Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento agricoltura
Titolo: Adeguamento alla direttiva 79/409/CEE in materia di conservazione della fauna selvatica - D.L. n. 251/2006 - A.C. 1610
Riferimenti:
DL n. 251 del 16-AGO-06   AC n. 1610/XV
Serie: Progetti di legge    Numero: 44
Data: 12/09/2006
Descrittori:
DIRETTIVE DELL'UNIONE EUROPEA   TUTELA DELLA FAUNA
Organi della Camera: XIII-Agricoltura


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

SERVIZIO STUDI

Progetti di legge

Adeguamento alla direttiva 79/409/CEE
in materia di conservazione della fauna selvatica

D.L. 16 agosto 2006, n. 251 A.C. 1610

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 44

 

12 settembre 2006

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento Agricoltura

 

SIWEB

 

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File: D06251.doc


 

INDICE

Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  4

§      Contenuto  4

§      Relazioni allegate  6

§      Precedenti decreti-legge sulla stessa materia  6

Elementi per l’istruttoria legislativa  7

§      Motivazioni della necessità ed urgenza  7

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  7

§      Specificità ed omogeneità delle disposizioni9

§      Compatibilità comunitaria  9

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  20

Schede di lettura

Misure di conservazione : articoli 1-6  27

Caccia in deroga: articoli 7-9  33

Progetto di legge

§      A.C. N. 1610, (Governo), Conversione in legge del decreto-legge 16 agosto 2006, n. 251, recante disposizioni urgenti per assicurare l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla direttiva 79/409/CEE in materia di conservazione della fauna selvatica  45

Normativa di riferimento

Normativa nazionale

§      Costituzione della Repubblica italiana(artt. 77 e 87)81

§      L. 11 febbraio 1992, n. 157  Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio  83

§      Deliberazione 2 dicembre 1996 Classificazione delle aree protette.115

§      D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche  119

§      L. 3 ottobre 2002, n. 221 Integrazioni alla L. 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio, in attuazione dell'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE   133

§      D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120 Regolamento recante modifiche ed integrazioni al D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche.135

§      L. 5 giugno 2003, n. 131 Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (art. 8)141

§      D.M. 25 marzo 2005 Annullamento della Delib. 2 dicembre 1996 del Comitato per le aree naturali protette; gestione e misure di conservazione delle Zone di protezione speciale (ZPS) e delle Zone speciali di conservazione (ZSC).143

Normativa comunitaria

§      Dir. 79/409/CEE del 2 aprile 1979 Direttiva del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici149

§      Dir. 92/43/CEE del 21 maggio 1992 Direttiva del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche  157

Giurisprudenza

Tar Lazio - Roma

§      Ordinanza n. 6854 del 24 novembre 2005  173

§      Ordinanza n. 6856 del 24 novembre 2005  175

§      Ordinanza n. 6870 del 24 novembre 2005  177

Consiglio di Stato

§      Ordinanza n. 797 del 14 febbraio 2006  179

§      Ordinanza n. 798 del 14 febbraio 2006  181

§      Ordinanza n. 799 del 14 febbraio 2006  183

Corte di giustizia europea

§      Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 20 marzo 2003 Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana. - Inadempimento di uno Stato - Direttiva 79/409/CEE - Zone di protezione speciale - Conservazione degli uccelli selvatici. - Causa C-378/01  187

Documentazione

Atti di sindacato ispettivo

§      Interpellanza on. Zanella e Bonelli n. 2-00069 del 17 luglio 2006 (iter concluso)195

§      Interrogazione on. Bruno Mellano n. 4-000698 del 26 luglio 2006 (iter in corso)199

Procedure d’infrazione avviate dall’UE

§      Procedura 2004/4242, Normativa della Regione Sardegna che deroga al regime di protezione degli uccelli selvatici203

§      Procedura 2004/4926 Normativa della Regione Veneto che deroga al regime di protezione degli uccelli selvatici203

§      Procedura 2006/2131, Non conformità alla  direttiva 79/409 relativa alla conservazione degli uccelli selvatici203

§      Procedura 2006/4043, Applicazione direttiva 79/409 relativa alla conservazione degli uccelli selvatici in Liguria  203

 

 


Scheda di sintesi
per l’istruttoria legislativa



 

Dati identificativi

Numero del progetto di legge

A.C. 1610

Titolo

Disposizioni urgenti per assicurare l’adeguamento dell’ordinamento nazionale alla direttiva 79/409/CEE in materia di conservazione della fauna selvatica

Iniziativa

Governativa

Settore d’intervento

Agricoltura

Iter al Senato

No

Numero di articoli

11

Date

 

§       presentazione alla Camera

1° settembre 2006

§       annuncio

18 settembre 2006 (previsto)

§       assegnazione

1° settembre 2006

Commissione competente

XIII Commissione (Agricoltura)

Sede

Referente

Pareri previsti

I Commissione (Affari costituzionali)

V Commissione (Bilancio)

VII Commissione (Cultura)

VIII Commissione (Ambiente)

IX Commissione (Trasporti)

X Commissione (Attività produttive)

XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea)

 


 

Struttura e oggetto

Contenuto

Il decreto-legge 16 agosto 2006, n. 251, detta disposizioni urgenti per assicurare l’adeguamento dell’ordinamento nazionale alla direttiva 79/409/CEE (c.d. Direttiva uccelli) in materia di conservazione della fauna selvatica. In particolare, il provvedimento è volto a far fronte a quattro procedure di infrazione, avviate dalle istituzioni comunitarie nei confronti dell’Italia, per contrasto della normativa interna, nazionale e regionale, con la predetta direttiva.

 

Il provvedimento si compone di 11 articoli.

 

L’articolo 1 definisce le finalità del provvedimento.

 

L’articolo 2 definisce, in via generale, le misure di conservazione che debbono essere messe in atto nelle Zone di protezione speciale (ZPS) (per la cui specificazione rinvia ai successivi articoli da 3 a 5) e nelle Zone speciali di conservazione (ZSC).

 

Gli articoli da 3 a 5 definiscono le misure di conservazione nelle Zone di protezione speciale (ZPS).

In particolare, l’articolo 3 individua le misure di conservazione inderogabili, introducendo specifiche limitazioni all’esercizio dell’attività venatoria (che non viene pertanto vietata tout court) riguardanti sia i tempi di caccia sia le specie cacciabili. L’articolo 4 definisce ulteriori misure di conservazione (riguardanti essenzialmente la realizzazione di elettrodotti, centrali eoliche, impianti di risalita e piste da sci, nonché la circolazione di mezzi fuoristrada), valevoli fino all’adozione di appositi  provvedimenti che ciascuna regione è chiamata ad adottare, ai sensi dell’articolo 5, nel rispetto dei criteri ornitologici e dei requisiti minimi uniformi definiti, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, con un decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e con il Ministro dei trasporti, d’intesa con la conferenza Stato-regioni. Il decreto dovrà individuare anche i tempi entro cui le regioni devono provvedere a definire tali ulteriori misure e le misure sostitutive statali in caso di inerzia regionale.

 

L’articolo 6 stabilisce che le nuove misure di protezione previste per le ZPS e le ZSC si applicano, se più restrittive, anche nel caso in cui tali zone ricadano all’interno di aree naturali o marine protette.

 

Gli articoli da 7 a 9 recano norme concernenti l’esercizio dell’attività venatoria.

L’articolo 7 novella l’articolo 19-bis della legge n.157 del 1992 sulla caccia, al fine di definire secondo criteri più puntuali e restrittivi i confini entro i quali le regioni sono legittimate a disciplinare l’esercizio delle deroghe ai divieti di caccia ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE (c.d. “caccia in deroga”). La disposizione chiarisce l’eccezionalità dei provvedimenti di deroga e ne prevede l’obbligo di motivazione specifica, limita la durata deroghe ad un anno, chiarisce che le deroghe non possono comunque riguardare specie la cui consistenza numerica sia in diminuzione (e non già in “grave” diminuzione, come previsto in precedenza) prevede che il parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) (unico organismo chiamato a pronunciarsi: non è quindi più consentita la possibilità di sostituire il parere dell’INFS con quello degli istituti riconosciuti a livello regionale) abbia carattere vincolante e, infine, richiama espressamente la normativa vigente sul potere sostitutivo d’urgenza statale attivabile in caso di inadempienza regionale. L’articolo 8dispone un intervento sostitutivo urgente statale nei confronti delle Regioni, prevedendo la sospensione degli effetti delle deroghe adottate dalle Regioni stesse in difformità dall’ordinamento comunitario e statale, nonché l’abrogazione e l’annullamento delle leggi e degli atti regionali difformi, una volta trascorso il termine di novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge senza che le Regioni abbiano provveduto ad adeguarvisi. L’articolo 9 novella gli articoli 1, 18, 20 e 21 della legge n.157 del 1992 sulla caccia, al fine di introdurre misure più rigorose e puntuali per la tutela della fauna selvatica. In particolare, vengono meglio definiti le finalità generali dell’intervento statale e regionale, le modalità di istituzione e classificazione delle ZPS, i divieti di caccia (per quanto riguarda, in particolare, le specie migratrici e le fasi di nidificazione, riproduzione e dipendenza), le modalità di rilascio delle autorizzazioni per l’importazione dall’estero di fauna selvatica viva e il contenuto di determinati comportamenti vietati (la distruzione di nidi e uova, il disturbo deliberato di uccelli protetti, il trasporto per la vendita di determinate specie).

 

L’articolo 10 prevede che dall’applicazione del decreto-legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri, né minori entrate a carico della finanza pubblica (invarianza della spesa).

 

L’articolo 11 dispone, come di consueto, in ordine all’entrata in vigore del decreto-legge.

Relazioni allegate

Al provvedimento sono allegate la relazione illustrativa, le schede sull’Analisi tecnico normativa (ATN) e sull’Analisi di impatto della regolamentazione (AIR) (richieste dalla Direttiva del Presidente del consiglio del 27 marzo 2000[1]) e il testo integrale delle norme espressamente modificate o abrogate dal decreto-legge[2].

Precedenti decreti-legge sulla stessa materia

In materia di prelievo venatorio l’ultimo precedente è rappresentato dall’articolo 11-quaterdecies, comma 5, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, introdotto in corso di conversione.


 

Elementi per l’istruttoria legislativa

Motivazioni della necessità ed urgenza

Secondo quanto riportato nel preambolo del decreto-legge (e, più diffusamente, nella relazione illustrativa) le motivazioni di necessità e urgenza sono riconducibili a una duplice esigenza:

§      superare, nel termine fissato di due mesi, le procedure di infrazione n. 2006/2131 e 2006/4043 promosse dalla Commissione europea, con pareri motivati del 28 giugno 2006, per incompleto e insufficiente recepimento ed errata attuazione della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, da parte della normativa statale e regionale, nonché le procedure di infrazione 2004/4926 e 2004/4242, che alla stessa data del 28 giugno 2006 hanno dato origine a ricorsi alla Corte di giustizia da parte della Commissione europea per contrasto della normativa delle regioni Veneto e Sardegna con le disposizioni della citata direttiva 79/409/CEE;

§      intervenire prima dell’imminente apertura della stagione venatoria 2006/2007 per evitare la non approvazione da parte della Commissione europea dei Programmi di sviluppo rurale (atteso che la tutela della biodiversità rappresenta uno dei cardini della nuova programmazione 2007-2013 definita dal Regolamento (CE) n.1698/2005) che comporterebbe gravissimi danni per l’intero comparto agricolo nazionale.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La disciplina recata dal decreto-legge, in quanto volta a consentire l’adeguamento dell’ordinamento interno alla normativa comunitaria (segnatamente alla direttiva 79/409/CEE) può essere ricondotta alla materia “rapporti dello Stato con l’Unione europea”, che l’articolo 117, comma 2, lettera a), della Costituzione, riserva alla competenza esclusiva dello Stato.

 

Per quanto concerne la tutela della fauna selvatica e la conseguente regolazione del prelievo venatorio, interessano trasversalmente competenze in parte assegnate allo Stato ed in parte assegnate alle regioni, secondo la nuova ripartizione contenuta nell'articolo 117 della Costituzione.

Così, tale materia sembra interessare la competenza esclusiva dello Stato per quanto riguarda:

·       la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema - lett. s), comma secondo, dell'articolo 117 Cost.;

·       l’ordinamento civile e penale, dato il sistema di divieti e di sanzioni contenuto nella legge quadro 157/1992 – lett. l), comma secondo, dell'art. 117 Cost.

 

Per quanto riguarda, invece, la competenza concorrente dello Stato e delle regioni (dove il primo è chiamato a stabilire i principi ed i criteri direttivi della materia e, le seconde, le norme di attuazione) è possibile fare riferimento alla “valorizzazione dei beni ambientali” (articolo 117, terzo comma, della Costituzione).

 

La giurisprudenza della Corte costituzionale (formatasi sul precedente sistema di riparto delle competenze costituzionali, anteriore, quindi, alla riforma del titolo V della Costituzione, operata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3) ha sempre riconosciuto la competenza dello Stato a dettare i principi fondamentali in materia di prelievo venatorio, riconoscendo alle disposizioni contenute nella legge n.157/1992 carattere di “riforma economico-sociale” e al ruolo dello Stato, natura di attività di indirizzo e coordinamento tecnico, senza che in alcun modo possa verificarsi una lesione delle competenze delle regioni. Secondo la Corte costituzionale, infatti, le attribuzioni delle regioni in tema di "caccia", pur tenendo conto degli ulteriori trasferimenti di competenze operati in favore delle regioni dal decreto legislativo 4 giugno 1997, n.143, non implicano il disconoscimento delle competenze che, in materia di "tutela della fauna selvatica", restano, comunque, affidate allo Stato e che sono tali da riverberarsi anche sulla disciplina delle modalità della caccia stessa, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche (Corte cost., 14 maggio 1999, n.169).

La Corte si è espressa sulla competenza in materia di protezione della fauna e della regolazione del prelievo venatorio alla luce del nuovo riparto di competenze operato con la riforma del titolo V della Costituzione con una serie di sentenze (le sentenze 18/20 dicembre 2002, n.536, 19 giugno-4 luglio 2003, nn.226 e 227, 15 ottobre 2003, n.391, 21 ottobre 2005, nn. 391 e 393 e 27 luglio 2006, n.313) che hanno sostanzialmente confermato la precedente giurisprudenza in materia.

Tra le più chiare affermazioni della Corte vi è quella secondo cui le disposizioni rivolte “ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, corrispondono sotto questo aspetto, all’esigenza di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, il cui soddisfacimento l’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato, in particolare mediante la predisposizione di standard minimi di tutela della fauna”.

Specificità ed omogeneità delle disposizioni

Le disposizioni recate dal decreto-legge appaiono nel complesso omogenee, in quanto tutte volte all’adeguamento dell’ordinamento interno alla direttiva 79/409/CEE.

Compatibilità comunitaria

Esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria

Le disposizioni recate dal decreto-legge non presentano aspetti problematici sotto il profilo della compatibilità comunitaria, in quanto sono state dettate proprio dall’esigenza di superare le procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti del nostro Paese per incompleto o insufficiente recepimento della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici.

Procedure di contenzioso in sede comunitaria
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)

Procedura d’infrazione n. 2006/2131

Il 4 luglio 2006 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato[3] per non conformità della normativa italiana di recepimento della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici alla direttiva medesima e per la non corretta applicazione della stessa. La Commissione rileva la non conformità alla medesima direttiva della normativa statale di quella di tredici regioni (Abruzzo, Emilia-Romagna, Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Marche, Puglia, Umbria, Calabria, Lombardia, Veneto, Sardegna e Liguria).

Nei rilievi mossi, la Commissione constata che il sistema di recepimento della direttiva 79/409/CEE nell’ordinamento italiano non è completamente conforme alla direttiva e non ne garantisce la corretta applicazione. In particolare:

·         non è stato recepito nell’ordinamento italiano l’articolo 2 della direttiva, che stabilisce l’obbligo a carico degli Stati membri di adottare le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio dell’UE ad un livello che corrisponde alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative;

·         l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva - in base al quale gli Stati membri, tenuto conto delle esigenze di cui all’articolo 2, adottano tutte le misure necessarie per preservare, mantenere o ristabilire, per tutte le specie di uccelli selvatici viventi nel territorio dell’UE, una varietà e una superficie di habitat - è stato recepito dall’articolo 1, paragrafo 5, della legge n. 157 del 1992. Quest’ultimo, tuttavia, considerato che l’articolo 2 non è stato recepito, non prevede che le competenti autorità tengano conto dei requisiti fissati dal citato articolo 2;

·         l’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva individua una serie di criteri ornitologici (specie in via di estinzione, specie considerate rare o specie che richiedono una particolare attenzione per la specificità del loro habitat, specie migratrici che ritornano) che devono essere presi in considerazione allorché si adottino misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat, per garantire la sopravvivenza e la riproduzione di queste specie nella loro area di distribuzione. La Commissione rileva che gli articoli 1, comma 5, della legge n. 157 del 1992 e 4 e 6 del DPR 357/97 come modificato, che recepiscono l’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva, non prevedono che le autorità competenti tengano conto dei suddetti criteri ornitologici nell’adottare misure speciali di conservazione dell’habitat e nel garantire la sopravvivenza e la riproduzione della specie nella oro area di distribuzione;

·         l’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva stabilisce che gli Stati membri adottino misure idonee a prevenire l’inquinamento o il deterioramento degli habitat nelle zone di protezione di cui ai paragrafi 1 e 2, e anche al di fuori di queste zone. La Commissione contesta il fatto che gli articoli 4 e 6 del DPR 357/97, come modificato, che recepiscono queste disposizioni prevedano che le misure di prevenzione riguardano solo le zone di protezione speciale e non anche gli habitat esterni a queste zone;

·         l’articolo 5 della direttiva fissa l’obbligo a carico degli Stati membri di adottare le misure necessarie per instaurare un regime di protezione di tutte le specie di uccelli selvatici che comprenda il divieto di ucciderli o catturarli deliberatamente, di distruggere o danneggiare deliberatamente i nidi e le uova e di asportare i nidi, di raccogliere le uova nell’ambiente naturale e di detenerle anche vuote, di disturbarli deliberatamente in particolare durante la riproduzione, di detenere le specie di cui sono vietate la caccia e la cattura. L’articolo 5 è stato recepito dagli articoli 2, 3 e 21 della legge n. 157 del 1992. La Commissione rileva che in base al combinato disposto di tali articoli non è previsto il divieto di distruzione e danneggiamento deliberato dei nidi e delle uova e il divieto di disturbare deliberatamente le tipologie di uccelli protetti dalla direttiva;

·         l’articolo 6 della direttiva fissa l’obbligo a carico degli Stati membri di vietare per tutte le specie di uccelli selvatici la vendita, il trasporto per la vendita, la detenzione per la vendita e l’offerta in vendita degli uccelli vivi e morti facilmente riconoscibili. Tale paragrafo è stato recepito dall’articolo 21, comma 1, lettera b, della legge n. 157 del 1992, che non contempla il divieto di trasporto per la vendita;

·         l’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva stabilisce che gli Stati membri devono accertarsi che l’attività venatoria, ivi compresa eventualmente la caccia con il falco, rispetti i principi di una saggia utilizzazione e di una regolazione ecologicamente equilibrata delle specie di uccelli interessate e sia compatibile con l’articolo 2 per quanto riguarda il contingente numerico. Essi provvedono in particolare che le specie a cui si applica la legislazione della caccia non siano cacciate durante il periodo della nidificazione, della riproduzione e della dipendenza e, per quanto riguarda le specie migratrici, che non siano cacciate durante la riproduzione e il ritorno al luogo di nidificazione. Infine, gli Stati membri devono trasmettere alla Commissione tutte le informazioni utili sull’applicazione pratica della loro legislazione sulla caccia. In particolare l’articolo 18 della legge n. 157 del 1002, pur suddividendo le specie cacciabili per periodi di attività venatoria secondo gli scopi indicati nell’articolo 4, paragrafo 4, non indica l’esigenza che tale suddivisione temporale rispetti il divieto di caccia durante la nidificazione, la riproduzione e della dipendenza, anche con riferimento alle specie migratrici. Non è stato inoltre recepito l’obbligo di trasmettere le informazioni sulla caccia alla Commissione;

·         non è stato recepito l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva, in base al quale gli Stati membri devono trasmettere alla Commissione tutte le informazioni necessarie per coordinare le ricerche e i lavori necessari per la protezione, la gestione, l’utilizzazione della popolazione di tutti gli uccelli selvatici protetti dalla direttiva;

·         l’articolo 11 della direttiva fissa l’obbligo a carico degli Stati membri di vigilare affinché l’eventuale introduzione di specie di uccelli che non vivono naturalmente allo Stato selvatico nel territorio degli Stati membri non pregiudichi la flora e la fauna locali e di consultare in merito la Commissione. Tale disposizione è stata recepita dall’articolo 20 della legge n. 157 del 1992 che non prevede tuttavia la consultazione della Commissione;

·         l’articolo 13 della direttiva in base al quale l’attuazione delle misure adottate in virtù della direttiva non deve provocare un deterioramento della situazione attuale per quanto riguarda la conservazione delle specie di uccelli selvatici nel territorio UE non è stato recepito nell’ordinamento italiano.

Per quanto riguarda le questione relativa ad eventuali deroghe a quanto disposto dagli artt. 5, 6, 7 e 8 della direttiva in questione, l’art. 9 della medesima  prevede che gli Stati membri possono introdurre tali deroghe per motivi riguardanti la salute e la sicurezza pubblica, la sicurezza aerea, per prevenire i danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque, per la protezione della flora e della fauna, ai fini della ricerca, dell’insegnamento, del ripopolamento, per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi di determinati uccelli in piccole quantità. Le deroghe dovranno menzionare le specie che ne sono oggetto, i mezzi, gli impianti, i metodi di cattura o di uccisione autorizzata, le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui possono essere fatte, i controlli che saranno effettuati. Tale articolo è stato recepito dalla legge n. 221 del 2002 che introduce l’articolo 19-bis nella legge n. 157 del 1992; la legge statale funge da legge-quadro, in quanto le regioni sono responsabili dell’applicazione delle deroghe mediante normative regionali che individuano le regole in base alle quali tali deroghe possono essere autorizzate. In particolare, per le deroghe volte a consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità esiste un protocollo di intesa nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni[4]in base al quale ogni anno su indicazione dell’INFS (Istituto nazionale per la fauna selvatica) viene definita la piccola quantità massima prelevabile di singole specie a livello nazionale e regionale. La violazione delle regole stabilite nel suddetto protocollo per il rispetto su base nazionale del requisito della piccola quantità sono da considerare violazione dell’articolo 9 della direttiva, in quanto i riferimenti normativi per individuare la piccola quantità su scala nazionale sono il considerando 11 della direttiva, la giurisprudenza della Corte di giustizia e la “Guida della disciplina della caccia nell’ambito della direttiva 79/409/CEE” della Commissione europea. Secondo la Commissione, mentre la legge-quadro 221 del 2002 recepisce correttamente l’articolo 9, le normative regionali che disciplinano l’adozione delle deroghe e i singoli atti di deroga adottati dalle regioni non sono spesso conformi all’articolo 9 per i seguenti motivi: l’assenza di alcuni requisiti di cui all’articolo 9, la mancata indicazione di una delle ragioni di cui all’articolo 9 come motivo per cui si ritiene necessaria una determinata deroga. La Commissione rileva inoltre che, ad eccezione delle leggi provvedimento valide solo per una stagione venatoria, per le quali vale l’obbligo di motivazione, sono contrarie alla direttiva le leggi regionali che contengono già l’indicazione delle specie che potranno essere oggetto della deroga ai sensi dell’articolo 9 in quanto identificano in maniera generale ed astratta e senza limiti di tempo le specie oggetto della deroga mentre, nel sistema della direttiva, la deroga è un provvedimento eccezionale di carattere provvedimentale che viene adottato in base ad una precisa e puntuale analisi dei presupposti e delle condizioni stabilite dall’articolo 9. A volte le specie cacciabili in deroga sono indicate in un allegato alla legge regionale; ciò può essere considerato non contrario alla direttiva solo se la legge ne prevede una revisione annuale in base ai requisiti dell’articolo 9.

Le regioni nei cui ordinamenti sono state riscontrate violazioni per non conformità alla direttiva sono Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Marche, Puglia, Umbria, Calabria, Lombardia, Toscana. Anche le normative di Veneto, Sardegna e Liguria non sono conformi all’articolo della direttiva; esse sono oggetto di specifiche procedure di infrazione (vedi infra).

La Commissione conclude pertanto che, a causa del non chiaro e non efficace quadro normativo di riferimento, ovvero la legge n. 221 del 2002 in combinazione con le varie normative regionali, le autorità territoriali responsabili dell’applicazione delle deroghe, applicano la normativa comunitaria in maniera errata. La legge n. 221,  approvata proprio per mettere fine alla pratica diffusa di autorizzazione di deroghe contrarie ai principi dell’articolo 9, non ha raggiunto il suo scopo. Si riscontra pertanto come altra violazione la costante e prolungata cattiva applicazione dell’articolo 9 a causa dell’insufficiente sistema di recepimento.

Un’ulteriore violazione è costituita dal sistema molto lento di controllo di legittimità delle deroghe previsto dalla legge 221 del 2002 per il quale, nel caso in cui le deroghe siano dichiarate illegittime, l’annullamento interviene quando la deroga ha esaurito i suoi effetti. Tale sistema perde quindi la sua natura deterrente, tanto che regioni e province hanno adottato deroghe non conformi alla direttiva unicamente per permettere la caccia fra la data dell’adozione e la data di annullamento dell’atto di deroga.

L’articolo 9 prevede che il potere di deroga è esercitabile solo in via eccezionale, non per autorizzare un regime di caccia ad uccelli protetti ma per consentire l’abbattimento o la cattura di uccelli selvatici in vista della tutela dei fini di interesse generale di cui all’articolo 9, paragrafo 1. Infine, contravvenendo ad un preciso obbligo di cooperazione e di aggiornamento della situazione normativa interna in relazione al recepimento e all’applicazione della direttiva 79/409/CEE secondo l’articolo 18, paragrafo 2, l’Italia non ha comunicato alla Commissione nessuna delle suindicate leggi regionali di recepimento o attuazione dell’articolo 9.

 

Procedura d’infrazione n. 2004/4242

Il 4 aprile 2006 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[5]riguardante la violazione dell’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE da parte del sistema di deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici adottato dalla Regione Sardegna.

La Regione Sardegna ha approvato la legge n. 2 del 13 febbraio 2004 “Norme in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio in Sardegna in attuazione della legge 3 ottobre 2002, n. 221” .La suddetta legge prevede la regolamentazione delle modalità di adozione delle deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici, ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE. La legge della Regione Sardegna, in particolare, stabilisce le modalità relative alle deroghe di cui al paragrafo 1, lettera a), terzo trattino, del citato articolo 9, al fine di prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque.

La Commissione rileva, tuttavia, che tali modalità non rispettano le condizioni stabilite dall’articolo 9, secondo paragrafo, della direttiva, in quanto le deroghe non possono essere concesse senza specificare le condizioni di rischio, le circostanze di luogo e i soggetti che sono autorizzati ad applicarle. Inoltre, la procedura predisposta per l’accertamento e  la dichiarazione che le condizioni stabilite sono realizzate non è conforme all’obiettivo della direttiva, in quanto non prevede la consultazione di un’autorità scientifica qualificata. Questo, secondo la Commissione, può essere fonte di errore sui presupposti in base ai quali la deroga viene concessa o sull’esistenza di soluzioni alternative all’adozione della deroga. La non conformità alla direttiva della suindicata normativa è confermata dalle violazioni che sono riscontrabili nella fase applicativa. Ad esempio, il decreto dell’Assessore della Difesa dell’Ambiente del 18 febbraio 2004, n. 3, adottato alla luce della citata legge della Regione Sardegna n. 2 del 2004, al fine di prevenire danni alle colture di mirto, ha autorizzato la deroga al divieto di caccia a quattro specie di uccelli che non si nutrono dei frutti di tale pianta e in periodo di migrazione.

 

Procedura d’infrazione n. 2004/4926

Il 4 aprile 2006 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[6]riguardante la violazione dell’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE da parte del sistema di deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici adottato dalla Regione Veneto.

La Regione Veneto ha adottato la legge n. 13 del 12 agosto 2005 “Disciplina del regime di deroga previsto dall’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE in attuazione della legge 3 ottobre 2002, n. 221, in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio” che regolamenta le modalità di adozione delle deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici ai sensi dell’articolo 9 della direttiva. In particolare, la legge della Regione Veneto stabilisce le modalità relative alle deroghe di cui al paragrafo 1, lettere a) e c) possibili per motivi di salute pubblica, sicurezza aerea, danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque, protezione della fauna e della flora e per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità. Questa legge ha abrogato la precedente legge regionale n. 17 del 13 agosto 2004, avente lo stesso oggetto e la stessa struttura.

La Commissione rileva che la legge n. 13 del 2005 non è conforme all’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE, in quanto contiene l’indicazione esplicita delle specie che potranno essere oggetto di deroga ai sensi dell’articolo 9, lettere a) e c). Tale disposizione è contraria all’articolo 9 della direttiva in quanto identifica già in maniera generale ed astratta e senza limiti temporali le specie oggetto della deroga, mentre nel sistema della direttiva la deroga è un provvedimento eccezionale di carattere provvedimentale che viene adottata in base ad una puntuale analisi dei presupposti e delle condizioni di cui all’articolo 9. L’oggetto della deroga è il risultato dell’analisi di una situazione che varia di volta in volta. Inoltre, l’allegato A alla legge n. 13 del 2005 prospetta già le quantità di prelievo di esemplari delle suddette specie di uccelli nelle stagioni venatorie che vanno dal 2005 al 2010 e questo superando l’obiettivo della deroga, in quanto costituisce un’autorizzazione all’esercizio della caccia a specie di uccelli protette ai sensi della direttiva. Inoltre, l’eventuale previsione di modifica annuale dell’allegato potrebbe essere considerata non contraria alla direttiva solo se effettuata in base al riscontro dei presupposti e delle condizioni descritti all’articolo 9 e in assenza di disposizioni normative che identificano espressamente le specie oggetto della deroga. Inoltre, è incongruo e contrario all’articolo 9 della direttiva il fatto che la deroga per specifiche specie di uccelli sia prevista indifferentemente in base ad un generico riferimento a tutti i casi elencati nelle lettere a) e c) del paragrafo 1 di tale articolo. Se la disposizione contiene la menzione di una specie specifica, anche le ragioni di adozione della deroga devono essere precise;  se invece la disposizione intende introdurre una regolamentazione generale ed astratta essa non può riportare la specifica indicazione di una specie.

Per quanto riguarda la piccola quantità, premesso che le popolazioni delle specie ornitologiche e i parametri da considerare sono quelli relativi all’intero territorio della Comunità (considerando 11 della direttiva), in Italia il calcolo della piccola quantità ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera c, è complicato dalla circostanza che le deroghe sono adottate dalle regioni. Pertanto, per garantire la corretta applicazione della direttiva in Italia, è necessario un coordinamento fra le regioni. Tale coordinamento è costituito dal protocollo di intesa siglato nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni che è stato violato dalla normativa della regione Veneto. Infatti il limite massimo di soggetti abbattibili nella Regione Veneto, ai sensi dell’allegato A della legge n. 13 del 2005, non è in linea con la nozione di piccola quantità di cui al paragrafo 1, lettera c. I rilievi formulati in relazione alla legge n. 13 del 2005 sono riferibili anche all’abrogata legge n. 17 del 2004 che aveva la stessa struttura e che pertanto era incompatibile con la direttiva.

 

Procedura d’infrazione n. 2006/4043

Il 5 luglio 2006 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[7]riguardante la violazione dell’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE da parte del sistema di deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici adottato dalla Regione Liguria.

La Regione Liguria ha adottato la legge n. 34 del 5 ottobre 2001 “Attuazione dell’articolo 9 della direttiva comunitaria 79/409/CEE”, che ha come scopo la regolamentazione delle modalità di adozione delle deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici ai sensi dell’articolo 9 della direttiva. Tale legge è stata poi modificata dalla legge regionale 1 agosto 2002, n. 31. Il parere motivato fa riferimento al testo vigente della legge.

La Commissione rileva che la legge n. 34 del 2001 non è conforme all’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE, in quanto non contiene l’indicazione esplicita delle specie che potranno essere oggetto di deroga ai sensi dell’articolo 9. Tale disposizione è contraria all’articolo 9 della direttiva, in quanto identifica in maniera generale ed astratta e senza limiti temporali le specie oggetto della deroga.

Nella legge non c’è nessuna disposizione che obblighi le autorità competenti a sostituire almeno annualmente l’allegato che, in questo modo,viene automaticamente rinnovato senza controllo dell’esistenza delle circostanze e condizioni che legittimano l’adozione della delega. Inoltre, la previsione di modifica annuale dell’allegato potrebbe essere considerata non contraria alla direttiva solo se, in assenza comunque di previsioni normative che identificano espressamente le specie oggetto della deroga, la legge stabilisca: o che l’allegato non ha comunque durata superiore alla stagione venatoria, o che lo stesso deve essere aggiornato alla luce del riscontro effettivo e concreto dell’esistenza, per quella determinata stagione venatoria, dei presupposti e delle condizioni di cui all’articolo 9 della direttiva. Pertanto il quadro normativo della Regione Liguria si colloca al di fuori dell’obiettivo della deroga in quanto costituisce un’autorizzazione manifesta all’esercizio regolare della caccia a specie di uccelli protette ai sensi della direttiva.

Non è in linea con l’articolo 9 la mancata previsione, in una legge che costituisce il quadro normativo per l’esercizio delle deroghe,  dell’obbligo di indicare la motivazione per cui si ritiene opportuna una determinata deroga. Infine la legge non prevede il rispetto né della condizione relativa alla verifica della mancanza di altre soluzioni soddisfacenti né dell’indicazione dell’autorità abilitata a dichiarare se le condizioni stabilite siano realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati entro quali limiti da quali persone.

La non conformità alla direttiva della suindicata normativa è confermata dalle violazioni che sono riscontrabili nella fase applicativa. Nella delibera 1085 del 23 settembre 2005 della Giunta regionale della Regione Liguria manca l’esame di altre soluzioni soddisfacenti, non viene data motivazione del perché è necessario l’abbattimento degli storni ai sensi della lettera a, paragrafo 1, e non è data motivazione del perché è necessario abbattere una piccola quantità d fringuelli ai sensi della lettera c), paragrafo 1, dell’articolo 9 della direttiva. Inoltre, il fatto che la deroga si richiami al contingente abbattibile di una determinata specie, come definito annualmente dall’INFS, non costituisce motivazione sulla necessità di abbattere un certo numero di individui di quella specie. I motivi per cui viene deliberato l’abbattimento devono essere spiegati nelle singole deroghe.

 

Ulteriori procedure

Le quattro procedure di infrazione sopra descritte sono espressamente menzionate nella relazione al disegno di legge di conversione del decreto-legge 16 agosto 2006, n. 251.

Si ricorda che sulla conservazione della fauna, la protezione degli habitat naturali e le zone protette, la Commissione ha avviato negli scorsi anni diverse procedure di infrazione, tuttora in corso.

Inoltre, la Corte di giustizia ha già condannato l’Italia, il 20 marzo 2003, per inadempimento nell’attuazione della direttiva 79/409/CEE relativa alla conservazione degli uccelli selvatici (Causa n. 378/01). La Corte ha stabilito che l’Italia, non avendo classificato in misura sufficiente come Zone di protezione speciale i territori più idonei per numero e superficie, alla conservazione delle specie indicate nell’all.1 della direttiva in questione, è venuta meno agli obblighi derivanti dalla direttiva medesima.

Le ulteriori procedure di infrazione ancora in corso sono le seguenti.

Il 30 marzo 2003 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora[8] per violazione della direttiva  79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici. Secondo la Commissione, l’Italia avrebbe omesso di adottare le misure idonee ad evitare il degrado degli habitat naturali e la perturbazione delle specie viventi nella zona protetta ZPS IT 3210018 “Basso Garda” . In particolare i rilievi della Commissione sottolineano che :

 

Il 5 luglio 2005 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato complementare[9] per la mancata applicazione delle misure di salvaguardia previste per le zone speciali di conservazione e/o di protezione, ai sensi dell’art. 7 della direttiva 92/43.

In particolare, l’Italia non avrebbe adottato le misure idonee ad evitare il degrado della zona di protezione speciale IT5210070 “Lago Trasimeno”. Tale degrado, causato da un impoverimento idrico di rilevante entità (per scopi agricoli e licenze di varia natura), ha compromesso la funzionalità ecologica del sito. Inoltre sulle parti prosciugate è in corso di costruzione una pista ciclabile senza che sia stata effettuata la valutazione di incidenza prevista dall’art. 6 della direttiva 92/43. La Commissione ritiene pertanto che l’Italia sia venuta meno agli obblighi derivanti dagli articoli 6 e 7 della direttiva 92/43/CEE.

 

La Commissione ha inviato all’Italia, il 13 luglio 2004, tre pareri motivati. L’Italia avrebbe violato la direttiva n. 92/43/CEE e la direttiva n. 79/409/CEE omettendo di valutare l’impatto potenziale di una serie di progetti di costruzione all’interno dei siti protetti. In particolare i rilievi della Commissione sono relativi ai seguenti casi:

Per quest’ultimo caso, la Commissione avrebbe deciso il ricorso alla Corte di giustizia in data 14 dicembre 2004.

 

Indagine della Commissione in materia di condizionalità

La Commissione ha inviato all’Italia, il 1° febbraio 2006, una lettera di osservazioni  nell’ambito di una indagine in  materia di rispetto delle norme ambientali e condizionalità[13] degli aiuti diretti agricoli  (AA/2005/44), per il 2005 ed anni successivi. Con la nota, la Commissione ha richiesto, a seguito di una missione svolta in Italia nel settembre 2005, una serie di chiarimenti sulle modalità adottate per i controlli che spettano alle autorità nazionali competenti in materia di condizionalità (organismi pagatori regionali o, in loro assenza, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA)), evidenziando la possibilità di una esclusione dal finanziamento comunitario da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG), sezione garanzia, in caso di risposta insoddisfacente da parte italiana. Per quanto riguarda la tutela degli habitat,  degli uccelli, della fauna e della flora, la Commissione evidenzia di aver rilevato come i controlli delle autorità italiane siano stati inappropriati come scelta del campione da verificare  e insufficienti come numero, avendo questi preso in considerazione solo gli agricoltori con il 100% dei loro terreni in siti facenti parte della rete Natura 2000[14] ed escludendo dai controlli gli agricoltori con il 99% (o meno) di terreni in aree protette.

Documenti all’esame delle istituzioni europee
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)

Conservazione uccelli selvatici

A seguito delle numerose controversie sorte negli ultimi anni a proposito della compatibilità della caccia con alcune disposizione della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici, e in occasione del 25° anniversario della sua adozione, la Commissione ha presentato nell’agosto 2004 una Guida volta a chiarire le disposizioni della direttiva stessa con indicazioni più complete ed esaurienti.

 

Il 12 aprile 2006 la Commissione ha presentato una relazione sull’attuazione della direttiva 79/409/CEE (COM(2006)164). La relazione, sulla base delle informazioni trasmesse dagli Stati membri, offre una valutazione dei progressi compiuti a livello comunitario sull’attuazione della direttiva in questione. Inoltre, a seguito dell’esame dei dati riguardanti sia lo stato delle popolazioni di uccelli e dei loro habitat sia del loro impatto socio-economico, il documento procede ad una valutazione della direttiva stessa.

 

Direttiva “Habitat”

 

Nell’aprile 2006, la Commissione ha presentato una Guida relativa alla attuazione della direttiva n. 92/43/CEE, concernente la protezione delle specie animali e dei loro habitat. La guida è volta a fornire un aiuto per la corretta interpretazione della direttiva in questione.

 

Sviluppo rurale

 

Il 24 maggio 2006 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento (COM(2006)237) che modifica il regolamento (CE) n. 1698/2005 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) ed è volta ad armonizzare le disposizioni sui massimali degli stanziamenti annuali con quanto stabilito nell’accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013 raggiunto dal Consiglio europeo nel dicembre 2005.

La proposta, che segue la procedura di consultazione, è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo presumibilmente il 23 ottobre 2006.

 

Si ricorda che, il 19 giugno 2006, è stato adottato il regolamento (CE) n. 493/2006 che stabilisce l'importo del sostegno comunitario allo sviluppo rurale (69,75 miliardi di euro) per il periodo 2007-2013, la sua ripartizione annua e l'importo minimo da concentrare nelle regioni ammissibili all'obiettivo di convergenza (27,699 miliardi di euro).

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Riflessi sulle autonomie e sulle altre potestà normative

L’articolo 8 dispone un intervento sostitutivo urgente nei confronti delle Regioni, adottato (come chiarito nella relazione per l’analisi tecnico-normativa) ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione e dell’articolo 8, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131[15]. In particolare, la disposizione in esame prevede la sospensione degli effetti delle deroghe adottate dalle Regioni in difformità dall’ordinamento comunitario e statale, nonché l’abrogazione e l’annullamento delle leggi e degli atti regionali difformi, una volta trascorso il termine di novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge senza che le Regioni abbiano provveduto.

L’intervento sostitutivo si giustifica, come spiegato nella relazione introduttiva, alla luce della pressante necessità di dare esecuzione agli obblighi comunitari, in presenza di procedure di infrazione che potrebbero portare al blocco dell’approvazione (e quindi del finanziamento) dei Programmi di sviluppo rurale delle Regioni e Province autonome.

Esso sembra presentare tre profili problematici: il primo concerne il tipo di intervento sostitutivo posto in atto; il secondo attiene al rapporto legge statale – legge regionale; il terzo alla certezza del diritto.

Come già segnalato, la relazione per l’analisi tecnico-normativa specifica che l’intervento sostitutivo è ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione e dell’articolo 8, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131. Si tratta quindi di un intervento sostitutivo adottato in un caso di assoluta urgenza. Si segnala in proposito che disposizioni specifiche per l’adozione di misure urgenti per l’adeguamento agli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario ed alle decisioni delle Comunità europee sono contenute in diversi articoli della legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari. In più, l’articolo 7 del provvedimento in esame introduce a regime un’ulteriore tipologia di intervento sostitutivo in materia di deroghe al prelievo venatorio. In via generale, già si è segnalata l’opportunità di chiarire i rapporti esistenti tra le differenti discipline dettate in materia di poteri sostitutivi, anche con riguardo all’articolo 5.

Con riguardo al secondo profilo, si segnala che la sospensione degli effetti di leggi ed atti regionali è già stata disposta, a più riprese, con legge finanziaria, in relazione agli aumenti delle addizionali regionali e comunali all’IRPEF nonché alla maggiorazione dell’aliquota dell’IRAP[16]. Non risultano invece casi di abrogazione esplicita di leggi regionali[17]. Nel caso di specie, l’abrogazione è disposta in esecuzione di pressanti obblighi comunitari, la cui mancata osservanza potrebbe comportare pesanti ricadute economico-finanziarie.

In terzo luogo, l’abrogazione di disposizioni regionali non puntualmente indicate appare problematica alla luce della certezza del diritto, in quanto pone il cittadino nella difficoltà di conoscere esattamente quali siano le disposizioni vigenti e costituisce quindi una potenziale fonte di contenzioso.

Attribuzione di poteri normativi

L’articolo 5 rimette a un decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, la individuazione delle specifiche tipologie ambientali di riferimento, sulla base dei criteri ornitologici indicati nella citata direttiva 79/409/CEE e delle esigenze ecologiche delle specie faunistiche presenti. Con il medesimo decreto dovranno anche essere definiti i requisiti minimi di tutela ambientale per assicurare coerenza ed uniformità delle altre misure di conservazione di competenza regionale, applicabili nelle ZPS, tenendo conto dei criteri ornitologici, riferiti anche agli habitat esterni funzionali a dette zone e prevedendo anche l’estensione di dette zone. Il decreto dovrà infine individuare i tempi entro cui le regioni devono provvedere a definire tali ulteriori misure e le misure sostitutive statali in caso di inerzia regionale.

Coordinamento con la normativa vigente

All’articolo 5, andrebbe valutata l’opportunità di verificare la coerenza con il vigente sistema delle fonti di tale disposizione, che demanda ad un decreto ministeriale, emanato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, la definizione dei  requisiti minimi uniformi che le Regioni devono rispettare nel definire una serie di misure relative alla conservazione della fauna nonché le misure da applicare in via sostitutiva in caso di inerzia delle Regioni stesse. Si prefigura così una peculiare fattispecie di intervento sostitutivo, oltre quelle già previste dalla legislazione vigente e dagli articoli 7 e 8 del provvedimento in esame, i cui elementi specifici sarebbero peraltro determinati da una fonte subordinata.

 

La tecnica della novellazione – agli articoli 7, comma 1, lettere a) e b) e 9, comma 1, lettere a), b), e), f) e g) – non è utilizzata conformemente a quanto previsto dalla circolare congiunta dei Presidenti di Camera e Senato e del Presidente del Consiglio del 20 aprile 2001, al punto 9), secondo cui l’unità minima di testo da sostituire con una novella dovrebbe essere il comma (o comunque un periodo o una lettera), anche nel caso in cui si modifichi una singola parola, per consentire una più agevole comprensione della modifica.

 

L’articolo 6 stabilisce che le misure di conservazione previste nel decreto-legge sostituiscono tutte quelle precedentemente adottate per le zone di protezione speciale e le zone speciali di conservazione. La relazione per l’analisi tecnico-normativa specifica che la disposizione intende riferirsi, in particolare, alla delibera 2 dicembre 1996 del Comitato per le aree naturali protette e del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in data 25 marzo 2005. Andrebbe valutata l’opportunità di procedere all’abrogazione di tali atti.

 

L’articolo 7 introduce a regime un’ulteriore specie di intervento sostitutivo in materia di deroghe al prelievo venatorio, che va ad aggiungersi a quelli già previsti dalla legge n. 131 del 2003 e, con specifico riguardo all’adempimento di obblighi comunitari, dalla legge n. 11 del 2005. Andrebbe valutata, in via generale, l’opportunità di chiarire i rapporti tra le diverse fattispecie di intervento sostitutivo. In particolare, l’intervento qui previsto sembra recare una specificazione per il settore delle deroghe al prelievo venatorio di quanto già disposto in via generale dall’articolo 8, comma 1, della legge n. 131/2003.

Collegamento con lavori legislativi in corso

Contestualmente al disegno di legge di conversione è stato presentato al Senato un disegno di legge ordinario di identico contenuto (A. S. 932) (di cui non è stato peraltro avviato l’esame).

Come specificato nella relazione per l’analisi tecnico-normativa, risultano inoltre presentati in Parlamento 4 progetti di legge (di cui peraltro non è iniziato l’esame), due dei quali apportano puntuali modifiche a singole disposizioni della legge n. 157 del 1992 (A. C. 944 e 1974) e due che intervengono in modo più ampio sulla medesima legge (A. S. 16 e 448).

Si fa presente, infine, che risultano depositati due emendamenti (11.041 e 11.040, on. Fundarò) al disegno di legge comunitaria per il 2006 (AC 1042), attualmente all’esame dell’Assemblea della Camera dei deputati, recanti modifiche alla legge n.157 del 1992 sulla caccia.

 


Schede di lettura

 


Misure di conservazione : articoli 1-6

Gli artt. 2-6 definiscono le misure di conservazione che debbono essere messe in atto nelle Zone di protezione speciale (ZPS) e nelle Zone speciali di conservazione (ZSC) destinate alla salvaguardia di specie animali e vegetali, nonché di habitat naturali o seminaturali.

In particolare, ai sensi del primo comma dell’art. 2, nelle ZPS si applicano, ad integrazione di quanto prescritto dal DPR n. 357/1997 di attuazione della direttiva 92/43/CEE nota come direttiva Habitat, le disposizioni recate dai successivi articoli 3-5.

