Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento finanze | ||
Altri Autori: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||
Titolo: | Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali D.L. 10/2007 - A.C. 2374 - Schede di lettura | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 123 | ||
Data: | 20/03/2007 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
VI-Finanze
XIII-Agricoltura | ||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI
Progetti di legge
Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali
D.L. 10/2007 - A.C. 2374
Schede di lettura
n. 123
20 marzo 2007
Il dossier è stato redatto con la collaborazione dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea.
Dipartimento Finanze SIWEB
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INDICE Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa Elementi per l’istruttoria legislativa § Motivazioni della necessità ed urgenza § Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite § Specificità ed omogeneità delle disposizioni § Incidenza sull’ordinamento giuridico § Articolo 1 (Recupero aiuti di Stato in forma di esenzioni fiscali e prestiti agevolati) § Articolo 2 (Candidatura di Milano a esposizione universale 2015) § Articolo 3 (Adeguamento a decisioni comunitarie in materia fiscale e societaria) § Articolo 4, comma 1 (Pubblicità e sponsorizzazione dei prodotti del tabacco) § Articolo 4, comma 2 (Accesso alle reti di comunicazione elettronica) § Articolo 4, comma 3 (Servizi post-contatore) § Articolo 4, comma 4 (Protezione del diritto d’autore) § Articolo 4-bis (Compensazione contributi previdenziali) § Articolo 4-ter (Attuazione di disposizioni comunitarie in materia agricola) § Articolo 5 (Modifiche alla disciplina dell’immigrazione) § Articolo 5-bis (Attuazione di norme comunitarie in materia di sostanze chimiche) § Articolo 5-ter (Adeguamento a decisioni comunitarie sulla professione di consulente del lavoro) Testo del disegno di legge (A.C. 2374) § L. 22 aprile 1941, n. 633 Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio (art. 2) § L. 26 gennaio 1961, n. 29 Norme per la disciplina della riscossione dei carichi in materia di tasse e di imposte indirette sugli affari (art. 1) § L. 25 novembre 1971, n. 1096 Disciplina dell'attività sementiera (artt. 19, 19-bis) § D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (art. 26-quater) § D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito (artt 1, 14, 15, 19, 25) § D.P.R. 8 ottobre 1973, n. 1065 Regolamento di esecuzione della L. 25 novembre 1971, n. 1096 , concernente la disciplina della produzione e del commercio delle sementi (solo titolo) § L. 20 aprile 1976, n. 195 Modifiche e integrazioni alla L. 25 novembre 1971, n. 1096, sulla disciplina della attività sementiera (solo titolo) § L. 5 agosto 1978, n. 468 Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio (artt. 7 e 11-ter, comma 7) § L. 11 gennaio 1979, n. 12 Norme per l'ordinamento della professione di consulente del lavoro (artt. 1, 3, 9) § L. 16 aprile 1987, n. 183 Coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari § L. 10 ottobre 1990, n. 287 Norme per la tutela della concorrenza e del mercato (art. 8) § D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413 (art. 19) § L. 14 febbraio 1994, n. 124 Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla biodiversità, con annessi, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 (art. 19) § D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni (art. 17) § D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (artt. 13, 27) § L. 23 dicembre 1998, n. 448 Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo (art. 11) § D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa. (Testo A) (art. 47) § D.Lgs. 24 aprile 2001, n. 212 Attuazione delle direttive 98/95/CE e 98/96/CE concernenti la commercializzazione dei prodotti sementieri, il catologo comune delle varietà delle specie di piante agricole e relativi controlli (art. 1) § D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 Codice delle comunicazioni elettroniche (art. 50) § L. 6 aprile 2004, n. 101 Ratifica ed esecuzione del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, con Appendici, adottato dalla trentunesima riunione della Conferenza della FAO a Roma il 3 novembre 2001 (artt. 5, 6 e 9) § L. 23 agosto 2004, n. 239 Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia (art. 1, comma 34) § D.Lgs. 16 dicembre 2004, n. 300 Attuazione della direttiva 2003/33/CE in materia di pubblicità e di sponsorizzazione dei prodotti del tabacco (art. 4) § D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 Codice della proprietà industriale, a norma dell'articolo 15 della L. 12 dicembre 2002, n. 273 (artt. 44, 239) § L. 18 aprile 2005, n. 62 Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004 (art. 27) § D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 143 Attuazione della direttiva 2003/49/CE concernente il regime fiscale applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (art. 3) § Provv. 1 giugno 2005 Modalità applicative delle disposizioni previste dall'articolo 27 della L. 18 aprile 2005, n. 62, per il recupero delle agevolazioni fiscali fruite dalle società per azioni, costituite ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142 § D.L. 10 gennaio 2006, n. 2 Interventi urgenti per i settori dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d'impresa (art. 01, co. 16) § L. 25 gennaio 2006, n. 29 Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2005 (art. 24) § D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (artt. 121-125) § L. 27 dicembre 2006, n. 296 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) (art. 1, comma 950) Normativa comunitaria § Trattato 25 marzo 1957 Trattato che istituisce la Comunità europea (n.d.r. Versione in vigore dal 1° febbraio 2003) (artt. 87, paragrafo 1; 228) § Disc. 20 maggio 1992 Disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese (solo titolo) § Disc. 23 luglio 1996 Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato alle piccole e medie imprese § Reg. (CE) n. 1493/1999 del 17 maggio 1999 Regolamento del Consiglio relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo (solo titolo) § Reg. (CE) n. 1227/2000 del 31 maggio 2000 Regolamento della Commissione che stabilisce modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo, in particolare in ordine al potenziale produttivo (solo titolo) § Dec. 2003/193/CE del 5 giugno 2002 Decisione della Commissione relativa all'aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi dall'Italia in favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico C 27/99 (ex NN 69/98) (art. 3) § Reg. (CE) n. 1782/2003 del 29 settembre 2003 Regolamento del Consiglio che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell'ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori e che modifica i regolamenti (CEE) n. 2019/93, (CE) n. 1452/2001, (CE) n. 1453/2001, (CE) n. 1454/2001, (CE) n. 1868/94, (CE) n. 1251/1999, (CE) n. 1254/1999, (CE) n. 1673/2000, (CEE) n. 2358/71 e (CE) n. 2529/2001 (solo titolo) § Reg. (CE) n. 794/2004 del 21 aprile 2004 Regolamento della Commissione recante disposizioni di esecuzione del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del trattato CE (artt. 9-11) § Sentenza della Corte 11 maggio 2006, causa C-197/03 «Inadempimento di uno Stato – Direttiva 69/335/CEE – Artt. 10 e 12 – Imposte indirette sulla raccolta di capitali – Principi di diritto comunitario in materia di ripetizione dell’indebito» § Sentenza della Corte 1° giugno 2006, causa C-207/05 «Inadempimento di uno Stato – Aiuti concessi dagli Stati – Articolo 88, n. 2, secondo comma, CE – Aiuti incompatibili con il mercato comune – Obbligo di recupero – Mancata esecuzione» § Reg. (CE) del Parlamento e del Consiglio 18 dicembre 2006, n. 1907/2006 concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un'Agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE (art. 121)
ContenutoL’articolo 1 dà attuazione alla decisione 2003/193/CE della Commissione europea del 5 giugno 2002, con l’intento di porre fine al contenzioso pendente tra la Repubblica italiana e la Commissione europea in materia di agevolazioni fiscali e prestiti agevolati concessi alle c.d. ex aziende municipalizzate. L’articolo 1 riscrive a tal fine ex novo la procedure per procedere al recupero degli aiuti illegittimi, dando così attuazione alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee resa in data 1° giugno 2006, nella causa C-207/2005, che ha condannato l’Italia per non aver proceduto al recupero delle agevolazioni dichiarate illegittime. L’articolo 2 contiene disposizioni volte ad assicurare la prosecuzione delle attività promozionali per la candidatura di Milano quale sede dell’Expo universale del 2015, dando seguito a quanto previsto dal comma 950 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007. L’articolo 2-bis – in attuazione di alcuni articoli del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura - istituisce il registro nazionale delle “varietà da conservazione“ e consente agli agricoltori il libero scambio delle sementi su base locale, al fine di garantire tutela alle varietà da conservazione e creare le condizioni per preservare le sementi tradizionali che altrimenti rischiano l'estinzione. Il comma 1 prevede l’istituzione, in attuazione degli impegni discendenti dagli articoli 5, 6 e 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, di un apposito registro nazionale delle “varietà da conservazione”; l’istituzione del registro è affidata al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, sentita la Conferenza Stato-regioni. L’articolo 3, al comma 1, abroga l’articolo 2450 cod. civ. relativo alla nomina di amministratori, sindaci o componenti del consiglio di sorveglianza di società per azioni da parte dello Stato o di enti pubblici, privi di partecipazioni azionarie nella società. L’abrogazione recepisce le indicazioni della Commissione europea, la quale ha avviato una procedura di infrazione (n. 2006/2104) contro la Repubblica italiana. I commi 2 e 3 danno attuazione al parere motivato della Commissione europea adottato il 12 dicembre 2006, nell’ambito della procedura d’infrazione n. 2006/4136, in materia di trattamento fiscale dei pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi. In particolare il comma 2 stabilisce che l’esenzione dalle imposte, riconosciuta per gli interessi e i canoni dei quali beneficia una società di un altro Stato membro o una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro di una società di uno Stato membro, si applichi agli interessi e ai canoni pagati a decorrere dal 1° gennaio 2004, anziché a quelli maturati a decorrere dalla suddetta data. Il comma 3 disciplina la restituzione delle ritenute effettuate sugli interessi e sui canoni pagati a decorrere dal 1° gennaio 2004, prevedendo che tali ritenute saranno restituite agli aventi diritto direttamente dalle società pagatrici residenti; queste ultime avranno diritto a recuperare, mediante compensazione, le ritenute restituite. Il comma 4 stabilisce che i compiti assegnati all’Agenzia delle entrate ai sensi del decreto-legge in esame devono essere svolti con le risorse umane e finanziarie assegnate a legislazione vigente. I commi 5 e 6 provvedono alla copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui ai precedenti commi 2 e 3, mediante utilizzo di parte delle maggiori entrate derivanti dall’applicazione dell’articolo 1. Tali oneri sono valutati in 26 milioni di euro per l’anno 2007. Il comma 7 disciplina un meccanismo per il monitoraggio dei suddetti oneri, anche al fine di adottare eventuali provvedimenti correttivi. Il comma 7-bis, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, recepisce i rilievi espressi dalla Corte di giustizia delle comunità europee con la sentenza 11 maggio 2006, nella causa C-197/03, in materia di tassa di concessione governativa per le iscrizioni nel registro delle imprese, sopprimendo la tassa forfetaria retroattiva dovuta per l’iscrizione di atti nel registro delle imprese per il periodo 1985-1992 e modificando le modalità di restituzione della tassa di concessione governativa, versata, nel medesimo periodo, ai sensi dell’articolo 3, comma 19, del D.L. n. 853 del 1984. L’articolo 4, comma 1, abroga l’articolo 4, comma 3, del decreto legislativo n. 300 del 2004, di attuazione della direttiva 2003/33/CE in materia di pubblicità e sponsorizzazione dei prodotti del tabacco. Tale comma, ponendo una deroga al divieto di sponsorizzazione degli eventi e delle attività praticate nell’ambito degli stessi, quando tali eventi o attività si svolgano esclusivamente nel territorio dello Stato italiano, risulta in contrasto con dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2003/33/CE”. Il comma 2 interviene in materia di calcolo dei costi per l’accesso e l’interconnessione modificando l’articolo 50 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003. Il comma 3 novella il comma 34 dell’articolo 1 della legge 239/04, di riordino del settore elettrico, al fine di consentire alle aziende operanti nei settori dell’energia elettrica e del gas naturale che hanno in concessione o in affidamento la gestione di servizi pubblici locali, di esercitare attività indiretta nel settore dei servizi post-contatore, attraverso società separate, partecipate o controllate, od operanti in affiliazione commerciale, fermo restando il divieto di applicare condizioni o concordare pratiche determinanti svantaggi ingiustificati per le imprese concorrenti, nonché di avvantaggiarsi della posizione di privilegio di cui godono nei mercati regolamentati, per assicurarsi posizioni di predominio anche in mercati soggetti alla libera concorrenza, collegati a quelli regolamentati. Il comma 4 apporta alcune modifiche al Codice della proprietà industriale, approvato con il decreto legislativo n. 30 del 2005, finalizzate all’adeguamento dell’ordinamento interno alla normativa comunitaria. In particolare, viene allungata la durata dei diritti di utilizzazione economica post mortem dei disegni e dei modelli industriali che presentino di per sé carattere creativo ed artistico, (portandola dai 25 dalla morte dell’autore attualmente previsti, a 70 anni) e viene eliminato il termine di dieci anni dalla data del 19 aprile 2001 per quanto concerne l’esclusione della protezione giuridica dei disegni e dei modelli nei confronti di coloro che abbiano intrapreso la fabbricazione, l’offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità con disegni o modelli che erano, oppure erano divenuti, di pubblico dominio. L’articolo 4-bis, novellando l’articolo 01, comma 16, del D.L. 2/2006, prevede che, in sede di pagamento degli aiuti comunitari, gli organismi pagatori possono procedere alla compensazione di tali aiuti con i contributi previdenzialidovuti dall’impresa agricola beneficiaria, comunicati dal competente istituto previdenziale all’AGEA tramite strumenti informatici; qualora dovessero sorgere contestazioni sull’effettuazione di tale procedura di compensazione, la legittimazione processuale passiva compete all’Istituto previdenziale. L’articolo 4-ter al primo comma dispone che anche per le domande di aiuto relative al 2005 l’assegnazione a soccidante e soccidario del pagamento unico previsto dal reg. CE 1782/2003, in caso di mancato accordo tra le parti, venga fatta attribuendo a ciascuno il 50 per cento dell’importo dovuto. Il secondo comma prevede l'istituzione di un registro pubblico informatico dei diritti di reimpianto del settore vitivinicolo, definiti dalle disposizioni comunitarie come il diritto di piantare viti su una superficie equivalente, in coltura pura, a quella in cui ha avuto luogo o deve aver luogo una estirpazione alle condizioni stabilite (art. 7 del Reg. n. 1493/99). L’articolo 5 apporta modifiche all’art. 27 del testo unico in materia di immigrazione, di cui al D.Lgs. 286/1998, prevedendo, per i lavoratori stranieri che siano dipendenti da datori di lavoro residenti o aventi sede in uno Stato membro dell’Unione europea, che il nulla-osta al lavoro di cui all’art. 22 del medesimo testo unico sia sostituito da una comunicazione effettuata dal committente, da presentare allo sportello unico della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno. È in conseguenza modificata anche la disciplina dell'espulsione amministrativa di cui all’art. 13, co. 2, lett. b), del citato testo unico. L’articolo 5-bis in esame affida al Ministero della salute il compito di provvedere - di intesa con i Ministeri dell’ambiente, dello sviluppo economico e con il Dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri - agli adempimenti previsti dal regolamento (CE) n. 1907/2006 sulle sostanze chimiche (cd. REACH) e designa lo stesso Ministero quale “autorità competente” ai sensi dell’articolo 121 del regolamento (commi 1 e 2). Il comma 3 demanda ad un decreto interministeriale l’approvazione di un piano di attività riguardante i compiti di cui al comma 1 e l’utilizzo delle risorse di cui al comma 5. Il comma 4 dispone che per l’esecuzione delle attività previste al comma 1, l’autorità competente si avvale del supporto tecnico-scientifico dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e dell’Istituto superiore di sanità (ISS). L’articolo 5-ter reca modifiche alla disciplina inerente alla professione di consulente del lavoro di cui alla L. 11 gennaio 1979, n. 12. In primo luogo, con disposizioni volte ad adeguare l’ordinamento interno ai principi comunitari, si prevede che le operazioni di calcolo e stampa relative ai fogli paga dei lavoratori delle imprese artigiane e delle piccole imprese possa essere svolta da tutti i centri elaborazione dati purché assistiti da uno o più consulenti del lavoro e che tra le condizioni di iscrizioni all’albo dei consulenti del lavoro non sia più richiesto il certificato di residenza bensì la documentazione attestante l’elezione di domicilio professionale. Inoltre, con altra disposizione, si richiede, per l'ammissione all'esame di abilitazione all'esercizio della professione di consulente del lavoro, il possesso almeno di una laurea triennale nelle discipline riconducibili all’area giuridico-economica ritenendo non più sufficiente il possesso di un diploma di scuola secondaria superiore. Relazioni allegateAl disegno di legge sono allegate la relazione illustrativa del Governo e la relazione tecnica sugli effetti finanziari.
Motivazioni della necessità ed urgenzaNella premessa del decreto-legge è richiamata la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni al fine di adempiere ad obblighi comunitari derivanti da sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e da procedure di infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano, nonché di ottemperare agli impegni assunti in ambito internazionale in merito alla candidatura della città di Milano per l’Esposizione universale 2015. Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteConsiderato che la gran parte delle norme in esame consistono in interventi a fronte di procedure di infrazione comunitaria avviate, rileva innanzitutto l’esclusiva competenza legislativa dello Stato a norma della lettera a) (rapporti dello Stato con l’Unione europea) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Le disposizioni dell’articolo 1 appartengono all’esclusiva competenza legislativa dello Stato a norma della lettera e) (sistema tributario e contabile dello Stato) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Le disposizioni dell’articolo 2 appartengono all’esclusiva competenza legislativa dello Stato a norma della lettera a) (rapporti dello Stato con l’Unione europea) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Le disposizioni dell’articolo 2-bis appartengono all’esclusiva competenza legislativa dello Stato a norma della lettera a) (politica estera e rapporti internazionali dello Stato) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Le disposizioni dell’articolo 3 appartengono all’esclusiva competenza legislativa dello Stato a norma della lettera e) (sistema tributario e contabile dello Stato) ed l) (ordinamento civile e penale) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Le disposizioni dell’articolo 4, commi 1 e 3, appartengono all’esclusiva competenza legislativa dello Stato a norma della lettera e) (tutela della concorrenza) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Le disposizioni dell’articolo 4, comma 2, rientrano nell'ambito della materia 'ordinamento della comunicazione", demandata dall'articolo 117 della Costituzione alla competenza legislativa concorrente dello Stato. Peraltro, la disciplina dettata assolve anche a finalità di tutela della concorrenza e del mercato, materia questa che l'articolo 117 della Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato. Le disposizioni dell’articolo 4, comma 4, appartengono all’esclusiva competenza legislativa dello Stato a norma della lettera r) (opere dell'ingegno) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Le disposizioni dell’articolo 4-bis appartengono all’esclusiva competenza legislativa dello Stato a norma della lettera o) (previdenza sociale) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Le disposizioni dell’articolo 4-ter appartengono all’esclusiva competenza legislativa dello Stato a norma della lettera a) (rapporti dello Stato con l’Unione europea) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Le disposizioni dell’articolo 5 appartengono all’esclusiva competenza legislativa dello Stato a norma della lettera b) (immigrazione) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Le disposizioni dell’articolo 5-bis appartengono all’esclusiva competenza legislativa dello Stato a norma della lettera s) (tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Con riguardo alle disposizioni dell’articolo 5-ter, la disciplina delle professioni rientra, ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione, nell’ambito della competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni. Il provvedimento, intervenendo in maniera specifica sulle disposizioni relative ai requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e per l’abilitazione ad una professione intellettuale, non sembra presentare profili problematici per quanto riguarda il rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite. Specificità ed omogeneità delle disposizioniLe disposizioni, pur concernendo oggetti distinti e riferibili a materie diverse (recuperi di aiuti di Stato in forma di esenzioni fiscali e prestiti agevolati; la candidatura di Milano all’Esposizione universale 2015; l’attuazione del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura; l’adeguamento a decisioni comunitarie in materia fiscale e societaria; la pubblicità e sponsorizzazione dei prodotti del tabacco; l’accesso alle reti di comunicazione elettronica; i servizi post-contatore; la protezione del diritto d’autore; la compensazione dei contributi previdenziali; l’attuazione di disposizioni comunitarie in materia agricola; modifiche alla disciplina dell’immigrazione; l’attuazione di norme comunitarie in materia di sostanze chimiche; l’adeguamento a decisioni comunitarie sulla professione di consulente del lavoro), riguardano l’attuazione di obblighi comunitari e internazionali dello Stato. Compatibilità comunitariaEsame del provvedimento in relazione alla normativa comunitariaGli interventi normativi recati dalle disposizioni in esame sono dettati dalla necessità di adeguare il diritto interno alla normativa comunitaria, per la quale si rinvia alle schede di commento dei singoli articoli. Procedure
di contenzioso in sede comunitaria
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ANNO |
Tasso CCDDPP (%) |
Tasso di riferimento |
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1994 |
9,00 |
11,9 |
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1995 |
9,00 |
11,35 |
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1996 |
8,81 |
11,35 |
12,37 (*) |
1997 |
7,48 |
10,86 |
8,21 (*) |
1998 |
5,53 |
8,20 |
6,95 (**) |
(*) tasso applicabile dal 1° agosto al 31 dicembre dell’anno di riferimento;
(**) tasso applicabile dal 1° giugno al 31 dicembre dell’anno di riferimento.
Il Governo italiano non ha però finora provveduto a dare esecuzione alla pronuncia della Corte di Giustizia, con conseguente avvio, da parte della Commissione, della procedura d’infrazione n. 2006/2456, promossa ai sensi dell’articolo 228 del Trattato CE (v. sub, il par. “Procedure di contenzioso”).
L’articolo 228, paragrafo 2, Trattato CE, prevede che la Commissione possa avviare un’apposita procedura nei confronti di uno Stato che – sebbene condannato dalla Corte di giustizia per violazione di uno degli obblighi su di esso incombenti in virtù del Trattato – non abbia adottato i provvedimenti derivanti dall’esecuzione della sentenza della Corte. Spetta pertanto alla Commissione europea vigilare sul mancato adempimento degli Stati e avviare la procedura di cui all’articolo 228 del trattato CE, che consente alla Commissione di adire la Corte di giustizia, proponendo l’imposizione di una sanzione pecuniaria nella forma di una somma forfettaria o di una penalità – o di entrambe - di importo determinato.
Occorre segnalare che lo strumento deterrente pecuniario ha assunto a partire dal 2006, in virtù di una recente sentenza della Corte di Giustizia[2], una valenza molto più forte rispetto al passato. In seguito all’interpretazione dell’articolo 228 del TCE data dalla Corte stessa in tale sentenza, la Corte di Giustizia può infatti oggi condannare lo Stato inadempiente a pagare contestualmente sia una somma forfetaria, che una somma a titolo di penalità, proporzionale ai giorni per i quali si protrae l’inadempimento.
Il complesso di tali sanzioni pecuniarie, se pur ispirato a criteri oggettivi di proporzionalità e collegato alla gravità dell’infrazione, alla sua durata ed alla necessità di garantire l’efficacia dissuasiva della sanzione, può pertanto cominciare a costituire per gli Stati membri un onere economico non indifferente. Mentre infatti la sanzione forfetaria generalmente ammonta a qualche milione di euro, la penalità è proporzionale al numero dei giorni per i quali si protrae l’inadempimento e quindi la sommabilità delle due sanzioni costituisce un deterrente, molto più forte che in passato, rispetto al protrarsi degli inadempimenti degli Stati.
L’articolo 1 del provvedimento in esame intende pertanto chiudere il contenzioso con la Commissione europea riscrivendo ex novo le procedure per procedere al recupero degli aiuti illegittimi in questione, procedure che erano state oggetto di vari interventi normativi nel 2005 (v. sub il commento al comma 11), i quali ne avevano compromesso fortemente lo svolgimento rendendone i tempi, come anche evidenziato nella relazione governativa al provvedimento in esame, “del tutto incompatibili con l’accelerazione impressa dalla Commissione europea”.
Occorre anche ricordare, a tale proposito, che esiste una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza Deggendorf nella causa C-355/95) in base alla quale, nel valutare la compatibilità di nuovi aiuti di stato, la Commissione deve tenere conto anche del fatto che i beneficiari possono non aver rispettato precedenti decisioni della Commissione che impongono loro di rimborsare precedenti aiuti dichiarati illegittimi. In sostanza la concessione di nuovi aiuti può essere esclusa o l’erogazione di quelli concessi può essere sospesa qualora ci siano aiuti illegittimi concessi e non rimborsati.
Per effetto del comma 1 dell’articolo 1 in commento, è attribuito nuovamente all’Agenzia delle entrate il compito di recuperare gli aiuti concretizzatisi nella mancata corresponsione di imposte, nonché i relativi interessi - calcolati ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della menzionata decisione della Commissione - in relazione a ciascun periodo di imposta nel quale l’aiuto è stato fruito.
L’articolo 3, comma 3, della decisione della Commissione stabilisce che l’aiuto da recuperare è produttivo di interessi, decorrenti dalla data in cui l’aiuto è stato posto a disposizione dei beneficiari fino alla data di effettivo recupero, calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell’equivalente sovvenzione nell’ambito degli aiuti a finalità regionale (per quanto riguarda il calcolo degli interessi cfr. anche il successivo comma 3).
Il comma 2 autorizza l’Agenzia delle entrate a liquidare gli importi (le imposte con i relativi interessi) da restituire all’Amministrazione finanziaria. La liquidazione avverrà sulla base delle comunicazioni trasmesse dagli enti locali e delle dichiarazioni dei redditi presentate dalle società beneficiarie delle esenzioni fiscali accordate.
Le modalità di presentazione delle comunicazioni trasmesse dagli enti locali e delle dichiarazioni dei redditi presentate dalle società beneficiarie sono regolate dai punti 2 e 3 dell’articolo unico del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate 1° giugno 2005, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 136 del 14 giugno 2005, recante “Modalità applicative delle disposizioni previste dall’articolo 27 della legge 18 aprile 2005, n. 62, per il recupero delle agevolazioni fiscali fruite dalle società per azioni, costituite ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142”.
L’enunciato normativo precisa che il riferimento al comma 6 dell’articolo 27 (“Procedura per il recupero degli aiuti di Stato dichiarati illegittimi dalla decisione 2003/193/CE del 5 giugno 2002 della Commissione”) della legge n. 62 del 2005 (legge comunitaria 2004) deve intendersi rivolto alla formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dall’articolo 1, comma 132, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006).
Infatti, nella versione originaria dell’articolo 27, comma 6, della legge n. 62 del 2005, la competenza a procedere al recupero degli aiuti illegittimamente corrisposti era stata attribuita all’Agenzia delle entrate; successivamente, con la novella apportata dalla legge finanziaria per il 2006, la competenza era stata trasferita al Ministero dell’interno, che avrebbe dovuto determinare – con provvedimento dirigenziale e con successivo regolamento di delegificazione – le modalità attuative della disposizione di legge, con particolare riguardo alle linee guida per una corretta valutazione dei casi di non applicazione delle norme di recupero e per la quantificazione dell’aiuto indebito.
Tali provvedimenti attuativi non sono stati adottati, per cui la procedura di recupero non ha preso avvio; di qui la scelta – posta in essere con l’articolo 1 del decreto in esame – di attribuire nuovamente all’Agenzia delle entrate il compito di procedere al recupero degli aiuti corrispondenti alle imposte non versate.
Il comma 2 stabilisce anche che – in caso di mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi da parte delle società beneficiarie – l’Agenzia delle entrate liquidi le somme dovute sulla base degli elementi direttamente acquisiti.
L’Agenzia provvede al recupero degli aiuti, nella misura della loro effettiva fruizione (tale inciso è stato introdotto nel corso dell’esame al Senato) mediante apposita comunicazione – da notificarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto (decorrenti pertanto dal 16 febbraio 2007, in base all’articolo 6) – recante l’ingiunzione di pagamento delle somme dovute in relazione a ciascuna annualità interessata dal regime agevolativo.
L’ingiunzione è accompagnata dall’intimazione che – in caso di mancato versamento entro trenta giorni dalla data di notifica – si procederà ad iscrizione a ruolo, a titolo definitivo, delle somme non versate e degli ulteriori interessi dovuti. A tale riguardo, viene richiamato genericamente il D.P.R. n. 602 del 1973 (“Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”) che disciplina anche la riscossione mediante ruoli.
Si ricorda che il ruolo è l’elenco alfabetico predisposto dagli uffici tributari, nel quale vengono indicate le somme dovute da ciascun contribuente all’amministrazione finanziaria; il ruolo rappresenta, dunque, il titolo esecutivo che consente all’amministrazione finanziaria di agire coattivamente per il recupero dei crediti fiscali. Nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi. (art. 11 del D.P.R. n. 602 del 1973). Nei ruoli a titolo definitivo (art. 14) sono iscritte, tra le altre, le imposte liquidate in base ad accertamenti definitivi, mentre l’iscrizione provvisoria a ruolo (art. 15) avviene dopo la semplice notifica dell’atto di accertamento e per la metà dell’ammontare dell’imposta, nel caso di accertamento non definitivo. I debitori iscritti a ruolo ricevono la notifica della cartella di pagamento dal concessionario della riscossione (art. 25 del D.P.R. n. 602), la quale contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro 60 giorni dalla notifica, con l’avviso che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata.
In ogni caso, viene esclusa l’applicazione di sanzioni per violazioni di natura tributaria e di ogni altra specie comunque connesse alla procedure disciplinate dalle presenti disposizioni. Il riferimento deve intendersi al decreto legislativo n. 241 del 1997 (“Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi”).
Il comma 2 prevede altresì che non siano applicabili gli istituti della dilazione dei pagamenti e della sospensione in sede amministrativa.
Ai sensi dell’articolo 19 (“Dilazione del pagamento”) del D.P.R. n. 602 del 1973, l’ufficio, su richiesta del contribuente, può concedere, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di sessanta rate mensili ovvero la sospensione della riscossione per un anno e, successivamente, la ripartizione del pagamento fino ad un massimo di quarantotto rate mensili. Se l’importo iscritto a ruolo è superiore a 25.822,84 euro, il riconoscimento di tali benefici è subordinato alla prestazione di idonea garanzia, mediante polizza fidejussoria o fidejussione bancaria (comma 1). La richiesta di rateazione deve essere presentata, a pena di decadenza, prima dell’inizio della procedura esecutiva (comma 2).
Per quanto riguarda la sospensione di atti adottati nel corso del procedimento di riscossione, questa può essere di due tipi: giudiziale o amministrativa. Il ricorrente può, pertanto, chiedere la sospensione dell’atto impugnato sia davanti al giudice tributario, sia all’ufficio locale dell’agenzia delle entrate.
Con riguardo alla sospensione amministrativa, questa può essere richiesta sia per le imposte dirette sia per le imposte indirette, ivi compresa l’imposta sul valore aggiunto.
Ai sensi dell’articolo 39 del menzionato D.P.R. n. 602 del 1973, il ricorso contro il ruolo non sospende la riscossione; tuttavia, l’ufficio delle entrate ha facoltà di disporre la sospensione amministrativa in tutto o in parte, fino alla data di pubblicazione della sentenza della commissione tributaria provinciale, con provvedimento motivato notificato all’agente della riscossione e al contribuente. Il provvedimento sospensivo può essere revocato ove sopravvenga fondato pericolo per la riscossione.
Il comma 2 dell’articolo 1 in commento stabilisce altresì che la comunicazione dell’Agenzia delle entrate recante l’ingiunzione al pagamento delle somme dovute a titolo di restituzione dell’aiuto costituisce atto impugnabile davanti alle Commissioni tributarie, ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992 (“Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413”).
Si ricorda che l’articolo 19 citato reca l’elencazione degli atti contro cui è possibile presentare ricorso. Si tratta dei seguenti:
a) l’avviso di accertamento del tributo;
b) l’avviso di liquidazione del tributo;
c) il provvedimento che irroga le sanzioni;
d) il ruolo e la cartella di pagamento;
e) l’avviso di mora;
f) e-bis) l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’articolo 77 del D.P.R. n. 602 del 1973 e successive modificazioni;
g) e-ter) il fermo di beni mobili registrati di cui all’articolo 86 del D.P.R. n. 602 del 1973 e successive modificazioni;
h) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’art. 2, comma 3;
i) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;
j) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;
k) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie.
Il comma 2 stabilisce che i suddetti atti devono contenere l'indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della commissione tributaria competente, nonché delle relative forme da osservare ai sensi dell'art. 20.
Il comma 2 limita peraltro fortemente la possibilità delle Commissioni tributarie di sospendere le ingiunzioni di pagamento, stabilendo che l’autorità giudiziaria (in questo caso le Commissioni tributarieadite) – dopo aver previamente accertato la gravità e l’irreparabilità del pregiudizio allegato dal richiedente e pertanto limitatamente a tali casi – potrà disporre la sospensione cautelativa delle ingiunzioni di pagamento comunicate al contribuente dall’Agenzia delle entrate, nelle sole seguenti ipotesi di:
a) errore di persona;
b) errore materiale del contribuente;
c) evidente errore di calcolo.
Nel disporre la sospensione, l’autorità giudiziaria dovrà in ogni caso tenere conto del preminente interesse nazionale connesso alle condanne irrogabili verso la Repubblica italiana – ai sensi e per gli effetti dell’articolo 228, paragrafo 2, Trattato CE – nonché dell’effetto negativo delle determinazioni della Commissione europea sugli interventi in favore di imprese nazionali, evidentemente in base alla giurisprudenza Deggendorf sopra ricordata.
Il comma 3 prevede un meccanismo particolare per la determinazione degli interessi sugli aiuti illegittimi. In base a tale norma, gliinteressi sulle somme da restituire all’Agenzia delle entrate vanno determinati in base alle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794 del 2004.
Il Reg. (CE) n. 794/2004 del 21 aprile 2004 della Commissione (“Disposizioni di esecuzione del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio recante modalità di applicazione dell’articolo 93 del trattato CE”) contiene infatti un Capo V (articoli da 9 a 11) nel quale sono fissate le modalità di determinazione dei tassi di interesse per il recupero degli aiuti illegittimi.
In particolare, l’articolo 9 del Regolamento n. 794 del 2004 reca il metodo di fissazione dei tassi di interesse, prevedendo al par. 1, che se non diversamente stabilito in una decisione specifica, il tasso di interesse da utilizzare per il recupero degli aiuti di Stato concessi in violazione dell'articolo 88, paragrafo 3 del trattato CE è un tasso percentuale annuo, fissato per ogni anno civile. Esso è calcolato sulla base della media dei tassi swap interbancari a cinque anni per i mesi di settembre, ottobre e novembre dell'anno precedente, maggiorata di 75 punti base. In casi debitamente giustificati la Commissione può aumentare il tasso di più di 75 punti base per uno o più Stati membri.
Il par. 2 stabilisce che se la media degli ultimi tre mesi dei tassi swap interbancari a cinque anni disponibili, maggiorata di 75 punti base, differisce di più del 15 % dal tasso di interesse in vigore per il recupero degli aiuti di Stato, la Commissione ricalcola il tasso di interesse per il recupero. Il nuovo tasso si applica a partire dal primo giorno del mese successivo al ricalcolo della Commissione. La Commissione informa gli Stati membri per lettera del ricalcolo e della data da cui esso si applica.
Il par. 4 consente, in mancanza di dati affidabili o equivalenti o in casi eccezionali che la Commissione, in stretta cooperazione con lo Stato membro o gli Stati membri interessati, possa fissare un tasso di interesse per il recupero degli aiuti di Stato per uno o più Stati membri, sulla base di un metodo diverso o sulla base delle informazioni disponibili.
L’articolo 11 del Capo V disciplina poi il metodo di applicazione degli interessi. In particolare il par. 1 stabilisce che il tasso di interesse da applicare sia il tasso in vigore alla data in cui l'aiuto illegittimo è stato messo per la prima volta a disposizione del beneficiario, mentre il par. 2 prevede che il tasso di interesse sia applicato secondo il regime dell'interesse composto fino alla data di recupero dell'aiuto. Gli interessi maturati l'anno precedente producono pertanto interessi in ciascuno degli anni successivi. Il par. 3 stabilisce infine che il tasso di interesse di cui al paragrafo 1 si applichi per tutto il periodo fino alla data di recupero. Tuttavia, se sono trascorsi più di cinque anni tra la data in cui l'aiuto illegittimo è stato per la prima volta messo a disposizione del beneficiario e la data di recupero dell'aiuto, il tasso di interesse sia ricalcolato a intervalli di cinque anni sulla base del tasso in vigore nel momento in cui si effettua il ricalcolo.
A tale proposito occorre rilevare che, quanto ai criteri per la determinazione degli interessi da applicare sugli aiuti illegittimi da recuperare, il comma 3 dell’articolo 1 va letto in combinato disposto con il comma 1 dello stesso articolo, in quanto il rinvio operato ai criteri del regolamento n. 794/2004 sembrerebbe operare per quanto riguarda i criteri generali fissati nel Capo V (es. per l’applicazione dell’interesse composto), mentre per il calcolo del tasso di interesse concretamente applicabile opererebbe il rinvio, fatto dal comma 1 dell’articolo 1 in commento, ai criteri dell’articolo 3, terzo comma, della decisione 2003/193/CE, la quale prevede l’applicazione dei tassi di interesse utilizzati per gli aiuti a finalità regionale.
