Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: Gli enti locali nel disegno di legge finanziaria per il 2008 (A.C. 3256)
Riferimenti:
AC n. 3256/XV     
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 112
Data: 27/11/2007
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Documentazione e ricerche

 

 

 

 

 

 

Gli enti locali
nel disegno di legge finanziaria per il 2008
(A.C. 3256)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 112

 

27 novembre 2007

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il presente dossier raccoglie le schede di lettura del disegno di legge finanziaria per il 2008 (A.C. 3256) che presentano uno specifico interesse per gli enti locali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento Bilancio e politica economica

 

SIWEB

 

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File: BI0277.doc

 


INDICE

Le disposizioni di interesse per gli enti locali contenute nel disegno di legge finanziaria per il 2008 (A.C. 3256)

Entrate. 3

§      Articolo 2, commi 1-3 (Detrazione ICI prima casa)3

§      Articolo 9, comma 54 (Affidamento a terzi del servizio di riscossione tributi di comuni e province)7

§      Articolo 24 comma 2 (Compartecipazione delle province al gettito IRPEF)11

Trasferimenti13

§      Articolo 24, comma 1 (Determinazione dei trasferimenti erariali agli enti locali per il 2008)13

§      Articolo 24, comma 3 (Soppressione norme sulla riqualificazione urbana)18

§      Articolo 42, comma 1, lett. d) ed e), e comma 2 (Chiusura dell’emergenza conseguente alla crisi sismica nelle regioni Umbria e Marche del 1997: contributi ai comuni)20

§      Articolo 124, comma 1 (Modifica della disciplina per l’istituzione di zone franche urbane)23

Patto di stabilità. 25

§      Articolo 19, comma 1 (Modifiche al patto di stabilità interno degli enti locali)25

§      Articolo 22 (Esclusione del patto di stabilità interno per gli enti commissariati)37

§      Articolo 149, commi 1 e 6 (Esclusione dei maggiori oneri di personale dal patto di stabilità)39

Indebitamento. 41

§      Articolo 20 (Norme per limitare i rischi degli strumenti finanziari sottoscritti dagli enti territoriali)41

Contenimento delle spese. 51

§      Articolo 126, commi 4 e 5 (Razionalizzazione del sistema degli acquisti di beni e servizi delle amministrazioni pubbliche)51


§      Articolo 128 (Contenimento dei costi delle amministrazioni pubbliche: auto di servizio, corrispondenza postale, telefonia, immobili)54

§      Articolo 144, commi 12-15 (Controlli sulle spese degli enti locali per incarichi di studio o di ricerca ovvero per consulenze)63

Personale. 71

§      Articolo 14, comma 12 (Distacco del personale dall’Agenzia del territorio ai comuni)71

§      Articolo 145 (Contenimento degli incarichi, del lavoro flessibile e straordinario nelle pubbliche amministrazioni)73

§      Articolo 146, commi 30 e 31 (Assunzioni di personale da parte degli enti locali)83

§      Articolo 149, comma 14 (Rinnovi contrattuali per il personale delle amministrazioni non statali)87

Società partecipate. 89

§      Articolo 138 (Disposizioni in materia di arbitrato per le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici economici e le società pubbliche)89

§      Articolo 140 (Limiti alla costituzione e alla partecipazione in società delle amministrazioni pubbliche)100

Aspetti istituzionali103

§      Articolo 23 (Scioglimento dei consigli comunali nei casi di mancata approvazione del bilancio)103

§      Articolo 25 (Comunità montane: razionalizzazione e contenimento dei costi)107

§      Articolo 26 (Contenimento dei costi per la rappresentanza nei consigli circoscrizionali, comunali, provinciali e degli assessori comunali e provinciali)124

§      Articolo 27 (Norma di indirizzo alle regioni per la riduzione dei costi derivanti da duplicazione di funzioni)146

Altre disposizioni153

§      Articolo 10 (Trasporto pubblico locale)153

§      Articolo 11 (Fondo per la mobilità alternativa nei centri storici)158

§      Articolo 24, comma 4 (Pubbliche affissioni)161

§      Articolo 24, comma 5 (Utilizzo dei proventi delle concessioni e delle sanzioni in materia edilizia)163

§      Articolo 28, comma 1 (Fondo nazionale per la montagna)164

§      Articolo 28, commi 2-4 (Fondo di sviluppo delle isole minori)166

§      Articolo 53, comma 1, lettera h) (Modifiche delle procedure autorizzative degli impianti alimentati da fonti rinnovabili con riferimento agli enti locali)170

§      Articolo 56 (Impianti fotovoltaici)172

§      Articolo 65(Fondo di garanzia per le opere pubbliche)176

§      Articolo 67, commi 2-3 (Interventi di adeguamento strutturale ed antisismico degli edifici del sistema scolastico)181

§      Articolo 81, comma 1 (Realizzazione di aree verdi per ridurre l’emissione di gas climalteranti, migliorare la qualità dell’aria e tutelare la biodiversità)183

§      Articolo 101 (Tutela degli utenti dei servizi pubblici locali)185


Le disposizioni di interesse
per gli enti locali contenute nel
disegno di legge finanziaria
per il 2008
(A.C. 3256)


Entrate

Articolo 2, commi 1-3
(Detrazione ICI prima casa)

 


1. All'articolo 8 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:

«2-bis. Dall'imposta dovuta per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si detrae un ulteriore importo pari all'1,33 per mille della base imponibile di cui all'articolo 5. L'ulteriore detrazione, comunque non superiore a 200 euro, viene fruita fino a concorrenza del suo ammontare ed è rapportata al periodo dell'anno durante il quale si protrae la destinazione di abitazione principale. Se l'unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica.

2-ter. L'ulteriore detrazione di cui al comma 2-bis si applica a tutte le abitazioni ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9».

2. La minore imposta che deriva dall'applicazione del comma 1 è rimborsata, con oneri a carico del bilancio dello Stato, ai singoli comuni. Il trasferi­mento compensativo è erogato per una quota pari al 50 per cento dell'ammontare riconosciuto in via previsionale a ciascun comune entro e non oltre il 16 giugno e per il restante 50 per cento entro e non oltre il 16 dicembre dell'anno di applicazione del beneficio. Gli eventuali conguagli sono effettuati entro il 31 maggio dell'anno successivo. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministeri dell'interno e per gli affari regionali e le autonomie locali, d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità con le quali possono essere determinati conguagli sulle somme trasferite per effetto del presente comma.

3. In relazione alle competenze attribuite alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano in materia di finanza locale, i rimborsi di cui al comma 2 sono disposti a favore dei citati enti, che provvedono all'attribuzione delle quote dovute ai comuni compresi nei rispettivi territori, nel rispetto degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione.


 

 

I commi da 1 a 3 dell’articolo 2, modificati nel corso dell’esame del provvedimento presso la Commissione bilancio del Senato,recano disposizioni in materia di imposta comunale sugli immobili (ICI) introducendo una ulteriore detrazione per gli immobili adibiti ad abitazione principale[1].

 

L’Imposta Comunale sugli Immobili, disciplinata dal d.lgs. n. 504/1992 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), è un’imposta reale con gettito destinato ai Comuni.

Il presupposto dell’imposta è dato dal possesso di fabbricati, aree fabbricabili o terreni agricoli siti nel territorio dello Stato, qualunque sia la loro destinazione.

Soggetti passivi del tributo sono il proprietario dell’immobile, oppure il titolare del diritto reale di usufrutto, uso o abitazione sullo stesso, anche se non residenti nel territorio dello Stato o se non vi hanno sede legale o amministrativa o non vi esercitano l’attività.

L’imposta si calcola applicando all’imponibile un’aliquota variabile dal 4 a al 7 per mille, la cui fissazione è rimessa ad una deliberazione del comune da adottarsi entro il 31 ottobre di ogni anno, con effetto per l’anno successivo. Se la delibera non viene adottata, si applica ipso iure l’aliquota del 4 per mille.

 

Il comma 1, introducendo i commi 2-bis e 2-ter all’articolo 8 del d.lgs. n. 504/1992, prevede l’applicazione di una ulteriore detrazione ai fini ICI per l’imposta dovuta sulla c.d. “prima casa”.

 

L’articolo 8, comma 2, del citato d.lgs. n. 504/1992 fissa una detrazione ordinaria ai fini ICI di importo annuo pari a 103,29 euro sugli immobili dovuta per l’abitazione principale. La misura del beneficio, che può essere portato in detrazione fino a concorrenza del suo ammontare, deve essere rapportato al periodo dell'anno durante il quale si protrae l’utilizzo dell’immobile come prima casa. Inoltre, se l'unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica.

A decorrere dall'anno di imposta 1997, l’importo ordinario della detrazione, fissato al comma 2, può essere ulteriormente incrementato con delibera comunale. In particolare, il comma 3 del medesimo articolo 8 stabilisce che l'imposta dovuta per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo può essere ridotta fino al 50 per cento ovvero, in alternativa, la detrazione ordinaria pari a 103, 29 euro, di cui al comma 2, del presente articolo, può essere elevato, fino a 258,23 euro, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio.

Il successivo comma 4 estende l’applicazione dei benefici previsti dall’articolo 8 in esame alle unità immobiliari, appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari, nonché agli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari.

 

Ai sensi del nuovo comma 2-bis, l’ammontare dell’ulteriore detrazione è fissata in misura pari all’1,33 per mille della base imponibile e comunque di importo non superiore a 200 euro su base annua.

 

Ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 504 del 1992, la base imponibile dell’ICI è data dal valore degli immobili gravati da tale imposta. Tale valore è determinato applicando i coefficienti fissati dalla norma alla rendita catastale incrementata del 5%. In particolare:

-        per i fabbricati, il coefficiente è pari a 100, se si tratta di abitazioni, alloggi collettivi e fabbricati a destinazione varia; è pari a 50, se si tratta di uffici e studi privati e altri fabbricati a destinazione speciale; è pari a 34, se si tratta di negozi e botteghe;

-        per le aree fabbricabili, dal valore commerciale dell’immobile al 1° gennaio dell’anno di imposizione;

-        per i terreni agricoli la misura del coefficiente è pari a 75 e deve essere applicato al reddito dominicale iscritto in catasto, aumentato del 25 per cento.

 

L’ulteriore detrazione sarà fruita fino a concorrenza del suo ammontare e dovrà essere rapportata al periodo dell’anno durante il quale si protrae la destinazione ad abitazione principale.

Qualora l’unità immobiliare sia adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetterà a ciascuno di essi, in proporzione alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica.

 

Il nuovo comma 2-ter dell’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992, recante disposizioni in materia di esclusione dal beneficio è stato modificato nel corso dell’esame presso la Commissione bilancio del Senato.

In particolare, rispetto al testo originario che escludeva dal beneficio i soggetti con un reddito complessivo IRPEF superiore a 50.000 euro, il testo approvato dal Senato dispone la non applicazione dell’ulteriore detrazione di cui al comma 2-bis con riferimento all’imposta dovuta sugli immobili rientranti nelle categorie catastali A01, A08 e A09, ossia, rispettivamente, gli immobili signorili, le ville e i castelli.

 

Il comma 2, modificato dalla Commissione bilancio del Senato, prevede che la minore imposta derivante dalle maggiori detrazioni ICI sopra esaminate sia rimborsata ai singoli comuni, con oneri a carico del bilancio dello Stato.

Tale trasferimento compensativo per minor gettito ICI è erogato, per una quota pari al 50 per cento dell’ammontare riconosciuto in via previsionale a ciascun comune, entro e non oltre il 16 giugno e, per il restante 50 per cento, entro e non oltre il 16 dicembre dell’anno di applicazione del beneficio. Si dispone inoltre che gli eventuali conguagli siano effettuati entro il 31 maggio dell’anno successivo.

La previsione delle modalità di determinazione dei conguagli sulle somme trasferite in via compensativa è demandata ad un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministeri dell’interno e degli Affari regionali e delle autonomie locali, d’intesa con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, da emanarsi entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Si rammenta che – in base all’art. 10, co. 2, del d.lgs. n. 504 del 1992 – i soggetti tenuti al pagamento dell’ICI devono effettuare il versamento dell’imposta complessivamente dovuta al comune per l’anno in corso in due rate delle quali la prima, entro il 16 giugno, pari al 50 per cento dell’imposta dovuta calcolata sulla base dell’aliquota e delle detrazioni dei dodici mesi dell’anno precedente. La seconda rata deve essere versata dal 1° al 16 dicembre, a saldo dell’imposta dovuta per l’intero anno, con eventuale conguaglio sulla prima rata versata[2]. Il contribuente ha comunque facoltà di provvedere al versamento dell’imposta complessivamente dovuta in un’unica soluzione annuale, da corrispondere entro il 16 giugno.

 

Il comma 3, inserito durante l’esame in Commissione bilancio del Senato, dispone che, per quanto riguarda le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano, i rimborsi di cui al comma 2 finalizzati a compensare il minor gettito ICI vengano erogati a favore di questi ultimi enti, che provvederanno all’attribuzione delle quote dovute ai comuni compresi nei rispettivi territori, nel rispetto degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione.

Si ricorda infatti che le regioni a statuto speciale e province autonome di Trento e Bolzano hanno competenza primaria in materia di ordinamento e finanza degli enti locali.

 


Articolo 9, comma 54
(Affidamento a terzi del servizio di riscossione tributi
di comuni e province)

 


54. All'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 5, la lettera b) è sostituita dalla seguente:

«b) qualora sia deliberato di affidare a terzi, anche disgiuntamente, l'accerta­mento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate, le relative attività sono affidate, nel rispetto della normativa dell'Unione europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, a:

1) i soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53, comma 1;

2) gli operatori degli Stati membri stabiliti in un Paese dell'Unione europea che esercitano le menzionate attività, i quali devono presentare una certificazione rilasciata dalla competente autorità del loro Stato di stabilimento dalla quale deve risultare la sussistenza di requisiti equivalenti a quelli previsti dalla normativa italiana di settore;

3) la società a capitale interamente pubblico, di cui all'articolo 113, comma 5, lettera c), del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, a condizione: che l'ente titolare del capitale sociale eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente che la controlla; che svolga la propria attività solo nell'ambito territoriale di pertinenza dell'ente che la controlla»;

b) il comma 6 è abrogato.


 

 

La disposizione recata dal comma 54 dell’articolo 5 in esame è diretta - come evidenziato dalla relazione illustrativa - ad evitare il proseguimento della procedura di infrazione comunitaria avviata dalla Commissione europea con il parere motivato del 27 giugno 2007.

Con le modifiche che verranno illustrate nel prosieguo, si esclude la possibilità di un affidamento diretto dei servizi di gestione delle entrate locali alle società miste a prevalente capitale pubblico locale e si consente ai prestatori che esercitano questo tipo di attività di poter partecipare alle gare di affidamento dei servizi in questione, senza dover preventivamente ottenere l’iscrizione nell’albo ministeriale, purché in possesso di una certificazione rilasciata dalla competente autorità di stabilimento, dalla quale risulti la sussistenza dei requisiti equivalenti a quelli previsti dalla normativa italiana di settore.

 

Il comma 54 dell’articolo 5 apporta alcune modifiche all’articolo 52 (Potestà regolamentare generale delle province e dei comuni)del d.lgs. n. 446 del 1997[3].

 

La lettera a) del comma 54 sostituisce interamente la lettera b) del comma 5 del citato articolo 52.

 

Secondo il richiamato comma 1 dell’articolo 52 in questione - le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti.

 

La disposizione di cui si propone la sostituzione prevede – nella vigente versione – che i regolamenti comunali e provinciali sulle entrate tributarie siano informati al criterio per cui - qualora sia deliberato di affidare a terzi, anche disgiuntamente, la liquidazione, l'accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le altre entrate - le relative attività devono essere affidate:

1)      mediante convenzione alle aziende speciali di cui all'articolo 22, comma 3, lettera c), della legge n. 142 del 1990, e, nel rispetto delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, alle società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale previste dall'articolo 22, comma 3, lettera e), della citata legge n. 142 del 1990, i cui soci privati siano prescelti tra i soggetti iscritti all'albo di cui all'articolo 53 oppure siano già costituite prima della data di entrata in vigore del decreto, concernente l'albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi, di cui al comma 3 del medesimo articolo 53;

 

In base al comma 3 dell’articolo 22 della legge n. 142 del 1990, i comuni e le province possono gestire i servizi pubblici nelle seguenti forme:

a)       in economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una istituzione o una azienda;

b)      in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale;

c)       a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale;

d)       a mezzo di istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale;

e)       a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati.

Si segnala che la legge n. 142 del 1990 è stata abrogata dall’articolo 274 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali-TUEL (D.Lgs. n. 267 del 2000); pertanto, le modalità di gestione dei servizi pubblici locali trovano la loro disciplina negli artt. 112 e ss. del predetto Testo unico.

f)        nel rispetto delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, alle società miste, per la gestione presso altri comuni, ai concessionari di cui al D.P.R. n. 43 del 1988[4], a prescindere dagli ambiti territoriali per i quali sono titolari della concessione del servizio nazionale di riscossione, ai soggetti iscritti nell'albo di cui al predetto articolo 53, fatta salva la facoltà del rinnovo dei contratti fino alla revisione del sistema delle concessioni di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999[5], previa verifica della sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse.

 

Per effetto della modifica in esame, si dispone che i regolamenti comunali e provinciali sulle entrate tributarie siano informati al criterio per cui - qualora sia deliberato di affidare a terzi, anche disgiuntamente, l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le altre entrate (rispetto alla previsione originaria, è stato espunto il riferimento alla liquidazione) - le relative attività debbano essere affidate:

1)      ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53, comma 1, del D.Lgs. n. 446 del 1997;

L’articolo 53, comma 1, del d.lgs. n. 446 del 1997 prevede che – presso il Ministero delle finanze (oggi dell’economia e delle finanze) – sia istituito l'albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni.

2)      agli operatori degli Stati membri stabiliti in un Paese dell’Unione europea che esercitano le menzionate attività, i quali devono presentare una certificazione rilasciata dalla competente autorità del loro Stato di stabilimento dalla quale deve risultare la sussistenza di requisiti equivalenti a quelli previsti dalla normativa italiana di settore;

3)      alla società a capitale interamente pubblico di cui al comma 5, lettera c), dell’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL), di cui al d.lgs. n. 267 del 2000, a condizione che l’ente titolare del capitale sociale eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente che la controlla; che svolga la propria attività solo nell’ambito territoriale di pertinenza dell’ente che la controlla.

 

L’articolo 113, comma 5, del TUEL, dispone che l’erogazione di servizi pubblici locali di rilevanza economica debba avvenire secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio:

a)       a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;

b)      a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche;

c)       a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.

 

Il comma 54, lettera b), abroga il comma 6 dell’articolo 52 del d.lgs. n. 446 del 1997.

Tale ultimo comma, come sottolineato nella relazione illustrativa, recando norme in ordine alle modalità di riscossione coattiva dei tributi e delle altre entrate degli enti locali, risulta ormai superfluo, perché in parte le norme richiamate non sono più in vigore (è il caso del D.P.R. n. 43 del 1988[6]) e in parte perché la disciplina è già richiamata in altri provvedimenti (come il D.P.R. n. 602 del 1973[7], il D.Lgs. n. 112 del 1999[8], il d.l. n. 209 del 2002[9], convertito, con modificazioni, dalla legge n. 265 del 2002).


Articolo 24 comma 2
(Compartecipazione delle province al gettito IRPEF)

 

2. Le disposizioni in materia di comparteci­pazione provinciale al gettito dell'imposta sul reddito delle persone fisiche di cui all'articolo 31, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, confermate per l'anno 2007 dall'articolo 1, comma 697, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono prorogate per l'anno 2008.

 

 

Il comma 2 dell’articolo 24 conferma, per l’anno 2008, la compartecipazione delle province al gettito dell’IRPEF, disciplinata ai sensi dell’articolo 31, comma 8, della legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289/2002), e confermata negli anni successivi dalle varie leggi finanziarie[10].

 

Va segnalato che il comma 8 dell’articolo 31 della legge n. 289/2002 richiamato dal comma in esame si riferisce alla compartecipazione al gettito dell’IRPEF sia delle province che dei comuni, che fino al 2006 sono state disciplinate secondo analoghe modalità[11].

La legge finanziaria per il 2007 (art. 1, comma 697, legge n. 296/2006) ha peraltro confermato per le sole province la compartecipazione all’IRPEF come disciplinata dall’articolo 31, comma 8, della legge n. 289/2002, recando invece per i comuni l’istituzione di una nuova forma di compartecipazione all’IRPEF (c.d. dinamica) a partire dall’anno 2007, legata all’andamento del gettito IRPEF (art. 1, commi 189-193, della legge n. 296/2006).

 

In particolare, la disciplina dettata dall’articolo 31, comma 8, della legge n. 289/2002, fissa la compartecipazione provinciale al gettito dell’IRPEF nella misura dell’1 per cento del riscosso in conto competenza che affluisce al bilancio dello Stato, con riferimento all’esercizio finanziario 2002, quali entrate derivanti dall’attività ordinaria di gestione, iscritte nel capitolo 1023 dello stato di previsione dell’entrata (per i comuni la misura della compartecipazione era fissata al 6,5%).

In base a tale disciplina, alle province verrà pertanto attribuito, anche nel 2008, lo stesso ammontare di compartecipazione riconosciuto negli anni precedenti (a decorrere dal 2003).

 

L’attuazione della compartecipazione comporta la riduzione dei trasferimenti erariali spettanti a ciascun ente di un ammontare pari alle somme spettanti a titolo di compartecipazione.

La compartecipazione all’IRPEF come disciplinata dall’art. 31, comma 8, della legge n. 289/2002 non costituisce, infatti, una entrata aggiuntiva per i bilanci locali.

Inoltre, poiché dalla compartecipazione all’IRPEF gli enti non possono, comunque, ricevere più di quanto spetti loro a titolo di trasferimento erariale, la normativa vigente prevede che nel caso in cui il livello dei trasferimenti spettanti ai singoli enti risulti insufficiente a consentire il recupero integrale della compartecipazione, la compartecipazione stessa sia corrisposta al singolo ente nei limiti dei trasferimenti spettanti per l’anno corrispondente (comma 4 dell’articolo 67 della legge n. 388/2000).

 

Nel bilancio a legislazione vigente per il 2008, le somme spettanti alle province e ai comuni a titolo di compartecipazione all’IRPEF sono allocate nello stato di previsione del Ministero dell’interno, al capitolo 1320/U.P.B. 2.3.1, iscritto nell’ambito della missione 3 “Relazioni finanziarie con le autonomie territoriali” (corrispondente alla seconda missione del Ministero dell’interno), che risulta dotato di 902 milioni di euro (riferiti soltanto alla compartecipazione comunale all’IRPEF, la cui disciplina è a regime dallo scorso anno).

A seguito della conferma per l’anno 2008 anche della compartecipazione provinciale all’IRPEF, ai sensi del comma in esame, il capitolo 1320 dovrebbe essere incrementato della quota spettante alle province, con conseguente riduzione, per pari importo, dello stanziamento del Fondo ordinario.

 

Per quanto riguarda le modalità di ripartizione, si ricorda che, ai sensi dell’art. 67, comma 3, della legge n. 388/2000, il gettito della compartecipazione è ripartito tra le province in proporzione all’ammontare dell’imposta netta dovuta dai contribuenti, distribuita territorialmente in funzione del domicilio fiscale risultante presso l’anagrafe tributaria. L’imposta dovuta dai contribuenti per ciascun ente è determinata dal Ministero dell’economia e delle finanze sulla base dei dati disponibili.

Ai sensi del decreto del Ministero dell'interno del 21 febbraio 2002, gli importi della compartecipazione al gettito dell'IRPEF sono erogati in due rate di eguale importo entro i mesi di marzo e luglio.


Trasferimenti

Articolo 24, comma 1
(Determinazione dei trasferimenti erariali agli enti locali per il 2008)

 

1. I trasferimenti erariali per l'anno 2008 in favore di ogni singolo ente locale sono determinati in base alle disposizioni recate dall'articolo 1, comma 696, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

 

 

Il comma 1 dell’articolo 24 provvede alla determinazione dei trasferimenti erariali spettanti agli enti locali per l’anno 2008.

 

Come già nelle finanziarie precedenti, la disposizione è finalizzata a dettare criteri per la definizione dell’entità dei trasferimenti spettanti a ogni singolo ente locale nel 2008, in modo da consentire l’approvazione dei relativi bilanci.

In attesa di un complessivo riordino, i trasferimenti agli enti locali continuano ad essere disciplinati ai sensi del decreto legislativo n. 504/1992 (articoli 34-43)[12].

 

Per l’anno 2007, la determinazione dei trasferimenti spettanti a ogni singolo ente locale è effettuata sulla base dei criteri già adottati dalla legge finanziaria dello scorso anno (art. 1, comma 696, della legge n. 296/2006), che, di fatto, richiamandosi a quanto disposto dalle precedenti leggi finanziarie, consolidano, nel contributo ordinario spettante agli enti locali per l’anno 2008, i contributi erariali attribuiti agli enti locali fino all’anno 2002.

 

Il richiamo al comma 696 dell’articolo 1 della legge finanziaria dello scorso annopermette inoltre di confermare, per l’anno 2008, anche la ripartizione dei contributi aggiuntivi e delle altre provvidenze disposte in favore degli enti locali nella stessa misura disposta lo scorso anno, al fine di garantire che ad ogni singolo ente venga attribuito nell’anno 2008 lo stesso ammontare di contributi assegnato nel 2007.

In particolare, il citato comma 696 applicava per l’anno 2007 le disposizioni già applicate l’anno precedente, ai sensi dell’art. 1, comma 64, della legge n. 311/2004 che disponeva la ripartizione tra gli enti locali delle maggiori risorse che si erano rese disponibili, a partire dal 2005, a legislazione vigente sui tre Fondi principali (Fondo ordinario, consolidato e perequativo) per il venir meno della riduzione disposta dall’art. 24, co. 9, della legge n. 448/2001[13], pari a circa 340 milioni di euro. La ripartizione dei 340 milioni viene effettuata, anche nel 2008, nel seguente modo:

a)       260 milioni di euro per confermare i contributi assegnati ai sensi dell’art. 3, co. 27, secondo periodo, 35, 36 e 141, della legge n. 350/2003. In particolare:

-        20 milioni alle unioni di comuni che abbiano effettivamente attivato l’esercizio associato dei servizi (art. 3, co. 27, legge n. 350/2003), al fine di assicurare a tali enti, anche nel 2008 le risorse assegnate nell’anno precedente (31,8 milioni);

-        180 milioni sul Fondo ordinario, quale incremento in base al tasso di inflazione programmato (art. 3, co. 35, secondo periodo, legge n. 350/2003). Tali risorse sono ripartite, per il 50% alla generalità dei comuni e per il restante 50% ai comuni “sottodotati”, individuati ai sensi dell’art. 9, co. 3, del D.Lgs. n. 244/1997;

-       5 milioni per le comunità montane e di 5 milioni per le province (art. 3, co. 141, legge n. 350/2003);

-        50 milioni per il finanziamento degli investimenti dei comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti (art. 3, co. 36, legge n. 350). Tali risorse vengono assegnate per le medesime finalità cui sono destinati i contributi del Fondo nazionale ordinario per gli investimenti, vale a dire, per il finanziamento di opere pubbliche di preminente interesse sociale ed economico. Tale contributo è infatti iscritto sul Fondo nazionale ordinario per gli investimenti;

b)       80 milioni di euro sono destinati in favore dei comuni di cui all'articolo 9, comma 3, del D.Lgs. 30 giugno 1997, n. 244. Si tratta dei comuni c.d. “sottodotati”, le cui risorse, cioè, risultano al di sotto della media pro-capite della fascia demografica di appartenenza, in misura proporzionale allo scarto rispetto alla media stessa[14].

Gli stanziamenti dei Fondi di parte corrente e di conto capitale per il 2008

Il comma in esame non dispone incrementi dei contributi assegnati agli enti locali sui principali Fondi, ma si limita a confermare il quadro normativo delineato dalle disposizioni introdotte dalla legge finanziaria dello scorso anno (art. 1, comma 696, legge n. 296/2006).

E’ inoltre confermata per le province l’attribuzione per l’anno 2008 della compartecipazione al gettito dell’IRPEF nella stessa misura di quella attribuita negli anni precedenti (articolo 24, comma 2).

 

Risorse aggiuntive per gli enti locali sono invece autorizzate dall’Allegato 1, relativo alle “Eccedenze di spesa”, che reca le misure correttive degli effetti finanziari recati da disposizioni legislative ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera i-quater, della legge n. 468 del 1978, in relazione alla compensazione delle minori entrate derivanti dall’ICI (a tale riguardo, cfr. la scheda di lettura relativa all’articolo 150, comma 7).

In particolare, l’allegato dispone l’incremento di 1,2 milioni di euro per il 2008 e di 0,256 milioni di euro a decorrere dal 2009 del Fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli enti locali, quale compensazione di minori entrate derivanti dall’ICI in conseguenza dell’esenzione dal pagamento dell’imposta stessa delle pertinenze degli edifici di culto, disposta dall’articolo 2, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 206.

In base alle certificazioni prodotte dagli enti locali, l’ammontare annuo dei trasferimenti compensativi dovuti a partire dal 2004 sarebbe pari a 5,6 milioni di euro, contro lo stanziamento di 2,5 milioni previsto dalla legge n. 206/2003. Pertanto, attraverso l’Allegato 1 “Eccedenze di spesa” si provvede a rifinanziare il Fondo ordinario per fronteggiare tali maggiori oneri, pari a 0,256 milioni di euro annui a decorrere dal 2004.

 

Ulteriori contributi sono concessi ai sensi dell’articolo 42, comma 2, in favore degli enti locali interessati da crisi sismica, per complessivi 13,6 milioni di euro per l’anno 2008, 11,4 milioni di euro per il 2009, 9,2 milioni di euro per il 2010, 7 milioni di euro per il 2011 e 4,8 milioni di euro per il 2012.

 

Riduzioni dello stanziamento del Fondo ordinario per il finanziamento degli enti locali sono inoltre state disposte:

§      a seguito delle disposizioni recate dall’articolo 25 in materia di razionalizzazione delle comunità montane, i trasferimenti a favore di tali enti, iscritti sul fondo ordinario degli enti locali, sono stati ridotti di 33,4 milioni di euro, per l’anno 2008, e di 66,8 milioni di euro a decorrere dall’anno 2009 (si veda, a tale riguardo, l’art. 25, comma 7);

§      a seguito delle disposizioni recate dall’articolo 26, relative alle misure di contenimento dei costi per la rappresentanza nei consigli circoscrizionali, comunali, provinciali e degli assessori comunali e provinciali, il Fondo ordinario per il finanziamento degli enti locali è stato ridotto di 313 milioni di euro per ogni anno, a decorrere dal 2008 (cfr. articolo 26, comma 8). Va peraltro segnalato che la citata disposizione prevede peraltro che quota parte di tali risorse, nella misura di 100 milioni di euro, sia destinato, per l’anno 2008, all’incremento del contributo a favore dei piccoli comuni (in particolare, in favore dei comuni con meno di 5.000 abitanti che non beneficiano dei contributo assegnati ai sensi del comma 703, art. 1, della legge n. 296/2006[15]). Pertanto dei 313 milioni di euro decurtati al Fondo ordinario, 100 milioni riconfluiranno nel Fondo medesimo quale finanziamento per i piccoli comuni;

 

Si ricorda altresì che l’articolo 11 del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159, recante “Interventi urgenti in materia economico-finanziaria per lo sviluppo e l’equità sociale”, dichiarato collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2008 ha autorizzato la concessione di contributi, fino all'importo di 30 milioni di euro annui, a valere sul Fondo ordinario, per incentivare l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione per l’estinzione anticipata di mutui e prestiti obbligazionari da parte di province e comuni. I contributi sono corrisposti, ai comuni e alle province che ne fanno richiesta, per far fronte agli indennizzi correlati strettamente alle estinzioni anticipate effettuate negli anni 2007-2009.

La relazione del Governo sottolinea che la disposizione si è resa necessaria in conseguenza dell’abolizione, disposta dall’art. 1, co. 699, legge finanziaria 2007, della possibilità, prevista dall’art. 28, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 448, per gli enti locali che presentassero piani quinquennali di riduzione del rapporto debito-PIL, di estinguere anticipatamente i debiti contratti con la Cassa depositi e prestiti, ponendo a carico dello Stato sia gli oneri aggiuntivi che il pagamento dell’indennizzo previsto per le estinzioni anticipate dei mutui.

 


Nel bilancio per il 2008, i principali Fondi di parte corrente e di conto capitale destinati al finanziamento degli enti locali risultano pertanto determinati come indicato nella tavola seguente:

(milioni di euro)

Cap.

 

Bilancio
2007

Assestam
2007

BLV
2008

Effett ddl fin. 2008

Risorse 2008

U.P.B. 2.3.1 parte corrente

1316

Fondo ordinario

6.786

6.972

5.251

-231

5.020

1317

Fondo perequativo

953

1.020

998

-

998

1318

Fondo consolidato

2.412

2.496

2.480

-

2.480

1319

Fondo federalismo amministrativo

224

224

224

-

224

1320

Compartecipazione all’IRPEF

1.263

1.263

902

-

902

 

TOTALE

11.638

11.975

9.855

-232

9623

Cap.

U.P.B. 2.3.2 - conto capitale

 

 

 

 

 

7232

Fondo sviluppo investimenti comuni e province

1.128

1.128

2.493

-

2.493

7233

Fondo sviluppo investimenti comunità montane

16

16

16

-

16

7236

Fondo nazionale ordinario investimenti

50

50

72

-

72

7237

Fondo per il federalismo amministrativo

676

676

676

-

676

 

TOTALE

1.870

1.870

3.257

-

3.257

La variazione del Fondo ordinario è determinata: dalla riduzione di 33,4 milioni di euro, operata ai sensi dell’art. 25, co. 7, in relazione alle minori risorse assegnate alle comunità montane; dalla riduzione di 313 milioni di euro ai sensi dell’art. 26, co. 8, in relazione misure di contenimento dei costi per la rappresentanza nei consigli circoscrizionali, di cui 100 milioni di euro riassegnati al Fondo medesimo, quale contributo ai piccoli comuni; dall’incremento di 13,6 milioni di euro per i comuni colpiti da sisma, ai sensi dell’articolo 42, comma 2; dall’incremento di 1,2 milioni, quale compensazione di minori entrate derivanti dall’ICI, ai sensi dell’Allegato 1 “Eccedenze di spesa”.


Articolo 24, comma 3
(Soppressione norme sulla riqualificazione urbana)

 

3. Il comma 10 dell'articolo 25 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, è abrogato ed è conseguentemente soppressa l'autorizzazione di spesa prevista al comma 11 dello stesso articolo 25.

 

 

Il comma 3, attraverso l’abrogazione del comma 10 dell’art. 25 della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria 2002) e la conseguente soppressione dell’autorizzazione di spesa indicata al successivo comma 11, sopprime il Fondo per la riqualificazione urbana dei comuni.

Tale fondo, istituito dal citato comma 10 ai fini dell'adozione di programmi di sviluppo e riqualificazione del territorio, era già stato dichiarato incostituzionale con la sentenza 10-16 gennaio 2004, n. 16.

Nella relazione tecnica viene sottolineato come da tale abrogazione derivi un miglioramento dei saldi di finanza pubblica, valutato in 20 milioni di euro per gli anni 2008 e 2009. Vi si legge, infatti, che “Tale valutazione deriva dalla considerazione che - trattandosi di spese di parte capitale che, ai fini dell’indebitamento netto, vengono conteggiati per cassa – nei conti tendenziali lo stanziamento previsto di 50 milioni è stato ripartito in 20 milioni per il 2008, 20 milioni per il 2009 e 20 milioni per il 2010”.

 

I commi 10 e 11 dell’art. 25 della legge n. 448/2001 prevedevano l'istituzione, presso il Ministero dell'interno, del Fondo per la riqualificazione urbana dei Comuni. Tale Fondo, istituito ex novo per il 2002, ma destinato a permanere negli esercizi successivi, diretto a finanziare l'adozione di programmi di sviluppo e riqualificazione del territorio da parte dei Comuni: una quota non inferiore all'85% è riservata ai Comuni minori (con popolazione non superiore a 40 mila abitanti), in particolare delle Regioni meridionali. La norma prevede ancora che le modalità degli interventi e la ripartizione del Fondo "tra gli enti interessati" saranno disciplinate con regolamento governativo, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Per l'anno 2002 le risorse del Fondo venivano fissate in 103,3 milioni di euro.

La Corte Costituzionale,con sentenza 10-16 gennaio 2004, n. 16, accogliendo il ricorso proposto dalla Regione Umbria, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del richiamato art. 25, comma 10. Con tale sentenza, la Corte ha affermato in termini generali che nelle materie di legislazione concorrente «non possono trovare oggi spazio interventi finanziari diretti dello Stato a favore dei comuni, vincolati nella destinazione, per normali attività e compiti di competenza di questi ultimi» se non nell'ambito della disciplina degli speciali interventi finanziari in favore di determinati comuni ai sensi del quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione. La Corte ha quindi individuato nei seguenti i criteri, confermati anche nella giurisprudenza successiva, per ricondurre una determinata tipologia di interventi a favore dei comuni nell'ambito degli interventi speciali di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione:

-        il fatto che tali interventi siano aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale delle funzioni spettanti ai comuni e si riferiscano a finalità di perequazione e di garanzia enunciate dalla stessa norma costituzionale o comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni;

-        la loro destinazione a determinati comuni o categorie di comuni;

-        la previsione, qualora essi riguardino ambiti di competenza legislativa delle regioni, che queste ultime siano chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi all'interno del proprio territorio.

Con specifico riferimento alla disposizione censurata, la Corte ha rilevato che ogni intervento sul territorio può di per sé essere presentato come volto alla «riqualificazione urbana» del territorio medesimo e quindi riconducibile all'esercizio di funzioni proprie degli enti locali interessati.

 


Articolo 42, comma 1, lett. d) ed e), e comma 2
(Chiusura dell’emergenza conseguente alla crisi sismica nelle regioni Umbria e Marche del 1997:
contributi ai comuni)

 


1. Al decreto-legge 30 gennaio 1998, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 marzo 1998, n. 61, sono apportate le seguenti modificazioni:

(omissis)

d) dopo il comma 5 dell'articolo 12 è inserito il seguente:

«5-bis. Alla cessazione dello stato di emergenza, per il quinquennio 2008-2012, i contributi di cui ai commi 2 e 3 sono determinati annualmente ed erogati agli enti locali dal Ministero dell'interno nell'ambito dei trasferimenti erariali ordinari in favore degli enti stessi. La determinazione e l'erogazione avvengono assumendo come base di calcolo le certificazioni analitiche del Ministero dell'interno relative all'anno 2006 e i relativi importi sono progressivamente ridotti nella misura di un quinto per ciascun anno del suddetto quinquennio»;

e) dopo l'ultimo periodo del comma 14 dell'articolo 14 è aggiunto il seguente: «Alla cessazione dello stato di emergenza, per il quinquennio 2008-2012, le spese necessarie per le attività previste dal presente comma sono determinate ed erogate assumendo come base di calcolo la spesa sostenuta nel 2006 ed i relativi importi sono progressivamente ridotti nella misura di un quinto per ciascun anno del suddetto quinquennio»;

(omissis)

2. Per l'attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, lettere a), b) e c), si provvede nei limiti delle risorse di cui alla lettera f) del medesimo comma 1. Agli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 1, lettere d) ed e), si provvede nei limiti di euro 13,6 milioni per l'anno 2008, di euro 11,4 milioni per l'anno 2009, di euro 9,2 milioni per l'anno 2010, di euro 7 milioni per l'anno 2011 e di euro 4,8 milioni per l'anno 2012.

(omissis)


 

 

L’articolo in esame, come evidenzia anche la relazione illustrativa, introduce una serie di disposizioni volte a “chiarire alcune modalità procedurali in occasione del passaggio delle competenze a seguito della cessazione dello stato di emergenza” conseguente al sisma del 1997 che ha colpito le due regioni delle Marche e dell’Umbria.

Lo stato di emergenza è stato prorogato fino al 31 dicembre 2007 dal DPCM 1 dicembre 2006[16]. La medesima proroga è stata disposta anche per lo stato di emergenza dichiarato a seguito dell’evento sismico verificatosi nella provincia di Terni il 16 dicembre 2000.

 

In particolare, il comma 1, lett. d) prevede, attraverso alcune novelle al decreto-legge 30 gennaio 1998, n. 6, convertito, con modificazioni dalla legge 30 marzo 1998, n. 61, che per il periodo 2018-2012, alcuni contributi concessi ai comuni ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 12 del decreto legge n. 6 del 1998, vengano determinati annualmente ed erogati agli enti locali dal Ministero dell’interno nell’ambito dei trasferimenti erariali ordinari in favore degli enti stessi. La determinazione avverrà sulla base delle certificazioni del Ministero dell’interno relative all’anno 2006 e gli importi saranno determinati, negli anni successivi al 2006, con un meccanismo progressivo di riduzione. Tali disposizioni vengono introdotte aggiungendo un comma 5-bis all’art. 12 del decreto legge n. 6 del 1998.

Si ricorda che l’art. 12 del decreto-legge n. 6 del 1998 reca misure a favore dei comuni interessati dalla crisi sismica. In particolare, il comma 1 prevede che a tali comuni venga concessa dal Ministero dell'interno un'anticipazione dei trasferimenti erariali per compensare gli effetti finanziari delle proroghe dei versamenti per gli anni 1997 e 1998, disposte dalle ordinanze di cui all'art. 1, relativi all'imposta comunale sugli immobili, alla tassa sui rifiuti solidi urbani e alla imposta sulla pubblicità. L'anticipazione è calcolata sulla base delle minori entrate rispetto al 1996, certificate dai comuni interessati. Al recupero dell'anticipazione provvede il Ministero dell'interno in sede di assegnazione delle rate dei contributi ordinari spettanti dopo la scadenza delle proroghe. Ai sensi del comma 2, agli stessi comuni sono assegnati, per gli anni 1997 e 1998, contributi pari ai minori accertamenti, rispetto al 1996, per i tributi di cui allo stesso comma, strettamente connessi all'evento sismico. I contributi sono assegnati sulla base di analitiche certificazioni verificate dal Ministero dell'interno. Infine, il comma 3 prevede che per il biennio 1997-1998, agli stessi comuni per i quali le abitazioni inagibili, totalmente o parzialmente, a seguito della crisi sismica rappresentano oltre il 15% del totale delle abitazioni, vengano concessi contributi per l'adeguamento alla media delle risorse relative alla fascia demografica di appartenenza. Le risorse sono costituite dai contributi ordinari e consolidati assegnati ai comuni e dall'imposta comunale sugli immobili al 4 per mille a suo tempo detratta. Agli stessi comuni è concesso, per il biennio 1997-1998, un ulteriore contributo pari al 20% delle risorse in godimento nell'anno 1997 dopo l'adeguamento alla media delle risorse della fascia demografica di appartenenza.

 

Inoltre, il comma 1, lett. e),prevede che,per il 2008-2012, le spese necessarie per le attività volte al potenziamento degli uffici siano determinate in base alla spesa sostenuta nel 2006, con un meccanismo di riduzione negli anni successivi. Tale disposizione viene introdotta aggiungendo un periodo finale al comma 14 dell’art. 14 del decreto legge n. 6 del 1998.

Il vigente comma 14 dell’art. 14 del decreto legge n. 6 del 1998 dispone che le regioni e gli enti locali provvedono, per un periodo massimo di tre anni e in deroga alle vigenti disposizioni di legge, al potenziamento dei propri uffici attraverso la dotazione di strumenti e di attrezzature e assunzioni di personale tecnico e amministrativo a tempo determinato, a corrispondere al personale dipendente compensi per ulteriore lavoro straordinario effettivamente prestato, nel limite di cinquanta ore pro-capite mensili, nonché ad avvalersi di liberi professionisti o dei soggetti di cui all'art. 10 del d.lgs. n. 468 del 1997, o di università e di enti pubblici di ricerca, di società e di cooperative di produzione e lavoro. Per le finalità di cui al presente comma è autorizzata una spesa nel limite del 2% dei fondi assegnati alle regioni, ai sensi dell'art. 15, comma 1, che provvedono a ripartirli secondo un piano di fabbisogno all'uopo predisposto.

 

Il comma 2 individua il limite finanziario di intervento per l’attuazione delle disposizioni di cui alle lettere a), b) e c) con l’utilizzo delle somme esistenti nelle contabilità speciali. Inoltre si provvede all’individuazione degli oneri per l’attuazione delle disposizioni di cui alle lettere d) ed e) nei limiti di 13,6 milioni di euro per l’anno 2008, 11,4 milioni di euro per il 2009, 9,2 milioni di euro per il 2010, 7 milioni di euro per il 2011 e 4,8 milioni di euro per il 2012.

Nella relazione tecnica vengono riportate in dettaglio anche le quantificazioni per le singole lett. d) ed e).

 


Articolo 124, comma 1
(Modifica della disciplina per l’istituzione di zone franche urbane)

 


1. Il comma 340 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è sostituito dal seguente:

«340. Al fine di contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l'integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale, sono istituite, con le modalità di cui al comma 342, zone franche urbane con un numero di abitanti non superiore a 30.000. Per le finalità di cui al periodo precedente, è istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico un apposito Fondo con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, che provvede al finanziamento di programmi di intervento, ai sensi del comma 342».

(omissis)


 

 

Le disposizioni dell’articolo in esame novellano i commi 340-342, articolo 1, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006) che hanno introdotto la disciplina delle c.d. “Zone franche urbane” (ZFU), da individuare in aree e quartieri particolarmente degradati nelle città del Mezzogiorno[17], con particolare riferimento al centro storico di Napoli.

 

In particolare, il comma 1, che sostituisce interamente il comma 340 della legge finanziaria per il 2007, provvede a definire l’ambito di riferimento rispetto alla normativa vigente, disponendo che le ZFU sono istituite in aree o quartieri con non più di 300.000 abitanti, per contrastare fenomeni di esclusione sociale e favorire l’integrazione sociale e culturale in aree di degrado degli spazi urbani.

Si elimina pertanto la finalità volta a favorire lo sviluppo economico e sociale, anche tramite interventi di recupero urbano, ed il riferimento al centro storico di Napoli.

Le disposizioni in esame mantengono la dotazione di 50 milioni per ciascuno degli anni 2008 e 2009 riferita all’apposito Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, per il finanziamento dei programmi di intervento. In particolare, viene eliminata la disposizione secondo la quale il predetto Fondo provvedeva al cofinanziamento dei programmi regionali di intervento riferiti alle medesime aree.

 

Si segnala, peraltro, che lo stanziamento relativo al capitolo di bilancio 8430 “Fondo per favorire lo sviluppo economico e sociale delle zone franche urbane” è iscritto nello stato di previsione del Ministero per lo sviluppo economico, alla Missione 28 “Sviluppo e riequilibrio territoriale”, Programma 5.2. “Politiche per il sostegno dei sistemi produttivi per il Mezzogiorno e le aree sottoutilizzate”, Macroaggregato 5.2.6. Investimenti (Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione).

 


Patto di stabilità

Articolo 19, comma 1
(Modifiche al patto di stabilità interno degli enti locali)

 


1. Per gli anni 2008-2010 le disposizioni che disciplinano il patto di stabilità interno degli enti locali di cui all'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono modificate e integrate come segue:

a) al comma 676, le parole: «per il triennio 2007-2009» sono sostituite dalle seguenti: «per gli anni 2007-2010»;

b) al comma 677, le parole: «2007, 2008 e 2009» sono sostituite dalle seguenti: «2007, 2008, 2009 e 2010»;

c) dopo il comma 678 è inserito il seguente:

«678-bis. Per l'anno 2010 si applicano i coefficienti stabiliti per l'anno 2009 ai sensi del comma 678, fermi restando i dati triennali originariamente assunti ai fini della quantificazione della manovra»;

d) dopo il comma 679 è inserito il seguente:

«679-bis. Per gli anni 2008-2010 il concorso alla manovra delle province e dei comuni, determinato ai sensi dei commi 678 e 679, che presentano una media triennale positiva per il periodo 2003-2005 del saldo di cassa, calcolata ai sensi del comma 680, è pari a zero. Conseguen­temente, gli obiettivi programmatici di cui al comma 681 sono pari al corrispondente saldo finanziario medio del triennio 2003-2005 calcolato in termini di competenza mista, costituito dalla somma algebrica degli importi risultanti dalla differenza tra accertamenti e impegni, per la parte corrente, e dalla differenza tra incassi e pagamenti per la parte in conto capitale, al netto delle entrate derivanti dalla riscossione di crediti e delle spese derivanti dalla concessione di crediti»;

e) il comma 681 è sostituito dai seguenti:

«681. Per il rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno gli enti devono conseguire un saldo finanziario in termini di cassa e di competenza, per l'esercizio 2007, e di sola competenza mista, per gli esercizi 2008, 2009 e 2010, pari al corrispondente saldo medio del triennio 2003-2005 migliorato della misura annualmente determinata ai sensi del comma 678, lettera c), ovvero dei commi 679 e 679-bis. Le maggiori entrate derivanti dall'attuazione dei commi 142, 143 e 144 concorrono al conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno.

681-bis. Per gli enti di cui al comma 679-bis che presentano, nel triennio 2003-2005, un valore medio delle entrate in conto capitale derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare e mobiliare, non destinate nel medesimo triennio all'estin­zione anticipata dei prestiti, superiore al 15 per cento della media delle entrate finali, al netto delle riscossioni di crediti, gli obiettivi programmatici per gli anni 2008-2010 sono ridotti di un importo pari alla differenza tra l'ammontare dei proventi in eccesso al predetto limite del 15 per cento e quello del contributo annuo determinato ai sensi dei commi 678 e 679, a condizione che tale differenza sia positiva. In caso di differenza pari a zero o negativa gli obiettivi program­matici restano determinati in misura pari al saldo finanziario medio del triennio 2003-2005 calcolato in termini di competenza mista»;

f) al comma 683, primo periodo, le parole: «Ai fini del comma 686, il saldo finanziario per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 e quello medio del triennio 2003-2005 sono calcolati, sia per la gestione di competenza sia per quella di cassa,» sono sostituite dalle seguenti: «Ai fini del comma 686, il saldo finanziario e quello medio del triennio 2003-2005 sono calcolati, per l'anno 2007, sia per la gestione di competenza sia per quella di cassa e, per gli anni 2008, 2009 e 2010, per la sola gestione di competenza mista,»;

g) il comma 684 è sostituito dal seguente:

«684. Il bilancio di previsione degli enti locali ai quali si applicano le disposizioni del patto di stabilità interno deve essere approvato, a decorrere dall'anno 2008, iscrivendo le previsioni di entrata e di spesa di parte corrente in misura tale che, unitamente alle previsioni dei flussi di cassa di entrate e spese di parte capitale, al netto delle riscossioni e delle concessioni di crediti, sia garantito il rispetto delle regole che disciplinano il patto. A tal fine, gli enti locali sono tenuti ad allegare al bilancio di previsione un apposito prospetto contenente le previsioni di competenza e di cassa degli aggregati rilevanti ai fini del patto di stabilità interno»;

h) il comma 685 è sostituito dal seguente:

«685. Per il monitoraggio degli adempimenti relativi al patto di stabilità interno e per acquisire elementi informativi utili per la finanza pubblica, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti trasmettono trimestralmente al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, entro trenta giorni dalla fine del periodo di riferimento, utilizzando il sistema web appositamente previsto per il patto di stabilità interno nel sito «www.patto­stabilita.rgs.tesoro.it», le informazioni riguardanti sia la gestione di competenza che quella di cassa, attraverso un prospetto e con le modalità definiti con decreto del predetto Ministero, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Con lo stesso decreto è definito il prospetto dimostrativo dell'obiettivo deter­minato per ciascun ente ai sensi dei commi 678, 679, 679-bis e 681-bis. La mancata trasmissione del prospetto dimostrativo degli obiettivi programmatici costituisce inadempimento al patto di stabilità interno. La mancata comunicazione al sistema web della situazione di commissariamento ai sensi del comma 688, secondo le indica­zioni di cui allo stesso decreto, determina per l'ente inadempiente l'assoggettamento alle regole del patto di stabilità interno»;

i) dopo il comma 685 è inserito il seguente:

«685-bis. Al fine di attivare, con la partecipazione delle associazioni degli enti locali, un nuovo sistema di acquisizione di dati riguardanti la competenza finanziaria dei bilanci degli enti locali che si affianca al Sistema informativo delle operazioni degli enti pubblici (SIOPE), con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabiliti i contenuti e le modalità per monitorare, in corso d'anno, gli accerta­menti e gli impegni assunti, secondo aggregazioni e scansioni temporali adeguate alle esigenze della finanza pubblica. La concreta realizzazione del sistema è effettuata previa quantificazione dei costi e individuazione della relativa copertura finanziaria»;

l) al comma 686, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La mancata trasmis­sione della certificazione costituisce inadempimento al patto di stabilità interno»;

m) dopo il comma 686 è inserito il seguente:

«686-bis. Qualora si registrino prelevamenti dai conti della tesoreria statale degli enti locali non coerenti con gli obiettivi in materia di debito assunti con l'Unione europea, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, adotta adeguate misure di contenimento dei prelevamenti».


 

 

L’articolo 19 disciplina il patto di stabilità interno per gli enti locali con riferimento al triennio 2008-2010, novellando ed integrando le disposizioni recate per gli anni 2007-2009 dai commi 676 e seguenti dell’articolo 1 della legge finanziaria dello scorso anno (legge n. 296/2006) ed estendendole all’anno 2010.