Per le ZSC, il secondo comma attribuisce Ministro dell’ambiente il compito di individuare le misure necessarie a mantenere in “uno stato di conservazione soddisfacente” le specie e i territori tutelati; tale individuazione deve essere peraltro contestuale alla designazione della zona speciale di conservazione, poiché è richiesto che le misure siano indicate nello stesso decreto di designazione delle ZSC, adottato sulla base dell’art. 3, co. 2 del DPR n. 357, che richiede l’intesa con la regione interessata.

Le norme poste a tutela delle ZPS attengono:

·       alle misure inderogabili di conservazione (art. 3). Merita segnalare in merito che, sulla base della lettera e) delle nuove disposizioni, non sarà più consentito l’esercizio della caccia in deroga di cui all’art. 9 lettera c) della direttiva 79/409/CEE (c.d. direttiva uccelli), ovvero allo scopo di “consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità”;

·       alle ulteriori misure consistenti in taluni divieti (art. 4), che verranno meno dopo che, con il decreto del Ministro dell’ambiente di cui al successivo art. 5, verranno definiti, i requisiti minimi che le regioni dovranno rispettare. I divieti in questione riguardano la realizzazione di elettrodotti aerei e impianti a fune permanenti, di impianti di risalita e piste da sci. La realizzazione di centrali eoliche è invece sospesa fino a quando saranno adottati specifici piani di gestione delle ZPS, e in ogni caso l’opera dovrà essere conforme al parere espresso obbligatoriamente dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS);

·       alla adozione di un decreto del Ministro dell’ambiente, con il concerto di quelli delle politiche agricole e dei trasporti, e d’intesa con la conferenza Stato-regioni, entro il termine di 120 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge in esame, allo scopo di rendere omogenea sul territorio nazionale l’attuazione da parte delle regioni delle disposizioni di tutela (art. 5). Il provvedimento, oltre a definire i requisiti minimi che le regioni dovranno rispettare nel concedere l’autorizzazione alla realizzazione delle opere di cui al precedente punto, dovrà determinare le modalità perché le stesse possano regolare le altre ipotesi di caccia in deroga, di cui alle restanti lettere a) e b) dell’art. 9 della direttiva uccelli. Il decreto dovrà inoltre provvedere alla definizione di talune tipologie ambientali, sulla base dei criteri ornitologici indicati nella direttiva uccelli, ed alla conseguente determinazione di ulteriori misure di conservazione correlate con ogni specifica tipologia di habitat. Possono anche essere individuate misure conservative da attuarsi negli habitat esterni alle ZPS, se funzionali alla conservazione delle specie. Infine, il decreto dovrà estendere numero e superficie delle ZPS, allo scopo di soddisfare le richieste dell’Europa.

Con l’articolo 6 infine viene disposto che, qualora le ZPS o le ZSC ricadano all’interno delle aree protette, si debba applicare la normativa recata dal presente provvedimento qualora sia più restrittiva della legislazione di tutela delle aree protette.

 

Le aree protette

La legge 6 dicembre 1991, n. 394 (“Legge quadro sulle aree protette”) ha provveduto alla classificazione delle aree naturali protette ed ha istituito, altresì, l’Elenco ufficiale delle aree protette, nel quale vengono iscritte tutte le aree che rispondono a criteri stabiliti dalla delibera 1° dicembre 1993 del Comitato Nazionale per le Aree Naturali Protette[18].

Tale elenco, periodicamente aggiornato a cura del Ministero dell'Ambiente, è stato da ultimo rivisto con la delibera della Conferenza Stato Regioni del 24 luglio 2003[19].

Per quanto riguarda la classificazione, sulla base della deliberazione del 21/12/1993 (G.U. n. 62/1994) del Comitato per le aree protette, le aree naturali protette si distinguono allo stato attuale in:

·       parchi nazionali, costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine tali da richiedere l'intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future;

·       parchi naturali regionali e interregionali;

·       riserve naturali, che possono essere statali o regionali in base alla rilevanza degli elementi naturalistici in esse rappresentati;

·       zone umide di interesse internazionale che, per le loro caratteristiche, possono essere considerate di importanza internazionale ai sensi della convenzione di Ramsar;

·       altre aree naturali protette sono aree che non rientrano nelle precedenti classi. Si dividono in aree di gestione pubblica, istituite cioè con leggi regionali o provvedimenti equivalenti, e aree a gestione privata, istituite con provvedimenti formali pubblici o con atti contrattuali quali concessioni o forme equivalenti.

·       aree di reperimento terrestri e marine indicate dalle leggi n. 394 del 1991 e n. 979 del 1982;

 

La illustrata classificazione delle aree protette è stata integrata con la Deliberazione 2 dicembre 1996, del Comitato per le aree naturali protette (G.U. 139/1997), che ha incluso nell’elenco, sottoponendole ai vincoli previsti dalla legge n. 394/91, le seguenti tipologie:

·       zone di protezione speciale (ZPS) designate ai sensi della direttiva 79/409/Cee, costituite da territori idonei per estensione e/o localizzazione geografica alla conservazione delle specie di uccelli di cui all'allegato I della direttiva citata, concernente la conservazione degli uccelli selvatici;

·       zone speciali di conservazione (ZSC) designate dallo Stato, mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale, ai sensi della direttiva 92/43/Cee (cd. direttiva habitat). Contengono zone terrestri o acquatiche che si distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, naturali o seminaturali (habitat naturali), e che contribuiscono in modo significativo a conservare, o ripristinare, un tipo di habitat naturale o una specie della flora e della fauna selvatiche di cui alla direttiva 92/43/Cee.

All’inclusione di dette zone, ovvero della rete ecologica europea “Natura 2000”, nella classificazione delle aree protette consegue la necessità di applicare a tali siti le misure di salvaguardia ed divieti previsti dalla legge sulle aree protette; e poiché l’articolo 4 del DPR n. 357/1997, di attuazione della direttiva habitat, riserva alle regioni l’adozione di specifiche misure, tale inclusione ha di fatto alimentato una conflittualità interpretativa che ha ostacolato la realizzazione degli obiettivi posti da entrambe le direttive habitat e uccelli. Conseguentemente il Ministro dell’ambiente, con il D.M. 25 marzo 2005 (G.U. n. 155/2005), ha proceduto all’annullamento della deliberazione del 2/12/96, definendo nel contempo una specifica disciplina di tutela da applicarsi alle ZPS ed alle ZSC.

Il decreto ultimo citato è stato impugnato, essendone contestata la “illogicità” del presupposto sulla base del quale è stato adottato, ovvero della esistenza di una “conflittualità interpretativa”. Il TAR regionale per il Lazio, con le separate Ordinanze 6854/205, 6856/2005, e 6870/2005, accogliendo la richiesta dei ricorrenti, ha disposto la sospensione del provvedimento, che è stata confermata dal Consiglio di Stato, con le proprie ordinanze del 14 febbraio 2006, n. 797, 798 e 799.

 

Vanno per completezza menzionate, infine, le “zone di protezione ecologica” oltre il limite esterno del mare territoriale, che la legge n. 61/2006[20] prevede debbano essere istituite, in conformità a quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il Ministro per i beni e le attività culturali, da notificare, a cura del Ministero degli affari esteri. Nell'ambito di tali zone di protezione l'Italia potrà esercita la propria giurisdizione in materia di protezione e di preservazione dell'ambiente marino, compreso il patrimonio archeologico e storico, conformemente a quanto previsto dalla citata Convenzione delle Nazioni Unite, e della Convenzione UNESCO del 2001 sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, adottata a Parigi il 2 novembre 2001. Le disposizioni non si applicano alle attività di pesca.

 

Le zone di protezione speciale (ZPS) e le zone speciali di conservazione (ZSC).

Il degrado ambientale e le minacce che gravano su talune specie animali e vegetali hanno indotto l’Unione europea a cercare di garantire la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali e seminaturali, e della flora e della fauna selvatiche sul territorio degli Stati membri.

Con la direttiva 92/43/CEE, nota come direttiva habitat, il Consiglio dei Ministri dell’Unione europea ha attribuito ad un sistema coordinato e coerente di aree la conservazione della diversità biologica presente nel territorio dell’Unione stessa, ed in particolare la tutela di una serie di habitat, nonché di specie animali e vegetali, indicati dalla stessa direttiva habitat, e dalla dir. 79/409 direttiva uccelli. Tale rete ecologica, cui è stato attribuito il nome “natura 2000 dall’art. 3 della dir. n. 43, è costituita dalle Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e dalle Zone di Protezione Speciale (ZPS), che possono fra loro avere relazioni spaziali diverse, dalla totale sovrapposizione alla completa separazione. La realizzazione della rete avviene fondamentalmente sulla base di informazioni scientifiche, ed ha consentito una prima raccolta standardizzata delle conoscenze naturalistiche finalizzata alle conservazione della biodiversità.

Gli allegati I (tipi di habitat naturali di interesse comunitario) e II (specie animali e vegetali di interesse comunitario) della direttiva forniscono indicazioni circa i tipi di habitat e di specie la cui conservazione richiede la designazione di ZSC. Alcuni di essi sono definiti come tipi di habitat o di specie "prioritari" (che rischiano di scomparire). L'allegato IV elenca le specie animali e vegetali che richiedono una protezione rigorosa.

La designazione delle zone speciali di conservazione richiede in primo luogo che ogni Stato membro rediga un elenco di siti che ospitano habitat naturali e specie animali e vegetali selvatiche. In base a tali elenchi nazionali, e d'accordo con gli Stati membri, la Commissione adotta un elenco di siti d'importanza comunitaria (SIC) per ognuna delle sette regioni biogeografiche dell'UE (alpina, atlantica, boreale, continentale, macaronesica, mediterranea e pannonica). Entro un termine massimo di sei anni a decorrere dalla selezione di un sito come sito d'importanza comunitaria, lo Stato membro interessato designa il sito in questione come zona speciale di conservazione.

Nel caso in cui la Commissione ritenga che un sito che ospita un tipo di habitat naturale o una specie prioritaria non sia stato inserito in un elenco nazionale, la direttiva prevede l'avvio di una procedura di concertazione tra lo Stato membro interessato e la Commissione. Qualora la concertazione non porti a un risultato soddisfacente, la Commissione può proporre al Consiglio di selezionare il sito come sito di importanza comunitaria

I siti di importanza comunitaria oggi rappresentano circa l'11,6% del territorio dell'UE.

Il recepimento della direttiva n. 92 è avvenuto nel 1997 con l’adozione del DPR n. 357/1997[21], che reca una definizione di SIC e di zona di conservazione delineando nel contempo le misure conservazione da applicarsi; nella “rete natura” l’art. 6 include anche le ZPS, mentre l’art. 11 individua nel Ministero dell’ambiente l’autorità che può concedere le deroghe alle disposizioni poste a tutela delle specie, sentito, per quanto di competenza, il dicastero agricolo e l’Istituto per la fauna selvatica

L’individuazione dei siti da proporre è stata realizzata in Italia dalle singole regioni e Province autonome ed il relativo elenco è stato a suo tempo reso pubblico con l’adozione del DM 3 aprile 2000 (G.U. n. 95/2000, S.O.), mentre per l’elenco dei SIC istituiti va fatto rimando ai seguenti decreti del Ministro dell’ambiente: D.M. 25 marzo 2004 (G.U. n. 167/2004), relativamente alla regione biogeograficaalpina in Italia; D.M. 25 marzo 2005 (G. U. n. 156/05),per la regione biogeografica continentale. Infine va menzionato il D.M. 25 marzo 2005 (G.U. n. 157/05), che ha aggiornato l’elenco dei proposti SIC per la regione mediterranea, precedentemente nel provvedimento del 2000.

 

Precedentemente alla direttiva habitat era stata approvata in sede comunitaria le direttiva 78/409/CEE Concernente la conservazione degli uccelli selvatici, che si prefiggeva di assicurare la conservazione di “tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico”, e che pertanto, oltre a disciplinare tempi e modalità di esercizio della caccia, recava nell’allegato I un elenco delle specie per le quali dovevano essere previste misure speciali di conservazione, e per le quali l’articolo 4 richiedeva agli Stati membri di individuare i territori più idonei alla loro conservazione, da classificare come Zone di protezione speciale.

Le disposizioni di adeguamento interno sono state approvate con la legge n. 157/1992[22] nota come legge sulla caccia, che con comma 5 dell’art. 1 (oggetto di modifica da parte del provvedimento in esame) ha imposto alle regioni di istituire, lungo le rotte di migrazione dell'avifauna segnalate dall’INFS entro il termine di quattro mesi, zone di protezione speciale destinate prioritariamente alla conservazione delle specie incluse nell’allegato I della direttiva uccelli (sostituito con l’all. I della direttiva 97/49/CE). Le norme attribuiscono inoltre al Ministro dell'agricoltura e delle foreste d’intesa con il Ministro dell'ambiente un potere di controllo sostitutivo, nel caso che l’inerzia delle regioni e delle province autonome si protragga per un anno dopo la segnalazione da parte dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica.

Le zone di protezione speciale classificate ovvero istituite ai sensi della direttiva 79/409/CEE sono elencate nell'allegato I del decreto del Ministro dell’ambiente del 25 marzo 2005 (G.U. n. 168/2005), che ha interamente sostituito quello inizialmente approvato con il D.M. 3 aprile 2000 (GU n. 95 del 2000, S.O. n. 65), già oggetto di modifiche.

Le misure di sviluppo rurale

La politica agricola comunitaria PAC scaturita dalla riforma è ormai diretta non solo alla realizzazione della politica di sostegno dei mercati agricoli, che costituisce il primo pilastro, ma anche alla realizzazione delle misure di sviluppo rurale che costituiscono il secondo pilastro.

Le norme generali per il sostegno comunitario a favore dello sviluppo rurale, che è ora finanziato dal FEASR, fondo appositamente istituito con il Regolamento CE n. 1290/2005, sono recate dal Regolamento CE n. 1698/2005 che ha ritenuto necessario limitare la scelta degli obiettivi, ritenendo conseguentemente essenziali i seguenti quattro temi strategici, denominati assi:

·       incrementare la competitività dei settori agricolo e forestale;

·        migliorare la gestione dell'ambiente e del territorio rurale;

·       migliorare la qualità della vita in ambiente rurale e la diversificazione dell'economia rurale;

·       programma leader.

Per tali assi sono per la prima volta  fissate soglie minime di spesa, che vanno dal 5% per l’asse Leader, al 25% per la gestione del territorio e protezione ambientale; la soglia del 10 % deve invece essere rispettata sia per il miglioramento della competitività  che per l’asse 3 relativo alla qualità della vita e diversificazione economica.

Per quanto concerne l’asse 2 relativo alla gestione dell’ambiente e territorio, il sostegno previsto dall’art. 36 del reg. 1698/05 deve contribuire allo sviluppo sostenibile, incoraggiando in particolare gli agricoltori e i silvicoltori a gestire le terre secondo metodi compatibili con la necessità di salvaguardare i paesaggi e l'ambiente naturale e di proteggere e migliorare le risorse naturali. I principali elementi da prendere in considerazione comprendono la biodiversità, la gestione dei siti Natura 2000, la protezione delle acque e del suolo e l'attenuazione dei mutamenti climatici.

In merito ai siti Natura 2000, gli artt. 38 e 46 (il primo per gli agricoltori, il secondo per i silvicoltori) dispongono che siano versate annualmente indennità per ettaro di SAU, allo scopo di compensare i costi e la perdita di reddito derivanti dagli svantaggi, nelle zone interessate, connessi all'attuazione delle direttive 79/409/CEE, 92/43/CEE

Le fasi attraverso le quali si attua l’intervento strutturale, previsto per una durata settennale relativa al periodo 2007-2013, sono le seguenti:

·       il Consiglio adotta orientamenti strategici comunitari  (OSC) per l'attuazione degli assi tematici;

·       ciascuno Stato membro definisce in seguito un piano strategico nazionale (PSN), in cui indica tra l'altro le proprie priorità d'azione e quelle del Fondo, tenuto conto degli orientamenti strategici. Tali piani costituiscono strumenti di riferimento per la programmazione del Fondo. Il PSN nazionale è stato presentato dal Ministero delle politiche agricole alla Commissione europea il 28 aprile 2006;

·       i piani strategici nazionali sono attuati mediante programmi di sviluppo rurale PSR) che presentano una serie di misure raggruppate in conformità degli assi definiti nel titolo IV del regolamento. Ciascun programma sviluppa una strategia per un periodo compreso tra il 1° dicembre 2007 e il 31 gennaio 2013, che riguarda l'analisi della situazione e definisce le priorità prescelte e l'impatto previsto. I programmi devono inoltre proporre le misure da adottare per ogni asse e sono completati da un piano di finanziamento.

 


Caccia in deroga: articoli 7-9

Gli articoli da 7 a 9 recano norme concernenti l’esercizio dell’attività venatoria.

L’articolo 7novella l’articolo 19-bis della legge n.157 del 1992 sulla caccia, al fine di definire secondo criteri più puntuali e restrittivi i confini entro i quali le regioni sono legittimate a disciplinare l’esercizio delle deroghe ai divieti di caccia ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE (c.d. “caccia in deroga”). La disposizione chiarisce l’eccezionalità dei provvedimenti di deroga e ne prevede l’obbligo di motivazione specifica, limita la durata deroghe ad un anno, chiarisce che le deroghe non possono comunque riguardare specie la cui consistenza numerica sia in diminuzione (e non già in “grave” diminuzione, come previsto in precedenza) prevede che il parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) (unico organismo chiamato a pronunciarsi: non è quindi più consentita la possibilità di sostituire il parere dell’INFS con quello degli istituti riconosciuti a livello regionale) abbia carattere vincolante e, infine, richiama espressamente la normativa vigente sul potere sostitutivo d’urgenza statale attivabile in caso di inadempienza regionale.

L’articolo 8 dispone un intervento sostitutivo urgente statale nei confronti delle Regioni, prevedendo la sospensione degli effetti delle deroghe adottate dalle Regioni stesse in difformità dall’ordinamento comunitario e statale, nonché l’abrogazione e l’annullamento delle leggi e degli atti regionali difformi, una volta trascorso il termine di novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge senza che le Regioni abbiano provveduto ad adeguarvisi.

L’articolo 9 novella gli articoli 1, 18, 20 e 21 della legge n.157 del 1992 sulla caccia, al fine di introdurre misure più rigorose e puntuali per la tutela della fauna selvatica. In particolare, vengono meglio definiti le finalità generali dell’intervento statale e regionale, le modalità di istituzione e classificazione delle ZPS, i divieti di caccia (per quanto riguarda, in particolare, le specie migratrici e le fasi di nidificazione, riproduzione e dipendenza), le modalità di rilascio delle autorizzazioni per l’importazione dall’estero di fauna selvatica viva e il contenuto di determinati comportamenti vietati (la distruzione di nidi e uova, il disturbo deliberato di uccelli protetti, il trasporto per la vendita di determinate specie).

 

 

Il regime della caccia in deroga

 

Con la legge 11 febbraio 1992, n.157 è stata data attuazione nell’ordinamento interno alla direttiva 79/409/CEE, del 2 aprile 1979, sulla conservazione degli uccelli selvatici.

L’articolo 5 della direttivavieta, in linea di principio, di uccidere o di catturare tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri a cui si applica il Trattato. L'articolo 7 prevede, tuttavia, che le specie elencate nell'Allegato II possano essere oggetto di atti di caccia nel quadro della legislazione nazionale.

Tale regime limitativo della caccia può comunque essere derogato dagli Stati membri ai sensi dell'articolo 9 delladirettiva. In particolare, tale disposizioneprevede che, sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, gli Stati membri possono derogare ai divieti di caccia stabiliti dalla direttiva medesima in casi particolari, tassativamente stabiliti, e nel rispetto di specifiche condizioni, volte a garantire che la caccia avvenga entro limiti precisi e in presenza di adeguati controlli.

 

Più specificamente, l'articolo 9 prevede che, sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, gli Stati membri possono derogare ai divieti previsti negli artt. 5, 6, 7 e 8 della direttiva per le seguenti ragioni:

a) nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica (ossia nell'interesse della sicurezza aerea,  per prevenire gravi danni alle coltura, al bestiame, ai boschi, alla pesca ed alle acque, nonché per la protezione della flora e della fauna) (lettera a));

 b) ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l'allevamento connesso a tali operazioni (lettera b));

c) per consentire, in condizioni rigidamente controllate ed in modo selettivo, la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità (lettera c)).

Le deroghe devono in ogni caso riportare:

-    le specie che formano oggetto delle medesime;

-    i mezzi, gli impianti ed i metodi di cattura o di uccisione autorizzata;

-    le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono essere fatte;

-    l'autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti, e da quali persone;

-    i controlli che saranno effettuati.

 

Tale disposizione, tuttavia, non ha trovato un'applicazione dettagliata con la legge n.157 del 1992 sulla caccia, dando vita ad una lunga serie di conflitti tra lo Stato e le regioni in merito alla titolarità del potere di disciplina delle deroghe e ad un contenzioso con la Comunità europea per la mancata applicazione della norma comunitaria. Il conflitto è stato definitivamente risolto dalla Corte costituzionale (sentenza n.169 del 1999), la quale ha sancito che la direttiva comunitaria richiede, per la sua concreta attuazione nell’ordinamento interno, una legge nazionale che valuti e ponderi i vari interessi che vengono in rilievo.

A colmare il vuoto legislativo è intervenuta, pertanto, la legge n.224 del 2002, che ha introdotto l’articolo 19-bis della legge n.157 del 1992. Nel rimettere alle regioni la disciplina delle deroghe previste dall’articolo 9 della direttiva n.79/409/CEE, la legge prevede in particolare che le deroghe, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa. I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d'intesa con gli àmbiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini. Le deroghe sono applicate per periodi determinati, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), o gli istituti riconosciuti a livello regionale, e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa delibera del Consiglio dei Ministri, può annullare, dopo aver diffidato la regione interessata, i provvedimenti di deroga da questa posti in essere in violazione delle disposizioni della legge n.157 del 1992 e della direttiva n.79/409/CEE. Infine, è previsto che entro il 30 giugno di ogni anno, ciascuna regione trasmetta al Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero al Ministro per gli affari regionali ove nominato, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro per le politiche comunitarie, all'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) e alle competenti Commissioni parlamentari, una relazione sull'attuazione delle deroghe, sulla base della quale il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio redige la relazione che lo Stato è tenuto a trasmettere annualmente alla Commissione europea sull’attuazione delle deroghe.

 


Testo a fronte tra gli articoli 1, 18, 19-bis, 20 e 21 della L. 157/1992 e le modifiche proposte dall’articolo 9 del D.L. 251/2006

Legge n. 157/1992

Decreto-legge n. 251/2006:

Art. 9

Art. 1

 

1. La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale.

 

 

«1-bis. Lo Stato e le regioni si adoperano per mantenere o adeguare la popolazione della fauna selvatica a un livello corrispondente alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, tenendo conto anche delle esigenze economiche, nonché ad evitare, nell’adottare i provvedimenti di competenza, il deterioramento della situazione attuale.»

2. L'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole.

 

3. Le regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformità alla presente legge, alle convenzioni internazionali ed alle direttive comunitarie. Le regioni a statuto speciale e le province autonome provvedono in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti. Le province attuano la disciplina regionale ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera f), della legge 8 giugno 1990, n. 142.

 

4. Le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979,  85/411/CEE  della Commissione   del   25  luglio   1985   e

(segue art. 1)

 

91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i relativi allegati, concernenti la conservazione degli uccelli selvatici, sono integralmente recepite ed

attuate nei modi e nei termini previsti dalla presente legge la quale costituisce inoltre attuazione della Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, resa esecutiva con legge 24 novembre 1978, n. 812, e della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503.

 

5. Le regioni e le province autonome in attuazione delle citate direttive 79/409/CEE, 85/411/CEE e 91/244/CEE provvedono ad istituire lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, segnalate dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica di cui all'articolo 7 entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, zone di protezione finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat interni a tali zone e ad esse limitrofi, provvedono al ripristino dei biotopi distrutti e alla creazione dei biotopi. Tali attività concernono particolarmente e prioritariamente le specie di cui all'elenco allegato alla citata direttiva 79/409/CEE, come sostituito dalle citate direttive 85/411/CEE e 91/244/CEE. In caso di inerzia delle regioni e delle province autonome per un anno dopo la segnalazione da parte dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, provvedono con controllo sostitutivo, d'intesa, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste e il Ministro dell'ambiente.

 

(segue art. 1)

 

5. Le regioni e le province autonome in attuazione delle citate direttive 79/409/CEE, 85/411/CEE e 91/244/CEE individuano lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, segnalate dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica di cui all'articolo 7 entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, zone di protezione speciale finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat interni a tali zone e ad esse limitrofi, provvedono al ripristino dei biotopi distrutti e alla creazione dei biotopi. Tali attività concernono particolarmente e prioritariamente le specie di cui all'elenco allegato alla citata direttiva 79/409/CEE, come sostituito dalle citate direttive 85/411/CEE e 91/244/CEE. In caso di inerzia delle regioni e delle province autonome per un anno dopo la segnalazione da parte dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, provvedono con controllo sostitutivo, d'intesa, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste e il Ministro dell'ambiente. Le Zone di protezione speciale (ZPS) si intendono classificate, ovvero istituite, dalla data di trasmissione alla Commissione europea da parte del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare dei formulari e delle cartografie delle medesime ZPS individuate dalle regioni, ovvero dalla data di trasmissione alla Commissione europea dei formulari e delle cartografie da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, per le ZPS istituite prima della data di entrata in vigore della presente legge. I provvedimenti regionali devono riportare in maniera puntuale i confini di tali aree ed i relativi dati catastali e devono essere pubblicizzati.

6. Le regioni e le province autonome trasmettono annualmente al Ministro dell'agricoltura e delle foreste e al Ministro dell'ambiente una relazione sulle misure adottate ai sensi del comma 5 e sui loro effetti rilevabili.

 

7. Ai sensi dell'articolo 2 della legge 9 marzo 1989, n. 86, il Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie, di concerto con il Ministro dell'agricoltura e delle foreste e con il Ministro dell'ambiente, verifica, con la collaborazione delle regioni e delle province autonome e sentiti il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale di cui all'articolo 8 e l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, lo stato di conformità della presente legge e delle leggi regionali e provinciali in materia agli atti emanati dalle istituzioni delle Comunità europee volti alla conservazione della fauna selvatica.

 

 

7-bis. Il Ministro per le politiche europee, d’intesa con i Ministri interessati, trasmette alla Commissione europea tutte le informazioni a questa utili per coordinare le ricerche e i lavori riguardanti la protezione, gestione e utilizzazione della fauna selvatica, nonché quelle sull’applicazione pratica della presente legge.

Art. 18

 

1. Ai fini dell'esercizio venatorio è consentito abbattere esemplari di fauna selvatica appartenenti alle seguenti specie e per i periodi sottoindicati:

omissis

 

 

1-bis. In ogni caso deve essere rispettato il divieto di caccia nel periodo di nidificazione e durante le fasi di riproduzione e di dipendenza e, nei confronti delle specie migratrici, durante il periodo di riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione.

Art. 19-bis

 

1. Le regioni disciplinano l'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, conformandosi alle prescrizioni dell'articolo 9, ai princìpi e alle finalità degli articoli 1 e 2 della stessa direttiva ed alle disposizioni della presente legge.

1. Le regioni disciplinano l'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, conformandosi alle prescrizioni dell'articolo 9, ai princìpi e alle finalità degli articoli 1 e 2 della stessa direttiva ed alle disposizioni della presente legge.

2. Le deroghe, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, possono essere disposte solo per le finalità indicate dall'articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 79/409/CEEdel Consiglio, del 2 aprile 1979. Le deroghe devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prele-

(segue art. 19-bis)

 

vabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa, fermo restando quanto previsto

dall'articolo 27, comma 2. I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d'intesa con gli àmbiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini.

2. Le deroghe sono provvedimenti di carattere eccezionale, e comunque di durata non superiore ad un anno, che devono essere motivati specificamente in ordine all'assenza di altre soluzioni soddisfacenti e alla tipologia di deroga applicata e devono essere adottati caso per caso in base all'analisi puntuale dei presupposti e delle condizioni di fatto stabiliti dall'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979. Le deroghe devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa, fermo restando quanto previsto dall'articolo 27, comma 2. I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d'intesa con gli àmbiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini.

3. Le deroghe di cui al comma 1 sono applicate per periodi determinati, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), o gli istituti riconosciuti a livello regionale, e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione.

3. Le deroghe di cui al comma 1 sono applicate per periodi determinati, in conformità al parere obbligatorio dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in diminuzione.

4. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa delibera del Consiglio dei Ministri, può annullare, dopo aver diffidato la regione interessata, i provvedimenti di deroga da questa posti in essere in violazione delle disposizioni della presente legge e della direttiva 79/409/CEE

4. Fatto salvo il potere sostitutivo d'urgenza di cui all'articolo 8, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa diffida alla regione interessata ad adempiere entro dieci giorni, viene disposto l'annullamento dei provvedimenti di deroga posti in essere in violazione delle disposizioni della presente legge e della citata direttiva 79/409/CEE.

5. Entro il 30 giugno di ogni anno, ciascuna regione trasmette al Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero al Ministro per gli affari regionali ove nomi-

(segue art. 19-bis)

 

nato, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro per le politiche comunitarie, nonché all'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), una relazione sull'attuazione delle deroghe di cui al presente articolo; detta relazione è altresì trasmessa alle competenti Commissioni parlamentari. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio trasmette annualmente alla Commissione europea la relazione di cui all'articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 79/409/CEE.

5. Entro il 30 giugno di ogni anno, ciascuna regione trasmette al Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero al Ministro per gli affari regionali ove nominato, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro per le politiche comunitarie, nonché all'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), una relazione sull'attuazione delle deroghe di cui al presente articolo; detta relazione è altresì trasmessa alle competenti Commissioni parlamentari. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio trasmette annualmente alla Commissione europea la relazione di cui all'articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 79/409/CEE.

Art. 20

 

1. L'introduzione dall'estero di fauna selvatica viva, purché appartenente alle specie autoctone, può effettuarsi solo a scopo di ripopolamento e di miglioramento genetico.

2. I permessi d'importazione possono essere rilasciati unicamente a ditte che dispongono di adeguate strutture ed attrezzature per ogni singola specie di selvatici, al fine di avere le opportune garanzie per controlli, eventuali quarantene e relativi controlli sanitari.

3. Le autorizzazioni per le attività di cui al comma 1 sono rilasciate dal Ministro dell'agricoltura e delle foreste su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, nel rispetto delle convenzioni internazionali.

 

1. L'introduzione dall'estero di fauna selvatica viva, purché appartenente alle specie autoctone, può effettuarsi solo a scopo di ripopolamento e di miglioramento genetico.

2. I permessi d'importazione possono essere rilasciati unicamente a ditte che dispongono di adeguate strutture ed attrezzature per ogni singola specie di selvatici, al fine di avere le opportune garanzie per controlli, eventuali quarantene e relativi controlli sanitari.

3. Le autorizzazioni per le attività di cui al comma 1 sono rilasciate dal Ministro dell'agricoltura e delle foreste su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, nel rispetto delle convenzioni internazionali e previa consultazione della Commissione europea.

Art. 21

 

1. È vietato a chiunque:

Omissis

o) prendere e detenere uova, nidi e piccoli nati di mammiferi e uccelli (segue art. 21, co. 1)

appartenenti alla fauna selvatica, salvo che nei casi previsti all'articolo 4, comma 1, o nelle zone di ripopolamento e cattu-

ra, nei centri di riproduzione di fauna selvatica e nelle oasi di protezione per sottrarli a sicura distruzione o morte, purché, in tale ultimo caso, se ne dia pronto avviso nelle ventiquattro ore successive alla competente amministrazione provinciale;

 

1. È vietato a chiunque:

Omissis

o) prendere e detenere uova, nidi e piccoli nati di mammiferi e uccelli appartenenti alla fauna selvatica, salvo che nei casi previsti all'articolo 4, comma 1, o nelle zone di ripopolamento e cattura, nei centri di riproduzione di fauna selvatica e nelle oasi di protezione per sottrarli a sicura distruzione o morte, purché, in tale ultimo caso, se ne dia pronto avviso nelle ventiquattro ore successive alla competente amministrazione provinciale; distruggere o danneggiare deliberatamente nidi e uova, nonché disturbare deliberatamente le specie protette di uccelli;

bb) vendere, detenere per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, appartenenti alla fauna selvatica, che non appartengano alle seguenti specie: germano reale (anas platyrhynchos); pernice rossa (alectoris rufa); pernice di Sardegna (alectoris barbara); starna (perdix perdix); fagiano (phasianus colchicus); colombaccio (columba palumbus);

 

bb) vendere, detenere per vendere, trasportare per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, appartenenti alla fauna selvatica, che non appartengano alle seguenti specie: germano reale (anas platyrhynchos); pernice rossa (alectoris rufa); pernice di Sardegna (alectoris barbara); starna (perdix perdix); fagiano (phasianus colchicus); colombaccio (columba palumbus);

 

 


Progetto di legge

 


CAMERA DEI DEPUTATI

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N. 1610

¾

 

DISEGNO DI LEGGE

presentato dal presidente del consiglio dei ministri

(PRODI)

dal ministro delle politiche agricole alimentari e forestali

(DE CASTRO)

dal ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare

(PECORARO SCANIO)

e dal ministro per le politiche europee

(BONINO)

di concerto con il ministro per gli affari regionali e le autonomie locali

(LANZILLOTTA)

e con il ministro dei trasporti

(BIANCHI)

    

Conversione in legge del decreto-legge 16 agosto 2006, n. 251, recante disposizioni urgenti per assicurare l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla direttiva 79/409/CEE in materia di conservazione della fauna selvatica

             

Presentato il 1o settembre 2006

             

 


      Onorevoli Deputati! - La Repubblica italiana ha provveduto a recepire la direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, con la legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio.

    Tuttavia, la Commissione europea ha più volte manifestato la propria insoddisfazione per come è stata recepita la suddetta direttiva, specie per quanto riguarda la disciplina del regime delle deroghe ai divieti posti dalla direttiva.

    A fronte di una specifica procedura di infrazione (2001/2211) avviata per il mancato recepimento dell'articolo 9 della direttiva in questione, lo Stato italiano ha approvato la legge 3 ottobre 2002, n. 221, che ha aggiunto un articolo (19-bis) alla citata legge n. 157 del 1992, per ottemperare a quanto richiesto dagli organismi comunitari.

    La situazione, peraltro, non è sostanzialmente cambiata, perché nell'attuazione di tale norma molte regioni non si sono puntualmente attenute alle prescrizioni della stessa, modellate sul testo comunitario.

    Ne è derivato che, dopo alcune contestazioni riguardanti specifiche leggi regionali (Veneto, Sardegna: procedure n. 2004/4926 e 2004/4242), la Commissione europea ha deciso di passare risolutamente all'attacco, denunciando «la diffusa e generalizzata cattiva applicazione dell'articolo 9 della direttiva», anche «a causa del non chiaro e non efficace quadro normativo di riferimento (la citata legge n. 221 del 2002, in combinazione con le varie leggi regionali)» e affermando «che la pratica di adottare deroghe non conformi ai requisiti e alle condizioni di cui all'articolo 9 della direttiva è una pratica di durata più che pluriennale» specie «da parte dell'autorità regionali responsabili dell'applicazione delle deroghe».

    Secondo la Commissione europea questo quadro negativo è aggravato dal sistema di controllo previsto dal citato articolo 19-bis, che consta di numerosi passaggi decisionali cosicché «l'annullamento interviene di regola quando la deroga ha esaurito i suoi effetti e, quindi, quando ormai non ha più alcun effetto utile». Ne consegue che tale sistema deve essere considerato «inefficace».

    Sulla base di queste considerazioni generali e di numerose altre più specifiche, la Commissione europea ha quindi avviato due nuove procedure di infrazione (2006/2131 e 2006/4043, questa riferita alla Liguria) nei confronti della Repubblica italiana per inosservanza degli obblighi derivanti dalla citata direttiva 79/409/CEE, pervenute allo stadio del parere motivato in data 28 giugno 2006.

    In pari data, la Commissione europea ha deliberato la proposizione dei ricorsi alla Corte di giustizia delle Comunità europee per contrasto della normativa delle regioni Veneto e Sardegna con la direttiva 79/409/CEE.

    Poiché le contestazioni della Commissione hanno un serio fondamento, non rimane che adoperarsi su un duplice fronte, al fine di evitare una condanna certa da parte della Corte di giustizia.

    Da una parte, occorre rafforzare il dispositivo della citata legge n. 221 del 2002, in tale direzione modificando l'articolo 19-bis, dall'altra agire anche in via sostitutiva sulle difformi leggi e delibere regionali, al fine di risolvere una volta per tutte il pluriennale contenzioso con la Commissione europea.

    Il tutto nel termine fissato di due mesi, che è funzionale anche ad assicurare la regolare apertura e preapertura della prossima stagione venatoria, largamente investita dall'applicazione delle deroghe in questione.

    Sotto questo aspetto, è anche necessario provvedere con urgenza ad assicurare un adeguato regime di tutela delle Zone di protezione speciale (ZPS) di cui alla medesima direttiva, che si sono venute a trovare in una situazione a dir poco ambigua.

    Infatti, la precedente delibera del Comitato per le aree naturali e protette del 2 dicembre 1996 è stata annullata dal decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio in data 25 marzo 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 155 del 6 luglio 2005, che peraltro è stato sospeso in sede giurisdizionale (ordinanze n. 797/06, 798/06 e 799/06 del 14 febbraio 2006 del Consiglio di Stato, sezione VI).

    A questa situazione di incertezza giuridica circa il regime definitivo di tali zone, si aggiunge che queste sono entrate anche nel mirino della Commissione europea che, nel parere motivato sopra menzionato, contesta ulteriori inadempienze, in quanto, nel prevedere misure speciali di conservazione, non si sarebbe tenuto conto dei criteri ornitologici individuati dalla direttiva (ma non definiti a livello nazionale).

    Non solo, ma l'Italia ha già ricevuto una condanna da parte della Corte di giustizia il 20 marzo 2003, nella causa C-378/01, per inadempimento nell'attuazione della direttiva 79/409/CEE - Zone di protezione speciale (ZPS) - Conservazione degli uccelli selvatici.

    La Corte, nella predetta causa, ha infatti statuito che: «La Repubblica italiana, non avendo classificato in misura sufficiente come Zone di protezione speciale i territori più idonei, per numero e per superficie, alla conservazione delle specie di cui all'allegato I della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e successive modifiche, e delle altre specie migratrici che ritornano regolarmente in Italia, e non avendo comunicato alla Commissione tutte le informazioni opportune in merito alla maggior parte delle dette zone da essa classificate, è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'articolo 4, numeri 1 e 3, della predetta direttiva».

    Alla straordinaria necessità ed urgenza di superare la suddetta procedura di infrazione e di consentire una regolare apertura della stagione venatoria, ormai alle porte, si aggiunge anche l'imminente rischio di pesanti conseguenze finanziarie nel contesto dello sviluppo rurale e della Politica agricola comune (PAC).

    Infatti, sul fronte dello sviluppo rurale, la procedura di infrazione in questione, intaccando direttamente l'obiettivo della tutela della biodiversità che rappresenta uno dei temi strategici della nuova programmazione 2007-2013 definita dal regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio, del 20 settembre 2005, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, costituisce un vincolo oggettivo all'approvazione dei Programmi di sviluppo rurale (PSR) delle regioni e delle province autonome da parte della Commissione europea stessa, la quale ha dichiarato la propria indisponibilità ad avviare il negoziato a carico dei futuri programmi, in mancanza di un puntuale adempimento alla procedura in parola. Si ricorda che i PSR dovrebbero essere vigenti a partire dal 1o gennaio 2007. Il blocco nell'approvazione dei nuovi PSR regionali comporterebbe gravissimi danni per tutto il comparto agricolo nazionale, bloccando circa 8,3 miliardi di euro di risorse comunitarie a valere sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) per i prossimi sette anni. Tenuto conto dei tempi molto ridotti per concludere il negoziato sui PSR con la Commissione europea, la definizione della questione relativa al superamento dell'infrazione in questione appare di estrema urgenza.

    Contemporaneamente, sul fronte della PAC, la problematica connessa alla mancata applicazione della Rete natura 2000, di cui fa parte la direttiva in parola, ha generato l'avvio di una procedura di penalizzazione finanziaria (indagine n. AA/2005/44) anche a carico del cosiddetto regime di condizionalità della PAC, introdotto con la riforma del 2003.

    Ove la procedura di infrazione non dovesse essere puntualmente e velocemente superata, la penalizzazione finanziaria per il Paese ammonterebbe a circa l'1 per cento del montante complessivo degli aiuti diretti erogati a carico del primo pilastro della PAC.

    Al riguardo, va evidenziato che, a fronte di inadempienze in capo alle regioni e province autonome, l'onere delle correzioni finanziarie ricadrebbe interamente a carico del bilancio dello Stato, non essendovi una norma che corresponsabilizza i diversi livelli istituzionali.

    Per le suesposte ragioni, si è predisposto il presente decreto, finalizzato all'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa e agli obblighi comunitari (articolo 1).

    L'articolo 2 definisce le misure di conservazione che si applicano alle ZPS e alle zone speciali di conservazione (ZSC).

    Con l'articolo 3, si dettano le misure di conservazione applicabili inderogabilmente nelle ZPS e, con l'articolo 4, quelle soggette a regolazione da parte delle regioni.

    L'articolo 5 demanda a un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, la individuazione delle specifiche tipologie ambientali di riferimento, sulla base dei criteri ornitologici indicati nella citata direttiva 79/409/CEE e delle esigenze ecologiche delle specie faunistiche presenti, con ciò accogliendo il rilievo contenuto nel citato parere motivato.

    Con il medesimo decreto si definiscono i requisiti minimi di tutela ambientale per assicurare coerenza ed uniformità - nella ricorrenza delle medesime situazioni di fatto - delle altre misure di conservazione di competenza regionale, applicabili nelle ZPS, tenendo conto dei criteri ornitologici, riferiti anche agli habitat esterni funzionali a dette zone (con ciò rispondendo ai rilievi del parere motivato) e prevedendo anche l'estensione di dette zone (per ottemperare alla citata sentenza della Corte di giustizia del 20 marzo 2003).

    L'articolo 6 prevede che tali misure si applicano, se più restrittive, anche alle zone in questione che ricadono all'interno di aree naturali protette o di aree marine protette; altrimenti si applicano le misure esistenti in dette aree.

    Inoltre, si prevede che le misure previste nel presente decreto sostituiscono tutte quelle precedentemente adottate (in particolare, la delibera 2 dicembre 1996 del Comitato per le aree naturali protette ed il citato decreto del Ministro dell'ambiente 25 marzo 2005).

    L'articolo 7 è diretto a rafforzare l'attuale articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157, per venire incontro alle contestazioni del parere motivato che ha rilevato l'uso, ritenuto non corretto, di adottare deroghe con leggi-provvedimento non motivate o con leggi-quadro, nelle quali già si autorizzano deroghe specifiche, il tutto in contrasto con il carattere che deve avere la deroga, di provvedimento puntuale, a carattere eccezionale, mirato sulla specifica situazione di fatto, con espresso riferimento alle tipologie previste dall'articolo 9 della citata direttiva 79/409/CEE e adottato di volta in volta.

    Si stabilisce, pertanto, il carattere eccezionale e puntuale del provvedimento e la necessità della sua specifica motivazione. Si aggiunge l'obbligo di attenersi al parere obbligatorio dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) e si richiama espressamente la possibilità per il Governo di ricorrere al potere sostitutivo di urgenza di cui all'articolo 8, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in caso di violazione da parte delle regioni, come può avvenire nell'imminenza dell'apertura della stagione venatoria, con effetti irreversibili per la tutela delle specie protette di avifauna.

    L'articolo 8 prevede le procedure per addivenire all'adeguamento della normativa regionale a quella statale di recepimento delle direttive comunitarie e consentire una corretta apertura della stagione venatoria.

    Al riguardo, si premette che secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale le disposizioni della legge 11 febbraio 1992, n. 157, rivolte «ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, corrispondono, sotto questo aspetto, all'esigenza di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, il cui soddisfacimento l'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato, in particolare mediante la predisposizione di standard minimi di tutela della fauna» (sentenze n. 311 del 15 ottobre 2003, n. 391 e n. 393 del 21 ottobre 2005, n. 313 del 27 luglio 2006), anche con riferimento alle regioni e province ad autonomia speciale (sentenze n. 536 del 20 dicembre 2002 e n. 226 del 4 luglio 2003).

    Conseguentemente, lo Stato è legittimato a dettare con legge le disposizioni necessarie a tutelare la fauna selvatica, in attuazione della normativa comunitaria, determinando l'obbligo per le regioni di adeguare corrispondentemente il proprio ordinamento (vedi articolo 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62).

    Nella specie, a fronte dell'inadempimento delle regioni, quale denunciato dalla Commissione europea, anche con la precisa individuazione delle leggi e dei provvedimenti regionali che contravvengono alla citata direttiva 79/409/CEE, è necessario procedere ad un intervento sostitutivo del Governo, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione e dell'articolo 8, comma 4, della citata legge n. 131 del 2003.

    Tale intervento sostitutivo ha carattere di urgenza dovendo ottemperare ai pareri motivati nel termine fissato e non essendo procrastinabile senza porre a repentaglio la tutela dell'avifauna, stante la prossima apertura della stagione venatoria, e senza ledere la tutela dell'unità economica della Repubblica, attesa la posizione assunta dalla Commissione europea sulla normativa regionale interessata dal presente decreto, in ordine alla non approvazione dei programmi di sviluppo rurale. Peraltro si sottolinea come la politica di sviluppo rurale (regolamento CE n. 1698/2005 del Consiglio, del 20 settembre 2005) sia a pieno titolo ricompresa nelle politiche comunitarie di coesione sociale ed economica e costituisca un pilastro della politica agricola comune.

    A tale fine, la norma prevede che le regioni, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, adeguino il proprio ordinamento alle disposizioni dell'articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157, come modificato dal presente provvedimento, abrogando o modificando le proprie leggi regionali, le delibere e gli atti applicativi e i calendari venatori nelle parti difformi dalle suddette disposizioni. Decorso inutilmente il termine suindicato, tali leggi ed atti regionali si intendono abrogati e annullati. Nelle more, per consentire la regolare apertura della stagione venatoria ed al fine di evitare la compromissione degli interessi protetti dalla normativa comunitaria, sono sospesi gli effetti dei provvedimenti regionali di deroga difformi.

    L'intervento, così configurato, si appalesa quindi proporzionato alle finalità perseguite.

    Naturalmente, ai sensi dell'articolo 8, comma 4, della citata legge n. 131 del 2003, il presente decreto sarà comunicato alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che ne potrà chiedere l'eventuale riesame.

    L'utilizzazione, nella specie, del potere sostitutivo urgente appare pertanto una soluzione legittima e necessitata dalla situazione in atto ed è stato anche sollecitato in sede parlamentare (si vedano l'interpellanza urgente 2-00069 dell'onorevole Zanella e la risposta del Governo nella seduta dell'Assemblea della Camera dei deputati del 27 luglio 2006, nonché l'interrogazione 4-00698 degli onorevoli Mellano ed altri).

    L'articolo 9 apporta ulteriori modifiche alla citata legge n. 157 del 1992, nei limiti strettamente necessari per ottemperare al parere motivato 2006/2131 e chiudere così la procedura di infrazione.

    L'articolo 10, infine, reca la clausola di invarianza della spesa.

    Il presente decreto non comporta maggiori oneri né minori entrate per il bilancio pubblico e, pertanto, non si redige la relazione tecnica.

