è lavoratore subordinato o autonomo nello Stato; |
a) è lavoratore subordinato o autonomo nello Stato; |
b) dispone per sè stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo comunque denominato che copra tutti i rischi nel territorio nazionale; |
b) dispone per sè stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti, derivanti da fonti lecite e dimostrabili, per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo comunque denominato che copra tutti i rischi nel territorio nazionale; |
c) è iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi come attività principale un corso di studi o di formazione professionale e dispone, per sè stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato durante il suo periodo di soggiorno, da attestare attraverso una dichiarazione o con altra idonea documentazione, e di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale; |
c) è iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi come attività principale un corso di studi o di formazione professionale e dispone, per sè stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato durante il suo periodo di soggiorno, da attestare attraverso una dichiarazione o con altra idonea documentazione, e di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale; |
d) è familiare, come definito dall’articolo 2, che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione che ha diritto di soggiornare ai sensi delle lettere a), b) o c). |
d) è familiare, come definito dall’articolo 2, che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione che ha diritto di soggiornare ai sensi delle lettere a), b) o c). |
2. Il diritto di soggiorno di cui al comma 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnano o raggiungono nel territorio nazionale il cittadino dell’Unione, purchè questi risponda alle condizioni di cui al comma 1, lettere a), b) o c). |
2. Il diritto di soggiorno di cui al comma 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnano o raggiungono nel territorio nazionale il cittadino dell’Unione, purchè questi risponda alle condizioni di cui al comma 1, lettere a), b) o c). |
3. Il cittadino dell’Unione, già lavoratore subordinato o autonomo sul territorio nazionale, conserva il diritto al soggiorno di cui al comma 1, lettera a) quando: |
3. Il cittadino dell’Unione, già lavoratore subordinato o autonomo sul territorio nazionale, conserva il diritto al soggiorno di cui al comma 1, lettera a) quando: |
a) è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio; |
a) è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio; |
b) è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività lavorativa per oltre un anno nel territorio nazionale ed è iscritto presso il Centro per l’impiego, ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall’articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa; |
b) è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività lavorativa per oltre un anno nel territorio nazionale ed è iscritto presso il Centro per l’impiego, ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall’articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa; |
c) è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno, ovvero si è trovato in tale stato durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio nazionale, è iscritto presso il Centro per l’impiego ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall’articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. In tale caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo di un anno; |
c) è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno, ovvero si è trovato in tale stato durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio nazionale, è iscritto presso il Centro per l’impiego ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall’articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. In tale caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo di un anno; |
d) segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l’attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito. |
d) segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l’attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito. |
[…] |
[…] |
Art. 9 |
Art. 9 |
Formalità amministrative per i cittadini dell’Unione ed i loro familiari. |
Formalità amministrative per i cittadini dell’Unione ed i loro familiari. |
1. Al cittadino dell’Unione che intende soggiornare in Italia, ai sensi dell’articolo 7 per un periodo superiore a tre mesi, si applica la legge 24 dicembre 1954, n. 1228, ed il nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. |
1. Al cittadino dell’Unione che intende soggiornare in Italia, ai sensi dell’articolo 7 per un periodo superiore a tre mesi, si applica la legge 24 dicembre 1954, n. 1228, ed il nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. |
2. Fermo quanto previsto dal comma 1, l’iscrizione è comunque richiesta trascorsi tre mesi dall’ingresso ed è rilasciata immediatamente una attestazione contenente l’indicazione del nome e della dimora del richiedente, nonchè la data della richiesta. |
2. Fermo quanto previsto dal comma 1, l’iscrizione è comunque richiesta trascorsi tre mesi dall’ingresso ed è rilasciata immediatamente una attestazione contenente l’indicazione del nome e della dimora del richiedente, nonchè la data della richiesta. |
3. Oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, per l’iscrizione anagrafica di cui al comma 2, il cittadino dell’Unione deve produrre la documentazione attestante: |
3. Oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, per l’iscrizione anagrafica di cui al comma 2, il cittadino dell’Unione deve produrre la documentazione attestante: |
a) l’attività lavorativa, subordinata o autonoma, esercitata se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera a); |
a) l’attività lavorativa, subordinata o autonoma, esercitata se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera a); |
b) la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sè e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonchè la titolarità di una assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi nel territorio nazionale, se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera b); |
b) la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sè e per i propri familiari, derivanti da fonti lecite e dimostrabili, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonchè la titolarità di una assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi nel territorio nazionale, se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera b); |
c) l’iscrizione presso un istituto pubblico o privato riconosciuto dalla vigente normativa e la titolarità di un’assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi, nonchè la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sè e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera c). |
c) l’iscrizione presso un istituto pubblico o privato riconosciuto dalla vigente normativa e la titolarità di un’assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi, nonchè la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sè e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera c). |
4. Il cittadino dell’Unione può dimostrare di disporre, per sè e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti a non gravare sul sistema di assistenza pubblica, anche attraverso la dichiarazione di cui agli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. |
4. Il cittadino dell’Unione può dimostrare di disporre, per sè e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti a non gravare sul sistema di assistenza pubblica, anche attraverso la dichiarazione di cui agli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. |
5. Ai fini dell’iscrizione anagrafica, oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, i familiari del cittadino dell’Unione europea che non hanno un autonomo diritto di soggiorno devono presentare, in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445: |
5. Ai fini dell’iscrizione anagrafica, oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, i familiari del cittadino dell’Unione europea che non hanno un autonomo diritto di soggiorno devono presentare, in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445: |
a) un documento di identità o il passaporto in corso di validità, nonchè il visto di ingresso quando richiesto; |
a) un documento di identità o il passaporto in corso di validità, nonchè il visto di ingresso quando richiesto; |
b) un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico; |
b) un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico; |
c) l’attestato della richiesta d’iscrizione anagrafica del familiare cittadino dell’Unione. |
c) l’attestato della richiesta d’iscrizione anagrafica del familiare cittadino dell’Unione. |
6. Salvo quanto previsto dal presente decreto, per l’iscrizione anagrafica ed il rilascio della ricevuta di iscrizione e del relativo documento di identità si applicano le medesime disposizioni previste per il cittadino italiano. |
6. Salvo quanto previsto dal presente decreto, per l’iscrizione anagrafica ed il rilascio della ricevuta di iscrizione e del relativo documento di identità si applicano le medesime disposizioni previste per il cittadino italiano. |
7. Le richieste di iscrizioni anagrafiche dei familiari del cittadino dell’Unione che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro sono trasmesse, ai sensi dell’articolo 6, comma 7, del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, a cura delle amministrazioni comunali alla Questura competente per territorio. |
7. Le richieste di iscrizioni anagrafiche dei familiari del cittadino dell’Unione che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro sono trasmesse, ai sensi dell’articolo 6, comma 7, del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, a cura delle amministrazioni comunali alla Questura competente per territorio. |
[…] |
[…] |
Art. 18 |
Art. 18 |
Continuità del soggiorno. |
Continuità del soggiorno. |
1. La continuità del soggiorno, ai fini del presente decreto legislativo, nonchè i requisiti prescritti dagli articoli 13, 14, 15 e 16 possono essere comprovati con le modalità previste dalla legislazione vigente. |
1. La continuità del soggiorno, ai fini del presente decreto legislativo, nonchè i requisiti prescritti dagli articoli 13, 14, 15 e 16 possono essere comprovati con le modalità previste dalla legislazione vigente. |
2. La continuità del soggiorno è interrotta dal provvedimento di allontanamento adottato nei confronti della persona interessata. |
2. La continuità del soggiorno è interrotta dal provvedimento di allontanamento adottato nei confronti della persona interessata, che costituisce causa di cancellazione anagrafica. |
[…] |
[…] |
Art. 20. |
Art. 20. |
Limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico. |
Limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. |
1. Il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. |
1. Il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. |
|
1-bis. I provvedimenti di allontanamento adottati nei confronti di cittadini dell’Unione o di loro familiari, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, per motivi di pubblica sicurezza, per motivi imperativi di pubblica sicurezza, nonché per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno, come previsto dal presente articolo e dagli articoli 20-bis e 21, non possono essere motivati da ragioni estranee ai comportamenti individuali della persona di cui si dispone l’allontanamento. |
2. I provvedimenti di cui al comma 1 sono adottati nel rispetto del principio di proporzionalità ed in relazione a comportamenti della persona, che rappresentino una minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica. La esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti. |
2. I provvedimenti di cui al comma 1 sono adottati nel rispetto del principio di proporzionalità ed in relazione a comportamenti della persona, che rappresentino una minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica. La esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti. |
3. Nell’adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, si tiene conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare e economica, della sua integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale e dell’importanza dei suoi legami con il Paese d’origine. |
3. Nell’adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, si tiene conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare e economica, della sua integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale e dell’importanza dei suoi legami con il Paese d’origine. |
4. I cittadini dell’Unione europea ed i loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, che abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente di cui all’articolo 14 possono essere allontanati dal territorio dello Stato solo per gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica. |
4. I cittadini dell’Unione europea ed i loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, che abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente di cui all’articolo 14 possono essere allontanati dal territorio dello Stato solo per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. |
5. I cittadini dell’Unione europea che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni possono essere allontanati solo per motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato, salvo quando l’allontanamento sia necessario nell’interesse stesso del minore, secondo quanto contemplato dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176. |
5. I cittadini dell’Unione europea che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni possono essere allontanati solo per motivi di sicurezza dello Stato e per motivi imperativi di pubblica sicurezza, salvo quando l’allontanamento sia necessario nell’interesse stesso del minore, secondo quanto contemplato dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176. |
6. Le malattie o le infermità che possono giustificare limitazioni alla libertà di circolazione sul territorio nazionale sono solo quelle con potenziale epidemico individuate dall’Organizzazione mondiale della sanità, nonchè altre malattie infettive o parassitarie contagiose, semprechè siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini italiani. Le malattie che insorgono successivamente all’ingresso nel territorio nazionale non possono giustificare l’allontanamento del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari. |
6. Le malattie o le infermità che possono giustificare limitazioni alla libertà di circolazione sul territorio nazionale sono solo quelle con potenziale epidemico individuate dall’Organizzazione mondiale della sanità, nonchè altre malattie infettive o parassitarie contagiose, semprechè siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini italiani. Le malattie che insorgono successivamente all’ingresso nel territorio nazionale non possono giustificare l’allontanamento del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari. |
7. Il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale di cui ai comma 1, 4 e 5 è adottato dal Ministro dell’interno con atto motivato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato, e tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese. Il provvedimento di allontanamento è notificato all’interessato e riporta le modalità di impugnazione e della durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere superiore a 3 anni. Il provvedimento di allontanamento indica il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica, fatti salvi i casi di comprovata urgenza. |
7. I provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, nonchè i provvedimenti di allontanamento dei cittadini dell’Unione di cui al comma 5 sono adottati dal Ministro dell’interno con atto motivato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato, e tradotti in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese. Il provvedimento di allontanamento è notificato all’interessato e riporta le modalità di impugnazione e la durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere superiore a dieci anni. Salvo quanto previsto al comma 9, il provvedimento di allontanamento indica il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica, e, nei casi di comprovata urgenza, può essere ridotto a dieci giorni. |
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7-bis. Il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale per motivi di pubblica sicurezza è adottato con atto motivato dal prefetto territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, e tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese. Il provvedimento di allontanamento è notificato all’interessato e riporta le modalità di impugnazione e la durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere superiore a cinque anni. Il provvedimento di allontanamento indica il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notificae, nei casi di comprovata urgenza, può essere ridotto a dieci giorni. Per motivi imperativi di pubblica sicurezza il provvedimento di allontanamento è immediatamente eseguito dal questore e si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 5-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. |
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7-ter. I motivi imperativi di pubblica sicurezza sussistono quando la persona da allontanare, sia essa cittadino dell’Unione europea o familiare di cittadino dell’Unione europea che non abbia la cittadinanza di uno Stato membro, abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia effettiva, concreta e grave alla dignità umana o ai diritti fondamentali della persona umana ovvero all’incolumità pubblica, rendendo urgente l’allontanamento perché la sua ulteriore permanenza sul territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza. |
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7-quater. Ai fini dell’adozione del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza, si tiene conto anche di eventuali condanne, pronunciate da un giudice italiano o straniero, per uno o più delitti non colposi, anche tentati, contro la vita o l’incolumità della persona, o per uno o più delitti corrispondenti a quelli previsti dall’articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69, di eventuali ipotesi di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per i medesimi delitti, ovvero dell’appartenenza a taluna delle categorie di cui all’articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, o di cui all’articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, nonché di misure di prevenzione disposte da autorità straniere o di provvedimenti di allontanamento disposti da autorità straniere. |
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7-quinquies. Il cittadino dell’Unione nei cui confronti sia stato adottato il provvedimento di allontanamento con divieto di reingresso ai sensi dei commi 7, 7-bis e 7-ter, può presentare domanda di revoca del divieto dopo che, dall’esecuzione del provvedimento, sia decorsa almeno la metà della durata del divieto, e in ogni caso decorsi tre anni. Nella domanda devono essere addotti gli argomenti intesi a dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne il reingresso nel territorio nazionale. Sulla domanda, entro sei mesi dalla sua presentazione, decide con atto motivato l’autorità che ha emanato il provvedimento di allontanamento con divieto di reingresso. Durante l’esame della domanda l’interessato non ha diritto di ingresso nel territorio nazionale. |
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7-sexies. I provvedimenti di cui ai commi 7, 7-bis, 7-ter e all’articolo 21 sono adottati tendendo conto anche delle segnalazioni motivate del sindaco del luogo di soggiorno del cittadino dell’Unione o del suo familiare. |
8. Il destinatario del provvedimento di allontanamento che rientra nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000 ed è nuovamente allontanato con accompagnamento immediato. |
8. Il destinatario del provvedimento di allontanamento che rientra nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso è punito con la reclusione fino a tre anni ed è nuovamente allontanato con accompagnamento immediato. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 5-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. |
9. Qualora il cittadino dell’Unione o il suo familiare allontanato si trattiene nel territorio dello Stato oltre il termine fissato nel provvedimento di cui al comma 7, ovvero quando il provvedimento è fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato, il questore dispone l’esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento dell’interessato dal territorio nazionale.
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9. Qualora il cittadino dell’Unione o il suo familiare allontanato si trattiene nel territorio dello Stato oltre il termine fissato nei provvedimenti di cui ai commi 7 e 7-bis, ovvero quando il provvedimento è fondato su motivi di sicurezza dello Stato o su motivi imperativi di pubblica sicurezza, il questore dispone l’esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento dell’interessato dal territorio nazionale. Si applicano comunque, ai fini della convalida del provvedimento di allontanamento, le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 5-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. |
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Art. 20-bis. |
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Allontanamento del cittadino dell’Unione o di un suo familiare sottoposto a procedimento penale. |
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1. Qualora il destinatario del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza sia sottoposto a procedimento penale si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13, commi 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. |
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1-bis. Nei casi di cui al comma 1, il questore può disporre il trattenimento in strutture già destinate per legge alla permanenza temporanea. |
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2. Non si dà luogo alla sentenza di cui all’articolo 13, comma 3-quater, del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, nell’ipotesi dei reati di cui all’articolo 380 del codice di procedura penale. |
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3. Per i reati di cui all’articolo 380 del codice di procedura penale, può procedersi all’allontanamento solo nell’ipotesi in cui il soggetto, per qualsiasi causa, non sia sottoposto a misura cautelare detentiva. |
Art. 21. |
Art. 21. |
Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno. |
Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno. |
1. Il provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea e dei loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, può altresì essere adottato quando vengono a mancare le condizioni che determinano il diritto di soggiorno dell’interessato, salvo quanto previsto dagli articoli 11 e 12. |
1. Il provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea e dei loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, può altresì essere adottato quando vengono a mancare le condizioni che determinano il diritto di soggiorno dell’interessato ai sensi degli articoli 6, 7 e 13, salvo quanto previsto dagli articoli 11 e 12. |
2. Il provvedimento di cui al comma 1 è adottato dal Prefetto, territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, con atto motivato e notificato all’interessato. Il provvedimento è adottato tenendo conto della durata del soggiorno dell’interessato, della sua età, della sua salute, della sua integrazione sociale e culturale e dei suoi legami con il Paese di origine ed è tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese, e riporta le modalità di impugnazione, nonchè il termine per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese. Il provvedimento di allontanamento di cui al comma 1 non può prevedere un divieto di reingresso sul territorio nazionale. |
2. Il provvedimento di cui al comma 1 è adottato dal Prefetto, territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, con atto motivato e notificato all’interessato. Il provvedimento è adottato tenendo conto della durata del soggiorno dell’interessato, della sua età, della sua salute, della sua integrazione sociale e culturale e dei suoi legami con il Paese di origine ed è tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese, e riporta le modalità di impugnazione, nonchè il termine per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese. Unitamente al provvedimento di allontanamento è consegnata all’interessato una attestazione di obbligo di adempimento dell’allontanamento, secondo un modello stabilito con decreto del Ministro dell’interno e del Ministro degli affari esteri, da presentare presso un consolato italiano. Il provvedimento di allontanamento di cui al comma 1 non può prevedere un divieto di reingresso sul territorio nazionale. |
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2-bis. Qualora il cittadino dell’Unione o il suo familiare allontanato sia individuato sul territorio dello Stato oltre il termine fissato nel provvedimento di allontanamento, senza aver provveduto alla presentazione dell’attestazione di cui al comma 2, è punito con l’arresto da un mese a sei mesi e con l’ammenda da 200 a 2.000 euro. |
Art. 22. |
Art. 22. |
Ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento. |
Ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento. |
1. Avverso il provvedimento di cui all’articolo 20 è ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma. |
1. Avverso il provvedimento di cui all’articolo 20, comma 7, è ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma. |
2. Il ricorso può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di provenienza dall’interessato. In tale caso la procura speciale al patrocinante legale è rilasciata avanti all’autorità consolare. Presso le stesse autorità sono eseguite le comunicazioni relative al procedimento. |
2. Il ricorso può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di provenienza dall’interessato. In tale caso la procura speciale al patrocinante legale è rilasciata avanti all’autorità consolare. Presso le stesse autorità sono eseguite le comunicazioni relative al procedimento. |
3. Il ricorso di cui al comma 1 può essere accompagnato da una istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento di allontanamento. Fino all’esito dell’istanza di cui al presente comma, l’efficacia del provvedimento impugnato resta sospesa, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale ovvero sia fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato. |
3. Il ricorso di cui al comma 1 può essere accompagnato da una istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento di allontanamento. Fino all’esito dell’istanza di cui al presente comma, l’efficacia del provvedimento impugnato resta sospesa, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale ovvero sia fondato su motivi di sicurezza dello Stato. |
4. Avverso il provvedimento di allontanamento di cui all’articolo 21 può essere presentato ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che lo ha disposto. Il ricorso è presentato, a pena d’inammissibilità, entro venti giorni dalla notifica del provvedimento di allontanamento e deciso entro i successivi trenta giorni. |
4. Avverso il provvedimento di allontanamento di cui all’articolo 20, comma 7-bis, e all’articolo 21 può essere presentato ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che lo ha disposto. Il ricorso è presentato, a pena d’inammissibilità, entro venti giorni dalla notifica del provvedimento di allontanamento e deciso entro i successivi trenta giorni. |
5. Il ricorso può essere sottoscritto personalmente dall’interessato e può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di provenienza dall’interessato. In tale caso la sottoscrizione è autenticata dai funzionari presso le rappresentanze diplomatiche che ne certificano l’autenticità e ne curano l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana. Presso le stesse autorità sono eseguite le comunicazioni relative al procedimento. |
5. Il ricorso può essere sottoscritto personalmente dall’interessato e può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di provenienza dall’interessato. In tale caso la sottoscrizione è autenticata dai funzionari presso le rappresentanze diplomatiche che ne certificano l’autenticità e ne curano l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana. Presso le stesse autorità sono eseguite le comunicazioni relative al procedimento. |
6. La parte può stare in giudizio personalmente. |
6. La parte può stare in giudizio personalmente. |
7. Contestualmente al ricorso può essere presentata istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento di allontanamento. Fino all’esito dell’istanza di sospensione, l’efficacia del provvedimento impugnato resta sospesa, salvo che provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale. |
7. Contestualmente al ricorso di cui al comma 4 può essere presentata istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento di allontanamento. Fino all’esito dell’istanza di sospensione, l’efficacia del provvedimento impugnato resta sospesa, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale ovvero su motivi imperativi di pubblica sicurezza. |
8. Al cittadino comunitario o al suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, cui è stata negata la sospensione del provvedimento di allontanamento è consentito, a domanda, l’ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale per partecipare alle fasi essenziali del procedimento di ricorso, salvo che la sua presenza possa procurare gravi turbative o grave pericolo all’ordine e alla sicurezza pubblica. L’autorizzazione è rilasciata dal questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata richiesta dell’interessato. |
8. Al cittadino comunitario o al suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, cui è stata negata la sospensione del provvedimento di allontanamento è consentito, a domanda, l’ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale per partecipare al procedimento di ricorso, salvo che la sua presenza possa procurare gravi turbative o grave pericolo all’ordine pubblico o alla pubblica sicurezza. L’autorizzazione è rilasciata dal questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata richiesta dell’interessato. |
9. Il tribunale decide a norma degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Qualora i tempi del procedimento dovessero superare il termine entro il quale l’interessato deve lasciare il territorio nazionale ed è stata presentata istanza di sospensione ai sensi del comma 7, il giudice decide con priorità sulla stessa prima della scadenza fissata per l’allontanamento. |
9. Il tribunale decide a norma degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Qualora i tempi del procedimento dovessero superare il termine entro il quale l’interessato deve lasciare il territorio nazionale ed è stata presentata istanza di sospensione ai sensi del comma 7, il giudice decide con priorità sulla stessa prima della scadenza fissata per l’allontanamento. |
10. Nel caso in cui il ricorso è respinto, l’interessato presente sul territorio dello Stato deve lasciare immediatamente il territorio nazionale. |
10. Nel caso in cui il ricorso è respinto, l’interessato presente sul territorio dello Stato deve lasciare immediatamente il territorio nazionale. |
[…] |
[…] |
N. 3292
¾
CAMERA DEI DEPUTATI ______________________________ |
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DISEGNO DI LEGGE |
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APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA il 6 dicembre 2007 (v. stampato Senato n. 1872) presentato dal presidente del consiglio dei ministri (PRODI) dal ministro dell'interno (AMATO) e dal ministro della giustizia (MASTELLA) ¾ |
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Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 novembre 2007, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza |
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¾¾¾¾¾¾¾¾
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica
il 7 dicembre 2007
¾¾¾¾¾¾¾¾
disegno di legge ¾¾¾
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Art. 1. 1. Il decreto-legge 1o novembre 2007, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge. 2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. |
Allegato
MODIFICAZIONI APPORTATE IN SEDE DI CONVERSIONE
AL DECRETO-LEGGE 1o NOVEMBRE 2007, N. 181
All'articolo 1:
prima del comma 1, sono inseriti i seguenti:
«01. All'articolo 5 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
"5-bis. In ragione della prevista durata del suo soggiorno, il cittadino dell'Unione o il suo familiare può presentarsi ad un ufficio di polizia per dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno da pubblicare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Qualora non sia stata effettuata tale dichiarazione di presenza, si presume, salvo prova contraria, che il soggiorno si sia protratto da oltre tre mesi".
02. All'articolo 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, dopo le parole: "risorse economiche sufficienti," sono inserite le seguenti: "derivanti da fonti lecite e dimostrabili,".
03. All'articolo 9, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, dopo le parole: "risorse economiche sufficienti per sé e per i propri familiari," sono inserite le seguenti: "derivanti da fonti lecite e dimostrabili,".
04. All'articolo 18, comma 2, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: ", che costituisce causa di cancellazione anagrafica"»;
al comma 1:
dopo la lettera a), è inserita la seguente:
«a-bis) dopo il comma 1 è inserito il seguente:
"1-bis. I provvedimenti di allontanamento adottati nei confronti di cittadini dell'Unione o di loro familiari, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, per motivi di pubblica sicurezza, per motivi imperativi di pubblica sicurezza, nonché per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno, come previsto dal presente articolo e dagli articoli 20-bis e 21, non possono essere motivati da ragioni estranee ai comportamenti individuali della persona di cui si dispone l'allontanamento"»;
la lettera d) è sostituita dalla seguente:
«d) il comma 7 è sostituito dal seguente:
"7. I provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, nonché i provvedimenti di allontanamento dei cittadini dell'Unione di cui al comma 5, sono adottati dal Ministro dell'interno con atto motivato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato, e tradotti in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese. Il provvedimento di allontanamento è notificato all'interessato e riporta le modalità di impugnazione e la durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere superiore a dieci anni. Salvo quanto previsto al comma 9, il provvedimento di allontanamento indica il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica e, nei casi di comprovata urgenza, può essere ridotto a dieci giorni"»;
la lettera e) è sostituita dalla seguente:
«e) dopo il comma 7, sono inseriti i seguenti:
"7-bis. Il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale per motivi di pubblica sicurezza è adottato con atto motivato dal prefetto territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, e tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese. Il provvedimento di allontanamento è notificato all'interessato e riporta le modalità di impugnazione e la durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere superiore a cinque anni. Il provvedimento di allontanamento indica il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica e, nei casi di comprovata urgenza, può essere ridotto a dieci giorni. Per motivi imperativi di pubblica sicurezza il provvedimento di allontanamento è immediatamente eseguito dal questore e si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13, comma 5-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
7-ter. I motivi imperativi di pubblica sicurezza sussistono quando la persona da allontanare, sia essa cittadino dell'Unione europea o familiare di cittadino dell'Unione europea che non abbia la cittadinanza di uno Stato membro, abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e grave alla dignità umana o ai diritti fondamentali della persona ovvero all'incolumità pubblica, rendendo urgente l'allontanamento perché la sua ulteriore permanenza sul territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza.
7-quater. Ai fini dell'adozione del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza, si tiene conto anche di eventuali condanne, pronunciate da un giudice italiano o straniero, per uno o più delitti non colposi, anche tentati, contro la vita o l'incolumità della persona, o per uno o più delitti corrispondenti a quelli previsti dall'articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69, di eventuali ipotesi di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per i medesimi delitti, ovvero dell'appartenenza a taluna delle categorie di cui all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, o di cui all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, nonché di misure di prevenzione disposte da autorità straniere o di provvedimenti di allontanamento disposti da autorità straniere.
7-quinquies. Il cittadino dell'Unione nei cui confronti sia stato adottato il provvedimento di allontanamento con divieto di reingresso, ai sensi dei commi 7, 7-bis e 7-ter, può presentare domanda di revoca del divieto dopo che, dall'esecuzione del provvedimento, sia decorsa almeno la metà della durata del divieto, e in ogni caso decorsi tre anni. Nella domanda devono essere addotti gli argomenti intesi a dimostrare l'avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne il reingresso nel territorio nazionale. Sulla domanda, entro sei mesi dalla sua presentazione, decide con atto motivato l'autorità che ha emanato il provvedimento di allontanamento con divieto di reingresso. Durante l'esame della domanda l'interessato non ha diritto di ingresso nel territorio nazionale.
7-sexies. I provvedimenti di cui ai commi 7, 7-bis e 7-ter e all'articolo 21 sono adottati tenendo conto anche delle segnalazioni motivate del sindaco del luogo di soggiorno del cittadino dell'Unione o del suo familiare"»;
alla lettera f), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13, comma 5-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286"»;
alla lettera g), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «; è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Si applicano comunque, ai fini della convalida del provvedimento di allontanamento, le disposizioni di cui all'articolo 13, comma 5-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286"»;
al comma 2, al capoverso «Art. 20-bis», dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Nei casi di cui al comma 1, il questore può disporre il trattenimento in strutture già destinate per legge alla permanenza temporanea»;
dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti:
«2-bis. All'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, le parole: "umiliante e offensivo" sono sostituite dalle seguenti: "umiliante o offensivo".
2-ter. All'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, il comma 3 è sostituito dal seguente:
"3. Qualora il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, deduca in giudizio elementi di fatto in termini gravi, precisi e concordanti, incombe alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento".
2-quater. All'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, al comma 5, le parole: "del soggetto leso" sono soppresse»;
al comma 3, prima della lettera a) è inserita la seguente:
«0a) al comma 1, dopo le parole: "quando vengono a mancare le condizioni che determinano il diritto di soggiorno dell'interessato" sono inserite le seguenti: "ai sensi degli articoli 6, 7 e 13"»;
alla lettera a), le parole: «presso il consolato italiano del Paese di cittadinanza dell'allontanato» sono sostituite dalle seguenti: «presso un consolato italiano»;
al comma 4, lettera d), capoverso 8, primo periodo, le parole: «alle fasi essenziali del» sono sostituite dalla seguente: «al».
