Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento attività produttive
Titolo: Abrogazione di norme in materia di partecipazioni in società operanti nel settore dell'energia - Chiusura procedura d'infrazione
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 26
Data: 12/12/2006
Descrittori:
ABROGAZIONE DI NORME   ENERGIA
PARTECIPAZIONI IN IMPRESE     
Organi della Camera: X-Attività produttive, commercio e turismo
Altri riferimenti:
AC n. 1041/XV   L n. 242 del 01-AGO-06


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

SERVIZIO STUDI

Documentazione e ricerche

 

 

 

Abrogazione di norme in materia di partecipazioni
in società operanti nel settore dell’energia

Chiusura procedura d’infrazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 26

 

12 dicembre 2006

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento Attività produttive

 

SIWEB

 

I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

File: AP0013a

 


 

I N D I C E

 

 

Premessa

Libera circolazione dei capitali: la Commissione chiude una procedura contro l’Italia riguardante la legge sugli investimenti in società del settore energetico.1

Documentazione allegata

Investimenti nel settore energetico, richiamo per l’Italia

§      Parere motivato per mancata esecuzione di una sentenza della Corte  5

Comunicazione della Commissione

§      Comunicazione della Commissione applicazione dell’articolo 228 del trattato CE SEC(2005) 1658  15

Normativa nazionale

§      D.L. 25 maggio 2001, n. 192 Disposizioni urgenti per salvaguardare i processi di liberalizzazione e privatizzazione di specifici settori dei servizi pubblici31

§      D.L. 14 maggio 2005, n. 81 Disposizioni urgenti in materia di partecipazioni a società operanti nel mercato dell'energia elettrica e del gas  35

§      L. 1 agosto 2006, n. 242 Abrogazione delle norme in materia di partecipazioni in società operanti nel settore dell'energia elettrica e del gas naturale  37

 

 


SIWEB

Libera circolazione dei capitali: la Commissione chiude una procedura contro l’Italia riguardante la legge sugli investimenti in società del settore energetico.

 

 

La Commissione europea ha deciso di chiudere la procedura d’infrazione contro l’Italia grazie alle misure adottate dal nostro Paese per conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 2 giugno 2005 riguardante la legge sugli investimenti in società del settore energetico. Nella sua sentenza la Corte ha stabilito che la sospensione automatica dei diritti di voto legati a partecipazioni superiori al 2% del capitale di società italiane dei settori dell’elettricità e del gas, prevista dalla legge in questione quando queste partecipazioni siano acquisite da imprese pubbliche che non sono quotate in borsa e detengono una posizione dominante sul loro mercato nazionale, viola le norme del trattato CE sulla libera circolazione dei capitali (articolo 56). Questa decisione di archiviazione fa seguito alle misure adottate dall’Italia con la legge n. 242 del  2006 per conformarsi alla sentenza della Corte.

 

 

In relazione alla citata procedura di infrazione si segnala che nella sentenza del 2 giugno 2005, relativa alla causa C-174/04, la Corte di giustizia ha stabilito che mantenendo in vigore il decreto-legge 25 maggio 2001, n. 192, recante disposizioni urgenti per salvaguardare i processi di liberalizzazione e privatizzazione di specifici settori dei servizi pubblici, convertito in legge dalla legge 20 luglio 2001, n. 301, l’Italia era venuta meno agli obblighi che le incombevano in virtù delle regole del trattato CE relative alla libera circolazione dei capitali (articolo 56). La citata legge prevedeva, infatti, la sospensione automatica dei diritti di voti legati a partecipazioni superiori al 2% del capitale di imprese operanti nei settori dell’elettricità e del gas, quando queste partecipazioni fossero acquisite da imprese pubbliche non quotate su mercati finanziari regolamentati e che detengono una posizione dominante sul mercato nazionale.

La Corte, in particolare, ha statuito che la sospensione dei diritti di voto impedisce la partecipazione effettiva degli investitori alla gestione ed al controllo delle imprese italiane operanti sui mercati dell’elettricità e del gas e che essa costituisce pertanto una restrizione alla libera circolazione dei capitali, non rilevando, quindi, il fatto che tale disposizione, contenuta nell'abrogata legge n. 301 del 2001, riguardasse soltanto le imprese pubbliche che detengono una posizione dominante sul loro mercato nazionale.

 

Si ricorda che successivamente alla citata pronuncia del 2 giugno 2005, lo Stato italiano ha apportato delle modifiche alla disciplina delineata dalla legge n. 301 del 2001, introducendo, con la legge 13 luglio 2005, n. 131, l’articolo 3 bis con il quale si prevede che la sospensione dei diritti di voto per le partecipazioni eccedenti il 2% non opera nei confronti di quei soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno Stato membro dell’Unione europea o dalle sue amministrazioni pubbliche, titolari nel proprio mercato nazionale di una posizione dominante, qualora le competenti Autorità degli Stati interessati abbiano approvato norme, definito indirizzi e avviato le procedure per la privatizzazione di tali soggetti, quali la quotazione nei mercati finanziari regolamentati o altre procedure equivalenti e siano state definite con il Governo italiano intese finalizzate a tutelare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e l’apertura del mercato, promuovendo l’effettivo esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato istitutivo della Comunità europea nell’accesso ai mercati dell’energia elettrica e del gas naturale.

La Commissione ha tuttavia ritenuto che le modifiche apportate non erano sufficienti per dare piena attuazione alla sentenza della Corte. Di conseguenza, basandosi sull’articolo 228 del trattato CE, la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di costituzione in mora (IP/05/1270), con la quale sollecitava informazioni complete sull’esecuzione della sentenza della Corte, ed in seguito un parere motivato (IP/06/439), con il quale chiedeva formalmente all’Italia di conformarsi alla sentenza della Corte.

 

Il 1° agosto 2006, il Parlamento italiano ha adottato la legge 242 che abroga i decreti legge 192/2001 e 81/2005, conformandosi così pienamente alla sentenza della Corte.


Documentazione allegata

 


Investimenti nel settore energetico, richiamo per l'Italia

Parere motivato per mancata esecuzione di una sentenza della Corte

La Commissione europea ha deciso di chiedere formalmente all’Italia di modificare la propria normativa in modo da dare esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia del 2 giugno 2005 relativa alla legge sugli investimenti in imprese del settore energetico. La Corte ha ritenuto che la sospensione automatica dei diritti di voto inerenti a partecipazioni superiori al 2% del capitale sociale delle imprese italiane dei settori dell’elettricità e del gas, nel caso di partecipazioni acquisite da imprese pubbliche non quotate in mercati finanziari regolamentati e che beneficiano nel proprio mercato nazionale di una posizione dominante, viola le norme del trattato CE sulla libera circolazione dei capitali (articolo 56).

La richiesta della Commissione è stata formulata sotto forma di parere motivato, che costituisce la seconda fase della procedura di infrazione, prevista all’articolo 228 del trattato CE, relativa all’esecuzione della sentenza della Corte di giustizia. In mancanza di risposta soddisfacente dell’Italia entro due mesi dal ricevimento del parere, la Commissione potrebbe decidere di presentare ricorso alla Corte di giustizia delle Comunità europee.

Nella sentenza del 2 giugno 2005 nella causa C-174/04, la Corte di giustizia ha dichiarato che mantenendo in vigore il decreto legge 25 maggio 2001 n. 192, convertito dalla legge n. 301, recante disposizioni urgenti per salvaguardare i processi di liberalizzazione e privatizzazione di specifici settori dei servizi pubblici, l’Italia è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell’articolo 56 del trattato CE sulla libera circolazione dei capitali (articolo 56). La legge in oggetto prevede la sospensione automatica dei diritti di voto inerenti a partecipazioni superiori al 2% del capitale sociale di imprese che operano nei settori dell’elettricità e del gas, quando dette partecipazioni siano acquisite da imprese pubbliche non quotate in mercati finanziari regolamentati e che beneficiano nel proprio mercato nazionale di una posizione dominante.

La Corte ha ritenuto che la sospensione dei diritti di voto impedisca la partecipazione effettiva degli investitori alla gestione e al controllo delle imprese italiane che operano nei mercati dell’elettricità e del gas, e che configuri pertanto una restrizione alla libera circolazione dei capitali. Il fatto che la normativa in oggetto riguardi unicamente la categoria delle imprese pubbliche che beneficiano nel proprio mercato nazionale di una posizione dominante non inficia questa conclusione. La Corte ha inoltre respinto l’argomentazione secondo la quale il rafforzamento della struttura concorrenziale del mercato in oggetto costituirebbe una valida giustificazione della restrizione alla libera circolazione dei capitali.