 


 

 

ANALISI DI IMPATTO DELLA REGOLAMENTAZIONE (AIR)

 

A)  Ambito dell'intervento con particolare riguardo all'individuazione delle amministrazioni, dei soggetti destinatari e dei soggetti coinvolti.

 

        Il presente decreto interviene per superare, nel termine fissato di due mesi, le procedure di infrazione (n. 2006/2131 e 2006/4043) promosse dalla Commissione europea con parere motivato del 28 giugno 2006 per incompleto e insufficiente recepimento e attuazione della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, avvenuti in ambito nazionale con legge 11 febbraio 1992, n. 157, successivamente modificata con legge 3 ottobre 2002, n. 221. Il provvedimento contempla anche l'applicazione di misure urgenti di conservazione nelle Zone di protezione speciale (ZPS), nonché l'intervento sostitutivo urgente del Governo sulle difformi leggi e delibere regionali in materia, al fine di risolvere una volta per tutte il pluriennale contenzioso con la Commissione europea, ex articolo 120 della Costituzione.

 

B)  Esigenze sociali, economiche e giuridiche prospettate dalle amministrazioni e dai destinatari ai fini di un intervento normativo.

 

        Le esigenze che giustificano il presente intervento normativo risiedono nella ormai indifferibile necessità di risolvere il pluriennale contenzioso con la Comunità europea che ha, da ultimo, rilevato l'uso, ritenuto non corretto, da parte delle regioni di adottare deroghe con leggi-provvedimento non motivate o con leggi-quadro, nelle quali già si autorizzano deroghe specifiche, il tutto in contrasto con il carattere che deve avere la deroga, di provvedimento puntuale, a carattere eccezionale, mirato sulla specifica situazione di fatto, con espresso riferimento alle tipologie previste dall'articolo 9 della direttiva e adottato di volta in volta. Ciò al fine di assicurare la regolare apertura della prossima stagione venatoria, largamente investita dall'applicazione delle deroghe in questione, di evitare la non approvazione da parte della Commissione stessa dei Programmi di sviluppo rurale, che comporterebbe gravissimi danni per tutto il comparto agricolo nazionale, di scongiurare anche l'imminente rischio di pesanti conseguenze finanziarie nel contesto della Politica agricola comune (PAC).

 

C) Obiettivi generali e specifici, immediati e di medio/lungo periodo.

 

        L'obiettivo generale del provvedimento è quello di adeguare l'ordinamento nazionale alla direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, recepita con la legge 11 febbraio 1992, n. 157, successivamente modificata con la legge 3 ottobre 2002, n. 221. Da una parte, occorre rafforzare il dispositivo della legge n. 221 del 2002, modificando l'articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992, dall'altra agire anche in via sostitutiva sulle difformi leggi delle autorità regionali responsabili dell'applicazione delle deroghe. Nel contempo, esso mira a garantire misure specifiche di conservazione nelle Zone di protezione speciale (ZPS).

 

D) Strumento tecnico-normativo più appropriato.

 

        Il decreto-legge è lo strumento tecnico-normativo più appropriato attesa la necessità di assicurare la regolare apertura della prossima stagione venatoria e di evitare la non approvazione da parte della Commissione europea dei Programmi di sviluppo rurale, nonché di scongiurare anche l'imminente rischio di pesanti conseguenze finanziarie nel contesto della PAC.

 


 

 

ANALISI TECNICO-NORMATIVA

 

1. Aspetti tecnico-normativi in senso stretto.

 

A) Necessità dell'intervento normativo.

 

        La Repubblica italiana ha provveduto a recepire la direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, con la legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. Tuttavia, la Commissione europea ha più volte manifestato la propria insoddisfazione per come è stata recepita la suddetta direttiva, specie per quanto riguarda la disciplina del regime delle deroghe ai divieti posti dalla direttiva. Ne è derivata l'attivazione di ben quattro procedure di infrazione (n. 2004/4926, 2004/4242, 2006/4043 e 2006/2131). Poiché le contestazioni della Commissione hanno un serio fondamento, è necessario adoperarsi su un duplice fronte, al fine di evitare una condanna certa da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee. Da una parte, occorre rafforzare il dispositivo della legge 3 ottobre 2002, n. 221, modificando l'articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992, dall'altra agire anche in via sostitutiva sulle difformi leggi delle autorità regionali responsabili dell'applicazione delle deroghe. Inoltre, sotto questo aspetto, è anche necessario provvedere con urgenza ad assicurare un adeguato regime di tutela delle Zone di protezione speciale (ZPS), entrate anch'esse nel mirino della Commissione che contesta ulteriori inadempienze in quanto, nel prevedere misure speciali di conservazione, non si sarebbe tenuto conto dei criteri ornitologici individuati dalla direttiva (ma non definiti a livello nazionale). La straordinaria necessità ed urgenza di superare la suddetta procedura di infrazione muove, oltre che dall'esigenza di scongiurare la condanna dell'Italia, anche dall'imminente rischio di pesanti conseguenze finanziarie nel contesto dello sviluppo rurale e della Politica agricola comune (PAC). Per le suesposte ragioni, si è predisposto il presente decreto, finalizzato all'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa e agli obblighi comunitari. Con l'articolo 2, si prevedono le misure di conservazione per le ZPS e le Zone speciali di conservazione (ZSC). Con l'articolo 3 si dettano le misure applicabili inderogabilmente nelle ZPS e con l'articolo 4 quelle soggette a regolazione da parte delle regioni. L'articolo 5 demanda ad un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, la individuazione delle specifiche tipologie ambientali di riferimento, sulla base dei criteri ornitologici indicati nella citata direttiva 79/409/CEE e delle esigenze ecologiche delle specie faunistiche presenti. L'articolo 6 prevede che tali misure si applicano, se più restrittive, anche alle zone in questione che ricadono all'interno di aree naturali protette o di aree marine protette; altrimenti si applicano le misure esistenti in dette aree. L'articolo 7 è diretto a rafforzare l'attuale articolo 19-bis della citata legge n. 157 del 1992. L'articolo 8 prevede le procedure per addivenire all'adeguamento della normativa regionale a quella statale di recepimento delle direttive comunitarie e consentire una corretta apertura della stagione venatoria. L'articolo 9 apporta ulteriori modifiche alla legge n. 157 del 1992, necessarie per ottemperare al parere motivato citato e chiudere così la procedura di infrazione. L'articolo 10, infine, reca la clausola di invarianza della spesa.

 

B)  Analisi del quadro normativo e dell'impatto delle norme proposte sulla legislazione vigente.

 

        Il presente provvedimento modifica la legge 11 febbraio 1992, n. 157, al fine di adeguarla all'ordinamento comunitario (direttiva 79/409/CEE), intervenendo sugli articoli 1, 18, 19-bis, 20 e 21.

 

C) Analisi della compatibilità con l'ordinamento comunitario.

 

        Il provvedimento nasce proprio dall'esigenza di superare le procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea per l'incompleto ed insufficiente recepimento della direttiva 79/409/CEE. A fronte di una specifica procedura di infrazione (2001/2211) avviata per il mancato recepimento dell'articolo 9 della direttiva in questione, lo Stato italiano ha approvato la legge 3 ottobre 2002, n. 221, che ha aggiunto un articolo (19-bis) alla legge n. 157 del 1992, per ottemperare a quanto richiesto dagli organismi comunitari. La situazione, peraltro, non è sostanzialmente cambiata perché nell'attuazione di tale norma, molte regioni non si sono puntualmente attenute alle prescrizioni della stessa, modellate sul testo comunitario. Ne è derivato che, dopo alcune contestazioni riguardanti specifiche leggi regionali (Veneto, Sardegna e Liguria), la Commissione europea ha deciso di denunciare «la diffusa e generalizzata cattiva applicazione dell'articolo 9 della direttiva», anche «a causa del non chiaro e non efficace quadro normativo di riferimento (la legge n. 22 del 2002, in combinazione con le varie leggi regionali)» affermando «che la pratica di adottare deroghe non conformi ai requisiti e alle condizioni di cui all'articolo 9 è una pratica di durata più che pluriennale» specie «da parte dell'autorità regionali responsabili dell'applicazione delle deroghe». Secondo la Commissione europea questo quadro negativo è aggravato dal sistema di controllo previsto dall'articolo 19-bis che consta di numerosi passaggi decisionali cosicché «l'annullamento interviene di regola quando la deroga ha esaurito i suoi effetti e, quindi, quando ormai non ha più alcun effetto utile». Ne consegue che tale sistema deve essere considerato «inefficace» (vedi parere motivato 28 giugno 2006, in procedura n. 2006/2131).

 

D)  Analisi della compatibilità con le competenze costituzionali delle regioni ordinarie e a statuto speciale.

 

        Il provvedimento, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione e dell'articolo 8, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, prevede l'intervento sostitutivo urgente del Governo sulle difformi leggi regionali in materia, al fine di risolvere il pluriennale contenzioso con la Commissione europea. Prevede altresì, nelle more, la sospensione degli effetti dei provvedimenti regionali di deroga difformi dalla citata direttiva 79/409/CEE.

 

2. Elementi di drafting e linguaggio normativo.

 

A) Individuazione delle nuove definizioni normative introdotte dal testo, della loro necessità, della coerenza con quelle già in uso.

 

        Non sono introdotte nuove definizioni normative nel testo.

 

B) Verifica della correttezza dei riferimenti normativi contenuti nel progetto, con particolare riguardo alle successive modificazioni ed integrazioni subite dai medesimi.

 

        I riferimenti operati sono corretti.

 

C) Ricorso alla tecnica della novella legislativa per introdurre modificazioni ed integrazioni a disposizioni vigenti.

 

        Si è fatto ricorso alla tecnica della novella legislativa per apportare modifiche ed integrazioni ad alcuni articoli (1, 18, 19-bis, 20 e 21) della legge 11 febbraio 1992, n. 157.

 

D)  Individuazione di effetti abrogativi impliciti di disposizioni dell'atto normativo e loro traduzione in norme abrogative espresse del testo normativo.

 

        Non sono previsti effetti abrogativi impliciti. Peraltro, si prevede che le misure precedentemente adottate sono sostituite dal presente provvedimento. Si tratta della delibera 2 dicembre 1996 del Comitato per le aree naturali protette e del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del 25 marzo 2005.

 

3. Ulteriori elementi.

 

A)  Verifica dell'esistenza di progetti di legge vertenti su materia analoga all'esame del Parlamento.

 

        Allo stato, risultano presentati in Parlamento i seguenti progetti di legge nel settore oggetto della disciplina in esame: atti Senato n. 16 e 448 e atti Camera n. 944 e 1074.

 

B) Indicazione delle linee prevalenti della giurisprudenza ovvero della prudenza di giudizi di costituzionalità sul medesimo o analogo oggetto.

 

        Per quanto concerne la giurisprudenza costituzionale, si evidenzia che secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale le disposizioni della legge n. 157 del 1992 rivolte «ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, corrispondono, sotto questo aspetto, all'esigenza di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, il cui soddisfacimento l'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato, in particolare mediante la predisposizione di standard minimi di tutela della fauna» (sentenze n. 311 del 15 ottobre 2003, n. 391 e n. 393 del 21 ottobre 2005, n. 313 del 27 luglio 2006), anche con riferimento alle regioni e provincie ad autonomia speciale (sentenze n. 536 del 20 dicembre 2002 e n. 226 del 4 luglio 2003). Conseguentemente, lo Stato è legittimato a dettare con legge le disposizioni necessarie a tutelare la fauna selvatica, in attuazione della normativa comunitaria, determinando l'obbligo per le regioni di adeguare corrispondentemente il proprio ordinamento. Nella specie, a fronte delle violazioni compiute dalle regioni, come denunciate dalla Commissione europea, anche con la precisa individuazione delle leggi e dei provvedimenti regionali che contravvengono alla direttiva 79/409/CEE, è stato ritenuto necessario procedere ad un intervento sostitutivo del Governo, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione e dell'articolo 8, comma 4, della citata legge n. 131 del 2003. Tale intervento sostitutivo di urgenza non è, infatti, procrastinabile senza porre a repentaglio la tutela dell'avifauna, stante la prossima apertura della stagione venatoria e l'unità economica della Repubblica, attesa la mancata approvazione dei programmi di sviluppo rurale regionale, in pendenza della procedura di infrazione.

 


Allegato

(Previsto dall'articolo 17, comma 30,

della legge 15 maggio 1997, n. 127)

 

TESTO INTEGRALE DELLE NORME ESPRESSAMENTE MODIFICATE O ABROGATE DAL DECRETO-LEGGE

 

Legge 11 febbraio 1992, n. 157

 

Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio.

 

        Art. 1. (Fauna selvatica). - 1. La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale.

        2. L'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole.

        3. Le regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformità alla presente legge, alle convenzioni internazionali ed alle direttive comunitarie. Le regioni a statuto speciale e le province autonome provvedono in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti. Le province attuano la disciplina regionale ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera f), della legge 8 giugno 1990, n. 142.

        4. Le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i relativi allegati, concernenti la conservazione degli uccelli selvatici, sono integralmente recepite ed attuate nei modi e nei termini previsti dalla presente legge la quale costituisce inoltre attuazione della Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, resa esecutiva con legge 24 novembre 1978, n. 812, e della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503.

        5. Le regioni e le province autonome in attuazione delle citate direttive 79/409/CEE, 85/411/CEE e 91/244/CEE provvedono ad istituire lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, segnalate dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica di cui all'articolo 7 entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, zone di protezione finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat interni a tali zone e ad esse limitrofi, provvedono al ripristino dei biotopi distrutti e alla creazione dei biotopi. Tali attività concernono particolarmente e prioritariamente le specie di cui all'elenco allegato alla citata direttiva 79/409/CEE, come sostituito dalle citate direttive 85/411/CEE e 91/244/CEE. In caso di inerzia delle regioni e delle province autonome per un anno dopo la segnalazione da parte dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, provvedono con controllo sostitutivo, d'intesa, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste e il Ministro dell'ambiente.

        6. Le regioni e le province autonome trasmettono annualmente al Ministro dell'agricoltura e delle foreste e al Ministro dell'ambiente una relazione sulle misure adottate ai sensi del comma 5 e sui loro effetti rilevabili.

        7. Ai sensi dell'articolo 2 della legge 9 marzo 1989, n. 86, il Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie, di concerto con il Ministro dell'agricoltura e delle foreste e con il Ministro dell'ambiente, verifica, con la collaborazione delle regioni e delle province autonome e sentiti il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale di cui all'articolo 8 e l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, lo stato di conformità della presente legge e delle leggi regionali e provinciali in materia agli atti emanati dalle istituzioni delle Comunità europee volti alla conservazione della fauna selvatica.

 

...  Omissis  ...

 

        Art. 18. (Specie cacciabili e periodi di attività venatoria). - 1. Ai fini dell'esercizio venatorio è consentito abbattere esemplari di fauna selvatica appartenenti alle seguenti specie e per i periodi sottoindicati:

 

            a) specie cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre: quaglia (Coturnix coturnix); tortora (Streptopeia turtur); merlo (Turdus merula); allodola (Alauda arvensis); starna (Perdix perdix); pernice rossa (Alectoris rufa); pernice sarda (Alectoris barbara); lepre comune (Lepus europaeus); lepre sarda (Lepus capensis); coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus); minilepre (Silvilagus floridamus);

 

            b) specie cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio: cesena (Turdus pilaris); tordo bottaccio (Turdus philomelos); tordo sassello (Turdus iliacus); fagiano (Phasianus colchicus); germano reale (Anas platyrhynchos); folaga (Fulica atra); gallinella d'acqua (Gallinula chloropus); alzavola (Anas crecca); canapiglia (Anas strepera); porciglione (Rallus aquaticus); fischione (Anas penelope); codone (Anas acuta); marzaiola (Anas querquedula); mestolone (Anas clypeata); moriglione (Aythya ferina); moretta (Aythya fuligula); beccaccino (Gallinago gallinago); colombaccio (Columba palumbus); frullino (Lymnocryptes minimus); combattente (Philomachus pugnax); beccaccia (Scolopax rusticola); cornacchia nera (Corvus corone); pavoncella (Vanellus vanellus); cornacchia grigia (Corvus corone cornix); ghiandaia (Garrulus glandarius); gazza (Pica pica); volpe (Vulpes vulpes);

 

            c) specie cacciabili dal 1o ottobre al 30 novembre: pernice bianca (Lagopus mutus); fagiano di monte (Tetrao tetrix); coturnice (Alectoris graeca); camoscio alpino (Rupicapra rupicapra); capriolo (Capreolus capreolus); cervo (Cervus elaphus); daino (Dama dama); muflone (Ovis musimon); con esclusione della popolazione sarda; lepre bianca (Lepus timidus);

 

            d) specie cacciabili dal 1o ottobre al 31 dicembre o dal 1o novembre al 31 gennaio: cinghiale (Sus scrofa);

 

            e) specie cacciabili dal 15 ottobre al 30 novembre limitatamente alla popolazione di Sicilia: Lepre italica (Lepus corsicanus).

 

        2. I termini di cui al comma 1 possono essere modificati per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali. Le regioni autorizzano le modifiche previo parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. I termini devono essere comunque contenuti tra il 1o settembre ed il 31 gennaio dell'anno nel rispetto dell'arco temporale massimo indicato al comma 1. L'autorizzazione regionale è condizionata alla preventiva predisposizione di adeguati piani faunistico-venatori. La stessa disciplina si applica anche per la caccia di selezione degli ungulati, sulla base di piani di abbattimento selettivi approvati dalle regioni; la caccia di selezione agli ungulati può essere autorizzata a far tempo dal 1o agosto nel rispetto dell'arco temporale di cui al comma 1.

        3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'agricoltura e delle foreste, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, vengono recepiti i nuovi elenchi delle specie di cui al comma 1, entro sessanta giorni dall'avvenuta approvazione comunitaria o dall'entrata in vigore delle convenzioni internazionali. Il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'agricoltura e delle foreste, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, dispone variazioni dell'elenco delle specie cacciabili in conformità alle vigenti direttive comunitarie e alle convenzioni internazionali sottoscritte, tenendo conto della consistenza delle singole specie sul territorio.

        4. Le regioni, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, pubblicano, entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all'intera annata venatoria, nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e con l'indicazione del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attività venatoria.

        5. Il numero delle giornate di caccia settimanali non può essere superiore a tre. Le regioni possono consentirne la libera scelta al cacciatore, escludendo i giorni di martedì e venerdì, nei quali l'esercizio dell'attività venatoria è in ogni caso sospeso.

        6. Fermo restando il silenzio venatorio nei giorni di martedì e venerdì, le regioni, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica e tenuto conto delle consuetudini locali, possono, anche in deroga al comma 5, regolamentare diversamente l'esercizio venatorio da appostamento alla fauna selvatica migratoria nei periodi intercorrenti fra il 1o ottobre e il 30 novembre.

        7. La caccia è consentita da un'ora prima del sorgere del sole fino al tramonto. La caccia di selezione agli ungulati è consentita fino ad un'ora dopo il tramonto.

        8. Non è consentita la posta alla beccaccia né la caccia da appostamento, sotto qualsiasi forma, al beccaccino.

 

...  Omissis  ...

 

        Art. 19-bis. (Esercizio delle deroghe previste dall'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE). - 1. Le regioni disciplinano l'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, conformandosi alle prescrizioni dell'articolo 9, ai princìpi e alle finalità degli articoli 1 e 2 della stessa direttiva ed alle disposizioni della presente legge.         2. Le deroghe, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, possono essere disposte solo per le finalità indicate dall'articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 79/409/CEE e devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa, fermo restando quanto previsto dall'articolo 27, comma 2. I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d'intesa con gli àmbiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini.

        3. Le deroghe di cui al comma 1 sono applicate per periodi determinati, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), o gli istituti riconosciuti a livello regionale, e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione.

        4. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa delibera del Consiglio dei Ministri, può annullare, dopo aver diffidato la regione interessata, i provvedimenti di deroga da questa posti in essere in violazione delle disposizioni della presente legge e della direttiva 79/409/CEE.

        5. Entro il 30 giugno di ogni anno, ciascuna regione trasmette al Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero al Ministro per gli affari regionali ove nominato, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro per le politiche comunitarie, nonché all'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), una relazione sull'attuazione delle deroghe di cui al presente articolo; detta relazione è altresì trasmessa alle competenti Commissioni parlamentari. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio trasmette annualmente alla Commissione europea la relazione di cui all'articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 79/409/CEE.

 

        Art. 20. (Introduzione di fauna selvatica dall'estero). - 1. L'introduzione dall'estero di fauna selvatica viva, purché appartenente alle specie autoctone, può effettuarsi solo a scopo di ripopolamento e di miglioramento genetico.

        2. I permessi d'importazione possono essere rilasciati unicamente a ditte che dispongono di adeguate strutture ed attrezzature per ogni singola specie di selvatici, al fine di avere le opportune garanzie per controlli, eventuali quarantene e relativi controlli sanitari.

        3. Le autorizzazioni per le attività di cui al comma 1 sono rilasciate dal Ministro dell'agricoltura e delle foreste su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, nel rispetto delle convenzioni internazionali.

 

        Art. 21. (Divieti). - 1. È vietato a chiunque:

 

            a) l'esercizio venatorio nei giardini, nei parchi pubblici e privati, nei parchi storici e archeologici e nei terreni adibiti ad attività sportive;

 

            b) l'esercizio venatorio nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali conformemente alla legislazione nazionale in materia di parchi e riserve naturali. Nei parchi naturali regionali costituiti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 6 dicembre 1991, n. 394, le regioni adeguano la propria legislazione al disposto dell'articolo 22, comma 6, della predetta legge entro il 31 gennaio 1997, provvedendo nel frattempo all'eventuale riperimetrazione dei parchi naturali regionali anche ai fini dell'applicazione dell'articolo 32, comma 3, della legge medesima;

 

            c) l'esercizio venatorio nelle oasi di protezione e nelle zone di ripopolamento e cattura, nei centri di riproduzione di fauna selvatica, nelle foreste demaniali ad eccezione di quelle che, secondo le disposizioni regionali, sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, non presentino condizioni favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica;

 

            d) l'esercizio venatorio ove vi siano opere di difesa dello Stato ed ove il divieto sia richiesto a giudizio insindacabile dell'autorità militare, o dove esistano beni monumentali, purché dette zone siano delimitate da tabelle esenti da tasse indicanti il divieto;

 

            e) l'esercizio venatorio nelle aie e nelle corti o altre pertinenze di fabbricati rurali; nelle zone comprese nel raggio di cento metri da immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro e a distanza inferiore a cinquanta metri da vie di comunicazione ferroviaria e da strade carrozzabili, eccettuate le strade poderali ed interpoderali;

 

            f) sparare da distanza inferiore a centocinquanta metri con uso di fucile da caccia con canna ad anima liscia, o da distanza corrispondente a meno di una volta e mezza la gittata massima in caso di uso di altre armi, in direzione di immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro; di vie di comunicazione ferroviaria e di strade carrozzabili, eccettuate quelle poderali ed interpoderali; di funivie, filovie ed altri impianti di trasporto a sospensione; di stabbi, stazzi, recinti ed altre aree delimitate destinate al ricovero ed all'alimentazione del bestiame nel periodo di utilizzazione agro-silvo-pastorale;

 

            g) il trasporto, all'interno dei centri abitati e delle altre zone ove è vietata l'attività venatoria, ovvero a bordo di veicoli di qualunque genere e comunque nei giorni non consentiti per l'esercizio venatorio dalla presente legge e dalle disposizioni regionali, di armi da sparo per uso venatorio che non siano scariche e in custodia;

 

            h) cacciare a rastrello in più di tre persone ovvero utilizzare, a scopo venatorio, scafandri o tute impermeabili da sommozzatore negli specchi o corsi d'acqua;

 

            i) cacciare sparando da veicoli a motore o da natanti o da aeromobili;

 

            l) cacciare a distanza inferiore a cento metri da macchine operatrici agricole in funzione;

 

            m) cacciare su terreni coperti in tutto o nella maggior parte di neve, salvo che nella zona faunistica delle Alpi, secondo le disposizioni emanante dalle regioni interessate;

 

            n) cacciare negli stagni, nelle paludi e negli specchi d'acqua artificiali in tutto o nella maggior parte coperti da ghiaccio e su terreni allagati da piene di fiume;

 

            o) prendere e detenere uova, nidi e piccoli nati di mammiferi e uccelli appartenenti alla fauna selvatica, salvo che nei casi previsti all'articolo 4, comma 1, o nelle zone di ripopolamento e cattura, nei centri di riproduzione di fauna selvatica e nelle oasi di protezione per sottrarli a sicura distruzione o morte, purché, in tale ultimo caso, se ne dia pronto avviso nelle ventiquattro ore successive alla competente amministrazione provinciale;

 

            p) usare richiami vivi, al di fuori dei casi previsti dall'articolo 5;

 

            q) usare richiami vivi non provenienti da allevamento nella caccia agli acquatici;

 

            r) usare a fini di richiamo uccelli vivi accecati o mutilati ovvero legati per le ali e richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono;

 

            s) cacciare negli specchi d'acqua ove si esercita l'industria della pesca o dell'acquacoltura, nonché nei canali delle valli da pesca, quando il possessore le circondi con tabelle, esenti da tasse, indicanti il divieto di caccia;

 

            t) commerciare fauna selvatica morta non proveniente da allevamenti per sagre e manifestazioni a carattere gastronomico;

 

            u) usare munizione spezzata nella caccia agli ungulati; usare esche o bocconi avvelenati, vischio o altre sostanze adesive, trappole, reti, tagliole, lacci, archetti o congegni similari; fare impiego di civette; usare armi da sparo munite di silenziatore o impostate con scatto provocato dalla preda; fare impiego di balestre;

 

            v) vendere a privati e detenere da parte di questi reti da uccellagione;

 

            z) produrre, vendere e detenere trappole per la fauna selvatica;

 

            aa) l'esercizio in qualunque forma del tiro al volo su uccelli a partire dal 1o gennaio 1994, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 10, comma 8, lettera e);

 

            bb) vendere, detenere per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, appartenenti alla fauna selvatica, che non appartengano alle seguenti specie: germano reale (anas platyrhynchos); pernice rossa (alectoris rufa); pernice di Sardegna (alectoris barbara); starna (perdix perdix); fagiano (phasianus colchicus); colombaccio (columba palumbus);

 

            cc) il commercio di esemplari vivi di specie di avifauna selvatica nazionale non proveniente da allevamenti;

 

            dd) rimuovere, danneggiare o comunque rendere inidonee al loro fine le tabelle legittimamente apposte ai sensi della presente legge o delle disposizioni regionali a specifici ambiti territoriali, ferma restando l'applicazione dell'articolo 635 del codice penale;

 

            ee) detenere, acquistare e vendere esemplari di fauna selvatica, ad eccezione dei capi utilizzati come richiami vivi nel rispetto delle modalità previste dalla presente legge e della fauna selvatica lecitamente abbattuta, la cui detenzione viene regolamentata dalle regioni anche con le norme sulla tassidermia;

 

            ff) l'uso dei segugi per la caccia al camoscio.

 

        2. Se le regioni non provvedono entro il termine previsto dall'articolo 1, comma 5, ad istituire le zone di protezione lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste assegna alle regioni stesse novanta giorni per provvedere. Decorso inutilmente tale termine è vietato cacciare lungo le suddette rotte a meno di cinquecento metri dalla costa marina del continente e delle due isole maggiori; le regioni provvedono a delimitare tali aree con apposite tabelle esenti da tasse.

        3. La caccia è vietata su tutti i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna, per una distanza di mille metri dagli stessi.

 

...  Omissis  ...

 


DISEGNO DI LEGGE

         

 

Art. 1.

 

        1.  È convertito in legge il decreto-legge 16 agosto 2006, n. 251, recante disposizioni urgenti per assicurare l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla direttiva 79/409/CEE in materia di conservazione della fauna selvatica.

        2.  La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 


Decreto-legge 16 agosto 2006, n. 251, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 191 del 18 agosto 2006.

 

Disposizioni urgenti per assicurare l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla direttiva 79/409/CEE in materia di conservazione della fauna selvatica.

 

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

        Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

        Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di superare, nel termine fissato di due mesi, le procedure di infrazione n. 2006/2131 e 2006/4043 promosse dalla Commissione europea, con pareri motivati del 28 giugno 2006, per incompleto e insufficiente recepimento ed errata attuazione della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, da parte della normativa statale e regionale, nonché le procedure di infrazione 2004/4926 e 2004/4242, che alla stessa data del 28 giugno 2006 hanno dato origine a ricorsi alla Corte di giustizia da parte della Commissione europea per contrasto della normativa delle regioni Veneto e Sardegna con le disposizioni della citata direttiva 79/409/CEE;

        Ritenuta, altresì, la straordinaria necessità ed urgenza di intervenire prima dell'imminente apertura della stagione venatoria 2006/2007 per evitare la non approvazione da parte della Commissione europea dei Programmi di sviluppo rurale, che comporterebbe gravissimi danni per l'intero comparto agricolo nazionale;

        Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 4 agosto 2006;

        Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e per le politiche europee, di concerto con i Ministri per gli affari regionali e le autonomie locali e dei trasporti;

emana

il seguente decreto-legge:

Articolo 1.

(Finalità).

 

        1. Il presente decreto è finalizzato ad assicurare la conformità dell'ordinamento italiano alla normativa comunitaria concernente la conservazione della fauna selvatica.

 

Articolo 2.

(Misure di conservazione).

 

        1. Fermo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 12 marzo 2003, n. 120, nelle Zone di protezione speciale (ZPS) di cui alla direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, si applicano le misure di conservazione previste agli articoli 3, 4 e 5.

        2. I decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di designazione delle Zone speciali di conservazione (ZSC), adottati d'intesa con ciascuna regione interessata, secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 2, del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, e successive modificazioni, individuano le misure di conservazione necessarie a mantenere in uno stato di conservazione soddisfacente gli habitat e le specie per il quale il sito è stato individuato.

 

Articolo 3.

(Misure di conservazione inderogabili).

 

        1. Nelle Zone di protezione speciale (ZPS) è fatto divieto di:

            a) esercitare l'attività venatoria in data antecedente alla prima domenica di ottobre, con l'eccezione della caccia di selezione agli ungulati e al cinghiale;

            b) esercitare l'attività venatoria nel mese di gennaio con l'eccezione della caccia di selezione agli ungulati e al cinghiale e di quella da appostamento per due giornate prefissate alla settimana;

            c) svolgere attività di addestramento di cani da caccia, con o senza sparo, prima della seconda domenica di settembre e dopo la chiusura della stagione venatoria;

            d) effettuare la preapertura dell'attività venatoria;

            e) esercitare l'attività venatoria in deroga ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979;

            f) attuare la pratica dello sparo al nido nello svolgimento dell'attività di controllo demografico delle popolazioni di corvidi;

            g) effettuare ripopolamenti a scopo venatorio, ad esclusione di quelli realizzati nelle aziende faunistico venatorie e di quelli effettuati con fauna selvatica proveniente dalle zone di ripopolamento e cattura insistenti sul medesimo territorio;

            h) realizzare nuove discariche o nuovi impianti di trattamento dei rifiuti;

            i) abbattere esemplari appartenenti alle specie pernice bianca (Lagopus mutus), combattente (Philomacus pugnax) e moretta (Ayhytia fuligula), secondo le previsioni contenute nelle singole tipologie ambientali di cui all'articolo 5, comma 1.

        2. In via transitoria, per la stagione venatoria 2006/2007, è fatto divieto di esercitare l'attività venatoria in data antecedente alla terza domenica di settembre, ad eccezione della caccia di selezione degli ungulati e al cinghiale.

        3. Nelle Zone di protezione speciale (ZPS) è fatto obbligo di mettere in sicurezza elettrodotti e linee aeree ad alta e media tensione rispetto al rischio di elettrocuzione ed impatto.

 

Articolo 4.

(Ulteriori misure di conservazione).

 

        1. Fino all'adozione dei provvedimenti regionali di cui all'articolo 5, comma 2, sono altresì vietate:

            a) la realizzazione di elettrodotti aerei di alta e media tensione e di impianti a fune permanenti;

            b) la realizzazione di nuovi impianti di risalita e di piste da sci;

            c) lo svolgimento di attività di circolazione motorizzata fuoristrada, fatta eccezione dei mezzi agricoli, dei mezzi di soccorso, controllo e sorveglianza, nonché dell'accesso al fondo degli aventi diritto.

        2. La realizzazione di centrali eoliche è sospesa fino all'adozione di specifici piani di gestione per le Zone di protezione speciale (ZPS). La valutazione d'incidenza relativa a tali interventi deve essere basata su un monitoraggio dell'avifauna presente nel sito interessato di durata compatibile con il ciclo biologico della stessa e la realizzazione dell'intervento è subordinata a conforme e obbligatorio parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS).

 

Articolo 5.

(Criteri ornitologici e requisiti minimi).

 

        1. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, e con il Ministro dei trasporti per i profili di competenza, d'intesa con la Conferenza permanente tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuate specifiche tipologie ambientali di riferimento, sulla base dei criteri ornitologici indicati nella direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, e delle esigenze ecologiche delle specie presenti.

        2. Con il decreto di cui al comma 1 sono determinati i requisiti minimi uniformi che le regioni devono rispettare nel definire: le misure di cui all'articolo 4, comma 1; le modalità di esercizio nelle Zone di protezione speciale (ZPS) di cui all'articolo 2 del potere di deroga ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1, lettere a) e b), della citata direttiva 79/409/CEE; le altre Zone di protezione speciale (ZPS) per adeguarne numero e superficie a quanto richiesto dagli obblighi comunitari; le ulteriori misure specifiche di conservazione applicabili a ciascuna delle tipologie ambientali di cui al comma 1 e agli habitat esterni a dette Zone funzionali alla conservazione degli uccelli; le modalità di svolgimento di attività di arrampicata, parapendio e sorvolo a bassa quota.

        3. Con il decreto di cui al comma 1 sono altresì individuati i tempi entro cui le regioni devono provvedere a definire tali ulteriori misure e, in caso di inerzia delle stesse, le misure da applicare in via sostitutiva.

 

Articolo 6.

(Disposizioni attuative).

 

        1. Qualora le Zone di cui all'articolo 2 ricadano all'interno di aree naturali protette o di aree marine protette, istituite ai sensi della legislazione vigente, si applicano le norme del presente decreto se più restrittive rispetto alle misure di salvaguardia esistenti ed alle previsioni normative definite dai rispettivi strumenti di pianificazione.

        2. Le misure di conservazione previste nel presente decreto sostituiscono tutte quelle precedentemente adottate per le Zone di cui all'articolo  2.

 

Articolo 7.

(Modifiche in materia di deroghe al prelievo venatorio).

 

        1. All'articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157, sono apportate le seguenti modificazioni:

            a) al comma 2 le parole da: «Le deroghe» a: «direttiva 79/409/CEE e» sono sostituite dalle seguenti: «Le deroghe sono provvedimenti di carattere eccezionale, e comunque di durata non superiore ad un anno, che devono essere motivati specificamente in ordine all'assenza di altre soluzioni soddisfacenti e alla tipologia di deroga applicata e devono essere adottati caso per caso in base all'analisi puntuale dei presupposti e delle condizioni di fatto stabiliti dall'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979. Le deroghe»;

            b) al comma 3 le parole da: «sentito l'Istituto» a: «livello regionale» sono sostituite dalle seguenti: «in conformità al parere obbligatorio dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS)» e la parola: «grave» è soppressa;

            c) il comma 4 è sostituito dal seguente: «4. Fatto salvo il potere sostitutivo d'urgenza di cui all'articolo 8, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa diffida alla regione interessata ad adempiere entro dieci giorni, viene disposto l'annullamento dei provvedimenti di deroga posti in essere in violazione delle disposizioni della presente legge e della citata direttiva 79/409/CEE.».

 

Articolo 8.

(Intervento sostitutivo urgente).

 

        1. Le regioni, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni dell'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, e dell'articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157, come modificato dal presente decreto, abrogando o modificando le proprie leggi, le delibere e gli atti applicativi, nonché i calendari venatori nelle parti difformi dalle suddette disposizioni. In attesa di tale adeguamento e al fine di assicurare l'immediato rispetto dell'ordinamento comunitario, sono sospesi gli effetti delle deroghe adottate dalle regioni in difformità dalle richiamate disposizioni. Decorso inutilmente il termine suindicato, le leggi e gli atti regionali difformi da tali disposizioni si intendono abrogati e annullati.

 

Articolo 9.

(Adeguamento della legge 11 febbraio 1992, n. 157 all'ordinamento comunitario).

 

        1. Alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, sono apportate le seguenti modificazioni:

            a) all'articolo 1, dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1-bis. Lo Stato e le regioni si adoperano per mantenere o adeguare la popolazione della fauna selvatica a un livello corrispondente alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, tenendo conto anche delle esigenze economiche, nonché ad evitare, nell'adottare i provvedimenti di competenza, il deterioramento della situazione attuale.»;

            b) all'articolo 1, comma 5, primo periodo, le parole: «provvedono ad istituire» sono sostituite dalla seguente: «individuano», dopo la parola: «protezione» è inserita la seguente: «speciale» e, dopo il secondo periodo, è inserito il seguente: «Le Zone di protezione speciale (ZPS) si intendono classificate, ovvero istituite, dalla data di trasmissione alla Commissione europea da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dei formulari e delle cartografie delle medesime ZPS individuate dalle regioni, ovvero dalla data di trasmissione alla Commissione europea dei formulari e delle cartografie da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, per le ZPS istituite prima della data di entrata in vigore della presente legge. I provvedimenti regionali devono riportare in maniera puntuale i confini di tali aree ed i relativi dati catastali e devono essere pubblicizzati.»;

            c) all'articolo 1, dopo il comma 7 è aggiunto, in fine, il seguente: «7-bis. Il Ministro per le politiche europee, d'intesa con i Ministri interessati, trasmette alla Commissione europea tutte le informazioni a questa utili per coordinare le ricerche e i lavori riguardanti la protezione, gestione e utilizzazione della fauna selvatica, nonché quelle sull'applicazione pratica della presente legge.»;

            d) all'articolo 18, dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1-bis. In ogni caso deve essere rispettato il divieto di caccia nel periodo di nidificazione e durante le fasi di riproduzione e di dipendenza e, nei confronti delle specie migratrici, durante il periodo di riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione.»;

            e) all'articolo 20, comma 3, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e previa consultazione della Commissione europea»;

            f) all'articolo 21, comma 1, lettera o), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «;  distruggere o danneggiare deliberatamente nidi e uova, nonché disturbare deliberatamente le specie protette di uccelli»;

            g) all'articolo 21, comma 1, lettera bb), dopo le parole: «detenere per vendere,» sono inserite le seguenti: «trasportare per vendere,».

 

 

 

 

 

Articolo 10.

(Invarianza della spesa).

 

        1. Dall'applicazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri, né minori entrate a carico della finanza pubblica.

 

Articolo 11.

(Entrata in vigore).

 

        1.  Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

        Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

 

        Dato a Roma, addì 16 agosto 2006.

 

NAPOLITANO

 

Prodi, Presidente del Consiglio dei Ministri.

De Castro, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.

Pecoraro Scanio, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Bonino, Ministro per le politiche europee.

Lanzillotta, Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali.

Bianchi, Ministro dei trasporti.

 

Visto, il Guardasigilli: Mastella.


Normativa nazionale

 


Costituzione della Repubblica italiana(artt. 77 e 87)

 

(1) La Costituzione fu approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre 1947, pubblicata nella Gazz. Uff. 27 dicembre 1947, n. 298, ediz. straord., ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Vedi XVIII disp. trans. fin., comma primo.

(2)  Per l'inserimento degli articoli 98-bis, 127-bis e 127-ter vedi gli artt. 35, 46 e 47 del testo di legge costituzionale, approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 20 ottobre 2005 e dal Senato della Repubblica nella seduta del 16 novembre 2005 e pubblicato nella Gazz. Uff. 18 novembre 2005, n. 269. Vedi, anche, l'art. 53 dello stesso testo.

(omissis)

77.  Il Governo non può, senza delegazione delle Camere (101), emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria (102).

Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni (103) (104).

I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti (105).

 

(101)  Vedi art. 76.

(102)  Per la modifica del presente comma vedi l'art. 17 del testo di legge costituzionale, approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 20 ottobre 2005 e dal Senato della Repubblica nella seduta del 16 novembre 2005 e pubblicato nella Gazz. Uff. 18 novembre 2005, n. 269. Vedi, anche, l'art. 53 dello stesso testo.

(103)  Vedi art. 61, comma primo, e 62, comma primo. Vedi anche art. 35 Reg. Senato.

(104)  Per la modifica del presente comma vedi l'art. 17 del testo di legge costituzionale, approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 20 ottobre 2005 e dal Senato della Repubblica nella seduta del 16 novembre 2005 e pubblicato nella Gazz. Uff. 18 novembre 2005, n. 269. Vedi, anche, l'art. 53 dello stesso testo.

(105)  Per la modifica del presente comma vedi l'art. 17 del testo di legge costituzionale, approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 20 ottobre 2005 e dal Senato della Repubblica nella seduta del 16 novembre 2005 e pubblicato nella Gazz. Uff. 18 novembre 2005, n. 269. Vedi, anche, l'art. 53 dello stesso testo.

(omissis)

87.  Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale.

Può inviare messaggi alle Camere (131).

Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione (132).

Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo (133).

Promulga le leggi (134) ed emana i decreti aventi valore di legge (135) e i regolamenti.

Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione (136).

Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.

Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere (137).

Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere (138).

Presiede il Consiglio superiore della magistratura (139).

Può concedere grazia e commutare le pene.

Conferisce le onorificenze della Repubblica (140) (141).

 

(131)  Vedi anche art. 74, comma primo.

(132)  Vedi art. 61, comma primo.

(133)  Vedi art. 71, comma primo.

(134)  Vedi artt. 73, 74 e 138, comma secondo.

(135)  Vedi artt. 76 e 77.

(136)  Vedi artt. 75 e 138, comma secondo.

(137)  Vedi art. 80.

(138)  Vedi art. 78.

(139)  Vedi art. 104, comma secondo.

(140)  Con D.P.R. 9 ottobre 2000 (Gazz. Uff. 14 ottobre 2000, n. 241) è stato approvato il modello dello stendardo del Presidente della Repubblica.

(141)  Per la sostituzione del presente articolo vedi l'art. 26 del testo di legge costituzionale, approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 20 ottobre 2005 e dal Senato della Repubblica nella seduta del 16 novembre 2005 e pubblicato nella Gazz. Uff. 18 novembre 2005, n. 269. Vedi, anche, l'art. 53 dello stesso testo.


L. 11 febbraio 1992, n. 157
Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 25 febbraio 1992, n. 46, S.O.

(1/a) Vedi, anche, il comma 5 dell'art. 11-quaterdicies, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

(1/circ) Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:

- Ministero dell'economia e delle finanze: Ris. 9 settembre 2002, n. 291/E;

- Ministero dell'interno: Circ. 6 maggio 1997, n. 559/C-50.065-E-97;

- Ministero delle finanze: Circ. 26 agosto 1999, n. 180/E;

- Presidenza del Consiglio dei Ministri: Dipartimento per la funzione pubblica e gli affari regionali: Circ. 20 febbraio 1996, n. 1637.

 

 

1. Fauna selvatica.

1. La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale.

1-bis. Lo Stato e le regioni si adoperano per mantenere o adeguare la popolazione della fauna selvatica a un livello corrispondente alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, tenendo conto anche delle esigenze economiche, nonché ad evitare, nell'adottare i provvedimenti di competenza, il deterioramento della situazione attuale (2).

2. L'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole.

3. Le regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformità alla presente legge, alle convenzioni internazionali ed alle direttive comunitarie. Le regioni a statuto speciale e le province autonome provvedono in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti. Le province attuano la disciplina regionale ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera f), della legge 8 giugno 1990, n. 142.

4. Le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i relativi allegati, concernenti la conservazione degli uccelli selvatici, sono integralmente recepite ed attuate nei modi e nei termini previsti dalla presente legge la quale costituisce inoltre attuazione della Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, resa esecutiva con legge 24 novembre 1978, n. 812 (3), e della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503 (4).

5. Le regioni e le province autonome in attuazione delle citate direttive 79/409/CEE, 85/411/CEE e 91/244/CEE individuano lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, segnalate dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica di cui all'articolo 7 entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, zone di protezione speciale finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat interni a tali zone e ad esse limitrofi, provvedono al ripristino dei biotopi distrutti e alla creazione dei biotopi. Tali attività concernono particolarmente e prioritariamente le specie di cui all'elenco allegato alla citata direttiva 79/409/CEE, come sostituito dalle citate direttive 85/411/CEE e 91/244/CEE. Le Zone di protezione speciale (ZPS) si intendono classificate, ovvero istituite, dalla data di trasmissione alla Commissione europea da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dei formulari e delle cartografie delle medesime ZPS individuate dalle regioni, ovvero dalla data di trasmissione alla Commissione europea dei formulari e delle cartografie da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, per le ZPS istituite prima della data di entrata in vigore della presente legge. I provvedimenti regionali devono riportare in maniera puntuale i confini di tali aree ed i relativi dati catastali e devono essere pubblicizzati. In caso di inerzia delle regioni e delle province autonome per un anno dopo la segnalazione da parte dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, provvedono con controllo sostitutivo, d'intesa, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste e il Ministro dell'ambiente (4/a).

6. Le regioni e le province autonome trasmettono annualmente al Ministro dell'agricoltura e delle foreste e al Ministro dell'ambiente una relazione sulle misure adottate ai sensi del comma 5 e sui loro effetti rilevabili.

7. Ai sensi dell'articolo 2 della legge 9 marzo 1989, n. 86, il Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie, di concerto con il Ministro dell'agricoltura e delle foreste e con il Ministro dell'ambiente, verifica, con la collaborazione delle regioni e delle province autonome e sentiti il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale di cui all'articolo 8 e l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, lo stato di conformità della presente legge e delle leggi regionali e provinciali in materia agli atti emanati dalle istituzioni delle Comunità europee volti alla conservazione della fauna selvatica.

7-bis. Il Ministro per le politiche europee, d'intesa con i Ministri interessati, trasmette alla Commissione europea tutte le informazioni a questa utili per coordinare le ricerche e i lavori riguardanti la protezione, gestione e utilizzazione della fauna selvatica, nonchè quelle sull'applicazione pratica della presente legge (5).

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(2) Comma aggiunto dall'art. 9, D.L. 16 agosto 2006, n. 251.

(3) Riportata alla voce Zootecnia.

(4) Ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, D.P.R. 1° dicembre 2000, n. 425 (Gazz. Uff. 22 gennaio 2001, n. 17), in relazione alle specie di uccelli selvatici da proteggere in modo particolare e prioritario, il riferimento all'Allegato I della direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, di cui al presente comma, è sostituito dal riferimento all'Allegato I della direttiva 97/49/CE della Commissione del 29 luglio 1997, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 223 del 13 agosto 1997.

(4/a) Comma così modificato dall'art. 9, D.L. 16 agosto 2006, n. 251. Ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, D.P.R. 1° dicembre 2000, n. 425 (Gazz. Uff. 22 gennaio 2001, n. 17), in relazione alle specie di uccelli selvatici da proteggere in modo particolare e prioritario, il riferimento all'Allegato I della direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, di cui al presente comma, è sostituito dal riferimento all'Allegato I della direttiva 97/49/CE della Commissione del 29 luglio 1997, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 223 del 13 agosto 1997.

(5) Comma aggiunto dall'art. 9, D.L. 16 agosto 2006, n. 251.