Dopo l'articolo 1, sono inseriti i seguenti:
«Art. 1-bis. - 1. All'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, il comma 1 è sostituito dal seguente:
"1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell'attuazione dell'articolo 4 della convenzione, è punito:
a) con la reclusione fino a tre anni chiunque incita a commettere o commette atti di discriminazione di cui all'articolo 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam;
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per i motivi di cui alla lettera a)".
Art. 1-ter. - 1. Agli articoli 13, 13-bis e 14 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, le parole: "giudice di pace", ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: "tribunale ordinario in composizione monocratica"».
Decreto-legge 1o novembre 2007, n. 18, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 2 novembre 2007
Art. 77.
Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.
Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.
I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
Art. 87.
Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale.
Può inviare messaggi alle Camere.
Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione.
Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo.
Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.
Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione.
Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.
Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere.
Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.
Presiede il Consiglio superiore della magistratura.
Può concedere grazia e commutare le pene.
Conferisce le onorificenze della Repubblica.
Codice di procedura penale
(artt. 380, 444)
Art. 380.
Arresto obbligatorio in flagranza.
1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto [Cost. 13] di chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo [c.p. 43], consumato o tentato [c.p. 56], per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni.
2. Anche fuori dei casi previsti dal comma 1, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza di uno dei seguenti delitti non colposi, consumati o tentati:
a) delitti contro la personalità dello Stato previsti nel titolo I del libro II del codice penale per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni;
b) delitto di devastazione e saccheggio previsto dall'articolo 419 del codice penale;
c) delitti contro l'incolumità pubblica previsti nel titolo VI del libro II del codice penale per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni o nel massimo a dieci anni;
d) delitto di riduzione in schiavitù previsto dall'articolo 600, delitto di prostituzione minorile previsto dall'articolo 600-bis, primo comma, delitto di pornografia minorile previsto dall'articolo 600-ter, commi primo e secondo, anche se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, e delitto di iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile previsto dall'articolo 600-quinquies del codice penale (1);
e) delitto di furto, quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall'articolo 4 della legge 8 agosto 1977, n. 533 quella prevista dall'articolo 625, primo comma, numero 2), prima ipotesi, del codice penale, salvo che, in quest'ultimo caso, ricorra la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale (2);
e-bis) delitti di furto previsti dall'articolo 624-bis del codice penale, salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale (3);
f) delitto di rapina previsto dall'articolo 628 del codice penale e di estorsione previsto dall'articolo 629 del codice penale;
g) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall'articolo 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (4);
h) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope puniti a norma dell'art. 73 del testo unico approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che ricorra la circostanza prevista dal comma 5 del medesimo articolo (5);
i) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni (6);
l) delitti di promozione, costituzione, direzione e organizzazione delle associazioni segrete previste dall'articolo 1 della legge 25 gennaio 1982, n. 17 [della associazione di tipo mafioso prevista dall'articolo 416-bis comma 2 del codice penale] (7), delle associazioni di carattere militare previste dall'articolo 1 della legge 17 aprile 1956, n. 561, delle associazioni, dei movimenti o dei gruppi previsti dagli articoli 1 e 2, della legge 20 giugno 1952, n. 645, delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 3, comma 3, della L. 13 ottobre 1975, n. 654 (8);
l-bis) delitti di partecipazione, promozione, direzione e organizzazione della associazione di tipo mafioso prevista dall'articolo 416-bis del codice penale (9);
m) delitti di promozione, direzione, costituzione e organizzazione della associazione per delinquere prevista dall'articolo 416 commi 1 e 3 del codice penale [c.p. 416], se l'associazione è diretta alla commissione di più delitti fra quelli previsti dal comma 1 o dalle lettere a), b), c), d), f), g), i) del presente comma.
3. Se si tratta di delitto perseguibile a querela, l'arresto in flagranza è eseguito se la querela viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l'avente diritto dichiara di rimettere la querela, l'arrestato è posto immediatamente in libertà (10).
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(1) Lettera così modificata prima dall'art. 11, L. 3 agosto 1998, n. 269 e poi dall'art. 12, L. 6 febbraio 2006, n. 38.
Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla citata legge n. 38 del 2006 era il seguente: «d) delitto di riduzione in schiavitù previsto dall'articolo 600, delitto di prostituzione minorile previsto dall'articolo 600-bis, primo comma, delitto di pornografia minorile previsto dall'articolo 600-ter, commi primo e secondo, e delitto di iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile previsto dall'articolo 600-quinquies del codice penale;».
Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla suddetta legge n. 269 del 1998 così disponeva: «d) delitto di riduzione in schiavitù previsto dall'articolo 600 del codice penale».
(2) Lettera così modificata dall'art. 10, L. 26 marzo 2001, n. 128. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «e) delitto di furto, quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall'articolo 4 della legge 8 agosto 1977, n. 533 o taluna delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 625 comma 1 numeri 1, 2 prima ipotesi e 4 seconda ipotesi del codice penale.». Di tale formulazione la Corte costituzionale, con sentenza 8-16 febbraio 1993, n. 54 (Gazz. Uff. 24 febbraio 1993, n. 9 - Prima serie speciale), aveva dichiarato l'illegittimità nella parte in cui prevedeva l'arresto obbligatorio in flagranza per il delitto di furto aggravato ai sensi dell'art. 625 c.p., primo comma, n. 2, prima ipotesi, nel caso in cui ricorresse la circostanza attenuante prevista dall'art. 62 c.p., n. 4.
(3) Lettera aggiunta dall'art. 10, L. 26 marzo 2001, n. 128.
(4) Lettera così sostituita dall'art. 10, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza del buon andamento dell'attività amministrativa. La Corte costituzionale, con sentenza 1-8 giugno 1992, n. 260 (Gazz. Uff. 17 giugno 1992, n. 26 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 380, secondo comma, lett. g), del c.p.p., in relazione all'art. 5, ultimo comma, della L. 18 aprile 1975, n. 110 recante norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi, in riferimento all'art. 3 della Cost.
(5) Lettera così sostituita dall'art. 2, D.L. 8 agosto 1991, n. 247, recante modificazioni del testo unico, in materia di sostanze stupefacenti o psicotrope, approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, relativo all'arresto in flagranza.
(6) Lettera così modificata dall'art. 13, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, con L. 31 luglio 2005, n. 155.
Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «i) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni».
In precedenza l'art. 2, D.L. 18 ottobre 2001, n. 374 aveva aggiunto, dopo la parola«terrorismo», le seguenti: «anche internazionale». La legge di conversione 15 dicembre 2001, n. 438, di conversione del citato decreto-legge, ha però soppresso il suddetto articolo 2. Vedi gli artt. 21 e 29, L. 18 aprile 1975, n. 110, di integrazione della disciplina per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi; l'art. 1, D.L. 15 dicembre 1979, n. 625, per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica, nonché l'art. 11, L. 29 maggio 1982, n. 304, sulla difesa dell'ordinamento costituzionale.
(7) Le parole tra parentesi quadre sono state soppresse dall'art. 4, sesto comma, lettera a), D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti contro la criminalità mafiosa.
(8) Lettera così modificata dall'art. 6, comma 2-bis, D.L. 26 aprile 1993, n. 122, in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa. Il testo precedente alla modifica del 1993 così disponeva: «l) delitti di promozione, costituzione, direzione e organizzazione delle associazioni segrete previste dall'articolo 1 della legge 25 gennaio 1982, n. 17 [della associazione di tipo mafioso prevista dall'articolo 416-bis comma 2 del codice penale], delle associazioni di carattere militare previste dall'articolo 1 della legge 17 aprile 1956, n. 561, delle associazioni, dei movimenti o dei gruppi previsti dagli articoli 1 e 2, L. 20 giugno 1952, n. 645».
(9) Lettera aggiunta dall'art. 4, sesto comma, lettera b), D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti contro la criminalità mafiosa.
(10) Le disposizioni relative all'arresto in flagranza non si applicano al procedimento penale davanti al giudice di pace, ai sensi dell'art. 2, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274. Vedi, anche, l'art. 20-bis, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, aggiunto dall'art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181.
TITOLO II
Applicazione della pena su richiesta delle parti (1)
Art. 444.
Applicazione della pena su richiesta.
1. L'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria (2).
1-bis. Sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, i procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600-bis, primo e terzo comma, 600-quater, primo, secondo, terzo e quinto comma, 600-quater, secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, nonché 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria (3).
2. Se vi è il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129, il giudice, sulla base degli atti, se ritiene corrette la qualificazione giuridica del fatto, l'applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti, nonché congrua la pena indicata, ne dispone con sentenza l'applicazione enunciando nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti [c.p.p. 445]. Se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda; l'imputato è tuttavia condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salvo che ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale. Non si applica la disposizione dell'articolo 75, comma 3 (4).
3. La parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l'efficacia, alla concessione della sospensione condizionale della pena [c.p. 163]. In questo caso il giudice, se ritiene che la sospensione condizionale non può essere concessa, rigetta la richiesta (5).
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(1) Le disposizioni relative all'applicazione della pena su richiesta delle parti non si applicano al procedimento penale davanti al giudice di pace, ai sensi dell'art. 2, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274. Vedi gli artt. 53 e sgg., L. 24 novembre 1981, n. 689, di modifica del sistema penale.
(2) Gli attuali commi 1 e 1-bis così sostituiscono l'originario comma 1 ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, L. 12 giugno 2003, n. 134. Vedi, anche, l'art. 5 della stessa legge.
Il testo del comma 1 precedentemente in vigore era il seguente: «1. L'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera due anni di reclusione o di arresto, soli o congiunti a pena pecuniaria». Di tale formulazione la Corte costituzionale, con sentenza 1-6 aprile 1993, n. 141 (Gazz. Uff. 14 aprile 1993, n. 16 - Prima serie speciale), aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità, in riferimento all'art. 76 Cost.
(3) Gli attuali commi 1 e 1-bis così sostituiscono l'originario comma 1 ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, L. 12 giugno 2003, n. 134. Vedi, anche, l'art. 5 della stessa legge. Successivamente il comma 1-bis è stato così modificato dall'art. 11, L. 6 febbraio 2006, n. 38.
Il testo del comma 1-bis precedentemente in vigore era il seguente: «1-bis. Sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria.».
(4) Comma così sostituito dall'art. 32, L. 16 dicembre 1999, n. 479. Il testo precedentemente in vigore così disponeva: «2. Se vi è il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129, il giudice, sulla base degli atti, se ritiene che la qualificazione giuridica del fatto e l'applicazione e la comparizione delle circostanze prospettate dalle parti sono corrette, dispone con sentenza l'applicazione della pena indicata, enunciando nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti. Se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda; non si applica la disposizione dell'articolo 75 comma 3.». Di tale formulazione la Corte costituzionale, con sentenza 26 giugno-2 luglio 1990, n. 313 (Gazz. Uff. 4 luglio 1990, n. 27 - Prima serie speciale), ha dichiarato: a) l'illegittimità dell'art. 444, secondo comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che, ai fini e nei limiti di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, il giudice possa valutare la congruità della pena indicata dalle parti, rigettando la richiesta in ipotesi di sfavorevole valutazione; b) non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità dell'art. 444, c.p.p., in riferimento agli artt. 101, secondo comma, 102, secondo comma, 13, primo comma, 24, secondo comma, 27, secondo comma e 111, primo comma, Cost.; c), non fondata la questione di legittimità dell'art. 444 c.p.p., in riferimento all'art. 101, secondo comma, Cost.
La stessa Corte con sentenza 26 settembre-12 ottobre 1990, n. 443 (Gazz. Uff. 17 ottobre 1990, n. 41 - Prima serie speciale), ha dichiarato: a) l'illegittimità dell'art. 444, secondo comma, secondo periodo, c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice condanni l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, salvo che ritenga di disporre, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale; b) non fondate le altre questioni di legittimità dell'art. 444, secondo comma, secondo periodo, c.p.p., in riferimento agli artt. 24, primo comma, 25, primo comma, e 3 Cost.; con altra sentenza 1-10 giugno 1992, n. 266 (Gazz. Uff. 17 giugno 1992, n. 26 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 444 e 448 del c.p.p., in riferimento all'art. 3 Cost. Successivamente, con sentenza 2-16 dicembre 1993, n. 439 (Gazz. Uff. 22 dicembre 1993, n. 52 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare al giudizio abbreviato del giudice per le indagini preliminari che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata di cui all'art. 444 dello stesso codice e non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 444, c.p.p., in relazione all'art. 248 disp.att.c.p.p. (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271), ed all'art. 61 c.p.p. 1930, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.
(5) Vedi, anche, l'art. 15, L. 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1, L. 13 dicembre 1999, n. 475.
Legge 27 dicembre 1956, n. 1423.
Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralità
(art. 1)
(1) (2) (3)
-------------------------------------
(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 31 dicembre 1956, n. 327.
(2) Vedi, ora, l'art. 1, L. 3 agosto 1988, n. 327, che ha soppresso l'istituto della diffida del questore della presente legge. Vedi, anche, l'art. 7-ter, L. 13 dicembre 1989, n. 401, aggiunto dall'art. 6, D.L. 8 febbraio 2007, n. 8, e l'art. 8 dello stesso D.L. n. 8 del 2007.
(3) Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:
- Ministero del lavoro e della previdenza sociale: Circ. 17 aprile 1998, n. 55/98;
- Ministero dell'interno: Circ. 31 gennaio 2000, n. M/2413/2.
Art. 1
I provvedimenti previsti dalla presente legge si applicano a:
1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi;
2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
3) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica (4).
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(4) Così sostituito dall'art. 2, L. 3 agosto 1988, n. 327.
(omissis)
Legge 31 maggio 1965, n. 575.
Disposizioni contro la mafia
(art. 1)
(1) (2) (3)
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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 5 giugno 1965, n. 138.
(2) Vedi, anche, gli artt. 18 e 19, L. 22 maggio 1975, n. 152, la L. 13 settembre 1982, n. 646. Vedi, inoltre, l'art. 7-ter, L. 13 dicembre 1989, n. 401, aggiunto dall'art. 6, D.L. 8 febbraio 2007, n. 8.
(3) Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti circolari:
- Ministero del lavoro e della previdenza sociale: Circ. 17 aprile 1998, n. 55/98;
- Ministero del tesoro: Circ. 6 agosto 1998, n. 70;
- Ministero della pubblica istruzione: Circ. 19 aprile 1996, n. 156.
- Ministero delle finanze: Circ. 3 maggio 1996, n. 109/T; Circ. 5 febbraio 1998, n. 41/T; Circ. 27 febbraio 1998, n. 72/T; Circ. 22 ottobre 1999, n. 206/T; Circ. 7 agosto 2000, n. 156/E;
- Ministero per i beni culturali e ambientali: Circ. 29 ottobre 1996, n. 127.
Art. 1
La presente legge si applica agli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso (4).
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(4) Così sostituito dall'art. 13, L. 13 settembre 1982, n. 646.
(omissis)
Legge 13 ottobre 1975, n. 654.
Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di
tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7
marzo 1966
(art. 3)
(1) (2)
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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 23 dicembre 1975, n. 337, S.O.
(2) Della presente convenzione si riporta soltanto il testo della traduzione non ufficiale.
(omissis)
Art. 3
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell'attuazione della disposizione dell'articolo 4 della convenzione, è punito:
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (3);
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (4);
2. ... (5).
3. È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni (6) (7).
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(3) Lettera così sostituita dall'art. 13, L. 24 febbraio 2006, n. 85 (Gazz. Uff. 13 marzo 2006, n. 60).
(4) Lettera così modificata dall'art. 13, L. 24 febbraio 2006, n. 85 (Gazz. Uff. 13 marzo 2006, n. 60).
(5) Il presente art. 3 è stato così sostituito dall'art. 1, D.L. 26 aprile 1993, n. 122, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205, che ha - tra l'altro - soppresso il secondo capoverso.
(6) Il presente art. 3 è stato così sostituito dall'art. 1, D.L. 26 aprile 1993, n. 122, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205, che ha - tra l'altro - soppresso il secondo capoverso.
(7) Sull'applicabilità delle disposizioni contenute nel presente articolo vedi l'art. 18-bis, L. 15 dicembre 1999, n. 482, aggiunto dall'art. 23, L. 23 febbraio 2001, n. 38. Vedi, anche, l'art. 2, L. 8 marzo 1989, n. 101.
(omissis)
D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero.
(artt. 13, 14, 44)
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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 18 agosto 1998, n. 191, S.O.
(2) Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:
- I.N.P.S. (Istituto nazionale previdenza sociale): Circ. 17 dicembre 1998, n. 258; Circ. 26 marzo 1999, n. 67; Circ. 3 giugno 1999, n. 123; Circ. 20 febbraio 2001, n. 44; Circ. 27 marzo 2001, n. 75; Circ. 22 marzo 2002, n. 56; Circ. 9 giugno 2003, n. 99; Circ. 8 luglio 2003, n. 122; Msg. 19 febbraio 2004, n. 4674;
- Ministero del lavoro e della previdenza sociale: Circ. 24 marzo 1999, n. 23/99; Circ. 30 marzo 1999, n. 27/99; Circ. 12 aprile 1999, n. 31/99; Circ. 30 luglio 1999, n. 63/99; Circ. 13 settembre 1999, n. 69/99; Circ. 2 dicembre 1999, n. 81/99; Circ. 17 febbraio 2000, n. 11/2000; Circ. 5 giugno 2000, n. 34/2000; Circ. 12 luglio 2000, n. 47/2000; Circ. 21 luglio 2000, n. 54/2000; Circ. 27 luglio 2000, n. 3562; Circ. 28 luglio 2000, n. 55/2000; Circ. 29 settembre 2000, n. 67/2000; Lett.Circ. 2 ottobre 2000, n. 4851; Circ. 23 novembre 2000, n. 82/2000; Circ. 22 gennaio 2001, n. 13/2001; Nota 30 gennaio 2001, n. VII/A3-1/210; Circ. 5 febbraio 2001, n. 20/2001; Circ. 23 febbraio 2001, n. 25/2001; Lett.Circ. 23 febbraio 2001, n. VII/3/I/381; Circ. 28 febbraio 2001, n. 26/2001; Circ. 8 marzo 2001, n. 30/2001;
- Ministero del lavoro e delle politiche sociali: Lett.Circ. 2 luglio 2001, n. VII/3.1/1234; Circ. 12 luglio 2001, n. 69/2001; Circ. 6 agosto 2001, n. 78/2001; Circ. 30 ottobre 2001, n. 84/2001; Circ. 14 gennaio 2002, n. 2/2002; Circ. 21 gennaio 2002, n. 4/2002; Circ. 13 marzo 2002, n. 15/2002; Circ. 8 ottobre 2002, n. 51/2002;
- Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato: Circ. 4 aprile 2000, n. 3484/C;
- Ministero dell'interno: Circ. 27 maggio 1999, n. 300/C/227729/12/207; Circ. 27 maggio 1999, n. 3123/50; Circ. 22 marzo 2000, n. 300/C/2000; Nota 31 ottobre 2002; Circ. 7 novembre 2000, n. 300/C/2000/5464/A/12.229.52/1DIV; Circ. 12 settembre 2000, n. 300/C/2000/4761/A/12.214.19/1DIV; Circ. 24 agosto 2000, n. 300/C/2000/4742/A/12.229.52/1DIV; Circ. 2 agosto 2000, n. 300C/2000/4038/A/12.229.52/1DIV; Circ. 12 aprile 2001, n. 1650/50; Circ. 4 dicembre 2002, n. 48145/30-I.A.; Circ. 19 giugno 2003, n. 14/2003; Circ. 28 aprile 2004, n. 400/C/2004/500/P/10.2.45.1;
- Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Nota 13 novembre 2002, n. 9551; Nota 3 aprile 2003, n. 1576; Nota 16 dicembre 2003, n. 3969;
- Ministero della sanità: Circ. 31 marzo 1999, n. 400.3/114.9/1290; Circ. 24 marzo 2000, n. 5; Circ. 14 aprile 2000, n. DPS/III/L.40/00-1259;
- Ministero della università e della ricerca scientifica e tecnologica: Circ. 3 agosto 1999, n. 1315/22-SP;
- Presidenza del Consiglio dei Ministri: Circ. 13 febbraio 2003.
(3) La Corte costituzionale, con ordinanza 24 marzo-6 aprile 2005, n. 140 (Gazz. Uff. 13 aprile 2005, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 sollevata in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione.
(omissis)
Art. 13.
Espulsione amministrativa.
(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 11)
1. Per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell'interno può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri (82).
2. L'espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero:
a) è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell'articolo 10 (83);
b) si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all'articolo 27, comma 1-bis, o senza aver richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo (84) (85) (86);
c) appartiene a taluna delle categorie indicate nell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituto dall'articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (87) (88) (89).
2-bis. Nell'adottare il provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lettere a) e b), nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonchè dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine (90).
3. L'espulsione è disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell'interessato. Quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l'espulsione, richiede il nulla osta all'autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all'accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all'interesse della persona offesa. In tal caso l'esecuzione del provvedimento è sospesa fino a quando l'autorità giudiziaria comunica la cessazione delle esigenze processuali. Il questore, ottenuto il nulla osta, provvede all'espulsione con le modalità di cui al comma 4. Il nulla osta si intende concesso qualora l'autorità giudiziaria non provveda entro quindici giorni dalla data di ricevimento della richiesta. In attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore può adottare la misura del trattenimento presso un centro di permanenza temporanea, ai sensi dell'articolo 14 (91) (92) (93) (94).
3-bis. Nel caso di arresto in flagranza o di fermo, il giudice rilascia il nulla osta all'atto della convalida, salvo che applichi la misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'articolo 391, comma 5, del codice di procedura penale, o che ricorra una delle ragioni per le quali il nulla osta può essere negato ai sensi del comma 3 (95).
3-ter. Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano anche allo straniero sottoposto a procedimento penale, dopo che sia stata revocata o dichiarata estinta per qualsiasi ragione la misura della custodia cautelare in carcere applicata nei suoi confronti. Il giudice, con lo stesso provvedimento con il quale revoca o dichiara l'estinzione della misura, decide sul rilascio del nulla osta all'esecuzione dell'espulsione. Il provvedimento è immediatamente comunicato al questore (96).
3-quater. Nei casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova dell'avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. È sempre disposta la confisca delle cose indicate nel secondo comma dell'articolo 240 del codice penale. Si applicano le disposizioni di cui ai commi 13, 13-bis, 13-ter e 14 (97) (98) (99).
3-quinquies. Se lo straniero espulso rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dal comma 14 ovvero, se di durata superiore, prima del termine di prescrizione del reato più grave per il quale si era proceduto nei suoi confronti, si applica l'articolo 345 del codice di procedura penale. Se lo straniero era stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima della custodia cautelare, quest'ultima è ripristinata a norma dell'articolo 307 del codice di procedura penale (100).
3-sexies. [Il nulla osta all'espulsione non può essere concesso qualora si proceda per uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nonché dall'articolo 12 del presente testo unico] (101).
4. L'espulsione è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma 5 (102) (103).
5. Nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, l'espulsione contiene l'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni. Il questore dispone l'accompagnamento immediato alla frontiera dello straniero, qualora il prefetto rilevi il concreto pericolo che quest'ultimo si sottragga all'esecuzione del provvedimento (104) (105).
5-bis. Nei casi previsti ai commi 4 e 5 il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida. L'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L'interessato è anch'esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l'udienza. Si applicano le disposizioni di cui al sesto e al settimo periodo del comma 8, in quanto compatibili. Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l'osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dal presente articolo e sentito l'interessato, se comparso. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei centri di permanenza temporanea ed assistenza, di cui all'articolo 14, salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto. Avverso il decreto di convalida è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione dell'allontanamento dal territorio nazionale. Il termine di quarantotto ore entro il quale il giudice di pace deve provvedere alla convalida decorre dal momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria (106) (107).
5-ter. Al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida dei provvedimenti di cui ai commi 4 e 5, ed all'articolo 14, comma 1, le questure forniscono al giudice di pace, nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo (108).
6. [Negli altri casi, l'espulsione contiene l'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni, e ad osservare le prescrizioni per il viaggio e per la presentazione dell'ufficio di polizia di frontiera. Quando l'espulsione è disposta ai sensi del comma 2, lettera b), il questore può adottare la misura di cui all'articolo 14, comma 1, qualora il prefetto rilevi, tenuto conto di circostanze obiettive riguardanti l'inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero, il concreto pericolo che quest'ultimo si sottragga all'esecuzione del provvedimento] (109).
7. Il decreto di espulsione e il provvedimento di cui al comma 1 dell'articolo 14, nonché ogni altro atto concernente l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione, sono comunicati all'interessato unitamente all'indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola (110) (111) (112) (113).
8. Avverso il decreto di espulsione può essere presentato unicamente il ricorso al giudice di pace del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto l'espulsione. Il termine è di sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione. Il giudice di pace accoglie o rigetta il ricorso, decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro venti giorni dalla data di deposito del ricorso. Il ricorso di cui al presente comma può essere sottoscritto anche personalmente, ed è presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di destinazione. La sottoscrizione del ricorso, da parte della persona interessata, è autenticata dai funzionari delle rappresentanze diplomatiche o consolari che provvedono a certificarne l'autenticità e ne curano l'inoltro all'autorità giudiziaria. Lo straniero è ammesso all'assistenza legale da parte di un patrocinatore legale di fiducia munito di procura speciale rilasciata avanti all'autorità consolare. Lo straniero è altresì ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato, e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell'àmbito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all'articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete (114) (115).
9. [Il ricorso, a cui deve essere allegato il provvedimento impugnato, è presentato al pretore del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto l'espulsione. Nei casi di espulsione con accompagnamento immediato, sempreché sia disposta la misura di cui al comma 1 dell'articolo 14, provvede il pretore competente per la convalida di tale misura. Il pretore accoglie o rigetta il ricorso decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro dieci giorni dalla data di deposito del ricorso, sentito l'interessato, nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile] (116).
10. [Il ricorso di cui ai commi 8, 9 e 11 può essere sottoscritto anche personalmente. Nel caso di espulsione con accompagnamento immediato, il ricorso può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nello Stato di destinazione, entro trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento; in tali casi, il ricorso può essere sottoscritto anche personalmente dalla parte alla presenza dei funzionari delle rappresentanze diplomatiche o consolari, che provvedono a certificarne l'autenticità e ne curano l'inoltro all'autorità giudiziaria. Lo straniero, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell'ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all'articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e successive modificazioni, nonché, ove necessario, da un interprete] (117).
11. Contro il decreto di espulsione emanato ai sensi del comma 1 è ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma.
12. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 19, lo straniero espulso è rinviato allo Stato di appartenenza, ovvero, quando ciò non sia possibile, allo Stato di provenienza.
13. Lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera. La disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica nei confronti dello straniero già espulso ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), per il quale è stato autorizzato il ricongiungimento, ai sensi dell'articolo 29 (118) (119) (120).
13-bis. Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Allo straniero che, già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni (121).
13-ter. Per i reati previsti dai commi 13 e 13-bis è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto anche fuori dei casi di flagranza e si procede con rito direttissimo (122).
14. Salvo che sia diversamente disposto, il divieto di cui al comma 13 opera per un periodo di dieci anni. Nel decreto di espulsione può essere previsto un termine più breve, in ogni caso non inferiore a cinque anni, tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall'interessato nel periodo di permanenza in Italia (123) (124).
15. Le disposizioni di cui al comma 5 non si applicano allo straniero che dimostri sulla base di elementi obiettivi di essere giunto nel territorio dello Stato prima della data di entrata in vigore della legge 6 marzo 1998, n. 40. In tal caso, il questore può adottare la misura di cui all'articolo 14, comma 1.
16. L'onere derivante dal comma 10 del presente articolo è valutato in lire 4 miliardi per l'anno 1997 e in lire 8 miliardi annui a decorrere dall'anno 1998 (125) (126) (127) (128) (129).
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(82) Vedi anche l'art. 3, comma 1, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, come modificato dalla relativa legge di conversione.
(83) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 283 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 2, lettere a) e b), 3 e 7, 13-bis e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, commi primo, secondo e terzo, e 24 della Costituzione.
(84) Lettera così sostituita dall'art. 5, D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, come sostituito dalla relativa legge di conversione.
(85) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 283 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 2, lettere a) e b), 3 e 7, 13-bis e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, commi primo, secondo e terzo, e 24 della Costituzione.
(86) La Corte costituzionale, con ordinanza 6-19 dicembre 2006, n. 431 (Gazz. Uff. 27 dicembre 2006, n. 51, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 3, «applicato in correlazione» con i successivi artt. 5, comma 5, e 13, comma 2, lettera b), nel testo risultante dalle modifiche di cui alla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata in riferimento agli artt. 3, 4, 13 e 16 della Costituzione.