 

In sostanza, le novelle apportate dall’articolo in esame alla legge finanziaria dello scorso anno confermano in larga parte la disciplina vigente del patto di stabilità interno, sia per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione del Patto, riferito a province e comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, sia per quanto concerne il vincolo considerato,riferito alla crescita del disavanzo finanziario.

Per il triennio 2008-2010 viene pertanto mantenuta una disciplina del Patto di stabilità per gli enti locali, finalizzata all’obiettivo del miglioramento del saldo finanziario, inteso quale differenza tra entrate finali e spese finali (comprese dunque le spese di in conto capitale), allo scopo di far convergere quanto più possibile le regole del patto di stabilità interno con quelle previste dal patto di stabilità e crescita, sottoscritto in sede europea.

 

Vengono tuttavia operate alcune modifiche ed integrazioni alla disciplina vigente al fine di ovviare ad alcune problematiche applicative emerse nel corso del 2007, con riferimento particolare: agli enti locali che, pur registrando saldi finanziari positivi, sulla base della normativa vigente, hanno dovuto comunque migliorare la loro posizione nel 2007; all’utilizzo dell’avanzo di amministrazione per il finanziamento delle spese di investimento che, a partire dalla scorso anno, rientrano nei vincoli del patto di stabilità interno; alla contabilizzazione, nel saldo finanziario di riferimento per l’applicazione del patto, di entrate straordinarie dovute alla alienazione di beni patrimoniali.

Pertanto, nell’Accordo sottoscritto tra il Governo e gli enti locali in data 26 settembre 2007, sono state preventivamente condivise e concordate le linee di intervento riguardanti il patto di stabilità interno che sono state assunte nel disegno di legge finanziaria in esame. In sostanza, le modifiche principali riguardano:

§      l’esclusione degli enti con una media positiva del saldo finanziario di cassa del periodo 2003-2005dal concorso alla manovra per gli anni 2008-2010, con la fissazione del loro obiettivo programmatico in misura pari al saldo finanziario medio del periodo di riferimento (2003-2005);

§      l’adozione del criterio della competenza c.d. “mista”, ai fini del computo del saldo finanziario rilevante per il patto, in base le entrate e le uscite di parte corrente si considerano in termini di competenza (giuridica) e quelle in conto capitale si considerano invece in termini di cassa. Questa soluzione, oltre ad avvicinare maggiormente il saldo finanziario rilevante ai fini del patto di stabilità interno al saldo rilevante, a livello comunitario, ai fini del patto di stabilità e crescita e, in particolare, del divieto di disavanzi eccessivi, permetterebbe di risolvere il problema dell’utilizzo dell’avanzo di amministrazione a copertura delle spese di investimento;

§      una riduzione dell’obiettivo programmatico per gli entiche presentano una media positiva del saldo finanziario di cassa del periodo 2003-2005, qualora essi presentino un valore medio delle entrate in conto capitale derivanti da dismissioni del patrimonio immobiliare e mobiliare particolarmente elevato.

 

Secondo le indicazioni dell’allegato 7, recante gli effetti delle norme della legge finanziaria sui saldi di finanza pubblica, le integrazioni alla disciplina del patto di stabilità introdotte dall’articolo in esame dovrebbero comportare un effetto peggiorativo sull’indebitamento netto sia sul 2008 che sul 2009, pari a rispettivi 208 e 218 milioni di euro; un effetto di riduzione dell’indebitamento netto si registra soltanto nel 2010,stimato in 162 milioni di euro.

 

Le modifiche apportate alla vigente disciplina del Patto di stabilità interno, di cui alla legge n. 296/2006, art. 1, commi 676-695, sono recate alle lettere a)-n) del comma 1 dell’articolo 19 in esame.

 

In particolare, la lettera a) novella il comma 676 della legge n. 296/2006 estendendo al periodo 2007-2010 (in luogo del triennio 2007-2009) l’applicazione del Patto di stabilità previsto per le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti,nel rispetto delle disposizioni recate dai commi da 677 a 695, che costituiscono principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.

 

Analogamente, la lettera b) novella il comma 677 della legge n. 296/2006, nel senso di estendere il contributo della finanza localeal conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, disponendo la riduzione del saldo finanziario tendenziale del comparto anche per l’anno 2010, oltre al triennio 2007-2009 già considerato.

 

Va ricordato che per la determinazione del concorso di ciascun ente al raggiungimento dell’obiettivo generale, il comma 678 della legge finanziaria 2007 definisce una specifica procedura, in considerazione di alcune caratteristiche finanziarie dell’ente medesimo, in particolare, l’entità della spesa corrente e il suo livello di deficit.

In sostanza, il comma 678 stabilisce che la misura del concorso di ciascun ente alla manovra complessiva per il triennio 2007-2009 sia corrispondente alla somma, in valori assoluti, degli importi derivantidall’applicazione di determinati coefficienti alla media del triennio 2003-2005 della propria spesa corrente, sostenuta in termini di cassa, e alla media del triennio 2003-2005 dei propri saldi di cassa, per i soli enti che presentino una media negativa.

La somma di questi due valori, considerati in valore assoluto, rappresenta l’obiettivo specifico di miglioramento del saldo che ogni singolo ente deve realizzare nel triennio 2007-2009 rispetto alla media del triennio 2003-2005.

Più in particolare, la procedura recata dal comma 678 per definire l’entità del miglioramento del saldo-obiettivo per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, prevede che ciascun ente debba:

a)      calcolare la media del triennio 2003-2005 dei propri saldi di cassa, intesi quale differenza tra le entrate finali e le spese finali, come definiti dal successivo comma 680[18] e risultanti dai propri conti consuntivi. Soltanto se tale media risultasse negativa, gli enti devono applicare ad essa i seguenti coefficienti:

1)       per le province: 0,4 per il 2007, 0,210 per l'anno 2008 e 0,117 per l'anno 2009;

2)       per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti: 0,33 per l'anno 2007, 0,205 per l'anno 2008 e 0,155 per l'anno 2009.

b)      calcolare la media della spesa corrente sostenuta nel triennio 2003-2005, considerata in termini di cassa, come risultante dai propri conti consuntivi, ed applicare ad essa i seguenti coefficienti:

1)       per le province: 0,041 per il 2007, 0,022 per l'anno 2008 e 0,012 per l'anno 2009;

2)       per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti: 0,029 per l'anno 2007, 0,017 per l'anno 2008 e 0,013 per l'anno 2009.

c)      determinare l'importo annuo della manovra, corrispondente alla somma degli importi, considerati in valore assoluto, derivanti dall’applicazione dei coefficienti al saldo finanziario e alle spese correnti. In tal modo, il concorso di ciascun ente alla manovra complessiva è ottenuto come somma di una quota della spesa corrente e di una quota di deficit, considerati in valore assoluto, come desunti dai rispettivi consuntivi.

Per i soli comuni, il comma 679 individua un limite massimo del concorso alla manovra, pari all’importo corrispondente all’8% della media triennale delle spese finali registrate nel triennio 2003-2005, qualora l’importo derivante dall’applicazione dei coefficienti alla media dei disavanzi di cassa e alla media della spesa corrente rappresenti, per i comuni, un valore percentuale superiore all’8% della media delle spese finali registrate nel triennio 2003-2005.

 

A seguito dell’estensione dell’applicazione del patto di stabilità fino all’anno 2010, la lettera c) introduce un comma 678-bisall’articolo 1 della legge n. 296/2006, che stabilisce, ai fini della determinazione degli obiettivi programmatici per il 2010, che per tale anno si adottano i medesimi coefficienti previsti dalla legislazione vigente per il 2009.

 

Va evidenziato che in base alla disciplina vigente, anche gli enti che presentano una media 2003-2005 del saldo finanziario di cassa di valore positivo sono soggetti alle regole del patto. In tal caso, tuttavia, l’entità del loro concorso al patto di stabilità interno è determinato applicando solo i coefficienti stabiliti per la spesa corrente.

In tal modo, secondo la normativa vigente, tutti gli enti partecipano al patto di stabilità in ragione del volume della propria spesa corrente.

Gli enti che presentano una situazione di deficit nel triennio 2003-2005 contribuiscono ulteriormente al raggiungimento degli obiettivi di comparto, in misura proporzionale all’ampiezza del loro deficit.

 

In considerazione delle difficoltà applicative determinate da una tale previsione, che impegna anche gli enti locali che presentano un saldo finanziario positivo in termini di cassa a migliorare tale posizione negli anni successivi, con la lettera d) viene introdotto il comma 679-bisall’articolo 1 della legge finanziaria 2007, che azzera per gli anni 2008-2010 il concorso alla manovra per le province e i comuni che, ai sensi della procedura di cui ai commi 678-679, presentano una media triennale positiva per il periodo 2003-2005 del saldo di cassa.

Pertanto, per tali enti, gli obiettivi programmatici degli anni 2008-2010 sono fissati in misura pari al corrispondente saldo finanziario medio del triennio 2003-2005, calcolato in termini di competenza mista.

In particolare, il saldo finanziario in termini di competenza mista è costituito dalla somma algebrica degli importi risultanti dalla differenza tra accertamenti e impegni, per la parte corrente, e dalla differenza tra incassi e pagamenti, per la parte in conto capitale, al netto delle entrate derivanti dalla riscossione di crediti e delle spese derivanti dalla concessione di crediti.

In sostanza, per la parte corrente dunque, si considera dunque il criterio della competenza (giuridica); per la parte capitale, si considera invece il criterio della cassa.

 

Il criterio della competenza mista è peraltro esteso anche al computo del saldo finanziario che costituisce l’obiettivo programmatico del patto di stabilità interno per gli anni 2008, 2009 e 2010.

La lettera e) provvede infatti alla sostituzione del comma 681 della legge finanziaria dello scorso anno, che indicava gli obiettivi programmatici che gli enti locali dovevano conseguire per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 in termini di miglioramento dei saldi finanziari medi del periodo 2003-2005.

In particolare, la nuova formulazione del comma 681 stabilisce che gli enti locali devono conseguire un saldo finanziario, espresso sia in termini di competenza che in termini di cassa per il 2007, come già previsto dalla normativa vigente, ed espresso in termini di sola competenza mista per gli esercizi 2008, 2009 e 2010, pari a quello medio del triennio 2003-2005 migliorato della misura annualmente determinata secondo la procedura definita dal comma 678, lettera c) ovvero, se ne sussistono le condizioni, dell’importo corrispondente all’8% della media triennale delle spese finali, ai sensi del comma 679. Per gli enti che presentano una media triennale positiva per il periodo 2003-2005 del saldo di cassa, ai sensi del comma 679-bis, gli obiettivi programmatici degli anni 2008-2010 sono fissati in misura pari al corrispondente saldo finanziario medio del triennio 2003-2005, calcolato in termini di competenza mista.

 

Restano pertanto invariate rispetto alla legislazione vigente le modalità di calcolo del saldo finanziario rilevante ai fini dell’obiettivo programmatico 2007, che continua ad essere computato sia in termini di competenza che in termini di cassa; per gli anni successivi, invece, si applica il criterio della competenza mista.

Come sottolineato anche nella relazione illustrativa, l’adozione del criterio della competenza mista, in base al quale le poste di parte corrente sono considerate in termini di competenza e quelle in conto capitale sono contabilizzate in termini di cassa, rappresenta una soluzione che “ha il pregio di rendere più facilmente gestibile il problema dell'utilizzo dell'avanzo di amministrazione a copertura di spese di investimento e, inoltre, ha il vantaggio di avvicinare maggiormente il saldo di riferimento a quello che, a consuntivo, viene calcolato dall'Istat ai fini della procedura sui deficit eccessivi di cui al Trattato di Maastricht e, pertanto, di rendere l'obiettivo del patto di stabilità interno più coerente con quello del Patto europeo di stabilità e crescita”.

 

La medesima lettera e) provvede altresì ad introdurre il comma 681-bis, che prevede una riduzione degli obiettivi programmatici in favore degli enti di cui al comma 679-bis, vale a dire quelli che presentano una media positiva del saldo di cassa del periodo 2003-2005, qualora essi presentino nel medesimo triennio 2003-2005 un valore medio delle entrate in conto capitale derivanti da dismissioni del patrimonio immobiliare e mobiliare superiore al 15 per cento della media delle entrate finali (considerate al netto delle riscossioni di crediti).

Il comma 681-bis precisa peraltro che tali entrate in conto capitale derivanti da dismissionidel patrimonio immobiliare e mobiliare non devono essere state utilizzate nel triennio considerato per l’estinzione anticipata dei prestiti.

 

Qualora la media 2003-2005 delle entrate in conto capitale derivanti da dismissioni del patrimonio soddisfino le suddette condizioni (sono cioè superiori al 15% della media delle entrate finali e non sono mai state destinate, nel triennio, all’estinzione dei prestiti), il comma prevede, per gli enti “in avanzo”, una riduzione degli obiettivi programmatici per gli anni 2008-2010, in misura pari alla differenza tra l’ammontare dei proventi che eccedono il 15% e l’importo annuo della manovra, determinato ai sensi dei commi 678 e 679.

Gli enti considerati hanno diritto alla riduzione dell’obiettivo, in misura pari al valore così determinato, soltanto se tale differenza risulti positiva, vale a dire soltanto se la quota eccedente delle entrate derivanti da dismissioni dell’ente risulti superiore all’entità, in valori assoluti, del concorso dell’ente stesso alla manovra.

Se la differenza è pari a zero o è negativa gli obiettivi programmatici restano determinati in misura pari al saldo finanziario medio del triennio 2003-2005, calcolato in termini di competenza mista.

Con il comma 681-bis si è voluto pertanto dare soluzione alle difficoltà insorte per gli enti locali che nel triennio di riferimento 2003-2005 avevano registrato entrate straordinarie dovute all’alienazione di beni patrimoniali (non destinate peraltro all’estinzione anticipata dei mutui), non più ripetibili negli anni successivi, garantendo ad essi una riduzione dell’obiettivo programmatico attraverso la deduzione dell’eccedenza dei proventi da alienazioni rispetto all’obiettivo prefissato.

 

La lettera f) modifica il comma 683 della legge n. 296/2006, che reca i criteri contabili per il computo del saldo finanziario per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 e di quello medio del triennio 2003-2005, introducendo il criterio della competenza mista per il calcolo del saldo finanziario degli anni 2008, 2009 e 2010, oltre che per quello del triennio di riferimento 2003-2005, e confermando per il solo anno 2007 il riferimento, nel computo del saldo, sia alla gestione di competenza che a quella di cassa.

 

Non vengono peraltro modificati i criteri di calcolo del saldo finanziario, che continua dunque ad essere calcolato quale differenza tra le entrate finali e le spese finali, considerato al netto delle entrate derivanti dalla riscossione di crediti e delle spese derivanti dalla concessione di crediti, secondo i medesimi criteri adottati dal comma 680 per la determinazione del saldo utile ai fini del calcolo del concorso alla manovra.

E’ prevista l’esclusione di un’unica voce, relativa alle entrate in conto capitale riscosse nel triennio 2003-2005, derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare e mobiliare destinate nel medesimo triennio all’estinzione anticipata di prestiti.

Per i soli comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, dal computo del saldo finanziario utile ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi programmatici sono inoltre escluse le spese, in conto capitale e di parte corrente, autorizzate dal Ministero, relative all’attivazione di nuove sedi di uffici giudiziari, ivi incluse quelle relative al trasloco. Come peraltro precisa la Circolare n. 12/2007, l’esclusione dal saldo delle suddette spese opera solo con riferimento al triennio 2007-2009 - e non anche sul saldo medio del triennio 2003/2005 - e riguarda sia la gestione di competenza che quella di cassa.

A seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 81/2007 (conv. con modificazioni, dalla legge n. 127/2007), nel saldo finanziario utile per il rispetto del patto di stabilità interno non sono considerate:

-        le spese in conto capitale e di parte corrente sostenute dai comuni per il completamento dell’attuazione delle ordinanze emanate dal Presidente del Consiglio dei Ministri a seguito di dichiarazione dello stato di emergenza, limitatamente all’anno 2007;

-        le spese di investimento finanziate nell'anno 2007 mediante l'utilizzo di una quota dell'avanzo di amministrazione, per i soli enti che negli ultimi tre anni hanno rispettato il patto. L'esclusione delle spese di investimento è commisurata all'avanzo di amministrazione accertato al 31 dicembre 2005 e determinata: a) nella misura del 17%, per le province la cui media triennale del periodo 2003-2005 dei saldi di cassa risulta positiva. Per le restanti province la misura è del 2,6%; b) nella misura del 18,9%, per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e fino a 100.000 abitanti la cui media triennale del periodo 2003-2005 dei saldi di cassa risulta positiva. Per i restanti comuni della stessa fascia demografica la misura è del 2,9%; c) nella misura del 7% per i comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti la cui media triennale del periodo 2003-2005 dei saldi di cassa, risulta positiva. Per i restanti comuni della stessa fascia demografica la misura è dell’1,3%.

 

Con riferimento al solo anno 2008, l’articolo 149, comma 6, del disegno di legge finanziaria in esame dispone, sia per le regioni che per gli enti locali, l’esclusione dal computo delle spese rilevanti ai fini del rispetto del patto stesso, dei maggiori oneri di personale determinatisi in virtù delle intese e degli accordi raggiunti tra Governo e OO.SS. in materia di pubblico impiego, con riferimento ai rinnovi contrattuali per il biennio 2006-2007.

 

La lettera g) sostituisce il comma 684 della legge n. 296/2006, relativo alla redazione, a partire dal 2007, del bilancio di previsione degli enti soggetti al pattodi stabilità interno in coerenza con l’obiettivo programmatico da raggiungere. La previsione è stata introdotta soprattutto in considerazione del fatto che le regole del patto dettate per l’anno 2007 e seguenti interessano l’intero bilancio e non più, come in passato, solo alcuni aggregati di spesa.

La nuova formulazione del comma 684, ribadendo il principio contabile della obbligatorietà del rispetto del patto di stabilità interno come elemento necessario per l’approvazione del bilancio di previsione, fa decorrere dal 2008 le nuove regole sulla definizione del bilancio.

In particolare, stabilisce che il bilancio di previsione degli enti locali ai quali si applicano le disposizioni del patto deve essere approvato iscrivendo le previsioni di entrata e di spesa di parte corrente in misura tale che, unitamente alle previsioni dei flussi di cassa di entrate e spese di parte capitale, al netto delle riscossioni e delle concessioni di crediti, sia garantito il rispetto delle regole che disciplinano il patto.

In sostanza, la nuova formulazione del comma 684 è in coerenza con l’applicazione del nuovo criterio della competenza mista, introdotto per quanto concerne il calcolo del saldo finanziario rilevante ai fini del patto di stabilità a partire dal 2008, che considera le previsioni di entrate e di spese di parte corrente in termini di competenza e le previsioni di entrate e di spese di parte capitale in termini di cassa.

A tal fine, la norma prevede altresì che gli enti locali provvedano ad allegare al bilancio di previsione un apposito prospetto contenente le previsioni di competenza e di cassa degli aggregati rilevanti ai fini del patto di stabilità interno.

 

La lettera h) sostituisce il comma 685 della legge n. 296/2006, recante, insieme al comma 686, le modalità del monitoraggio degli adempimenti relativi al patto di stabilità interno.

In sostanza, la nuova formulazione del comma 685 conferma le procedure introdotte dalla legge finanziaria dello scorso anno, prevedendo che tutti gli enti soggetti al patto di stabilità interno hanno l’obbligo di trasmettere al Ministero dell’economia e delle finanze, con cadenza trimestrale, le informazioni relative agli andamenti della gestione di competenza e di quella di cassa.

La comunicazione dovrà essere indirizzata al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, entro trenta giorni dalla fine del periodo di riferimento, esclusivamente attraverso l’utilizzo del sistema web appositamente istituito per il monitoraggio del patto di stabilità.

Il prospetto e le modalità di comunicazione delle informazioni richieste saranno definiti con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato–regioni e autonomie locali. Con lo stesso decreto verrà definito il prospetto dimostrativo dell'obiettivo determinato per ciascun ente ai sensi dei commi 678, 679, 679-bis e 681-bis.

Il nuovo comma 685 sottolinea peraltro, diversamente dalla legislazione vigente, l’obbligatorietà della trasmissione delle suddette informazioni al Ministero dell’economia e delle finanze prevedendo che la mancata trasmissione del prospetto dimostrativo degli obiettivi programmatici costituisce inadempimento al patto di stabilità interno.

Anche la mancata comunicazione al sistema web della situazione di commissariamento dell’ente per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso–che, ai sensi del comma 688 della legge n. 296/2006, esclude gli enti dall’applicazione del patto di stabilità fino l’anno successivo a quello della rielezione degli organi istituzionali[19]- determina per l'ente inadempiente l'assoggettamento alle regole del patto di stabilità interno.

 

Analogamente, la modifica apportata dalla lettera l) al comma 686 della legge n. 296/2006, mantenendo fermi gli ulteriori adempimenti ivi previsti ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno - obbligo per gli enti soggetti al patto deve inviare al Ministero dell'economia e delle finanze (Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato), entro il termine perentorio del 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento, una certificazione, sottoscritta dal rappresentante legale e dal responsabile del servizio finanziario, secondo un prospetto e con le modalità definiti dal decreto di cui al comma 685 – è volta ad aggiungere anche in questo comma la previsione per cui la mancata trasmissione della certificazione costituisce inadempimento al patto di stabilità interno.

 

Va ricordato che le misure di carattere sanzionatorio applicabili agli enti locali che non abbiano rispettato gli obiettivi del patto di stabilità interno stabiliti per l’anno precedente, sono definite dai commi 691-693 della legge n. 296/2006.

I citati commi prevedono, in sostanza, un meccanismo di automatismo fiscale (incremento delle aliquote dell’addizionale comunale all’IRPEF e dell’imposta provinciale di trascrizione), che si attiva qualora l’ente, a seguito della diffida del Presidente del Consiglio dei Ministri, non adotti autonomamente le necessarie misure per il riassorbimento dello scostamento.

 

La lettera i)introduce il comma 685-bis alla legge n. 296/2006 che intende attivare un nuovo sistema di acquisizione di dati, condiviso tra Governo e enti locali, riguardanti la competenza finanziaria dei bilanci di comuni e province, che - in aggiunta al SIOPE[20] (Sistema Informativo delle Operazioni degli Enti Pubblici), che rileva telematicamante tutte le operazioni di riscossione e di pagamento effettuate dai tesorieri e dai cassieri delle amministrazioni pubbliche - possa consentire, anche attraverso il coinvolgimento delle associazioni degli enti locali, una analisi più completa degli andamenti della finanza locale.

Scopo del sistema è infatti quello di monitorare, in corso d’anno, gli accertamenti e gli impegni assunti, secondo aggregazioni e scansioni temporali adeguate alle esigenze della finanza pubblica.

I relativi contenuti e modalità sono stabiliti con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro dell’Interno e con il Ministro per gli Affari regionali e le autonomie locali, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. La concreta realizzazione del sistema è tuttavia condizionata, sia alla previa quantificazione dei costi che all'individuazione della relativa copertura finanziaria.

La lettera m) aggiunge il comma 686-bis alla legge n. 269/2006, che autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, ad adottare adeguate misure di contenimento dei prelevamenti effettuati dagli enti locali sui conti della tesoreria statale, qualora si registrino prelevamenti non coerenti con gli obiettivi in materia di debito assunti con l'Unione europea.

 


Articolo 22
(Esclusione del patto di stabilità interno per gli enti commissariati)

 


1. È prorogata per l'anno 2008 l'esclusione dal rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno, già prevista per gli anni 2006 e 2007 dall'articolo 1, comma 689, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per gli enti locali per i quali negli anni 2004 e 2005, anche per frazione di anno, l'organo consiliare è stato commissariato ai sensi degli articoli 141 e 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Relativamente alle spese per il personale, si applicano a questi enti le disposizioni previste per gli enti inclusi negli obiettivi del patto di stabilità interno.


 

 

L’articolo 22, introdotto al Senato, estende all’anno 2008 l’applicazione della disposizione contenuta all’articolo 1, comma 689, della legge finanziaria dello scorso anno (legge n. 296/2006), che prevede l’esclusione dal patto di stabilità interno gli enti locali che siano stati commissariati negli anni 2004 e 2005, sia per fenomeni di tipo mafioso che per le motivazioni previste dal testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

 

Il citato comma 689 della legge n. 269/2006 prevedeva l’esclusione degli enti locali commissariati negli anni 2004 e 2005 dal patto di stabilità interno sia per l’anno 2006 che per l’anno 2007.

 

Più precisamente, il primo periodo dell’articolo in esame specifica che si intendono esclusi per l’anno 2008 dal rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno, gli enti locali i cui organi consiliari siano stati commissariati negli anni 2004 e 2005, anche per frazione di anno:

§      per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, ai sensi dell’articolo 143 del D.Lgs. n. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), ovvero

§      nelle ipotesi previste dall’articolo 141 del Testo unico, che dispone lo scioglimento degli organi consiliari a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico; b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco, dimissioni del sindaco, ecc.; c) quando non sia approvato nei termini il bilancio.

 

Nonostante tali enti siano esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno per il 2008, il secondo periodo dell’articolo in esame ribadisce anche per questi enti l’obiettivo del contenimento della spesa per il personale, secondo le medesime disposizioni previste per gli enti soggetti al patto.

 

Si ricorda, in proposito, che l’articolo 1, comma 560, della legge finanziaria per il 2007 (L. 296 del 2006) ha disciplinato le assunzioni effettuatedaregioni ed enti locali sottoposti al patto di stabilità interno. Per una disamina più puntuale, si rinvia alla scheda del successivo articolo 145.


Articolo 149, commi 1 e 6
(Esclusione dei maggiori oneri di personale dal patto di stabilità)

 

 


1. Ai sensi dell'articolo 48, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e al fine di dare completa attuazione alle intese ed accordi intervenuti fra Governo e organizzazioni sindacali in materia di pubblico impiego, le risorse per la contrattazione collettiva nazionale previste per il biennio 2006-2007 dall'articolo 1, comma 546, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, a carico del bilancio statale sono incrementate per l'anno 2008 di 1.081 milioni di euro e a decorrere dall'anno 2009 di 220 milioni di euro.

omissis

6. In relazione a quanto previsto dalle intese ed accordi di cui al comma 1, per le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno i corrispondenti maggiori oneri di personale sono esclusi, per l'anno 2008, dal computo delle spese rilevanti ai fini del rispetto delle disposizioni del patto di stabilità.

omissis


 

 

I commi 1-10 recano disposizioni relative all’integrazione delle risorse per i rinnovi contrattuali per il biennio 2006-2007 per il personale delle pubbliche amministrazioni, provvedendo così a dare attuazione alle intese ed accordi tra Governo e OO.SS. in materia di pubblico impiego del 6 aprile 2007 e 29 maggio 2007, in modo da garantire il riconoscimento di benefici economici medi pari a 101 euro mensili per i dipendenti del comparto Ministeri ed incrementi corrispondenti per i dipendenti dei rimanenti comparti.

 

A tal fine, il comma 1 prevede un incremento delle risorse destinate, dalla legge finanziaria 2007, per il biennio 2006-2007, alla contrattazione collettiva nazionale relativa al personale contrattualizzato dipendente dalle amministrazioni dello Stato (comprese le Agenzie fiscali e la Presidenza del Consiglio dei ministri) di 1.081 milioni di euro per l’anno 2008 e di 220 milioni di euro a decorrere dall’anno 2009.

In questo modo si attua quanto disposto dall’articolo 48, comma 1, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in base al quale il Ministero dell’economia è chiamato a quantificare, in coerenza con i parametri previsti dagli strumenti di programmazione e di bilancio, l'onere derivante dalla contrattazione collettiva nazionale a carico del bilancio dello Stato con apposita norma da inserire nella legge finanziaria.

 

Si ricorda che il comma 546 della legge finanziaria 2007 (richiamato dalla disposizione in esame), ha previsto un incremento delle risorse per la contrattazione collettiva nazionale relativa al personale contrattualizzato dipendente dalle amministrazioni dello Stato di 807 milioni di euro per l’anno 2007 e di 2.193 milioni di euro a decorrere dall’anno 2008.

Tale incremento va posto in relazione allo stanziamento originario previsto dalla legge finanziaria 2006, che al comma 183 ha destinato alla contrattazione collettiva nazionale relativa al personale dipendente dalle amministrazioni dello Stato 222 milioni di euro per il 2006 e 322 milioni di euro a decorrere dal 2007.

 

Il comma 6 dispone, per le regioni e gli enti locali sottoposti a patto di stabilità interno, l’esclusione, per il 2008, dal computo delle spese rilevanti ai fini del rispetto del patto stesso, dei maggiori oneri di personale determinatisi in virtù delle intese e degli accordi in precedenza richiamati.

 


Indebitamento

Articolo 20
(Norme per limitare i rischi degli strumenti finanziari
sottoscritti dagli enti territoriali)

 


1. I contratti su strumenti finanziari, anche derivati, sottoscritti da regioni ed enti locali, sono informati alla massima trasparenza contrattuale.

2. I contratti su strumenti finanziari, anche derivati, sottoscritti da regioni ed enti locali, devono recare le informazioni ed essere redatti secondo le indicazioni specificate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare sentite la CONSOB e la Banca d'Italia. Il Ministero dell'economia e delle finanze verifica la conformità dei contratti ai modelli di cui al predetto decreto.

3. La regione o l'ente locale sottoscrittore dello strumento finanziario deve attestare espressamente di aver preso piena considerazione dei rischi e delle caratteristiche dello strumento proposto.

4. Il rispetto di quanto previsto ai commi 2 e 3 è elemento costitutivo dell'efficacia dei contratti.


Premessa

L’articolo 20 in esame pone norme per limitare i rischi insiti nei contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari, anche derivati, sottoscritti dagli enti pubblici territoriali.

La diffusione degli strumenti finanziari derivati è fenomeno recente, che s’inquadra nell’elaborazione di strategie finanziarie volte a permettere ai soggetti operanti sul mercato di garantirsi da rischi finanziari connessi alla loro attività o di realizzare una gestione attiva dell’indebitamento, adeguandolo all’evoluzione delle condizioni di mercato per fruire delle opportunità derivanti dalle oscillazioni dei tassi d’interesse.

Un accorto impiego di questi strumenti può consentire infatti di modificare le caratteristiche del debito esistente, ristrutturandolo in maniera conveniente e riducendo per conseguenza l’esposizione complessiva, senza estinguerlo anticipatamente o rinegoziarne le condizioni (operazioni che possono essere in talune circostanze onerose o impossibili).

 

Ad esempio, attraverso un contratto di interest rate swap è possibile ottenere su un debito a tasso d’interesse fisso effetti corrispondenti all’applicazione di un tasso variabile, o viceversa, ovvero mutare l’indice di riferimento per un debito contratto a tasso d’interesse variabile, o, ancora, modificare i tempi di pagamento degli interessi o del capitale.

 

L’operazione può servire per ristrutturare l’intero debito pregresso oppure quote di esso, ad esempio per diversificarne le caratteristiche in modo da ridurre il rischio complessivo. La diversificazione può riferirsi a tre elementi: tipo d’indicizzazione (tasso fisso o variabile con differenti indici); scadenza (breve, media, lunga); divisa (valuta nazionale o estera)[21].

Le descritte operazioni finanziarie possono risultare per converso svantaggiose qualora le scelte operate si fondino su un’analisi erronea.

Può infatti verificarsi che le scelte compiute non siano corrispondenti alla struttura di attività e passività del bilancio del soggetto che le compie, sia perché invece di diversificare la struttura del debito ne accentuino gli squilibri, sia perché nel determinare le date per la regolazione periodica dei flussi di pagamento non siano stati adeguatamente considerati gli andamenti di cassa delle parti (con conseguente rischio di mancanza di liquidità).

I rischi tipici di queste operazioni sono il rischio legato alle variazioni di valore degli indici di riferimento o delle attività sottostanti, e il rischio di credito[22].

L’applicazione di queste tecniche alla finanza degli enti territoriali è assai recente, poiché in precedenza l’indebitamento di essi consisteva in mutui contratti con la Cassa depositi e prestiti (a tasso fisso) o con istituti bancari (a tassi stabiliti entro i limiti massimi fissati dall’autorità di Governo). L’esigenza di una gestione più attenta e responsabile del debito di questi enti, con la cessazione di talune forme di sostegno a carico della finanza statale, ha imposto la ricerca di finanziamenti a condizioni di mercato. In questo contesto si è sviluppato l’impiego delle emissioni obbligazionarie, le cui condizioni dipendono dall’andamento del mercato e dal merito di credito degli enti emittenti, per il quale può rendersi necessario il rilascio di un rating da parte delle agenzie specializzate.

Nel medesimo quadro, la dottrina ha segnalato le opportunità che potevano sorgere anche in favore degli enti locali dall’impiego di strumenti innovativi di finanza derivata, in relazione alle caratteristiche della loro gestione finanziaria[23].

 

Sulle problematiche relative al collocamento di strumenti finanziari derivati la Commissione VI (Finanze) della Camera dei deputati sta conducendo una serie di audizioni informali. Da ultimo, nella seduta del 15 novembre 2007, si è tenuta l’audizione dei rappresentanti dell’Unione delle Province d’Italia (UPI) e dell’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI).

L'impiego di strumenti finanziari derivati da parte degli enti territoriali

Nell’ambito delle disposizioni che disciplinano il finanziamento delle spese di investimento degli enti locali, contenute nel testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, l’articolo 205 autorizza gli enti locali a contrarre prestiti obbligazionari nelle forme consentite dalla legge.

L’emissione di titoli obbligazionari da parte degli enti territoriali è disciplinata dall’articolo 35 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (provvedimento collegato alla legge finanziaria per il 1995), e dal regolamento emanato con decreto del Ministro del tesoro 5 luglio 1996, n. 420.

La disciplina consente a regioni, province, comuni e unioni di comuni, città metropolitane, comunità montane e consorzi tra enti locali territoriali di deliberare l'emissione di prestiti obbligazionari destinati in via esclusiva al finanziamento degli investimenti[24].È esplicitamente previsto il divieto di finanziare spese di parte corrente.

Per quanto riguarda le regioni, la legge n. 724 del 1994 rinvia alla disciplina contenuta nell'articolo 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281, in base alla quale la facoltà di emettere titoli obbligazionari deve essere esercitata mediante apposita legge regionale di autorizzazione entro precisi limiti quantitativi e contabili.

 

Il regolamento, oltre a determinare le caratteristiche dei titoli obbligazionari e i criteri e le procedure che gli enti emittenti sono tenuti ad osservare per la raccolta del risparmio[25], definisce altresì l'ammontare delle commissioni di collocamento da corrispondere agli intermediari autorizzati e i criteri di quotazione sul mercato secondario.

 

Relativamente alle emissioni in valuta, l’articolo 2 del medesimo regolamento emanato con il decreto del Ministro del tesoro 5 luglio 1996, n. 420, prescrive la copertura del rischio di cambio mediante una corrispondente operazione di swap che trasformi, per l'emittente, l'obbligazione in valuta estera in un'obbligazione in valuta nazionale, senza introdurre elementi di rischio. L'operazione dovrà essere effettuata da intermediari di provata affidabilità ed esperienza nel settore, con riferimento anche alla valutazione loro assegnata dalle maggiori agenzie di rating.

 

Il comma 1 dell'articolo 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002), al fine di contenere il costo dell’indebitamento e di consentire la vigilanza sugli andamenti della finanza pubblica, ha conferito al Ministero dell'economia e delle finanze una funzione generale di coordinamento con riferimento all'accesso al mercato dei capitali delle province, dei comuni, delle unioni di comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane e delle comunità isolane, di cui all’articolo 2 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché dei consorzi tra enti territoriali e delle regioni[26].

I commi 2 e 3 hanno modificato la disciplina dell'emissione di titoli obbligazionari e della contrazione di mutui da parte degli enti territoriali, al fine di rimuovere alcuni vincoli che sembravano aver condizionato l'utilizzazione di tali strumenti di finanziamento.

 

In particolare, il comma 2 – diversamente da quanto indicato dalla legislazione previgente, informata ad un sistema di ammortamento con rimborso graduale di quote di capitale e interessi – ha previsto la possibilità di emettere titoli obbligazionari e di contrarre mutui con rimborso in un'unica soluzione alla scadenza (c.d. struttura bullet). In questo caso l’ente territoriale, al momento dell'emissione o dell'accensione, dovrà costituire un fondo di ammortamento del debito (sinking fund) reinvestibile, ovvero concludere operazioni di swap per l'ammortamento del debito (amortizing swap), in base alle quali l'ente s’impegna a pagare rate di ammortamento e la controparte a corrispondere rate d’interesse più il capitale alla scadenza.

Questi metodi tendono, tra l'altro, a garantire una maggiore flessibilità alle politiche di spesa e una più efficiente comparabilità finanziaria dei BOC con altri strumenti d’investimento. La disposizione contiene l’espresso riferimento a strumenti finanziari derivati, il cui impiego viene così ad essere previsto nella finanza degli enti locali.

 

Il comma 3 ha abrogatoil primo periodo del comma 6 dell’articolo 35 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nonché l’articolo 3 del regolamento emanato con decreto del Ministro del tesoro 5 luglio 1996, n. 420[27].

 

Varie disposizioni sono contenute nel regolamento concernente l'accesso al mercato dei capitali da parte delle province, dei comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane e delle comunità isolane, nonché dei consorzi tra enti territoriali e delle regioni, emanato con decreto dei Ministri dell’economia e delle finanze e dell’interno 1° dicembre 2003, n. 389[28].

Ulteriori precisazioni sono state fornite dal Ministero dell’economia e delle finanze mediante la circolare 27 maggio 2004[29]. Dettagliate indicazioni sono fornite circa le tipologie di operazioni derivate ammesse. Oltre agli swap di tasso di cambio a copertura del rischio di cambio nel caso di indebitamento in valuta, sono quelle espressamente indicate nelle lettere da a) a d) dell’articolo 3, comma 2, del regolamento, da intendersi nella forma «plain vanilla»[30].

Non sono ammessi gli strumenti derivati che contengono leve o moltiplicatori dei parametri finanziari (ad esempio, pagare due volte il tasso Euribor), né operazioni derivate riferite ad altre operazioni derivate preesistenti, in base alla considerazione che nessun derivato è configurabile come una passività.

 

Nel caso in cui si verifichi una variazione della passività sottostante ad un derivato, ad esempio perché è stata rinegoziata o convertita oppure perché ha raggiunto un ammontare inferiore a quanto inizialmente previsto, la posizione nello strumento derivato può essere riadattata sulla base di condizioni che non determinino una perdita per l'ente; solo nel caso in cui l'ente ritenga di dover chiudere la posizione nello strumento derivato è ammissibile la conclusione di un derivato uguale e di segno contrario con un'altra controparte.

 

Per la determinazione del rischio di credito degli intermediari valgono le stesse regole indicate in relazione ai fondi e agli swap d’ammortamento.

 

Infine, atteso il rischio inerente all'attività in derivati, la circolare raccomanda agli enti di fare altresì riferimento alle norme del regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, adottato dalla CONSOB con delibera 1° luglio 1998 e successive modificazioni (in particolare articoli da 25 a 31) e al "Documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari" ad esso allegato.

Le modifiche apportate dalla legge finanziaria 2007

I commi da 736 a 738 dell’articolo 1 della legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006) contengono disposizioni in materia di indebitamento degli enti locali tramite utilizzo di strumenti derivati.

 

In materia sono intervenute le circolari esplicative del Ministero dell’economia e delle finanze 31 gennaio 2007, pubblicata in G.U. n. 29 del 5 febbraio 2007 e 22 giugno 2007, n. 6301, pubblicata in G.U. n. 151 del 2 luglio 2007.

 

Il comma 736 è diretto a ridurre l’utilizzo, da parte di regioni ed enti locali[31], di strumenti finanziari derivati per le operazioni di gestione del debito.

Il comma in esame afferma che le operazioni di gestione del debito tramite strumenti derivati effettuate da regioni e enti locali devono essere improntate alla riduzione del costo finale del debito e alla riduzione dell’esposizione ai rischi di mercato. È stabilito inoltre che le suddette operazioni possono essere concluse solo in corrispondenza di passività effettivamente dovute, avendo riguardo al rischio di credito assunto.

I commi 737 e 738 introducono obblighi di comunicazione a carico delle regioni e degli enti locali che pongono in essere operazioni di ammortamento del debito con rimborso unico a scadenza e operazioni in strumenti derivati.

Ai sensi del comma 737, che introduce i commi 2-bis e 2-ter nell’articolo 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002), le regioni e gli enti locali, prima della sottoscrizione di contratti relativi alle operazioni sopra indicate, devono trasmetterli al Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento del Tesoro. La trasmissione è elemento costitutivo dell’efficacia dei contratti stessi. Sono espressamente confermate le disposizioni di cui al citato D.M. n. 389 del 2003 in materia di controllo sull’andamento delle operazioni. La norma si applica a partire dal 1° gennaio 2007.

L’articolo 1 del D.M. n. 389 del 2003, concernente l'accesso al mercato dei capitali da parte degli enti locali e delle regioni, prevede che tali soggetti comunichino entro il giorno 15 dei mesi di febbraio, maggio, agosto e novembre di ogni anno al Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze i dati relativi all'utilizzo netto di forme di credito a breve termine presso il sistema bancario, ai mutui accesi con soggetti esterni alla pubblica amministrazione, alle operazioni derivate concluse e ai titoli obbligazionari emessi nonché alle operazioni di cartolarizzazione concluse.

Il coordinamento dell'accesso dei predetti enti ai mercati dei capitali è svolto dal Ministero dell’economia e delle finanze limitatamente alle operazioni di finanziamento a medio e lungo termine o di cartolarizzazione di importo pari o superiore a 100 milioni di euro. A tal fine, gli enti comunicano le caratteristiche dell'operazione in preparazione al Dipartimento del Tesoro. Nel caso di operazioni soggette al controllo del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), gli emittenti invieranno i dati simultaneamente al Dipartimento del Tesoro e al CICR, e l'eventuale formulazione di osservazioni da parte del Dipartimento del Tesoro dovrà avere luogo prima dell'autorizzazione rilasciata dal CICR.

Il nuovo comma 2-ter stabilisce che le operazioni di cui al nuovo comma 2-bis (operazioni di ammortamento del debito con rimborso unico a scadenza e operazioni in strumenti derivati) che vìolano la vigente normativa sono comunicate alla Corte dei conti per l’adozione dei provvedimenti di sua competenza.

 

Il comma 738 stabilisce che gli enti tenuti alle comunicazioni di cui al citato articolo 41 della legge n. 448 del 2001 debbono conservare, per almeno cinque anni, elenchi aggiornati contenenti i dati di tutte le operazioni finanziarie e di indebitamento soggette all’obbligo di comunicazione. L’organo di revisione dell’ente territoriale vigila sul corretto e tempestivo adempimento dell’obbligo da parte degli enti vigilati.

 

Gli obblighi di comunicazione a carico di regioni ed enti locali, previsti dal citato articolo 41, sono quelli di cui nuovo comma 2-bis, introdotto dal precedente comma 737, e l’obbligo di comunicare periodicamente al Ministero dell’economia i dati relativi alla propria situazione finanziaria, al fine di contenere il costo dell’indebitamento e di vigilare sugli andamenti di finanza pubblica.

Le disposizioni recate dall’articolo 20

L’articolo 20 in esame ha riguardo ai contratti su strumenti finanziari e a contratti su strumenti finanziari derivati[32].

Il comma 1 dell’articolo 20 in esame dispone che i contratti su strumenti finanziari, anche derivati, sottoscritti da regioni ed enti locali, devono essere informati alla massima trasparenza contrattuale.

 

Si rileva che l’espressione “massima trasparenza contrattuale” risulta eccessivamente generica, in quanto non fornisce alcun parametro di valutazione né alcun criterio di orientamento ai fini della redazione del decreto ministeriale di attuazione previsto dal successivo comma 2.

 

Il comma 2 dell’articolo 20 in esame demanda ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare sentite la Consob e la Banca d’Italia, il compito di indicare le informazioni che devono recare i contratti su strumenti finanziari, anche derivati, sottoscritti da regioni ed enti locali nonché il compito di specificare le indicazioni secondo le quali tali contratti devono essere redatti.

 

Si rileva che la norma non indica il termine entro cui deve essere emanato il decreto.

 

Il Ministero dell’economia e delle finanze sarà quindi tenuto a verificare la conformità dei contratti ai modelli di cui al predetto decreto ministeriale.

 

Il comma 3 dell’articolo 20 in esame stabilisce che la regione o l’ente locale sottoscrittore dello strumento finanziario deve attestare espressamente di aver preso piena considerazione:

a)      dei rischi dello strumento proposto;

b)      delle caratteristiche dello strumento proposto.

 

Ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 in esame, il rispetto di quanto previsto ai commi 2 e 3 è elemento costitutivo dell’efficacia dei contratti.

La norma di chiusura recata dal comma 4 in esame parrebbe significare - qualificando il rispetto di quanto previsto ai commi 2 e 3 in termini di “elemento costitutivo dell’efficacia dei contratti” - che il contratto stipulato tra l’ente territoriale e la sua controparte avente ad oggetto strumenti finanziari anche derivati non deve ritenersi nullo ovvero annullabile anche ove non siano rispettate le disposizioni recate dai commi 3 e 4.

Il mancato rispetto di tali norme impedirebbe, infatti, soltanto il dispiegarsi dell’efficacia del contratto.

Pertanto, un adeguamento successivo dell’ente territoriale alle prescrizioni recate dai commi 2 e 3 consentirebbe al contratto, di per sé valido, di produrre anche gli effetti suoi propri.


Contenimento delle spese

Articolo 126, commi 4 e 5
(Razionalizzazione del sistema degli acquisti di beni e servizi delle amministrazioni pubbliche)

 


(omissis)

4. In relazione ai parametri di prezzo-qualità di cui al comma 3 dell'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, il Ministero dell'economia e delle finanze, attraverso Consip s.p.a., entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, predispone e mette a disposizione delle amministrazioni pubbliche gli strumenti di supporto per la valutazione della comparabilità del bene e del servizio e per l'utilizzo dei detti parametri, anche con indicazione di una misura minima e massima degli stessi.

5. Per raggiungere gli obiettivi di contenimento e di razionalizzazione della spesa pubblica, fermo restando quanto previsto dagli articoli 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e dall'articolo 1, comma 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, i soggetti aggiudicatori di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, possono ricorrere per l'acquisto di beni e servizi alle convenzioni stipulate da Consip s.p.a. ai sensi dell'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, nel rispetto dei princìpi di tutela della concorrenza.

(omissis)


 

 

L’articolo, oggetto di modifiche nel corso dell’esame al Senato, reca norme volte a razionalizzare il sistema degli acquisti di beni e servizi da parte delle amministrazioni statali centrali e periferiche, nonché da parte delle amministrazioni pubbliche, genericamente intese.

 

In particolare, il comma 4 stabilisce che il Ministero dell’economia e delle finanze, attraverso CONSIP s.p.a., metta a disposizione delle amministrazioni pubbliche, entro tre mesi dall’entrata in vigore del testo in esame, strumenti di supporto per la valutazione della comparabilità del bene e del servizio e per l’utilizzo dei parametri di prezzo-qualità stabiliti da CONSIP s.p.a per l’acquisto di beni e servizi, anche con indicazione di una misura minima e massima degli stessi.

Tale disposizione, come evidenziato nella relazione illustrativa al disegno di legge, è finalizzata a garantire un’effettiva applicazione delle disposizioni in materia di razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione di cui all’articolo 26 della legge 488 del 1999. Tale articolo, al comma 3, facoltizza le pubbliche amministrazioni ad aderire alle convenzioni quadro stipulate da Consip s.p.a, ovvero le obbliga a seguirne i parametri prezzo-qualità. In particolare, evidenzia la relazione, se la totalità degli acquisti autonomi fosse avvenuta nel rispetto del brenchmark Consip, si sarebbe ottenuto, a parità di quantità, un risparmio potenziale del 20%, pari a 2.800 milioni Pertanto, si ritiene opportuna l’introduzione di una norma che, ai fini di un mero coordinamento sistematico con la disciplina vigente, precisi e confermi, al fine di evitare dubbi interpretativi, che gli acquisti di beni e servizi, anche da parte delle amministrazioni regionali e locali, oltre che centrali, debbano fare riferimento ai parametri Consip.

 

La disciplina vigente.

 

Come accennato, l’articolo 26, comma 3, della legge 488/1999 (legge finanziaria 2000) combinato con il disposto dell’articolo 58 della legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001)[33] prevede che le amministrazioni pubbliche possano ricorrere alle “convenzioni Consip” [34], ovvero ne utilizzino i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse, anche utilizzando procedure telematiche per l'acquisizione di beni e servizi.L’ultimo periodo di tale comma disponeva poi che quanto sopra non si applicasse ai comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e ai comuni montani con popolazione fino a 5.000 abitanti. Su tale disposizione ha inciso l’articolo 1, comma 449 della legge finanziaria 2007, il quale, sebbene richiami il disposto dell’articolo 26, sembra implicitamente estenderne l’ambito di applicazione. Il comma 449, in particolare:

§       demanda ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze l’individuazione, entro il mese di gennaio di ogni anno, delle tipologie di beni e servizi per il cui approvvigionamento le amministrazioni statali centrali e periferiche - ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie - sono obbligate a utilizzare le convenzioni – quadro stipulate dalla Consip s.p.a. Tale individuazione avviene tenuto conto delle caratteristiche del mercato e del grado di standardizzazione dei prodotti.

§       dispone che gli enti del servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di acquisto di riferimento;

§       dispone che le restanti amministrazioni pubbliche (di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165), tra cui rientrano gli enti territoriali, possono ricorrere alle convenzioni Consip e a quelle stipulate dalle centrali regionali di acquisto, la cui istituzione è prevista al comma 456 della stessa legge finanziaria 2007, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipula dei contratti.

Con riferimento agli enti territoriali, si ricorda che l’articolo 26, comma 3 escludeva i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e i comuni montani con popolazione fino a 5.000 abitanti dall’obbligo di utilizzare i parametri di prezzo-qualità delle convenzioni Consip come limiti massimi per la stipula dei contratti (art. 26, comma 3, legge n. 488/99). Tale esclusione è stata dunque superata dalla disposizione in esame.

 

Il comma 5, al fine di raggiungere gli obiettivi di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica e nel rispetto dei principi di tutela della concorrenza., estende la possibilità di ricorrere per gli acquisti di beni e servizi alle convenzioni quadro Consip a tutti i soggetti tenuti all’applicazione della normativa nazionale e comunitaria in tema di appalti pubblici (ossiai“soggetti aggiudicatori”ai sensi del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture).

 

Si ricorda che ai sensi del citato Codice degli appalti pubblici (articolo 3, comma 25 del decreto legislativo 163/2006[35]), sono “soggetti aggiudicatori” i seguenti soggetti: le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti.

La relazione illustrativa chiarisce che la norma è finalizzata ad estendere l’opportunità di ridurre i costi di funzionamento anche ad altri soggetti, quali le società in mano pubblica. Al riguardo, si cita ad esempio il caso di un comune, il quale, secondo la disciplina vigente, può acquistare cassonetti per i rifiuti tramite il sistema Consip, ma lo stesso non possono fare le società municipalizzate costituite dai comuni per gestire il relativo servizio.

 

La norma in esame specifica che rimane fermo il sistema degli acquisti della P.A. mediante convenzioni, come risultante dalle già citate disposizioni legge finanziaria 2000 (articolo 26), dalla legge finanziaria 2001 (articolo 58) e dalla legge finanziaria 2007 (articolo 1, comma 449).


Articolo 128
(Contenimento dei costi delle amministrazioni pubbliche: auto di servizio, corrispondenza postale, telefonia, immobili)

 


1. A decorrere dall'anno 2008 la cilindrata media delle autovetture di servizio assegnate in uso esclusivo e non esclusivo nell'ambito delle magistrature e di ciascuna amministrazione civile dello Stato non può superare i 1600 centimetri cubici, escludendo dal computo le autovetture utilizzate dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e per i servizi istituzionali di tutela dell'ordine, della sicurezza pubblica e della protezione civile.

2. Il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA) effettua, anche a campione, azioni di monitoraggio e verifica del rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 47 del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, nonché delle disposizioni in materia di posta elettronica certificata. Il mancato adeguamento alle predette disposizioni in misura superiore al 50 per cento del totale della corrispondenza inviata, certificato dal CNIPA, comporta, per le pubbliche amministrazioni dello Stato, comprese le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, e per gli enti pubblici non economici nazionali, la ridu­zione, nell'esercizio finanziario successivo, del 30 per cento delle risorse stanziate nell'anno in corso per spese di invio della corrispondenza cartacea.

3. Con decreto del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle comunicazioni, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità attuative del comma 2.

4. All'articolo 78 del codice dell'amministrazione digitale, di cui al citato decreto legislativo n. 82 del 2005, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«2-bis. Le pubbliche amministrazioni centrali sono tenute, a decorrere dal 1o gennaio 2008 e comunque a partire dalla scadenza dei contratti relativi ai servizi di fonia in corso alla data predetta, ad utilizzare i servizi «Voce tramite protocollo Internet» (VoIP) previsti dal sistema pubblico di connettività o da analoghe convenzioni stipulate da Consip s.p.a. a livello territoriale.

2-ter. Il CNIPA effettua azioni di monitoraggio e verifica del rispetto delle disposizioni di cui al comma 2-bis.

2-quater. Il mancato adeguamento alle disposizioni di cui al comma 2-bis comporta la riduzione, nell'esercizio finanziario successivo, del 30 per cento delle risorse stanziate nell'anno in corso per spese di telefonia».

5. Con decreto del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle comunicazioni, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità attuative dei commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell'articolo 78 del citato codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, introdotti dal comma 4 del presente articolo.

6. In relazione a quanto previsto dai commi 4 e 5, le dotazioni delle unità previsionali di base degli stati di previsione dei Ministeri concernenti spese postali e telefoniche sono rideterminate in maniera lineare in misura tale da realizzare complessivamente una riduzione di 7 milioni di euro per l'anno 2008, 12 milioni di euro per l'anno 2009 e 14 milioni di euro a decorrere dal 2010. Le altre pubbliche amministrazioni dovranno altresì adottare misure di contenimento delle suddette spese al fine di realizzare risparmi in termini di indebitamento netto non inferiori a 18 milioni di euro per l'anno 2008, a 128 milioni di euro per l'anno 2009 e a 272 milioni di euro per l'anno 2010. Al fine di garantire l'effettivo conseguimento di tali obiettivi di risparmio, in caso di accertamento di minori economie, si provvede alle corrispondenti riduzioni dei trasferimenti statali nei confronti delle pubbliche amministrazioni inadempienti.

7. Ai fini del contenimento delle spese di funzionamento delle proprie strutture, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, adottano piani triennali per l'individuazione di misure finalizzate alla razionalizzazione dell'utiliz­zo:

a) delle dotazioni strumentali, anche informatiche, che corredano le stazioni di lavoro nell'automazione d'ufficio;

b) delle autovetture di servizio, attraverso il ricorso, previa verifica di fattibilità, a mezzi alternativi di trasporto, anche cumulativo;

c) dei beni immobili ad uso abitativo o di servizio, con esclusione dei beni infrastrutturali.

8. Nei piani di cui alla lettera a) del comma 7 sono altresì indicate le misure dirette a circoscrivere l'assegnazione di apparecchiature di telefonia mobile ai soli casi in cui il personale debba assicurare, per esigenze di servizio, pronta e costante reperibilità e limitatamente al periodo necessario allo svolgimento delle partico­lari attività che ne richiedono l'uso, individuando, nel rispetto della normativa sulla tutela della riservatezza dei dati personali, forme di verifica, anche a campione, circa il corretto utilizzo delle relative utenze.

9. Qualora gli interventi di cui al comma 7 implichino la dismissione di dotazioni strumentali, il piano è corredato della documentazione necessaria a dimostrare la congruenza dell'operazione in termini di costi e benefici.

10. A consuntivo annuale, le amministrazioni trasmettono una relazione agli organi di controllo interno e alla sezione regionale della Corte dei conti competente.

11. I piani triennali di cui al comma 7 sono resi pubblici con le modalità previste dall'articolo 11 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e dall'articolo 54 del codice dell'amministrazione digitale, di cui al citato decreto legislativo n. 82 del 2005.

12. Le amministrazioni di cui al comma 7, sulla base di criteri e modalità definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare, sentita l'Agenzia del demanio, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, all'esito della ricognizione prope­deutica alla adozione dei piani triennali di cui alla lettera c) del comma 7 provvedono a comunicare al Ministero dell'economia e delle finanze i dati relativi a:

a) i beni immobili ad uso abitativo o di servizio, con esclusione dei beni infrastrut­turali, sui quali vantino a qualunque titolo diritti reali, distinguendoli in base al relativo titolo, determinandone la consistenza complessiva ed indicando gli eventuali proventi annualmente ritratti dalla cessione in locazione o in ogni caso dalla costituzione in relazione agli stessi di diritti in favore di terzi;

b) i beni immobili ad uso abitativo o di servizio, con esclusione dei beni infrastrutturali, dei quali abbiano a qualun­que titolo la disponibilità, distinguendoli in base al relativo titolo e determinandone la consistenza complessiva, nonché quanti­ficando gli oneri annui complessivamente sostenuti a qualunque titolo per assicurarne la disponibilità.

13. Le regioni, le province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, adottano, secondo i propri ordinamenti, gli atti di rispettiva competenza al fine di attuare i princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica desumibili dal presente articolo.

14. All'articolo 4 del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, le parole: «quattro membri», ovunque ricorrano, sono sosti­tuite dalle seguenti: «due membri».

15. Fino al 2 agosto 2009 l'organo collegiale di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo n. 39 del 1993 è costituito dal presidente e da tre membri; fino alla predetta data, ai fini delle deliberazioni, in caso di parità di voti, prevale quello del presidente.


 

L’articolo 128 reca norme eterogenee, complessivamente finalizzate alla razionalizzazione della spesa delle pubbliche amministrazioni.

 

In particolare, il comma 1 dispone, a decorrere dal 2008, un limite alla cilindrata media delle autovetture di servizio (le c.d. auto blu)assegnate in uso esclusivo e non esclusivo nell'ambito delle magistrature e di ciascuna amministrazione civile dello Stato, precisando che essa non possa superare i 1600 centimetri cubici.

Tale limite non si applica alle autovetture utilizzate dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e per i servizi istituzionali di tutela dell'ordine, della sicurezza pubblica e della protezione civile.

 

L’utilizzo delle autovetture pubbliche è stato nelle ultime Legislature più volte oggetto di dibattito e di interventi legislativi. L’individuazione delle particolari categorie che potevano beneficiare dell’utilizzo dell’autovettura di servizio è stata effettuata conil D.P.C.M. 28 febbraio 1997. Con il D.P.C.M. 11 aprile 1997 sono stati precisati i criteri generali per la predisposizione, da parte delle amministrazioni pubbliche, di piani di impiego più razionale e meno dispendioso, mentre con la direttiva della Presidenza del Consiglio 27 febbraio 1998, so state dettate nuove modalità per la gestione del parco macchine esistente, in relazione all'esigenza di realizzare economie di spesa.

L’assegnazione in uso esclusivo delle autovetture di servizio delle amministrazioni civili dello Stato è stata nuovamente disciplinata, con l’introduzione di ulteriori limitazioni, da una Direttiva del Presidente del Consiglio del 30 ottobre 2001.

Una seconda direttiva del 30 ottobre 2001 ha provveduto a ridefinire i modi di utilizzo delle autovetture di servizio delle amministrazioni civili dello Stato e degli enti pubblici non economici, prevedendo, peraltro, che il Ministero dell'economia e delle finanze riferisca al Parlamento sui risultati del monitoraggio relativo all'attuazione delle procedure di affidamento, di dismissione e di smantellamento, nonché di fornire annualmente i dati relativi alle riduzioni di spesa conseguite dalle amministrazioni pubbliche e dagli enti. L’unica relazione sinora trasmessa è il documento CCXXVIII, n. 1 (trasmessa alla Presidenza il 19 aprile 2006) riferita all’anno 2005.

Da ultimo, la legge finanziaria 2006 (articolo 1, comma 11 della legge 23 dicembre 2005, n. 266) ha introdotto una disciplina restrittiva delle spese sostenibili dalle pubbliche amministrazioni per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture. Si è in particolare previsto che, a decorrere dal 2006, le pubbliche amministrazioni, ad eccezione di quelle operanti per l'ordine e la sicurezza pubblica, non possano effettuare spese in tale ambito di ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2004. Da detta misura sono stati esclusi gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale. La disposizione si è posta in linea di continuità con la legge finanziaria per il 2005 e, in particolare con l’art. 1, comma 12, che aveva previsto, per gli anni 2005, 2006 e 2007, un limite analogo ma meno rigoroso, pari, rispettivamente, al 90 per cento, all’80 per cento e al 70 per cento della spesa sostenuta nel 2004. La legge finanziaria 2007 (articolo 1, comma 505 della legge 27 dicembre 2006, n. 296) ha, tra l’altro, esteso a tutte le amministrazioni inserite nel conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni le disposizioni della citata l. n. 266/2005 in materia di limitazione delle spese per auto di servizio, chesi applicavano a tutte le pubbliche amministrazioni previste dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, fatte salve alcune esclusioni

 

Il comma 2 reca una norma volta a sanzionare il mancato uso da parte delle pubbliche amministrazioni della posta elettronica.

 

Tale mezzo di comunicazione dei documenti è prescritto come “normale” dall’articolo 47 del Codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82); la trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna, in base al successivo articolo 48, avviene mediante la posta elettronica certificata.

La Relazione illustrativa al disegno di legge presentato la Senato sottolinea come “lo strumento della posta elettronica, in particolare quella certificata […] presenta caratteristiche di economicità, semplicità e velocità di trasmissione, facilità di archiviazione, possibilità di invio multiplo, integrabilità con altri strumenti ed applicazioni telematiche e, infine, di affidabilità”.

 

Si prevede, al riguardo, che il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA) effettui verifiche a campione.

Se in base alle risultanze delle verifiche una singola amministrazione ha mancato di adeguarsi alla normativa in misura superiore al 50 per cento del totale della corrispondenza inviata, essa subisce la riduzione, nell’esercizio successivo, del 30 per cento delle risorse stanziate nell’anno in corso per spese di invio di corrispondenza cartacea.

 

Sono comprese nell’ambito applicativo della disciplina in oggetto le amministrazioni dello Stato, comprese le aziende e amministrazioni statali ad ordinamento autonomo e gli enti pubblici non economici nazionali

 

Il comma 3 dispone che le modalità di attuazione delle norme di cui al comma 2 siano stabilite con decreto del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle comunicazioni, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria.

In sede di coordinamento formale del testo al Senato, si è precisato che le modalità attuative di cui al comma 3 riguardano le sole norme relative all’utilizzo della posta elettronica ed alla trasmissione documentale di cui al comma 2, mentre il testo originario faceva riferimento all’attuazione dell’intero articolo.

La relazione tecnica quantifica il risparmio derivante dall’introduzione delle disposizioni in esame in circa 166 milioni di euro annui, quando la misura opererà a regime. Si stima tuttavia che tali risparmi, permanendo nella disponibilità delle Amministrazioni ed essendo dunque potenzialmente spendibili, non possano essere preventivamente portati a miglioramento dei saldi di finanza pubblica. Si sottolinea, inoltre, come la gradualità del recepimento della nuova procedura abbia effetti positivi limitati nel biennio 2008-2009, recando un risparmio di 15 milioni di euro nel 2008 e 80 milioni di euro nel 2009.

 

I commi 4-6, introducono alcune norme nel Codice dell’amministrazione digitale, dettando misuredi innovazione in materia di comunicazioni telefoniche, nonché correlate misure di contenimento della spesa.

 

In dettaglio,il comma 4 aggiunge i commi da 2-bis a 2-quater all’articolo 78 del Codice di amministrazione digitale, di cui al citato D.Lgs. n. 82/2005.

Anzitutto si dispone l’obbligo, per le amministrazioni centrali, di utilizzare i servizi “Voce tramite protocollo Internet” (VoIP) previsti dal Sistema Pubblico di Connettività o da analoghe convenzioni stipulate da Consip s.p.a. a livello territoriale, a decorrere dal 1° gennaio 2008 e, comunque, a partire dalla scadenza dei contratti relativi ai servizi di fonia in corso alla medesima data (articolo 78, comma 2-bis).

Si ricorda che il “Voice over IP” (Voce tramite protocollo Internet, acronimo “VoIP”) è una tecnologia che rende possibile effettuare una conversazione telefonica sfruttando una connessione Internet o un'altra rete per trasmissione dati che utilizza il protocollo IP, consentendo un notevole risparmio dei costi per servizi telefonici. La relativa tecnologia, coma sottolinea la relazione illustrativa, è stata inclusa nei progetti e negli accordi finalizzati a realizzare il citato Sistema Pubblico di Connettività.

Ai sensi dell’articolo 73, comma 1 del D.Lgs. n. 82/2005, il Sistema Pubblico di Connettività - SPC è l'insieme di infrastrutture tecnologiche e di regole tecniche per lo sviluppo, la condivisione, l'integrazione e la diffusione del patrimonio informativo e dei dati della pubblica amministrazione, necessarie per assicurare l'interoperabilità di base ed evoluta e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, garantendo la sicurezza, la riservatezza delle informazioni, nonché la salvaguardia e l'autonomia del patrimonio informativo di ciascuna pubblica amministrazione.
Il completamento del SPC è previsto entro il 2007.

 

L’attività di monitoraggio e verifica del rispetto di tali disposizioni è demandata al CNIPA (articolo 78, comma 2-bis); in caso di mancato adeguamento alle medesime disposizioni è prevista la riduzione, nell'esercizio finanziario successivo, del 30 per cento delle risorse stanziate nell'anno in corso per spese di telefonia (articolo 78, comma 2-quater).

La Relazione tecnica quantifica i risparmi derivanti dalle disposizioni del comma 4 in 120 milioni di euro a regime, e cioè dal 2010 in poi. Per il 2008 ed il 2009, i risparmi quantificati ammontano rispettivamente a 10 e 60 milioni di euro.

Complessivamente, dunque, gli effetti dei commi 2 e 4 sono così stimati:

-        25 milioni nel 2008, di cui 7 milioni riferiti ai Ministeri con impatto sul saldo netto da finanziare;

-        140 milioni nel 2009, di cui 12 milioni riferiti ai Ministeri con impatto sul saldo netto da finanziare;

-        286 milioni nel 2010, di cui 14 milioni riferiti ai Ministeri con impatto sul saldo netto da finanziare.

 

Il comma 5 dispone che le modalità attuative delle citate norme introdotte nel Codice dell’amministrazione digitale (commi 2-bis- 2-quater dell’ articolo 78), siano determinate con decreto del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle comunicazioni, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria.

 

Il comma 6, in relazione alle misure di razionalizzazione di cui ai commi 4 e 5, dispone un taglio lineare delle dotazioni delle unità previsionali di base degli stati di previsione dei Ministeri concernenti spese postali e telefoniche, in misura tale da realizzare, complessivamente, una riduzione di 7 milioni di euro per l'anno 2008, 12 milioni di euro per l'anno 2009 e 14 milioni di euro a decorrere dal 2010.

Le “altre” pubbliche amministrazioni (diverse da quelle centrali) sono chiamate a adottare misure di contenimento delle spese postali e telefoniche tali da comportare risparmi, in termini di indebitamento netto, non inferiori a 18 milioni di euro per l’anno 2008, a 128 milioni di euro per l’anno 2009 e a 272 milioni di euro per l’anno 2010. Il mancato rispetto dei suddetti obiettivi di risparmio sarà sanzionato, in caso di accertate minori economie, con corrispondenti riduzioni dei trasferimenti statali verso le amministrazioni inadempienti.

I commi da 7 a 11 prefigurano l’adozione di piani triennali da parte della generalità delle pubbliche amministrazioni volti al contenimento delle spese di funzionamento delle proprie strutture attraverso una razionalizzazione dell’utilizzo di determinati beni:

 

In particolare, il comma 7 dispone che le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165[36], adottino piani triennali per l'individuazione di misure finalizzate alla razionalizzazione dell'utilizzo:

§      delle dotazioni strumentali, anche informatiche, che corredano le stazioni di lavoro nell'automazione d'ufficio;

§      delle autovetture di servizio, attraverso il ricorso, previa verifica di fattibilità, a mezzi alternativi di trasporto, anche cumulativo;

§      dei beni immobili ad uso abitativo o di servizio, con esclusione dei beni infrastrutturali.

 

In relazione alle dotazioni strumentali, il comma 8 dispone che nei piani triennali siano indicate altresì misure dirette alla limitazione dell’assegnazione di telefoni cellulari al personale in servizio.

Nello specifico, tali misure:

-        sono dirette a circoscrivere l'assegnazione di apparecchiature di telefonia mobile ai soli casi in cui il personale debba assicurare, per esigenze di servizio, pronta e costante reperibilità, limitatamente alperiodo necessario allo svolgimento delle particolari attività che ne richiedono l'uso,

-        individuano, nel rispetto della normativa sulla tutela della riservatezza dei dati personali, forme di verifica, anche a campione, circa il corretto utilizzo delle relative utenze.

 

Il comma 9 prescrive che, qualora gli interventi di pianificazione implichino la dismissione di dotazioni strumentali, essi siano corredati della documentazione necessaria a dimostrare la congruenza dell'operazione in termini di costi e benefici.

 

Il comma 10 dispone la trasmissione, a consuntivo annuale, di una relazione agli organi di controllo interno e alla sezione regionale della Corte dei conti competente.

Il comma 11, infine, prevede che i suddetti piani triennali siano resi pubblici dagli Uffici per le Relazioni con il Pubblico e attraverso la pubblicazione sui siti web delle pubbliche amministrazioni, secondo le modalità previste, rispettivamente, dall’articolo 11 del citato decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dall'articolo 54 del Codice dell'amministrazione digitale.

Il comma 12 prevede una sorta di censimento degli immobili in mano pubblica. Tutte le pubbliche amministrazioni interessate dalla suddetta pianificazione triennale sono infatti tenute a comunicare al Ministero dell’economia e delle finanze, all’esito della ricognizione propedeutica alla redazione del piano triennale di razionalizzazione di cui al comma 7, lettera c), i datirelativi a:

a)      i beni immobili ad uso abitativo o di servizio, con esclusione dei beni infrastrutturali, sui quali vantino a qualunque titolo diritti reali. Si dispone che essi vengano distinti in base al relativo titolo, determinandone la consistenza complessiva ed indicando gli eventuali proventi annualmente ritratti dalla cessione in locazione o in ogni caso dalla costituzione in relazione agli stessi di diritti in favore di terzi;

b)      i beni immobili ad uso abitativo o di servizio, con esclusione dei beni infrastrutturali, dei quali abbiano a qualunque titolo la disponibilità, distinguendoli in base al relativo titolo e determinandone la consistenza complessiva, nonché quantificando gli oneri annui complessivamente sostenuti a qualunque titolo per assicurarne la disponibilità.

La comunicazione di tali dati avviene sulla base di criteri e modalità definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da adottare, sentita l'Agenzia del demanio, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria.

Si ricorda che l’articolo 131 del disegno di legge in esame detta specifiche misure di razionalizzazione della spesa per la manutenzione straordinaria dei beni immobili delle amministrazioni statali e, in genere, della amministrazioni pubbliche (cfr. articolo 131, relativa scheda di lettura).

 

Il comma 13,nel presupposto che la materia disciplinata dall’articolo in esame afferisca al coordinamento della finanza pubblica (in relazione al quale la Costituzione prevede legislazione concorrente), dispone che le Regioni, le province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria, adottino, secondo i propri ordinamenti, gli atti di rispettiva competenza al fine di attuare i princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica desumibili dal presente articolo.

I commi 14 e 15 dettano norme relative all’ Autorità istituita presso il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione – CNIPA.

In particolare, il comma 14, mediante unanovella all’articolo 4 del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, riduce da quattro a due – oltre al Presidente - il numero dei componenti del CNIPA.

Il comma 15 reca una norma transitoria, stabilendo che sino al 2 agosto 2009 l’Autorità è costituita dal Presidente e da tre membri e che, ai fini delle deliberazioni, in caso di parità di voti prevale quello del presidente.

Si fa presente che la Relazione tecnica, in relazione alle norme dei commi 14.-15, non reca alcuna quantificazione dei risparmi di spesa conseguibili dalle misure di riduzione dei membri del CNIPA.


Articolo 144, commi 12-15
(Controlli sulle spese degli enti locali per incarichi di studio o di ricerca ovvero per consulenze)

 


(omissis)

12. All'articolo 1, comma 127, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, le parole da: «pubblicano» fino a: «erogato» sono sostituite dalle seguenti: «sono tenute a pubblicare sul proprio sito web i relativi provvedimenti completi di indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell'incarico e dell'ammontare erogato. In caso di omessa pubblicazione, la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o consulenza di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale del dirigente preposto».

13. L'affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze, a soggetti estranei all'amministrazione può avvenire solo nell'ambito di un programma approvato dal consiglio ai sensi dell'articolo 42, comma 2, lettera b), del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

14. Con il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi emanato ai sensi dell'articolo 89 del citato decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione, di studio o di ricerca, ovvero di consulenze, a soggetti estranei all'amministrazione. Con il medesimo regolamento è fissato il limite massimo della spesa annua per gli incarichi e consulenze. L'affidamento di incarichi o consulenze effettuato in violazione delle disposizioni regolamentari emanate ai sensi del presente comma costituisce illecito disciplinare e determina respon­sabilità erariale.

15. Le disposizioni regolamentari di cui al comma 14 sono trasmesse, per estratto, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti che, entro trenta giorni dalla ricezione, esprime parere obbligatorio ma non vincolante sulla legittimità e compatibilità finanziaria delle stesse.

(omissis)


 

 

Il comma 12, inserito nel corso dell’esame da parte della 5a Commissione del Senato e non modificato dall’Assemblea dell’altro ramo del Parlamento,reca una novella all’art. 1, co. 127 della L. 662/1996[37], in materia di pubblicità dei rapporti di collaborazione e di consulenza a titolo oneroso.

Nel testo vigente il comma 127 stabilisce che le pubbliche amministrazioni che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un compenso debbano pubblicare elenchi nei quali sono indicati i soggetti percettori, la ragione dell’incarico e l’ammontare erogato e debbano trasmettere semestralmente copia di detti elenchi al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri.

In base alla modifica testuale apportata dal comma in esame, le amministrazioni non devono limitarsi alla pubblicazione (in forma libera) degli elenchi, ma devono pubblicare sul loro sito web i provvedimenti con cui hanno affidato gli incarichi, con l’indicazione dei soggetti beneficiari dei pagamenti, degli importi erogati e della ragione dell’affidamento dell’incarico.

In caso di omessa pubblicazione, si prevede che la liquidazione del corrispettivo per la collaborazione o l’incarico costituisca illecito disciplinare e determini l’insorgere della responsabilità amministrativa del dirigente preposto per il danno cagionato.

Non viene innovata invece la disposizione relativa alla trasmissione degli elenchi al Dipartimento per la funzione pubblica.

Quanto alla portata applicativa della disposizione, si osserva che – poiché la novella interviene su una disposizione riferita in via generale alle “pubbliche amministrazioni” – potrebbero sorgere incertezze sull’esatta delimitazione dell’ambito dei destinatari.

Più in generale, si rileva che la norma in esame sembra presentare forti analogie e margini di sovrapponibilità con disposizioni introdotte negli ultimi annial fine di rafforzare la trasparenza circa gli incarichi di consulenza affidati dalle pubbliche amministrazioni. In particolare, si segnala che, a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. 223/2006 (c.d. “decreto Bersani 1”)[38], l’art. 53 del D.Lgs. 165/2001 già prevede che le pubbliche amministrazioni[39] rendano noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l’oggetto, la durata e il compenso dell’incarico.

In questo quadro, potrebbe valutarsi l’opportunità di un miglior coordinamento tra le due disposizioni. La portata innovativa della disposizione in esame sembra infatti limitarsi all’introduzione dell’obbligo di pubblicare non solo i dati relativi alle consulenze, ma anche i provvedimenti con i quali sono conferiti gli incarichi, con l’indicazione anche delle ragioni dell’incarico stesso. Inoltre, mentre la disposizione dell’articolo 53 del D.Lgs. 165/2001 fa riferimento ai soli consulenti, la disposizione oggetto della novella in esame si applicherebbe più genericamente anche a tutte le forme di collaborazione esterna.

 

Per completezza, si segnala inoltre che più stringenti vincoli di pubblicità sono previsti dall’art. 1, comma 593, della legge finanziaria per il 2007, che viene tuttavia abrogato dal co. 1 e sostituito dalla disciplina di cui ai commi 2-11 dell’articolo in esame (vedi supra).

 

I commi da 13 a 15 dell’articolo 144, introdotti nel corso dell’esame da parte della 5a Commissione del Senato e non modificati dall’Assemblea dell’altro ramo del Parlamento,recano norme volte a rafforzare i controlli sulle spese degli enti locali per incarichi di studio o di ricerca, ovvero per consulenze.

In particolare, il comma 13 stabilisce che i suddetti incarichi possano essere conferiti dall’ente locale solo nell’ambito di un programma approvato dal Consiglio dell’ente stesso.

 

La norma richiama espressamente i programmi approvati ai sensi dell’art. 42, co. 2, lett. b) del testo unico sugli enti locali (T.U.E.L.[40]). Tale disposizione riporta un elenco delle attribuzioni dei Consigli comunali e provinciali, nella quale la competenza dell’organo consiliare ècircoscritta agli atti fondamentali di natura programmatoria o aventi un elevato contenuto di indirizzo politico, mentre sono affidati alle Giunte comunali tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo. In particolare, la lettera b) richiamata dalla disposizione in esame prevede che spetti ai Consigli la competenza su atti di programmazione e su documenti di bilancio (“programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie”). Il comma 4 del medesimo art. 42 esclude che deliberazioni in ordine alle materia affidate alla competenza dei Consigli possano essere adottate in via d’urgenza da altri organi del comune o della provincia, salvo per quanto attinente alle variazioni di bilancio adottate dalla Giunta, che devono essere sottoposte a ratifica del Consiglio nei sessanta giorni successivi, a pena di decadenza.

 

La ratio della disposizione è evidentemente quella di limitare la discrezionalità delle Giunte comunali e provinciali nelle scelte circa l’affidamento di incarichi esterni, rimettendo la decisione in ordine alla previsione degli incarichi stessi ad un programma di carattere generale deliberato dall’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo dell’ente locale.

Il comma 14 demanda al regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali[41] la definizione, in conformità alla legislazione vigente in materia, dei limiti, dei criteri e delle modalità per il conferimento di incarichi esterni, nonché del limite massimo della relativa spesa annua.

La disposizione reca inoltre una specifica norma sanzionatoria, prevedendo che il conferimento di incarichi esterni in violazione delle norme del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità per i danni cagionati alla pubblica amministrazione.

 

In generale, con riferimento alla disciplina degli incarichi di studio e ricerca, nonché delle consulenze, si segnala in primo luogo che – con una disposizione di carattere generale, che trova applicazione con riferimento a tutte le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001, e quindi anche agli enti locali – l’art. 7 del D.Lgs 165/2001, come modificato dal D.L. 223/2001[42] (c.d. “decreto Bersani 1), prevede (co. 6 e 6-bis) che le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa solo per esigenze cui non possano far fronte con personale in servizio e in favore di esperti di provata competenza. Gli incarichi devono essere, inoltre, attribuiti nel rispetto dei seguenti principi:

§       l’oggetto della prestazione deve rientrare nelle competenze dell’amministrazione conferente e deve corrispondere ad obiettivi e progetti specifici e determinati;

§       l’amministrazione deve in via preliminare accertare l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane a disposizione;

§       la prestazione deve avere natura temporanea e altamente qualificata;

§       devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

La disposizione prevede altresì che tutte le amministrazioni pubbliche debbano disciplinare e rendere pubbliche procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.

Con più specifico riferimento, agli enti locali il T.U.E.L.[43] prevede semplicemente che per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi possa prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità. Peraltro, il comma 6-ter del ricordato art. 7 del D.Lgs. 165/2001 – anch’esso introdotto dal c.d. “decreto Bersani 1” – precisa che i regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi debbano ispirarsi ai principi di carattere generale introdotti per tutte le pubbliche amministrazioni.

 

Il successivo comma 15 prevede che la sezione regionale della Corte dei Conti debba esprimere un parere obbligatorio e non vincolante sulla legittimità e sulla compatibilità finanziaria delle disposizioni del regolamento dei servizi e del personale adottate in materia di incarichi esterni in attuazione del comma 14.

A tal fine, la disposizione prevede che esse siano trasmesse per estratto alla Corte dei Conti, che si pronuncia entro 30 giorni dalla loro ricezione.

Con riferimento ai controlli introdotti dalla disposizione in esame, si segnala la necessità di un approfondimento circa il loro inquadramento nell’ambito dell’assetto delle competenze risultante dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.

 

Con riferimento alla materia dei controlli sugli atti degli enti locali, occorre infatti osservare in via preliminare che l’assetto di tali controlli ha subito profonde modifiche a seguito dell’entrata in vigore della riforma costituzionale del 2001. Fino a tale riforma, infatti, la Costituzione[44] prevedeva che un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica, esercitasse, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle province, dei comuni e degli altri enti locali. Era altresì previsto che in casi determinati dalla medesima legge potesse essere esercitato un controllo di merito, nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione.

La legislazione attuativa di tale disposizione costituzionale si è progressivamente evoluta nel senso di affievolire la funzione di controllo, con l’abolizione totale del controllo di merito e la riduzione degli atti sottoposti a controllo di legittimità preventivo. L’ art. 126 del T.U.E.L. prevedeva in questo quadro che il controllo preventivo di legittimità di cui all’art. 130 Cost. si esercitasse esclusivamente sugli statuti dell’ente, sui regolamenti di competenza del Consiglio, esclusi quelli attinenti all’autonomia organizzativa e contabile dello stesso Consiglio, sui bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, adottate o ratificate dal Consiglio, sul rendiconto della gestione. L’art. 127 prevedeva inoltre forme di controllo eventuale, attivabili su richiesta di un quarto dei consiglieri provinciali o un quarto dei consiglieri nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti ovvero un quinto dei consiglieri nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti, per deliberazioni riguardanti:

§       appalti e affidamento di servizi o forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario;

§       dotazioni organiche e relative variazioni;

§       assunzioni del personale.

Il sistema delineato è tuttavia stato superato dal nuovo quadro costituzionale, che è unanimemente stato interpretato nel senso della soppressione dei controlli di legittimità di tipo preventivo e del venir meno dei compiti affidati in materia ai comitati regionali di controllo (Co.re.Co.). Come osservato anche dal Consiglio di Stato[45], infatti, deve ritenersi che “con l’abrogazione dell’art. 130 Cost., siano venuti meno, insieme alle norme che li disciplinavano, i controlli di legittimità sugli atti degli enti locali”.

In questo quadro, particolare rilievo assumono, quindi, i controlli – di diverso carattere – attribuiti dalla legislazione vigente alla Corte dei conti.

Tali forme di controllo sono comunemente ricostruite dalla dottrina in termini di controlli “ausiliari” ad altre attività, in quanto volti a consentire in particolare una maggiore efficacia del controllo politico effettuato dalle assemblee elettive, sia a livello centrale, che a livello degli enti territoriali. Con riferimento al rapporto con tali ultimi enti, la dottrina e la giurisprudenza hanno altresì evidenziato la natura “collaborativa” dei controlli svolti dalla Corte, sottolineando come essi siano tesi a stimolare autonome misure correttive da parte degli enti locali, delle quali la Corte stessa può valutare congruità ed efficacia.

Quanto ai controlli svolti dalla Corte dei conti con riferimento alle autonomie territoriali, assumono in primo luogo rilievo le disposizioni dell’art. 3, co. 4, 5 e 6 della L. 20/1994[46], con le quali è stato disciplinato il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, il controllo sulla gestione delle amministrazioni regionali e dei loro enti strumentali, nonché il controllo sulla gestione degli enti locali territoriali e i loro enti strumentali (e anche delle università e delle istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nella Regione). Con particolare riferimento agli enti locali, la L. 20/1994 ha mantenuto in vigore i controlli già previsti dal D.L 786/1981[47], che prevedeva l’esame dei conti consuntivi delle province e dei comuni con popolazione superiore ad 8.000 abitanti ai fini di riferire al riguardo al Parlamento.

In particolare l’art. 7 della L. 131/2003[48] (c.d. legge La Loggia), nel disciplinare forme di controllo successivo sugli enti locali, reca[49] un’articolata disciplina delle funzioni della Corte dei conti, a fini di coordinamento della finanza pubblica: in particolare, la Corte è tenuta a verificare il rispetto degli equilibri di bilancio da parte degli enti territoriali, nonché (tramite le sezioni regionali di controllo) il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni. Al fine di rafforzare la natura collaborativa dei controlli previsti, l’art. 7 prevede inoltre che le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti riferiscano sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai Consigli degli enti controllati.

Comuni, Province e Città metropolitane possono richiedere, di norma attraverso il Consiglio delle autonomie locali, ulterioriforme di collaborazione alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.

In questo quadro, nel quale il controllo della Corte dei Conti non ha ad oggetto singoli atti, bensì la gestione complessiva dell’ente locale, e non mira direttamente alla irrogazione di sanzioni, ma ad evitare il verificarsi o il ripetersi di irregolarità o disfunzioni, è successivamente intervenuto l’art. 1, commi 166-169, della legge finanziaria per il 2006[50].

Tale disposizione ha introdotto una nuova forma di controllo della Corte dei Conti, imponendo la trasmissione alla Corte di apposite relazioni degli organi di revisione degli enti locali sul bilancio di previsione dell’esercizio di competenza e sul rendiconto di esercizio ai fini di un monitoraggio finalizzato in particolare a prevenire squilibri di bilancio. A tal fine, si prevede che la Corte dei conti definisce unitariamente criteri e linee guida cui debbono attenersi gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria nella predisposizione della relazione d trasmettere. Qualora le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti accertino comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno, adottano una specifica pronuncia al riguardo, vigilando sull’adozione da parte dell’ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e limitazioni posti in caso di mancato rispetto delle regole del patto di stabilità interno

Con riferimento alla compatibilità con il quadro costituzionale delineatosi a seguito della modifica del titolo V della Costituzione di disposizioni statali che introducono forme di controllo contabile sugli enti locali, si segnala che recentemente, con la sent. 179/2007, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’art. 1, commi 166-169, della legge finanziaria per il 2006. Al riguardo, la Consulta ha avuto modo di evidenziare come dette norme “introducono un nuovo tipo di controllo affidato alla Corte dei conti, dichiaratamente finalizzato ad assicurare, in vista della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, la sana gestione finanziaria degli enti locali, nonché il rispetto, da parte di questi ultimi, del patto di stabilità interno e del vincolo in materia di indebitamento posto dall’ultimo comma dell’art. 119 Cost.”.

In questo contesto, la Corte ha sottolineato la natura collaborativa del controllo disciplinato dalle norme della finanziaria per il 2006, che si limita alla segnalazione all’ente controllato delle rilevate disfunzioni e rimette all’ente stesso l’adozione delle misure necessarie. C’è, dunque – secondo la Corte – una netta separazione tra la funzione di controllo della Corte dei conti e l’attività amministrativa degli enti, che sono sottoposti al controllo stesso, né la Corte ritiene possa dirsi che la vigilanza sull’adozione delle misure necessarie da parte degli enti interessati implichi un’invasione delle competenze amministrative di questi ultimi, poiché l’attività di vigilanza, limitatamente ai fini suddetti, è indispensabile per l’effettività del controllo stesso.

Pertanto, la Consulta ritiene che, alla luce del fatto che il controllo sulla gestione finanziaria è complementare rispetto al controllo sulla gestione amministrativa, ed è utile per soddisfare l’esigenza degli equilibri di bilancio, la previsione da parte di una legge dello Stato del controllo in esame rientri nella competenza propria di quest’ultimo di dettare principi nella materia concorrente della “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica” (art. 117, terzo comma, Cost.).

Al riguardo, si ricorda altresì che con la sentenza n. 417 del 2005, la Corte Costituzionale aveva, tra l’altro, dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale di una disposizione[51] la quale prevedeva che gli organismi degli enti locali competenti in materia di controlli di gestione dovessero fornire le proprie conclusioni, oltre che agli amministratori ed ai responsabili dei servizi, anche alla Corte dei conti.

In quella sede la Corte evidenziò come tale obbligo non fosse di per sé idoneo a pregiudicare l'autonomia delle regioni e degli enti locali, in quanto esso doveva considerarsi «espressione di un coordinamento meramente informativo»

Richiamando la propria precedente giurisprudenza in materia, la Corte riconduce inoltre la disposizione alla competenza statale in materia di princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, con funzione regolatrice della finanza pubblica allargata, allo scopo di assicurare il rispetto del patto di stabilità. La finalità dell'azione di coordinamento finanziario comporta infatti che a livello centrale si possano collocare non solo la determinazione delle norme fondamentali che reggono la materia, ma altresì la determinazione di norme puntuali, quali quelle relative alla disciplina degli obblighi di invio di informazioni sulla situazione finanziaria dalle regioni e dagli enti locali alla Corte dei conti. La fissazione di dette norme da parte del legislatore statale è diretta, infatti, a realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario – che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali - e, proprio perché viene «incontro alle esigenze di contenimento della spesa pubblica e di rispetto del patto di stabilità interno», è idonea a realizzare l'ulteriore finalità del buon andamento delle pubbliche amministrazioni.


Personale

Articolo 14, comma 12
(Distacco del personale dall’Agenzia del territorio ai comuni)

 


(omissis)

12. Il distacco del personale dall'Agenzia del territorio ai comuni in attuazione dell'articolo 1, comma 199, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è disposto con le modalità di cui all'articolo 30, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

(omissis)


 

 

Il comma 12prevede che il distacco del personale dall’Agenzia del territorio ai comuni, in attuazione dell’articolo 1, comma 199, della L. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), è disposto con le modalità di cui all’articolo 30, comma 2, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276[52].

 

I commi da 195 a 200 dell’articolo 1 della richiamata L. 296 del 2006 recano le modalità di esercizio delle funzioni catastali spettanti agli enti locali, in particolare prevedendo (comma 195) che i comuni – a decorrere dal 1° novembre 2007 – esercitino direttamente le funzioni catastali ad essi attribuite dall’articolo 66 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

In particolare, in base alla condizione posta nel richiamato comma 199, l’Agenzia del territorio è tenuta a salvaguardare il contestuale mantenimento degli attuali livelli di servizio all’utenza in tutte le fasi del processo, garantendo in ogni caso, su tutto il territorio nazionale, la circolazione e la fruizione dei dati catastali. L’Agenzia deve inoltre fornire assistenza e supporto ai comuni nelle attività di specifica formazione del personale comunale. Si prevede che l’assegnazione di personale (dall’Agenzia ai comuni) possa avere luogo anche attraverso, appunto, l’istituto del distacco.

 

In proposito, si ricorda che il richiamato articolo 30 del D.Lgs. 276 del 2003 ha disciplinato l’istituto del distacco, che si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa (comma 1).Inoltre, in caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore (comma 2).

Il distacco che comporti un mutamento di mansioni, ai sensi del comma 3, deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

Resta ferma, ai sensi del comma 4, la disciplina prevista dall'articolo 8, comma 3, del D:L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito dalla L. 19 luglio 1993, n. 236[53].

Infine, il comma 4-bis prevede che qualora il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale, a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, sulla forma della domanda per il ricorso, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell'articolo 27, comma 2[54].


Articolo 145
(Contenimento degli incarichi, del lavoro flessibile e straordinario nelle pubbliche amministrazioni)

 


1. Al comma 6 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le parole: «di provata competenza» sono sostituite dalle seguenti: «di particolare e comprovata specializzazione universita­ria».

2. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 1, commi 529 e 560, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

3. L'articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è sostituito dal seguente:

«Art. 36. - (Utilizzo di contratti di lavoro flessibile). - 1. Le pubbliche ammini­strazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e non possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi.

2. In nessun caso è ammesso il rinnovo del contratto o l'utilizzo del medesimo lavoratore con altra tipologia contrattuale.

3. Le amministrazioni fanno fronte ad esigenze temporanee ed eccezionali attraverso l'assegnazione temporanea di personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a sei mesi, non rinnovabile.

4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva.

5. Le amministrazioni pubbliche trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragio­neria generale dello Stato le convenzioni concernenti l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili.

6. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assun­zione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. Le amministrazioni pubbliche che operano in violazione delle disposizioni di cui al presente articolo non possono effettuare assunzioni ad alcun titolo per il triennio successivo alla suddetta violazione.

7. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano agli uffici di cui all'articolo 14, comma 2, del presente decreto, nonché agli uffici di cui all'articolo 90 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Sono altresì esclusi i contratti relativi agli incarichi dirigenziali ed alla preposizione ad organi di direzione, consultivi e di controllo delle amministrazioni pubbliche.

8. Gli enti locali non sottoposti al patto di stabilità interno e che comunque abbiano una dotazione organica non superiore alle quindici unità possono avvalersi di forme contrattuali di lavoro flessibile, oltre che per le finalità di cui al comma 1, per la sostituzione di lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempreché nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione.

9. Gli enti del Servizio sanitario nazionale, in relazione al personale medico, con esclusivo riferimento alle figure infungibili, al personale infermie­ristico ed al personale di supporto alle attività infermieristiche, possono avvalersi di forme contrattuali di lavoro flessibile, oltre che per le finalità di cui al comma 1, per la sostituzione di lavoratori assenti o cessati dal servizio limitatamente ai casi in cui ricorrano urgenti e indifferibili esigenze correlate alla erogazione dei livelli essen­ziali di assistenza, compatibilmente con i vincoli previsti in materia di contenimento della spesa di personale dall'articolo 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

10. Le università e gli enti di ricerca possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica i cui oneri non risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo di finanziamento ordinario delle università. Gli enti del Servizio sanitario nazionale possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di progetti di ricerca finanziati con le modalità indicate nell'articolo 1, comma 565, lettera b), secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. L'utilizzazione dei lavoratori, con i quali si sono stipulati i contratti di cui al presente comma, per fini diversi determina responsabilità amministrativa del dirigente e del responsabile del progetto. La violazione delle presenti disposizioni è causa di nullità del provvedimento».

4. Con effetto dall'anno 2008 il limite di cui all'articolo 1, comma 187, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, come modificato dall'articolo 1, comma 538, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è ridotto al 35 per cento.

5. In coerenza con i processi di razionalizzazione amministrativa e di riallocazione delle risorse umane avviati ai sensi della legge 27 dicembre 2006, n. 296, le amministrazioni statali, ivi comprese quelle ad ordinamento autono­mo e la Presidenza del Consiglio dei ministri, provvedono, sulla base delle specifiche esigenze, da valutare in sede di contrattazione integrativa e finanziate nell'ambito dei fondi unici di ammini­strazione, all'attuazione delle tipologie di orario di lavoro previste dalle vigenti norme contrattuali, comprese le forme di lavoro a distanza, al fine di contenere il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario.

6. In ogni caso, a decorrere dall'anno 2008, per le amministrazioni di cui al comma 5 la spesa per prestazioni di lavoro straordinario va contenuta entro il limite del 90 per cento delle risorse finanziarie allo scopo assegnate per l'anno finanziario 2007.

7. Le pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro straordinario se non previa attivazione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze.

8. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 si applicano anche ai Corpi di polizia ad ordinamento civile e militare, alle Forze armate e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Le eventuali ed indilazionabili esigenze di servizio, non fronteggiabili sulla base delle risorse disponibili per il lavoro straordinario o attraverso una diversa articolazione dei servizi e del regime orario e delle turnazioni, vanno fronteggiate nell'ambito delle risorse assegnate agli appositi fondi per l'incen­tivazione del personale, previsti dai prov­vedimenti di recepimento degli accordi sindacali o di concertazione. Ai predetti fini si provvede al maggiore utilizzo e all'apposita finalizzazione degli istituti retributivi già stabiliti dalla contrattazione decentrata per fronteggiare esigenze che richiedono il prolungato impegno nelle attività istituzionali. Sono fatte salve le risorse di cui all'articolo 149, comma 4.


 

 

L’articolo in esame è volto principalmente ad apportare correttivi alla disciplina relativa all’utilizzazione degli incarichi e delle forme di lavoro flessibile da parte delle pubbliche amministrazioni, in modo da prevenire l’uso non appropriato di tali tipologie contrattuali che ha contribuito al fenomeno della precarietà del lavoro con le conseguenti richieste di stabilizzazione.

Il comma 1 modifica l’articolo 7, comma 6, del D.Lgs. 165 del 2001, recante disposizioni in materia di conferimento di incarichi individuali da parte delle pubbliche amministrazioni ad esperti di provata competenza per esigenze cui non può far fronte con il personale in servizio, introducendo una disciplina più dettagliata e rigorosa rispetto a quella vigente.

 

Si ricorda che l’art. 32 del D.L. 223 del 2006 ha provveduto, all’art. 7 del D.Lgs. 165/2001, a riformulare il comma 6 e ad introdurre i nuovi commi 6-bis e 6-ter.

A seguito di tali modifiche, il comma 6 prevede che il conferimento di incarichi individuali ad esperti di provata competenza possa avvenire solo in presenza dei seguenti presupposti:

-        corrispondenza dell’oggetto della prestazione alle competenze proprie dell’amministrazione interessata, nonché ad obiettivi e progetti specifici e determinati;

-        impossibilità oggettiva da parte dell’amministrazione ad utilizzare il personale alle proprie dipendenze;

-        temporaneità della prestazione e alta qualificazione della medesima;

-        preventiva determinazione di: durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Inoltre, con il comma 6-bis, viene fatto obbligo per le amministrazioni pubbliche di definire e rendere pubbliche le procedure comparative per l’assegnazione degli incarichi di collaborazione, secondo i propri ordinamenti.

Infine, con il comma 6-ter si stabilisce che i regolamenti di cui all’art. 110, comma 6, del testo unico di cui al D.Lgs. 267/2000[55] si adeguano ai principi di cui al precedente comma 6[56]. In sostanza le disposizioni di cui al comma 6 illustrate in precedenza costituiscono norme di principio cui devono attenersi i regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali nel disciplinare il conferimento di incarichi di consulenza ad alto contenuto di professionalità.

 

Con la modifica introdotta dal comma in esame si precisa che gli incarichi individuali esterni possano esser conferiti solamente a soggetti di particolare e comprovata professionalità a livello di specializzazione universitaria.

 

Il comma 2 fa salve le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 529 e 560, della legge finanziaria per il 2007 (L. 296 del 2006).

 

Il comma 529 dispone che, per il triennio 2007-2009, nell’ambito delle assunzioni a tempo determinato effettuate dalle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, ivi compresi i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dalle agenzie, ivi comprese le agenzie fiscali, dagli enti pubblici non economici e dagli enti indicati all’art. 70, comma 4, del D.Lgs. n. 165/2001, una quota pari al 60% dei posti sia riservata a soggetti già titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa con le medesime amministrazioni[57].

Più in particolare le amministrazioni pubbliche in questione, nel bandire le relative prove selettive, sono tenute a riservare una quota del 60% del totale dei posti programmati ai soggetti in possesso dei seguenti requisiti:

-        siano stati titolari di uno o più contratti di collaborazione coordinata e continuativa, per la durata complessiva di almeno un anno raggiunta alla data del 29 settembre 2006, con la rispettiva amministrazione procedente;

-        abbiano svolto mansioni funzionali alle esigenze attinenti alle ordinarie attività di servizio della medesima amministrazione procedente.

 

Il comma 560 dispone che, per il triennio 2007-2009, nell’ambito delle assunzioni a tempo determinato effettuate regioni ed enti locali sottoposti al patto di stabilità interno, una quota pari al 60% dei posti sia riservata a soggetti già titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa con i medesimi enti.

Più in particolare gli enti in questione, nel bandire le relative prove selettive, sono tenute a riservare una quota del 60% del totale dei posti programmati ai soggetti con i quali abbiano stipulato uno o più contratti di collaborazione coordinata e continuativa, per la durata complessiva di almeno un anno raggiunta alla data del 29 settembre 2006. Sono esclusi dalla previsione gli incarichi di nomina politica.

 

Il comma 3 riscrive l’articolo 36 del D.Lgs. 165 del 2001, che disciplina l’utilizzazione da parte delle pubbliche amministrazioni delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale.

 

Si ricorda che l’articolo 36 del D.Lgs. 165 del 2001, in primo luogo, prevede che le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale, possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa. Alla contrattazione collettiva nazionale è demandata la disciplina della materia dei contratti a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo (comma 1).

Si stabilisce quindi che le amministrazioni pubbliche possono instaurare rapporti a tempo determinato o altri rapporti di lavoro flessibili solo per esigenze temporanee ed eccezionali e previo esperimento di procedure inerenti assegnazione di personale anche temporanea, nonché previa valutazione circa l'opportunità di attivazione di contratti con le agenzie di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, per la somministrazione a tempo determinato di personale, ovvero di esternalizzazione e appalto dei servizi (comma 1-bis).

Si dispone inoltre, al comma 1-ter, per le amministrazioni pubbliche, un obbligo di comunicazione, alla Presidenza del Consiglio (Dipartimento della funzione pubblica) e al Ministero dell’economia (Ragioneria Generale dello Stato) delle convenzioni concernenti l’utilizzazione di lavoratori socialmente utili. La disposizione sembra volta a disporre un aggiornato e costante monitoraggio delle convenzioni in esame.

Lo stesso articolo stabilisce altresì che in ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni. Al lavoratore interessato è riconosciuto solamente il diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative, mentre si pone a carico delle amministrazioni interessate l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave.

 

In particolare il nuovo articolo 36 dispone che le pubbliche amministrazioni effettuano assunzioni di personale utilizzando esclusivamente il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dalla disciplina privatistica al solo scopo di fronteggiare esigenze stagionali o per periodi non superiori a 3 mesi (comma 1).

Inoltre, non si ammette in nessun caso il rinnovo del contratto o l’utilizzo dello stesso lavoratore con altra tipologia contrattuale (comma 2) e si prevede che per fronteggiare esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni ricorrono all’assegnazione temporanea di personale di altre amministrazioni per un periodo massimo di 6 mesi, non rinnovabili (comma 3).

Viene precisato che le disposizioni in precedenza richiamate non sono derogabili dalla contrattazione collettiva (comma 4).

Il comma 5, recante una norma già contenuta nel testo vigente dell’articolo 36, prevede per le amministrazioni pubbliche un obbligo di comunicazione, alla Presidenza del Consiglio (Dipartimento della funzione pubblica) e al Ministero dell’economia (Ragioneria Generale dello Stato), delle convenzioni concernenti l’utilizzazione di lavoratori socialmente utili.

Confermandosi la disposizione, contenuta nel testo vigente dell’articolo 36, secondo cui eventuali violazioni di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non possono comunque comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (mentre il lavoratore avrà diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro eseguita in violazione di disposizioni imperative e le amministrazioni avranno l’obbligo di rivalersi sui dirigenti responsabili in caso di dolo o colpa grave), si introduce ex novo la previsione del divieto di assunzione per le amministrazioni che violano la disciplina relativa all’utilizzo delle forme di lavoro flessibile di cui all’articolo 36 per il triennio successivo alla violazione stessa (comma 6).

Al comma 7 viene precisato che la disciplina in esame non si applica agli uffici di diretta collaborazione del Ministro, agli uffici di supporto agli organi di direzione politica degli enti locali, nonché ai contratti relativi agli incarichi dirigenziali ad alla preposizione ad organi di direzione, consultivi e di controllo delle pubbliche amministrazioni.

I commi da 8 a 10 prevedono, per gli enti locali non sottoposti al patto di stabilità interno con organico inferiore a 15 unità, per gli enti del Servizio sanitario nazionale e per gli enti di ricerca e le università, la possibilità di utilizzare forme contrattuali flessibili, oltre che per le finalità su indicate, anche in relazione ad ulteriori esigenze specificamente e tassativamente indicate e diverse a seconda degli enti interessati.

In particolare, il comma 8 prevede che gli locali non sottoposti al patto di stabilità interno e con una dotazione organica inferiore o pari alle quindici unità possano avvalersi di contratti flessibili, oltre che per le finalità di cui al comma 1, anche per la sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, a condizione che nel contratto di lavoro a termine sia indicato il lavoratore sostituito e la causa della sostituzione.

Il comma 9 stabilisce che gli enti del Servizio sanitario nazionale, con riferimento alle figure infungibili del personale medico, al personale infermieristico e al personale di supporto alle attività infermieristiche, possono ricorrere a forme di lavoro flessibile anche per la sostituzione di lavoratori assenti o cessati dal servizio, nei limiti dei casi in cui ricorrano urgenti e indifferibili esigenze legate alla erogazione dei livelli essenziali di assistenza. Viene peraltro precisato che tali assunzioni devono essere compatibili con i vincoli previsti dall’art. 1, comma 565 della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007), in materia di contenimento della spesa per il personale del Servizio sanitario nazionale.

 

Si ricorda che il comma 565, al fine di garantire il rispetto degli impegni assunti in sede comunitaria e il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009, anche in attuazione degli accordi tra Stato e regioni sul patto nazionale per salute, ridefinisce la disciplina sui vincoli alla spesa per il personale degli enti del Servizio sanitario nazionale.

In particolare, tali enti dovranno adottare le misure necessarie a garantire che la spesa per il personale per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 sia ridotta dell'1,4 per cento rispetto a quella del 2004; restano confermati, altresì, i vincoli alla spesa per il personale già stabiliti dalle precedenti legge finanziarie per gli anni 2005 e 2006. Tale aggregato di spesa è identificato in modo ampio e, quindi, comprensivo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP sulle retribuzioni, degli oneri per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni (lettera a).

Conseguentemente, per gli anni 2007 e 2008, la lettera d), prevede che, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, le misure previste dalle leggi finanziarie per il 2005 e per il 2006 sono sostituite da quelle indicate nel presente comma[58].

Alla lettera b) si specificano, altresì, alcune modalità di calcolo, stabilendo che le spese per il personale devono essere considerate al netto:

-        per l'anno 2004, delle spese per arretrati relativi ad anni precedenti per rinnovo dei contratti collettivi di lavoro;

-        per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 delle spese derivanti dai rinnovi dei medesimi contratti intervenuti successivamente all'anno 2004;

-        per l’anno 2004 e per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 delle spese di personale totalmente a carico di finanziamenti comunitari o privati nonché delle spese relative alle assunzioni a tempo determinato ed ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa per l’attuazione di progetti di ricerca finanziati secondo quanto previsto dall’art. 12-bis del D.Lgs.. 502 del 1992.

La norma indica, inoltre, altri obblighi procedurali a carico degli enti interessati, fermi restando gli indirizzi fissati dalle regioni nella loro autonomia:

-        individuazione della consistenza organica del personale dipendente a tempo indeterminato (o con altre tipologie di lavoro) in servizio alla data del 31 dicembre 2006 e della relativa spesa;

-        predisposizione di un programma annuale di riduzione delle predette consistenze, valutando la possibilità di trasformare le posizioni di lavoro già ricoperte da personale precario in posizioni di lavoro dipendente a tempo indeterminato (nel definire gli indirizzi, le regioni possono far riferimento ai principi desumibili dall’articolo 1, commi da 513 a 543, del presente provvedimento di legge);

-        per la determinazione dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa si dovranno adottare le misure previste dalla legge finanziaria per il 2006 (lettera c).

 

Ai sensi della lettera e), la verifica dell’effettivo conseguimento degli obiettivi previsti è affidata al Tavolo tecnico di cui all’articolo 12 dell’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005. La regione sarà giudicata adempiente se sarà accertato l’effettivo conseguimento degli obiettivi previsti. In caso contrario, la regione sarà considerata adempiente, solo ove abbia comunque assicurato l’equilibrio economico.

 

Il comma 10 del nuovo articolo 36, infine, al primo periodo, dispone che le università e gli enti di ricerca possano ricorrere a forme contrattuali flessibili per svolgere progetti di ricerca e di innovazione tecnologica i cui oneri non risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo ordinario di finanziamento delle università.

Al secondo periodo il medesimo comma prevede che gli enti del Servizio sanitario nazionale possono ricorrere a forme contrattuali flessibili per lo svolgimento di progetti di ricerca finanziati in base alle modalità di cui all’art. 1, comma 565, lettera b), secondo periodo della legge finanziaria 2007, cioè con fondi comunitari o privati.

Viene infine precisato che la stipula di contratti di lavoro flessibile per finalità diverse da quelle indicate dal comma in esame comporta la responsabilità amministrativa del dirigente e del responsabile del progetto, nonché la nullità del provvedimento (cioè, sembrerebbe, dell’atto amministrativo con cui si è stabilito di stipulare il contratto flessibile) .

 

Il comma 4 restringe ulteriormente (rispetto alla vigente normativa) la possibilità per le amministrazioni dello Stato, le agenzie ed alcuni enti pubblici (cfr. infra) di avvalersi di personale con rapporto di lavoro a tempo determinato o con altri rapporti di lavoro “flessibile”, modificando la previsione di cui al comma 187 della legge n. 266/2005 (legge finanziaria per il 2006), come successivamente modificata dall’art. 1, comma 538 della L. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007).

 

Si ricorda che il comma 187 della legge n. 266/2005 ha disposto che, a decorrere dall’anno 2006, le amministrazioni richiamate possano avvalersi di personale a tempo determinato, o con convenzioni o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa[59], solo entro il limite del 60% della spesa sostenuta, per tali finalità, nell’anno 2003.

Più specificamente, tale norma è diretta:

-        alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo;

-        alle agenzie, comprese le agenzie fiscali;

-        agli enti pubblici non economici;

-        agli enti di ricerca;

-        alle università;

-        agli enti pubblici di cui all’articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165 del 2001[60].

 

Il medesimo comma 187 precisa che la richiamata disciplina limitativa non trova applicazione per il comparto scuola e per quello delle istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale, per i quali si rinvia alle relative, specifiche disposizioni di settore. Infine, l’ultimo periodo del comma evidenzia che il mancato rispetto dei limiti di spesa in discorso integra un illecito disciplinare e determina responsabilità erariale.

Il successivo comma 188 contiene una deroga al limite di utilizzo del personale a tempo determinato. Più specificamente, si dispone che gli enti ed istituti indicati possano effettuare assunzioni di personale con contratto a tempo determinato e stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa, per l’attuazione di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica ovvero di progetti finalizzati al miglioramento dei servizi per gli studenti[61]. Gli enti ed istituti sono i seguenti:

-          enti di ricerca;

-          Istituto superiore di sanità;

-          Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro;

-          Agenzia per servizi sanitari regionali;

-          Agenzia italiana del farmaco;

-          Agenzia spaziale italiana;

-          Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente;

-          CNIPA (Centro nazionale per l’informatica nella p.a.);

-          Università;

-          Scuole superiori ad ordinamento speciale;

-          Istituti zooprofilattici sperimentali.

 

Successivamente l’art. 1, comma 538 della legge finanziaria 2008 ha disposto un abbassamento del limite entro cui le amministrazioni richiamate possono avvalersi di personale con rapporto di lavoro a tempo determinato o con altri rapporti di lavoro “flessibile”, portandolo dal 60% al 40% della spesa sostenuta per le stesse ragioni nel 2003.

 

In particolare il comma in esamedispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2008, le amministrazioni richiamate possano avvalersi di personale a tempo determinato, o con convenzioni o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, solo entro il limite del 35% della spesa sostenuta, per tali finalità, nell’anno 2003.

 

I commi da 5 a 8 recano disposizioni volte a contenere la spesa per lavoro straordinario delle pubbliche amministrazioni.

In particolare il comma 5 dispone che le amministrazioni statali (comprese quelle ad ordinamento autonomo e la Presidenza del Consiglio), in coerenza con i processi di razionalizzazione amministrativa e di riallocazione delle risorse umane avviati sulla base della legge finanziaria 2007, provvedono all’attuazione delle tipologie di orario di lavoro previste dalle vigenti previsioni contrattuali, comprese le forme di lavoro a distanza, in modo da ridurre il ricorso al lavoro straordinario.

Il comma 6 prevede che, a decorrere dal 2008, le amministrazioni statali (comprese quelle ad ordinamento autonomo e la Presidenza del Consiglio), sono tenute a contenere la spesa per prestazioni di lavoro straordinario entro il limite del 90% delle risorse finanziarie a tal fine assegnate per l’anno finanziario 2007.

Ai sensi del comma 7, le pubbliche amministrazioni possono corrispondere compensi per lavoro straordinario solamente dopo l’attivazione di sistemi di rilevazione automatica delle presenze.

Il comma 8 estende l’applicazione delle previsioni di cui ai commi 5 e 6 alle Forze di Polizia sia ad ordinamento civile sia militare, delle Forze Armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, precisando che eventuali e indifferibili esigenze di servizio non fronteggiabili tramite le risorse disponibili per il lavoro straordinario o mediante una diversa modulazione dei servizi, dell’orario di lavoro e delle turnazioni, devono essere fronteggiate utilizzando le risorse dei fondi per l’incentivazione del personale. Per tali finalità, si ricorre al maggiore utilizzo e alla finalizzazione degli istituti retributivi già previsti dalla contrattazione decentrata per fare fronte alle esigenze che richiedono un prolungato impegno nelle attività istituzionali. Infine viene precisato che sono fatte salve le risorse previste dall’articolo 149, comma 4 del provvedimento in esame (alla cui scheda di lettura si rinvia), a favore delle Forze armate e dei Corpi di polizia, volte a valorizzare le funzioni svolte per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.


Articolo 146, commi 30 e 31
(Assunzioni di personale da parte degli enti locali)


(omissis)

30. All'articolo 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Eventuali deroghe ai sensi dell'articolo 19, comma 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, fermi restando i vincoli fissati dal patto di stabilità per l'esercizio in corso, devono comunque assicurare il rispetto delle seguenti ulteriori condizioni:

a) che l'ente abbia rispettato il patto di stabilità nell'ultimo triennio;

b) che il volume complessivo della spesa per il personale in servizio non sia superiore al parametro obiettivo valido ai fini dell'accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario;

c) che il rapporto medio tra dipendenti in servizio e popolazione residente non superi quello determinato per gli enti in condizioni di dissesto».

31. All'articolo 1, comma 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Eventuali deroghe ai sensi dell'articolo 19, comma 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, devono comunque assicurare il rispetto delle seguenti condizioni:

a) che il volume complessivo della spesa per il personale in servizio non sia superiore al parametro obiettivo valido ai fini dell'accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario, ridotto del 15 per cento;

b) che il rapporto medio tra dipendenti in servizio e popolazione residente non superi quello determinato per gli enti in condizioni di dissesto, ridotto del 20 per cento».


 

 

Il comma 30 reca disposizioni in materia di assunzione degli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno, novellando a tal fine il comma 557 della legge finanziaria 2007.

 

Il citato comma 557, in considerazione della nuova impostazione e delle nuove regole del patto di stabilità internoper il triennio 2007-2009 previste dalla legge finanziaria 2007, attua una revisione, a partire dall’anno 2007, degli obblighi delle regioni e degli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno[62] relativi al contenimento delle spese per il personale. Si consideri infatti che, nell’ambito della legge finanziaria 2007, per le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno gli obiettivi di risparmio perseguiti dalla precedente dettagliata disciplina vincolistica di cui all’articolo 1, comma 98 della legge n. 311 del 2004 e all’articolo 1, commi da 198 a 206 della legge n. 266 del 2005, sono confluiti nelle regole del patto di stabilità interno e nei rispettivi saldi finanziari da rispettare.

Ribadendo l’obiettivo del contenimento della spesa per il personale da perseguire anche tramite la razionalizzazione delle strutture amministrative, il comma 557 si limita ad indicare ai medesimi enti, come principi meramente orientativi, una serie di regole fissate per le amministrazioni dello Stato su cui possono far leva, nella loro autonomia, per ridurre la spesa per il personale in funzione del rispetto dei saldi finanziari fissati dalle regole del patto di stabilità interno.

Lo stesso comma prevede quindi che le disposizioni volte a stabilire limiti alla possibilità di effettuare assunzioni e specifici obiettivi di riduzione della spesa per il personale di cui all’articolo 1, comma 98 della legge n. 311 del 2004 e all’articolo 1, commi da 198 a 206 della legge n. 266 del 2005 non si applicano più a decorrere dal 1° gennaio 2007 alle regioni e agli enti locali sottoposti al patto di stabilità, ferma restando la loro applicazione per gli anni 2005 e 2006.

 

Il comma in esame condiziona le possibilità di assunzione di personale degli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno, con una disposizione ulteriore rispetto al patto di stabilità, e fatto anzi salvo quanto previsto dal medesimo patto.

In particolare il comma in esame introduce un periodo all’articolo 1, comma 557, della legge finanziaria 2007, precisando le condizioni a cui è subordinata l’eventuale deroga al principio di riduzione complessiva della spesa di cui all’articolo 19, comma 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448.

 

Si ricorda che tale disposizione prevede che, a decorrere dal 2002, gli organi di revisione contabile degli enti locali accertano che i documenti di programmazione del fabbisogno di personale siano improntati al rispetto del principio di riduzione complessiva della spesa di cui all'articolo 39 della L. 449 del 1997 (che reca disposizioni in materia di assunzioni di personale delle amministrazioni pubbliche tenute alla programmazione triennale) e che eventuali deroghe a tale principio siano analiticamente motivate[63].

 

Il comma in esame dispone quindi che eventuali deroghe ai sensi dell’articolo 19, comma 8, della L. 448 del 2001, fermi restando i vincoli fissati dal patto di stabilità per l’esercizio in corso, devono comunque assicurare il rispetto delle seguenti ulteriori condizioni:

a)      che l’ente abbia rispettato il patto di stabilità nell’ultimo triennio;

b)      che il volume complessivo della spesa per il personale in servizio non sia superiore al parametro obiettivo valido ai fini dell’accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario;

Si ricorda che con D.M. 10 giugno 2003, n. 217, è stato approvato il Regolamento concernente la definizione dei parametri obiettivi, validi per il triennio 2001-2003, ai fini dell'accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario, ai sensi dell'articolo 242 del Testo unico sull'ordinamento degli enti locali, il cui comma 1 prevede che sono da considerarsi in condizioni strutturalmente deficitarie gli enti locali che presentano gravi e incontrovertibili condizioni di squilibrio, rilevabili da una apposita tabella da allegare al certificato di rendiconto di gestione, contenente parametri obiettivi dei quali almeno la metà presentino valori deficitari.

c)      che il rapporto medio tra dipendenti in servizio e popolazione residente non superi quello determinato per gli enti in condizioni di dissesto.

 

Il comma 31 reca disposizioni in materia di assunzione, invece, con riferimento agli enti locali non sottoposti al patto di stabilità interno, novellando a tal fine il comma 562 della legge finanziaria 2007.

Il citato comma 562 impone agli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità interno un duplice limite in tema di spesa per il personale[64].

Da un lato, tali enti non devono superare l’ammontare della spesa per il personale effettuata nel 2004. A tal fine le spese di personale si considerano al lordo degli oneri contributivi e dell’IRAP, mentre non comprendono gli oneri relativi ai rinnovi contrattuali.

Dall’altro, i medesimi enti possono effettuare assunzioni di personale (è da intendersi: a tempo indeterminato) nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente avvenute nell'anno precedente, anche ai fini della stabilizzazione del personale precario di cui al comma 558.

Si consideri che il comma in esame, nulla disponendo rispetto ad una eventuale limitazione temporale delle norme da esso previste, introduce per gli enti non sottoposti al patto di stabilità interno una disciplina “a regime” relativa al contenimento delle spese per il personale e alle assunzioni di personale a tempo indeterminato.

Pertanto tale nuova disciplina, regolando ex novo le medesime questioni, determina implicitamente il superamento della precedente disciplina in materia di cui all’articolo 1, comma 98 della legge n. 311 del 2004 e all’articolo 1, comma 198 della legge n. 266 del 2005.

 

Il comma in esame condiziona le possibilità di assunzione di personale degli enti locali non sottoposti al patto di stabilità interno.

In particolare il comma in esame introduce un periodo all’articolo 1, comma 562, della legge finanziaria 2007, precisando che eventuali deroghe al principio di riduzione complessiva della spesa di cui all’articolo 19, comma 8, della L. 448 del 2001 (cfr. supra), devono comunque assicurare il rispetto delle seguenti condizioni:

a)       che il volume complessivo della spesa per il personale in servizio non sia superiore al parametro obiettivo valido ai fini dell’accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario, ridotto del 15 per cento;

b)       che il rapporto medio tra dipendenti in servizio e popolazione residente non superi quello determinato per gli enti in condizioni di dissesto, ridotto del 20 per cento.


Articolo 149, comma 14
(Rinnovi contrattuali per il personale delle amministrazioni non statali)



14. Per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall'amministrazione statale, gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali per il biennio 2008-2009 sono posti a carico dei rispettivi bilanci ai sensi dell'articolo 48, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Per il personale delle università, incluso quello di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i maggiori oneri di cui al presente comma sono inclusi nel fondo di cui all'articolo 96, comma 1, della presente legge. In sede di deliberazione degli atti di indirizzo previsti dall'articolo 47, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i comitati di settore provvedono alla quantificazione delle relative risorse, attenendosi ai criteri ed ai parametri, anche metodologici, di determinazione degli oneri, previsti per il personale delle amministrazioni dello Stato di cui al comma 1. A tal fine, i comitati di settore si avvalgono dei dati disponibili presso il Ministero dell'economia e delle finanze comunicati dalle rispettive amministrazioni in sede di rilevazione annuale dei dati concernenti il personale dipendente.


 

 

I commi da 11 a 14 dell’articolo 149 stanziano le risorse per i rinnovi contrattuali relativi al biennio 2008-2009 per il personale delle pubbliche amministrazioni.

 

In particolare, il comma 14 prevede che, per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall’amministrazione statale, gli oneri conseguenti ai rinnovi contrattuali per il biennio 2008-2009 sono comunque a carico dei rispettivi bilanci, ai sensi dell’articolo 48, comma 2, del D.Lgs. 165 del 2001. Per il personale delle università, compresi i professori e i ricercatori universitari, gli oneri derivanti da tali rinnovi contrattuali vengono inclusi nel Fondo istituito, dall’articolo 52, comma 1, del disegno di legge in esame (cfr. la relativa scheda), ai fini del concorso dello Stato agli oneri per gli adeguamenti retributivi del personale delle università. Nell’ambito della deliberazione degli atti di indirizzo per la contrattazione collettiva nazionale di cui all’articolo 47, comma 1, del D.Lgs. 165/2001, la quantificazione delle risorse relative ai rinnovi contrattuali sarà stabilita dagli specifici comitati di settore attenendosi ai criteri previsti per il personale delle amministrazioni statali. A tal fine, i richiamati comitati di settore si avvalgono dei dati disponibili presso il Ministero dell’economia comunicati dalle rispettive amministrazioni in sede di rilevazione annuale dei dati concernenti il personale.


Società partecipate

Articolo 138
(Disposizioni in materia di arbitrato per le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici economici e le società pubbliche)

 


1. È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, di inserire clausole compromissorie in tutti i loro contratti aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi ovvero, relativamente ai medesimi contratti, di sottoscrivere com­promessi. Le clausole compromissorie ovvero i compromessi comunque sotto­scritti sono nulli e la loro sottoscrizione costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale per i responsabili dei relativi procedimenti.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si estendono alle società interamente pos­sedute ovvero partecipate maggiori­tariamente dalle pubbliche amministrazioni di cui al medesimo comma, nonché agli enti pubblici economici ed alle società interamente possedute ovvero partecipate maggioritariamente da questi ultimi.

3. Relativamente ai contratti aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi già sottoscritti dalle amministrazioni alla data di entrata in vigore del presente articolo e per le cui controversie i relativi collegi arbitrali non si sono ancora costituiti alla data del 30 settembre 2007, è fatto obbligo ai soggetti di cui ai commi 1 e 2 di declinare la competenza arbitrale, ove tale facoltà sia prevista nelle clausole arbitrali inserite nei predetti contratti; dalla data della relativa comunicazione opera esclusivamente la giurisdizione ordinaria. I collegi arbitrali, eventualmente costituiti successivamente al 30 settembre 2007 e fino alla data di entrata in vigore della presente legge, decadono automati­camente e le relative spese restano integralmente compensate tra le parti.

4. Il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'eco­nomia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, il Ministro delle infrastrutture ed il Ministro della giustizia, provvede annualmente a determi­nare con decreto i risparmi conseguiti per effetto dell'applicazione delle disposizioni del presente articolo affinché siano corrispondentemente ridotti gli stanzia­menti, le assegnazioni ed i trasferimenti a carico del bilancio dello Stato e le relative risorse siano riassegnate al Ministero della giustizia per il miglioramento del relativo servizio. Il Presidente del Consiglio dei ministri trasmette annualmente al Parlamento ed alla Corte dei conti una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni del presente articolo.

5. All'articolo 240 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo il comma 15 è inserito il seguente:

«15-bis. Qualora i termini di cui al comma 5 e al comma 13 non siano rispettati a causa di ritardi negli adempimenti del responsabile del procedimento ovvero della commissione, il primo risponde sia sul piano disciplinare, sia a titolo di danno erariale, e la seconda perde qualsivoglia diritto al compenso di cui al comma 10».


 

 

La disposizione interviene in materia di arbitrato in relazione ai contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi.


 

L’arbitrato nelle controversie relative ai lavori pubblici

Il principio del ricorso all’arbitrato nelle controversie relative all’esecuzione dei contratti di appalto di lavori pubblici, che era affermato dall’articolo 32, comma 1, della legge n. 109 del 1994 (legge quadro sui lavori pubblici) è stato introdotto con la (prima) riforma della “legge Merloni” nel 1995 (decreto legge n. 101 del 1995)[65].

Tale disposizione è stata oggetto di divergenti interpretazioni e di critiche, in primo luogo in quanto essa dava adito ad un’interpretazione nel senso dell’obbligatorietà dell’arbitrato, incompatibile con una costante giurisprudenza costituzionale, che sin dal 1977 ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale dell’arbitrato obbligatorio. Altre incertezza applicative sono sorte in merito all’applicabilità delle nuove disposizioni alle controversie pendenti.

L’articolo 32 è stato quindi nuovamente modificato con la seconda riforma della “legge Merloni” (legge n. 415 del 1998) che ha istituito presso l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici una camera arbitrale presso la quale doveva essere costituito il collegio arbitrale (procedimento arbitrale cd “amministrato”) al quale le controversie venivano deferite nel caso in cui le parti avessero optato per questa soluzione (la norma chiariva infatti anche in merito alla natura facoltativa dell’arbitrato).

La stessa norma rinviava poi ad un regolamento interministeriale la definizione delle norme procedurali del giudizio arbitrale, la fissazione delle tariffe degli arbitri e la composizione e le modalità di funzionamento della camera arbitrale. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il DM 2 dicembre 2000, n. 398, Regolamento recante le norme di procedura del giudizio arbitrale, ai sensi dell'articolo 32, della L. 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni. L’’art. 150 del regolamento di attuazione della legge quadro (DPR n. 554 del 1999) stabiliva inoltre che dei tre arbitri componenti il collegio due fossero scelti dalle parti e il terzo, con funzioni di presidente del collegio, nominato dalla Camera arbitrale e scelto nell'ambito dell'albo camerale sulla base di criteri oggettivi e predeterminati. Altre norme sull’arbitrato sono state poi introdotte nel capitolato generale d’appalto (DM 19 aprile 2000, n. 145):


Un ulteriore intervento sul richiamato articolo 32 - di portata limitata e volto essenzialmente a risolvere talune ambiguità della disciplina - è stato successivamente operato dall’art. 7, comma 1, lettera v) della legge n. 166 del 2002; la disciplina in materia di arbitrato veniva inoltre richiamata –relativamente alle infrastrutture strategiche di cui alla “legge obiettivo” – dall’art. 12, comma 4, del decreto legislativo n. 190 del 2002.

Il sistema di arbitrato delineato dalla normativa richiamata – rispetto al quale, sin dal suo varo, furono avanzate perplessità[66] - è caratterizzato essenzialmente da tre elementi:

- la esplicita facoltatività del ricorso al giudizio arbitrale;

- il carattere amministrato del modello di arbitrato;

- la designazione dei membri del collegio in parte affidata alle parti e in parte alla camera arbitrale (terzo membro).

Tale sistema è stato fortemente intaccato dalla sentenza n. 6337 del Consiglio di Stato (del 17 ottobre 2003) che ha annullato l’articolo 150, comma 3 del DPR n. 554 del 1999 (ed altre disposizioni connesse) nella parte in cui sottrae alla libera determinazione delle parti la scelta del terzo arbitro con funzioni di presidente, attribuendola alla Camera arbitrale. La sentenza era imperniata sul divieto (costituzionale) di istituzione di giurisdizioni speciali e sul riconoscimento che la sottrazione alle parti della designazione dell’intero collegio configurerebbe proprio tale fattispecie, venendo a tradire il principio fondante del modello arbitrale, rinvenibile nell’articolo 810 del cpc. Inoltre, la Camera arbitrale, secondo la citata sentenza, è pur sempre un organo amministrativo, per quanto indipendente, e privo, pertanto di quel carattere di terzietà che il Titolo IV, parte seconda, della Costituzione richiede per tutti i giudici.

La sentenza è stata immediatamente commentata – con allarme – dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici che in data 6 novembre 2003 ha inviato un Atto di segnalazione al Governo e al Parlamento,nel quale si paventavano i rischi derivanti dal conseguente vuoto normativo e si segnalava soprattutto l’incertezza della sorte degli oltre 400 giudizi definiti o in corso – a quel momento – presso la Camera arbitrale.


L’Autorità suggeriva pertanto l’opportunità di un intervento normativo che scongiurasse tali rischi. In occasione della presentazione (nel corso dell’esame al Senato del decreto legge 31 gennaio 2005, n. 7) di un emendamento della Commissione (successivamente ritirato), che aveva il fine di rendere sostanzialmente facoltativo il ricorso al sistema della Camera arbitrale, rimettendo ad un collegio di tre soggetti, liberamente scelti dalle parti, le controversie in materia di lavori pubblici, l’Autorità di vigilanza inviava un nuovo Atto di segnalazione a Governo e Parlamento (24 febbraio 2005). In esso venivano previamente ricordate le storiche diffidenze verso l’istituto dell’arbitrato nel settore dei lavori pubblici[67], ma veniva sostanzialmente valutato positivamente il modello delineato dalla legislazione vigente, basato sulla Camera arbitrale e sulla garanzia di imparzialità da questa offerta, pur ammettendosi che gli effetti (si diceva: “gli inconvenienti”) creati dalla sentenza n. 6337 del 2003 del Consiglio di Stato, avevano inciso profondamente su tale assetto normativo, richiedendo un intervento del legislatore. Tuttavia l’intervento normativo proposto dall’emendamento n. 6.0.3 presentato al Senato veniva in questo documento dell’Autorità fortemente criticato. Effetto di tale norma sarebbe stata la formazione, nell’ordinamento, di due distinti e concorrenziali modelli: un arbitrato – libero - rimesso totalmente alla disponibilità della parti e un altro (residuale e prevedibilmente recessivo) amministrato dalla Camera arbitrale, contraddistinto da un procedimento più rigido, “anche per quanto riguarda la determinazione dei compensi”.

L’Autorità denunciava, fra l’altro, l’abbandono, con questa soluzione, di una tradizione risalente a 144 anni che “ha sempre riservato alla mano pubblica l’intervento nella nomina dei collegi arbitrali, nonché una forma di vigilanza sullo svolgimento del procedimento”. Infine si segnalava il rischio di un aumento degli oneri a carico della PA (prevalentemente soccombente nei giudizi arbitrali) data la fuoriuscita dal sistema di compensi normativamente controllati.

Al fine di superare le criticità sopra evidenziate, è intervenuto l’articolo 5, comma 16 sexies, del decreto-legge n. 35 del 2005 (convertito nella legge n. 80 del 2005) che attraverso una novella al più volte richiamato articolo 32 della legge-quadro:

- in via generale prevede che, anche in materia di lavori pubblici, si applicano le norme dell’arbitrato ordinario contenute nel codice di procedura civile e, in primo luogo, il principio della competenza delle parti a nominare gli arbitri[68];

- stabilisce, tuttavia, che – solo in caso di mancato accordo per la nomina del terzo arbitro, ad iniziativa della parte più diligente, provvede la Camera arbitrale, scegliendo nell’albo previsto dal regolamento di attuazione della legge n. 109;

- fa salvo l’obbligo della fissazione dei compensi secondo le tariffe stabilite dallo stesso DM n. 398 (Allegato);

- fa comunque salva la normativa relativa agli obblighi di deposito del lodo presso la Camera arbitrale (art. 9, comma 4, del DM n. 398 del 2000)[69] e dispone l’obbligo del versamento da parte degli arbitri alla Camera di una quota del valore della controversia (pari all’1/10.000)[70];

- con una norma di chiusura prevede, infine, che ai giudizi arbitrali in materia di lavori pubblici debbano comunque applicarsi le norme procedurali previste dal DM n. 398 del 2000.

Con il comma 16-septies, si interviene poi a sanare la situazione di incertezza venutasi a creare a seguito dell’annullamento del comma 3 dell’articolo 150 del DPR n. 554 del 1999, operato dalla sentenza del Consiglio di Stato dell’ottobre 2003 (e sottolineata nei citati Atti di segnalazione della Autorità di vigilanza) in merito ai procedimenti pendenti o definiti alla data di pubblicazione della sentenza stessa (all’epoca, oltre 400).

Viene infatti disposto che siano fatti salvi tutti i procedimenti arbitrali già definiti o comunque aperti alla data di entrata in vigore della legge di conversione, purché risultino rispettate le disposizioni relative all’arbitrato contenute nel codice di procedura civile, o quelle recate dall’articolo 32 della legge n. 109, come modificato dal precedente comma 16-sexies.

Come rilevato dall’Autorità di vigilanza nell’atto di segnalazione trasmesso a Governo e Parlamento lo scorso 26 ottobre, il decreto-legge n. 35 del 2005 ha introdotto, per l’arbitrato di lavori pubblici, «un sistema “binario” o “alternativo” a seconda che le parti fossero o meno d’accordo sulla nomina del terzo arbitro. In caso di accordo, l’arbitrato doveva svolgersi secondo il modello dell’arbitrato libero, vale a dire applicando la disciplina ordinaria contenuta nel codice di procedura civile, e lasciando agli arbitri il potere di autoliquidazione dei compensi, pur se con l’obbligo di applicare le tariffe allegate al D.M. n. 398 del 2000. Nell’ipotesi, invece, di mancato accordo tra le parti, l’arbitrato si svolgeva secondo il modello di arbitrato amministrato dalla Camera arbitrale, applicando le norme contenute nel DM n. 398/2000 e, solo per quanto da esso non disciplinato, le norme del codice di procedura civile». L’Autorità, richiamando anche la sua precedente segnalazione del 24 febbraio 2005, osserva che, se da un lato «la Camera arbitrale è stata, dunque, reintegrata nei poteri che la sentenza del Consiglio di Stato le aveva sottratto»,i poteri della Camera sono stati indeboliti dal fatto che la sua attività, estesa in origine a tutti gli arbitrati in materia di lavori pubblici, è stata definitivamente limitata ad un intervento “vicario” di una volontà privata mancante».

Sulla materia è infine intervenuto il codice dei contratti pubblici, che nel dettare una disciplina complessiva degli appalti pubblici, di lavori, servizi e forniture, ha previsto anche specifiche disposizioni in materia di arbitrato, abrogando contestualmente la disciplina previgente.

In particolare, l’articolo 241 ha confermato il principio della deferibilità ad arbitri delle controversie su diritti soggettivi in materia di lavori pubblici (estendendolo inoltre ai servizi, alle forniture, e ai concorsi di progettazione e di idee), nonché dell’intervento della Camera arbitrale soltanto nel caso di mancanza dell’accordo sulla nomina del terzo arbitro, ma ha unificato i due modelli di arbitrato sopra descritti, prevedendo l’applicabilità in via generale ai giudizi arbitrali delle disposizioni del codice di procedura civile. Inoltre, nel prevedere l’istituzione presso l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici della Camera arbitrale, ne conferma la funzione di nomina del terzo arbitro (da scegliere all’interno dell’albo degli arbitri) in caso di mancato accordo tra le parti. Si ricorda che sulla disposizione è intervenuto il decreto legislativo correttivo n. 113 del 2007, che con riferimento alle tariffe, ha confermato l’applicazione del decreto n. 398 del 2000, escludendo espressamente l’applicazione dell'articolo 24 del decreto-legge n. 223 del 2006 (convertito dalla legge n. 248 del 2006). Tale modifica è stata introdotta in accoglimento dei rilievi contenuti nei pareri delle Commissioni competenti di Camera e Senato (espressi rispettivamente il 18 e il 19 luglio 2007), fondati sui costi di gran lunga inferiori che derivano dall'applicazione del suddetto decreto ministeriale in luogo del richiamato articolo 24, come evidenziato anche nella Relazione annuale dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.

 

 

L'articolo 138 in commento vieta alle pubbliche amministrazioni di inserire clausole compromissorie in tutti i loro contratti aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi ovvero, relativamente ai medesimi contratti, di sottoscrivere compromessi.

 

Si ricorda che per "compromesso" si intende l'accordo con il quale le parti consensualmente decidono di derogare alla giurisdizione ordinaria e di deferire una controversia tra loro già insorta alla cognizione di un arbitro unico o di un collegio di arbitri (art. 807 c.p.c.).

Per "clausola compromissoria" si intende la clausola inserita in un contratto o il patto ad esso accessorio nel quale i contraenti prevedono che le future ed eventuali controversie che tra loro potranno insorgere in ordine a quel contratto saranno giudicate da arbitri (art. 808 c.p.c.).

 

Ai sensi dei commi 1 e 2, il divieto si applica:

-        alle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Si tratta di tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 ;

-        alle società interamente possedute ovvero maggioritariamente partecipate dalle pubbliche amministrazioni suddette[71];

-        agli enti pubblici economici ed alle società interamente possedute ovvero maggioritariamente partecipate da questi ultimi.

 

Si segnala che i soggetti destinatari del divieto non coincidono con i soggetti tenuti all’applicazione del codice dei contratti pubblici. In primo luogo, la nozione di “amministrazione aggiudicatrice” ricomprende anche gli organismi di diritto pubblico (articolo 3, commi 25 e 26), ovvero qualsiasi organismo, anche in forma societaria che sia: a) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; b) dotato di personalità giuridica; c) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. In secondo luogo, esso trova applicazione – entro determinati limiti e a determinate condizioni – rispetto ad appalti affidati da altri soggetti aggiudicatori e, in primo luogo, dai concessionari di lavori pubblici (cfr. in particolare gli articoli 32 e 142).

 

Il comma 1 individua le conseguenze della violazione del divieto:

§      nella nullità delle clausole compromissorie ovvero dei compromessi comunque sottoscritti;

§      nella configurabilità dell’illecito disciplinare e nella responsabilità erariale per i responsabili dei relativi procedimenti.


 

La ragione della norma secondo la relazione illustrativa e la posizione dell’Autorità di vigilanza

 

La relazione individua la ratio del divieto nell'esigenza di correggere pesanti criticità manifestatesi in maniera non occasionale o episodica, ma anzi con tale costanza e gravità da determinare pesanti rilievi sul punto dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture nell'ultima relazione annuale. In particolare, alla luce degli elementi raccolti ed analizzati dall'Autorità, risultano una serie di dati di fatto oggettivi:

- il costo del giudizio arbitrale è significativamente più elevato del giudizio ordinario, prevedendosi cospicui compensi agli arbitri, spese per il segretario del collegio (fissati liberamente dai collegi negli arbitrati liberi, con punte che hanno toccato anche 120.000 euro per una singola procedura), nonché la quota pagata per il deposito del lodo, pari all'1 per mille del valore della controversia;

- ove non sia intervenuta transazione - che, nella stragrande maggioranza dei casi, non è particolarmente vantaggiosa per le ragioni delle amministrazioni - queste sono risultate soccombenti nella quasi totalità dei giudizi arbitrali, secondo una percentuale che si aggira intorno ai due terzi del totale e che, nel solo 2006, ha comportato oneri pari a 320.943.611 euro, senza contare le spese per lo svolgimento del giudizio (compensi agli arbitri, ai segretari e per il deposito del lodo);

- i lodi arbitrali impugnati sono, a loro volta, nella gran parte, dichiarati nulli da parte della Corte d'Appello;

- solo una minoranza degli arbitrati azionati si conclude entro il termine ordinario previsto per la pronuncia del lodo ed, anzi, in alcuni casi, i procedimenti hanno avuto una durata di 700 giorni per poi concludersi con un accordo transattivo.

Si segnala che sulla modifica normativa proposta, l’Autorità di vigilanza ha espresso forti perplessità, osservando in particolare con particolare riferimento “alla sostenibilità da parte del mercato, a causa dell’eccessiva lunghezza dei tempi della giustizia, sia essa ordinaria sia amministrativa”. Secondo l’Autorità, il criterio del doppio binario non sembra offrire la possibilità per uscire dalla criticità dell’istituto; piuttosto il modello di arbitrato amministrato quale normativamente configurato prima della sentenza del Consiglio di Stato “offriva garanzie sufficienti sia in ordine alla natura neutrale ed imparziale della costituzione del collegio sia in ordine alla possibilità di monitorare l’andamento delle liti sia infine in ordine al


 contenimento delle spese.»[72] Secondo l’Autorità quindi occorre superare il sistema del doppio binario e “far rientrare nella Camera arbitrale tutta la materia della designazione del terzo arbitro e della regolazione delle tariffe in base a chiari disposti normativi”, attraverso un intervento normativo che modifichi il sistema previsto dagli articoli 241, 242 e 243 del decreto legislativo n. 163 del 2006[73].

 

Il comma 3 reca la norma transitoria volta a disciplinare le controversie relative a contratti già sottoscritti dalle amministrazioni alla data di entrata in vigore della disposizione per le cui controversie i relativi collegi arbitrali non si sono ancora costituiti alla data del 30 settembre 2007.

In tal caso, i soggetti di cui ai commi 1 e 2 hanno l'obbligo di declinare la competenza arbitrale, a condizione però che tale facoltà sia prevista nelle clausole arbitrali inserite nei predetti contratti. Dalla data della relativa comunicazione opera esclusivamente la giurisdizione ordinaria.

La disposizione precisa inoltre che i collegi arbitrali, eventualmente costituiti successivamente al 30 settembre 2007 e fino alla data di entrata in vigore del provvedimento, decadono automaticamente e le relative spese restano integralmente compensate tra le parti.

 

Il comma 4 disciplina il monitoraggio degli effetti finanziari della disposizione e la destinazione di eventuali risparmi da essa generati.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, il Ministro delle infrastrutture ed il Ministro della giustizia, provvede annualmente a determinare con decreto i risparmi conseguiti per effetto dell’applicazione delle disposizioni del presente articolo affinché siano corrispondentemente ridotti gli stanziamenti, le assegnazioni ed i trasferimenti a carico del bilancio dello Stato. Le relative risorse devono essere riassegnate al Ministero della giustizia per il miglioramento del relativo servizio.

La disposizione prevede inoltre la trasmissione annuale al Parlamento ed alla Corte dei conti da parte del Presidente del Consiglio dei ministri di una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni dell'articolo in esame.

 

Il comma 5, introdotto presso l’altro ramo del Parlamento è volto, infine, a novellare l'articolo 240 del Codice dei contratti pubblici. Tale disposizione reca la disciplina del procedimento per il raggiungimento dell’accordo bonario, che trova applicazione nel caso in cui, a seguito dell'iscrizione di riserve su documenti contabili, l'importo economico dell'opera possa variare in maniera sostanziale.

 

In tal caso, la disposizione prevede l’immediata comunicazione al responsabile del procedimento delle riserve (comma 3) e, da parte di quest’ultimo, la valutazione dell’ammissibilità e della non manifesta infondatezza delle riserve ai fini dell’effettivo raggiungimento del limite di valore (comma 4).

Nel caso di appalti e concessioni di importo pari o superiore a dieci milioni di euro, il responsabile del procedimento promuove la costituzione di apposita commissione. La commissione ha la funzione di formulare, entro novanta giorni dalla apposizione dell’ultima delle riserve, proposta motivata di accordo bonario (comma 5), sulla quale le parti si pronunciano nel termine di 30 giorni dal ricevimento (comma 12). La disposizione disciplina, inoltre, le modalità di costituzione della commissione (commi 6 e 7), la sua composizione (commi 8 e 9), le modalità di definizione dei compensi dei commissari (comma 10), la facoltà delle parti di conferire alla commissione il potere di assumere decisioni vincolanti.

Il comma 13 attribuisce al responsabile del procedimento il compito di formulare la proposta di accordo bonario, quando il soggetto che ha formulato le riserve non provveda alla nomina del componente di sua scelta nel termine di venti giorni dalla richiesta del responsabile del procedimento. Per tale adempimento la disposizione fissa il termine di sessanta giorni dalla scadenza del termine assegnato all’altra parte per la nomina del componente della commissione.

Per gli appalti e le concessioni di importo inferiore a dieci milioni di euro, si prevede la facoltatività della costituzione della commissione da parte del responsabile del procedimento (comma 14) e, nel caso in cui non venga promossa la costituzione della commissione, la formulazione della proposta di accordo bonario da parte del responsabile del procedimento, ai sensi del comma 13.

La disposizione, inoltre, consente il ricorso all’arbitrato nel caso di inutile decorso dei termini di cui ai commi 12 e 13 (comma 16), prevede la redazione del verbale dell’accordo bonario accettato (comma 17), reca la disciplina degli interessi sulla somma riconosciuta in sede di accordo bonario (comma 19), esclude la vincolatività per le parti in caso di mancata sottoscrizione dell’accordo bonario (comma 20), consente l’attivazione del procedimento di accordo bonario nel caso di mancata effettuazione del collaudo o emissione del certificato di regolare esecuzione (comma 21), ne definisce l’ambito di applicazione rispetto ai contratti di servizi e forniture nei settori ordinari e ai contratti di lavori, servizi, forniture nei settori speciali (comma 22).

 

La novella in esame, attraverso l’introduzione del comma 15-bis, è volta a precisare le conseguenze del mancato rispetto dei termini di cui al comma 5 e al comma 13 dell’art. 240 per la formulazione della proposta di accordo bonario rispettivamente da parte della commissione o del responsabile del procedimento.

In particolare la disposizione prevede che:

1)      se il mancato rispetto dei termini dipende da ritardi negli adempimenti del responsabile del procedimento, quest’ultimo risponde sia sul piano disciplinare, sia sul piano dei danni erariali;

2)      se dipende invece da ritardi negli adempimenti della commissione incaricata di formulare la proposta motivata di accordo bonario, i componenti della commissione perdono ogni diritto al compenso di cui al comma 10.


Articolo 140
(Limiti alla costituzione e alla partecipazione in società delle amministrazioni pubbliche)

 


1. Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente parteci­pazioni, anche di minoranza, in tali società. È sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l'assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell'ambito dei rispettivi livelli di com­petenza.

2. L'assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall'organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 1.

3. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le società e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 1.

4. Le amministrazioni che, nel rispetto del comma 1, costituiscono società o enti, comunque denominati, o assumono partecipazioni in società, consorzi o altri organismi, anche a seguito di processi di riorganizzazione, trasformazione o decen­tramento, adottano, sentite le organiz­zazioni sindacali per gli effetti derivanti sul personale, provvedimenti di trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali in misura adeguata alle funzioni esercitate mediante i soggetti di cui al presente comma e provvedono alla corrispondente rideterminazione della propria dotazione organica.

5. Fino al perfezionamento dei provvedimenti di rideterminazione di cui al comma 4, le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari al numero dei posti coperti al 31 dicembre dell'anno precedente all'istituzione o all'assunzione di partecipazioni di cui al comma 4, tenuto anche conto dei posti per i quali alla stessa data risultino in corso di espletamento procedure di reclutamento, di mobilità o di riqualificazione del personale, diminuito delle unità di personale effettivamente trasferito.

6. I collegi dei revisori e gli organi di controllo interno delle amministrazioni e dei soggetti interessati dai processi di cui ai commi 4 e 5 asseverano il trasferimento delle risorse umane e finanziarie e trasmettono una relazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze – Dipart­imento della Ragioneria generale dello Stato, segnalando eventuali inadempimenti anche alle sezioni competenti della Corte dei conti.


 

 

L'articolo 140 pone limiti alla costituzione e alla partecipazione in società da parte delle pubbliche amministrazioni.

 

Secondo la relazione illustrativa, la creazione di enti e società per lo svolgimento di compiti di rilevanza pubblica è e rimane uno strumento utilissimo per perseguire maggiore efficienza a vantaggio della collettività. Scopo dell'articolo in esame è tuttavia quello di evitare forme di abuso, la cui esistenza è definita verosimile, tenuto conto che sono circa 3000, ad esempio, le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni.

 

Ai sensi del comma 1, al fine di tutelare la concorrenza ed il mercato, le pubbliche amministrazioni non possono:

 

§      costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali,

§      assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.

 

Destinatarie del divieto sono le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 , ossia tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

 

È comunque sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle suddette amministrazioni, nell'ambito dei rispettivi livelli di competenza.

 

SI ricorda che, secondo la prassi comunitaria, per servizi di interesse generale si intendono i servizi forniti dalle grandi industrie di rete quali i trasporti, i servizi postali, l'energia e le comunicazioni, nonché qualsiasi altra attività economica soggetta ad obblighi di servizio pubblico, come ad esempio, il servizio pubblico radiotelevisivo.

 

Il comma 2 prevede un procedimento autorizzatorio per quanto riguarda in particolare l'assunzione di nuove partecipazioni ed il mantenimento di quelle esistenti, che devono essere autorizzati dall’organo competente, con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 1.

 

Le società e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 1 devono essere cedute a terzi entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame (comma 3) e tale cessione deve avvenire nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica.

 

Ai sensi del comma 4, nei casi in cui sia comunque necessario costituire, nel rispetto dei limiti di cui al comma 1, società o enti, comunque denominati, o assumere partecipazioni in società, consorzi o altri organismi, anche a seguito di processi di riorganizzazione, trasformazione o decentramento, le amministrazioni devono:

§      adottare, sentite le organizzazioni sindacali per gli effetti derivanti sul personale, i provvedimenti di trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali in misura adeguata alle funzioni esercitate mediante i suddetti società, enti, ecc.,

§      provvedere alla corrispondente rideterminazione della propria dotazione organica.

 

Il comma 5 prevede che, sino al perfezionamento dei provvedimenti di rideterminazione di cui al comma 4, le dotazioni organiche sono individuate provvisoriamente in misura pari al numero dei posti coperti al 31 dicembre dell’anno precedente alla costituzione di società o enti o all’assunzione di partecipazioni, tenuto anche conto dei posti per i quali alla stessa data risultino in corso di espletamento procedure di reclutamento, di mobilità o di riqualificazione del personale, diminuito delle unità di personale trasferito.

 

Ai sensi del comma 6, i collegi dei revisori e gli organi di controllo interno delle amministrazioni e dei soggetti interessati dai processi di cui ai commi 4 e 5 devono asseverare il trasferimento delle risorse umane e finanziarie e trasmettere una relazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, segnalando eventuali inadempimenti anche alle sezioni competenti della Corte dei conti.


Aspetti istituzionali

Articolo 23
(Scioglimento dei consigli comunali nei casi
di mancata approvazione del bilancio)

 

1. Ai fini dell'approvazione del bilancio di previsione degli enti locali e della verifica della salvaguardia degli equilibri di bilancio sono confermate, per l'anno 2008, le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 1-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2004, n. 314, convertito, con modificazioni, dalla legge 1o marzo 2005, n. 26.

 

 

L’articolo 23 conferma per l’anno 2008 l’applicazione delle disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 1-bis, del decreto-legge n. 314 del 2004 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26/2005), concernenti l’ipotesi di scioglimento dei consigli comunali, ai fini dell’approvazione del bilancio di previsione degli enti locali e della verifica della salvaguardia degli equilibri di bilancio.

 

In sostanza, la disposizione citata richiama l’applicazione delle disposizioni dettate per l’anno 2002 dall’articolo 1 del D.L. 22 febbraio 2002, n. 13 (legge n. 75/2002)[74], concernenti lo scioglimento dei consigli comunali nei casi di mancata approvazione del bilancio di previsione nei termini stabiliti.

Più in particolare, le disposizioni richiamate disciplinano la procedura per lo scioglimento del consiglio comunale nel caso in cui un comune non abbia predisposto lo schema di bilancio o approvato il bilancio stesso nei termini previsti dal testo unico degli enti locali (art. 141, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 267/2000), nonché nel caso in cui il consiglio non abbia adottato le necessarie misure per riportare in equilibrio il bilancio.

In tali casi, l’articolo 1 del D.L. n. 13/2002 attribuisce al prefetto i poteri, prima spettanti al Comitato regionale di controllo, relativi alla nomina del commissario ad acta incaricato di predisporre lo schema del bilancio ovvero di provvedere all’approvazione del bilancio stesso.

 

Lo scioglimento dei consigli comunali per mancata approvazione del bilancio di previsione, ovvero per mancata adozione dei provvedimenti di riequilibrio del bilancio, è previsto dall’articolo 141, comma 1, lettera c), del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000.

La disposizione stabilisce che i consigli comunali e provinciali vengano sciolti, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, in presenza di determinate fattispecie, tra le quali, appunto, la mancata approvazione nei termini del bilancio[75].

In tale specifica ipotesi, l’art. 141 del TUEL prevede che trascorso il termine entro il quale il bilancio deve essere approvato senza che sia stato predisposto dalla Giunta il relativo schema, l’organo regionale di controllo (CO.RE.CO.) nomina un commissario affinché predisponga lo schema d’ufficio per sottoporlo al consiglio. In tal caso, e comunque quando il consiglio non abbia approvato nei termini di legge lo schema di bilancio predisposto dalla giunta, l’organo regionale di controllo assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all’amministrazione inadempiente. Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al prefetto, che inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio.

La norma prevista dal D.L. n. 13/2002, che assegna al prefetto la nomina del commissario ad acta, è stata introdotta a seguito dell’abrogazione dell’articolo 130 della Costituzione che individuava nel CO.RE.CO. l’organo cui era affidato il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali, abrogazione disposta dall’art. 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione. In assenza di una disposizione transitoria, era sorto il problema di quale organo fosse legittimato a nominare i commissari ad acta che devono redigere o approvare un documento contabile essenziale per regolare la vita amministrativa dell’ente, anche nella fase intermedia tra scioglimento e rinnovo elettorale delle assemblee. Con l’articolo 1 del D.L. n. 13/2002 è stata quindiintrodotta una disciplina di carattere transitorio, diretta a colmare il vuoto normativo determinatosi con l’abrogazione della norma costituzionale.

Le norme del D.L. n. 13/2002, dettate per l’anno 2002, sono state richiamate da successivi provvedimenti legislativi, ed applicate anche negli anni 2003, 2004, 2005, 2006 e 2007.

 

La procedura introdotta dal D.L. n. 13/2002 e, di fatto, richiamata dal comma in esame, prevede che, trascorso il termine entro il quale il bilancio deve essere approvato:

a)      nell’ipotesi di mancata predisposizione dello schema del bilancio da parte della Giunta, il prefetto nominerà un commissario per la predisposizione dell’atto d’ufficio e, successivamente, assegnerà al Consiglio un termine di venti giorni per l’adozione della relativa deliberazione;

b)      nell’ipotesi in cui lo schema di bilancio risulti già predisposto dalla Giunta, il prefetto dovrà assegnare al Consiglio, con atto notificato ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni per l’adozione della relativa deliberazione.

 

Decorso inutilmente il termine assegnato al Consiglio per l’approvazione del bilancio, il prefetto si sostituisce, mediante apposito commissario, all’amministrazione inadempiente e inizia la procedura per lo scioglimento del Consiglio.

Va evidenziato in proposito che il comma 3 dell’art. 1 del D.L. n. 13/2002 afferma il principio per cui spetta agli statuti degli enti locali disciplinare, in tale ipotesi, le modalità di nomina del commissario per la predisposizione dello schema e per l’approvazione del bilancio.

L’attribuzione al prefetto dei poteri di nomina del commissario, pertanto, si applica soltanto nel caso in cui lo statuto comunale non detti una disciplina diversa.

In ogni caso, il termine entro il quale deve avere luogo l’approvazione del bilancio nel caso di ricorso alla nomina di un commissario è fissato in 50 giorni dalla scadenza di quello prescritto.

 

L’applicazione della procedura sopra illustrata si applica anche all’ipotesi di scioglimento per mancata adozione, da parte degli enti locali, dei provvedimenti di riequilibrio previsti dall’articolo 193 del D.Lgs. n. 267/2000.

 

Ai sensi dell’articolo 193 del Testo unico, gli enti locali sono tenuti, durante la gestione, al rispetto del pareggio finanziario e di tutti gli equilibri stabiliti in bilancio sia per la copertura delle spese correnti che per il finanziamento degli investimenti, secondo le norme contabili recate dal Testo unico.

Con periodicità stabilita dal regolamento di contabilità dell’ente locale, e comunque almeno una volta entro il 30 settembre di ciascun anno, l’organo consiliare deve provvedere, con propria delibera, ad effettuare la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi. In tale sede l’organo consiliare dà atto del permanere degli equilibri generali di bilancio o, in caso di accertamento negativo, adotta contestualmente i provvedimenti necessari per il ripiano degli eventuali debiti fuori bilancio (di cui all’articolo 194), e per il ripiano dell’eventuale disavanzo di amministrazione risultante dal rendiconto approvato.

Qualora i dati della gestione finanziaria facciano prevedere un disavanzo, di amministrazione o di gestione, il Consiglio adotta le misure necessarie a ripristinare il pareggio.

 

La mancata adozione, da parte dell’ente, dei suddetti provvedimenti di riequilibrio è equiparata ad ogni effetto alla mancata approvazione del bilancio di previsione di cui all’articolo 141 del Testo unico, e dà luogo alla procedura di scioglimento del Consiglio prevista in tale ipotesi.


Articolo 25
(Comunità montane: razionalizzazione e contenimento dei costi)

 


1. L’articolo 27 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

«Art. 27. - (Natura e ruolo). - 1. Le comunità montane sono unioni di comuni costituite per l’esercizio di funzioni attribuite dalla legge ovvero conferite dai comuni, nonché per l’esercizio associato delle funzioni comunali, ai fini della valorizzazione delle zone montane. Esse possono estendersi in territori appartenenti anche a province diverse.

2. La comunità montana ha un organo consiliare e un organo esecutivo le cui modalità di elezione sono disciplinate dallo statuto.

3. La regione individua gli ambiti per la costituzione delle comunità montane, in modo da assicurare gli interventi per la valorizzazione della montagna e l’esercizio associato delle funzioni comunali, sulla base dei seguenti princìpi e criteri:

a) previsione che la costituzione della comunità montana avvenga con provvedimento del presidente della Giunta regionale tra almeno sette comuni tra loro confinanti, non meno della metà dei quali debbono essere comuni situati per almeno l’80 per cento della loro superficie al di sopra di cinquecento metri di altitudine sopra il livello del mare ovvero comuni situati per almeno il 50 per cento della loro superficie al di sopra di cinquecento metri di altitudine sul livello del mare e nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore non è minore di cinquecento metri. Nelle regioni alpine il limite minimo di altitudine ed il dislivello della quota altimetrica, di cui al periodo precedente, sono di seicento metri. Gli altri comuni debbono essere confinanti con almeno uno dei comuni aventi le predette caratteristiche altimetriche. La costituzione della comunità montana può avvenire tra meno di sette comuni qualora per la conformazione e le caratteristiche del territorio non sia possibile procedere alla costituzione della stessa con almeno sette comuni, fermi restando gli obiettivi di risparmio;

b) esclusione dalle comunità montane dei capoluoghi di provincia, dei comuni costieri e dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti.

4. I criteri di cui al comma 3 valgono ai fini della costituzione delle comunità montane e non rilevano in ordine ai benefici e agli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’Unione europea e dalle leggi statali e regionali.

5. La legge regionale disciplina le comunità montane stabilendo in particolare:

a) le modalità di approvazione dello statuto;

b) la composizione degli organi rappresentativi, in modo da garantire la presenza delle minoranze, fermo restando che i comuni non possono indicare più di un membro. A tal fine la base elettiva è costituita da tutti i consiglieri dei comuni che eleggono i componenti dell’organo rappresentativo con voto limitato;

c) la disciplina dei piani zonali e dei programmi annuali;

d) i criteri di ripartizione tra le comunità montane dei finanziamenti regionali e di quelli dell’Unione europea;

e) i rapporti con gli altri enti operanti nel territorio.

6. Al comune montano nato dalla fusione dei comuni il cui territorio coincide con quello di una comunità montana sono assegnate le funzioni e le risorse attribuite alla stessa in base a norme comunitarie, nazionali e regionali».

2. Le regioni provvedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, all’attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 27, commi 3 e 5, lettera b), del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come modificato dal presente articolo.

3. In caso di mancata attuazione delle disposizioni di cui al comma 2, nei termini fissati, cessano comunque di appartenere alla comunità montana i comuni:

a) capoluoghi di provincia;

b) costieri;

c) con popolazione superiore a 15.000 abitanti;

d) non rispondenti alle caratteristiche di cui ai commi 3, lettera a), e 5, lettera b), dell’articolo 27 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come modificato dal presente articolo.

4. Entro il medesimo termine di cui al comma 2 sono soppresse le comunità montane che risultano costituite da meno di sette comuni, anche in conseguenza di quanto previsto dal comma 3.

5. Le regioni provvedono, entro il 30 giugno 2008, a disciplinare gli effetti conseguenti dall’attuazione delle dispo­sizioni di cui ai commi 2 e 3, e dalla soppressione delle comunità montane di cui al comma 4, comprese le determinazioni inerenti la ripartizione delle risorse umane, finanziarie e strumentali delle comunità montane, facendo salvi i rapporti di lavoro esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Le regioni provvedono altresì a disciplinare, fino all’adozione o comunque in mancanza delle predette determinazioni, la successione in tutti i rapporti giuridici, ivi inclusi quelli di lavoro a tempo indeter­minato, e ad ogni altro effetto, anche processuale, ed in relazione alle obbligazioni cui si applicano i princìpi della solidarietà attiva e passiva.

6. Dall’attuazione del presente articolo devono conseguire economie di spesa non inferiori a 33,4 milioni di euro per l’anno 2008 ed a 66,8 milioni di euro a decorrere dall’anno 2009.

7. Il Fondo ordinario di cui all’articolo 34, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, è ridotto di 33,4 milioni di euro per l’anno 2008 e di 66,8 milioni di euro a decorrere dall’anno 2009.

8. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali e il Ministro dell’interno presentano al Parlamento una relazione sull’applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo.


Premessa

L’articolo 25, modificato profondamente nel corso dell’esame in sede referente al Senato[76], reca misure per la razionalizzazione e il contenimento dei costi delle comunità montane, finalità indicate nella rubrica dell’articolo.

L’articolo in esame è composto da due parti: la prima, corrispondente al comma 1, novella completamente l’articolo 27 del testo unico sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000)[77] relativo alla natura e al ruolo delle comunità montane, mentre il successivo articolo 28, riguardante le funzioni di dette comunità, non viene modificato.

La seconda parte (commi da 2 a 8) dispone in ordine alle modalità attuative della riforma operata dal comma 1, individuando in particolare l’entità del risparmio da raggiungere, pari a 33,4 milioni di euro per il 2008 e a 66,8 milioni di euro per ciascuno degli anni successivi.

 

Secondo una ricerca dell’Istituto nazionale della montagna (IMONT), in conseguenza dell’approvazione del testo del Senato, le 355 comunità montane attuali verrebbero ridotte a 193 (sarebbero state 253 secondo il testo del d.d.l. originario presentato dal Governo).

 

Una parte del contenuto normativo dell’articolo, sia nella versione originaria, sia nella formulazione approvata dal Senato, corrisponde sostanzialmente allo schema di disegno di legge, approvato dal Consiglio dei ministri il 13 luglio 2007 e pubblicato nel sito del Governo, recante “Misure per la riduzione dei costi politico-amministrativi e per la promozione della trasparenza”. Iniziative legislative sul tema sono all’esame della Camera dei deputati[78].

 

In materia di sostegno alla montagna si segnala l’articolo 28, comma 1, del provvedimento in esame (alla cui scheda si fa rinvio) che assegna per il finanziamento del Fondo nazionale per la montagna 50 milioni di euro annui dal 2008 al 2010.

 

Il Governo si è impegnato ad aumentare ulteriormente la dotazione del Fondo accogliendo un ordine del giorno in sede di approvazione dell’articolo in esame[79]. L’ordine del giorno prevede, inoltre, il finanziamento dell’IMONT per garantirne l’operatività, l’aumento della dotazione a favore del Club alpino italiano contro il ridimensionamento a 60 mila euro proposta dalla finanziaria, l’inserimento dell’articolo in esame in una legge organica sulla montagna già presentata al Senato.

Si segnala che l’art. 134, co. 3, del provvedimento in esame, prevede la soppressione dell’Ente italiano montagna-EIM (organismo che dovrà sostituire l’IMONT, ai sensi dell’art. 1, co. 1279 della legge finanziaria 2007 L. 296/2006) se non sarà oggetto di uno dei regolamenti di semplificazione di cui al co. 1 dello stesso art. 134.

 

Si segnala, inoltre, che l’articolo 26 del provvedimento in esame interviene in materia di indennità degli amministratori locali, compresi quelli delle comunità montane (vedi oltre).

Compatibilità costituzionale

La giurisprudenza costituzionale affermatasi successivamente alla riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, ricomprende le comunità montane nell’ambito della competenza regionale residuale, il che di per sé parrebbe escludere l’ambito di intervento statale, salvo per tale ambito si rilevi un titolo ulteriore. Le comunità montane, infatti, non sono considerate dalla Costituzione come enti locali necessari, né sono considerati all’interno della disposizione che attribuisce allo Stato competenza in tema di funzioni fondamentali degli enti locali ed organi degli enti locali.

Secondo la Corte, infatti, (sent. 456/2005) la disciplina delle comunità montane, pur in presenza della loro qualificazione come enti locali contenuta nel D.Lgs. 267/2000, rientra ora nella competenza legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione.

Inoltre (da ultimo, sent. 397/2006) l’art. 114 (che individua nei comuni, province, città metropolitane, regioni e nello Stato gli enti costituenti la Repubblica) e l’art. 117, secondo comma, lettera p) (che affida alla legislazione esclusiva dello Stato la legislazione elettorale, gli organi di Governo e le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane) della Costituzione non trovano applicazione nei confronti delle comunità montane, in quanto in tali disposizioni si fa esclusivo riferimento ai comuni, alle province e alle città metropolitane e l’indicazione deve ritenersi tassativa (sentt. 456/2005 e 244/2005). Allo stesso modo non si estende alle comunità montane il sistema delle garanzie, in sede di esercizio delle funzioni amministrative, assicurato dal nuovo art. 118 della Costituzione. Le comunità montane sono (sent. 238/2007) “enti locali costituzionalmente non necessari”.

Tuttavia, non sembra potersi negare ogni titolo all’intervento statale, il cui fondamento potrebbe trovarsi sia nella finalità del coordinamento finanziario (essendo finalità della norma la riduzione delle spese), sia nel riflesso – sulle comunità montane – di disposizioni dettate comunque in riferimento agli organi degli enti locali con “copertura” costituzionale, quali sono i comuni. Questo solo se – ammesso che le ipotizzate titolarità abbiano fondamento – non sia rinvenuta una eventuale “prevalenza” della competenza regionale residuale.

L’applicabilità, poi, della norma in esame nei confronti delle autonomie differenziate è un effetto della norma non agevolmente affermabile in modo univoco. A parte il caso della Sicilia (che ha soppresso le comunità montane con L.R. 9/1986[80]), per le altre regioni a statuto speciale, l’articolo 151, comma 3, del d.d.l. in esame, contenente la c.d. “clausola di salvaguardia” non appare sicuro indice di riferimento per determinare l’applicabilità o meno: la competenza delle autonomie differenziate in tema di comunità montane appare indubbia, ma si potrebbe ritenere che concorra la già affermata competenza statale in tema di coordinamento finanziario (non l’altra, in tema di organi comunali, propria delle Regioni a statuto speciale a differenza delle Regioni a statuto ordinario[81]).

La Corte ha spesso ribadito che i princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica attinenti alla spesa “devono ritenersi applicabili anche alle autonomie speciali, in considerazione dell’obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, all’azione di risanamento della finanza pubblica” (sentt. 169/2007, 82/2007, nonché sentt., da questa richiamate, 417/2005, 353/2004, 345/2004 e 36/2004, 416/1995; in senso analogo, anche sent. 267/2006).

La modifica dell’articolo 27 del testo unico sugli enti locali

Il comma 1 dell’articolo 25 in esame novella l’articolo 27 del TUEL, che contiene la vigente disciplina delle comunità montane (vedi testo a fronte).

 

 

Art. 27 D.Lgs. 267/2000

Testo vigente

Art. 27 D.Lgs. 267/2000

Testo modificato

Articolo 27
Natura e ruolo

Articolo 27
Natura e ruolo

1. Le comunità montane sono unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a province diverse, per la valorizzazione delle zone montane per l’esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l’esercizio associato delle funzioni comunali.

1. Le comunità montane sono unioni di comuni costituite per l’esercizio di funzioni attribuite dalla legge ovvero conferite dai comuni, nonché per l’esercizio associato delle funzioni comunali, ai fini della valorizzazione delle zone montane. Esse possono estendersi in territori appartenenti anche a province diverse.

2. La comunità montana ha un organo rappresentativo e un organo esecutivo composti da sindaci, assessori o consiglieri dei comuni partecipanti. Il presidente può cumulare la carica con quella di sindaco di uno dei comuni della comunità. I rappresentanti dei comuni della comunità montana sono eletti dai consigli dei comuni partecipanti con il sistema del voto limitato garantendo la rappresentanza delle minoranze.

2. La comunità montana ha un organo consiliare e un organo esecutivo le cui modalità di elezione sono disciplinate dallo statuto.

3. La Regione individua, concordandoli nelle sedi concertative di cui all’articolo 4, gli ambiti o le zone omogenee per la costituzione delle comunità montane, in modo da consentire gli interventi per la valorizzazione della montagna e l’esercizio associato delle funzioni comunali. La costituzione della comunità montana avviene con provvedimento del presidente della Giunta regionale.

3. La regione individua gli ambiti per la costituzione di comunità montane, in modo da assicurare gli interventi per la valorizzazione della montagna e l’esercizio associato delle funzioni comunali, sulla base dei seguenti principi e criteri:

a) previsione che la costituzione della comunità montana avvenga con provvedimento del presidente della Giunta regionale tra almeno sette comuni tra loro confinanti, non meno della metà dei quali debbono essere comuni situati per almeno l’80 per cento della loro superficie al di sopra di cinquecento metri di altitudine sopra il livello del mare ovvero comuni situati per almeno il 50 per cento della loro superficie al di sopra di cinquecento metri di altitudine sul livello del mare e nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore non è minore di cinquecento metri. Nelle regioni alpine il limite minimo di altitudine ed il dislivello della quota altimetrica, di cui al periodo precedente, sono di seicento metri. Gli altri comuni debbono essere confinanti con almeno uno dei comuni aventi le predette caratteristiche altimetriche. La costituzione della comunità montana può avvenire tra meno di sette comuni qualora per la conformazione e le caratteristiche del territorio non sia possibile procedere alla costituzione della stessa con almeno sette comuni, fermi restando gli obiettivi di risparmio;

b) esclusione dalle comunità montane dei capoluoghi di provincia, dei comuni costieri e dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti.

 

4. I criteri di cui al comma 3 valgono ai fini della costituzione delle comunità montane e non rilevano in ordine ai benefici e agli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’Unione europea e dalle leggi statali e regionali.

4. La legge regionale disciplina le comunità montane stabilendo in particolare:

5. Identico:

a) le modalità di approvazione dello statuto;

a) identica;

b) le procedure di concertazione;

b) la composizione degli organi rappresentativi, in modo da garantire la presenza delle minoranze, fermo restando che i comuni non possono indicare più di un membro. A tal fine la base elettiva è costituita da tutti i consiglieri dei comuni che eleggono i componenti dell’organo rappresentativo con voto limitato;

c) la disciplina dei piani zonali e dei programmi annuali;

c) identica;

d) i criteri di ripartizione tra le comunità montane dei finanziamenti regionali e di quelli dell’Unione europea;

d) identica;

e) i rapporti con gli altri enti operanti nel territorio.

e) identica.

5. La legge regionale può escludere dalla comunità montana i comuni parzialmente montani nei quali la popolazione residente nel territorio montano sia inferiore al 15 per cento della popolazione complessiva, restando sempre esclusi i capoluoghi di provincia e i comuni con popolazione complessiva superiore a 40.000 abitanti. L’esclusione non priva i rispettivi territori montani dei benefìci e degli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’Unione europea e dalle leggi statali e regionali. La legge regionale può prevedere, altresì, per un più efficace esercizio delle funzioni e dei servizi svolti in forma associata, l’inclusione dei comuni confinanti, con popolazione non superiore a 20.000 abitanti, che siano parte integrante del sistema geografico e socio-economico della comunità.

soppresso.

6. Al comune montano nato dalla fusione dei comuni il cui territorio coincide con quello di una comunità montana sono assegnate le funzioni e le risorse attribuite alla stessa in base a norme comunitarie, nazionali e regionali. Tale disciplina si applica anche nel caso in cui il comune sorto dalla fusione comprenda comuni non montani. Con la legge regionale istitutiva del nuovo comune si provvede allo scioglimento della comunità montana.

 

6. Al comune montano nato dalla fusione dei comuni il cui territorio coincide con quello di una comunità montana sono assegnate le funzioni e le risorse attribuite alla stessa in base a norme comunitarie, nazionali e regionali.

7. Ai fini della graduazione e differenziazione degli interventi di competenza delle regioni e delle comunità montane, le regioni, con propria legge, possono provvedere ad individuare nell’àmbito territoriale delle singole comunità montane fasce altimetriche di territorio, tenendo conto dell’andamento orografico, del clima, della vegetazione, delle difficoltà nell’utilizzazione agricola del suolo, della fragilità ecologica, dei rischi ambientali e della realtà socio-economica.

soppresso.

8. Ove in luogo di una preesistente comunità montana vengano costituite più comunità montane, ai nuovi enti spettano nel complesso i trasferimenti erariali attribuiti all’ente originario, ripartiti in attuazione dei criteri stabiliti dall’articolo 36 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 e successive modificazioni.

soppresso.

 

 

Il nuovo testo del comma 1 dell’articolo 27 contiene la definizione delle comunità montane, che sono individuate come “unioni di comuni costituite per l’esercizio di funzioni attribuite dalla legge ovvero conferite dai comuni, nonché per l’esercizio associato delle funzioni comunali, ai fini della valorizzazione delle zone montane”.

Viene mantenuta il principio dell’assimilazione delle comunità montane alle unioni di comuni (disciplinate dall’art. 32 del TUEL) ma viene soppressa la qualificazione di tale forma particolare di unione di comuni quale ente locale costituito tra comuni montani e parzialmente montani.

Rispetto alla definizione contenuta nel vigente primo comma non si evidenziano sostanziali differenze né rispetto al fatto che esse possono abbracciare più di una provincia, né rispetto alle finalità, che sono – sia pure con talune modifiche – riproposte. Può notarsi che non figura più il riferimento alle “funzioni proprie [e] funzioni conferite”, ma le funzioni sono – secondo la nuova formulazione – “attribuite” ex lege, e “conferite” dai Comuni: dette funzioni sostanziano la prima delle finalità istitutive delle comunità, restando la valorizzazione delle zone montane una finalità mediata.

 

Il nuovo testo del comma 2 dell’articolo 27 si limita a prescrivere, in modo assai sintetico, gli organi dell’unione di comuni montani, prevedendo la presenza di un organo consiliare (il testo vigente dice “rappresentativo”) ed un organo esecutivo e ad affidare allo Statuto le relative modalità di elezione. Tuttavia, norme che specificano le modalità di elezione dell’organo rappresentativo sono contenute nel successivo comma 5 dell’art. 27 (vedi infra) che pur rinvia la disciplina alla Regione.

 

Il vigente testo del comma 2 dell’articolo 27 prevede, relativamente agli organi, che la comunità montana debba avere un organo rappresentativo ed un organo esecutivo, i cui membri sono già sindaci, assessori o consiglieri dei comuni partecipanti; i rappresentanti dei comuni della comunità montana sono eletti dai consigli dei comuni partecipanti; il presidente può cumulare la carica con quella di sindaco di uno dei comuni della comunità. La disposizione impone, poi, per l’elezione dei rappresentanti della comunità, il voto limitato e la garanzia della rappresentanza delle minoranze.

Il nuovo testo del comma 2 non ripropone tale sistema, essendo la nuova disciplina in materia contenuta, come accennato, nel comma 5 dell’art. 27 novellato (lettera b) al quale si rinvia.

 

Il nuovo testo del comma 3 dell’articolo 27 limita, rispetto al testo vigente, le condizioni di costituzione delle unioni di comuni montani.

Nella prima parte, il novellato comma 3 conferma quanto già attualmente previsto circa la necessità dell’intervento della regione, che è chiamata non solo ad individuare gli ambiti o le zone omogenee per la costituzione delle comunità montane, ma anche la costituzione, che avviene con provvedimento del presidente della regione.

Non vi è più, invece, il riferimento alle “sedi concertative” tra regione, comuni e province di cui all’articolo 4, commi 4 e 5 TUEL.

La norma novella il TUEL, che è stato approvato prima della novella del Titolo V. Nel nuovo contesto costituzionale l’indicazione per via legislativa, da parte dello Stato, di un determinato organo della regione potrebbe essere ritenuta una scelta normativa da ponderare sotto il profilo della costituzionalità.

La costituzione della comunità montana può avvenire, tuttavia, e qui si riscontra la novità che appare di maggior rilievo, solo in presenza dei princìpi e criteri direttivi dettati direttamente dalla norma statale.

 

Come sarà osservato in riferimento all’art. 27, la norma si preoccupa anche in questo caso di fornire parametri all’attività regionale, e più precisamente, principi e criteri, normalmente propri dei procedimenti di delega.

Può essere utile ricordare che la novella costituzionale del 2001 ha abrogato la previgente previsione dell’art. 118, secondo comma, della Costituzione che prevedeva la figura della delega statale di funzioni amministrative alle Regioni.

 

I principi e criteri direttivi dettati dalla norma sono i seguenti:

1.    le comunità montane sono costituite da almeno sette comuni

-          montani,

-          tra loro confinanti,

-          con esclusione dei esclusi capoluoghi di provincia, dei comuni costieri e dei comuni con popolazione complessiva superiore a 15.000 abitanti;

2.    almeno la metà dei comuni:

-          debbono essere situati per almeno l’80% della loro superficie al di sopra di 500 m (600 m nelle regioni alpine) di altitudine s.l.m,

-          ovvero debbono essere comuni situati per almeno il 50% della loro superficie al di sopra di 500 m di altitudine s.l.m. e nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore è almeno 500 m (600 m nelle regioni alpine);

3.    gli altri comuni debbono essere confinanti con almeno uno dei comuni che hanno le caratteristiche altimetriche di cui al punto 2;

4.    la costituzione della comunità montana può avvenire tra meno di sette comuni qualora per la conformazione e le caratteristiche del territorio non sia possibile procedere alla costituzione della stessa con almeno sette comuni, fermi restando gli obiettivi di risparmio.

 

La disciplina delle condizioni per la costituzione delle comunità montane è attualmente contenuta – in termini considerevolmente diversi – nel comma 5 dell’art. 27 del TUEL: la normativa vigente si limita, in primo luogo, a dar facoltà alla regione di escludere dalla comunità montane i comuni parzialmente montani nei quali la popolazione residente nel territorio montano sia inferiore al 15 per cento della popolazione complessiva, restando sempre esclusi i capoluoghi di provincia e i comuni con popolazione complessiva superiore a 40.000 abitanti. La legge regionale può oggi altresì prevedere, per un più efficace esercizio delle funzioni e dei servizi svolti in forma associata, l’inclusione dei comuni confinanti, con popolazione non superiore a 20.000 abitanti, che siano parte integrante del sistema geografico e socio-economico della comunità.

La norma che esclude i comuni capoluogo di provincia dalla partecipazione alle comunità montane, già vigente, è invece confermata nel testo proposto.

 

Nella legislazione statale, a proposito dei criteri altimetrici, si possono ricordare:

-        la L. 703/1952[82] che, nell’attribuire ai comuni montani (ed a quelli situati nelle piccole isole) una quota dell’allora vigente IGE (imposta generale sull’entrata), considerava “comuni montani” i comuni censuari – tra l’altro – il cui territorio avesse un’altitudine minima non inferiore a m 600 s.l.m., ovvero un dislivello non inferiore a m 600 tra l’altitudine minima e quella massima (art. 3, co. 3°);

-        la L. 991/1952 (art. 1[83]) che considerava territori montani i comuni censuari situati per almeno l’80 per cento della loro superficie al di sopra di m 600 s.l.m., e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale fosse non minore di m 600 (oltre alle condizioni relative al reddito). La stessa legge introduceva poi la nozione di “comune parzialmente montano” ripresa dalla L. 1014/1960 (art. 14)[84].

 

Il successivo comma 4 novellato contiene disposizioni che riprendono almeno in parte la sostanza dispositiva contenuta nel secondo periodo del vigente comma 5 dell’art. 27 del TUEL, tesa a non escludere i territori montani non “comunità montane” dai provvedimenti comunitari, statali e regionali a favore della montagna: in altri termini per beneficiare dei relativi interventi di sostegno non è condizione necessaria essere comunità montana.

Nel testo in esame, analogamente, si dispone infatti che i criteri limitativi dettati al comma 3, che valgono, come visto, ai fini della costituzione delle unioni di comuni montani, non rilevano tuttavia in ordine ai benefici e agli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’Unione europea e dalle leggi statali e regionali.

 

Il comma 5 dell’art. 27 novellato riproduce senza grandi variazioni il contenuto del vigente comma 4 dell’art. 27 del TUEL, relativamente alla disciplina regionale dello statuto delle comunità montane e della ripartizione dei finanziamenti.

Una sostanziale novità concerne solo la lettera b), che nel testo vigente riguarda le procedure di concertazione (la cui disciplina è attualmente affidata allo statuto), e che nel testo proposto riguarda la composizione degli organi rappresentativi (il comma 2 novellato recita: “organo consiliare”), per il quale si prescrive:

§      che sia garantita la presenza delle minoranze,

§      che i comuni possano indicare un solo membro.

I due criteri vengono contemperati prevedendo che i componenti dell’organo rappresentativo siano eletti da tutti i consiglieri comunali attraverso il voto limitato.

 

In proposito, si segnala la circolare del Ministero dell’interno-Direzione centrale per le autonomie dell’8 maggio 2003, avente per oggetto l’ordinamento delle comunità montane, che precisa quanto segue:

Per voto limitato deve intendersi il meccanismo in base al quale ciascun consigliere-elettore vota indicando un numero di preferenze inferiore rispetto a quello dei rappresentanti da eleggere in seno alla comunità montana.

Considerato che alcune leggi regionali prevedono procedimenti di votazione separata tra forze di maggioranza e quelle di minoranza, si è di frequente prospettata la problematica circa la compatibilità del sistema del ‘voto limitato’ con i predetti procedimenti di votazione separata.

Su tale questione il Consiglio di Stato ha formulato l’avviso che i sistemi di votazione separata, previsti da alcune leggi regionali, sono compatibili con la normativa del T.U.E.L. n. 267 e, pertanto, applicabili, in quanto idonei a realizzare la finalità perseguita dalla norma, che è quella di garantire la partecipazione dei rappresentanti della minoranza nel Consiglio Comunitario.

Al riguardo, va peraltro rilevato che la Quinta Sezione del Consiglio di Stato (v. sentenza n. 2586 del 13 maggio 2002) aveva affermato, in sede giurisdizionale, il diverso orientamento per il quale il sistema del voto separato, là dove previsto dalla legislazione regionale, dovesse considerarsi incompatibile con la normativa statale sopravvenuta.

 

Il comma 6 dell’art. 27 novellato riproduce in gran parte il contenuto del vigente comma 6, relativo alla fusione dei comuni di una comunità montana in un nuovo comune, al netto della disposizione per cui tale disciplina si applica anche nel caso in cui il comune sorto dalla fusione comprenda comuni non montani (ipotesi non più possibile nel nuovo regime).

Non viene tuttavia neppure riprodotta la disposizione per cui, con la legge regionale istitutiva del nuovo comune, si provvede allo scioglimento della comunità montana.

 

Non viene neanche considerata l’ipotesi di costituzione di più comunità montane in luogo di una unica comunità per le quali il comma 8 dell’art. 27 vigente, non riprodotto nel testo in esame, prevede il trasferimento e la ripartizione dei fondi spettanti alla comunità montana di origine.

Disposizioni di attuazione

Il comma 2 dell’articolo in esame prevede che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del testo legislativo in esame (entro il 30 giugno 2008) le regioni provvedano all’attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 27, commi 3 (condizioni per la costituzione delle comunità montane) e 5, lettera b) (modalità di composizione degli organi rappresentativi), così come novellate.

 

I commi 3 e 4 dell’articolo in esame prevedono che, in caso di inadempienza delle regioni, allo scadere del termine previsto:

§      cessino di appartenere alla comunità montana i comuni che non possono far parte delle comunità montane ai sensi delle condizioni previste (comma 3):

-       i comuni capoluoghi di provincia;

-       i comuni costieri;

-       i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti;

-       i comuni senza le caratteristiche altimetriche sopra esaminate (art. 27, co. 3, novellato);

-       i comuni i cui organi rappresentativi non sono stati formati secondo le modalità indicate dall’art. 27, co. 5, lett. b) novellato (garanzia delle minoranze, un solo membro per ciascun comune, corpo elettorale formato da tutti i consiglieri comunali, elezioni con voto limitato).

§      siano soppresse le comunità montane (comma 4) costituite da meno di 7 comuni anche per il venir meno delle tipologie di comune elencate al comma 3.

 

Il comma 5 incarica le regioni di disciplinare, entro il 30 giugno 2008, gli effetti conseguenti dalle misure disposte, vale a dire la nuova disciplina posta dai commi 2 e 3, e – ciò che appare di maggior rilievo – la soppressione delle comunità montane prevista dal precedente comma 4, che prevedibilmente comporterà il venir meno di un soggetto titolare di rapporti giuridici di varia natura.

 

Le regioni sembrano tuttavia chiamate a disciplinare entro il 30 giugno 2008 gli effetti di eventi che si dovrebbero verificare a partire da tale data, infatti proprio il 30 giugno 2008 è il termine ultimo entro il quale le regioni devono attuare le disposizione del provvedimento in esame e oltre il quale scattano in ogni caso la soppressione o il ridimensionamento (a seconda dei casi) delle comunità montane.

 

La norma indica alcuni contenuti alla futura disciplina regionale.

La ripartizione delle risorse (umane, finanziarie e strumentali delle comunità montane), deve far salvi i rapporti di lavoro esistenti alla data di entrata in vigore del testo normativo in esame.

L’oggetto della futura disciplina regionale deve comprendere la successione in tutti i rapporti giuridici – vengono nuovamente menzionati in particolare quelli di lavoro, ma limitatamente a quelli a tempo indeterminato (la precedente misura di tutela, di cui al punto precedente, non sembra prevedere tale limitazione) – ad ogni effetto, anche processuale; la disposizione prevede che in relazione alle obbligazioni si applicano i principi della solidarietà attiva e passiva.

 

L’espressione “solidarietà attiva e passiva” richiama le cosiddette obbligazioni solidali e descrive, nel caso della solidarietà attiva, il vincolo in forza del quale, in presenza di più creditori di un medesimo debitore, ogni creditore può pretendere l’intera prestazione, e l’adempimento da lui conseguito libera il debitore anche nei confronti degli altri; il concreditore che avrà riscosso dovrà corrispondere ai restanti concreditori la parte della prestazione di loro spettanza.

Con solidarietà passiva si indica invece il vincolo in forza del quale, in presenza di più debitori di un unico creditore, i debitori sono solidalmente obbligati per la medesima prestazione, così che il creditore può pretendere l’intera prestazione da uno qualunque dei debitori, il cui adempimento libera tutti gli altri. Il condebitore che ha pagato avrà azione di rivalsa nei confronti degli altri, per ottenere il rimborso della sua parte.

 

Sulla competenza regionale e sui relativi profili di rilievo costituzionale in materia di comunità montane si rinvia a quanto esposto in apertura della presente scheda.

 

I commi 6 e seguenti dell’articolo in esame sono dedicati in particolare alle conseguenze finanziarie delle misure disposte dai commi precedenti.

 

Il comma 6, in particolare, prevede che dall’attuazione del complesso delle misure apportate le regioni devono conseguire economie di spesa non inferiori a 33,4 milioni per il 2008, che salgono a 66,8 milioni annui dall’anno successivo.

Di un pari importo, ai sensi del seguente comma 7, è ridotto il Fondo ordinario di cui all’articolo 34, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 504/1992.

Le due disposizioni sono sostanzialmente ma non formalmente legate. Ciò pare comportare che la prevista diminuzione di spesa potrebbe essere non conseguita, mentre la riduzione del Fondo ordinario è misura immediatamente e certamente operativa al momento dell’entrata in vigore del testo legislativo in esame.

 

Si ricorda che i trasferimenti erariali a favore degli enti locali iscritti nel bilancio dello Stato si articolano sulla base di fondi disciplinati dal D.Lgs. 504/1992[85]. In particolare, secondo lo schema generale delineato dal citato decreto legislativo, lo Stato concorre al finanziamento dei bilanci di province e comuni con l’assegnazione dei seguenti fondi:

-        “Fondo ordinario”, in cui confluiscono la gran parte delle risorse destinate al finanziamento dei bilanci degli enti locali;

-        “Fondo consolidato”, in cui confluiscono i contributi erariali finalizzati da leggi speciali a specifici interventi;

-        “Fondo perequativo degli squilibri di fiscalità locale” (relativo, in particolare, ai problemi perequativi derivanti dall’ICI). Le risorse sono attribuite alle province e ai comuni sulla base del gettito delle imposte e delle addizionali di loro competenza per le quali non vi sia discrezionalità, considerato in relazione alla classe demografica di appartenenza degli enti medesimi.

 

Nel 2007 la dotazione del Fondo ordinario delle comunità montane è pari a 190 milioni di euro[86].

 

Il comma 8 prevede una relazione (una tantum, entro un anno dall’entrata in vigore del testo normativo in esame) del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali e del Ministro dell’interno al Parlamento sull’applicazione delle disposizioni esaminate.

Le comunità montane

Le comunità montane sono unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a province diverse (D.Lgs. 267/2000, art. 27), “create in vista della valorizzazione delle zone montane, allo scopo di esercitare, in modo più adeguato di quanto non consentirebbe la frammentazione dei Comuni montani, ‘funzioni proprie’, ‘funzioni conferite’ e funzioni comunali”[87]. Si tratta, dunque, di un caso speciale di unioni di Comuni, di enti dotati di un certo grado di autonomia (non solo dalle Regioni ma anche) dai Comuni, come dimostra, tra l’altro, l’espressa attribuzione agli stessi della potestà statutaria e regolamentare[88].

Ciascuna comunità montana ha un organo rappresentativo e un organo esecutivo composti da sindaci, assessori o consiglieri dei comuni partecipanti. Il presidente può cumulare la carica con quella di sindaco di uno dei comuni della comunità.

L’art. 82, co. 1, del D.Lgs. 267/2000 ricomprende tra gli amministratori locali che hanno diritto ad un’indennità il presidente della comunità montana e i componenti degli organi esecutivi delle comunità montane.

Il co. 2 dello stesso articolo prevede inoltre, per i consiglieri delle comunità montane, la corresponsione di un gettone di presenza per l’effettiva partecipazione alle riunioni dei consigli e delle commissioni comunitarie formalmente convocate, nella misura prevista per un comune avente popolazione pari alla popolazione montana della comunità montana.

Sono validi, anche per le indennità degli amministratori delle comunità montane, i limiti di spesa e il divieto di cumulo previsti per quelle dei componenti delle unioni di comuni:

§       le indennità di funzione devono essere pari a quelle previste per un comune avente popolazione eguale alla popolazione montana della comunità montana;

§       la spesa complessiva delle indennità di funzione attribuite agli assessori non può superare quella determinata per gli assessori del comune di riferimento[89];

§       le indennità di funzione non sono tra loro cumulabili. L’interessato opta per la percezione di una delle due indennità ovvero per la percezione del 50 per cento di ciascuna.

 

Nella tabella allegata sono indicati alcuni dati relativi alle comunità montane.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia alla Relazione sullo stato della montagna italiana trasmessa alle Camere dal Presidente del Consiglio ai sensi dell’art.24, co. 4, della L. 31 gennaio 1994, n. 97 il 21 novembre 2006 (doc. CXV, n. 1)[90].


La montagna italiana al 1° gennaio 2007

Regioni

Comuni

Comuni montani


comunità
montane

Superf.
Territ.
Ha (a1)

Superf.
Montana
Ha (a2)

%
(b1/a1)

Pop.
Totale
(a2)

Pop.
Montana
(b2)

%
(b2/a2)

 

(A)

Tot.
(B)

Parz.
(C)

B+C

C/A

 

 

 

 

 

 

 

PIEMONTE

1.206

503

27

530

43,95

48

2.540.246

1.316.591

51,83

4.341.733

675.253

15,55

VDA

74

74

0

74

100,00

8

326.324

326.324

100,00

123.978

123.978

100,00

LIGURIA

235

167

20

187

79,57

19

542.155

441.834

81,50

1.610.134

348.558

21,65

LOMBARDIA

1546

529

13

543

35,12

30

2.386.280

1.032.322

43,26

9.475.202

1.265.687

13,36

TRENTO

223

223

0

223

100,00

11

620.690

620.690

100,00

502.478

502.478

100,00

BOLZANO

116

116

0

116

100,00

8

739.992

739.992

100,00

482.650

482.650

100,00

VENETO

581

119

39

158

27,19

19

1.839.885

588.703

32,00

4.738.313

410.588

8,67

FVG

219

84

21

105

47,95

4

785.839

447.349

56,93

1.208.278

174.432

14,44

EMI.ROM.

341

95

29

124

36,36

18

2.211.734

851.977

38,52

4.187.557

371.736

8,88

TOSCANA

287

114

43

157

54,70

20

2.299.351

1.086.904

47,27

3.619.872

533.049

14,73

MARCHE

246

103

21

124

50,41

13

969.406

571.873

58,99

1.528.809

315.874

20,66

UMBRIA

92

69

22

91

98,91

9

845.604

725.875

85,84

867.878

552.830

63,70

LAZIO

378

175

65

240

63,49

22

1.723.597

761.634

44,19

5.304.778

753.428

14,20

ABRUZZO

305

200

27

227

74,43

19

1.076.271

824.885

76,64

1.305.307

479.777

36,76

MOLISE

136

111

12

123

90,44

10

443.768

349.157

78,68

320.907

224.006

69,80

CAMPANIA

551

197

102

298

54,08

27

1.359.024

765.979

56,36

5.790.929

687.215

11,87

PUGLIA

258

26

35

61

23,64

6

1.935.790

479.609

24,78

4.071.518

315.384

7,75

BASILICATA

131

106

9

115

87,79

14

999.461

712.243

71,26

594.086

393.653

66,26

CALABRIA

409

218

68

286

69,93

26

1.508.055

990.991

65,71

2.004.415

733.784

36,61

SICILIA

390

102

83

185

47,44

0

2.571.140

943.179

36,68

5.017.212

640.510

12,77

SARDEGNA

377

215

19

234

62,07

24

2.408.989

1.793.774

74,46

1.655.677

837.735

50,60

TOTALE

8.101

3.546

655

4.201

51,86

355

30.133.601

16.371.885

54,33

58.751.711

10.822.605

18,42

FONTE: Elaborazioni UNCEM su dati ISTAT al 31/12/2005


Articolo 26
(Contenimento dei costi per la rappresentanza nei consigli circoscrizionali, comunali, provinciali e degli assessori comunali e provinciali)

 


1. All’articolo 47, comma 1, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, la parola: «sedici» è sostituita dalla seguente: «dodici».

2. All’articolo 81, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) le parole: «Gli amministratori locali di cui all’articolo 77, comma 2» sono sostituite dalle seguenti: «I sindaci, i presidenti delle province, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché i membri delle giunte di comuni e province»;

b) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «I consiglieri di cui all’articolo 77, comma 2, se a domanda collocati in aspettativa non retribuita per il periodo di espletamento del mandato, assumono a proprio carico l’intero pagamento degli oneri previdenziali, assistenziali e di ogni altra natura previsti dall’articolo 86».

3. All’articolo 82 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. I consiglieri comunali, provinciali, circoscrizionali e delle comunità montane hanno diritto a percepire, nei limiti fissati dal presente capo, un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni. In nessun caso l’ammontare percepito nell’ambito di un mese da un consigliere può superare l’importo pari ad un quarto dell’indennità massima prevista per il rispettivo sindaco o presidente in base al decreto di cui al comma 8. Nessuna indennità è dovuta ai consiglieri circoscrizionali»;

b) i commi 4 e 6 sono abrogati;

c) al comma 8, la lettera c) è sostituita dalla seguente:

«c) articolazione dell’indennità di funzione dei presidenti dei consigli, dei vice sindaci e dei vice presidenti delle province, degli assessori, in rapporto alla misura della stessa stabilita per il sindaco e per il presidente della provincia. Al presidente e agli assessori delle unioni di comuni, dei consorzi fra enti locali e delle comunità montane sono attribuite le indennità di funzione nella misura massima del 50 per cento dell’indennità prevista per il comune avente maggiore popolazione tra quelli facenti parte dell’unione di comuni, del consorzio fra enti locali o della comunità montana»;

d) al comma 11, il primo periodo è sostituito dai seguenti: «Le indennità di funzione, determinate ai sensi del comma 8, possono essere incrementate con delibera di giunta, relativamente ai sindaci, ai presidenti di provincia e agli assessori comunali e provinciali, e con delibera di consiglio per i presidenti delle assemblee. Sono esclusi dalla possibilità di incremento gli enti locali in condizioni di dissesto finanziario fino alla conclusione dello stesso, nonché gli enti locali che non rispettano il patto di stabilità interno fino all’accertamento del rientro dei parametri. Le delibere adottate in violazione del precedente periodo sono nulle di diritto. La corresponsione dei gettoni di presenza è comunque subordinata alla effettiva partecipazione del consigliere a consigli e commissioni; il regolamento ne stabilisce termini e modalità» e il terzo periodo è soppresso.

4. L’articolo 83 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 è sostituito dal seguente:

«Art. 83. - (Divieto di cumulo) - 1. I parlamentari nazionali ed europei, nonché i consiglieri regionali non possono percepire i gettoni di presenza previsti dal presente capo.

2. Salve le disposizioni previste per le forme associative degli enti locali, gli amministratori locali di cui all’articolo 77, comma 2, non percepiscono alcun compenso, tranne quello dovuto per spese di indennità di missione, per la parteci­pazione ad organi o commissioni comun­que denominate, se tale partecipazione è connessa all’esercizio delle proprie funzioni pubbliche.

3. In caso di cariche incompatibili, le indennità di funzione non sono cumulabili; ai soggetti che si trovano in tale condizione, fino al momento dell’esercizio dell’opzione o comunque sino alla rimo­zione della condizione di incompatibilità, l’indennità per la carica sopraggiunta non viene corrisposta».

5. L’articolo 84 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 è sostituito dal seguente:

«Art. 84. - (Rimborso delle spese di viaggio) - 1. Agli amministratori che, in ragione del loro mandato, si rechino fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente, previa autorizzazione del capo dell’amministrazione, nel caso di componenti degli organi esecutivi, ovvero del presidente del consiglio, nel caso di consiglieri, sono dovuti esclusivamente il rimborso delle spese di viaggio effettiva­mente sostenute, nonché un rimborso forfetario onnicomprensivo per le altre spese, nella misura fissata con decreto del Ministro dell’interno e del Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

2. La liquidazione del rimborso delle spese è effettuata dal dirigente com­petente, su richiesta dell’interessato, corredata della documentazione delle spe­se di viaggio e soggiorno effettivamente sostenute e di una dichiarazione sulla durata e sulle finalità della missione.

3. Agli amministratori che risiedono fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente spetta il rimborso per le sole spese di viaggio effettivamente sostenute per la partecipazione ad ognuna delle sedute dei rispettivi organi assembleari ed esecutivi, nonché per la presenza necessaria presso la sede degli uffici per lo svolgimento delle funzioni proprie o delegate».

6. Ai fini della semplificazione della varietà e della diversità delle forme associative comunali e del processo di rior­ganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, ad ogni amministrazione comunale è consentita l’adesione ad una unica forma associativa per ciascuna di quelle previste dagli articoli 31, 32 e 33 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, fatte salve le disposizioni di legge in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti. Dopo il 1o aprile 2008, se permane l’adesione multipla ogni atto adottato dall’associazione tra comuni è nullo ed è, altresì, nullo ogni atto attinente all’adesione o allo svolgimento di essa da parte dell’amministrazione comunale in­teressata.

7. Le funzioni della commissione elettorale comunale previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223, in materia di tenuta e revisione delle liste elettorali, sono attribuite al responsabile dell’ufficio elettorale comunale. L’incarico di componente delle commissioni elettorali comunali e delle commissioni e sottocom­missioni elettorali circondariali è gratuito, ad eccezione delle spese di viaggio effettivamente sostenute. In tutte le leggi o decreti aventi ad oggetto la materia eletto­rale ogni riferimento alla commissione elettorale comunale deve intendersi effettuato al responsabile dell’ufficio elettorale comunale.

8. A decorrere dal 2008 il fondo ordinario di cui all’articolo 34, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, è ridotto di 313 milioni di euro. In sede di ripartizione delle risorse del fondo ordinario, come rideterminate ai sensi del presente comma, si tiene conto, anche sulla base di certificazioni prodotte dagli enti interessati, delle riduzioni di spesa derivanti, per ciascun ente territoriale, dall’attuazione delle disposizioni del presente articolo. Le risorse derivanti dalle riduzioni di spesa di cui ai commi da 1 a 6, valutate in 313 milioni di euro annui a decorrere dal 2008, sono destinate, per l’anno 2008, per 100 milioni di euro all’incremento del contributo ordinario di cui all’articolo 1, comma 703, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in favore dei piccoli comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, non rientranti nei parametri di cui al medesimo comma, da ripartire in proporzione alla popolazione residente, e per 213 milioni di euro a copertura di quota parte degli oneri derivanti dall’articolo 87.


 

 

L’articolo 26 modifica in più parti il Testo unico sull’ordinamento degli enti locali[91] al principale fine, evidenziato dalla rubrica, di contenere i costi per la rappresentanza degli enti locali.

 

Una parte del contenuto normativo dell’articolo, sia nella versione originaria, sia nella formulazione approvata dal Senato, corrisponde sostanzialmente allo schema di disegno di legge, approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 luglio 2007 e pubblicato nel sito del Governo, recante “Misure per la riduzione dei costi politico-amministrativi e per la promozione della trasparenza”. Iniziative legislative sul tema sono all’esame della Camera dei deputati[92].

 

Si ricorda che le disposizioni del TUEL non trovano applicazione nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome che, in forza dell’autonomia normativa in materia di ordinamento degli enti locali loro riconosciuta, hanno emanato specifiche disposizioni.

Il comma 1 interviene sull’art. 47, comma 1, del TUEL, riducendo il previsto tetto massimo di assessori (comunali e provinciali) da 16 a 12 (vedi testo a fronte).

 

D.Lgs. 267/2000
Testo vigente

D.Lgs. 267/2000
Testo modificato

Articolo 47
Natura e ruolo

Articolo 47
Natura e ruolo

1. La Giunta comunale e la Giunta provinciale sono composte rispettivamente dal sindaco e dal presidente della provincia, che le presiedono, e da un numero di assessori, stabilito dagli statuti, che non deve essere superiore a un terzo, arrotondato aritmeticamente, del numero dei consiglieri comunali e provinciali, computando a tale fine il sindaco e il presidente della provincia, e comunque non superiore a sedici unità.

1. La Giunta comunale e la Giunta provinciale sono composte rispettivamente dal sindaco e dal presidente della provincia, che le presiedono, e da un numero di assessori, stabilito dagli statuti, che non deve essere superiore a un terzo, arrotondato aritmeticamente, del numero dei consiglieri comunali e provinciali, computando a tale fine il sindaco e il presidente della provincia, e comunque non superiore a dodici unità.

2. Gli statuti, nel rispetto di quanto stabilito dal comma 1, possono fissare il numero degli assessori ovvero il numero massimo degli stessi.

2. Identico.

3. Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e nelle province gli assessori sono nominati dal sindaco o dal presidente della provincia, anche al di fuori dei componenti del consiglio, fra i cittadini in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere.

3. Identico.

4. Nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti lo statuto può prevedere la nomina ad assessore di cittadini non facenti parte del consiglio ed in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere.

4. Identico.

5. Fino all’adozione delle norme statutarie di cui al comma 1, le giunte comunali e provinciali sono composte da un numero di assessori stabilito rispettivamente nelle seguenti misure:

a) non superiore a 4 nei comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti; non superiore a 6 nei comuni con popolazione compresa tra 10.001 e 100.000 abitanti; non superiore a 10 nei comuni con popolazione compresa tra 100.001 e 250.000 abitanti e nei capoluoghi di provincia con popolazione inferiore a 100.000 abitanti; non superiore a 12 nei comuni con popolazione compresa tra 250.001 e 500.000 abitanti: non superiore a 14 nei comuni con popolazione compresa tra 500.001 e 1.000.000 di abitanti e non superiore a 16 nei comuni con popolazione superiore a 1.000.000 di abitanti;

b) non superiore a 6 per le province a cui sono assegnati 24 consiglieri; non superiore a 8 per le province a cui sono assegnati 30 consiglieri; non superiore a 10 per le province a cui sono assegnati 36 consiglieri; non superiore a 12 per quelle a cui sono assegnati 45 consiglieri.

5. Identico.

 

La norma vigente prevede che la Giunta comunale e la Giunta provinciale sono composte rispettivamente dal sindaco e dal presidente della provincia e da un numero di assessori, stabilito dagli statuti, che non deve essere superiore a un terzo, arrotondato aritmeticamente, del numero dei consiglieri comunali e provinciali, computando a tale fine il sindaco e il presidente della provincia, e comunque non superiore a 16 unità.

 

La modifica proposta riduce pertanto il numero massimo dei componenti delle giunte nei comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti, in quelli che, pur avendo popolazione inferiore, siano capoluoghi di provincia e nelle province con popolazione residente superiore a 1.400.000 abitanti.

 

La composizione delle giunte comunali e provinciali è direttamente correlata a quella dei rispettivi consigli dall’art. 47, comma 1, del TUEL.

L’art. 37 del TUEL determina la composizione dei consigli comunali[93] e provinciali[94] in relazione alla dimensione demografica degli enti, come risulta dall’ultimo censimento.

Nelle due tabelle seguenti si riporta il numero degli enti (comuni e province) che dovrebbero essere interessati dalla disposizione in esame, suddivisi per classe demografica, con l’indicazione del numero di consiglieri previsti dall’art. 37 del TUEL e del tetto massimo di assessori attualmente indicato dall’art. 47 del medesimo TUEL.

Non sono stati considerate né le province né i comuni appartenenti alle regioni a statuto speciale. Per il numero dei comuni e la loro ripartizione in classi demografiche si è fatto riferimento ai dati del censimento 2001. Per quanto riguarda le province, sono state considerate quelle costituite al 31 dicembre 2006.


Componenti Giunte comunali

 

Classe demografica

Numero dei componenti del Consiglio (compreso il sindaco)

Tetto massimo degli assessori attualmente previsto

Numero dei comuni

100.001-250.000 e capoluoghi di provincia con popolazione inferiore

41

14

75

250.001-500.000

47

16

5

500.001-1.000.000

51

16

2

Oltre 1.000.000

61

16

3

Totale

 

 

85

 

Componenti Giunte provinciali

 

Classe demografica

Numero dei componenti del Consiglio (compreso il presidente della provincia)

Tetto massimo degli assessori attualmente previsto

Numero delle province

oltre 1.400.000 abitanti

45

15

5

 

Non essendo prevista una norma transitoria, si dovrebbe ipotizzare che i consigli comunali e provinciali provvedano ad adeguare gli statuti in modo da recepire in questi ultimi la disposizione in esame e conseguentemente pervenire ad una composizione delle giunte rispettosa dei nuovi limiti fissati.

 

Si ricorda peraltro che il comma 2 dell’art. 47 del TUEL stabilisce che gli statuti possono fissare in modo rigido il numero degli assessori, oppure determinarne il numero massimo: in quest’ultimo caso, il sindaco e il presidente della provincia hanno piena facoltà di limitare la composizione della giunta nominando un numero di assessori inferiore a quello massimo.

 

Il comma 2, articolato nelle lettere a) e b), interviene sull’articolo 81 del TUEL, che disciplina il regime delle aspettative degli amministratori locali (vedi testo a fronte).

 

 

 

D.Lgs. 267/2000
Testo vigente

D.Lgs. 267/2000
Testo modificato

Articolo 81
Aspettative

Articolo 81
Aspettative

1. Gli amministratori locali di cui all’articolo 77, comma 2, che siano lavoratori dipendenti possono essere collocati a richiesta in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato. Il periodo di aspettativa è considerato come servizio effettivamente prestato, nonché come legittimo impedimento per il compimento del periodo di prova.

1. I sindaci, i presidenti delle province, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché i membri delle giunte di comuni e province che siano lavoratori dipendenti possono essere collocati a richiesta in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato. Il periodo di aspettativa è considerato come servizio effettivamente prestato, nonché come legittimo impedimento per il compimento del periodo di prova. I consiglieri di cui all’articolo 77, comma 2, se a domanda collocati in aspettativa non retribuita per il periodo di espletamento del mandato, assumono a proprio carico l’intero pagamento degli oneri previdenziali, assistenziali e di ogni altra natura previsti dall’articolo 86.

 

 

La disposizione di cui alla lettera a) modifica il primo periodo del vigente art. 81 al fine di limitare la possibilità di collocamento in aspettativa non retribuita, per il periodo di espletamento del mandato, soltanto ad alcune figure di amministratori locali, vale a dire ai: sindaci, presidenti delle province, presidenti dei consigli comunali e provinciali, presidenti delle comunità montane e delle unioni di comuni, componenti delle giunte comunali e provinciali.

 

L’art. 81, nel testo vigente, prevede che gli amministratori locali di cui all’articolo 77, comma 2, che siano lavoratori dipendenti, possano essere collocati a richiesta in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato. Il periodo di aspettativa è considerato come servizio effettivamente prestato, nonché come legittimo impedimento per il compimento del periodo di prova.

Attraverso il richiamo all’art. 77, secondo comma, la normativa vigente comprende dunque – oltre alle figure contemplate dal comma in esame – anche i consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, i consiglieri e gli assessori delle comunità montane, i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, nonché i componenti degli organi di decentramento.

 

La disposizione di cui alla lettera b) aggiunge invece al vigente art. 81 un nuovo periodo, che riguarda i “consiglieri” di cui all’articolo 77, comma 2; essa sembra fare dunque riferimento ai seguenti soggetti in quanto componenti dei rispettivi organi rappresentativi: i consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, i presidenti dei consigli comunali, metropolitani e provinciali, i consiglieri delle comunità montane[95], i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, nonché i componenti degli organi di decentramento. La novella introdotta dalla lettera b) della disposizione in esame dispone che tutti costoro assumano a proprio carico l’intero pagamento degli oneri previdenziali, assistenziali e di ogni altra natura previsti dall’articolo 86, qualora siano stati collocati – a domanda – in aspettativa non retribuita per il periodo di espletamento del mandato.

Dalla lettura dell’art. 81 del TUEL, come risulta nel testo novellato dalle due disposizioni illustrate, sembrerebbe dunque che possano essere comunque collocati in aspettativa tutti i soggetti[96] di cui all’art. 77, comma 2, del TUEL, pur se il pagamento degli oneri previdenziali è posto a carico dell’ente locale soltanto per gli amministratori espressamente elencati nel primo periodo dell’art. 81 come riformulato, e cioè per i sindaci, presidenti delle province, presidenti dei consigli comunali e provinciali, presidenti delle comunità montane e delle unioni di comuni, componenti delle giunte comunali e provinciali.

Il nuovo testo dell’art. 81, inoltre, dovrebbe essere coordinato con quello dell’art. 86, comma 1, del TUEL, che non viene modificato dalla disposizione in esame.

 

L’art. 86, comma 1, stabilisce che gli enti locali assumano a proprio carico il versamento degli oneri assistenziali, previdenziali e assicurativi per i seguenti amministratori locali che siano lavoratori dipendenti collocati in aspettativa non retribuita per il periodo di espletamento del mandato: sindaci, presidenti di provincia, presidenti di comunità montane, di unioni di comuni e di consorzi fra enti locali, assessori provinciali e assessori dei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, presidenti dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti, presidenti dei consigli provinciali; presidenti dei consigli circoscrizionali nei casi in cui il comune abbia attuato nei loro confronti un effettivo decentramento di funzioni; presidenti delle aziende anche consortili fino all’approvazione della riforma in materia di servizi pubblici locali.

 

Il comma 3, con le disposizioni di cui alle lettere da a) a d), apporta alcune modifiche all’articolo 82 del TUEL, relativo alle indennità degli amministratori locali (vedi testo a fronte).

 

D.Lgs. 267/2000
Testo vigente

D.Lgs. 267/2000
Testo modificato

Articolo 82
Indennità

Articolo 82
Indennità

1. Il decreto di cui al comma 8 del presente articolo determina una indennità di funzione, nei limiti fissati dal presente articolo, per il sindaco, il presidente della provincia, il sindaco metropolitano, il presidente della comunità montana, i presidenti dei consigli circoscrizionali dei soli comuni capoluogo di provincia, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, nonché i componenti degli organi esecutivi dei comuni e ove previste delle loro articolazioni, delle province, delle città metropolitane, delle comunità montane, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali. Tale indennità è dimezzata per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto l’aspettativa.

1. Identico.

2. I consiglieri comunali, provinciali, circoscrizionali, limitatamente ai comuni capoluogo di provincia, e delle comunità montane hanno diritto a percepire, nei limiti fissati dal presente capo, un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni. In nessun caso l’ammontare percepito nell’ambito di un mese da un consigliere può superare l’importo pari ad un terzo dell’indennità massima prevista per il rispettivo sindaco o presidente in base al decreto di cui al comma 8.

2. I consiglieri comunali, provinciali, circoscrizionali e delle comunità montane hanno diritto a percepire, nei limiti fissati dal presente capo, un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni. In nessun caso l’ammontare percepito nell’ambito di un mese da un consigliere può superare l’importo pari ad un quarto dell’indennità massima prevista per il rispettivo sindaco o presidente in base al decreto di cui al comma 8. Nessuna indennità è dovuta ai consiglieri circoscrizionali.

3. Ai soli fini dell’applicazione delle norme relative al divieto di cumulo tra pensione e redditi, le indennità di cui ai commi 1 e 2 non sono assimilabili ai redditi da lavoro di qualsiasi natura.

3. Identico.

4. Gli statuti e i regolamenti degli enti possono prevedere che all’interessato competa, a richiesta, la trasformazione del gettone di presenza in una indennità di funzione, sempre che tale regime di indennità comporti per l’ente pari o minori oneri finanziari. Il regime di indennità di funzione per i consiglieri prevede l’applicazione di detrazioni dalle indennità in caso di non giustificata assenza dalle sedute degli organi collegiali.

Abrogato

5. Le indennità di funzione previste dal presente capo non sono tra loro cumulabili. L’interessato opta per la percezione di una delle due indennità ovvero per la percezione del 50 per cento di ciascuna.

5. Identico.

6. Le indennità di funzione sono cumulabili con i gettoni di presenza quando siano dovuti per mandati elettivi presso enti diversi, ricoperti dalla stessa persona.

Abrogato

7. Agli amministratori ai quali viene corrisposta l’indennità di funzione prevista dal presente capo non è dovuto alcun gettone per la partecipazione a sedute degli organi collegiali del medesimo ente, né di commissioni che di quell’organo costituiscono articolazioni interne ed esterne.

7. Identico.

8. La misura delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza di cui al presente articolo è determinata, senza maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali nel rispetto dei seguenti criteri:

8. Identico:

a) equiparazione del trattamento per categorie di amministratori;

a) identica;

b) articolazione delle indennità in rapporto con la dimensione demografica degli enti, tenuto conto delle fluttuazioni stagionali della popolazione, della percentuale delle entrate proprie dell’ente rispetto al totale delle entrate, nonché dell’ammontare del bilancio di parte corrente;

b) identica;

c) articolazione dell’indennità di funzione dei presidenti dei consigli, dei vicesindaci e dei vice presidenti delle province, degli assessori e dei consiglieri che hanno optato per tale indennità, in rapporto alla misura della stessa stabilita per il sindaco e per il presidente della provincia. Al presidente e agli assessori delle unioni di comuni, dei consorzi fra enti locali e delle comunità montane sono attribuite le indennità di funzione nella misura prevista per un comune avente popolazione pari alla popolazione dell’unione di comuni, del consorzio fra enti locali o alla popolazione montana della comunità montana;

c) articolazione dell’indennità di funzione dei presidenti dei consigli, dei vice sindaci e dei vice presidenti delle province, degli assessori, in rapporto alla misura della stessa stabilita per il sindaco e per il presidente della provincia. Al presidente e agli assessori delle unioni di comuni, dei consorzi fra enti locali e delle comunità montane sono attribuite le indennità di funzione nella misura massima del 50 per cento dell’indennità prevista per il comune avente maggiore popolazione tra quelli facenti parte dell’unione di comuni, del consorzio fra enti locali o delle comunità montane;

d) definizione di speciali indennità di funzione per gli amministratori delle città metropolitane in relazione alle particolari funzioni ad esse assegnate;

d) identica;

e) determinazione dell’indennità spettante al presidente della provincia e al sindaco dei comuni con popolazione superiore a dieci mila abitanti, comunque, non inferiore al trattamento economico fondamentale del segretario generale dei rispettivi enti; per i comuni con popolazione inferiore a dieci mila abitanti, nella determinazione dell’indennità si tiene conto del trattamento economico fondamentale del segretario comunale;

e) identica;

f) previsione dell’integrazione dell’indennità dei sindaci e dei presidenti di provincia, a fine mandato, con una somma pari a una indennità mensile, spettante per ciascun anno di mandato.

f) identica.

9. Su richiesta della Conferenza Stato-città ed autonomie locali si può procedere alla revisione del decreto ministeriale di cui al comma 8 con la medesima procedura ivi indicata.

9. Identico.

10. Il decreto ministeriale di cui al comma 8 è rinnovato ogni tre anni ai fini dell’adeguamento della misura delle indennità e dei gettoni di presenza sulla base della media degli indici annuali dell’ISTAT di variazione del costo della vita applicando, alle misure stabilite per l’anno precedente, la variazione verificatasi nel biennio nell’indice dei prezzi al consumo rilevata dall’ISTAT e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale relativa al mese di luglio di inizio ed al mese di giugno di termine del biennio.

10. Identico.


11. Le indennità di funzione e i gettoni di presenza, determinati ai sensi del comma 8, possono essere incrementati o diminuiti con delibera di Giunta e di consiglio per i rispettivi componenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Nel caso di incremento la spesa complessiva risultante non deve superare una quota predeterminata dello stanziamento di bilancio per le spese correnti, fissata, in rapporto alla dimensione demografica degli enti, dal decreto di cui al comma 8. Sono esclusi dalla possibilità di incremento gli enti locali in condizioni di dissesto finanziario.

11. Le indennità di funzione, determinate ai sensi del comma 8, possono essere incrementate con delibera di giunta, relativamente ai sindaci, ai presidenti di provincia e agli assessori comunali e provinciali, e con delibera di consiglio per i presidenti delle assemblee. Sono esclusi dalla possibilità di incremento gli enti locali in condizioni di dissesto finanziario fino alla conclusione dello stesso, nonché gli enti locali che non rispettano il patto di stabilità interno fino all’accertamento del rientro dei parametri. Le delibere adottate in violazione del precedente periodo sono nulle di diritto. La corresponsione dei gettoni di presenza è comunque subordinata alla effettiva partecipazione del consigliere a consigli e commissioni; il regolamento ne stabilisce termini e modalità. Nel caso di incremento la spesa complessiva risultante non deve superare una quota predeterminata dello stanziamento di bilancio per le spese correnti, fissata, in rapporto alla dimensione demografica degli enti, dal decreto di cui al comma 8.

 

 

La lettera a) sostituisce il testo vigente del comma 2 dell’art. 82, riducendo da un terzo a un quarto dell’indennità del sindaco o del presidente dell’organo rappresentativo dell’ente locale, il limite massimo di valore del gettone di presenza che consiglieri comunali, provinciali, circoscrizionali e delle comunità montane hanno diritto a percepire per la partecipazione a consigli e commissioni.

Il nuovo testo, inoltre:

§      esclude espressamente dal diritto all’indennità tutti i consiglieri circoscrizionali;

§      include nel diritto al gettone di presenza i consiglieri circoscrizionali di comuni non capoluogo di provincia (i consiglieri circoscrizionali di comuni capoluogo di provincia hanno già tale diritto ai sensi dell’art. 82 TUEL nel testo vigente).

Non è chiara la finalità della previsione di cui al primo punto (esclusione dei consiglieri circoscrizionali dal diritto all’indennità), in quanto l’art. 82, comma 1, del TUEL, che non viene modificato, attribuisce l’indennità di funzione unicamente ai presidenti dei consigli circoscrizionali dei soli comuni capoluogo di provincia, mentre, per i consiglieri circoscrizionali, l’art. 82, comma 2, prevede il diritto a percepire soltanto i gettoni di presenza.

 

La lettera b) abroga i commi 4 e 6 del testo vigente dell’art. 82, facendo in tal modo venire la possibilità di trasformare il gettone di presenza in indennità di funzione e di cumulare entrambi gli emolumenti.

 

Secondo la disciplina vigente (art. 82 TUEL, modificato proprio per questa parte dalla lettera b)) gli statuti e i regolamenti degli enti possono prevedere che l’interessato opti, a richiesta, per la trasformazione del gettone di presenza in una indennità di funzione, sempre che tale regime di indennità comporti per l’ente pari o minori oneri finanziari. Nel caso in cui si scelga il regime di indennità di funzione, questo deve prevedere l’applicazione di detrazioni dalle indennità in caso di assenza ingiustificata dalle sedute degli organi collegiali (comma 4).

Le indennità di funzione sono cumulabili con i gettoni di presenza soltanto nel caso in cui siano dovuti per mandati elettivi presso enti diversi, ricoperti dalla stessa persona (comma 6).

Agli amministratori ai quali viene corrisposta l’indennità di funzione non è dovuto alcun gettone per la partecipazione a sedute degli organi collegiali del medesimo ente, né di commissioni che di quell’organo costituiscono articolazioni interne ed esterne (comma 7).

 

La lettera c), sostituisce il testo vigente della lettera c) del comma 8 dell’art. 82, recante alcuni dei criteri per la quantificazione delle indennità e dei gettoni di presenza.

 

La determinazione della misura base delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza è demandata (art. 82, comma 8) ad un regolamento ministeriale, adottato con decreto del ministro dell’interno[97], nel rispetto di specifici criteri, elencati nelle lettere da a) a f) del medesimo comma 8. La lettera c), in particolare, stabilisce che l’importo dell’indennità di funzione dei presidenti dei consigli, dei vicesindaci e dei vice presidenti delle province, degli assessori, e dei consiglieri che hanno optato per tale indennità, deve essere parametrato a quello fissato per il sindaco e per il presidente della provincia.

Le indennità del presidente e degli assessori delle forma associative di enti locali sono invece pari a quelle previste per un comune cha abbia popolazione pari alla popolazione dell’unione dei diversi enti locali associati o alla popolazione montana della comunità montana.

 

Il testo proposto:

§      elimina il riferimento ai “consiglieri” che hanno optato per le indennità, essendo venuta meno tale possibilità (in conseguenza della già esaminata soppressione del comma 4 dell’art. 82);

§      modifica il parametro per la fissazione delle indennità del presidente e degli assessori delle forme associative di enti locali (unioni di comuni, consorzi e comunità montane), riducendolo dal 100% dell’indennità prevista per un comune con popolazione pari alla somma di popolazioni dei diversi enti associati, al 50% dell’indennità prevista per il comune avente maggiore popolazione, tra quelli facenti parte dell’unione o della comunità montana.

 

La lettera d), sostituisce il primo periodo del testo vigente del comma 11 dell’art. 82, concernente la facoltà degli organi degli enti locali di modificare le indennità e i gettoni di presenza.

 

Le misure delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza possono essere incrementate (se l’ente non versa in stato di dissesto finanziario) o diminuite con delibera consiliare o della giunta, sulla base di valutazioni e scelte politiche e di gestione[98] (art. 82, co. 11).

La legge pone un limite agli incrementi: la spesa complessiva per le indennità e i gettoni di presenza risultante non deve superare una quota dello stanziamento di bilancio per le spese correnti, fissata, in rapporto alla dimensione demografica degli enti, dalla tabella D del D.M. 119/2000.

La L. 266/2005 (legge finanziaria 2006), all’art. 1, co. 201, dispone che gli enti locali possono concorrere al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica attraverso interventi diretti alla riduzione dei costi di funzionamento degli organi istituzionali, da adottare ai sensi dell’art. 82, co. 11, del D.Lgs. 267/2000.

il disegno di legge finanziaria per il 2007 (A.C. 1746-bis), nel testo originario presentato dal Governo, prevedeva, all’art. 76, co. 1, lett. i), la soppressione della facoltà per gli organi degli enti locali di aumentare, ai sensi dell’art. 82, co. 11, del D.Lgs. 267/2000, le indennità e i gettoni di presenza, mantenendo ferma la possibilità di apportare riduzioni a tali emolumenti. La disposizione stabiliva inoltre che gli eventuali incrementi già disposti dovessero essere eliminati dalle amministrazioni locali entro un mese dall’entrata in vigore della legge finanziaria 2007. La previsione illustrata, presente anche nel testo approvato in prima lettura dalla Camera (A.S. 1183, art. 18, comma 361), è stata successivamente soppressa nel corso dell’esame al Senato in seguito all’approvazione del “maxiemendamento” del Governo.

 

Nel nuovo testo del comma 11 dell’art. 82 viene soppresso il riferimento ai gettoni di presenza e si prevede, per le indennità, la possibilità di incremento unicamente per i sindaci, i presidenti di provincia e gli assessori (con delibera della giunta) e per i presidenti delle assemblee (con delibera del consiglio).

In tal modo, risulta del tutto eliminata la facoltà per gli organi degli enti locali di adeguare gli importi dei gettoni di presenza e viene inoltre ridotto il numero degli amministratori locali per i quali è possibile: non sono più compresi tra questi i presidenti di comunità montane e dei consigli circoscrizionali dei comuni capoluogo di provincia e i componenti degli organi esecutivi di comunità montane, unioni di comuni, consorzi fra enti locali.

Il nuovo testo, inoltre, esclude dalla possibilità di incremento gli enti locali in condizioni di dissesto finanziario fino alla conclusione dello stesso, nonché gli enti locali che non rispettano il patto di stabilità interno fino all’accertamento del rientro dei parametri. Le delibere adottate in violazione di tali divieti sono nulle di diritto.

Il testo vigente del comma 11 dell’art. 82 già esclude dalla possibilità di incremento gli enti locali in condizioni di dissesto finanziario.

Il comma 11 dell’art. 82, come riformulato, subordina la corresponsione dei gettoni di presenza alla effettiva partecipazione del consigliere a consigli e commissioni, rimettendo al regolamento (comunale) termini e modalità (è da ritenere, specialmente in relazione alla nozione di “effettiva”).

 

Il comma 4 sostituisce l’articolo 83 del TUEL, che disciplina il divieto di cumulo degli emolumenti degli amministratori locali (vedi testo a fronte).

 

 

D.Lgs. 267/2000
Testo vigente

D.Lgs. 267/2000
Testo modificato

Articolo 83
Divieto di cumulo

Articolo 83
Divieto di cumulo

1. I parlamentari nazionali o europei, nonché i consiglieri regionali possono percepire solo i gettoni di presenza previsti dal presente Capo.

1. I parlamentari nazionali o europei, nonché i consiglieri regionali non possono percepire i gettoni di presenza previsti dal presente Capo.

 

2. Salve le disposizioni previste per le forme associative degli enti locali, gli amministratori locali di cui all’articolo 77, comma 2, non percepiscono alcun compenso, tranne quello dovuto per spese di indennità di missione, per la partecipazione ad organi o commissioni comunque denominate, se tale partecipazione è connessa all’esercizio delle proprie funzioni pubbliche.

 

 

 

3. In caso di cariche incompatibili, le indennità di funzione non sono cumulabili; ai soggetti che si trovano in tale condizione, fino al momento dell’esercizio dell’opzione o comunque sino alla rimozione della condizione di incompatibilità, l’indennità per la carica sopraggiunta non viene corrisposta.

 

 

Il testo vigente consta di un solo comma, con cui si stabilisce che parlamentari nazionali o europei, e consiglieri regionali possono percepire soltanto i gettoni di presenza. Il novellato comma 1 dell’art. 83 esclude invece tale possibilità.

Viene poi introdotto un comma 2, ai sensi del quale gli amministratori locali (definiti in senso ampio , con riferimento all’articolo 77, comma 2, del TUEL[99]) non percepiscono alcun compenso per la partecipazione ad organi o commissioni comunque denominati, se tale partecipazione è connessa all’esercizio delle proprie funzioni pubbliche.

Sono invece percepibili le indennità di missione e sono fatte salve le disposizioni previste per le forme associative degli enti locali, che hanno una disciplina specifica.

Con il comma 3, anch’esso aggiunto dalla novella in esame, si dispone infine che, in presenza di cariche incompatibili, non si cumulano le indennità di funzione.

L’indennità spettante per la carica sopraggiunta (che si è cioè aggiunta – in modo incompatibile – a quella già esercitata) non viene corrisposta, fino al momento dell’esercizio dell’opzione (che è l’ordinaria modalità di risoluzione delle incompatibilità) a chi venga a trovarsi a cumulare la carica incompatibile.

La rimozione della condizione di incompatibilità rende poi percepibile l’unica indennità cui si ha, da quel momento, diritto.

L’indennità per la carica "sopraggiunta" non dovrebbe competere fin dal momento di acquisizione della nuova carica, ma il momento di accertamento di tale status potrebbe essere successivo: in tal caso, potrebbe dunque porsi la questione del recupero di indennità indebitamente percepite.

 

 

Il comma 5 novella l’articolo 84 del TUEL, allo scopo di sostituire l’indennità di missione percepita dagli amministratori locali in caso di viaggio, con un rimborso forfettario onnicomprensivo per le spese diverse da quelle di viaggio, il cui importo è fissato con decreto del Ministero dell’interno e del Ministero dell’economia, d’intesa con la Conferenza Stato-città, mantenendo comunque il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute (vedi testo a fronte).

 

D.Lgs. 267/2000
Testo vigente

D.Lgs. 267/2000
Testo modificato

Articolo 84
Rimborsi spese e indennità di missione

Articolo 84
Rimborso delle spese di viaggio

1. Agli amministratori che, in ragione del loro mandato, si rechino fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente, previa autorizzazione del capo dell’amministrazione, nel caso di componenti degli organi esecutivi, ovvero del presidente del consiglio, nel caso di consiglieri, sono dovuti il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute, nonché la indennità di missione alle condizioni dell’articolo 1, comma 1, e dell’articolo 3, commi 1 e 2, della legge 18 dicembre 1973, n. 836, e per l’ammontare stabilito al numero 2) della tabella A allegata alla medesima legge, e successive modificazioni.

1. Agli amministratori che, in ragione del loro mandato, si rechino fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente, previa autorizzazione del capo dell’amministrazione, nel caso di componenti degli organi esecutivi, ovvero del presidente del consiglio, nel caso di consiglieri, sono dovuti esclusivamente il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute, nonché un rimborso forfettario onnicomprensivo per le altre spese, nella misura fissata con decreto del Ministro dell’interno e del Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

2. La liquidazione del rimborso delle spese o dell’indennità di missione è effettuata dal dirigente competente, su richiesta dell’interessato, corredata della documentazione delle spese di viaggio e soggiorno effettivamente sostenute e di una dichiarazione sulla durata e sulle finalità della missione.

2. La liquidazione del rimborso delle spese è effettuata dal dirigente competente, su richiesta dell’interessato, corredata della documentazione delle spese di viaggio e soggiorno effettivamente sostenute e di una dichiarazione sulla durata e sulle finalità della missione.

3. Agli amministratori che risiedono fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente, spetta il rimborso per le sole spese di viaggio effettivamente sostenute, per la partecipazione ad ognuna delle sedute dei rispettivi organi assembleari ed esecutivi, nonché per la presenza necessaria presso la sede degli uffici per lo svolgimento delle funzioni proprie o delegate.

3. Identico.

4. I consigli e le assemblee possono sostituire all’indennità di missione il rimborso delle spese effettivamente sostenute, disciplinando con regolamento i casi in cui si applica l’uno o l’altro trattamento.

4. Soppresso.

 

La disposizione, per il resto, conferma quella vigente, ad eccezione del comma 4, che prevede attualmente la possibilità di sostituire l’indennità di missione con il rimborso delle spese effettivamente sostenute.

 

Gli amministratori che si recano, per motivi dipendenti dal loro mandato, fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente hanno diritto al rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute, nonché all’indennità di missione (art. 84, TUEL).

Le missioni devono essere autorizzate dal capo dell’amministrazione, nel caso di componenti degli organi esecutivi, dal presidente del consiglio, nel caso di consiglieri.

Le richieste di rimborso delle spese di viaggio e soggiorno devono essere documentate e accompagnate da una dichiarazione sulla durata e sulle finalità della missione.

Agli amministratori che non risiedono nel capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente, sono rimborsate le sole spese di viaggio effettivamente sostenute, per la partecipazione ad ognuna delle sedute dei rispettivi organi assembleari ed esecutivi, e per la presenza necessaria presso la sede degli uffici per lo svolgimento delle loro funzioni.

L’indennità di missione può essere sostituita dal rimborso di tutte le spese - non solo quelle di viaggio - effettivamente sostenute (comma 4).

 

Il comma 6 prevede che ogni comune possa aderire ad una unica forma associativa per ciascuna di quelle previste dagli articoli 31, 32 e 33 del TUEL (sostanzialmente, consorzi e unioni di comuni).

Finalità della norma è la semplificazione della varietà e della diversità delle forme associative comunali e del processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture.

La norma in esame sanziona la permanenza di un comune in più di una forma associativa dello stesso tipo oltre il termine del 1° aprile 2008 ("adesione multipla"). In tal caso è nullo non solo ogni atto adottato dall’associazione (forma associativa), ma anche ogni atto attinente all’adesione o allo svolgimento di essa da parte del comune interessato (per il quale - dovrebbe intendersi - permane l’adesione a più forme associative).

Si osserva che la nullità degli atti dell’“associazione” pare colpire anche i comuni ad essa partecipanti eventualmente incolpevoli (per i quali non si configuri cioè adesione multipla), nonché tutte le associazioni alle quali il comune partecipi, inclusa – ad esempio – la prima alla quale abbia ha aderito.

In considerazione del fatto che l’art. 33 del TUEL disciplina le linee principali dell’intervento regionale in materia di incentivazione delle forme associative dei Comuni ai fini della riorganizzazione sovracomunale dei servizi e delle funzioni, andrebbe valutato come la disposizione in esame si inserisca nel quadro delle competenze dello Stato e delle Regioni delineate dalla riforma del Titolo V della Costituzione.

La disposizione, infine, incide direttamente su norme contenute nel TUEL. Si dovrebbe pertanto valutare l’opportunità –conformemente a quanto previsto dal punto 3), lettera a), della Circolare del Presidente della Camera del 20 aprile 2001, recante regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi – di riformularla in termini di novella al Testo unico citato.

 

La norma fa espressamente salve le disposizioni di legge in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti, per le quali sia rinvia alla scheda relativa alla disposizione sugli ambiti territoriali ottimali (ATO) di cui all’art. 27.

 

Gli articoli 31, 32 e 33 del TUEL sono contenuti, insieme ad altri, nel capo V[100] del Testo unico, intitolato appunto alle forme associative.

Ivi si prevedono, oltre alle convenzioni[101] (art. 30), i “consorzi” e le “unioni di comuni” (art. 32). Si ricorda peraltro che il comma 7 dell’art. 31 già dispone che tra gli stessi enti locali non può essere costituito più di un consorzio; inoltre, la legge dello Stato, in caso di rilevante interesse pubblico, può prevedere la costituzione di consorzi obbligatori. L’art. 33 non individua ulteriori forme di associazione e di cooperazione tra i Comuni; esso attribuisce alle Regioni il compito di promuovere l’esercizio associato delle funzioni dei Comuni e di individuare i livelli ottimali di esercizio delle stesse. Le regioni predispongono, concordandolo con i Comuni nelle apposite sedi concertative, un programma per l’individuazione degli ambiti per la gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi, prevedendo la corresponsione di contributi per incentivare l’unificazione tra gli enti.

I consorzi e le unioni di comuni, differentemente dalle convenzioni, prevedono la costituzione di organi amministrativi per la loro conduzione. Si ricorda peraltro, che, per quanto riguarda le unioni di comuni, il presidente dell’unione deve essere scelto tra i sindaci dei comuni interessati e gli altri organi devono essere formati da componenti delle giunte e dei consigli dei comuni associati (art. 32, comma 2).

 

Il comma 7 stabilisce che le funzioni della commissione elettorale comunale in materia di tenuta e revisione delle liste elettorali, siano attribuite al responsabile dell’ufficio elettorale comunale e che in tutte le leggi o decreti aventi ad oggetto materia elettorale, ogni riferimento alla Commissione elettorale comunale deve intendersi effettuato al responsabile dell’ufficio elettorale comunale.

 

Non risulta chiara la finalità della disposizione illustrata: essa sembra voler attribuire al responsabile dell’ufficio elettorale comunale (cioè ad una figura gerarchica del personale dell’ente, in qualche modo sottoposta al sindaco) le funzioni in materia di tenuta e revisione delle liste elettorali attualmente svolte dalla Commissione elettorale comunale (che è invece un organo collegiale, eletto dal Consiglio comunale al suo interno).

Secondo quando si evince dal tenore letterale della disposizione, che fa espresso riferimento soltanto al Testo unico sull’elettorato attivo (D.P.R. 223/1967[102]), sembrano invece rimanere in capo alla Commissione elettorale comunale le funzioni relative alla tenuta dell’albo degli scrutatori e alla nomina degli stessi affidate a tale organo dalla L. 95/1989[103].

 

Il Consiglio comunale nella prima seduta elegge, tra i propri membri, la Commissione elettorale comunale, composta dal sindaco e da tre componenti effettivi e tre supplenti nei comuni al cui consiglio sono assegnati fino a cinquanta consiglieri, da otto componenti effettivi e otto supplenti negli altri comuni (art. 12, D.P.R. 223/1967).

Il riferimento alla Commissione elettorale comunale contenuto in tutte le leggi o decreti aventi ad oggetto materia elettorale si intende effettuato, ai sensi dell’art. 26, comma 13, della legge 340/2000[104], all’Ufficiale elettorale.

Secondo quanto stabilisce l’art. 4-bis del D.P.R. 223/1967, alla tenuta e all’aggiornamento delle liste elettorali provvede l’Ufficio elettorale e in ciascun comune l’Ufficiale elettorale è la Commissione elettorale prevista dagli articoli 12, 13, 14 e 15 dello stesso testo unico. Nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti la Commissione elettorale può delegare e revocare le funzioni di Ufficiale elettorale al segretario comunale o a un funzionario del comune.

 

La disposizione sopprime inoltre il gettone di presenza che viene attualmente corrisposto ai componenti delle commissioni e delle sottocommissioni elettorali circondariali, mantenendo invece il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute.

 

In ogni comune capoluogo di circoscrizione giudiziaria, dopo l’insediamento del consiglio provinciale, è costituita, con decreto del presidente della corte di appello, una commissione elettorale circondariale[105], presieduta dal prefetto o da un suo delegato e composta da quattro componenti effettivi e da quattro componenti supplenti, di cui uno effettivo ed uno supplente designati dal prefetto, e tre effettivi e tre supplenti designati dal consiglio provinciale (art. 21 del D.P.R. 223/1967). Nei circondari con popolazione superiore a 50.000 abitanti può essere costituita, su proposta del presidente della Commissione circondariale, una sottocommissione elettorale circondariale.

Ai componenti e ai segretari delle commissioni (e delle sottocommissioni) elettorali circondariali può essere corrisposto, oltre al rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute, un gettone di presenza pari a lire 60.000 (euro 30,99), al lordo delle ritenute di legge, in luogo di quello previsto dalle disposizioni in vigore per i componenti delle commissioni costituite presso le amministrazioni dello Stato. L’importo del gettone di presenza è rivalutato, a partire dall’anno 2000, con le procedure ed i termini previsti dalla legge 117/1985[106].

 

Il comma 8, infine, contiene le disposizioni di rilievo finanziario relative alle risorse derivanti dalle riduzioni di spesa di cui ai commi da 1 a 6 che precedono.

A decorrere dal 2008 il “fondo ordinario” (su cui v. infra) è ridotto di 313 milioni di euro, vale a dire per un ammontare pari a quello per il quale vengono valutati i risparmi derivanti dai commi da 1 a 6 fin qui esaminati.

Dal testo qui in esame potrebbe dedursi che dal comma 7 non sono attesi in modo esplicito risparmi.

Il comma in esame, quindi, destina la stessa cifra di 313 milioni di euro che sono in sostanza finanziati dai predetti risparmi, per le seguenti finalità per l’anno 2008:

§      per 213 milioni di euro a copertura di quota parte degli oneri derivanti dall’articolo 87 (relativo alla quota fissa di partecipazione, alla cui scheda si rimanda).

§      per 100 milioni di euro all’incremento del contributo ordinario di cui all’articolo 1, comma 703, della legge finanziaria 2007, in favore dei piccoli comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, non rientranti nei parametri di cui al medesimo comma, da ripartirsi in proporzione alla popolazione residente.

Beneficiari sono – più precisamente – una parte dei piccoli comuni, in particolare quelli dotati delle seguenti caratteristiche:

§      popolazione fino a 5.000 abitanti;

§      non rientranti nei parametri previsti dall’articolo 1, comma 703, della legge finanziaria 2007, vale a dire:

§      popolazione residente oltre i 65 anni superiore al 30% del totale;

§      popolazione residente sotto i 5 anni superiore al 5% del totale.

 

Il comma 703 citato reca numerose disposizioni in favore dei piccoli comuni, individuando i beneficiari su 3 parametri, contenuti alle lettere da a) a c) dello stesso comma. Il terzo parametro, che riguarda i piccolissimi comuni sotto i 3.000 abitanti, conferisce risorse a valere sul fondo ordinario per gli investimenti e perciò potrebbe essere ritenuto non incluso per il riferimento – nella disposizione in esame – al “contributo ordinario”.

I comuni sono individuati dal comma 703 della legge finanziaria 2007, in primo luogo, per avere una popolazione fino a 5.000 abitanti, e, in secondo luogo, per avere una delle seguenti caratteristiche:

§       rapporto tra la popolazione residente ultrasessantacinquenne e popolazione residente complessiva è superiore al 30 per cento (55 milioni di contributo ordinario, di cui il 50 per cento finalizzato ad interventi di natura sociale e socio-assistenziale);

§rapporto tra popolazione residente di età inferiore a cinque anni e popolazione residente complessiva è superiore al 5 per cento (71 milioni di contributo ordinario, di cui almeno il 50 per cento finalizzato ad interventi di natura sociale);

§       popolazione inferiore a 3.000 abitanti (42 milioni contributo a valere sul fondo nazionale ordinario per gli investimenti).

Beneficiano infine di un contributo complessivo di 20 milioni di euro le comunità montane.

I trasferimenti erariali a favore degli enti locali iscritti nel bilancio dello Stato si articolano sulla base di fondi disciplinati dall’art. 34 del D.Lgs. 504/1992[107]. In particolare, secondo lo schema generale delineato dal citato decreto legislativo, lo Stato concorre al finanziamento dei bilanci di province e comuni con l’assegnazione dei seguenti fondi:

§      “Fondo ordinario” (articolo 34, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 504), in cui confluiscono la gran parte delle risorse destinate al finanziamento dei bilanci degli enti locali;

§      “Fondo consolidato” (articolo 34, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 504), in cui confluiscono i contributi erariali finalizzati da leggi speciali a specifici interventi;

§      “Fondo perequativo degli squilibri di fiscalità locale” (articolo 34, comma 1, lettera c) del D.Lgs. 504) relativo, in particolare, ai problemi perequativi derivanti dall’ICI. Le risorse sono attribuite alle province e ai comuni sulla base del gettito delle imposte e delle addizionali di loro competenza per le quali non vi sia discrezionalità, considerato in relazione alla classe demografica di appartenenza degli enti medesimi.


Articolo 27
(Norma di indirizzo alle regioni per la riduzione dei costi derivanti
da duplicazione di funzioni)

 


1. Anche ai fini del coordinamento della finanza pubblica, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, lo Stato e le regioni, nell'ambito di rispettiva compe­tenza legislativa, provvedono all'accorpa­mento o alla soppressione degli enti, agen­zie od organismi, comunque denominati, titolari di funzioni in tutto o in parte coincidenti con quelle assegnate agli enti territoriali ed alla contestuale riallocazione delle stesse agli enti locali, secondo i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

2. I comuni e le province provvedono alla soppressione degli enti, agenzie ed organismi, comunque denominati, istituiti dai medesimi enti locali nell'ambito della rispettiva potestà regolamentare e titolari di funzioni in tutto o in parte coincidenti con quelle svolte dagli enti locali medesimi.

3. Per le finalità di cui al comma 1, le regioni, nell'esercizio delle rispettive prerogative costituzionali in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti, fatte salve le competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in ottemperanza agli obblighi comunitari, procedono entro il 1o luglio 2008, fatti salvi gli affidamenti e le convenzioni in essere, alla rideterminazione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei medesimi servizi secondo i princìpi dell'efficienza e della riduzione della spesa nel rispetto dei seguenti criteri generali, quali indirizzi di coordinamento della finanza pubblica:

a) in sede di delimitazione degli ambiti secondo i criteri e i princìpi di cui agli articoli 147 e 200 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, valutazione prioritaria dei territori provinciali quali ambiti territoriali ottimali ai fini dell'attribuzione delle funzioni in materia di rifiuti alle province e delle funzioni in materia di servizio idrico integrato di norma alla provincia corrispondente ovvero, in caso di bacini di dimensioni più ampie del territorio provinciale, alle regioni o alle province interessate, sulla base di appositi accordi; in alternativa, attribuzione delle medesime funzioni ad una delle forme associative tra comuni di cui agli articoli 30 e seguenti del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, composte da sindaci o loro delegati che vi partecipano senza percepire alcun compenso;

b) destinazione delle economie a carattere permanente derivanti dall'attua­zione del presente comma, come accertate da ciascuna regione con provvedimento comunicato al Ministro dell'economia e delle finanze, al potenziamento degli interventi di miglioria e manutenzione ordinaria e straordinaria delle reti e delle infrastrutture di supporto nei rispettivi ambiti territoriali, nonché al contenimento delle tariffe per gli utenti domestici finali.


 

 

I commi 1 e 2 dell’articolo in esame contengono una disposizione di indirizzo diretta alla razionalizzazione dell’organizzazione amministrativa degli enti territoriali, in particolare alla soppressione o accorpamento di enti, agenzie, organismi che svolgano le medesime funzioni – o parte di esse – esercitate dagli enti territoriali.

Scopo della norma è il miglioramento dei saldi di bilancio di regioni ed enti locali, miglioramento non quantificabile e da considerare come misura ulteriore (non determinante) per il raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità.

Il comma 3 prevede l’obbligo, per le regioni, di procedere entro il 1º luglio 2008 alla rideterminazione degli ambiti territoriali ottimali (ATO) per la gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti.

 

Il primo comma è indirizzato alle regioni che, in coordinamento con lo Stato, dovrebbero provvedere alla revisione dell’allocazione delle funzioni al fine, come detto, di eliminarne le duplicazioni.

Il secondo comma è diretto agli enti locali, per quanto concerne enti ed organismi da essi istituiti.

Le disposizioni in esame sono in relazione con quanto disposto dall’articolo 82, comma 1, lettera c) del disegno di legge in esame, secondo cui lo Stato provvede a sopprimere od accorpare enti, agenzie, organismi che svolgano le medesime funzioni - in tutto o in parte – esercitate da regioni ed enti locali su conferimento o delega dello Stato.

 

La norma richiama il principio di coordinamento della finanza pubblica e l’attuazione dell’articolo 118 della Costituzione.

Com’è noto il principio di coordinamento della finanza pubblica, contenuto nel secondo comma dell’articolo 119 della Costituzione, può essere alla base dell’intervento legittimo dello Stato sulle politiche degli enti territoriali imponendo anche vincoli di bilancio - come nel caso delle regole del patto di stabilità e crescita - a condizione che venga mantenuto il carattere “finalistico” dell’azione di coordinamento. In altre parole lo Stato può prescrivere criteri ed obiettivi ma non imporre nel dettaglio gli strumenti per raggiungerli[108].

L’articolo 118 della Costituzione statuisce il principio secondo cui le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni e ogni diversa allocazione – anche per assicurarne l’esercizio unitario - deve ispirarsi ai principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza.

 

Norma di indirizzo ispirata ai principi sopra citati, non è accompagnata da disposizioni sulla rilevazione di adempimenti specifici o comunque sul monitoraggio del comportamento delle regioni e degli enti locali a riguardo. Sono altresì assenti disposizioni su conseguenti sanzioni in caso di non osservanza.

Si rileva infine che in caso di inadempienza – peraltro come visto non rilevata - non sembrano esserci gli estremi per un eventuale esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato ai sensi dell’articolo 120 secondo comma della Costituzione: Lo Stato potrebbe ‘solamente’ impugnare innanzi la Corte costituzionale la legge regionale emanata in violazione dei principi richiamati dalla norma.

 

Il comma 3, introdotto nel corso dell’esame presso l’altro ramo del Parlamento, prevede l’obbligo, per le regioni, nell’esercizio delle rispettive prerogative costituzionali in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti, fatte salve le competenze del Ministero dell’ambiente, in ottemperanza agli obblighi comunitari, di procedere entro il 1º luglio 2008, fatti salvi gli affidamenti e le convenzioni in essere, alla rideterminazione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei medesimi servizi.

 

L’organizzazione del servizio idrico integrato in base al codice ambientale

Il servizio idrico integrato è costituito, ai sensi della definizione recata dall’art. 141, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. codice ambientale), “dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue” .

La disciplina del servizio idrico integrato è contenuta negli articoli 147-158 del D.Lgs. n. 152/2006, la cui struttura si basa in buona parte sulle disposizioni della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (cd. legge Galli), ora abrogata dall’art. 175 del medesimo decreto.

In base all’art. 147, l’organizzazione dei servizio idrici è basata sugli ambiti territoriali ottimali (d’ora in poi ATO) definiti dalle regioni in attuazione della medesima legge Galli.

Lo stesso articolo (al comma 2) fissa i seguenti importanti principi informatori della gestione del servizio:

a)       unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui;

b)       unicità della gestione e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle gestioni[109];

c)       adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici.

Un’importante innovazione introdotta dal codice ambientale è rappresentata dalla norma recata dall’art. 148, comma 1, che attribuisce personalità giuridica alle autorità d'ambito, costituite in ciascun ATO delimitato dalla competente regione, alle quali gli enti locali partecipano obbligatoriamente. Si segnala anche l’articolo 148, comma 5, che prevede la facoltatività dell’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato per i per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane. La disposizione richiede la condizione che la gestione del servizio idrico sia operata direttamente dalla amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune e precisa che su tali gestioni l'Autorità d'ambito esercita funzioni di regolazione generale e di controllo[110].

Il successivo art. 149 prevede che entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del decreto n. 152 , l'Autorità d'ambito provveda alla predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito, e disciplina i contenuti del medesimo. Tale piano rappresenta lo strumento programmatorio cardine dell'Autorità d'ambito, risultato di un'attività di ricognizione delle infrastrutture esistenti, della stesura di un programma degli interventi infrastrutturali necessari e di un piano finanziario connesso ad un modello gestionale ed organizzativo.

Per quanto riguarda le modalità di affidamento del servizio si rinvia agli articoli 150 ss.

 

L’organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti in base al codice ambientale

L’art. 200 del D.Lgs. n. 152/2006 dispone, al comma 1, che “la gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali, di seguito anche denominati ATO, delimitati dal piano regionale di cui all'articolo 199, nel rispetto delle linee guida di cui all'articolo 195, comma 1, lettere m), n) ed o), e secondo i seguenti criteri:

a)       superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti;

b)       conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative;

c)       adeguata valutazione del sistema stradale e ferroviario di comunicazione al fine di ottimizzare i trasporti all'interno dell'ATO;

d)       valorizzazione di esigenze comuni e affinità nella produzione e gestione dei rifiuti;

e)       ricognizione di impianti di gestione di rifiuti già realizzati e funzionanti;

f)         considerazione delle precedenti delimitazioni affinché i nuovi ATO si discostino dai precedenti solo sulla base di motivate esigenze di efficacia, efficienza ed economicità”.

Il comma 2 del medesimo articolo prevede che “le regioni, sentite le province ed i comuni interessati, nell'ambito delle attività di programmazione e di pianificazione di loro competenza, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, provvedono alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali, nel rispetto delle linee guida di cui all'articolo 195, comma 1, lettera m)” ma anche che “le regioni possono adottare modelli alternativi o in deroga al modello degli Ambiti Territoriali Ottimali laddove predispongano un piano regionale dei rifiuti che dimostri la propria adeguatezza rispetto agli obiettivi strategici previsti dalla normativa vigente, con particolare riferimento ai criteri generali e alle linee guida riservati, in materia, allo Stato ai sensi dell'articolo 195”.

Il nuovo principio dell’unicità del governo dell’ambito viene quindi realizzato attraverso l’istituzione obbligatoria delle Autorità d’ambito (art. 201), alle quali è demandata l’organizzazione, l’affidamento ed il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti. volgere nell’ambito. Si tratta dei cd. STUA (soggetti titolari unici dell’autorità d’ambito), soggetti dotati di personalità giuridica di diritto pubblico, di autonomia statutaria, regolamentare, finanziaria e organizzativa, che dovranno essere costituiti dalle regioni entro sei mesi dall’entrata in vigore della parte quarta del codice e ai quali gli enti locali del medesimo ambito partecipano obbligatoriamente.

L’Autorità d’ambito, quindi, viene configurata come soggetto dotato di personalità giuridica, espressione delle autonomie locali con compiti di indirizzo politico-amministrativo, di amministrazione attiva (essenzialmente la gestione delle gare) e di controllo. È il soggetto cui compete la “gestione” dei rifiuti urbani ed assimilati, che indice le gare ad evidenza pubblica, al quale è demandata “l’organizzazione, l’affidamento e il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti” (comma 1). L’Autorità d’ambito organizza il servizio e determina gli obiettivi da perseguire per garantirne la gestione secondo criteri di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, adottando, a tal fine, un apposito piano d’ambito, in conformità a quanto previsto dall’art. 203, comma 3 (comma 3). È l’Autorità d’ambito che aggiudica il servizio (art. 202, comma 1) ed il contratto di servizio intercorre tra Autorità d’ambito e i soggetti affidatari del servizio (art. 203, comma 1). Spetta, inoltre, alle Autorità d’ambito definire le procedure e le modalità per il conseguimento degli obiettivi previsti dalla parte quarta del decreto ed elaborare un piano d’ambito comprensivo di un programma degli interventi necessari, accompagnato da un piano finanziario e dal connesso modello gestionale ed organizzativo (art. 203, comma 3).

Circa le modalità di affidamento della gara da parte degli STUA e il rapporto tra i medesimi e i soggetti affidatari si rinvia agli articolo 202 e ss. del codice.

 

Per quanto riguarda i criteri cui devono attenersi le regioni nella rideterminazione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei servizi, la disposizione fa riferimento in termini generali ai principi dell’efficienza e della riduzione della spesa e, nello specifico, ai seguenti criteri, definiti quali indirizzi di coordinamento della finanza pubblica:

a)      oltre al richiamo ai criteri e i princìpi di cui ai già citati articoli 147 e 200 del codice ambientale, si prevede la valutazione prioritaria dei territori provinciali quali ambiti territoriali ottimali. Tale previsione è finalizzata all’attribuzione:

-          delle funzioni in materia di rifiuti alle province;

-          delle funzioni in materia di servizio idrico integrato di norma alla provincia corrispondente ovvero, in caso di bacini di dimensioni più ampie del territorio provinciale, alle regioni o alle province interessate, sulla base di appositi accordi.

La medesima disposizione prevede in alternativa l’attribuzione delle medesime funzioni ad una delle forme associative tra comuni di cui agli articoli 30 e ss. del TUEL di cui al D.Lgs. n. 267/2000 (consorzi, unioni di comuni, ecc.), composte da sindaci o loro delegati che vi partecipano senza percepire alcun compenso;

Si segnala che l’emendamento del relatore che ha introdotto la disposizione recava anche l’espressa previsione, nel caso di mancata rideterminazione entro il termine indicato degli ambiti territoriali ottimali, dello scioglimento degli organi delle Autorità d’ambito e del trasferimento delle relative competenze alle province sino al completamento del processo previsto dal comma 2-bis (ora comma 3).

Tale previsione è stata soppressa a seguito dell’approvazione di un subemendamento che nel medesimo comma 2-bis, ha inoltre espressamente disposto la garanzia degli affidamenti e delle convenzioni in essere.

b)     si prevede inoltre la destinazione delle economie a carattere permanente derivanti dall’attuazione del presente comma, come accertate da ciascuna regione con provvedimento comunicato al Ministro dell’economia e delle finanze:

-          al potenziamento degli interventi di miglioria e manutenzione ordinaria e straordinaria delle reti e delle infrastrutture di supporto nei rispettivi ambiti territoriali;

-          al contenimento delle tariffe per gli utenti domestici finali[111].


Altre disposizioni

Articolo 10
(Trasporto pubblico locale)

 


1. Al fine di promuovere lo sviluppo del trasporto pubblico locale, nella prospettiva del processo di riforma del settore, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dei trasporti, un fondo di 500 milioni di euro per l'anno 2008.

2. La disponibilità del fondo di cui al comma 1 è destinata per 220 milioni di euro all'adeguamento dei trasferimenti statali alle regioni al fine di garantire l'attuale livello dei servizi, ivi incluso il recupero dell'inflazione, per 150 milioni di euro per le finalità di cui al comma 1031 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e per 130 milioni di euro per il finanziamento dell'articolo 9 della legge 26 febbraio 1992, n. 211.

3. Le risorse per l'adeguamento dei trasferimenti statali alle regioni sono ripartite con decreto del Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

4. Al Ministero dei trasporti è altresì destinata una quota pari a 4 milioni di euro a decorrere dal 2008 per la riattivazione, in via d'urgenza, dei lavori di realizzazione di sistemi innovativi di trasporto in ambito urbano, interrotti in relazione all'apertura di procedimenti tesi a riesaminare le proce­dure contrattuali da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee.

5. All'articolo 1, comma 1031, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dopo la lettera c) sono aggiunte le seguenti:

«c-bis) per l'acquisto di elicotteri destinati ad un servizio minimo di trasporto pubblico locale per garantire collegamenti con isole minori con le quali esiste un fenomeno di pendolarismo;

c-ter) all'acquisto dei veicoli di cui alle lettere a) e b) è riservato almeno il 50 per cento della dotazione del fondo».

6. Gli interventi finanziati, ai sensi e con le modalità della legge 26 febbraio 1992, n. 211, con le risorse di cui al comma 2, individuati con decreto del Ministro dei trasporti, sono destinati al completamento delle opere in corso di realizzazione in misura non superiore al 20 per cento. Il finanziamento di nuovi interventi è subordinato all'esistenza di parcheggi di interscambio, ovvero alla loro realizzazione, che può essere finanziata con le risorse di cui al comma 2.

7. Le modalità di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 aprile 2005, n. 58, si applicano anche alle risorse di cui all'articolo 23, comma 1, del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 355, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2004, n. 47.

8. Ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2008 per l'acquisto degli abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale ed interre­gionale, spetta una detrazione dall'imposta lorda, fino alla concorrenza del suo ammontare, nella misura del 19 per cento per un importo delle spese stesse non superiore a 250 euro. La detrazione spetta sempreché le spese stesse non siano deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo. La detrazione spetta anche se la spesa è stata sostenuta nell'interesse delle persone indicate nell'articolo 12 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che si trovino nelle condizioni indicate nel comma 2 del medesimo articolo 12.


 

L’articolo 10, al comma 1, istituisce, nello stato di previsione del Ministero dei trasporti, un fondo per lo sviluppo del trasporto pubblico locale, con una dotazione di 500 milioni di euro per l'anno 2008. Il fondo è destinato a sostenere il processo di riforma del settore.

 

La riforma dei trasporti pubblici locali (TPL) è stata avviata dal D.Lgs. n. 422/1997, successivamente modificato ed integrato dal D.Lgs. 400/1999 e da ulteriori disposizioni. A tale revisione del settore il legislatore ha provveduto in occasione del riassetto generale dell’organizzazione amministrativa centrale, disposto dalla legge 15 marzo 1997, n. 59.

Il D.Lgs. 422/1997 ha disciplinato il conferimento alle regioni ed agli enti locali delle funzioni e dei compiti in materia di servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale ed ha fissato i criteri di organizzazione dei servizi medesimi.

Le funzioni delegate alle regioni riguardano l'intero comparto del servizio di trasporto, comprese le ferrovie di interesse regionale e locale. Le competenze conferite sono essenzialmente di carattere programmatorio, amministrativo e finanziario.

Al conferimento e all’attribuzione delle relative risorse si provvede, previo accordo di programma tra Ministero dei trasporti e regione interessata, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri interessati ed il Ministro del tesoro. E’ demandata ad apposite leggi regionali la puntuale individuazione delle funzioni conferite.

La regione è dunque individuata come unico soggetto regolatore di tutto il comparto. Ad essa è attribuita una doppia responsabilità, pianificatoria e finanziaria. In ossequio al principio di sussidiarietà, le regioni sono peraltro tenute a conferire a province, comuni ed enti locali le funzioni in materia di trasporto pubblico locale che non richiedano un unitario esercizio a livello regionale; gli enti locali godono peraltro di competenza residuale.

 

Il comma 2 ripartisce la disponibilità del fondo di cui al comma 1 destinando:

§       220 milioni di euro all’adeguamento dei trasferimenti statali alle regioni per garantire l’attuale livello dei servizi, ivi incluso il recupero dell’inflazione;

§       150 milioni di euro al fondo per l’acquisto di veicoli adibiti al trasporto pubblico locale, istituito dall’art. 1, comma 1031 della legge finanziaria 2007;

§       130 milioni di euro al finanziamento dei contributi alle operazioni di mutuo contratte, da enti locali e soggetti attuatori, per la realizzazione degli interventi contemplati dalla medesima legge in vista dello sviluppo, nelle aree urbane, dei sistemi di trasporto pubblico ed in particolare dei sistemi di trasporto rapido di massa e di tranvie veloci, contributi previsti dall’art. 9 della legge 26 febbraio 1992, n. 211.

Il comma 3 dispone che alla ripartizione dei 220 milioni di euro, destinati dal comma 2 all’adeguamento dei trasferimenti statali, si provvede con decreto del Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e Province autonome.

 

Il comma 4 destina, a decorrere dal 2008, 4 milioni di euro al Ministero dei trasporti, affinché possano essere riattivati, in via d’urgenza, i lavori di realizzazione di sistemi innovativi di trasporto in ambito urbano, interrotti all’apertura di procedimenti tesi al riesame, da parte della Corte di giustizia europea, delle procedure contrattuali.

 

Il comma 5 integra l’articolo 1, comma 1031, della legge finanziaria 2007, disponendo che il fondo istituito per l’acquisto di veicoli adibiti al trasporto pubblico locale, sia finalizzato anche all’acquisto di elicotteri destinati a garantire collegamenti con isole minori interessate da fenomeni di pendolarismo.

 

L’articolo 1 comma 1031 della legge 296/2006 istituisce un fondo per l’acquisto di veicoli adibiti al trasporto pubblico locale, il cui ammontare è fissato in 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, finalizzato a:

-          realizzare una migliore correlazione tra lo sviluppo economico, assetto territoriale e organizzazione del trasporti;

-          favorire il riequilibrio modale degli spostamenti quotidiani attraverso il miglioramento del servizio offerto dal trasporto pubblico locale.

Il fondo è destinato, nella misura massima del 75 per cento, all’acquisto di:

a)       veicoli ferroviari per l’espletamento dei servizi ferroviari di interesse regionale e locale non in concessione a F.S. S.p.a. e dei servizi ferroviari di interesse regionale e locale in concessione a F.S. S.p.a., di cui, rispettivamente agli articoli 8 e 9 del D.Lgs. 422/1997;

b)       veicoli destinati a servizi su linee metropolitane, tranviarie e filoviarie;

c)       autobus a minor impatto ambientale o ad alimentazione non convenzionale.

 

Il medesimo comma stabilisce inoltre un vincolo di utilizzo delle risorse del fondo, riservandone almeno il 50 per cento all'acquisto dei veicoli di cui alle lettere a) e b).

 

Il comma 6 destina le risorse di cui al comma 2 (130 milioni di euro per il finanziamento dei contributi previsti dall’art. 9, legge 26 febbraio 1992, n. 211, alle operazioni di mutuo contratte da enti locali e soggetti attuatori per lo sviluppo, nelle aree urbane, dei sistemi di trasporto pubblico ed in particolare dei sistemi di trasporto rapido di massa e di tranvie veloci):

§       al completamento delle opere in corso di realizzazione, in misura non superiore al 20 per cento;

§       al finanziamento di nuovi interventi, subordinatamente all’esistenza di parcheggi di interscambio ovvero alla loro realizzazione, finanziabile con le medesime risorse.

 

Il comma 7 dispone che l'assegnazione delle risorse destinate al finanziamento del rinnovo del contratto di lavoro nel settore del trasporto pubblico locale dall’articolo 23, comma 1, del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 355[112], avvenga secondo le modalità stabilite dall'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 16[113], per la ripartizione di risorse destinate al rinnovo del primo biennio (anni 2004-2005) del contratto collettivo nazionale 2004-2007.

 

In applicazione dell'intesa sottoscritta presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri tra i rappresentanti delle associazioni datoriali ed i sindacati in data 18 novembre 2004, l’art. 1 comma 3 del D.L. 16 del 2005, ha previsto che le risorse stanziate dall’articolo 1, comma 2 (260 milioni di euro annui a decorrere dal 2005) per il finanziamento della spesa relativa al rinnovo del primo biennio (anni 2004-2005) del contratto collettivo nazionale 2004-2007 del trasporto pubblico locale, sono assegnate a regioni e province autonome con decreto del Ministro delle infrastrutture di concerto con il Ministro dell'economia, d'intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni: la ripartizione è effettuata con riferimento alla consistenza del personale in servizio alla data del 30 novembre 2004 presso le aziende di trasporto pubblico locale. Le spese sostenute dagli enti territoriali per la corresponsione alle aziende di trasporto pubblico locale degli importi derivanti dal rinnovo del primo biennio (anni 2004-2005) del contratto collettivo nazionale sono escluse dal patto di stabilità interno.

L'articolo 1, comma 1231 della legge finanziaria 2007, ha novellato il comma 3 in esame, aggiungendo alle aziende di trasporto pubblico locale anche le aziende ferroviarie limitatamente a quelle che applicano il contratto autoferrotranvieri di cui all’articolo 23 del D.L. 24 dicembre 2003, n. 355 - alla data del 30 novembre 2004.

 

Il comma 8 contiene una disposizione di carattere fiscale, prevedendo che spetta una detrazione dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche, per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2008 per l’acquisto degli abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale ed interregionale, fino a concorrenza del suo ammontare, nella misura del 19 per cento e per un importo non superiore a 250 euro.

La detrazione spetta purché le medesime spese non siano deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo; la detrazione spetta anche se la spesa è stata sostenuta nell’interesse delle persone a carico (indicate nell’articolo 12 del testo unico delle imposte sui redditi DPR 917/1986) che si trovino nelle condizioni indicate nel comma 2 del medesimo articolo 12 – che abbiano cioè un reddito complessivo, computando anche le retribuzioni corrisposte da enti e organismi internazionali, rappresentanze diplomatiche e consolari e missioni, nonché quelle corrisposte dalla Santa Sede, dagli enti gestiti direttamente da essa e dagli enti centrali della Chiesa cattolica, non superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili.

La relazione tecnica precisa che la legislazione vigente non prevede la detraibilità delle spese in oggetto e valuta un effetto di gettito negativo di 93 milioni di euro, in termini di competenza, per l'anno 2008 e, in termini di cassa, pari a -163 milioni di euro nel 2009 e +70 milioni di euro nel 2010.


Articolo 11
(Fondo per la mobilità alternativa nei centri storici)

 

1. Per favorire i processi di mobilità alternativa nei centri storici di città di particolare rilievo urbanistico e culturale già riconosciuti dall'UNESCO come patrimonio dell'umanità, è istituito un fondo nello stato di previsione del Ministero dei trasporti pari a 4 milioni di euro annui, per gli anni 2008, 2009 e 2010.

 

 

L’articolo 11 istituisce, nello stato di previsione del Ministero dei trasporti, un fondo di 4 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010, con la finalità di favorire processi di mobilità alternativa nei centri storici di città di particolare rilievo urbanistico e culturale già riconosciuti dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. Si tratta in particolare dei centri storici di:

-        Firenze;

-        Roma;

-        San Gimignano;

-        Siena;

-        Napoli;

-        Pienza;

-        Urbino.

 

Secondo la Convenzione riguardante la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, adottata dalla Conferenza generale dell'UNESCO il 16 novembre 1972, per patrimonio culturale si intende “un monumento, un gruppo di edifici o un sito di valore storico, estetico, archeologico, scientifico, etnologico o antropologico”; il “patrimonio naturale”, indica rilevanti caratteristiche fisiche, biologiche e geologiche ovvero l'habitat di specie animali e vegetali in pericolo e aree di particolare valore scientifico ed estetico.

Un Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO è dunque un luogo specifico che, in base a criteri precisi, risulta di eccezionale importanza, sia naturale sia culturale, per il patrimonio comune dell'umanità. Il programma internazionale dei patrimoni dell'umanità (World Heritage Fund) amministrato dall'UNESCO, ha lo scopo di catalogare, indicare e preservare tali siti attraverso finanziamenti erogati a determinate condizioni.

Attualmente la lista è composta da un totale di 830 siti (644 beni culturali, 162 naturali e 24 misti) presenti in 138 Nazioni del mondo. Attualmente l'Italia è la nazione che detiene il maggior numero di siti inclusi nella lista dei patrimoni dell'umanità, seguita dalla Spagna e dalla Cina.

 

I siti italiani Patrimonio dell’umanità sono:

-          Arte Rupestre della Val Camonica 1979;

-          Santa Maria delle Grazie e il Cenacolo di Leonardo da Vinci, Milano 1980;

-          centro storico di Firenze 1982;

-          Venezia e la sua Laguna – 1987;

-          Pisa, Piazza del Duomo – 1987;

-          centro storico di San Gimignano – 1990;

-          i Sassi di Matera – 1993;

-          Vicenza e Ville del del Palladio in Veneto – 1994;

-          centro storico di Siena – 1995;

-          centro storico di Napoli – 1995;

-          insediamento industriale di Crespi d'Adda – 1995;

-          Ferrara città del Rinascimento e il suo Delta del Po – 1995;

-          Castel del Monte – 1996;

-          Trulli di Alberobello – 1996;

-          monumenti paleocristiani di Ravenna – 1996;

-          centro storico di Pienza – 1996;

-          Reggia di Caserta, il Parco, l'acquedotto Vanvitelli e il Complesso di San Leucio – 1997;

-          Residenze Sabaude a Torino – 1997;

-          Padova, l'Orto botanico – 1997;

-          Portovenere, Cinque Terre e Isole (Palmaria, Tino e Tinetto) – 1997;

-          Cattedrale, Torre Civica e Piazza grande di Modena – 1997;

-          aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata – 1997;

-          Costiera Amalfitana – 1997;

-          area Archeologica di Agrigento – 1997;

-          Piazza Armerina e Villa romana del Casale – 1997;

-          Villaggio Nuragico di Barumini – 1997;

-          Parco Nazionale del Cilento e Valle di Diano, Salerno – 1998;

-          centro storico di Urbino – 1998;

-          zona Archeologica e Basilica Patriarcale di Aquileia – 1998;

-          Villa Adriana (Tivoli) – 1999;

-          Isole Eolie – 2000;

-          Assisi, la Basilica di San Francesco e altri siti francescani – 2000;

-          città di Verona – 2000;

-          Villa d'Este (Tivoli) – 2001;

-          città Barocche della Val di Noto (Palazzolo Acreide, Caltagirone, Catania, Militello in Val di Catania, Modica, Noto, Ragusa e Scicli) – 2002;

-          Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia – 2003;

-          Val d'Orcia – 2004;

-          necropoli etrusca di Cerveteri e Tarquinia – 2004;

-          Siracusa e la necropoli rupestre di Pantalica – 2005;

-          Genova, le Strade Nuove e il Sistema dei Palazzi dei Rolli – 2006.

 

Italia/Santa Sede:

-          Centro storico di Roma, le Proprietà della Santa Sede che godono dei diritti di extraterritorialità e San Paolo Fuori le Mura - 1980,1990.


Articolo 24, comma 4
(Pubbliche affissioni)

 


4. Dopo l'articolo 20.1 del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, è inserito il seguente:

«Art. 20.1.1 - (Spazi riservati ed esenzione dal diritto) - 1. I comuni che hanno riservato il 10 per cento degli spazi totali per l'affissione di manifesti ai soggetti di cui all'articolo 20, o quelli che intendono riservarli per motivi attinenti ai princìpi ispiratori dei loro piani generali degli impianti pubblicitari, possono continuare a disporre di spazi esenti dal diritto sulle pubbliche affissioni, comunque in misura non superiore alla predetta percentuale del 10 per cento.

2. Il termine per effettuare il versamento della somma di 100 euro per anno e per provincia, già previsto dall'articolo 20-bis, comma 2, è fissato al 30 settembre 2008, a pena di decadenza dal beneficio».


 

 

Il comma 4 dell’articolo 24, aggiunto nel corso dell’esame in sede referente al Senato, aggiunge un nuovo articolo (art. 20.1.1) al D.Lgs. 507/1993[114] (che disciplina, tra l’altro, l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni), dopo l’attuale art. 20.1.

 

Si ricorda in premessa che il comma 1 dell’art. 20-bis del D.Lgs. 507/1993[115] prevedeva (a decorrere dal 1° gennaio 2005) l’obbligo per i comuni di riservare il 10 per cento degli spazi complessivamente destinati all’affissione dei manifesti, ai soggetti di cui al precedente art. 20, in esenzione dal diritto sulle pubbliche affissioni.

I soggetti menzionati dal citato art. 20[116] sono i seguenti:

-        Stato ed enti pubblici territoriali (fatti salvi i casi per i quali è prevista l’esenzione ai sensi dell’art. 21);

-        comitati, associazioni, fondazioni ed ogni altro ente che non abbia scopo di lucro;

-        soggetti che realizzano attività politiche, sindacali e di categoria, culturali, sportive, filantropiche e religiose, con il patrocinio o la partecipazione degli enti pubblici territoriali;

-        soggetti che realizzano festeggiamenti patriottici, religiosi, spettacoli viaggianti e di beneficenza;

-        soggetti che effettuano annunci mortuari.

 

Il comma 2 dell’art 20-bis disponeva inoltre la sanatoria delle violazioni delle norme in materia d’affissioni e pubblicità commesse fino alla data di entrata in vigore della disposizione (1° gennaio 2005), relativamente alle violazioni compiute mediante affissioni di manifesti politici ovvero di striscioni e mezzi similari. In base a tale norma le violazioni, anche ripetute, potevano essere definite, in qualunque ordine e grado di giudizio, nonché in sede di riscossione delle somme eventualmente iscritte a titolo sanzionatorio, mediante il versamento, a carico del committente responsabile, di una imposta pari, per il complesso delle violazioni commesse e ripetute a 100 euro per anno e per provincia. Il termine per il versamento era stato fissato, a pena di decadenza dal beneficio, al 31 maggio 2005.

L’articolo 20-bis è stato abrogato dall’art. 1, co. 176, lett. a), della legge finanziaria 2007 (L. 27 dicembre 2006, n. 296), a decorrere dal 1° gennaio 2007. Il successivo comma 177 ha tuttavia fatto salvi gli effetti prodotti dal comma 2 dell’art. 20-bis.

 

Il comma 1 del nuovo articolo 20.1.1 riguarda i comuni che hanno riservato il 10 per cento degli spazi totali per l’affissione di manifesti ai soggetti di cui all’art. 20 del medesimo D.Lgs. 507/1993, o che intendono riservarli per motivi attinenti ai principi ispiratori dei loro piani generali degli impianti pubblicitari.

Tali comuni, secondo la norma in esame, potranno continuare a disporre di spazi esenti dal diritto sulle pubbliche affissioni, comunque non oltre il 10 per cento del totale, pari alla quota già prevista dall’abrogato art. 20-bis.

Effetto della norma pare quello di rendere possibile, anche per il futuro (per i comuni che “intendono riservare […]”) la riserva di spazi che l’abrogato art. 20-bis prevedeva come obbligatoria.

 

Il secondo comma del nuovo articolo aggiuntivo riapre il termine per effettuare il versamento della somma di 100 euro per anno e per provincia, in sanatoria delle violazioni delle norme in materia d’affissioni e pubblicità verificatesi sino al 1° gennaio 2005. Il termine, già fissato al 31 maggio 2005 dal comma 2 dell’abrogato art. 20-bis, è differito al 30 settembre 2008, a pena di decadenza dal beneficio.

 

Si ricorda infine che il comma 157 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 ha introdotto un art. 20.1 nel D.Lgs. 507/1993, a norma del quale, ai fini della salvaguardia degli enti locali e a decorrere dal 1° gennaio 2007, gli oneri derivanti dalla rimozione dei manifesti affissi in violazione delle disposizioni vigenti sono a carico dei soggetti per conto dei quali gli stessi sono stati affissi, salva prova contraria.


Articolo 24, comma 5
(Utilizzo dei proventi delle concessioni
e delle sanzioni in materia edilizia)

 

5. Per l'anno 2008, i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, possono essere utilizzati per una quota non superiore al 25 per cento per il finanziamento di spese correnti e per una quota non superiore ad un ulteriore 25 per cento esclusivamente per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale.

 

 

Il comma 5 consente i seguenti utilizzi, per l’anno 2008, dei proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (testo unico in materia edilizia):

§       per una quota non superiore al 25% per il finanziamento di spese correnti;

§       per una quota non superiore ad un ulteriore 25% esclusivamente per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale.

 

La norma in commento ripropone per il 2008 quanto disposto per il 2007 dal comma 713 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006). Tale ultima disposizione aveva tuttavia stabilito il limite massimo del 50% per il finanziamento di spese correnti.

Si ricorda, inoltre, che nella vigente normativa, recata dal citato D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è stato eliminato (attraverso l’abrogazione dell’art. 12 della legge 28 gennaio 1977, n. 10) qualsiasi vincolo di destinazione sui proventi in questione.

Si segnala, infine, che il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ha sostituito la nozione di concessione edilizia con quella di permesso di costruire. Ciò non ha peraltro comportato l’eliminazione del contributo da corrispondere per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.


Articolo 28, comma 1
(Fondo nazionale per la montagna)

 

1. Per il finanziamento del Fondo nazionale per la montagna, di cui all'articolo 2 della legge 31 gennaio 1994, n. 97, e successive modificazioni, è autorizzata la spesa di 50 milioni di euro per l'anno 2008 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010.

 

 

Il comma 1 stanzia a favore del Fondo nazionale per la montagna 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010.

 

L’art. 1, comma 1278 della finanziaria per il 2007 aveva recato una autorizzazione di spesa pari 25 milioni di euro per il solo esercizio 2007. Nel contempo, nei documenti di bilancio, il Fondo è stato trasferito dalla tabella del dicastero dell’economia e finanze allo stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, Tab. 3, nella quale è stato istituito il nuovo centro di responsabilità “Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione”.

La seguente tabella riassume gli stanziamenti dal 2005 in poi.

 

L. 97/1994: Nuove disposizioni per le zone montane:
stanziamenti

(migliaia di euro)

(U.P.B.)

2005

2006

2007

2008

2009

2010

L. n. 311/2004 Finanziaria per il 2005

(Economia - UPB 1.2.3.6 - cap. 7003, all’interno del Fondo unico investimenti - Difesa del suolo e tutela ambientale)

 

31.000

-

-

-

 

 

L. n. 266/2005 Finanziaria per il 2006

(Economia - UPB 5.2.3.13 – cap. 7698)

 

20.000

 

 

 

 

L. n. 296/2006 Finanziaria per il 2007

(Sviluppo economico - UPB 6.2.3.5 - cap. 8370)

 

 

25.000

-

 

 

D.D.L. Finanziaria per il 2008

(Sviluppo economico Missione 28 – UPB 5.1.6 – cap. 8380)

 

 

 

50.000

50.000

50.000

 

Il Fondo per la montagna è stato istituito dalla legge n. 97/1994, che nel suo complesso mira alla salvaguardia e alla valorizzazione delle zone montane comprese nel territorio nazionale, attraverso interventi che attengano la tutela e la valorizzazione delle risorse ambientali, cui devono associarsi azioni di promozione dello sviluppo economico, sociale e culturale dei territori. Compito del Fondo è disporre il sostegno finanziario di tali interventi; su di esso, ai sensi dell'art. 2, co. 2, devono confluire i trasferimenti comunitari, quelli statali e di enti pubblici.

Relativamente ai criteri di ripartizione del Fondo per la montagna tra le regioni e le province autonome, interviene l’articolo 2, comma 5, della legge n. 97/94 che stabilisce che essi siano definiti con deliberazione del CIPE, sentita la Conferenza Stato-regioni, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con i Ministri dell'economia e delle politiche agricole e forestali.

Il comma 6 dell’art. 2 richiede che nel definire tali criteri il CIPE tenga conto dei seguenti fattori:

1.  dell’estensione del territorio montano;

2.  della popolazione residente nelle aree montane;

3.  della salvaguardia dell’ambiente e dello sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali;

4.  del reddito medio pro-capite;

5.  del livello dei servizi;

6.  dell’entità dei trasferimenti ordinari e speciali,

Con la delibera n. 140 del 2/12/2005 il CIPE ha definito i criteri per il riparto del 2004, e con quella n. 142/2006 i criteri per il riparto 2005.

I criteri relativi all'impiego delle risorse assegnate sono invece definiti dalle singole regioni con proprie leggi.


Articolo 28, commi 2-4
(Fondo di sviluppo delle isole minori)

 


2. È istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali, il Fondo di sviluppo delle isole minori, con una dotazione finanziaria pari a 20 milioni di euro a decorrere dall'anno 2008. Il Fondo finanzia interventi specifici nei settori dell'energia, dei trasporti e della concorrenza, diretti a migliorare le condizioni e la qualità della vita nelle suddette zone, assegnando priorità ai progetti realizzati nelle aree protette e nella rete «Natura 2000», prevista dall'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, ovvero improntati alla sostenibilità ambientale, con particolare riferimento all'utilizzo delle energie rinnovabili, al risparmio e all'efficienza energetica, alla gestione dei rifiuti, alla gestione delle acque, alla mobilità e alla nautica da diporto ecosostenibili, al recupero e al riutilizzo del patrimonio edilizio esistente, al contingentamento dei flussi turistici, alla destagionalizzazione, alla protezione degli habitat prioritari e delle specie protette, alla valorizzazione dei prodotti tipici, alla certificazione ambientale dei servizi, oltre a misure dirette a favorire le imprese insulari in modo che le stesse possano essere ugualmente competitive. All'erogazione del Fondo si provvede sulla base del Documento triennale unico di programmazione isole minori (DUPIM), elaborato dall'Associazione nazionale comuni isole minori (ANCIM), nel quale sono indicati i singoli interventi e le relative quantificazioni, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali e del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni.

3. Al fine di assicurare il necessario coordinamento e la migliore finalizzazione di tutti gli interventi a favore delle isole minori e ferme restando le contribuzioni per i progetti già approvati con i decreti del Ministro dell'interno 13 dicembre 2004 e 8 novembre 2005, pubblicati rispettivamente nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 304 del 29 dicembre 2004 e nella Gazzetta Ufficiale n. 284 del 6 dicembre 2005, le risorse iscritte sul Fondo per la tutela e lo sviluppo economico-sociale delle isole minori di cui all'articolo 25, comma 7, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, dello stato di previsione del Ministero dell'interno, sono trasferite al Fondo di cui al comma 2, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali.

4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.


 

 

I commi 2-4 dell’articolo 28 istituiscono e disciplinano il Fondo di sviluppo delle isole minori.

 

In particolare, il comma 2 istituisce il suddetto Fondo di sviluppo delle isole minori presso il Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con una dotazione pari a 20 milioni di euro a decorrere dal 2008.

 

Il testo originario del disegno di legge prevedeva in origine uno stanziamento pari a 34 milioni di euro; durante l’esame in sede referente al Senato, detto stanziamento è stato ridotto di 14 milioni.

 

La disposizione stabilisce che il fondo è destinato a finanziare:

§      specifici interventi nei settori dell’energia, dei trasporti e della concorrenza, diretti a migliorare le condizioni e la qualità della vita nelle suddette zone.

A seguito delle modifiche approvate durante l'esame in sede referente al Senato, è stato disposto l’uso prioritario dei fondi peruna serie di finalità; quali i progetti realizzati nelle aree protette e nella rete “Natura 2000[117]”, ovvero improntati alla sostenibilità ambientale, con particolare riferimento all’utilizzo delle energie rinnovabili, al risparmio e all’efficienza energetica, alla gestione dei rifiuti e delle acque, alla mobilità e alla nautica da diporto ecosostenibili, al recupero e al riutilizzo del patrimonio edilizio esistente, alla contingentazione dei flussi turistici, alla destagionalizzazione, alla protezione degli habitat prioritari e delle specie protette, alla valorizzazione dei prodotti tipici e alla certificazione ambientale dei servizi.

§      misure dirette a favorire la competitività delle imprese insulari.

 

La norma precisa che all’erogazione del fondo si provvede sulla base del Documento triennale unico di programmazione isole minori (DUPIM), elaborato dall’Associazione nazionale isole minori (ANCIM), nel quale devono essere indicati i singoli interventi e le relative quantificazioni.

 

Detto documento è approvato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri , su proposta del Ministro per gli affari regionali e del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata (di cui all’articolo 8, D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281[118]).

Il comma 3 stabilisce, al fine di assicurare il necessario coordinamento e la migliore finalizzazione di tutti gli interventi in favore delle isole minori, il trasferimento al Fondo per le isole minori delle risorse iscritte sul “Fondo per la tutela e sviluppo delle isole minori” dello stato di previsione del Ministero dell’interno (di cui all’articolo 25, comma 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 488, legge finanziaria per il 2002).

 

Si ricorda che i commi 7 e 8 dell’articolo 25 avevano istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’interno, un fondo denominato “Fondo per la tutela e lo sviluppo economico-sociale delle isole minori”, dotato di 51,65 milioni di euro per l’anno 2002, per l’adozione urgente di misure di salvaguardia ambientale e di sviluppo socio-economico delle isole minori, individuate tra gli ambiti territoriali indicati nell’allegato “A” annesso alla legge finanziaria. L’allegato “A” elencava singolarmente le isole e per ciascuna di esse determinava la porzione di acque territoriali entro le quali potevano attuarsi gli interventi finanziati dal fondo:

Le modalità procedurali di attivazione del Fondo erano stabilite dal comma 9 del medesimo articolo 25. In particolare, si stabiliva che la tipologia e i settori di intervento ammessi ad accedere al Fondo fossero determinati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da emanare, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria 2002, su proposta del Ministro dell’interno.

Le modalità di accesso al Fondo e i criteri per la ripartizione delle risorse dovevano, invece, essere definiti con decreto del Ministro dell’interno, da adottarsi entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge finanziaria, sentita la Conferenza Stato–Città ed Autonomie locali. Il comma 9, infine, richiamava genericamente le disposizioni dettate dal decreto legislativo n. 281 del 1997, che disciplina i poteri e i compiti della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza unificata.

 

Si ricorda che nel disegno di legge di bilancio 2008, al capitolo 7248 (Missione 2 - relazioni finanziarie con le autonomie territoriali; Programma 2.3 - trasferimenti a carattere generale ad enti locali, U.P.B. 2.3.6.- investimenti) corrispondente al Fondo per la tutela e lo sviluppo economico-sociale delle isole minori, le risorse presenti, iscritte in conto residui, sono pari a 12.959.587 milioni di euro.

 

La disposizione di cui al comma 2 fa tuttavia salve le contribuzioni per i progetti già approvati con i D.M. Interno 13 dicembre 2004 e 8 novembre 2005.

 

Il D.P.C.M. 7 marzo 2003, emanato ai sensi del citato articolo 25, comma 9, l. n. 448/2001, ha individuato la tipologia ed i settori degli interventi ammessi ad accedere al Fondo per la tutela e lo sviluppo economico-sociale delle isole minori. I criteri e le modalità di accesso al Fondo sono stati stabiliti con D.M. Interno 15 marzo 2004, n. 163.

Il D.M. Interno 13 dicembre 2004 ha successivamente individuato i progetti ammessi al riparto delle risorse (detto decreto è stato parzialmente annullato dal D.M. 8 novembre 2005, che ha escluso le isole ponziane e la provincia di Latina dal riparto delle risorse).

 

Il comma 4 autorizza il Ministero dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


Articolo 53, comma 1, lettera h)
(Modifiche delle procedure autorizzative degli impianti alimentati da fonti rinnovabili con riferimento agli enti locali)

 


1. All'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, sono apportate le seguenti modificazioni:

(omissis)

h) al comma 6 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, dei comuni e delle comunità montane. La definizione del corrispettivo dovuto agli enti locali per la volontaria assegnazione di diritti di utilizzo di aree demaniali è rimessa alla commissione provinciale di cui all'articolo 41 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327»;

(omissis)


 

 

L'articolo 53 modifica in più parti la disciplina delle procedure autorizzative degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

In particolare, il comma 1, lett. h, reca le seguenti modifiche all'articolo 12, comma 6, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, di attuazione della direttiva 2001/77/CE, concernente la promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità:

 

D.Lgs. n. 387/2003
(testo vigente)

D.Lgs. n. 387/2003
(testo proposto)

 

 

Art. 12.

Art. 12.

(Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative).

(Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative).

6. L'autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province.

 

6. L'autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province, dei comuni e delle comunità montane. La definizione del corrispettivo dovuto agli enti locali per la volontaria assegnazione di diritti di utilizzo di aree demaniali è rimessa alla commissione provinciale di cui all’articolo 41 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327.

 

 

Il punto h) modifica il comma 6 dell'articolo 12, in modo da precisare che l'autorizzazione non può prevedere né essere subordinata a misure di compensazione non soltanto a favore delle regioni, e delle province ma anche dei comuni, delle comunità montane, mentre la definizione del corrispettivo dovuto agli enti locali per la volontaria assegnazione di diritti di utilizzo di aree demaniali viene rimessa alla Commissione provinciale prevista dall'articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 .

 

La Commissione cui viene rimessa la definizione del corrispettivo è la “Commissione competente alla determinazione dell'indennità definitivadi esproprio, istituita - ai sensi del citato art. 41 del DPR n. 327/2001 - dalla Regione in ogni provincia e composta:

a)       dal presidente della Provincia, o da un suo delegato, che la presiede;

b)       dall'ingegnere capo dell'ufficio tecnico erariale, o da un suo delegato;

c)       dall'ingegnere capo del genio civile, o da un suo delegato;

d)       dal presidente dell'Istituto autonomo delle case popolari della Provincia, o da un suo delegato;

e)       da due esperti in materia urbanistica ed edilizia, nominati dalla Regione;

f)         da tre esperti in materia di agricoltura e di foreste, nominati dalla Regione su terne proposte dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.

La Regione può nominare altri componenti e disporre la formazione di sottocommissioni, aventi la medesima composizione della commissione prevista dal comma 1. La commissione ha sede presso l'ufficio tecnico erariale. Il dirigente dell'Ufficio distrettuale delle imposte cura la costituzione della segreteria della commissione e l'assegnazione del personale necessario. Nell'ambito delle singole regioni agrarie, delimitate secondo l'ultima pubblicazione ufficiale dell'Istituto centrale di statistica, entro il 31 gennaio di ogni anno la commissione determina il valore agricolo medio, nel precedente anno solare, dei terreni, considerati non oggetto di contratto agrario, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati.

 

Merita evidenziare che in molte regioni il rilascio dell’autorizzazione regionale è condizionato alla stipula di una convenzione tra Comune e società che realizzano gli impianti, e che in molti casi tali convenzioni prevedono la corresponsione di somme compensative a favore dei Comuni che ospitano gli impianti medesimi.

 

Il testo vigente del comma 10 dell'articolo 12 del D.Lgs. 387/2003 prevede che in Conferenza unificata, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro per i beni e le attività culturali, si approvino le linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti.

 


Articolo 56
(Impianti fotovoltaici)

 


1. Nell'ambito delle disponibilità di cui all'articolo 12 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 19 febbraio 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 2007, e ai fini dell'applicazione dell'articolo 6 del medesimo decreto, gli impianti fotovoltaici i cui soggetti responsabili sono enti locali sono considerati rientranti nella tipologia dell'impianto, di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b3), del medesimo decreto.

2. L'autorizzazione di cui al comma 3 dell'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, per la costituzione e l'esercizio degli impianti fotovoltaici i cui soggetti responsabili sono enti locali, ove necessaria ai sensi della legislazione nazionale o regionale vigente e in relazione alle caratteristiche e alla ubicazione dell'impianto, è rilasciata a seguito di un procedimento unico svolto ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 12 per il complesso degli impianti.


 

 

L’articolo 56, introdotto al Senato, reca disposizioni concernenti gli impianti fotovoltaici i cui “soggetti responsabili” sono gli enti locali.

Ai sensi dell’art. 2, lettera h) del DM 19 febbraio 2007 richiamato dal comma 1 del presente articolo per "soggetto responsabile" si intende il soggetto responsabile dell'esercizio dell'impianto e che ha diritto, nel rispetto delle disposizioni del decreto stesso, a richiedere e ottenere le tariffe incentivanti.

In particolare il comma 1 prevede che i suddetti impianti fotovoltaici rientrino ex lege nella tipologia di impianti fotovoltaici con integrazione architettonica, di cui alla lettera b3) dell'articolo 2 del decreto ministeriale 19 febbraio 2007[119], nell'ambito delle disponibilità indicate dall'articolo 12 del DM e ai fini dell’applicazione delle tariffe incentivanti ventennali fissate dall’articolo 6 dello stesso decreto .

Secondo la lettera b3) citata, impianto fotovoltaico con integrazione architettonica è l'impianto fotovoltaico i cui moduli sono integrati, secondo le tipologie elencate in allegato 3, dello stesso decreto, in elementi di arredo urbano e viario, superfici esterne degli involucri di edifici, fabbricati, strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione.

Le altre possibili classificazioni degli impianti fotovoltaici sono le seguenti:

-        b1) impianto fotovoltaico non integrato, è l'impianto con moduli ubicati al suolo, ovvero con moduli collocati, con modalità diverse dalle tipologie di cui agli allegati 2 e 3, sugli elementi di arredo urbano e viario, sulle superfici esterne degli involucri di edifici, di fabbricati e strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione;

-        b2) impianto fotovoltaico parzialmente integrato, è l'impianto i cui moduli sono posizionati, secondo le tipologie elencate in allegato 2, su elementi di arredo urbano e viario, superfici esterne degli involucri di edifici, fabbricati, strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione.

Tale classificazione avviene ai fini dell'applicazione delle tariffe incentivanti ventennali previste dall'articolo 6 del DM citato.

Infatti le tariffe per gli impianti con integrazione architettonica (lettera b3) sono mediamente superiori del 21 per cento rispetto a quelle previste per gli impianti non integrati (lettera b1) e del 10,3 per cento rispetto a quelle previste per gli impianti con integrazione parziale (lettera b2).

La tabella sottostante fornisce i valori in euro della tariffa:

 

Tariffa incentivante (valori in euro)

Potenza

non integrati (b1)

parziale integrazione (b2)

integrati (b3)

da 1 a 3 kW

0,40

0,44

0,49

da 3 a 20 kW

0,38

0,42

0,46

 più di 20 kW

0,36

0,40

0,44

Peraltro, in base al comma 4 dell'articolo 6 del DM, tali tariffe sono incrementate del 5%con arrotondamento commerciale alla terza cifra decimale, tra l'altro, nel caso in cui il cui soggetto responsabile sia una scuola pubblica o paritaria di qualunque ordine e grado o una struttura sanitaria pubblica o un ente locale con popolazione residente inferiore a 5000 abitanti sulla base dell'ultimo censimento Istat.

 

La disposizione in commento consente, pertanto, agli impianti i cui soggetti responsabili sono enti locali di ricevere automaticamente la tariffa più alta a prescindere dall'effettiva integrazione architettonica degli impianti.

Quanto alle disponibilità di cui all’art. 12 del DM, cui rinvia la disposizione in esame si segnala detto articolo fissa in 3000 MW l'obiettivo nazionale di potenza nominale fotovoltaica cumulata da installare entro il 2016, mentre il limite massimo della potenza elettrica cumulativa di tutti gli impianti che possono ottenere tariffe incentivantiè fissato dal successivo articolo 13. Tale articolo stabilisce, infatti, in 1200 MW il limite massimo di tutti gli impianti che possono ottenere le tariffe incentivanti. In aggiunta ad essi hanno diritto alle suddette tariffe gli impianti i cui soggetti responsabili sono gli enti locali che entrino in esercizio entro ventiquattro mesi dalla data nella quale verrà comunicato il raggiungimento del limite di potenza nominale di 1200 MW. (Tale termine è ridotto a quattordici mesi per gli impianti i cui soggetti responsabili non sono enti locali).

Sul sito Internet del GSE[120]. (accesso avvenuto in data 14 novembre 2007) risultano i seguenti dati relativi al numero e alla potenza nominale degli impianti fotovoltaici:

 

NUOVO CONTO ENERGIA

Impianti in esercizio

1.448

Potenza (kW)

10.141

VECCHIO CONTO ENERGIA

Impianti in esercizio

3.830

Potenza (kW)

43.113

 

Il comma 2 prevede che l'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti fotovoltaici i cui soggetti responsabili sono enti locali venga rilasciata – qualora sia necessaria ai sensi della vigente legislazione e in relazione alle caratteristiche e all’ubicazione dell’impianto - a seguito del procedimento unico disciplinato dal comma 4 dell'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387[121] per il complesso degli impianti.

La portata innovativa della disposizione sembrerebbe identificarsi nella previsione di un'autorizzazione unica "per il complesso degli impianti", dunque per una pluralità di impianti, ipoteticamente anche ubicati in posti diversi.

 

Il rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio di impianti alimentati da FER è disciplinato dal comma 3 dell'articolo 12 del citato D.Lgs. 387/03. Il comma stabilisce, infatti, che la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o altro soggetto istituzionale delegato dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico. A tal fine la Conferenza dei servizi è convocata dalla regione entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione. Resta fermo il pagamento del diritto annuale di cui all'articolo 63, commi 3 e 4, del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504[122], e successive modificazioni.

Quanto alla disciplina del procedimento unico si rinvia alla scheda relativa all’art. 53 nel presente dossier (che modifica il comma 4, dell'articolo 12 citato del D.Lgs. 387/03).


Articolo 65
(Fondo di garanzia per le opere pubbliche)

 


1. La Cassa depositi e prestiti s.p.a. è autorizzata a costituire, presso la gestione separata, un apposito fondo, denominato Fondo di garanzia per le opere pubbliche (FGOP).

2. La dotazione iniziale del Fondo e le successive variazioni sono stabilite dalla Cassa depositi e prestiti s.p.a. a valere sulle risorse previste ai sensi dell'articolo 71, comma 2, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

3. Il Fondo è finalizzato al sostegno finanziario dei lavori, di competenza dei soggetti di cui all'articolo 5, comma 7, lettera a), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, da realizzare mediante:

a) contratti di concessione di cui all'articolo 53, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;

b) contratti di concessione di costruzione e gestione o affidamento unitario a contraente generale di cui all'articolo 173 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

4. Il Fondo, al fine di ridurre le contribuzioni pubbliche a fondo perduto, presta garanzie, in favore dei soggetti pubblici o privati coinvolti nella realizzazione o nella gestione delle opere, volte ad assicurare il mantenimento del relativo equilibrio economico-finanziario.

5. La Cassa depositi e prestiti s.p.a., nel rispetto degli indirizzi fissati dal Ministro dell'economia e delle finanze nell'esercizio dei poteri di cui all'articolo 5, comma 9, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, fissa con proprio regolamento limiti, condizioni, modalità e caratteristiche della prestazione delle garanzie e dei relativi rimborsi, tenendo conto della redditività potenziale dell'opera e della decorrenza e durata della concessione o della gestione.

6. Dalle disposizioni di cui ai precedenti commi non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

7. Sono abrogati i commi da 1 a 5 dell'articolo 71 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.


 

 

L’articolo in esame, al comma 1,autorizza la Cassa depositi e prestiti s.p.a. a costituire, presso la gestione separata, un apposito Fondo di garanzia per le opere pubbliche (FGOP). Tale Fondo sostituisce il Fondo rotativo per le opere pubbliche (FROP), le cui norme istitutive vengono quindi abrogate dal successivo comma 7.

Il Fondo di garanzia per le opere pubbliche è finalizzato, ai sensi del comma 3, al sostegno finanziario dei lavori, di competenza dei soggetti di cui all’art. 5, comma 7, lettera a), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326). Si tratta, in particolare, dello Stato, delle regioni, degli enti locali, degli enti pubblici e degli organismi di diritto pubblico.

 

La Cassa depositi e prestiti, trasformata in società per azioni dall’articolo 5 del decreto-legge n. 269/2003[123] (“collegato” alla legge finanziaria 2004) [124] assume la configurazione di intermediario finanziario non bancario ed è soggetta alla vigilanza della Banca d’Italia nelle forme previste per gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del Testo unico bancario[125].

L’attività della società è strutturata su due aree distinte, che comportano anche una separazione organizzativa e contabile : la prima area è organizzata come gestione separata, prosegue l’attività tradizionale della Cassa depositi e prestiti. La seconda area, che consiste nella gestione ordinaria, ha per compito, in base alle previsioni del decreto-legge n. 269/3003, la concessione di finanziamenti relativi alle reti e agli impianti destinati alla fornitura dei servizi pubblici ed alle bonifiche

Per ciò che attiene alla gestione separata, la Cassa depositi e prestiti cura la concessione di finanziamenti agli enti pubblici e agli organismi di diritto pubblico, utilizzando, come provvista, il risparmio postale garantito dallo Stato e i fondi provenienti da emissioni di titoli e altre operazioni di raccolta, che possono essere assistiti dalla garanzia dello Stato.

Alla gestione separata sono state altresì assegnate le partecipazioni azionarie trasferite dallo Stato al momento della trasformazione in società per azioni.

Specifiche disposizioni legislative hanno poi previsto l’istituzione di fondi, destinati al finanziamento di investimenti, i quali operano presso la gestione separata [126] La gestione separata, infine, può effettuare attività di assistenza e consulenza in favore dei soggetti beneficiari dei finanziamenti da essa concessi.

La separazione della gestione alla quale è affidato il finanziamento degli enti pubblici riguarda i profili contabili e organizzativi. La gestione separata è soggetta ad una disciplina speciale, la quale è caratterizzata dai seguenti profili:

-        attribuzione del potere di indirizzo al Ministro dell’economia e delle finanze ;

-        integrazione del consiglio di amministrazione con rappresentanti del Ministero dell’economia e delle finanze e con rappresentanti degli enti locali ;

-        sottoposizione alla vigilanza di un’apposita Commissione, di cui fanno parte parlamentari;

-        possibilità di avvalersi della rappresentanza in giudizio e della difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato.

 

La disciplina del FROP fa riferimento ai lavori di competenza dei soggetti di cui all’articolo 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 284 del 1999, cioè Stato, regioni, enti locali, enti pubblici, nonché – nei casi indicati – privati.

 

Come per il FROP, il medesimo comma 3 individua nelle modalità di realizzazione dell’opera un secondo elemento in base al quale viene definito l’ambito delle opere pubbliche al cui sostegno sono destinati gli interventi del Fondo.

Le opere beneficiarie devono essere infatti realizzate secondo una delle due seguenti modalità:

§      contratti di concessione, di cui all’art. 53, comma 1, del codice dei contratti pubblici approvato con il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163;

Si segnala che, in realtà, l’articolo 53, comma 1, si limita a prevedere che i lavori pubblici possono essere affidati mediante contratti di appalto o contratti di concessione. La definizione di “concessione di lavori pubblici” è contenuta nell’articolo 3, comma 11; la relativa disciplina nel Capo II del Titolo III della Parte II del Codice dei contratti pubblici (articolo 142 ss.).

Appare quindi più corretto sostituire il riferimento all’articolo 53 con quello all’articolo 3, comma 11, oppure al Capo II del Titolo III della Parte II del Codice dei contratti pubblici.

In particolare, in base all’articolo 3, comma 11, per “concessioni di lavori pubblici” si intendono quei contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi ad oggetto, in conformità al presente codice, l’esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica, che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità al presente codice.

§      contratti di concessione di costruzione e gestione o affidamento unitario a contraente generale di cui all’art. 173 del citato codice.

 

Ai sensi dell’art. 173 del d.lgs. n. 163 del 2006 la realizzazione di infrastrutture strategiche è oggetto di concessione di costruzione e gestione o affidamento unitario a contraente generale.

Si premette che anche le concessioni disciplinate dagli articoli 142 e ss. del codice vengono comunemente denominate concessioni di costruzione e gestione. Esse hanno in comune con le concessioni richiamate dall’articolo 173 del codice gli elementi caratterizzanti il rapporto negoziale, consistenti nell’oggetto della prestazione (l’esecuzione dei lavori pubblici, o di pubblica utilità) e nella controprestazione a favore del concessionario (il diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati). Gli elementi di differenziazione sono legati al fatto che le concessioni di cui all’articolo 173 sono espressione di un regime speciale dettato specificamente per le infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale (di cui alla legge n. 443 del 2001, cd. legge obiettivo), che contiene la previsione di alcune semplificazioni ed accelerazioni che hanno lo scopo di garantire un canale privilegiato ad opere di particolare rilevanza.

Per quanto riguarda l’affidamento a contraente generale, esso è disciplinato dagli articoli 176 e seguenti del codice dei contratti pubblici. In base al comma 1 di tale disposizione, “il soggetto aggiudicatore, in deroga all'articolo 53, affida ad un soggetto dotato di adeguata esperienza e qualificazione nella costruzione di opere nonché di adeguata capacità organizzativa, tecnico-realizzativa e finanziaria la realizzazione con qualsiasi mezzo dell'opera, nel rispetto delle esigenze specificate nel progetto preliminare o nel progetto definitivo redatto dal soggetto aggiudicatore e posto a base di gara, contro un corrispettivo pagato in tutto o in parte dopo l'ultimazione dei lavori”. Il general contractor è il soggetto che assume su di sé le funzioni di progettista, costruttore ed in parte di finanziatore dell'opera da realizzare e ne assume, di conseguenza, integralmente la responsabilità economica. Il contraente generale si fa in particolare carico del rischio economico dell'opera, impegnandosi a fornire "un pacchetto finito" a prezzi, termini di consegna e qualità predeterminati contrattualmente.

 

Il comma 2 dispone che la dotazione iniziale del Fondo e le successive variazioni sono stabilite dalla Cassa depositi e prestiti a valere sulle risorse previste ai sensi dell’art. 71, comma 2, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 per il Fondo rotativo delle opere pubbliche.

 

L’art. 71, comma 2, della legge n. 289/2002 aveva assegnato al Fondo rotativo delle opere pubbliche una dotazione iniziale di un miliardo di euro, che doveva essere poi alimentata dalla Cassa depositi e prestiti. Il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, su proposta del direttore generale della Cassa depositi e prestiti, avrebbe potuto apportare con proprio decreto variazioni alla consistenza del fondo.

 

Ai sensi del comma 4, il Fondo interviene a sostegno delle opere pubbliche mediante la prestazione di garanzie volte ad assicurare il mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario nella realizzazione o gestione delle opere medesime. I soggetti beneficiari delle garanzie possono essere, indistintamente, soggetti pubblici o privati coinvolti nella realizzazione o nella gestione delle opere individuate con il comma 3; la disposizione precisa inoltre che la prestazione di garanzie da parte del Fondo è rivolta a ridurre le contribuzioni pubbliche a fondo perduto.

 

La finalità di tale disposizione, sembrerebbe, pertanto, analogamente a quelle del Fondo rotativo per le opere pubbliche, quella di istituire un servizio di tipo innovativo che possa incentivare la partecipazione di capitale privato nella realizzazione di opere pubbliche e permetta, per questa via, di ridurre i contributi pubblici a fondo perduto. Le garanzie prestate dal fondo dovrebbero infatti permettere una riduzione dei costi di finanziamento della realizzazione e gestione delle opere, con conseguente beneficio per i soggetti che ne sono coinvolti.

 

Il comma 5 attribuisce alla Cassa depositi e prestiti la facoltà di definire i limiti, condizioni, le modalità e le caratteristiche della prestazione delle garanzie e dei relativi rimborsi, nel rispetto degli indirizzi fissati dal Ministro dell’economia e delle finanze nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 5, comma 9, del decreto legge n. 269/2003.

A tal fine la disposizione in esame indica alcuni elementi di cui tener conto, quali la redditività potenziale dell’opera e la decorrenza e durata della concessione e della gestione.

 

Si ricorda che il citato comma 9, dell’art. 5 del decreto legge n. 269/2003 attribuisce al Ministro dell’economia e delle finanze specifici poteri di indirizzo sulla gestione separata della CDP disposta dal precedente comma 8 che prevede che per le attività di finanziamento a favore degli enti pubblici, tra cui lo Stato, le regioni e gli enti locali, e degli organismi di diritto pubblico, sia istituita una apposita gestione separata. Si ricorda che la gestione separata è soggetta ad una disciplina speciale, che è caratterizzata dai seguenti profili:

-          specifici poteri attribuiti al Ministro dell’economia e delle finanze (commi 9 e 11);

-          integrazione del consiglio di amministrazione con rappresentanti del Ministero dell’economia e delle finanze e con rappresentanti e degli enti locali (comma 10);

-          vigilanza della Commissione parlamentare (comma 9);

-          possibilità di avvalersi della rappresentanza in giudizio e della difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato (comma 15).

 

Il comma 6 reca la clausola di invarianza della spesa.

 

Il comma 7, come già detto, abroga le disposizioni istitutive del Fondo rotativo per le opere pubbliche (art. 71, commi da 1 a 5, legge n. 289 del 2002).

 

Si segnala che non viene abrogato anche il comma 6 della medesima disposizione, che in realtà reca un contenuto disomogeneo rispetto a i commi precedenti, disciplinando l’obbligo per il Governo, con cadenza annuale, di verificare lo stato di attuazione degli interventi previsti dalla cd. legge obiettivo e di riferire alle competenti Commissioni parlamentari.


Articolo 67, commi 2-3
(Interventi di adeguamento strutturale ed antisismico degli edifici del sistema scolastico)

 


2. Il fondo di cui all'articolo 32-bis del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, è incrementato di 20 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2008, da destinare ad interventi di adeguamento strutturale ed antisismico degli edifici del sistema scolastico, nonché alla costruzione di nuovi immobili sostitutivi degli edifici esistenti, laddove indispensabili a sostituire quelli a rischio sismico, secondo programmi basati su aggiornati gradi di rischiosità.

3. Per l'utilizzazione delle risorse di cui al comma 2, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 2 dell'articolo 32-bis del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, è emanato sentiti i Ministri delle infrastrutture, della pubblica istruzione e dell'economia e delle finanze.


 

 

Il comma 2 incrementa di 20 milioni di euro, a decorrere dal 2008, il Fondo per interventi straordinari della Presidenza del Consiglio per interventi di adeguamento strutturale ed antisismico degli edifici del sistema scolastico, nonché per la costruzione di nuovi immobili sostitutivi degli edifici esistenti, laddove indispensabili a sostituire quelli a rischio sismico, secondo programmi basati su aggiornati gradi di rischiosità.

Tale fondo è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dall’art. 32-bis del decreto-legge n. 269 del 2003 (convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), al fine precipuo di contribuire alla realizzazione di interventi infrastrutturali, con priorità per quelli connessi alla riduzione del rischio sismico e per far fronte ad eventi straordinari nei territori degli enti locali, delle aree metropolitane e delle città d'arte.

 

La stessa disposizione ha autorizzato una spesa di 73,5 milioni di euro per l'anno 2003 e di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2004 e 2005. Per le modalità di attivazione del Fondo per gli interventi straordinari della Presidenza del Consiglio dei Ministri sono state, quindi, emanate l’O.P.C.M. dell’8 luglio 2004, n. 3362 e l'O.P.C.M. 17 settembre 2004, n. 3376. Con tali ordinanze si è in particolare provveduto a ripartire le risorse assegnate per interventi statali e regionali (la somma di 100 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2004 e 2005, è stata così ripartita: 67,5 milioni di euro per interventi di competenza regionale e 32,5 milioni di euro per interventi di competenza statale) e sono state definite le tipologie di interventi ammessi al finanziamento

Per quanto riguarda la messa in sicurezza degli edifici scolastici, il comma 21 dell’art. 80 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003), ha specificatamente previsto che, nell’ambito della legge obiettivo, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca predisponga un “Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici” nelle zone soggette a rischio sismico. L’art 3, comma 91, della legge 24 dicembre 2003 n. 350 (legge finanziaria 2004) ha destinato al “Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici” un importo non inferiore al 10% delle risorse ex art. 13 legge n. 166/2002, disponibili al 1° gennaio 2004 e l’art. 4, comma 176, invece, ha autorizzato ulteriori limiti di impegno nel biennio 2005-2006.

Con delibera CIPE 20 dicembre 2004, n. 102[127], modificata dalla delibera 2 dicembre 2005, n. 157 e con delibera 17 novembre 2006, n. 143[128],è stato approvato il primo programma di messa in sicurezza degli edifici scolastici. Il Piano si articola in due stralci per complessivi 489 Meuro riferiti a 1.594 interventi[129].

 

Il comma 3 dispone che, ai fini dell’assegnazione di tali risorse, il DPCM previsto dal comma 2 del citato art. 32-bis del decreto legge n. 269 del 2003 sia adottato anche con il parere del Ministro delle infrastrutture e della pubblica istruzione, oltre che dell’economia.

 

Il citato comma 2 dell’art. 32-bis del decreto-legge demanda ad un DPCM, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze, l’individuazione degli interventi da realizzare, degli enti beneficiari e delle risorse da assegnare nell'ambito delle disponibilità del fondo.

In attuazione di tale disposizione sono stati emanati i seguenti provvedimenti: il DPCM 8 luglio 2004, il DPCM 19 novembre 2004, il DPCM 27 aprile 2006, il DPCM 29 marzo 2006, il DPCM 5 marzo 2007, il DPCM 30 marzo 2007 e, da ultimo, il DPCM 3 agosto 2007.

 


Articolo 81, comma 1
(Realizzazione di aree verdi per ridurre l’emissione di gas climalteranti, migliorare la qualità dell’aria e tutelare la biodiversità)


 

1. È istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un fondo di 50 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010 per la forestazione e la riforestazione al fine di ridurre le emissioni di CO2, per la realizzazione di aree verdi in zone urbane e periurbane al fine di migliorare la qualità dell'aria nei comuni a maggiore crisi ambientale, e di tutelare la biodiversità.

(omissis)


 

 

Il comma 1 dell’articolo in esame istituisce, presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, un apposito un fondo per la forestazione e la riforestazione di aree incolte,al fine di ridurre le emissioni di CO2, e per la realizzazione di aree verdi in zone urbane e periurbane per migliorare la qualità dell’aria nei comuni a maggiore crisi ambientale e per tutelare la biodiversità.

La disposizione individua la dotazione del fondo in 50 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010.

 

Il “Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra: 2003-2010”[130], elaborato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e adottato con la delibera CIPE n. 123 del 2002, in attuazione dell’art. 2, comma 1, del Protocollo di Kyoto, ha stimato un potenziale massimo di assorbimento di carbonio, derivante dalle foreste già esistenti, pari a 10,2 milioni di tonnellate/anno di anidride carbonica equivalente. Inoltre, ha previsto alcune iniziative di forestazione e riforestazione per consentire all'Italia di rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2008-2012, come prevede il Protocollo di Kyoto.

Il 18 dicembre 2006 il Ministro dell'Ambiente e il Ministro dello Sviluppo Economico con decreto DEC/RAS/1448/2006 hanno approvato il Piano Nazionale di Assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012, successivamente trasmesso alla Commissione europea che ha accolto il Piano a condizione che vi fossero apportati alcuni cambiamenti. Tale Piano quantifica gli assorbimenti di carbonio (derivanti da interventi di afforestazione e riforestazione, attività di gestione forestale, di gestione dei suoli agricoli e pascoli e di rivegetazione) in 16,2 milioni di tonnellate/anno di anidride carbonica equivalente. Il Piano ed il relativo parere della Commissione europea costituiranno la base per la predisposizione del successivo Schema di Decisione di Assegnazione, attualmente in fase di elaborazione.

Si segnala, infine, che la relazione della Commissione ambiente sulle tematiche relative ai cambiamenti climatici (approvata il 28 giugno 2007)[131] sottolinea il ruolo che nella riduzione delle emissioni può essere svolto dall’agricoltura, anche sotto il profilo della capacità di assorbimento di CO2 nei terreni agricoli e nel patrimonio forestale.

In merito, invece, al miglioramento della qualità dell’aria nelle aree urbane, si richiama il DM 3 agosto 2007[132] con cui è stato approvato un Programma di finanziamenti per il miglioramento della qualità dell'aria nelle aree urbane e per il potenziamento del trasporto pubblico con una dotazione complessiva di 270 milioni di euro, in attuazione del comma 1121 e segg. dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 che ha istituito un Fondo per la mobilità sostenibile nelle aree urbane.

 


Articolo 101
(Tutela degli utenti dei servizi pubblici locali)

 


1. Al fine di tutelare i diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici locali e di garantire la qualità, l'universalità e l'economicità delle relative prestazioni, in sede di stipula dei contratti di servizio gli enti locali sono tenuti ad applicare le seguenti disposizioni:

a) previsione dell'obbligo per il soggetto gestore di emanare una «Carta della qualità dei servizi», da redigere e pubblicizzare in conformità ad intese con le associazioni di tutela dei consumatori e con le associazioni imprenditoriali interessate, recante gli standard di qualità e di quantità relativi alle prestazioni erogate così come determinati nel contratto di servizio, nonché le modalità di accesso alle informazioni garantite, quelle per proporre reclamo e quelle per adire le vie conciliative e giudiziarie nonché le modalità di ristoro dell'utenza, in forma specifica o mediante restituzione totale o parziale del corrispettivo versato, in caso di inottemperanza;

b) consultazione obbligatoria delle associazioni dei consumatori;

c) previsione che sia periodicamente verificata, con la partecipazione delle associazioni dei consumatori, l'adeguatezza dei parametri quantitativi e qualitativi del servizio erogato fissati nel contratto di servizio alle esigenze dell'utenza cui il servizio stesso si rivolge, ferma restando la possibilità per ogni singolo cittadino di presentare osservazioni e proposte in merito;

d) previsione di un sistema di monitoraggio permanente del rispetto dei parametri fissati nel contratto di servizio e di quanto stabilito nelle Carte della qualità dei servizi, svolto sotto la diretta responsabilità dell'ente locale o dell'ambito territoriale ottimale, con la partecipazione delle associazioni dei consumatori ed aperto alla ricezione di osservazioni e proposte da parte di ogni singolo cittadino che può rivolgersi, allo scopo, sia all'ente locale, sia ai gestori dei servizi, sia alle associazioni dei consumatori;

e) istituzione di una sessione annuale di verifica del funzionamento dei servizi tra ente locale, gestori dei servizi ed associazioni dei consumatori nella quale si dia conto dei reclami, nonché delle proposte ed osservazioni pervenute a ciascuno dei soggetti partecipanti da parte dei cittadini;

f) previsione che le attività di cui alle lettere b), c) e d) siano finanziate con un prelievo a carico dei soggetti gestori del servizio, predeterminato nel contratto di servizio per l'intera durata del contratto stesso.


 

 

L’articolo 101, introdotto al Senato, prevede una serie di prescrizioni rivolte agli enti locali al fine di incrementare la tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici locali, implementando qualità, universalità ed economicità delle relative prestazioni.

 

Giova ricordare brevemente che nel corso della XIV legislatura sono stati approvati due interventi di riordino complessivo volti alla liberalizzazione della gestione dei servizi pubblici locali.

La “prima” riforma dei servizi pubblici locali è stata attuata dall’art. 35 della L. 448/2001 , legge finanziaria per il 2002, recante un complesso di disposizioni concernenti sia la proprietà e la gestione delle reti, sia l’erogazione dei servizi. In tale ambito appare di particolare rilievo rammentare l’introduzione del principio generale secondo il quale l’erogazione dei servizi di rilevanza industriale avviene in regime di concorrenza e attraverso l’affidamento del servizio.

A differenza dell’esercizio dei servizi pubblici, completamente liberalizzato, gli enti locali mantengono un notevole controllo sulle reti e le altre infrastrutture (in parte attenuato dall’art. 35 che ha introdotto anche in questo campo alcuni elementi di concorrenza), considerato che l’ente locale titolare del servizio rimane proprietario delle reti e degli impianti necessari all’erogazione del servizio.

La “seconda” riforma dei servizi pubblici locali è stata adottata nell’ambito del D.L. 269/2003 , il cosiddetto decreto per la competitività, ed in particolare dall’articolo 14.

Ulteriori modifiche all’art. 113 del testo unico sono state introdotte - poco dopo la conversione del D.L. 269 – dall’art. 4, co. 234, della legge finanziaria per il 2004

Si segnala, infine, che presso l’Assemblea del Senato è incardinato un disegno di legge recante “Delega al Governo per il riordino dei servizi pubblici locali” (A.S. n.772) nel quale, come si evince dalla relazione di accompagno, “entrano in gioco da protagonisti gli utenti dei servizi pubblici locali, con la obbligatorietà della adozione da parte di ciascun gestore di una carta dei servizi che indichi:

-          modalità di accesso alle informazioni;

-          modalità di reclamo;

-          modalità per adire le vie conciliative e giudiziarie;

-          livelli minimi di ciascun servizio;

-          modalità di ristoro dell’utenza (in forma specifica o mediante restituzione totale o parziale del corrispettivo versato, in caso di inottemperanza)”.

L’intento del d.d.l. pendente presso il Senato appare, pertanto, il rafforzamento del diritto di cittadinanza, della qualità dei servizi, l’apertura al confronto con le associazioni dei consumatori e delle imprese, con le quali deve essere concordata la stessa carta. La carta, prosegue la relazione, viene introdotta “non come un vuoto vademecum privo di effetti sul piano pratico, perché dall’osservanza della carta si fa discendere lo stesso perdurare dell’affidamento, insieme alla valutazione della soddisfazione degli utenti alla luce dell’evasione dei reclami presentati dalle rilevazioni mediante sondaggi caratterizzati dalla maggiore obbiettività e compilati sotto la vigilanza dell’ente locale e delle autorità nazionali di regolazione.

Più specificamente, l’articolo 3 del suddetto disegno di legge, come modificato dalla I° Commissione Affari Costituzionali del Senato, alla lettera a) del comma 1 prevede che ogni soggetto gestore di servizio pubblico locale debba tempestivamente pubblicizzare mediante mezzi idonei, a pena di revoca dell’affidamento, una carta dei servizi resi all’utenza, approvata dall’Autorità competente e adottata in conformità ad intese con le associazioni di tutela dei consumatori e con le associazioni imprenditoriali interessate, che indichi anche le modalità di accesso alle informazioni garantite, quelle per porre reclamo e quelle per adire le vie conciliative e giudiziarie, nonché i livelli minimi garantiti per ciascun servizio e le modalità di ristoro dell’utenza, mediante meccanismi di rimborso automatico ovvero in forma specifica o mediante restituzione totale o parziale del corrispettivo versato, in caso di inottemperanza, avendo particolare riguardo alle categorie deboli e in specie ai diversamente abili.

 

L’articolo in esame prevede che, in sede di stipula dei contratti di servizio, gli enti locali sono tenuti al rispetto delle seguenti disposizioni:

a)      il soggetto gestore è tenuto ad emanare una "Carta della qualità dei servizi", redatta e pubblicizzata sulla base di intese con le associazioni di tutela dei consumatori e con le associazioni imprenditoriali interessate, dalla quale si possano evincere gli standard di qualità e di quantità relativi alle prestazioni erogate così come determinati nel contratto di servizio, nonché le modalità di accesso alle informazioni garantite, con particolare riferimento a quelle concernenti la proposizione dei reclami e quelle per adire le vie conciliative e giudiziarie nonché le modalità di ristoro dell'utenza, in forma specifica o mediante restituzione totale o parziale del corrispettivo versato, in caso di inottemperanza;

Ai sensi dell’art. 11 del D.L. 30 luglio 1999, n. 286, i soggetti che erogano servizi di pubblica utilità sono tenuti ad adottare una Carta dei Servizi secondo gli schemi emanati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la quale assumono nei confronti dell'utente impegni diretti a garantire predeterminati e controllabili livelli di qualità delle prestazioni.

Si ricorda che in data 27 gennaio 1994, attraverso una Direttiva della Presidenza del Consiglio sono stati recepiti le regole ed i principi di un documento di studio del governo Ciampi, in seguito ulteriormente recepiti in altre leggi (v. art. 2, D.L. n. 165/1995, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 273/1995, articolo successivamente abrogato e sostituito dall'art. 11, D.Lgs. n. 286/1999; L. n. 481/1995 sui poteri delle Autorità di regolazione), che hanno definitivamente sanzionato l'obbligo legislativo di adottare le carte dei servizi.

La c.d. direttiva Ciampi, relativa ai "Principi sull'erogazione dei servizi pubblici", ha fissato i principi cui deve essere progressivamente uniformata l'erogazione dei servizi pubblici, anche se svolti in regime di concessione, a tutela delle esigenze dei cittadini che possono fruirne nel rispetto delle esigenze di efficienza e imparzialità cui l'erogazione deve uniformarsi. Il rispetto di detti principi deve essere assicurato dalle amministrazioni pubbliche nell'esercizio dei loro poteri di direzione, controllo e vigilanza.

Nella direttiva viene affermato, per la prima volta, mutuando in gran parte dall'esperienza britannica, il principio in base al quale "le aziende si impegnano nei confronti del cittadino-utente a fornire determinati livelli di servizio ed a garantire precise forme di tutela…" ed "i soggetti erogatori danno immediato riscontro all'utente circa le segnalazioni e le proposte da esso formulate".

I punti fondamentali della Direttiva possono così sintetizzarsi:

-        enunciazione dei principi fondamentali cui devono attenersi i soggetti che erogano un servizio pubblico;

-        adozione degli standard di qualità e quantità del servizio ed indicazione di eventuali fattori esterni che potrebbero incidere significativamente sul conseguimento degli standard. Tali standard devono essere sottoposti a verifica con gli utenti in adunanze pubbliche e devono essere periodicamente aggiornati

-        semplificazione delle procedure relative agli atti concernenti la prestazione di servizio pubblici, con un espresso riferimento alla semplificazione e all'informatizzazione dei sistemi di prenotazione e delle forme di pagamento delle prestazioni

Il citato articolo 2 della legge 273/1995, dalla rubrica "qualità dei servizi pubblici", prevedeva che con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri venissero emanati schemi generali di riferimento delle carte dei servizi pubblici predisposti dal Dipartimento della funzione pubblica d'intesa con le singole amministrazioni interessate.

Successivamente, l'art. 11 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, ha abrogato il suddetto articolo 2 della legge 273/1995, prevedendo al comma 2 che "le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfettario all'utenza per mancato rispetto degli standard di qualità sono stabilite con direttive, aggiornabili annualmente, del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Un ultimo importante aspetto delle carte dei servizi che va ancora segnalato, e del quale al momento non si conoscono risvolti giurisdizionali significativi ha riguardo alla carta dei servizi come strumento di tutela dell'utente. Infatti, tra le esigenze cui si ritiene dovrebbero rispondere le carte dei servizi vi è anche quella di assicurare un sostegno delle aspettative dei cittadini ad una prestazione del servizio pubblico secondo regola d'arte. In questo senso le carte dei servizi potrebbero contribuire a puntualizzare e specificare l'obbligo di prestare il servizio, che non è più quello di erogare una prestazione qualunque, ma una prestazione con caratteristiche oggettivamente stabilite.

b)      gli enti locali sono tenuti a consultare le associazioni dei consumatori.

In merito a quanto sopra si ricorda che Il cd. Codice del Consumo (D.Lgs.206/2005) nella Parte V (artt.136-141), raccoglie le norme in materia di associazioni dei consumatori e di accesso alla tutela giurisdizionale. In tale ambito, oltre alle norme in materia di azioni inibitorie e legittimazione ad agire delle associazioni dei consumatori, particolare rilievo assume l’articolo 141 che, in attuazione di quanto previsto dal criterio di delega di cui all'articolo 7, comma 1, lett d) della legge n.229/2003, reca disposizioni in tema di composizione extragiudiziale delle controversie, prevedendo l’attivazione di tali forme di composizione extragiudiziale allo scopo di deflazionare il carico di contenzioso pendente e di agevolare la rapida soluzione delle liti.

Tra le disposizioni più innovative della legge si ricordano il riconoscimento della legittimazione delle associazioni di consumatori ad agire in giudizio per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti (articolo 3) e l’istituzione di un apposito organismo, il "Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti", presso il MAP, con il compito di svolgere tra l’altro attività consultive e di ricerca (articolo 4).

c)      obbligo per il soggetto gestore, con la partecipazione delle associazioni dei consumatori, di verificare periodicamente l'adeguatezza dei parametri quantitativi e qualitativi del servizio erogato, fissati nel contratto di servizio, alle esigenze dell'utenza cui il servizio stesso si rivolge con la possibilità per ogni singolo cittadino di far conoscere osservazioni e proposte in merito;

d)      obbligo di approntare un sistema di monitoraggio permanente in ordine al rispetto dei parametri fissati nel contratto di servizio e di quanto stabilito nelle "Carte della qualità dei servizi" con una responsabilità diretta in capo all'ente locale od ambito territoriale ottimale prevedendo la partecipazione delle associazioni dei consumatori come pure la ricezione di osservazioni e proposte da parte di ogni singolo cittadino che potrà rivolgersi, allo scopo, tanto all'ente locale quanto a gestori dei servizi ed associazioni dei consumatori;

e)      previsione dell’obbligo per il soggetto gestore di istituire una sessione annuale di verifica del funzionamento dei servizi tra ente locale, gestori dei servizi ed associazioni dei consumatori nella quale si dia conto di reclami, proposte ed osservazioni pervenute, da parte dei cittadini, a ciascuno dei soggetti partecipanti;

f)        le attività di cui alla lettere b), c) e d) dovranno essere finanziate con un prelievo a carico dei soggetti gestori del servizio predeterminato nel contratto di servizio per l'intera durata del contratto stesso».

 


 



[1]     Ai sensi dell’articolo 8, comma 2, del d.lgs. n. 504/92 per “unità immobiliare adibita ad abitazione principale” si intende, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica del contribuente.

[2]     Il versamento dell’imposta può essere effettuato anche tramite versamenti su conto corrente postale con bollettini conformi al modello indicato con circolare del Ministero dell’economia e delle finanze.

[3]     Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali.

[4]     Istituzione del Servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, L. 4 ottobre 1986, n. 657.

[5]     Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla L. 28 settembre 1998, n. 337.

[6]     Istituzione del Servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, L. 4 ottobre 1986, n. 657.

[7]     Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito.

[8]     Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla L. 28 settembre 1998, n. 337.

[9]     Disposizioni urgenti in materia di razionalizzazione della base imponibile, di contrasto all'elusione fiscale, di crediti di imposta per le assunzioni, di detassazione per l'autotrasporto, di adempimenti per i concessionari della riscossione e di imposta di bollo.

[10]    Per il 2004 dall'art. 2, comma 18, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, per il 2005 dall’articolo 1, comma 65, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, per il 2006 dall’art. 1, comma 152, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e per il 2007 dell’art. 1, co. 697, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

[11]    La compartecipazione al gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è stata istituita, per i comuni, dall’art. 67, comma 3, della legge n. 388/2000 (finanziaria per il 2001), per il solo anno 2002. La disciplina è stata successivamente modificata dall’art. 25, comma 5, della legge n. 448/2001 (finanziaria per il 2002) ed estesa all’anno 2003, come entrata transitoria per i comuni, in attesa della piena applicazione della disciplina dell’addizionale all’IRPEF, di cui al decreto legislativo n. 360/1998. L’aliquota di compartecipazione, inizialmente fissata al 4,5% del riscosso in conto competenza affluente al bilancio dello Stato per l’esercizio finanziario precedente, è stata aumentata al 6,5% per l’anno 2003 dall’art. 31, comma 8, della legge n. 289/2002 (finanziaria 2003). La medesima disposizione ha altresì istituito, per lo stesso anno 2003, una compartecipazione al gettito dell’IRPEF anche per le province, nella misura dell’1%, in tutto analoga a quella già attuata per i comuni.

[12]    Secondo lo schema generale delineato dal decreto legislativo n. 504/1992, lo Stato concorre al finanziamento dei bilanci di province e comuni con l'assegnazione dei seguenti fondi:

-          “Fondo ordinario”, in cui confluiscono la gran parte delle risorse destinate al finanziamento dei bilanci degli enti locali;

-          “Fondo consolidato”, in cui confluiscono i contributi erariali finalizzati da leggi speciali a specifici interventi;

-          “Fondo perequativo degli squilibri di fiscalità locale” (relativo, in particolare, ai problemi perequativi derivanti dall’ICI).

      Le risorse sono attribuite alle province e ai comuni sulla base del gettito delle imposte e delle addizionali di loro competenza per le quali non vi sia discrezionalità, considerato in relazione alla classe demografica di appartenenza degli enti medesimi.

[13]    Più precisamente, il citato articolo 24, nell’ambito della disciplina del Patto di stabilità interno per l’anno 2002, disponeva, al comma 9, una riduzione progressiva dei trasferimenti erariali correnti spettanti a comuni e province nel triennio 2002-2004, nell’ordine dell'1% nel 2002, del 2% nel 2003 e del 3% nel 2004, a valere sul complesso dei Fondi ordinario, perequativo e consolidato.

      In base alla relazione tecnica al disegno di legge finanziaria per il 2002, il taglio progressivo dei trasferimenti correnti nei tre anni è stato quantificato in complessivi 339,2 milioni di euro per il 2004, di cui 227 milioni di euro a valere sul Fondo ordinario, 68 sul Fondo consolidato e 44,1 milioni di euro sul Fondo perequativo.

[14]    A tal fine, le risorse che vengono considerate sono quelle costituite dai contributi ordinari (al netto della mobilità del personale, del rimborso per i minori introiti derivanti dall’imposta sulle insegne d’esercizio e del contributo per la fusione dei comuni), consolidati e perequativi attribuiti nel 2003, maggiorati, per i comuni, dal gettito dell’I.C.I. parametrato all’aliquota del 4 per mille (a suo tempo detratto dai trasferimenti) e dei maggiori introiti derivanti dall’addizionale energetica.

[15]    Il comma 703 della legge finanziaria dello scorso anno assegna, per ciascuno degli anni 2007-2009, contributi in favore degli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti a valere sulle risorse del Fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli enti locali. In particolare:

-        contributo di 55 milioni, in favore dei comuni nei quali la popolazione residente ultrasessantacinquenne sia superiore al 30% della popolazione complessiva;

-        contributo di 71 milioni, in favore dei comuni nei quali la popolazione residente al di sotto dei 5 anni sia superiore al 5% della popolazione complessiva;

-        contributo di 42 milioni, per finalità di investimento, in favore dei comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti, tra loro associati o che abbiano delegato funzioni alle comunità montane;

-        contributo di 20 milioni di euro in favore delle comunità montane.

[16]    GU n. 289 del 13-12-2006.

[17]    Si ricorda che, a seguito di osservazioni sollevate dalla Commissione europea, la sperimentazione delle ZFU non è stata ancora avviata. Peraltro, l’operatività del Fondo non risultava possibile per l’anno 2007, in quanto l’appostazione di bilancio nello stato di previsione del Ministero dell’economia, pari a 50 milioni, era prevista per ciascuno degli anni 2008 e 2009.

[18]    Il saldo finanziario considerato dal comma 678, ai fini della determinazione del concorso alla manovra, è calcolato in termini di cassa quale differenza tra entrate finali e spese finali, risultanti dai conti consuntivi (comma 680) .Nel computo del saldo sono pertanto ricomprese tutte le voci di entrata e di spesa, sia di parte corrente che in conto capitale, con la sola esclusione delle entrate derivanti dalla riscossione di crediti e delle spese derivanti dalla concessione di crediti, vale a dire, delle voci di entrata e di spesa di carattere finanziario.

[19]    Più precisamente, il comma 688 della legge n. 296/2006 dispone che per gli enti  commissariati a decorrere dall'anno 2007 per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), le regole del patto di stabilità interno si applicheranno a partire dall’anno successivo a quello della rielezione degli organi istituzionali.

[20]    Il SIOPE (istituito dall’articolo 28 della legge finanziaria per il 2003) consiste, sostanzialmente, in un sistema di rilevazione telematica di tutte le operazioni di riscossione e di pagamento effettuate dai tesorieri e dai cassieri delle amministrazioni pubbliche, rese omogenee attraverso un sistema di codificazione uniforme per tipologia di enti, che permette di rilevare in tempo reale le informazioni sui flussi di cassa delle amministrazioni, anche al fine di migliorare la conoscenza dei conti pubblici nazionali e garantire la rispondenza dei conti pubblici alle condizioni previste dall'art. 104 del trattato istitutivo della Comunità Europea, relativo alla procedura sui disavanzi eccessivi.

[21]    Le decisioni a ciò relative si fondano su una tecnica di gestione integrata dell’attivo e del passivo (cosiddetto Asset liability management) che prevede un’analisi articolata in quattro passaggi: - determinazione del rischio complessivo attuale, mediante raccolta dei dati sulla struttura del bilancio che individui, in un periodo pluriennale, le conseguenze derivanti dalla scadenza delle attività e delle passività in esso presenti; - effetto di possibili variazioni dei tassi d’interesse nel periodo considerato; - confronto tra il rischio effettivo risultante dalle analisi sub 1) e 2) con il rischio voluto, ossia il livello di rischio che s’intende affrontare; - eventuale introduzione di strumenti finanziari volti a ridurre l’esposizione al rischio, tenendo conto anche dei costi dei relativi contratti.

[22]    Il primo si concreta, per i contratti di swap, in un andamento dei tassi d’interesse diverso dalle previsioni sulla cui base è stata impostata l’operazione. Esso risulta tanto maggiore quanto più lungo è l’orizzonte temporale del rapporto, che rende difficile prevedere gli andamenti futuri dei tassi e, quindi, la convenienza delle scelte da operarsi inizialmente. Per il suo contenimento possono essere utilizzate opzioni cap e collar, che accrescono ovviamente il costo del contratto. Qualora l’andamento del mercato sia diverso da quello atteso, è inoltre possibile valutare la convenienza dell’uscita da un’operazione di swap, che può realizzarsi attraverso un’operazione di effetto contrario (reversing), ovvero con la cessione ad un terzo (assigning) o, infine, con mediante accordo con la controparte per porre termine al contratto dietro pagamento del suo valore di mercato (unwinding). Il secondo si riferisce alla possibilità d’insolvenza della controparte con cui è stato stipulato il contratto. Esso può venire stimato sulla base del merito di credito (rating) di tale soggetto. Nell’esecuzione del contratto, è minore se i termini per la regolazione dei flussi di pagamento delle due parti coincidono (con versamento del solo differenziale). Sul complesso dei rapporti contrattuali può venire limitato attraverso un’opportuna diversificazione delle controparti.

[23]    In primo luogo, si è rilevato che lo sfasamento temporale esistente tra flussi di uscita e di entrate nei loro bilanci (a data tendenzialmente fissa i primi, con periodicità spesso irregolare i secondi, nella forma sia dei trasferimenti statali sia delle entrate proprie) impone una gestione indipendente di attivo e passivo. Inoltre si è osservato che nella gestione del passivo di tali enti può riuscire utile diversificare la struttura del debito, sovente concentrato in alcune categorie di tasso, con il principale fine di renderla più flessibile, riducendo i rischi connessi all’oscillazione, e di realizzare economie sugli interessi da pagare nel breve periodo. Per l’impiego di swap a questo fine si è rilevata l’esigenza di considerare non singole posizioni debitorie, bensì l’esposizione complessiva dell’ente; è stata ricordata altresì la necessità di analizzare previamente le tendenze del mercato per desumerne proiezioni di medio e lungo periodo sul possibile andamento dei tassi, di adottare obiettivi di copertura caratterizzati da basso livello di rischio, di verificare i risultati dell’operazione nel corso del suo svolgimento per rimodularne le caratteristiche secondo l’evoluzione del mercato. Inoltre, si è richiamata l’opportunità di comparare la convenienza dell’impiego degli strumenti finanziari derivati rispetto ad altre possibili forme di ristrutturazione del debito (estinzione o rinegoziazione) e, comunque, le diverse condizioni offerte dagli operatori e l’adeguatezza degli elementi dei contratti – la cui conformazione può essere modellata in aderenza alle specifiche necessità del caso – rispetto alle effettive esigenze dell’ente.

[24]    Le obbligazioni possono essere emesse esclusivamente a fronte di un preciso investimento chiaramente individuato, e il ricavo netto dell’emissione deve essere pari alla somma prevista nel quadro economico del progetto o delle acquisizioni che si intendono effettuare. L’emissione di titoli non può dunque essere in alcun caso operazione di acquisizione di mezzi finanziari non finalizzati.

[25]    È opportuno sottolineare che l'indebitamento mediante titoli degli enti territoriali si configura come raccolta di risparmio, definita dall'articolo 11, comma 1, del testo unico bancario (D.Lgs. n. 385 del 1993) come l'attività che si esercita attraverso l'acquisizione di fondi con obbligo di restituzione sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma. L'elemento qualificante della fattispecie è pertanto costituito dall'obbligo della restituzione, che vale a distinguere la raccolta di risparmio in oggetto dalla raccolta di risparmio cosiddetto "di rischio". Più specifico è invece il criterio che individua la nozione di "sollecitazione del pubblico risparmio", che presuppone un'operatività limitata ai mercati regolamentati.

[26]    A tal fine i predetti enti sono tenuti a comunicare periodicamente allo stesso Ministero i dati relativi alla propria situazione finanziaria. La definizione del contenuto e delle modalità del coordinamento nonché dell’invio dei dati sono demandate ad un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, recante altresì le norme relative all’ammortamento del debito e all’utilizzo degli strumenti derivati da parte dei succitati enti. A quest’adempimento si è provveduto con il decreto dei Ministri dell’economia e delle finanze e dell’interno 1° dicembre 2003, n. 389.

[27]    In tal modo, sono stati eliminati l'obbligo di emissione alla pari, prima vigente per i titoli obbligazionari degli enti territoriali, riconoscendosi agli enti stessi la facoltà di emettere prestiti caratterizzati da uno scarto di emissione, e l'obbligo di trasmettere al Ministero del tesoro - Direzione generale del tesoro (ora Ministero dell'economia e delle finanze), e per conoscenza al Ministero dell'interno, un’apposita comunicazione, che era condizione necessaria per il collocamento del prestito.

[28]    Tale regolamento prevede, all’articolo 1, che le province, i comuni, le unioni di comuni, le città metropolitane, le comunità montane e isolane, i consorzi tra enti territoriali e le regioni comunicano entro il giorno 15 dei mesi di febbraio, maggio, agosto e novembre di ogni anno al Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze i dati relativi all'utilizzo netto di forme di credito a breve termine presso il sistema bancario, ai mutui accesi con soggetti esterni alla pubblica amministrazione, alle operazioni derivate concluse e ai titoli obbligazionari emessi nonché alle operazioni di cartolarizzazione concluse. Il coordinamento dell'accesso dei predetti enti ai mercati dei capitali è svolto dal Ministero dell’economia e delle finanze limitatamente alle operazioni di finanziamento a medio e lungo termine o di cartolarizzazione di importo pari o superiore a 100 milioni di euro. A tal fine, gli enti comunicano le caratteristiche dell'operazione in preparazione al Dipartimento del Tesoro, che entro dieci giorni può indicare, con determinazione motivata, il momento più opportuno per l'attuazione dell'operazione. In mancanza, l'operazione potrà essere conclusa entro venti giorni dalla conferma della ricezione della comunicazione, nei casi di emissioni obbligazionarie eseguite sul mercato, e nei termini indicati dagli enti in tutti gli altri casi. Restano escluse dalla comunicazione preventiva le operazioni di provvista con oneri a carico del bilancio dello Stato, per le quali si applicano le specifiche disposizioni di legge. Nel caso di operazioni soggette al controllo del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), gli emittenti invieranno i dati simultaneamente al Dipartimento del Tesoro e al CICR, e l'eventuale formulazione di osservazioni da parte del Dipartimento del Tesoro dovrà avere luogo prima dell'autorizzazione rilasciata dal CICR. L’articolo 2 reca disposizioni sull’ammortamento del debito. L’articolo 3 riguarda specificamente le operazioni in strumenti derivati.

[29]    In primo luogo, è stato chiarito che sono sottoposte all’applicazione delle norme del regolamento soltanto le operazioni derivate effettuate e gli ammortamenti costituiti dagli enti territoriali successivamente alla data della sua entrata in vigore (4 febbraio 2004). Sono state inoltre enunziate alcune linee guida. Il criterio dell'attività di coordinamento dell'accesso al mercato svolta dal Ministero è stato individuato nella finalità di evitare la sovrapposizione di più soggetti pubblici sullo stesso segmento di mercato in un ristretto arco temporale, che potrebbe andare a detrimento delle condizioni di finanziamento. Per i criteri d’individuazione degli intermediari con i quali è ammissibile concludere i contratti relativi alla gestione di un fondo o allo swap per l'ammortamento del debito, la circolare precisa che il merito di credito (rating) deve essere certificato dalle agenzie riconosciute a livello internazionale, indicando attualmente: Standard & Poor's, Moody's e Fitch Ratings. Si raccomanda altresì di vincolare la scadenza degli investimenti alla durata del fondo di ammortamento. Gli enti sono invitati a considerare il costo totale dell'emissione obbligazionaria sia nella forma con rimborso unico a scadenza del capitale sia nella forma «amortising», e a valutare la relazione tra tale differenza di costo e il maggiore rischio derivante dalla costituzione del fondo o dello swap per l'ammortamento. La circolare ricorda altresì che le emissioni con rimborso unico, ancorché associate ad uno swap di ammortamento, pesano per l'intero ammontare fino alla scadenza ai fini delle rilevazioni del debito pubblico operate da Eurostat.

[30]    Nello swap plain vanilla una delle controparti riceve periodicamente (di solito ogni semestre) un pagamento variabile legato ad un indice (ad es. Libor), e paga un tasso d’interesse fisso (ad es. il rendimento di una particolare categoria di titoli di Stato aumentato di un differenziale).

[31]    Si tratta di comuni, province, città metropolitane, comunità montane, comunità isolane, unioni di comuni e consorzi cui partecipano enti locali, con esclusione di quelli che gestiscono attività aventi rilevanza economica ed imprenditoriale (articolo 2 del D.Lgs. n. 267 del 2000).

[32]    Ai sensi del comma 2 dell’articolo 1 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, recante il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF) per «strumenti finanziari» si intendono:

a)       valori mobiliari;

b)       strumenti del mercato monetario;

c)       quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio;

d)       contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti;

e)       contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto;

f)         contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap» e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione;

g)       contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», contratti a termine («forward») e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante, diversi da quelli indicati alla lettera f) che non hanno scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini;

h)       strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito;

i)         contratti finanziari differenziali;

j)         contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», contratti a termine sui tassi d'interesse e altri contratti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati alle lettere precedenti, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini.

      Ai sensi dell’articolo 1, comma 3, del TUF, per “strumenti finanziari derivati” devono intendersi gli strumenti finanziari previsti dal sopra richiamato comma 2, lettere d), e), f), g), h), i) e j) nonché gli strumenti finanziari previsti dal comma 1-bis, lettera d) dell’articolo 1 del TUF.

      Secondo il comma 2-bis dell’articolo 1 del TUF, il Ministro dell'economia e delle finanze, con il regolamento di cui all'articolo 18, comma 5, individua:

a)       gli altri contratti derivati di cui al comma 2, lettera g), aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o soggetti a regolari richiami di margine;

b)       gli altri contratti derivati di cui al comma 2, lettera j), aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o soggetti a regolari richiami di margine.  

      In generale, con la definizione di “strumenti finanziari derivati” s’intendono attività finanziarie il cui valore è determinato da quello di altri titoli scambiati sul mercato. Tra questi, gli strumenti negoziati sui mercati regolamentati sono i futures e le opzioni; quelli scambiati sui mercati non regolamentati (over-the-counter), rappresentati da contratti stipulati fra due parti, sono gli swap e i contratti forward.

[33]    Si ricorda che l’articolo 59 della legge finanziaria 2001, disciplinante l’acquisto di beni e servizi a rilevanza regionale da parte degli enti decentrati di spesa, è stato abrogato dalla legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 458), fatto salvo il comma 3, il quale è stato contestualmente novellato per coordinamento. Il comma consente alle università di costituire fondazioni di diritto privato, con enti e amministrazioni pubbliche e soggetti privati, per lo svolgimento di attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca

[34]    Si tratta delle convenzioni, stipulate dalla Consip, con le quali l'impresa prescelta si impegna ad accettare, sino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione ed ai prezzi e condizioni ivi previsti, ordinativi di fornitura di beni e servizi deliberati dalle amministrazioni dello Stato anche con il ricorso alla locazione finanziaria. Si ricorda che il D.M. 24 febbraio 2000, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 26, comma 3 della legge n. 488/1999 ha disciplinato il “Conferimento alla CONSIP S.p.a. dell'incarico di stipulare convenzioni e contratti quadro per l'acquisto di beni e servizi per conto delle amministrazioni dello Stato”.

[35]    Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.

[36]    Si ricorda che il citato comma 2 intende, per amministrazioni pubbliche, tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. n. 300/1999 (comprese le agenzie fiscali).

      Per le Regioni, le province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale si veda tuttavia il comma 13 del presente articolo .

[37]    Legge 23 dicembre 1996, n. 662, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.

[38]    D.L. 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.

[39]    La disposizione, essendo inserita nell’ambito del D.Lgs. 165/2001, si applica a “tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed  amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (art. 1, co. 2, D.Lgs. 165/2001).

[40]    D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

[41]    Il regolamento è disciplinato dall’art. 89 del T.U.E.L., che prevede i principi ispiratori per la sua redazione e ne disciplinai i contenuti essenziali.

[42]    Il testo iniziale dell’art. 7 del D.Lgs. 165/2001 prevedeva che “per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”.

[43]    Art. 110, comma 6, D.Lgs. 267/2000.

[44]    Art. 130 Cost., abrogato dall’art. 9, secondo comma, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

[45]    Consiglio di Stato, Sez. V. sentenza 25 marzo – 8 agosto 2003, n. 4598

[46]    L. 14 gennaio 1994 n. 20, Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti. L’art. 148 del T.U.E.L. per quel che concerne il controllo esterno sulla gestione degli enti locali contiene esclusivamente un rinvio alle norme della L. 20/1994.

[47]    Art. 13 del D.L. 22 dicembre 1981, n. 786, Disposizioni in materia di finanza locale, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1982, n. 51.

[48]    L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

[49]    Si vedano i commi 7-9 dell’art. 7.

[50]    L. 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006.

[51]    Si trattava, in particolare, dell’art. 1, co. 5, del D.L. 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, che ha inserito nel T.U.E.L. l’art. 198-bis.

[52]    “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30”.

[53]    “Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione”. L’articolo 8, comma 3, in particolare prevede che, in materia di licenziamenti collettivi, gli accordi sindacali, al fine di evitare le riduzioni di personale, possono regolare il comando o il distacco di uno o più lavoratori dall'impresa ad altra per una durata temporanea.

[54]    Tale comma, nelle ipotesi di somministrazione irregolare, prevede che tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione

[55]    “Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali”.

[56]    Si ricorda che il citato art. 110, comma 6, prevede che il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità, per obiettivi determinati e con convenzioni a termine.

[57]    Si ricorda che alle amministrazioni pubbliche non si applica la specifica disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative (lavoro a progetto), introdotta dagli articoli 61-69 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 con la finalità di superare gli abusi che hanno condotto all’uso talvolta improprio di tale strumento contrattuale per eludere la disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Difatti l’articolo 1 del D.Lgs. 276/2003 precisa che, dall’applicazione delle disposizioni del medesimo decreto legislativo, resta escluso il personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

[58]    Si tratta delle misure previste dall'articolo 1, comma 98, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e dall'articolo 1, commi da 198 a 206, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

[59]    Si ricorda che alle amministrazioni pubbliche non si applica la specifica disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative (“lavoro a progetto”), introdotta dagli articoli 61-69 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 con la finalità di superare gli abusi che hanno condotto all’uso talvolta improprio di tale strumento contrattuale per eludere la disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Difatti l’articolo 1 del D.Lgs. 276/2003 precisa che, dall’applicazione delle disposizioni del medesimo decreto legislativo, resta escluso il personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

[60]    Gli enti di cui all’art. 70, comma 4, del D.Lgs. 165 del 2001 sono: ente EUR; enti autonomi lirici ed istituzioni concertistiche assimilate; Agenzia spaziale italiana; Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura; Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell'energia nucleare e delle energie alternative (ENEA); Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale e Registro aeronautico italiano (RAI); CONI; Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL); Ente nazionale per l'aviazione civile (E.N.A.C.).

[61]    La deroga opera a condizione che gli oneri derivanti da tali assunzioni non risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti stessi o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo di finanziamento ordinario delle Università.

[62]    Si consideri che, ai sensi del comma 676, per quanto riguarda gli enti locali, la nuova disciplina del patto di stabilità interno per il triennio 2007-2009 si applica alle province e ai comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.

[63]    Con sentenza n. 4/2004, la Corte costituzionale ha stabilito che la norma di cui all'art. 19, comma 8, della L. 448 del 2001 è costituzionalmente legittima, quale norma strumentale rispetto al fine di coordinamento della finanza pubblica, e norma di principio (e non già di dettaglio), in quanto prevede che eventuali deroghe al principio della riduzione complessiva della spesa, cui deve improntarsi il documento di programmazione del fabbisogno del personale, siano analiticamente motivate.

[64]    Si consideri che, ai sensi del comma 676, per quanto riguarda gli enti locali, la nuova disciplina del patto di stabilità interno per il triennio 2007-2009 si applica alle province e ai comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.

      Conseguentemente, per il triennio 2007-2009, gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità interno sono:

-        i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti;

-        le unioni di comuni, le comunità montane ed i consorzi.

[65]    ll testo originario della “legge quadro” (1994), dopo aver previsto la conciliazione in via amministrativa delle controversie, prevedeva che (in caso di mancato raggiungimento dell’accordo) la controversia fosse devoluta alla competenza del giudice ordinario e vietava che nei capitolati fosse previsto il deferimento della controversia ai collegi arbitrali. Tale disposizione era stata ampiamente criticata, in quanto inopportunamente troppo severa verso l’istituto dell’arbitrato negli appalti pubblici, ed è stata ritenuta da molti anche illegittima, in quanto indirettamente veniva a creare una sorta di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario e a ledere gli stessi principi di eguaglianza e di garanzia del buon andamento della PA. Ciò spiega la riforma del 1995, che in realtà rappresentava una sorta di ritorno alla tradizione, in quanto sin dal 1865 (e quindi dalla prima normativa nazionale sui lavori pubblici) l’arbitrato aveva rappresentato il sistema preferenziale di soluzione delle controversie nel settore.

[66]    La più radicale fa riferimento addirittura alla natura della fonte idonea a disciplinare tale delicata materia, che – secondo tale opinione – sarebbe interamente coperta dalla riserva di legge di cui agli artt. 101 e 102 della Cost.

[67]    “Visto con sfavore, quale possibile teatro o veicolo – come è stato detto in dottrina – di accordi in danno dell’interesse pubblico”.

[68]    Si ricorda che sulle disposizioni del c.p.c. in materia di arbitrato è intervenuta la riforma operata con l’articolo 21 del decreto legislativo n. 40 del 2006, che ha comunque confermato il principio della competenza delle parti a nominare gli arbitri.

[69]    Tale disposizione prevede che il deposito del lodo presso la Camera arbitrale è effettuato, entro dieci giorni dalla data dell'ultima sottoscrizione, a cura del segretario del collegio in tanti originali quante sono le parti, oltre ad uno per il fascicolo di ufficio e che resta fermo, ai fini della esecutività, il disposto dell'articolo 825 del codice di procedura civile, limitatamente ai commi 2, 3, 4 e 5.

[70]    Su tale disposizione è successivamente intervenuto il comma 70 dell’articolo 1 della legge finanziaria 2006 (n. 266 del 2005), che ha previsto il versamento da parte degli arbitri alla Camera di una quota del valore della controversia pari all’1 per 1.000, piuttosto che all’1 per 10.000. Il successivo comma 71 ha quindi previsto il versamento direttamente all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici degli importi dovuti alla Camera arbitrale

[71]    Con riferimento alle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni o dagli enti pubblici economici, la previsione secondo la quale la partecipazione debba essere maggioritaria è stata introdotta a seguito dell’approvazione di un emendamento presso l’altro ramo del Parlamento.

[72]    L’Autorità aggiunge che “non è condivisibile l’idea che far confluire tutta la materia nell’arbitrato amministrato finisca per costituire una lesione della libertà negoziale, dal momento che le pubbliche amministrazioni, pur utilizzando forme privatistiche, restano pur sempre assoggettabili a regole di tipo pubblicistico che non sono imposte ai privati. E ciò sia perché si impegnano risorse pubbliche sia perché si movimenta una domanda aggregata preminente che richiede una regolazione di questo particolare mercato, ove occorre garantire a tutti gli operatori la parità d’accesso”.

[73]    L’Autorità ritiene inoltre necessario anche intervenire su una migliore razionalizzazione dei presupposti che consentono di abbassare il contenzioso e in particolare sui momenti iniziali della procedura che riguardano sia la progettazione che i bandi. Su tali profili, essa preannuncia un attento monitoraggio anche al fine di sviluppare proposte adeguate di eventuali soluzioni legislative.

[74]    Più precisamente, l’art. 1, co. 1-bis, del D.L. n. 314/2004 richiama l'articolo 1, commi 2 e 3, del D.L. n. 80/2004 (legge n. 140/2004), che prevedeva l’applicazione, nell’esercizio finanziario 2005, delle disposizioni recate per l’anno 2002 dall’articolo 1 del D.L. 22 febbraio 2002, n. 13 (legge n. 75/2002).

[75]    In particolare, l’articolo 141, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000 dispone che i consigli comunali e provinciali siano sciolti:

a)       quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico;

b)      quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per le seguenti cause:

1)       impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia;

2)       dimissioni del sindaco o del presidente della provincia;

3)       cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia;

4)       riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio;

c)       quando non sia approvato nei termini il bilancio;

c-bis)    nelle ipotesi in cui gli enti territoriali al di sopra dei 1.000 abitanti siano sprovvisti dei relativi strumenti urbanistici generali e non adottino tali strumenti entro 18 mesi dalla data di elezione degli organi. In questo caso, il decreto di scioglimento del consiglio è adottato su proposta del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (lettera aggiunta dal comma 7 dell’articolo 32 del D.L. n. 269/2003, conv. dalla legge n. 326/2003).

[76]    Em. 13.4 (testo 3) del relatore all’art. 13 dell’A.S. 1817 (modificato dal subem. 13.4 (testo 2)/1 riformulato) approvato nella seduta della 5ª Commissione (Bilancio) del Senato nella seduta del 1° novembre 2007 (nott.).

[77]    D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (nel prosieguo: TUEL).

[78]    A.C. 1942 e abbinati, in corso di esame in sede referente presso la Commissione affari costituzionali.

[79]    Ordine del giorno G13.100 (testo 2) Santini ed altri accolto come raccomandazione nella seduta dell’Assemblea del Senato del 9 novembre 2007 (antim.).

[80]    L.R. 6 marzo 1986, n. 9, Istituzione della Provincia regionale (art. 45).

[81]    La Corte ha già avuto occasione di affermare, con specifico riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., che la competenza primaria attribuita alle Regioni a statuto differenziato in materia di ordinamento degli enti locali «non è intaccata dalla riforma del titolo V, parte seconda della Costituzione, ma sopravvive, quanto meno, nello stesso ambito e negli stessi limiti definiti dagli statuti» (sentenze n. 238/2007, n. 48/2003).

[82]    L. 2 luglio 1952, n. 703, Disposizioni in materia di finanza locale.

[83]    L. 25 luglio 1952, n. 991, Provvedimenti in favore dei territori montani. L’art. 1 è stato abrogato dalla L. 8 giugno 1990, n. 142.

[84]    L. 16 settembre 1960, n. 1014, Norme per contribuire alla sistemazione dei bilanci comunali e provinciali e modificazioni di talune disposizioni in materia di tributi locali.

[85]    D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.

[86]    Si veda il documento trasmesso dall’Unione nazionale comunità montane in occasione dell’audizione presso le Commissioni bilancio di Camera e Senato l’8 ottobre 2007.

[87]    Corte costituzionale, sentenza n. 229 del 2001.

[88]    Corte costituzionale, sentenza n. 244 del 2005.

[89]    Il riferimento è alla popolazione che risiede nel territorio classificato come montano, con esclusione di quella residente nei territori non classificati come montani pur essendo inclusi nel perimetro della comunità.

[90]    www.camera.it/_dati/leg15/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/095/001/INTERO.pdf.

[91]    D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (nel prosieguo: TUEL).

[92]    A.C. 1942 e abbinati, in corso di esame in sede referente presso la Commissione affari costituzionali.

[93]    Il consiglio comunale è composto dal sindaco e:

-        da 60 membri nei comuni con popolazione superiore ad un milione di abitanti;

-        da 50 membri nei comuni con più di 500.000 abitanti;

-        da 46 membri nei comuni con più di 250.000 abitanti;

-        da 40 membri nei comuni con più di 100.000 abitanti o che, pur avendo popolazione inferiore, siano capoluoghi di provincia;

-        da 30 membri nei comuni con più di 30.000 abitanti;

-        da 20 membri nei comuni con più di 10.000 abitanti;

-        da 16 membri nei comuni con più di 3.000 abitanti;

-        da 12 membri negli altri comuni.

[94]    Il consiglio provinciale è composto dal presidente della provincia e:

1.       da 45 membri nelle province con popolazione residente superiore a 1.400.000 abitanti;

2.       da 36 membri nelle province con popolazione residente superiore a 700.000 abitanti;

3.       da 30 membri nelle province con popolazione residente superiore a 300.000 abitanti;

4.       da 24 membri nelle altre province.

[95]    Il riferimento ai “consiglieri” contenuto nella lettera b) del comma 2 dell’art. 26 sembrerebbe escludere gli assessori delle comunità montane e gli assessori o componenti del consiglio di amministrazione delle unioni di comuni.

[96]    Si richiama in proposito l’osservazione contenuta nella nota precedente.

[97]    Il vigente regolamento è stato approvato con D.M. 4 aprile 2000, n. 119. Il co. 10 dell’art. 82 prevede l’adeguamento degli importi ogni tre anni. Non essendo stato emanato un nuovo D.M., attualmente continua ad applicarsi il D.M. 119/2000 con le relative tabelle.

[98]    Il Ministero dell’interno, con la circolare 5 giugno 2000 n. 5/2000, Misura delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza per gli amministratori locali, ha precisato che, qualora gli organi intendano aumentare o diminuire gli importi delle indennità e dei gettoni di presenza stabiliti dal D.M., attese le implicazioni d’ordine politico e gestionale-contabile della scelta, spetta necessariamente alla giunta ed al consiglio deliberare dette variazioni nei confronti, ciascuno, dei propri componenti. Va, altresì, tenuto conto che competenti a deliberare in ordine alle indennità di funzione spettanti ai presidenti dei consigli comunali e provinciali sono i rispettivi consigli, in quanto rileva l’appartenenza all’organo.

[99]    Vale a dire: i sindaci, anche metropolitani, i presidenti delle province, i consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, i componenti delle giunte comunali, metropolitane e provinciali, i presidenti dei consigli comunali, metropolitani e provinciali, i presidenti, i consiglieri e gli assessori delle comunità montane, i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, nonché i componenti degli organi di decentramento.

[100]  Del titolo II della parte I.

[101]  Nel testo approvato dalla Commissione affari costituzionali del Senato, l’obbligo di aderire ad un’unica forma associativa era previsto anche per quanto riguarda le convenzioni. Con l’emendamento 14.750 del relatore, approvato dall’Assemblea il 9 novembre 2007 (pomerid.) tale obbligo è stato soppresso, lasciando libera per i Comuni la possibilità di stipulare convenzioni con altri Comuni. Il relatore ha osservato che la previsione soppressa sarebbe stata suscettibile di far aumentare le spese.

[102]  D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, Approvazione del testo unico delle leggi per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali.

[103]  L. 8 marzo 1989, n. 95, Norme per l'istituzione dell'albo e per il sorteggio delle persone idonee all'ufficio di scrutatore di seggio elettorale e modifica all'articolo 53 del testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali, approvato con D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570.

[104]  L. 24 novembre 2000, n. 340, Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999.

[105]  La Commissione elettorale circondariale:

1.       esamina le operazioni compiute dalla Commissione elettorale comunale e decide sui ricorsi presentati contro di esse;

2.       cancella dagli elenchi formati dalla Commissione comunale i cittadini indebitamente proposti per la iscrizione o per la cancellazione, anche quando non vi sia reclamo;

3.       decide sulle domande d’iscrizione o di cancellazione che possono esserle pervenute direttamente.

[106]  L. 4 aprile 1985, n. 117, Norme per l’adeguamento degli onorari dei componenti gli uffici elettorali di sezione.

[107]  D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.

[108]  Sentenze Corte costituzionale 390/2004, 417/2005, 449/2005, 88/2006)

[109]  Si ricorda che lo schema di decreto legislativo correttivo al codice ambientale, su cui la Commissione ambiente ha espresso il parere di propria competenza nella seduta del 24 ottobre, prevede – attraverso due novelle all’art. 147 relativo all’organizzazione territoriale del servizio idrico integrato e all’art. 150 sulla scelta della forma di gestione e procedure di affidamento – l’unitarietà, anziché l’unicità, della gestione del servizio idrico integrato.

[110]  Il già richiamato schema di decreto legislativo correttivo richiede la condizione che i comuni gestiscano l’intero servizio idrico integrato, nonché il consenso dell’Autorità d’ambito competente.

[111]  Relativamente a quest’ultimo aspetto, con specifico riferimento alle tariffe del servizio idrico, non mancano considerazioni di segno opposto in merito alla necessità di elevare le tariffe sia per evitare gli sprechi che per consentire agli enti gestori adeguati investimenti sulle reti. Si richiama in proposito la posizione di Federutility (http://www.confservizicampania.it/­stampa_zoom.php?id=167) circa il fatto che “in Italia si registrano i consumi d'acqua pro-capite più elevati che nel resto d'Europa, accompagnati anche dalle tariffe più basse pagate dagli utenti per l'intero ciclo integrato (acqua potabile, fognature, depurazione)”. Da uno studio di Federutility “emergono infatti dati interessanti che rivelano le abitudini dei cittadini nel loro rapporto con le risorse idriche. A Berlino, dove l'acqua costa 4,30 euro ogni mille litri, i cittadini hanno un consumo pro-capite al giorno di 117 litri, mentre a Roma o a Torino (dove la tariffa varia tra i 0,78 ed i 0,81 euro al metro cubo) si superano tranquillamente i 220 litri per persona al giorno. A livello internazionale, anche extraeuropeo, sono poche le metropoli in cui il prezzo dell'acqua è al di sotto della media nazionale italiana. Solo Buenos Aires (0,17 euro/mc); Sao Paulo (0,68), Atene, Hong Kong , Miami e poche altre grandi città, registrano tariffe del servizio idrico integrato (acqua potabile, fognatura, depurazione) comparabili con quelle italiane”. In una nota diffusa sul web (http://www.enel.it/attivita/novita_eventi/energy_views/faq/index_10.asp) e basata su dati Eurostat, l’Enel evidenzia che “i consumi domestici medi per abitante sono in Italia assai più elevati che non in altri Paesi europei con tenore di vita più alto e ciò anche perché le tariffe non incentivano un consumo più attento: sono tra le più basse di tutti i Paesi occidentali. Il prezzo medio dell’acqua potabile è in Italia meno della metà di quello inglese, un terzo di quello svedese e circa un quinto di quello tedesco. Contrariamente a quanto avviene negli altri Paesi, il ridotto valore monetario del bene è altresì causa di usi impropri (ad esempio innaffiamento dei giardini o pulizia delle autovetture con acqua potabile) e di limitato interesse alla manutenzione degli impianti interni e al controllo delle perdite”.

      Sul punto, si richiama, infine, l’articolo 154 del codice ambientale che, al comma 6, prevede che “nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito. Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e industriali”. Insomma, se proprio vogliamo abbassare le tariffe facciamolo solo per certe categorie.

[112]  D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2004, n. 47.

[113]  D.L. 21 febbraio 2005, n. 16, convertito, con modificazioni, nella legge 22 aprile 2005, n. 58.

[114]  D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale.

[115]  Introdotto dall’art. 1, co. 480, lett. c), della legge finanziaria 2005 (L. 30 dicembre 2004, n. 311).

[116]  Per tali soggetti, ai sensi del medesimo articolo, la tariffa per il servizio delle pubbliche affissioni è ridotta alla metà.

[117]  Natura 2000 è il nome che il Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea ha assegnato ad un sistema coordinato e coerente (una "rete") di aree destinate alla conservazione della diversità biologica presente nel territorio dell'Unione stessa, ed in particolare alla tutela di una serie di habitat e specie animali e vegetali indicati negli allegati I e II della Direttiva "Habitat", nonché delle specie di cui all'allegato I della Direttiva "Uccelli" e delle altre specie migratrici che tornano regolarmente in Italia. La Rete Natura 2000, ai sensi della Direttiva "Habitat" (art. 3), è costituita dalle Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e dalle Zone di Protezione Speciale (ZPS). Attualmente la "rete" è composta da due tipi di aree: le Zone di Protezione Speciale, previste dalla Direttiva "Uccelli", e i Siti di Importanza Comunitaria proposti (pSIC); tali zone possono avere tra loro diverse relazioni spaziali, dalla totale sovrapposizione alla completa separazione. (cfr.http://www2.minambiente.
it/sito/settori_azione/scn/rete_natura2000/rete_natura2000.asp.).

[118]  D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, recante misure di definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

[119]  Decreto del ministero dello sviluppo economico 19 febbraio 2007 (GU 23 febbraio 2007, n. 45) recante “Criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare, in attuazione dell'articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387.”

[120]  Il Gestore dei servizi elettrici - GSE spa - è il soggetto attuatore del DM (articolo 2, comma 1, lettera i)). In base al comma 3 dell'articolo 13 del DM il soggetto attuatore pubblica sul proprio sito internet e aggiorna con continuità la potenza cumulata degli impianti entrati in esercizio nell'ambito dei decreti interministeriali 28 luglio 2005 e 6 febbraio 2006 e, separatamente, la potenza cumulata degli impianti entrati in esercizio nell'ambito del presente decreto. Sito internet : http://www.gsel.it/ita/

[121]  Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità.

[122]  Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative.

[123]  D. L n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326/2003

[124]  In attuazione di quanto previsto dall’articolo 5 del D.L. 269/2003, è stato emanato, il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 5 dicembre 2003.

[125]  L’articolo 107 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385) prevede l’iscrizione in un elenco speciale degli intermediari finanziari che presentano determinati requisiti, relativi all'attività svolta, alla dimensione e al rapporto tra indebitamento e patrimonio, individuati dal Ministro del tesoro, sentite la Banca d'Italia e la CONSOB.

[126]  Fanno parte dei compiti spettanti alla gestione separata anche le attività strumentali, connesse e accessorie.

[127]  Corretta con Comunicato 18 ottobre 2005 (Gazz. Uff. 18 ottobre 2005, n. 243)

[128]  Corretta con Comunicato 7 maggio 2007 (Gazz. Uff. 7 maggio 2007, n. 104)

[129]  Dati tratti dal 3° rapporto predisposto dal Servizio studi della Camera su Le infrastrutture strategiche in Italia: l’attuazione della “legge obiettivo” (luglio 2007).

[130]  Tale Piano è consultabile all’indirizzo internet: http://www2.minambiente.it/Sito/
settori_azione/pia/att/pna_c02/docs/delibera_cipe_19_12_02_n123.pdf.

[131]  Sugli orientamenti e le proposte contenuti nella relazione l'Assemblea della Camera ha impegnato il Governo a seguito dell'approvazione nella seduta del 18 settembre della risoluzione Realacci 6-00021.

[132]  G.U. n. 255 del 2 novembre 2007.