 

 

2. Oggetto della tutela.

1. Fanno parte della fauna selvatica oggetto della tutela della presente legge le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale. Sono particolarmente protette, anche sotto il profilo sanzionatorio, le seguenti specie:

a) mammiferi: lupo (Canis lupus), sciacallo dorato (Canis aureus), orso (Ursus arctos), martora (Martes martes), puzzola (Mustela putorius), lontra (Lutra lutra), gatto selvatico (Felis sylvestris), lince (Lyn lyn), foca monaca (Monachus monachus), tutte le specie di cetacei (Cetacea), cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus), camoscio d'Abruzzo (Rupicapra pyrenaica);

b) uccelli: marangone minore (Phalacrocorax pigmeus), marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis), tutte le specie di pellicani (Pelecanidae), tarabuso (Botaurus stellaris), tutte le specie di cicogne (Ciconiidae), spatola (Platalea leucorodia), mignattaio (Plegadis falcinellus), fenicottero (Phoenicopterus ruber), cigno reale (Cygnus olor), cigno selvatico (Cygnus cygnus), volpoca (Tadorna tadorna), fistione turco (Netta rufina), gobbo rugginoso (Oxyura leucocephala), tutte le specie di rapaci diurni (Accipitriformes e falconiformes), pollo sultano (Porphyrio porphyrio), otarda (Otis tarda), gallina prataiola (Tetrax tetrax), gru (Grus grus), piviere tortolino (Eudromias morinellus), avocetta (Recurvirostra avosetta), cavaliere d'Italia, (Himantopus himantopus), occhione (Burhinus oedicnemus), pernice di mare (Glareola pratincola), gabbiano corso (Larus audouinii), gabbiano corallino (Larus melanocephalus), gabbiano roseo (Larus genei), sterna zampenere (Gelochelidon nilotica), sterna maggiore (Sterna caspia), tutte le specie di rapaci notturni (Strigiformes), ghiandaia marina (Coracias garrulus), tutte le specie di picchi (Picidae), gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax);

c) tutte le altre specie che direttive comunitarie o convenzioni internazionali o apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri indicano come minacciate di estinzione.

2. Le norme della presente legge non si applicano alle talpe, ai ratti, ai topi propriamente detti, alle arvicole.

3. Il controllo del livello di popolazione degli uccelli negli aeroporti, ai fini della sicurezza aerea, è affidato al Ministro dei trasporti.

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3. Divieto di uccellagione.

1. È vietata in tutto il territorio nazionale ogni forma di uccellagione e di cattura di uccelli e di mammiferi selvatici, nonché il prelievo di uova, nidi e piccoli nati.

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4. Cattura temporanea e inanellamento.

1. Le regioni, su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, possono autorizzare esclusivamente gli istituti scientifici delle università e del Consiglio nazionale delle ricerche e i musei di storia naturale ad effettuare, a scopo di studio e ricerca scientifica, la cattura e l'utilizzazione di mammiferi ed uccelli, nonché il prelievo di uova, nidi e piccoli nati.

2. L'attività di cattura temporanea per l'inanellamento degli uccelli a scopo scientifico è organizzata e coordinata sull'intero territorio nazionale dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica; tale attività funge da schema nazionale di inanellamento in seno all'Unione europea per l'inanellamento (EURING). L'attività di inanellamento può essere svolta esclusivamente da titolari di specifica autorizzazione, rilasciata dalle regioni su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica; l'espressione di tale parere è subordinata alla partecipazione a specifici corsi di istruzione, organizzati dallo stesso Istituto, ed al superamento del relativo esame finale.

3. L'attività di cattura per l'inanellamento e per la cessione a fini di richiamo può essere svolta esclusivamente da impianti della cui autorizzazione siano titolari le province e che siano gestiti da personale qualificato e valutato idoneo dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica. L'autorizzazione alla gestione di tali impianti è concessa dalle regioni su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, il quale svolge altresì compiti di controllo e di certificazione dell'attività svolta dagli impianti stessi e ne determina il periodo di attività.

4. La cattura per la cessione a fini di richiamo è consentita solo per esemplari appartenenti alle seguenti specie: allodola; cesena; tordo sassello; tordo bottaccio; merlo; pavoncella e colombaccio. Gli esemplari appartenenti ad altre specie eventualmente catturati devono essere inanellati ed immediatamente liberati (5/a).

5. È fatto obbligo a chiunque abbatte, cattura o rinviene uccelli inanellati di darne notizia all'Istituto nazionale per la fauna selvatica o al comune nel cui territorio è avvenuto il fatto, il quale provvede ad informare il predetto Istituto.

6. Le regioni emanano norme in ordine al soccorso, alla detenzione temporanea e alla successiva liberazione di fauna selvatica in difficoltà.

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(5/a) Comma così sostituito dall'art. 34, L. 1° marzo 2002, n. 39 - Legge comunitaria 2001.

 

 

5. Esercizio venatorio da appostamento fisso e richiami vivi.

1. Le regioni, su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, emanano norme per regolamentare l'allevamento, la vendita e la detenzione di uccelli allevati appartenenti alle specie cacciabili, nonché il loro uso in funzione di richiami.

2. Le regioni emanano altresì norme relative alla costituzione e gestione del patrimonio di richiami vivi di cattura appartenenti alle specie di cui all'articolo 4, comma 4, consentendo, ad ogni cacciatore che eserciti l'attività venatoria ai sensi dell'articolo 12, comma 5, lettera b), la detenzione di un numero massimo di dieci unità per ogni specie, fino ad un massimo complessivo di quaranta unità. Per i cacciatori che esercitano l'attività venatoria da appostamento temporaneo con richiami vivi, il patrimonio di cui sopra non potrà superare il numero massimo complessivo di dieci unità.

3. Le regioni emanano norme per l'autorizzazione degli appostamenti fissi, che le province rilasciano in numero non superiore a quello rilasciato nell'annata venatoria 1989-1990.

4. L'autorizzazione di cui al comma 3 può essere richiesta da coloro che ne erano in possesso nell'annata venatoria 1989-1990. Ove si realizzi una possibile capienza, l'autorizzazione può essere richiesta dagli ultrasessantenni nel rispetto delle priorità definite dalle norme regionali.

5. Non sono considerati fissi ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 12, comma 5, gli appostamenti per la caccia agli ungulati e ai colombacci e gli appostamenti di cui all'articolo 14, comma 12.

6. L'accesso con armi proprie all'appostamento fisso con l'uso di richiami vivi è consentito unicamente a coloro che hanno optato per la forma di caccia di cui all'articolo 12, comma 5, lettera b). Oltre al titolare; possono accedere all'appostamento fisso le persone autorizzate dal titolare medesimo.

7. È vietato l'uso di richiami che non siano identificabili mediante anello inamovibile, numerato secondo le norme regionali che disciplinano anche la procedura in materia.

8. La sostituzione di un richiamo può avvenire soltanto dietro presentazione all'ente competente del richiamo morto da sostituire.

9. È vietata la vendita di uccelli di cattura utilizzabili come richiami vivi per l'attività venatoria.

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6. Tassidermia.

1. Le regioni, sulla base di apposito regolamento, disciplinano l'attività di tassidermia ed imbalsamazione e la detenzione o il possesso di preparazioni tassidermiche e trofei.

2. I tassidermisti autorizzati devono segnalare all'autorità competente le richieste di impagliare o imbalsamare spoglie di specie protette o comunque non cacciabili ovvero le richieste relative a spoglie di specie cacciabili avanzate in periodi diversi da quelli previsti nel calendario venatorio per la caccia della specie in questione.

3. L'inadempienza alle disposizioni di cui al comma 2 comporta la revoca dell'autorizzazione a svolgere l'attività di tassidermista, oltre alle sanzioni previste per chi detiene illecitamente esemplari di specie protette o per chi cattura esemplari cacciabili al di fuori dei periodi fissati nel calendario venatorio.

4. Le regioni provvedono ad emanare, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un regolamento atto a disciplinare l'attività di tassidermia ed imbalsamazione di cui al comma 1.

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7. Istituto nazionale per la fauna selvatica.

1. L'Istituto nazionale di biologia della selvaggina di cui all'articolo 35 della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (6), dalla data di entrata in vigore della presente legge assume la denominazione di Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) ed opera quale organo scientifico e tecnico di ricerca e consulenza per lo Stato, le regioni e le province.

2. L'Istituto nazionale per la fauna selvatica, con sede centrale in Ozzano dell'Emilia (Bologna), è sottoposto alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio dei ministri, di intesa con le regioni, definisce nelle norme regolamentari dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica l'istituzione di unità operative tecniche consultive decentrate che forniscono alle regioni supporto per la predisposizione dei piani regionali (6/a).

3. L'Istituto nazionale per la fauna selvatica ha il compito di censire il patrimonio ambientale costituito dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato, l'evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali, di elaborare progetti di intervento ricostitutivo o migliorativo sia delle comunità animali sia degli ambienti al fine della riqualificazione faunistica del territorio nazionale, di effettuare e di coordinare l'attività di inanellamento a scopo scientifico sull'intero territorio italiano, di collaborare con gli organismi stranieri ed in particolare con quelli dei Paesi della Comunità economica europea aventi analoghi compiti e finalità, di collaborare con le università e gli altri organismi di ricerca nazionali, di controllare e valutare gli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province autonome, di esprimere i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome.

4. Presso l'Istituto nazionale per la fauna selvatica sono istituiti una scuola di specializzazione post-universitaria sulla biologia e la conservazione della fauna selvatica e corsi di preparazione professionale per la gestione della fauna selvatica per tecnici diplomati. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge una commissione istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, composta da un rappresentante del Ministro dell'agricoltura e delle foreste, da un rappresentante del Ministro dell'ambiente, da un rappresentante del Ministro della sanità e dal direttore generale dell'Istituto nazionale di biologia della selvaggina in carica alla data di entrata in vigore della presente legge, provvede ad adeguare lo statuto e la pianta organica dell'Istituto ai nuovi compiti previsti dal presente articolo e li sottopone al Presidente del Consiglio dei ministri, che li approva con proprio decreto.

5. Per l'attuazione dei propri fini istituzionali, l'Istituto nazionale per la fauna selvatica provvede direttamente alle attività di cui all'articolo 4.

6. L'Istituto nazionale per la fauna selvatica è rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato nei giudizi attivi e passivi aventi l'autorità giudiziaria, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali.

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(6) Riportata al n. XXII.

(6/a) Vedi, anche, l'art. 6, comma 2, D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 419.

 

8. Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale.

1. Presso il Ministero dell'agricoltura e delle foreste è istituito il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale (CTFVN) composto da tre rappresentanti nominati dal Ministro dell'agricoltura e delle foreste, da tre rappresentanti nominati dal Ministro dell'ambiente, da tre rappresentanti delle regioni nominati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da tre rappresentanti delle province nominati dall'Unione delle province d'Italia, dal direttore dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, da un rappresentante per ogni associazione venatoria nazionale riconosciuta, da tre rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, da quattro rappresentanti delle associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l'ambiente, da un rappresentante dell'Unione zoologica italiana, da un rappresentante dell'Ente nazionale per la cinofilia italiana, da un rappresentante del Consiglio internazionale della caccia e della conservazione della selvaggina, da un rappresentante dell'Ente nazionale per la protezione degli animali, da un rappresentante del Club alpino italiano.

2. Il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale è costituito, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla base delle designazioni delle organizzazioni ed associazioni di cui al comma 1 ed è presieduto dal Ministro dell'agricoltura e delle foreste o da un suo delegato.

3. Al Comitato sono conferiti compiti di organo tecnico consultivo per tutto quello che concerne l'applicazione della presente legge.

4. Il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale viene rinnovato ogni cinque anni.

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9. Funzioni amministrative.

1. Le regioni esercitano le funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistico-venatoria di cui all'articolo 10 e svolgono i compiti di orientamento, di controllo e sostitutivi previsti dalla presente legge e dagli statuti regionali. Alle province spettano le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna secondo quanto previsto dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 (7), che esercitano nel rispetto della presente legge.

2. Le regioni a statuto speciale e le province autonome esercitano le funzioni amministrative in materia di caccia in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti.

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(7) Riportata alla voce Comuni e province.

 

 

10. Piani faunistico-venatori.

1. Tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale è soggetto a pianificazione faunistico-venatoria finalizzata, per quanto attiene alle specie carnivore, alla conservazione delle effettive capacità riproduttive e al contenimento naturale di altre specie e, per quanto riguarda le altre specie, al conseguimento della densità ottimale e alla sua conservazione mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio.

2. Le regioni e le province, con le modalità previste nei commi 7 e 10, realizzano la pianificazione di cui al comma 1 mediante la destinazione differenziata del territorio.

3. Il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione è destinato per una quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica, fatta eccezione per il territorio delle Alpi di ciascuna regione, che costituisce zona faunistica a sé stante ed è destinato a protezione nella percentuale dal 10 al 20 per cento. In dette percentuali sono compresi i territori ove sia comunque vietata l'attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni (6/cost).

4. Il territorio di protezione di cui al comma 3 comprende anche i territori di cui al comma 8, lettere a), b), e c). Si intende per protezione il divieto di abbattimento e cattura a fini venatori accompagnato da provvedimenti atti ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della prole.

5. Il territorio agro-silvo-pastorale regionale può essere destinato nella percentuale massima globale del 15 per cento a caccia riservata a gestione privata ai sensi dell'articolo 16, comma 1, e a centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale.

6. Sul rimanente territorio agro-silvo-pastorale le regioni promuovono forme di gestione programmata della caccia, secondo le modalità stabilite dall'articolo 14.

7. Ai fini della pianificazione generale del territorio agro-silvo-pastorale le province predispongono, articolandoli per comprensori omogenei, piani faunistico-venatori. Le province predispongono altresì piani di miglioramento ambientale tesi a favorire la riproduzione naturale di fauna selvatica nonché piani di immissione di fauna selvatica anche tramite la cattura di selvatici presenti in soprannumero nei parchi nazionali e regionali e in altri ambiti faunistici, salvo accertamento delle compatibilità genetiche da parte dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica e sentite le organizzazioni professionali agricole presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale tramite le loro strutture regionali.

8. I piani faunistico-venatori di cui al comma 7 comprendono:

a) le oasi di protezione, destinate al rifugio, alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica;

b) le zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa per l'immissione sul territorio in tempi e condizioni utili all'ambientamento fino alla ricostituzione e alla stabilizzazione della densità faunistica ottimale per il territorio;

c) i centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, ai fini di ricostituzione delle popolazioni autoctone;

d) i centri privati di riproduzione di fauna selvatica allo stato naturale, organizzati in forma di azienda agricola singola, consortile o cooperativa, ove è vietato l'esercizio dell'attività venatoria ed è consentito il prelievo di animali allevati appartenenti a specie cacciabili da parte del titolare dell'impresa agricola, di dipendenti della stessa e di persone nominativamente indicate;

e) le zone e i periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale o con l'abbattimento di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili, la cui gestione può essere affidata ad associazioni venatorie e cinofile ovvero ad imprenditori agricoli singoli o associati;

f) i criteri per la determinazione del risarcimento in favore dei conduttori dei fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e alle opere approntate su fondi vincolati per gli scopi di cui alle lettere a), b), e c);

g) i criteri per la corresponsione degli incentivi in favore dei proprietari o conduttori dei fondi rustici, singoli o associati, che si impegnino alla tutela ed al ripristino degli habitat naturali e all'incremento della fauna selvatica nelle zone di cui alle lettere a) e b);

h) l'identificazione delle zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi.

9. Ogni zona dovrà essere indicata da tabelle perimetrali, esenti da tasse, secondo le disposizioni impartite dalle regioni, apposte a cura dell'ente, associazione o privato che sia preposto o incaricato della gestione della singola zona.

10. Le regioni attuano la pianificazione faunistico-venatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali di cui al comma 7 secondo criteri dei quali l'Istituto nazionale per la fauna selvatica garantisce la omogeneità e la congruenza a norma del comma 11, nonché con l'esercizio di poteri sostitutivi nel caso di mancato adempimento da parte delle province dopo dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

11. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'Istituto nazionale per la fauna selvatica trasmette al Ministro dell'agricoltura e delle foreste e al Ministro dell'ambiente il primo documento orientativo circa i criteri di omogeneità e congruenza che orienteranno la pianificazione faunistico-venatoria. I Ministri, d'intesa, trasmettono alle regioni con proprie osservazioni i criteri della programmazione, che deve essere basata anche sulla conoscenza delle risorse e della consistenza faunistica, da conseguirsi anche mediante modalità omogenee di rilevazione e di censimento.

12. Il piano faunistico-venatorio regionale determina i criteri per la individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie, di aziende agri-turistico-venatorie e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale.

13. La deliberazione che determina il perimetro delle zone da vincolare, come indicato al comma 8, lettere a), b) e c), deve essere notificata ai proprietari o conduttori dei fondi interessati e pubblicata mediante affissione all'albo pretorio dei comuni territorialmente interessati.

14. Qualora nei successivi sessanta giorni sia presentanta opposizione motivata, in carta semplice ed esente da oneri fiscali, da parte dei proprietari o conduttori dei fondi costituenti almeno il 40 per cento della superficie complessiva che si intende vincolare, la zona non può essere istituita.

15. Il consenso si intende validamente accordato anche nel caso in cui non sia stata presentata formale opposizione.

16. Le regioni, in via eccezionale, ed in vista di particolari necessità ambientali, possono disporre la costituzione coattiva di oasi di protezione e di zone di ripopolamento e cattura, nonché l'attuazione dei piani di miglioramento ambientale di cui al comma 7.

17. Nelle zone non vincolate per la opposizione manifestata dai proprietari o conduttori di fondi interessati, resta, in ogni caso, precluso l'esercizio dell'attività venatoria. Le regioni possono destinare le suddette aree ad altro uso nell'ambito della pianificazione faunistico-venatoria.

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(6/cost) La Corte costituzionale, con sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 448 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 3, sollevata in riferimento all'art. 97, primo comma, della Costituzione.

 

11. Zona faunistica delle Alpi.

1. Agli effetti della presente legge il territorio delle Alpi, individuabile nella consistente presenza della tipica flora e fauna alpina, è considerato zona faunistica a sé stante.

2. Le regioni interessate, entro i limiti territoriali di cui al comma 1, emanano, nel rispetto dei principi generali della presente legge e degli accordi internazionali, norme particolari al fine di proteggere la caratteristica fauna e disciplinare l'attività venatoria, tenute presenti le consuetudini e le tradizioni locali.

3. Al fine di ripristinare l'integrità del biotopo animale, nei territori ove sia esclusivamente presente la tipica fauna alpina è consentita la immissione di specie autoctone previo parere favorevole dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica.

4. Le regioni nei cui territori sono compresi quelli alpini, d'intesa con le regioni a statuto speciale e con le province autonome di Trento e di Bolzano, determinano i confini della zona faunistica delle Alpi con l'apposizione di tabelle esenti da tasse.

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12. Esercizio dell'attività venatoria.

1. L'attività venatoria si svolge per una concessione che lo Stato rilascia ai cittadini che la richiedano e che posseggano i requisiti previsti dalla presente legge.

2. Costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto all'abbattimento o alla cattura di fauna selvatica mediante l'impiego dei mezzi di cui all'articolo 13.

3. È considerato altresì esercizio venatorio il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla.

4. Ogni altro modo di abbattimento è vietato, salvo che non avvenga per caso fortuito o per forza maggiore.

5. Fatto salvo l'esercizio venatorio con l'arco o con il falco, l'esercizio venatorio stesso può essere praticato in via esclusiva in una delle seguenti forme:

a) vagante in zona Alpi;

b) da appostamento fisso;

c) nell'insieme delle altre forme di attività venatoria consentite dalla presente legge e praticate nel rimanente territorio destinato all'attività venatoria programmata.

6. La fauna selvatica abbattuta durante l'esercizio venatorio nel rispetto delle disposizioni della presente legge appartiene a colui che l'ha cacciata.

7. Non costituisce esercizio venatorio il prelievo di fauna selvatica ai fini di impresa agricola di cui all'articolo 10, comma 8, lettera d).

8. L'attività venatoria può essere esercitata da chi abbia compiuto il diciottesimo anno di età e sia munito di licenza di porto di fucile per uso di caccia, di polizza assicurativa per la responsabilità civile verso terzi derivante dall'uso delle armi o degli arnesi utili all'attività venatoria, con massimale di lire un miliardo per ogni sinistro, di cui lire 750 milioni per ogni persona danneggiata e lire 250 milioni per danni ad animali ed a cose, nonché di polizza assicurativa per infortuni correlata all'esercizio dell'attività venatoria, con massimale di lire 100 milioni per morte o invalidità permanente.

9. Il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, sentito il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale, provvede ogni quattro anni, con proprio decreto, ad aggiornare i massimali suddetti.

10. In caso di sinistro colui che ha subito il danno può procedere ad azione diretta nei confronti della compagnia di assicurazione presso la quale colui che ha causato il danno ha contratto la relativa polizza.

11. La licenza di porto di fucile per uso di caccia ha validità su tutto il territorio nazionale e consente l'esercizio venatorio nel rispetto delle norme di cui alla presente legge e delle norme emanate dalle regioni.

12. Ai fini dell'esercizio dell'attività venatoria è altresì necessario il possesso di un apposito tesserino rilasciato dalla regione di residenza, ove sono indicate le specifiche norme inerenti il calendario regionale, nonché le forme di cui al comma 5 e gli ambiti territoriali di caccia ove è consentita l'attività venatoria. Per l'esercizio della caccia in regioni diverse da quella di residenza è necessario che, a cura di quest'ultima, vengano apposte sul predetto tesserino le indicazioni sopramenzionate.

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13. Mezzi per l'esercizio dell'attività venatoria.

1. L'attività venatoria è consentita con l'uso del fucile con canna ad anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore contenente non più di due cartucce, di calibro non superiore al 12, nonché con fucile con canna ad anima rigata a caricamento singolo manuale o a ripetizione semiautomatica di calibro non inferiore a millimetri 5,6 con bossolo a vuoto di altezza non inferiore a millimetri 40.

2. È consentito, altresì, l'uso del fucile a due o tre canne (combinato), di cui una o due ad anima liscia di calibro non superiore al 12 ed una o due ad anima rigata di calibro non inferiore a millimetri 5,6, nonché l'uso dell'arco e del falco.

3. I bossoli delle cartucce devono essere recuperati dal cacciatore e non lasciati sul luogo di caccia.

4. Nella zona faunistica delle Alpi è vietato l'uso del fucile con canna ad anima liscia a ripetizione semiautomatica salvo che il relativo caricatore sia adattato in modo da non contenere più di un colpo.

5. Sono vietati tutte le armi e tutti i mezzi per l'esercizio venatorio non esplicitamente ammessi dal presente articolo.

6. Il titolare della licenza di porto di fucile anche per uso di caccia è autorizzato, per l'esercizio venatorio, a portare, oltre alle armi consentite, gli utensili da punta e da taglio atti alle esigenze venatorie (7/cost).

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(7/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 20-30 marzo 1995, n. 95 (Gazz. Uff. 5 aprile 1995, n. 14, Serie speciale), ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, primo comma, lett. h), e dell'art. 13, sollevata in riferimento agli artt. 25, secondo comma e 3 della Costituzione.

 

 

14. Gestione programmata della caccia.

1. Le regioni, con apposite norme, sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e le province interessate, ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata ai sensi dell'articolo 10, comma 6, in ambiti territoriali di caccia, di dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali.

2. Le regioni tra loro confinanti, per esigenze motivate, possono, altresì, individuare ambiti territoriali di caccia interessanti anche due o più province contigue.

3. Il Ministero dell'agricoltura e delle foreste stabilisce con periodicità quinquennale, sulla base dei dati censuari, l'indice di densità venatoria minima per ogni ambito territoriale di caccia. Tale indice è costituito dal rapporto fra il numero dei cacciatori, ivi compresi quelli che praticano l'esercizio venatorio da appostamento fisso, ed il territorio agro-silvo-pastorale nazionale (7/a).

4. Il Ministero dell'agricoltura e delle foreste stabilisce altresì l'indice di densità venatoria minima per il territorio compreso nella zona faunistica delle Alpi che è organizzato in comprensori secondo le consuetudini e tradizioni locali. Tale indice è costituito dal rapporto tra il numero dei cacciatori, ivi compresi quelli che praticano l'esercizio venatorio da appostamento fisso, e il territorio regionale compreso, ai sensi dell'articolo 11, comma 4, nella zona faunistica delle Alpi (7/a).

5. Sulla base di norme regionali, ogni cacciatore, previa domanda all'amministrazione competente, ha diritto all'accesso in un ambito territoriale di caccia o in un comprensorio alpino compreso nella regione in cui risiede e può aver accesso ad altri ambiti o ad altri comprensori anche compresi in una diversa regione, previo consenso dei relativi organi di gestione.

6. Entro il 30 novembre 1993 i cacciatori comunicano alla provincia di residenza la propria opzione ai sensi dell'articolo 12. Entro il 31 dicembre 1993 le province trasmettono i relativi dati al Ministero dell'agricoltura e delle foreste.

7. Entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 6, il Ministero dell'agricoltura e delle foreste comunica alle regioni e alle province gli indici di densità minima di cui ai commi 3 e 4. Nei successivi novanta giorni le regioni approvano e pubblicano il piano faunistico-venatorio e il regolamento di attuazione, che non può prevedere indici di densità venatoria inferiori a quelli stabiliti dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste. Il regolamento di attuazione del piano faunistico-venatorio deve prevedere, tra l'altro, le modalità di prima costituzione degli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia e dei comprensori alpini, la loro durata in carica nonché le norme relative alla loro prima elezione e ai successivi rinnovi. Le regioni provvedono ad eventuali modifiche o revisioni del piano faunistico-venatorio e del regolamento di attuazione con periodicità quinquennale.

8. È facoltà degli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia e dei comprensori alpini, con delibera motivata, di ammettere nei rispettivi territori di competenza un numero di cacciatori superiore a quello fissato dal regolamento di attuazione, purché si siano accertate, anche mediante censimenti, modificazioni positive della popolazione faunistica e siano stabiliti con legge regionale i criteri di priorità per l'ammissibilità ai sensi del presente comma.

9. Le regioni stabiliscono con legge le forme di partecipazione, anche economica, dei cacciatori alla gestione, per finalità faunistico-venatorie, dei territori compresi negli ambiti territoriali di caccia e nei comprensori alpini ed, inoltre, sentiti i relativi organi, definiscono il numero dei cacciatori non residenti ammissibili e ne regolamentano l'accesso.

10. Negli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia deve essere assicurata la presenza paritaria, in misura pari complessivamente al 60 per cento dei componenti, dei rappresentanti di strutture locali delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle associazioni venatorie nazionali riconosciute, ove presenti in forma organizzata sul territorio. Il 20 per cento dei componenti è costituito da rappresentanti di associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l'ambiente e il 20 per cento da rappresentanti degli enti locali.

11. Negli ambiti territoriali di caccia l'organismo di gestione promuove e organizza le attività di ricognizione delle risorse ambientali e della consistenza faunistica, programma agli interventi per il miglioramento degli habitat, provvede all'attribuzione di incentivi economici ai conduttori dei fondi rustici per:

a) la ricostituzione di una presenza faunistica ottimale per il territorio; le coltivazioni per l'alimentazione naturale dei mammiferi e degli uccelli soprattutto nei terreni dismessi da interventi agricoli ai sensi del regolamento (CEE) n. 1094/88 del Consiglio del 25 aprile 1988; il ripristino di zone umide e di fossati; la differenziazione delle colture; la coltivazione di siepi, cespugli, alberi adatti alla nidificazione;

b) la tutela dei nidi e dei nuovi nati di fauna selvatica nonché dei riproduttori;

c) la collaborazione operativa ai fini del tabellamento, della difesa preventiva delle coltivazioni passibili di danneggiamento, della pasturazione invernale degli animali in difficoltà, della manutenzione degli apprestamenti di ambientamento della fauna selvatica.

12. Le province autorizzano la costituzione ed il mantenimento degli appostamenti fissi senza richiami vivi, la cui ubicazione non deve comunque ostacolare l'attuazione del piano faunistico-venatorio. Per gli appostamenti che importino preparazione del sito con modificazione e occupazione stabile del terreno, è necessario il consenso del proprietario o del conduttore del fondo, lago o stagno privato. Agli appostamenti fissi, costituiti alla data di entrata in vigore della presente legge, per la durata che sarà definita dalle norme regionali, non è applicabile l'articolo 10, comma 8, lettera h).

13. L'appostamento temporaneo è inteso come caccia vagante ed è consentito a condizione che non si produca modifica di sito.

14. L'organo di gestione degli ambiti territoriali di caccia provvede, altresì, all'erogazione di contributi per il risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica e dall'esercizio dell'attività venatoria nonché alla erogazione di contributi per interventi, previamente concordati, ai fini della prevenzione dei danni medesimi.

15. In caso di inerzia delle regioni negli adempimenti di cui al presente articolo, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, di concerto con il Ministro dell'ambiente, assegna ad esse il termine di novanta giorni per provvedere, decorso inutilmente il quale il Presidente del Consiglio dei ministri provvede in via sostitutiva, previa deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell'agricoltura e delle foreste, di concerto con il Ministro dell'ambiente.

16. A partire dalla stagione venatoria 1995-1996 i calendari venatori delle province devono indicare le zone dove l'attività venatoria è consentita in forma programmata, quelle riservate alla gestione venatoria privata e le zone dove l'esercizio venatorio non è consentito.

17. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, in base alle loro competenze esclusive, nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti ed ai sensi dell'articolo 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86 (8), e nel rispetto dei principi della presente legge, provvedono alla pianificazione faunistico-venatoria, alla suddivisione territoriale, alla determinazione della densità venatoria, nonché alla regolamentazione per l'esercizio di caccia nel territorio di competenza.

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(7/a) Il D.M. 30 gennaio 1993 (Gazz. Uff. 15 febbraio 1993, n. 37), sostituendo il precedente D.M. 31 dicembre 1992 (Gazz. Uff. 20 gennaio 1993, n. 15), ha così disposto:

«Art. 1. L'indice di densità venatoria minima, di cui all'art. 14, comma 3, della L. 11 febbraio 1992, n. 157, in sede di prima attuazione e per ogni ambito territoriale di caccia, già fissato con D.M. 31 dicembre 1992, è ridefinito pari a 0,0526 cacciatori/ettaro, ovvero 19,01 ettari/cacciatore.

Art. 2. L'indice di densità venatoria minima, di cui all'art. 14, comma 4, della L. 11 febbraio 1992, n. 157, in sede di prima attuazione e per il territorio compreso nella zona faunistica delle Alpi è ridefinito pari a 0,0518 cacciatori/ettaro, ovvero 19,30 ettari/cacciatore».

(7/a) Il D.M. 30 gennaio 1993 (Gazz. Uff. 15 febbraio 1993, n. 37), sostituendo il precedente D.M. 31 dicembre 1992 (Gazz. Uff. 20 gennaio 1993, n. 15), ha così disposto:

«Art. 1. L'indice di densità venatoria minima, di cui all'art. 14, comma 3, della L. 11 febbraio 1992, n. 157, in sede di prima attuazione e per ogni ambito territoriale di caccia, già fissato con D.M. 31 dicembre 1992, è ridefinito pari a 0,0526 cacciatori/ettaro, ovvero 19,01 ettari/cacciatore.

Art. 2. L'indice di densità venatoria minima, di cui all'art. 14, comma 4, della L. 11 febbraio 1992, n. 157, in sede di prima attuazione e per il territorio compreso nella zona faunistica delle Alpi è ridefinito pari a 0,0518 cacciatori/ettaro, ovvero 19,30 ettari/cacciatore».

(8) Riportata alla voce Comunità europee.

 

15. Utilizzazione dei fondi ai fini della gestione programmata della caccia.

1. Per l'utilizzazione dei fondi inclusi nel piano faunistico-venatorio regionale ai fini della gestione programmata della caccia, è dovuto ai proprietari o conduttori un contributo da determinarsi a cura della amministrazione regionale in relazione alla estensione, alle condizioni agronomiche, alle misure dirette alla tutela e alla valorizzazione dell'ambiente.

2. All'onere derivante dalla erogazione del contributo di cui al comma 1, si provvede con il gettito derivante dalla istituzione delle tasse di concessione regionale di cui all'articolo 23.

3. Il proprietario o conduttore di un fondo che intenda vietare sullo stesso l'esercizio dell'attività venatoria deve inoltrare, entro trenta giorni dalla pubblicazione del piano faunistico-venatorio, al presidente della giunta regionale richiesta motivata che, ai sensi dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (9), dalla stessa è esaminata entro sessanta giorni.

4. La richiesta è accolta se non ostacola l'attuazione della pianificazione faunistico-venatoria di cui all'articolo 10. È altresì accolta, in casi specificatamente individuati con norme regionali, quando l'attività venatoria sia in contrasto con l'esigenza di salvaguardia di colture agricole specializzate nonché di produzioni agricole condotte con sistemi sperimentali o a fine di ricerca scientifica, ovvero quando sia motivo di danno o di disturbo ad attività di rilevante interesse economico, sociale o ambientale.

5. Il divieto è reso noto mediante l'apposizione di tabelle, esenti da tasse, a cura del proprietario o conduttore del fondo, le quali delimitino in maniera chiara e visibile il perimetro dell'area interessata.

6. Nei fondi sottratti alla gestione programmata della caccia è vietato a chiunque, compreso il proprietario o il conduttore, esercitare l'attività venatoria fino al venir meno delle ragioni del divieto.

7. L'esercizio venatorio è, comunque, vietato in forma vagante sui terreni in attualità di coltivazione. Si considerano in attualità di coltivazione: i terreni con coltivazioni erbacee da seme; i frutteti specializzati; i vigneti e gli uliveti specializzati fino alla data del raccolto; i terreni coltivati a soia e a riso, nonché a mais per la produzione di seme fino alla data del raccolto. L'esercizio venatorio in forma vagante è inoltre vietato sui terreni in attualità di coltivazione individuati dalle regioni, sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro strutture regionali, in relazione all'esigenza di protezione di altre colture specializzate o intensive.

8. L'esercizio venatorio è vietato a chiunque nei fondi chiusi da muro o da rete metallica o da altra effettiva chiusura, di altezza non inferiore a metri 1,20, o da corsi o specchi d'acqua perenni il cui letto abbia la profondità di almeno metri 1,50 e la larghezza di almeno 3 metri. I fondi chiusi esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge e quelli che si intenderà successivamente istituire devono essere notificati ai competenti uffici regionali. I proprietari o i conduttori dei fondi di cui al presente comma provvedono ad apporre a loro carico adeguate tabellazioni esenti da tasse.

9. La superficie dei fondi di cui al comma 8 entra a far parte della quota dal 20 al 30 per cento del territorio agro-silvo-pastorale di cui all'articolo 10, comma 3.

10. Le regioni regolamentano l'esercizio venatorio nei fondi con presenza di bestiame allo stato brado o semibrado, secondo le particolari caratteristiche ambientali e di carico per ettaro, e stabiliscono i parametri entro i quali tale esercizio è vietato nonché le modalità di delimitazione dei fondi stessi.

11. Scaduti i termini di cui all'articolo 36, commi 5 e 6, fissati per l'adozione degli atti che consentano la piena attuazione della presente legge nella stagione venatoria 1994-1995, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste provvede in via sostitutiva secondo le modalità di cui all'articolo 14, comma 15. Comunque, a partire dal 31 luglio 1997 le disposizioni di cui al primo comma dell'articolo 842 del codice civile si applicano esclusivamente nei territori sottoposti al regime di gestione programmata della caccia ai sensi degli articoli 10 e 14 (9/a).

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(9) Riportata alla voce Ministeri: provvedimenti generali.

(9/a) Comma così modificato dall'art. 11-bis, D.L. 23 ottobre 1996, n. 542, riportato alla voce Termini di prescrizione e decadenza (Sospensione di). Lo stesso articolo ha, inoltre, disposto che non sono punibili i fatti commessi, in violazione delle presenti norme, in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto-legge.

 

 

16. Aziende faunistico-venatorie e aziende agri-turistico-venatorie.

1. Le regioni, su richiesta degli interessati e sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, entro i limiti del 15 per cento del proprio territorio agro-silvo-pastorale, possono:

a) autorizzare, regolamentandola, l'istituzione di aziende faunistico-venatorie, senza fini di lucro, soggette a tassa di concessione regionale, per prevalenti finalità naturalistiche e faunistiche con particolare riferimento alla tipica fauna alpina e appenninica, alla grossa fauna europea e a quella acquatica; dette concessioni devono essere corredate di programmi di conservazione e di ripristino ambientale al fine di garantire l'obiettivo naturalistico e faunistico. In tali aziende la caccia è consentita nelle giornate indicate dal calendario venatorio secondo i piani di assestamento e di abbattimento. In ogni caso, nelle aziende faunistico-venatorie non è consentito immettere o liberare fauna selvatica posteriormente alla data del 31 agosto;

b) autorizzare, regolamentandola, l'istituzione di aziende agri-turistico-venatorie, ai fini di impresa agricola, soggette a tassa di concessione regionale, nelle quali sono consentiti l'immissione e l'abbattimento per tutta la stagione venatoria di fauna selvatica di allevamento.

2. Le aziende agri-turistico-venatorie devono:

a) essere preferibilmente situate nei territori di scarso rilievo faunistico;

b) coincidere preferibilmente con il territorio di una o più aziende agricole ricadenti in aree di agricoltura svantaggiata, ovvero dismesse da interventi agricoli ai sensi del citato regolamento (CEE) n. 1094/88.

3. Le aziende agri-turistico-venatorie nelle zone umide e vallive possono essere autorizzate solo se comprendono bacini artificiali e fauna acquatica di allevamento, nel rispetto delle convenzioni internazionali.

4. L'esercizio dell'attività venatoria nelle aziende di cui al comma 1 è consentito nel rispetto delle norme della presente legge con la esclusione dei limiti di cui all'articolo 12, comma 5.

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17. Allevamenti.

1. Le regioni autorizzano, regolamentandolo, l'allevamento di fauna selvatica a scopo alimentare, di ripopolamento, ornamentale ed amatoriale.

2. Le regioni, ferme restando le competenze dell'Ente nazionale per la cinofilia italiana, dettano altresì norme per gli allevamenti dei cani da caccia.

3. Nel caso in cui l'allevamento di cui al comma 1 sia esercitato dal titolare di un'impresa agricola, questi è tenuto a dare semplice comunicazione alla competente autorità provinciale nel rispetto delle norme regionali.

4. Le regioni, ai fini dell'esercizio dell'allevamento a scopo di ripopolamento, organizzato in forma di azienda agricola singola, consortile o cooperativa, possono consentire al titolare, nel rispetto delle norme della presente legge, il prelievo di mammiferi ed uccelli in stato di cattività con i mezzi di cui all'articolo 13.

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18. Specie cacciabili e periodi di attività venatoria.

1. Ai fini dell'esercizio venatorio è consentito abbattere esemplari di fauna selvatica appartenenti alle seguenti specie e per i periodi sottoindicati:

a) specie cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre: quaglia (Coturnix coturnix); tortora (Streptopeia turtur); merlo (Turdus merula); [passero (Passer italiae)] (9/b); [passera mattugia (Passer montanus)] (9/b); [passera oltremontana (Passer domesticus)] (9/b); allodola (Alauda arvensis); [colino della Virginia (Colinus virginianus)] (9/b); starna (Perdix perdix); pernice rossa (Alectoris rufa); pernice sarda (Alectoris barbara); lepre comune (Lepus europaeus); lepre sarda (Lepus capensis); coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus); minilepre (Silvilagus floridamus);

b) specie cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio: [storno (Sturnus vulgaris)] (9/b); cesena (Turdus pilaris); tordo bottaccio (Turdus philomelos); tordo sassello (Turdus iliacus); fagiano (Phasianus colchicus); germano reale (Anas platyrhynchos); folaga (Fulica atra); gallinella d'acqua (Gallinula chloropus); alzavola (Anas crecca); canapiglia (Anas strepera); porciglione (Rallus aquaticus); fischione (Anas penelope); codone (Anas acuta); marzaiola (Anas querquedula); mestolone (Anas clypeata); moriglione (Aythya ferina); moretta (Aythya fuligula); beccaccino (Gallinago gallinago); colombaccio (Columba palumbus); frullino (Lymnocryptes minimus); [fringuello (Fringilla coelebs)] (9/c); [peppola (Fringilla montifringilla)] (9/c); combattente (Philomachus pugnax); beccaccia (Scolopax rusticola); [taccola (Corvus monedula)] (9/b); [corvo (Corvus frugilegus)] (9/b); cornacchia nera (Corvus corone); pavoncella (Vanellus vanellus); [pittima reale (Limosa limosa)] (9/b); cornacchia grigia (Corvus corone cornix); ghiandaia (Garrulus glandarius); gazza (Pica pica); volpe (Vulpes vulpes);

c) specie cacciabili dal 1° ottobre al 30 novembre: pernice bianca (Lagopus mutus); fagiano di monte (Tetrao tetrix); [francolino di monte (Bonasa bonasia)] (9/b); coturnice (Alectoris graeca); camoscio alpino (Rupicapra rupicapra); capriolo (Capreolus capreolus); cervo (Cervus elaphus); daino (Dama dama); muflone (Ovis musimon); con esclusione della popolazione sarda; lepre bianca (Lepus timidus);

d) specie cacciabili dal 1° ottobre al 31 dicembre o dal 1° novembre al 31 gennaio: cinghiale (Sus scrofa);

e) specie cacciabili dal 15 ottobre al 30 novembre limitatamente alla popolazione di Sicilia: Lepre italica (Lepus corsicanus) (9/d).

1-bis. In ogni caso deve essere rispettato il divieto di caccia nel periodo di nidificazione e durante le fasi di riproduzione e di dipendenza e, nei confronti delle specie migratrici, durante il periodo di riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione (9/e).

2. I termini di cui al comma 1 possono essere modificati per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali. Le regioni autorizzano le modifiche previo parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. I termini devono essere comunque contenuti tra il 1° settembre ed il 31 gennaio dell'anno nel rispetto dell'arco temporale massimo indicato al comma 1. L'autorizzazione regionale è condizionata alla preventiva predisposizione di adeguati piani faunistico-venatori. La stessa disciplina si applica anche per la caccia di selezione degli ungulati, sulla base di piani di abbattimento selettivi approvati dalle regioni; la caccia di selezione agli ungulati può essere autorizzata a far tempo dal 1° agosto nel rispetto dell'arco temporale di cui al comma 1.

3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'agricoltura e delle foreste, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, vengono recepiti i nuovi elenchi delle specie di cui al comma 1, entro sessanta giorni dall'avvenuta approvazione comunitaria o dall'entrata in vigore delle convenzioni internazionali. Il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'agricoltura e delle foreste, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, dispone variazioni dell'elenco delle specie cacciabili in conformità alle vigenti direttive comunitarie e alle convenzioni internazionali sottoscritte, tenendo conto della consistenza delle singole specie sul territorio.

4. Le regioni, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, pubblicano, entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all'intera annata venatoria, nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e con l'indicazione del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attività venatoria.

5. Il numero delle giornate di caccia settimanali non può essere superiore a tre. Le regioni possono consentirne la libera scelta al cacciatore, escludendo i giorni di martedì e venerdì, nei quali l'esercizio dell'attività venatoria è in ogni caso sospeso.

6. Fermo restando il silenzio venatorio nei giorni di martedì e venerdì, le regioni, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica e tenuto conto delle consuetudini locali, possono, anche in deroga al comma 5, regolamentare diversamente l'esercizio venatorio da appostamento alla fauna selvatica migratoria nei periodi intercorrenti fra il 1° ottobre e il 30 novembre.

7. La caccia è consentita da un'ora prima del sorgere del sole fino al tramonto. La caccia di selezione agli ungulati è consentita fino ad un'ora dopo il tramonto.

8. Non è consentita la posta alla beccaccia né la caccia da appostamento, sotto qualsiasi forma, al beccaccino.

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(9/b) Il D.P.C.M. 21 marzo 1997 (Gazz. Uff. 29 aprile 1997, n. 98), entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi ed amministrativi.

(9/b) Il D.P.C.M. 21 marzo 1997 (Gazz. Uff. 29 aprile 1997, n. 98), entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi ed amministrativi.

(9/b) Il D.P.C.M. 21 marzo 1997 (Gazz. Uff. 29 aprile 1997, n. 98), entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi ed amministrativi.

(9/b) Il D.P.C.M. 21 marzo 1997 (Gazz. Uff. 29 aprile 1997, n. 98), entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi ed amministrativi.

(9/b) Il D.P.C.M. 21 marzo 1997 (Gazz. Uff. 29 aprile 1997, n. 98), entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi ed amministrativi.

(9/c) Il D.P.C.M. 22 novembre 1993 (Gazz. Uff. 1° aprile 1994, n. 76) ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi e amministrativi.

(9/c) Il D.P.C.M. 22 novembre 1993 (Gazz. Uff. 1° aprile 1994, n. 76) ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi e amministrativi.

(9/b) Il D.P.C.M. 21 marzo 1997 (Gazz. Uff. 29 aprile 1997, n. 98), entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi ed amministrativi.

(9/b) Il D.P.C.M. 21 marzo 1997 (Gazz. Uff. 29 aprile 1997, n. 98), entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi ed amministrativi.

(9/b) Il D.P.C.M. 21 marzo 1997 (Gazz. Uff. 29 aprile 1997, n. 98), entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi ed amministrativi.

(9/b) Il D.P.C.M. 21 marzo 1997 (Gazz. Uff. 29 aprile 1997, n. 98), entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ha escluso dall'elenco la presente specie. L'art. 3 dello stesso decreto ha disposto che le Regioni provvedano ai rispettivi atti legislativi ed amministrativi.

(9/d) Lettera aggiunta dall'articolo unico, D.P.C.M. 7 maggio 2003 (Gazz. Uff. 3 luglio 2003, n. 152).

(9/e) Comma aggiunto dall'art. 9, D.L. 16 agosto 2006, n. 251.

 

 

19. Controllo della fauna selvatica.

1. Le regioni possono vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia a determinate specie di fauna selvatica di cui all'articolo 18, per importanti e motivate ragioni connesse alla consistenza faunistica o per sopravvenute particolari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o altre calamità.

2. Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l'Istituto verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio.

3. Le province autonome di Trento e di Bolzano possono attuare i piani di cui al comma 2 anche avvalendosi di altre persone, purché munite di licenza per l'esercizio venatorio.

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19-bis. Esercizio delle deroghe previste dall'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE.

1. Le regioni disciplinano l'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, conformandosi alle prescrizioni dell'articolo 9, ai princìpi e alle finalità degli articoli 1 e 2 della stessa direttiva ed alle disposizioni della presente legge.

2. Le deroghe sono provvedimenti di carattere eccezionale, e comunque di durata non superiore ad un anno, che devono essere motivati specificamente in ordine all'assenza di altre soluzioni soddisfacenti e alla tipologia di deroga applicata e devono essere adottati caso per caso in base all'analisi puntuale dei presupposti e delle condizioni di fatto stabiliti dall'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979. Le deroghe devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa, fermo restando quanto previsto dall'articolo 27, comma 2. I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d'intesa con gli àmbiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini (9/f).

3. Le deroghe di cui al comma 1 sono applicate per periodi determinati, in conformità al parere obbligatorio dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in diminuzione (9/g).

4. Fatto salvo il potere sostitutivo d'urgenza di cui all'articolo 8, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa diffida alla regione interessata ad adempiere entro dieci giorni, viene disposto l'annullamento dei provvedimenti di deroga posti in essere in violazione delle disposizioni della presente legge e della citata direttiva 79/409/CEE (9/h).

5. Entro il 30 giugno di ogni anno, ciascuna regione trasmette al Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero al Ministro per gli affari regionali ove nominato, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro per le politiche comunitarie, nonché all'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), una relazione sull'attuazione delle deroghe di cui al presente articolo; detta relazione è altresì trasmessa alle competenti Commissioni parlamentari. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio trasmette annualmente alla Commissione europea la relazione di cui all'articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 79/409/CEE (9/i).