(87) Vedi anche l'art. 3, comma 1, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, come modificato dalla relativa legge di conversione.
(88) La Corte costituzionale, con ordinanza 22 aprile-3 maggio 2002, n. 146 (Gazz. Uff. 8 maggio 2002, n. 18, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 2, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 35 della Costituzione. La stessa Corte, chiamata, di nuovo, a pronunciarsi sulla stessa questione senza addurre profili o argomenti nuovi con ordinanza 9-16 maggio 2002, n. 200 (Gazz. Uff. 22 maggio 2002, n. 20, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 2.
(89) La Corte costituzionale, con sentenza 14-23 dicembre 2005, n. 463 (Gazz. Uff. 28 dicembre 2005, n. 52, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 2, e 5, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione.
(90) Comma aggiunto dalla lettera c) del comma 1 dell'art. 2, D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5.
(91) Comma così sostituito dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189. In deroga a quanto disposto dal presente comma vedi il comma 2 dell'art. 3, D.L. 27 luglio 2005, n. 144. Vedi, anche il comma 6 dello stesso art. 3.
(92) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 marzo 2006, n. 142 (Gazz. Uff. 12 aprile 2006, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 3 e 3-quater, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3-quater, sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 13, comma 3-quater, sollevate in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 13, comma 3-quater, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
(93) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 280 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 8, e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, e 113, secondo comma, della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 14, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 36 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-bis, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13 e 24 della Costituzione.
(94) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 283 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 2, lettere a) e b), 3 e 7, 13-bis e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, commi primo, secondo e terzo, e 24 della Costituzione.
(95) Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(96) Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(97) Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189. Vedi, anche, l'art. 20-bis, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, aggiunto dall'art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181.
(98) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 marzo 2006, n. 142 (Gazz. Uff. 12 aprile 2006, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 3 e 3-quater, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3-quater, sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 13, comma 3-quater, sollevate in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 13, comma 3-quater, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
(99) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 marzo 2006, n. 143 (Gazz. Uff. 12 aprile 2006, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3-quater, introdotto dall'art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3-quater, sollevate in riferimento all'art. 24 della Costituzione.
(100) Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(101) Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189 e successivamente abrogato dall'art. 3, comma 7, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, come modificato dalla relativa legge di conversione.
(102) Comma così sostituito dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(103) La Corte costituzionale, con sentenza 8-15 luglio 2004, n. 222 (Gazz. Uff. 21 luglio 2004, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 4 e 5, come sostituito dall'art. 12, comma 1, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 13, 24 e 111 della Costituzione.
(104) Comma così sostituito dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(105) La Corte costituzionale, con sentenza 8-15 luglio 2004, n. 222 (Gazz. Uff. 21 luglio 2004, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 4 e 5, come sostituito dall'art. 12, comma 1, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 13, 24 e 111 della Costituzione.
(106) Gli attuali commi 5-bis e 5-ter così sostituiscono l'originario comma 5-bis - aggiunto dall'art. 2, D.L. 4 aprile 2002, n. 51, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione - ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, come modificato dalla relativa legge di conversione. Peraltro, la Corte costituzionale, con sentenza 8-15 luglio 2004, n. 222 (Gazz. Uff. 21 luglio 2004, n. 28 - Prima serie speciale), aveva dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità dell'originario comma 5-bis, nella parte in cui non prevedeva che il giudizio di convalida dovesse svolgersi in contraddittorio prima dell'esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa. In deroga a quanto disposto dal presente comma vedi il comma 2 dell'art. 3, D.L. 27 luglio 2005, n. 144. Vedi, anche, il comma 6 dello stesso art. 3.
(107) La Corte costituzionale, con ordinanza 8-17 marzo 2006, n. 110 (Gazz. Uff. 22 marzo 2006, n. 12, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 5-bis, come modificato dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
(108) Gli attuali commi 5-bis e 5-ter così sostituiscono l'originario comma 5-bis - aggiunto dall'art. 2, D.L. 4 aprile 2002, n. 51, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione - ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241.
(109) Comma abrogato dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(110) La Corte costituzionale, con sentenza 8-21 luglio 2004, n. 257 (Gazz. Uff. 28 luglio 2004, n. 29, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 7, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione;
ha infine dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 7, e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 24 e 27 della Costituzione.
(111) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 283 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 2, lettere a) e b), 3 e 7, 13-bis e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, commi primo, secondo e terzo, e 24 della Costituzione.
(112) La Corte costituzionale, con ordinanza 8-21 novembre 2006, n. 388 (Gazz. Uff. 29 novembre 2006, n. 47, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, nelle parti riguardanti l'arresto obbligatorio e l'obbligatorietà del rito direttissimo, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione; inoltre ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, in relazione all'art. 13, comma 7, nella parte in cui non prescrive l'obbligatoria traduzione dell'ordine di espulsione dello straniero in una lingua conosciuta dallo stesso, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
(113) La Corte costituzionale, con ordinanza 5-16 marzo 2007, n. 84 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 7, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
(114) Comma prima sostituito dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189 e poi così modificato dal comma 2 dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241.
(115) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 280 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 8, e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, e 113, secondo comma, della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 14, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 36 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-bis, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13 e 24 della Costituzione.
(116) Comma prima sostituito dall'art. 3, D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 113 (Gazz. Uff. 27 aprile 1999, n. 97) e poi abrogato dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(117) Comma così modificato dall'art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall'art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell'art. 302 dello stesso decreto. Vedi, anche, l'art. 142 del citato D.P.R. n. 115 del 2002. Successivamente il presente comma è stato abrogato dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(118) Gli attuali commi 13, 13-bis e 13-ter hanno sostituito l'originario comma 13 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189. Successivamente il comma 13 è stato così modificato dal comma 2-ter dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, e dalla lettera c) del comma 1 dell'art. 2, D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5.
(119) La Corte costituzionale, con ordinanza 24 marzo-6 aprile 2005, n. 142 (Gazz. Uff. 13 aprile 2005, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 13, sollevata in riferimento agli artt. 24, 27, 104 e 111 della Costituzione.
(120) La Corte costituzionale, con ordinanza 20 giugno-1° luglio 2005, n. 261 (Gazz. Uff. 6 luglio 2005, n. 27, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 13, come modificato dall'art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.
(121) Gli attuali commi 13, 13-bis e 13-ter hanno sostituito l'originario comma 13 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189. Successivamente il comma 13-bis è stato così modificato dal comma 2-ter dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. La Corte costituzionale, con sentenza 14-28 dicembre 2005, n. 466 (Gazz. Uff. 4 gennaio 2006, n. 1 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del secondo periodo del presente comma 13-bis, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal citato art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(122) Gli attuali commi 13, 13-bis e 13-ter hanno sostituito l'originario comma 13 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189. Successivamente il comma 13-ter è stato così sostituito dal comma 2-ter dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(123) Comma così sostituito dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(124) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 280 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 8, e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, e 113, secondo comma, della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 14, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 36 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-bis, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13 e 24 della Costituzione.
(125) Vedi, anche, il comma 2-bis dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(126) La Corte costituzionale, con ordinanza 16-29 dicembre 2004, n. 439 (Gazz. Uff. 5 gennaio 2005, n. 1, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, come modificato dall'art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
(127) La Corte costituzionale, con ordinanza 28 settembre-4 ottobre 2005, n. 363 (Gazz. Uff. 12 ottobre 2005, n. 41, 1ª Serie speciale), con ordinanza 28 settembre-4 ottobre 2005, n. 376 (Gazz. Uff. 12 ottobre 2005, n. 41, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 17 come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 104 e 111 della Costituzione.
(128) La Corte costituzionale, con ordinanza 28 settembre-4 ottobre 2005, n. 375 (Gazz. Uff. 12 ottobre 2005, n. 41, 1ª Serie speciale), ha dichiarato dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13 come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 10, secondo comma, 24 e 111 della Costituzione.
(129) La Corte costituzionale, con ordinanza 8-17 marzo 2006, n. 109 (Gazz. Uff. 22 marzo 2006, n. 12, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 27 della Costituzione.
Art. 14.
Esecuzione dell'espulsione.
(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 12)
1. Quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero, accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e assistenza più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri per la solidarietà sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (133) (134).
2. Lo straniero è trattenuto nel centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità. Oltre a quanto previsto dall'articolo 2, comma 6, è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l'esterno (135).
3. Il questore del luogo in cui si trova il centro trasmette copia degli atti al giudice di pace territorialmente competente, per la convalida, senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dall'adozione del provvedimento (136) (137) (138) (139).
4. L'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L'interessato è anch'esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l'udienza. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui al sesto e al settimo periodo del comma 8 dell'articolo 13. Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l'osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dall'articolo 13 e dal presente articolo, escluso il requisito della vicinanza del centro permanenza temporanea ed assistenza di cui al comma 1, e sentito l'interessato, se comparso. Il provvedimento cessa di avere ogni effetto qualora non sia osservato il termine per la decisione. La convalida può essere disposta anche in occasione della convalida del decreto di accompagnamento alla frontiera, nonché in sede di esame del ricorso avverso il provvedimento di espulsione (140) (141) (142) (143) (144).
5. La convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni. Qualora l'accertamento dell'identità e della nazionalità, ovvero l'acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni. Anche prima di tale termine, il questore esegue l'espulsione o il respingimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice (145).
5-bis. Quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea, ovvero siano trascorsi i termini di permanenza senza aver eseguito l'espulsione o il respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. L'ordine è dato con provvedimento scritto, recante l'indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione (146) (147) (148) (149) (150).
5-ter. Lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, è punito con la reclusione da uno a quattro anni se l'espulsione è stata disposta per ingresso illegale sul territorio nazionale ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato (151) (152). Si applica la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno se l'espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo. In ogni caso si procede all'adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (153) (154) (155) (156) (157) (158) (159) (160) (161).
5-quater. Lo straniero già espulso ai sensi del comma 5-ter, primo periodo, che viene trovato, in violazione delle norme del presente testo unico, nel territorio dello Stato è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se l'ipotesi riguarda lo straniero espulso ai sensi del comma 5-ter, secondo periodo, la pena è la reclusione da uno a quattro anni (162).
5-quinquies. Per i reati previsti ai commi 5-ter e 5-quater si procede con rito direttissimo. Al fine di assicurare l'esecuzione dell'espulsione, il questore dispone i provvedimenti di cui al comma 1. Per i reati previsti dai commi 5-ter, primo periodo, e 5-quater è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto (163) (164) (165) (166) (167) (168) (169) (170).
6. Contro i decreti di convalida e di proroga di cui al comma 5 è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione della misura.
7. Il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la misura nel caso questa venga violata.
8. Ai fini dell'accompagnamento anche collettivo alla frontiera, possono essere stipulate convenzioni con soggetti che esercitano trasporti di linea o con organismi anche internazionali che svolgono attività di assistenza per stranieri.
9. Oltre a quanto previsto dal regolamento di attuazione e dalle norme in materia di giurisdizione, il Ministro dell'interno adotta i provvedimenti occorrenti per l'esecuzione di quanto disposto dal presente articolo, anche mediante convenzioni con altre amministrazioni dello Stato, con gli enti locali, con i proprietari o concessionari di aree, strutture e altre installazioni nonché per la fornitura di beni e servizi. Eventuali deroghe alle disposizioni vigenti in materia finanziaria e di contabilità sono adottate di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Il Ministro dell'interno promuove inoltre le intese occorrenti per gli interventi di competenza di altri Ministri (171).
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(133) La Corte costituzionale, con ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 385 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 1, 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 3, sollevata in riferimento all'articolo 24 della Costituzione.
La stessa Corte con ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 386 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione.
La stessa Corte con ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 387 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 3, 4 e 5, sollevata in riferimento agli articoli 3, 10, 13, 24 e 111 della Costituzione.
La stessa Corte con altra ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 388 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata, in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte con altra ordinanza 22 aprile-3 maggio 2002, n. 148 (Gazz. Uff. 8 maggio 2002, n. 18, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 1, 4 e 5, sollevata in riferimento all'art. 13, secondo comma, della Costituzione;
ha dichiarato, inoltre, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 3, sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione. La stessa Corte con altra ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 177 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 1, 4 e 5, sollevate in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione. La Corte costituzionale, con altra ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 181 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma della Costituzione. La stessa Corte con altra ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 188 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione.
(134) La Corte costituzionale, con ordinanza 10-25 luglio 2002, n. 402 (Gazz. Uff. 31 luglio 2002, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevate in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione.
La Corte costituzionale, con ordinanza 16 - 30 gennaio 2003, n. 17 (Gazz. Uff. 5 febbraio 2003, n. 5, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevate in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione.
(135) La Corte costituzionale, con ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 385 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 1, 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 3, sollevata in riferimento all'articolo 24 della Costituzione.
La stessa Corte con ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 386 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione.
La stessa Corte con ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 387 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 3, 4 e 5, sollevata in riferimento agli articoli 3, 10, 13, 24 e 111 della Costituzione.
La stessa Corte con altra ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 388 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata, in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte con altra ordinanza 22 aprile-3 maggio 2002, n. 148 (Gazz. Uff. 8 maggio 2002, n. 18, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 1, 4 e 5, sollevata in riferimento all'art. 13, secondo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 3, sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione. La stessa Corte con altra ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 177 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 1, 4 e 5, sollevate in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione. La Corte costituzionale, con altra ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 181 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma della Costituzione. La stessa Corte con altra ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 188 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione.
(136) Comma così modificato dal comma 4 dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241.
(137) La Corte costituzionale, con ordinanza 12-25 luglio 2001, n. 297 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 3, 4 e 5, sollevata in riferimento agli articoli 3, 10, 11, 13, 24 e 111 della Costituzione. La Corte costituzionale, con ordinanza 14-26 febbraio 2002, n. 35 (Gazz. Uff. 6 marzo 2002, n. 10, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 3, 4 e 5, sollevate in riferimento agli artt. 3, 10, 13, 24 e 111 della Costituzione. La stessa Corte con successiva ordinanza 25 febbraio-6 marzo 2002, n. 45 (Gazz. Uff. 13 marzo 2002, n. 11, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 3, 4 e 5, sollevata in riferimento agli art. 3, 10, 13, 24 e 111 della Costituzione.
(138) La Corte costituzionale, con ordinanza 12-25 luglio 2001, n. 298 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 13, commi 4, 5 e 6, e dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione. La Corte costituzionale, con ordinanza 25 febbraio-6 marzo 2002, n. 44 (Gazz. Uff. 13 marzo 2002, n. 11, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 4, 5 e 6, e dell'art. 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento all'art. 13, secondo e terzo comma, della Costituzione. La stessa Corte con ordinanza 24 aprile-7 maggio 2002, n. 170 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 13, commi 4, 5 e 6, e dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 13, secondo e terzo comma, della Costituzione. La Corte costituzionale, con ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 176 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, commi 4 e 5, e dell'articolo 14, comma 5, nonché dell'articolo 14 del medesimo decreto legislativo, sollevate in riferimento agli articoli 13 e 24 della Costituzione. La Corte costituzionale, con ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 187 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, commi 4, 5 e 6, e dell'articolo 14, commi 3, 4 e 5, sollevate in riferimento agli articoli 13, secondo e terzo comma, e 24 della Costituzione.
(139) La Corte costituzionale, con ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 385 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 1, 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 3, sollevata in riferimento all'articolo 24 della Costituzione.
La stessa Corte con ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 386 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione.
La stessa Corte con ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 387 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 3, 4 e 5, sollevata in riferimento agli articoli 3, 10, 13, 24 e 111 della Costituzione.
La stessa Corte con altra ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 388 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata, in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte con altra ordinanza 22 aprile-3 maggio 2002, n. 148 (Gazz. Uff. 8 maggio 2002, n. 18, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 1, 4 e 5, sollevata in riferimento all'art. 13, secondo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 3, sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione. La stessa Corte con altra ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 177 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 1, 4 e 5, sollevate in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione. La Corte costituzionale, con altra ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 181 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma della Costituzione. La stessa Corte con altra ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 188 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione.
(140) Comma così sostituito dal comma 5 dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, come modificato dalla relativa legge di conversione.
(141) La Corte costituzionale, con sentenza 22 marzo-10 aprile 2001, n. 105 (Gazz. Uff. 18 aprile 2001, n. 16, serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 4, 5 e 6, e dell'art. 14, comma 4, sollevata in riferimento all'art. 13, commi secondo e terzo, della Costituzione.; dichiara inoltre non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5, sollevata in riferimento all'art. 13, commi secondo e terzo, della Costituzione.
(142) La Corte costituzionale, con ordinanza 12-25 luglio 2001, n. 297 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 3, 4 e 5, sollevata in riferimento agli articoli 3, 10, 11, 13, 24 e 111 della Costituzione. La Corte costituzionale, con ordinanza 14-26 febbraio 2002, n. 35 (Gazz. Uff. 6 marzo 2002, n. 10, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 3, 4 e 5, sollevate in riferimento agli artt. 3, 10, 13, 24 e 111 della Costituzione. La stessa Corte con successiva ordinanza 25 febbraio-6 marzo 2002, n. 45 (Gazz. Uff. 13 marzo 2002, n. 11, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 3, 4 e 5, sollevata in riferimento agli art. 3, 10, 13, 24 e 111 della Costituzione.
(143) La Corte costituzionale, con ordinanza 12-25 luglio 2001, n. 298 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 13, commi 4, 5 e 6, e dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione. La Corte costituzionale, con ordinanza 25 febbraio-6 marzo 2002, n. 44 (Gazz. Uff. 13 marzo 2002, n. 11, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 4, 5 e 6, e dell'art. 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento all'art. 13, secondo e terzo comma, della Costituzione. La stessa Corte con ordinanza 24 aprile-7 maggio 2002, n. 170 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 13, commi 4, 5 e 6, e dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 13, secondo e terzo comma, della Costituzione. La Corte costituzionale, con ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 176 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, commi 4 e 5, e dell'articolo 14, comma 5, nonché dell'articolo 14 del medesimo decreto legislativo, sollevate in riferimento agli articoli 13 e 24 della Costituzione. La Corte costituzionale, con ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 187 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, commi 4, 5 e 6, e dell'articolo 14, commi 3, 4 e 5, sollevate in riferimento agli articoli 13, secondo e terzo comma, e 24 della Costituzione.
(144) La Corte costituzionale, con ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 385 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 1, 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 3, sollevata in riferimento all'articolo 24 della Costituzione.
La stessa Corte con ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 386 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione.
La stessa Corte con ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 387 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 3, 4 e 5, sollevata in riferimento agli articoli 3, 10, 13, 24 e 111 della Costituzione.
La stessa Corte con altra ordinanza 22 novembre-6 dicembre 2001, n. 388 (Gazz. Uff. 12 dicembre 2001, n. 48, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata, in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte con altra ordinanza 22 aprile-3 maggio 2002, n. 148 (Gazz. Uff. 8 maggio 2002, n. 18, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 1, 4 e 5, sollevata in riferimento all'art. 13, secondo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 3, sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione. La stessa Corte con altra ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 177 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 1, 4 e 5, sollevate in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione. La Corte costituzionale, con altra ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 181 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma della Costituzione. La stessa Corte con altra ordinanza 6-10 maggio 2002, n. 188 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 4 e 5, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo e terzo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 1, sollevata in riferimento all'articolo 13, secondo comma, della Costituzione.
(145) Comma così sostituito dal comma 1 dell'art. 13, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(146) Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 13, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(147) La Corte costituzionale, con sentenza 8-21 luglio 2004, n. 257 (Gazz. Uff. 28 luglio 2004, n. 29, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 7, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione;
ha infine dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 7, e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 24 e 27 della Costituzione.
(148) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 280 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 8, e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, e 113, secondo comma, della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 14, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 36 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-bis, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13 e 24 della Costituzione.
(149) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 283 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 2, lettere a) e b), 3 e 7, 13-bis e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, commi primo, secondo e terzo, e 24 della Costituzione.
(150) La Corte costituzionale, con ordinanza 8-21 novembre 2006, n. 386 (Gazz. Uff. 29 novembre 2006, n. 47, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 5-bis e 5-ter, come modificato della legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.
(151) La Corte costituzionale, con sentenza 22 gennaio-2 febbraio 2007, n. 22 (Gazz. Uff. 7 febbraio 2007, n. 6, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 16 e 27 della Costituzione; ha inoltre dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio dello straniero che si trattenga nel territorio dello Stato in violazione del precedente comma 5-ter, primo periodo, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 27 Cost.
(152) La Corte costituzionale, con ordinanza 18 aprile-11 maggio 2007, n. 167 (Gazz. Uff. 16 maggio 2007, n. 19, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 16 e 27 della Costituzione; infine ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio dello straniero che si trattenga nel territorio dello Stato in violazione del precedente comma 5-ter, primo periodo, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost.
(153) Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 13, L. 30 luglio 2002, n. 189 e poi così sostituito dal comma 5-bis dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(154) La Corte costituzionale, con sentenza 18 dicembre 2003-13 gennaio 2004, n. 5 (Gazz. Uff. 21 gennaio 2004, n. 3, 1ª Serie speciale), ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, aggiunto dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 27 e 97 della Costituzione. La stessa Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla stessa questione senza addurre nuovi profili, con ordinanza 23 febbraio-2 marzo 2004, n. 80 (Gazz. Uff. 10 marzo 2004, n. 10, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, aggiunto dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 24 e 25 della Costituzione. La stessa Corte, con successiva ordinanza 27-29 settembre 2004, n. 302 (Gazz. Uff. 6 ottobre 2004, n. 39, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, aggiunto dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevata in riferimento all'art. 25 della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del citato art. 14, comma 5-ter, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 27 della Costituzione.
(155) La Corte costituzionale, con ordinanza 28 ottobre-5 novembre 2004, n. 333 (Gazz. Uff. 10 novembre 2004, n. 44, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, inseriti dall'art. 13 della legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata dal Tribunale di Velletri. La stessa Corte, con altra ordinanza 12-21 ottobre 2005, n. 395 (Gazz. Uff. 26 ottobre 2005, n. 43, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata in riferimento all'art. 25 della Costituzione.
(156) La Corte costituzionale, con ordinanza 24 febbraio-8 marzo 2005, n. 100 (Gazz. Uff. 16 marzo 2005, n. 11, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, aggiunti dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevate in riferimento agli artt. 13 e 25 della Costituzione. La stessa Corte, con successiva ordinanza 30 novembre-13 dicembre 2005, n. 447 (Gazz. Uff. 21 dicembre 2005, n. 51, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione.
(157) La Corte costituzionale, con ordinanza 24 marzo-6 aprile 2005, n. 141 (Gazz. Uff. 13 aprile 2005, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, inserito dall'art. 13 della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 24, 27, 104 e 111 della Costituzione.
(158) La stessa Corte, con altra ordinanza 28 settembre-4 ottobre 2005, n. 364 (Gazz. Uff. 12 ottobre 2005, n. 41, 1ª Serie speciale), con ordinanza 28 settembre-4 ottobre 2005, n. 376 (Gazz. Uff. 12 ottobre 2005, n. 41, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, aggiunto dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 24, 27, 104 e 111 della Costituzione.
(159) La Corte costituzionale, con ordinanza 8-21 novembre 2006, n. 386 (Gazz. Uff. 29 novembre 2006, n. 47, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 5-bis e 5-ter, come modificato della legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.
(160) La Corte costituzionale, con ordinanza 8-21 novembre 2006, n. 388 (Gazz. Uff. 29 novembre 2006, n. 47, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, nelle parti riguardanti l'arresto obbligatorio e l'obbligatorietà del rito direttissimo, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione; inoltre ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, in relazione all'art. 13, comma 7, nella parte in cui non prescrive l'obbligatoria traduzione dell'ordine di espulsione dello straniero in una lingua conosciuta dallo stesso, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
(161) La Corte costituzionale, con ordinanza 24 gennaio-9 febbraio 2007, n. 35 (Gazz. Uff. 14 febbraio 2007, n. 7, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, aggiunto dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione.
(162) Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 13, L. 30 luglio 2002, n. 189 e poi così sostituito dal comma 5-bis dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(163) Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 13, L. 30 luglio 2002, n. 189 e poi così sostituito dal comma 6 dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, come sostituito dalla relativa legge di conversione. La Corte costituzionale, con sentenza 8-15 luglio 2004, n. 223 (Gazz. Uff. 21 luglio 2004, n. 28 - Prima serie speciale), aveva dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità dell'originario comma 5-quinquies nella parte in cui stabiliva che per il reato previsto dal comma 5-ter del presente articolo fosse obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto.
(164) La Corte costituzionale, con ordinanza 28 ottobre-5 novembre 2004, n. 333 (Gazz. Uff. 10 novembre 2004, n. 44, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, inseriti dall'art. 13 della legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata dal Tribunale di Velletri.
(165) La Corte costituzionale, con ordinanza 13-21 dicembre 2004, n. 405 (Gazz. Uff. 29 dicembre 2004, n. 50, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, inserito dall'art. 13 della legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 13, terzo comma, della Costituzione.
(166) La Corte costituzionale, con ordinanza 24 febbraio-8 marzo 2005, n. 100 (Gazz. Uff. 16 marzo 2005, n. 11, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, aggiunti dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevate in riferimento agli artt. 13 e 25 della Costituzione. La stessa Corte, con successiva ordinanza 30 novembre-13 dicembre 2005, n. 447 (Gazz. Uff. 21 dicembre 2005, n. 51, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione.
(167) La Corte costituzionale, con ordinanza 7-22 luglio 2005, n. 313 (Gazz. Uff. 27 luglio 2005, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, inserito dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevata in riferimento agli artt. 3 e 13, terzo comma, della Costituzione.
(168) La Corte costituzionale, con ordinanza 8-21 novembre 2006, n. 388 (Gazz. Uff. 29 novembre 2006, n. 47, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, nelle parti riguardanti l'arresto obbligatorio e l'obbligatorietà del rito direttissimo, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione; inoltre ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, in relazione all'art. 13, comma 7, nella parte in cui non prescrive l'obbligatoria traduzione dell'ordine di espulsione dello straniero in una lingua conosciuta dallo stesso, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
(169) La Corte costituzionale, con sentenza 22 gennaio-2 febbraio 2007, n. 22 (Gazz. Uff. 7 febbraio 2007, n. 6, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 16 e 27 della Costituzione; ha inoltre dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio dello straniero che si trattenga nel territorio dello Stato in violazione del precedente comma 5-ter, primo periodo, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 27 Cost.
(170) La Corte costituzionale, con ordinanza 18 aprile-11 maggio 2007, n. 167 (Gazz. Uff. 16 maggio 2007, n. 19, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 16 e 27 della Costituzione; infine ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio dello straniero che si trattenga nel territorio dello Stato in violazione del precedente comma 5-ter, primo periodo, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost.
(171) Vedi, anche, il comma 2-bis dell'art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(omissis)
Art. 44
Azione civile contro la discriminazione.
(Legge 6 marzo 1988, n. 40, art. 42)
1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice però, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione.
2. La domanda si propone con ricorso depositato, anche personalmente dalla parte, nella cancelleria del pretore del luogo di domicilio dell'istante.
3. Il pretore, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto.
4. Il pretore provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda. Se accoglie la domanda emette i provvedimenti richiesti che sono immediatamente esecutivi.
5. Nei casi di urgenza il pretore provvede con decreto motivato, assunte, ove occorre, sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni, assegnando all'istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza, il pretore, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati nel decreto.
6. Contro i provvedimenti del pretore è ammesso reclamo al tribunale nei termini di cui all'articolo 739, secondo comma, del codice di procedura civile. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedura civile.
7. Con la decisione che definisce il giudizio il giudice può altresì condannare il convenuto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale.
8. Chiunque elude l'esecuzione di provvedimenti del pretore di cui ai commi 4 e 5 e dei provvedimenti del tribunale di cui al comma 6 è punito ai sensi dell'articolo 388, primo comma, del codice penale.
9. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza a proprio danno del comportamento discriminatorio in ragione della razza, del gruppo etnico o linguistico, della provenienza geografica, della confessione religiosa o della cittadinanza può dedurre elementi di fatto anche a carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi contributivi, all'assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell'azienda interessata. Il giudice valuta i fatti dedotti nei limiti di cui all'articolo 2729, primo comma, del codice civile.
10. Qualora il datore di lavoro ponga in essere un atto o un comportamento discriminatorio di carattere collettivo, anche in casi in cui non siano individuabili in modo immediato e diretto i lavoratori lesi dalle discriminazioni, il ricorso può essere presentato dalle rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale. Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del presente articolo, ordina al datore di lavoro di definire, sentiti i predetti soggetti e organismi, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.
11. Ogni accertamento di atti o comportamenti discriminatori ai sensi dell'articolo 43 posti in essere da imprese alle quali siano stati accordati benefìci ai sensi delle leggi vigenti dello Stato o delle regioni, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o di forniture, è immediatamente comunicato dal Pretore, secondo le modalità previste dal regolamento di attuazione, alle amministrazioni pubbliche o enti pubblici che abbiano disposto la concessione del beneficio, incluse le agevolazioni finanziarie o creditizie, o dell'appalto. Tali amministrazioni, o enti revocano il beneficio e, nei casi più gravi, dispongono l'esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie, ovvero da qualsiasi appalto.
12. Le regioni, in collaborazione con le province e con i comuni, con le associazioni di immigrati e del volontariato sociale, ai fini dell'applicazione delle norme del presente articolo e dello studio del fenomeno, predispongono centri di osservazione, di informazione e di assistenza legale per gli stranieri, vittime delle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
(omissis)
D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215.
Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le
persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica
(artt. 2, 4)
(1)
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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 12 agosto 2003, n. 186.
(omissis)
Art. 2
Nozione di discriminazione.
1. Ai fini del presente decreto, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell'origine etnica. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:
a) discriminazione diretta quando, per la razza o l'origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in situazione analoga;
b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.
2. È fatto salvo il disposto dell'articolo 43, commi 1 e 2, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, di seguito denominato: «testo unico».
3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo.
4. L'ordine di discriminare persone a causa della razza o dell'origine etnica è considerato una discriminazione ai sensi del comma 1.
(omissis)
Art. 4
Tutela giurisdizionale dei diritti.
1. La tutela giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti di cui all'articolo 2 si svolge nelle forme previste dall'articolo 44, commi da 1 a 6, 8 e 11, del testo unico.
2. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una delle discriminazioni di cui all'articolo 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, nell'ipotesi di rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite le associazioni di cui all'articolo 5, comma 1.
3. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio, anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta ai sensi dell'articolo 2729, primo comma, del codice civile.
4. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti. Al fine di impedirne la ripetizione, il giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.
5. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 4, che l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.
6. Il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento di cui ai commi 4 e 5, a spese del convenuto, per una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale (2).
7. Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
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(2) Comma così modificato dall'art. 1, D.Lgs. 2 agosto 2004, n. 256 (Gazz. Uff. 16 ottobre 2004, n. 244).
(omissis)
Legge 22 aprile 2005, n. 69.
Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro
2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto
europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri
(art. 8)
(1)
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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 29 aprile 2005, n. 98.
(omissis)
Art. 8
Consegna obbligatoria.
1. Si fa luogo alla consegna in base al mandato d'arresto europeo, indipendentemente dalla doppia incriminazione, per i fatti seguenti, sempre che, escluse le eventuali aggravanti, il massimo della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà personale sia pari o superiore a tre anni:
a) partecipare ad una associazione di tre o più persone finalizzata alla commissione di più delitti;
b) compiere atti di minaccia contro la pubblica incolumità ovvero di violenza su persone o cose a danno di uno Stato, di una istituzione od organismo internazionale, al fine di sovvertire l'ordine costituzionale di uno Stato ovvero distruggere o indebolire le strutture politiche, economiche o sociali nazionali o sovranazionali;
c) costringere o indurre una o più persone, mediante violenza, minaccia, inganno o abuso di autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio di uno Stato, o a trasferirsi all'interno dello stesso, al fine di sottoporla a schiavitù o al lavoro forzato o all'accattonaggio o allo sfruttamento di prestazioni sessuali;
d) indurre alla prostituzione ovvero compiere atti diretti al favoreggiamento o allo sfruttamento sessuale di un bambino; compiere atti diretti allo sfruttamento di una persona di età infantile al fine di produrre, con qualsiasi mezzo, materiale pornografico; fare commercio, distribuire, divulgare o pubblicizzare materiale pornografico in cui è riprodotto un minore;
e) vendere, offrire, cedere, distribuire, commerciare, acquistare, trasportare, esportare, importare o procurare ad altri sostanze che, secondo le legislazioni vigenti nei Paesi europei, sono considerate stupefacenti o psicotrope;
f) commerciare, acquistare, trasportare, esportare o importare armi, munizioni ed esplosivi in violazione della legislazione vigente;
g) ricevere, accettare la promessa, dare o promettere denaro o altra utilità in relazione al compimento o al mancato compimento di un atto inerente ad un pubblico ufficio;
h) compiere qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa all'utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi ovvero la diminuzione illegittima di risorse iscritte nel bilancio di uno Stato o nel bilancio generale delle Comunità europee o nei bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse; compiere qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa alla distrazione di tali fondi per fini diversi da quelli per cui essi sono stati inizialmente concessi; compiere le medesime azioni od omissioni a danno di un privato, di una persona giuridica o di un ente pubblico;
i) sostituire o trasferire denaro, beni o altre utilità provenienti da reato, ovvero compiere in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza illecita;
l) contraffare monete nazionali o straniere, aventi corso legale nello Stato o fuori di esso o alterarle in qualsiasi modo dando l'apparenza di un valore superiore;
m) commettere, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, un fatto diretto a introdursi o a mantenersi abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero danneggiare o distruggere sistemi informatici o telematici, dati, informazioni o programmi in essi contenuti o a essi pertinenti;
n) mettere in pericolo l'ambiente mediante lo scarico non autorizzato di idrocarburi, oli usati o fanghi derivanti dalla depurazione delle acque, l'emissione di sostanze pericolose nell'atmosfera, sul suolo o in acqua, il trattamento, il trasporto, il deposito, l'eliminazione di rifiuti pericolosi, lo scarico di rifiuti nel suolo o nelle acque e la gestione abusiva di una discarica; possedere, catturare e commerciare specie animali e vegetali protette;
o) compiere, al fine di trarne profitto, atti diretti a procurare l'ingresso illegale nel territorio di uno Stato di una persona che non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente;
p) cagionare volontariamente la morte di un uomo o lesioni personali della medesima gravità di quelle previste dall' articolo 583 del codice penale;
q) procurare illecitamente e per scopo di lucro un organo o un tessuto umano ovvero farne comunque commercio;
r) privare una persona della libertà personale o tenerla in proprio potere minacciando di ucciderla, di ferirla o di continuare a tenerla sequestrata al fine di costringere un terzo, sia questi uno Stato, una organizzazione internazionale tra più governi, una persona fisica o giuridica o una collettività di persone fisiche, a compiere un qualsiasi atto o ad astenersene, subordinando la liberazione della persona sequestrata a tale azione od omissione;
s) incitare pubblicamente alla violenza, come manifestazione di odio razziale nei confronti di un gruppo di persone, o di un membro di un tale gruppo, a causa del colore della pelle, della razza, della religione professata, ovvero dell'origine nazionale o etnica; esaltare, per razzismo o xenofobia, i crimini contro l'umanità;
t) impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, facendo uso delle armi o a seguito dell'attività di un gruppo organizzato;
u) operare traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti di antiquariato e le opere d'arte;
v) indurre taluno in errore, con artifizi o raggiri, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno;
z) richiedere con minacce, uso della forza o qualsiasi altra forma di intimidazione, beni o promesse o la firma di qualsiasi documento che contenga o determini un obbligo, un'alienazione o una quietanza;
aa) imitare o duplicare abusivamente prodotti commerciali, al fine di trarne profitto;
bb) falsificare atti amministrativi e operare traffico di documenti falsi;
cc) falsificare mezzi di pagamento;
dd) operare traffico illecito di sostanze ormonali e di altri fattori della crescita;
ee) operare traffico illecito di materie nucleari e radioattive;
ff) acquistare, ricevere od occultare veicoli rubati, o comunque collaborare nel farli acquistare, ricevere od occultare, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto;
gg) costringere taluno a compiere o subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità;
hh) cagionare un incendio dal quale deriva pericolo per l'incolumità pubblica;
ii) commettere reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale;
ll) impossessarsi di una nave o di un aereo;
mm) provocare illegalmente e intenzionalmente danni ingenti a strutture statali, altre strutture pubbliche, sistemi di trasporto pubblico o altre infrastrutture, che comportano o possono comportare una notevole perdita economica.
2. L'autorità giudiziaria italiana accerta quale sia la definizione dei reati per i quali è richiesta la consegna, secondo la legge dello Stato membro di emissione, e se la stessa corrisponda alle fattispecie di cui al comma 1.
3. Se il fatto non è previsto come reato dalla legge italiana, non si dà luogo alla consegna del cittadino italiano se risulta che lo stesso non era a conoscenza, senza propria colpa, della norma penale dello Stato membro di emissione in base alla quale è stato emesso il mandato d'arresto europeo.
(omissis)
D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30.
Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini
dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel
territorio degli Stati membri
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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 27 marzo 2007, n. 72.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Vista la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;
Vista la legge 18 aprile 2005, n. 62, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 2004, che ha delegato il Governo a recepire la citata direttiva 2004/38/CE, compresa nell'elenco di cui all'allegato B della legge stessa;
Visto il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 54;
Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 10 novembre 2006;
Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 19 gennaio 2007;
Sulla proposta del Ministro per le politiche europee e del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri degli affari esteri, dell'economia e delle finanze, della giustizia, del lavoro e della previdenza sociale e per gli affari regionali e le autonomie locali;
E m a n a
il seguente decreto legislativo:
Art. 1.
Finalità
1. Il presente decreto legislativo disciplina:
a) le modalità d'esercizio del diritto di libera circolazione, ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato da parte dei cittadini dell'Unione europea e dei familiari di cui all'articolo 2 che accompagnano o raggiungono i medesimi cittadini;
b) il diritto di soggiorno permanente nel territorio dello Stato dei cittadini dell'Unione europea e dei familiari di cui all'articolo 2 che accompagnano o raggiungono i medesimi cittadini;
c) le limitazioni ai diritti di cui alle lettere a) e b) per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza.
Art. 2.
Definizioni
1. Ai fini del presente decreto legislativo, si intende per:
a) «cittadino dell'Unione»: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro;
b) «familiare»:
1) il coniuge;
2) il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;
3) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
4) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
c) «Stato membro ospitante»: lo Stato membro nel quale il cittadino dell'Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno.
Art. 3.
Aventi diritto
1. Il presente decreto legislativo si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonche' ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera b), che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo.
2. Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell'interessato, lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l'ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:
a) ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all'articolo 2, comma 1, lettera b), se e' a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell'Unione lo assista personalmente;
b) il partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell'Unione.
3. Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno.
Art. 4.
Diritto di circolazione nell'ambito dell'Unione europea
1. Ferme le disposizioni relative ai controlli dei documenti di viaggio alla frontiera, il cittadino dell'Unione in possesso di documento d'identità valido per l'espatrio, secondo la legislazione dello Stato membro, ed i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, ma in possesso di un passaporto valido, hanno il diritto di lasciare il territorio nazionale per recarsi in un altro Stato dell'Unione.
2. Per i soggetti di cui al comma 1, minori degli anni diciotto, ovvero interdetti o inabilitati, il diritto di circolazione e' esercitato secondo le modalità stabilite dalla legislazione dello Stato di cui hanno la cittadinanza.
Art. 5.
Diritto di ingresso
1. Ferme le disposizioni relative ai controlli dei documenti di viaggio alla frontiera, il cittadino dell'Unione in possesso di documento d'identità valido per l'espatrio, secondo la legislazione dello Stato membro, ed i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, ma in possesso di un passaporto valido, sono ammessi nel territorio nazionale.
2. I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono assoggettati all'obbligo del visto d'ingresso, nei casi in cui e' richiesto. Il possesso della carta di soggiorno di cui all'articolo 10 in corso di validità esonera dall'obbligo di munirsi del visto.
3. I visti di cui al comma 2 sono rilasciati gratuitamente e con priorità rispetto alle altre richieste.
4. Nei casi in cui e' esibita la carta di soggiorno di cui all'articolo 10 non sono apposti timbri di ingresso o di uscita nel passaporto del familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea.
5. Il respingimento nei confronti di un cittadino dell'Unione o di un suo familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro, sprovvisto dei documenti di viaggio o del visto di ingresso, non e' disposto se l'interessato, entro ventiquattro ore dalla richiesta, fa pervenire i documenti necessari ovvero dimostra con altra idonea documentazione, secondo la legge nazionale, la qualifica di titolare del diritto di libera circolazione.
Art. 6.
Diritto di soggiorno fino a tre mesi
1. I cittadini dell'Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di un documento d'identità valido per l'espatrio secondo la legislazione dello Stato di cui hanno la cittadinanza.
2. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnano o raggiungono il cittadino dell'Unione, in possesso di un passaporto in corso di validità, che hanno fatto ingresso nel territorio nazionale ai sensi dell'articolo 5, comma 2.
3. Fatte salve le disposizioni di leggi speciali conformi ai Trattati dell'Unione europea ed alla normativa comunitaria in vigore, i cittadini di cui ai commi 1 e 2, nello svolgimento delle attività consentite, sono tenuti ai medesimi adempimenti richiesti ai cittadini italiani.
Art. 7.
Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi
1. Il cittadino dell'Unione ha diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi quando:
a) e' lavoratore subordinato o autonomo nello Stato;
b) dispone per se' stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato durante il periodo di soggiorno, e di un'assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo comunque denominato che copra tutti i rischi nel territorio nazionale;
c) e' iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi come attività principale un corso di studi o di formazione professionale e dispone, per se' stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato durante il suo periodo di soggiorno, da attestare attraverso una dichiarazione o con altra idonea documentazione, e di un'assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale;
d) e' familiare, come definito dall'articolo 2, che accompagna o raggiunge un cittadino dell'Unione che ha diritto di soggiornare ai sensi delle lettere a), b) o c).
2. Il diritto di soggiorno di cui al comma 1 e' esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnano o raggiungono nel territorio nazionale il cittadino dell'Unione, purche' questi risponda alle condizioni di cui al comma 1, lettere a), b) o c).
3. Il cittadino dell'Unione, già lavoratore subordinato o autonomo sul territorio nazionale, conserva il diritto al soggiorno di cui al comma 1, lettera a) quando:
a) e' temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;
b) e' in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un'attività lavorativa per oltre un anno nel territorio nazionale ed e' iscritto presso il Centro per l'impiego, ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall'articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l'immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa;
c) e' in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno, ovvero si e' trovato in tale stato durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio nazionale, e' iscritto presso il Centro per l'impiego ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall'articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l'immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. In tale caso, l'interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo di un anno;
d) segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l'attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito.
Art. 8.
Ricorsi avverso il mancato riconoscimento del diritto di soggiorno
1. Avverso il provvedimento di rifiuto e revoca del diritto di cui agli articoli 6 e 7, e' ammesso ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo ove dimora il richiedente, il quale provvede, sentito l'interessato, nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile.
Art. 9.
Formalità amministrative per i cittadini dell'Unione ed i loro familiari
1. Al cittadino dell'Unione che intende soggiornare in Italia, ai sensi dell'articolo 7 per un periodo superiore a tre mesi, si applica la legge 24 dicembre 1954 n. 1228, ed il nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.
2. Fermo quanto previsto dal comma 1, l'iscrizione e' comunque richiesta trascorsi tre mesi dall'ingresso ed e' rilasciata immediatamente una attestazione contenente l'indicazione del nome e della dimora del richiedente, nonche' la data della richiesta.
3. Oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, per l'iscrizione anagrafica di cui al comma 2, il cittadino dell'Unione deve produrre la documentazione attestante:
a) l'attività lavorativa, subordinata o autonoma, esercitata se l'iscrizione e' richiesta ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera a);
b) la disponibilità di risorse economiche sufficienti per se' e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all'articolo 29, comma 3, lettera b), del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonche' la titolarità di una assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi nel territorio nazionale, se l'iscrizione e' richiesta ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera b);
c) l'iscrizione presso un istituto pubblico o privato riconosciuto dalla vigente normativa e la titolarità di un'assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi, nonche' la disponibilità di risorse economiche sufficienti per se' e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all'articolo 29, comma 3, lettera b), del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, se l'iscrizione e' richiesta ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera c).
4. Il cittadino dell'Unione può dimostrare di disporre, per se' e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti a non gravare sul sistema di assistenza pubblica, anche attraverso la dichiarazione di cui agli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
5. Ai fini dell'iscrizione anagrafica, oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, i familiari del cittadino dell'Unione europea che non hanno un autonomo diritto di soggiorno devono presentare, in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445:
a) un documento di identità o il passaporto in corso di validità, nonche' il visto di ingresso quando richiesto;
b) un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico;
c) l'attestato della richiesta d'iscrizione anagrafica del familiare cittadino dell'Unione.
6. Salvo quanto previsto dal presente decreto, per l'iscrizione anagrafica ed il rilascio della ricevuta di iscrizione e del relativo documento di identità si applicano le medesime disposizioni previste per il cittadino italiano.
7. Le richieste di iscrizioni anagrafiche dei familiari del cittadino dell'Unione che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro sono trasmesse, ai sensi dell'articolo 6, comma 7, del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, a cura delle amministrazioni comunali alla Questura competente per territorio.
Art. 10.
Carta di soggiorno per i familiari del cittadino comunitario non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea
1. I familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, di cui all'articolo 2, trascorsi tre mesi dall'ingresso nel territorio nazionale, richiedono alla questura competente per territorio di residenza la «Carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione», redatta su modello conforme a quello stabilito con decreto del Ministro dell'interno da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo. Fino alla data di entrata in vigore del predetto decreto, e' rilasciato il titolo di soggiorno previsto dalla normativa vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
2. Al momento della richiesta di rilascio della carta di soggiorno, al familiare del cittadino dell'Unione e' rilasciata una ricevuta secondo il modello definito con decreto del Ministro dell'interno di cui al comma 1.
3. Per il rilascio della Carta di soggiorno, e' richiesta la presentazione:
a) del passaporto o documento equivalente, in corso di validità, nonche' del visto di ingresso, qualora richiesto;
b) di un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico;
c) dell'attestato della richiesta d'iscrizione anagrafica del familiare cittadino dell'Unione;
d) della fotografia dell'interessato, in formato tessera, in quattro esemplari.
4. La carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione ha una validità di cinque anni dalla data del rilascio.
5. La carta di soggiorno mantiene la propria validità anche in caso di assenze temporanee del titolare non superiori a sei mesi l'anno, nonche' di assenze di durata superiore per l'assolvimento di obblighi militari ovvero di assenze fino a dodici mesi consecutivi per rilevanti motivi, quali la gravidanza e la maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o distacco per motivi di lavoro in un altro Stato; e' onere dell'interessato esibire la documentazione atta a dimostrare i fatti che consentono la perduranza di validità.
6. Il rilascio della carta di soggiorno di cui al comma 1 e' gratuito, salvo il rimborso del costo degli stampati e del materiale usato per il documento.
Art. 11.
Conservazione del diritto di soggiorno dei familiari in caso di decesso o di partenza del cittadino dell'Unione europea
1. Il decesso del cittadino dell'Unione o la sua partenza dal territorio nazionale non incidono sul diritto di soggiorno dei suoi familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro, a condizione che essi abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente ai sensi dell'articolo 14 o siano in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 7, comma 1.
2. Il decesso del cittadino dell'Unione non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, sempre che essi abbiano soggiornato nel territorio nazionale per almeno un anno prima del decesso del cittadino dell'Unione ed abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente di cui all'articolo 14 o dimostrino di esercitare un'attività lavorativa subordinata od autonoma o di disporre per se' e per i familiari di risorse sufficienti, affinche' non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato durante il loro soggiorno, nonche' di una assicurazione sanitaria che copra tutti i rischi nello Stato, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all'articolo 9, comma 3.
3. Nell'ipotesi di cui al comma 2, quando non sussiste il requisito del soggiorno nel territorio nazionale per almeno un anno si applica l'articolo 30, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
4. La partenza del cittadino dell'Unione dal territorio nazionale o il suo decesso non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei figli o del genitore che ne ha l'affidamento, indipendentemente dal requisito della cittadinanza, se essi risiedono nello Stato e sono iscritti in un istituto scolastico per seguirvi gli studi, e fino al termine degli studi stessi.
Art. 12.
Mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari in caso di divorzio e di annullamento del matrimonio
1. Il divorzio e l'annullamento del matrimonio dei cittadini dell'Unione non incidono sul diritto di soggiorno dei loro familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro, a condizione che essi abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente di cui all'articolo 14 o soddisfino personalmente le condizioni previste all'articolo 7, comma 1.
2. Il divorzio e l'annullamento del matrimonio con il cittadino dell'Unione non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro a condizione che essi abbiano acquisito il diritto al soggiorno permanente di cui all'articolo 14 o che si verifichi una delle seguenti condizioni:
a) il matrimonio e' durato almeno tre anni, di cui almeno un anno nel territorio nazionale, prima dell'inizio del procedimento di divorzio o annullamento;
b) il coniuge non avente la cittadinanza di uno Stato membro ha ottenuto l'affidamento dei figli del cittadino dell'Unione in base ad accordo tra i coniugi o a decisione giudiziaria;
c) l'interessato risulti parte offesa in procedimento penale, in corso o definito con sentenza di condanna, per reati contro la persona commessi nell'ambito familiare;
d) il coniuge non avente la cittadinanza di uno Stato membro beneficia, in base ad un accordo tra i coniugi o a decisione giudiziaria, di un diritto di visita al figlio minore, a condizione che l'organo giurisdizionale ha ritenuto che le visite devono obbligatoriamente essere effettuate nel territorio nazionale, e fino a quando sono considerate necessarie.
3. Nei casi di cui al comma 2, quando non si verifichi alcuna delle condizioni di cui alle lettere a), b), c) e d), si applica l'articolo 30, comma 5, del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, e successive modificazioni.
4. Nei casi di cui al comma 2, salvo che gli interessati abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente di cui al successivo articolo 14, il loro diritto di soggiorno e' comunque subordinato al requisito che essi dimostrino di esercitare un'attività lavorativa subordinata o autonoma, o di disporre per se' e per i familiari di risorse sufficienti, affinche' non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato durante il soggiorno, nonche' di una assicurazione sanitaria che copra tutti i rischi nello Stato, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all'articolo 9, comma 3.
Art. 13.
Mantenimento del diritto di soggiorno
1. I cittadini dell'Unione ed i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all'articolo 6, finche' hanno le risorse economiche di cui all'articolo 9, comma 3, che gli impediscono di diventare un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante e finche' non costituiscano un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica.
2. I cittadini dell'Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 11 e 12, finche' soddisfano le condizioni fissate negli stessi articoli.
3. Ferme le disposizioni concernenti l'allontanamento per motivi di ordine e sicurezza pubblica, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell'Unione o dei loro familiari, qualora;
a) i cittadini dell'Unione siano lavoratori subordinati o autonomi;
b) i cittadini dell'Unione siano entrati nel territorio dello Stato per cercare un posto di lavoro. In tale caso i cittadini dell'Unione e i membri della loro famiglia non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell'Unione possono dimostrare di essere iscritti nel Centro per l'impiego da non più di sei mesi, ovvero di aver reso la dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento dell'attività lavorativa, di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall'articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297 e di non essere stati esclusi dallo stato di disoccupazione ai sensi dell'articolo 4 del medesimo decreto legislativo n. 297 del 2002.
Art. 14.
Diritto di soggiorno permanente
1. Il cittadino dell'Unione che ha soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale ha diritto al soggiorno permanente non subordinato alle condizioni previste dagli articoli 7, 11, 12 e 13.
2. Salve le disposizioni degli articoli 11 e 12, il familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro acquisisce il diritto di soggiorno permanente se ha soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale unitamente al cittadino dell'Unione.
3. La continuità del soggiorno non e' pregiudicato da assenze che non superino complessivamente sei mesi l'anno, nonche' da assenze di durata superiore per l'assolvimento di obblighi militari ovvero da assenze fino a dodici mesi consecutivi per motivi rilevanti, quali la gravidanza e la maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un Paese terzo.
4. Il diritto di soggiorno permanente si perde in ogni caso a seguito di assenze dal territorio nazionale di durata superiore a due anni consecutivi.
Art. 15.
Deroghe a favore dei lavoratori che hanno cessato la loro attività nello Stato membro ospitante e dei loro familiari
1. In deroga all'articolo 14 ha diritto di soggiorno permanente nello Stato prima della maturazione di un periodo continuativo di cinque anni di soggiorno:
a) il lavoratore subordinato o autonomo il quale, nel momento in cui cessa l'attività, ha raggiunto l'età prevista ai fini dell'acquisizione del diritto alla pensione di vecchiaia, o il lavoratore subordinato che cessa di svolgere un'attività subordinata a seguito di pensionamento anticipato, a condizione che abbia svolto nel territorio dello Stato la propria attività almeno negli ultimi dodici mesi e vi abbia soggiornato in via continuativa per oltre tre anni. Ove il lavoratore appartenga ad una categoria per la quale la legge non riconosce il diritto alla pensione di vecchiaia, la condizione relativa all'età e' considerata soddisfatta quando l'interessato ha raggiunto l'età di 60 anni;
b) il lavoratore subordinato o autonomo che ha soggiornato in modo continuativo nello Stato per oltre due anni e cessa di esercitare l'attività professionale a causa di una sopravvenuta incapacità lavorativa permanente. Ove tale incapacità sia stata causata da un infortunio sul lavoro o da una malattia professionale che dà all'interessato diritto ad una prestazione interamente o parzialmente a carico di un'istituzione dello Stato, non si applica alcuna condizione relativa alla durata del soggiorno;
c) il lavoratore subordinato o autonomo che, dopo tre anni d'attività e di soggiorno continuativi nello Stato, eserciti un'attività subordinata o autonoma in un altro Stato membro, pur continuando a risiedere nel territorio dello Stato, permanendo le condizioni previste per l'iscrizione anagrafica.
2. Ai fini dell'acquisizione dei diritti previsti nel comma 1, lettere a) e b), i periodi di occupazione trascorsi dall'interessato nello Stato membro in cui esercita un'attività sono considerati periodi trascorsi nel territorio nazionale.
3. I periodi di iscrizione alle liste di mobilità o di disoccupazione involontaria, così come definiti dal decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, o i periodi di sospensione dell'attività indipendenti dalla volontà dell'interessato e l'assenza dal lavoro o la cessazione dell'attività per motivi di malattia o infortunio sono considerati periodi di occupazione ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1.
4. La sussistenza delle condizioni relative alla durata del soggiorno e dell'attività di cui al comma 1, lettera a) e lettera b), non sono necessarie se il coniuge e' cittadino italiano, ovvero ha perso la cittadinanza italiana a seguito del matrimonio con il lavoratore dipendente o autonomo.
5. I familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, del lavoratore subordinato o autonomo, che soggiornano con quest'ultimo nel territorio dello Stato, godono del diritto di soggiorno permanente se il lavoratore stesso ha acquisito il diritto di soggiorno permanente in forza del comma 1.
6. Se il lavoratore subordinato o autonomo decede mentre era in attività senza aver ancora acquisito il diritto di soggiorno permanente a norma del comma 1, i familiari che hanno soggiornato con il lavoratore nel territorio acquisiscono il diritto di soggiorno permanente, qualora si verifica una delle seguenti condizioni:
a) il lavoratore subordinato o autonomo, alla data del suo decesso, abbia soggiornato in via continuativa nel territorio nazionale per due anni;
b) il decesso sia avvenuto in seguito ad un infortunio sul lavoro o ad una malattia professionale;
c) il coniuge superstite abbia perso la cittadinanza italiana a seguito del matrimonio con il lavoratore dipendente o autonomo.
7. Se non rientrano nelle condizioni previste dal presente articolo, i familiari del cittadino dell'Unione di cui all'articolo 11, comma 2, e all'articolo 12, comma 2, che soddisfano le condizioni ivi previste, acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante.
Art. 16.
Attestazione di soggiorno permanente per i cittadini dell'Unione europea
1. A richiesta dell'interessato, il comune di residenza rilascia al cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea un attestato che certifichi la sua condizione di titolare del diritto di soggiorno permanente. L'attestato e' rilasciato entro trenta giorni dalla richiesta corredata dalla documentazione atta a provare le condizioni, rispettivamente previsti dall'articolo 14 e dall'articolo 15.
2. L'attestato di cui al comma 1 può essere sostituito da una istruzione contenuta nel microchip della carta di identità elettronica di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, secondo le regole tecniche stabilite dal Ministero dell'interno.
Art. 17.
Carta di soggiorno permanente per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro
1. Ai familiari del cittadino comunitario non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea, che abbiano maturato il diritto di soggiorno permanente, la Questura rilascia una «Carta di soggiorno permanente per familiari di cittadini europei».
2. La richiesta di Carta di soggiorno permanente e' presentata alla Questura competente per territorio di residenza prima dello scadere del periodo di validità della Carta di soggiorno di cui all'articolo 10 ed e' rilasciata entro 90 giorni, su modello conforme a quello stabilito con decreto del Ministro dell'interno.
3. Il rilascio dell'attestazione e' gratuito, salvo il rimborso del costo degli stampati o del materiale utilizzato.
4. Le interruzioni di soggiorno che non superino, ogni volta, i due anni consecutivi, non incidono sulla validità della carta di soggiorno permanente.
Art. 18.
Continuità del soggiorno
1. La continuità del soggiorno, ai fini del presente decreto legislativo, nonche' i requisiti prescritti dagli articoli 13, 14, 15 e 16 possono essere comprovati con le modalità previste dalla legislazione vigente.
2. La continuità del soggiorno e' interrotta dal provvedimento di allontanamento adottato nei confronti della persona interessata.
Art. 19.
Disposizioni comuni al diritto di soggiorno e al diritto di soggiorno permanente
1. I cittadini dell'Unione e i loro familiari hanno diritto di esercitare qualsiasi attività economica autonoma o subordinata, escluse le attività che la legge, conformemente ai Trattati dell'Unione europea ed alla normativa comunitaria in vigore, riserva ai cittadini italiani.
2. Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal Trattato CE e dal diritto derivato, ogni cittadino dell'Unione che risiede, in base al presente decreto, nel territorio nazionale gode di pari trattamento rispetto ai cittadini italiani nel campo di applicazione del Trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.
3. In deroga al comma 2 e se non attribuito autonomamente in virtù dell'attività esercitata o da altre disposizioni di legge, il cittadino dell'Unione ed i suoi familiari non godono del diritto a prestazioni d'assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, comunque, nei casi previsti dall'articolo 13, comma 3, lettera b), salvo che tale diritto sia automaticamente riconosciuto in forza dell'attività esercitata o da altre disposizioni di legge.
4. La qualità di titolare di diritto di soggiorno e di titolare di diritto di soggiorno permanente può essere attestata con qualsiasi mezzo di prova previsto dalla normativa vigente.
Art. 20.
Limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico
1. Il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
2. I provvedimenti di cui al comma 1 sono adottati nel rispetto del principio di proporzionalità ed in relazione a comportamenti della persona, che rappresentino una minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica. La esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti.
3. Nell'adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, si tiene conto della durata del soggiorno in Italia dell'interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare e economica, della sua integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale e dell'importanza dei suoi legami con il Paese d'origine.
4. I cittadini dell'Unione europea ed i loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, che abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente di cui all'articolo 14 possono essere allontanati dal territorio dello Stato solo per gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica.
5. I cittadini dell'Unione europea che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni possono essere allontanati solo per motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato, salvo quando l'allontanamento sia necessario nell'interesse stesso del minore, secondo quanto contemplato dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176.
6. Le malattie o le infermità che possono giustificare limitazioni alla libertà di circolazione sul territorio nazionale sono solo quelle con potenziale epidemico individuate dall'Organizzazione mondiale della sanità, nonche' altre malattie infettive o parassitarie contagiose, sempreche' siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini italiani. Le malattie che insorgono successivamente all'ingresso nel territorio nazionale non possono giustificare l'allontanamento del cittadino dell'Unione e dei suoi familiari.
7. Il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale di cui ai comma 1, 4 e 5 e' adottato dal Ministro dell'interno con atto motivato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato, e tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese. Il provvedimento di allontanamento e' notificato all'interessato e riporta le modalità di impugnazione e della durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere superiore a 3 anni. Il provvedimento di allontanamento indica il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica, fatti salvi i casi di comprovata urgenza.
8. Il destinatario del provvedimento di allontanamento che rientra nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso e' punito con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000 ed e' nuovamente allontanato con accompagnamento immediato.
9. Qualora il cittadino dell'Unione o il suo familiare allontanato si trattiene nel territorio dello Stato oltre il termine fissato nel provvedimento di cui al comma 7, ovvero quando il provvedimento e' fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato, il questore dispone l'esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento dell'interessato dal territorio nazionale.
Art. 21.
Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno
1. Il provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e dei loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, può altresì essere adottato quando vengono a mancare le condizioni che determinano il diritto di soggiorno dell'interessato, salvo quanto previsto dagli articoli 11 e 12.
2. Il provvedimento di cui al comma 1 e' adottato dal Prefetto, territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, con atto motivato e notificato all'interessato. Il provvedimento e' adottato tenendo conto della durata del soggiorno dell'interessato, della sua età, della sua salute, della sua integrazione sociale e culturale e dei suoi legami con il Paese di origine ed e' tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese, e riporta le modalità di impugnazione, nonche' il termine per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese. Il provvedimento di allontanamento di cui al comma 1 non può prevedere un divieto di reingresso sul territorio nazionale.
Art. 22.
Ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento
1. Avverso il provvedimento di cui all'articolo 20 e' ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma.
2. Il ricorso può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di provenienza dall'interessato. In tale caso la procura speciale al patrocinante legale e' rilasciata avanti all'autorità consolare. Presso le stesse autorità sono eseguite le comunicazioni relative al procedimento.
3. Il ricorso di cui al comma 1 può essere accompagnato da una istanza di sospensione dell'esecutorietà del provvedimento di allontanamento. Fino all'esito dell'istanza di cui al presente comma, l'efficacia del provvedimento impugnato resta sospesa, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale ovvero sia fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato.
4. Avverso il provvedimento di allontanamento di cui all'articolo 21 può essere presentato ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l'autorità che lo ha disposto. Il ricorso e' presentato, a pena d'inammissibilità, entro venti giorni dalla notifica del provvedimento di allontanamento e deciso entro i successivi trenta giorni.
5. Il ricorso può essere sottoscritto personalmente dall'interessato e può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di provenienza dall'interessato. In tale caso la sottoscrizione e' autenticata dai funzionari presso le rappresentanze diplomatiche che ne certificano l'autenticità e ne curano l'inoltro all'autorità giudiziaria italiana. Presso le stesse autorità sono eseguite le comunicazioni relative al procedimento.
6. La parte può stare in giudizio personalmente.
7. Contestualmente al ricorso può essere presentata istanza di sospensione dell'esecutorietà del provvedimento di allontanamento. Fino all'esito dell'istanza di sospensione, l'efficacia del provvedimento impugnato resta sospesa, salvo che provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale.
8. Al cittadino comunitario o al suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, cui e' stata negata la sospensione del provvedimento di allontanamento e' consentito, a domanda, l'ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale per partecipare alle fasi essenziali del procedimento di ricorso, salvo che la sua presenza possa procurare gravi turbative o grave pericolo all'ordine e alla sicurezza pubblica. L'autorizzazione e' rilasciata dal questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata richiesta dell'interessato.
9. Il tribunale decide a norma degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Qualora i tempi del procedimento dovessero superare il termine entro il quale l'interessato deve lasciare il territorio nazionale ed e' stata presentata istanza di sospensione ai sensi del comma 7, il giudice decide con priorità sulla stessa prima della scadenza fissata per l'allontanamento.
10. Nel caso in cui il ricorso e' respinto, l'interessato presente sul territorio dello Stato deve lasciare immediatamente il territorio nazionale.
Art. 23.
Applicabilità ai soggetti non aventi la cittadinanza italiana che siano familiari di cittadini italiani
1. Le disposizioni del presente decreto legislativo, se più favorevoli, si applicano ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana.
Art. 24.
Norma finanziaria
1. Agli oneri derivanti dagli articoli 2, 3, 7, 11, 14 e 15, valutati in 14,5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2007, si provvede a carico del Fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, le cui risorse sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate all'I.N.P.S. e al Fondo sanitario nazionale.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui al presente decreto legislativo, ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, ovvero delle misure correttive da assumere, ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera i-quater), della medesima legge. Gli eventuali decreti emanati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, n. 2), della legge 5 agosto 1978, n. 468, prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti o delle misure di cui al precedente periodo, sono tempestivamente trasmesse alle Camere, corredati di apposite relazioni illustrative.
3. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Art. 25.
Norme finali e abrogazioni
1. Le amministrazioni competenti provvederanno, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, a diffondere tramite i propri siti internet i contenuti del presente decreto.
2. Alla data di entrata in vigore del presente decreto sono o restano abrogati il decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1965, n. 1656, il decreto legislativo 18 gennaio 2002, n. 52, il decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 53, il decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 54.
3. Il comma 4 dell'articolo 30 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e' abrogato.
Trattato 2 ottobre 1997.
Trattato di Amsterdam
che modifica il trattato sull'Unione europea, i trattati che istituiscono le
Comunità europee e alcuni atti connessi.
(1) (2)
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(1) Pubblicato nella G.U.C.E. 10 novembre 1997, n. C 340. Trattato firmato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997.
(2) Il presente trattato è entrato in vigore il 1° maggio 1999. Si veda la L. 16 giugno 1998, n. 209.
(omissis)
Articolo 2 - Parte I
Il trattato che istituisce la Comunità europea è modificato in base alle disposizioni del presente articolo.
1) Nel preambolo è aggiunto il seguente punto dopo gli otto punti:
"determinati a promuovere lo sviluppo del massimo livello possibile di conoscenza nelle popolazioni attraverso un ampio accesso all'istruzione e attraverso l'aggiornamento costante,"
2) L'articolo 2 è sostituito dal testo seguente:
"Articolo 2
La Comunità ha il compito di promuovere nell'insieme della Comunità, mediante l'instaurazione di un mercato comune e di un'unione economica e monetaria e mediante l'attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli articoli 3 e 3 A, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell'ambiente ed il miglioramento della qualità di quest'ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri."
3) L'articolo 3 è modificato come segue:
a) il testo attuale è numerato e diventa paragrafo 1;
b) nel nuovo paragrafo 1, la lettera d) è sostituita dal testo seguente:
"d) misure riguardanti l'ingresso e la circolazione di persone, come previsto dal titolo III bis;"
c) nel nuovo paragrafo 1, dopo la lettera h) è inserita la nuova lettera i):
"i) la promozione del coordinamento tra le politiche degli Stati membri in materia di occupazione al fine di accrescerne l'efficacia con lo sviluppo di una strategia coordinata per l'occupazione;"
d) nel nuovo paragrafo 1, l'attuale lettera i) diventa lettera j) e le successive lettere sono rinumerate di conseguenza;
e) è aggiunto il seguente paragrafo:
"2. L'azione della Comunità a norma del presente articolo mira a eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità, tra uomini e donne."
4) È inserito il seguente articolo:
"Articolo 3 C
Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni comunitarie di cui all'articolo 3, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile."
5) È inserito il seguente articolo:
"Articolo 5 A
1. Gli Stati membri che intendono instaurare tra loro una cooperazione rafforzata possono essere autorizzati, in osservanza degli articoli K.15 e K.16 del trattato sull'Unione europea, a ricorrere alle istituzioni, alle procedure e ai meccanismi previsti dal presente trattato, a condizione che la cooperazione proposta:
a) non riguardi settori che rientrano nell'ambito della competenza esclusiva della Comunità;
b) non incida sulle politiche, sulle azioni o sui programmi comunitari;
c) non riguardi la cittadinanza dell'Unione, né crei discriminazioni tra cittadini degli Stati membri;
d) rimanga entro i limiti delle competenze conferite alla Comunità dal presente trattato;
e) non costituisca una discriminazione né una restrizione negli scambi tra Stati membri e non produca una distorsione delle condizioni di concorrenza tra questi ultimi.
2. L'autorizzazione di cui al paragrafo 1 è concessa dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, previa consultazione del Parlamento europeo.
Se un membro del Consiglio dichiara che per importanti e specificati motivi di politica interna, intende opporsi alla concessione di un'autorizzazione a maggioranza qualificata, non si procede alla votazione. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può chiedere che la questione venga sottoposta al Consiglio, riunito nella composizione di Capi di Stato o di Governo, per una decisione all'unanimità.
Gli Stati membri che intendono instaurare la cooperazione rafforzata di cui al paragrafo 1 possono trasmettere una richiesta alla Commissione che può presentare al Consiglio una proposta al riguardo. Qualora la Commissione non presenti una proposta, essa informa gli Stati membri interessati delle ragioni di tale decisione.
3. Ogni Stato membro che desideri partecipare a una cooperazione instaurata a norma del presente articolo notifica tale intenzione al Consiglio ed alla Commissione, la quale, entro un termine di tre mesi dalla data di ricezione della notifica, dà un parere al Consiglio. Entro quattro mesi dalla data di notifica, la Commissione decide sulla richiesta e sulle eventuali misure specifiche che può ritenere necessarie.
4. Gli atti e le decisioni necessari per l'attuazione delle attività di cooperazione sono soggetti a tutte le disposizioni pertinenti del presente trattato, salvo se altrimenti previsto dal presente articolo e dagli articoli K.15 e K.16 del trattato sull'Unione europea.
5. Il presente articolo non pregiudica le disposizioni del protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione europea."
6) All'articolo 6, il secondo comma è sostituito dal testo seguente:
"Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 189 B, può stabilire regole volte a vietare tale discriminazione."
7) È inserito il seguente articolo:
"Articolo 6 A
Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell'ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali."
8) Alla fine della Parte prima è inserito il seguente articolo:
"Articolo 7 D
Fatti salvi gli articoli 77, 90 e 92, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, la Comunità e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione del presente trattato, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti."
9) All'articolo 8, il paragrafo 1 è sostituito dal testo seguente:
"1. È istituita una cittadinanza dell'Unione. È cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest'ultima."
10) All'articolo 8 A, il paragrafo 2 è sostituito dal testo seguente:
"2. Il Consiglio può adottare disposizioni intese a facilitare l'esercizio dei diritti di cui al paragrafo 1; salvo diversa disposizione del presente trattato, esso delibera secondo la procedura di cui all'articolo 189 B. Il Consiglio delibera all'unanimità durante tutta la procedura."
11) All'articolo 8 D, è aggiunto il seguente comma:
"Ogni cittadino dell'Unione può scrivere alle istituzioni o agli organi di cui al presente articolo o all'articolo 4 in una delle lingue menzionate all'articolo 248 e ricevere una risposta nella stessa lingua."
12) L'articolo 51 è sostituito dal testo seguente:
"Articolo 51
Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 189 B, adotta in materia di sicurezza sociale le misure necessarie per l'instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti e ai loro aventi diritto:
a) il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste,
b) il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri.
Il Consiglio delibera all'unanimità durante tutta la procedura di cui all'articolo 189 B."
13) All'articolo 56, il paragrafo 2 è sostituito dal testo seguente:
"2. Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 189 B, stabilisce direttive per il coordinamento delle suddette disposizioni."
14) All'articolo 57, il paragrafo 2 è sostituito dal testo seguente:
"2. In ordine alle stesse finalità, il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 189 B, stabilisce le direttive intese al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative all'accesso alle attività non salariate e all'esercizio di queste. Il Consiglio delibera all'unanimità, durante tutta la procedura di cui all'articolo 189 B, per quelle direttive la cui esecuzione, in uno Stato membro almeno, comporti una modifica dei vigenti principi legislativi del regime delle professioni, per quanto riguarda la formazione e le condizioni di accesso delle persone fisiche. Negli altri casi il Consiglio delibera a maggioranza qualificata."
15) Nella Parte terza è inserito il seguente titolo:
"Titolo III bis
Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone
Articolo 73 I
Allo scopo di istituire progressivamente uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, il Consiglio adotta:
a) entro un periodo di cinque anni a decorrere dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, misure volte ad assicurare la libera circolazione delle persone a norma dell'articolo 7 A, insieme a misure di accompagnamento direttamente collegate in materia di controlli alle frontiere esterne, asilo e immigrazione, a norma dell'articolo 73 J, paragrafi 2 e 3, e dell'articolo 73 K, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 2, lettera a), nonché misure per prevenire e combattere la criminalità, a norma dell'articolo K.3, lettera e), del trattato sull'Unione europea;
b) altre misure nei settori dell'asilo, dell'immigrazione e della salvaguardia dei diritti dei cittadini dei paesi terzi, a norma dell'articolo 73 K;
c) misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, come previsto all'articolo 73 M;
d) misure appropriate per incoraggiare e rafforzare la cooperazione amministrativa, come previsto all'articolo 73 N;
e) misure nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale volte ad assicurare alle persone un elevato livello di sicurezza mediante la prevenzione e la lotta contro la criminalità all'interno dell'Unione, in conformità alle disposizioni del trattato sull'Unione europea.
Articolo 73 J
Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 73 O, entro un periodo di cinque anni a decorrere dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam adotta:
1) misure volte a garantire, in conformità all'articolo 7 A, che non vi siano controlli sulle persone, sia cittadini dell'Unione sia cittadini di paesi terzi, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne;
2) misure relative all'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, che definiscono:
a) norme e procedure cui gli Stati membri devono attenersi per l'effettuazione di controlli sulle persone alle suddette frontiere;
b) regole in materia di visti relativi a soggiorni previsti di durata non superiore a tre mesi, che comprendono:
i) un elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e di quelli i cui cittadini sono esenti da tale obbligo;
ii) le procedure e condizioni per il rilascio dei visti da parte degli Stati membri;
iii) un modello uniforme di visto;
iv) norme relative a un visto uniforme;
3) misure che stabiliscono a quali condizioni i cittadini dei paesi terzi hanno libertà di spostarsi all'interno del territorio degli Stati membri per un periodo non superiore a tre mesi.
Articolo 73 K
Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 73 O, entro un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam adotta:
1) misure in materia di asilo, a norma della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e del protocollo del 31 gennaio 1967, relativo allo status dei rifugiati, e degli altri trattati pertinenti, nei seguenti settori:
a) criteri e meccanismi per determinare quale Stato membro è competente per l'esame della domanda di asilo presentata da un cittadino di un paese terzo in uno degli Stati membri,
b) norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri,
c) norme minime relative all'attribuzione della qualifica di rifugiato a cittadini di paesi terzi,
d) norme minime sulle procedure applicabili negli Stati membri per la concessione o la revoca dello status di rifugiato;
2) misure applicabili ai rifugiati ed agli sfollati nei seguenti settori:
a) norme minime per assicurare protezione temporanea agli sfollati di paesi terzi che non possono ritornare nel paese di origine e per le persone che altrimenti necessitano di protezione internazionale,
b) promozione di un equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono i rifugiati e gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi;
3) misure in materia di politica dell'immigrazione nei seguenti settori:
a) condizioni di ingresso e soggiorno e norme sulle procedure per il rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine e di permessi di soggiorno, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare,
b) immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare;
4) misure che definiscono con quali diritti e a quali condizioni i cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro possono soggiornare in altri Stati membri.
Le misure adottate dal Consiglio a norma dei punti 3 e 4 non ostano a che uno Stato membro mantenga o introduca, nei settori in questione, disposizioni nazionali compatibili con il presente trattato e con gli accordi internazionali.
Alle misure da adottare a norma del punto 2, lettera b), del punto 3, lettera a), e del punto 4 non si applica il suddetto periodo di cinque anni.
Articolo 73 L
1. Il presente titolo non osta all'esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna.
2. Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata dall'afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi e fatto salvo il paragrafo 1, il Consiglio può, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, adottare misure temporanee di durata non superiore a sei mesi a beneficio degli Stati membri interessati.
Articolo 73 M
Le misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile che presenti implicazioni transfrontaliere, da adottare a norma dell'articolo 73 O e per quanto necessario al corretto funzionamento del mercato interno, includono:
a) il miglioramento e la semplificazione:
- del sistema per la notificazione transnazionale degli atti giudiziari ed extragiudiziali;
- della cooperazione nell'assunzione dei mezzi di prova;
- del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, comprese le decisioni extragiudiziali;
b) la promozione della compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di competenza giurisdizionale;
c) l'eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri.
Articolo 73 N
Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 73 O, adotta misure atte a garantire la cooperazione tra i pertinenti servizi delle amministrazioni degli Stati membri nelle materie disciplinate dal presente titolo, nonché tra tali servizi e la Commissione.
Articolo 73 O
1. Per un periodo transitorio di cinque anni dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, il Consiglio delibera all'unanimità su proposta della Commissione o su iniziativa di uno Stato membro e previa consultazione del Parlamento europeo.
2. Trascorso tale periodo di cinque anni:
- il Consiglio delibera su proposta della Commissione; la Commissione esamina qualsiasi richiesta formulata da uno Stato membro affinché essa sottoponga una proposta al Consiglio;
- il Consiglio, deliberando all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo, prende una decisione al fine di assoggettare tutti o parte dei settori contemplati dal presente titolo alla procedura di cui all'articolo 189 B e di adattare le disposizioni relative alle competenze della Corte di giustizia.
3. In deroga ai paragrafi 1 e 2, le misure di cui all'articolo 73 J, punto 2, lettera b), punti i) e iii), successivamente all'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, sono adottate dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo;
4. In deroga al paragrafo 2, le misure di cui all'articolo 73 J, punto 2, lettera b), punti ii) e iv), trascorso un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, sono adottate dal Consiglio, che delibera secondo la procedura di cui all'articolo 189 B.
Articolo 73 P
1. L'articolo 177 si applica al presente titolo nelle seguenti circostanze e alle seguenti condizioni: quando è sollevata, in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, una questione concernente l'interpretazione del presente titolo oppure la validità o l'interpretazione degli atti delle istituzioni della Comunità fondati sul presente titolo, tale giurisdizione, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su tale punto, domanda alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla questione.
2. La Corte di giustizia non è comunque competente a pronunciarsi sulle misure o decisioni adottate a norma dell'articolo 73 J, punto 1, in materia di mantenimento dell'ordine pubblico e salvaguardia della sicurezza interna.
3. Il Consiglio, la Commissione o uno Stato membro possono chiedere alla Corte di giustizia di pronunciarsi sull'interpretazione del presente titolo o degli atti delle istituzioni della Comunità fondati sul presente titolo. La decisione pronunciata dalla Corte di giustizia in risposta a siffatta richiesta non si applica alle sentenze degli organi giurisdizionali degli Stati membri passate in giudicato.
Articolo 73 Q
Il presente titolo si applica nel rispetto delle disposizioni del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda e del protocollo sulla posizione della Danimarca e fatto salvo il protocollo sull'applicazione di alcuni aspetti dell'articolo 7 A del trattato che istituisce la Comunità europea al Regno Unito e all'Irlanda."
16) All'articolo 75, paragrafo 1, la parte introduttiva è sostituita dalla seguente:
"1. Ai fini dell'applicazione dell'articolo 74 e tenuto conto degli aspetti peculiari dei trasporti, il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 189 B e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle Regioni, stabilisce:"
17) All'articolo 100 A, il testo dei paragrafi 3, 4 e 5 è sostituito dal testo seguente:
"3. La Commissione, nelle sue proposte di cui al paragrafo 1 in materia di sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e protezione dei consumatori, si basa su un livello di protezione elevato, tenuto conto, in particolare, degli eventuali nuovi sviluppi fondati su riscontri scientifici. Anche il Parlamento europeo ed il Consiglio, nell'ambito delle rispettive competenze, cercheranno di conseguire tale obiettivo.
4. Allorché, dopo l'adozione da parte del Consiglio o della Commissione di una misura di armonizzazione, uno Stato membro ritenga necessario mantenere disposizioni nazionali giustificate da esigenze importanti di cui all'articolo 36 o relative alla protezione dell'ambiente o dell'ambiente di lavoro, esso notifica tali disposizioni alla Commissione precisando i motivi del mantenimento delle stesse.
5. Inoltre, fatto salvo il paragrafo 4, allorché, dopo l'adozione da parte del Consiglio o della Commissione di una misura di armonizzazione, uno Stato membro ritenga necessario introdurre disposizioni nazionali fondate su nuove prove scientifiche inerenti alla protezione dell'ambiente o dell'ambiente di lavoro, giustificate da un problema specifico a detto Stato membro insorto dopo l'adozione della misura di armonizzazione, esso notifica le disposizioni previste alla Commissione precisando i motivi dell'introduzione delle stesse.
6. La Commissione, entro sei mesi dalle notifiche di cui ai paragrafi 4 e 5, approva o respinge le disposizioni nazionali in questione dopo aver verificato se esse costituiscano o no uno strumento di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata nel commercio tra gli Stati membri e se rappresentino o no un ostacolo al funzionamento del mercato interno.
In mancanza di decisione della Commissione entro detto periodo, le disposizioni nazionali di cui ai paragrafi 4 e 5 sono considerate approvate.
Se giustificato dalla complessità della questione e in assenza di pericolo per la salute umana, la Commissione può notificare allo Stato membro interessato che il periodo di cui al presente paragrafo può essere prolungato per un ulteriore periodo di massimo sei mesi.
7. Quando uno Stato membro è autorizzato, a norma del paragrafo 6, a mantenere o a introdurre disposizioni nazionali che derogano a una misura di armonizzazione, la Commissione esamina immediatamente l'opportunità di proporre un adeguamento di detta misura.
8. Quando uno Stato membro solleva un problema specifico di pubblica sanità in un settore che è stato precedentemente oggetto di misure di armonizzazione, esso lo sottopone alla Commissione che esamina immediatamente l'opportunità di proporre misure appropriate al Consiglio.
9. In deroga alla procedura di cui agli articoli 169 e 170, la Commissione o qualsiasi Stato membro può adire direttamente la Corte di giustizia ove ritenga che un altro Stato membro faccia un uso abusivo dei poteri contemplati dal presente articolo.
10. Le misure di armonizzazione di cui sopra comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri ad adottare, per uno o più dei motivi di carattere non economico di cui all'articolo 36, misure provvisorie soggette ad una procedura comunitaria di controllo."
18) Gli articoli 100 C e 100 D sono soppressi.
19) Dopo il titolo VI è inserito il seguente titolo:
"Titolo VI bis
Occupazione
Articolo 109 N
Gli Stati membri e la Comunità, in base al presente titolo, si adoperano per sviluppare una strategia coordinata a favore dell'occupazione, e in particolare a favore della promozione di una forza lavoro competente, qualificata, adattabile e di mercati del lavoro in grado di rispondere ai mutamenti economici, al fine di realizzare gli obiettivi di cui all'articolo B del trattato sull'Unione europea e all'articolo 2 del presente trattato.
Articolo 109 0
1. Gli Stati membri, attraverso le loro politiche in materia di occupazione, contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi di cui all'articolo 109 N in modo coerente con gli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e della Comunità adottati a norma dell'articolo 103, paragrafo 2.
2. Gli Stati membri, tenuto conto delle prassi nazionali in materia di responsabilità delle parti sociali, considerano la promozione dell'occupazione una questione di interesse comune e coordinano in sede di Consiglio le loro azioni al riguardo, in base alle disposizioni dell'articolo 109 Q.
Articolo 109 P
1. La Comunità contribuisce ad un elevato livello di occupazione promuovendo la cooperazione tra gli Stati membri nonché sostenendone e, se necessario, integrandone l'azione. Sono in questo contesto rispettate le competenze degli Stati membri.
2. Nella definizione e nell'attuazione delle politiche e delle attività comunitarie si tiene conto dell'obiettivo di un livello di occupazione elevato.
Articolo 109 Q
1. In base a una relazione annuale comune del Consiglio e della Commissione, il Consiglio europeo esamina annualmente la situazione dell'occupazione nella Comunità e adotta le conclusioni del caso.
2. Sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale, del Comitato delle Regioni e del comitato per l'occupazione di cui all'articolo 109 S, elabora annualmente degli orientamenti di cui devono tener conto gli Stati membri nelle rispettive politiche in materia di occupazione. Tali orientamenti sono coerenti con gli indirizzi di massima adottati a norma dell'articolo 103, paragrafo 2.
3. Ciascuno Stato membro trasmette al Consiglio e alla Commissione una relazione annuale sulle principali misure adottate per l'attuazione della propria politica in materia di occupazione, alla luce degli orientamenti in materia di occupazione di cui al paragrafo 2.
4. Il Consiglio, sulla base delle relazioni di cui al paragrafo 3 e dei pareri del comitato per l'occupazione, procede annualmente ad un esame dell'attuazione delle politiche degli Stati membri in materia di occupazione alla luce degli orientamenti in materia di occupazione. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su raccomandazione della Commissione, può, se lo considera opportuno sulla base di detto esame, rivolgere raccomandazioni agli Stati membri.
5. Sulla base dei risultati di detto esame, il Consiglio e la Commissione trasmettono al Consiglio europeo una relazione annuale comune in merito alla situazione dell'occupazione nella Comunità e all'attuazione degli orientamenti in materia di occupazione.
Articolo 109 R
Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 189 B e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle Regioni, può adottare misure di incentivazione dirette a promuovere la cooperazione tra Stati membri e a sostenere i loro interventi nel settore dell'occupazione, mediante iniziative volte a sviluppare gli scambi di informazioni e delle migliori prassi, a fornire analisi comparative e indicazioni, nonché a promuovere approcci innovativi e a valutare le esperienze realizzate, in particolare mediante il ricorso a progetti pilota.
Tali misure non comportano l'armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.
Articolo 109 S
Il Consiglio, previa consultazione del Parlamento europeo, istituisce un comitato per l'occupazione a carattere consultivo, al fine di promuovere il coordinamento tra gli Stati membri per quanto riguarda le politiche in materia di occupazione e di mercato del lavoro. Il comitato è incaricato di:
- seguire la situazione dell'occupazione e le politiche in materia di occupazione negli Stati membri e nella Comunità;
- fatto salvo l'articolo 151, formulare pareri su richiesta del Consiglio o della Commissione o di propria iniziativa, e contribuire alla preparazione dei lavori del Consiglio di cui all'articolo 109 Q.
Nell'esercizio delle sue funzioni, il Comitato consulta le parti sociali.
Ogni Stato membro e la Commissione nominano due membri del Comitato."
20) All'articolo 113, è aggiunto il seguente paragrafo:
"5. Il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può estendere l'applicazione dei paragrafi da 1 a 4 a negoziati e accordi internazionali su servizi e proprietà intellettuale nella misura in cui essi non rientrino in detti paragrafi."
(omissis)
Articolo 13
Il presente trattato è concluso per un periodo illimitato.
Trattato che istituisce la Comunità europea
(art. 13)
versione consolidata
Parte prima:
Principi
(omissis)
Articolo 13
1. Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell'ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.
(omissis)
Dir. 29 aprile 2004, n.
2004/38/CE.
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei
cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare
liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento
(CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE,
73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE
(1) (2) (3)
--------------------------------------------
(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 30 aprile 2004, n. L 158. Entrata in vigore il 30 aprile 2004. Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
(2) Termine di recepimento: 30 aprile 2006.
(3) Testo rilevante ai fini del SEE.
Il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare gli articoli 12, 18, 40, 44, e 52,
vista la proposta della Commissione (4),
visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (5),
visto il parere del Comitato delle regioni (6),
deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato (7),
considerando quanto segue:
(1) La cittadinanza dell'Unione conferisce a ciascun cittadino dell'Unione il diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal trattato e le disposizioni adottate in applicazione dello stesso.
(2) La libera circolazione delle persone costituisce una delle libertà fondamentali nel mercato interno che comprende uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata tale libertà secondo le disposizioni del trattato.
(3) La cittadinanza dell'Unione dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell'Unione.
(4) Per superare tale carattere settoriale e frammentario delle norme concernenti il diritto di libera circolazione e soggiorno e allo scopo di facilitare l'esercizio di tale diritto, occorre elaborare uno strumento legislativo unico per modificare parzialmente il regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità e per abrogare i seguenti testi legislativi: la direttiva 68/360/CEE del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all'interno della Comunità; la direttiva 73/148/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1973, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi; la direttiva 90/364/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno; la direttiva 90/365/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la propria attività professionale e la direttiva 93/96/CEE del Consiglio, del 29 ottobre 1993, relativa al diritto di soggiorno degli studenti.
(5) Il diritto di ciascun cittadino dell'Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza. Ai fini della presente direttiva, la definizione di «familiare» dovrebbe altresì includere il partner che ha contratto un'unione registrata, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio.
(6) Per preservare l'unità della famiglia in senso più ampio senza discriminazione in base alla nazionalità, la situazione delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della presente direttiva, e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante, dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l'ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone, tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell'Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell'Unione.
(7) Occorre definire chiaramente la natura delle formalità connesse alla libera circolazione dei cittadini dell'Unione nel territorio degli Stati membri, senza pregiudizio delle disposizioni applicabili in materia di controlli nazionali alle frontiere.
(8) Al fine di facilitare la libera circolazione dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, coloro che hanno già ottenuto una carta di soggiorno dovrebbero essere esentati dall'obbligo di munirsi di un visto d'ingresso a norma del regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo o, se del caso, della legislazione nazionale applicabile.
(9) I cittadini dell'Unione dovrebbero aver il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante per un periodo non superiore a tre mesi senza altra formalità o condizione che il possesso di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità, fatto salvo un trattamento più favorevole applicabile ai richiedenti lavoro, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
(10) Occorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno. Pertanto il diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari per un periodo superiore a tre mesi dovrebbe essere subordinato a condizioni.
(11) Il diritto fondamentale e personale di soggiornare in un altro Stato membro è conferito direttamente dal trattato ai cittadini dell'Unione e non dipende dall'aver completato le formalità amministrative.
(12) Per soggiorni superiori a tre mesi, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di richiedere l'iscrizione del cittadino dell'Unione presso le autorità competenti del luogo di residenza, comprovata da un attestato d'iscrizione rilasciato a tal fine.
(13) Il requisito del possesso della carta di soggiorno dovrebbe essere limitato ai familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro per i soggiorni di durata superiore ai tre mesi.
(14) I documenti giustificativi richiesti dalle autorità competenti ai fini del rilascio dell'attestato d'iscrizione o di una carta di soggiorno dovrebbero essere indicati in modo tassativo onde evitare che pratiche amministrative o interpretazioni divergenti costituiscano un indebito ostacolo all'esercizio del diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari.
(15) È necessario inoltre tutelare giuridicamente i familiari in caso di decesso del cittadino dell'Unione, di divorzio, di annullamento del matrimonio o di cessazione di una unione registrata. È quindi opportuno adottare misure volte a garantire che, in tali ipotesi, nel dovuto rispetto della vita familiare e della dignità umana e a determinate condizioni intese a prevenire gli abusi, i familiari che già soggiornano nel territorio dello Stato membro ospitante conservino il diritto di soggiorno esclusivamente su base personale.
(16) I beneficiari del diritto di soggiorno non dovrebbero essere allontanati finché non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Pertanto una misura di allontanamento non dovrebbe essere la conseguenza automatica del ricorso al sistema di assistenza sociale. Lo Stato membro ospitante dovrebbe esaminare se si tratta di difficoltà temporanee e tener conto della durata del soggiorno, della situazione personale e dell'ammontare dell'aiuto concesso prima di considerare il beneficiario un onere eccessivo per il proprio sistema di assistenza sociale e procedere all'allontanamento. In nessun caso una misura di allontanamento dovrebbe essere presa nei confronti di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi o richiedenti lavoro, quali definiti dalla Corte di giustizia, eccetto che per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
(17) Un diritto di un soggiorno permanente per i cittadini dell'Unione che hanno scelto di trasferirsi a tempo indeterminato nello Stato membro ospitante rafforzerebbe il senso di appartenenza alla cittadinanza dell'Unione e costituisce un essenziale elemento di promozione della coesione sociale, che è uno degli obiettivi fondamentali dell'Unione. Occorre quindi istituire un diritto di soggiorno permanente per tutti i cittadini dell'Unione ed i loro familiari che abbiano soggiornato nello Stato membro ospitante per un periodo ininterrotto di cinque anni conformemente alle condizioni previste dalla presente direttiva e senza diventare oggetto di una misura di allontanamento.
(18) Per costituire un autentico mezzo di integrazione nella società dello Stato membro ospitante in cui il cittadino dell'Unione soggiorna, il diritto di soggiorno permanente non dovrebbe, una volta ottenuto, essere sottoposto ad alcuna condizione.
(19) Occorre preservare alcuni vantaggi propri dei cittadini dell'Unione che siano lavoratori subordinati o autonomi e dei loro familiari, che permettono loro di acquisire un diritto di soggiorno permanente prima di aver soggiornato cinque anni nello Stato membro ospitante, in quanto costituiscono diritti acquisiti conferiti dal regolamento (CEE) n. 1251/70 della Commissione, del 29 giugno 1970, relativo al diritto dei lavoratori di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego e dalla direttiva 75/34/CEE del Consiglio, del 17 dicembre 1974, relativa al diritto di un cittadino di uno Stato membro di rimanere sul territorio di un altro Stato membro dopo avervi svolto un'attività non salariata.
(20) In conformità del divieto di discriminazione in base alla nazionalità, ogni cittadino dell'Unione e i suoi familiari il cui soggiorno in uno Stato membro è conforme alla presente direttiva dovrebbero godere in tale Stato membro della parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali nel campo d'applicazione del trattato, fatte salve le specifiche disposizioni previste espressamente dal trattato e dal diritto derivato.
(21) Dovrebbe spettare tuttavia allo Stato membro ospitante decidere se intende concedere a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari prestazioni di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o per un periodo più lungo in caso di richiedenti lavoro, o sussidi per il mantenimento agli studi, inclusa la formazione professionale, prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente.
(22) Il trattato consente restrizioni all'esercizio del diritto di libera circolazione per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Per assicurare una definizione più rigorosa dei requisiti e delle garanzie procedurali cui deve essere subordinata l'adozione di provvedimenti che negano l'ingresso o dispongono l'allontanamento dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari la presente direttiva dovrebbe sostituire la direttiva 64/221/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento ed il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.
(23) L'allontanamento dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari per motivi d'ordine pubblico o di pubblica sicurezza costituisce una misura che può nuocere gravemente alle persone che, essendosi avvalse dei diritti e delle libertà loro conferite dal trattato, si siano effettivamente integrate nello Stato membro ospitante. Occorre pertanto limitare la portata di tali misure conformemente al principio di proporzionalità, in considerazione del grado d'integrazione della persona interessata, della durata del soggiorno nello Stato membro ospitante, dell'età, delle condizioni di salute, della situazione familiare ed economica e dei legami col paese di origine.
(24) Pertanto, quanto più forte è l'integrazione dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari nello Stato membro ospitante, tanto più elevata dovrebbe essere la protezione contro l'allontanamento. Soltanto in circostanze eccezionali, qualora vi siano motivi imperativi di pubblica sicurezza, dovrebbe essere presa una misura di allontanamento nei confronti di cittadini dell'Unione che hanno soggiornato per molti anni nel territorio dello Stato membro ospitante, in particolare qualora vi siano nati e vi abbiano soggiornato per tutta la vita. Inoltre, dette circostanze eccezionali dovrebbero valere anche per le misure di allontanamento prese nei confronti di minorenni, al fine di tutelare i loro legami con la famiglia, conformemente alla Convenzione sui diritti del fanciullo delle Nazioni Unite, del 20 novembre 1989.
(25) Dovrebbero altresì essere dettagliatamente specificate le garanzie procedurali in modo da assicurare, da un lato, un elevato grado di tutela dei diritti del cittadino dell'Unione e dei suoi familiari in caso di diniego d'ingresso o di soggiorno in un altro Stato membro e, dall'altro, il rispetto del principio secondo il quale gli atti amministrativi devono essere sufficientemente motivati.
(26) In ogni caso il cittadino dell'Unione e i suoi familiari dovrebbero poter presentare ricorso giurisdizionale ove venga loro negato il diritto d'ingresso o di soggiorno in un altro Stato membro.
(27) In linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia, che vieta agli Stati membri di adottare provvedimenti permanenti di interdizione dal loro territorio nei confronti dei beneficiari della presente direttiva, dovrebbe essere confermato il diritto del cittadino dell'Unione e dei suoi familiari, nei confronti dei quali sia stato emanato un provvedimento di interdizione dal territorio di uno Stato membro, di presentare una nuova domanda dopo il decorso di un congruo periodo e, in ogni caso, dopo tre anni a decorrere dall'esecuzione del provvedimento definitivo di interdizione.
(28) Per difendersi da abusi di diritto o da frodi, in particolare matrimoni di convenienza o altri tipi di relazioni contratte all'unico scopo di usufruire del diritto di libera circolazione e soggiorno, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di adottare le necessarie misure.
(29) La presente direttiva non dovrebbe pregiudicare le norme nazionali più favorevoli.
(30) Allo scopo di esaminare come agevolare ulteriormente l'esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno la Commissione dovrebbe preparare una relazione valutando l'opportunità di presentare tutte le necessarie proposte in tal senso, in particolare l'estensione del periodo di soggiorno senza condizioni.
(31) La presente direttiva rispetta i diritti e le libertà fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. In conformità con il divieto di discriminazione contemplato nella Carta gli Stati membri dovrebbero dare attuazione alla presente direttiva senza operare tra i beneficiari della stessa alcuna discriminazione fondata su motivazioni quali sesso, razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza ad una minoranza etnica, patrimonio, nascita, handicap, età o tendenze sessuali,
hanno adottato la presente direttiva (8):
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(4) Pubblicata nella G.U.C.E. 25 settembre 2001, n. C 270 E.
(5) Pubblicato nella G.U.C.E. 21 giugno 2002, n. C 149.
(6) Pubblicato nella G.U.C.E. 12 agosto 2002, n. C 192.
(7) Parere del Parlamento europeo dell'11 febbraio 2003 (G.U.U.E. C 43 E del 19.2.2004), posizione comune del Consiglio del 5 dicembre 2003 (G.U.U.E. C 54 E del 2.3.2004) e posizione del Parlamento europeo del 10 marzo 2004.
(8) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo I
Disposizioni generali
Art. 1 (9)
Oggetto.
La presente direttiva determina:
a) le modalità d'esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari;
b) il diritto di soggiorno permanente nel territorio degli Stati membri dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari;
c) le limitazioni dei suddetti diritti per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.
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(9) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 2 (10)
Definizioni.
Ai fini della presente direttiva, si intende per:
1) «cittadino dell'Unione»: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro;
2) «familiare»:
a) il coniuge;
b) il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;
c) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
d) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
3) «Stato membro ospitante»: lo Stato membro nel quale il cittadino dell'Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno.
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(10) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 3 (11)
Aventi diritto.
1. La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo.
2. Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell'interessato lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l'ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:
a) ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all'articolo 2, punto 2, se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell'Unione lo assista personalmente;
b) il partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata.
Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno.
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(11) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo II
Diritto di uscita e di ingresso
Art. 4 (12)
Diritto di uscita.
1. Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell'Unione munito di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro.
2. Nessun visto di uscita né alcuna formalità equivalente possono essere prescritti alle persone di cui al paragrafo 1.
3. Gli Stati membri rilasciano o rinnovano ai loro cittadini, ai sensi della legislazione nazionale, una carta d'identità o un passaporto dai quali risulti la loro cittadinanza.
4. Il passaporto deve essere valido almeno per tutti gli Stati membri e per i paesi di transito diretto tra gli stessi. Qualora la legislazione di uno Stato membro non preveda il rilascio di una carta d'identità, il periodo di validità del passaporto, al momento del rilascio o del rinnovo, non può essere inferiore a cinque anni.
---------------------------------------------
(12) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 5 (13)
Diritto d'ingresso.
1. Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino dell'Unione munito di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità, nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di valido passaporto.
Nessun visto d'ingresso né alcuna formalità equivalente possono essere prescritti al cittadino dell'Unione.
2. I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono soltanto assoggettati all'obbligo del visto d'ingresso, conformemente al regolamento (CE) n. 539/2001 o, se del caso, alla legislazione nazionale. Ai fini della presente direttiva il possesso della carta di soggiorno di cui all'articolo 10, in corso di validità, esonera detti familiari dal requisito di ottenere tale visto.
Gli Stati membri concedono a dette persone ogni agevolazione affinché ottengano i visti necessari. Tali visti sono rilasciati il più presto possibile in base a una procedura accelerata e sono gratuiti.
3. Lo Stato membro ospitante non appone timbri di ingresso o di uscita nel passaporto del familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro, qualora questi esibisca la carta di soggiorno di cui all'articolo 10.
4. Qualora il cittadino dell'Unione o il suo familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro sia sprovvisto dei documenti di viaggio o, eventualmente, dei visti necessari, lo Stato membro interessato concede, prima di procedere al respingimento, ogni possibile agevolazione affinché possa ottenere o far pervenire entro un periodo di tempo ragionevole i documenti necessari, oppure possa dimostrare o attestare con altri mezzi la qualifica di titolare del diritto di libera circolazione.
5. Lo Stato membro può prescrivere all'interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L'inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie.
-----------------------------------------------
(13) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo III
Diritto di soggiorno
Art. 6 (14)
Diritto di soggiorno sino a tre mesi.
1. I cittadini dell'Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità.
2. Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari in possesso di un passaporto in corso di validità non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnino o raggiungano il cittadino dell'Unione.
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(14) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 7 (15)
Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi.
1. Ciascun cittadino dell'Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:
a) di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o
b) di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un'assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; o
c) - di essere iscritto presso un istituto pubblico o privato, riconosciuto o finanziato dallo Stato membro ospitante in base alla sua legislazione o prassi amministrativa, per seguirvi a titolo principale un corso di studi inclusa una formazione professionale,
- di disporre di un'assicurazione malattia che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante e di assicurare all'autorità nazionale competente, con una dichiarazione o con altro mezzo di sua scelta equivalente, di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il suo periodo di soggiorno; o
d) di essere un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell'Unione rispondente alle condizioni di cui alle lettere a), b) o c).
2. Il diritto di soggiorno di cui al paragrafo 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnino o raggiungano nello Stato membro ospitante il cittadino dell'Unione, purché questi risponda alla condizioni di cui al paragrafo 1, lettere a), b) o c).
3. Ai sensi del paragrafo 1, lettera a), il cittadino dell'Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la qualità di lavoratore subordinato o autonomo nei seguenti casi:
a) l'interessato è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;
b) l'interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un'attività per oltre un anno, si è registrato presso l'ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro;
c) l'interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si è registrato presso l'ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. In tal caso, l'interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi;
d) l'interessato segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l'attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito.
4. In deroga al paragrafo 1, lettera d) e al paragrafo 2, soltanto il coniuge, il partner che abbia contratto un'unione registrata prevista all'articolo 2, punto 2, lettera b) e i figli a carico godono del diritto di soggiorno in qualità di familiari di un cittadino dell'Unione che soddisfa le condizioni di cui al paragrafo 1, lettera c). L'articolo 3, paragrafo 2, si applica ai suoi ascendenti diretti e a quelli del coniuge o partner registrato.
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(15) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 8 (16)
Formalità amministrative per i cittadini dell'Unione.
1. Senza pregiudizio dell'articolo 5, paragrafo 5, per soggiorni di durata superiore a tre mesi lo Stato membro ospitante può richiedere ai cittadini dell'Unione l'iscrizione presso le autorità competenti.
2. Il termine fissato per l'iscrizione non può essere inferiore a tre mesi dall'ingresso. Un attestato d'iscrizione è rilasciato immediatamente. Esso contiene l'indicazione precisa del nome e del domicilio della persona iscritta e la data dell'avvenuta iscrizione. L'inadempimento dell'obbligo di iscrizione rende l'interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie.
3. Per il rilascio dell'attestato d'iscrizione, gli Stati membri possono unicamente prescrivere al
- cittadino dell'Unione cui si applica l'articolo 7, paragrafo 1, lettera a), di esibire una carta d'identità o un passaporto in corso di validità, una conferma di assunzione del datore di lavoro o un certificato di lavoro o una prova dell'attività autonoma esercitata,
- cittadino dell'Unione cui si applica l'articolo 7, paragrafo 1, lettera b), di esibire una carta d'identità o un passaporto in corso di validità e di fornire la prova che le condizioni previste da tale norma sono soddisfatte,
- cittadino dell'Unione cui si applica l'articolo 7, paragrafo 1, lettera c), di esibire una carta d'identità o un passaporto in corso di validità, di fornire la prova di essere iscritto presso un istituto riconosciuto e di disporre di un'assicurazione malattia che copre tutti i rischi e di esibire la dichiarazione o altro mezzo equivalente di cui all'articolo 7, paragrafo 1, lettera c). Gli Stati membri non possono esigere che detta dichiarazione indichi un importo specifico delle risorse.
4. Gli Stati membri si astengono dal fissare l'importo preciso delle risorse che considerano sufficienti, ma devono tener conto della situazione personale dell'interessato. In ogni caso, tale importo non può essere superiore al livello delle risorse al di sotto del quale i cittadini dello Stato membro ospitante beneficiano di prestazioni di assistenza sociale o, qualora non possa trovare applicazione tale criterio, alla pensione minima sociale erogata dallo Stato membro ospitante.
5. Ai fini del rilascio dell'attestato d'iscrizione ai familiari del cittadino dell'Unione che siano essi stessi cittadini dell'Unione gli Stati membri possono prescrivere di presentare i seguenti documenti:
a) carta d'identità o passaporto in corso di validità;
b) un documento che attesti la qualità di familiare o l'esistenza di un'unione registrata;
c) se opportuno, l'attestato d'iscrizione del cittadino dell'Unione che gli interessati accompagnano o raggiungono;
d) nei casi di cui all'articolo 2, punto 2, lettere c) e d), la prova documentale che le condizioni di cui a tale disposizione sono soddisfatti;
e) nei casi di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), un documento rilasciato dall'autorità competente del paese di origine o di provenienza attestante che gli interessati sono a carico del cittadino dell'Unione o sono membri del nucleo familiare di quest'ultimo, o la prova che gravi motivi di salute del familiare impongono la prestazione di un'assistenza personale da parte del cittadino dell'Unione;
f) nei casi di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera c), la prova di una relazione stabile con il cittadino dell'Unione.
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(16) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 9 (17)
Formalità amministrative per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
1. Quando la durata del soggiorno previsto è superiore a tre mesi, gli Stati membri rilasciano una carta di soggiorno ai familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
2. Il termine entro il quale deve essere presentata la domanda per il rilascio della carta di soggiorno non può essere inferiore a tre mesi dall'arrivo.
3. L'inadempimento dell'obbligo di richiedere la carta di soggiorno rende l'interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie.
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(17) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 10 (18)
Rilascio della carta di soggiorno.
1. Il diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è comprovato dal rilascio di un documento denominato «carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione», che deve avvenire non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda. Una ricevuta della domanda di una carta di soggiorno è rilasciata immediatamente.
2. Ai fini del rilascio della carta di soggiorno, gli Stati membri possono prescrivere la presentazione dei seguenti documenti:
a) un passaporto in corso di validità;
b) un documento che attesti la qualità di familiare o l'esistenza di un'unione registrata;
c) l'attestato d'iscrizione o, in mancanza di un sistema di iscrizione, qualsiasi prova del soggiorno nello Stato membro ospitante del cittadino dell'Unione che gli interessati accompagnano o raggiungono;
d) nei casi di cui all'articolo 2, punto 2, lettere c) e d), la prova documentale che le condizioni di cui a tale disposizione sono soddisfatti;
e) nei casi di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), un documento rilasciato dall'autorità competente del paese di origine o di provenienza attestante che gli interessati sono a carico del cittadino dell'Unione o membri del nucleo familiare di quest'ultimo, prova che gravi motivi di salute del familiare impongono la prestazione di un'assistenza personale da parte del cittadino dell'Unione;
f) nei casi di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera c), la prova di una relazione stabile con il cittadino dell'Unione.
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(18) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 11 (19)
Validità della carta di soggiorno.
1. La carta di soggiorno di cui all'articolo 10, paragrafo 1, ha un periodo di validità di cinque anni dalla data del rilascio o è valida per il periodo di soggiorno previsto del cittadino dell'Unione se tale periodo è inferiore a cinque anni.
2. La validità della carta di soggiorno non è pregiudicata da assenze temporanee non superiori a sei mesi l'anno, né da assenze di durata superiore per l'assolvimento di obblighi militari, né da un'assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.
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(19) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 12 (20)
Conservazione del diritto di soggiorno dei familiari in caso di decesso o di partenza del cittadino dell'Unione.
1. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il decesso del cittadino dell'Unione o la sua partenza dal territorio dello Stato membro ospitante non incidono sul diritto di soggiorno dei suoi familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
Prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente, le persone interessate devono soddisfare personalmente le condizioni previste all'articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b), c) o d).
2. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il decesso del cittadino dell'Unione non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e che hanno soggiornato nello Stato membro ospitante per almeno un anno prima del decesso del cittadino dell'Unione.
Prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno delle persone interessate rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un'attività lavorativa subordinata od autonoma o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il loro soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all'articolo 8, paragrafo 4.
I familiari in questione conservano il diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale.
3. La partenza del cittadino dell'Unione dallo Stato membro ospitante o il suo decesso non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei figli o del genitore che ne ha l'effettivo affidamento, indipendentemente dalla sua cittadinanza, se essi risiedono nello Stato membro ospitante e sono iscritti in un istituto scolastico per seguirvi gli studi, finché non terminano gli studi stessi.
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(20) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 13 (21)
Mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari in caso di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento dell'unione registrata.
1. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l'annullamento del matrimonio dei cittadini dell'Unione o lo scioglimento della loro unione registrata di cui all'articolo 2, punto 2, lettera b), non incidono sul diritto di soggiorno dei loro familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
Prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente, gli interessati devono soddisfare le condizioni previste all'articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b), c) o d).
2. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l'annullamento del matrimonio o lo scioglimento dell'unione registrata di cui all'articolo 2, punto 2, lettera b), non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro se:
a) il matrimonio o l'unione registrata sono durati almeno tre anni, di cui almeno un anno nello Stato membro ospitante, prima dell'inizio del procedimento giudiziario di divorzio o annullamento o dello scioglimento dell'unione registrata di cui all'articolo 2, punto 2, lettera b); o
b) il coniuge o partner non avente la cittadinanza di uno Stato membro ha ottenuto l'affidamento dei figli del cittadino dell'Unione in base ad accordo tra i coniugi o i partner di cui all'articolo 2, punto 2, lettera b), o decisione giudiziaria; o
c) situazioni particolarmente difficili, come il fatto di aver subito violenza domestica durante il matrimonio o l'unione registrata, esigono la conservazione del diritto di soggiorno;
d) il coniuge o il partner non avente la cittadinanza di uno Stato membro beneficia, in base ad un accordo tra i coniugi o conviventi di cui all'articolo 2, punto 2, lettera b), o decisione giudiziaria, di un diritto di visita al figlio minore, a condizione che l'organo giurisdizionale abbia ritenuto che le visite devono obbligatoriamente essere effettuate nello Stato membro ospitante, e fintantoché siano considerate necessarie.
Prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno delle persone interessate rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un'attività lavorativa subordinata o autonoma, o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all'articolo 8, paragrafo 4.
I familiari in questione conservano il diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale.
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(21) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 14 (22)
Mantenimento del diritto di soggiorno.
1. I cittadini dell'Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all'articolo 6 finché non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.
2. I cittadini dell'Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 12 e 13 finché soddisfano le condizioni fissate negli stessi.
In casi specifici, qualora vi sia un dubbio ragionevole che il cittadino dell'Unione o i suoi familiari non soddisfano le condizioni stabilite negli articoli 7, 12 e 13, gli Stati membri possono effettuare una verifica in tal senso. Tale verifica non è effettuata sistematicamente.
3. Il ricorso da parte di un cittadino dell'Unione o dei suoi familiari al sistema di assistenza sociale non dà luogo automaticamente ad un provvedimento di allontanamento.
4. In deroga ai paragrafi 1 e 2 e senza pregiudizio delle disposizioni del capitolo VI, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell'Unione o dei loro familiari qualora:
a) i cittadini dell'Unione siano lavoratori subordinati o autonomi; oppure
b) i cittadini dell'Unione siano entrati nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro. In tal caso i cittadini dell'Unione e i membri della loro famiglia non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell'Unione possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo.
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(22) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 15 (23)
Garanzie procedurali.
1. Le procedure previste agli articoli 30 e 31 si applicano, mutatis mutandis, a tutti i provvedimenti che limitano la libera circolazione dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari per motivi non attinenti all'ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica.
2. Lo scadere della carta d'identità o del passaporto che ha consentito l'ingresso nello Stato membro ospitante e il rilascio dell'attestato d'iscrizione o della carta di soggiorno non giustifica l'allontanamento dal territorio.
3. Lo Stato membro ospitante non può disporre, in aggiunta ai provvedimenti di allontanamento di cui al paragrafo 1, il divieto d'ingresso nel territorio nazionale.
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(23) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo IV
Diritto di soggiorno permanente
Sezione I
Acquisizione
Art. 16 (24)
Norma generale per i cittadini dell'Unione e i loro familiari.
1. Il cittadino dell'Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III.
2. Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni assieme al cittadino dell'Unione nello Stato membro ospitante.
3. La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all'anno né da assenze di durata superiore per l'assolvimento degli obblighi militari né da un'assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.
4. Una volta acquisito, il diritto di soggiorno permanente si perde soltanto a seguito di assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi.
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(24) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 17 (25)
Deroghe a favore dei lavoratori che hanno cessato la loro attività nello Stato membro ospitante e dei loro familiari.
1. In deroga all'articolo 16, ha diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante prima della maturazione di un periodo continuativo di cinque anni di soggiorno:
a) il lavoratore subordinato o autonomo il quale, nel momento in cui cessa l'attività, ha raggiunto l'età prevista dalla legislazione dello Stato membro ospitante ai fini dell'acquisizione del diritto alla pensione di vecchiaia, o il lavoratore subordinato il quale cessa di svolgere un'attività subordinata a seguito di pensionamento anticipato, a condizione che vi abbia svolto la propria attività almeno negli ultimi dodici mesi e vi abbia soggiornato in via continuativa per oltre tre anni.
Per talune categorie di lavoratori autonomi cui la legislazione dello Stato membro ospitante non riconosce il diritto alla pensione di vecchiaia la condizione relativa all'età è considerata soddisfatta quando il beneficiario ha raggiunto l'età di 60 anni;
b) il lavoratore subordinato o autonomo che ha soggiornato in modo continuativo nello Stato membro ospitante per oltre due anni e cessa di esercitare l'attività professionale a causa di una sopravvenuta incapacità lavorativa permanente.
Ove tale incapacità sia stata causata da un infortunio sul lavoro o da una malattia professionale che dà all'interessato diritto ad una prestazione interamente o parzialmente a carico di un'istituzione dello Stato membro ospitante, non si applica alcuna condizione relativa alla durata del soggiorno;
c) il lavoratore subordinato o autonomo il quale, dopo tre anni d'attività e di soggiorno continuativi nello Stato membro ospitante, eserciti un'attività subordinata o autonoma in un altro Stato membro, pur continuando a soggiornare nel territorio del primo Stato e facendovi ritorno in linea di principio ogni giorno o almeno una volta alla settimana.
Ai fini dell'acquisizione dei diritti previsti alle lettere a) e b), i periodi di occupazione trascorsi dall'interessato nello Stato membro in cui esercita un'attività sono considerati periodi trascorsi nello Stato membro ospitante.
I periodi di disoccupazione involontaria, debitamente comprovati dall'ufficio del lavoro competente, o i periodi di sospensione dell'attività indipendenti dalla volontà dell'interessato e l'assenza dal lavoro o la cessazione dell'attività per motivi di malattia o infortunio sono considerati periodi di occupazione.
2. La sussistenza delle condizioni relative alla durata del soggiorno e dell'attività di cui al paragrafo 1, lettera a), e della condizione relativa alla durata del soggiorno di cui al paragrafo 1, lettera b), non è necessaria se il coniuge o il partner del lavoratore autonomo o subordinato, di cui all'articolo 2, punto 2, lettera b), è cittadino dello Stato membro ospitante o se ha perso la cittadinanza di tale Stato membro a seguito di matrimonio con il lavoratore autonomo o subordinato.
3. I familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, del lavoratore subordinato o autonomo, che soggiornano con quest'ultimo nel territorio dello Stato membro ospitante, godono del diritto di soggiorno permanente in detto Stato membro se il lavoratore stesso ha acquisito il diritto di soggiorno permanente nel territorio di detto Stato in forza del paragrafo 1.
4. Se tuttavia il lavoratore subordinato o autonomo decede mentre era in attività senza aver ancora acquisito il diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante a norma del paragrafo 1, i familiari che soggiornano assieme al lavoratore nel territorio di detto Stato hanno il diritto di soggiorno permanente nello Stato stesso, a condizione che:
a) il lavoratore subordinato o autonomo, alla data del suo decesso, avesse soggiornato in via continuativa nel territorio di questo Stato membro per due anni; o
b) il decesso sia avvenuto in seguito ad un infortunio sul lavoro o ad una malattia professionale; o
c) il coniuge superstite abbia perso la cittadinanza di tale Stato a seguito del suo matrimonio con il lavoratore subordinato o autonomo.
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(25) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 18 (26)
Acquisizione del diritto di soggiorno permanente da parte di taluni familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
Senza pregiudizio dell'articolo 17, i familiari del cittadino dell'Unione di cui all'articolo 12, paragrafo 2, e all'articolo 13, paragrafo 2, che soddisfano le condizioni ivi previste, acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante.
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(26) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo IV
Diritto di soggiorno permanente
Sezione II
Formalità amministrative
Art. 19 (27)
Documento che attesta il soggiorno permanente per i cittadini dell'Unione.
1. Gli Stati membri, dopo aver verificato la durata del soggiorno, su presentazione della domanda rilasciano al cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno permanente un documento che attesta tale soggiorno permanente.
2. Il documento che attesta il soggiorno permanente è rilasciato nel più breve tempo possibile.
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(27) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 20 (28)
Carta di soggiorno permanente per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
1. Gli Stati membri rilasciano ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e che sono titolari del diritto di soggiorno permanente, una carta di soggiorno permanente entro sei mesi dalla presentazione della domanda. La carta di soggiorno permanente è rinnovabile di diritto ogni dieci anni.
2. La domanda di carta di soggiorno permanente è presentata prima dello scadere della carta di soggiorno. L'inadempimento dell'obbligo di richiedere la carta di soggiorno può rendere l'interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie.
3. Le interruzioni di soggiorno che non superino, ogni volta, i due anni, non incidono sulla validità della carta di soggiorno permanente.
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(28) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 21 (29)
Continuità del soggiorno.
La continuità del soggiorno, ai fini della presente direttiva, può essere comprovata con qualsiasi mezzo di prova ammesso dallo Stato membro ospitante. La continuità del soggiorno è interrotta da qualsiasi provvedimento di allontanamento validamente eseguito nei confronti della persona interessata.
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(29) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo V
Disposizioni comuni al diritto di soggiorno e al diritto di soggiorno permanente
Art. 22 (30)
Campo di applicazione territoriale.
Il diritto di soggiorno e il diritto di soggiorno permanente si estendono a tutto il territorio dello Stato membro ospitante. Limitazioni territoriali del diritto di soggiorno e del diritto di soggiorno permanente possono essere stabilite dagli Stati membri soltanto nei casi in cui siano previste anche per i propri cittadini.
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(30) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 23 (31)
Diritti connessi.
I familiari del cittadino dell'Unione, qualunque sia la loro cittadinanza, titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente in uno Stato membro hanno diritto di esercitare un'attività economica come lavoratori subordinati o autonomi.
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(31) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 24 (32)
Parità di trattamento.
1. Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell'Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.
2. In deroga al paragrafo 1, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d'assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all'articolo 14, paragrafo 4, lettera b), né è tenuto a concedere prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari.
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(32) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 25 (33)
Disposizioni generali riguardanti i documenti di soggiorno.
1. Il possesso di un attestato d'iscrizione di cui all'articolo 8, di un documento che certifichi il soggiorno permanente, della ricevuta della domanda di una carta di soggiorno di familiare di una carta di soggiorno o di una carta di soggiorno permanente, non può in nessun caso essere un prerequisito per l'esercizio di un diritto o il completamento di una formalità amministrativa, in quanto la qualità di beneficiario dei diritti può essere attestata con qualsiasi altro mezzo di prova.
2. I documenti menzionati nel paragrafo 1 sono rilasciati a titolo gratuito o dietro versamento di una somma non eccedente quella richiesta ai cittadini nazionali per il rilascio di documenti analoghi.
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(33) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 26 (34)
Controlli.
Gli Stati membri possono controllare l'osservanza di qualunque obbligo derivante dal diritto nazionale che imponga alle persone aventi una cittadinanza diversa di portare sempre con sé l'attestato d'iscrizione o la carta di soggiorno, a condizione che i propri cittadini siano soggetti allo stesso obbligo per quanto riguarda il possesso della carta d'identità. In caso d'inosservanza di tale obbligo, gli Stati membri possono applicare le stesse sanzioni che irrogano ai propri cittadini in caso di violazione dell'obbligo di portare con sé la carta d'identità.
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(34) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo VI
Limitazioni del diritto d'ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica
Art. 27 (35)
Principi generali.
1. Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell'Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.
2. I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti.
Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione.
3. Al fine di verificare se l'interessato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico o la pubblica sicurezza, in occasione del rilascio dell'attestato d'iscrizione o, in mancanza di un sistema di iscrizione, entro tre mesi dalla data di arrivo dell'interessato nel suo territorio o dal momento in cui ha dichiarato la sua presenza nel territorio in conformità dell'articolo 5, paragrafo 5, ovvero al momento del rilascio della carta di soggiorno, lo Stato membro ospitante può, qualora lo giudichi indispensabile, chiedere allo Stato membro di origine, ed eventualmente agli altri Stati membri, informazioni sui precedenti penali del cittadino dell'Unione o di un suo familiare. Tale consultazione non può avere carattere sistematico. Lo Stato membro consultato fa pervenire la propria risposta entro un termine di due mesi.
4. Lo Stato membro che ha rilasciato il passaporto o la carta di identità riammette senza formalità nel suo territorio il titolare di tale documento che è stato allontanato per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di salute pubblica da un altro Stato membro, quand'anche il documento in questione sia scaduto o sia contestata la cittadinanza del titolare.
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(35) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 28 (36)
Protezione contro l'allontanamento.
1. Prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell'interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e importanza dei suoi legami con il paese d'origine.
2. Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell'Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
3. Il cittadino dell'Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora:
a) abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni; o
b) sia minorenne, salvo qualora l'allontanamento sia necessario nell'interesse del bambino, secondo quanto contemplato dalla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989.
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(36) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 29 (37)
Sanità pubblica.
1. Le sole malattie che possono giustificare misure restrittive della libertà di circolazione sono quelle con potenziale epidemico, quali definite dai pertinenti strumenti dell'Organizzazione mondiale della sanità, nonché altre malattie infettive o parassitarie contagiose, sempreché esse siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini dello Stato membro ospitante.
2. L'insorgere di malattie posteriormente ad un periodo di tre mesi successivi alla data di arrivo non può giustificare l'allontanamento dal territorio.
3. Ove sussistano seri indizi che ciò è necessario, lo Stato membro può sottoporre i titolari del diritto di soggiorno, entro tre mesi dalla data di arrivo, a visita medica gratuita al fine di accertare che non soffrano di patologie indicate al paragrafo 1. Tali visite mediche non possono avere carattere sistematico.
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(37) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 30 (38)
Notificazione dei provvedimenti.
1. Ogni provvedimento adottato a norma dell'articolo 27, paragrafo 1, è notificato per iscritto all'interessato secondo modalità che consentano a questi di comprenderne il contenuto e le conseguenze.
2. I motivi circostanziati e completi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica che giustificano l'adozione del provvedimento nei suoi confronti sono comunicati all'interessato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato.
3. La notifica riporta l'indicazione dell'organo giurisdizionale o dell'autorità amministrativa dinanzi al quale l'interessato può opporre ricorso e il termine entro il quale deve agire e, all'occorrenza, l'indicazione del termine impartito per lasciare il territorio dello Stato membro. Fatti salvi i casi di urgenza debitamente comprovata, tale termine non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notificazione.
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(38) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 31 (39)
Garanzie procedurali.
1. L'interessato può accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all'occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante, al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica.
2. Laddove l'impugnazione o la richiesta di revisione del provvedimento di allontanamento sia accompagnata da una richiesta di ordinanza provvisoria di sospensione dell'esecuzione di detto provvedimento, l'effettivo allontanamento dal territorio non può avere luogo fintantoché non è stata adottata una decisione sull'ordinanza provvisoria, salvo qualora:
- il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale, o
- le persone interessate abbiano precedentemente fruito di una revisione, o
- il provvedimento sia fondato su motivi imperativi di pubblica sicurezza di cui all'articolo 28, paragrafo 3.
3. I mezzi di impugnazione comprendono l'esame della legittimità del provvedimento nonché dei fatti e delle circostanze che ne giustificano l'adozione. Essi garantiscono che il provvedimento non sia sproporzionato, in particolare rispetto ai requisiti posti dall'articolo 28.
4. Gli Stati membri possono vietare la presenza dell'interessato nel loro territorio per tutta la durata della procedura di ricorso, ma non possono vietare che presenti di persona la sua difesa, tranne qualora la sua presenza possa provocare gravi turbative dell'ordine pubblico o della pubblica sicurezza o quando il ricorso o la revisione riguardano il divieto d'ingresso nel territorio.
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(39) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 32 (40)
Effetti nel tempo del divieto di ingresso nel territorio.
1. La persona nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di divieto d'ingresso nel territorio per motivi d'ordine pubblico o pubblica sicurezza può presentare una domanda di revoca del divieto d'ingresso nel territorio nazionale dopo il decorso di un congruo periodo, determinato in funzione delle circostanze e in ogni modo dopo tre anni a decorrere dall'esecuzione del provvedimento definitivo di divieto validamente adottato ai sensi del diritto comunitario, nella quale essa deve addurre argomenti intesi a dimostrare l'avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne l'ingresso nel territorio.
Lo Stato membro interessato si pronuncia in merito a tale nuova domanda entro sei mesi dalla data di presentazione della stessa.
2. La persona di cui al paragrafo 1 non ha diritto d'ingresso nel territorio dello Stato membro interessato durante l'esame della sua domanda.
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(40) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 33 (41)
Allontanamento a titolo di pena o misura accessoria.
1. Lo Stato membro ospitante può validamente adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio a titolo di pena o di misura accessoria ad una pena detentiva soltanto nel rispetto dei requisiti di cui agli articoli 27, 28 e 29.
2. Se il provvedimento di allontanamento di cui al paragrafo 1 è eseguito a oltre due anni di distanza dalla sua adozione, lo Stato membro verifica che la minaccia che l'interessato costituisce per l'ordine pubblico o per la pubblica sicurezza sia attuale e reale, e valuta l'eventuale mutamento obiettivo delle circostanze intervenuto successivamente all'adozione del provvedimento di allontanamento.
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(41) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo VII
Disposizioni finali
Art. 34 (42)
Pubblicità.
Gli Stati membri diffondono le informazioni relative ai diritti e agli obblighi dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari nel settore disciplinato dalla presente direttiva, in particolare mediante campagne di sensibilizzazione effettuate tramite i media e altri mezzi di comunicazione nazionali e locali.
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(42) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 35 (43)
Abuso di diritto.
Gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio. Qualsiasi misura di questo tipo è proporzionata ed è soggetta alle garanzie procedurali previste agli articoli 30 e 31.
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(43) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 36 (44)
Sanzioni.
Gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali adottate in attuazione della presente direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione. Le sanzioni previste sono effettive e proporzionate. Gli Stati membri notificano alla Commissione tali disposizioni entro il 30 aprile 2006 e provvedono a comunicare immediatamente le eventuali successive modifiche.
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(44) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 37 (45)
Disposizioni nazionali più favorevoli.
Le disposizioni della presente direttiva non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno che siano più favorevoli ai beneficiari della presente direttiva.
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(45) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 38 (46)
Abrogazione.
1. Gli articoli 10 e 11 del regolamento (CEE) n. 1612/68 sono abrogati con effetto dal 30 aprile 2006.
2. Le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE sono abrogate con effetto dal 30 aprile 2006.
3. I riferimenti fatti agli articoli e alle direttive abrogati si intendono fatti alla presente direttiva.
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(46) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 39 (47)
Relazione.
Entro il 30 aprile 2008 la Commissione presenta al Parlamento europeo ed al Consiglio una relazione sull'applicazione della presente direttiva corredata, all'occorrenza, di opportune proposte, in particolare sull'opportunità di prorogare il periodo nel quale il cittadino dell'Unione e i suoi familiari possono soggiornare senza condizioni nel territorio dello Stato membro ospitante. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni utili ai fini della relazione.
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(47) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 40 (48)
Recepimento.
1. Gli Stati membri adottano e pubblicano entro il 30 aprile 2006 le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva.
Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.
2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva nonché della tabella di concordanza tra tali disposizioni e la presente direttiva.
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(48) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 41 (49)
Entrata in vigore.
La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.
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(49) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Art. 42 (50)
Destinatari.
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
Fatto a Strasburgo, addì 29 aprile 2004.
Per il Parlamento europeo
Il Presidente
P. COX
Per il Consiglio
Il Presidente
M. McDOWELL
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(50) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Sentenza n. 222 del 15 luglio 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Gustavo ZAGREBELSKY Presidente, Valerio ONIDA Giudice, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni MariaFLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfonso QUARANTA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 4, 5 e 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dal decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106, promossi con ordinanze del 16 agosto 2002 e dell’11 luglio 2002 dal Tribunale di Roma e dal Tribunale di Padova, nonché nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 4 e 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dal decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51, convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106, e dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promosso con ordinanza del 13 novembre 2002 dal Tribunale di Roma, rispettivamente iscritte ai numeri 471, 527 e 573 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 43 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2002 e n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 aprile 2004 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 16 agosto 2002 (iscritta al r.o. n. 471 del 2002), il Tribunale di Roma ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 13, commi 4, 5 e 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dal decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106.
L’ordinanza è stata emessa nel corso di un procedimento di convalida dei provvedimenti, adottati dal questore di Roma (lo stesso 16 agosto 2002) nei confronti di due cittadini stranieri extracomunitari, con i quali è stato disposto il loro accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica; provvedimenti di cui il remittente afferma di aver verificato "la sussistenza dei requisiti di legge (adeguata motivazione sulle circostanze che autorizzano l’espulsione con accompagnamento alla frontiera, rispetto dei termini, decreto di espulsione del prefetto)".
Il giudice a quo, ritenuta rilevante la questione "poiché dalla sua soluzione dipende l’accoglimento o meno della richiesta di convalida", osserva che l’espulsione dello straniero, disposta dal prefetto ai sensi del comma 2 dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, trova esecuzione mediante l’accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica ad opera del questore nelle ipotesi individuate dai commi 4 e 5 dello stesso art. 13.
Ad avviso del remittente, nonostante che i menzionati commi 4 e 5 dell’art. 13 non dettino le concrete modalità di attuazione della misura dell’espulsione immediata con accompagnamento a mezzo di forza pubblica, non potrebbe dubitarsi che si tratta "di una azione diretta ad un costringimento fisico, di durata indeterminata", destinata a durare, ai sensi del successivo comma 5-bis, oltre quarantotto ore, senza previsione di un termine massimo; dunque, una "misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione".
Secondo il Tribunale di Roma, un siffatto ordine di idee avrebbe del resto ispirato il citato comma 5-bis dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, introdotto dal decreto-legge n. 51 del 2002 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2002), il quale, "con evidente riecheggiamento della disciplina posta dall’art. 13, terzo comma, della Costituzione, e della riserva di giurisdizione in esso contenuta", ha disposto la comunicazione del provvedimento di accompagnamento entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria, la quale, verificata la sussistenza dei requisiti, lo convalida entro le quarantotto ore successive alla comunicazione. Tuttavia, secondo il giudice a quo, il menzionato comma 5-bis sarebbe "non idoneo a rendere legittimo l’istituto" previsto dai commi 4 e 5 dell’art. 13 del d.lgs. n. 286, giacché anch’esso in contrasto con l’art. 13 Cost., oltre che con gli artt. 24 e 111 Cost.
Il procedimento di convalida disciplinato dalla disposizione denunciata, si argomenta, non prevede alcuna contestazione o audizione dell’interessato, né qualsivoglia forma di contraddittorio o difesa, sì da riservare al giudice un "controllo puramente formale sul decreto". Inoltre, il medesimo provvedimento del questore è immediatamente esecutivo e non è prevista alcuna forma di opposizione avverso lo stesso, né alcuna possibilità di "sospensione" da parte dell’autorità giudiziaria. È poi escluso che l’eventuale provvedimento che nega la convalida (o la mancata convalida nelle quarantotto ore) "abbia alcun effetto risolutorio (di inefficacia)", e che il provvedimento di convalida sia soggetto "ad alcuna forma di reclamo o ricorso". Manca in definitiva, secondo il giudice a quo, "un effettivo controllo preventivo di legittimità e di merito da parte dell’autorità giudiziaria", tanto che la convalida del provvedimento del questore può intervenire anche "ad espulsione già avvenuta".
Ritiene dunque il remittente che i commi 4, 5 e 5-bis dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 siano in contrasto con l’art. 13 Cost., "in quanto prevedono una restrizione della libertà personale senza rendere possibile un controllo preventivo, effettivo e pieno della legittimità del provvedimento che ha disposto l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica e senza che sia prevista la perdita di efficacia del provvedimento, qualora non sia convalidato nel termine prescritto".
Il comma 5-bis del medesimo d.lgs. n. 286 violerebbe anche gli artt. 111 e 24 Cost., in quanto la giurisdizione che si attua con la convalida del provvedimento dell’autorità di pubblica sicurezza contrasterebbe "con il principio del contraddittorio nel processo e con quello dell’inviolabilità del diritto alla difesa, dal momento che non è prevista alcuna forma di contestazione, né di partecipazione e tanto meno di difesa da parte dello straniero colpito dal provvedimento stesso".
Il giudice a quo sostiene poi che il dubbio di costituzionalità prospettato avverso le disposizioni denunciate non potrebbe essere superato in forza di una interpretazione analogica o estensiva dell’art. 14 dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998, come interpretato dalla sentenza n. 105 del 2001 di questa Corte, che lo ha reputato legittimo sulla base del rilievo che il controllo dell’autorità giudiziaria si estende a tutti i presupposti della misura del trattenimento presso il centro di permanenza temporanea e che, nel caso di diniego della convalida, verrebbe travolta non solo la predetta misura ma anche quella dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Difatti, secondo il remittente, gli istituti dell’accompagnamento coatto e del trattenimento, seppur connessi, sono tra loro distinti, per cui il citato art. 14 non potrebbe trovare applicazione anche per la convalida del provvedimento di accompagnamento, soprattutto considerando che l’intenzione del legislatore, nell’introdurre il comma 5-bis, si è manifestata "nella opposta direzione di svincolare, per quanto possibile, l’espulsione immediata da ostacoli giudiziari o burocratici".
Tuttavia, proprio alla luce delle considerazioni appena svolte, il giudice a quo solleva, in subordine alla questione che investe "nella loro interezza" i commi 4, 5 e 5-bis dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, questione di costituzionalità delle medesime disposizioni "limitata alla mancata previsione, nelle norme impugnate, di una procedura identica a quella prevista per i trattenimenti dall’art. 14"; il che "renderebbe il particolare istituto pienamente legittimo", alla stregua di un adeguamento correttivo che potrebbe essere operato soltanto dal legislatore "o da un intervento additivo della Corte".
2. Con ordinanza dell’11 luglio 2002 (iscritta al r.o. n. 527 del 2002) anche il Tribunale di Padova ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, 24 e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, introdotto dall’art. 2 del d.l. n. 51 del 2002 – convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2002 – "nella parte in cui prevede che il provvedimento di espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo di forza pubblica venga eseguito prima della convalida da parte dell’autorità giudiziaria e nella parte in cui non prevede che lo straniero colpito dal provvedimento di espulsione sia sentito dal giudice della convalida".
L’ordinanza è stata emessa nel corso di un procedimento di convalida del provvedimento, adottato dal questore di Padova in data 10 luglio 2002, con il quale è stato disposto l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica di un cittadino extracomunitario; provvedimento che il remittente afferma essere stato eseguito lo stesso 10 luglio 2002 (con imbarco dell’espulso sul volo delle ore 11,30 diretto a Chisinau – Moldavia), data nella quale, alle ore 13,05, la questura depositava gli atti per la convalida del provvedimento medesimo.
Il giudice a quo osserva che l’introduzione del comma 5-bis nel corpo dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 ha colmato un vuoto normativo in ordine al controllo giurisdizionale sul provvedimento di espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera adottato ai sensi dei commi 4 e 5 dello stesso art. 13. Malgrado ciò, la norma denunciata prevede, ad avviso del remittente, "un meccanismo di convalida del tutto formale, in quanto stabilisce che il procedimento di convalida non influisce sulla esecutività del provvedimento di accompagnamento immediato alla frontiera, che va immediatamente eseguito con l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale".
Di qui i dubbi di costituzionalità della disposizione sotto diversi profili: a) per la "natura meramente formale e cartacea del controllo giurisdizionale", in violazione dell’art. 13 Cost.; b) per la "evidente disparità di trattamento rispetto allo straniero nei cui confronti non sia possibile eseguire l’espulsione immediata, con il conseguente accompagnamento dello stesso presso un centro di detenzione amministrativa ai sensi dell’art. 14 del testo unico", in violazione dell’art. 3 Cost.; c) per l’incidenza "sull’effettivo esercizio del diritto di difesa da parte dello straniero colpito dal provvedimento in esame", in violazione degli artt. 24 e 111 Cost.
Osserva infatti il giudice a quo che, in base all’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella lettura fornita dalla sentenza n. 105 del 2001 di questa Corte, la convalida della misura che dispone la cosiddetta detenzione amministrativa investe anche il decreto di espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera, sicché il diniego di convalida "viene a travolgere, assieme al trattenimento, anche la misura dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica". Inoltre, lo stesso art. 14, nel disciplinare il procedimento di convalida, richiama, al comma 4, il procedimento in camera di consiglio di cui agli art. 737 e seguenti del codice di procedura civile e stabilisce che il giudice provveda sentito l’interessato: il giudice della convalida può dunque esercitare i poteri d’ufficio "anche con riferimento alla acquisizione di sommarie informazioni utili alla decisione", tanto che il relativo procedimento, "sia pure nella ristrettezza dei tempi, appare caratterizzato da profili di effettività del controllo giurisdizionale".
Diversamente avviene, secondo il remittente, nel procedimento di convalida previsto dall’art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, il quale, da un lato, crea una disparità di trattamento tra lo straniero destinatario del provvedimento di accompagnamento e di quello di trattenimento e lo straniero nei confronti del quale venga disposto ed eseguito soltanto l’accompagnamento a mezzo della forza pubblica; dall’altro, "sopprime il principio dell’habeas corpus, determinando un controllo meramente cartaceo e formale del provvedimento di accompagnamento, senza alcuna effettiva incidenza a tutela della libertà personale dell’interessato e con un ruolo essenzialmente burocratico del giudice della convalida".
La disciplina della convalida dettata dalla disposizione censurata, infatti, non condiziona l’esecutività della misura incidente sulla libertà personale dello straniero, cosicché, da un lato, l’eventuale diniego della convalida "non ripristinerebbe la situazione di fatto preesistente al provvedimento dell’autorità di polizia" e, dall’altro, nel caso di intervenuta convalida, l’interessato "non avrebbe di fatto possibilità di impugnazione, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, essendo egli già fuori dal territorio nazionale e difficilmente raggiungibile dal provvedimento": ciò con pregiudizio di una tutela effettiva del diritto alla libertà personale.
Ed ancora, continua il remittente, posto che il decreto di espulsione con accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica si fonda, ai sensi dell’art. 13, commi 4 e 5, su una valutazione discrezionale dei presupposti di fatto indicati dalle citate disposizioni, l’impossibilità di sentire l’interessato e di acquisire dallo stesso eventuali informazioni utili all’approfondimento istruttorio, nel rispetto dei limiti temporali "stabiliti dal procedimento di convalida, ma ammessi dall’art. 737 c.p.c.", inciderebbe sull’esercizio del diritto di difesa.
Ad avviso del giudice a quo, quindi, un siffatto procedimento, che non prevede l’audizione del destinatario del provvedimento, è strutturato "in violazione dei requisiti propri del giudizio di convalida, che, in quanto procedimento de libertate, è da ritenersi ricompreso nell’ambito di cui alla tutela fissata dall’art. 111, comma secondo, Cost., introdotto dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2", alla stregua del quale il procedimento di convalida dovrebbe svolgersi in contraddittorio tra le parti e in condizioni di parità. E tanto più il vulnus degli evocati parametri sarebbe evidente ove si consideri che, nella specie, la mancata convalida nel termine fissato comporta non la perdita di efficacia della misura dell’accompagnamento, ma la cessazione del divieto di rientro nel territorio nazionale, della segnalazione dell’espulso al sistema informativo di Schengen per la non ammissione e dell’obbligo di lasciare il territorio dello Stato; effetti cioè che, nel caso di straniero già allontanato dal territorio nazionale, "si tramutano nella mera facoltà di far rientro in Italia alle condizioni generali previste", con ciò incidendo negativamente "sulla libertà personale, sulla vita e sull’incolumità dello straniero".
Secondo il Tribunale di Padova sarebbe infine violato l’art. 13, terzo comma, Cost., per l’assenza del presupposto dell’eccezionale necessità ed urgenza, giacché l’autorità di pubblica sicurezza ha la facoltà di adottare l’accompagnamento alla frontiera anche "in presenza di situazioni affatto straordinarie, come ad esempio l’ipotesi di inottemperanza dello straniero ad un provvedimento di espulsione con intimazione di allontanarsi dal territorio nazionale nel termine di giorni 15".
Il remittente conclude osservando che la rilevanza della sollevata questione è data dal fatto che questa attiene "strettamente alle modalità della convalida, in considerazione della avvenuta esecuzione della misura, che priva il destinatario della possibilità di difesa" e rende il controllo del giudice del tutto formale.
3. Con ordinanza del 13 novembre 2002 (iscritta al r.o. n. 573 del 2002), ancora il Tribunale di Roma ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 13, commi 4 e 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato (il comma 4) dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo) e introdotto (il comma 5-bis) dal d.l. n. 51 del 2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2002, denunciandone il contrasto con gli artt. 13, 24 e 111 Cost.; in subordine, ha sollevato questione di costituzionalità delle medesime disposizioni - in riferimento agli stessi anzidetti parametri - "nella parte in cui non prevedono che si applicano le disposizioni dell’articolo 14, commi 3, 4 e 6, dello stesso T.U. n. 286 del 1998".
L’ordinanza è stata emessa nel corso di un procedimento di convalida del provvedimento, adottato dal questore di Roma (lo stesso 13 novembre 2002) nei confronti di un cittadino straniero extracomunitario, con il quale è stato disposto l’accompagnamento alla frontiera dello straniero medesimo a mezzo della forza pubblica.
Il giudice a quo, dopo avere ricostruito sinteticamente il quadro normativo nel quale si collocano le disposizioni denunciate, precisa che, in base al comma 4 dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dal comma 1, lettera c), dell’art. 12 della legge n. 189 del 2002, il decreto prefettizio di espulsione è sempre eseguito dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, sicché, attualmente, "non vi sono limiti o condizioni per l’accompagnamento immediato se non quella della emissione anche contestuale di un decreto di espulsione".
Il remittente ricorda quindi di aver già proposto, con ordinanza del 16 agosto 2002, incidente di costituzionalità sull’art. 13, commi 4, 5 e 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella formulazione previgente alla legge n. 189 del 2002.
Tanto premesso, il Tribunale di Roma svolge, in punto di non manifesta infondatezza, le stesse argomentazioni già sviluppate nella menzionata ordinanza dell’agosto del 2002, iscritta al r.o. n. 471 del 2002, precisando, quanto alla questione sollevata in via subordinata, che un eventuale accoglimento della stessa dovrebbe comportare, in base a ciò che già avviene per i "trattenimenti": a) che "i questori saranno tenuti a trasmettere ai tribunali gli atti e non una semplice comunicazione"; b) che "i giudici potranno valutare la legittimità dei provvedimenti di espulsione del prefetto e di quello di accompagnamento coatto del questore"; c) che "si avrà la indicazione di un termine di efficacia del decreto di espulsione con accompagnamento, qualora non intervenga la convalida della autorità giudiziaria"; d) che "sarà prevista la possibilità di un ricorso in Cassazione, contro il provvedimento di convalida".
4. È intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, integrando le proprie argomentazioni anche con successiva memoria, ha chiesto che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili ovvero infondate.
Quanto alla eccepita inammissibilità, riferita all’ordinanza del Tribunale di Roma iscritta al r.o. n. 471 del 2002, la difesa erariale deduce che essa difetta di adeguata motivazione in punto di rilevanza ed anzi, là dove il giudice a quo contraddittoriamente solleva la questione nonostante la positiva verifica dei presupposti legittimanti il provvedimento di espulsione e in assenza di qualunque istanza degli stranieri espulsi, il requisito della rilevanza sembrerebbe escluso in radice.
Secondo l’Avvocatura, il medesimo remittente non avrebbe poi fornito una lettura delle disposizioni denunciate compatibile con le invocate esigenze di contraddittorio e di difesa, che però non richiedono necessariamente la perdurante presenza dello straniero sul territorio italiano.
Osserva comunque la parte pubblica intervenuta che "pregiudiziale ad ogni valutazione di merito" appare la restituzione degli atti per un nuovo esame della questione alla luce dello jus superveniens costituito dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, successiva all’ordinanza di rimessione iscritta al r.o. n. 471 del 2002, che ha profondamente modificato due delle norme denunciate e cioè i commi 4 e 5 dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998.
Nel merito, sostiene l’Avvocatura dello Stato, le questioni sarebbero comunque infondate, non potendo ritenersi per certo, alla luce della giurisprudenza costituzionale, che il provvedimento di accompagnamento alla frontiera incida sulla libertà personale e non potendosi invocare al riguardo la sentenza n. 105 del 2001, che avrebbe affrontato il problema solo in connessione con il trattenimento presso un centro di permanenza ed assistenza.
Ad avviso della difesa erariale, sembra invece invocabile il precedente costituito dalla sentenza n. 13 del 1972, che ha ritenuto conforme a Costituzione l’art. 15, secondo comma, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), affermando il principio per cui l’accompagnamento coattivo, incidendo solo temporaneamente sulla libertà personale, sfugge alla procedura di convalida da parte dell’autorità giudiziaria.
Nelle memorie si sostiene inoltre che l’eventuale accoglimento delle questioni comporterebbe l’impossibilità di espellere immediatamente gli stranieri irregolari, con la conseguenza che gli stessi, in attesa del provvedimento di convalida, dovrebbero essere obbligatoriamente trattenuti presso un centro di permanenza temporanea e di assistenza anche al di fuori dei casi previsti dall’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 e ciò sarebbe in conflitto "con il diritto dello Stato di tutelare le frontiere e la sicurezza pubblica attraverso misure di contrasto del fenomeno dell’immigrazione clandestina e della presenza illegale degli stranieri sul territorio nazionale". Del resto, prosegue l’Avvocatura, la stessa giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 353 del 1997 e ordinanza n. 146 del 2002) ha ritenuto che non sono censurabili quelle previsioni normative che si concretizzano in un "automatismo espulsivo", le quali, nel rispetto del principio di legalità, assicurano un ordinato flusso migratorio, non potendo lo Stato "abdicare al compito ineludibile di presidiare le frontiere".
Quanto poi alla prospettata violazione dell’art. 3 Cost., si obietta che le situazioni poste a raffronto non sarebbero omogenee, giacché la previsione di una disciplina "potenzialmente più garantista" per il procedimento di convalida del provvedimento di trattenimento nei centri si giustificherebbe ragionevolmente per il fatto che in tale ipotesi deve essere autorizzata una limitazione della libertà personale fino ad un massimo di venti giorni (ed ora, a seguito della legge n. 189 del 2002, sino a trenta giorni), mentre nel procedimento di convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera viene in rilievo solo una "circoscritta temporanea restrizione personale finalizzata all’effettivo allontanamento dal territorio nazionale".
La difesa erariale osserva infine che il provvedimento di accompagnamento alla frontiera, legato all’emissione del provvedimento di espulsione, è ricorribile dinanzi al giudice ordinario ed è in questa sede – secondo modalità di decisione tipiche della camera di consiglio, con la partecipazione dell’amministrazione che ha emesso il provvedimento e con la ricorribilità della decisione in Cassazione (art. 13-bis del d.lgs. n. 286 del 1998) - che viene ad attuarsi il contraddittorio ed il diritto di difesa dello straniero, il quale, ai sensi dell’art. 13, comma 8, del citato d.lgs. n. 286 del 1998, è ammesso all’assistenza legale di un patrocinatore di fiducia. La procedura di convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera rappresenterebbe quindi "una specifica garanzia" e la relativa disciplina non violerebbe l’art. 13 Cost., in quanto è previsto appunto "un doppio controllo della legittimità di tutti i provvedimenti restrittivi della libertà personale" (espulsione ed accompagnamento), né gli artt. 24 e 111 Cost., essendovi spazi per l’esercizio del diritto di difesa del destinatario dei provvedimenti e per l’instaurazione di un contraddittorio in sede giurisdizionale.
Ad avviso dell’Avvocatura, la circostanza per cui la mancata convalida del provvedimento di accompagnamento "possa intervenire, di fatto, in un momento in cui l’espulsione del soggetto sia già fisicamente avvenuta non sposta i termini del problema, conseguendo a tale ipotesi la possibilità del rientro nel territorio".
Considerato in diritto
1. Con tre distinte ordinanze, due del Tribunale di Roma (r.o. n. 471 e n. 573 del 2002) ed una del Tribunale di Padova (r.o. n. 527 del 2002), è denunciato l’art. 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 2 del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106.
La disposizione denunciata così stabilisce: "Nei casi previsti ai commi 4 e 5 il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione al tribunale in composizione monocratica territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera. Il provvedimento è immediatamente esecutivo. Il tribunale in composizione monocratica, verificata la sussistenza dei requisiti, convalida il provvedimento entro le quarantotto ore successive alla comunicazione".
Ad avviso del Tribunale di Roma, essa violerebbe anzitutto l’art. 13 della Costituzione, giacché introdurrebbe "una restrizione della libertà personale senza rendere possibile un controllo preventivo, effettivo e pieno della legittimità del provvedimento che ha disposto l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica e senza che sia prevista la perdita di efficacia del provvedimento, qualora non sia convalidato nel termine prescritto".
Lo stesso remittente dubita inoltre della sua legittimità in riferimento agli artt. 111 e 24 Cost., in quanto "la giurisdizione che si attua con la convalida del provvedimento dell’autorità di pubblica sicurezza" contrasterebbe "con il principio del contraddittorio nel processo e con quello dell’inviolabilità del diritto alla difesa, dal momento che non è prevista alcuna forma di contestazione, né di partecipazione e tanto meno di difesa da parte dello straniero colpito dal provvedimento stesso".
Secondo il Tribunale di Padova il denunciato comma 5-bis violerebbe gli artt. 3, 13, 24 e 111 Cost., "nella parte in cui prevede che il provvedimento di espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo di forza pubblica venga eseguito prima della convalida da parte dell’autorità giudiziaria e nella parte in cui non prevede che lo straniero colpito dal provvedimento di espulsione sia sentito dal giudice della convalida".
In particolare l’illegittimità della disposizione discenderebbe: dalla "natura meramente formale e cartacea del controllo giurisdizionale", in violazione dell’art. 13 Cost.; dalla "evidente disparità di trattamento rispetto allo straniero nei cui confronti non sia possibile eseguire l’espulsione immediata, con il conseguente accompagnamento dello stesso presso un centro di detenzione amministrativa ai sensi dell’art. 14 del testo unico", in violazione dell’art. 3 Cost.; dalla incidenza "sull’effettivo esercizio del diritto di difesa da parte dello straniero colpito dal provvedimento in esame", in violazione degli artt. 24 e 111 Cost.
1.1. Oltre al comma 5-bis dell’art. 13 il Tribunale di Roma (r.o. n. 471 del 2002) ne censura i commi 4 e 5, nella versione antecedente alle modifiche recate dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nonché il comma 4 nella attuale formulazione (r.o. n. 573 del 2002).
Nel testo originario, il comma 4 prevedeva le ipotesi in cui l’espulsione non avveniva con semplice intimazione a lasciare il territorio dello Stato, ma con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Ipotesi che ai sensi del comma 5 si estendeva ai casi in cui lo straniero fosse privo di valido documento attestante la sua identità e nazionalità e il prefetto avesse ravvisato un concreto pericolo che il medesimo si sottraesse all’esecuzione del provvedimento.
Nel testo attualmente vigente, il comma 4 dell’art. 13 dispone che: "L’espulsione è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma 5". Questo prevede ora l’espulsione mediante intimazione nel caso in cui lo straniero si trovi nel territorio dello Stato con il permesso di soggiorno scaduto di validità da più di sessanta giorni e senza averne chiesto il rinnovo, potendo però il questore disporre comunque l’accompagnamento immediato alla frontiera allorché il prefetto rilevi il concreto pericolo che lo straniero si sottragga all’esecuzione del provvedimento.
Quanto al contenuto delle censure, il giudice a quo, in entrambe le ordinanze, ritiene che le disposizioni predette contrastino con gli artt. 13, 24 e 111 Cost. per le medesime ragioni che fonderebbero l’incostituzionalità del denunciato comma 5-bis dello stesso art. 13.
2. Poiché tutte le ordinanze propongono la medesima questione sul comma 5-bis dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 e le questioni ulteriormente sollevate dal Tribunale di Roma si presentano intimamente connesse alla prima, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi congiuntamente.
3. Le questioni sollevate dal Tribunale di Roma che hanno ad oggetto i commi 4 e 5 dell’art. 13 nella formulazione previgente e il comma 4 del medesimo art. 13, nel testo attualmente in vigore, sono inammissibili. Esse si appuntano non già sul procedimento di convalida, in relazione al quale la valutazione di non manifesta infondatezza è argomentata sui parametri degli artt. 13, 24 e 111 Cost., ma sulle norme sostanziali che prevedono i diversi casi di espulsione dello straniero con accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica. Anche con riferimento a questo ulteriore oggetto la non manifesta infondatezza è sostenuta sulla base delle medesime argomentazioni poste a fondamento del dubbio di legittimità costituzionale che investe il comma 5-bis, concernente il procedimento di convalida. Sicché le relative questioni sono prive di motivazione, ciò che ne impedisce lo scrutinio nel merito.
3.1. Prima di passare all’esame del denunciato comma 5-bis deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura dello Stato, secondo la quale le questioni di costituzionalità sarebbero state sollevate in assenza di qualunque istanza degli stranieri espulsi e nonostante che i presupposti legittimanti il provvedimento di espulsione fossero stati positivamente verificati. Ma la consistenza della questione è appunto questa: che sia imposto al giudice di procedere ad una convalida meramente "cartolare", in base alla sola comunicazione inviata dal questore e in assenza dello straniero espulso.
4. Rimane quindi da esaminare la sola denuncia, comune a tutti i remittenti, dell’art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, introdotto dall’art. 2 del d.l. n. 51 del 2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2002.
La questione è fondata.
La disposizione censurata si inserisce nella generale disciplina dell’immigrazione di cui al d.lgs. n. 286 del 1998, che conosce distinti tipi di espulsione: una misura di sicurezza, disposta dal giudice con la sentenza di condanna per determinati delitti (art. 15); una sanzione sostitutiva della detenzione applicata dal giudice con la sentenza di condanna, ovvero alternativa alla detenzione stessa applicata dal magistrato di sorveglianza, quando la pena irrogata o da espiare non superi i due anni (art. 16, commi 1 e 5); una espulsione amministrativa, ordinata dall’autorità di pubblica sicurezza nei confronti dello straniero entrato clandestinamente nel territorio dello Stato o ivi trattenutosi senza permesso di soggiorno, ovvero appartenente a categorie "pericolose" (art. 13).
Nel sistema originario del d.lgs. n. 286 del 1998 l’espulsione amministrativa aveva corso, di regola, mediante intimazione del questore a lasciare il territorio nazionale (art. 13, comma 6); l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica rappresentava un’eccezione e riguardava i casi di particolare pericolosità dello straniero (art. 13, comma 4).
Sul versante della tutela giurisdizionale, il legislatore del 1998 ha previsto anzitutto che lo straniero possa presentare ricorso contro il decreto di espulsione: se il provvedimento è emanato, ai sensi del comma 1 dell’art. 13, dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, la giurisdizione è del tribunale amministrativo regionale del Lazio (art. 13, comma 11); in tutti gli altri casi il ricorso è da presentarsi al tribunale, in composizione monocratica (originariamente il pretore), entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto o del provvedimento (termine elevato a trenta giorni qualora l’espulsione sia eseguita con accompagnamento immediato: art. 13, comma 8), comunicazione che deve avvenire in una lingua conosciuta dallo straniero o, nei casi di impossibilità, in lingua francese, inglese o spagnola, dovendosi altresì indicare le modalità di impugnazione. Nei casi in cui l’espulsione sia stata eseguita, il ricorso può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nello Stato di destinazione (art. 13, comma 10). Peraltro, nell’ipotesi di espulsione con accompagnamento immediato e sempreché sia disposta la misura di cui al comma 1 dell’art. 14 (trattenimento in un centro di permanenza temporanea e di assistenza), sul ricorso avverso il decreto di espulsione provvede il giudice competente per la convalida di tale misura, adottando un unico provvedimento (artt. 13, comma 9, e 14, comma 4). La legge stabilisce inoltre che nel procedimento davanti al giudice lo straniero possa avvalersi del patrocinio a spese dello Stato e, qualora sia sprovvisto di un difensore, venga assistito da un difensore d’ufficio, nonché, ove necessario, da un interprete. Sul ricorso il giudice è tenuto a decidere entro dieci giorni, "sentito l’interessato, nei modi di cui agli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile" (art. 13, comma 9) e l’amministrazione che ha emesso il decreto di espulsione può partecipare al procedimento (art. 13-bis).
Il sistema è mutato con la legge n. 189 del 2002. È ora previsto che l’espulsione sia disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell’interessato (art. 13, comma 3), e venga sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4), salvo il caso dello straniero che si trattenga nel territorio dello Stato con permesso di soggiorno scaduto da più di sessanta giorni e non rinnovato (art. 13, comma 5). Tuttavia, anche in tale ipotesi, se il prefetto rileva un concreto pericolo che lo straniero si sottragga all’esecuzione del provvedimento, il questore ne dispone l’accompagnamento immediato alla frontiera.
L’intervenuta generalizzazione dell’espulsione tramite accompagnamento alla frontiera non ha portato all’eliminazione dell’istituto del "trattenimento": l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 stabilisce tuttora che "quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera" (e cioè nelle seguenti ipotesi: quando vi sia necessità di soccorrere lo straniero, ovvero di accertare la sua identità o nazionalità, o ancora di acquisire i documenti di viaggio, o quando sia indisponibile il vettore o altro idoneo mezzo di trasporto) lo straniero venga trattenuto presso un centro di permanenza temporanea, in base a provvedimento del questore.
La permanenza nel centro può protrarsi sino a trenta giorni, prorogabili dal giudice di altri trenta solo in determinati casi e cioè "qualora l’accertamento dell’identità o della nazionalità, ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà" (art. 14, comma 5).
La legge n. 189 del 2002 ha inoltre previsto che, nei casi in cui non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro, ovvero siano trascorsi i termini di permanenza senza che l’espulsione sia stata eseguita, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni (art. 14, comma 5-bis). Il reintrodotto meccanismo dell’intimazione è però ora assistito – diversamente dal regime previgente - da sanzione penale; è infatti punito con l’arresto da sei mesi ad un anno lo straniero che, "senza giustificato motivo", si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine del questore (art. 14, comma 5-ter).
Le modifiche hanno interessato anche la tutela giurisdizionale. In base all’art. 12 della legge n. 189 del 2002, il ricorso avverso il decreto di espulsione (come detto, immediatamente esecutivo) deve essere ora presentato nel termine di sessanta giorni dalla data del provvedimento ed il tribunale, in composizione monocratica, deve decidere, in ogni caso, entro venti giorni dalla data di deposito del ricorso. Si è inoltre disposta l’abrogazione del comma 9 dell’art. 13, che regolava il procedimento davanti al giudice.
4.1. Nel descritto quadro normativo, la tutela giurisdizionale non si arresta all’impugnativa del decreto di espulsione, ma si estende anche al provvedimento del questore di trattenimento in un centro di permanenza temporanea. Tale provvedimento deve essere trasmesso al giudice senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore ed è assoggettato alla convalida "nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, sentito l’interessato", con cessazione di "ogni effetto qualora non sia convalidato nelle quarantotto ore successive" (art. 14, comma 4). La convalida dell’autorità giudiziaria riguarda anche l’eventuale provvedimento di proroga del trattenimento, con possibilità di ricorso in Cassazione (art. 14, comma 6).
Infine, con il d.l. n. 51 del 2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2002, il legislatore ha introdotto il procedimento di convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Ed è su questa disciplina che si appuntano le censure dei remittenti.
5. Il percorso della presente decisione è interamente segnato dalla sentenza n. 105 del 2001. Questa Corte si occupò, in quella circostanza, del trattenimento presso i centri di permanenza temporanea ed assistenza, misura che, ai sensi dell’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, viene disposta dal questore ed è soggetta a convalida da parte del giudice sentito l’interessato, con cessazione di ogni effetto in caso di diniego di convalida o di mancata convalida entro il termine di quarantotto ore. Si dolevano allora i remittenti che l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, al quale era finalizzato il trattenimento, sfuggisse al controllo dell’autorità giudiziaria, con conseguente violazione dell’art. 13 Cost.
La Corte condivise innanzitutto la premessa dalla quale procedevano i remittenti che l’accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica investisse la libertà personale e fosse quindi misura assistita dalle garanzie previste dall’art. 13 Cost. al pari del trattenimento. Il controllo del giudice su quest’ultima misura, osservò la Corte, doveva estendersi anche all’accompagnamento coattivo poiché l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto portare il suo esame sui motivi che avevano indotto l’amministrazione procedente a disporre quella peculiare modalità esecutiva dell’espulsione amministrativa consistente, appunto, nell’accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica. Un controllo, precisò questa Corte, da intendersi nella sua accezione più piena, secondo quanto imposto dal precetto costituzionale di cui all’art. 13 Cost.
La sentenza n. 105 del 2001 non investì l’accompagnamento alla frontiera in sé, ma lo considerò quale logico presupposto del trattenimento. Tuttavia, quanto in essa affermato già preannunciava la soluzione di una eventuale questione di legittimità costituzionale che avesse avuto ad oggetto l’accompagnamento alla frontiera quale autonoma misura non legata al trattenimento presso i centri di permanenza temporanei. L’esigenza di colmare un vuoto di tutela ha indotto il legislatore ad intervenire con il d.l. n. 51 del 2002, il cui art. 2 prevedeva l’obbligo del questore di comunicare il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione all’ufficio del Procuratore della Repubblica presso il tribunale territorialmente competente. A sua volta, il Procuratore della Repubblica, verificata la sussistenza dei requisiti, doveva procedere alla convalida del provvedimento entro le quarantotto ore successive alla comunicazione. La norma si chiudeva disponendo che: "Il provvedimento è immediatamente esecutivo". Le modifiche apportate in sede di conversione, con la legge n. 106 del 2002, hanno riguardato anzitutto l’autorità giudiziaria preposta alla convalida – non più il Procuratore della Repubblica bensì il tribunale, in composizione monocratica, territorialmente competente – e, poi, la previsione della immediata esecutività del provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera, la quale è ora inserita, come autonomo inciso, subito dopo la prevista comunicazione del provvedimento al giudice e prima della disciplina della convalida.
6. Il procedimento regolato dall’art. 13, comma 5-bis, contravviene ai principî affermati da questa Corte nella sentenza sopra ricordata: il provvedimento di accompagnamento alla frontiera è eseguito prima della convalida da parte dell’autorità giudiziaria. Lo straniero viene allontanato coattivamente dal territorio nazionale senza che il giudice abbia potuto pronunciarsi sul provvedimento restrittivo della sua libertà personale. È, quindi, vanificata la garanzia contenuta nel terzo comma dell’art. 13 Cost., e cioè la perdita di effetti del provvedimento nel caso di diniego o di mancata convalida ad opera dell’autorità giudiziaria nelle successive quarantotto ore. E insieme alla libertà personale è violato il diritto di difesa dello straniero nel suo nucleo incomprimibile. La disposizione censurata non prevede, infatti, che questi debba essere ascoltato dal giudice, con l’assistenza di un difensore. Non è certo in discussione la discrezionalità del legislatore nel configurare uno schema procedimentale caratterizzato da celerità e articolato sulla sequenza provvedimento di polizia-convalida del giudice. Vengono qui, d’altronde, in considerazione la sicurezza e l’ordine pubblico suscettibili di esser compromessi da flussi migratori incontrollati. Tuttavia, quale che sia lo schema prescelto, in esso devono realizzarsi i principî della tutela giurisdizionale; non può, quindi, essere eliminato l’effettivo controllo sul provvedimento de libertate, né può essere privato l’interessato di ogni garanzia difensiva.
Le censure svolte dai remittenti non possono infine essere superate facendo ricorso alla tesi del c.d. "doppio binario" di tutela per lo straniero: convalida soltanto "cartolare" del provvedimento di accompagnamento alla frontiera e successivo ricorso sul decreto di espulsione con adeguate garanzie difensive. Sarebbe infatti elusa la portata prescrittiva dell’art. 13 Cost., giacché il ricorso sul decreto di espulsione (art. 13, comma 8) non garantisce immediatamente e direttamente il bene della libertà personale su cui incide l’accompagnamento alla frontiera.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 2 del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106, nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa;
2) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 4 e 5, del citato decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e dell’art. 13, comma 4, dello stesso decreto legislativo n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 12, comma 1, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), sollevate, in riferimento agli artt. 13, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2004.
[1] Procedura di infrazione n.2006/46.
[2] Il parere motivato rappresenta la seconda e ultima fase della procedura d’infrazione, prima che la Commissione europea proceda al deferimento formale dello Stato membro davanti alla Corte di giustizia, affinché accerti la sussistenza di una violazione del diritto comunitario.
[3] L’art. 13 TCE stabilisce che il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.
[4] Norme in materia di sensibilizzazione e repressione della discriminazione razziale, per l'orientamento sessuale e l' identita' di genere. Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654.
[5] Dir. 2004/38/CE del 29 aprile 2004, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri,che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE.
[6] Reg. (CEE) n. 1612/68, del 15 ottobre 1968, Regolamento del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità.
[7] Dir. 64/221/CEE del 25 febbraio 1964, Direttiva del Consiglio per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.
[8] Dir. 68/360/CEE del 15 ottobre 1968, Direttiva del Consiglio relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all'interno della Comunità.
[9] Dir. 72/194 CEE del 18 maggio 1972, Direttiva del Consiglio che estende il campo di applicazione della direttiva del 25 febbraio 1964 (64/221/CEE) per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, ai lavoratori che esercitano il diritto di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego.
[10] Dir. 73/148/CEE del 21 maggio 1973, Direttiva del Consiglio relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi.
[11] Dir. 75/34/CEE del 17 dicembre 1974, Direttiva del Consiglio relativa al diritto di un cittadino di uno Stato membro di rimanere sul territorio di un altro Stato membro dopo avervi svolto un'attività non salariata.
[12] Dir. 75/35/CEE del 17 dicembre 1974, Direttiva del Consiglio che estende il campo di applicazione della direttiva 64/221/CEE per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, ai cittadini di uno Stato membro che esercitano il diritto di rimanere nel territorio di un altro Stato membro dopo avervi svolto un'attività non salariata.
[13] Dir. 90/364/CEE del 28 giugno 1990, Direttiva del Consiglio relativa al diritto di soggiorno.
[14] Dir. 90/365/CEE del Consiglio del 28 giugno 1990, Direttiva relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la loro attività professionale.
[15] Dir. 93/96/CEE del 29 ottobre 1993, Direttiva del Consiglio relativa al diritto di soggiorno degli studenti.
[16] Regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (modificato da ultimo dal Regolamento (CE) n. 851/2005 del Consiglio, del 2 giugno 2005).
[17] L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea – Legge comunitaria 2004.
[18] D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente.
[19] D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell'amministrazione digitale.
[20] L. 16 aprile 1987, n. 183, Coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari.
[21] D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
[22] Le modifiche apportate al D.Lgs. 30/2007 sono evidenziate nel testo a fronte riportato nel presente dossier. Per una illustrazione del decreto legislativo e della direttiva, si rinvia alla scheda di lettura dedicata al quadro normativo.
[23] Gli artt. 11 e 12 del D.Lgs. 30/2007 dettano norme specifiche relativamente alla conservazione del diritto di soggiorno dei familiari in caso di decesso o di partenza del cittadino dell'Unione europea ovvero in caso di divorzio e di annullamento del matrimonio.
[24] A differenza del provvedimento di allontanamento disposto dal ministro dell’interno, che può essere apodittico, ove alla motivazione ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato.
[25] La disciplina previgente non prevedeva un controllo giurisdizionale necessariamente antecedente l’esecuzione dell’espulsione, ben potendo accadere che la decisione del giudice sulla convalida arrivasse a straniero già espulso dal territorio nazionale. Con la sentenza 8-15 luglio 2004, n. 222, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del comma 5-bis dell’art. 13 del TU nella parte in cui non prevedeva che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell'esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa.
[26] Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità.
[27] Legge 31 maggio 1965, n. 575, Disposizioni contro la mafia.
[28] I termini di trattenimento, che nel testo unico previgente erano di 20 giorni, prorogabili di altri 10 giorni, sono stati elevati dalla L. 189/2002.
[29] D.L. 30 ottobre 1995, n. 451, Disposizioni urgenti per l'ulteriore impiego del personale delle Forze armate in attività di controllo della frontiera marittima nella regione Puglia, convertito in legge. 29 dicembre 1995, n. 563.
[30] Decreto interministeriale 16 febbraio 2006.
[31] D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.
[32] D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
[33] A norma del quale le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice che non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.
[34] Si tratta del personale che, in deroga a quanto previsto dall’articolo 2, commi 2 e 3, del T.U. in ordine alla “privatizzazione” del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, rimane in regime di diritto pubblico ed è disciplinato dai rispettivi ordinamenti: Si tratta di: magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare e delle Forze di polizia di Stato, personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia e di altre specifiche categorie di personale.
[35] Legge 13 ottobre 1975, n. 654, Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966.
[36] Recante “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”.
[37] -Recante “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione”.
[38] Il Trattato, pubblicato nella G.U.C.E. del 10 novembre 1997, n. C 340 è entrato in vigore il 1° maggio 1999.
[39] Fra cui, oltre al citato Trattato di Amsterdam, anche il Trattato di Nizza del 2001 (cfr. Trattato 26 febbraio 2001, Trattato di Nizza che modifica il trattato sull'Unione europea, i trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi).
[40] In tema cfr. C. Visconti, Il legislatore azzeccagarbugli: le “modifiche in materia di reati di opinione” introdotte dalla L. 24 febbraio 2006 n. 85, in Il foro italiano, 2006, n. 6, p. V, p. 223.
[41] Soppresso dal D.L. 122/1993.
[42] D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[43] Per necessità di soccorso allo straniero, perché occorrono accertamenti ulteriori sulla sua identità o nazionalità o devono essere acquisiti ulteriori documenti di viaggio o perché non sono al momento disponibili mezzi di trasporto idonei.