 

L’Italia ha approvato nuove disposizioni (decreto-legge n. 81 del 14 maggio 2005) che hanno modificato la legge in questione. La Commissione non ritiene tuttavia che le modifiche apportate diano piena esecuzione alla sentenza della Corte e il 13 ottobre 2005 ha pertanto rammentato all’Italia il relativo obbligo. La Commissione non ha finora ricevuto risposta in merito dal governo italiano.

 

 


Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 2 giugno 2005. - Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana. - Inadempimento di uno Stato - Art. 56 CE - Sospensione automatica dei diritti di voto in imprese privatizzate. - Causa C-174/04

«Inadempimento di uno Stato – Art. 56 CE – Sospensione automatica dei diritti di voto in imprese privatizzate»

 

Nel procedimento C‑174/04,

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 13 aprile 2004,

 

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. E. Traversa e C. Loggi, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

 

contro

 

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

convenuta,

LA CORTE (Prima Sezione),

 

composta dal sig. P. Jann (relatore), presidente di sezione, dal sig. K. Lenaerts, dalla sig.ra N. Colneric e dai sigg. K. Schiemann e EJuhász, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 marzo 2005,

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

1       Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che il decreto legge 25 maggio 2001, n. 192 (GURI n. 120 del 25 maggio 2001, pag. 4), convertito in legge 20 luglio 2001, n. 301, recante «Disposizioni urgenti per salvaguardare i processi di liberalizzazione e privatizzazione di specifici settori dei servizi pubblici» (GURI n. 170 del 24 luglio 2001, pag. 4; in prosieguo: il «decreto legge n. 192/2001»), è incompatibile con l’art. 56 CE in quanto dispone la sospensione automatica dei diritti di voto inerenti alle azioni eccedenti il limite del 2% del capitale sociale di società operanti nei settori dell’elettricità e del gas.

 

Contesto normativo

Il diritto comunitario

 

2       L’art. 56, n. 1, CE è così formulato:

«Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi».

3       L’allegato I della direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l’attuazione dell’art. 67 del Trattato (GU L 178, pag. 5), comprende una nomenclatura dei movimenti di capitali di cui all’art. 1 della detta direttiva (in prosieguo: la «nomenclatura allegata alla direttiva 88/361»). Essa elenca segnatamente i seguenti movimenti:

«I.      Investimenti diretti (...)

1)      Costituzione ed estensione di succursali o di imprese nuove appartenenti esclusivamente al finanziatore e acquisto integrale di imprese già esistenti

2)      Partecipazione a imprese nuove o esistenti al fine di stabilire o mantenere legami economici durevoli

(...)».

4       In base alle note esplicative che figurano alla fine dell’allegato I della direttiva 88/361, per «investimenti diretti» si intendono:

«Gli investimenti di qualsiasi tipo effettuati da persone fisiche, imprese commerciali, industriali o finanziarie aventi lo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e diretti fra il finanziatore e l’imprenditore o l’impresa a cui tali fondi sono destinati per l’esercizio di un’attività economica. Tale nozione va quindi intesa in senso lato.

(...)

Per quanto riguarda le imprese menzionate al punto I.2 della nomenclatura e che hanno lo statuto di società per azioni, si ha partecipazione con carattere di investimento diretto, quando il pacchetto di azioni in possesso di una persona fisica, di un’altra impresa o di qualsiasi altro detentore, attribuisce a tali azionisti, sia a norma delle disposizioni di legge nazionali sulle società per azioni, sia altrimenti, la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo controllo.

(...)».

5       La nomenclatura allegata alla direttiva 88/361 riguarda anche i seguenti movimenti:

«III. Operazioni in titoli normalmente trattati sul mercato dei capitali (...)

(...)

A. Transazioni su titoli del mercato dei capitali

1)      Acquisto da parte di non residenti di titoli nazionali trattati in borsa (...)

(...)

3)      Acquisto da parte di non residenti di titoli nazionali non trattati in borsa (...)

(...)».

 Normativa nazionale

6       In Italia, l’art. 1, primo e secondo comma, del decreto legge n. 192/2001 dispone:

«Fino alla realizzazione all’interno dell’Unione europea di un mercato pienamente concorrenziale nei settori dell’elettricità e del gas, a salvaguardia dei relativi processi di liberalizzazione e di privatizzazione in atto, nei riguardi dei soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno Stato o da altre amministrazioni pubbliche, titolari nel proprio mercato nazionale di una posizione dominante e non quotati in mercati finanziari regolamentati, i quali acquisiscono, direttamente o indirettamente o per interposta persona, anche mediante un’offerta pubblica a termine o in via differita, partecipazioni superiori al 2 per cento nel capitale sociale di società operanti nei settori predetti, in via diretta o tramite controllate o collegate, il rilascio o il trasferimento dei provvedimenti autorizzatori o concessori previsti dai decreti legislativi 16 marzo 1999, n. 79, in materia di energia elettrica, e 23 maggio 2000, n. 164, in materia di mercato interno del gas naturale, è effettuato alle condizioni di cui al comma 2. Il limite complessivo del 2 per cento è riferito al singolo soggetto e al relativo gruppo di appartenenza, per tale intendendosi il soggetto, anche non avente forma societaria, che esercita il controllo, le società controllate e quelle sottoposte a comune controllo, nonché le società collegate. Il limite riguarda altresì i soggetti che direttamente o indirettamente, anche tramite controllate, collegate, società fiduciarie o per interposta persona, aderiscono anche con terzi ad accordi relativi all’esercizio del diritto di voto o comunque ad accordi o patti parasociali.

In caso di superamento del limite di cui al comma 1, a partire dal momento del rilascio o del trasferimento delle autorizzazioni o concessioni di cui al medesimo comma 1, il diritto di voto inerente alle azioni eccedenti il limite stesso è automaticamente sospeso e di esse non si tiene conto ai fini dei quorum assembleari deliberativi. Non possono essere altresì esercitati i diritti di acquisto o sottoscrizione a termine o differiti».

 

Fase precontenziosa del procedimento

7       Con lettera 23 ottobre 2002, la Commissione ha comunicato al governo italiano che, a suo giudizio, il decreto legge n. 192/2001, in quanto dispone, per imprese operanti nei settori dell’elettricità e del gas, la sospensione dei diritti di voto inerenti a partecipazioni superiori al 2% quando tali partecipazioni sono acquisite da imprese pubbliche, era incompatibile con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali. Essa ha pertanto invitato tale governo a presentare le proprie osservazioni entro due mesi.

8       Il governo italiano ha replicato che il decreto legge n. 192/2001, pur costituendo una restrizione alla libera circolazione dei capitali, rappresenta, tuttavia, l’unico strumento atto a tutelare il mercato italiano da forme di investimento non rispondenti ai criteri della libera concorrenza.

9       Avendo ritenuto tali osservazioni insufficienti al fine di giustificare una tale disciplina, la Commissione, in data 11 luglio 2003, ha inviato alla Repubblica italiana un parere motivato invitandola a conformarvisi entro due mesi.

10     Poiché il governo italiano non ha risposto al parere motivato, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso dinanzi alla Corte.

 

Sul ricorso

 Argomenti delle parti

11     Sulla base delle sentenze della Corte 4 giugno 2002, causa C‑367/98, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I‑4731); causa C‑483/99, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑4781); causa C‑503/99, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑4809); 13 maggio 2003, causa C‑463/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑4581), e causa C‑98/01, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑4641), la Commissione fa valere che il decreto legge n. 192/2001 introduce un trattamento differenziato e restrittivo degli investimenti effettuati da una particolare categoria di investitori ed ostacola, quindi, la libera circolazione dei capitali all’interno della Comunità. La suddetta normativa dissuaderebbe ogni impresa pubblica di un altro Stato membro potenzialmente interessata dall’acquisire partecipazioni nelle società operanti nei settori dell’elettricità e del gas, poiché tale impresa si troverebbe nell’impossibilità di partecipare efficacemente alle decisioni di tali società e di esercitare un’influenza sulla loro gestione.

12     L’art. 56 CE non prevedrebbe alcuna distinzione tra misure discriminatorie e misure non discriminatorie né tra imprese pubbliche e imprese private. Anche se il detto articolo non definisce la nozione di «movimenti di capitali», l’investimento diretto transfrontaliero rientrerebbe in tale nozione, conformemente alla nomenclatura allegata alla direttiva 88/361. Esso sarebbe caratterizzato, in particolare, dalla possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di una società e al suo controllo. L’acquisizione di partecipazioni nonché il pieno esercizio dei diritti di voto ad esse inerenti rientrerebbero pertanto nella nozione di «movimenti di capitali».

13     Il governo italiano conclude per il rigetto del ricorso.

14     Il decreto legge n. 192/2001 non istituirebbe un trattamento discriminatorio. Esso riguarderebbe le acquisizioni effettuate da imprese pubbliche nazionali allo stesso modo di quelle effettuate da imprese pubbliche di altri Stati membri.

15     Peraltro, una restrizione del diritto di voto non inciderebbe in ogni caso sulla libera circolazione dei capitali. Il governo italiano fa riferimento, a titolo di esempio, agli artt. 85‑97 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 28 maggio 2001, 2001/34/CE, riguardante l’ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale e l’informazione da pubblicare su detti valori (GU L 184, pag. 1), e all’art. 10 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 21 aprile 2004, 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio (GU L 145, pag. 1), che avrebbero direttamente attuato l’art. 56 CE. Tali disposizioni, che consentirebbero altresì una restrizione del diritto di voto per evitare che un semplice investimento di capitale sia trasformato in un’effettiva capacità di controllare ed indirizzare una società, non sarebbero in sé incompatibili con il principio della libera circolazione dei capitali.

16     Il decreto legge n. 192/2001 sarebbe conforme alla libera circolazione dei capitali, principalmente per il fatto che perseguirebbe gli obiettivi comunitari formulati nella comunicazione della Commissione 13 marzo 2001, intitolata «Completamento del mercato interno dell’energia» [COM (2001) 125 def.], in particolare quello di limitare l’influenza anticoncorrenziale che determinate imprese pubbliche in situazione di monopolio, che assumessero il controllo sulle imprese operanti nei settori dell’elettricità e del gas, potrebbero esercitare sui relativi mercati.

17     L’apertura dei mercati degli Stati membri nei settori dell’elettricità e del gas avrebbe certamente fatto notevoli progressi durante questi ultimi anni grazie alla normativa comunitaria, in particolare alle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 19 dicembre 1996, 96/92/CE, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica (GU 1997, L 27, pag. 20), e 22 giugno 1998, 98/30/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale (GU L 204, pag. 1).

18     Tuttavia, il recepimento di tali direttive negli ordinamenti nazionali degli Stati membri avrebbe dato origine ad aperture dei vari mercati nazionali non equivalenti. Alcuni Stati avrebbero scelto di aprire i loro mercati in misura maggiore di quanto previsto dalle direttive in questione, altri si sarebbero limitati ad aprire i loro mercati nella misura strettamente imposta da queste ultime. Le misure adottate a livello comunitario al fine di porre rimedio a tale disequilibrio si sarebbero peraltro dimostrate insufficienti. Spetterebbe quindi non solo alle istituzioni comunitarie, ma anche agli Stati membri, lottare contro le asimmetrie esistenti nella struttura concorrenziale del mercato di cui trattasi e le distorsioni di concorrenza che potrebbero risultare da eventuali abusi.

19     Così, il decreto legge n. 192/2001 sarebbe stato l’unico strumento per poter impedire che il mercato italiano fosse oggetto di attacchi speculativi anticoncorrenziali da parte di soggetti pubblici operanti nel medesimo settore in altri Stati membri e avvantaggiati dalle loro normative nazionali.

20     Il problema posto nella presente fattispecie differirebbe da quello sollevato nelle cause che hanno dato luogo alle menzionate sentenze Commissione/Portogallo, Commissione/Francia, Commissione/Belgio, Commissione/Spagna e Commissione/Regno Unito. In tali cause, i provvedimenti nazionali controversi avrebbero mirato, in ognuna di tali fattispecie, a mantenere il controllo dello Stato e ad impedire la liberalizzazione. Invece, il decreto legge n. 192/2001, nei limiti in cui si rivolge esclusivamente alle imprese pubbliche, mirerebbe ad escludere il controllo statale. Pertanto, i criteri formulati nelle menzionate sentenze non potrebbero essere trasposti nella presente causa.

21     Peraltro, il suddetto decreto legge avrebbe carattere temporaneo, giacché si applicherebbe solo fino alla realizzazione di un mercato interno pienamente liberalizzato nei settori del gas e dell’elettricità.

22     Infine, riguardando esclusivamente le imprese pubbliche che detengono una posizione dominante sul loro mercato nazionale, si limiterebbe a misure strettamente necessarie e proporzionali.

23     Secondo la Commissione, tutti i suddetti argomenti sono inconferenti.

24     Gli Stati membri non potrebbero ledere la competenza della Comunità in tale materia. Spetterebbe non ai governi nazionali bensì alla Commissione, nella sua veste di guardiana dei Trattati, vigilare sulla corretta applicazione delle disposizioni comunitarie in questione e opporsi a ogni eventuale violazione della libera concorrenza. Misure unilaterali adottate da alcuni Stati membri, con il pretesto di evitare distorsioni nei propri mercati, introdurrebbero al contrario distorsioni di tale natura nell’intero mercato comunitario, cosa che non potrebbe essere accettata. Orbene, le misure nazionali di cui trattasi nel caso di specie presenterebbero un carattere rigorosamente protezionistico.

25     Peraltro, non si potrebbe addurre un’insufficienza della normativa comunitaria. Quest’ultima recentemente sarebbe diventata anche più consistente in seguito all’adozione di diversi provvedimenti, in particolare delle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 26 giugno 2003, 2003/54/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE (GU L 176, pag. 37), e 2003/55/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 98/30/CE (GU L 176, pag. 57).

 

Giudizio della Corte

26     In via preliminare, occorre ricordare che l’art. 56, n. 1, CE attua la libera circolazione dei capitali tra gli Stati membri e tra gli Stati membri e i paesi terzi. A tal fine, nell’ambito delle disposizioni del capo del Trattato intitolato «Capitali e pagamenti», esso dispone che sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.

27     Se il Trattato non definisce le nozioni di movimenti di capitali e di pagamenti, è pacifico che la direttiva 88/361, unitamente alla nomenclatura ad essa allegata, ha un valore indicativo per definire la nozione di movimenti di capitali (v. sentenze Commissione/Regno Unito, cit., punto 39, e 16 marzo 1999, causa C‑222/97, Trummer e Mayer, Racc. pag. I‑1661, punti 20 e 21).

28     Infatti, i punti I e III della nomenclatura allegata alla direttiva 88/361 nonché le note esplicative ivi contenute indicano che l’investimento diretto sotto forma di partecipazione ad un’impresa attraverso il possesso di azioni nonché l’acquisto di titoli sul mercato dei capitali costituiscono movimenti di capitali ai sensi dell’art. 56 CE. In forza delle dette note esplicative, l’investimento diretto, in particolare, è caratterizzato dalla possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di una società e al suo controllo.

29     Alla luce di tali considerazioni, occorre esaminare se il decreto legge n. 192/2001, che dispone la sospensione automatica dei diritti di voto inerenti a partecipazioni superiori al 2% del capitale sociale di società operanti nei settori dell’elettricità e del gas, quando tali partecipazioni sono acquisite da imprese pubbliche non quotate in mercati finanziari regolamentati e titolari di una posizione dominante, costituisca una restrizione ai movimenti di capitali tra gli Stati membri.

30     A tale riguardo occorre constatare che la sospensione dei diritti di voto, prevista nel suddetto decreto, esclude per la categoria di imprese pubbliche cui si riferisce tale misura un’effettiva partecipazione alla gestione e al controllo delle imprese italiane operanti nei mercati dell’elettricità e del gas. Dal momento che la finalità perseguita dal decreto legge n. 192/2001 è di evitare «attacchi (…) anticoncorrenziali da parte di soggetti pubblici operanti nel medesimo settore in altri Stati membri», quest’ultimo ha per effetto di dissuadere in particolare le imprese pubbliche aventi sede in altri Stati membri dall’acquisire azioni nelle imprese italiane operanti nel settore dell’energia.

31     Da quanto sopra indicato consegue che la sospensione dei diritti di voto prevista dal decreto legge n. 192/2001 costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali vietata, in linea di principio, dall’art. 56 CE.

32     Tale constatazione non è inficiata dal fatto che la normativa di cui trattasi si rivolge solo a una categoria di imprese pubbliche titolari nel loro mercato nazionale di una posizione dominante. Infatti, le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali non operano alcuna distinzione tra le imprese private e le imprese pubbliche né tra le imprese titolari di una posizione dominante e quelle che non godono di una siffatta posizione.