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(9/f) Comma così modificato dall'art. 7, D.L. 16 agosto 2006, n. 251.

(9/g) Comma così modificato dall'art. 7, D.L. 16 agosto 2006, n. 251.

(9/h) Comma così sostituito dall'art. 7, D.L. 16 agosto 2006, n. 251.

(9/i) Articolo aggiunto dall'art. 1, L. 3 ottobre 2002, n. 221 (Gazz. Uff. 11 ottobre 2002, n. 239).

 

20. Introduzione di fauna selvatica dall'estero.

1. L'introduzione dall'estero di fauna selvatica viva, purché appartenente alle specie autoctone, può effettuarsi solo a scopo di ripopolamento e di miglioramento genetico.

2. I permessi d'importazione possono essere rilasciati unicamente a ditte che dispongono di adeguate strutture ed attrezzature per ogni singola specie di selvatici, al fine di avere le opportune garanzie per controlli, eventuali quarantene e relativi controlli sanitari.

3. Le autorizzazioni per le attività di cui al comma 1 sono rilasciate dal Ministro dell'agricoltura e delle foreste su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, nel rispetto delle convenzioni internazionali e previa consultazione della Commissione europea (10).

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(10) Comma così modificato dall'art. 9, D.L. 16 agosto 2006, n. 251.

 

 

21. Divieti.

1. È vietato a chiunque:

a) l'esercizio venatorio nei giardini, nei parchi pubblici e privati, nei parchi storici e archeologici e nei terreni adibiti ad attività sportive;

b) l'esercizio venatorio nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali conformemente alla legislazione nazionale in materia di parchi e riserve naturali. Nei parchi naturali regionali costituiti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 6 dicembre 1991, n. 394, le regioni adeguano la propria legislazione al disposto dell'articolo 22, comma 6, della predetta legge entro il 31 gennaio 1997, provvedendo nel frattempo all'eventuale riperimetrazione dei parchi naturali regionali anche ai fini dell'applicazione dell'articolo 32, comma 3, della legge medesima (10/a);

c) l'esercizio venatorio nelle oasi di protezione e nelle zone di ripopolamento e cattura, nei centri di riproduzione di fauna selvatica, nelle foreste demaniali ad eccezione di quelle che, secondo le disposizioni regionali, sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, non presentino condizioni favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica;

d) l'esercizio venatorio ove vi siano opere di difesa dello Stato ed ove il divieto sia richiesto a giudizio insindacabile dell'autorità militare, o dove esistano beni monumentali, purché dette zone siano delimitate da tabelle esenti da tasse indicanti il divieto;

e) l'esercizio venatorio nelle aie e nelle corti o altre pertinenze di fabbricati rurali; nelle zone comprese nel raggio di cento metri da immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro e a distanza inferiore a cinquanta metri da vie di comunicazione ferroviaria e da strade carrozzabili, eccettuate le strade poderali ed interpoderali;

f) sparare da distanza inferiore a centocinquanta metri con uso di fucile da caccia con canna ad anima liscia, o da distanza corrispondente a meno di una volta e mezza la gittata massima in caso di uso di altre armi, in direzione di immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro; di vie di comunicazione ferroviaria e di strade carrozzabili, eccettuate quelle poderali ed interpoderali; di funivie, filovie ed altri impianti di trasporto a sospensione; di stabbi, stazzi, recinti ed altre aree delimitate destinate al ricovero ed all'alimentazione del bestiame nel periodo di utilizzazione agro-silvo-pastorale;

g) il trasporto, all'interno dei centri abitati e delle altre zone ove è vietata l'attività venatoria, ovvero a bordo di veicoli di qualunque genere e comunque nei giorni non consentiti per l'esercizio venatorio dalla presente legge e dalle disposizioni regionali, di armi da sparo per uso venatorio che non siano scariche e in custodia;

h) cacciare a rastrello in più di tre persone ovvero utilizzare, a scopo venatorio, scafandri o tute impermeabili da sommozzatore negli specchi o corsi d'acqua;

i) cacciare sparando da veicoli a motore o da natanti o da aeromobili;

l) cacciare a distanza inferiore a cento metri da macchine operatrici agricole in funzione;

m) cacciare su terreni coperti in tutto o nella maggior parte di neve, salvo che nella zona faunistica delle Alpi, secondo le disposizioni emanante dalle regioni interessate;

n) cacciare negli stagni, nelle paludi e negli specchi d'acqua artificiali in tutto o nella maggior parte coperti da ghiaccio e su terreni allagati da piene di fiume;

o) prendere e detenere uova, nidi e piccoli nati di mammiferi e uccelli appartenenti alla fauna selvatica, salvo che nei casi previsti all'articolo 4, comma 1, o nelle zone di ripopolamento e cattura, nei centri di riproduzione di fauna selvatica e nelle oasi di protezione per sottrarli a sicura distruzione o morte, purché, in tale ultimo caso, se ne dia pronto avviso nelle ventiquattro ore successive alla competente amministrazione provinciale; distruggere o danneggiare deliberatamente nidi e uova, nonché disturbare deliberatamente le specie protette di uccelli (10/b);

p) usare richiami vivi, al di fuori dei casi previsti dall'articolo 5;

q) usare richiami vivi non provenienti da allevamento nella caccia agli acquatici;

r) usare a fini di richiamo uccelli vivi accecati o mutilati ovvero legati per le ali e richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono;

s) cacciare negli specchi d'acqua ove si esercita l'industria della pesca o dell'acquacoltura, nonché nei canali delle valli da pesca, quando il possessore le circondi con tabelle, esenti da tasse, indicanti il divieto di caccia;

t) commerciare fauna selvatica morta non proveniente da allevamenti per sagre e manifestazioni a carattere gastronomico;

u) usare munizione spezzata nella caccia agli ungulati; usare esche o bocconi avvelenati, vischio o altre sostanze adesive, trappole, reti, tagliole, lacci, archetti o congegni similari; fare impiego di civette; usare armi da sparo munite di silenziatore o impostate con scatto provocato dalla preda; fare impiego di balestre;

v) vendere a privati e detenere da parte di questi reti da uccellagione;

z) produrre, vendere e detenere trappole per la fauna selvatica;

aa) l'esercizio in qualunque forma del tiro al volo su uccelli a partire dal 1° gennaio 1994, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 10, comma 8, lettera e);

bb) vendere, detenere per vendere, trasportare per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, appartenenti alla fauna selvatica, che non appartengano alle seguenti specie: germano reale (anas platyrhynchos); pernice rossa (alectoris rufa); pernice di Sardegna (alectoris barbara); starna (perdix perdix); fagiano (phasianus colchicus); colombaccio (columba palumbus) (10/c);

cc) il commercio di esemplari vivi di specie di avifauna selvatica nazionale non proveniente da allevamenti;

dd) rimuovere, danneggiare o comunque rendere inidonee al loro fine le tabelle legittimamente apposte ai sensi della presente legge o delle disposizioni regionali a specifici ambiti territoriali, ferma restando l'applicazione dell'articolo 635 del codice penale;

ee) detenere, acquistare e vendere esemplari di fauna selvatica, ad eccezione dei capi utilizzati come richiami vivi nel rispetto delle modalità previste dalla presente legge e della fauna selvatica lecitamente abbattuta, la cui detenzione viene regolamentata dalle regioni anche con le norme sulla tassidermia;

ff) l'uso dei segugi per la caccia al camoscio.

2. Se le regioni non provvedono entro il termine previsto dall'articolo 1, comma 5, ad istituire le zone di protezione lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste assegna alle regioni stesse novanta giorni per provvedere. Decorso inutilmente tale termine è vietato cacciare lungo le suddette rotte a meno di cinquecento metri dalla costa marina del continente e delle due isole maggiori; le regioni provvedono a delimitare tali aree con apposite tabelle esenti da tasse.

3. La caccia è vietata su tutti i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna, per una distanza di mille metri dagli stessi.

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(10/a) Lettera così modificata dall'art. 11-bis, D.L. 23 ottobre 1996, n. 542, riportato alla voce Termini di prescrizione e decadenza (Sospensione di). Lo stesso articolo ha, inoltre, disposto che non sono punibili i fatti commessi, in violazione delle presenti norme, in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto-legge.

(10/b) Lettera così modificata dall'art. 9, D.L. 16 agosto 2006, n. 251.

(10/c) Lettera così modificata dall'art. 9, D.L. 16 agosto 2006, n. 251.

 

22. Licenza di porto di fucile per uso di caccia e abilitazione all'esercizio venatorio.

1. La licenza di porto di fucile per uso di caccia è rilasciata in conformità alle leggi di pubblica sicurezza.

2. Il primo rilascio avviene dopo che il richiedente ha conseguito l'abilitazione all'esercizio venatorio a seguito di esami pubblici dinanzi ad apposita commissione nominata dalla regione in ciascun capoluogo di provincia.

3. La commissione di cui al comma 2 è composta da esperti qualificati in ciascuna delle materie indicate al comma 4, di cui almeno un laureato in scienze biologiche o in scienze naturali esperto in vertebrati omeotermi.

4. Le regioni stabiliscono le modalità per lo svolgimento degli esami, che devono in particolare riguardare nozioni nelle seguenti materie:

a) legislazione venatoria;

b) zoologia applicata alla caccia con prove pratiche di riconoscimento delle specie cacciabili;

c) armi e munizioni da caccia e relativa legislazione;

d) tutela della natura e principi di salvaguardia della produzione agricola;

e) norme di pronto soccorso.

5. L'abilitazione è concessa se il giudizio è favorevole in tutti e cinque gli esami elencati al comma 4.

6. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni promuovono corsi di aggiornamento sulle caratteristiche innovative della legge stessa.

7. L'abilitazione all'esercizio venatorio è necessaria, oltre che per il primo rilascio della licenza, anche per il rinnovo della stessa in caso di revoca.

8. Per sostenere gli esami il candidato deve essere munito del certificato medico di idoneità.

9. La licenza di porto di fucile per uso di caccia ha la durata di sei anni e può essere rinnovata su domanda del titolare corredata di un nuovo certificato medico di idoneità di data non anteriore a tre mesi dalla domanda stessa.

10. Nei dodici mesi successivi al rilascio della prima licenza il cacciatore può praticare l'esercizio venatorio solo se accompagnato da cacciatore in possesso di licenza rilasciata da almeno tre anni che non abbia commesso violazioni alle norme della presente legge comportanti la sospensione o la revoca della licenza ai sensi dell'articolo 32.

11. Le norme di cui al presente articolo si applicano anche per l'esercizio della caccia mediante l'uso dell'arco e del falco.

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23. Tasse di concessione regionale.

1. Le regioni, per conseguire i mezzi finanziari necessari per realizzare i fini previsti dalla presente legge e dalle leggi regionali in materia, sono autorizzate ad istituire una tassa di concessione regionale, ai sensi dell'articolo 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (11), e successive modificazioni, per il rilascio dell'abilitazione all'esercizio venatorio di cui all'articolo 22.

2. La tassa di cui al comma 1 è soggetta al rinnovo annuale e può essere fissata in misura non inferiore al 50 per cento e non superiore al 100 per cento della tassa erariale di cui al numero 26, sottonumero I), della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641 (12), e successive modificazioni. Essa non è dovuta qualora durante l'anno il cacciatore eserciti l'attività venatoria esclusivamente all'estero.

3. Nel caso di diniego della licenza di porto di fucile per uso di caccia la tassa regionale deve essere rimborsata. La tassa di concessione regionale viene rimborsata anche al cacciatore che rinunci all'assegnazione dell'ambito territoriale di caccia. La tassa di rinnovo non è dovuta qualora non si eserciti la caccia durante l'anno.

4. I proventi della tassa di cui al comma 1 sono utilizzati anche per il finanziamento o il concorso nel finanziamento di progetti di valorizzazione del territorio presentati anche da singoli proprietari o conduttori di fondi, che, nell'ambito della programmazione regionale, contemplino, tra l'altro, la creazione di strutture per l'allevamento di fauna selvatica nonché dei riproduttori nel periodo autunnale; la manutenzione degli apprestamenti di ambientamento della fauna selvatica; l'adozione di forme di lotta integrata e di lotta guidata; il ricorso a tecniche colturali e tecnologie innovative non pregiudizievoli per l'ambiente; la valorizzazione agri-turistica di percorsi per l'accesso alla natura e alla conoscenza scientifica e culturale della fauna ospite; la manutenzione e pulizia dei boschi anche al fine di prevenire incendi.

5. Gli appostamenti fissi, i centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, le aziende faunistico-venatorie e le aziende agri-turistico-venatorie sono soggetti a tasse regionali.

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(11) Riportata alla voce Regioni.

(12) Riportato alla voce Concessioni governative (Tasse sulle).

 

24. Fondo presso il Ministero del tesoro.

1. A decorrere dall'anno 1992 presso il Ministero del tesoro è istituito un fondo la cui dotazione è alimentata da una addizionale di lire 10.000 alla tassa di cui al numero 26, sottonumero I), della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641 (12), e successive modificazioni.

2. Le disponibilità del fondo sono ripartite entro il 31 marzo di ciascun anno con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con i Ministri delle finanze e dell'agricoltura e delle foreste, nel seguente modo:

a) 4 per cento per il funzionamento e l'espletamento dei compiti istituzionali del Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale;

b) 1 per cento per il pagamento della quota di adesione dello Stato italiano al Consiglio internazionale della caccia e della conservazione della selvaggina;

c) 95 per cento fra le associazioni venatorie nazionali riconosciute, in proporzione alla rispettiva, documentata consistenza associativa.

3. L'addizionale di cui al presente articolo non è computata ai fini di quanto previsto all'articolo 23, comma 2.

4. L'attribuzione della dotazione prevista dal presente articolo alle associazioni venatorie nazionali riconosciute non comporta l'assoggettamento delle stesse al controllo previsto dalla legge 21 marzo 1958, n. 259 (13).

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(12) Riportato alla voce Concessioni governative (Tasse sulle).

(13) Riportata alla voce Corte dei Conti.

 

25. Fondo di garanzia per le vittime della caccia.

[1. È costituito presso l'Istituto nazionale delle assicurazioni un Fondo di garanzia per le vittime della caccia per il risarcimento dei danni a terzi causati dall'esercizio dell'attività venatoria nei seguenti casi:

a) l'esercente l'attività venatoria responsabile dei danni non sia identificato;

b) l'esercente l'attività venatoria responsabile dei danni non risulti coperto dall'assicurazione per la responsabilità civile verso terzi di cui all'articolo 12, comma 8 (14).

2. Nell'ipotesi di cui alla lettera a) del comma 1 il risarcimento è dovuto per i soli danni alla persona che abbiano comportato la morte od un'invalidità permanente superiore al 20 per cento, con il limite massimo previsto per ogni persona sinistrata dall'articolo 12, comma 8. Nell'ipotesi di cui alla lettera b) del comma 1 il risarcimento è dovuto per i danni alla persona, con il medesimo limite massimo di cui al citato articolo 12, comma 8, nonché per i danni alle cose il cui ammontare sia superiore a lire un milione e per la parte eccedente tale ammontare, sempre con il limite massimo di cui al citato articolo 12, comma 8. La percentuale di invalidità permanente, la qualifica di vivente a carico e la percentuale di reddito del sinistrato da calcolare a favore di ciascuno dei viventi a carico sono determinate in base alle norme del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante il testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

3. Le modalità di gestione da parte dell'Istituto nazionale delle assicurazioni del Fondo di garanzia per le vittime della caccia sono stabilite con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato.

4. Le imprese esercenti l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile di cui all'articolo 12, comma 8, sono tenute a versare annualmente all'Istituto nazionale delle assicurazioni, gestione autonoma del Fondo di garanzia per le vittime della caccia, un contributo da determinarsi in una percentuale dei premi incassati per la predetta assicurazione. La misura del contributo è determinata annualmente con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato nel limite massimo del 5 per cento dei predetti premi. Con lo stesso decreto sono stabilite le modalità di versamento del contributo. Nel primo anno di applicazione della presente legge il contributo predetto è stabilito nella misura dello 0,5 per cento dei premi del ramo responsabilità civile generale risultanti dall'ultimo bilancio approvato, da conguagliarsi l'anno successivo sulla base dell'aliquota che sarà stabilita dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, applicata ai premi dell'assicurazione di cui all'articolo 12, comma 8 (14/a).

5. L'Istituto nazionale delle assicurazioni, gestione autonoma del Fondo di garanzia per le vittime della caccia, che, anche in via di transazione, abbia risarcito il danno nei casi previsti dal comma 1, ha azione di regresso nei confronti del responsabile del sinistro per il recupero dell'indennizzo pagato nonché dei relativi interessi e spese (15/cost)] (14/b).

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(14) La Corte costituzionale, con sentenza 23 ottobre-6 novembre 2000, n. 470 (Gazz. Uff. 15 novembre 2000, n. 47 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui non prevede il risarcimento dei danni alla persona da parte del Fondo di garanzia per le vittime della caccia nel caso in cui colui che ha causato il danno risulti assicurato presso un'impresa assicuratrice che al momento del sinistro si trovi in stato di liquidazione coatta o vi venga posta successivamente.

(14/a) Per la determinazione del contributo e delle modalità di versamento di cui al presente comma, vedi il D.M. 12 ottobre 1993, riportato al n. XXXIII.

(15/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 17-24 giugno 2002, n. 278 (Gazz. Uff. 3 luglio 2002, n. 26, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 25 sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

(14/b) Articolo abrogato dal comma 1 dell'art. 354 del Codice delle assicurazioni private di cui al D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, con i limiti e la decorrenza indicati nel comma 4 dello stesso articolo.

 

 

26. Risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall'attività venatoria.

1. Per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall'attività venatoria, è costituito a cura di ogni regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti, al quale affluisce anche una percentuale dei proventi di cui all'articolo 23.

2. Le regioni provvedono, con apposite disposizioni, a regolare il funzionamento del fondo di cui al comma 1, prevedendo per la relativa gestione un comitato in cui siano presenti rappresentanti di strutture provinciali delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e rappresentanti delle associazioni venatorie nazionali riconosciute maggiormente rappresentative.

3. Il proprietario o il conduttore del fondo è tenuto a denunciare tempestivamente i danni al comitato di cui al comma 2, che procede entro trenta giorni alle relative verifiche anche mediante sopralluogo e ispezioni e nei centottanta giorni successivi alla liquidazione.

4. Per le domande di prevenzione dei danni, il termine entro cui il procedimento deve concludersi è direttamente disposto con norma regionale (14/cost).

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(14/cost) La Corte costituzionale con ordinanza 15-29 dicembre 2000, n. 581 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 1, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, sollevata in riferimento agli artt. 3, 32, primo comma, e 42, secondo comma, della Cost.

 

 

27. Vigilanza venatoria.

1. La vigilanza sulla applicazione della presente legge e delle leggi regionali è affidata:

a) agli agenti dipendenti degli enti locali delegati dalle regioni. A tali agenti è riconosciuta, ai sensi della legislazione vigente, la qualifica di agenti di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza. Detti agenti possono portare durante il servizio e per i compiti di istituto le armi da caccia di cui all'articolo 13 nonché armi con proiettili a narcotico. Le armi di cui sopra sono portate e detenute in conformità al regolamento di cui all'articolo 5, comma 5, della legge 7 marzo 1986, n. 65 (15);

b) alle guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale e a quelle delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell'ambiente, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (16).

2. La vigilanza di cui al comma 1 è, altresì, affidata agli ufficiali, sottufficiali e guardie del Corpo forestale dello Stato, alle guardie addette a parchi nazionali e regionali, agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, alle guardie giurate comunali, forestali e campestri ed alle guardie private riconosciute ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza; è affidata altresì alle guardie ecologiche e zoofile riconosciute da leggi regionali.

3. Gli agenti svolgono le proprie funzioni, di norma, nell'ambito della circoscrizione territoriale di competenza.

4. La qualifica di guardia volontaria può essere concessa, a norma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, a cittadini in possesso di un attestato di idoneità rilasciato dalle regioni previo superamento di apposito esame. Le regioni disciplinano la composizione delle commissioni preposte a tale esame garantendo in esse la presenza tra loro paritaria di rappresentanti di associazioni venatorie, agricole ed ambientaliste.

5. Agli agenti di cui ai commi 1 e 2 con compiti di vigilanza è vietato l'esercizio venatorio nell'ambito del territorio in cui esercitano le funzioni. Alle guardie venatorie volontarie è vietato l'esercizio venatorio durante l'esercizio delle loro funzioni.

6. I corsi di preparazione e di aggiornamento delle guardie per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza sull'esercizio venatorio, sulla tutela dell'ambiente e della fauna e sulla salvaguardia delle produzioni agricole, possono essere organizzati anche dalle associazioni di cui al comma 1, lettera b), sotto il controllo della regione.

7. Le province coordinano l'attività delle guardie volontarie delle associazioni agricole, venatorie ed ambientaliste.

8. Il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, garantisce il coordinamento in ordine alle attività delle associazioni di cui al comma 1, lettera b), rivolte alla preparazione, aggiornamento ed utilizzazione delle guardie volontarie.

9. I cittadini in possesso, a norma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, della qualifica di guardia venatoria volontaria alla data di entrata in vigore della presente legge, non necessitano dell'attestato di idoneità di cui al comma 4 (16/a).

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(15) Riportata alla voce Comuni e province.

(16) Riportato alla voce Sicurezza pubblica.

(16/a) Vedi, anche, l'art. 163, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, riportato alla voce Regioni.

 

 

28. Poteri e compiti degli addetti alla vigilanza venatoria.

1. I soggetti preposti alla vigilanza venatoria ai sensi dell'articolo 27 possono chiedere a qualsiasi persona trovata in possesso di armi o arnesi atti alla caccia, in esercizio o in attitudine di caccia, la esibizione della licenza di porto di fucile per uso di caccia, del tesserino di cui all'articolo 12, comma 12, del contrassegno della polizza di assicurazione nonché della fauna selvatica abbattuta o catturata.

2. Nei casi previsti dall'articolo 30, gli ufficiali ed agenti che esercitano funzioni di polizia giudiziaria procedono al sequestro delle armi, della fauna selvatica e dei mezzi di caccia, con esclusione del cane e dei richiami vivi autorizzati. In caso di condanna per le ipotesi di cui al medesimo articolo 30, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e), le armi e i suddetti mezzi sono in ogni caso confiscati.

3. Quando è sequestrata fauna selvatica, viva o morta, gli ufficiali o agenti la consegnano all'ente pubblico localmente preposto alla disciplina dell'attività venatoria il quale, nel caso di fauna viva, provvede a liberarla in località adatta ovvero, qualora non risulti liberabile, a consegnarla ad un organismo in grado di provvedere alla sua riabilitazione e cura ed alla successiva reintroduzione nel suo ambiente naturale; in caso di fauna viva sequestrata in campagna, e che risulti liberabile, la liberazione è effettuata sul posto dagli agenti accertatori. Nel caso di fauna morta, l'ente pubblico provvede alla sua vendita tenendo la somma ricavata a disposizione della persona cui è contestata l'infrazione ove si accerti successivamente che l'illecito non sussiste; se, al contrario, l'illecito sussiste, l'importo relativo deve essere versato su un conto corrente intestato alla regione.

4. Della consegna o della liberazione di cui al comma 3, gli ufficiali o agenti danno atto in apposito verbale nel quale sono descritte le specie e le condizioni degli esemplari sequestrati, e quant'altro possa avere rilievo ai fini penali.

5. Gli organi di vigilanza che non esercitano funzioni di polizia giudiziaria, i quali accertino, anche a seguito di denuncia, violazioni delle disposizioni sull'attività venatoria, redigono verbali, conformi alla legislazione vigente, nei quali devono essere specificate tutte le circostanze del fatto e le eventuali osservazioni del contravventore, e li trasmettono all'ente da cui dipendono ed all'autorità competente ai sensi delle disposizioni vigenti.

6. Gli agenti venatori dipendenti degli enti locali che abbiano prestato servizio sostitutivo ai sensi della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (17), e successive modifiche e integrazioni, non sono ammessi all'esercizio di funzioni di pubblica sicurezza, fatto salvo il divieto di cui all'articolo 9 della medesima legge.

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(17) Riportata alla voce Forze armate.

 

29. Agenti dipendenti degli enti locali.

1. Ferme restando le altre disposizioni della legge 7 marzo 1986, n. 65 (18), gli agenti dipendenti degli enti locali, cui sono conferite a norma di legge le funzioni di agente di polizia giudiziaria e di agente di pubblica sicurezza per lo svolgimento dell'attività di vigilanza venatoria, esercitano tali attribuzioni nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e nei luoghi nei quali sono comandati a prestare servizio, e portano senza licenza le armi di cui sono dotati nei luoghi predetti ed in quelli attraversati per raggiungerli e per farvi ritorno.

2. Gli stessi agenti possono redigere i verbali di contestazione delle violazioni e degli illeciti amministrativi previsti dalla presente legge, e gli altri atti indicati dall'articolo 28, anche fuori dall'orario di servizio.

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(18) Riportata alla voce Comuni e province.

 

 

30. Sanzioni penali.

1. Per le violazioni delle disposizioni, della presente legge e delle leggi regionali si applicano le seguenti sanzioni:

a) l'arresto da tre mesi ad un anno o l'ammenda da lire 1.800.000 a lire 5.000.000 per chi esercita la caccia in periodo di divieto generale, intercorrente tra la data di chiusura e la data di apertura fissata dall'articolo 18;

b) l'arresto da due a otto mesi o l'ammenda da lire 1.500.000 a lire 4.000.000 per chi abbatte, cattura o detiene mammiferi o uccelli compresi nell'elenco di cui all'articolo 2;

c) l'arresto da tre mesi ad un anno e l'ammenda da lire 2.000.000 a lire 12.000.000 per chi abbatte, cattura o detiene esemplari di orso, stambecco, camoscio d'Abruzzo, muflone sardo;

d) l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda da lire 900.000 a lire 3.000.000 per chi esercita la caccia nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali, nelle riserve naturali, nelle oasi di protezione, nelle zone di ripopolamento e cattura, nei parchi e giardini urbani, nei terreni adibiti ad attività sportive;

e) l'arresto fino ad un anno o l'ammenda da lire 1.500.000 a lire 4.000.000 per chi esercita l'uccellagione;

f) l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a lire 1.000.000 per chi esercita la caccia nei giorni di silenzio venatorio;

g) l'ammenda fino a lire 6.000.000 per chi abbatte, cattura o detiene esemplari appartenenti alla tipica fauna stanziale alpina, non contemplati nella lettera b), della quale sia vietato l'abbattimento;

h) l'ammenda fino a lire 3.000.000 per chi abbatte, cattura o detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o fringillidi in numero superiore a cinque o per chi esercita la caccia con mezzi vietati. La stessa pena si applica a chi esercita la caccia con l'ausilio di richiami vietati di cui all'articolo 21, comma 1, lettera r). Nel caso di tale infrazione si applica altresì la misura della confisca dei richiami (7/cost);

i) l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a lire 4.000.000 per chi esercita la caccia sparando da autoveicoli, da natanti o da aeromobili;

l) l'arresto da due a sei mesi o l'ammenda da lire 1.000.000 a lire 4.000.000 per chi pone in commercio o detiene a tal fine fauna selvatica in violazione della presente legge. Se il fatto riguarda la fauna di cui alle lettere b), c) e g), le pene sono raddoppiate.

2. Per la violazione delle disposizioni della presente legge in materia di imbalsamazione e tassidermia si applicano le medesime sanzioni che sono comminate per l'abbattimento degli animali le cui spoglie sono oggetto del trattamento descritto. Le regioni possono prevedere i casi e le modalità di sospensione e revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di tassidermia e imbalsamazione.

3. Nei casi di cui al comma 1 non si applicano gli articoli 624, 625 e 626 del codice penale (18/cost). Salvo quanto espressamente previsto dalla presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni di legge e di regolamento in materia di armi.

4. Ai sensi dell'articolo 23 del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (19), le sanzioni penali stabilite dal presente articolo si applicano alle corrispondenti fattispecie come disciplinate dalle leggi provinciali (19/cost).

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(7/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 20-30 marzo 1995, n. 95 (Gazz. Uff. 5 aprile 1995, n. 14, Serie speciale), ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, primo comma, lett. h), e dell'art. 13, sollevata in riferimento agli artt. 25, secondo comma e 3 della Costituzione.

(18/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 5-12 febbraio 1996, n. 32 (Gazz. Uff. 21 febbraio 1996, n. 8, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma 3, primo periodo, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 9 della Costituzione.

(19) Riportato alla voce Trentino-Alto Adige.

(19/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 12-19 gennaio 1995 n. 25 (Gazz. Uff. 25 gennaio 1995, n. 4, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 30 e 31, sollevata in riferimento agli artt. 3, 9 e 42 della Costituzione.

 

 

31. Sanzioni amministrative.

1. Per le violazioni delle disposizioni della presente legge e delle leggi regionali, salvo che il fatto sia previsto dalla legge come reato, si applicano le seguenti sanzioni amministrative:

a) sanzione amministrativa da lire 400.000 a lire 2.400.000 per chi esercita la caccia in una forma diversa da quella prescelta ai sensi dell'articolo 12, comma 5;

b) sanzione amministrativa da lire 200.000 a lire 1.200.000 per chi esercita la caccia senza avere stipulato la polizza di assicurazione; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 400.000 a lire 2.400.000;

c) sanzione amministrativa da lire 300.000 a lire 1.800.000 per chi esercita la caccia senza aver effettuato il versamento delle tasse di concessione governativa o regionale; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 500.000 a lire 3.000.000;

d) sanzione amministrativa da lire 300.000 a lire 1.800.000 per chi esercita senza autorizzazione la caccia all'interno delle aziende faunistico-venatorie, nei centri pubblici o privati di riproduzione e negli ambiti e comprensori destinati alla caccia programmata; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 500.000 a lire 3.000.000; in caso di ulteriore violazione la sanzione è da lire 700.000 a lire 4.200.000. Le sanzioni previste dalla presente lettera sono ridotte di un terzo se il fatto è commesso mediante sconfinamento in un comprensorio o in un ambito territoriale di caccia viciniore a quello autorizzato;

e) sanzione amministrativa da lire 200.000 a lire 1.200.000 per chi esercita la caccia in zone di divieto non diversamente sanzionate; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 500.000 a lire 3.000.000;

f) sanzione amministrativa da lire 200.000 a lire 1.200.000 per chi esercita la caccia in fondo chiuso, ovvero nel caso di violazione delle disposizioni emanate dalle regioni o dalle province autonome di Trento e di Bolzano per la protezione delle coltivazioni agricole; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 500.000 a lire 3.000.000;

g) sanzione amministrativa da lire 200.000 a lire 1.200.000 per chi esercita la caccia in violazione degli orari consentiti o abbatte, cattura o detiene fringillidi in numero non superiore a cinque; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 400.000 a lire 2.400.000;

h) sanzione amministrativa da lire 300.000 a lire 1.800.000 per chi si avvale di richiami non autorizzati, ovvero in violazione delle disposizioni emanate dalle regioni ai sensi dell'articolo 5, comma 1; se la violazione è nuovamente commessa, la sanzione è da lire 500.000 a lire 3.000.000;

i) sanzione amministrativa da lire 150.000 a lire 900.000 per chi non esegue le prescritte annotazioni sul tesserino regionale;

l) sanzione amministrativa da lire 150.000 a lire 900.000 per ciascun capo, per chi importa fauna selvatica senza l'autorizzazione di cui all'articolo 20, comma 2; alla violazione consegue la revoca di eventuali autorizzazioni rilasciate ai sensi dell'articolo 20 per altre introduzioni;

m) sanzione amministrativa da lire 50.000 a lire 300.000 per chi, pur essendone munito, non esibisce, se legittimamente richiesto, la licenza, la polizza di assicurazione o il tesserino regionale; la sanzione è applicata nel minimo se l'interessato esibisce il documento entro cinque giorni.

2. Le leggi regionali prevedono sanzioni per gli abusi e l'uso improprio della tabellazione dei terreni.

3. Le regioni prevedono la sospensione dell'apposito tesserino di cui all'articolo 12, comma 12, per particolari infrazioni o violazioni delle norme regionali sull'esercizio venatorio.

4. Resta salva l'applicazione delle norme di legge e di regolamento per la disciplina delle armi e in materia fiscale e doganale.

5. Nei casi previsti dal presente articolo non si applicano gli articoli 624, 625 e 626 del codice penale.

6. Per quanto non altrimenti previsto dalla presente legge, si applicano le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689 (20), e successive modificazioni (19/cost).

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(20) Riportata alla voce Ordinamento giudiziario.

(19/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 12-19 gennaio 1995 n. 25 (Gazz. Uff. 25 gennaio 1995, n. 4, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 30 e 31, sollevata in riferimento agli artt. 3, 9 e 42 della Costituzione.

 

32. Sospensione, revoca e divieto di rilascio della licenza di porto di fucile per uso di caccia. Chiusura o sospensione dell'esercizio.

1. Oltre alle sanzioni penali previste dall'articolo 30, nei confronti di chi riporta sentenza di condanna definitiva o decreto penale di condanna divenuto esecutivo per una delle violazioni di cui al comma 1 dello stesso articolo, l'autorità amministrativa dispone:

a) la sospensione della licenza di porto di fucile per uso di caccia, per un periodo da uno a tre anni, nei casi previsti dal predetto articolo 30, comma 1, lettere a), b), d), ed i), nonché, relativamente ai fatti previsti dallo stesso comma, lettere f), g) e h), limitatamente alle ipotesi di recidiva di cui all'articolo 99, secondo comma, n. 1, del codice penale;

b) la revoca della licenza di porto di fucile per uso di caccia ed il divieto di rilascio per un periodo di dieci anni, nei casi previsti dal predetto articolo 30, comma 1, lettere c) ed e), nonché, relativamente ai fatti previsti dallo stesso comma, lettere d) ed i), limitatamente alle ipotesi di recidiva di cui all'articolo 99, secondo comma, n. 1, del codice penale;

c) l'esclusione definitiva della concessione della licenza di porto di fucile per uso di caccia, nei casi previsti dal predetto articolo 30, comma 1, lettere a), b), c) ed e), limitatamente alle ipotesi di recidiva di cui all'articolo 99, secondo comma, n. 1, del codice penale;

d) la chiusura dell'esercizio o la sospensione del relativo provvedimento autorizzatorio per un periodo di un mese, nel caso previsto dal predetto articolo 30, comma 1, lettera l); nelle ipotesi di recidiva di cui all'articolo 99, secondo comma, n. 1, del codice penale, la chiusura o la sospensione è disposta per un periodo da due a quattro mesi.

2. I provvedimenti indicati nel comma 1 sono adottati dal questore della provincia del luogo di residenza del contravventore, a seguito della comunicazione del competente ufficio giudiziario, quando è effettuata l'oblazione ovvero quando diviene definitivo il provvedimento di condanna.

3. Se l'oblazione non è ammessa, o non è effettuata nei trenta giorni successivi all'accertamento, l'organo accertatore dà notizia delle contestazioni effettuate a norma dell'articolo 30, comma 1, lettere a), b), c), d), e) ed i), al questore, il quale può disporre la sospensione cautelare ed il ritiro temporaneo della licenza a norma delle leggi di pubblica sicurezza.

4. Oltre alle sanzioni amministrative previste dall'articolo 31, si applica il provvedimento di sospensione per un anno della licenza di porto di fucile per uso di caccia nei casi indicati dallo stesso articolo 31, comma 1, lettera a), nonché, laddove la violazione sia nuovamente commessa, nei casi indicati alle lettere b), d), f) e g) del medesimo comma. Se la violazione di cui alla citata lettera a) è nuovamente commessa, la sospensione è disposta per un periodo di tre anni.

5. Il provvedimento di sospensione della licenza di porto di fucile per uso di caccia di cui al comma 4 è adottato dal questore della provincia del luogo di residenza di chi ha commesso l'infrazione, previa comunicazione, da parte dell'autorità amministrativa competente, che è stato effettuato il pagamento in misura ridotta della sanzione pecuniaria o che non è stata proposta opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione ovvero che è stato definito il relativo giudizio.

6. L'organo accertatore dà notizia delle contestazioni effettuate a norma del comma 4 al questore, il quale può valutare il fatto ai fini della sospensione e del ritiro temporaneo della licenza a norma delle leggi di pubblica sicurezza.

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33. Rapporti sull'attività di vigilanza.

1. Nell'esercizio delle funzioni amministrative di cui all'articolo 9 le regioni, entro il mese di maggio di ciascun anno a decorrere dal 1993, trasmettono al Ministro dell'agricoltura e delle foreste un rapporto informativo nel quale, sulla base di dettagliate relazioni fornite dalle province, è riportato lo stato dei servizi preposti alla vigilanza, il numero degli accertamenti effettuati in relazione alle singole fattispecie di illecito e un prospetto riepilogativo delle sanzioni amministrative e delle misure accessorie applicate. A tal fine il questore comunica tempestivamente all'autorità regionale, entro il mese di aprile di ciascun anno, i dati numerici inerenti alle misure accessorie applicate nell'anno precedente.

2. I rapporti di cui al comma 1 sono trasmessi al Parlamento entro il mese di ottobre di ciascun anno.

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34. Associazioni venatorie.

1. Le associazioni venatorie sono libere.

2. Le associazioni venatorie istituite per atto pubblico possono chiedere di essere riconosciute agli effetti della presente legge, purché posseggano i seguenti requisiti:

a) abbiano finalità ricreative, formative e tecnico-venatorie;

b) abbiano ordinamento democratico e posseggano una stabile organizzazione a carattere nazionale, con adeguati organi periferici;

c) dimostrino di avere un numero di iscritti non inferiore ad un quindicesimo del totale dei cacciatori calcolato dall'Istituto nazionale di statistica, riferito al 31 dicembre dell'anno precedente quello in cui avviene la presentazione della domanda di riconoscimento.

3. Le associazioni di cui al comma 2 sono riconosciute con decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste di concerto con il Ministro dell'interno, sentito il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale.

4. Qualora vengano meno i requisiti previsti per il riconoscimento, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste dispone con decreto la revoca del riconoscimento stesso.

5. Si considerano riconosciute agli effetti della presente legge la Federazione italiana della caccia e le associazioni venatorie nazionali (21), come sostituito dall'articolo 35 della legge 2 agosto 1967, n. 799.

6. Le associazioni venatorie nazionali riconosciute sono sottoposte alla vigilanza del Ministro dell'agricoltura e delle foreste.

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(21) Riportato al n. I.

 

35. Relazione sullo stato di attuazione della legge.

1. Al termine dell'annata venatoria 1994-1995 le regioni trasmettono al Ministro dell'agricoltura e delle foreste e al Ministro dell'ambiente una relazione sull'attuazione della presente legge.

2. Sulla base della relazioni di cui al comma 1, il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, presenta al Parlamento una relazione complessiva sullo stato di attuazione della presente legge.

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36. Disposizioni transitorie.

1. Le aziende faunistico-venatorie autorizzate dalle regioni ai sensi dell'articolo 36 della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (22), fino alla naturale scadenza della concessione sono regolate in base al provvedimento di concessione.

2. Su richiesta del concessionario, le regioni possono trasformare le aziende faunistico-venatorie di cui al comma 1 in aziende agri-turistico-venatorie.

3. Coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, detengano richiami vivi appartenenti a specie non consentite ovvero, se appartenenti a specie consentite, ne detengano un numero superiore a quello stabilito dalla presente legge, sono tenuti a farne denuncia all'ente competente.

4. In sede di prima attuazione, il Ministero dell'agricoltura e delle foreste definisce l'indice di densità venatoria minima di cui all'articolo 14, commi 3 e 4, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

5. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste sono fissati i termini per l'adozione, da parte dei soggetti partecipanti al procedimento di programmazione ai sensi della presente legge, degli atti di rispettiva competenza, secondo modalità che consentano la piena attuazione della legge stessa nella stagione venatoria 1994-1995 (23).

6. Le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi ed alle norme stabiliti dalla presente legge entro e non oltre il 31 luglio 1997 (24).

7. Le regioni a statuto speciale e le province autonome, entro il medesimo termine di cui al comma 6, adeguano la propria legislazione ai princìpi ed alle norme stabiliti dalla presente legge nei limiti della Costituzione e dei rispettivi statuti.

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(22) Riportata al n. XXII.

(23) Vedi il D.M. 12 agosto 1992, riportato al n. XXX.

(24) Comma così modificato dall'art. 11-bis, D.L. 23 ottobre 1996, n. 542, riportato alla voce Termini di prescrizione e decadenza (Sospensione di). Lo stesso articolo ha, inoltre, disposto che non sono punibili i fatti commessi, in violazione delle presenti norme, in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto-legge.

 

37. Disposizioni finali.

1. È abrogata la legge 27 dicembre 1977, n. 968 (22), ed ogni altra disposizione in contrasto con la presente legge.

2. Il limite per la detenzione delle armi da caccia di cui al sesto comma dell'articolo 10 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (25), come modificato dall'articolo 1 della legge 25 marzo 1986, n. 85, e dall'articolo 4 della legge 21 febbraio 1990, n. 36, è soppresso.

3. Ferme restando le disposizioni che disciplinano l'attività dell'Ente nazionale per la protezione degli animali, le guardie zoofile volontarie che prestano servizio presso di esso esercitano la vigilanza sull'applicazione della presente legge e delle leggi regionali in materia di caccia a norma dell'articolo 27, comma 1, lettera b).

 

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(22) Riportata al n. XXII.

(25) Riportata alla voce Sicurezza pubblica.


MINISTERO DELL'AMBIENTE

 

Deliberazione 2 dicembre 1996
Classificazione delle aree protette.

                             IL COMITATO

                    PER LE AREE NATURALI PROTETTE

  Vista la legge 8 luglio 1986, n. 349, concernente: "Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale";

  Vista la legge  6 dicembre 1991, n. 394, recante:  "Legge quadro in materia di aree protette";

  Visto l'art.  3, comma 1,  della citata  legge 6 dicembre  1991, n. 394,  che prevede  l'istituzione  del Comitato  per  le aree  naturali protette presieduto dal Ministro dell'ambiente;

  Visto l'art. 2, comma 5, della legge n. 394/1991 che dispone che il Comitato possa  "operare ulteriori  classificazioni per  le finalita' della presente  legge ed  allo scopo  di rendere  efficaci i  tipi di protezione previsti dalle convenzioni internazionali ed in particolare dalla convenzione  di Ramsar di  cui al decreto del  Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448";

  Visto l'art. 3,  comma 4, della legge n. 394/1991  che prevede alla lettera  a) che  il Comitato  integra la  classificazione delle  aree protette, sentita la consulta tecnica per le aree naturali protette;

  Viste le  direttive 79/409/CEE, concernente la  conservazione degli uccelli  selvatici, e  92/43/CEE, relativa  alla conservazione  degli habitat  naturali  e  seminaturali  e   della  flora  e  della  fauna selvatiche;

  Vista  la propria  deliberazione del  21 dicembre  1993, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 62 del 16 marzo 1994, con la quale veniva adottata la seguente classificazione delle aree protette:

    a) parco nazionale;

    b) riserva naturale statale;

    c) parco naturale interregionale;

    d) parco naturale regionale;

    e) riserva naturale regionale;

    f)  zona umida di  importazione internazionale  (ai  sensi  della convenzione  di  Ramsar,  di  cui al  decreto  del  presidente  della Repubblica n. 448 del 13 marzo 1976);

    g) altre aree naturali protette;

  Vista  la  proposta  del  Ministro dell'ambiente  di  integrare  la predetta classificazione con  tipologie riconducibili alle previsioni della normativa comunitaria sopra richiamata e precisamente:

  A)  Zona di  protezione speciale  (ZPS), ai  sensi della  direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici;

  B) Zona speciale  di conservazione (ZSC), ai  sensi della direttiva 92/43/CEE  relativa  alla  conservazione  degli  habitat  naturali  e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche;

  Visto  il  parere  della  consulta tecnica  per  le  aree  naturali protette, n. 29 del 13 novembre 1996, con il quale viene approvata la sopracitata proposta di integrazione della classificazione delle aree naturali protette e viene  richiesta una ulteriore integrazione delle classificazioni con la tipologia "Monumento naturale";

  Considerato  che   tale  tipologia   non  e'  prevista   da  alcuna convenzione internazionale;

  Ritenuto  di   non  poter   accogliere  la  suddetta   proposta  di integrazione in  quanto l'art.  2, comma 5,  della legge  n. 394/1991 esclude  la potesta'  classificatoria  del Comitato  quando essa  non abbia  come  scopo  anche  quello  di rendere  "efficaci  i  tipi  di protezione previsti dalle convenzioni internazionali";

  Visto il  verbale della  riunione del Comitato  in data  2 dicembre 1996;

                              Decreta:

                               Art. 1.

  Ai sensi dell'art. 3, comma 4, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e ad integrazione della propria deliberazione del 21 dicembre 1993 e' adottata la seguente classificazione delle aree protette:

    a) parco nazionale;

    b) riserva naturale statale;

    c) parco naturale interregionale;

    d) parco naturale regionale;

    e) riserva naturale regionale;

  f)  zona  umida  di   importanza  internazionale  (ai  sensi  della convenzione  di  Ramsar,  di  cui al  decreto  del  presidente  della Repubblica n. 448 del 13 marzo 1976);

  g) zona  di protezione  speciale (ZPS),  (ai sensi  della direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici);

  h) zona speciale di conservazione  (ZSC), (ai sensi della direttiva 92/43/CEE  relativa  alla  conservazione  degli  habitat  naturali  e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche);

    i) altre aree naturali protette.

                               Art. 2.

  Le tipologie di  aree di cui alle lettere g)  e h), sopra indicate, sono definite come di seguito specificato:

  Zona  di  protezione  speciale   (ZPS)  ai  sensi  della  direttiva 79/409/CEE:   un   territorio   idoneo   per   estensione   e/o   per localizzazione geografica alla conservazione  delle specie di uccelli di  cui all'allegato  I  della direttiva  79/409/CEE, concernente  la conservazione degli uccelli selvatici,  tenuto conto delle necessita' di  protezione di  queste ultime  nella zona  geografica marittima  e terrestre a cui si applica la direttiva stessa.

  Zona  speciale di  conservazione  (ZSC), ai  sensi della  direttiva 92/43/CEE:   un'area  naturale,   geograficamente   definita  e   con superficie delimitata, che:

  a) contiene zone  terrestri o acquatiche che  si distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, naturali o  seminaturali  (habitat  naturali),  e  che  contribuisce  in  modo significativo:

a  conservare o  ripristinare un  tipo di  habitat naturali  di cui all'allegato I o  una specie della flora e della  fauna selvatiche di cui  all'allegato   II  della  direttiva  92/43/CEE,   relativa  alla conservazione degli habitat  naturali e seminaturali e  della flora e della fauna selvatiche, in uno stato di conservazione soddisfacente;

a  conservare  la  diversita' biologica  nella  regione  paleartica mediante  la   protezione  degli   ambienti  Alpino,   Appenninico  e Mediterraneo;

b)  sia  designata  dallo  Stato mediante  un  atto  regolamentare, amministrativo  e/o contrattuale  e  nella quale  siano applicate  le misure di  conservazione necessarie al mantenimento  o al ripristino, in uno  stato di conservazione soddisfacente,  degli habitat naturali e/o  delle  popolazioni  delle  specie per  cui  l'area  naturale  e' designata.

                               Art. 3.

  La presente  deliberazione sara' trasmessa ai  competenti organi di controllo e successivamente pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

   Roma, 2 dicembre 1996

                                                Il Presidente: Ronchi

Registrata alla Corte dei conti il 24 aprile 1997

Registro n. 1 Ambiente, foglio n. 21

 


D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357
Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 23 ottobre 1997, n. 248, S.O.