Peraltro, un secondo rinvio viene fatto dal comma 3, sempre per i criteri di calcolo da utilizzarsi per la determinazione dei tassi di interesse, ai criteri già approvati dalla Commissione europea, in occasione del recupero di un altro aiuto di stato dichiarato illegittimo e precisamente dell’aiuto classificato nel registro degli aiuti come CR 57/03. Si tratta delle norme che avevano prorogato l’applicazione dei benefici fiscali previsti dalla legge c.d. “Tremonti-bis”, il cui recupero è stato disciplinato dall’articolo 24 della legge n. 29 del 2006 (legge comunitaria 2005).
L’articolo 24 della legge n. 29 del 2006 recava “Attuazione della decisione 2005/315/CE del 20 ottobre 2004 della Commissione, notificata con il numero C(2004)3893”, disciplinando le modalità di recupero di imposte non corrisposte da parte di imprese che avevano realizzato investimenti in comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, ai sensi dell’articolo 5-sexies del decreto-legge n. 282 del 2002 (“Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità”), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2003. L’articolo 5-sexies aveva infatti prorogato i benefici fiscali previsti dall’articolo 4, comma 1, della legge 18 ottobre 2001, n. 383 (c.d. Tremonti-bis)[3], nei confronti delle imprese che avessero realizzato investimenti in sedi operative ubicate nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, fino al secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data del 25 ottobre 2001 (data di entrata in vigore della legge n. 383 del 2001).
Si segnala che tale rinvio fatto dal comma 3 ai criteri di calcolo per la determinazione degli interessi disciplinati dall’articolo 24 della legge comunitaria 2005 appare superfluo in quanto tale articolo 24, al comma 5, rinvia a sua volta per il calcolo degli interessi, alle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004, maturati dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari fino alla data del loro recupero. Stesso rinvio ha operato la Decisione n. 2005/315/CE con la quale l’Italia è stata condannata alla restituzione dell’aiuto CR 57/03 in questione.
Un’ulteriore norma che individua il tasso di interesse da applicare è quelladell’ultimo periodo del comma 3, che individua, in modo non coordinato con le altre disposizioni del comma 3 sullo stesso oggetto e con la disposizione generale del comma 1, come tasso di interesse da applicare quello vigente alla data di scadenza prevista in via ordinaria per il versamento del saldo delle imposte non corrisposte, con riferimento al primo periodo di imposta interessato dal recupero dell’aiuto.
Tale disposizione dell’ultimo periodo del comma 3 appare pertanto in contrasto con il comma 1 e con il primo periodo del comma 3 stesso.
Le società interessate dall’obbligo di restituzione dell’aiuto illegittimo dovranno corrispondere, oltre all’equivalente dell’aiuto ricevuto, anche gli interessi. Questi sono dovuti a partire dal momento della fruizione dell’aiuto, quindi dal primo periodo d’imposta per il quale si è usufruito dell’esenzione IRPEG, ovvero si è avuto a disposizione il credito agevolato, fino al momento in cui avverrà il rimborso effettivo, presumibilmente nell’anno 2007. I tassi da applicare sono quelli utilizzati per gli aiuti a finalità regionale, che fino al 1998 erano piuttosto elevati (cfr. la tabella supra), con applicazione inoltre, in base al regolamento n. 794 del 2004, dell’interesse composto.
I commi da 4 a 10 dell’articolo 1 disciplinano l’unica ipotesi in cui è consentito alle imprese che hanno beneficiato degli aiuti di non restituirli. Si tratta dell’ipotesi in cui le società rientrino nei limiti di applicazione della c.d. regola de minimis.
La Commissione nella decisione n. 193 del 2003 fa presente, al punto 126, che una decisione relativa a regimi di aiuto non pregiudica la possibilità che aiuti individuali siano considerati, interamente o parzialmente, compatibili con il mercato comune per ragioni attinenti al caso specifico (ad esempio per il fatto che la concessione individuale di aiuto rientri nelle regole de minimis oppure nel contesto di una decisione futura della Commissione o in virtù di un regolamento di esenzione).
Il comma 4 dell’articolo 1 del decreto in commento stabilisce infatti che – conformemente alla disciplina comunitaria applicabile e alla decisione 2003/193/CE della Commissione europea – gli aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola “de minimis” costituiscono deroghe al divieto di aiuti di Stato previsto dall’articolo 87, paragrafo 1, del Trattato CE (vedi supra), e pertanto non sono oggetto di iscrizione a ruolo a titolo definitivo.
Il comma 4 esclude peraltro dalla possibilità di fruire della non iscrizione a ruolo gli aiuti relativi ai settori disciplinati da speciali norme comunitarie sugli aiuti di Stato - adottate in base al Trattato CEE (oggi Trattato CE) o al trattato CECA (stipulato a Parigi nel 1951 e oggi non più produttivo di effetti giuridici) – vigenti nel periodo di riferimento.
Si ricorda che l’art. 88 del TCE prevede che le disposizioni che istituiscono regimi di aiuto debbano essere comunicate alla Commissione, che ne valuta la compatibilità con il Trattato. L’attuazione di tale disciplina ha portato a definire precise condizioni di ammissibilità degli aiuti, oltre che per particolari settori (siderurgia, costruzioni navali, industria automobilistica, ecc.), per gli aiuti a carattere regionale e per quelli c.d. orizzontali (che interessano cioè tutti i settori in relazione a particolari obiettivi meritevoli di tutela). Nel regolamento 98/994/CE del 7 maggio 1998, il Consiglio ha poi stabilito che la Commissione può adottare norme di deroga per gli aiuti destinati a specifici obiettivi che interessano tutti i settori economici (tra questi rientrano quelli per le piccole e medie imprese, per la ricerca e allo sviluppo, per la tutela dell’ambiente per l’occupazione e la formazione), nonché per quelli che non superino determinati importi (c.d. aiuti de minimis). Il rispetto di tali norme esenta dall’obbligo di comunicare i regimi di aiuto alla Commissione, e quindi ne assicura l’ammissibilità.
Su queste basi, la Commissione ha adottato tre regolamenti, rispettivamente, il Regolamento (CE) n. 68/2001 sugli aiuti destinati alla formazione, il Regolamento (Ce) n. 69/2001 sugli aiuti de minimis e il Regolamento (CE) n. 70/2001 sugli aiuti destinati alle PMI, modificato da ultimo dal Regolamento (CE) n. 364/2004, che ne estende l’applicazione agli aiuti alla ricerca e sviluppo[4].
Gli aiuti c.d. de minimis sono attivabili su tutto il territorio nazionale e con riferimento non solo alle PMI ma anche alle grandi imprese. Si tratta di aiuti che, in quanto particolarmente esigui, non hanno un impatto sensibile sulla concorrenza tra gli Stati membri, e possono quindi essere adottati in deroga al divieto e alle procedure di informazione previsti dal Trattato. Tale categoria di aiuti, originariamente definita nella comunicazione della Commissione 92/C 213/02, è stata poi modificata con la comunicazione della Commissione 96/C 68/06(pubblicata in GUCE C 68 del 6 marzo 1996) e poi dal Regolamento (CE) n. 69 del 2001 (GUCE L 10 del 13/1/2001), in vigore fino al 31 dicembre 2006. Il regolamento (CE) n. 69 del 2001, è stato sostituito dal nuovo regolamento n. 1998/2006 del 13 dicembre 2006[5], che si applica dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2013.
Nella categoria de minimis, in base al regolamento n. 69 del 2001,rientravano gli aiuti che non superassero complessivamente la soglia di 100.000 euro nell'arco di 3 anni[6]. Il limite riguardava qualsiasi aiuto pubblico accordato a tale titolo, e tutte le categorie di aiuti, indipendentemente dalla loro forma o obiettivo.
Non erano ammessi aiuti de minimis a favore di attività connesse all’esportazione[7]; erano inoltre esclusi dall’applicazione della disciplina del de minimis alcuni settori sottoposti a normative specifiche (es. :settore dei trasporti, dell'agricoltura, della pesca[8] e degli aiuti all’occupazione).
Ulteriori specificazioni erano recate dal Regolamento CE n. 69 del 2001 in ordine alle modalità di calcolo della sovvenzione e alle misure che gli Stati devono adottare per rendere possibile il controllo della Commissione. A tale proposito il regolamento prevedeva che gli Stati provvedessero alla registrazione e alla raccolta di tutte le informazioni concernenti l’applicazione delle disposizioni contenute nel regolamento. Le registrazioni relative ad un singolo aiuto devono essere conservate per dieci anni dalla data di concessione; in caso di un regime di aiuti della durata di dieci anni il periodo di conservazione (sempre di dieci anni) decorre dalla data di concessione dell’ultimo aiuto. Qualora la Commissione ne facesse richiesta scritta, lo Stato interessato era tenuto alla trasmissione di tutte le informazioni ritenute necessarie entro il termine di venti giorni lavorativi ovvero entro un termine più lungo se fissato nella richiesta stessa.
Ai sensi del comma 5, per individuare gli aiuti “de minimis” nel periodo di riferimento, cioè nel periodo nel quale la società hanno usufruito delle agevolazioni, occorre basarsi sulle norme all’epoca in vigore, cioè sulla comunicazione della Commissione 92/C 213/02 del 20 maggio 1992, che considerava tali gli aiuti non eccedenti l’importo complessivo di 50 mila Ecu – elevato a 100 mila con la comunicazione della Commissione 96/C 68/06 del 6 marzo 1996 – calcolato su un periodo di tre anni decorrente dal primo aiuto “de minimis”.
Tale massimale – che dovrà essere convertito in euro sulla base dei tassi vigenti per ciascun periodo in cui gli aiuti sono stati concessi – si applica a prescindere dalla forma degli aiuti o dall’obiettivo perseguito attraverso i medesimi.
Secondo il comma 6, per gli aiuti concessi sotto le norme previgenti che regolavano gli aiuti “de minimis”, il triennio di riferimento per il calcolo del limite massimo di cui al comma 5 ha carattere fisso (tale locuzione non appare del tutto chiara), per cui, una volta esaurito un triennio, ne inizia a decorrere uno nuovo.
Per la verifica del limite, si sommano tutti gli importi di aiuti “de minimis” di qualsiasi tipologia erogati, nel triennio considerato, a favore del medesimo soggetto.
Ai fini dell’applicazione della regola “de minimis” nei confronti delle società beneficiarie, occorre comunque che il risparmio di imposta goduto – dato dalla somma dell’esenzione fiscale fruita per ogni periodo di imposta – sia inferiore al massimale indicato nel comma 5.
Il comma 7 individua i tassi di conversione per gli aiuti erogati in forma diversa dalla sovvenzione diretta in denaro, quali quelli costituiti dalle agevolazioni fiscali in questione. La norma prevede che – conformemente alle indicazioni fornite dalla Commissione europea con la Comunicazione 96/C 68/06 del 1996 – l’importo massimo di aiuto corrisposto nel periodo triennale di riferimento venga espresso sotto forma di sovvenzione diretta di denaro.
Pertanto, gli aiuti erogati in forma diversa dalle sovvenzioni dirette (è il caso delle agevolazioni fiscali) devono essere convertiti – ai fini dell’applicazione del criterio “de minimis” – in un’equivalente sovvenzione, calcolata al lordo dell’imposta eventualmente gravante sull’aiuto.
Per determinare il limite per gli aiuti “de minimis” ottenuti fino al 31 dicembre 1998, si applicano i tassi variabili di conversione del valore nominale in lire nel valore in Ecu; nel caso di aiuti ottenuti dal 1° gennaio 1999 (data di avvio dell’Unione monetaria europea), il tasso di conversione in euro è fisso e pari a 1.936,27 lire. Il tasso di conversione lira/Ecu da applicare è il tasso medio annuale dell’esercizio anteriore a quello di concessione dell’aiuto “de minimis”.
Il comma 8 esclude dal cumulo per il computo dell’importo massimo fissato per l’applicazione della regola “de minimis”, gli aiuti autorizzati dalla Commissione o rientranti in un regolamento di esenzione per categoria, a meno che la normativa ad hoc non preveda diversamente.
Tra i regolamenti di esenzione per categoria si ricorda, ad esempio, il Regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione, del 12 dicembre 2002, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell'occupazione, che si applica ai regimi che costituiscono aiuti di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato e che prevedono aiuti alla creazione di posti di lavoro, aiuti all'assunzione di lavoratori svantaggiati e disabili o aiuti volti a coprire i costi supplementari legati all'assunzione di lavoratori disabili. Tali aiuti sono considerati compatibili con il mercato comune ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 3, del trattato e sono esentati dall'obbligo di notificazione di cui all'articolo 88, paragrafo 3, del trattato.
Il comma 9 stabilisce che le società beneficiarie - che intendano avvalersi della più favorevole procedura prevista dalla regola del “de minimis” di cui al comma 4 – debbano presentare una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ai sensi dell’articolo 47 del D.P.R. n. 445 del 2000 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”), contenente tutte le informazioni relative agli aiuti ricevuti a titolo “de minimis” nel periodo di godimento dell’esenzione fiscale dichiarata aiuto di Stato illegittimo dalla decisione della Commissione 2003/193/CE del 5 giugno 2002, conformemente alla disciplina in quel momento vigente.
Il comma 10 prevede che la documentazione indicata dal precedente comma 9 debba essere consegnata a mano, o inviata a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, all’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate che ha emanato la comunicazione-ingiunzione di pagamento delle somme dovute a titolo di restituzione dell’aiuto.
Tale adempimento deve essere compiuto entro quindici giorni dalla notifica della suddetta comunicazione-ingiunzione di pagamento.
Il comma 11 abroga infine i commi da 2 a 6 dell’articolo 27 della legge n. 62 del 2005 (legge comunitaria 2004), che contenevano una diversa procedura, mai utilizzata, per il recupero degli aiuti di Stato dichiarati illegittimi dalla decisione 2003/193/CE del 5 giugno 2002 della Commissione. Tale abrogazione è consequenziale alla nuova procedura di recupero introdotta dal presente articolo 1 del decreto in commento.
Si ricorda anche che l’articolo 1, comma 132 della legge finanziaria 2006 (legge n. 266 del 2005) aveva sostanzialmente modificato la procedura di recupero degli aiuti in questione, dichiarati illegittimi dalla Commissione, come definita nell’articolo 27 della legge comunitaria 2004.
Di seguito si ricordano le norme dei commi da 2 a 6 dell’articolo 27, qui abrogato.
Il comma 2 dell’articolo 27 – come modificato dalla lettera b) del comma 132, disponeva che il recupero degli aiuti equivalenti alle imposte non corrisposte (secondo quanto determinato al comma 1) fosse eseguito secondo i princìpi e con le ordinarie procedure di accertamento e riscossione delle entrate dello Stato, e che alla riscossione coattiva provvedesse il Ministero dell'interno. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto previsto dal comma 6(regolamento) gli enti locali avrebbero dovuto individuare i beneficiari del regime di esenzione che ha determinato la fruizione degli aiuti da restituire ai sensi al comma 1, per comunicarne gli estremi al Ministero dell'interno oltre che – come già previsto – alle Direzioni regionali dell'Agenzia delle entrate territorialmente competenti in funzione dei relativi domicili fiscali.
Il comma 3 stabiliva che entro il termine fissato dal precedente comma 2 (sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del regolamento previsto dal comma 6), i beneficiari, indipendentemente dalla comunicazione ivi prescritta, presentassero alle Direzioni regionali dell'Agenzia delle entrate territorialmente competenti una dichiarazione dei redditi dei periodi d'imposta nei quali il regime di esenzione era stato fruito, con l'autoliquidazione delle imposte dovute, anche in caso di autoliquidazione negativa.
Il comma 4 del medesimo articolo 27, stabiliva le seguenti ipotesi di inapplicabilità del recupero degli aiuti:
a) qualora i singoli casi rientrassero nella categoria de minimis;
b) qualora le esenzioni non rientrassero nel campo di applicazione della decisione della Commissione.
Tali ipotesi sono quelle individuate in applicazione del decreto [recte: regolamento] previsto dal successivo comma 6.
Il comma 5 dell'articolo 27 prevedeva che il Ministero dell'interno (invece che l’Agenzia delle entrate) – tenuto conto dei dati forniti dalla medesima Agenzia delle entrate sulla base delle dichiarazioni dei beneficiari previste dal comma 3 – ove risultasse l'obbligo di restituzione, entro sei mesi successivi al termine stabilito dal comma 6 provvedesse alla notifica di avvisi contenenti la determinazione degli aiuti corrispondenti all'aiuto vietato, e dei relativi interessi. Lo stesso comma prevedeva altresì che non si facesse luogo, in ogni caso, all'applicazione di sanzioni per violazioni di natura tributaria e di ogni altra specie, comunque connesse alle procedure disciplinate dalle presenti disposizioni.
Il comma 6 dell'articolo 27– coerentemente con il trasferimento delle competenze al Ministero dell’interno, secondo quanto dianzi descritto – ha sostituito il previsto provvedimento applicativo del direttore dell’Agenzia delle entrate con un provvedimento dirigenziale del Ministero dell’interno, stabilendo il termine per la sua adozione nel trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore del regolamento, emanato con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'interno, sentiti il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per le politiche comunitarie, con il quale avrebbero dovuto essere stabilite le linee guida per la corretta valutazione dei casi in cui non dovevano applicarsi le norme di recupero e per la quantificazione dell’aiuto indebito.
I criteri in base ai quali dette linee guida avrebbero dovuto essere individuate erano i seguenti:
- osservanza dei criteri di applicazione al caso concreto desumibili in base ai princìpi del diritto comunitario e alla decisione 2003/193/CE;
- osservanza dei princìpi costituzionali, dello statuto del contribuente e delle regole fiscali applicabili nei periodi di competenza;
- riconoscimento della parità di accesso ai regimi fiscali alternativi di cui il contribuente avrebbe potuto fruire in assenza del regime di aiuti fiscali;
- riconoscimento delle forme di restituzione degli aiuti già attuate mediante reimmissione delle minori imposte versate nel circuito pubblico;
- riconoscimento dell’estraneità, agli effetti del recupero, delle agevolazioni fiscali relative ad attività non concorrenziali;
- riconoscimento della parità di accesso agli istituti fiscali ordinariamente applicabili alla generalità dei contribuenti nei periodi d’imposta di fruizione delle agevolazioni.
Il 12 dicembre 2006 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora complementare, a norma dell’articolo 228 del Trattato CE (procedura d’infrazione 2006/2456), in riferimento all’aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati, concessi in favore di imprese e servizi pubblici a prevalente capitale pubblico.
A norma dell’articolo 228, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, ove la Corte di giustizia riconosca che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù di detto Trattato, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte di giustizia comporta. Qualora la Commissione ritenga che uno Stato membro sia venuto meno a tale obbligo, dopo averlo invitato a trasmettere osservazioni in proposito, essa può riservarsi di emettere un parere motivato, una volta presa conoscenza delle osservazioni prodotte dallo Stato membro o in caso di omesso inoltro di queste.
In virtù dello stesso articolo 228 TCE, paragrafo 2, inoltre, la Commissione può nuovamente adire la Corte di Giustizia, che ha la facoltà di comminare sanzioni pecuniarie allo Stato membro che non si sia conformato alla sentenza da essa pronunciata.
In relazione a tale aiuto, infatti, il 1° giugno 2006, la Corte di giustizia delle Comunità europee, pronunciando la sentenza nella causa C-207/05, ha dichiarato che la Repubblica italiana, “Non avendo adottato entro i termini prescritti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti dichiarati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune dalla decisione della Commissione 5 giugno 2002, 2003/193/CE, relativa all'aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi dall'Italia in favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico, è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 3 e 4 di tale decisione.”
Con lettera del 5 luglio 2006, la Commissione ha chiesto al Governo italiano informazioni in merito ai provvedimenti e alle misure adottati ai fini dell’esecuzione della citata sentenza della Corte di giustizia nonché informazioni quanto ai beneficiari degli aiuti in questione, all’ammontare di detti aiuti e agli interessi percepiti nonché all’ammontare degli aiuti già rimborsati. Nella stessa lettera, inoltre, la Commissione ha chiesto all’Italia informazioni sulle misure concrete che sarebbero state adottate per consentire il recupero degli aiuti entro il 2006.
L’Italia ha risposto con lettere del 4 agosto e del 19 settembre 2006.
Quanto al recupero dei prestiti agevolati, il Governo italiano ha dichiarato di aver inviato, il 14 settembre 2006, ordini di recupero a 8 imprese che avevano beneficiato di tali aiuti per un ammontare di 3,05 milioni di euro, interessi esclusi, e ha informato la Commissione che, in caso di mancato pagamento, entro 30 giorni dal ricevimento della richiesta, è prevista l’attivazione di una procedura di riscossione coattiva. I nuovi piani di ammortamento dei prestiti, adattati al tasso di riferimento e allegati agli ordini di recupero, sono considerati effettivi a partire dal 31 dicembre 2006. La Commissione ha motivo di ritenere, però, che l’elenco del numero delle imprese che hanno beneficiato dell’aiuto in questione potrebbe subire delle modifiche.
Per quanto riguarda la seconda delle misure di aiuto in questione, l’esenzione fiscale triennale delle società, la Commissione non ha ricevuto alcuna informazione da parte dell’Italia. Prima della sentenza, il Governo italiano aveva indicato che la procedura da seguire per il recupero degli aiuti, prevista dalla Legge comunitaria 2005, doveva essere attuata da un decreto ministeriale, ma la Commissione lamenta di non aver ricevuto dal Governo italiano alcuna informazione, in merito all’adozione di tali decreti ministeriali. Da altre fonti, la Commissione ha appreso che la legge n. 266 del 23 dicembre 2006 prevede, all’articolo 1, comma 137, alcune modifiche alla Legge comunitaria 2005, che sottopongono il recupero di tali aiuti all’autorità del Ministro dell’Interno, subordinandolo così all’adozione di un decreto del Ministro, decreto che alla Commissione non risulta mai essere stato emanato.
La Commissione ritiene, perciò, che a più di quattro anni dalla decisione della stessa Commissione di dichiararli illegittimi, gli aiuti concessi dall’Italia sotto forma di esenzione fiscale triennale non siano stati recuperati o, in ogni caso, che la Commissione non sia stata informata del loro recupero.
La Commissione ricorda che in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia[9], il recupero di un aiuto di Stato concesso illegalmente è inteso a privare il beneficiario di un vantaggio conseguito, rispetto ai suoi concorrenti. L’articolo 14, paragrafo 3, del regolamento 659/99 del Consiglio specifica a tale proposito che “il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione”, stabilendo cioè un nesso tra l’obbligo di rispetto dei termini previsti per il recupero degli aiuti dichiarati illegittimi e l’interesse, protetto dall’articolo 87 del Trattato CE, di evitare che sia falsata la concorrenza all’interno della Comunità.
Considerato quanto sopra esposto, la Commissione, ritenendo incomplete o insufficienti le comunicazioni fornite dall’Italia in merito ai provvedimenti e alle misure adottate per eseguire la sentenza del 1° giugno 2006, ritiene che la Repubblica italiana sia venuta meno agli obblighi imposti dall’articolo 228, paragrafo 1, TCE, invitandola a trasmettere osservazioni in proposito entro due mesi, a partire dal 15 dicembre 2006.
La Commissione si riserva di emettere un parere motivato, una volta presa visione di tali osservazioni, richiamando, altresì, l’attenzione del Governo italiano sulle sanzioni pecuniarie che la Corte di giustizia può comminare ai sensi dell’art. 228, paragrafo 2, TCE e della comunicazione della Commissione del 13 dicembre 2005 relativa all’applicazione dell’articolo 228 TCE (SEC(2005)1568).
Si ricorda che tale comunicazionemodifica ed inasprisce il sistema delle sanzioni, intervenendo sul metodo di calcolo e sulla tipologia, al fine di incentivare gli Stati membri ad adeguarsi più rapidamente alle sentenze di inadempimento della Corte di Giustizia. In particolare, la Commissione ritiene che si debbano tenere presenti tre criteri fondamentali: la gravità e la durata dell’infrazione nonché l’efficacia dissuasiva della sanzione, onde evitare recidive. Sotto quest’ultimo profilo, la Commissione reputa necessario fissare l’importo in misura adeguata per garantirne l’effetto dissuasivo, rilanciando, in particolare, lo strumento della somma forfetaria. Pertanto, è intenzione della Commissione indicare nei suoi ricorsi alla Corte:
- una penalità per giorno di ritardo successivo alla pronuncia della sentenza a norma dell’articolo 228;
- una somma forfettaria, che sanzioni la continuazione dell’infrazione tra la prima sentenza, di constatazione dell’inadempimento, e la sentenza a norma dell’articolo 228.
La somma forfettaria e la penalità dovranno essere basate su un metodo di calcolo predeterminato e oggettivo. In particolare, poi, per il calcolo della penalità si parte da un importo forfettario di base uniforme, pari a 600 euro al giorno, cui applicare i coefficienti moltiplicatori, quali ad esempio, il coefficiente di gravità, legato all’importanza delle norme comunitarie oggetto dell’infrazione ed alle conseguenze di quest’ultima sugli interessi generali e particolari, e il coefficiente di durata.
Articolo 2
(Candidatura di Milano a esposizione universale 2015)
1. Le iniziative per la promozione della candidatura della città di Milano all'Esposizione universale del 2015, di cui all'articolo 1, comma 950, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono realizzate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero degli affari esteri e dal Ministero del commercio internazionale anche attraverso l'Ente Comitato di candidatura Expo-Milano 2015. Con apposita convenzione sono regolate le modalità del finanziamento statale al predetto Ente, fermo restando l'obbligo di rendicontazione. Per le stesse finalità di promozione, gli importi di 220.000 euro nel 2007 e di 180.000 euro nel 2008, disponibili presso la pertinente unità previsionale di base del Ministero degli affari esteri, sono versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere interamente riassegnati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero del commercio internazionale, a ciascuno nella misura del cinquanta per cento degli stessi importi. L'Ente, nell'affidamento e nell'esecuzione dei servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie in materia di appalti pubblici, è autorizzato a derogare, nel rispetto dei princìpi desumibili dalle disposizioni comunitarie, alle norme della contabilità generale dello Stato in materia di contratti ed, in particolare, alle disposizioni di cui alla parte II, titolo II, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
La disposizione dell’articolo 2 intende semplificare le procedure di utilizzo delle risorse messe a disposizione dalla legge finanziaria 2007 (27 dicembre 2006, n. 296) per la promozione della candidatura italiana all’Esposizione Universale del 2015.
Infatti, l’articolo 1, comma 950, della legge suddetta autorizza uno stanziamento di 3 milioni di euro per il 2007 e di un milione di euro per il 2008 per finanziare le attività di promozione della candidatura italiana all’Esposizione Universale che si svolgerà dal 1° maggio al 31 ottobre del 2015. Per tale candidatura è stata scelta dal Consiglio dei ministri, nella seduta del 27 ottobre 2006, la città di Milano.
Si ricorda che l’Esposizione Universale si tiene ogni cinque anni; l’ultima edizione si è svolta ad Aichi in Giappone e la prossima si terrà a Shangai in Cina, nel 2010.
Milano e Smirne (Turchia) sono le due città ufficialmente candidate presso il Bureau International des Expositions (BIE) a ospitare l’esposizione del 2015. Il tema scelto dalla città di Milano per l’Expo del 2015 sarà “Nutrire il Pianeta, energia per la vita”.
L’Italia sarà dunque impegnata in una campagna volta ad ottenere il più alto numero di voti fra i 98 Paesi membri che, nella primavera del 2008, sceglieranno, fra le due candidate, la città che ospiterà la manifestazione.
Le strutture competenti a svolgere tali attività promozionali sono individuate, dall'articolo in esame, nella Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel Ministero degli affari esteri e nel Ministero del commercio internazionale, che le realizzano anche attraverso l’Ente Comitato di candidatura Expo-Milano 2015. L’Ente in questione riceve contributi statali secondo le modalità stabilite da apposita convenzione, restando fermo l’obbligo di rendicontazione.
Il Comitato interistituzionale è stato costituito con una delibera del Consiglio comunale di Milano approvata il 10 ottobre 2006. Al Comitato di Candidatura dell’Expo–Milano 2015 hanno aderito la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero degli affari esteri, il Ministero del commercio internazionale, la Regione Lombardia, il Comune di Milano, la Provincia di Milano, la Camera di Commercio di Milano, l’Ente autonomo Fiera internazionale di Milano. Il Comitato, che ha tenuto la sua prima riunione il 4 dicembre 2006, ha eletto come suo presidente il Sindaco di Milano.
In proposito, la relazione illustrativa del Governo precisa che la ratio della norma risiede nella necessità di consentire un’attività di promozione tempestiva e intensa, a tal uopo definendo le modalità per il trasferimento delle necessarie risorse finanziarie dal bilancio del Ministero degli affari esteri, ove sono allocate, al Comitato di candidatura dell’Expo Milano 2015, ritenuto, per i soggetti istituzionali che vi partecipano e per l’organizzazione già posta in essere, in grado di assicurare la necessaria competenza ed efficacia.
Inoltre, per effetto dell’articolo in commento, sempre ai fini della promozione della candidatura della città di Milano all'Esposizione universale del 2015, una quota delle risorse già stanziate – pari a 220.000 euro nel 2007 e 180.000 euro nel 2008, appostati nello stato di previsione del Ministero degli Affari esteri - viene riservata, in egual misura, a favore della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero del commercio internazionale. La rassegnazione di dette somme alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero del commercio internazionale avviene previo versamento delle medesime all’entrata del bilancio dello Stato.
Infine, la disposizione in esame consente all'Ente Comitato di candidatura Expo-Milano 2015, nell'affidamento e nell’esecuzione dei servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie in materia di appalti pubblici, di derogare alla normativa nazionale in materia di contratti pubblici e, in particolare, al titolo II della parte II del codice dei contratti pubblici per lavori, servizi e forniture, approvato con decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
Gli articoli da 121 a 125 del codice sono relativi ai contratti sotto soglia comunitaria, cioè quelli che non sono «di rilevanza comunitaria». Si tratta dei contratti pubblici il cui valore stimato al netto dell'I.V.A. è inferiore a 211.000 euro per gli appalti pubblici di forniture e di servizi e 5.278.000 euro per i contratti e le concessioni di lavori pubblici (ma la disposizione in commento si riferisce ai soli contratti di servizi e forniture).
Le disposizioni a cui l'ente potrà derogare prevedono una serie di adempimenti ridotti in tema di pubblicità dei bandi, di termini per la ricezione delle domande di partecipazione alle gare, di presentazione delle offerte, di comunicazione di capitolati e di esclusione automatica delle offerte. Sono derogabili, altresì, le disposizioni contenute nell'articolo 125, relativo ai servizi e forniture ottenuti "in economia", cioè mediante amministrazione diretta o cottimo fiduciario.
Nell'esecuzione dei contratti in parola, l'ente dovrà rispettare i "principi desumibili dalle disposizioni comunitarie". La direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, contiene le disposizioni comunitarie relative al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi. La direttiva (secondo considerando) stabilisce che l'aggiudicazione degli appalti è subordinata al rispetto dei principi del trattato ed in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonché ai principi che ne derivano, quali i principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento reciproco, di proporzionalità e di trasparenza.
1. L'articolo 19-bis della legge 25 novembre 1971, n. 1096, è sostituito dal seguente:
«Art. 19-bis. - 1. Al fine di promuovere la conservazione in situ e l'utilizzazione sostenibile delle risorse fitogenetiche, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, in attuazione degli impegni previsti dagli articoli 5, 6 e 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, ratificato ai sensi della legge 6 aprile 2004, n. 101, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, provvede all'istituzione di un apposito registro nazionale nel quale sono iscritte, su richiesta delle regioni e delle province autonome, di altri enti pubblici, di istituzioni scientifiche, organizzazioni sociali, associazioni e singoli cittadini, previa valutazione dell'effettiva unicità, le "varietà da conservazione", come definite al comma 2.
2. Si intendono per "varietà da conservazione" le varietà, le popolazioni, gli ecotipi, i cloni e le cultivar di interesse agricolo relativi alle seguenti specie di piante:
a) autoctone e non autoctone, mai iscritte in altri registri nazionali, purché integratesi da almeno cinquanta anni negli agroecosistemi locali;
b) non più iscritte in alcun registro e minacciate da erosione genetica;
c) non più coltivate sul territorio nazionale e conservate presso orti botanici, istituti sperimentali, banche del germoplasma pubbliche o private e centri di ricerca, per le quali sussiste un interesse economico, scientifico, culturale o paesaggistico a favorirne la reintroduzione.
3. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito delle rispettive competenze, tutelano il patrimonio agrario costituito dalle risorse genetiche delle piante di cui al comma 2 e provvedono affinché le comunità locali che ne hanno curato la conservazione partecipino ai benefìci derivanti dalla loro riproduzione, come previsto dalla Convenzione internazionale sulla biodiversità, ratificata ai sensi della legge 14 febbraio 1994, n. 124.
4. L'iscrizione delle "varietà da conservazione" nel registro di cui al comma 1 è gratuita ed esentata dall'obbligo di esame ufficiale, anche sulla base di adeguata considerazione dei risultati di valutazioni non ufficiali, delle conoscenze acquisite dagli agricoltori nell'esperienza pratica della coltivazione, della riproduzione e dell'impiego. Ai fini dell'iscrizione è altresì disposta la deroga alle condizioni di omogeneità, stabilità e differenziabilità previste dall'articolo 19.
5. Per quanto non previsto dal presente articolo l'iscrizione delle "varietà da conservazione" nel registro di cui al comma 1 è disciplinata dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 ottobre 1973, n. 1065, e dalla legge 20 aprile 1976, n. 195.
6. Ai produttori agricoli, residenti nei luoghi dove le "varietà da conservazione" iscritte nel registro di cui al comma 1 hanno evoluto le loro proprietà caratteristiche o che provvedano al loro recupero e mantenimento, è riconosciuto il diritto alla vendita diretta in ambito locale di modiche quantità di sementi o materiali da propagazione relativi a tali varietà, qualora prodotti nella azienda condotta. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali stabilisce, con proprio decreto, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le modalità per l'esercizio di tale diritto.
7. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali può definire, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adeguate restrizioni quantitative ed eventuali deroghe ai fini dell'iscrizione nei registri di cui all'articolo 19 nel caso di coltivazione e commercializzazione di sementi di specie e varietà prive di valore intrinseco per la produzione vegetale, ma sviluppate per la coltivazione in condizioni particolari.
8. Sono escluse dal campo di applicazione del presente articolo le varietà geneticamente modificate, come definite dall'articolo 1 del decreto legislativo 24 aprile 2001, n. 212.
9. Per il funzionamento del registro di cui al comma 1, è autorizzata la spesa annua di 30.000 euro a decorrere dall'anno 2007. Al relativo onere, pari a euro 30.000 annui a decorrere dall'anno 2007, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali».
L’articolo 2-bis, introdotto durante l’esame al Senato, detta disposizioni per l’attuazione degli articoli 5, 6 e 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura.
Il Trattato internazionale sulle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura è stato adottato a Roma il 3 novembre 2001 nell’ambito della trentunesima Conferenza della FAO. Le problematiche da esso affrontate investono settori fondamentali per la sopravvivenza dell’umanità, come la conservazione dell’ambiente, la biodiversità, lo sviluppo sostenibile e la sicurezza alimentare. Il suo obiettivo principale consiste nel conservare e garantire l’uso duraturo delle risorse genetiche vegetali, elaborando alcontempo un sistema diretto a una giusta ed equa ripartizione dei vantaggi derivanti dall’utilizzazione di queste risorse.
Il Trattato è in vigore internazionale dal 29 giugno 2004: l’Italia lo ha ratificato con la legge 6 aprile 2004, n. 101, ed il Trattato è entrato in vigore per il nostro Paese il 16 agosto 2004.
Nel Preambolo si evidenzia l'allarme delle Parti per la continua erosione delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura, essenziali per tutti i Paesi, che dipendono largamente da risorse prodotte altrove. Inoltre si sottolinea l'importanza di una corretta gestione delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura affinché possano essere credibilmente perseguiti gli obiettivi della Dichiarazione di Roma sulla sicurezza alimentare mondiale e del Piano di azione del Vertice Mondiale sull’alimentazione, e per uno sviluppo agricolo sostenibile dall'ambiente. Viene poi riconosciuto che le risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura sono la materia prima indispensabile per il miglioramento genetico delle colture, e sono quindi fondamentali ai fini dell’adattamento a cambiamenti ambientali e a bisogni umani futuri imprevedibili. In tale quadro è essenziale il contributo degli agricoltori in tutte le regioni del mondo. I diritti riconosciuti dal Trattato a conservare, utilizzare, scambiare e vendere sementi e altro materiale di riproduzione, a partecipare al processo decisionale relativo all’utilizzo delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura, nonché alla ripartizione giusta ed equa dei benefici che ne derivano, rivestono un rilievo fondamentale ai fini della tutela degli agricoltori. Gli Stati, d’altro canto, sono destinati a trarre vantaggi da un efficace Sistema multilaterale per un accesso facilitato a una selezione negoziata delle risorse in questione e per la giusta ed equa ripartizione dei benefici che derivano dal loro utilizzo.
La Parte II è dedicata alle disposizioni generali. In particolare, l'articolo 5 prevede che ciascuna Parte Contraente deve “rilevare e inventariare le risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura, tenendo conto della condizione e del grado di variazione nelle popolazioni esistenti, comprese quelle che sono di uso potenziale e, quando possibile, valutare qualunque minaccia ad esse”. Le Parti dovranno inoltre sostenere “gli sforzi degli agricoltori e delle comunità locali per gestire e conservare in azienda le loro risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura”, nonché promuovere la conservazione, nel loro ambiente naturale, di colture selvatiche tra loro affini e di piante selvatiche per la produzione alimentare. Le Parti di impegnano altresì a una cooperazione volta a sviluppare un efficiente sistema di conservazione delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura anche al di fuori del loro habitat naturale, e ad adottare le misure appropriate per eliminare o ridurre al minimo ogni minaccia alle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura.
L’articolo 6 (“Utilizzo sostenibile delle risorse genetiche vegetali”) prevede che le Parti ne perseguano gli obiettivi attraverso politiche agricole improntate all’equità, nonché con “il rafforzamento della ricerca che migliori e conservi la biodiversità, massimizzando la variazione intra e inter-specifica a beneficio degli agricoltori, specialmente di quelli che producono e utilizzano le proprie varietà e applicano principi ecologici nel mantenere la fertilità del terreno e nel combattere le malattie, le erbacce e i parassiti”. Inoltre, sarà necessario rafforzare le capacità "di sviluppare varietà particolarmente adattate alle condizioni sociali, economiche ed ecologiche, anche nelle aree marginali", al fine tra l'altro di ottenere un incremento della produzione alimentare mondiale che sia compatibile con la cornice ambientale. Uno strumento rilevante dovrà essere la revisione delle strategie di riproduzione vegetale, nonché di cessione delle varietà e distribuzione delle sementi.
La Parte III, poi, si occupa dei diritti degli agricoltori. L’articolo 9 riconosce il grande contributo delle comunità locali e indigene e degli agricoltori alla conservazione ed allo sviluppo delle risorse genetiche vegetali. Ai Governi è affidato il compito di agire per il rispetto dei diritti degli agricoltori, favorendo la protezione delle conoscenze tradizionali ed una equa partecipazione alla ripartizione dei benefici e ai processi decisionali nazionali. L’articolo 9, al par. 3, contiene un'esplicita clausola di salvaguardia del " diritto degli agricoltori a conservare, utilizzare, scambiare e vendere sementi da essi conservate o materiale di riproduzione, salvo quanto previsto dalla legge nazionale".
La Parte IV tratta del Sistema multilaterale di accesso e di ripartizione dei benefici: ai sensi dell'articolo 11, in particolare, il Sistema multilaterale amministrerà le risorse fitogenetiche di cui all'Allegato I - redatto in base a criteri di sicurezza alimentare e interdipendenza -, le quali siano sotto il controllo delle Parti contraenti. Queste ultime "invitano tutti i possessori delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura elencate nell’Allegato I a includerle nel Sistema Multilaterale". L'Organo direttivo (v. infra) valuterà i progressi nell'ampliamento del Sistema multilaterale al maggior numero di risorse fitogenetiche: in base a tale valutazione, le persone fisiche e giuridiche che si siano sottratte all'inclusione delle risorse potranno incorrere in restrizioni nell'accesso al Sistema multilaterale e ai benefici di esso.
L'articolo 12 si occupa appunto delle caratteristiche dell'accesso facilitato alle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura all’interno del Sistema Multilaterale. L'accesso va fornito a condizione di escludere "impieghi industriali chimici, farmaceutici e/o altri non destinati all’alimentazione umana o animale. Nel caso di colture a uso multiplo (alimentare e non alimentare), la loro importanza per la sicurezza alimentare dovrebbe essere il fattore determinante per la loro inclusione nel Sistema Multilaterale e la disponibilità a un accesso facilitato". Nel caso di richieste di pagamenti, essi non debbono eccedere i costi minimi. D'altra parte, i destinatari dei trasferimenti "non devono rivendicare alcuna proprietà intellettuale o altri diritti che limitino l’accesso facilitato alle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura, o alle loro parti genetiche o componenti, nella forma ricevuta dal Sistema Multilaterale": restano però fermi i diritti per quelle risorse che siano già protette dalle leggi nazionali o da Accordi internazionali. L'accesso facilitato dovrà essere fornito in conformità con un MTA (Accordo standard sul trasferimento di materiale), adottato dall'Organo direttivo. Rilevante appare il disposto del punto 12.6, per il quale in "situazioni di emergenza dovute a calamità, le Parti Contraenti convengono di fornire accesso facilitato alle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura appropriate nel Sistema Multilaterale allo scopo di contribuire al ripristino dei sistemi agricoli, in cooperazione con i coordinatori dell’assistenza alle calamità".
La sopra richiamata legge di autorizzazione alla ratifica del Trattato, all’art. 3, comma 1, ha previsto che le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono all’attuazione delle disposizioni del Trattato, limitatamente alle risorse finanziarie disponibili, ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 5, della legge 5 giugno 2003, n. 131 “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3”. La legge 131/2003 costituisce in sostanza l’attuazione normativa primaria di quanto previsto dall’art. 117, quinto comma, della Costituzione, nella parte in cui demanda alle Regioni ed alle province autonome, nelle materie di loro competenza, l’attuazione e l’esecuzione degli accordi internazionali, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina il potere sostitutivo in caso di inadempienza. In particolare, a norma del comma 1 dell’art. 6 cit., le Regioni e le province autonome debbono provvedere all’attuazione ed all’esecuzione degli accordi internazionali dandone preventiva comunicazione al Ministero degli affari esteri ed al Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei ministri, i quali, nei successivi trenta giorni, possono formulare criteri e osservazioni. Inoltre, il comma 5 dell’art. 6 cit, prevede che il Ministro degli affari esteri possa, in qualsiasi momento, presentare alla Regione o alla provincia autonoma questioni di opportunità inerenti, in particolare, all’attuazione degli accordi internazionali e, in caso di dissenso, chiedere che la questione venga risolta attraverso una deliberazione del Consiglio dei ministri. Il comma 1 prevede che tale attività di attuazione abbia luogo entro un anno dalla data di entrata in vigore del Trattato. In base al comma 2, il Ministero delle politiche agricole e forestali opera il monitoraggio degli interventi effettuati dalle Regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano; detto Ministero, inoltre, cura l’informazione, a livello internazionale, sullo stato di applicazione del Trattato. Il comma 3 stabilisce che entro il 30 giugno di ogni anno le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano comunichino, al Ministero delle politiche agricole e forestali e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, quanto di loro competenza sull’attuazione delle disposizioni contenute negli articoli 5, 6, 9, 11 e 12 del Trattato.
L’articolo 2-bis in commento prevede l’attuazione degli articoli 5, 6 e 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura mediante novella integrale dell’art. 19-bis della legge 25 novembre 1971, n. 1096[10], che prevede particolari modalità di registrazione per le risorse fitogenetiche definite come “varietà da conservazione”.
La legge 25 novembre 1971, n. 1096, disciplinala produzione a scopo di vendita dei prodotti sementieri.
La legge n. 1096/1971 è stata successivamente modificata dalla legge 20 aprile 1976, n. 195; per gli aspetti concernenti l'attuazione delle disposizioni normative primarie contenute nelle predette leggi è stato emanato il regolamento di cui al D.P.R. n. 1065/93[11].
Ulteriori modifiche alla legge n. 1096/1971 sono state introdotte dal D.Lgs. 24 aprile 2001, n. 212, che ha recepito le direttive n. 98/95 CE e 98/96 CE.
La normativa sopra richiamata prevede, tra l’altro, la tenuta da parte del Ministero agricolo di registri di varietà per ciascuna specie di coltura, aventi lo scopo di permettere l'identificazione delle varietà stesse, anche ai fini dei controlli previsti per l'accertamento delle caratteristiche e condizioni richieste perl'immissione in commercio.
Per agevolare la conservazione in situ e l’utilizzazione sostenibile di risorse fitogenetiche, mediante la coltivazione e la commercializzazione di sementi di specie e varietà adatte alle condizioni naturali locali e minacciate dall’erosione genetica, il D.Lgs. n. 212/2001 ha aggiunto nella legge n. 1096/1971 l’art. 19-bis, il quale consente l’iscrizione delle sementi di cui sopra, indicate come “varietà da conservazione”, nei registri di varietà, con modalità agevolate. Tale sementi possono infatti essere esentate dall’esame ufficiale richiesto in via generale per l’iscrizione nei registri, tenendo conto anche dei risultati di valutazioni non ufficiali, delle conoscenze acquisite con l’esperienza pratica durante la coltivazione, la riproduzione e l’impiego e delle descrizioni dettagliate delle varietà e delle loro denominazioni così come notificate; per le “varietà da conservazione”è inoltre possibile derogare alle condizioni di omogeneità, stabilità e differenziabilità normalmente richieste per la iscrizione nei registri.
L’articolo 2-bis in esamesostituisce il citato art. 19-bis della legge n. 1096/1971, il cui nuovo testo viene ad essere strutturato come segue.
Il comma 1 prevede la istituzione, in attuazione degli impegni discendenti dagli articoli 5, 6 e 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura (v. supra), di un apposito registro nazionale delle “varietà da conservazione”; l’istituzione del registro è affidata al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, sentita la Conferenza Stato-regioni.
Si ricorda, sul punto, che l’art. 3 della legge 6 aprile 2004, n. 101, di ratifica del Trattato sopra citato, ne affida (v. supra) l’esecuzione alle Regioni, riservando allo Stato il monitoraggio degli interventi regionali e la funzione di riferire sul piano internazionale in ordine allo stato di applicazione del Trattato.
Il comma 2 reca una analitica definizione di “varietà da conservazione”, intendendo per tali le varietà, le popolazioni, gli ecotipi, i cloni e le cultivar di interesse agricolo, relativi a piante:
a) autoctone e non, mai iscritte nei registri nazionali, purché integratesi da almeno 50 anni negli agrosistemi locali;
b) non più iscritte nei registri e minacciate da erosione genetica;
c) non più coltivate sul territorio nazionale e conservate presso strutture di ricerca, ove sussista un interesse economico, scientifico, culturale o paesaggistico a favorirne la reintroduzione.
Il comma 3 affida al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ed alle regioni e province autonome, secondo le rispettive competenze, la tutela del patrimonio agrario di cui al comma 2, come previsto dalla Convenzione internazionale sulla biodiversità, ratificata ai sensi della legge 14 febbraio 1994, n. 124.
I commi 4 e 5 dettano disposizioni, sostanzialmente riproduttive della normativa vigente (v. supra), in ordine alle procedure e condizioni per l’iscrizione delle “varietà da conservazione” nel registro di cui al comma 1.
Il comma 6 detta disposizioni volte a favorire la vendita diretta in ambito locale da parte dei produttori agricoli di modiche quantità di sementi o materiali da propagazione relativi a “varietà da conservazione”.
Il comma 7, in analogia a quanto disposto dal comma 2 del testo vigente dell’articolo oggetto di modifica, prevede la possibilità di restrizioni quantitative per l’iscrizione nei registri “ordinari” di cui all’art. 19 della legge n. 1096/1971, con riferimento alle sementi di specie e varietà prive di valore intrinseco per la produzione vegetale, ma sviluppate per la coltivazione in condizioni particolari.
Il comma 8 esclude dal campo di applicazione dell’articolo in commento le varietà geneticamente modificate [12].
Il comma 9 autorizza la spesa annua di 30.000 Euro a decorrere dal 2007 per il funzionamento del registro di cui al comma 1, allo scopo utilizzando parzialmente l’accantonamento di competenza del Ministero delle politiche agricole e forestali sui fondi speciali di parte corrente per l’esercizio in corso.
Articolo 3
(Adeguamento a decisioni comunitarie in
materia fiscale e societaria)
1. L'articolo 2450 del codice civile è abrogato.
2. All'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 143, la parola: «maturati» è sostituita dalla seguente: «pagati».
3. Le ritenute sugli interessi e i canoni maturati fino al 31 dicembre 2003 e pagati a decorrere dal 1o gennaio 2004 ai soggetti non residenti di cui all'articolo 26-quater, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sono restituite dai soggetti indicati nel citato articolo 26-quater, comma 1, lettere a) e b), i quali, ai fini del recupero delle ritenute restituite, utilizzano la modalità di compensazione prevista dall'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni.
4. I compiti assegnati all'Agenzia delle entrate ai sensi del presente decreto sono svolti con le risorse umane e finanziarie assegnate a legislazione vigente.
5. Agli oneri derivanti dalle disposizioni di cui ai commi 2 e 3, valutati in 26 milioni di euro per l'anno 2007, si provvede con quota parte delle maggiori entrate derivanti dalle disposizioni di cui all'articolo 1. Tali maggiori entrate affluiscono in apposita contabilità speciale intestata al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento per le politiche fiscali e una quota parte delle stesse, pari a 26 milioni di euro, è riversata nell'anno 2007 all'entrata del bilancio dello Stato. Il conto speciale è impignorabile.
6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
7. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui ai commi 2 e 3, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Gli eventuali decreti emanati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, n. 2), della medesima legge n. 468 del 1978, prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti o delle misure di cui al periodo precedente, sono tempestivamente trasmessi al Parlamento, corredati da apposite relazioni illustrative.
7-bis. Al fine di adeguare la normativa nazionale alle prescrizioni della giurisprudenza comunitaria di cui alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee C-197/03 dell'11 maggio 2006, all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è abrogato;
b) al comma 2, le parole: «indicati al comma 1» sono sostituite dalle seguenti: «1985, 1986, 1987, 1988, 1989, 1990, 1991 e 1992» e le parole: «della differenza fra le somme versate e quelle dovute a norma del citato comma 1» sono sostituite dalle seguenti: «delle somme versate»;
c) al comma 3, le parole: «nella misura del tasso legale vigente alla data di entrata in vigore della presente legge» sono sostituite dalle seguenti: «nella misura stabilita dall'articolo 1 della legge 26 gennaio 1961, n. 29, e successive modificazioni».
L’articolo 3 recepisce alcuni rilievi espressi dalle istituzioni europee nei confronti di disposizioni del nostro ordinamento in materia di diritto societario (nomina di organi societari da parte dello Stato e di enti pubblici in società per azioni non a partecipazione pubblica, comma 1) e diritto tributario (esenzione fiscale dei pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi, commi 2-7, e tassa di concessione governativa per iscrizione di atti nel registro delle imprese, comma 7-bis).
Il comma 1 dell’articolo 3 abroga l’articolo 2450 del codice civile.
Il menzionato articolo 2450 prevede che lo Stato o gli enti pubblici, anche in mancanza di una partecipazione azionaria, possano nominare uno o più amministratori o sindaci ovvero componenti il consiglio di sorveglianza di una società per azioni[13]. Tale prerogativa deve fondarsi su una disposizione di legge o dello statuto della società.
Nella fattispecie così delineata, qualora uno o più sindaci siano nominati dallo Stato, il presidente del collegio sindacale deve essere scelto tra essi.
L’articolo 2450 richiama il dettato normativo dell’articolo 2449 cod. civ. (relativo alle società con partecipazione dello Stato e di altri enti pubblici): pertanto, gli amministratori e i sindaci o i componenti del consiglio di sorveglianza nominati dall’operatore pubblico possono essere revocati soltanto dal medesimo operatore che li ha nominati.
Gli amministratori, i sindaci o i componenti del consiglio di sorveglianza nominati secondo le sopra illustrate modalità sono equiparati, nei diritti e negli obblighi, ai membri nominati dall’assemblea.
Sono fatte salve le disposizioni di legge speciale.
Per effetto dell’abrogazione in oggetto, si recepisce l’indicazione della Commissione europea, che aveva avviato una procedura d’infrazione (2006/2104), mettendo in mora l’Italia per violazione degli articoli 43 e 56 del Trattato CE sul diritto di stabilimento e sulla libera circolazione dei capitali.
Come si legge nella relazione illustrativa del Governo, <<l’articolo 2450 cod. civ. risulta attualmente privo di concreta attuazione nel sistema societario; per di più, a fronte di tale sostanziale inutilità, esso appare in palese contrasto con la normativa comunitaria, caratterizzato com’è dall’attribuzione a soggetti pubblici della possibilità di ingerirsi nella gestione e nel controllo di società di cui non sono neppure soci>>.
I commi 2 e 3 sono finalizzati a recepire le indicazioni fornite dalla Commissione europea in merito alla corretta trasposizione della direttiva 2003/49/CE (“Direttiva del Consiglio concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi”- c.d. direttiva interessi e royalties).
Il comma 1 dell’articolo 1 della menzionata direttiva (“Ambito d’applicazione e procedura”) prevede che i pagamenti di interessi o di canoni provenienti da uno Stato membro sono esentati da ogni imposta applicata in tale Stato su detti pagamenti, sia tramite ritenuta alla fonte sia previo accertamento fiscale, a condizione che il beneficiario effettivo degli interessi o dei canoni sia una società di un altro Stato membro o una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro di una società di uno Stato membro.
In base all’articolo 2 (“Definizione di interessi e canoni”) per interessi si intendono i redditi da crediti di qualsiasi natura, garantiti o non da ipoteca, e recanti o meno una clausola di partecipazione agli utili del debitore e, in particolare, i redditi derivanti da titoli e da obbligazioni di prestiti, compresi i premi collegati a detti titoli; per canoni si intendono i compensi di qualsiasi natura percepiti per l’uso o la concessione in uso del diritto di autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche, comprese le pellicole cinematografiche, e il software, di brevetti, marchi di fabbrica o di commercio, disegni o modelli, progetti, formule o processi segreti o per informazioni concernenti esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico; sono considerati canoni i compensi per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche.
Il decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 143, recante il recepimento della menzionata direttiva, prevedeva – al comma 1 dell’articolo 3 – che le proprie disposizioni si applicassero soltanto agli interessi e ai canoni maturati a decorrere dal 1° gennaio 2004, con esclusione degli importi maturati precedentemente e corrisposti a partire dalla stessa data, sebbene la direttiva 2003/49/CE si riferisca al momento del pagamento degli interessi e dei canoni.
La scelta del Governo italiano di ancorare la decorrenza agli interessi e ai canoni “maturati” dal 1° gennaio 2004, anziché a quelli “pagati”, aveva trovato una giustificazione nella necessità di “impedire il ricorso da parte della società estera a pratiche dilatorie volte a ritardare la percezione degli interessi e dei canoni maturati anteriormente alla predetta data allo scopo di beneficiare dell’esenzione” (circolare 47/E del 2005 dell’Agenzia delle entrate).
La Commissione europea aveva pertanto avviato una procedura d’infrazione nei confronti della Repubblica italiana - procedura n. 2006/4136, che è giunta alla fase di emissione del parere motivato n. C 6020 del 12 dicembre 2006 - ritenendo che la scelta operata con il D.Lgs. n. 143 del 2005 avesse ridotto l’ambito applicativo delle norme comunitarie e fosse sproporzionata rispetto alla finalità di prevenire eventuali abusi.
Il comma 2 dell’articolo 3 in esame corregge il menzionato articolo 3, comma 1, del D.Lgs. n. 143 del 2005, in modo da fare riferimento agli interessi e ai canoni pagati a partire dal 1° gennaio 2004: pertanto, viene riconosciuta retroattivamente la vigenza del principio di cassa, anziché quello di competenza.
Di conseguenza, il comma 3 stabilisce che le ritenute sugli interessi e sui canoni maturati fino al 31 dicembre 2003 e pagati dal 1° gennaio 2004 ai soggetti non residenti di cui all’articolo 26-quater, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973[14], sono restituite dai soggetti indicati nel citato articolo 26-quater, comma 1, lettere a) e b), i quali potranno a loro volta recuperare le ritenute restituite, avvalendosi dello strumento della compensazione, disciplinato dall’articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997[15].
L’articolo 26-quater, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, prevede che gli interessi e i canoni pagati a soggetti non residenti aventi i requisiti di cui al comma 4, lettera a)[16], o a una stabile organizzazione, situata in un altro Stato membro, di società che hanno i suddetti requisiti sono esentati da ogni imposta, quando tali pagamenti sono effettuati:
a) da società ed enti che rivestono una delle forme previste dall’allegato A al suddetto D.P.R., che risiedono, ai fini fiscali, nel territorio dello Stato e sono assoggettate, senza fruire di regimi di esonero, all’imposta sul reddito delle società;
b) da una stabile organizzazione, situata nel territorio dello Stato e assoggettata, senza fruire di regimi di esonero, all’imposta sul reddito delle società, di società non residenti aventi i requisiti di cui al comma 4, lettera a), qualora gli interessi o i canoni siano inerenti all’attività della stabile organizzazione stessa.
Dunque, per effetto delle novelle apportate dai commi 2 e 3, sono esentati da ritenute alla fonte i pagamenti di interessi e canoni effettuati da società italiane a consociate comunitarie, anche se maturati anteriormente al 1° gennaio 2004, purché pagati successivamente a tale data.
Si prevede, altresì, che le ritenute già versate vengano restituite alle società (o alle stabili organizzazioni) interessate direttamente dalle società pagatrici residenti; queste ultime avranno diritto a recuperare, mediante compensazione, le ritenute restituite.
Come indicato nella relazione illustrativa del Governo, qualora non sia possibile procedere al rimborso previsto dal comma 3 (si pensi al caso in cui non sussistano più i rapporti societari di collegamento), le ritenute operate sugli interessi e i canoni maturati fino al 31 dicembre 2003 - e pagati a decorrere dal 1° gennaio 2004 ai soggetti non residenti di cui all’articolo 26-quater, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 - sono comunque rimborsate ai sensi dell’articolo 38 (“Rimborso dei versamenti diretti”) del D.P.R. n. 602 del 1973 (recante “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”). Infatti “la disposizione contenuta nel citato articolo 38 si configura come una norma di carattere generale, che si applica in tutti i casi in cui si verifichi il pagamento di un’imposta non dovuta”.
Il comma 1 del citato articolo 38 prevede che il soggetto che ha effettuato il versamento diretto possa presentare all’intendente di finanza, nella cui circoscrizione ha sede il concessionario presso il quale è stato eseguito il versamento, istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento.
In base al comma 4 dell’articolo 3 in esame, i compiti assegnati all’Agenzia delle entrate ai sensi del presente decreto-legge devono essere svolti con le risorse umane e finanziarie assegnate a legislazione vigente.
I commi 5 e 6 dell’articolo 3 provvedono alla copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui ai precedenti commi 2 e 3, mediante utilizzo di parte delle maggiori entrate derivanti dall’applicazione dell’articolo 1 (per il quale si rinvia alla relativa scheda di lettura). I suddetti oneri sono valutati[17]in 26 milioni di euro per l’anno 2007.
Tali maggiori entrate affluiscono in un’apposita contabilità speciale, intestata al Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell’economia e delle finanze; una parte delle suddette entrate, pari a 26 milioni di euro, è riversata, nell’anno 2007, all’entrata del bilancio dello Stato. Il predetto conto speciale intestato al Dipartimento per le politiche fiscali non è pignorabile.
Il comma 6 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio.
Il comma 7 dell’articolo 3 introduce una clausola di salvaguardia finanziaria, prevedendo il monitoraggio da parte del Ministro dell’economia e finanze degli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni dei precedenti commi 2 e 3, ai fini dell’adozione dei provvedimenti correttivi previsti dall’articolo 11-ter, co. 7, della legge n. 468/1978 (legge di contabilità generale dello Stato).
L’articolo 11-ter, comma 7, della legge n. 468/1978, come modificato dal D.L. n. 194/2002 (cd. decreto-legge “tagliaspese”), impegna i Ministri di settore ad informare tempestivamente il Ministro dell’economia e delle finanze degli eventuali scostamenti rispetto alle previsioni di spesa che si verifichino nel corso dell’attuazione di provvedimenti legislativi. Il Ministro dell’economia è quindi tenuto a riferire al Parlamento con una propria relazione, che individui le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini di eventuali conseguenti iniziative legislative. Il Ministro dell'economia e delle finanze può promuovere la procedura suddetta allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica indicati dal Documento di programmazione economico-finanziaria e da eventuali aggiornamenti, come approvati dalle relative risoluzioni parlamentari.
È inoltre prevista, sempre a fini di salvaguardia, la trasmissione alle Camere degli eventuali decreti adottati dal Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 7, secondo comma, punto 2), della legge n. 468 del 1978.
Si tratta dei decreti mediante i quali il Ministro dell’economia e finanze provvede ad aumentare gli stanziamenti di capitoli di spesa aventi carattere obbligatorio, con risorse prelevate a valere sul Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine.
Si ricorda che allo stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze del bilancio dello Stato (legge n. 298/2006) è allegato l'elenco dei capitoli relativi a spese obbligatorie, per i quali è possibile l’utilizzo del citato Fondo di riserva.
Il comma 7-bis dell’articolo 3, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, interviene in materia di tassa di concessione governativa per le iscrizioni nel registro delle imprese, al fine di recepire i rilievi espressi dalla Corte di giustizia delle comunità europee con la sentenza 11 maggio 2006, nella causa C-197/03.
Gli importi della tassa di concessione governativa per le iscrizioni nel registro delle imprese sono determinati dall’articolo 3 (ex 4) della tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, recante Disciplina delle tasse sulle concessioni governative.
Sino all’entrata in vigore dell’articolo 3, commi 18 e 19, del D.L. 19 dicembre 1984, n. 853, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 1985, n. 17, la tassa si applicava esclusivamente per l’iscrizione nel suddetto registro dell’atto costitutivo delle società. La disposizione da ultimo citata, oltre ad aumentare l’importo della tassa[18], ha introdotto l’ulteriore obbligo di versare la tassa nella stessa misura per ciascun anno successivo di iscrizione nel registro.
La Corte di giustizia delle comunità europee ha ritenuto incompatibile con il diritto comunitario l’imposizione di un onere fiscale annuale per il mantenimento dell’iscrizione della società nel registro delle imprese. Con la sentenza del 20 aprile 1993, nelle cause riunite C-71/91 e C-178/91, la Corte ha infatti dichiarato che gli articoli 10 e 12, lettera e), della direttiva n. 69/335/CEE, che disciplina l’imposizione indiretta sulla raccolta di capitali, vietano l’esistenza di tributi annuali dovuti in ragione dell’iscrizione delle società di capitali, consentendo invece la riscossione di diritti di carattere remunerativo come corrispettivo di operazioni imposte dalle legge per uno scopo di interesse generale, come, ad esempio, l’iscrizione delle società di capitali. L’entità di tali diritti, che può variare a seconda della forma giuridica della società, deve essere calcolata in base al costo dell'operazione, che può essere determinato forfettariamente.
Successivamente all’intervento della Corte di giustizia, è stato emanato l’articolo 61 del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, il quale, sostituendo l'articolo 4 della tariffa annessa al D.P.R. n. 641 del 1972 ha, da un lato, modificato gli importi della tassa per l'iscrizione, e dall'altro ha provveduto alla definitiva abolizione della tassa annuale sulle società.
In particolare, il citato articolo 61 aveva stabilito per le iscrizioni nel registro delle imprese relative a società nazionali e a società estere aventi la sede legale o l'oggetto principale nel territorio dello Stato le seguenti misure di tassa:
a) atto costitutivo: lire 500.000
b) altri atti sociali soggetti ad iscrizione in base alle disposizioni del codice civile: lire 250.000
Per le iscrizioni nel registro delle imprese relative a società estere con sede secondaria nel territorio dello Stato, a imprenditori individuali, a consorzi ed altri enti pubblici e privati, con o senza personalità giuridica, diversi dalle società, la tassa era prevista nella misura di lire 250.000.
La nota 2 all'articolo 4 della tariffa (successivamente divenuto articolo 3) precisava che le tasse non erano dovute dalle cooperative sociali, di mutua assicurazione e di mutuo soccorso, dalle società sportive di cui all'articolo 10 della legge 23 marzo 1981, n. 91, e dalle società di ogni tipo che non svolgono attività commerciali i cui beni immobili sono totalmente destinati allo svolgimento delle attività politiche dei partiti rappresentati nelle assemblee nazionali e regionali, delle attività culturali, ricreative, sportive ed educative dei circoli aderenti ad organizzazioni nazionali legalmente riconosciute, delle attività sindacali dei sindacati rappresentati nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.
La tassa di concessione governativa in commento è stata poi definitivamente soppressa, a decorrere dal 1° gennaio 1998, dall'articolo 3, comma 138, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.
In conseguenza della ricordata sentenza della Corte di giustizia del 20 aprile 1993 si è instaurato un ulteriore contenzioso in merito alla ripetibilità delle tasse riscosse in violazione della normativa comunitaria, con particolare riferimento al termine di decadenza per la richiesta di rimborso.
La Corte di cassazione (sentenza 23 febbraio 1996, n. 3458) ha ritenuto applicabile il termine di decadenza triennale, decorrente dalla data del pagamento del tributo, previsto dall’articolo 13, comma 2, del D.P.R. n. 641 del 1972, per la restituzione delle tasse di concessione governativa erroneamente pagate.
Con sentenze del 15 settembre 1998 (cause C-231/96 e C-260/96), la Corte di giustizia si è pronunciata in merito ai termini di decadenza per la richiesta di rimborso della tassa di concessione governativa in commento, ammettendo l'applicabilità del termine triennale.
In particolare, la Corte ha riconosciuto allo Stato nazionale il diritto a stabilire per il recupero delle imposte dichiarate in contrasto con la normativa comunitaria dei termini per l'azione di ripetizione diversi da quelli validi per l'indebito civile. La Corte ha anche stabilito che il diritto comunitario non vieta a uno Stato membro di opporre alle azioni di ripetizione di tributi riscossi in violazione di una direttiva un termine nazionale di decadenza che decorra dalla data del pagamento dei tributi di cui trattasi, anche se, a questa data, la direttiva non era stata ancora correttamente attuata nell'ordinamento nazionale.
In relazione all’accennata problematica relativa alla restituzione delle tasse indebitamente versate, è stato emanato l’articolo 11 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, il quale ha dettato disposizioni per il rimborso della tassa di concessione governativa in esame, prevedendo contemporaneamente la rideterminazione in via retroattiva della misura della tassa per gli anni dal 1985 al 1992[19], attraverso l’interpretazione autentica dell’articolo 61 del D.L. n. 331 del 1993.
Il comma 1 dell’articolo 11 ha confermato in lire 500.000 la misura della tassa dovuta per l'iscrizione dell'atto costitutivo e ha previsto l’applicazione della tassa di concessione governativa per l’iscrizione degli atti sociali, diversi dall’atto costitutivo, nelle seguenti misure forfetarie per ciascuno degli anni sopra indicati:
a) per le società per azioni e in accomandita per azioni: lire 750.000;
b) per le società a responsabilità limitata: lire 400.000;
c) per le società di altro tipo: lire 90.000.
Il rimborso avviene sulla base della differenza tra i nuovi importi fissati dal comma 1 dell’articolo 11 e quelli effettivamente corrisposti dalle società per il medesimo periodo. Condizione per ottenere il rimborso (comma 2) è quella di aver presentato istanza nel termine di decadenza triennale previsto dall'articolo 13 del D.P.R. n. 641 del 1972.[20]
Il comma 3 ha previsto la corresponsione degli interessi sull'importo da rimborsare, calcolati al tasso legale, vigente alla data di entrata in vigore della legge n. 448 del 1998[21], e decorrenti dalla data di presentazione dell'istanza di rimborso.
Per quanto concerne la procedura di rimborso, il comma 4 ha stabilito che nel corso del 1999 il Ministero delle finanze era tenuto ad esaminare le istanze di rimborso a suo tempo presentate, controllandone la validità e la tempestività; a partire dal secondo semestre dello stesso anno avrebbero dovuto essere avviate le procedure di rimborso, da eseguire secondo l'ordine cronologico di presentazione delle istanze e a partire da quelle di minore importo.
I successivi commi 5 e 6 hanno dettato disposizioni relative alle modalità di rimborso della tassa e alla copertura dei relativi oneri. A questo proposito si segnala che il comma 5 ha stanziato una somma massima di 2.500 miliardi di lire per i rimborsi da effettuare per la prima annualità, demandando alla legge finanziaria la determinazione degli stanziamenti per le annualità successive.
In conseguenza di questo intervento legislativo, la Commissione delle comunità europee ha proposto ricorso contro la Repubblica italiana in data 12 maggio 2003 per i seguenti motivi (causa C-197/03):
1. incompatibilità con il diritto comunitario della tassa forfetaria retroattiva di cui all’articolo 11 della legge n. 448 del 1998.
Tale censura è stata considerata fondata dalla Corte di giustizia (sentenza 11 maggio 2006) in quanto la tassa forfetaria non ha carattere remunerativo del servizio svolto[22], avendo le autorità italiane già riscosso, in occasione dell’iscrizione di atti diversi dall’atto costitutivo, tasse analoghe, che si considerano aver remunerato il servizio reso. La Corte osserva inoltre che tali tasse non possono a fortiori avere carattere remunerativo qualora si riferiscano ad anni in cui non si è proceduto all’iscrizione di atti diversi dall’atto costitutivo.
2. incompatibilità con il diritto comunitario delle modalità di calcolo degli interessi applicabili ai rimborsi. La Commissione ritiene che la misura legale degli interessi, stabilita dall’articolo 11 cit., comma 3, sia inferiore agli interessi che sarebbero spettati in mancanza di tale espressa previsione.
Anche tale censura è stata considerata fondata dalla Corte di giustizia nella stessa sentenza 11 maggio 2006, come violazione del principio di equivalenza, elaborato dalla giurisprudenza comunitaria.[23]
3. incompatibilità con il diritto comunitario delle modalità di rimborso della tassa di concessione governativa in esame. Ad avviso della Commissione, le prescrizioni di cui ai commi 4 e 5 dall'articolo 11 cit. e della circolare applicativa n. 32/E del 1999, prevedendo una data d'avvio delle procedure di rimborso, introducendo un plafond annuale di somme destinate ai rimborsi e sospendendo i rimborsi stessi nei casi in cui sia ancora pendente un giudizio di primo grado[24], determinano, o sono suscettibili di determinare, dei ritardi nella restituzione della tassa.
Tale censura è stata considerata non fondata dalla Corte di giustizia nella citata sentenza, in quanto le modalità di rimborso previste non sono state giudicate meno favorevoli di quelle che si sarebbero applicate in mancanza di specifiche previsioni, né tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile qualsiasi domanda di rimborso.
Il comma 7-bis in esame novella l’articolo 11 della legge n. 448 del 1998, al fine di adeguare la normativa nazionale alle prescrizioni della sentenza della Corte di giustizia dell’11 maggio 2006 (causa C-197/03).
Innanzitutto la lettera a) provvede ad abrogare il comma 1 del ricordato articolo 11, sopprimendo in tal modo la tassa forfetaria retroattiva dovuta per il periodo 1985-1992, dichiarata incompatibile con il diritto comunitario dalla citata sentenza della Corte di giustizia.
La lettera b), oltre ad una modifica di carattere formale[25], prevede che il rimborso si riferisce a tutte le somme versate nel periodo 1985-1992 in dipendenza di disposizioni censurate dalla Corte di giustiziae non soltanto alla differenza tra quanto versato e quanto dovuto a titolo di tassa forfetaria retroattiva, ai sensi del comma 1 dell’articolo 11, del quale si dispone l’abrogazione.
La lettera c) infine stabilisce che la misura del tasso di interesse da riconoscere sulle somme da rimborsare è quello di cui all’articolo 1 della legge 26 gennaio 1961, n. 29, anziché il tasso di interesse legale vigente alla data del 1° gennaio 1999, considerato dalla Corte di giustizia incompatibile con il diritto comunitario.
Il citato articolo 1 della legge n. 29 del 1961[26], come modificato, da ultimo, dall’articolo 2 del D.M. 27 giugno 2003 (pubblicato sulla G.U. n. 149 del 30 giugno 2003), prevede che sulle somme dovute all'Erario per tasse e imposte indirette sugli affari si applicano gli interessi moratori nella misura semestrale del 1,375 per cento da computarsi per ogni semestre compiuto.
Il 12 dicembre 2006 la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora complementare (procedura d’infrazione n. 2006/2104), ai sensi dell’articolo 226[27] del Trattato CE, in relazione alla non conformità (con il diritto comunitario) della normativa italiana, in materia di diritto di nomina di membri di un consiglio di amministrazione da parte di enti pubblici.
Secondo la Commissione europea, le disposizioni degli articoli 2449 e 2450 del codice civile italiano, che prevedono che lo statuto di una società possa attribuire allo Stato o a enti pubblici il potere di nominare uno o più amministratori o sindaci o componenti del consiglio di sorveglianza, anche in assenza di una partecipazione azionaria nella società, e che i soggetti nominati in virtù di tale potere possano essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati, potrebbero costituire una barriera all’investimento diretto in una società e pertanto potrebbero essere incompatibili con gli articoli del Trattato CE relativi alla libera circolazione dei capitali (art. 56) e al diritto di stabilimento (art. 43).
Il 12 dicembre 2006 la Commissione europea ha inviato un parere motivato (procedura d’infrazione n. 2006/4136), ai sensi dell’articolo 226 del Trattato CE (cfr. supra), in relazione alla non conformità (con il diritto comunitario) della normativa italiana, in materia di regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni tra società consociate di Stati membri diversi.
In particolare, la Commissione osserva che, nel dare attuazione – con effetto retroattivo al 1° gennaio 2004 – alle disposizioni della direttiva 2003/49/CE,concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi, il D.Lgs 143/2005 (che ha dato attuazione nell’ordinamento italiano alla suddetta direttiva) fa espresso riferimento (art. 3) agli interessi e canoni “maturati” a partire dalla data di entrata in vigore della direttiva, per cui il regime di esenzione previsto dalla direttiva o l’eventuale diritto al rimborso, di cui all’articolo 4 del D.Lgs 143/2005, si applicherebbero agli interessi e canoni maturati, cioè divenuti esigibili in base alle disposizioni contrattuali che li governano, a partire dal 1° gennaio 2004.
Al riguardo la Commissione è dell’opinione che tali disposizioni non siano conformi al dettato e allo scopo della normativa comunitaria sopra richiamata in quanto, nelle varie versioni linguistiche, le disposizioni della direttiva si riferiscono sempre al “pagamento/i” di interessi e canoni o “al momento/alla data del pagamento” degli stessi, la loro esigibilità o data di maturazione essendo irrilevanti ai fini della direttiva e, perciò, del suo campo di applicazione.
Secondo la Commissione, le disposizioni italiane, facendo riferimento agli “interessi e canoni maturati” escludono, al contrario, per definizione dal beneficio fiscale la parte di interessi maturata anteriormente al 1° gennaio 2004, anche se percepita dal beneficiario successivamente a tale data.
Articolo 4, comma 1
(Pubblicità e sponsorizzazione dei
prodotti del tabacco)
1. All'articolo 4 del decreto legislativo 16 dicembre 2004, n. 300, il comma 3 è abrogato.
L’articolo 4, comma 1, è volto ad abrogare l’articolo 4, comma 3, del
decreto legislativo n. 300 del 2004, con il quale è stata data attuazione
nell’ordinamento interno alla direttiva 2003/33/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 26 maggio
Si ricorda che i commi 1 e 2 dell’articolo 4 del D.Lgs. n. 300 del 2004 dispongono il divieto di sponsorizzazione di eventi che abbiano lo scopo o l’effetto, diretto o indiretto, di promuovere un prodotto del tabacco, qualora gli stessi si svolgano contemporaneamente in più di uno Stato appartenente alla Comunità europea, qualora l’organizzatore sia costituito da più soggetti residenti in più di uno Stato della Comunità, oppure qualora l’organizzazione dell’evento produca direttamente effetti transfrontalieri. Il comma 3 dell’articolo 4, di cui la disposizione in esame dispone l’abrogazione, prevede invece la non applicazione di tale divieto alla sponsorizzazione di eventi che si svolgano esclusivamente nel territorio dello Stato.
L’intervento
normativo è dettato dalla necessità di adeguare
il diritto interno alla normativa comunitaria. Al riguardo si ricorda,
infatti, che
La stessa relazione illustrativa al decreto legge, infatti, afferma che, ponendo una deroga al divieto di sponsorizzazione degli eventi e delle attività praticate nell’ambito degli stessi, quando tali eventi o attività si svolgano esclusivamente nel territorio dello Stato italiano, il comma di cui si dispone l’abrogazione risulta in contrasto con la direttiva comunitaria.
Non
essendo state adottate iniziative idonee a superare tali rilievi,
A questo punto, secondo la relazione illustrativa al decreto, si riscontra l’immediata esigenza di fornire risposta ai rilievi formalizzati dalla Commissione, anche al fine di “evitare che le conseguenze finanziarie della sicura soccombenza nel giudizio in corso possano aggravarsi per effetto del trascorrere del tempo”.
Il 24 novembre 2006 la Commissione ha presentato un ricorso (nell’ambito della procedura di infrazione n. 2006/2022) presso la Corte di giustizia contro l’Italia per la non corretta trasposizione della direttiva 2003/33/CE sull’interdizione di pubblicità e di sponsorizzazioni a favore di prodotti del tabacco.
La Commissione europea aveva avviato la procedura di infrazione ex art. 226 TCE[28], il 4 aprile 2005, inviando una lettera di messa in mora allo Stato italiano.
In particolare, l’articolo 5, par. 1, della direttiva vieta la sponsorizzazione di eventi o attività che coinvolgano o abbiano luogo in vari Stati membri o che producano effetti transfrontalieri. L’Italia ha recepito la direttiva in questione con il decreto legislativo n. 300 del 16 dicembre 2004. L’articolo 4, comma 3, di tale decreto introdurrebbe una deroga ai citati divieti, esentando dal divieto di sponsorizzazione gli eventi e le attività quando si svolgono unicamente in territorio italiano.
Il 30 gennaio 2007 la Commissione ha presentato un libro verde “Verso un’Europa senza fumo di tabacco: le opzioni strategiche a livello dell’Unione europea” (COM(2007)27), con il quale ha lanciato una vasta consultazione pubblica volta a promuovere gli spazi non fumatori in tutto il territorio dell’Unione.
Il documento esamina le incidenze sulla salute e i carichi economici legati al tabagismo passivo, l’adesione del pubblico ai divieti di fumo e le misure adottate finora a livello nazionale e comunitario.
Articolo 4, comma 2
(Accesso alle reti di comunicazione
elettronica)
2. All'articolo 50, comma 1, del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, le parole: «e degli investimenti per lo sviluppo di reti e servizi innovativi» sono soppresse.
Il comma in esame interviene sull’articolo 50, comma 1, del codice delle comunicazioni elettroniche, prevedendo che l’autorità di regolamentazione (AGCOM) - nella sua funzione di vigilanza e di controllo sui prezzi imposti dagli operatori di comunicazione per l’accesso e l’interconnessione alle reti in posizione dominante - non tenga più conto, tra gli elementi che danno diritto all’operatore di ottenere un’equa remunerazione del capitale investito, degli investimenti fatti per lo sviluppo di reti e servizi innovativi.
A seguito di un emendamento approvato dal Senato è stata approvata una modifica formale volta ad esplicitare che il D. Lgs. n. 259/2003 reca il codice delle comunicazioni elettroniche.
L’articolo 50 del codice delle comunicazioni elettroniche, approvato con D.Lgs 1° agosto 2003, n. 259, individua, insieme ad altri articoli che costituiscono la seconda sezione del Capo III del titolo I del codice steso, i criteri cui l’autorità di regolamentazione dovrebbe attenersi nell’identificare gli obblighi da imporre alle imprese aventi significativo potere di mercato. L’articolo 45 del codice infatti prevede che qualora, in esito all'analisi del mercato, un'impresa sia designata come detentrice di un significativo potere di mercato in uno specifico settore, l'Autorità può imporre, in funzione delle circostanze, una serie di obblighi descritti negli articoli successivi.
Tra questi l’articolo 50 prevede che - per determinati tipi di interconnessione e di accesso - l'Autorità possa imporre obblighi in materia di recupero dei costi e controlli dei prezzi, tra cui l'obbligo che i prezzi siano orientati ai costi, nonché l'obbligo di disporre di un sistema di contabilità dei costi, qualora l'assenza di un'effettiva concorrenza permetta all’operatore di mantenere prezzi eccessivi o comprimerli a danno dell'utenza finale. Nell’imposizione degli obblighi l’Autorità deve tener conto degli investimenti effettuati dall'operatore, consentendogli una remunerazione equa del capitale investito, di volume congruo, in considerazione dei rischi connessi e - nella formulazione previgente – anche degli investimenti per lo sviluppo di reti e servizi innovativi.
Nella relazione illustrativa si legge che l’eliminazione di questo inciso si deve ai rilievi mossi in sede europea, con i quali è stato fatto presente alle autorità italiane che tale disposizione introduce elementi di costo supplementari rispetto a quelli indicati nella direttiva “accesso” che il codice ha recepito. La relazione sottolinea inoltre il carattere d’urgenza della disposizione, dato che la Commissione europea ha sottolineato la necessità di provvedere alla modifica legislativa entro il termine di ottobre 2006, al fine dell’archiviazione della procedura d’infrazione.
La direttiva 2002/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002 (accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all'interconnessione delle medesime), cosiddetta “direttiva accesso”, armonizza le modalità secondo le quali gli Stati membri disciplinano l'accesso e l'interconnessione degli operatori (non degli utenti finali) alle reti di comunicazione elettronica. L'obiettivo è quello di istituire un quadro normativo compatibile con i principi del mercato interno, atto a disciplinare le relazioni tra i fornitori di reti e di servizi, che si traduca in concorrenza sostenibile, interoperabilità dei servizi di comunicazione elettronica e vantaggi per i consumatori. La direttiva stabilisce diritti ed obblighi per gli operatori e per le imprese che intendono interconnettersi e/o avere accesso alle loro reti ovvero a risorse correlate. Fissa inoltre gli obiettivi delle autorità nazionali di regolamentazione in materia di accesso e di interconnessione e definisce le modalità per garantire che gli obblighi imposti dalle autorità nazionali di regolamentazione siano riesaminati e, ove opportuno, revocati una volta conseguiti gli obiettivi desiderati. La direttiva (insieme alle altre che costituiscono il c.d. pacchetto, cioè le direttive “quadro” 2002/21, “accesso” 2002/19, “autorizzazioni” 2002/20, “servizio universale” 2002/22) è stata recepita con il decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, recante codice delle comunicazioni elettroniche, emanato sulla base della norma di delega di cui all'articolo 41, comma 1, della legge 166/2002.
L'articolo 13, comma 1, della direttiva 2002/19/CE, dispone che le autorità nazionali di regolamentazione possono imporre agli operatori dominanti obblighi in materia di recupero dei costi e controlli dei prezzi, tenendo conto degli investimenti effettuati dall'operatore e consentendogli un ragionevole margine di profitto sul capitale investito, di volume congruo, in considerazione dei rischi connessi.
In relazione ai rilievi mossi dalla Commissione europea con l’apertura della procedura d’infrazione n. 2005/2083 aperta con nota 16 marzo 2005, il governo italiano ha emanato la circolare 5 luglio 2005[29], interpretativa dell’articolo 50, comma 1, del codice delle comunicazioni elettroniche. Con tale circolare il ministero delle comunicazioni, allo scopo di evitare ogni interpretazione del secondo periodo del comma 1 dell'art. 50 del codice contrastante con l'efficacia reale della disposizione contenuta nella direttiva comunitaria, ovvero divergente dall'obiettivo da raggiungere da essa indicato, ha inteso procedere alla ricostruzione della norma nazionale in base alla sua collocazione sistematica nell'ambito delle disposizioni del codice e secondo la volontà del legislatore, concludendo che gli investimenti per lo sviluppo di reti e servizi innovativi risultano ancorati ai soli costi attinenti l'accesso e l'interconnessione contemplati dall'art. 13 della direttiva e sono riferibili ai soli investimenti già effettuati, ad esclusione di quelli futuri. La circolare esplicita quindi che i costi relativi allo sviluppo di reti e servizi innovativi risultano già ricompresi tra gli investimenti di cui tener conto genericamente indicati dalla direttiva, e che si tratta di costi relativi all’accesso e all’interconnessione, stante anche la collocazione della disposizione all’interno del capo dedicato all’acceso e all’interconnessione e non anche di costi riferibili a servizi forniti all'utente finale, ovvero a servizi che forniscano contenuti o, ancora, a servizi della società dell'informazione, peraltro non rientranti nel campo di applicazione del codice.
La circolare evidenzia infine come tale specificazione non risulta in contrasto con la direttiva né con l’orientamento generale espresso in sede europea, volto a promuovere lo sviluppo e l'innovazione delle reti, anche al fine di creare servizi di accesso ed interconnessione più efficienti. Infine la circolare evidenzia come tra i costi d’investimento per lo sviluppo delle reti e dei servizi innovativi siano da escludere investimenti futuri, in quanto all’inizio del periodo si fa riferimento ad investimenti “effettuati”. In ultimo viene fatto presente come la disposizione non impone alcun obbligo a carico dell’Autorità, che gode di piena discrezionalità.
D.Lgs. 1-8-2003 n. 259 Codice
delle comunicazioni elettroniche. |
D.Lgs. 1-8-2003 n. 259 Codice
delle comunicazioni elettroniche |
50. Obblighi in materia di controllo dei prezzi e di contabilità dei costi. |
50. Obblighi in materia di controllo dei prezzi e di contabilità dei costi. |
1. Ai sensi dell'articolo 45, per determinati tipi di interconnessione e di accesso l'Autorità può imporre obblighi in materia di recupero dei costi e controlli dei prezzi, tra cui l'obbligo che i prezzi siano orientati ai costi, nonché l'obbligo di disporre di un sistema di contabilità dei costi, qualora l'analisi del mercato riveli che l'assenza di un'effettiva concorrenza comporta che l'operatore interessato potrebbe mantenere prezzi ad un livello eccessivamente elevato o comprimerli a danno dell'utenza finale. L'Autorità tiene conto degli investimenti effettuati dall'operatore e gli consente un'equa remunerazione del capitale investito, di volume congruo, in considerazione dei rischi connessi e degli investimenti per lo sviluppo di reti e servizi innovativi.
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1. Ai sensi
dell'articolo 45, per determinati tipi di interconnessione e di accesso
l'Autorità può imporre obblighi in materia di recupero dei costi e controlli
dei prezzi, tra cui l'obbligo che i prezzi siano orientati ai costi, nonché
l'obbligo di disporre di un sistema di contabilità dei costi, qualora
l'analisi del mercato riveli che l'assenza di un'effettiva concorrenza
comporta che l'operatore interessato potrebbe mantenere prezzi ad un livello
eccessivamente elevato o comprimerli a danno dell'utenza finale. L'Autorità
tiene conto degli investimenti effettuati dall'operatore e gli consente
un'equa remunerazione del capitale investito, di volume congruo, in
considerazione dei rischi connessi |
2. L'Autorità provvede affinché tutti i meccanismi di recupero dei costi o metodi di determinazione dei prezzi resi obbligatori servano a promuovere l'efficienza e la concorrenza sostenibile ed ottimizzino i vantaggi per i consumatori. Al riguardo l'Autorità può anche tener conto dei prezzi applicati in mercati concorrenziali comparabili. |
Identico |
3. Qualora un operatore abbia l'obbligo di orientare i propri prezzi ai costi, ha l'onere della prova che il prezzo applicato si basa sui costi, maggiorati di un ragionevole margine di profitto sugli investimenti. Per determinare i costi di un'efficiente fornitura di servizi, l'Autorità può approntare una metodologia di contabilità dei costi indipendente da quella usata dagli operatori. L'Autorità può esigere che un operatore giustifichi pienamente i propri prezzi e, ove necessario, li adegui. |
Identico |
4. L'Autorità provvede affinché, qualora sia imposto un sistema di contabilità dei costi a sostegno di una misura di controllo dei prezzi, sia pubblicata una descrizione, che illustri quanto meno le categorie principali di costi e le regole di ripartizione degli stessi. La conformità al sistema di contabilità dei costi è verificata da un organismo indipendente dalle parti interessate, avente specifiche competenze, incaricato dall'Autorità. È pubblicata annualmente una dichiarazione di conformità al sistema. I costi relativi alle verifiche rientrano tra quelli coperti ai sensi dall'articolo 34. |
Identico |
Il 16 marzo 2005 la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia, con l’invio di una lettera di messa in mora[30]per violazione della direttiva 2002/19/CE, relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate e all’interconnessione delle medesime (cosiddetta “direttiva accesso”). I rilievi mossi dalla Commissione riguardano la non corretta trasposizione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2002/19/CE, da parte dell’articolo 50, comma 1, del Codice delle comunicazioni elettroniche[31], che recepisce, fra l’altro, la direttiva in questione.
L’articolo 13, paragrafo 1, della “direttiva accesso” stabilisce la possibilità per le autorità nazionali di regolamentazione di imporre, per determinati tipi di connessione e/o di accesso, obblighi in materia di recupero dei costi e controlli dei prezzi, tra cui l’obbligo che i prezzi siano orientati ai costi, nonché l’obbligo di disporre di un sistema di contabilità dei costi qualora l’analisi del mercato riveli che l’assenza di un’effettiva concorrenza comporta che l’operatore interessato potrebbe mantenere prezzi ad un livello eccessivamente elevato o comprimere i prezzi a scapito dell’utenza finale. Inoltre, le autorità nazionali di regolamentazione devono consentire all’operatore un ragionevole margine di profitto sul capitale investito, di volume congruo in considerazione dei rischi connessi. Tale ragionevole profitto, ai sensi del considerando 20 della medesima direttiva, deve tenere conto dei costi di costruzione e del lavoro, con all’occorrenza un adeguamento del valore del capitale in funzione della stima, effettuata in quel momento, delle attività e dell’efficienza della gestione.
La Commissione ritiene che il citato articolo 13, paragrafo 1, non sia stato correttamente recepito dall’articolo 50, paragrafo 1, del Codice delle comunicazioni elettroniche laddove esso introduce elementi di costo supplementari, vale a dire i costi connessi agli investimenti per lo sviluppo di reti e servizi innovativi, che le autorità nazionali di regolamentazione devono prendere in considerazione al fine di calcolare i costi per la fornitura dell’accesso e/o dell’interconnessione. Secondo la Commissione tale disposizione costituisce una violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della “direttiva accesso” sia perché i costi connessi agli investimenti per lo sviluppo di reti e servizi innovativi non si riferiscono ai costi per la fornitura dei servizi di accesso e/o di interconnessione previsti dal citato paragrafo 1, come specificato dal considerando 20, sia perché essi riguardano investimenti futuri contrariamente alla previsione del paragrafo 1, specificato dal considerando 20, che si riferisce espressamente ai capitali investiti e ai rischi sostenuti in passato.
Articolo 4, comma 3
(Servizi post-contatore)
3. Il comma 34 dell'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239, è sostituito dai seguenti:
«34. Al fine di garantire un'effettiva concorrenza e pari opportunità di iniziativa economica, le imprese operanti nei settori della vendita, del trasporto e della distribuzione dell'energia elettrica e del gas naturale, che abbiano in concessione o in affidamento la gestione dei servizi pubblici locali ovvero la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni infrastrutturali, possono svolgere attività nel settore verticalmente collegato o contiguo dei servizi post-contatore di installazione, assistenza e manutenzione nei confronti dei medesimi utenti finali del servizio pubblico, avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale, per l'esercizio indiretto dei medesimi servizi di post-contatore, non possono applicare condizioni né concordare pratiche economiche, contrattuali, pubblicitarie ed organizzative atte a determinare ingiustificati svantaggi per le imprese direttamente concorrenti nel medesimo settore dei servizi post-contatore e rendono accessibili alle medesime imprese i beni, i servizi e gli elementi informativi e conoscitivi di cui abbiano la disponibilità in relazione all'attività svolta in posizione dominante o in regime di monopolio.
34-bis. Alle imprese di cui al comma 34 operanti nei settori dell'energia elettrica e del gas naturale si applicano le disposizioni previste dai commi 2-bis, 2-ter, 2-quater, 2-quinquies e 2-sexies dell'articolo 8 della legge 10 ottobre 1990, n. 287.».
Il comma 3, modificato durante l’esame presso il Senato, introduce una novella del comma 34, art. 1, della legge n. 239/04 di riordino del settore elettrico (in luogo dell’abrogazione del medesimo comma prevista nel testo originario del provvedimento), al fine di consentire alle aziende operanti nei settori dell’energia elettrica e del gas naturale che hanno in concessione o in affidamento la gestione di servizi pubblici locali, di esercitare attività indiretta nel settore dei servizi post-contatore, attraverso società separate, partecipate o controllate, od operanti in affiliazione commerciale.
Il citato comma 34, art. 1, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia) reca una norma che vieta alle aziende, operanti nei settori dell’energia elettrica e del gas naturale, concessionarie o affidatarie di servizi pubblici locali o della gestione di infrastrutture energetiche (reti, impianti ed altre dotazioni) di esercitare, anche attraverso società collegate o partecipate, nel territorio e per la durata della concessione, alcuna attività in regime di concorrenza, ad eccezione delle attività di vendita di energia elettrica e di gas e di illuminazione pubblica, nei settori dei servizi postcontatore[32].
La norma appare volta ad evitare che soggetti operanti in una condizione di monopolio naturale possano, avvalendosi di tale posizione, fornire agli utenti ulteriori servizi connessi al riparo da un’effettiva concorrenza. Il comma assegna, inoltre, al Ministro delle attività produttive (ora dello sviluppo economico), all’Autorità per l’energia elettrica e il gas e alle “altre amministrazioni interessate” il compito di modificare e integrare le norme e i provvedimenti rilevanti ai fini dell’applicazione del divieto contemplato dalla disposizione in esame, entro il termine di tre mesi dall’entrata in vigore della legge.
Come anticipato, il
testo originario del provvedimento in esame disponeva l’abrogazione del citato
comma
La Commissione europea considera i divieti totali a prestare taluni servizi come restrizioni particolarmente gravi per il buon funzionamento del mercato interno, considerato che tali misure obbligano gli operatori economici a modificare sostanzialmente la loro struttura d'impresa rinunciando ad una parte delle loro attività se intendono stabilirsi, o prestare temporaneamente servizi, in un altro paese della Comunità.
In base all'art. 43 TCE la libertà di stabilimento è definita come la libertà mirante ad assicurare l'accesso alle attività non salariate ed al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese. Alla libertà di stabilimento fa riscontro il divieto imposto agli Stati membri di introdurre o mantenere in vigore restrizioni alla suddetta libertà per i cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Secondo l'art. 46 TCE le restrizioni possono essere giustificate solo da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. Oltre ai predetti motivi, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha individuato ulteriori cause di giustificazione di misure restrittive. In particolare, "motivi imperativi di interesse generale" possono giustificare normative nazionali indistintamente applicabili aventi per oggetto o per effetto di ostacolare l'esercizio del diritto di stabilimento purché siano idonee a perseguire lo scopo e non vadano al di là di quanto necessario[34]. Secondo l'art. 49 TCE le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione. La differenza sostanziale tra stabilimento e prestazione di servizi è data dal fatto che mentre il primo implica la possibilità di partecipare in maniera stabile e continuativa alla vita economica di uno Stato membro diverso da quello di origine, la prestazione di servizi ha invece carattere temporaneo. Per quanto riguarda le restrizioni ammesse, esse sono le stesse previste per la libertà di stabilimento.
La giurisprudenza della Corte di giustizia ha riconosciuto come il divieto di svolgere congiuntamente più attività costituisca una restrizione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi[35].
Secondo
La novella introdotta dal comma in esame, consente (diversamente da quanto previsto dal comma 34 della legge 239, ora sostituito) alle imprese operanti nei settori della vendita, del trasporto e della distribuzione di energia elettrica e del gas naturale, concessionarie o affidatarie di servizi pubblici locali o della gestione di infrastrutture energetiche, l’esercizio indiretto dei servizi post - contatore (installazione, assistenza e manutenzione). Infatti tali aziende possono svolgere attività nel settore suindicato attraverso società separate, partecipate o controllate, oppure operanti in affiliazione commerciale.
Alle suddette aziende è fatto divieto di applicare condizioni o concordare pratiche economiche, contrattuali, pubblicitarie ed organizzative in grado di determinare svantaggi ingiustificati per le imprese del settore direttamente concorrenti, alle quali, peraltro le stesse aziende dovranno consentire l’accesso a beni, servizi e informazioni e conoscenze in loro possesso, in relazione all’attività da esse svolta in posizione dominante o in regime monopolistico.
Al comma 34, così come sostituito, viene aggiunto il comma 34-bis che estende alle imprese di cui al precedente comma 34 alcune disposizioni contenute nell’articolo 8 della legge n. 287/90 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) concernenti l’applicabilità della disciplina recata dalla stessa legge alle imprese pubbliche e in regime di monopolio.
Si tratta delle disposizioni dei commi da 2-bis a 2-sexies che sono stati aggiunti all’articolo 8 dalla legge n. 57/01 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati)con la specifica finalità di rafforzare le misure volte ad evitare che le imprese concessionarie di servizi pubblici si avvantaggino della propria posizione di privilegio in mercati regolamentati per assicurarsi posizioni di predominio, direttamente o attraverso società controllate o partecipate, anche in mercati soggetti alla libera concorrenza, collegati a quelli regolamentati.
L’articolo 8 della legge 287del 1990 rientra tra le disposizioni del Titolo I, relativo alla disciplina delle tre fattispecie anticoncorrenziali da esso individuate: intese, abusi di posizione dominante e concentrazioni. In particolare, l’articolo stabilisce che la disciplina di cui al predetto Titolo si applica alle imprese, sia private che pubbliche o a prevalente partecipazione statale (comma 1), ad esclusione di quelle che per legge esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale o operano in regime di monopolio su mercato (comma 2). Il medesimo comma 2 dell’articolo 8, tuttavia, precisa che l’esclusione dall’applicazione delle norme si limita a quanto strettamente connesso all’adempimento dei compiti specifici assegnati alle suddette imprese.
L’articolo 11 della legge 5 marzo 2001, n. 57 ha integrato la disciplina di cui all’articolo 8:
a) imponendo a tali imprese, nel caso in cui intendano svolgere attività in mercati diversi, di operare mediante società separate (2-bis);
b) prevedendo che la costituzione di società e l’acquisizione di posizioni di controllo in società operanti in mercati diversi siano soggette a preventiva comunicazione all’Autorità Antitrust (2-ter);
c) introducendo un obbligo di parità di trattamento tra le imprese partecipate o controllate e le altre imprese direttamente concorrenti in mercati diversi, consistente nel rendere accessibili, a condizioni equivalenti, i beni e servizi, anche informativi, di cui l’impresa disponga in via esclusiva in dipendenza della sua attività di gestione, per legge, di servizi di interesse economico generale o in regime di monopolio (2-quater);
Il capoverso 2-quinquies estende il potere di istruttoria dell’Autorità Antitrust alle ipotesi di cui ai capoversi precedenti, mentre il capoverso 2-sexies stabilisce una sanzione pecuniaria fino a 100 milioni per il caso in cui l’impresa non proceda alle comunicazioni di cui al capoverso 2-ter.
Il 4 aprile 2006 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora, a norma dell’articolo 226 del Trattato CE (procedura d’infrazione 2005/4604), in riferimento all’interdizione di attività multidisciplinari nel settore dell’energia, prevista dalla normativa relativa al riordino del settore energetico. La Commissione ritiene, infatti, che tali disposizioni siano contrarie agli articoli 43 e 49 del Trattato CE che tutelano la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi.
L’articolo 226 TCE prevede che la Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù di detto Trattato, possa porlo, attraverso l’invio di una lettera di messa in mora, in condizione di presentare le sue osservazioni. La procedura d’infrazione può proseguire con l’invio di un parere motivato, che rappresenta la seconda e ultima fase della procedura d’infrazione, prima che la Commissione europea proceda al deferimento formale dello Stato membro davanti alla Corte di giustizia, affinché accerti la sussistenza di una violazione del diritto comunitario.
In particolare, la Commissione pone la sua attenzione sulla disposizione contenuta all’articolo 1, comma 34, della legge n. 239 del 23 agosto 2004, che elimina per gli operatori attivi in Italia, nel settore della distribuzione dell’energia elettrica e del gas naturale, la possibilità di svolgere determinate attività, definite “postcontatore”. Tale disposizione si applica non solo agli operatori attivi nel settore della distribuzione, ma anche alle società collegate a o detenute da tali operatori.
La Commissione ha inviato all’Italia una prima richiesta di chiarimenti il 5 luglio 2005. La Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione europea, il 30 agosto 2005, ha risposto trasmettendo una copia della circolare interpretativa n. 7333 del 28 aprile 2005 del Ministero delle Attività produttive, secondo la quale le attività “postcontatore” consistono “nell’installazione, verifica e manutenzione degli impianti a valle del contatore installato al punto di consegna all’utente finale”.
Poiché, ad avviso della Commissione, quanto previsto dall’art. 1, co. 34, l. n. 239/04 configurerebbe, in pratica, un divieto applicabile a tutti i servizi forniti all’interno degli edifici e delle abitazioni riguardanti gli impianti elettrici e le tubature del gas, essa ritiene che tali disposizioni costituiscano una restrizione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, contemplate dagli articoli 43 e 49 del Trattato CE. Le previsioni della legge n. 239, infatti, possono avere un effetto dissuasivo nei confronti dei fornitori di servizi stabiliti in altri Stati membri, che sarebbero tenuti, qualora volessero inserirsi nel mercato italiano delle attività di distribuzione di energia elettrica o di gas, a rinunciare ad una parte delle loro attività e obbligati a modificare l’organizzazione della loro impresa solo in Italia. Tale visione della Commissione troverebbe conferma nella giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di libertà di stabilimento e in materia di libera prestazione di servizi[36].
Secondo una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, gli articoli 43 e 49 prescrivono non solo l'eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da vietare, da ostacolare o da rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove fornisca legittimamente servizi analoghi (cfr. sentenza 13 febbraio 2003, in causa C-131/01).
Inoltre, la Commissione ritiene che, sempre alla luce della giurisprudenza della Corte, non esista alcun presupposto che sia tale da giustificare restrizioni di questa sorta.
La Commissione utilizza ancora il riferimento alla giurisprudenza costante della Corte di giustizia[37] per rilevare come essa abbia precisato i casi in cui può sussistere una compatibilità dei provvedimenti nazionali atti a limitare o ostacolare l’esercizio delle libertà di cui agli articoli 43 e 49 TCE con tali articoli. In particolare, tali provvedimenti devono avere carattere non discriminatorio, ovvero devono sussistere ragioni imperative di interesse generale. In ogni caso, la misura nazionale deve essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito ma non andare oltre quanto necessario per il suo raggiungimento.
La Commissione ha, quindi, ritenuto opportuno verificare la sussistenza di una di queste ipotesi nel caso in esame. In assenza di precisazioni fornite direttamente dal Governo, essa ha esaminato i documenti preparatori del Parlamento italiano[38],deducendo che, nelle intenzioni del legislatore, l’obiettivo principale di tale disposizione consisterebbe nell’intenzione di proteggere i piccoli operatori che forniscono servizi “postcontatore” dalla concorrenza delle imprese operanti nel settore della distribuzione, garantendo al mercato dell’energia italiano, sempre nell’intenzione del legislatore, una migliore struttura concorrenziale. La Commissione, ricordando la sentenza della Corte del 2 giugno 2005, Commissione/Italia, C-174/04, relativa alla sospensione dei automatica dei diritti di voto di taluni azionisti in imprese privatizzate, sottolinea che “l’interesse al rafforzamento della struttura concorrenziale del mercato di cui trattasi in linea generale non può costituire una valida giustificazione delle restrizioni alla libera circolazione dei capitali”. Inoltre, per giurisprudenza costante, gli obiettivi di natura economica non possono costituire imperativi di interesse generale tali da giustificare restrizioni quali quelle oggetto della presente procedura. La Commissione aggiunge, altresì, che anche laddove l’obiettivo perseguito dovesse ipoteticamente venir considerato atto a giustificare una restrizione delle libertà sancite dagli articoli 43 e 49 TCE, il divieto totale di svolgere attività “postcontatore” dovrebbe essere considerato come una misura che va oltre quanto necessario a raggiungere l’obiettivo in questione.
La Commissione valuta, infatti, che nell’ordinamento italiano già esistono disposizioni volte a prevenire comportamenti contrari alla concorrenza. In particolare, la Commissione fa riferimento all’articolo 8, commi da 2-bis a 2-sexies della legge n. 287/1990[39], che impone alle imprese che detengono un monopolio legale alcuni obblighi, fra i quali quello di svolgere attività sui mercati aperti alla concorrenza tramite una società distinta da quella che opera sul mercato in situazione di monopolio. Tale separazione societaria costituisce senz’altro, secondo l’avviso della Commissione, una misura meno restrittiva nei confronti della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi rispetto al divieto totale di associare le attività di distribuzione a quelle “postcontatore”.
Il Consiglio europeo riunito a Bruxelles l’8-9 marzo 2007, valutando i progressi compiuti nell’attuazione della strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l’occupazione, ha chiesto agli Stati membri e alle istituzioni dell’UE, tra l’altro, di agire per sostenere lo sviluppo di una politica europea climatica ed energetica integrata e sostenibile.
Nel quadro della creazione di una politica energetica per l'Europa (PEE), il Consiglio europeo ha adottato un piano d'azione globale in materia di energia per il periodo 2007-2009[40], basato sulla comunicazione della Commissione "Una politica energetica per l'Europa" (COM(2007)1).
Il piano d'azione comprende, tra l’altro, un insieme di azioni prioritarie in relazione al mercato interno del gas e dell’elettricità. Tali azioni sono intese a conseguire progressi significativi per quanto riguarda l'efficiente funzionamento e completamento del mercato interno del gas e dell'energia elettrica dell'UE, ai fini di favorire il raggiungimento dei tre seguenti obiettivi della politica energetica europea: aumentare la sicurezza dell'approvvigionamento; garantire la competitività delle economie europee e la disponibilità di energia a prezzi accessibili; promuovere la sostenibilità ambientale e lottare contro i cambiamenti climatici.
Il Consiglio europeo, sulla base della relazione della Commissione sul mercato interno e della relazione finale sui risultati dell'inchiesta di settore sui mercati del gas e dell'elettricità[41] conviene sulla necessità di assicurare, tra l’altro:
§ la separazione effettiva delle attività di approvvigionamento e produzione dalle operazioni in rete (unbundling), mediante sistemi indipendenti di gestione della rete, adeguatamente regolamentati, a garanzia dell'accesso equo e aperto alle infrastrutture di trasporto e dell'indipendenza delle decisioni di investimento nell'infrastruttura;
§ l'ulteriore armonizzazione dei poteri e il rafforzamento dell'indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione nel settore energetico, anche attraverso l'istituzione di un meccanismo indipendente a livello europeo, al fine di cooperare e prendere decisioni su questioni transfrontaliere di rilievo;
§ la creazione di un nuovo meccanismo comunitario per i gestori delle reti di trasmissione.
Articolo 4, comma 4
(Protezione del diritto d’autore)
4. Al codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 44, comma 1, la parola: «venticinquesimo» è sostituita dalla seguente: «settantesimo»;
b) l'articolo 239 è sostituito dal seguente:
«Art. 239. - (Limiti alla protezione accordata dal diritto d'autore). - 1. La protezione accordata ai disegni e modelli industriali ai sensi dell'articolo 2, primo comma, numero 10, della legge 22 aprile 1941, n. 633, non opera in relazione ai prodotti realizzati in conformità ai disegni o modelli che, anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 95, erano oppure erano divenuti di pubblico dominio.».
L’articolo 4, comma 4, apporta alcune modifiche al Codice della proprietà industriale, approvato con il decreto legislativo n. 30 del 2005.
In primo luogo (lettera a)) si dispone la novella l’articolo 44 del Codice al fine di allungare la durata dei diritti di utilizzazione economica post mortem dei disegni e dei modelli industriali che presentino di per sé carattere creativo ed artistico, portandola dai 25 dalla morte dell’autore attualmente previsti, a 70 anni.
In secondo luogo (lettera b)) si sostituisce l’articolo 239 del Codice, concernente i limiti alla protezione accordata dal diritto d’autore per la medesima tipologia di disegni e modelli rispetto a prodotti divenuti di pubblico dominio.
La normativa vigente, inizialmente recata dal decreto legislativo n. 95 del 2001 (successivamente abrogato dal Codice della proprietà industriale e in esso rifluito: articolo 239), con il quale è stata data attuazione nell’ordinamento interno alla direttiva comunitaria 98/71/CE, sulla protezione giuridica dei disegni e dei modelli, prevede che per un periodo di dieci anni dalla data del 19 aprile 2001 (data di entrata in vigore del suddetto decreto legislativo n. 95 del 2001), tale protezione sia esclusa nei confronti di coloro che, anteriormente ad essa, abbiano intrapreso la fabbricazione, l’offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità con disegni o modelli che erano, oppure erano divenuti, di pubblico dominio. La norma prevede, inoltre, che i diritti di fabbricazione, di offerta e di commercializzazione non possano essere trasferiti separatamente dall’azienda.
La disposizione in esame elimina il termine di dieci anni, limitando l’esclusione della protezione unicamente ai prodotti realizzati in conformità con disegni e modelli che, anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 95 del 2001 erano, oppure erano divenuti, di pubblico dominio. Il nuovo testo dell’articolo 239 non ripropone, poi, la norma relativa al divieto di trasferimento dei diritti separatamente dall’azienda, con l’effetto di renderla ammissibile.
Entrambe le disposizioni rispondono alla necessità di adeguare l’ordinamento interno alla normativa comunitaria, recata della direttiva 93/98/CEE del Consiglio del 29 ottobre 1993, concernente l'armonizzazione della durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi, e dalla direttiva 98/71/CE del Parlamento e del Consiglio del 13 ottobre 1998, sulla protezione giuridica dei disegni e dei modelli, a fronte delle procedura d’infrazione n. 2005/4088, giunta a parere motivato.
La relazione illustrativa precisa che l’allineamento della normativa nazionale in materia di durata temporale della protezione assicurata al disegno industriale e dal diritto d’autore alla normativa comunitaria risolve la citata procedura d’infrazione, rispetto alla quale, per evitare il ricorso alla Corte di giustizia, il Governo ha già assunto l’impegno con la Commissione europea di procedere alla modifica in esame.
Secondo la relazione illustrativa, infine, la norma introdotta dal presente decreto - non avendo efficacia retroattiva - fa salvi i diritti acquisiti dai terzi per effetto della scadenza della protezione accordata dalla normativa previgente.
La disposizione non produce nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, né minori entrate.
Il 12 ottobre 2006 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato[42] ritenendo che l’articolo 44, primo comma, e l’articolo 239 del codice della proprietà industriale siano in contrasto con l’articolo 1 della direttiva 93/98/CEE, concernente l’armonizzazione della durata di protezione del diritto d’autore e di alcuni diritti connessi, e con gli articoli 17 e 19 della direttiva 98/71/CE, sulla protezione giuridica dei disegni e dei modelli.
Il codice della proprietà industriale è stato adottato mediante il decreto legislativo n. 30 del 10 febbraio 2005. L’articolo 44, primo comma, del codice stabilisce che i diritti di utilizzazione economica dei disegni e dei modelli industriali suscettibili di essere protetti durano tutta la vita dell’autore e sino al termine del venticinquesimo anno dopo la sua morte. L’articolo 239 del codice stabilisce che per un periodo di dieci anni, a decorrere dal 10 aprile 2001, tale protezione non opera nei soli confronti di coloro che, anteriormente alla predetta data, hanno intrapreso la fabbricazione, l’offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità con disegni o modelli che erano oppure erano divenuti di pubblico dominio.
La Commissione ritiene che l’articolo 44, primo comma del codice della proprietà industriale, stabilendo che i diritti economici delle opere di disegni e modelli industriali protetti dalla tutela d’autore durano per tutta la vita dell’autore e solo 25 anni dopo la sua morte, sia in contrasto con l’articolo 1 della direttiva 93/98/CEE, secondo cui i diritti d’autore di opere letterarie ed artistiche, ai sensi dell’articolo 2 della convenzione di Berna, durano tutta la vita dell’autore e sino al termine del settantesimo anno dopo la sua morte indipendentemente dal momento in cui l’opera è stata resa lecitamente accessibile al pubblico.
La Commissione ricorda che quest’ultima disposizione è stata recepita in Italia con la legge n. 52 del 6 febbraio 1996 e che la normativa italiana sui diritti di autore e i diritti connessi stabilisce pertanto una tutela della stessa durata. Tuttavia, osserva che, per quanto concerne i diritti di utilizzazione economica dei disegni e modelli industriali suscettibili di beneficiare della tutela d’autore, l’articolo 44, primo comma, del codice stabilisce invece che questi diritti durano per tutta la vita dell’autore ma solo per 25 anni dopo la sua morte.
La Commissione ritiene che l’articolo 239 del codice di proprietà industriale, sospendendo per dieci anni la tutela del diritto d’autore per le opere di disegno industriale, sia in contrasto con gli articoli 17 e 19 della direttiva 98/71/CE.
La Commissione ricorda che, ai sensi del considerando 8 della direttiva 98/71/CE “è importante stabilire il principio della cumulabilità della protezione offerta dalla normativa specifica sui disegni e modelli registrati con quella offerta dal diritto d’autore, pur lasciando gli Stati membri liberi di determinare la portata e le condizioni della protezione del diritto d’autore”. L’articolo 17 della direttiva 98/71/CE stabilisce che “disegni e modelli protetti come disegni o modelli registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro a norma della presente direttiva sono ammessi a beneficiare altresì della protezione della legge sul diritto vigente in tale Stato fin dal momento in cui il disegno o modello è stato creato o stabilito in qualsiasi forma. Ciascuno Stato membro determina l’estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere”. Inoltre, ai sensi dell’articolo 19 della direttiva 98/71/CE, “gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 28 ottobre 2001”.
La Commissione ricorda che le autorità italiane, nel recepire la direttiva 98/71/CE nel diritto nazionale con il decreto legislativo n. 95 del 2 febbraio 2001, hanno aggiunto “le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico” tra le opere che possono beneficiare della tutela d’autore, rinunciando al principio della tutela separata del diritto d’autore e dei disegni e modelli e introducendo il principio del cumulo della protezione offerta dalla normativa sui disegni e modelli registrati e dalla normativa concernente il diritto d’autore (considerando 8 e articolo 17 della direttiva 98/71/CE). Tuttavia, osserva che l’articolo 239 del codice della proprietà industriale stabilisce per le opere di disegno industriale una moratoria di dieci anni della tutela d’autore, a decorrere dal 10 aprile 2001 (data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 95) per quanto concerne i produttori che, prima della suddetta data, avevano intrapreso la fabbricazione, l’offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità con disegni o modelli che erano oppure erano divenuti di pubblico dominio. La Commissione sottolinea che la direttiva 98/71/CE non contiene nessuna norma che possa consentire una moratoria della tutela d’autore per le opere di disegno industriale.
Articolo 4-bis
(Compensazione contributi previdenziali)
1. Al comma 16 dell'articolo 01 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, e successive modificazioni, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «A tal fine, in sede di pagamento degli aiuti comunitari, gli organismi pagatori sono autorizzati a compensare tali aiuti con i contributi previdenziali dovuti dall'impresa agricola beneficiaria, comunicati dall'Istituto previdenziale all'AGEA in via informatica. In caso di contestazioni, la legittimazione processuale passiva compete all'Istituto previdenziale».
L’articolo 4-bis, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, reca modifiche alle disposizioni di cui all’articolo 01, comma 16, del D.L. 10 gennaio 2006, n. 2[43], convertito con modificazioni dalla L. 11 marzo 2006, n. 81, relative all’obbligo di presentazione del documento unico di regolarità contributiva (D.U.R.C) per le imprese agricoleper accedere ai benefici e alle sovvenzioni comunitari.
Il richiamato comma 16 dell’articolo 01 del D.L. 2 del 2006, così come riformulato dall’articolo 1-bis, comma 2, del D.L. 173/2006[44], ha stabilito che per le imprese agricole le disposizioni contenute nell'articolo 10, comma 7, del decreto-legge n. 203/2005[45] e nell'articolo 1, comma 553, della legge n. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), che impongono al presentazione del documento unico di regolarità contributiva (D.U.R.C) di cui all’articolo 2, comma 2, del D.L. 210 del 2002[46] per accedere ai benefici e alle sovvenzioni comunitari, si applichino limitatamente ai contributi dovuti per le prestazioni lavorative effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2006.
Si ricorda inoltre che l’articolo 2 del D.L. 210 del 2002, recando disposizioni che traspongono sostanzialmente sul piano normativo i contenuti dell’avviso comune tra le parti sociali siglato il 24 luglio 2002, con lo scopo di favorire l’emersione dell’economia sommersa, ha previsto un obbligo di certificazione della regolarità contributiva tramite la presentazione del documento unico di regolarità contributiva (D.U.R.C)[47]. In particolare, il comma 1 di tale articolo ha stabilito che le imprese le quali risultino affidatarie di un appalto pubblico siano tenute a presentare alla stazione appaltante la certificazione relativa alla regolarità contributiva, a pena di revoca dell'affidamento. Il comma 1-bis aggiunge che la certificazione di regolarità deve essere presentata anche dalle imprese che gestiscono sevizi ed attività in convenzione o concessione con l’ente pubblico. Infine il comma 2 reca una misura di semplificazione procedurale, con la previsione della stipula di una convenzione da parte di INPS e INAIL ai fini del rilascio del D.U.R.C.
Inoltre, l’articolo 10, comma 7, del decreto legge n. 203 del 2005 ha previsto che, per accedere ai benefici e alle sovvenzioni comunitari, le imprese di tutti i settori sono tenute a presentare il documento unico di regolarità contributiva (D.U.R.C.) di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legge n. 210/2002.
L’articolo 1, comma 553, della legge n. 266/2005 (legge finanziaria 2006), con una disposizione simile a quella sopra considerata, ha disposto che le imprese di tutti i settori sono tenute a presentare il D.U.R.C. di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legge n. 210/2002 per poter accedere ai benefici e alle sovvenzioni comunitarie per la realizzazione di investimenti.
Per quanto riguarda la normativa relativa al D.U.R.C si segnalano, inoltre, le seguenti disposizioni:
§ l’articolo 39-septies del D.L. 273 del 2005[48], che dispone una validità temporale pari a tre mesi del documento unico di regolarità contributiva di cui all’articolo 3, comma 8, del citato D.Lgs. 494 del 1996;
§ l’articolo 36-bis, comma 8, del D.L. 223 del 2006[49], che prevede che possono usufruire delle agevolazioni previste dall’art. 29 del decreto legge n. 244/1995, relative alla contribuzione previdenziale delle imprese del settore edile, esclusivamente i datori di lavoro del settore edile in possesso dei requisiti per il rilascio della certificazione di regolarità contributiva anche da parte delle Casse edili;
§ l’articolo 1, commi 1175 e 1176 della L. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), che ha introdotto una disciplina più generale relativa al DURC, al fine di estenderne l’applicazione anche a settori e situazioni ulteriori rispetto a quelli già tenuti a certificare la regolarità contributiva tramite la presentazione di tale documento. Pertanto si dispone che, a decorrere dal 1° luglio 2007, i benefici previsti dalla normativa in materia di lavoro e di previdenza sociale sono riservati ai datori di lavoro che rispettino tutte le seguenti condizioni: siano in possesso del DURC; rispettino gli altri obblighi previsti dalla legislazione vigente; rispettino gli accordi e i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
L’articolo in esame, aggiungendo due periodi alla fine del richiamato articolo 01, comma 16, del D.L. 2/2006, prevede che, in sede di pagamento degli aiuti comunitari, gli organismi pagatori possono procedere alla compensazione di tali aiuti con i contributi previdenziali dovuti dall’impresa agricola beneficiaria, comunicati dal competente istituto previdenziale all’AGEA tramite strumenti informatici.
Viene precisato inoltre che, qualora dovessero sorgere contestazioni sull’effettuazione di tale procedura di compensazione, la legittimazione processuale passiva compete all’Istituto previdenziale.
Si presta a dubbi interpretativi il rapporto tra la presentazione del D.U.R.C al fine di accedere agli aiuti comunitari di cui al vigente articolo 01, comma 16, del D.L. 2/2006, e l’autorizzazione alla compensazione tra aiuti comunitari e contributi previdenziali dovuti introdotta dall’articolo in esame.
In particolare, andrebbe chiarito se la mancata certificazione della regolarità contributiva da parte delle imprese agricole impedisca in assoluto di accedere agli aiuti comunitari o, al contrario (come sembrerebbe desumersi dalle disposizioni introdotte dall’articolo in esame) se l’essere non completamente in regola con il versamento dei contributi previdenziali comporti solamente la decurtazione in maniera corrispondente degli aiuti comunitari.
L'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) è stata istituita con D.L.gs. 27 maggio 1999, n. 165[50], successivamente modificato ed integrato dal D.Lgs. 15 giugno 2000, n. 188[51] , cui si sono aggiunte le novelle recate dal DL 22 ottobre 2001, n. 381[52]. Con tali norme è stata disposta la soppressione dell’A.I.M.A., la sua messa in liquidazione e l’istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA).
In base al riferito quadro legislativo
all’Agenzia competono attività e funzioni diverse, sia in adempimento di
disposizioni comunitarie, che in attuazione delle linee d’indirizzo e
d’intervento delle autorità nazionali. In ogni caso l’Agenzia opera sulla base
degli indirizzi del Ministro per le politiche agricole, e, per quanto attiene
la realizzazione della politica interna, è anche necessaria l’intesa con
Per quanto attiene alla realizzazione della politica comunitaria l’Agenzia:
§ è l’organismo di coordinamento interno degli organismi pagatori regionali, ai quali è demandata la gestione degli aiuti derivanti dalla politica agricola comune (PAC). Nello svolgimento di tale funzione, all’Agenzia spetta di promuovere l’applicazione armonizzata della normativa comunitaria, verificando la conformità e i tempi delle procedure istruttorie, e di controllo, seguite dagli organismi pagatori;
§ è il soggetto responsabile nei confronti dell’UE della realizzazione della PAC e degli interventi finanziati dal FEOGA[53], e pertanto ad essa compete la rendicontazione all’Unione Europea dei pagamenti effettuati da tutti gli organismi pagatori;
§ interinalmente, è essa stessa organismo pagatore, in attesa che tutte le regioni procedano alla istituzione di un proprio organismo regionale[54].
Il 22 giugno 2006, la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2006)319),nella quale si prospetta una riforma complessiva del settore vitivinicolo per la quale vengono analizzate varie opzioni.
La Commissione, dopo avere preso in esame quattro scenari di riforma, si schiera decisamente a favore di una riforma radicale, specifica per il settore del vino, da attuare secondo un piano in una o due fasi.
L’opzione preferita dalla Commissione viene presentata in due varianti a seconda che si sviluppi in una o due fasi. Gli elementi comuni alle due varianti sono: l’abolizione delle misure di gestione del mercato, come l’aiuto alla distillazione dei sottoprodotti, la distillazione di alcol per usi alimentari e dei vini ottenuti da varietà a doppia classificazione, l’aiuto all’ammasso privato e l’aiuto relativo ai mosti; il sostegno alla distillazione di crisi verrebbe sostituito da una sorta di rete di sicurezza finanziata da una dotazione nazionale assegnata a livello comunitario.
La Commissione prevede di presentare le proposte legislative vere e proprie nei primi mesi del 2007.
Il Consiglio ha iniziato l’esame della comunicazione della Commissione il 18 settembre 2006 e il 24 ottobre 2006. Il Parlamento europeo ha esaminato la comunicazione il 15 febbraio 2007, adottando una risoluzione con la quale delinea un percorso parzialmente differente rispetto a quello proposto dalla Commissione (per un approfondimento, si veda il dossier RUE, La riforma del settore vitivinicolo, III ed. del 20 febbraio 2007).
Articolo 4-ter
(Attuazione di disposizioni comunitarie in materia agricola)
1. Nell'ambito del regime di pagamento unico previsto dal regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio, del 29 settembre 2003, il pagamento degli aiuti comunitari riferiti ai titoli speciali da soccida, inclusi in domande di aiuto per l'anno 2005 non corredate dell'assenso dei soccidari alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è effettuato dagli organismi pagatori competenti con la stessa ripartizione percentuale prevista dall'articolo 1-bis, comma 6, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81.
2. Al fine di assicurare la regolare applicazione della normativa comunitaria, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, istituisce il Registro pubblico informatico dei diritti di reimpianto del settore vitivinicolo, di cui ai regolamenti (CE) n. 1493/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, e n. 1227/2000 della Commissione, del 31 maggio 2000. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, avvalendosi del sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), comunicano all'AGEA i dati relativi a tali diritti e provvedono al loro tempestivo aggiornamento.
Il primo comma dell’articolo 4-ter dispone che anche per le domande di aiuto relative al 2005 l’assegnazione a soccidante e soccidario del pagamento unico previsto dal reg. CE 1782/2003, in caso di mancato accordo tra le parti, venga fatta attribuendo a ciascuno il 50 per cento dell’importo dovuto. Più precisamente il pagamento richiamato dalla disposizione in commento si riferisce ai “titoli speciali da soccida”, che debbono essere ripartiti dagli organismi pagatori sulla base dei medesimi criteri stabiliti dal D.L. n. 2/2006, art. 1-bis comma 6.
Il Regolamento (CE) n. 1782/2003[55] ha stabilito la progressiva eliminazione degli aiuti diretti concessi agli agricoltori in relazione alla produzione, ed una loro sostituzione con forme di aiuto disaccoppiate che, prescindendo dalla produzione, assegnano all'agricoltore la più ampia facoltà di decidere in merito alla coltura da produrre. Il reg. 1782, che si applica dal 1° gennaio 2005, pur conservando vari regimi di pagamento diretto preesistenti, ha introdotto per la maggior parte delle organizzazioni comuni di mercato (OCM) un regime di pagamento unico che ha assorbito gli aiuti in precedenza erogati a numerose produzioni vegetali e animali, ed è determinato in base ai diritti maturati in precedenza, nell’arco di un periodo di riferimento, ma adattati sia in connessione con l’attuazione di Agenda 2000 che con le ulteriori disposizioni dello stesso re. 1782. Il diritto all’aiuto di cui sopra viene posto in relazione con la superficie traducendolo in diritti all’aiuto per ettaro, sulla base del numero medio di ettari che nel precedente triennio ha dato diritto ai pagamenti diretti di fonte comunitaria (art. 43 del regolamento).
L’articolo 3 (commi 1 e 2) del D.L. n. 182/2005 ha assegnato all’Agea il compito di istituire un registro nel quale iscrivere per singolo agricoltore i diritti all’aiuto di cui è titolare sulla base del reg. CE 1782/2003. Tale provvedimento peraltro definisce il nuovo registro “Registro nazionale titoli”
Il comma 6 dell’articolo 1-bisdel DL. n. 2/2006 ha stabilito che gli aiuti della PAC (derivanti dall'applicazione del regolamento 1782/03) vengano attribuiti dall'Agea per il 50% a ciascuna delle parti legate da un contratto di soccida, salvo che non sia dalle stesse diversamente pattuito[56]. In mancanza di una precisazione in merito la disposizione non ha avuto valore retroattivo ed è stata applicata a decorrere dal 2006.
Il comma 2 dell’articolo 4-ter prevede l'istituzione di un registro pubblico informatico dei diritti di reimpianto del settore vitivinicolo, definiti dalle disposizioni comunitarie come il diritto di piantare viti su una superficie equivalente, in coltura pura, a quella in cui ha avuto luogo o deve aver luogo una estirpazione alle condizioni stabilite (art. 7 del reg. n. 1493/99).
Il diritto di impianto di nuove viti è disciplinato dal reg. (CE) n. 1493/99, che ha sostituito il vecchio reg. 822/87 più volte modificato, nonché una serie assai numerosa di altri provvedimenti comunitari ora rifusi per motivi di chiarezza; il regolamento detta le norme che si applicano alla organizzazione comune del mercato vitivinicolo a decorrere dal 1° agosto 2000.
La riforma della OCM vitivinicola ha tenuto in primo luogo conto della evoluzione verificatasi nel comparto, nel quale è sempre possibile la formazione di eccedenze su base pluriennale da connettersi alle sensibili fluttuazioni produttive nella raccolta delle uve.
Più specificamente, poiché il miglioramento dell’equilibrio di mercato è stato in gran parte dovuto alle norme di restrizione all’impianto di viti con varietà di uve da vino[57], l’articolo 2 del reg. 1493 ha mantenuto tali restrizioni fino al 31 luglio 2010, salvo che l’impianto venga eseguito in forza dei seguenti diritti:
a) diritto di nuovo impianto[58];
b) diritto di reimpianto;
c) diritto di impianto prelevato dalla riserva costituita con diritti d’impianto e di reimpianto.
L’assegnazione dei diritti di reimpianto, disciplinata dall’articolo 4 del regolamento n. 1492, spetta agli Stati membri che possono attribuirli:
- ai produttori che hanno estirpato una superficie piantata a vite;
- ai produttori che si impegnano ad estirpare una superficie vitata prima della fine della terza campagna successiva a quella in cui tale superficie è stata piantata.
Come già detto il reimpianto deve avvenire su una superficie equivalente, in coltura pura, a quella in cui ha avuto luogo l'estirpazione, e deve essere esercitato prima della fine della quinta campagna successiva a quella in cui ha avuto luogo l'estirpazione. I diritti non utilizzati entro i termini sono attribuiti a riserva.
In deroga alle illustrate disposizioni il comma 8 dell’articolo 5 prevede che, qualora uno Stato membro possa dimostrare di disporre nel proprio territorio di un sistema efficace per la gestione dei diritti d'impianto, le disposizioni che impongono la costituzione di una riserva possono essere disattese e i termini per l’esercizio dei diritti di reimpianto, di cinque anni dalla estirpazione, è prorogato di ulteriori cinque campagne.
Le modalità di applicazione sono state definite con il Reg. (CE) n. 1227/2000[59] che specifica che, ancora allo scopo di non perturbare l'equilibrio del mercato, non devono essere concessi diritti di reimpianto riguardanti superfici che sono state obbligatoriamente estirpate per violazione del regolamento (CE) n. 1493/1999, né possono essere concessi diritti di reimpianto in conseguenza di estirpazioni di superfici per le quali i diritti di impianto erano concessi per scopi diversi dalla produzione di vino a fini commerciali.
Infine, per quanto riguarda l'assegnazione di diritti di reimpianto ai produttori che si impegnano alla estirpazione di una superficie vitata, allo scopo di evitare che vengano assegnati diritti di reimpianto in eccesso alle reali necessità di un produttore, tali diritti dovranno essere concessi tenendo conto di eventuali diritti di impianto già in suo possesso. L'assegnazione di questi diritti di reimpianto deve peraltro aver luogo contestualmente alla costituzione di una cauzione a garanzia dell'esecuzione della futura estirpazione. Durante il periodo di coesistenza della superficie appena piantata e di quella da estirpare, la produzione di vino per fini commerciali potrà essere autorizzata soltanto in una delle menzionate superfici.
Articolo 5
(Modifiche alla disciplina
dell’immigrazione)
1. Al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 13, la lettera b) del comma 2 è sostituita dalla seguente:
«b) si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all'articolo 27, comma 1-bis, o senza aver richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo»;
b) all'articolo 27, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Nel caso in cui i lavoratori di cui alla lettera i) del comma 1 siano dipendenti regolarmente retribuiti dai datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede in uno Stato membro dell'Unione europea, il nulla osta al lavoro è sostituito da una comunicazione, da parte del committente, del contratto in base al quale la prestazione di servizi ha luogo, unitamente ad una dichiarazione del datore di lavoro contenente i nominativi dei lavoratori da distaccare e attestante la regolarità della loro situazione con riferimento alle condizioni di residenza e di lavoro nello Stato membro dell'Unione europea in cui ha sede il datore di lavoro. La comunicazione è presentata allo sportello unico della prefettura-ufficio territoriale del Governo, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno».
L’articolo 5, ampiamente modificato dal Senato, reca alcune novelle al testo unico in materia di immigrazione, di cui al D.Lgs. 286/1998[60]. Come spiega la relazione illustrativa del disegno di legge di conversione riferendosi al testo originario delle novelle, esse erano intese a superare i rilievi sollevati dalla Commissione europea in due procedure di infrazione (la n. 1998/2127 e la n. 2006/2126).
Per un puntuale raffronto tra il testo previgente del D.Lgs. 286/1998, il testo originario del decreto-legge e le modifiche apportate dal Senato, si rinvia al testo a fronte riportato in calce alla presente scheda di lettura.
Le novelle di cui alle lettere da a) a d) del comma 1, nel testo originario del decreto-legge, concernevano i problemi posti dalla procedura di infrazione n. 2006/2126.
Quest'ultima ha rilevato che la normativa italiana in materia di soggiorno di breve durata degli stranieri – cioè, di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea o di apolidi[61] – contemplando l'obbligo di richiedere il permesso di soggiorno per periodi di permanenza non superiori a tre mesi, vìola l'ordinamento comunitario[62] che, per tale fattispecie, consente agli Stati membri esclusivamente di imporre l'obbligo di una dichiarazione di presenza. Tale obbligo, peraltro, sempre in base alla normativa comunitaria, può essere imposto solo allo straniero e non all'ospitante.
Le novelle apportate dalle lettere a) e b) all’art. 5 del testo unico limitavano ai soggiorni di durata superiore a tre mesi l'obbligo di richiesta di permesso di soggiorno e richiedevano, per quelli di durata inferiore a tre mesi, che lo straniero dichiarasse la sua presenza all'ufficio di polizia di frontiera, al momento dell'ingresso nel territorio nazionale, ovvero, entro otto giorni dal suo ingresso, al questore, secondo modalità da stabilire con decreto del Ministro dell'interno.
In conseguenza di tali modifiche, era soppresso il rinvio al regolamento di attuazione del testo unico per l'eventuale definizione di speciali modalità di rilascio del permesso relativamente ai soggiorni brevi per motivi di turismo; era altresì soppresso il limite di tre mesi posto alla durata del permesso di soggiorno rilasciato per visite, affari e turismo.
La lettera c) abrogava la disciplina (di cui all'art. 7 del citato testo unico) che pone a carico di chi, nel territorio nazionale, ospiti o dia alloggio a stranieri (anche mediante cessione della proprietà o del godimento di immobili, rustici o urbani), l'obbligo di comunicazione, entro 48 ore, all'autorità locale di pubblica sicurezza[63]. Come osserva la relazione illustrativa, sarebbe rimasta naturalmente ferma la disciplina generale (relativa, cioè, non solo agli stranieri) sull'obbligo di comunicazione all'autorità locale di pubblica sicurezza, in caso di cessione della proprietà o del godimento o comunque dell'uso a qualunque titolo di un fabbricato (o di parte di esso), per un tempo superiore a un mese[64].
la lettera d) estendeva la disciplina dell'espulsione amministrativa (art. 13, co. 2, del testo unico) ai casi in cui lo straniero non avesse compiuto la dichiarazione di presenza nei termini summenzionati[65] o si fosse trattenuto nel territorio dello Stato oltre i novanta giorni o oltre il minore termine stabilito nel visto di ingresso.
Nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione al Senato, peraltro, ad opera di un emendamento approvato in sede referente[66]:
§ le lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 5 in commento sono state soppresse;
§ la lettera d) del medesimo comma è stata conseguentemente riformulata, riferendo la nuova fattispecie di espulsione amministrativa all’ipotesi in cui lo straniero non effettui nei termini prescritti la comunicazione di cui al comma 1-bis dell’art. 27 del testo unico, introdotto della successiva lettera e) (della quale si dirà tra breve).
La disciplina espunta dal testo del decreto-legge, tuttavia, ha formato oggetto di un disegno di legge[67], attualmente in corso d’esame in sede deliberante presso la 1ª Commissione (Affari costituzionali) del Senato.
La lettera e) del comma 1 dell’articolo in esame, sostanzialmente non modificata dal Senato, aggiunge il comma 1-bis all’art. 27 del citato D.Lgs. 286/1998, concernente l’ingresso per lavoro di cittadini stranieri in casi particolari.
Si consideri che il richiamato articolo 27 del D.Lgs. 286/1998 prevede che, al di fuori degli ingressi per lavoro autorizzati (di norma annualmente) dal D.P.C.M. di cui all’articolo 3, comma 4 del medesimo decreto (cd. “decreto-flussi”), particolari modalità e termini per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro, dei visti di ingresso e dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato, per specifiche categorie di lavoratori stranieri, siano stabiliti dal regolamento di attuazione[68].
In relazione a ciò, tra le altre specifiche categorie di lavoratori stranieri elencate a cui si applica tale particolare disciplina, la lettera i) del comma 1 del richiamato articolo 27 menziona i lavoratori dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede all'estero, i quali si trasferiscono temporaneamente dall'estero presso persone fisiche o giuridiche, italiane o straniere, residenti in Italia, allo scopo di effettuare nel territorio italiano determinate prestazioni oggetto di contratto di appalto stipulato tra le predette persone fisiche o giuridiche residenti o aventi sede in Italia e quelle residenti o aventi sede all'estero, nel rispetto delle disposizioni dell'articolo 1655 del codice civile e della L. 23 ottobre 1960, n. 1369, nonché delle norme internazionali e comunitarie.
L’articolo 1655 c.c. fornisce la nozione di appalto, considerato come il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro.
La L. 1369 del 1960, recante il divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro e la nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi, è stata abrogata dall'articolo 85 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276[69].
Si ricorda, in proposito, che l’articolo 1 della L. 1369/1960 vietava la mera somministrazione di manodopera, ovvero l’affidamento da parte dell’imprenditore in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, dell’esecuzione di prestazioni di lavoro mediante l’impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la natura dell’opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono. Al di fuori di questa fattispecie, l’ordinamento previgente consentiva l’affidamento in appalto di lavori con la previsione di particolari garanzie per i lavoratori: il richiamato articolo 1655 c.c., infatti, prevede l’affidamento a terzi, mediante un vero e proprio contratto d’appalto, del compimento di un’opera o di un servizio anche all’interno del ciclo produttivo dell’impresa appaltante.
Si tratta quindi di stabilire la differenza tra mera somministrazione di manodopera e appalto vero e proprio. Al riguardo il comma 3 dell’articolo 1 della richiamata L. 1369/1960 stabiliva una presunzione legale di somministrazione di manodopera, individuando due fattispecie in cui si presumeva si trattasse di appalto di prestazioni lavorative e quindi vietati, e cioè l’affidamento a intermediari (dipendenti, terzi, società o cooperative) di lavori da eseguirsi a cottimo da lavoratori retribuiti dagli intermediari; e l’affidamento di appalto o subappalto per l’esecuzione di opere o servizi, qualora l’appaltatore impiegasse capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante anche nel caso in cui venisse corrisposto un compenso per il loro uso.
Con il Capo I del Titolo III del richiamato D.Lgs. 276 del 2003 (articoli da 20 a 28) viene data attuazione al dispositivo recato dall’articolo 1, comma 2, lettera m), della L. 30 del 2003 in materia di somministrazione di lavoro che, tenendo conto dell’evoluzione legislativa volta a liberalizzare il mercato del lavoro, ha disposto l’abrogazione della L. 1369/1960 e la sua sostituzione con una nuova disciplina, operando nel contempo una netta distinzione tra l'appalto di servizi, disciplinato dall’articolo 29, e la somministrazione di manodopera.
In particolare, il richiamato articolo 29 provvede a distinguere l’appalto di servizi dalla somministrazione di lavoro. L’appalto di servizi è caratterizzato:
- dall’esercizio del potere direttivo e organizzativo nei confronti del lavoratore da parte dell’appaltatore;
- dal possesso da parte dell’appaltatore, o di suo personale utilizzato nell’appalto, della professionalità specifica per la realizzazione del sevizio dedotto in contratto.
Inoltre, si introduce, in caso di appalto di servizi, la responsabilità solidale del committente imprenditore con l’appaltatore per quanto riguarda i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti.
La disposizione amplia le garanzie già oggi apprestate dall’articolo 1676 del codice civile. Infatti questo articolo dispone che coloro che, in qualità di dipendenti dell’appaltatore, hanno prestato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre l’azione contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino a concorrenza del debito del committente nei confronti dell’appaltatore al momento della domanda.
Si consideri che le differenze tra le due disposizioni sono le seguenti:
- l’articolo 29, comma 2, del D.Lgs. 276 riguarda esclusivamente i committenti imprenditori, mentre l’articolo 1676 c.c. riguarda tutti i committenti;
- l’articolo 29, comma 2, inoltre, prevede una responsabilità solidale, mentre l’articolo 1676 c.c. si limita a prevedere la possibilità di agire nei confronti del committente nei limiti di quanto dovuto da questi all’appaltatore al momento della domanda.
Il successivo articolo 30 ha inoltre introdotto nell’ordinamento vigente la definizione del distacco, recependo alcuni dei recenti orientamenti giurisprudenziali in materia. In primo luogo viene recepito il principio giurisprudenziale secondo cui il datore di lavoro distaccante rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore.
Più specificamente, l’articolo 30 stabilisce che il distacco si configura (comma 1) quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa.
Inoltre, il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.
Resta ferma la possibilità di regolamentazione del comando o del distacco di uno o più lavoratori dall'impresa ad altra per una durata temporanea prevista negli accordi sindacali, al fine di evitare le riduzioni di personale, di cui all’articolo 8, comma 3, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito dalla L. 19 luglio 1993, n. 236[70].
Infine, quando il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione. In tale ipotesi si applica il disposto dell'articolo 27, comma 2, disciplinante i casi in cui la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni previste dall’articolato dello stesso D.Lgs. 276 del 2003.
In precedenza, il D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 72[71] aveva già regolamentato l’istituto del distacco in relazione alle imprese stabilite in uno Stato membro dell'Unione europea diverso dall'Italia, le quali usufruivano di tale fattispecie in occasione di una prestazione di servizi transnazionale, distaccando[72] il lavoratore per conto proprio e sotto la loro direzione, in territorio nazionale italiano, nell'ambito di un contratto concluso con il destinatario della prestazione di servizi operante in territorio italiano (articolo 1).
La stessa valenza è riconosciuta al distacco di un lavoratore in territorio nazionale italiano, presso un'unità produttiva della medesima impresa o presso altra impresa appartenente allo stesso gruppo, purché in entrambi i casi durante il periodo di distacco continui ad esistere un rapporto di lavoro tra il lavoratore distaccato e l'impresa distaccante. Le richiamate disposizioni si applicano anche alle imprese stabilite in uno Stato non membro che si trovano in una delle situazioni indicate in precedenza.
Al rapporto di lavoro tra le imprese citate e i lavoratori distaccati si applicano (articolo 3), durante il periodo del distacco, le medesime condizioni di lavoro previste da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, nonché dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale, applicabili ai lavoratori che effettuano prestazioni lavorative subordinate analoghe nel luogo in cui i lavoratori distaccati svolgono la propria attività in posizione di distacco.
Il nuovo comma 1-bis dell’art. 27 del D.Lgs. 296/1998 prevede che, nel caso in cui i lavoratori individuati nella richiamata lettera i) siano dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede in uno Stato membro dell’Unione europea, il nulla-osta al lavoro di cui all’articolo 22 del D.Lgs. 286/1998 sia sostituito da una comunicazione effettuata dal committente che individua il contratto in base al quale la prestazione di servizi ha luogo, presentata allo sportello unico della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno.
Unitamente a tale comunicazione deve essere presentata una dichiarazione del datore di lavoro contenente i nominativi dei lavoratori da distaccare e attestante la regolarità della situazione degli stessi in riferimento alle condizioni di residenza e di lavoro nello Stato membro in cui ha la sede il medesimo datore di lavoro.
La novella di cui alla lettera e) è intesa a definire il problema posto dalla procedura di infrazione n. 1998/2127, con la quale la Commissione europea ha censurato la normativa italiana concernente i lavoratori, cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea oppure apolidi e dipendenti da imprese comunitarie, distaccati in Italia nell'àmbito di una prestazione di servizi (servizi oggetto di un contratto di appalto). In particolare, sono illegittimi, secondo la Commissione, la previsione di un regime di autorizzazione e l'obbligo del visto d'ingresso, i quali costituirebbero una violazione dei princìpi comunitari sulla libera prestazione di servizi, avendo un effetto discriminatorio nei confronti delle imprese stabilite in un altro Stato membro.
Modificazioni apportate dall’art. 5 del D.L. 10/2007 al Testo unico in materia di immigrazione, di cui al D.Lgs. 286/1998
N.B.: Sono evidenziate in carattere neretto le modificazioni apportate al testo previgente del D.Lgs. 286/1998; in carattere sottolineato le differenze tra il testo originario del D.L. 10/2007 e quello modificato in sede di conversione dal Senato.
D.Lgs. 286/1998 |
D.Lgs. 286/1998 |
D.Lgs. 286/1998 |
[…] |
[…] |
[…] |
Art. 5 |
Art. 5 |
Art. 5 |
1. Possono soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri entrati regolarmente ai sensi dell'articolo 4, che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno rilasciati, e in corso di validità, a norma del presente testo unico o che siano in possesso di permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all'Unione europea, nei limiti ed alle condizioni previsti da specifici accordi. |
1. [Identico]. |
1. [Identico]. |
2. Il permesso di soggiorno deve essere richiesto, secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione, al questore della provincia in cui lo straniero si trova entro otto giorni lavorativi dal suo ingresso nel territorio dello Stato ed è rilasciato per le attività previste dal visto d'ingresso o dalle disposizioni vigenti. Il regolamento di attuazione può provvedere speciali modalità di rilascio relativamente ai soggiorni brevi per motivi di turismo, di giustizia, di attesa di emigrazione in altro Stato e per l'esercizio delle funzioni di ministro di culto nonché ai soggiorni in case di cura, ospedali, istituti civili e religiosi e altre convivenze. |
2. Il permesso di soggiorno deve essere richiesto per soggiorni superiori a tre mesi, secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione, al questore della provincia in cui lo straniero si trova entro otto giorni lavorativi dal suo ingresso nel territorio dello Stato ed è rilasciato per le attività previste dal visto d’ingresso o dalle disposizioni vigenti. Il regolamento di attuazione può prevedere speciali modalità di rilascio relativamente ai soggiorni brevi per motivi di giustizia, di attesa di emigrazione in altro Stato e per l’esercizio delle funzioni di ministro di culto, nonché ai soggiorni in case di cura, ospedali, istituti civili e religiosi e altre convivenze. Per soggiorni inferiori a tre mesi lo straniero dichiara la sua presenza all’ufficio di polizia di frontiera, al momento dell’ingresso sul territorio nazionale ovvero, entro otto giorni dal suo ingresso, al questore della provincia in cui si trova, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno. |
2. Il permesso di soggiorno deve essere richiesto, secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione, al questore della provincia in cui lo straniero si trova entro otto giorni lavorativi dal suo ingresso nel territorio dello Stato ed è rilasciato per le attività previste dal visto d'ingresso o dalle disposizioni vigenti. Il regolamento di attuazione può provvedere speciali modalità di rilascio relativamente ai soggiorni brevi per motivi di turismo, di giustizia, di attesa di emigrazione in altro Stato e per l'esercizio delle funzioni di ministro di culto nonché ai soggiorni in case di cura, ospedali, istituti civili e religiosi e altre convivenze. |
2-bis. Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici. |
2-bis. [Identico]. |
2-bis. [Identico]. |
3. La durata del permesso di soggiorno non rilasciato per motivi di lavoro è quella prevista dal visto d'ingresso, nei limiti stabiliti dal presente testo unico o in attuazione degli accordi e delle convenzioni internazionali in vigore. La durata non può comunque essere: |
3. [Identico]. |
3. [Identico]. |
a) superiore a tre mesi, per visite, affari e turismo; |
a) [Soppressa]. |
a) superiore a tre mesi, per visite, affari e turismo; |
b) [abrogata dalla L. 189/2002]; |
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c) superiore ad un anno, in relazione alla frequenza di un corso per studio o per formazione debitamente certificata; il permesso è tuttavia rinnovabile annualmente nel caso di corsi pluriennali; |
c). [Identica]. |
c). [Identica]. |
d) [abrogata dalla L. 189/2002]; |
|
|
e) superiore alle necessità specificatamente documentate, negli altri casi consentiti dal presente testo unico o dal regolamento di attuazione. |
e). [Identica]. |
e). [Identica]. |
[…] |
[…] |
[…] |
Art. 7 |
Art. 7 |
Art. 7 |
1. Chiunque, a qualsiasi titolo, dà alloggio ovvero ospita uno straniero o apolide, anche se parente o affine, ovvero cede allo stesso la proprietà o il godimento di beni immobili, rustici o urbani, posti nel territorio dello Stato, è tenuto a darne comunicazione scritta, entro quarantotto ore, all'autorità locale di pubblica sicurezza. |
[Articolo abrogato]. |
1. Chiunque, a qualsiasi titolo, dà alloggio ovvero ospita uno straniero o apolide, anche se parente o affine, ovvero cede allo stesso la proprietà o il godimento di beni immobili, rustici o urbani, posti nel territorio dello Stato, è tenuto a darne comunicazione scritta, entro quarantotto ore, all'autorità locale di pubblica sicurezza. |
2. La comunicazione comprende, oltre alle generalità del denunciante, quelle dello straniero o apolide, gli estremi del passaporto o del documento di identificazione che lo riguardano, l'esatta ubicazione dell'immobile ceduto o in cui la persona è alloggiata, ospita o presta servizio ed il titolo per il quale la comunicazione è dovuta. |
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2. La comunicazione comprende, oltre alle generalità del denunciante, quelle dello straniero o apolide, gli estremi del passaporto o del documento di identificazione che lo riguardano, l'esatta ubicazione dell'immobile ceduto o in cui la persona è alloggiata, ospita o presta servizio ed il titolo per il quale la comunicazione è dovuta. |
2-bis. Le violazioni delle disposizioni di cui al presente articolo sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 160 a 1.100 euro. |
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2-bis. Le violazioni delle disposizioni di cui al presente articolo sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 160 a 1.100 euro. |
[…] |
[…] |
[…] |
Art. 13 |
Art. 13 |
Art. 13 |
1. Per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell'interno può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri. |
1. [Identico]. |
1. [Identico]. |
2. L'espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero: |
2. [Identico]. |
2. [Identico]. |
a) è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell'articolo 10; |
a) [Identica]. |
a) [Identica]. |
b) si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo; |
b) si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver presentato la dichiarazione di presenza di cui all’articolo 5, comma 2, o richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di 60 giorni e non è stato chiesto il rinnovo oppure, avendo presentato la dichiarazione di presenza, si è trattenuto sul territorio dello Stato oltre i novanta giorni o il minore termine stabilito nel visto d’ingresso; |
b) si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all’articolo 27, comma 1-bis, o senza aver richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo; |
c) appartiene a taluna delle categorie indicate nell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituto dall'articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646. |
c) [Identica]. |
c) [Identica]. |
2-bis. Nell'adottare il provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lettere a) e b), nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine. |
2-bis. [Identico]. |
2-bis. [Identico]. |
[…] |
[…] |
[…] |
Art. 27 |
Art. 27 |
Art. 27 |
1. Al di fuori degli ingressi per lavoro di cui agli articoli precedenti, autorizzati nell'àmbito delle quote di cui all'articolo 3, comma 4, il regolamento di attuazione disciplina particolari modalità e termini per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro, dei visti di ingresso e dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato, per ognuna delle seguenti categorie di lavoratori stranieri: […] i) lavoratori dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede all'estero e da questi direttamente retribuiti, i quali siano temporaneamente trasferiti dall'estero presso persone fisiche o giuridiche, italiane o straniere, residenti in Italia, al fine di effettuare nel territorio italiano determinate prestazioni oggetto di contratto di appalto stipulato tra le predette persone fisiche o giuridiche residenti o aventi sede in Italia e quelle residenti o aventi sede all'estero, nel rispetto delle disposizioni dell'art. 1655 del codice civile e della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, e delle norme internazionali e comunitarie; […] |
1. [Identico]. |
1. [Identico]. |
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1-bis. Nel caso in cui i lavoratori di cui alla lettera i) del comma 1 siano dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede in uno Stato membro dell'Unione europea, il nulla osta al lavoro è sostituito da una comunicazione, da parte del committente, del contratto in base al quale la prestazione di servizi ha luogo, unitamente ad una dichiarazione del datore di lavoro contenente i nominativi dei lavoratori da distaccare e attestante la regolarità della loro situazione con riferimento alle condizioni di residenza e di lavoro nello Stato membro dell'Unione europea in cui ha sede il datore di lavoro. La comunicazione è presentata allo sportello unico della Prefettura-Ufficio territoriale del Governo, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno. |
1-bis. Nel caso in cui i lavoratori di cui alla lettera i) del comma 1 siano dipendenti regolarmente retribuiti dai datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede in uno Stato membro dell'Unione europea, il nulla osta al lavoro è sostituito da una comunicazione, da parte del committente, del contratto in base al quale la prestazione di servizi ha luogo, unitamente ad una dichiarazione del datore di lavoro contenente i nominativi dei lavoratori da distaccare e attestante la regolarità della loro situazione con riferimento alle condizioni di residenza e di lavoro nello Stato membro dell'Unione europea in cui ha sede il datore di lavoro. La comunicazione è presentata allo sportello unico della Prefettura-Ufficio territoriale del Governo, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno. |
[…] |
[…] |
[…] |
Il 28 giugno 2006 la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora (procedura d’infrazione n. 2006/2126), ai sensi dell’articolo 226[73] del Trattato CE, in relazione alla non conformità della normativa italiana con il diritto comunitario, in materia di soggiorno di breve durata dei cittadini dei Paesi terzi.
In particolare, la Commissione ritiene che l’obbligo di chiedere il rilascio del permesso di soggiorno, per soggiorni di durata non superiore a tre mesi, per i cittadini di paesi terzi con obbligo di visto, e per coloro che sono esenti da tale obbligo, così come previsto dall’art. 5, commi 1 e 2, del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione delle straniero[74](TU), configuri la possibilità che l’Italia sia venuta meno agli obblighi cui è tenuta dalla convenzione d’applicazione dell’accordo di Schengen, in particolare dagli articoli 5, 19, 20, 22, che prevedono quanto segue:
§ ai sensi dell'articolo 19, lo straniero soggetto a obbligo di visto, entrato regolarmente nel territorio di uno Stato membro, può circolare liberamente nel territorio di tutti gli Stati membri durante il periodo di validità del visto, se soddisfa determinate condizioni[75] per l'intero periodo di soggiorno;
§ l'articolo 20 prevede a sua volta che uno straniero non soggetto a obbligo di visto possa circolare liberamente per una durata massima di tre mesi nell'arco di un semestre, purché soddisfi le medesime condizioni indicate sopra per l'intero periodo di soggiorno;
§ l'articolo 21 consente al cittadino di paesi terzi in possesso di un titolo di soggiorno rilasciato da uno Stato membro, in forza di tale titolo e di un documento di viaggio, di circolare liberamente per un periodo non superiore a tre mesi nel territorio degli altri Stati membri che applicano integralmente l'acquis di Schengen, purché soddisfi le medesime condizioni indicate sopra durante l'intero periodo di soggiorno e non figuri nell'elenco nazionale delle persone segnalate dello Stato membro interessato;
§ conformemente all'articolo 22, il cittadino di paesi terzi che si rechi in uno Stato membro é soggetto soltanto a conformarsi al semplice obbligo di dichiarare la propria presenza a norma della pertinente legislazione nazionale. L'articolo 22 precisa che la dichiarazione può essere sottoscritta sia all'ingresso, sia entro tre giorni lavorativi a decorrere dall'ingresso.
In riferimento ai familiari di un cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, inoltre, l’imposizione degli obblighi di ottenere un permesso di soggiorno entro otto giorni dall’ingresso nel territorio e di dichiarare la propria presenza entro 48 ore, previsto dagli articoli del TU sopra citati, configurerebbe la possibilità che l’Italia sia venuta meno anche agli obblighi che le incombono a norma della direttiva 2004/38/CE (cfr. supra) relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (articolo 6, paragrafo 2, e articolo 5, paragrafo 5).
Il 13 dicembre 2005 la Commissione europea ha inviato un parere motivato (procedura d’infrazione n. 1998/2127), ai sensi dell’articolo 226 del Trattato CE (cfr. supra), in relazione alla non conformità con il diritto comunitario della normativa italiana in materia di distacco di lavoratori cittadini di Paesi terzi, nel quadro di una prestazione di servizi transfrontalieri.
La Commissione ritiene che la normativa italiana (norme derivanti dalle disposizioni degli articoli 20 e 25 della legge n. 40, del 6 marzo 1998 Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, e dell’articolo 27 del già citato decreto legislativo n. 286/1998) che prevede l’obbligo di una autorizzazione al lavoro, in caso di trasferta di lavoratori cittadini di Paesi terzi, nel quadro di una prestazione transfrontaliera di servizi, sia incompatibile con il diritto comunitario (articoli 49 e seguenti del Trattato che istituisce le Comunità europee, relativi alla libera prestazione di servizi).
In particolare, secondo la Commissione, il fatto di subordinare la trasferta di lavoratori di cittadini di un Paese terzo, da parte di un prestatore di servizi stabilito in uno Stato membro, a prescrizioni, quali quella di ottenere per tali lavoratori un’autorizzazione al lavoro, costituisce un ostacolo con effetto discriminatorio nei confronti delle imprese stabilite in uno Stato membro diverso dall’Italia.
Inoltre, secondo la Commissione, la previsione (ai sensi dell’articolo 22, comma 6, del decreto legge n. 286/1998) che il lavoratore cittadino di un Paese terzo debba essere munito di un visto rilasciato dal consolato italiano presso lo Stato di origine o di stabile residenza del lavoratore, previa esibizione dell’autorizzazione al lavoro e del nulla osta provvisorio della questura competente, configura una restrizione ingiustificata e sproporzionata, incompatibile con gli obblighi imposti dall’articolo 49 del Trattato CE.
Nella sua comunicazione sull’attuazione del programma dell’Aja: prospettive per il futuro[76], presentata il 10 maggio 2006, la Commissione, in relazione alla libera circolazione dei cittadini, afferma che provvederà in via prioritaria a verificare la corretta attuazione da parte degli Stati membri della direttiva 2004/38/CE[77] (cfr. infra), relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
Articolo 5-bis
(Attuazione di norme comunitarie in
materia di sostanze chimiche)
1. Il Ministero della salute provvede, di intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico e la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie, agli adempimenti previsti dal regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH).
2. Il Ministero della salute è designato quale «autorità competente» ai sensi dell'articolo 121 del regolamento di cui al comma 1.
3. Con decreto del Ministero della salute, da adottare di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il Ministero dello sviluppo economico, con il Ministero dell'economia e delle finanze e con la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è approvato il piano di attività riguardante i compiti di cui al comma 1 e l'utilizzo delle risorse di cui al comma 5. Lo schema di decreto è trasmesso alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle competenti Commissioni parlamentari, da rendere entro venti giorni dalla data di trasmissione.
4. Per l'esecuzione delle attività previste al comma 1, l'autorità competente si avvale del supporto tecnico-scientifico dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici e dell'Istituto superiore di sanità. Quest'ultimo istituisce, a tale scopo, nell'ambito delle proprie strutture, il Centro nazionale delle sostanze chimiche (CSC).
5. Per l'attuazione delle disposizioni del presente articolo è autorizzata la spesa nei limiti di 2,1 milioni di euro per l'anno 2007, di 4,4 milioni di euro per l'anno 2008 e di 4,6 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009. Al predetto onere si provvede, per l'anno 2007, per 2,1 milioni di euro, con le disponibilità del Fondo di rotazione di cui alla legge 16 aprile 1987, n. 183, che vengono versate allo stato di previsione dell'entrata per la successiva riassegnazione ai pertinenti capitoli di spesa. Per 4,4 milioni di euro per l'anno 2008 e 4,6 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della salute.
6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Il comma 1 affida al Ministero della salute il compito di provvedere - di intesa con i Ministeri dell’ambiente, dello sviluppo economico e con il Dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri - agli adempimenti previsti dal regolamento (CE) n. 1907/2006 concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH).
Il successivo comma 2 designa lo stesso Ministero della salute quale “autorità competente” ai sensi dell’articolo 121 del citato regolamento.
Il Regolamento n. 1907/2006 (cd. REACH)
Il Regolamento (CE) n. 1907/2006[78], sulle sostanze e preparati chimici prodotti ed importati nell’Unione europea, definisce un complesso sistema di registrazione, valutazione ed autorizzazione delle sostanze e preparati chimici, che interessa circa 30.000 sostanze e sostituisce più di 40 norme vigenti sulla materia.
Tale Regolamento, approvato, in codecisione ed in seconda lettura, dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione europea il 13 e 18 dicembre 2006, entrerà formalmente in vigore il 1 giugno 2007 e andrà a pieno regime nel 2018.
Il cd. sistema REACH, dall’acronimo “Registration, Evaluation and Authorisation of Chemicals”, obbliga il produttore e l’importatore a registrare, valutare e richiedere l’eventuale autorizzazione della sostanza prima di immetterla sul mercato. Questo obbligo vige per tutta la catena di approvvigionamento e produzione di sostanze e preparati chimici, onde pervenire alla sicurezza chimica per la tutela della salute dei lavoratori, dei consumatori e dell’ambiente.
Il Regolamento contiene inoltre disposizioni sulla cooperazione e sullo scambio di informazioni tra produttori a monte e a valle della catena produttiva.
Anche le autorità nazionali competenti dovranno svolgere compiti importanti che richiederanno loro competenze adeguate, soprattutto in materia di valutazione dei test e delle sostanze e al fine di assicurare il necessario coordinamento con l’istituenda “Agenzia chimica europea” incaricata di gestire gli aspetti tecnici ed amministrativi del REACH.
In particolare, il citato art. 121, oltre a sancire l’obbligo per gli Stati membri di designare l'autorità o le autorità competenti, dispone che gli stessi mettano a disposizione delle autorità designate risorse sufficienti perché possano assolvere efficacemente e nei tempi prescritti i compiti che incombono loro in forza del regolamento.
Il comma 3 demanda ad un decreto del Ministero della salute - da adottare di concerto con i Ministeri dell’ambiente, dello sviluppo economico, dell’economia e delle finanze e con il Dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto – l’approvazione di un piano di attività riguardante i compiti di cui al comma 1 e l’utilizzo delle risorse di cui al comma 5.
Lo stesso comma prevede che lo schema di tale decreto sia trasmesso alle Camere ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle competenti Commissioni parlamentari, da rendere entro venti giorni dalla data di trasmissione.
Il comma 4 dispone che, per l’esecuzione delle attività previste al comma 1, l’autorità competente si avvale del supporto tecnico-scientifico dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e dell’Istituto superiore di sanità (ISS).
Viene inoltre previsto che l’ISS istituisca, a tale scopo, nell’ambito delle proprie strutture, il Centro nazionale delle sostanze chimiche (CSC).
Si segnala, in proposito, che presso l’ISS è attualmente operativo un Dipartimento “Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria” - Reparto "Sostanze e Preparati Pericolosi" in cui viene svolta una intensa attività nel campo delle sostanze e dei preparati chimici pericolosi. Tale struttura si occupa, tra l’altro, della gestione dell’Archivio Preparati Pericolosi (ove sono riportate le composizioni chimiche complete dei preparati pericolosi presenti sul mercato nazionale) e l’Inventario Nazionale Sostanze Chimiche (una banca dati che contiene schede monografiche su un gran numero di sostanze chimiche di interesse nazionale)[79].
Il comma 5, per l’attuazione delle disposizioni del presente articolo, autorizza i seguenti limiti di spesa:
§ 2,1 milioni di euro per l’anno 2007;
§ 4,4 milioni di euro per l’anno 2008;
§ 4,6 milioni di euro a decorrere dall’anno 2009.
§
Lo stesso comma reca le disposizioni per la copertura finanziaria delle spese autorizzate. Viene infatti disposto che, per l’anno 2007, si provveda con le disponibilità del Fondo di rotazione di cui alla legge 16 aprile 1987, n. 183, che vengono versate allo stato di previsione dell’entrata per la successiva riassegnazione ai pertinenti capitoli di spesa. Per gli anni successivi, invece, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell’ambito dell’U.P.B. di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della salute.
Il comma 6 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
La Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora il 24 luglio 2000[80], ai sensi dell’articolo 226[81] del Trattato CE. La Commissione ritiene che l’articolo 1 della legge n. 12 dell’11 gennaio 1979 e l’articolo 58, comma 16, della legge n. 144 del 17 maggio 1999 non siano compatibili con le disposizioni degli articoli 43 e 49 (principi di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi) del Trattato CE, poiché riservano in misura sproporzionata ai consulenti del lavoro o a professionisti assimilati iscritti negli albi italiani le attività di elaborazione e di stampa dei fogli paga.
A complemento della costituzione in mora del luglio 2000, che resta impregiudicata, con lettera del 16 dicembre 2003 la Commissione ha rilevato altresì che gli articoli 1 e 9 della legge n. 12 dell’11 gennaio 1979 e l’articolo 58, sedicesimo comma, della legge n. 144 del 17 maggio 1999 sono incompatibili con gli articoli 43 e 49 del Trattato CE nella misura in cui impongano a chiunque voglia esercitare l’attività di consulente del lavoro in Italia di iscriversi all’albo professionale italiano e di possedere a tal fine un certificato di residenza, nonché di rispettare le disposizioni correlate in merito ai centri di elaborazione dati, che devono essere esclusivamente composti da consulenti del lavoro.
Il 7 luglio 2004 la Commissione ha inviato all’Italia il parere motivato.
Il 7 settembre 2006 la Commissione ha presentato il ricorso alla Corte di giustizia delle Comunità europee (Causa C-365/06).
Il 25 settembre 2006 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla creazione di un quadro europeo delle qualifiche.
Il PE, in particolare, sottolinea la necessità di istituire un sistema europeo di riconoscimento delle qualifiche e delle competenze al fine di favorirne la trasparenza, la trasferibilità e l’impiego da parte dei vari Stati membri nel pieno rispetto delle ricchezze e delle specificità territoriali. Secondo il PE, tenuto conto delle nuove sfide poste dalla società dell’informazione e dai cambiamenti demografici, lo sviluppo di un quadro per le qualifiche riveste un’importanza cruciale per facilitare la mobilità professionale all’interno dell’UE e per promuovere la competitività e la coesione sociale come previsto dalla strategia di Lisbona. Il PE ricorda, altresì, che il quadro europeo delle qualifiche non è destinato a sostituire, bensì ad integrare i quadri nazionali per le qualifiche.
Il 5 settembre 2006 la Commissione ha presentato una proposta di raccomandazione relativa alla costituzionedel Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l’apprendimento permanente (COM(2006)479).
La proposta, che si inscrive nell’ambito della strategia di Lisbona, intende fornire uno strumento di riferimento per confrontare le qualifiche dei diversi sistemi di istruzione e di formazione nell’UE. L’elemento chiave è l’insieme di otto livelli di riferimento che descrivono le conoscenze e le capacità di chi apprende, spostando l’attenzione dagli input dell’apprendimento (durata, tipo di istituzione) ai risultati dell’apprendimento.
Si prevede che l’adozione della proposta, attualmente all’esame del Consiglio e del Parlamento europeo secondo la procedura di codecisione, possa avvenire entro il 2007.
Nel programma legislativo e di lavoro per il 2007 figura l'intenzione della Commissione di procedere - in seguito alla presentazione della suddetta proposta di raccomandazione - all'abrogazione della decisione n. 85/368/CEE relativa ad un sistema per la comparabilità delle qualifiche di formazione professionale. La Commissione ritiene, infatti, che a causa della rapida evoluzione del settore delle qualifiche, questa decisione possa considerarsi superata.
L'iniziativa della Commissione rientra fra le misure preannunciate nel programma di lavoro allo scopo di semplificare e modernizzare il quadro normativo comunitario nel settore del mercato interno.
Articolo 5-ter
(Adeguamento a decisioni comunitarie sulla professione di consulente del lavoro)
1. Alla legge 11 gennaio 1979, n. 12, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 1, quinto comma, le parole: «costituiti e composti esclusivamente da» sono sostituite dalle seguenti: «che devono essere in ogni caso assistiti da uno o più»;
b) all'articolo 3, secondo comma, la lettera d) è sostituita dalla seguente:
«d) abbiano conseguito la laurea triennale o quinquennale riconducibile agli insegnamenti delle facoltà di giurisprudenza, economia, scienze politiche, ovvero il diploma universitario o la laurea triennale in consulenza del lavoro, o la laurea quadriennale in giurisprudenza, in scienze economiche e commerciali o in scienze politiche»;
c) all'articolo 9, primo comma, la lettera i) è sostituita dalla seguente:
«i) documentazione attestante l'elezione di domicilio professionale»;
d) dopo l'articolo 8, è inserito il seguente:
«Art. 8-bis. - 1. Coloro che abbiano conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione di consulente del lavoro con il diploma di scuola secondaria superiore possono iscriversi al relativo albo entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. I soggetti non in possesso dei titoli di laurea di cui all'articolo 3, secondo comma, lettera d), che, alla data di entrata in vigore della presente disposizione, abbiano ottenuto il certificato di compiuta pratica, o siano iscritti al registro dei praticanti, o abbiano presentato domanda di iscrizione al predetto registro dei praticanti, possono sostenere l'esame di abilitazione entro e non oltre il 31 dicembre 2013».
L’articolo 5-ter, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, reca modifiche alla disciplina inerente alla professione di consulente del lavoro di cui alla L. 11 gennaio 1979, n. 12[82].
Le disposizioni di cui alle lettere a) e c) sono conseguenti a specifiche procedure di contenzioso in ambito comunitario, concernenti la riserva a favore dei consulenti del lavoro o a professionisti assimilati iscritti negli albi italiani dell’attività di elaborazione e stampa dei fogli paga nonché l’obbligo di possedere un certificato di residenza al fine dell’iscrizione all’albo professionale italiano.
Invece le disposizioni di cui alle lettere b) e d) sono volte a prevedere una modifica dei requisiti richiesti per l'ammissione all'esame di abilitazione all'esercizio della professione di consulente del lavoro.
Più specificamente le lettere a) e c), prendendo atto delle procedure di contenzioso in atto nei confronti dell’Italia in sede comunitaria, provvedono ad adeguare la normativa relativa alla professione di consulente del lavoro ai principi previsti nell’ordinamento comunitario in materia di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi.
Al riguardo, si segnala che la Commissione europea ha
inviato all’Italia una lettera di messa
in mora il 24 luglio 2000[83].
A
complemento della costituzione in mora del luglio 2000, che resta
impregiudicata, con lettera del 16
dicembre 2003
Il 7 luglio
2004
Il 7 settembre 2006
In particolare, la lettera a), novellando l’articolo 1, quinto comma, della L. 12 del 1979, interviene sulla disciplina contenuta nel medesimo articolo che riserva a determinati soggetti l’attività di elaborazione e di stampa dei fogli paga.
L’articolo 1 della L. 12 del 1979 reca disposizioni in ordine all’esercizio della professione di consulente del lavoro. In particolare, il primo comma stabilisce che tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, non possono essere assunti se non da coloro che siano iscritti nell'albo dei consulenti del lavoro.
Il successivo quinto comma dispone che per lo svolgimento delle operazioni di calcolo e stampa relative ai fogli paga dei lavoratori dipendenti, nonché per l'esecuzione delle attività strumentali ed accessorie, le imprese artigiane nonché le altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, possano avvalersi anche di centri di elaborazione dati costituiti e composti esclusivamente da soggetti iscritti agli albi di consulente del lavoro. Inoltre, le imprese con oltre 250 addetti che non si avvalgono, per le operazioni suddette, di proprie strutture interne possono demandarle a centri di elaborazione dati, di diretta costituzione od esterni, i quali devono essere in ogni caso assistiti da uno o più soggetti iscritti al richiamato albo.
In particolare all’articolo 1, quinto comma, della L. 12 del 1979, si dispone - con ciò recependo quanto rilevato in sede comunitaria - che le operazioni di calcolo e stampa relative ai fogli paga dei lavoratori delle imprese artigiane e delle piccole imprese possa essere svolta da tutti i centri elaborazione dati purché assistiti da uno o più consulenti del lavoro. Pertanto viene soppressa la previsione secondo cui i centri elaborazione dati, per poter svolgere le predette operazioni, debbano essere costituiti e composti esclusivamente da soggetti iscritti all’albo dei consulenti del lavoro.
La successiva lettera c), sostituendo la lettera i) del primo comma dell’articolo 9 della L. 12 del 1979, prevede che tra le condizioni di iscrizioni all’albo dei consulenti del lavoro non sia più richiesto il certificato di residenza bensì la documentazione attestante l’elezione di domicilio professionale.
Le lettere b) e d) intendono modificare la disciplina della L. 12 del 1979, in modo da richiedere per l’ammissione all’esame di Stato per l’abilitazione alla professione di consulente del lavoro il possesso almeno di una laurea triennale nelle discipline riconducibili all’area giuridico-economica, ritenendo non più sufficiente il possesso di un diploma di scuola secondaria superiore secondo indirizzi riconducibili all’area delle scienze sociali.
Si consideri che le lettere b) e d) ripropongono le analoghe disposizioni contenute nella pdl 2023 (Pagliarini ed altri), recante modifiche all'articolo 3 della richiamata L. 12 del 1979, in materia di requisiti per l'ammissione all'esame di abilitazione all'esercizio della professione di consulente del lavoro, attualmente all’esame in sede referente della XI Commissione della Camera.
In particolare, la lettera b), novellando l’articolo 3, secondo comma, lettera d), della L. 12 del 1979, fermo restando il riferimento alle lauree quadriennali in giurisprudenza, in scienze economiche e commerciali o in scienze politiche conseguite secondo il “vecchio ordinamento”, già presenti anche nell’attuale formulazione della norma, introduce per l’ammissione al medesimo esame di Stato la previsione del requisito del conseguimento di una laurea triennale o quinquennale riconducibile all’area giuridico-economica ovvero del diploma universitario o la laurea triennale in consulenza del lavoro. Pertanto viene eliminata la possibilità di accedere al tirocinio per l’esercizio della professione di consulente del lavoro per coloro che siano in possesso, come previsto dalla vigente formulazione dell’art. 3 della L. 12/1979, di un diploma di maturità di scuola secondaria superiore secondo indirizzi riconducibili all'area delle scienze sociali.
Si evidenzia che la disposizione in esame fa riferimento ai titoli di studio attualmente rilasciati dalle università (lauree triennali o quinquennali) ed ai titoli antecedenti alla riforma degli ordinamenti didattici (vedi infra) quali diploma universitario e laurea quadriennale.
Con riguardo alla formulazione del testo si segnala che sarebbe opportuno sostituire la denominazione “laurea quinquennale” con “laurea magistrale” secondo la definizione utilizzata dal Decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270 (regolamento recante norme sull'autonomia didattica degli atenei).
Si segnala inoltre che sarebbe opportuno un riferimento più preciso alle classi dei corsi di laurea triennale o specialistica (ora denominata magistrale) alle quali la disposizione in esame intende richiamarsi; tali classi sono elencate rispettivamente nei decreti ministeriali 4 agosto 2000 e 28 novembre 2000.
La durata e l’organizzazione dei percorsi universitari dei corsi di laurea in giurisprudenza, in scienze economiche e commerciali o in scienze politiche è descritta nelle tabelle allegate al Regio Decreto 1652/1938 (Disposizioni sull'ordinamento didattico universitario) come modificate da successivi provvedimenti[84]; tali percorsi sono stati gradualmente sostituiti dagli ordinamenti didattici conseguenti alla riforma avviata dal 1999.
Nel frattempo la legge 341/1990[85] aveva previsto, per quanto qui interessa, un nuovo corso di livello universitario in esito al quale si otteneva il diploma universitario (art. 1 e 2). La medesima legge disponeva che il corso avesse durata non inferiore a due anni e non superiore a tre e fornisse le conoscenze richieste da specifiche aree professionali; la definizione degli ordinamenti didattici veniva demandata a decreti del Presidente della Repubblica, adottati su proposta del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica.
La riforma degli ordinamenti didattici universitari, avviata dall’art. 17, comma 95, della legge 127/1997[86] -così detta “Bassanini 2”-e realizzata dai decreti ministeriali di attuazione (in particolare dal DM 509/1999[87], poi sostituito dal D.M. 270/2004[88]) haprevisto la seguente articolazione (cosiddetto” 3+2”) dei corsi di laurea e dei relativi titoli:
- la laurea triennale, finalizzata ad assicurare un'adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali;
- la laurea magistrale (inizialmente denominata, dal DM509/1999, specialistica) conseguibile in ulteriori due anni al termine del corso di laurea triennale (3+2), con l'obiettivo di fornire allo studente una formazione di livello avanzato per l'esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici[89];
Per quanto qui interessa, nell’ambito dei decreti ministeriali (adottati nel 2000) recanti individuazione delle classi delle lauree e dei relativi contenuti formativi[90], sono state indicate le seguenti classi delle lauree in giurisprudenza, economia e scienze politiche:
Laurea (di durata triennale):
Classe 2 Classe delle lauree inscienze dei servizi giuridici
Classe 15 Classe delle lauree inscienze politiche e delle relazioni internazionali
Classe 17 Classe delle lauree inscienze dell’economia e della gestione aziendale
Classe 18 Classe delle lauree inscienze dell’amministrazione
Classe 28 Classe delle lauree inscienze economiche
Classe 31 Classe delle lauree inscienze giuridiche
Classe 35 Classe delle lauree inscienze sociali per la cooperazione, lo sviluppo e la pace
Laurea specialistica (ora denominata magistrale, ai sensi del citato DM 270/2004):
Classe 22/S – Classe delle lauree specialistiche in giurisprudenza
102/S Teorie e tecniche della normazione e dell’informazione giuridica
60/S Classe delle lauree specialistiche in relazioni internazionali
64/S Classe delle lauree specialistiche in scienze dell'economia
70/S Classe delle lauree specialistiche in scienze della politica
71/S Classe delle lauree specialistiche in scienze delle pubbliche amministrazioni 84/S Classe delle lauree specialistiche in scienze economico-aziendali
La realizzazione dei percorsi di laurea è comunque affidata all’autonomia delle università; queste ultime, nell’ambito di principi generali indicati dai decreti citati, stabiliscono nei regolamenti di ateneo articolazione e denominazione del corso di laurea (da attivare in una facoltà o con il concorso di più facoltà). Il titolo rilasciato alla conclusione degli studi indica poi la classe di appartenenza e la specifica denominazione del corso; inoltre, come supplemento al diploma viene rilasciato, un certificato che riporta, secondo modelli conformi a quelli adottati dai Paesi europei, le principali indicazioni relative al curriculum specifico seguito dallo studente (art. 11 DM 270/2004).
Con riguardo alle professioni legali va ricordato inoltre che il citato DM 270/2004 ha autorizzato per i relativi corsi di laurea una deroga al modello 3+2 (articolo 6) consentendo l’istituzione di una classe di laurea magistrale con percorso unitario. Con Decreto del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca 25 novembre 2005[91] è stata pertanto definita una classe di laurea magistrale a ciclo unico per le professioni legali prevedendo l'avvio dei nuovi corsi a partire dall'anno accademico 2006/2007.
Si ricorda, infine, che, in relazione alle innovazioni introdotte dal DM 270/2004 si è reso necessario un riordino delle classi delle lauree e delle lauree specialistiche (ora magistrali); nel novembre 2006 sono stati pertanto trasmessi alle Camere per l’espressione del parere due schemi di decreto ministeriale relativi alle due tipologie di percorso; i provvedimenti in questione tuttavia non sono stati ancora emanati dopo l’espressione del prescritto parere. A titolo informativo si segnala comunque che in tali schemi di decreto sono state espunte la classe di laurea L 31 - Scienze giuridiche nonché le classi di laurea specialistica 22/S – Giurisprudenza e 102/S Teorie e tecniche della normazione e dell’informazione giuridica, in considerazione dell’istituzione di una classe delle lauree magistrali in giurisprudenza con un percorso unitario di cinque anni (LMG/01, ai sensi del citato DM 25 novembre 2005).
La successiva lettera d), introducendo l’articolo 8-bis nella L. 12/1979, dispone una dettagliata disciplina transitoria, in modo da salvaguardare coloro che abbiano già intrapreso il percorso per lo svolgimento della professione in base alle norme attualmente vigenti.
Si prevede, quindi, che coloro che, alla data dell’entrata in vigore del provvedimento, avessero già conseguito l’abilitazione per l’esercizio della professione sulla base del possesso del diploma di scuola secondaria superiore, possono iscriversi all’albo dei consulenti del lavoro di cui all’art. 8 della L. 12/79 entro tre anni dalla stessa data (primo periodo del nuovo articolo 8-bis).
L’art. 8 della L. 12/1979 prevede che l'albo dei consulenti del lavoro è istituito in ogni provincia e che il consulente del lavoro iscritto in un albo provinciale può esercitare l'attività professionale in tutto il territorio dello Stato.
L'albo deve contenere il cognome, il nome, il luogo e la data di nascita, il titolo di studio, la residenza e l'eventuale domicilio degli iscritti, la data di iscrizione e gli estremi del diploma di abilitazione di cui è in possesso l'iscritto.
Inoltre, viene precisato che l'albo è compilato secondo l'ordine cronologico delle iscrizioni e che la data di iscrizione nell'albo stabilisce l'anzianità.
Invece, ai soggetti che, pur non essendo in possesso dei requisiti relativi ai titoli di studio universitario previsti dalla nuova formulazione dell’art. 3, secondo comma, lettera d), della L. 12/1979, alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame hanno già ottenuto il certificato di compiuta pratica tirocinio o sono iscritti al registro dei praticanti ovvero hanno presentato la domanda di iscrizione nello stesso registro, si concede la possibilità di sostenere l’esame di Stato entro e non oltre il 31 dicembre 2013 (secondo periodo del nuovo articolo 8-bis).
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CAMERA DEI DEPUTATI ¾¾¾¾¾¾¾¾ |
DISEGNO DI LEGGE APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA il 14 marzo 2007 (v. stampato Senato n. 1329) |
presentato dal presidente del consiglio dei ministri (PRODI) dal ministro per le politiche europee (BONINO) e dal ministro dell'economia e delle finanze (PADOA SCHIOPPA) di concerto con il ministro della salute (TURCO) con il ministro delle comunicazioni (GENTILONI SILVERI) con il ministro della solidarietà sociale (FERRERO) con il ministro dello sviluppo economico (BERSANI) con il ministro dell'interno (AMATO) con il ministro degli affari esteri (D'ALEMA) e con il ministro della giustizia (MASTELLA) ¾ |
Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto-legge |
¾¾¾¾¾¾¾¾
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica
il 15 marzo 2007
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disegno di legge ¾¾¾
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Art. 1
1. Il decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10, recante disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge. 2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. |
Allegato
MODIFICAZIONI
APPORTATE IN SEDE DI CONVERSIONE
AL DECRETO-LEGGE 15 FEBBRAIO 2007, N. 10
All'articolo 1:
al comma 1, le parole: «della Commissione europea 2003/193/CE» sono sostituite dalle seguenti: «2003/193/CE della Commissione,»;
al comma 2, nel secondo periodo, dopo la parola: «aiuti» sono inserite le seguenti: «nella misura della loro effettiva fruizione», nel quinto periodo, dopo le parole: «decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546» sono inserite le seguenti: «, e successive modificazioni» e, nel sesto periodo, dopo le parole: «solo nelle ipotesi» è inserita la seguente: «di»;
al comma 4, le parole: «della Commissione europea 2003/193/CE» sono sostituite dalle seguenti: «2003/193/CE della Commissione,», le parole: «Trattato CE» dalle seguenti: «Trattato che istituisce la Comunità europea», le parole: «Trattato CEE» dalle seguenti: «Trattato che istituisce la Comunità economica europea» e le parole: «Trattato CECA» dalle seguenti: «Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio»;
al comma 5, le parole: «presente recupero» sono sostituite dalle seguenti: «recupero di cui al presente articolo» e dopo le parole: «comunicazione 96/C 68/06» sono inserite le seguenti: «della Commissione,»;
al comma 6, le parole: «della Commissione europea 92/C 213/02» sono sostituite dalle seguenti: «92/C 213/02 della Commissione,» e dopo le parole: «comunicazione 96/C 68/06» sono inserite le seguenti: «della Commissione,»;
al comma 8, dopo la parola: «Commissione» è inserita la seguente: «europea»;
al comma 9, dopo le parole: «comma 4» è inserito il segno di interpunzione: «,» e le parole: «della Commissione 2003/193/CE» sono sostituite dalle seguenti: «2003/193/CE della Commissione,»;
nella rubrica, le parole: «della Commissione 2003/193/CE» sono sostituite dalle seguenti: «2003/193/CE della Commissione,».
All'articolo 2, nel comma 1, quarto periodo, le parole: «ed esecuzione» sono sostituite dalle seguenti: «e nell'esecuzione» e dopo le parole: «titolo II, del» sono inserite le seguenti: «codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al».
Dopo l'articolo 2, è inserito il seguente:
«Art. 2-bis. - (Disposizioni per l'attuazione degli articoli 5, 6 e 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, ratificato ai sensi della legge 6 aprile 2004, n. 101). - 1. L'articolo 19-bis della legge 25 novembre 1971, n. 1096, è sostituito dal seguente:
"Art. 19-bis. - 1. Al fine di promuovere la conservazione in situ e l'utilizzazione sostenibile delle risorse fitogenetiche, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, in attuazione degli impegni previsti dagli articoli 5, 6 e 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, ratificato ai sensi della legge 6 aprile 2004, n. 101, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, provvede all'istituzione di un apposito registro nazionale nel quale sono iscritte, su richiesta delle regioni e delle province autonome, di altri enti pubblici, di istituzioni scientifiche, organizzazioni sociali, associazioni e singoli cittadini, previa valutazione dell'effettiva unicità, le `varietà da conservazione', come definite al comma 2.
2. Si intendono per `varietà da conservazione' le varietà, le popolazioni, gli ecotipi, i cloni e le cultivar di interesse agricolo relativi alle seguenti specie di piante:
a) autoctone e non autoctone, mai iscritte in altri registri nazionali, purché integratesi da almeno cinquanta anni negli agroecosistemi locali;
b) non più iscritte in alcun registro e minacciate da erosione genetica;
c) non più coltivate sul territorio nazionale e conservate presso orti botanici, istituti sperimentali, banche del germoplasma pubbliche o private e centri di ricerca, per le quali sussiste un interesse economico, scientifico, culturale o paesaggistico a favorirne la reintroduzione.
3. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito delle rispettive competenze, tutelano il patrimonio agrario costituito dalle risorse genetiche delle piante di cui al comma 2 e provvedono affinché le comunità locali che ne hanno curato la conservazione partecipino ai benefìci derivanti dalla loro riproduzione, come previsto dalla Convenzione internazionale sulla biodiversità, ratificata ai sensi della legge 14 febbraio 1994, n. 124.
4. L'iscrizione delle `varietà da conservazione' nel registro di cui al comma 1 è gratuita ed esentata dall'obbligo di esame ufficiale, anche sulla base di adeguata considerazione dei risultati di valutazioni non ufficiali, delle conoscenze acquisite dagli agricoltori nell'esperienza pratica della coltivazione, della riproduzione e dell'impiego. Ai fini dell'iscrizione è altresì disposta la deroga alle condizioni di omogeneità, stabilità e differenziabilità previste dall'articolo 19.
5. Per quanto non previsto dal presente articolo l'iscrizione delle `varietà da conservazione' nel registro di cui al comma 1 è disciplinata dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 ottobre 1973, n. 1065, e dalla legge 20 aprile 1976, n. 195.
6. Ai produttori agricoli, residenti nei luoghi dove le `varietà da conservazione' iscritte nel registro di cui al comma 1 hanno evoluto le loro proprietà caratteristiche o che provvedano al loro recupero e mantenimento, è riconosciuto il diritto alla vendita diretta in ambito locale di modiche quantità di sementi o materiali da propagazione relativi a tali varietà, qualora prodotti nella azienda condotta. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali stabilisce, con proprio decreto, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le modalità per l'esercizio di tale diritto.
7. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali può definire, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adeguate restrizioni quantitative ed eventuali deroghe ai fini dell'iscrizione nei registri di cui all'articolo 19 nel caso di coltivazione e commercializzazione di sementi di specie e varietà prive di valore intrinseco per la produzione vegetale, ma sviluppate per la coltivazione in condizioni particolari.
8. Sono escluse dal campo di applicazione del presente articolo le varietà geneticamente modificate, come definite dall'articolo 1 del decreto legislativo 24 aprile 2001, n. 212.
9. Per il funzionamento del registro di cui al comma 1, è autorizzata la spesa annua di 30.000 euro a decorrere dall'anno 2007. Al relativo onere, pari a euro 30.000 annui a decorrere dall'anno 2007, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente ‘Fondo speciale’ dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali"».
All'articolo 3:
al comma 5, le parole: «pari a 26 milioni di euro per l'anno 2007» sono sostituite dalle seguenti: «valutati in 26 milioni di euro per l'anno 2007»;
dopo il comma 7, è aggiunto il seguente:
«7-bis. Al fine di adeguare la normativa nazionale alle prescrizioni della giurisprudenza comunitaria di cui alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee C-197/03 dell'11 maggio 2006, all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è abrogato;
b) al comma 2, le parole: "indicati al comma 1" sono sostituite dalle seguenti: "1985, 1986, 1987, 1988, 1989, 1990, 1991 e 1992" e le parole: "della differenza fra le somme versate e quelle dovute a norma del citato comma 1" sono sostituite dalle seguenti: "delle somme versate";
c) al comma 3, le parole: "nella misura del tasso legale vigente alla data di entrata in vigore della presente legge" sono sostituite dalle seguenti: "nella misura stabilita dall'articolo 1 della legge 26 gennaio 1961, n. 29, e successive modificazioni"»;
nella rubrica, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «Adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee C-197/03 dell'11 maggio 2006».
All'articolo 4:
al comma 2, dopo le parole: «comma 1, del» sono inserite le seguenti: «codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al»;
il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Il comma 34 dell'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239, è sostituito dai seguenti:
"34. Al fine di garantire un'effettiva concorrenza e pari opportunità di iniziativa economica, le imprese operanti nei settori della vendita, del trasporto e della distribuzione dell'energia elettrica e del gas naturale, che abbiano in concessione o in affidamento la gestione dei servizi pubblici locali ovvero la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni infrastrutturali, possono svolgere attività nel settore verticalmente collegato o contiguo dei servizi post-contatore di installazione, assistenza e manutenzione nei confronti dei medesimi utenti finali del servizio pubblico, avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale, per l'esercizio indiretto dei medesimi servizi di post-contatore, non possono applicare condizioni né concordare pratiche economiche, contrattuali, pubblicitarie ed organizzative atte a determinare ingiustificati svantaggi per le imprese direttamente concorrenti nel medesimo settore dei servizi post-contatore e rendono accessibili alle medesime imprese i beni, i servizi e gli elementi informativi e conoscitivi di cui abbiano la disponibilità in relazione all'attività svolta in posizione dominante o in regime di monopolio.
34-bis. Alle imprese di cui al comma 34 operanti nei settori dell'energia elettrica e del gas naturale si applicano le disposizioni previste dai commi 2-bis, 2-ter, 2-quater, 2-quinquies e 2-sexies dell'articolo 8 della legge 10 ottobre 1990, n. 287."»;
al comma 4, nell'alinea, le parole: «Al decreto» sono sostituite dalle seguenti: «Al codice della proprietà industriale, di cui al decreto» e, nella lettera b), al capoverso Art. 239, sono soppresse le parole: «e successive modificazioni,».
Dopo l'articolo 4, sono inseriti i seguenti:
«Art. 4-bis. - (Norme per la compensazione degli aiuti comunitari con i contributi previdenziali). - 1. Al comma 16 dell'articolo 01 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, e successive modificazioni, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: "A tal fine, in sede di pagamento degli aiuti comunitari, gli organismi pagatori sono autorizzati a compensare tali aiuti con i contributi previdenziali dovuti dall'impresa agricola beneficiaria, comunicati dall'Istituto previdenziale all'AGEA in via informatica. In caso di contestazioni, la legittimazione processuale passiva compete all'Istituto previdenziale".
Art. 4-ter. - (Norme per l'attuazione di disposizioni comunitarie in materia agricola). - 1. Nell'ambito del regime di pagamento unico previsto dal regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio, del 29 settembre 2003, il pagamento degli aiuti comunitari riferiti ai titoli speciali da soccida, inclusi in domande di aiuto per l'anno 2005 non corredate dell'assenso dei soccidari alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è effettuato dagli organismi pagatori competenti con la stessa ripartizione percentuale prevista dall'articolo 1-bis, comma 6, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81.
2. Al fine di assicurare la regolare applicazione della normativa comunitaria, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, istituisce il Registro pubblico informatico dei diritti di reimpianto del settore vitivinicolo, di cui ai regolamenti (CE) n. 1493/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, e n. 1227/2000 della Commissione, del 31 maggio 2000. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, avvalendosi del sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), comunicano all'AGEA i dati relativi a tali diritti e provvedono al loro tempestivo aggiornamento».
L'articolo 5 è sostituito dal seguente:
«Art. 5. - (Modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di distacco di lavoratori cittadini di Paesi terzi nell'ambito di una prestazione di servizi. Procedura d'infrazione n. 1998/2127). - 1. Al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 13, la lettera b) del comma 2 è sostituita dalla seguente:
"b) si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all'articolo 27, comma 1-bis, o senza aver richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo";
b) all'articolo 27, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
"1-bis. Nel caso in cui i lavoratori di cui alla lettera i) del comma 1 siano dipendenti regolarmente retribuiti dai datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede in uno Stato membro dell'Unione europea, il nulla osta al lavoro è sostituito da una comunicazione, da parte del committente, del contratto in base al quale la prestazione di servizi ha luogo, unitamente ad una dichiarazione del datore di lavoro contenente i nominativi dei lavoratori da distaccare e attestante la regolarità della loro situazione con riferimento alle condizioni di residenza e di lavoro nello Stato membro dell'Unione europea in cui ha sede il datore di lavoro. La comunicazione è presentata allo sportello unico della prefettura-ufficio territoriale del Governo, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno"».
Dopo l'articolo 5, sono inseriti i seguenti:
«Art. 5-bis. - (Attuazione del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche). - 1. Il Ministero della salute provvede, di intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico e la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie, agli adempimenti previsti dal regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH).
2. Il Ministero della salute è designato quale "autorità competente" ai sensi dell'articolo 121 del regolamento di cui al comma 1.
3. Con decreto del Ministero della salute, da adottare di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il Ministero dello sviluppo economico, con il Ministero dell'economia e delle finanze e con la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è approvato il piano di attività riguardante i compiti di cui al comma 1 e l'utilizzo delle risorse di cui al comma 5. Lo schema di decreto è trasmesso alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle competenti Commissioni parlamentari, da rendere entro venti giorni dalla data di trasmissione.
4. Per l'esecuzione delle attività previste al comma 1, l'autorità competente si avvale del supporto tecnico-scientifico dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici e dell'Istituto superiore di sanità. Quest'ultimo istituisce, a tale scopo, nell'ambito delle proprie strutture, il Centro nazionale delle sostanze chimiche (CSC).
5. Per l'attuazione delle disposizioni del presente articolo è autorizzata la spesa nei limiti di 2,1 milioni di euro per l'anno 2007, di 4,4 milioni di euro per l'anno 2008 e di 4,6 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009. Al predetto onere si provvede, per l'anno 2007, per 2,1 milioni di euro, con le disponibilità del Fondo di rotazione di cui alla legge 16 aprile 1987, n. 183, che vengono versate allo stato di previsione dell'entrata per la successiva riassegnazione ai pertinenti capitoli di spesa. Per 4,4 milioni di euro per l'anno 2008 e 4,6 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della salute.
6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Art. 5-ter. - (Norme di adeguamento a decisioni comunitarie sulla professione di consulente del lavoro). - 1. Alla legge 11 gennaio 1979, n. 12, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 1, quinto comma, le parole: "costituiti e composti esclusivamente da" sono sostituite dalle seguenti: "che devono essere in ogni caso assistiti da uno o più";
b) all'articolo 3, secondo comma, la lettera d) è sostituita dalla seguente:
"d) abbiano conseguito la laurea triennale o quinquennale riconducibile agli insegnamenti delle facoltà di giurisprudenza, economia, scienze politiche, ovvero il diploma universitario o la laurea triennale in consulenza del lavoro, o la laurea quadriennale in giurisprudenza, in scienze economiche e commerciali o in scienze politiche";
c) all'articolo 9, primo comma, la lettera i) è sostituita dalla seguente:
"i) documentazione attestante l'elezione di domicilio professionale";
d) dopo l'articolo 8, è inserito il seguente:
"Art. 8-bis. - 1. Coloro che abbiano conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione di consulente del lavoro con il diploma di scuola secondaria superiore possono iscriversi al relativo albo entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. I soggetti non in possesso dei titoli di laurea di cui all'articolo 3, secondo comma, lettera d), che, alla data di entrata in vigore della presente disposizione, abbiano ottenuto il certificato di compiuta pratica, o siano iscritti al registro dei praticanti, o abbiano presentato domanda di iscrizione al predetto registro dei praticanti, possono sostenere l'esame di abilitazione entro e non oltre il 31 dicembre 2013"».
Decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 38 del 15 febbraio 2007.
Testo del decreto-legge
Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari
ed internazionali.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;
Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni al fine di adempiere ad obblighi comunitari derivanti da sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e da procedure di infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano, nonché di ottemperare ad impegni assunti in ambito internazionale in merito alla candidatura della città di Milano per l'Esposizione universale 2015;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 7 febbraio 2007;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro per le politiche europee e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della salute, delle comunicazioni, della solidarietà sociale, dello sviluppo economico, dell'interno, degli affari esteri e della giustizia;
emana
il seguente decreto-legge:
Articolo 1.
(Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, resa in data 1o giugno 2006 nella causa C-207/05. Attuazione della decisione della Commissione 2003/193/CE del 5 giugno 2002. Procedura d'infrazione ex articolo 228 del Trattato CE n. 2006/2456).
1. Il recupero degli aiuti equivalenti alle imposte non corrisposte e dei relativi interessi calcolati ai sensi dell'articolo 3, terzo comma, della decisione della Commissione europea 2003/193/CE del 5 giugno 2002, in relazione a ciascun periodo di imposta nel quale l'aiuto è stato fruito, è effettuato dall'Agenzia delle entrate.
Testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato
della Repubblica
Articolo 1.
(Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, resa in data 1o giugno 2006 nella causa C-207/05. Attuazione della decisione 2003/193/CE della Commissione, del 5 giugno 2002. Procedura d'infrazione ex articolo 228 del Trattato CE n. 2006/2456).
1. Il recupero degli aiuti equivalenti alle imposte non corrisposte e dei relativi interessi calcolati ai sensi dell'articolo 3, terzo comma, della decisione 2003/193/CE della Commissione, del 5 giugno 2002, in relazione a ciascun periodo di imposta nel quale l'aiuto è stato fruito, è effettuato dall'Agenzia delle entrate.
(segue:testo del decreto-legge)
2. L'Agenzia delle entrate, sulla base delle comunicazioni trasmesse dagli enti locali e delle dichiarazioni dei redditi presentate dalle società beneficiarie ai sensi rispettivamente dei punti 2 e 3 del provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate 1o giugno 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 14 giugno 2005, emesso in attuazione del comma 6 dell'articolo 27 della legge 18 aprile 2005, n. 62, nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dall'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, liquida le imposte con i relativi interessi; in caso di mancata presentazione della dichiarazione, l'Agenzia delle entrate liquida le somme dovute sulla base degli elementi direttamente acquisiti. L'Agenzia delle entrate provvede al recupero degli aiuti, notificando, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, apposita comunicazione, in relazione a ciascuna annualità interessata dal regime agevolativo, contenente l'ingiunzione di pagamento delle somme dovute, con l'intimazione che, in caso di mancato versamento entro trenta giorni dalla data di notifica, si procede, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ad iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle somme non versate, nonché degli ulteriori interessi dovuti. Non si fa luogo, in ogni caso, all'applicazione di sanzioni per violazioni di natura tributaria e di ogni altra specie comunque connesse alle procedure disciplinate dalle presenti disposizioni. Non sono applicabili gli istituti della dilazione dei pagamenti e della sospensione in sede amministrativa. La comunicazione contenente l'ingiunzione al pagamento delle somme dovute a titolo di restituzione dell'aiuto costituisce atto impugnabile davanti alle Commissioni tributarie, ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. Tenuto conto tanto del preminente interesse nazionale in relazione alle condanne irrogabili alla Repubblica italiana, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 228, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, quanto dell'effetto negativo delle determinazioni di competenza della Commissione europea sugli interventi in favore di imprese nazionali, l'autorità giudiziaria, previo accertamento della gravità ed irreparabilità del pregiudizio allegato dal richiedente, può disporre la sospensione in sede cautelare delle ingiunzioni di cui al periodo precedente solo nelle ipotesi:
a) errore di persona;
b) errore materiale del contribuente;
c) evidente errore di calcolo.
3. Gli interessi sono determinati in base alle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, secondo i criteri di calcolo approvati dalla Commissione europea in relazione al recupero dell'aiuto di Stato C57/03, disciplinato dall'articolo 24 della legge 25 gennaio 2006,
(segue:testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica)
2. L'Agenzia delle entrate, sulla base delle comunicazioni trasmesse dagli enti locali e delle dichiarazioni dei redditi presentate dalle società beneficiarie ai sensi rispettivamente dei punti 2 e 3 del provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate 1o giugno 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 14 giugno 2005, emesso in attuazione del comma 6 dell'articolo 27 della legge 18 aprile 2005, n. 62, nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dall'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, liquida le imposte con i relativi interessi; in caso di mancata presentazione della dichiarazione, l'Agenzia delle entrate liquida le somme dovute sulla base degli elementi direttamente acquisiti. L'Agenzia delle entrate provvede al recupero degli aiuti nella misura della loro effettiva fruizione, notificando, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, apposita comunicazione, in relazione a ciascuna annualità interessata dal regime agevolativo, contenente l'ingiunzione di pagamento delle somme dovute, con l'intimazione che, in caso di mancato versamento entro trenta giorni dalla data di notifica, si procede, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ad iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle somme non versate, nonché degli ulteriori interessi dovuti. Non si fa luogo, in ogni caso, all'applicazione di sanzioni per violazioni di natura tributaria e di ogni altra specie comunque connesse alle procedure disciplinate dalle presenti disposizioni. Non sono applicabili gli istituti della dilazione dei pagamenti e della sospensione in sede amministrativa. La comunicazione contenente l'ingiunzione al pagamento delle somme dovute a titolo di restituzione dell'aiuto costituisce atto impugnabile davanti alle Commissioni tributarie, ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni. Tenuto conto tanto del preminente interesse nazionale in relazione alle condanne irrogabili alla Repubblica italiana, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 228, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, quanto dell'effetto negativo delle determinazioni di competenza della Commissione europea sugli interventi in favore di imprese nazionali, l'autorità giudiziaria, previo accertamento della gravità ed irreparabilità del pregiudizio allegato dal richiedente, può disporre la sospensione in sede cautelare delle ingiunzioni di cui al periodo precedente solo nelle ipotesi di:
a) identica;
b) identica;
c) identica.
3. Identico.
(segue:testo del decreto-legge)
n. 29. Il tasso di interesse da applicare è il tasso in vigore alla data di scadenza ordinariamente prevista per il versamento di saldo delle imposte non corrisposte con riferimento al primo periodo di imposta interessato dal recupero dell'aiuto.
4. Conformemente alla disciplina comunitaria applicabile ed alla decisione della Commissione europea 2003/193/CE del 5 giugno 2002, costituiscono deroghe al divieto previsto dall'articolo 87, paragrafo 1, del Trattato CE, e non sono pertanto oggetto di iscrizione a ruolo a titolo definitivo, gli aiuti, comunque determinati nella comunicazione di ingiunzione notificata al soggetto beneficiario, rientranti nell'ambito di applicabilità della regola «de minimis», esclusi i settori disciplinati da norme comunitarie speciali in materia di aiuti di Stato emanate sulla base dal Trattato CEE o del Trattato CECA, vigenti nel periodo di riferimento.
5. Ai fini del presente recupero, appartengono alla categoria degli aiuti «de minimis» gli aiuti che, in base alla comunicazione 92/C 213/02 della Commissione del 20 maggio 1992, non eccedono l'importo complessivo di 50.000 ECU, elevato a 100.000 ECU con la comunicazione 96/C 68/06 del 6 marzo 1996, su un periodo di tre anni decorrente dal primo aiuto «de minimis»; tale massimale si applica indipendentemente dalla forma degli aiuti o dall'obiettivo perseguito.
6. Per gli aiuti concessi sotto la vigenza della regolamentazione «de minimis» di cui alla comunicazione della Commissione europea 92/C 213/02 del 20 maggio 1992 ed alla comunicazione 96/C 68/06 del 6 marzo 1996, il triennio di riferimento per il calcolo del limite massimo ha carattere fisso, esaurito il quale inizia a decorrere un nuovo triennio. Per la verifica del limite si sommano tutti gli importi di aiuti «de minimis», di qualsiasi tipologia, ottenuti dallo stesso soggetto nel triennio. Ai fini dell'applicazione della regola «de minimis» nei confronti delle società beneficiarie è condizione necessaria che il risparmio d'imposta goduto, risultante dalla sommatoria dell'esenzione fiscale fruita per ogni periodo di imposta, sia inferiore a detto massimale.
7. Conformemente alle indicazioni fornite dalla Commissione con la comunicazione 96/C 68/06 del 6 marzo 1996, l'importo massimo di aiuto nel periodo di riferimento è espresso sotto forma di sovvenzione diretta di denaro. Gli aiuti erogati in forma diversa, ai fini dell'applicazione del limite previsto dalla regola «de minimis», devono essere convertiti in equivalente sovvenzione, calcolata al lordo dell'imposta eventualmente applicabile sull'aiuto. Ai fini della determinazione del limite per gli aiuti «de minimis» ottenuti fino al 31 dicembre 1998, si applicano i tassi variabili di conversione del valore nominale in lire nel valore in ECU; per gli aiuti ottenuti dal 1o gennaio 1999 il tasso di conversione in euro è fisso e pari
(segue:testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica)
4. Conformemente alla disciplina comunitaria applicabile ed alla decisione 2003/193/CE della Commissione, del 5 giugno 2002, costituiscono deroghe al divieto previsto dall'articolo 87, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, e non sono pertanto oggetto di iscrizione a ruolo a titolo definitivo, gli aiuti, comunque determinati nella comunicazione di ingiunzione notificata al soggetto beneficiario, rientranti nell'ambito di applicabilità della regola «de minimis», esclusi i settori disciplinati da norme comunitarie speciali in materia di aiuti di Stato emanate sulla base dal Trattato che istituisce la Comunità economica europea o del Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, vigenti nel periodo di riferimento.
5. Ai fini del recupero di cui al presente articolo, appartengono alla categoria degli aiuti «de minimis» gli aiuti che, in base alla comunicazione 92/C 213/02 della Commissione del 20 maggio 1992, non eccedono l'importo complessivo di 50.000 ECU, elevato a 100.000 ECU con la comunicazione 96/C 68/06 della Commissione, del 6 marzo 1996, su un periodo di tre anni decorrente dal primo aiuto «de minimis»; tale massimale si applica indipendentemente dalla forma degli aiuti o dall'obiettivo perseguito.
6. Per gli aiuti concessi sotto la vigenza della regolamentazione «de minimis» di cui alla comunicazione 92/C 213/02 della Commissione, del 20 maggio 1992 ed alla comunicazione 96/C 68/06 della Commissione, del 6 marzo 1996, il triennio di riferimento per il calcolo del limite massimo ha carattere fisso, esaurito il quale inizia a decorrere un nuovo triennio. Per la verifica del limite si sommano tutti gli importi di aiuti «de minimis», di qualsiasi tipologia, ottenuti dallo stesso soggetto nel triennio. Ai fini dell'applicazione della regola «de minimis» nei confronti delle società beneficiarie è condizione necessaria che il risparmio d'imposta goduto, risultante dalla sommatoria dell'esenzione fiscale fruita per ogni periodo di imposta, sia inferiore a detto massimale.
7. Identico.
(segue:testo del decreto-legge)
a 1.936,27. Il tasso di conversione lira/ECU da applicare è quello medio annuale relativo all'esercizio precedente a quello di concessione dell'aiuto «de minimis».
8. Sono esclusi dal cumulo per il computo dell'importo massimo fissato per l'applicazione della regola «de minimis» gli aiuti autorizzati dalla Commissione o rientranti in un regolamento di esenzione per categoria anche se riferiti allo stesso presupposto, qualora la rispettiva normativa non preveda diversamente.
9. Le società beneficiarie, che intendono avvalersi della disposizione di cui al comma 4 producono dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, ai sensi dell'articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, contenente tutte le informazioni relative agli aiuti «de minimis» ricevuti con riferimento al periodo di godimento dell'esenzione fiscale dichiarata aiuto di Stato illegittimo dalla decisione della Commissione 2003/193/CE del 5 giugno 2002, conformemente alla disciplina pro-tempore vigente.
10. La documentazione di cui al comma 9 è consegnata a mano o inviata a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, entro quindici giorni dalla notifica della comunicazione-ingiunzione di cui al comma 2, all'ufficio che ha adottato l'atto.
11. Sono abrogati i commi da 2 a 6 dell'articolo 27 della legge 18 aprile 2005, n. 62.
Articolo 2.
(Promozione della candidatura della città di Milano all'Esposizione universale del 2015).
1. Le
iniziative per la promozione della candidatura della città di Milano
all'Esposizione universale del 2015, di cui all'articolo 1, comma 950, della
legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono realizzate dalla Presidenza del Consiglio
dei Ministri, dal Ministero degli affari esteri e dal Ministero del commercio
internazionale anche attraverso l'Ente Comitato di candidatura Expo-Milano
2015. Con apposita convenzione sono regolate le modalità del finanziamento
statale al predetto Ente, fermo restando l'obbligo di rendicontazione. Per le
stesse finalità di promozione, gli importi di 220.000 euro nel 2007 e di
180.000 euro nel 2008, disponibili presso la pertinente unità previsionale di
base
del Ministero degli affari esteri, sono versati all'entrata del bilancio dello
(segue:testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica)
8. Sono esclusi dal cumulo per il computo dell'importo massimo fissato per l'applicazione della regola «de minimis» gli aiuti autorizzati dalla Commissione europea o rientranti in un regolamento di esenzione per categoria anche se riferiti allo stesso presupposto, qualora la rispettiva normativa non preveda diversamente.
9. Le società beneficiarie, che intendono avvalersi della disposizione di cui al comma 4, producono dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, ai sensi dell'articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, contenente tutte le informazioni relative agli aiuti «de minimis» ricevuti con riferimento al periodo di godimento dell'esenzione fiscale dichiarata aiuto di Stato illegittimo dalla decisione 2003/193/CE della Commissione, del 5 giugno 2002, conformemente alla disciplina pro-tempore vigente.
10. Identico.
11. Identico.
Articolo 2.
(Promozione della candidatura della città di Milano all'Esposizione universale del 2015).
1. Le
iniziative per la promozione della candidatura della città di Milano
all'Esposizione universale del 2015, di cui all'articolo 1, comma 950, della
legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono realizzate dalla Presidenza del Consiglio
dei Ministri, dal Ministero degli affari esteri e dal Ministero del commercio
internazionale anche attraverso l'Ente Comitato di candidatura Expo-Milano
2015. Con apposita convenzione sono regolate le modalità del finanziamento
statale al predetto Ente, fermo restando l'obbligo di rendicontazione. Per le
stesse finalità di promozione, gli importi di 220.000 euro nel 2007 e di
180.000 euro nel 2008, disponibili presso la pertinente unità previsionale di
base
del Ministero degli affari esteri, sono versati all'entrata del bilancio dello
(segue:testo del decreto-legge)
Stato per essere interamente riassegnati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero del commercio internazionale, a ciascuno nella misura del cinquanta per cento degli stessi importi. L'Ente, nell'affidamento ed esecuzione dei servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie in materia di appalti pubblici, è autorizzato a derogare, nel rispetto dei princìpi desumibili dalle disposizioni comunitarie, alle norme della contabilità generale dello Stato in materia di contratti ed, in particolare, alle disposizioni di cui alla parte II, titolo II, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
(segue:testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica)
Stato per essere interamente riassegnati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero del commercio internazionale, a ciascuno nella misura del cinquanta per cento degli stessi importi. L'Ente, nell'affidamento e nell'esecuzione dei servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie in materia di appalti pubblici, è autorizzato a derogare, nel rispetto dei princìpi desumibili dalle disposizioni comunitarie, alle norme della contabilità generale dello Stato in materia di contratti ed, in particolare, alle disposizioni di cui alla parte II, titolo II, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
Articolo 2-bis.
(Disposizioni per l'attuazione degli articoli 5, 6 e 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, ratificato ai sensi della legge 6 aprile 2004, n. 101).
1. L'articolo 19-bis della legge 25 novembre 1971, n. 1096, è sostituito dal seguente:
«Art. 19-bis. - 1. Al fine di promuovere la conservazione in situ e l'utilizzazione sostenibile delle risorse fitogenetiche, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, in attuazione degli impegni previsti dagli articoli 5, 6 e 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, ratificato ai sensi della legge 6 aprile 2004, n. 101, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, provvede all'istituzione di un apposito registro nazionale nel quale sono iscritte, su richiesta delle regioni e delle province autonome, di altri enti pubblici, di istituzioni scientifiche, organizzazioni sociali, associazioni e singoli cittadini, previa valutazione dell'effettiva unicità, le "varietà da conservazione", come definite al comma 2.
2. Si intendono per "varietà da conservazione" le varietà, le popolazioni, gli ecotipi, i cloni e le cultivar di interesse agricolo relativi alle seguenti specie di piante:
a) autoctone e non autoctone, mai iscritte in altri registri nazionali, purché integratesi da almeno cinquanta anni negli agroecosistemi locali;
b) non più iscritte in alcun registro e minacciate da erosione genetica;
c) non più coltivate sul territorio nazionale e conservate presso orti botanici, istituti sperimentali, banche del germoplasma pubbliche o private e centri di ricerca, per le quali sussiste un interesse economico, scientifico, culturale o paesaggistico a favorirne la reintroduzione.
(segue:testo del decreto-legge)
(segue:testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica)
3. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito delle rispettive competenze, tutelano il patrimonio agrario costituito dalle risorse genetiche delle piante di cui al comma 2 e provvedono affinché le comunità locali che ne hanno curato la conservazione partecipino ai benefìci derivanti dalla loro riproduzione, come previsto dalla Convenzione internazionale sulla biodiversità, ratificata ai sensi della legge 14 febbraio 1994, n. 124.
4. L'iscrizione delle "varietà da conservazione" nel registro di cui al comma 1 è gratuita ed esentata dall'obbligo di esame ufficiale, anche sulla base di adeguata considerazione dei risultati di valutazioni non ufficiali, delle conoscenze acquisite dagli agricoltori nell'esperienza pratica della coltivazione, della riproduzione e dell'impiego. Ai fini dell'iscrizione è altresì disposta la deroga alle condizioni di omogeneità, stabilità e differenziabilità previste dall'articolo 19.
5. Per quanto non previsto dal presente articolo l'iscrizione delle "varietà da conservazione" nel registro di cui al comma 1 è disciplinata dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 ottobre 1973, n. 1065, e dalla legge 20 aprile 1976, n. 195.
6. Ai produttori agricoli, residenti nei luoghi dove le "varietà da conservazione" iscritte nel registro di cui al comma 1 hanno evoluto le loro proprietà caratteristiche o che provvedano al loro recupero e mantenimento, è riconosciuto il diritto alla vendita diretta in ambito locale di modiche quantità di sementi o materiali da propagazione relativi a tali varietà, qualora prodotti nella azienda condotta. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali stabilisce, con proprio decreto, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le modalità per l'esercizio di tale diritto.
7. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali può definire, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adeguate restrizioni quantitative ed eventuali deroghe ai fini dell'iscrizione nei registri di cui all'articolo 19 nel caso di coltivazione e commercializzazione di sementi di specie e varietà prive di valore intrinseco per la produzione vegetale, ma sviluppate per la coltivazione in condizioni particolari.
8. Sono escluse dal campo di applicazione del presente articolo le varietà geneticamente modificate, come definite dall'articolo 1 del decreto legislativo 24 aprile 2001, n. 212.
9. Per il funzionamento del registro di cui al comma 1, è autorizzata la spesa annua di 30.000 euro a decorrere dall'anno 2007. Al relativo onere, pari a euro 30.000 annui a decorrere dall'anno 2007, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali».
(segue:testo del decreto-legge)
Articolo 3.
(Norme di adeguamento a decisioni comunitarie in materia fiscale e societaria. Procedure d'infrazione n. 2006/4136 e n. 2006/2104).
1. L'articolo 2450 del codice civile è abrogato.
2. All'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 143, la parola: «maturati» è sostituita dalla seguente: «pagati».
3. Le ritenute sugli interessi e i canoni maturati fino al 31 dicembre 2003 e pagati a decorrere dal 1o gennaio 2004 ai soggetti non residenti di cui all'articolo 26-quater, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sono restituite dai soggetti indicati nel citato articolo 26-quater, comma 1, lettere a) e b), i quali, ai fini del recupero delle ritenute restituite, utilizzano la modalità di compensazione prevista dall'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni.
4. I compiti assegnati all'Agenzia delle entrate ai sensi del presente decreto sono svolti con le risorse umane e finanziarie assegnate a legislazione vigente.
5. Agli oneri derivanti dalle disposizioni di cui ai commi 2 e 3, pari a 26 milioni di euro per l'anno 2007, si provvede con quota parte delle maggiori entrate derivanti dalle disposizioni di cui all'articolo 1. Tali maggiori entrate affluiscono in apposita contabilità speciale intestata al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento per le politiche fiscali e una quota parte delle stesse, pari a 26 milioni di euro, è riversata nell'anno 2007 all'entrata del bilancio dello Stato. Il conto speciale è impignorabile.
6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
7. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui ai commi 2 e 3, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Gli eventuali decreti emanati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, n. 2), della medesima legge n. 468 del 1978, prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti o delle misure di cui al periodo precedente, sono tempestivamente trasmessi al Parlamento, corredati da apposite relazioni illustrative.
(segue:testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica)
Articolo 3.
(Norme di adeguamento a decisioni comunitarie in materia fiscale e societaria. Procedure d'infrazione n. 2006/4136 e n. 2006/2104. Adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee C-197/03 dell'11 maggio 2006).
1. Identico.
2. Identico.
3. Identico.
4. Identico.
5. Agli oneri derivanti dalle disposizioni di cui ai commi 2 e 3, valutati in 26 milioni di euro per l'anno 2007, si provvede con quota parte delle maggiori entrate derivanti dalle disposizioni di cui all'articolo 1. Tali maggiori entrate affluiscono in apposita contabilità speciale intestata al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento per le politiche fiscali e una quota parte delle stesse, pari a 26 milioni di euro, è riversata nell'anno 2007 all'entrata del bilancio dello Stato. Il conto speciale è impignorabile.
6. Identico.
7. Identico.
7-bis. Al fine di adeguare la normativa nazionale alle prescrizioni della giurisprudenza comunitaria di cui alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee C-197/03 dell'11 maggio 2006, all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è abrogato;
b) al comma 2, le parole: «indicati al comma 1» sono sostituite dalle seguenti: «1985, 1986, 1987, 1988, 1989, 1990, 1991 e 1992» e
(segue:testo del decreto-legge)
Articolo 4.
(Norme di adeguamento a decisioni comunitarie in materia di pubblicità e di sponsorizzazione dei prodotti del tabacco, accesso alle reti di comunicazione elettronica, servizi post-contatore e di protezione del diritto d'autore delle opere del disegno industriale. Procedure d'infrazione n. 2006/2022, n. 2005/2083, n. 2005/4604 e n. 2005/4088).
1. All'articolo 4 del decreto legislativo 16 dicembre 2004, n. 300, il comma 3 è abrogato.
2. All'articolo 50, comma 1, del decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, le parole: «e degli investimenti per lo sviluppo di reti e servizi innovativi» sono soppresse.
3. Il comma 34 dell'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239, è abrogato.
(segue:testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica)
le parole: «della differenza fra le somme versate e quelle dovute a norma del citato comma 1» sono sostituite dalle seguenti: «delle somme versate»;
c) al comma 3, le parole: «nella misura del tasso legale vigente alla data di entrata in vigore della presente legge» sono sostituite dalle seguenti: «nella misura stabilita dall'articolo 1 della legge 26 gennaio 1961, n. 29, e successive modificazioni».
Articolo 4.
(Norme di adeguamento a decisioni comunitarie in materia di pubblicità e di sponsorizzazione dei prodotti del tabacco, accesso alle reti di comunicazione elettronica, servizi post-contatore e di protezione del diritto d'autore delle opere del disegno industriale. Procedure d'infrazione n. 2006/2022, n. 2005/2083, n. 2005/4604 e n. 2005/4088).
1. Identico.
2. All'articolo 50, comma 1, del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, le parole: «e degli investimenti per lo sviluppo di reti e servizi innovativi» sono soppresse.
3. Il comma 34 dell'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239, è sostituito dai seguenti:
«34. Al fine di garantire un'effettiva concorrenza e pari opportunità di iniziativa economica, le imprese operanti nei settori della vendita, del trasporto e della distribuzione dell'energia elettrica e del gas naturale, che abbiano in concessione o in affidamento la gestione dei servizi pubblici locali ovvero la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni infrastrutturali, possono svolgere attività nel settore verticalmente collegato o contiguo dei servizi post-contatore di installazione, assistenza e manutenzione nei confronti dei medesimi utenti finali del servizio pubblico, avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale, per l'esercizio indiretto dei medesimi servizi di post-contatore, non possono applicare condizioni né concordare pratiche economiche, contrattuali, pubblicitarie ed organizzative atte a determinare ingiustificati svantaggi per le imprese direttamente concorrenti nel medesimo settore dei servizi post-contatore e rendono accessibili alle medesime imprese i beni, i servizi e gli elementi informativi e conoscitivi di cui abbiano la disponibilità in relazione all'attività svolta in posizione dominante o in regime di monopolio.
34-bis. Alle imprese di cui al comma 34 operanti nei settori dell'energia elettrica e del gas naturale si applicano le disposizioni previste dai commi 2-bis, 2-ter, 2-quater, 2-quinquies e 2-sexies dell'articolo 8 della legge 10 ottobre 1990, n. 287.».
(segue:testo del decreto-legge)
4. Al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 44, comma 1, la parola: «venticinquesimo» è sostituita dalla seguente: «settantesimo»;
b) l'articolo 239 è sostituito dal seguente:
«Art. 239. - (Limiti alla protezione accordata dal diritto d'autore). - 1. La protezione accordata ai disegni e modelli industriali ai sensi dell'articolo 2, primo comma, numero 10, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, non opera in relazione ai prodotti realizzati in conformità ai disegni o modelli che, anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 95, erano oppure erano divenuti di pubblico dominio.».
(segue:testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica)
4. Al codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) identica;
b) identico:
«Art. 239. - (Limiti alla protezione accordata dal diritto d'autore). - 1. La protezione accordata ai disegni e modelli industriali ai sensi dell'articolo 2, primo comma, numero 10, della legge 22 aprile 1941, n. 633, non opera in relazione ai prodotti realizzati in conformità ai disegni o modelli che, anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 95, erano oppure erano divenuti di pubblico dominio.».
Articolo 4-bis.
(Norme
per la compensazione degli aiuti comunitari
con i contributi previdenziali).
1. Al comma 16 dell'articolo 01 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, e successive modificazioni, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «A tal fine, in sede di pagamento degli aiuti comunitari, gli organismi pagatori sono autorizzati a compensare tali aiuti con i contributi previdenziali dovuti dall'impresa agricola beneficiaria, comunicati dall'Istituto previdenziale all'AGEA in via informatica. In caso di contestazioni, la legittimazione processuale passiva compete all'Istituto previdenziale».
Articolo 4-ter.
(Norme
per l'attuazione di disposizioni comunitarie
in materia agricola).
1. Nell'ambito del regime di pagamento unico previsto dal regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio, del 29 settembre 2003, il pagamento degli aiuti comunitari riferiti ai titoli speciali da soccida, inclusi in domande di aiuto per l'anno 2005 non corredate dell'assenso dei soccidari alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è effettuato dagli organismi pagatori competenti con la stessa ripartizione percentuale prevista dall'articolo 1-bis, comma 6, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81.
2. Al fine di assicurare la regolare applicazione della normativa comunitaria, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica,
(segue:testo del decreto-legge)
Articolo 5.
(Modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di distacco di lavoratori cittadini di Paesi terzi nell'ambito di una prestazione di servizi e di soggiorni di breve durata. Procedure d'infrazione n. 1998/2127 e n. 2006/2126).
1. Al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 5, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Il permesso di soggiorno deve essere richiesto per soggiorni superiori a tre mesi, secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione, al questore della provincia in cui lo straniero si trova entro otto giorni lavorativi dal suo ingresso nel territorio dello Stato ed è rilasciato per le attività previste dal visto d'ingresso o dalle disposizioni vigenti. Il regolamento di attuazione può prevedere speciali modalità di rilascio relativamente ai soggiorni brevi per motivi di giustizia, di attesa di emigrazione in altro Stato e per l'esercizio delle funzioni di ministro di culto, nonché ai soggiorni in case di cura, ospedali, istituti civili e religiosi e altre convivenze. Per soggiorni inferiori a tre mesi lo straniero dichiara la sua presenza all'ufficio di polizia di frontiera, al momento dell'ingresso sul territorio nazionale ovvero, entro otto giorni dal suo ingresso, al questore della provincia in cui si trova, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno.»;
b) al comma 3 dell'articolo 5, la lettera a) è soppressa;
c) l'articolo 7 è abrogato;
d) all'articolo 13, la lettera b) del comma 2 è sostituita dalla seguente:
«b) si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver presentato la dichiarazione di presenza di cui all'articolo 5, comma 2, o richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto
(segue:testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica)
istituisce il Registro pubblico informatico dei diritti di reimpianto del settore vitivinicolo, di cui ai regolamenti (CE) n. 1493/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, e n. 1227/2000 della Commissione, del 31 maggio 2000. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, avvalendosi del sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), comunicano all'AGEA i dati relativi a tali diritti e provvedono al loro tempestivo aggiornamento.
Articolo 5.
(Modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di distacco di lavoratori cittadini di Paesi terzi nell'ambito di una prestazione di servizi. Procedura d'infrazione n. 1998/2127).
1. Identico:
Soppressa.
Soppressa.
Soppressa.
a) identica;
«b) si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all'articolo 27, comma 1-bis, o senza aver richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo»;
(segue:testo del decreto-legge)
da più di 60 giorni e non è stato chiesto il rinnovo oppure, avendo presentato la dichiarazione di presenza, si è trattenuto sul territorio dello Stato oltre i novanta giorni o il minore termine stabilito nel visto d'ingresso;»;
e) All'articolo 27, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Nel caso in cui i lavoratori di cui alla lettera i) del comma 1 siano dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede in uno Stato membro dell'Unione europea, il nulla osta al lavoro è sostituito da una comunicazione, da parte del committente, del contratto in base al quale la prestazione di servizi ha luogo, unitamente ad una dichiarazione del datore di lavoro contenente i nominativi dei lavoratori da distaccare e attestante la regolarità della loro situazione con riferimento alle condizioni di residenza e di lavoro nello Stato membro dell'Unione europea in cui ha sede il datore di lavoro. La comunicazione è presentata allo sportello unico della Prefettura-Ufficio territoriale del Governo, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno.».
(segue:testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica)
b) all'articolo 27, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Nel caso in cui i lavoratori di cui alla lettera i) del comma 1 siano dipendenti regolarmente retribuiti dai datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede in uno Stato membro dell'Unione europea, il nulla osta al lavoro è sostituito da una comunicazione, da parte del committente, del contratto in base al quale la prestazione di servizi ha luogo, unitamente ad una dichiarazione del datore di lavoro contenente i nominativi dei lavoratori da distaccare e attestante la regolarità della loro situazione con riferimento alle condizioni di residenza e di lavoro nello Stato membro dell'Unione europea in cui ha sede il datore di lavoro. La comunicazione è presentata allo sportello unico della prefettura-ufficio territoriale del Governo, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno».
Articolo 5-bis.
(Attuazione del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche).
1. Il Ministero della salute provvede, di intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico e la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie, agli adempimenti previsti dal regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH).
2. Il Ministero della salute è designato quale «autorità competente» ai sensi dell'articolo 121 del regolamento di cui al comma 1.
3. Con decreto del Ministero della salute, da adottare di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il Ministero dello sviluppo economico, con il Ministero dell'economia e delle finanze e con la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è approvato il piano di attività riguardante i compiti di cui al comma 1 e l'utilizzo delle risorse di cui al comma 5. Lo schema di decreto è trasmesso alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle competenti Commissioni parlamentari, da rendere entro venti giorni dalla data di trasmissione.
(segue:testo del decreto-legge)
(segue:testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica)
4. Per l'esecuzione delle attività previste al comma 1, l'autorità competente si avvale del supporto tecnico-scientifico dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici e dell'Istituto superiore di sanità. Quest'ultimo istituisce, a tale scopo, nell'ambito delle proprie strutture, il Centro nazionale delle sostanze chimiche (CSC).
5. Per l'attuazione delle disposizioni del presente articolo è autorizzata la spesa nei limiti di 2,1 milioni di euro per l'anno 2007, di 4,4 milioni di euro per l'anno 2008 e di 4,6 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009. Al predetto onere si provvede, per l'anno 2007, per 2,1 milioni di euro, con le disponibilità del Fondo di rotazione di cui alla legge 16 aprile 1987, n. 183, che vengono versate allo stato di previsione dell'entrata per la successiva riassegnazione ai pertinenti capitoli di spesa. Per 4,4 milioni di euro per l'anno 2008 e 4,6 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della salute.
6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Articolo 5-ter.
(Norme di adeguamento a decisioni comunitarie sulla professione di consulente del lavoro).
1. Alla legge 11 gennaio 1979, n. 12, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 1, quinto comma, le parole: «costituiti e composti esclusivamente da» sono sostituite dalle seguenti: «che devono essere in ogni caso assistiti da uno o più»;
b) all'articolo 3, secondo comma, la lettera d) è sostituita dalla seguente:
«d) abbiano conseguito la laurea triennale o quinquennale riconducibile agli insegnamenti delle facoltà di giurisprudenza, economia, scienze politiche, ovvero il diploma universitario o la laurea triennale in consulenza del lavoro, o la laurea quadriennale in giurisprudenza, in scienze economiche e commerciali o in scienze politiche»;
c) all'articolo 9, primo comma, la lettera i) è sostituita dalla seguente:
«i) documentazione attestante l'elezione di domicilio professionale»;
(segue:testo del decreto-legge)
Articolo 6.
(Entrata in vigore).
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addì 15 febbraio 2007.
NAPOLITANO
Prodi, Presidente del Consiglio dei Ministri.
Bonino, Ministro per le politiche europee.
Padoa Schioppa, Ministro dell'economia e delle finanze.
Turco, Ministro della salute.
Gentiloni Silveri, Ministro delle comunicazioni.
Ferrero, Ministro della solidarietà sociale.
Bersani, Ministro dello sviluppo economico.
Amato, Ministro dell'interno.
D'Alema, Ministro degli affari esteri.
Mastella, Ministro della giustizia.
Visto, il Guardasigilli: Mastella.
(segue: testo del decreto-legge comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica)
d) dopo l'articolo 8, è inserito il seguente:
«Art. 8-bis. - 1. Coloro che abbiano conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione di consulente del lavoro con il diploma di scuola secondaria superiore possono iscriversi al relativo albo entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. I soggetti non in possesso dei titoli di laurea di cui all'articolo 3, secondo comma, lettera d), che, alla data di entrata in vigore della presente disposizione, abbiano ottenuto il certificato di compiuta pratica, o siano iscritti al registro dei praticanti, o abbiano presentato domanda di iscrizione al predetto registro dei praticanti, possono sostenere l'esame di abilitazione entro e non oltre il 31 dicembre 2013».
[1] Si ricorda che la decisione comunitaria – ai sensi dell’articolo 249, comma 4, del Trattato CE – è un atto normativo obbligatorio in tutti i suoi elementi per i destinatari dallo stesso designati. La decisione corrisponde sostanzialmente al provvedimento amministrativo dei sistemi giuridici nazionali, poiché essa rappresenta lo strumento utilizzato dalle istituzioni quando sono chiamate ad applicare il diritto comunitario a singole fattispecie concrete. I destinatari delle decisioni possono essere sia gli Stati (anche tutti gli Stati dell’Unione europea) sia persone fisiche o giuridiche.
[2] Sentenza della Corte di Giustizia del 12 luglio 2005, nella causa C-304/02, Commissione/Francia.
[3] L’articolo 4 escludeva dall'imposizione del reddito di impresa e di lavoro autonomo il 50 per cento del volume degli investimenti in beni strumentalirealizzati nel periodo d'imposta in corso alla data del 25 ottobre 2001, successivamente al 30 giugno 2001, e nell'intero periodo d’imposta successivo, in eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti, con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l'investimento è stato maggiore.
[4] Regolamento (CE) n. 364/2004 della Commissione del 25 febbraio 2004 recante modifica del regolamento (CE) n. 70/2001 per quanto concerne l'estensione del suo campo d'applicazione agli aiuti alla ricerca e sviluppo.
[5] Pubblicato in GUCE serie L del 28/12/2006.
[6] Qualora gli aiuti vengano erogati in forma diversa dalla sovvenzione diretta in denaro, essi devono essere convertiti, ai fini della commisurazione dei limite, in termini di equivalente sovvenzione lordo.
[7] Si intendono per aiuti all'esportazione quelli direttamente legati alle quantità esportate, alla costituzione e al funzionamento di una rete di distribuzione o alle spese correnti connesse all'attività di esportazione.
[8] A tale proposito, si ricorda che la precedente disciplina escludeva gli aiuti de minimis anche per i settori carbosiderurgico e della costruzione navale.
[9] Sentenze del 20 marzo 1990, Belgio/Commissione, C-142/87; del 21 marzo 1991, Italia/Commissione, C-305/89; del 4 aprile 1995, Commissione/Italia, C-348/93 e C-350/93; del 20 marzo 1997, Alcan Deutschland, C-24/95.
[10] L’art. 19-bis è stato aggiunto dal D.Lgs. 24 aprile 2001, n. 212
[11] Tali provvedimenti sono stati emanati per dare attuazione a quanto disposto in sede comunitaria dalle seguenti direttive: 66/400/CEE, relativa alla commercializzazione dei prodotti sementieri di barbabietola da zucchero; 66/401/CEE, relativa alla commercializzazione dei prodotti sementieri di specie foraggere; 66/402/CEE, relativa alla commercializzazione dei prodotti sementieri di cereali; 66/403/CEE, relativa alla commercializzazione dei prodotti sementieri di patata; 69/208/CEE, relativa alla commercializzazione dei prodotti sementieri di specie oleaginose e da fibra; 70/457/CEE, relativa al catalogo comune delle specie di piante agrarie; 70/458/CEE, relativa alla commercializzazione dei prodotti sementieri di specie di piante ortive.
[12] Si ricorda che l’art. 19 della legge n. 1096/1971 prevede che l'iscrizione di una varietà geneticamente modificata nel registro nazionale può avvenire solo se sono state adottate tutte le precauzioni atte ad evitare danni per la salute e per l'ambiente
[13] La riforma del diritto societario, effettuata con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, ha previsto due ulteriori modelli di governo societario, alternativi al modello tradizionale articolato su un’assemblea, un consiglio di amministrazione (o amministratore unico) e un collegio sindacale.
Il modello c.d. dualistico (articoli da 2409-octies a 2409-quinquiesdecies cod. civ.) risulta fondato su due organi: il consiglio di gestione e il consiglio di sorveglianza. In tale modello, il potere di amministrazione spetta in via esclusiva al consiglio di gestione. Il consiglio di sorveglianza, tra l’altro, nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione; approva il bilancio di esercizio e – ove prescritto – il bilancio consolidato; promuove l’esercizio dell’azione di responsabilità; riferisce per iscritto almeno una volta all’anno all’assemblea sull’attività di vigilanza svolta, sulle omissioni e sui fatti censurabili rilevati.
Nel modello c.d. monistico (articoli da 2409-sexiesdecies a 2409-noviesdecies cod. civ.) l’amministrazione e il controllo sono esercitati rispettivamente dal consiglio di amministrazione e da un comitato costituito al suo interno, denominato comitato per il controllo sulla gestione. La gestione dell’impresa spetta esclusivamente al consiglio di amministrazione. Il comitato per il controllo sulla gestione elegge al suo interno il presidente; vigila sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sulla sua idoneità a rappresentare idoneamente i fatti di gestione; svolge gli ulteriori compiti affidati ad esso dal consiglio di amministrazione.
[14] Recante “Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”.
[15] Recante “Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni”.
[16] Il comma 4, lettera a), dell’articolo 26-quater, rinvia alle società beneficiarie dei redditi di cui al comma 3 (ossia interessi e canoni) e alle società le cui stabili organizzazioni sono beneficiarie dei medesimi redditi, che rivestano una delle forme previste dall’allegato A (la forma delle società di capitali), che risiedano ai fini fiscali in uno Stato membro, senza essere considerate, ai sensi di una Convenzione in materia di doppia imposizione sui redditi con uno Stato terzo, residenti al di fuori dell’Unione europea e che siano assoggettate, senza fruire di regimi di esonero, ad una delle imposte indicate nell’allegato B (imposte sul reddito societario) ovvero a un’imposta identica o sostanzialmente simile applicata in aggiunta o in sostituzione di dette imposte.
[17] La versione originaria del decreto-legge stabiliva che gli oneri fossero pari a 26 milioni di euro.
[18] Il citato articolo 3 del D.L. n. 853 del 1984 ha aumentato l’importo della tassa, allora fissato in 81.000 lire per qualsiasi tipo di società, a 5 milioni di lire per le società per azioni, un milione di lire per le società a responsabilità limitata e 100.000 lire per gli altri tipi di società.
Per completezza di esposizione si segnala che con l’articolo 8 del successivo D.L. 30 maggio 1988, n. 173, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 1988, n. 291, la tassa di iscrizione e quella annuale furono elevate:
- a lire 9.000.000 per le società per azioni con capitale da 200 a 499 milioni, fino a lire 120 milioni per quelle con capitale superiore a 10.000 milioni;
- a lire 2.500.000 per le società a responsabilità limitata;
- a lire 500.000 per le società di altro tipo.
La disciplina fu ulteriormente modificata con il D.L. 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, e la tassa in questione fu stabilita (articolo 36, comma 8) nella misura di lire 12 milioni per le società per azioni, di lire 3.500.000 per quelle a responsabilità limitata e di lire 500.000 per le società di altro tipo.
Infine, con il D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modifiche, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, l'ammontare della tassa fu ridotto:
- in lire 4.000.000 per le società per azioni;
- in lire 2.000.000 per le società a responsabilità limitata;
- in lire 500.000 per le società di altro tipo.
[19] Si tratta del periodo successivo all’entrata in vigore dell’articolo 3, commi 18 e 19, del D.L. n. 853 del 1984 e precedente all’entrata in vigore dell’articolo 61 del D.L. n. 331 del 1993.
[20] Le società che non avevano presentato l’istanza di rimborso entro il termine di decadenza triennale (e che pertanto non potevano ottenere il rimborso stesso) erano comunque tenute al pagamento della tassa forfetaria retroattiva di cui al comma 1.
[21] Il tasso di interesse legale all’epoca vigente era il 2,5 per cento (D.M. 10 dicembre 1998, pubblicato nella G.U. 11 dicembre 1998, n. 289).
[22] Come precedentemente indicato il carattere remunerativo è essenziale ai fini della compatibilità con la direttiva 69/335/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta dei capitali.
[23] La Corte ricorda (punto 43 della sentenza in commento) che una modalità nazionale di rimborso rispetta il principio di equivalenza qualora si applichi indifferentemente, per lo stesso tipo di tasse o canoni, ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto comunitario e a quelli fondati sull’inosservanza del diritto interno.
[24] Tale ultima previsione è contenuta nella citata circolare applicativa n. 32/E del 1999.
[25] Nel comma 2 dell’articolo 11 il periodo al quale si riferisce il rimborso non è più determinato mediante rinvio al comma 1 (che viene abrogato), ma mediante espressa indicazione degli anni compresi in detto periodo (dal 1985 al 1992).
[26] Recante “Norme per la disciplina della riscossione dei carichi in materia di tasse e di imposte indirette sugli affari”.
[27] La lettera di costituzione in mora rappresenta la prima fase della procedura d’infrazione e mette uno Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni, qualora la Commissione reputi che esso abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù del trattato che istituisce la Comunità europea. Qualora la Commissione non ritenga esaurienti tali osservazioni, essa emette un parere motivato, seconda e ultima fase della procedura d’infrazione, prima che la Commissione europea proceda al deferimento formale dello Stato membro davanti alla Corte di giustizia, affinché accerti la sussistenza di una violazione del diritto comunitario, secondo quanto previsto dall’art. 226 del Trattato.
[28] La lettera di costituzione in mora rappresenta la prima fase della procedura d’infrazione e mette uno Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni, qualora la Commissione reputi che esso abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù del trattato che istituisce la Comunità europea. Qualora la Commissione non ritenga esaurienti tali osservazioni, essa emette un parere motivato, seconda e ultima fase della procedura d’infrazione, prima che la Commissione europea proceda al deferimento formale dello Stato membro davanti alla Corte di giustizia, affinché accerti la sussistenza di una violazione del diritto comunitario, secondo quanto previsto dall’art. 226 del Trattato.
[29] Circolare5 luglio 2005 recante Obblighi in materia di accesso ed interconnessione alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate. Interpretazione dell'articolo 50, comma 1, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259.
[30] Procedura n. 2005/2083.
[31] Di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259.
[32] Secondo una Circolare del Ministero delle attività produttive (ora dello sviluppo economico) del 28 aprile 2005 recante chiarimenti in merito all’applicazione del comma 34, i servizi postcontatore consistono “… nella installazione, verifica e manutenzione degli impianti a valle del contatore installato al punto di consegna all’utente finale”. Nella stessa Nota si precisa che “Secondo la definizione fornita, per il settore del gas naturale, dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas nella delibera n. 311/01 in materia di separazione contabile e amministrativa delle imprese di distribuzione del gas, i “servizi post-contatore” rientrano nelle “ulteriori attività” svolte da tali imprese, che comprendono attività che non qualificano un soggetto come impresa del settore del gas, quali le “attività elettriche” (ad esempio la produzione di energia elettrica attraverso impianti di turboespansione) e le “attività diverse”, nelle quali rientrano anche attività concernenti direttamente o indirettamente il settore del gas, ma non oggetto di regolazione, quali, ad esempio, le consulenze tecnico-economiche, i servizi di teleriscaldamento, la progettazione e la costruzione di impianti per conto terzi, e i servizi post-contatore diversi da quelli previsti all’articolo 16,comma 5, del decreto legislativo n. 164/00”.
[33] Si tratta della circolare del 29 aprile 2005, di cui alla precedente nota.
[34] Si vedano le sentenze 30 novembre 1995 C-55/94 Gebhard, 31 marzo 1993 C-19/92 Kraus, 6 novembre 2003 C-243/2001 Gambelli.
[35] La sentenza Wouters (19 febbraio 2002, C-309/99) ha trattato la questione con riferimento al divieto di collaborazione integrata tra avvocati e revisori dei conti. La sentenza Caixa Bank (5 ottobre 2004, C-442/02) ha riconosciuto che il divieto di remunerare i conti di deposito a vista costituisce per le società di Stati membri diversi dalla Francia un ostacolo al loro accesso al mercato.
[36] Sentenza del 10 maggio 1995, “Alpine Investments”, C-384/93; del 5 ottobre 2004, “CaixaBank France”, C-442/02.
[37] Ex multis, la sentenza del 30 novembre 1995 “Gebhard”, C-55/94.
[38] In particolare il resoconto dell’Assemblea della Camera dei deputati, seduta n. 341 del 16 luglio 2003
[39] Legge n. 287 del 10 ottobre 1990, recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato. La Commissione si basa, tra l’altro, sulle dichiarazioni di uno dei commissari dell’Autorità italiana responsabile della concorrenza rilasciate durante l’audizione presso la decima commissione del Senato italiano in data 26 novembre 2003.
[40] Tale piano è inserito nel contesto del regolare riesame annuale dell’attuazione delle politiche dell’UE nel settore energetico e in materia di cambiamenti climatici e dovrà essere seguito da un nuovo piano d'azione in materia di energia per il periodo dal 2010 in poi, destinato ad essere adottato dal Consiglio europeo di primavera del 2010. Tale piano dovrà essere sviluppato a partire dall’aggiornamento dell'analisi strategica della politica energetica europea, per il quale il Consiglio invita la Commissione a presentare una proposta all'inizio del 2009.
[41] Comunicazione sulle prospettive per il mercato interno del gas e dell’elettricità (COM(2006)841); e comunicazione sui risultati dell’inchiesta sullo stato della concorrenza nei settori del gas e dell’elettricità (COM(2006)851), presentate dalla Commissione il 10 gennaio 2007.
[42] Procedura 2005/4088. La lettera di costituzione in mora era stata inviata dalla Commissione europea all’Italia il 25 luglio 2005.
[43] Interventi urgenti per i settori dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d'impresa.
[44] D.L. 12 maggio 2006, n. 173, Proroga di termini per l'emanazione di atti di natura regolamentare e legislativa, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2006, n. 228.
[45] D.L. 30 settembre 2005, n. 203, Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248.
[46] D.L. 25 settembre 2002, n. 210, Disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale, convertito con modificazioni dalla L. 22 novembre 2002, n. 266.
[47] Una previsione della certificazione di regolarità contributiva tramite il documento unico di regolarità contributiva era già contenuta nel D.Lgs. 494/1996, recante Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili. In particolare l’art. 3, comma 8, prevede che il committente o il responsabile dei lavori, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica impresa, è tenuto a chiedere un certificato di regolarità contributiva e che tale certificato può essere rilasciato, oltre che dall'INPS e dall'INAIL, per quanto di rispettiva competenza, anche dalle casse edili le quali stipulano una apposita convenzione con i predetti istituti al fine del rilascio di un documento unico di regolarità contributiva
[48] D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti, convertito con modificazioni dalla L. 23 febbraio 2006, n. 51.
[49] D.L. 4 luglio 2006, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.
[50] D.Lgs. 27 giugno 1999, n. 165 "Soppressione dell'AIMA e istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59", in attuazione anche del D.Lgs. 4 giugno 1997, n. 143 di conferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell'Amministrazione centrale.
[51] D.Lgs. 15 giugno 2000, n. 188, "Disposizioni correttive e integrative del D.Lgs. 27 maggio 1999, n. 165, recante soppressione dell'AIMA e istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59".
[52] D.L. 22 ottobre 2001, n. 381, "Disposizioni urgenti concernenti l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), l'anagrafe bovina e l'Ente irriguo umbro-toscano".
[53] Va rammentato che il Reg. (CE) n. 1290/2005 del 21 giugno 2005, relativo al finanziamento della PAC, ha sostituito il FEOGA, distinto nelle due sezioni “garanzia” e “orientamento”, con due nuovi fondi: il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) destinato a finanziare le misure di mercato, ed il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) riservato al finanziamento delle misure di sviluppo rurale.
[54] Il D.Lgs. n. 165/1999 ha attribuito alle regioni l’incarico di istituire servizi e organismi (in possesso dei requisiti prescritti dai regolamenti comunitari) aventi le funzioni di organismo pagatore, spostando in questo modo a livello regionale la competenza sulla tenuta dei conti relativi ai finanziamenti Feoga.
[55] Reg. (CE) n. 1782/2003 del 29 settembre 2003, Regolamento del Consiglio che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell'ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori e che modifica i regolamenti (CEE) n. 2019/93, (CE) n. 1452/2001, (CE) n. 1453/2001, (CE) n. 1454/2001, (CE) n. 1868/94, (CE) n. 1251/1999, (CE) n. 1254/1999, (CE) n. 1673/2000, (CEE) n. 2358/71 e (CE) n. 2529/2001.
[56] Il contratto di soccida è un contratto associativo che si applica all'allevamento del bestiame nel quale la collaborazione economica si realizza con il conferimento da parte di una soggetto, il soccidante, del pascolo, e con la prestazione del proprio lavoro da parte del soccidario.
Nella soccida semplice tutto il bestiame è conferito dal soccidante, in quella parziaria il bestiame è conferito da entrambi.
Il bestiame può anche appartenere per intero al soccidario, che ha in tal caso la direzione dell'impresa.
[57] Qualsiasi nuovo impianto è stato vietato dall’art. 6 del reg. 822/87 sino al 31/8/2000.
[58] L’articolo 3 del regolamento 1492 concede agli Stati membri di attribuire diritti di nuovo impianto esclusivamente :
a) nell'ambito di misure di ricomposizione o di esproprio per motivi di pubblica utilità, adottate in applicazione della normativa nazionale,
b) a scopo di sperimentazione viticola,
c) per coltivare piante madri per marze.
[59] Regolamento della Commissione che stabilisce modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo, in particolare in ordine al potenziale produttivo.
[60] D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[61] Ai sensi della definizione di straniero di cui all'art. 1, comma 1, del suddetto testo unico.
[62] La violazione riguarda in particolare l'art. 5 del regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006.
[63] In base al medesimo art. 7, la violazione dell'obbligo di comunicazione è soggetta ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 160 a 1.100 euro.
[64] Disciplina di cui all'art. 12 del D.L. 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 maggio 1978, n. 191.
[65] È fatto salvo il caso in cui il ritardo sia dipeso da forza maggiore.
[66] Emendamento 5.1000 del relatore per la 1ª Commissione, on. Sinisi, approvato dalle Commissioni riunite 1ª e 6ª nella seduta notturna del 13 marzo 2007. Il dibattito che ha condotto alla formulazione dell’emendamento si è svolto nelle sedute del 6 e del 7 marzo 2007.
[67] A.S. 1375 (d’iniziativa dei senatori Bianco e Sinisi), Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio.
[68] Il regolamento di attuazione del D.Lgs. 286/1998, contenuto nel D.P.R. 31 agosto1999 n. 394, è stato modificato dal D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334.
[69] Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30.
[70] “Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione”.
[71] “Attuazione della direttiva 96/71/CE in materia di distacco dei lavoratori nell'àmbito di una prestazione di servizi”.
[72] Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del richiamato D.Lgs. 72, per lavoratore distaccato si intende il lavoratore abitualmente occupato in uno Stato membro dell'Unione europea diverso dall'Italia che, per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro in territorio nazionale italiano.
[73] La lettera di costituzione in mora rappresenta la prima fase della procedura d’infrazione e mette uno Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni, qualora la Commissione reputi che esso abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù del trattato che istituisce la Comunità europea. Qualora la Commissione non ritenga esaurienti tali osservazioni, essa emette un parere motivato, seconda e ultima fase della procedura d’infrazione, prima che la Commissione europea proceda al deferimento formale dello Stato membro davanti alla Corte di giustizia, affinché accerti la sussistenza di una violazione del diritto comunitario, secondo quanto previsto dall’art. 226 del Trattato.
[74] Decreto legislativo n. 286/1998, modificato con legge n.189/2002 e con Decreto legislativo n. 195/2002
[75] Si tratta delle condizioni di ingresso di cui all'articolo 5, paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e), ovvero essere in possesso di documenti validi, di documenti che giustifichino lo scopo del soggiorno previsto e disporre di mezzi di sussistenza sufficienti, non essere segnalato ai fini della non ammissione e non essere considerato pericoloso per l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di una delle parti contraenti.
[76] COM(2006)331.
[77] In riferimento alla direttiva 2004/38/CE, si segnala che, in data 12 dicembre 2006, la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura n. 2006/0461) per mancata attuazione. La direttiva era presente nell’allegato B della legge comunitaria 2004.
[78] Il testo è disponibile all’indirizzo internet:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/oj/2006/l_396/l_39620061230it00010849.pdf.
[79] Ulteriori informazioni in merito sono reperibili nel sito web di tale reparto, all’indirizzo http://www.iss.it/spps/index.php?lang=1.
[80] Procedura 1999/4856 - L’Italia ha risposto alla lettera di messa in mora del luglio 2000, con lettera del 27 settembre 2000, invocando la tutela dei diritti dei lavoratori per giustificare le restrizioni alle libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi: un livello minimo di competenze per l’esercizio delle attività in oggetto consentirebbe pertanto di proteggere i lavoratori dipendenti da eventuali irregolarità che potrebbero dar luogo a gravi violazioni dei diritti dei lavoratori.
[81] La lettera di costituzione in mora rappresenta la prima fase della procedura d’infrazione e mette uno Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni, qualora la Commissione reputi che esso abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù del trattato che istituisce la Comunità europea. Qualora la Commissione non ritenga esaurienti tali osservazioni, essa emette un parere motivato, seconda e ultima fase della procedura d’infrazione, prima che la Commissione europea proceda al deferimento formale dello Stato membro davanti alla Corte di giustizia, affinché accerti la sussistenza di una violazione del diritto comunitario, secondo quanto previsto dall’art. 226 del Trattato.
[82] Norme per l'ordinamento della professione di consulente del lavoro
[83] Procedura 1999/4856 - L’Italia ha risposto alla lettera di messa in mora del luglio 2000, con lettera del 27 settembre 2000, invocando la tutela dei diritti dei lavoratori per giustificare le restrizioni alle libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi: un livello minimo di competenze per l’esercizio delle attività in oggetto consentirebbe pertanto di proteggere i lavoratori dipendenti da eventuali irregolarità che potrebbero dar luogo a gravi violazioni dei diritti dei lavoratori.
[84] R.D. 30 settembre 1938, n. 1652 Disposizioni sull'ordinamento didattico universitario.
[85] L. 19 novembre 1990, n. 341, Riforma degli ordinamenti didattici universitari.
[86] Legge 15 maggio 1997, n. 127, “Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”.
[87] D.M. 3 novembre 1999, n. 509, “Regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei”.
[88] Decreto 22 ottobre 2004, n. 270 Modifiche al regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei, approvato con D.M. 3 novembre 1999, n. 509 del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica..
[89] D.M. 4 agosto 2000 sono state determinate in 42 le classi delle lauree universitarie di durata triennale; per ciascuna sono elencati, in altrettanti allegati al provvedimento, gli obiettivi formativi qualificanti e gli ambiti disciplinari entro i quali vanno individuate le attività formative indispensabili.
Con D.M. 28 novembre 2000 sono poi state determinate in 104 le classi di appartenenza alle quali devono afferire i corsi di laurea specialistica (ora laurea magistrale) caratterizzati dagli stessi obiettivi formativi.
[91] Definizione della classe del corso di laurea magistrale in giurisprudenza.