33     Inoltre, il governo italiano non può assumere che, dal momento che le disposizioni della direttiva 2004/39 con cui si dispone, a determinate condizioni, una restrizione dei diritti di voto relativi ad alcune azioni sono compatibili con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali, lo stesso si verificherebbe per il decreto legge n. 192/2001. Tale direttiva, adottata nell’ambito della libertà di stabilimento e non, contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, in quello dell’art. 56 CE, si inserisce in un contesto diverso e alquanto specifico, ossia l’ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale. Vi si prevedono restrizioni del diritto di voto solo a titolo di sanzione per l’inosservanza delle disposizioni legislative. Tali restrizioni quindi, a differenza del decreto legge n. 192/2001, non sono tali da dissuadere imprese di altri Stati membri dall’effettuare investimenti in talune imprese nazionali. Peraltro, per quanto attiene agli artt. 85‑97 della direttiva 2001/34, questi ultimi prevedono esclusivamente obblighi di informazione al momento dell’acquisto o della cessione di una partecipazione importante in una società quotata in borsa nonché un obbligo per gli Stati membri di prevedere sanzioni adeguate in caso di inosservanza di tali obblighi. Le misure adottate al riguardo dagli Stati membri sono irrilevanti nel contesto della presente causa.

34     Occorre inoltre verificare se la restrizione alla libera circolazione dei capitali possa essere giustificata alla luce delle disposizioni del Trattato.

35     A tale proposito si deve rammentare che la libera circolazione dei capitali, in quanto principio fondamentale del Trattato, può essere limitata da una normativa nazionale solo se quest’ultima è giustificata da motivi previsti all’art. 58, n. 1, CE o da motivi imperativi di interesse pubblico. Inoltre, per essere così giustificata, la normativa nazionale deve essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di quest’ultimo, al fine di soddisfare il criterio di proporzionalità (v. sentenze Commissione/Belgio, cit., punto 45, e 7 settembre 2004, causa C‑319/02, Manninen, Racc. pag. I‑7498, punto 29).

36     Il governo italiano rileva che, mediante il processo di liberalizzazione e di privatizzazione, i mercati dell’energia in Italia sono stati aperti alla concorrenza. Il decreto legge n. 192/2001 mirerebbe a salvaguardare condizioni di concorrenza solide ed eque in tali mercati. Esso consentirebbe di evitare che, in attesa di un’effettiva liberalizzazione del settore dell’energia in Europa, il mercato italiano sia oggetto di attacchi anticoncorrenziali da parte di soggetti pubblici operanti nel medesimo settore in altri Stati membri e avvantaggiati da una normativa nazionale che li aveva mantenuti in una posizione di privilegio. L’acquisizione del controllo di imprese operanti nei mercati italiani dell’elettricità e del gas da parte di siffatte imprese pubbliche potrebbe vanificare gli sforzi delle autorità italiane per aprire il settore dell’energia alla concorrenza.

37     A tal proposito, come ha già statuito la Corte, l’interesse al rafforzamento della struttura concorrenziale del mercato di cui trattasi in linea generale non può costituire una valida giustificazione delle restrizioni alla libera circolazione dei capitali (v. sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 52).

38     In ogni caso, sono applicabili le disposizioni del regolamento (CE) del Consiglio 20 gennaio 2004, n. 139, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese (GU L 24, pag. 1). Si deve rammentare, in proposito, che la normativa nazionale di cui trattasi si applica esclusivamente a imprese pubbliche già titolari di una posizione dominante sui lori mercati nazionali. Orbene, conformemente all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 139/2004, la Commissione vieta le concentrazioni di dimensione comunitaria che ostacolino in modo significativo una concorrenza effettiva nel mercato comune o in una parte sostanziale di esso, «in particolare a causa (…) del rafforzamento di una posizione dominante» preesistente.

39     Il governo italiano fa inoltre riferimento alla necessità di garantire la fornitura di energia sul territorio italiano.

40     Anche se la necessità di garantire l’approvvigionamento di energia può, a determinate condizioni, giustificare restrizioni alle libertà fondamentali del Trattato (v. sentenze 10 luglio 1984, causa 72/83, Campus Oil e a., Racc. pag. 2727, punti 34 e 35, e Commissione/Belgio, cit., punto 46), il governo italiano non dimostra in che termini la restrizione dei diritti di voto che si rivolge solo a una specifica categoria di imprese pubbliche sia indispensabile al fine di conseguire lo scopo di cui trattasi. In particolare, non spiega il motivo in base al quale sarebbe necessario che le azioni delle imprese operanti nel settore dell’energia in Italia siano detenute da azionisti privati o da azionisti pubblici quotati in mercati finanziari regolamentati affinché le imprese interessate possano garantire una fornitura sufficiente e ininterrotta di elettricità e di gas sul mercato italiano.

41     Ne consegue che il governo italiano non ha provato che il decreto legge n. 192/2001 è indispensabile per garantire l’approvvigionamento di energia all’interno del Paese.

42     Si deve pertanto constatare che, mantenendo in vigore il decreto legge n. 192/2001 che dispone la sospensione automatica dei diritti di voto relativi a partecipazioni superiori al 2% del capitale sociale di imprese operanti nei settori dell’elettricità e del gas, quando tali partecipazioni sono acquisite da imprese pubbliche non quotate in mercati finanziari regolamentati e titolari di una posizione dominante nel proprio mercato nazionale, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi dell’art. 56 CE.

 

 

Sulle spese

43     Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Mantenendo in vigore il decreto legge 25 maggio 2001, n. 192, convertito in legge 20 luglio 2001, n. 301, recante «Disposizioni urgenti per salvaguardare i processi di liberalizzazione e privatizzazione di specifici settori dei servizi pubblici», che dispone la sospensione automatica dei diritti di voto relativi a partecipazioni superiori al 2% del capitale sociale di imprese operanti nei settori dell’elettricità e del gas, quando tali partecipazioni sono acquisite da imprese pubbliche non quotate in mercati finanziari regolamentati e titolari di una posizione dominante nel proprio mercato nazionale, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi dell’art. 56 CE.

 

2)      La Repubblica italiana è condannata alle spese.

 

 

Jann

Lenaerts

Colneric

 

Schiemann                                                                         Juhász

 

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 2 giugno 2005.

 

Il cancelliere                                                 Il presidente della Prima Sezione

R. Grass                                                                        P. Jann

 


SEC(2005) 1658

Comunicazione della Commissione
applicazione dell’articolo 228 del trattato CE
SEC(2005) 1658*

 

I.             Introduzione

1.                       La possibilità di infliggere sanzioni pecuniarie allo Stato membro che non abbia eseguito una sentenza nella quale viene constatato un suo inadempimento è stata introdotta dal trattato di Maastricht, che ha modificato a tal fine l’ex articolo 171 del trattato CE, diventato articolo 228 del trattato CE, nonché l’articolo 143 del trattato Euratom1.

2.                       Nel 1996 la Commissione ha pubblicato una prima comunicazione riguardante l’applicazione di questa disposizione2, seguita nel 1997 da una seconda comunicazione che trattava in particolare del metodo di calcolo della penalità3. Nel 2001, ha adottato una decisione interna, relativa alla definizione del coefficiente di durata per il calcolo della penalità4. La Corte di giustizia delle Comunità europee ha nel frattempo pronunciato tre sentenze in applicazione dell’articolo 2285. I criteri definiti nelle comunicazioni del 1996 e del 1997 sono stati avallati dalla Corte di giustizia6.

3.                       La presente comunicazione sostituisce le due comunicazioni del 1996 e del 1997. Essa ne riprende gran parte degli elementi, tenendo conto della giurisprudenza intervenuta successivamente, in particolare per quanto riguarda lo strumento della somma forfettaria e il principio di proporzionalità. La presente comunicazione aggiorna inoltre il metodo di calcolo delle sanzioni e lo adatta all’allargamento dell’Unione.

4.                       La decisione ultima sull’irrogazione delle sanzioni di cui all’articolo 228 spetta alla Corte di giustizia, che ha piena giurisdizione in questo ambito. Tuttavia, nella sua veste di custode dei trattati, la Commissione svolge a monte un ruolo determinante, poiché ad essa spetta avviare la procedura di cui all’articolo 228 e adire eventualmente la Corte di giustizia, proponendo l’imposizione di una somma forfettaria o di una penalità - o entrambe - di importo determinato.

*                    Scaricabile al link http://ec.europa.eu/community_law/eulaw/pdf/sec_2005_1658_it.pdf

1                    I riferimenti all’articolo 228 CE contenuti nella presente comunicazione vanno intesi come riferimenti anche all’articolo 143 del trattato Euratom, giacché le due disposizioni sono identiche.

2                   GU C 242 del 21.8.1996, pag. 6.

3                   GU C 63 del 28.2.1997, pag. 2.

4                   Cfr. doc. verbale (2001) 1517/2 del 2 aprile 2001. V. punto 17 della presente comunicazione.

5            Sentenze rispettivamente del 4 luglio 2000, nella causa C-387/97, Commissione/Grecia, Racc. 2000, pag. I-5047; del 23 novembre 2003, nella causa C-278/01, Commissione/Spagna, Racc. 2003, pag. I-14141, e del 12 luglio 2005, nella causa C-304/02, Commissione/Francia (non ancora pubblicata in Raccolta).

6                   V. in particolare la sentenza nella causa C-387/97, Commissione/Grecia, punti da 84 a 92.


In un intento di trasparenza, la Commissione comunica qui di seguito i criteri che intende applicare per indicare alla Corte l’importo delle sanzioni pecuniarie da essa ritenute adeguate alle circostanze. La Commissione tiene a sottolineare che sia la scelta di questi criteri, sia la loro applicazione, saranno determinate dalla necessità di garantire un’applicazione effettiva del diritto comunitario.

 

5.                       L’applicazione, caso per caso, delle norme e dei criteri generali di seguito indicati, come pure l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia al riguardo, permetteranno alla Commissione di sviluppare ulteriormente la sua dottrina a partire dalla presente comunicazione. Dato che la sanzione pecuniaria deve sempre essere adeguata alla fattispecie, la Commissione si riserva la possibilità, nell’esercizio del suo potere discrezionale, di discostarsi da tali norme e criteri generali quando la particolarità del caso lo giustifichi, fornendo circostanziata motivazione, anche per quanto riguarda il ricorso allo strumento della somma forfettaria.

 

II.      Principi generali

 

6.                       L’importo della sanzione deve essere fissato in funzione dell’obiettivo che la sanzione stessa persegue, cioè garantire l’applicazione effettiva del diritto comunitario. La Commissione ritiene che si debbano tenere presenti tre criteri fondamentali:

 

-    la gravità dell’infrazione,

 

-    la durata dell’infrazione,

 

-        la necessità di garantire l’efficacia dissuasiva della sanzione, onde evitare recidive.

 

7.                       Le sanzioni che la Commissione propone alla Corte di giustizia devono essere prevedibili per gli Stati membri e calcolate secondo un metodo che rispetti, nel contempo, il principio di proporzionalità e quello di parità di trattamento tra gli Stati membri. Occorre che la Commissione applichi, inoltre, un metodo chiaro e uniforme, poiché essa dovrà motivare dinanzi alla Corte in che modo abbia determinato l’importo della sanzione proposto.

 

8.                       Sotto il profilo dell’efficacia della sanzione, occorrerà fissare l’importo in misura adeguata per garantirne l’efetto dissuasivo. L’irrogazione di sanzioni puramente simboliche priverebbe di qualsiasi utile effetto questo strumento, complementare della procedura d’infrazione e andrebbe contro l’obiettivo ultimo della procedura stessa, che è quello di garantire la piena applicazione del diritto comunitario.

 

9.                       Dal punto di vista del bilancio, la penalità e la somma forfettaria si configurano come “altre entrate” della Comunità, ai sensi dell’articolo 269 del trattato CE e della decisione 2000/597/CE, Euratom del Consiglio del 29 settembre 2000 relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee7.

7              GU L 253 del 7.10.2000, pag. 42.


A. LO STRUMENTO DELLA SOMMA FORFETTARIA

10.         Nella sua comunicazione del 1996, la Commissione affermava: “tenendo conto dell’obiettivo fondamentale perseguito dall’intera procedura d’infrazione, che è quello di pervenire il più rapidamente possibile all’ottemperanza, la Commissione ritiene che la penalità sia lo strumento più adeguato”.

La Commissione aggiungeva di non rinunciare, tuttavia, alla possibilità di richiedere il pagamento di una somma forfettaria. In pratica, tuttavia, da allora ha sempre richiesto, nei suoi ricorsi a norma dell’articolo 228, che venissero inflitte penalità, che la Corte ha poi irrogato, confermando così l’adeguatezza di tale strumento.

10.1        L’esperienza rivela tuttavia che, spesso, gli Stati membri ottemperano soltanto a uno stadio avanzato, talora addirittura nelle ultimissime fasi della procedura di cui all’articolo 228.

In queste circostanze, la Commissione ritiene di dover riesaminare la questione delle sanzioni pecuniarie di cui all’articolo 228. In effetti, la prassi seguita, consistente nel limitarsi a proporre alla Corte l’irrogazione di penalità per mancata esecuzione nella sentenza a norma dell’articolo 228, ha per effetto che le regolarizzazioni tardive, prima della sentenza, non comportano alcuna sanzione e non sono pertanto scoraggiate efficacemente.

Limitarsi alla penalità e non chiedere il pagamento di una somma forfettaria potrebbe quindi equivalere ad accettare che, dopo la constatazione da parte della Corte dell’inadempimento di un obbligo da parte di uno Stato membro, questo stesso Stato possa lasciar sussistere questa situazione senza conseguenze. La Commissione ritiene che una situazione prolungata di inottemperanza a una sentenza della Corte di giustizia, di per sé, leda già gravemente il principio di legalità e la certezza del diritto, in una Comunità di diritto.

10.2.       La sentenza della Corte nella causa C-304/2002, Commissione contro Francia, ha confermato che i due tipi di sanzione pecuniaria (penalità e somma forfettaria) potevano essere cumulati per la stessa infrazione e ha previsto per la prima volta questo cumulo.

10.3.       In considerazione di quanto precede, la Commissione includerà nei suoi ricorsi alla Corte a norma dell’articolo 228 l’indicazione:

               di una penalità per giorno di ritardo successivo alla pronuncia della sentenza a norma dell’articolo 228, nonché

               di una somma forfettaria che sanzioni la continuazione dell’infrazione tra la prima sentenza, di constatazione dell’inadempimento, e la sentenza a norma dell’articolo 228.

10.4.       Il modo migliore per garantire parità di trattamento tra gli Stati membri è proporre una somma forfettaria e una penalità, basandosi su un metodo predeterminato e oggettivo che disciplini il calcolo delle sanzioni proposte. Un approccio sistematico e oggettivo disciplina già dal 1996 la prassi della Commissione e della Corte per quanto riguarda la proposta e la fissazione di penalità ai sensi dell’articolo 228; esso si è dimostrato si è dimostrato efficace ed equo. Il ricorso alla somma forfettaria deve ovviamente basarsi su un approccio analogo.

 

10.5.       Peraltro la Commissione non esclude, in casi molto particolari, di proporre esclusivamente il pagamento di una somma forfettaria8.

 

11.                   La conseguenza logica del nuovo approccio relativo alla somma forfettaria è che in caso di regolarizzazione da parte dello Stato membro dopo il ricorso alla Corte e prima della sentenza ex articolo 228, la Commissione non desisterà più dalla procedura per questo solo motivo. La Corte, che non potrebbe più irrogare il pagamento di una penalità, poiché quest’ultima sarebbe ormai priva di oggetto, potrebbe per contro imporre il versamento di una somma forfettaria che sanzioni la durata dell’infrazione, fino al momento della regolarizzazione, dato che questo aspetto della controversia continua ad essere rilevante. La Commissione provvederà peraltro ad informare senza indugio la Corte delle regolarizzazioni intervenute, in qualunque stadio del procedimento giudiziario; altrettanto farà quando, in seguito ad una sentenza ex articolo 228, uno Stato membro ottemperi e l’obbligo di pagare la penalità si estingua.

 

12.                   Il risultato che la Commissione intende raggiungere con questa modifica del sistema delle sanzioni è che gli Stati membri correggano le infrazioni più rapidamente e che i ricorsi alla Corte ex articolo 228 tendano così a diminuire.

 

B.           IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ

 

13.                   In una giurisprudenza recente sono state tratte conseguenze specifiche dal principio di proporzionalità. Nelle cause C-387/97, Commissione contro Grecia, e C-278/01, Commissione contro Spagna, la Corte di giustizia ha affermato che una penalità deve essere adeguata alle circostanze e proporzionata sia all’inadempimento constatato che alla capacità finanziaria dello Stato membro interessato9. Quando mette a punto il sistema sanzionatorio da proporre alla Corte in ogni singolo caso, la Commissione valuta attentamente come meglio tenere conto di questi principi. La causa C-278/01, Commissione contro Spagna, dimostra in particolare che il sistema sanzionatorio deve, per quanto possibile, prevedere la possibilità di un cambiamento di circostanze.

 

In questa prospettiva, si possono trarre quattro conseguenze dal principio di proporzionalità, e più precisamente dal principio dell’adeguatezza delle sanzioni alle circostanze del caso:

 

13.1.      In primo luogo, nei casi in cui vengano mossi parecchi addebiti e in cui la Commissione ritenga che sussistano elementi facilmente disponibili, chiari e oggettivi per procedere a una valutazione distinta degli addebiti stessi, senza compromettere l’obiettivo del procedimento ex articolo 228, la Commissione proporrà una sanzione distinta per ciascun addebito, evitando che tale distinzione porti ad un aumento del volume globale delle sanzioni proposte rispetto alla prassi precedente. Questo approccio significa piuttosto che il volume globale di sanzioni sarà ridotto via via che lo Stato membro esegue parti della sentenza (ovvero addebito per addebito).

 

8              Questo approccio potrebbe risultare adeguato in via eccezionale, ad esempio in casi ripetitivi di infrazioni “consumate” o quando sia certo che uno Stato membro abbia già adottato tutte le misure necessarie per ottemperare alla sentenza, ma che inevitabilmente passerà ancora del tempo prima che il risultato richiesto sia ottenuto.

9              V. sentenza nella causa C-387/97, Commissione/Grecia, punto 90, e sentenza nella causa C-278/01, Commissione/Spagna, punto 41.

 


13.2.     In secondo luogo, possono darsi situazioni di infrazione, come quella oggetto della causa C-278/01, Commissione contro Spagna, riguardante le norme di qualità delle acque di balneazione fissate dalla direttiva 76/160/CEE, nelle quali, come ha osservato la Corte, “è particolarmente difficile per gli Stati membri realizzare la completa esecuzione della direttiva”, ed “è possibile che lo Stato membro convenuto riesca ad aumentare sostanzialmente il grado di esecuzione della direttiva senza realizzarne la completa esecuzione a breve termine”. In queste circostanze, come dichiarato dalla Corte, “una sanzione che non tenesse conto dei progressi eventualmente realizzati dallo Stato membro nell’esecuzione dei suoi obblighi non sarebbe né adeguata alle circostanze, né commisurata all’inadempimento accertato”10.

 

Inoltre, in alcune situazioni di infrazione comparabili alla mancata attuazione della direttiva 76/160/CEE – direttiva caratterizzata da un mero obbligo “di risultato” – dove esiste una formula facilmente applicabile per procedere all’adeguamento matematico delle sanzioni, in funzione dei progressi realizzati verso l’adempimento, la Commissione proporrà tale formula alla Corte. Inoltre, essa esaminerà caso per caso se e in quale misura possa risultare giustificato proporre un meccanismo di adeguamento analogo e facilmente applicabile ad altre situazioni d’infrazione.

13.3.     In terzo luogo, le cause C-278/01, Commissione contro Spagna, e C-304/02, Commissione contro Francia, dimostrano che può risultare necessario adattare alle circostanze particolari il periodo temporale di riferimento utilizzato per valutare se l’inottemperanza persista dopo la seconda sentenza e per determinare quando la penalità sia dovuta11. Quando il grado di esecuzione può essere valutato soltanto a intervalli regolari, occorre evitare che le penalità continuino ad accumularsi per periodi nei quali l’infrazione era di fatto cessata, ma non constatata. Pur continuando a proporre normalmente penalità giornaliere, la Commissione suggerirà, ove ciò risulti opportuno, unità temporali di riferimento diverse, ad esempio di sei mesi o un anno. L’unità temporale adeguata dipenderà dal metodo di verifica dell’ottemperanza previsto nella legislazione corrispondente.

13.4.     In quarto luogo, in circostanze speciali, si può anche prevedere la sospensione di una penalità. Ad esempio, in alcuni casi di applicazione scorretta, è prevedibile che lo Stato membro potrebbe affermare, in un determinato momento, di aver adottato tutte le misure necessarie. A questo punto occorrerà un certo periodo di tempo perché possa essere verificata, grazie ad una collaborazione tra lo Stato membro e la Commissione, l’efficacia delle misure disposte12. Inoltre, può accadere eccezionalmente che uno Stato membro abbia adottato tutte le misure necessarie per ottemperare alla sentenza, ma che

10                 V. punti da 47 a 52 della sentenza nella causa C-278/01, Commissione/Spagna.

11                 V. punti da 43 a 46 della sentenza nella causa C-278/01, Commissione/Spagna, e punti 111 e 112 della sentenza nella causa C-304/02, Commissione/Francia.

12                 Ad esempio, uno Stato membro, condannato per avere lasciato che un importante sito naturale si deteriorasse a seguito di un drenaggio, può effettuare lavori infrastrutturali volti a ristabilire le condizioni idrologiche necessarie per l’equilibrio ecologico. Può essere necessario un periodo di sorveglianza per determinare se i lavori siano riusciti a riparare il danno causato.


sia necessario un certo periodo di tempo per ottenere il risultato richiesto. In tali casi, potrebbe essere utile che la Cortedefinisca, nella sentenza a normadell’articolo 228, le condizioni di una eventuale sospensionee preveda la possibilità per la Commissione di procedere alleverifiche necessarie per determinare se le condizioni dell’inizio e della fine della sospensione sono soddisfatte. La Commissione potrebbe, se del caso, presentare alla Corte proposte al riguardo.

 

III.          Determinazione dell’importo della penalità

 

14.          La penalità che lo Stato membro dovrà pagare è costituita da una somma, dovuta in linea di massima per ogni giorno di ritardo, salvo fissazione di una diversa unità temporale di riferimento, in casi particolari (v. punto 13. 3), con cui viene sanzionata l’omessa esecuzione della sentenza della Corte; essa decorre dal giorno in cui la seconda sentenza della Corte viene notificata allo Stato membro in questione e termina il giorno in cui quest’ultimo pone fine all’infrazione.

 

L’importo della penalità giornaliera si calcola come segue:

 

               moltiplicando un importo forfettario di base uniforme per un coefficiente di gravità e un coefficiente di durata;

 

               moltiplicando il risultato ottenuto per un fattore fisso per ciascun paese (il fattore «n») che tiene conto sia della capacitàfinanziaria dello Stato membro considerato, sia del numero di voti di cui dispone in seno al Consiglio.

 

A.           DETERMINAZIONE DELL’IMPORTO FORFETTARIO DI BASE UNIFORME

 

15           L’importo forfettario di base uniforme è l’importo fisso di base al quale verranno applicati i coefficienti moltiplicatori. Con esso viene sanzionata la violazione del principio di legalità e l’omessa esecuzione delle sentenze della Corte sottesa a tutti i procedimenti ex articolo 228. È stato determinato in modo che:

 

               la Commissione conservi un ampio potere discrezionale nell’applicazione del coefficiente di gravità,

 

               l’importo sia ragionevole, vale a dire sopportabile per tutti gli Stati membri,

 

               l’importo, moltiplicato per il coefficiente di gravità, sia abbastanza elevato per garantire una sufficiente pressione sullo Stato membro, qualunque esso sia.

 

Detto importo fisso di base è pari a 600 euro al giorno13.

13                 L’importo forfettario di base uniforme di 500 euro, stabilito nel 1997, è stato indicizzato in base al deflatoredel PIL ed arrotondato. La Commissione adatterà questo importo all’inflazione ogni tre anni.


B.           APPLICAZIONE DEL COEFFICIENTE DI GRAVITÀ

 

16.          Un’infrazione corrispondente all’omessa esecuzione di una sentenza è da considerarsi sempre grave. Tuttavia, in ordine all’esigenza specifica di fissare l’importo della sanzione pecuniaria, la Commissione terrà altresì conto di due parametri strettamente legati all’infrazione che ha portato alla pronuncia della sentenza non eseguita, ossia l’importanza delle norme comunitarie oggetto dell’infrazione e le conseguenze di quest’ultima sugli interessi generali e particolari.

16.1.       Nel valutare l’importanza delle disposizioni comunitarie oggetto dell’infrazione, la Commissione terrà conto, più che della gerarchia della norma di cui è stata accertata l’omessa attuazione, della natura e della portata delle disposizioni disattese. Ad esempio, la violazione del principio di non discriminazione dovrà essere sempre considerata come gravissima, che l’infrazione consista nella violazione del principio stabilito dal trattato CE, o dello stesso principio quale recepito nel testo di regolamenti o direttive. In via generale, ad esempio, la violazione dei diritti fondamentali o delle quattro libertà fondamentali consacrate dal trattato dovrebbe essere considerata come grave e punita con una sanzione pecuniaria commisurata alla gravità stessa.

16.2.       Altro elemento di cui in certi casi occorrerà tener conto è se la sentenza della Corte, alla quale lo Stato membro non ha ottemperato, rientri in una giurisprudenza consolidata (ad esempio, se la sentenza in cui viene constatato l’inadempimento faccia seguito a una pronuncia pregiudiziale conforme). Un elemento determinante può essere la chiarezza della regola violata (oppure, all’opposto, la sua ambiguità od oscurità)14.

 

16.3.       Infine, occorrerà, eventualmente, tener conto del caso in cui lo Stato membro abbia adottato misure che ritiene sufficienti per conformarsi alla sentenza della Corte, mentre la Commissione le reputa inadeguate: fattispecie diversa da quella di uno Stato membro che non ha preso alcuna misura. Nel secondo caso, infatti, è fuor di dubbio che lo Stato membro ha violato l’articolo 228, paragrafo 1, del trattato. Inoltre una mancanza di cooperazione leale con la Commissione nella procedura prevista dall’articolo 228, paragrafo 2, primo comma, costituisce una circostanza aggravante15. Il fatto che la sentenza da eseguire sollevi problemi reali di interpretazione, o che esistano difficoltà intrinseche particolari per assicurarne l’esecuzione in un breve lasso di tempo, va invece considerato una circostanza attenuante.

14Lo Stato membro che contravviene a una norma chiara o a una giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia commette un’infrazione più grave di quella che riguarda una norma comunitaria vaga e complessa, che non era mai stata sottoposta alla Corte a fini di interpretazione o valutazione della validità. Vedere, a tale riguardo, la giurisprudenza della Corte sulla responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto comunitario e particolarmente la sentenza del 26 marzo 1996 nella causa C-392/93 British Telecommunications”, Racc. 1996, pag. I-1631.

15               V. punto 92 delle conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa C-304/02, Commissione/Francia.


16.4.       Gli efetti dell’infrazione sugli interessi generali e particolari saranno valutati caso per caso. A scopo esemplificativo si possono citare i seguenti fattori:

 

               perdita di risorse proprie della Comunità,

 

               incidenza dell’infrazione sul funzionamento della Comunità,

 

               danno grave o irreparabile alla salute umana o all’ambiente,

 

               danno patrimoniale o non patrimoniale subito da privati e da operatori economici, compreso il danno di indole immateriale come quello arrecato allo sviluppo della persona umana,

 

importi finanziari implicati nell’infrazione,

 

               eventuali vantaggi finanziari che lo Stato membro tragga dall’omessa esecuzione della sentenza della Corte,

 

               importanza relativa dell’infrazione, con riferimento al volume di affari o al valore aggiunto del settore economico in causa, nello Stato membro considerato,

 

               ordine di grandezza della popolazione su cui si ripercuote l’infrazione (la gravità potrebbe essere ritenuta inferiore se l’infrazione non riguarda tutto lo Stato membro in questione),

 

               responsabilità della Comunità verso i paesi terzi,

 

               se si tratta di un’infrazione isolata o di un caso di recidiva (come nell’ipotesi di più ritardi nell’attuazione di direttive comunitarie in un determinato settore).

 

16.5.       Peraltro, prendendo in considerazione gli interessi dei singoli all’atto di calcolare l’importo della sanzione, la Commissione non intende ottenere il risarcimento dei danni subiti dalle vittime dell’infrazione, in quanto tale risarcimento può essere ottenuto avviando i procedimenti previsti dinanzi al giudice nazionale. Con l’applicazione di questo criterio la Commissione intende invece tener conto degli efetti dell’infrazione per i privati e per gli operatori economici. Ad esempio, gli effetti non sono identici nel caso in cui l’infrazione riguardi un singolo caso puntuale di applicazione scorretta (mancato riconoscimento di un diploma), rispetto al mancato recepimento di una direttiva sul reciproco riconoscimento dei diplomi, il quale lede gli interessi di un’intera categoria professionale.

 

16.6        A seconda della gravità dell’infrazione l’importo fisso di base viene moltiplicato per un coefficiente compreso tra 1 e 20.

 

C.           APPLICAZIONE DEL COEFFICIENTE DI DURATA

 

17.          Per quanto riguarda il calcolo della penalità, si tiene conto della durata dell’infrazione, a decorrere dalla prima sentenza della Corte di giustizia fino al momento in cui la Commissione decide di adire la Corte. Tale durata sarà presa in considerazione sotto forma di coefficiente moltiplicatore dell’importo fisso di base.


Sulla base della durata dell’infrazione, all’importo fisso di base viene applicato un coefficiente moltiplicatore il cui minimo è 1 e il massimo 3, e che viene calcolato computando 0,10 per ogni mese a decorrere dalla pronuncia della sentenza ai sensi dell’articolo 22616.

 

La Corte ha confermato che la durata dell’infrazione deve essere presa in considerazione per il calcolo sia della penalità che della somma forfettaria, tenuto conto delle funzioni proprie dei due tipi di sanzione17.

D.           CONSIDERAZIONE DELLA CAPACITÀ FINANZIARIA DELLO STATO MEMBRO

18.          L’importo della penalità deve far sì che la sanzione sia nel contempo proporzionata e dissuasiva.

L’efficacia dissuasiva della sanzione si presenta sotto un duplice aspetto. La sanzione deve essere sufficientemente elevata da indurre lo Stato membro:

–        a regolarizzare la propria posizione e a metter fine all’infrazione (perciò deve essere superiore ai vantaggi che lo Stato membro trae dall’infrazione),

a non recidivare.

18.1.       Per l’efficacia dissuasiva è stato scelto un fattore “n” pari, a una media geometrica basata, da un lato, sul prodotto interno lordo (PIL) dello Stato membro considerato e, dall’altro, sulla relativa ponderazione dei voti in seno al Consiglio18. Come si vede, il fattore “n” combina la capacità finanziaria di ciascuno Stato (rappresentata dal suo PIL) con il numero di voti di cui dispone in seno al Consiglio. La formula che ne risulta consente di ottenere uno scarto ragionevole, da 0,36 a 25,40, tra i vari Stati membri.

16               V. punti 81, 102 e 108 della sentenza nella causa C-304/02, Commissione/Francia.

17                V. punto 84 della sentenza nella causa C-304/02, Commissione/Francia.

18            La media è calcolata nel modo seguente: il fattore “n” rappresenta una media geometrica calcolata facendo la radice quadrata del prodotto di due fattori: il primo basato sul PIL degli Stati membri e il secondo sulla ponderazione dei voti in seno al Consiglio. Il fattore “n” si ottiene dalla formula seguente:

dove:

PIL n= PIL dello Stato membro, in milioni di euro,

PIL lux= PIL del Lussemburgo,

Voti n= numero di voti di cui dispone lo Stato membro in seno al Consiglio, secondo la ponderazione stabilita all’articolo 205 del trattato,

Voti lux= numero di voti del Lussemburgo.

La scelta del Lussemburgo come base di calcolo non esercita alcuna influenza sul livello relativo dei coefficienti per due Stati membri determinati.


Il fattore “n” è il seguente:

Stato membro                                                 Fattore speciale “N”

Belgio                                                               5,81

Repubblica ceca                                                3,17

Danimarca                                                        3,70

Germania                                                          25,40

Estonia                                                              0,58

Grecia                                                               4,38

Spagna                                                             14,77

Francia                                                             21,83

Irlanda                                                              3,14

Italia                                                                 19,84

Cipro                                                                0,70

Lettonia                                                            0,64

Lituania                                                             1,09

Lussemburgo                                                    1,00

Ungheria                                                           3,01

Malta                                                                0,36

Paesi Bassi                                                        7,85

Austria                                                              4,84

Polonia                                                             7,22

Portogallo                                                         4,04

Slovenia                                                            1,01

Slovacchia                                                        1,45

Finlandia                                                           3,24

Svezia                                                               5,28

Regno Unito                                                      21,99


18.2.       Per calcolare l’importo della penalità giornaliera da infliggere a uno Stato membro, il risultato ottenuto, applicando all’importo fisso di base il coefficiente di gravità e il coefficiente di durata, viene moltiplicato successivamente per il fattore “n” (fattore fisso per ciascun paese) dello Stato membro considerato. La Commissione si riserva tuttavia il diritto di adeguare questo fattore ove emergano scarti importanti rispetto alla situazione reale o se la ponderazione dei voti in seno al Consiglio fosse modificata. In ogni caso, la prevedibile crescita, proporzionalmente più sostenuta, del PIL dei nuovi Stati membri indurrà la Commissione ad adattare il fattore “n” fra tre anni.

Il metodo di calcolo così determintato può essere in definitiva riassunto nella seguente formula generale:

 

Pg = (Sbp × Cg × Cd) × n

dove: Pg = penalità giornaliera; Sbp = importo fisso di base per la penalità; Cg = coefficiente di gravità; Cd = coefficiente di durata; n = fattore che tiene conto della capacità finanziaria dello Stato membro considerato.

 

 

IV.          Determinazione dell’importo della somma forfettaria

 

19.          Per tenere pienamente conto della finalità dissuasiva della somma forfettaria e dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento, la Commissione suggerirà alla Corte di giustizia un metodo che consiste:

               da un lato, nella determinazione di una somma forfettaria minima fissa, e

               dall’altro, in una formula di calcolo consistente in un importo giornaliero moltiplicato per il numero di giorni di persistenza dell’infrazione e pertanto in gran parte analoga a quella relativa al calcolo della penalità; questa formula di calcolo sarà applicata quando il suo risultato supera la somma forfettaria minima.

 

20.          In ogni caso di ricorso alla Corte di giustizia ai sensi dell’articolo 228 CE, la Commissione proporrà almeno una somma forfettaria fissa, determinata per ogni Stato membro in funzione del suddetto fattore “n”, e ciò indipendentemente dal risultato del calcolo esposto ai punti da 21 a 24.

Questa base minima fissa riflette il principio che qualsiasi caso di inottemperanza persistente di una sentenza della Corte da parte di uno Stato membro rappresenta di per sé, indipendentemente da ogni circostanza aggravante, una violazione del principio di legalità in una Comunità di diritto e richiede pertanto una sanzione reale. La base minima fissa evita inoltre che siano proposti importi puramente simbolici, che sarebbero privi di qualsiasi carattere dissuasivo e rischierebbero di minare l’autorità delle sentenze della Corte, anziché di consolidarla.


 

La somma forfettaria minima è la seguente:

 

 

Stato membro

Fattore n

Somma forfettaria minima19

Belgio

5,81

2.905.000

Repubblica ceca

3,17

1.585.000

Danimarca

3,70

1.850.000

Germania

25,40

12.700.000

Estonia

0,58

290.000

Grecia

4,38

2.190.000

Spagna

14,77

7.385.000

Francia

21,83

10.915.000

Irlanda

3,14

1.570.000

Italia

19,84

9.920.000

Cipro

0,70

350.000

Lettonia

0,64

320.000

Lituania

1,09

545.000

Lussemburgo

1,00

500.000

Ungheria

3,01

1.505.000

Malta

0,36

180.000

Paesi Bassi

7,85

3.925.000

Austria

4,84

2.420.000

Polonia

7,22

3.610.000

Portogallo

4,04

2.020.000

Slovenia

1,01

505.000

Slovacchia

1,45

725.000

Finlandia

3,24

1.620.000

Svezia

5,28

2.640.000

Regno Unito

21,99

10.995.000

 

 

__________________________

19            La Commissione adatterà all’inflazione, ogni tre anni, questa somma forfettaria minima.


21.         D’altra parte, e solo a condizione che l’importo risultante sia superiore alla somma forfettaria minima, la Commissione proporrà alla Corte di determinare la somma forfettaria tramite la moltiplicazione di un importo giornaliero per il numero di giorni di persistenza dell’infrazione, calcolati a decorrere dal giorno della pronuncia della sentenza intervenuta in forza dell’articolo 226 fino al giorno della regolarizzazione dell’infrazione, o, in mancanza di regolarizzazione, fino al giorno della pronuncia della sentenza a norma dell’articolo 228.

Questa formula di calcolo non sembra incompatibile con la nozione di somma forfettaria purché al momento dell’imposizione di questa sanzione, cioè al momento della sentenza, questo calcolo sia possibile e la Corte possa pertanto pronunciarsi su una somma fissa.

22.         Occorre definire come dies a quo il giorno della prima sentenza. Infatti, come risulta dalla sentenza nella causa C-304/02, Commissione contro Francia, la durata dell’infrazione di cui tenere conto al momento della fissazione delle sanzioni è quella trascorsa dalla prima sentenza20. Inoltre, secondo la giurisprudenza, l’esecuzione di una sentenza che accerta un inadempimento deve essere iniziata “immediatamente e conclusa entro termini il più possibile ristretti”21. Prima di formulare il parere motivato ai sensi dell’articolo 228, la Commissione deve aver concesso allo Stato membro un lasso di tempo sufficiente, più o meno lungo a seconda dei casi, per il completamento dell’esecuzione; in caso contrario la Corte potrebbe respingere il suo successivo ricorso22. Tuttavia, se allo Stato membro è stato accordato un termine ragionevole e alla scadenza di tale termine l’esecuzione non è stata conclusa, si deve considerare che lo Stato membro non abbia adempito, fin dalla prima sentenza, al suo obbligo di iniziare immediatamente l’esecuzione di quest’ultima e di completarla il più rapidamente possibile.

23.         Il metodo di calcolo dell’importo giornaliero utilizzato per determinare la somma forfettaria sarà in gran parte analogo a quello dell’importo giornaliero applicabile per la fissazione della penalità, cioè:

–   moltiplicazione di un importo forfettario di base uniforme per un coefficiente di gravità;

–   moltiplicazione del risultato ottenuto per un fattore fisso per ciascun paese (il fattore “n”) che tiene conto sia della capacità finanziaria dello Stato membro in questione, sia del numero di voti di cui dispone in seno al Consiglio.

23.1.      Per il calcolo della somma forfettaria, la Commissione applicherà lo stesso coefficiente di gravità e lo stesso fattore “n” per paese utilizzati nel quadro della determinazione

 

____________________________

20                    V. punti 81, 102 e 108 della sentenza nella causa C-304/02, Commissione/Francia.

21                    V. punto 82 della sentenza nella causa C-387/97, Commissione/Grecia, che cita la giurisprudenza precedente.

22                    V. punti da 27 a 31 della sentenza nella causa C-278/01, Commissione/Spagna.

 


23.2.      L’importo fisso di base applicato dalla Commissione per il calcolo della somma forfettaria sarà, invece, più basso di quello applicato per la determinazione della penalità. Si ritiene equo, infatti, che l’importo giornaliero della penalità sia più elevato di quello della somma forfettaria, poiché il comportamento dello Stato membro in situazione d’infrazione diventa più riprovevole al momento della sentenza a norma dell’articolo 228, nella misura in cui la sua infrazione persiste nonostante due sentenze consecutive della Corte.

L’importo fisso di base per la somma forfettaria è pari a 200 euro23 al giorno, ovvero ad un terzo dell’importo fisso di base per la penalità.

23.3.      A differenza che nel calcolo della penalità, non viene applicato un coefficiente di durata, in quanto la durata dell’infrazione è già presa in considerazione moltiplicando un importo giornaliero per il numero di giorni di persistenza dell’inadempimento.

24.         Tenuto conto di quanto precede, il metodo di calcolo della somma forfettaria così determinata si riassume nella formula generale seguente:

Sf = Sbsf x Cg x n x g

dove:

Sf = somma forfettaria; Sbsf = importo fisso di base per la somma forfettaria; Cg = coefficiente di gravità; n = fattore che tiene conto della capacità finanziaria dello Stato membro considerato; g = numero di giorni di persistenza dell’infrazione.

 

V. Norma transitoria

25.         La Commissione applicherà le norme e i criteri esposti nella presente comunicazione a tutte le decisioni di adire la Corte di giustizia, a titolo dell’articolo 228 del trattato CE, che adotterà a partire dal 1º gennaio 2006.

26.         Tuttavia, in via transitoria, nei casi di inadempimento che gli Stati membri regolarizzeranno nel corso dell’anno 2006 la Commissione continuerà ad applicare l’attuale prassi del ritiro del ricorso presentato presso la Corte ai sensi dell’articolo 228 CE. In questo modo gli Stati membri avranno la possibilità di adattare in tempo utile il loro comportamento futuro alla nuova politica della Commissione.

 

 

___________________________________________

23                    La Commissione adatterà all’inflazione questo importo fisso di base ogni tre anni.