(2) Con D.M. 3 aprile 2000 (Gazz. Uff. 22 aprile 2000, n. 95, S.O.), corretto con Comunicato pubblicato nella Gazz. Uff. 6 giugno 2000, n. 130 e modificato dal D.M. 25 marzo 2005 (Gazz. Uff. 8 luglio 2005, n. 157) e dal D.M. 25 marzo 2005 (Gazz. Uff. 21 luglio 2005, n. 168), è stato approvato l'elenco delle zone di protezione speciale designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE e dei siti di importanza comunitaria proposti ai sensi della direttiva 92/43/CEE. Con D.M. 25 marzo 2004 (Gazz. Uff. 19 luglio 2004, n. 167) è stato approvato l'elenco dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE. Con D.M. 25 marzo 2005 (Gazz. Uff. 7 luglio 2005, n. 156) è stato approvato l'elenco dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale, ai sensi della direttiva 92/43/CEE.

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l'articolo 87 della Costituzione;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 agosto 1988, n. 377, recante regolamentazione delle pronunce di compatibilità ambientale di cui all'articolo 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349, recante istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale;

Vista la legge 9 marzo 1989, n. 86, relativa alle norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari;

Vista la legge 6 dicembre 1991, n. 394, recante legge quadro sulle aree protette;

Vista la legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio;

Vista la direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche;

Vista la direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici;

Visto l'articolo 4 della legge 22 febbraio 1994, n. 146, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 1993, che autorizza l'attuazione, in via regolamentare, tra le altre, della direttiva 92/43/CEE;

Visto l'art. 17, comma 1, della legge 2 agosto 1988, n. 400;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 7 settembre 1996, recante atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'articolo 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale;

Visti gli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano;

Sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 31 luglio 1997, che ha espresso parere favorevole condizionato all'accettazione di alcuni emendamenti;

Considerato che non può essere accettato l'emendamento aggiuntivo, proposto dalla citata Conferenza, al comma 1 dell'articolo 4 e, conseguentemente, l'emendamento che abroga l'articolo 15 in quanto, in base all'articolo 8, comma 4, della legge 8 luglio 1986, n. 349, ed all'articolo 21 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, spetta al Corpo forestale dello Stato la sorveglianza nelle zone speciali di conservazione, salvo quanto diversamente disposto per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano;

Considerato che non possono essere accettati gli emendamenti, proposti dalla citata Conferenza, al comma 2 dell'articolo 7, al comma 1 dell'articolo 10 ed al comma 1 dell'articolo 11, in quanto la tutela della flora e della fauna rappresenta un interesse fondamentale dello Stato, come di recente ribadito anche dalla Corte costituzionale con sentenza n. 272 del 22 luglio 1996 e che la competenza in tale materia spetta al Ministero dell'ambiente, come stabilito dall'articolo 5 della legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del medesimo Ministero;

Udito il parere del Consiglio di Stato espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi, nell'adunanza del 9 giugno 1997;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 5 settembre 1997;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Emana il seguente regolamento:

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1. Campo di applicazione.

1. Il presente regolamento disciplina le procedure per l'adozione delle misure previste dalla direttiva 92/43/CEE «Habitat» relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, ai fini della salvaguardia della biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali elencati nell'allegato A e delle specie della flora e della fauna indicate agli allegati B, D ed E al presente regolamento.

2. Le procedure disciplinate dal presente regolamento sono intese ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora selvatiche di interesse comunitario.

3. Le procedure disciplinate dal presente regolamento tengono conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali.

4. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono all'attuazione degli obiettivi del presente regolamento nel rispetto di quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione.

4-bis. Gli allegati A, B, C, D, E, F e G costituiscono parte integrante del presente regolamento (3).

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(3) Comma aggiunto dall'art. 1, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

2. Definizioni.

1. Ai fini del presente regolamento sono adottate le seguenti definizioni:

a) conservazione: un complesso di misure necessarie per mantenere o ripristinare gli habitat naturali e le popolazioni di specie di fauna e flora selvatiche in uno stato soddisfacente come indicato nelle lettere e) ed i) del presente articolo;

b) habitat naturali: le zone terrestri o acquatiche che si distinguono in base alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, interamente naturali o seminaturali;

c) habitat naturali di interesse comunitario: gli habitat naturali, indicati nell'allegato A, che, nel territorio dell'Unione europea, alternativamente:

1) rischiano di scomparire nella loro area di distribuzione naturale;

2) hanno un'area di distribuzione naturale ridotta a seguito della loro regressione o per il fatto che la loro area è intrinsecamente ridotta (4);

3) costituiscono esempi notevoli di caratteristiche tipiche di una o più delle cinque regioni biogeografiche seguenti: alpina, atlantica, continentale, macaronesica e mediterranea;

d) tipi di habitat naturali prioritari: i tipi di habitat naturali che rischiano di scomparire per la cui conservazione l'Unione europea ha una responsabilità particolare a causa dell'importanza della loro area di distribuzione naturale e che sono evidenziati nell'allegato A al presente regolamento con un asterisco (*);

e) stato di conservazione di un habitat naturale: l'effetto della somma dei fattori che influiscono sull'habitat naturale nonché sulle specie tipiche che in esso si trovano, che possono alterarne, a lunga scadenza, la distribuzione naturale, la struttura e le funzioni, nonché la sopravvivenza delle sue specie tipiche. Lo stato di conservazione di un habitat naturale è definito «soddisfacente» quando:

1) la sua area di distribuzione naturale e la superficie che comprende sono stabili o in estensione;

2) la struttura e le funzioni specifiche necessarie al suo mantenimento a lungo termine esistono e possono continuare ad esistere in un futuro prevedibile;

3) lo stato di conservazione delle specie tipiche è soddisfacente e corrisponde a quanto indicato nella lettera i) del presente articolo;

f) habitat di una specie: ambiente definito da fattori abiotici e biotici specifici in cui vive la specie in una delle fasi del suo ciclo biologico;

g) specie di interesse comunitario: le specie, indicate negli allegati B, D ed E, che, nel territorio dell'Unione europea, alternativamente:

1) sono in pericolo con l'esclusione di quelle la cui area di distribuzione naturale si estende in modo marginale sul territorio dell'Unione europea e che non sono in pericolo né vulnerabili nell'area del paleartico occidentale;

2) sono vulnerabili, quando il loro passaggio nella categoria delle specie in pericolo è ritenuto probabile in un prossimo futuro, qualora persistano i fattori alla base di tale rischio;

3) sono rare, quando le popolazioni sono di piccole dimensioni e, pur non essendo attualmente né in pericolo né vulnerabili, rischiano di diventarlo a prescindere dalla loro distribuzione territoriale;

4) endemiche e richiedono particolare attenzione, a causa della specificità del loro habitat o delle incidenze potenziali del loro sfruttamento sul loro stato di conservazione;

h) specie prioritarie: le specie di cui alla lettera g) del presente articolo per la cui conservazione l'Unione europea ha una responsabilità particolare a causa dell'importanza della loro area di distribuzione naturale e che sono evidenziate nell'allegato B al presente regolamento con un asterisco (*);

i) stato di conservazione di una specie: l'effetto della somma dei fattori che, influendo sulle specie, possono alterarne a lungo termine la distribuzione e l'importanza delle popolazioni nel territorio dell'Unione europea. Lo stato di conservazione è considerato «soddisfacente» quando:

1) i dati relativi all'andamento delle popolazioni della specie indicano che essa continua e può continuare a lungo termine ad essere un elemento vitale degli habitat naturali cui appartiene;

2) l'area di distribuzione naturale delle specie non è in declino né rischia di declinare in un futuro prevedibile;

3) esiste e continuerà probabilmente ad esistere un habitat sufficiente affinché le sue popolazioni si mantengano a lungo termine;

l) sito: un'area geograficamente definita, la cui superficie sia chiaramente delimitata;

m) sito di importanza comunitaria: un sito che è stato inserito nella lista dei siti selezionati dalla Commissione europea e che, nella o nelle regioni biogeografiche cui appartiene, contribuisce in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale di cui all'allegato A o di una specie di cui all'allegato B in uno stato di conservazione soddisfacente e che può, inoltre, contribuire in modo significativo alla coerenza della rete ecologica «Natura 2000» di cui all'articolo 3, al fine di mantenere la diversità biologica nella regione biogeografica o nelle regioni biogeografiche in questione. Per le specie animali che occupano ampi territori, i siti di importanza comunitaria corrispondono ai luoghi, all'interno della loro area di distribuzione naturale, che presentano gli elementi fisici o biologici essenziali alla loro vita e riproduzione (5);

m-bis) proposto sito di importanza comunitaria (pSic): un sito individuato dalle regioni e province autonome, trasmesso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio alla Commissione europea, ma non ancora inserito negli elenchi definitivi dei siti selezionati dalla Commissione europea (6);

n) zona speciale di conservazione: un sito di importanza comunitaria designato in base all'articolo 3, comma 2, in cui sono applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali o delle popolazioni delle specie per cui il sito è designato;

o) esemplare: qualsiasi animale o pianta, vivi o morti, delle specie elencate nell'allegato D e nell'allegato E e qualsiasi bene, parte o prodotto che risultano essere ottenuti dall'animale o dalla pianta di tali specie, in base ad un documento di accompagnamento, all'imballaggio, al marchio impresso, all'etichettatura o ad un altro elemento di identificazione;

o-bis) specie: insieme di individui (o di popolazioni) attualmente o potenzialmente interfecondi, illimitatamente ed in natura, isolato riproduttivamente da altre specie (7);

o-ter) popolazione: insieme di individui di una stessa specie che vivono in una determinata area geografica (8);

o-quater) ibrido: individuo risultante dall'incrocio di genitori appartenenti a specie diverse. Il termine viene correntemente usato anche per gli individui risultanti da incroci tra diverse sottospecie (razze geografiche) della stessa specie o di specie selvatiche con le razze domestiche da esse originate (9);

o-quinquies) autoctona: popolazione o specie che per motivi storico-ecologici è indigena del territorio italiano (9/a);

o-sexies) non autoctona: popolazione o specie non facente parte originariamente della fauna indigena italiana (10);

p) aree di collegamento ecologico funzionale: le aree che, per la loro struttura lineare e continua (come i corsi d'acqua con le relative sponde, o i sistemi tradizionali di delimitazione dei campi) o il loro ruolo di collegamento (come le zone umide e le aree forestali) sono essenziali per la migrazione, la distribuzione geografica e lo scambio genetico di specie selvatiche;

q) reintroduzione: traslocazione finalizzata a ristabilire una popolazione di una determinata entità animale o vegetale in una parte del suo areale di documentata presenza naturale in tempi storici nella quale risulti estinta;

r) introduzione: immissione di un esemplare animale o vegetale in un territorio posto al di fuori della sua area di distribuzione naturale (11).

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(4) Numero così modificato dall'art. 2, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(5) Lettera così modificata dall'art. 2, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(6) Lettera aggiunta dall'art. 2, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(7) Lettera aggiunta dall'art. 2, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(8) Lettera aggiunta dall'art. 2, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(9) Lettera aggiunta dall'art. 2, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(9/a) Lettera aggiunta dall'art. 2, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(10) Lettera aggiunta dall'art. 2, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(11) Lettera così sostituita dall'art. 2, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

3. Zone speciali di conservazione.

1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano individuano, i siti in cui si trovano tipi di habitat elencati nell'allegato A ed habitat di specie di cui all'allegato B e ne danno comunicazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ai fini della formulazione alla Commissione europea, da parte dello stesso Ministero, dell'elenco dei proposti siti di importanza comunitaria (pSic) per la costituzione della rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione denominata «Natura 2000» (12).

2. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, designa, con proprio decreto, adottato d'intesa con ciascuna regione interessata i siti al comma 1 quali «Zone speciali di conservazione», entro il termine massimo di sei anni, dalla definizione, da parte della Commissione europea dell'elenco dei siti (13).

3. Al fine di assicurare la coerenza ecologica della rete «Natura 2000», il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano, definisce, anche finalizzandole alla redazione delle linee fondamentali di assetto del territorio, di cui all'articolo 3 della legge 6 dicembre 1991 n. 394, le direttive per la gestione delle aree di collegamento ecologico funzionale, che rivestono primaria importanza per la fauna e la flora selvatiche (14).

4. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio trasmette alla Commissione europea, contestualmente alla proposta di cui al comma 1 e su indicazione delle regioni e delle provincie autonome di Trento e di Bolzano, le stime per il cofinanziamento comunitario necessario per l'attuazione dei piani di gestione delle zone speciali di conservazione e delle misure necessarie ad evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, con particolare attenzione per quelli prioritari, e le eventuali misure di ripristino da attuare (15).

4-bis. Al fine di garantire la funzionale attuazione della direttiva 92/43/CEE e l'aggiornamento dei dati, anche in relazione alle modifiche degli allegati previste dall'articolo 19 della direttiva medesima, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base delle azioni di monitoraggio di cui all'articolo 7, effettuano una valutazione periodica dell'idoneità dei siti alla attuazione degli obiettivi della direttiva in seguito alla quale possono proporre al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio un aggiornamento dell'elenco degli stessi siti, della loro delimitazione e dei contenuti della relativa scheda informativa. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio trasmette tale proposta alla Commissione europea per la valutazione di cui all'articolo 9 della citata direttiva (16).

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(12) Comma così modificato dall'art. 3, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(13) Comma così modificato dall'art. 3, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(14) Comma così modificato dall'art. 3, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(15) Comma così modificato dall'art. 3, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(16) Comma aggiunto dall'art. 3, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

4. Misure di conservazione.

1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano assicurano per i proposti siti di importanza comunitaria opportune misure per evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi del presente regolamento (17).

2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base di linee guida per la gestione delle aree della rete «Natura 2000», da adottarsi con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adottano per le zone speciali di conservazione, entro sei mesi dalla loro designazione, le misure di conservazione necessarie che implicano all'occorrenza appropriati piani di gestione specifici od integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all'allegato A e delle specie di cui all'allegato B presenti nei siti (18).

2-bis. Le misure di cui al comma 1 rimangono in vigore nelle zone speciali di conservazione fino all'adozione delle misure previste al comma 2 (19).

3. Qualora le zone speciali di conservazione ricadano all'interno di aree naturali protette, si applicano le misure di conservazione per queste previste dalla normativa vigente. Per la porzione ricadente all'esterno del perimetro dell'area naturale protetta la regione o la provincia autonoma adotta, sentiti anche gli enti locali interessati e il soggetto gestore dell'area protetta, le opportune misure di conservazione e le norme di gestione (20).

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(17) Comma così modificato dall'art. 4, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(18) Comma così modificato dall'art. 4, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(19) Comma aggiunto dall'art. 4, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(20) Comma così sostituito dall'art. 4, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

4-bis. Concertazione.

1. Qualora la Commissione europea avvii la procedura di concertazione prevista dall'articolo 5 della direttiva 92/43/CEE, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita ciascuna regione interessata, fornisce alla Commissione i dati scientifici relativi all'area oggetto della procedura stessa, alla quale si applicano, durante la fase di concertazione, le misure di protezione previste all'articolo 4, comma 1. Dette misure permangono nel caso in cui, trascorsi sei mesi dall'avvio del procedimento di concertazione, la Commissione europea proponga al Consiglio di individuare l'area in causa quale sito di importanza comunitaria. L'adozione delle predette misure di protezione compete alla regione o provincia autonoma entro il cui territorio l'area è compresa.

2. In caso di approvazione della proposta della Commissione europea da parte del Consiglio, sull'area in questione si applicano le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 2 (21).

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(21) Articolo aggiunto dall'art. 5, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

5. Valutazione di incidenza.

1. Nella pianificazione e programmazione territoriale si deve tenere conto della valenza naturalistico-ambientale dei proposti siti di importanza comunitaria, dei siti di importanza comunitaria e delle zone speciali di conservazione.

2. I proponenti di piani territoriali, urbanistici e di settore, ivi compresi i piani agricoli e faunistico-venatori e le loro varianti, predispongono, secondo i contenuti di cui all'allegato G, uno studio per individuare e valutare gli effetti che il piano può avere sul sito, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Gli atti di pianificazione territoriale da sottoporre alla valutazione di incidenza sono presentati, nel caso di piani di rilevanza nazionale, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e, nel caso di piani di rilevanza regionale, interregionale, provinciale e comunale, alle regioni e alle province autonome competenti.

3. I proponenti di interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti nel sito, ma che possono avere incidenze significative sul sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi, presentano, ai fini della valutazione di incidenza, uno studio volto ad individuare e valutare, secondo gli indirizzi espressi nell'allegato G, i principali effetti che detti interventi possono avere sul proposto sito di importanza comunitaria, sul sito di importanza comunitaria o sulla zona speciale di conservazione, tenuto conto degli obiettivi di conservazione dei medesimi.

4. Per i progetti assoggettati a procedura di valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell'articolo 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 7 settembre 1996, e successive modificazioni ed integrazioni, che interessano proposti siti di importanza comunitaria, siti di importanza comunitaria e zone speciali di conservazione, come definiti dal presente regolamento, la valutazione di incidenza è ricompresa nell'àmbito della predetta procedura che, in tal caso, considera anche gli effetti diretti ed indiretti dei progetti sugli habitat e sulle specie per i quali detti siti e zone sono stati individuati. A tale fine lo studio di impatto ambientale predisposto dal proponente deve contenere gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le finalità conservative previste dal presente regolamento, facendo riferimento agli indirizzi di cui all'allegato G.

5. Ai fini della valutazione di incidenza dei piani e degli interventi di cui ai commi da 1 a 4, le regioni e le province autonome, per quanto di propria competenza, definiscono le modalità di presentazione dei relativi studi, individuano le autorità competenti alla verifica degli stessi, da effettuarsi secondo gli indirizzi di cui all'allegato G, i tempi per l'effettuazione della medesima verifica, nonché le modalità di partecipazione alle procedure nel caso di piani interregionali.

6. Fino alla individuazione dei tempi per l'effettuazione della verifica di cui al comma 5, le autorità di cui ai commi 2 e 5 effettuano la verifica stessa entro sessanta giorni dal ricevimento dello studio di cui ai commi 2, 3 e 4 e possono chiedere una sola volta integrazioni dello stesso ovvero possono indicare prescrizioni alle quali il proponente deve attenersi. Nel caso in cui le predette autorità chiedano integrazioni dello studio, il termine per la valutazione di incidenza decorre nuovamente dalla data in cui le integrazioni pervengono alle autorità medesime.

7. La valutazione di incidenza di piani o di interventi che interessano proposti siti di importanza comunitaria, siti di importanza comunitaria e zone speciali di conservazione ricadenti, interamente o parzialmente, in un'area naturale protetta nazionale, come definita dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394, è effettuata sentito l'ente di gestione dell'area stessa.

8. L'autorità competente al rilascio dell'approvazione definitiva del piano o dell'intervento acquisisce preventivamente la valutazione di incidenza, eventualmente individuando modalità di consultazione del pubblico interessato dalla realizzazione degli stessi.

9. Qualora, nonostante le conclusioni negative della valutazione di incidenza sul sito ed in mancanza di soluzioni alternative possibili, il piano o l'intervento debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale ed economica, le amministrazioni competenti adottano ogni misura compensativa necessaria per garantire la coerenza globale della rete «Natura 2000» e ne danno comunicazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio per le finalità di cui all'articolo 13.

10. Qualora nei siti ricadano tipi di habitat naturali e specie prioritari, il piano o l'intervento di cui sia stata valutata l'incidenza negativa sul sito di importanza comunitaria, può essere realizzato soltanto con riferimento ad esigenze connesse alla salute dell'uomo e alla sicurezza pubblica o ad esigenze di primaria importanza per l'ambiente, ovvero, previo parere della Commissione europea, per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico (22).

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(22) Articolo così sostituito dall'art. 6, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

6. Zone di protezione speciale.

1. La rete «Natura 2000» comprende le Zone di protezione speciale previste dalla direttiva 79/409/CEE e dall'articolo 1, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157.

2. Gli obblighi derivanti dagli articoli 4 e 5 si applicano anche alle zone di protezione speciale di cui al comma 1 (23).

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(23) Articolo così sostituito dall'art. 7, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

7. Indirizzi di monitoraggio, tutela e gestione degli habitat e delle specie.

1. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, con proprio decreto, sentiti il Ministero delle politiche agricole e forestali e l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, per quanto di competenza, e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definisce le linee guida per il monitoraggio, per i prelievi e per le deroghe relativi alle specie faunistiche e vegetali protette ai sensi del presente rogolamento.

2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base delle linee guida di cui al comma precedente, disciplinano l'adozione delle misure idonee a garantire la salvaguardia e il monitoraggio dello stato di conservazione delle specie e degli habitat di interesse comunitario, con particolare attenzione a quelli prioritari, dandone comunicazione ai Ministeri di cui al comma 1 (24).

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(24) Articolo così sostituito dall'art. 8, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

TUTELA DELLE SPECIE

8. Tutela delle specie faunistiche.

1. Per le specie animali di cui all'allegato D, lettera a), al presente regolamento, è fatto divieto di:

a) catturare o uccidere esemplari di tali specie nell'ambiente naturale;

b) perturbare tali specie, in particolare durante tutte le fasi del ciclo riproduttivo o durante l'ibernazione, lo svernamento e la migrazione;

c) distruggere o raccogliere le uova e i nidi nell'ambiente naturale;

d) danneggiare o distruggere i siti di riproduzione o le aree di sosta.

2. Per le specie di cui al predetto allegato D, lettera a), è vietato il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari prelevati dall'ambiente naturale, salvo quelli lecitamente prelevati prima dell'entrata in vigore del presente regolamento.

3. I divieti di cui al comma 1, lettere a) e b), e al comma 2 si riferiscono a tutte le fasi della vita degli animali ai quali si applica il presente articolo.

4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano instaurano un sistema di monitoraggio continuo delle catture o uccisioni accidentali delle specie faunistiche elencate nell'allegato D, lettera a), e trasmettono un rapporto annuale al Ministero dell'ambiente.

5. In base alle informazioni raccolte il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio promuove ricerche ed indica le misure di conservazione necessarie per assicurare che le catture o uccisioni accidentali non abbiano un significativo impatto negativo sulle specie in questione (25).

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(25) Comma così modificato dall'art. 9, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

9. Tutela delle specie vegetali.

1. Per le specie vegetali di cui all'allegato D, lettera b), al presente regolamento è fatto divieto di:

a) raccogliere collezionare, tagliare, estirpare o distruggere intenzionalmente esemplari delle suddette specie, nella loro area di distribuzione naturale;

b) possedere, trasportare, scambiare o commercializzare esemplari delle suddette specie, raccolti nell'ambiente naturale, salvo quelli lecitamente raccolti prima dell'entrata in vigore del presente regolamento.

2. I divieti di cui al comma 1, lettera a) e b), si riferiscono a tutte le fasi del ciclo biologico delle specie vegetali alle quali si applica il presente articolo.

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10. Prelievi.

1. Qualora risulti necessario sulla base dei dati di monitoraggio, le regioni e gli Enti parco nazionali stabiliscono, in conformità alle linee guida di cui all'articolo 7, comma 1, adeguate misure per rendere il prelievo nell'ambiente naturale degli esemplari delle specie di fauna e flora selvatiche di cui all'allegato E, nonché il loro sfruttamento, compatibile con il mantenimento delle suddette specie in uno stato di conservazione soddisfacente (26).

2. Le misure di cui al comma 1 possono comportare (27):

a) le prescrizioni relative all'accesso a determinati settori;

b) il divieto temporaneo o locale di prelevare esemplari nell'ambiente naturale e di sfruttare determinate popolazioni;

c) la regolamentazione dei periodi e dei metodi di prelievo;

d) l'applicazione, all'atto del prelievo, di norme cinegetiche o alieutiche che tengano conto della conservazione delle popolazioni in questione;

e) l'istituzione di un sistema di autorizzazioni di prelievi o di quote;

f) la regolamentazione dell'acquisto, della vendita, del possesso o del trasporto finalizzato alla vendita di esemplari;

g) l'allevamento in cattività di specie animali, nonché la riproduzione artificiale di specie vegetali, a condizioni rigorosamente controllate, onde ridurne il prelievo nell'ambiente naturale;

h) la valutazione dell'effetto delle misure adottate.

3. Sono in ogni caso vietati tutti i mezzi di cattura non selettivi suscettibili di provocare localmente la scomparsa o di perturbare gravemente la tranquillità delle specie, di cui all'allegato E, e in particolare:

a) l'uso dei mezzi di cattura e di uccisione specificati nell'allegato F, lettera a);

b) qualsiasi forma di cattura e di uccisione con l'ausilio dei mezzi di trasporto di cui all'allegato F, lettera b).

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(26) Comma così sostituito dall'art. 10, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(27) Alinea così modificato dall'art. 10, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

11. Deroghe.

1. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sentiti per quanto di competenza il Ministero per le politiche agricole e l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, può autorizzare le deroghe alle disposizioni previste agli articoli 8, 9 e 10, comma 3, lettere a) e b), a condizione che non esista un'altra soluzione valida e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni della specie interessata nella sua area di distribuzione naturale, per le seguenti finalità (28):

a) per proteggere la fauna e la flora selvatiche e conservare gli habitat naturali;

b) per prevenire danni gravi, specificatamente alle colture, all'allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico, alle acque ed alla proprietà;

c) nell'interesse della sanità e della sicurezza pubblica o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, o tali da comportare conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente;

d) per finalità didattiche e di ricerca, di ripopolamento e di reintroduzione di tali specie e per operazioni necessarie a tal fine, compresa la riproduzione artificiale delle piante (29);

e) per consentire, in condizioni rigorosamente controllate, su base selettiva e in misura limitata, la cattura o la detenzione di un numero limitato di taluni esemplari delle specie di cui all'allegato D.

2. Qualora le deroghe, di cui al comma 1, siano applicate per il prelievo, la cattura o l'uccisione delle specie di cui all'allegato D, lettera a), sono comunque vietati tutti i mezzi non selettivi, suscettibili di provocarne localmente la scomparsa o di perturbarne gravemente la tranquillità, e in particolare:

a) l'uso dei mezzi di cattura e di uccisione specificati nell'allegato F, lettera a);

b) qualsiasi forma di cattura e di uccisione con l'ausilio dei mezzi di trasporto di cui all'allegato F, lettera b).

3. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio trasmette alla Commissione europea, ogni due anni, una relazione sulle deroghe concesse, che dovrà indicare (30):

a) le specie alle quali si applicano le deroghe e il motivo della deroga, compresa la natura del rischio, con l'indicazione eventuale delle soluzioni alternative non accolte e dei dati scientifici utilizzati;

b) i mezzi, i sistemi o i metodi di cattura o di uccisione di specie animali autorizzati ed i motivi della loro autorizzazione;

c) le circostanze di tempo e di luogo che devono regolare le deroghe;

d) l'autorità competente a dichiarare e a controllare che le condizioni richieste sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, strutture o metodi possono essere utilizzati, i loro limiti, nonché i servizi e gli addetti all'esecuzione;

e) le misure di controllo attuate ed i risultati ottenuti.

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(28) Alinea così modificato dall'art. 11, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(29) Lettera così modificata dall'art. 11, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(30) Alinea così modificato dall'art. 11, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

12. Introduzioni e reintroduzioni.

1. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sentiti il Ministero per le politiche agricole e forestali e l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, per quanto di competenza, e la Conferenza per i rapporti permanenti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, stabilisce, con proprio decreto, le linee guida per la reintroduzione e il ripopolamento delle specie autoctone di cui all'allegato D e delle specie di cui all'allegato I della direttiva 79/409/CEE.

2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nonché gli Enti di gestione delle aree protette nazionali, sentiti gli enti locali interessati e dopo un'adeguata consultazione del pubblico interessato dall'adozione del provvedimento di reintroduzione, sulla base delle linee guida di cui al comma 1, autorizzano la reintroduzione delle specie di cui al comma 1, dandone comunicazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e presentando allo stesso Ministero apposito studio che evidenzi che tale reintroduzione contribuisce in modo efficace a ristabilire dette specie in uno stato di conservazione soddisfacente.

3. Sono vietate la reintroduzione, l'introduzione e il ripopolamento in natura di specie e popolazioni non autoctone (31).

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(31) Articolo così sostituito dall'art. 12, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

13. Informazione.

1. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio trasmette alla Commissione europea, secondo il modello da essa definito, ogni sei anni, a decorrere dall'anno 2000, una relazione sull'attuazione delle disposizioni del presente regolamento. Tale relazione comprende informazioni relative alle misure di conservazione di cui all'articolo 4, nonché alla valutazione degli effetti di tali misure sullo stato di conservazione degli habitat naturali di cui all'allegato A e delle specie di cui all'allegato B ed i principali risultati del monitoraggio (32).

2. Ai fini della relazione di cui al comma 1, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano presentano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, entro due anni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, un rapporto sulle misure di conservazione adottate e sui criteri individuati per definire specifici piani di gestione; le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano presentano altresì una relazione annuale, secondo il modello definito dalla Commissione europea, contenente le informazioni di cui al comma 1, nonché informazioni sulle eventuali misure compensative adottate (33).

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(32) Comma così modificato dall'art. 13, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(33) Comma così modificato dall'art. 13, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

14. Ricerca e istruzione.

1. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con le amministrazioni interessate, promuove la ricerca e le attività scientifiche necessarie ai fini della conoscenza e della salvaguardia della biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche e per il loro ripristino in uno stato di conservazione soddisfacente, anche attraverso collaborazioni e scambio di informazioni con gli altri Paesi dell'Unione europea. Promuove altresì programmi di ricerca per la migliore attuazione del monitoraggio (34).

2. Ai fini della ricerca di cui al comma 1 costituiscono obbiettivi prioritari, quelli relativi all'attuazione dell'articolo 5 e quelli relativi all'individuazione delle aree di collegamento ecologico funzionale di cui all'articolo 3.

3. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio d'intesa con le amministrazioni interessate promuove l'istruzione e l'informazione generale sulla esigenza di tutela delle specie di flora e di fauna selvatiche e di conservazione di habitat di cui al presente regolamento (35).

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(34) Comma così modificato dall'art. 14, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

(35) Comma così modificato dall'art. 14, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

15. Sorveglianza.

1. Il Corpo forestale dello Stato, nell'àmbito delle attribuzioni ad esso assegnate dall'articolo 8, comma 4, della legge 8 luglio 1986, n. 349, e dall'articolo 21 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, i corpi forestali regionali, ove istituiti, e gli altri soggetti cui è affidata normativamente la vigilanza ambientale, esercitano le azioni di sorveglianza connesse all'applicazione del presente regolamento (36).

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(36) Articolo così sostituito dall'art. 15, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

16. Procedura di modifica degli allegati.

1. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, in conformità alle variazioni apportate alla direttiva in sede comunitaria, modifica con proprio decreto gli allegati al presente regolamento (37).

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(37) L'originario comma 1 è stato soppresso e il comma 2 è stato così sostituito con l'attuale comma 1 ai sensi di quanto disposto dall'art. 16, D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

 

17. Entrata in vigore.

1. Il presente regolamento entra in vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.


L. 3 ottobre 2002, n. 221
Integrazioni alla L. 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio, in attuazione dell'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 11 ottobre 2002, n. 239.

(2) Il presente provvedimento è anche citato, per coordinamento, in nota all'art. 19-bis, L. 11 febbraio 1992, n. 157.

 

1. 1. (3).

 

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(3) Aggiunge l'art. 19-bis alla L. 11 febbraio 1992, n. 157.


D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120
Regolamento recante modifiche ed integrazioni al D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche.

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 30 maggio 2003, n. 124.

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l'articolo 87 della Costituzione;

Visto l'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Vista la legge 9 marzo 1989, n. 86, concernente le norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari;

Vista la direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche;

Visto l'articolo 4 della legge 22 febbraio 1994, n. 146, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dell'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 1993, che autorizza l'attuazione, in via regolamentare, tra le altre, della direttiva 92/43/CEE;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, recante regolamento di attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche;

Vista la procedura di infrazione 1999/2180 che la Commissione europea ha avviato nei confronti dello Stato italiano per non corretta trasposizione nella normativa nazionale della direttiva 92/43/CEE;

Ritenuto necessario adeguare in modo puntuale la normativa nazionale alle disposizioni comunitarie, tenuto conto dei rilievi e delle osservazioni contenute nella procedura d'infrazione, nonché, contestualmente, delle modificazioni apportate dalla direttiva 97/62/CE del Consiglio, del 27 ottobre 1997;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 16 maggio 2002;

Sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 25 luglio 2002;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi, nell'adunanza del 13 gennaio 2003;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 28 febbraio 2003;

Sulla proposta del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri per gli affari regionali, degli affari esteri, dell'economia e delle finanze e della giustizia;

Emana il seguente regolamento:

 

1. Modifica all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. (2).

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(2) Aggiunge il comma 4-bis all'art. 1, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

 

2. Modifiche all'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. All'articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) alla lettera c), numero 2), la parola: «ristretta» è sostituita dalla seguente: «ridotta»;

b) alla lettera m) dopo le parole: «un sito che» sono aggiunte le seguenti: «è stato inserito nella lista dei siti selezionati dalla Commissione europea e che»;

c) (3);

d) (4);

e) (5).

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(3) Aggiunge la lettera m-bis) al comma 1 dell'art. 2, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

(4) Aggiunge le lettere da o-bis) a o-sexies) al comma 1 dell'art. 2, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

(5) Sostituisce la lettera r) al comma 1 dell'art. 2, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

 

3. Modifiche all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. All'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1 le parole da: «con proprio procedimento» fino a: «per costituire la» sono sostituite dalle seguenti parole: «i siti in cui si trovano tipi di habitat elencati nell'allegato A ed habitat di specie di cui all'allegato B e ne danno comunicazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ai fini della formulazione alla Commissione europea, da parte dello stesso Ministero, dell'elenco dei proposti siti di importanza comunitaria (pSic) per la costituzione della»;

b) al comma 2 dopo le parole: «Ministro dell'ambiente» sono inserite le seguenti: «e della tutela del territorio»;

c) al comma 2 le parole da: «in attuazione del» fino a: «con proprio decreto» sono sostituite dalle seguenti: «designa, con proprio decreto, adottato d'intesa con ciascuna regione interessata»;

d) al comma 3 le parole: «Il Ministro dell'ambiente» sono sostituite dalle seguenti: «Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio»;

e) al comma 3 le parole: «nell'àmbito» sono sostituite dalle seguenti: «, anche finalizzandole alla redazione»;

f) al comma 4 dopo le parole: «Ministro dell'ambiente» sono aggiunte le seguenti: «e della tutela del territorio»;

g) al comma 4 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «da attuare.»;

h) (6).

------------------------

(6) Aggiunge il comma 4-bis all'art. 3, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

 

4. Modifiche all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. All'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1 le parole da: «adottano» fino a: «Commissione europea, le» sono sostituite dalle seguenti: «assicurano per i proposti siti di importanza comunitaria»;

b) al comma 2 dopo le parole: «di Trento e di Bolzano,» sono inserite le seguenti: «, sulla base di linee guida per la gestione delle aree della rete «Natura 2000», da adottarsi con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,»;

c) (7);

d) (8).

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(7) Aggiunge il comma 2-bis all'art. 4, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

(8) Sostituisce il comma 3 dell'art. 4, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

 

5. Inserimento dell'articolo 4-bis nel decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. (9).

------------------------

(9) Aggiunge l'art. 4-bis al D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

 

6. Modifiche all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. (10).

------------------------

(10) Sostituisce l'art. 5, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

 

7. Modifiche all'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. (11).

------------------------

(11) Sostituisce l'art. 6, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

 

8. Modifiche all'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. (12).

------------------------

(12) Sostituisce l'art. 7, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

 

9. Modifiche all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. All'articolo 8, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 dopo le parole: «Ministero dell'ambiente» sono inserite le seguenti: «e della tutela del territorio».

------------------------

 

10. Modifiche all'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. All'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) (13);

b) al comma 2 le parole da: «, in particolare» fino a: «di cui all'articolo 7» sono soppresse.

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(13) Sostituisce il comma 1 dell'art. 10, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

 

11. Modifica all'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. All'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) ai commi l e 3 dopo le parole: «Ministero dell'ambiente» sono inserite le seguenti: «e della tutela del territorio»;

b) al comma 1, lettera d), dopo le parole: «per operazioni» sono soppresse le seguenti: «di riproduzione».

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12. Modifiche all'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. (14).

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(14) Sostituisce l'art. 12, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

 

13. Modifiche all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. All'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1 dopo le parole: «Ministero dell'ambiente» sono inserite le seguenti: «e della tutela del territorio»;

b) al comma 1 sono soppresse, in fine, le seguenti parole: «di cui all'articolo 7»;

c) al comma 2 dopo le parole: «Ministero dell'ambiente» sono inserite le seguenti: «e della tutela del territorio» e sono soppresse le parole: «un rapporto» e dopo le parole: «del presente regolamento» sono inserite le seguenti: «un rapporto»;

d) al comma 2, in fine, le parole da: «sulle attività di valutazione» sino alla fine sono soppresse e sono sostituite dalle seguenti: «, secondo il modello definito dalla Commissione europea, contenente le informazioni di cui al comma 1, nonché informazioni sulle eventuali misure compensative adottate».

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14. Modifiche all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. All'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1 dopo le parole: «Ministero dell'ambiente» sono inserite le seguenti: «e della tutela del territorio»;

b) al comma 1, in fine, le parole: «per il monitoraggio di cui all'articolo 7» sono soppresse e sono sostituite dalle seguenti: «per la migliore attuazione del monitoraggio»;

c) al comma 3 dopo le parole: «Ministero dell'ambiente» sono inserite le seguenti: «e della tutela del territorio»;

d) al comma 3, le parole da: «tutelare le specie» fino alla fine del comma sono soppresse e sono sostituite dalle seguenti: «tutela delle specie di flora e di fauna selvatiche e di conservazione di habitat di cui al presente regolamento».

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15. Modifiche all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. (15).

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(15) Sostituisce l'art. 15, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

 

16. Modifiche all'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357.

1. All'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 1 è soppresso;

b) (16).

 

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(16) Sostituisce il comma 2 dell'art. 16, D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.


L. 5 giugno 2003, n. 131
Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3(art. 8)

 

________________________

(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 10 giugno 2003, n. 132.

(2)  Vedi, anche, l'art. 4, comma 29, L. 24 dicembre 2003, n. 350.

(omissis)

8. Attuazione dell'articolo 120 della Costituzione sul potere sostitutivo.

1. Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.

2. Qualora l'esercizio del potere sostitutivo si renda necessario al fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro competente per materia. L'articolo 11 della legge 9 marzo 1989, n. 86, è abrogato.

3. Fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale, qualora l'esercizio dei poteri sostitutivi riguardi Comuni, Province o Città metropolitane, la nomina del commissario deve tenere conto dei princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione. Il commissario provvede, sentito il Consiglio delle autonomie locali qualora tale organo sia stato istituito.

4. Nei casi di assoluta urgenza, qualora l'intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall'articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, che sono immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle Comunità montane, che possono chiederne il riesame.

5. I provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati alle finalità perseguite.

6. Il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni; in tale caso è esclusa l'applicazione dei commi 3 e 4 dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Nelle materie di cui all'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione non possono essere adottati gli atti di indirizzo e di coordinamento di cui all'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e all'articolo 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (15).

(omissis)

________________

(15)  In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi l'Acc. 14 luglio 2005, n. 863/CU. Vedi, anche, il Provv. 16 marzo 2006, n. 2540.


D.M. 25 marzo 2005
Annullamento della Delib. 2 dicembre 1996 del Comitato per le aree naturali protette; gestione e misure di conservazione delle Zone di protezione speciale (ZPS) e delle Zone speciali di conservazione (ZSC).

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 6 luglio 2005, n. 155.

 

IL MINISTRO DELL'AMBIENTE E

DELLA TUTELA DEL TERRITORIO

Vista la legge 6 dicembre 1991, n. 394, «Legge quadro sulle aree protette» e, in particolare, l'art. 3, comma 4, lettere a), che demanda al Comitato per le aree naturali protette l'integrazione della classificazione di dette aree;

Vista la direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici ed in particolare gli articoli 3 e 4 di detta direttiva;

Vista la legge 11 febbraio 1992, n. 157, che all'art. 1, comma 5, stabilisce che: «Le regioni e le province autonome in attuazione delle citate direttiva 79/4099/CEE, direttiva 85/411/CEE e direttiva 91/24/CEE provvedono a istituire lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, segnalate dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica di cui all'art. 7, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, zone di protezione finalizzate al mantenimento e alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat interni a tali zone e ad esse limitrofi, provvedono al ripristino dei biotopi distrutti e alla creazione dei biotopi»;

Vista la direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992 del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche;

Visto in particolare l'art. 7 della citata direttiva che stabilisce che gli obblighi derivanti dall'art. 6, paragrafi 2, 3 e 4 della medesima direttiva per le ZSC, circa l'adozione di opportune misure di conservazione, debbano essere applicati anche alle ZPS «a decorrere dalla data di entrata in vigore di detta direttiva o dalla data di riconoscimento da parte di uno Stato membro a norma della direttiva 79/409/CEE, qualora sia essa posteriore»;

Vista la deliberazione del Comitato per le aree naturali protette del 2 dicembre 1996, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 17 giugno 1997, che include nella classificazione delle aree protette le Zone di Protezione Speciale (ZPS) ai sensi della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e le Zone Speciali di Conservazione (ZSC) ai sensi della direttiva 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, ovvero quelle aree che costituiscono la rete ecologica europea Natura 2000 di cui all'art. 3 della citata direttiva 92/43/CEE;

Visto l'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che ha soppresso il Comitato per le aree naturali protette e ha stabilito che le relative funzioni siano esercitate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, come modificato ed integrato dal decreto 20 gennaio 1999 del Ministro dell'ambiente e dal decreto del Presidente della Repubblica 12 marzo 2003, n. 120, che stabilisce:

all'art. 4, comma 1, che spetta alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano assicurare per i proposti Siti di Importanza Comunitaria (di seguito SIC) opportune misure per evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate;

all'art. 4, comma 2, che spetta altresì alle regione e alle province autonome di Trento e Bolzano, sulla base di linee guida per la gestione delle aree della rete Natura 2000 da adottarsi con decreto del Ministro dell'ambiente sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, l'adozione per le ZSC, entro sei mesi dallo loro designazione, delle «misure di conservazione necessarie che implicano all'occorrenza appropriati piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all'allegato A e delle specie di cui all'allegato 8 presenti nei siti;

all'art. 4, comma 3, che stabilisce che qualora le ZSC «ricadano all'interno di aree naturali protette, si applicano le misure di conservazione per queste previste dalla normativa vigente. Per la porzione ricadente all'esterno del perimetro dell'area naturale protetta la regione o la provincia autonoma adotta, ... omissis ..., le opportune misure di conservazione e le norme di gestione»;

all'art. 6, comma 2, che gli obblighi derivanti dagli articoli 4 e 5 si applicano anche alle ZPS;

Visto il D.M. 3 settembre 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 settembre 2002, n. 224, concernente «Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000» ai sensi dell'art. 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 e successive modifiche e integrazioni;

Visti gli esiti delle riunioni tecniche tenutesi presso la segreteria della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome;

Considerato che l'inclusione delle ZPS e delle ZSC nella classificazione delle aree naturali protette operata dalla citata deliberazione del Comitato, con la conseguente necessità di applicazione anche ai siti Natura 2000 delle misure di salvaguardia e dei divieti previsti dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394, ha di fatto alimentato una conflittualità interpretativa che ha ostacolato la realizzazione degli obiettivi previsti dalla direttiva 79/409/CEE e dalla direttiva 92/43/CEE e dalla relativa normativa di recepimento;

Considerato che la valutazione d'incidenza, di cui all'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modifiche e integrazioni, viene a costituire essenzialmente una misura preventiva di tutela legata ai piani o ai progetti cui devono necessariamente aggiungersi le misure di conservazione opportune al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, le specie e gli habitat dei siti natura 2000;

Considerata la necessità di definire la disciplina di tutela da applicare ai siti Natura 2000 dal momento della loro istituzione;

Visto il parere favorevole espresso dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, in data 3 marzo 2005;

Decreta:

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1. 1. La deliberazione 2 dicembre 1996 del Comitato delle aree naturali protette, citata nelle premesse, è annullata.

2. Alle ZPS ai sensi della direttiva 79/409/CEE e alle ZSC ai sensi della direttiva 92/43/CEE si applica la disciplina di tutela di cui al successivo art. 2.

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2. 1. Le misure di conservazione previste dalla direttiva 79/409/CEE e dalla direttiva 92/43/CEE e dall'art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modifiche e integrazioni, si applicano alle ZSC entro sei mesi dalla loro designazione con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 2, del citato decreto n. 357 del 1997, e alle ZPS dalla loro classificazione, ovvero istituzione, ai sensi dell'art. 4, comma 1, della direttiva 79/409/CEE, così come recepito dall'art. 6 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 che estende gli obblighi di cui all'art. 4 del medesimo decreto anche alle ZPS.

2. Le ZPS si intendono classificate, ovvero istituite, dalla data di trasmissione alla Commissione europea da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio dei formulari e delle cartografie delle medesime ZPS individuate dalle regioni, ovvero dalla sola data di trasmissione alla Commissione europea dei formulari e delle cartografie delle ZPS da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali, precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 11 febbraio 1992, n. 157.

3. Nei decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di designazione delle ZSC, adottati d'intesa con ciascuna regione interessata, secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, sono indicate le misure di conservazione necessarie a mantenere in uno stato di conservazione soddisfacente gli habitat e le specie per il quale il sito è stato individuato, conformemente agli indirizzi espressi nel decreto 3 settembre 2002 recante le linee guida per la gestione dei siti Natura 2000.

4. Entro sei mesi dalla designazione delle ZSC le regioni definiscono le modalità di attuazione delle misure di conservazione di cui al comma 3 e comunicano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio il soggetto affidatario della gestione di ciascuna ZSC.

5. Le regioni si impegnano a definire entro sei mesi dall'emanazione del presente decreto le misure di conservazione per le ZPS di propria competenza, conformemente agli indirizzi espressi nel citato D.M. 3 settembre 2002.

6. Nelle more della definizione, da parte delle regioni, delle misure di conservazione per le ZPS di propria competenza, le regioni medesime assicurano per le ZPS le opportune misure per evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché per evitare la perturbazione delle specie per cui dette ZPS sono state classificate ovvero istituite.

7. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano, le quali provvedono alle finalità del presente provvedimento, in conformità allo Statuto speciale e alle relative norme di attuazione, mediante appositi atti normativi o amministrativi, da emanarsi entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente decreto.


Normativa comunitaria

 


Dir. 79/409/CEE del 2 aprile 1979
Direttiva del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici

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(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 25 aprile 1979, n. L 103. Entrata in vigore il 6 aprile 1979.

(2) Termine di recepimento: 6 aprile 1981. Direttiva recepita con L. 11 febbraio 1992, n. 157 e D.P.C.M. 27 settembre 1997.

 

Il Consiglio delle Comunità europee,

visto il trattato che istituisce la Comunità economica europea, in particolare l'articolo 235,

vista la proposta della Commissione,

visto il parere del Parlamento europeo,

visto il parere del Comitato economico e sociale,

considerando che la dichiarazione del Consiglio del 22 novembre 1973, concernente un programma d'azione delle Comunità europee in materia ambientale, prevede azioni specifiche per la protezione degli uccelli, completata dalla risoluzione del Consiglio delle Comunità europee e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, del 17 maggio 1977, concernente il proseguimento e l'attuazione di una politica e di un programma di azione delle Comunità europee in materia ambientale;

considerando che per molte specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri si registra una diminuzione, in certi casi rapidissima, della popolazione e che tale diminuzione rappresenta un serio pericolo per la conservazione dell'ambiente naturale, in particolare poiché minaccia gli equilibri biologici;

considerando che gran parte delle specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri appartengono alle specie migratrici; che dette specie costituiscono un patrimonio comune e che l'efficace protezione degli uccelli è un problema ambientale tipicamente transnazionale, che implica responsabilità comuni;

considerando che le condizioni di vita degli uccelli in Groenlandia sono sostanzialmente diverse da quelle esistenti nelle altre regioni del territorio europeo degli Stati membri, a causa delle circostanze generali ed in particolare del clima, della scarsa densità di popolazione, della dimensione e della posizione geografica eccezionali dell'isola;

considerando che, quindi, la presente direttiva non deve essere applicata alla Groenlandia;

considerando che la conservazione delle specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri è necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, gli obiettivi comunitari in materia di miglioramento delle condizioni di vita, di sviluppo armonioso delle attività economiche nell'insieme della Comunità e di espansione continua ed equilibrata, ma che i poteri di azione specifici necessari in materia non sono stati previsti dal trattato;

considerando che le misure da prendere devono applicarsi ai diversi fattori che possono influire sull'entità della popolazione aviaria, e cioè alle ripercussioni delle attività umane, in particolare alla distruzione e all'inquinamento degli habitat, alla cattura e all'uccisione da parte dell'uomo, al commercio che ne consegue, e che nel quadro di una politica di conservazione bisogna adeguare la severità di tali misure alla situazione delle diverse specie;

considerando che la conservazione si prefigge la protezione a lungo termine e la gestione delle risorse naturali in quanto parte integrante del patrimonio dei popoli europei; che essa consente di regolarle disciplinandone lo sfruttamento in base a misure necessarie al mantenimento e all'adeguamento degli equilibri naturali delle specie entro i limiti di quanto è ragionevolmente possibile;

considerando che la preservazione, il mantenimento o il ripristino di una varietà e di una superficie sufficienti di habitat sono indispensabili alla conservazione di tutte le specie di uccelli; che talune specie di uccelli devono essere oggetto di speciali misure di conservazione concernenti il loro habitat per garantirne la sopravvivenza e la riproduzione nella loro area di distribuzione; che tali misure devono tener conto anche delle specie migratrici ed essere coordinate in vista della costituzione di una rete coerente;

considerando che, per evitare che gli interessi commerciali esercitino eventualmente una pressione nociva sui livelli di prelievo, è necessario istituire un divieto generale di commercializzazione e limitare le deroghe alle sole specie il cui status biologico lo consenta, tenuto conto delle condizioni specifiche che prevalgono nelle varie regioni;

considerando che, a causa del livello di popolazione, della distribuzione geografica e del tasso di riproduzione in tutta la Comunità, talune specie possono formare oggetto di atti di caccia, ciò che costituisce un modo ammissibile di utilizzazione, sempreché vengano stabiliti ed osservati determinati limiti; che tali atti di caccia devono essere compatibili con il mantenimento della popolazione di tali specie a un livello soddisfacente;

considerando che i mezzi, impianti o metodi di cattura e di uccisione in massa o non selettivi nonché l'inseguimento con taluni mezzi di trasporto devono essere vietati a causa dell'eccessiva pressione che esercitano o possono esercitare sul livello di popolazione delle specie interessate;

considerando che, data l'importanza che possono avere talune situazioni particolari, occorre prevedere la possibilità di deroghe a determinate condizioni e sotto il controllo della Commissione;

considerando che la conservazione dell'avifauna e delle specie migratrici in particolare presenta ancora dei problemi, per cui si rendono necessari lavori scientifici, lavori che permetteranno inoltre di valutare l'efficacia delle misure prese;

considerando che si deve curare, in consultazione con la Commissione, che l'eventuale introduzione di specie di uccelli che non vivono naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri non danneggi in alcun modo la flora e la fauna locali;

considerando che ogni tre anni la Commissione elaborerà e comunicherà agli Stati membri una relazione riassuntiva basata sulle informazioni inviatele dagli Stati membri per quanto riguarda l'applicazione delle disposizioni nazionali adottate conformemente alla presente direttiva;

considerando che il progresso scientifico e tecnico impone un rapido adeguamento di alcuni allegati; che, per facilitare l'attuazione dei provvedimenti necessari, bisogna prevedere una procedura che assicuri una stretta cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione nell'ambito di un Comitato per l'adeguamento al progresso scientifico e tecnico,

ha adottato la presente direttiva:

 

Articolo 1

1. La presente direttiva concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato. Essa si prefigge la protezione, la gestione e la regolazione di tali specie e ne disciplina lo sfruttamento.

2. Essa si applica agli uccelli, alle uova, ai nidi e agli habitat.

3. La presente direttiva non si applica alla Groenlandia.

 

Articolo 2

Gli Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1 ad un livello che corrisponde in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative.

 

Articolo 3

1. Tenuto conto delle esigenze di cui all'articolo 2, gli Stati membri adottano le misure necessarie per preservare, mantenere o ristabilire, per tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1, una varietà e una superficie di habitat.

2. La preservazione, il mantenimento e il ripristino dei biotopi e degli habitat comportano anzitutto le seguenti misure:

a) istituzione di zone di protezione;

b) mantenimento e sistemazione conforme alle esigenze ecologiche degli habitat situati all'interno e all'esterno delle zone di protezione;

c) ripristino dei biotopi distrutti;

d) creazione di biotopi.

 

Articolo 4

1. Per le specie elencate nell'allegato I sono previste misure speciali di conservazione per quanto riguarda l'habitat, per garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione.

A tal fine si tiene conto:

a) delle specie minacciate di sparizione;

b) delle specie che possono essere danneggiate da talune modifiche del loro habitat;

c) delle specie considerate rare in quanto la loro popolazione è scarsa o la loro ripartizione locale è limitata;

d) di altre specie che richiedono una particolare attenzione per la specificità del loro habitat.

Per effettuare le valutazioni si terrà conto delle tendenze e delle variazioni dei livelli di popolazione.

Gli Stati membri classificano in particolare come zone di protezione speciale i territori più idonei in numero e in superficie alla conservazione di tali specie, tenuto conto delle necessità di protezione di queste ultime nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva.

2. Analoghe misure vengono adottate dagli Stati membri per le specie migratrici non menzionate nell'allegato I che ritornano regolarmente, tenuto conto delle esigenze di protezione nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva per quanto riguarda le aree di riproduzione, di muta e di svernamento e le zone in cui si trovano le stazioni lungo le rotte di migrazione. A tale scopo, gli Stati membri attribuiscono una importanza particolare alla protezione delle zone umide e specialmente delle zone d'importanza internazionale.

3. Gli Stati membri inviano alla Commissione tutte le informazioni opportune affinché essa possa prendere le iniziative idonee per il necessario coordinamento affinché le zone di cui al paragrafo 1, da un lato, e 2, dall'altro, costituiscano una rete coerente e tale da soddisfare le esigenze di protezione delle specie nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva.

4. Gli Stati membri adottano misure idonee a prevenire, nelle zone di protezione di cui ai paragrafi 1 e 2, l'inquinamento o il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli che abbiano conseguenze significative tenuto conto degli obiettivi del presente articolo. Gli Stati membri cercheranno inoltre di prevenire l'inquinamento o il deterioramento degli habitat al di fuori di tali zone di protezione.

 

Articolo 5

Fatte salve le disposizioni degli articoli 7 e 9, gli Stati membri adottano le misure necessarie per instaurare un regime generale di protezione di tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1, che comprenda in particolare il divieto:

a) di ucciderli o di catturarli deliberatamente con qualsiasi metodo;

b) di distruggere o di danneggiare deliberatamente i nidi e le uova e di asportare i nidi;

c) di raccogliere le uova nell'ambiente naturale e di detenerle anche vuote;

d) di disturbarli deliberatamente in particolare durante il periodo di riproduzione e di dipendenza quando ciò abbia conseguenze significative in considerazione degli obiettivi della presente direttiva;

e) di detenere le specie di cui sono vietate la caccia e la cattura.

 

Articolo 6

1. Fatte salve le disposizioni dei paragrafi 2 e 3, gli Stati membri vietano, per tutte le specie di uccelli menzionate all'articolo 1, la vendita, il trasporto per la vendita, la detenzione per la vendita nonché l'offerta in vendita degli uccelli vivi e degli uccelli morti, nonché di qualsiasi parte o prodotto ottenuto dall'uccello, facilmente riconoscibili.

2. Per le specie elencate nell'allegato III/1, le attività di cui al paragrafo 1 non sono vietate, purché gli uccelli siano stati in modo lecito uccisi o catturati o altrimenti legittimamente acquistati.

3. Gli Stati membri possono ammettere nel loro territorio, per le specie elencate nell'allegato III/2, le attività di cui al paragrafo 1 e prevedere limitazioni al riguardo, purché gli uccelli siano stati in modo lecito uccisi o catturati o altrimenti legittimamente acquistati.

Gli Stati membri che intendono concedere tale permesso si consultano in via preliminare con la Commissione, con la quale esaminano se la commercializzazione degli esemplari della specie in questione contribuisca o rischi di contribuire, per quanto è ragionevolmente possibile prevedere, a mettere in pericolo il livello di popolazione, la distribuzione geografica o il tasso di riproduzione della specie stessa nell'insieme della Comunità. Se tale esame rivela che il permesso previsto porta o può portare, secondo la Commissione, ad uno dei rischi summenzionati, la Commissione rivolge allo Stato membro una raccomandazione debitamente motivata, nella quale disapprova la commercializzazione della specie in questione. Se la Commissione ritiene che non esista tale rischio, ne informa lo Stato membro.

La raccomandazione della Commissione deve essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee.

Lo Stato membro che concede il permesso di cui al presente paragrafo verifica ad intervalli regolari se sussistano le condizioni necessarie per la concessione di tale permesso.

4. Per le specie di cui all'allegato III/3, la Commissione compie degli studi sul loro status biologico e sulle ripercussioni della commercializzazione su tale status.

Al massimo quattro mesi prima della scadenza del termine di cui all'articolo 18, paragrafo 1, essa sottopone una relazione e le sue proposte al Comitato di cui all'articolo 16, ai fini di una decisione in merito all'iscrizione di tali specie nell'allegato III/2.

Nell'attesa di tale decisione, gli Stati membri possono applicare a dette specie le regolamentazioni nazionali esistenti, salvo restando il paragrafo 3.

 

Articolo 7

1. In funzione del loro livello di popolazione, della distribuzione geografica e del tasso di riproduzione in tutta la Comunità le specie elencate nell'allegato II possono essere oggetto di atti di caccia nel quadro della legislazione nazionale. Gli Stati membri faranno in modo che la caccia di queste specie non pregiudichi le azioni di conservazione intraprese nella loro area di distribuzione.

2. Le specie dell'allegato II/1 possono essere cacciate nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva.

3. Le specie dell'allegato II/2 possono essere cacciate soltanto negli Stati membri per i quali esse sono menzionate.

4. Gli Stati membri si accertano che l'attività venatoria, compresa eventualmente la caccia col falco, quale risulta dall'applicazione delle disposizioni nazionali in vigore, rispetti i princìpi di una saggia utilizzazione e di una regolazione ecologicamente equilibrata delle specie di uccelli interessate e sia compatibile, per quanto riguarda il contingente numerico delle medesime, in particolare delle specie migratrici, con le disposizioni derivanti dall'articolo 2. Essi provvedono in particolare a che le specie a cui si applica la legislazione della caccia non siano cacciate durante il periodo della nidificazione né durante le varie fasi della riproduzione e della dipendenza. Quando si tratta di specie migratrici, essi provvedono in particolare a che le specie soggette alla legislazione della caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni utili sull'applicazione pratica della loro legislazione sulla caccia.

 

Articolo 8

1. Per quanto riguarda la caccia, la cattura o l'uccisione di uccelli nel quadro della presente direttiva, gli Stati membri vietano il ricorso a qualsiasi mezzo, impianto e metodo di cattura o di uccisione, in massa o non selettiva o che possa portare localmente all'estinzione di una specie, in particolare a quelli elencati nell'allegato IV, lettera a).

2. Gli Stati membri vietano inoltre qualsiasi tipo di caccia con mezzi di trasporto ed alle condizioni indicati nell'allegato IV, lettera b).

 

Articolo 9

1. Sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, gli Stati membri possono derogare agli articoli 5, 6, 7 e 8 per le seguenti ragioni:

a) - nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica,

- nell'interesse della sicurezza aerea,

- per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque,

- per la protezione della flora e della fauna;

b) ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l'allevamento connesso a tali operazioni;

c) per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.

2. Le deroghe dovranno menzionare:

- le specie che formano oggetto delle medesime,

- i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzata,

- le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono esser fatte,

- l'autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti, da quali persone,

- i controlli che saranno effettuati.

3. Gli Stati membri inviano ogni anno alla Commissione una relazione sull'applicazione del presente articolo.

4. In base alle informazioni di cui dispone, in particolare quelle comunicatele ai sensi del paragrafo 3, la Commissione vigila costantemente affinché le conseguenze di tali deroghe non siano incompatibili con la presente direttiva. Essa prende adeguate iniziative in merito.

 

Articolo 10

1. Gli Stati membri incoraggiano le ricerche e i lavori necessari per la protezione, la gestione e l'utilizzazione della popolazione di tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1.

2. Un'attenzione particolare sarà accordata alle ricerche e ai lavori sugli argomenti elencati nell'allegato V. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni ad essa necessarie per prendere misure appropriate per coordinare le ricerche e i lavori di cui al presente articolo.

 

Articolo 11

Gli Stati membri vigilano affinché l'eventuale introduzione di specie di uccelli che non vivono naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri non pregiudichi la flora e la fauna locali. Essi consultano al riguardo la Commissione.

 

Articolo 12

1. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione ogni tre anni, a decorrere dalla scadenza del termine di cui all'articolo 18, paragrafo 1, una relazione sull'applicazione delle disposizioni nazionali adottate in virtù della presente direttiva.

2. La Commissione elabora ogni tre anni una relazione riassuntiva basata sulle informazioni di cui al paragrafo 1. La parte del progetto di relazione relativa alle informazioni fornite da uno Stato membro viene trasmessa per la verifica alle autorità dello Stato membro in questione. La versione definitiva della relazione verrà comunicata agli Stati membri.

 

Articolo 13

L'applicazione delle misure adottate in virtù della presente direttiva non deve provocare un deterioramento della situazione attuale per quanto riguarda la conservazione di tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1.

 

Articolo 14

Gli Stati membri possono prendere misure di protezione più rigorose di quelle previste dalla presente direttiva.

 

Articolo 15

Le modifiche necessarie per adeguare gli allegati I a V al progresso scientifico e tecnico, nonché le modifiche di cui all'articolo 6, paragrafo 4, secondo comma, sono adottate conformemente alla procedura di cui all'articolo 17.

 

Articolo 16

1. Ai fini delle modifiche di cui all'articolo 15, è istituito un Comitato per l'adeguamento al progresso scientifico e tecnico della presente direttiva, in appresso denominato "Comitato", composto di rappresentanti degli Stati membri e presieduto da un rappresentante della Commissione.

[2. Il Comitato stabilisce il proprio regolamento interno.] (3).

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(3) Paragrafo soppresso dall'allegato III del regolamento (CE) n. 807/2003.

 

Articolo 17 (4)

1. La Commissione è assistita dal comitato per l'adeguamento al progresso scientifico e tecnico della presente direttiva.

2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente articolo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE.

Il periodo di cui all'articolo 5, paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato a tre mesi.

3. Il comitato adotta il proprio regolamento interno.

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(4) Articolo inizialmente modificato dall'allegato I al trattato di adesione della Grecia alla Comunità economica europea e alla Comunità europea dell'energia atomica e, successivamente dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese alla Comunità economica europea e alla Comunità europea dell'energia atomica e, da ultimo, così sostituito dall'allegato III del regolamento (CE) n. 807/2003.

 

 

Articolo 18

1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro due anni dalla sua notifica. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

 

Articolo 19

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

Fatto a Lussemburgo, addì 2 aprile 1979.

Per il Consiglio

il presidente

J. François-Poncet

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(Si omettono gli allegati)


Dir. 92/43/CEE del 21 maggio 1992
Direttiva del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche

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(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 22 luglio 1992, n. L 206. Entrata in vigore il 10 giugno 1992.

(2) Termine di recepimento: 10 giugno 1994. Direttiva recepita con D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

 

Il Consiglio delle Comunità europee,

visto il trattato che istituisce la Comunità economica europea, in particolare l'articolo 130 S,

vista la proposta della Commissione,

visto il parere del Parlamento europeo,

visto il parere del Comitato economico e sociale,

considerando che la salvaguardia, la protezione e il miglioramento della qualità dell'ambiente, compresa la conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche, costituiscono un obiettivo essenziale di interesse generale perseguito dalla Comunità conformemente all'articolo 130 R del trattato;

considerando che il programma d'azione comunitario in materia ambientale (1987-1992) prevede disposizioni riguardanti la conservazione della natura e delle risorse naturali;

considerando che la presente direttiva, il cui scopo principale è promuovere il mantenimento della biodiversita, tenendo conto al tempo stesso delle esigenze economiche, sociali, culturali e regionali, contribuisce all'obiettivo generale di uno sviluppo durevole; che il mantenimento di detta biodiversità può in taluni casi richiedere il mantenimento e la promozione di attività umane;

considerando che, nel territorio europeo degli Stati membri, gli habitat naturali non cessano di degradarsi e che un numero crescente di specie selvatiche è gravemente minacciato; che gli habitat e le specie minacciati fanno parte del patrimonio naturale della Comunità e che i pericoli che essi corrono sono generalmente di natura transfrontaliera, per cui è necessario adottare misure a livello comunitario per la loro conservazione;

considerando che, tenuto conto delle minacce che incombono su taluni tipi di habitat naturali e su talune specie, è necessario definirli come prioritari per favorire la rapida attuazione di misure volte a garantirne la conservazione;

considerando che, per assicurare il ripristino o il mantenimento degli habitat naturali e delle specie di interesse comunitario in uno stato di conservazione soddisfacente, occorre designare zone speciali di conservazione per realizzare una rete ecologica europea coerente secondo uno scadenzario definito;

considerando che tutte le zone designate, comprese quelle già classificate o che saranno classificate come zone di protezione speciale ai sensi della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, dovranno integrarsi nella rete ecologica europea coerente;

considerando che, in ciascuna zona designata, occorre attuare le misure necessarie in relazione agli obiettivi di conservazione previsti;

considerando che i siti che possono essere designati come zone speciali di conservazione vengono proposti dagli Stati membri; che si deve tuttavia prevedere una procedura che consenta in casi eccezionali la designazione di un sito non proposto da uno Stato membro che la Comunità consideri essenziale per il mantenimento di un tipo di habitat naturale prioritario o per la sopravvivenza di una specie prioritaria;

considerando che qualsiasi piano o programma che possa avere incidenze significative sugli obiettivi di conservazione di un sito già designato o che sarà designato deve formare oggetto di una valutazione appropriata;

considerando che l'adozione di misure intese a favorire la conservazione di habitat naturali prioritari e specie prioritarie di interesse comunitario e responsabilità comune di tutti gli Stati membri; che tali misure possono tuttavia costituire un onere finanziario eccessivo per taluni Stati membri poiché, da un lato, tali habitat e specie non sono distribuiti uniformemente nella Comunità e dall'altro, nel caso specifico della conservazione della natura, il principio "chi inquina paga" è di applicazione limitata;

considerando che pertanto si è convenuto che in questo caso eccezionale debba essere previsto un contributo mediante cofinanziamento comunitario entro i limiti delle risorse disponibili in base alle decisioni della Comunità;

considerando che occorre incoraggiare, nelle politiche di riassetto del territorio e di sviluppo, la gestione degli elementi del paesaggio aventi un'importanza fondamentale per la flora e la fauna selvatiche;

considerando che occorre garantire la realizzazione di un sistema di verifica dello stato di conservazione degli habitat naturali e delle specie di cui alla presente direttiva;

considerando che a complemento della direttiva 79/409/CEE è necessario istituire un sistema generale di protezione di talune specie di fauna e di flora; che si devono prevedere misure di gestione per talune specie, qualora il loro stato di conservazione lo giustifichi, compreso il divieto di taluni modi di cattura o di uccisione, pur prevedendo la possibilità di deroghe, subordinate a talune condizioni;

considerando che, per garantire il controllo dell'attuazione della presente direttiva, la Commissione dovrà periodicamente preparare una relazione di sintesi, basata, tra l'altro, sulle informazioni trasmesse dagli Stati membri in merito all'attuazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della direttiva;

considerando che il miglioramento delle conoscenze scientifiche e tecniche è indispensabile per attuare la presente direttiva e che occorre di conseguenza incoraggiare la ricerca e i lavori scientifici necessari a tal fine;

considerando che il progresso tecnico e scientifico richiede di poter adattare gli allegati; che occorre prevedere una procedura di modifica degli allegati da parte del Consiglio;

considerando che dovrà essere creato un Comitato di regolamentazione per assistere la Commissione nell'attuazione della presente direttiva, in particolare nella presa di decisione sul cofinanziamento comunitario;

considerando che occorre prevedere misure complementari per regolamentare la reintroduzione di talune specie di fauna e di flora indigene, nonché l'eventuale introduzione di specie non indigene;

considerando che l'istruzione e l'informazione generale relative agli obiettivi della presente direttiva sono indispensabili per garantirne l'efficace attuazione,

ha adottato la presente direttiva:

 

Definizioni

Articolo 1

Ai fini della presente direttiva si intende per:

a) Conservazione: un complesso di misure necessarie per mantenere o ripristinare gli habitat naturali e le popolazioni di specie di fauna e flora selvatiche in uno stato soddisfacente ai sensi delle lettere e) e i).

b) Habitat naturali: zone terrestri o acquatiche che si distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, interamente naturali o seminaturali.

c) Habitat naturali di interesse comunitario: gli habitat che nel territorio di cui all'articolo 2:

I) rischiano di scomparire nella loro area di ripartizione naturale;

ovvero

II) hanno un'area di ripartizione naturale ridotta a seguito della loro regressione o per il fatto che la loro area è intrinsecamente ristretta;

ovvero

III) costituiscono esempi notevoli di caratteristiche tipiche di una o più delle sette regioni biogeografiche seguenti: alpina, atlantica, boreale, continentale, macaronesica, mediterranea e pannonica e steppica (3).

Questi tipi di habitat figurano o potrebbero figurare nell'allegato I.

d) Tipi di habitat naturali prioritari: i tipi di habitat naturali che rischiano di scomparire nel territorio di cui all'articolo 2 e per la cui conservazione la Comunità ha una responsabilità particolare a causa dell'importanza della parte della loro area di distribuzione naturale compresa nel territorio di cui all'articolo 2. Tali tipi di habitat naturali prioritari sono contrassegnati da un asterisco (*) nell'allegato I.

e) Stato di conservazione di un habitat naturale: l'effetto della somma dei fattori che influiscono sull'habitat naturale in causa, nonché sulle specie tipiche che in esso si trovano, che possono alterare a lunga scadenza la sua ripartizione naturale, la sua struttura e le sue funzioni, nonché la sopravvivenza delle sue specie tipiche nel territorio di cui all'articolo 2.

Lo "stato di conservazione" di un habitat naturale è considerato "soddisfacente" quando:

- la sua area di ripartizione naturale e le superfici che comprende sono stabili o in estensione,

- la struttura e le funzioni specifiche necessarie al suo mantenimento a lungo termine esistono e possono continuare ad esistere in un futuro prevedibile e

- lo stato di conservazione delle specie tipiche è soddisfacente ai sensi della lettera i).

f) Habitat di una specie: ambiente definito da fattori abiotici e biotici specifici in cui vive la specie in una delle fasi del suo ciclo biologico.

g) Specie di interesse comunitario: le specie che nel territorio di cui all'articolo 2:

I) sono in pericolo, tranne quelle la cui area di ripartizione naturale si estende in modo marginale su tale territorio e che non sono in pericolo né vulnerabili nell'area del paleartico occidentale, oppure

II) sono vulnerabili, vale a dire che il loro passaggio nella categoria delle specie in pericolo è ritenuto probabile in un prossimo futuro, qualora persistano i fattori alla base di tale rischio, oppure

III) sono rare, vale a dire che le popolazioni sono di piccole dimensioni e che, pur non essendo attualmente in pericolo né vulnerabili, rischiano di diventarlo. Tali specie sono localizzate in aree geografiche ristrette o sparpagliate su una superficie più ampia, oppure

IV) sono endemiche e richiedono particolare attenzione, data la specificità del loro habitat e/o le incidenze potenziali del loro sfruttamento sul loro stato di conservazione.

Queste specie figurano o potrebbero figurare nell'allegato II e/o IV o V.

h) Specie prioritarie: le specie di cui alla lettera g), punto I), per la cui conservazione la Comunità ha una responsabilità particolare a causa dell'importanza della parte della loro area di distribuzione naturale compresa nel territorio di cui all'articolo 2. Tali specie prioritarie sono contrassegnate da un asterisco (*) nell'allegato II.

i) Stato di conservazione di una specie: l'effetto della somma dei fattori che, influendo sulle specie in causa, possono alterare a lungo termine la ripartizione e l'importanza delle sue popolazioni nel territorio di cui all'articolo 2;

lo "stato di conservazione" è considerato "soddisfacente" quando

- i dati relativi all'andamento delle popolazioni della specie in causa indicano che tale specie continua e può continuare a lungo termine ad essere un elemento vitale degli habitat naturali cui appartiene,

- l'area di ripartizione naturale di tale specie non è in declino né rischia di declinare in un futuro prevedibile e

- esiste e continuerà probabilmente ad esistere un habitat sufficiente affinché le sue popolazioni si mantengano a lungo termine.

j) Sito: un'area geograficamente definita, la cui superficie sia chiaramente delimitata.

k) Sito di importanza comunitaria: un sito che, nella o nelle regioni biogeografiche cui appartiene, contribuisce in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale di cui all'allegato I o una specie di cui all'allegato II in uno stato di conservazione soddisfacente e che può inoltre contribuire in modo significativo alla coerenza di natura 2000 di cui all'articolo 3, e/o che contribuisce in modo significativo al mantenimento della diversità biologica nella regione biogeografica o nelle regioni biogeografiche in questione.

Per le specie animali che occupano ampi territori, i siti di importanza comunitaria corrispondono ai luoghi, all'interno dell'area di ripartizione naturale di tali specie, che presentano gli elementi fisici o biologici essenziali alla loro vita e riproduzione.

l) Zona speciale di conservazione: un sito di importanza comunitaria designato dagli Stati membri mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale in cui sono applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui il sito è designato.

m) Esemplare: qualsiasi animale o pianta, vivi o morti, delle specie elencate nell'allegato IV e nell'allegato V; qualsiasi parte o prodotto ottenuti a partire dall'animale o dalla pianta, nonché qualsiasi altro bene che risulti essere una parte o un prodotto di animali o di piante di tali specie in base ad un documento di accompagnamento, all'imballaggio, al marchio, all'etichettatura o ad un altro elemento.

n) Il Comitato: il Comitato stabilito a norma dell'articolo 20.

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(3) Punto inizialmente modificato dall'allegato I al trattato di adesione del Regno di Norvegia, della Repubblica d'Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia all'Unione europea, nella versione adattata dalla decisione 95/1/CE in seguito alla mancata adesione del Regno di Norvegia e successivamente così sostituito dall'allegato II dell'atto di adesione allegato al trattato 16 aprile 2003.

 

 

Articolo 2

1. Scopo della presente direttiva è contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato.

2. Le misure adottate a norma della presente direttiva sono intese ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora selvatiche di interesse comunitario.

3. Le misure adottate a norma della presente direttiva tengono conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali.

 

Conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle specie

Articolo 3

1. È costituita una rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione, denominata "natura 2000". Questa rete, formata dai siti in cui si trovano tipi di habitat naturali elencati nell'allegato I e habitat delle specie di cui all'allegato II, deve garantire il mantenimento ovvero, all'occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie interessati nella loro area di ripartizione naturale.

La rete "natura 2000" comprende anche le zone di protezione speciale classificate dagli Stati membri a norma della direttiva 79/409/CEE.

2. Ogni Stato membro contribuisce alla costituzione di natura 2000 in funzione della rappresentazione sul proprio territorio dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie di cui al paragrafo 1. A tal fine, conformemente all'articolo 4, esso designa siti quali zone speciali di conservazione, tenendo conto degli obiettivi di cui al paragrafo 1.

3. Laddove lo ritengano necessario, gli Stati membri si sforzano di migliorare la coerenza ecologica di natura 2000 grazie al mantenimento e, all'occorrenza, allo sviluppo degli elementi del paesaggio che rivestono primaria importanza per la fauna e la flora selvatiche, citati all'articolo 10.

 

Articolo 4 (4)

1. In base ai criteri di cui all'allegato III (fase 1) e alle informazioni scientifiche pertinenti, ogni Stato membro propone un elenco di siti, indicante quali tipi di habitat naturali di cui all'allegato I e quali specie locali di cui all'allegato II si riscontrano in detti siti. Per le specie animali che occupano ampi territori, tali siti corrispondono ai luoghi, all'interno dell'area di ripartizione naturale di tali specie, che presentano gli elementi fisici o biologici essenziali alla loro vita o riproduzione. Per le specie acquatiche che occupano ampi territori, tali siti vengono proposti solo se è possibile individuare chiaramente una zona che presenta gli elementi fisici e biologici essenziali alla loro vita o riproduzione. Gli Stati membri suggeriscono, se del caso, un adattamento di tale elenco alla luce dell'esito della sorveglianza di cui all'articolo 11.

L'elenco viene trasmesso alla Commissione entro il triennio successivo alla notifica della presente direttiva, contemporaneamente alle informazioni su ogni sito. Tali informazioni comprendono una mappa del sito, la sua denominazione, la sua ubicazione, la sua estensione, nonché i dati risultanti dall'applicazione dei criteri specificati nell'allegato III (fase 1) e sono fornite sulla base di un formulario elaborato dalla Commissione secondo la procedura di cui all'articolo 21.

2. In base ai criteri di cui all'allegato III (fase 2) e nell'ambito di ognuna delle sette regioni biogeografiche di cui all'articolo 1, lettera c), punto III) e dell'insieme del territorio di cui all'articolo 2, paragrafo 1, la Commissione elabora, d'accordo con ognuno degli Stati membri, un progetto di elenco dei siti di importanza comunitaria, sulla base degli elenchi degli Stati membri, in cui sono evidenziati i siti in cui si riscontrano uno o più tipi di habitat naturali prioritari o una o più specie prioritarie.

Gli Stati membri i cui siti con tipi di habitat naturali e specie prioritari rappresentano oltre il 5% del territorio nazionale, possono, d'accordo con la Commissione, chiedere che i criteri elencati nell'allegato III (fase 2) siano applicati in maniera più flessibile per la selezione dell'insieme dei siti di importanza comunitaria nel loro territorio.

L'elenco dei siti selezionati come siti di importanza comunitaria in cui sono evidenziati i siti in cui si riscontrano uno o più tipi di habitat naturali prioritari o una o più specie prioritarie è fissato dalla Commissione secondo la procedura di cui all'articolo 21 (5).

3. L'elenco menzionato al paragrafo 2 è elaborato entro un termine di sei anni dopo la notifica della presente direttiva.

4. Quando un sito di importanza comunitaria è stato scelto a norma della procedura di cui al paragrafo 2, lo Stato membro interessato designa tale sito come zona speciale di conservazione il più rapidamente possibile e entro un termine massimo di sei anni, stabilendo le priorità in funzione dell'importanza dei siti per il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, di uno o più tipi di habitat naturali di cui all'allegato I o di una o più specie di cui all'allegato II e per la coerenza di natura 2000, nonché alla luce dei rischi di degrado e di distruzione che incombono su detti siti.

5. Non appena un sito è iscritto nell'elenco di cui al paragrafo 2, terzo comma, esso è soggetto alle disposizioni dell'articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4.

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(4) Vedi, per l'elenco dei siti ai sensi del presente articolo, l'allegato della decisione 2002/11/CE, gli allegati 1, 2 e 3 della decisione 2004/798/CE e gli allegati 1, 2 e 3 della decisione 2005/101/CE, in base a quanto disposto dall'articolo 1 delle suddette decisioni.

(5) Paragrafo così modificato dall'allegato II dell'atto di adesione allegato al trattato 16 aprile 2003.

 

Articolo 5

1. In casi eccezionali in cui la Commissione constata l'assenza da un elenco nazionale di cui all'articolo 4, paragrafo 1, di un sito in cui si riscontrano uno o più tipi di habitat naturali prioritari o una o più specie prioritarie, che, in base a informazioni scientifiche pertinenti e attendibili, le sembra indispensabile per il mantenimento di detto tipo di habitat naturale prioritario o per la sopravvivenza di detta specie prioritaria, è avviata una procedura di concertazione bilaterale tra detto Stato membro e la Commissione per raffrontare i dati scientifici utilizzati da ambo le parti.

2. Se al termine di un periodo di concertazione non superiore a sei mesi la controversia non è stata risolta, la Commissione trasmette al Consiglio una proposta relativa alla scelta del sito in causa quale sito di importanza comunitaria.

3. Il Consiglio, deliberando all'unanimità, decide entro un termine di tre mesi a decorrere dal momento in cui è stato adito.

4. Durante il periodo di concertazione ed in attesa di una decisione del Consiglio, il sito in causa è soggetto alle disposizioni dell'articolo 6, paragrafo 2.

 

Articolo 6

1. Per le zone speciali di conservazione, gli Stati membri stabiliscono le misure di conservazione necessarie che implicano all'occorrenza appropriati piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all'allegato I e delle specie di cui all'allegato II presenti nei siti.

2. Gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva.

3. Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell'incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica.

4. Qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell'incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di natura 2000 sia tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate.

Qualora il sito in causa sia un sito in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, possono essere addotte soltanto considerazioni connesse con la salute dell'uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico.

 

Articolo 7

Gli obblighi derivanti dall'articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4 della presente direttiva sostituiscono gli obblighi derivanti dall'articolo 4, paragrafo 4, prima frase, della direttiva 79/409/CEE, per quanto riguarda le zone classificate a norma dell'articolo 4, paragrafo 1, o analogamente riconosciute a norma dell'articolo 4, paragrafo 2 di detta direttiva a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente direttiva o dalla data di classificazione o di riconoscimento da parte di uno Stato membro a norma della direttiva 79/409/CEE, qualora essa sia posteriore.

 

Articolo 8

1. Gli Stati membri, parallelamente alle loro proposte di siti che possono essere designati come zone speciali di conservazione, in cui si riscontrano tipi di habitat naturali prioritari e/o specie prioritarie, se del caso, trasmettono alla Commissione le stime del cofinanziamento comunitario che essi ritengono necessario al fine di adempiere gli obblighi di cui all'articolo 6, paragrafo 1.

2. D'accordo con lo Stato membro interessato, la Commissione individua, per i siti di importanza comunitaria per i quali è richiesto il cofinanziamento, le misure essenziali per il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali prioritari e delle specie prioritarie nel sito in questione, nonché il costo totale di dette misure.

3. La Commissione, d'intesa con lo Stato membro interessato, valuta il finanziamento, compreso il cofinanziamento comunitario, necessario per l'attuazione delle misure di cui al paragrafo 2, tenendo conto, tra l'altro, della concentrazione nel territorio dello Stato membro di habitat naturali prioritari e/o di specie prioritarie e degli oneri che le misure comportano per ciascuno Stato membro.

4. Alla luce della valutazione di cui ai paragrafi 2 e 3, la Commissione, seguendo la procedura enunciata all'articolo 21 e tenendo conto delle fonti di finanziamento disponibili in base agli strumenti comunitari pertinenti, adotta un quadro di azioni elencate per priorità in cui sono indicate le misure che richiedono un cofinanziamento nel caso di siti designati conformemente all'articolo 4, paragrafo 4.

5. Le misure che per mancanza di risorse non sono state incluse nel quadro di azioni nonché quelle che, pur essendovi incluse, non hanno ottenuto i cofinanziamenti necessari o sono state cofinanziate solo parzialmente, sono riprese in considerazione conformemente alla procedura di cui all'articolo 21 nell'ambito del riesame biennale del quadro di azioni e possono essere rinviate dagli Stati membri in attesa di tale riesame. Il riesame tiene conto, laddove opportuno, della nuova situazione del sito in questione.

6. Nelle zone in cui le misure dipendenti dal cofinanziamento sono rinviate, gli Stati membri si astengono dall'adottare nuove misure che potrebbero comportare un deterioramento delle zone stesse.

 

Articolo 9

La Commissione, operando secondo la procedura di cui all'articolo 21, effettua una valutazione periodica del contributo di natura 2000 alla realizzazione degli obiettivi di cui agli articoli 2 e 3. In tale contesto, può essere preso in considerazione il declassamento di una zona speciale di conservazione laddove l'evoluzione naturale riscontrata grazie alla sorveglianza prevista dall'articolo 11 lo giustifichi.

 

Articolo 10

Laddove lo ritengano necessario, nell'ambito delle politiche nazionali di riassetto del territorio e di sviluppo, e segnatamente per rendere ecologicamente più coerente la rete natura 2000, gli Stati membri si impegnano a promuovere la gestione di elementi del paesaggio che rivestono primaria importanza per la fauna e la flora selvatiche.

Si tratta di quegli elementi che, per la loro struttura lineare e continua (come i corsi d'acqua con le relative sponde, o i sistemi tradizionali di delimitazione dei campi) o il loro ruolo di collegamento (come gli stagni o i boschetti) sono essenziali per la migrazione, la distribuzione geografica e lo scambio genetico di specie selvatiche.

 

Articolo 11

Gli Stati membri garantiscono la sorveglianza dello stato di conservazione delle specie e degli habitat di cui all'articolo 2, tenendo particolarmente conto dei tipi di habitat naturali e delle specie prioritari.

 

Tutela delle specie

Articolo 12

1. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari atti ad istituire un regime di rigorosa tutela delle specie animali di cui all'allegato IV, lettera a), nella loro area di ripartizione naturale, con il divieto di:

a) qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata di esemplari di tali specie nell'ambiente naturale;

b) perturbare deliberatamente tali specie, segnatamente durante il periodo di riproduzione, di allevamento, di ibernazione e di migrazione;

c) distruggere o raccogliere deliberatamente le uova nell'ambiente naturale;

d) deterioramento o distruzione dei siti di riproduzione o delle aree di riposo.

2. Per dette specie gli Stati membri vietano il possesso, il trasporto, la commercializzazione ovvero lo scambio e l'offerta a scopi commerciali o di scambio di esemplari presi dall'ambiente naturale, salvo quelli legalmente raccolti prima della messa in applicazione della presente direttiva.

3. I divieti di cui al paragrafo 1, lettere a) e b) e al paragrafo 2 sono validi per tutte le fasi della vita degli animali ai quali si applica il presente articolo.

4. Gli Stati membri instaurano un sistema di sorveglianza continua delle catture o uccisioni accidentali delle specie faunistiche elencate nell'allegato IV, lettera a). In base alle informazioni raccolte, gli Stati membri intraprendono le ulteriori ricerche o misure di conservazione necessarie per assicurare che le catture o uccisioni accidentali non abbiano un impatto negativo significativo sulle specie in questione.

 

Articolo 13

1. Gli Stati membri adottano i necessari provvedimenti atti ad istituire un regime di rigorosa tutela della specie vegetali di cui all'allegato IV, lettera b), con divieto di:

a) raccogliere, nonché collezionare, tagliare, estirpare o distruggere deliberatamente esemplari delle suddette specie nell'ambiente naturale, nella loro area di ripartizione naturale;

b) possedere, trasportare, commercializzare o scambiare e offrire a scopi commerciali o di scambio esemplari delle suddette specie, raccolti nell'ambiente naturale, salvo quelli legalmente raccolti prima della messa in applicazione della presente direttiva.

2. I divieti di cui al paragrafo 1, lettere a) e b), sono validi per tutte le fasi del ciclo biologico delle piante cui si applica il presente articolo.

 

Articolo 14

1. Gli Stati membri, qualora lo ritengano necessario alla luce della sorveglianza prevista all'articolo 11, adottano misure affinché il prelievo nell'ambiente naturale di esemplari delle specie della fauna e della flora selvatiche di cui all'allegato V, nonché il loro sfruttamento, siano compatibili con il loro mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente.

2. Nel caso in cui dette misure siano giudicate necessarie, esse debbono comportare la continuazione della sorveglianza prevista dall'articolo 11 e possono inoltre comprendere segnatamente:

- prescrizioni relative all'accesso a determinati settori,

- il divieto temporaneo o locale di prelevare esemplari nell'ambiente naturale e di sfruttare determinate popolazioni,

- la regolamentazione dei periodi e/o dei metodi di prelievo,

- l'applicazione, all'atto del prelievo, di norme cinegetiche o alieutiche che tengano conto della conservazione delle popolazioni in questione,

- l'istituzione di un sistema di autorizzazioni di prelievi o di quote,

- la regolamentazione dell'acquisto, della vendita, della messa in vendita, del possesso o del trasporto in vista della vendita di esemplari,

- l'allevamento in cattività di specie animali, nonché la riproduzione artificiale di specie vegetali, a condizioni rigorosamente controllate, onde ridurne il prelievo nell'ambiente naturale,

- la valutazione dell'effetto delle misure adottate.

 

Articolo 15

Per quanto riguarda la cattura o l'uccisione delle specie faunistiche selvatiche elencate nell'allegato V, lettera a), qualora deroghe conformi all'articolo 16 siano applicate per il prelievo, la cattura o l'uccisione delle specie di cui all'allegato IV, lettera a), gli Stati membri vietano tutti i mezzi non selettivi suscettibili di provocare localmente la disparizione o di perturbare gravemente la tranquillità delle popolazioni di tali specie, e in particolare:

a) l'uso dei mezzi di cattura e di uccisione specificati nell'allegato VI, lettera a);

b) qualsiasi forma di cattura e di uccisione dai mezzi di trasporto di cui all'allegato VI, lettera b).

 

Articolo 16

1. A condizione che non esista un'altra soluzione valida e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale, gli Stati membri possono derogare alle disposizioni previste dagli articoli 12, 13, 14 e 15, lettere a) e b):

a) per proteggere la fauna e la flora selvatiche e conservare gli habitat naturali;

b) per prevenire gravi danni, segnatamente alle colture, all'allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico e alle acque e ad altre forme di proprietà;

c) nell'interesse della sanità e della sicurezza pubblica o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, e motivi tali da comportare conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente;

d) per finalità didattiche e di ricerca, di ripopolamento e di reintroduzione di tali specie e per operazioni di riproduzione necessarie a tal fine, compresa la riproduzione artificiale delle piante;

e) per consentire, in condizioni rigorosamente controllate, su base selettiva ed in misura limitata, la cattura o la detenzione di un numero limitato di taluni esemplari delle specie di cui all'allegato IV, specificato dalle autorità nazionali competenti.

2. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione ogni due anni una relazione, conforme al modello elaborato dal Comitato, sulle deroghe concesse a titolo del paragrafo 1. La Commissione comunica il suo parere su tali deroghe entro il termine massimo di dodici mesi dopo aver ricevuto la relazione e ne informa il Comitato.

3. Le informazioni dovranno indicare:

a) le specie alle quali si applicano le deroghe e il motivo della deroga, compresa la natura del rischio, con l'indicazione eventuale delle soluzioni alternative non accolte e dei dati scientifici utilizzati;

b) i mezzi, sistemi o metodi di cattura o di uccisione di specie animali autorizzati e i motivi della loro utilizzazione;

c) le circostanze di tempo e di luogo in cui tali deroghe sono concesse;

d) l'autorità abilitata a dichiarare e a controllare che le condizioni richieste sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, strutture o metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti e da quali servizi e quali sono gli addetti all'esecuzione;

e) le misure di controllo attuate ed i risultati ottenuti.

 

Informazione

Articolo 17

1. Ogni sei anni a decorrere dalla scadenza del termine previsto all'articolo 23, gli Stati membri elaborano una relazione sull'attuazione delle disposizioni adottate nell'ambito della presente direttiva. Tale relazione comprende segnatamente informazioni relative alle misure di conservazione di cui all'articolo 6, paragrafo 1, nonché la valutazione delle incidenze di tali misure sullo stato di conservazione dei tipi di habitat naturali di cui all'allegato I e delle specie di cui all'allegato II e i principali risultati della sorveglianza di cui all'articolo 11. Tale relazione, conforme al modello di relazione elaborato dal Comitato, viene trasmessa alla Commissione e resa nota al pubblico.

2. La Commissione elabora una relazione globale basata sulle relazioni di cui al paragrafo 1. Tale relazione comprende un'adeguata valutazione dei progressi ottenuti e segnatamente del contributo di natura 2000 alla realizzazione degli obiettivi di cui all'articolo 3. La parte del progetto di relazione riguardante le informazioni fornite da uno Stato membro viene inviata, per verifica, alle autorità dello Stato membro in questione. Il testo finale della relazione, dopo essere stato sottoposto al Comitato, viene pubblicato a cura della Commissione, al massimo entro due anni dal momento in cui le relazioni di cui al paragrafo 1 sono pervenute e viene trasmesso agli Stati membri, al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale.

3. Gli Stati membri possono indicare le zone designate ai sensi della presente direttiva mediante i tabelloni comunitari predisposti a tale scopo dal Comitato.

 

Ricerca

Articolo 18

1. Gli Stati membri e la Commissione promuovono la ricerca e le attività scientifiche necessarie ai fini degli obiettivi di cui all'articolo 2 e dell'obbligo enunciato all'articolo 11. Essi procedono ad uno scambio di informazioni per garantire un efficace coordinamento della ricerca attuata nell'ambito degli Stati membri e della Comunità.

2. Particolare attenzione sarà annessa alle attività scientifiche necessarie per l'attuazione degli articoli 4 e 10 e verrà incentivata la cooperazione transfrontaliera tra Stati membri in materia di ricerca.

 

Procedure di modifica degli allegati

Articolo 19

Le modifiche necessarie per adeguare al progresso tecnico e scientifico gli allegati I, II, III, V e VI sono adottate dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione.

Le modifiche necessarie per adeguare al progresso tecnico e scientifico l'allegato IV sono adottate dal Consiglio, che delibera all'unanimità su proposta della Commissione.

 

Comitato

Articolo 20 (6)

La Commissione è assistita da un Comitato.

------------------------

(6) Articolo così sostituito dall'allegato III del regolamento (CE) n. 1882/2003.

 

Articolo 21 (7)

1. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente articolo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell'articolo 8 della stessa.

Il periodo di cui all'articolo 5, paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato a tre mesi.

2. Il Comitato adotta il proprio regolamento interno.

------------------------

(7) Articolo così sostituito dall'allegato III del regolamento (CE) n. 1882/2003.

 

Disposizioni complementari

Articolo 22

Nell'attuare le disposizioni della presente direttiva, gli Stati membri:

a) esaminano l'opportunità di reintrodurre delle specie locali del loro territorio di cui all'allegato IV, qualora questa misura possa contribuire alla loro conservazione, sempreché, da un'indagine condotta anche sulla scorta delle esperienze acquisite in altri Stati membri o altrove, risulti che tale reintroduzione contribuisce in modo efficace a ristabilire tali specie in uno stato di conservazione soddisfacente, e purché tale reintroduzione sia preceduta da un'adeguata consultazione del pubblico interessato;

b) controllano che l'introduzione intenzionale nell'ambiente naturale di una specie non locale del proprio territorio sia disciplinata in modo da non arrecare alcun pregiudizio agli habitat naturali nella loro area di ripartizione naturale né alla fauna e alla flora selvatiche locali, e, qualora lo ritengano necessario, vietano siffatta introduzione. I risultati degli studi di valutazione effettuati sono comunicati al Comitato per informazione;

c) promuovono l'istruzione e l'informazione generale sull'esigenza di tutelare le specie di fauna e flora selvatiche e di conservare il loro habitat nonché gli habitat naturali.

 

Disposizioni finali

Articolo 23

1. Gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro due anni a decorrere dalla sua notifica. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

2. Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.

3. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

 

Articolo 24

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

Fatto a Bruxelles, addì 21 maggio 1992.

Per il Consiglio

il presidente

Arlindo Marques Cunha

 (Si omettono gli allegati)


Giurisprudenza

 


 

REPUBBLICA  ITALIANA

 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

PER IL LAZIO

ROMA

 

SEZIONE SECONDA BIS

 

Registro Ordinanze:6854/2005

                                                                       Registro Generale:   9869/2005

 

 

nelle persone dei Signori:

PATRIZIO GIULIA Presidente

FRANCESCO GIORDANO Cons.

RENZO CONTI Cons. , relatore

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nella Camera di Consiglio  del 24 Novembre 2005

 

Visto il ricorso 9869/2005  proposto da:

COMUNE DI RUVO DI PUGLIA

 

rappresentato e difeso da:

CHIEFFI AVV. ROSSELLA

con domicilio eletto in ROMA

V.LE G. MAZZINI, 6

presso

LOFOCO AVV. FABRIZIO  

 

contro

 

MINISTERO AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO  

rappresentato e difeso da:

AVVOCATURA DELLO STATO 

con domicilio eletto in ROMA

VIA DEI PORTOGHESI, 12

presso la sua sede

 

 

REGIONE PUGLIA 

 

per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, del decreto del 25 marzo 2005 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio pubblicato nella G.U. n. 155 del 6/7/2005, di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente, compreso il parere favorevole della Conferenza per i rapporti Stati, Regioni e Politiche Autonome del 3.3.2005;

 

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente;

 

Udito il relatore Cons. RENZO CONTI  e uditi altresì per le parti gli avv.ti indicati nel verbale d’udienza;

Visti gli artt. 19 e 21, u.c., della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e l'art. 36 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642;

Considerato che il ricorso, ad una sommaria delibazione consentita in sede cautelare, appare assistito da sufficiente fumus boni juris, laddove sostanzialmente si contesta la logicità del presupposto della “conflittualità intepretativa” richiamata nel provvedimento  impugnato che avrebbe, se mai, legittimato interventi diversi da quelli del mero annullamento della deliberazione 2-12-1996 del Comitato delle aree naturali protette;

Considerato che sussiste il requisito del danno grave ed irreparabile nei limiti di cui in dispositivo in quanto non risulta contestato che le misure di tutela introdotte nel provvedimento impugnato appaiono meno incisive di quelle conseguenti alla ricomprensione delle ZPS e ZSC nella categoria delle riserve naturali protette di cui alla legge n. 394/1991;

P.Q.M.

 

ACCOGLIE la suindicata domanda incidentale di sospensione, limitatamente al territorio del Comune ricorrente.

 

La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

 

ROMA , li 24 Novembre 2005

 

Presidente

 

Consigliere


 

REPUBBLICA  ITALIANA

 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

PER IL LAZIO

ROMA

 

SEZIONE SECONDA BIS

 

Registro Ordinanze:6856/2005

                                                                         Registro Generale:     9873/2005

 

 

nelle persone dei Signori:

PATRIZIO GIULIA Presidente

FRANCESCO GIORDANO Cons.

RENZO CONTI Cons. , relatore

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nella Camera di Consiglio  del 24 Novembre 2005

 

Visto il ricorso 9873/2005  proposto da:

ASSOCIAZIONE VERDI AMBIENTE E SOCIETA' ONLUS

 

rappresentato e difeso da:

LOFOCO AVV. FABRIZIO

CHIEFFI AVV. ROSSELLA

con domicilio eletto in ROMA

V.LE G. MAZZINI, 6

presso

LOFOCO AVV. FABRIZIO  

 

contro

 

MINISTERO AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO  

rappresentato e difeso da:

AVVOCATURA DELLO STATO 

con domicilio eletto in ROMA

VIA DEI PORTOGHESI, 12

presso la sua sede

 

 

REGIONE PUGLIA 

 

per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, del decreto del 25 marzo 2005 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 155 del 6/7/2005, di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, compreso il parere favorevole della Conferenza per i rapporti Stati, Regioni e Politiche Autonome del 3.3.2005;;

 

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente;

 

Udito il relatore Cons. RENZO CONTI  e uditi altresì per le parti gli avv.ti indicati nel verbale d’udienza;

Visti gli artt. 19 e 21, u.c., della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e l'art. 36 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642;

Considerato che il ricorso, ad una sommaria delibazione consentita in sede cautelare, appare assistito da sufficiente fumus boni juris, laddove sostanzialmente si contesta la logicità del presupposto della “conflittualità intepretativa” richiamata nel provvedimento  impugnato che avrebbe, se mai, legittimato interventi diversi da quelli del mero annullamento della deliberazione 2-12-1996 del Comitato delle aree naturali protette;

Considerato che sussiste il requisito del danno grave ed irreparabile in quanto non risulta contestato che le misure di tutela introdotte nel provvedimento impugnato appaiono meno incisive di quelle conseguenti alla ricomprensione delle ZPS e ZSC nella categoria delle riserve naturali protette di cui alla legge n. 394/1991;

P.Q.M.

 

ACCOGLIE la suindicata domanda incidentale di sospensione.

 

La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

 

ROMA , li 24 Novembre 2005

 

Presidente

 

Consigliere

 

 

 

 


 

REPUBBLICA  ITALIANA

 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

PER IL LAZIO

ROMA

 

SEZIONE SECONDA BIS

 

Registro Ordinanze:6870/2005

                                                                     Registro Generale:     9679/2005

 

nelle persone dei Signori:

PATRIZIO GIULIA Presidente

FRANCESCO GIORDANO Cons.

RENZO CONTI Cons. , relatore

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nella Camera di Consiglio  del 24 Novembre 2005

 

Visto il ricorso 9679/2005  proposto da:

COMUNE DI CERIGNOLA

 

rappresentato e difeso da:

PARADISO AVV. ANGELA

con domicilio eletto in ROMA

VIA SALARIA, 222

presso

PALANO AVV. FABIO 

 

contro

 

MINISTERO AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO  

rappresentato e difeso da:

AVVOCATURA DELLO STATO 

con domicilio eletto in ROMA

VIA DEI PORTOGHESI, 12

presso la sua sede

 

 

REGIONE PUGLIA 

 

per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio pubblicato nella G.U. del 6 luglio 2005, di ogni altro provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale, compreso il parere favorevole espresso dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano del 3/3/2005;

 

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente;

Udito il relatore Cons. RENZO CONTI  e uditi altresì per le parti gli avv.ti indicati nel verbale d’udienza;

Visti gli artt. 19 e 21, u.c., della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e l'art. 36 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642;

Considerato che il ricorso, ad una sommaria delibazione consentita in sede cautelare, appare assistito da sufficiente fumus boni juris, laddove sostanzialmente si contesta la logicità del presupposto della “conflittualità intepretativa” richiamata nel provvedimento  impugnato che avrebbe, se mai, legittimato interventi diversi da quelli del mero annullamento della deliberazione 2-12-1996 del Comitato delle aree naturali protette;

Considerato che sussiste il requisito del danno grave ed irreparabile nei limiti di cui in dispositivo in quanto non risulta contestato che le misure di tutela introdotte nel provvedimento impugnato appaiono meno incisive di quelle conseguenti alla ricomprensione delle ZPS e ZSC nella categoria delle riserve naturali protette di cui alla legge n. 394/1991;

P.Q.M.

 

ACCOGLIE la suindicata domanda incidentale di sospensione, limitatamente al territorio del Comune ricorrente.

 

La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

 

ROMA , li 24 Novembre 2005

 

Presidente

 

Consigliere

 

 

 


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

 

Registro Ordinanza:/ 797/06

Registro Generale:1163/2006

 

Sezione Sesta

 

composto dai Signori:

Pres. Claudio Varrone 

Cons. Luigi Maruotti  

Cons. Giuseppe Romeo  

Cons. Luciano Barra Caracciolo 

Cons. Roberto Chieppa Est.  

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

 

nella Camera di Consiglio del 14 Febbraio 2006 .

 

Visto l'art.21, u.c., della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;

 

Visto l'appello proposto da:

  MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO

rappresentato e difeso da:    AVVOCATURA GEN. STATO

con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

 

contro

VERDI AMBIENTE E SOCIETA ONLUS - ASS.NAZ.PROTEZ.AMBIENTALE

rappresentato e difeso da: Avv.  FABRIZIO LOFOCO

con domicilio  eletto in Roma VIALE G. MAZZINI, 6

 

e nei confronti di

REGIONE PUGLIA

non costituitosi;

 

per l'annullamento dell'ordinanza del TAR  LAZIO  -  ROMA  :Sezione  II  BIS   n. 6856/2005 ,resa tra le parti, concernente PROTEZIONE HABITAT   NATURALE-SALVAGUARDIA BIODIVERSITA'-TUTELA UCCELLI SELVATICI;

Visti gli atti e documenti depositati con l'appello;

Vista l'ordinanza di accoglimentodella domanda cautelare proposta in primo grado;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di:

 

 VERDI AMBIENTE E SOCIETA ONLUS - ASS.NAZ.PROTEZ.AMBIENTALE

 

Udito il relatore Cons. Roberto Chieppa e uditi, altresì, per le  parti  l’avv. dello Stato Guida e l’avv. Lofoco;

 

Ritenuto di dover confermare la misura cautelare, concessa dal TAR sulla base di condivisibili motivazioni;

Considerato, infatti, che l’accoglimento del ricorso in appello determinerebbe l’immediato venire meno di misure di tutela ambientale più rigorose, ancor prima dell’individuazione da parte della Regione delle misure di conservazione più adeguate;

Considerato, pertanto, che il ricorso in appello deve essere respinto, fermo restando l’esercizio da parte della Regione delle proprie attribuzioni in materia;

 

P.Q.M.

 

Respinge l'appello (Ricorso numero: 1163/2006 ).

 

 

La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

 

Roma, 14 Febbraio 2006

L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE

 

 

 

IL SEGRETARIO

 

 

********************************************************************************

Copia conforme alla presente ordinanza (relativa al ricorso numero 1163/2006 ) è stata trasmessa al ............................................................................................................................................................................................................... a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17/08/1907 n. 642.

 

Roma .....................                                                                                 IL DIRIGENTE

 


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

 

Registro Ordinanza:/ 798/06

Registro Generale:1164/2006

 

Sezione Sesta

 

composto dai Signori:

Pres. Claudio Varrone 

Cons. Luigi Maruotti  

Cons. Giuseppe Romeo  

Cons. Luciano Barra Caracciolo 

Cons. Roberto Chieppa Est.  

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

 

nella Camera di Consiglio del 14 Febbraio 2006 .

 

Visto l'art.21, u.c., della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;

 

Visto l'appello proposto da:

  MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO

rappresentato e difeso da:    AVVOCATURA GEN. STATO

con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

 

contro

COMUNE DI RUVO DI PUGLIA

rappresentato e difeso da: Avv.  FABRIZIO LOFOCO

con domicilio  eletto in Roma VIALE G. MAZZINI, 6

 

e nei confronti di

REGIONE PUGLIA

non costituitosi;

 

per l'annullamento dell'ordinanza del TAR  LAZIO  -  ROMA  :Sezione  II  BIS   n. 6854/2005 ,resa tra le parti, concernente PROTEZIONE HABITAT  NATURALE-SALVAGUARDIA BIODIVERSITA'-TUTELA UCCELLI SELVATICI;

Visti gli atti e documenti depositati con l'appello;

Vista l'ordinanza di accoglimentodella domanda cautelare proposta in primo grado;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di:

 

COMUNE DI RUVO DI PUGLIA

 

Udito il relatore Cons. Roberto Chieppa e uditi, altresì, per le  parti  l’avv. dello Stato Guida e l’avv. Lofoco;

 

Ritenuto di dover confermare la misura cautelare, concessa dal TAR sulla base di condivisibili motivazioni;

Considerato, infatti, che l’accoglimento del ricorso in appello determinerebbe l’immediato venire meno di misure di tutela ambientale più rigorose, ancor prima dell’individuazione da parte della Regione delle misure di conservazione più adeguate;

Considerato, pertanto, che il ricorso in appello deve essere respinto, fermo restando l’esercizio da parte della Regione delle proprie attribuzioni in materia;

 

P.Q.M.

 

Respinge l'appello (Ricorso numero: 1164/2006 ).

 

 

La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

 

Roma, 14 Febbraio 2006

L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE

 

IL SEGRETARIO

 

********************************************************************************

Copia conforme alla presente ordinanza (relativa al ricorso numero 1164/2006 ) è stata trasmessa al ............................................................................................................................................................................................................... a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17/08/1907 n. 642.

 

Roma .....................                                                                                 IL DIRIGENTE

 


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

 

Registro Ordinanza:/ 799/06

Registro Generale:1165/2006

 

Sezione Sesta

 

composto dai Signori:

Pres. Claudio Varrone 

Cons. Luigi Maruotti  

Cons. Giuseppe Romeo  

Cons. Luciano Barra Caracciolo 

Cons. Roberto Chieppa Est.  

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

 

nella Camera di Consiglio del 14 Febbraio 2006 .

 

Visto l'art.21, u.c., della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;

 

Visto l'appello proposto da:

  MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO

rappresentato e difeso da:    AVVOCATURA GEN. STATO

con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

 

contro

COMUNE DI CERIGNOLA

rappresentato e difeso dall’Avv. Lofoco

con domicilio  in Roma VIALE MAZZINI n. 6

 

e nei confronti di

REGIONE PUGLIA

non costituitosi;

 

per l'annullamento dell'ordinanza del TAR  LAZIO  -  ROMA  :Sezione  II  BIS   n. 6870/2005 ,resa tra le parti, concernente PROTEZIONE HABITAT   NATURALE-SALVAGUARDIA BIODIVERSITA'-TUTELA UCCELLI SELVATICI;

Visti gli atti e documenti depositati con l'appello;

Vista l'ordinanza di accoglimentodella domanda cautelare proposta in primo grado;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di:

 

COMUNE DI CERIGNOLA

 

Udito il relatore Cons. Roberto Chieppa e uditi, altresì, per le  parti  l’avv. dello Stato Guida e l’avv. Lofoco;

 

Ritenuto di dover confermare la misura cautelare, concessa dal TAR sulla base di condivisibili motivazioni;

Considerato, infatti, che l’accoglimento del ricorso in appello determinerebbe l’immediato venire meno di misure di tutela ambientale più rigorose, ancor prima dell’individuazione da parte della Regione delle misure di conservazione più adeguate;

Considerato, pertanto, che il ricorso in appello deve essere respinto, fermo restando l’esercizio da parte della Regione delle proprie attribuzioni in materia;

 

P.Q.M.

 

Respinge l'appello (Ricorso numero: 1165/2006 ).

 

 

La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

 

Roma, 14 Febbraio 2006

 

L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE

 

IL SEGRETARIO

 

********************************************************************************

Copia conforme alla presente ordinanza (relativa al ricorso numero 1165/2006 ) è stata trasmessa al ............................................................................................................................................................................................................... a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17/08/1907 n. 642.

 

Roma .....................                                                       IL DIRIGENTE

 

 


Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 20 marzo 2003
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana. - Inadempimento di uno Stato - Direttiva 79/409/CEE - Zone di protezione speciale - Conservazione degli uccelli selvatici. - Causa C-378/01
.

 

raccolta della giurisprudenza 2003 pagina I-02857

 

Parti

Nella causa C-378/01,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. G. Valero Jordana e R. Amorosi, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. U. Leanza, in qualità di agente, e dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto un ricorso diretto a far costatare che la Repubblica italiana, non avendo classificato in misura sufficiente come zone di protezione speciale i territori più idonei, per numero e per superficie, alla conservazione delle specie di cui all'allegato I della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 103, pag. 1), e successive modifiche, e delle altre specie migratrici che ritornano regolarmente in Italia, e non avendo comunicato alla Commissione tutte le informazioni opportune in merito alla maggior parte delle dette zone da essa classificate, è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'art. 4, nn. 1-3, della predetta direttiva,

 

LA CORTE

(Sesta Sezione),

composta dal sig. J.-P. Puissochet, presidente di sezione, dai sigg. R. Schintgen e C. Gulmann (relatore), dalle sig.re F. Macken e N. Colneric, giudici,

avvocato generale: sig. P. Léger

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la relazione d'udienza,

sentite le difese orali svolte dalle parti all'udienza del 14 novembre 2002, durante la quale la Commissione è stata rappresentata dal sig. R. Amorosi e la Repubblica italiana dal sig. A. Cingolo, avvocato dello Stato,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 12 dicembre 2002,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza

1 Con ricorso depositato nella cancelleria della Corte il 2 ottobre 2001, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell'art. 226 CE, un ricorso diretto a far constatare che la Repubblica italiana, non avendo classificato in misura sufficiente come zone di protezione speciale (in prosieguo: le «ZPS») i territori più idonei, per numero e per superficie, alla conservazione delle specie di cui all'allegato I della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 103, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»), e successive modifiche, e delle altre specie migratrici che ritornano regolarmente in Italia, e non avendo comunicato alla Commissione tutte le informazioni opportune in merito alla maggior parte delle dette zone da essa classificate, è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'art. 4, nn. 1-3, della predetta direttiva.

Ambito normativo

2 L'art. 2 della direttiva stabilisce che «[g]li Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli [viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il Trattato] ad un livello che corrisponde in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative».

3 L'art. 4, nn. 1-3, della direttiva recita come segue:

«1. Per le specie elencate nell'allegato I sono previste misure speciali di conservazione per quanto riguarda l'habitat, per garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione.

A tal fine si tiene conto:

a) delle specie minacciate di sparizione;

b) delle specie che possono essere danneggiate da talune modifiche del loro habitat;

c) delle specie considerate rare in quanto la loro popolazione è scarsa o la loro ripartizione locale è limitata;

d) di altre specie che richiedono una particolare attenzione per la specificità del loro habitat.

Per effettuare le valutazioni si terrà conto delle tendenze e delle variazioni dei livelli di popolazione.

Gli Stati membri classificano in particolare come zone di protezione speciale i territori più idonei in numero e in superficie alla conservazione di tali specie, tenuto conto delle necessità di protezione di queste ultime nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva.

2. Analoghe misure vengono adottate dagli Stati membri per le specie migratrici non menzionate nell'allegato I che ritornano regolarmente, tenuto conto delle esigenze di protezione nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva per quanto riguarda le aree di riproduzione, di muta e di svernamento e le zone in cui si trovano le stazioni lungo le rotte di migrazione. A tale scopo, gli Stati membri attribuiscono una importanza particolare alla protezione delle zone umide e specialmente delle zone d'importanza internazionale.

3. Gli Stati membri inviano alla Commissione tutte le informazioni opportune affinché essa possa prendere le iniziative idonee per il necessario coordinamento affinché le zone di cui al paragrafo 1, da un lato, e 2, dall'altro, costituiscano una rete coerente e tale da soddisfare le esigenze di protezione delle specie nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva».

Procedimento precontenzioso

4 Ritenendo che la Repubblica italiana fosse venuta meno a taluni obblighi derivanti dall'art. 4 della direttiva, la Commissione, con lettera 18 marzo 1994, invitava tale Stato membro a presentare le sue osservazioni al riguardo.

5 In questa lettera la Commissione sottolineava, in particolare, che la Repubblica italiana non aveva ancora designato le ZPS idonee, per numero e per superficie, sia per le specie contemplate nell'allegato I della direttiva che per le altre specie migratrici che ritornano regolarmente in Italia. Secondo la Commissione, le autorità italiane avevano designato solo 74 ZPS, pari ad una superficie di circa ha 310 400 e, inoltre, 22 di queste 74 zone riguardavano territori che non costituivano aree importanti per l'avifauna. Inoltre, la Commissione addebitava alle dette autorità la mancata trasmissione di dati quantitativi appropriati per la maggior parte delle ZPS designate, con la conseguenza che essa non era in grado di effettuare tutte le verifiche necessarie né di procedere al coordinamento della rete di tali ZPS in Italia.

6 Con varie lettere inviate alla Commissione tra il 21 novembre 1994 e il 15 maggio 1997, le autorità italiane informavano quest'ultima della designazione di un totale di 34 nuove ZPS e le trasmettevano i dati tecnici relativi alle stesse.

7 Considerando che le misure adottate dalla Repubblica italiana per conformarsi agli obblighi previsti dall'art. 4 della direttiva fossero ancora insufficienti, la Commissione, con lettera 18 agosto 1998, emetteva un parere motivato nel quale constatava, da un lato, che la classificazione come ZPS era ancora ampiamente insufficiente rispetto agli obblighi imposti dal detto art. 4 e, dall'altro, che non aveva ancora ricevuto comunicazione di tutta una serie di dati e informazioni relativi ad un gran numero di ZPS designate da tale Stato membro. La Commissione invitava quest'ultimo ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a tale parere motivato entro due mesi dalla notifica del medesimo.

8 Tra il 19 novembre 1998 e il 9 agosto 2000 il governo italiano indirizzava alla Commissione varie comunicazioni, con le quali la informava delle nuove designazioni di ZPS e le trasmetteva una documentazione tecnica che si riferiva a queste ultime così come alle ZPS designate precedentemente.

9 La Commissione, considerando che tali comunicazioni non le permettessero di concludere che la Repubblica italiana si fosse conformata agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 4 della direttiva, ha deciso di proporre il presente ricorso.

Sul ricorso

Sull'insufficienza per numero e per superficie dei territori classificati come ZPS

Argomenti delle parti

10 La Commissione si fonda sull'Inventory of Important Bird Areas in the European Community (Inventario delle aree importanti per l'avifauna nella Comunità europea), pubblicato nel 1989 (in prosieguo: l'«Inventario IBA 89»), per sostenere che la Repubblica italiana non ha classificato in misura sufficiente come ZPS i territori più idonei, per numero e per superficie, alla conservazione delle specie di cui all'allegato I della direttiva e delle altre specie migratrici che ritornano regolarmente in Italia, venendo meno in tal modo agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 4, nn. 1 e 2, della stessa. Infatti, salvo prova scientifica contraria, i siti elencati nell'Inventario IBA 89 potrebbero essere considerati come territori essenziali per la conservazione delle specie menzionate nel detto allegato e delle altre specie migratrici. Di conseguenza, essi dovrebbero essere classificati come ZPS ai sensi della disposizione citata. Orbene, in base al detto Inventario, in Italia esisterebbero 164 aree importanti per l'avifauna, ricoprenti una superficie totale di ha 3 609 070. Le autorità italiane avrebbero classificato sino ad ora 336 siti come ZPS, cioè una superficie totale di ha 1 370 700. Secondo la Commissione, 194 di queste ZPS non coincidono, nemmeno in parte, con nessuna delle 164 aree importanti per l'avifauna elencate nell'Inventario IBA 89. Di conseguenza, un gran numero di siti enunciati in tale Inventario ed una superficie rilevante di questi dovrebbero ancora essere classificati come ZPS dalle autorità italiane affinché le disposizioni della direttiva siano rispettate.

11 Secondo il governo italiano, le misure che gli Stati membri adottano per assicurare una varietà ed una superficie sufficienti di habitat per tutte le specie di uccelli sono in linea con la direttiva se sono proporzionate alla popolazione delle specie di uccelli protetti. A questo proposito, esso precisa che quest'ultima deve essere determinata in relazione alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali proprie a ciascuna specie, tenendo altresì conto delle esigenze economiche e ricreative della zona geografica presa in considerazione.

12 Il detto governo fa valere che la censura relativa ad un inadempimento dell'obbligo di protezione deve indicare i criteri scientifici sui quali è basata. Orbene, la Commissione si sarebbe limitata a muovere critiche puramente formali, in un settore in cui non è ammessa l'inversione dell'onere della prova, senza alcun riferimento alle specie protette, alle rotte di migrazione o alle zone di sosta, nonché alle colture locali e alle attività economiche delle zone interessate. Le censure così formulate sarebbero pertanto rimaste su un piano puramente astratto e, come tali, sarebbero inidonee a fondare un ricorso per inadempimento.

13 Inoltre, il governo italiano rileva che le misure che esso ha adottato per conformarsi agli obblighi derivanti dalla direttiva risultano già dalla documentazione prodotta dalla Commissione a sostegno del proprio ricorso. Tali misure di selezione e di indagine sarebbero tutte in via d'esecuzione. Successivamente all'invio della lettera di diffida, le autorità italiane avrebbero designato 269 ZPS, circostanza che costituisce un aumento della superficie di queste pari a ha 1 518 000. Nondimeno, la designazione di nuove ZPS sarebbe ancora in corso. Infine, il governo italiano precisa che, per aggiornare l'Inventario IBA 89, il Ministero dell'Ambiente, nel dicembre 2000, ha affidato alla Lega Italiana Protezione Uccelli il compito di rivedere l'elenco delle IBA situate nel territorio italiano.

Giudizio della Corte

14 Si deve ricordare, in primo luogo, che l'art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva impone agli Stati membri di classificare come ZPS i territori rispondenti ai criteri ornitologici determinati da tali disposizioni (v., in tal senso, sentenza 2 agosto 1993, causa C-355/90, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-4221, punti 26, 27 e 32).

15 In secondo luogo, va sottolineato che né le esigenze economiche né le esigenze ricreative enunciate all'art. 2 della direttiva possono essere prese in considerazione all'atto della scelta e della delimitazione di una ZPS (v., in tal senso, sentenza 19 maggio 1998, causa C-3/96, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-3031, punto 59).

16 Orbene, è pacifico che le autorità italiane hanno continuato a classificare altri territori come ZPS dopo la scadenza del termine stabilito nel parere motivato, segnatamente per conformarsi alle prescrizioni di quest'ultimo.

17 Inoltre, il governo italiano ha fatto capire che la scelta delle ZPS dipende anche da esigenze economiche o ricreative.

18 D'altronde, non viene contestato che un gran numero ed una superficie rilevante dei siti elencati nell'Inventario IBA 89 non sono stati classificati come ZPS dalle autorità italiane. A tal riguardo si deve rilevare che il governo italiano, anche se in udienza ha sostenuto che il detto Inventario necessitava di una revisione, ha riconosciuto che non era stato in grado di contrapporgli uno strumento più efficace. Ciò premesso, tenuto conto del carattere scientifico dell'Inventario IBA 89 e della mancata produzione di qualsiasi elemento di prova scientifica da parte della Repubblica italiana, diretto in particolare a dimostrare che si potesse adempiere agli obblighi derivanti dall'art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva classificando come ZPS siti diversi da quelli risultanti dal detto Inventario e ricoprenti una superficie totale inferiore a quella di questi ultimi, tale Inventario, per quanto non sia giuridicamente vincolante per lo Stato membro interessato, può essere utilizzato dalla Corte come elemento di riferimento che consenta di valutare se la Repubblica italiana abbia classificato un numero ed una superficie sufficienti di territori come ZPS ai sensi delle citate disposizioni della direttiva (v., in tal senso, sentenza Commissione/Paesi Bassi, cit., punti 68-70).

19 Alla luce di quanto precede, è giocoforza constatare che è fondata la censura relativa all'insufficienza, per numero e per superficie, dei territori classificati come ZPS.

Sulla mancata trasmissione alla Commissione di tutte le informazioni utili relative alle ZPS

20 La Commissione fa valere che le autorità italiane, non comunicandole i dati ornitologici completi ed esatti ed una cartografia sufficientemente precisa, hanno violato l'art. 4, n. 3, della direttiva.

21 Il governo italiano non contesta tale censura. D'altronde, nella lettera che ha inviato alla Commissione il 19 novembre 1998, esso riconosceva il carattere parziale delle informazioni e della cartografia che le aveva precedentemente comunicato riguardo alle 108 zone già classificate come ZPS.

22 Di conseguenza, deve essere accolta anche la censura relativa alla mancata trasmissione alla Commissione di tutte le informazioni utili relative alle ZPS.

23 Si deve quindi constatare che la Repubblica italiana, non avendo classificato in misura sufficiente come ZPS i territori più idonei, per numero e per superficie, alla conservazione delle specie di cui all'allegato I della direttiva, e successive modifiche, e della altre specie migratrici che ritornano regolarmente in Italia, e non avendo comunicato alla Commissione tutte le informazioni opportune in merito alla maggior parte delle dette zone da essa classificate, è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'art. 4, nn. 1-3, della direttiva.

Decisione relativa alle spese

Sulle spese

24 Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Dispositivo

Per questi motivi,

LA CORTE

(Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1) La Repubblica italiana, non avendo classificato in misura sufficiente come zone di protezione speciale i territori più idonei, per numero e per superficie, alla conservazione delle specie di cui all'allegato I della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e successive modifiche, e delle altre specie migratrici che ritornano regolarmente in Italia, e non avendo comunicato alla Commissione tutte le informazioni opportune in merito alla maggior parte delle dette zone da essa classificate, è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'art. 4, nn. 1-3, della predetta direttiva.

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.


 

Atti di sindacato ispettivo


 

Interpellanza urgente 2-00069

presentata da

LUANA ZANELLA

lunedì 17 luglio 2006 nella seduta n. 026

 

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, per sapere - premesso che:

 

dopo aver preso in esame i numerosi e documentati esposti della Lega per l'abolizione della caccia (LAC) Sezione del Veneto, la Commissione europea ha constatato che la regione Veneto ha concesso con la legge regionale n. 13 del 12 agosto 2005 approvata dall'attuale maggioranza, la caccia a specie di uccelli protetti quali fringuello, peppola, passero, passera mattugia, tortora dal collare, storno e cormorano in palese violazione della direttiva 79/409/CEE;

 

con un comunicato del 29 giugno 2006 la Commissione europea ha quindi reso noto il deferimento dell'Italia alla Corte di giustizia europea perché la regione Veneto ha concesso la caccia a specie di uccelli protetti in palese violazione della normativa vigente;

 

il 12 ottobre del 2005 la Commissione europea aveva trasmesso, contro la legge regionale del Veneto, la prima comunicazione, la cosiddetta «messa in mora». Lo scorso 10 aprile 2006 il Commissario all'ambiente Stravros Dimas, su decisione della Commissione europea, aveva scritto per la seconda volta al governo italiano un cosiddetto «parere motivato», in riferimento al reclamo n. 2004/4926 per la violazione della «Direttiva uccelli» da parte della regione Veneto. Ora la Corte di giustizia europea alla quale è giunto il «caso Veneto» potrebbe condannare lo Stato italiano al pagamento di multe milionarie per la violazione del diritto comunitario, multe che di fatto pagheranno i contribuenti italiani al solo scopo di consentire ai cacciatori veneti la caccia illegale a uccelli protetti;

 

la LAC del Veneto lo scorso 12 giugno 2006 ha trasmesso una formale richiesta di annullamento della legge veneta anche al Presidente del Consiglio dei Ministri, onorevole Romano Prodi, al ministro degli affari regionali e autonomie locali, onorevole Linda Lanzillotta, al ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, onorevole Alfonso Pecoraro Scanio, al ministro delle politiche europee, onorevole Emma Bonino, e al ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali onorevole Paolo De Castro, dato che l'Unione nel suo programma prevede, a pagina 153, «il rispetto delle direttive comunitarie in materia di caccia». La caccia in Veneto riparte il prossimo 17 settembre e con essa l'abbattimento illegale delle specie cacciabili in deroga -:

 

se non si ritenga di dover intervenire urgentemente, e in quale modo per scongiurare che lo Stato italiano sia condannato per la violazione della normativa comunitaria.

(2-00069) «Zanella, Bonelli».

 

 

 

 

 

XV LEGISLATURA


Resoconto sommario e stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 33 di giovedì 27 luglio 2006

(omissis)

(Iniziative per il rispetto delle direttive comunitarie in materia di caccia - n. 2-00069)

 

PRESIDENTE. L'onorevole Zanella ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00069 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).

 

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, l'interpellanza urgente in esame, ancora una volta (dico ancora una volta perché nella precedente legislatura avevo presentato un'interpellanza avente lo stesso oggetto) concerne la legge della regione Veneto, la n. 13 del 12 agosto 2005, che ha consentito la caccia a sette specie di uccelli protetti dalla direttiva comunitaria 79 /409/CE e dalla legge n. 157 del 1992. La caccia è consentita per un arco di cinque anni, ovvero dal 2005 al 2010, in tutte le forme quali l'appostamento temporaneo, quello fisso e quello vagante. Le sette specie di uccelli sono il fringuello, la peppola, il passero, la passera mattugia, la tortora dal collare, lo storno e il cormorano. Ciò significa che sono a rischio ben 159 milioni di uccelli, per cinque giorni alla settimana, senza che sia stato previsto dalla legge alcun controllo aggiuntivo.

Pongo in rilievo, inoltre, che la Commissione europea, dopo aver preso in esame numerosi e documentati esposti presentati dalla Lega per l'abolizione della caccia del Veneto, ha constatato che la regione Veneto ha concesso la caccia a queste specie di uccelli protetti in palese violazione della direttiva citata. Il 12 ottobre del 2005 la Commissione europea aveva trasmesso, contro la legge regionale del Veneto, la prima comunicazione, la cosiddetta messa in mora. Il 10 aprile 2006 il Commissario all'ambiente, Dimas, su decisione della Commissione europea, aveva scritto per la seconda volta al Governo italiano un cosiddetto parere motivato, in riferimento al reclamo per la violazione della «direttiva uccelli» da parte della regione Veneto.

Ora, poiché la Commissione europea ha comunicato il 29 giugno 2006, attraverso una nota, il deferimento dell'Italia alla Corte di giustizia europea, ci troviamo nella situazione in cui, ancora una volta, il nostro paese rischia di essere condannato al pagamento di una multa milionaria con grave danno, oltre che per la fauna selvatica, anche per le casse dello Stato e, indirettamente, per le tasche dei contribuenti.

La Lega per l'abolizione della caccia del Veneto ed io stessa, sia nelle mie interpellanze sia nei momenti di confronto, anche informali, con i rappresentanti del Governo, abbiamo chiesto che il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri competenti annullino, così come previsto dalla legge, quella normativa regionale veneta, approvata in palese violazione della direttiva europea.

In conclusione, con la mia interpellanza urgente si chiede al Governo come intenda intervenire al riguardo. Ricordo, inoltre, che, al di fuori della ritualità e dell'ufficialità degli atti di sindacato ispettivo, su questa problematica vi è anche un impegno assunto dall'Unione con una precisa previsione programmatica.

 

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali, Pietro Colonnella, ha facoltà di rispondere.

 

PIETRO COLONNELLA, Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali. Onorevole Presidente, onorevoli interpellanti, il Governo intende assumere positivamente lo spirito segnalato dall'interpellanza in oggetto. Riteniamo che si tratti di una questione di particolare rilevanza.

Il Governo ha intenzione di esaminare in uno dei prossimi Consigli dei ministri un decreto-legge con il quale saranno individuate una serie di misure urgenti per l'esercizio dell'attività venatoria e, nello specifico, il divieto di esercitare tale attività in deroga all'articolo 9, lettera c), della richiamata direttiva 79/409.

Nel decreto-legge vi sarà anche una disposizione che prevede la predisposizione di un decreto del ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con la Conferenza permanente tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, al fine di individuare le specifiche tipologie ambientali di riferimento, sulla base dei criteri ornitologici indicati nella direttiva sopra indicata. Con lo stesso decreto, saranno determinati i requisiti minimi relativi alle misure di conservazione e le modalità di esercizio del potere di deroga, ai sensi dell'articolo 9, lettere a) e b), della direttiva suddetta.

Sarà, inoltre, prevista la modifica dell'articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157, prevedendo che le deroghe costituiscono un provvedimento assolutamente eccezionale, specificatamente motivato, disposto solo in assenza di altre soluzioni e, comunque, in base all'analisi puntuale dei presupposti e delle condizioni di fatto stabiliti rigorosamente dall'articolo 9 della direttiva 79/409.

 

PRESIDENTE. La deputata Zanella ha facoltà di replicare.

 

LUANA ZANELLA. Ringrazio il rappresentante del Governo, la cui risposta mi trova speranzosa sul fatto che esso applichi in maniera precisa e puntuale quanto esposto nella risposta appena data.

Ci tengo a sottolineare che il nostro Istituto nazionale per la fauna selvatica aveva già formulato rilievi importanti rispetto alla illegittimità della legge regionale veneta sulla caccia. Ci troviamo di fronte, infatti, ad una situazione per cui una legge regionale degrada ad illecito amministrativo una condotta che in altre parti del territorio nazionale continua ad essere penalmente repressa.

Mi riferisco ad una sentenza che ha visto condannare un cacciatore della provincia di Verona ad una sanzione di 800 euro e al pagamento delle spese processuali per avere abbattuto otto fringuelli. Naturalmente, la legge sulle deroghe nel Veneto non trova neppure tranquilla la giurisprudenza dal punto di vista dell'applicazione della legge, vista la presenza di contenziosi.

La necessità di fare chiarezza e di ripristinare anche il rispetto della normativa nazionale ed europea risponde anche alle esigenze dei cacciatori, di quelli che tante volte non hanno visto, nella tendenza ad esasperare la possibilità di cacciare, una risposta neppure ai loro specifici interessi.

Mi auguro, dunque, che il Governo si attivi quanto prima, perché la della caccia è alle porte (si tratta veramente di una manciata di settimane). Non possiamo consentire che la fauna selvatica sia sottoposta ad un'aggressione e che l'Italia sia addirittura condannata.

Attraverso il cosiddetto decreto Bersani, in discussione presso le competenti Commissioni, abbiamo rilevato che uno dei motivi per i quali vi è stata la necessità di scegliere lo strumento della decretazione d'urgenza è che lo Stato italiano potrebbe pagare milioni e milioni di euro per le infrazioni, una delle quali è quella che noi Verdi abbiamo cercato di trattare e di porre all'attenzione attraverso la nostra interpellanza.

(omissis)

 

 


 

Interrogazione a risposta scritta 4-00698

presentata da

BRUNO MELLANO

mercoledì 26 luglio 2006 nella seduta n.032

 

MELLANO, CAMILLO PIAZZA e BELTRANDI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per le politiche europee. - Per sapere - premesso che:

 

 

la Commissione Europea, con nota del 4 aprile 2006 - 4043, ha aperto una procedura di infrazione nei confronti della Repubblica Italiana e della Regione Liguria per l'emanazione della legge 34/2001 e successive modifiche ed integrazioni, la quale ha come scopo la regolamentazione delle modalità di adozione delle deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici ai sensi dell'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE;

 

nella procedura di infrazione viene contestato che la normativa regionale è contraria all'articolo 9 della direttiva in quanto identifica in maniera generale ed astratta e senza limiti di tempo le specie oggetto della deroga mentre, nel sistema della direttiva, la deroga è un provvedimento eccezionale di carattere provvedimentale, che viene adottato solo in base a una precisa e puntuale analisi dei presupposti e delle condizioni stabilite all'articolo 9;

 

il parere motivato indirizzato alla Repubblica Italiana a titolo dell'articolo 226 del trattato che istituisce la Comunità Europea per violazione dell'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE, riguarda la cattiva applicazione della presente direttiva sulla conservazione degli uccelli selvatici con l'adozione della sopraindicata disposizione normativa regionale;

 

la nota del 4 luglio 2006 prot. n. 203564 della Commissione delle Comunità Europee in cui si invita la Repubblica Italiana a prendere le disposizioni per conformarsi al sopraccitato parere motivato entro due mesi dal medesimo;

 

l'Italia negli ultimi anni ha ricevuto ben 80 infrazioni alla normativa comunitaria ambientale, di cui 22 proprio legate alla tutela della biodiversità -:

 

se il Governo non ritenga urgente intervenire, e in quale modo, ai sensi dell'articolo 120, comma secondo, della Costituzione e dell'articolo 8 della legge n. 131 del 2003, al fine di garantire che la direttiva comunitaria richiamata in premessa venga effettivamente rispettata in tutto il territorio nazionale;

 

se il Governo non ritenga opportuno ed urgente modificare in tal senso la legge del 3 ottobre 2002 n. 221. (4-00698)

 

 

 

 

 


Procedure d’infrazione avviate dall’UE

 


 



[1]     Dir.P.C.M. 27 marzo 2000 “Analisi tecnico-normativa e analisi dell'impatto e della regolamentazione” (Pubblicata nella Gazz. Uff. 23 maggio 2000, n. 118). L’art.2, concernente l’ATN, prevede che l'ATN verifica l'incidenza della normativa proposta sull'ordinamento giuridico vigente, dà conto della sua conformità alla Costituzione e alla disciplina comunitaria nonché dei profili attinenti al rispetto delle competenze delle regioni e delle autonomie locali e ai precedenti interventi di delegificazione. L'ATN, inoltre, dà conto della correttezza delle definizioni e dei riferimenti normativi contenuti nel testo della normativa proposta, nonché delle tecniche di modificazione e abrogazione delle disposizioni vigenti, riportando eventuali soluzioni alternative prese in considerazione ed escluse. L'analisi è condotta anche alla luce della giurisprudenza esistente e di eventuali progetti di modifica della stessa materia già in corso di esame. L’art.3, concernente l’AIR, prevede che l'AIR è uno strumento per stabilire la necessità di un intervento di regolamentazione e per scegliere quello più efficace. L'AIR consiste nella valutazione dell'impatto della regolamentazione sull'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e nella valutazione dell'impatto della regolamentazione sui cittadini e sulle imprese. L'AIR contiene la descrizione degli obiettivi del provvedimento di regolamentazione la cui eventuale adozione è in discussione e delle opzioni alternative, nonché la valutazione dei benefìci e dei costi derivanti dalla misura regolatoria.

[2]     L’obbligo di indicare le norme espressamente modificate o abrogate dal provvedimento è previsto dall’art.17, co.30, della legge 15 maggio 1997, n.127.

[3] Il parere motivato fa seguito ad una lettera di messa in mora del 10 aprile 2006 con cui la Commissione chiedeva all’Italia di inviare le proprie osservazioni entro il termine di due mesi, come previsto dall’articolo 226 del Trattato CE. L’Italia non ha risposto alla lettera di messa in mora e, con una lettera del 12 giugno 2006, ha chiesto una proroga di due mesi al termine fissato nella lettera di messa in mora, al fine di potere completare l’esame delle risposte fornite dalle amministrazioni locali interessate. La Commissione ha deciso di non concedere la proroga sia perché la richiesta in tal senso le è pervenuta dopo la scadenza del termine di due mesi già fissato nella lettera di messa in mora sia per la necessità di adeguare tempestivamente la legislazione italiana alla direttiva 79/409/CEE in considerazione dell’imminente apertura della stagione venatoria.

[4]    Protocollo d’intesa del 29 aprile 2004.

[5]    Il 18 ottobre 2005 la Commissione ha inviato una lettera di messa in mora all’Italia chiedendole di presentare le proprie osservazioni entro il termine di due mesi. L’Italia ha risposto con una lettera del 15 marzo 2006 nella quale afferma che la Regione Sardegna ha avviato le procedure per la modifica della legge regionale n. 2 del 13 febbraio 2004. La Commissione contesta, tuttavia, che la comunicazione italiana non contiene né una calendarizzazione della procedura legislativa regionale, né un testo delle modifiche proposte alla legge regionale n. 2 del 2004, né un’indicazione di quali aspetti toccati dalla lettera di messa in mora la legge regionale intenda risolvere. L’Italia, pertanto, non ha contestato gli addebiti formulati nella lettera di messa in mora e non ha risolto gli stessi.

[6]    La Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora il 18 ottobre 2005, chiedendo di presentare osservazioni entro i termine di due mesi. Poiché l’Italia non ha risposto alla richiesta della Commissione e quindi non ha contestato gli addebiti formali e non li ha risolti, la Commissione ha deciso di inviare un parere motivato.

[7]    Il parere motivato fa seguito ad una lettera di messa in mora del 10 aprile 2006, con cui la Commissione chiedeva all’Italia di inviare le proprie osservazioni entro il termine di due mesi, come previsto dall’articolo 226 del Trattato CE. L’Italia non ha risposto alla lettera di messa in mora e con una lettera del 12 giugno 2006 ha chiesto una proroga di due mesi al termine fissato nella lettera di messa in mora, al fine di potere completare l’esame delle risposte fornite dalle amministrazioni locali interessate. La Commissione ha deciso di non concedere la proroga sia perché la richiesta in tal senso le è pervenuta dopo la scadenza del termine di due mesi fissato nella lettera di messa in mora sia per la necessità di adeguare tempestivamente la legislazione italiana alla direttiva 79/409/CEE in considerazione dell’imminente apertura della stagione venatoria.

[8]    Procedura di infrazione n. 2001/5308.

[9]    Procedura di infrazione n. 2002/4342.

[10]   Procedura di infrazione n. 2001/4156.

[11]   Procedura di infrazione n. 2003/5145.

[12]   Procedura di infrazione n. 2003/5138.

[13]   Si ricorda che, a norma dei regolamenti n. 1782/2003 e 796/2004,il pagamento degli aiuti diretti è condizionato al rispetto delle norme in materia di salvaguardia ambientale, sicurezza alimentare, sanità animale e vegetale e protezione degli animali, come pure all'obbligo di mantenere la terra in buone condizioni agronomiche ed ecologiche (la cosiddetta "condizionalità"); per sorvegliare l’adempimento degli obblighi di condizionalità, gli Stati membri istituiscono un apposito sistema di controllo.

[14]   La rete Natura 2000 comprende i siti protetti individuati dagli Stati membri in base alla direttiva sulla protezione degli uccelli selvatici (direttiva 79/409/CEE) ed alla direttiva sulla protezione degli habitat (direttiva n. 92/43(CEE).

[15]   Quest’ultima disposizione prevede che “nei casi di assoluta urgenza, qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, che sono immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle Comunità montane, che possono chiederne il riesame”.

[16]   La sospensione è stata disposta una prima volta dall’articolo 3, comma 1, lettera a) della legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289/2002) e quindi confermata per gli anni successivi.

[17]   Giova però segnalare che l’articolo 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, ha previsto che “le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali di cui al primo comma dell’articolo precedente abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse”.

      La dottrina sembra divisa tra chi sostiene la legittimità dell’abrogazione e chi sostiene invece che sarebbe più corretto prevedere altre forme di cessazione dell’efficacia.

      Non risultano sentenze della Corte costituzionale specifiche sul punto. Si segnala però la sentenza n. 116 del 2006 (nel giudizio di legittimità costituzionale di diversi articoli del decreto-legge n. 279/2004, in materia di coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica), nella quale la Corte sembra ammettere la possibilità che leggi statali abroghino per incompatibilità leggi regionali.

      Le Regioni, negli ultimi anni, hanno lamentato, in occasione di due ricorsi alla Corte costituzionale, l’effetto abrogativo di proprie leggi da parte di leggi statali. Si segnalano, in particolare, i seguenti ricorsi: della Regione Toscana avverso l’articolo 1, comma 2, lettera o), della legge n. 30/2003, dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 50 del 28 gennaio 2005; delle Regioni Piemonte, Lombardia, Veneto e Liguria avverso numerosi articoli della legge 29 marzo 2001, n. 135, recante riforma della legislazione nazionale del turismo (con la sentenza n. 197 del 5 giugno 2003 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili tutti i ricorsi per cessazione della materia del contendere).

[18]    Tale Comitato è stato successivamente soppresso dal D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281.

[19]    Pubblicata nella G.U. n. 205 del 4 settembre 2003 – S.O. n. 144.

[20]   L. 8 febbraio 2006, n. 6, Istituzione di zone di protezione ecologica oltre il limite esterno del mare territoriale, (G.U. 52/2006).

 

[21]   D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche.

[22]   Legge 11 febbraio 1992, n. 157, Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio.