Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Parità tra donne e uomini nell¿accesso alle funzioni pubbliche - A.C. 2045 e 2065
Riferimenti:
AC n. 2045/XV   AC n. 2065/XV
Serie: Progetti di legge    Numero: 184
Data: 19/06/2007
Descrittori:
CONDIZIONI DI ACCESSO AL PUBBLICO IMPIEGO   PARITA' TRA SESSI
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Parità tra donne e uomini
nell’accesso alle funzioni pubbliche

A.C. 2045 e 2065

 

 

 

 

 

n. 184

 

 

19 Giugno 2007

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DIPARTIMENTO istituzioni

SIWEB

 

 

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File: AC0230.doc

 

 


INDICE

Scheda di sintesi

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  5

§      Contenuto  5

§      Relazioni allegate  5

Elementi per l’istruttoria legislativa  6

§      Necessità dell’intervento con legge  6

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  6

§      Rispetto degli altri princìpi costituzionali7

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  7

§      Impatto sui destinatari delle norme  7

§      Formulazione del testo  8

Schede di lettura

Il quadro normativo  11

§      Il principio di pari opportunità nell’ordinamento italiano  11

§      Le pari opportunità nella pubblica amministrazione  12

§      Le pari opportunità nel lavoro  14

§      Il quadro comunitario  15

§      Gli organismi pubblici a tutela delle pari opportunità  16

La proposta di legge A.C. 2045  20

§      Istituzione e composizione dell’Autorità garante  20

§      Funzioni e poteri23

La proposta di legge A.C. 2065  29

§      Finalità, oggetto e ambito di applicazione  29

§      La parità di genere nella composizione degli organi amministrativi30

§      Il Comitato di garanzia per l’attuazione dell’equilibrio della rappresentanza dei generi31

Progetti di legge

§      A.C. 2045, (on. Mistrello Destro ed altri), Istituzione dell’Autorità garante della parità delle donne e degli uomini nell’accesso ai massimi livelli per l’esercizio delle funzioni pubbliche o di funzioni comunque connesse a interessi pubblici spettanti agli enti pubblici35

§      A.C. 2065, (on. Incostante), Nuove disposizioni in materia di parità e di pari opportunità tra donne e uomini45

Normativa di riferimento

§      Costituzione della Repubblica. (artt. 3, 51, 97, 117)55

§      Legge 23 agosto 1988, n. 400. Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 17)58

§      Legge 7 agosto 1990, n. 241. Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi (art. 3)61

§      D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198. Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della L. 28 novembre 2005, n. 246  64

§      Ministro per le riforme e le innovazioni nella P.A. e Ministra per i diritti e le pari opportunità, Direttiva sulle misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche (maggio 2007)99

 

 


Scheda di sintesi

per l’istruttoria legislativa

 


 

Dati identificativi

Numero del progetto di legge

A.C. 2045

Titolo

Istituzione dell’Autorità garante della parità delle donne e degli uomini nell’accesso ai massimi livelli per l’esercizio delle funzioni pubbliche o di funzioni comunque connesse a interessi pubblici spettanti agli enti pubblici

Iniziativa

On. Mistrello Destro ed altri

Settore d’intervento

Pubblica amministrazione

Iter al Senato

No

Numero di articoli

7

Date

 

§       presentazione

11 dicembre 2006

§       annuncio

12 dicembre 2006

§       assegnazione

12 febbraio 2007

Commissione competente

I Commissione (Affari costituzionali)

Sede

Sede referente

Pareri previsti

Commissioni II (Giustizia), V (Bilancio), XI (Lavoro), Commissione parlamentare per le questioni regionali

 


 

Numero del progetto di legge

A.C. 2065

Titolo

Nuove disposizioni in materia di parità e di pari opportunità tra donne e uomini

Iniziativa

On. Incostante

Settore d’intervento

Pubblica amministrazione

Iter al Senato

No

Numero di articoli

7

Date

 

§       presentazione

14 dicembre 2006

§       annuncio

19 dicembre 2006

§       assegnazione

22 gennaio 2007

Commissione competente

I Commissione (Affari costituzionali)

Sede

Sede referente

Pareri previsti

Commissioni II (Giustizia, ex art. 73, co. 1-bis, reg.), V (Bilancio), XII (Affari sociali), Commissione parlamentare per le questioni regionali

 


 

Struttura e oggetto

Contenuto

La proposta di legge A.C. 2045 è volta all’istituzione di un organismo nazionale di garanzia della parità delle donne e degli uomini nell’accesso alle cariche di vertice degli enti pubblici.

In particolare, il provvedimento definisce:

§      l’ambito di applicazione della disciplina da esso recata;

§      la composizione dell’organo, che è collegiale;

§      le funzioni e i poteri dell’autorità di garanzia;

§      i principi direttivi per l’emanazione del regolamento di attuazione del provvedimento.

 

La proposta di legge A.C. 2065 reca disposizioni volte ad esigere dalle amministrazioni statali il rispetto del principio di parità di genere nella composizione degli organi di direzione, indirizzo, gestione e controllo garantendo, in sede di nomina, designazione o proposta dei soggetti da preporre a tali organi, la rappresentanza di entrambi i generi.

La proposta istituisce inoltre presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un nuovo organo (il Comitato di garanzia per l’attuazione dell’equilibrio della rappresentanza dei generi), preposto alla vigilanza sul rispetto delle disposizioni da essa recate.

Relazioni allegate

I provvedimenti, di iniziativa parlamentare, sono corredati della sola relazione illustrativa.


 

Elementi per l’istruttoria legislativa

Necessità dell’intervento con legge

Il ricorso allo strumento legislativo per l’istituzione e la disciplina del garante della parità tra i sessi nell’accesso alle cariche di vertice degli enti pubblici (A.C. 2045) si giustifica in considerazione della natura di pubblico ufficio del garante (si veda, in proposito, il paragrafo Rispetto degli altri principi costituzionali).

Analoga considerazione può farsi per l’istituzione del Comitato di garanzia per l’attuazione dell’equilibrio della rappresentanza dei generi (A.C. 2065).

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

L’A.C. 2045, in quanto recante la disciplina di un pubblico ufficio di livello nazionale, può essere ricondotto alla materia “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”, demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione.

L’articolo 6 della proposta di legge stabilisce che il garante si avvale, per l’esercizio delle sue funzioni, dei Comitati regionali per la parità, la cui eventuale istituzione, allo scopo di non comprimere l’autonomia normativa e organizzativa delle Regioni, è demandata a queste ultime. La definizione delle procedure di raccordo tra il garante e i Comitati regionali è rimessa ad un successivo regolamento da emanarsi da parte del garante; per l’adozione di tale regolamento il provvedimento prevede, con la medesima finalità sopra richiamata, l’intesa preliminare con la Conferenza Stato-Regioni.

La materia “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali” può essere richiamata anche con riguardo all’ambito applicativo dell’A.C. 2065. L’art. 3 della proposta di legge, peraltro, prevedendo la (benché “cedevole”) efficacia di tali disposizioni alle nei confronti delle regioni, sembra incidere in un ambito materiale – la disciplina dell’organizzazione amministrativa delle regioni – rientrante nella competenza legislativa delle regioni medesime.

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Le proposte di legge sembrano intese a dare attuazione, con riguardo ai profili afferenti all’accesso agli uffici amministrativi, al disposto di cui al primo comma dell’art. 51 Cost., ai sensi del quale “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Appare rilevare altresì l’articolo 97, primo comma, della Costituzione, il quale stabilisce che “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge […]”.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Attribuzione di poteri normativi

L’art. 6 dell’A.C. 2045 prevede l’adozione da parte del garante, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, di un regolamento con cui sono determinate le procedure di raccordo dell’attività del garante con quella dei Comitati regionali, ove istituiti. L’art. 7 demanda ad un regolamento di attuazione, da emanarsi ai sensi dell’art. 17, co. 1, della L. 400/1088, la disciplina dell’organizzazione dell’attività del garante.

Coordinamento con la normativa vigente

Si potrebbe valutare l’opportunità dell’inserimento delle disposizioni recate dai testi in esame nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. 198/2006[1]), nel quale è stata recentemente raccolta la normativa statale vigente sull’uguaglianza dei sessi nei vari settori della vita politica, sociale ed economica.

Impatto sui destinatari delle norme

Con riguardo all’A.C. 2045, sembra porsi l’esigenza di precisare quali siano i soggetti chiamati ad applicare le norme, ovvero se si faccia riferimento a tutte le pubbliche amministrazioni ivi comprese quelle dello Stato, oppure soltanto agli enti pubblici come definiti dall’art. 5 della proposta di legge.

Ai fini della valutazione dell’ipotesi di istituzione di un nuovo organismo pubblico potrebbe risultare utile (anche alla luce delle esigenze di semplificazione amministrativa e di contenimento della spesa pubblica) un confronto con l’ipotesi alternativa di affidarne le competenze ad organi e strutture già esistenti e operanti nel medesimo settore (in merito ai quali si vedano, diffusamente, le schede di lettura).

L’A.C. 2045 non reca disposizioni relative alla quantificazione e alla copertura degli oneri finanziari da esso derivanti.

Formulazione del testo

Per alcune specifiche osservazioni, si rinvia alle osservazioni contenute nelle schede di lettura.

 

 


Schede di lettura

 


Il quadro normativo

Il principio di pari opportunità nell’ordinamento italiano

Il principio della parità tra i sessi è fissato innanzitutto dall’articolo 3, primo comma, della Costituzione che sancisce la pari dignità sociale e l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza distinzioni di sesso, oltre che di razza, lingua, religione, di opinioni politiche e di condizioni sociali ed economiche.

Il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione stabilisce un principio di uguaglianza sostanziale che impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini e ne impediscono la piena partecipazione alla vita politica, economica e sociale del Paese. Sulla base di tale principio, sono state adottate disposizioni di legge che configurano “azioni positive” nei confronti delle donne.

Una specificazione del principio di uguaglianza si ritrova nell’art. 51, primo comma, Cost. che stabilisce la parità dei sessi nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. La legge costituzionale n. 1 del 2003[2] ha integrato tale disposizione prevedendo l’adozione di appositi provvedimenti per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini.

Ulteriori statuizioni in tal senso si rinvengono nell’art. 37 Cost., che dispone che la donna lavoratrice abbia gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni spettanti al lavoratore. Vi si stabilisce, inoltre, che le condizioni di lavoro devono essere tali da consentire alla donna l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.

Si ricorda, inoltre, l’art. 117, settimo comma, Cost., come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001[3], ai sensi del quale le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

Recentemente è stato adottato il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (decreto legislativo 198/2006), in cui è stata raccolta e semplificata tutta la normativa statale sull’uguaglianza dei sessi vigente nei settori della vita politica, sociale ed economica.

Le pari opportunità nella pubblica amministrazione

Il Testo unico sul pubblico impiego[4] dispone che tutte le amministrazioni pubbliche devono garantire la parità di trattamento e le pari opportunità tra gli uomini e le donne per l’accesso al lavoro e per il trattamento sul lavoro (art. 7, co. 1).

A tal fine le pubbliche amministrazioni (art. 57):

§         riservano alle donne, salva motivata impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso[5];

§         adottano atti regolamentari per assicurare pari opportunità fra uomini e donne sul lavoro;

§         garantiscono la partecipazione delle proprie dipendenti ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale, adottando modalità organizzative atte a favorirne la partecipazione, consentendo la conciliazione fra vita professionale e vita familiare;

§         possono finanziare programmi di azioni positive e l’attività dei Comitati pari opportunità nell’ambito delle disponibilità di bilancio.

Nel 2002, la legge di riordino della dirigenza statale (L. 145/2002[6], art. 3, co. 1, lett. e)) ha stabilito in via generale che i criteri di conferimento degli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale nella pubblica amministrazione devono tenere conto delle condizioni di pari opportunità tra uomini e donne.

 

Il Codice delle pari opportunità (art. 48) prevede che le pubbliche amministrazioni predispongano piani triennali di azioni positive per assicurare la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro. Tali piani, fra l'altro, favoriscono il riequilibrio della presenza femminile nelle attività e nelle posizioni gerarchiche in cui sussiste un divario fra generi non inferiore a due terzi.

In occasione sia di assunzioni, sia di promozioni, a fronte di un’analoga qualificazione e preparazione professionale tra candidati di sesso diverso, l'eventuale scelta del candidato di sesso maschile deve essere accompagnata da un'esplicita ed adeguata motivazione. Il mancato adempimento di tali disposizioni comporta quale sanzione per le pubbliche amministrazioni il divieto di assumere nuovo personale (art. 6, comma 6, del T.U. pubblico impiego).

Alla fine di maggio 2007, il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e il Ministro per i diritti e le pari opportunità hanno adottato una direttiva sulle misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche[7]. La direttiva, destinata ai vertici delle amministrazioni ed in particolare ai responsabili del personale che dovranno orientare le politiche di gestione delle risorse umane e l’organizzazione del lavoro secondo le linee da essa indicate, intende “promuovere e diffondere la piena attuazione delle disposizioni vigenti, aumentare la presenza delle donne in posizioni apicali, sviluppare politiche per il lavoro pubblico, pratiche lavorative e, di conseguenza, culture organizzative di qualità tese a valorizzare l’apporto delle lavoratrici e dei lavoratori delle amministrazioni pubbliche”.

 

Nella direttiva si forniscono alcuni dati riguardo alla presenza femminile ai vertici della pubblica amministrazione: “nonostante la componente femminile del lavoro pubblico sfiori il 54% del totale (con punte del 76% nel comparto scuola), le dirigenti di seconda fascia sono il 25% e le dirigenti di prima circa il 15%.

A livello di amministrazione centrale (Ministeri ed Enti pubblici non economici), gli ultimi dati mostrano una presenza delle donne nelle fasce dirigenziali un po’ più alta: le dirigenti di seconda fascia sono il 35% e le dirigenti generali di prima fascia sono il 20%. Tutto questo avviene malgrado un elevato tasso di scolarizzazione e specializzazione delle donne: le lavoratrici laureate sono circa il 60% del totale[8]”.

Le pari opportunità nel lavoro

Il legislatore ha provveduto, nel corso degli anni, a creare una serie di strumenti per garantire le pari opportunità sul luogo di lavoro, contrastare le discriminazioni e promuovere l’occupazione femminile.

Oltre alla normativa degli anni ‘70[9] con la quale si è vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso nell’accesso al lavoro, si ricorda la legge n. 125 del 1991[10] che ha disciplinato le cosiddette “azioni positive”, ovvero quelle misure che, prevedendo situazioni di favore per le donne, realizzano lo scopo di rimuovere le disuguaglianze che si frappongono al raggiungimento di una condizione di parità in ambito lavorativo. Con il decreto legislativo n. 196 del 2000 si sono poi rafforzate le funzioni e i poteri dei Consiglieri di parità nazionali, regionali e provinciali[11], organi istituiti per la promozione e il controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e non discriminazione nel mondo del lavoro. I due provvedimenti da ultimo citati sono stati abrogati e le disposizioni da essi recate sono confluite nel Codice delle pari opportunità.

Il divieto di discriminazione fondata sul sesso per quanto concerne l’accesso al lavoro, con specifico riferimento allo stato matrimoniale, di famiglia o di gravidanza, è stato ulteriormente ribadito nell’articolo 3 del D.Lgs. 151 del 2001, che interviene a tutela e sostegno della maternità e della paternità[12]. La stessa disposizione vieta, inoltre, qualsiasi discriminazione fondata sul sesso in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale, con riguardo sia ai profili dell’accesso sia agli aspetti legati alla retribuzione, alla classificazione professionale e alla progressione nella carriera.

Il quadro comunitario

La parità tra uomini e donne è uno dei principi basilari dell’ordinamento comunitario. L’azione dell’Unione europea in questo ambito si è sviluppata perseguendo sostanzialmente due obiettivi: garantire la parità di opportunità e di trattamento tra uomini e donne, eliminare le discriminazioni fondate sul sesso.

L’Unione ha adottato, a partire dagli anni ‘70, numerose direttive volte ad armonizzare gli ordinamenti dei Paesi membri in materia di parità tra i sessi e di non discriminazione.

L’Italia ha provveduto ad adeguare la normativa interna al quadro comunitario.

Le direttive 75/117 (relativa al principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile) e 76/207 (che ha attuato il principio della parità di trattamento per quanto concerne l’accesso all’occupazione, alla formazione e alla promozione professionale, e le condizioni di lavoro) furono attuate con la legge 9 dicembre 1977, n. 903[13], la 86/613 (che ha esteso il principio di parità di trattamento ai lavoratori che esercitano un’attività autonoma) con la legge 29 dicembre 1987, n. 546[14].

Il D.Lgs. 145/2005[15] ha recepito la normativa comunitaria, di cui alla direttiva 2002/73/CE, sull’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne con riguardo all’accesso al lavoro, alla formazione e promozione professionali e alle condizioni di lavoro. La direttiva in questione ha adeguato il quadro normativo dettato dalla precedente direttiva 76/207/CEE, alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea e alle disposizioni del Trattato CE.

Con l’intento di riunire in un unico testo alcune precedenti direttive comunitarie[16] concernenti l'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne, successivamente modificate, e di recepire gli orientamenti giurisprudenziali della Corte di giustizia delle Comunità europee sul medesimo tema, iI Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la direttiva 2006/54/CE[17], il cui termine di recepimento è fissato al 15 agosto 2008.

Gli organismi pubblici a tutela delle pari opportunità

Nel 1996 all’atto della formazione del Governo è stato nominato per la prima volta un Ministro senza portafoglio per le pari opportunità, poi confermato in tutti i Governi successivi, al quale sono stati conferiti compiti di proposta, coordinamento e attuazione delle politiche governative in materia.

Nel 1997 è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio il Dipartimento per le pari opportunità: sorto come struttura di supporto per l’attività del Ministro e con compiti di promozione e coordinamento delle politiche di parità, ha ampliato progressivamente le proprie competenze anche nel campo della lotta alla discriminazione razziale.

Presso il Dipartimento opera la segreteria della Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna, organo consultivo e di proposta del Presidente del Consiglio dei ministri con compiti di elaborazione e promozione di iniziative, anche di tipo legislativo, per assicurare l’uguaglianza tra i sessi.

Per la promozione delle pari opportunità nel mondo del lavoro svolge un ruolo centrale il Ministero del lavoro, in cui dal 1991 è stato istituito il Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, organo consultivo del Ministro del lavoro con compiti di studio e di promozione in materia di parità nel settore della formazione professionale e del lavoro (ora disciplinato dagli articoli 9-11 del Codice delle pari opportunità). A livello nazionale, regionale e provinciale è nominato un Consigliere di parità. La nomina è disposta con decreto del ministro del lavoro, di concerto con il ministro per la pari opportunità; i consiglieri di parità regionali e provinciali sono designati rispettivamente dalle regioni e dalle province. I consiglieri di parità svolgono funzioni di promozione e di controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e di non discriminazione tra donne e uomini nel lavoro (artt. 12-15 del Codice delle pari opportunità).

Presso il Ministero dello sviluppo economico opera il Comitato per l’imprenditoria femminile, istituito nel 1992 con compiti di promozione delle attività di ricerca e formazione sull’imprenditorialità femminile.

Occorre segnalare l’attività dei Comitati per le pari opportunità nella pubblica amministrazione. Previsti a partire dal 1987 dai contratti collettivi nazionali di lavoro dei comparti del pubblico impiego, sono composti in misura paritetica da rappresentanti dell’amministrazione e delle organizzazioni sindacali. Essi hanno prevalentemente compiti di raccolta di dati, di promozione di iniziative, di formulazione di proposte al fine di favorire effettive pari opportunità tra donne e uomini.

Inoltre, dalla fine degli anni ’70, le regioni hanno istituito, con propri provvedimenti, organismi per la tutela e la promozione delle pari opportunità. Tali organi sono incardinati, in alcuni casi, presso il Consiglio regionale, in altri, presso la Giunta o la Presidenza della regione ovvero in strutture amministrative (dipartimenti) dell’Ente regione. Per quanto riguarda la composizione, di esse fanno talvolta parte rappresentanti dell’associazionismo, delle organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro, esperti del settore.

Le loro competenze sono prevalentemente consultive; a queste ultime, si affianca inoltre un’attività di informazione e di diffusione dei temi delle pari opportunità, di studio e di ricerca sulla condizione femminile.

La loro istituzione è stata sancita in alcuni degli Statuti regionali[18] approvati dopo la riforma del Titolo V.

Si riportano di seguito gli estremi delle norme istitutive, per la maggior parte leggi regionali, di tali organi:

 

Norme istitutive di organismi regionali per le pari opportunità

 

Regioni

Norme istitutive

Abruzzo

L.R. 11 agosto 1977, n. 42, Istituzione della Consulta femminile regionale

L.R. 18 maggio 2000, n. 88, Commissione permanente per la realizzazione delle pari opportunità, della parità giuridica e sostanziale tra uomini e donne e la promozione di azioni positive

Basilicata

L.R. 26 novembre 1991, n. 27, Norme relative alla costituzione della Commissione regionale per le parità e le pari opportunità tra uomo e donna

Calabria

L.R. 26 gennaio 1987, n. 4, Istituzione della commissione per l'uguaglianza dei diritti e delle pari opportunità fra uomo e donna

Campania

L.R. 16 febbraio 1977, n. 14, Istituzione della Consulta regionale femminile

L.R. 4 maggio 1987, n. 26, Istituzione della Commissione regionale per la realizzazione della parità dei diritti e delle opportunità tra uomo e donna

Emilia Romagna

L.R. 27 gennaio 1986, n. 3, Istituzione della Commissione per la realizzazione della parità fra uomo e donna

Friuli V.G.

L.R. 21 maggio 1990, n. 23, Istituzione di una Commissione regionale per le pari opportunità tra uomo e donna

Lazio

L.R. 25 novembre 1976, n. 58, Istituzione della Consulta femminile regionale

Regolamento Regionale 6 settembre 2002, n. 1, Regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi della Giunta regionale (artt. 438-442: comitato per le pari opportunità tra uomo e donna)

Liguria

L.R. 16 dicembre 1988, n. 70, Istituzione di una commissione per la realizzazione di pari opportunità tra uomo e donna in materia di lavoro

L.R. 22 agosto 1989, n. 35, Istituzione della Consulta regionale per i problemi della unificazione europea e della Consulta femminile regionale

Lombardia

L.R. 2 maggio 1992, n. 16, Istituzione e funzioni della Commissione regionale per la realizzazione di pari opportunità tra uomo e donna

Marche

L.R. 18 aprile 1986, n. 9, Commissione regionale per le pari opportunità tra uomo e donna

Molise

L.R. 13 aprile 2000, n. 23, Nuova disciplina della Commissione regionale per la parità e le pari opportunità

Piemonte

Deliberazione del Consiglio Regionale del 5 febbraio 1976, n. 59, Istituzione della Consulta femminile regionale

L.R. 12 novembre 1986, n. 46, Istituzione della Commissione regionale per la realizzazione delle pari opportunità fra uomo e donna

Decreto della Giunta regionale 11 marzo 1991, n. 17-4573, Comitato per le pari opportunità tra uomo e donna

Puglia

L.R. 9 giugno 1980, n. 70, Istituzione della Consulta regionale femminile

L.R. 30 aprile 1990, n. 16, Commissione regionale per le pari opportunità fra uomo e donna in materia di lavoro

Sardegna

L.R. 13 giugno 1989, n. 39, Istituzione della Commissione regionale per la realizzazione della parità tra uomini e donne

Sicilia

La Consulta regionale femminile istituita dalla L.R. 7 maggio 1977, n. 25 risulta soppressa. Sono in corso iniziative per la costituzione di una Commissione regionale per la parità tra uomo e donna.

Toscana

L.R. 23 febbraio 1987, n. 14, Istituzione della Commissione regionale per la promozione di condizioni di pari opportunità fra uomo e donna

Umbria

L.R. 18 novembre 1987, n. 51, Centro per la realizzazione della parità e delle pari opportunità tra uomo e donna

Valle d’Aosta

L.R. 23 giugno 1983, n. 65, Istituzione della consulta regionale per la condizione femminile

Veneto

L.R. 30 dicembre 1987, n. 62, Istituzione della Commissione regionale per la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna

Provincia autonoma di Bolzano

L.P. 10 agosto 1989, n. 4 Interventi per la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna, art. 2-5 (Comitato provinciale per la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna)

Provincia autonoma di Trento

L.P. 10 dicembre 1993, n. 41, Interventi per la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna, artt. 2-9 (Commissione provinciale per le pari opportunità fra uomo e donna)

 

Infine, Commissioni provinciali per le pari opportunità sono state costituite in circa il 50% delle province, come risulta da una ricognizione effettuata nel 2005 su iniziativa della Commissione nazionale pari opportunità[19].


La proposta di legge A.C. 2045

La proposta di legge A.C. 2045 (on. Mistrello Destro ed altri), recante Istituzione dell’Autorità garante della parità delle donne e degli uomini nell’accesso ai massimi livelli per l’esercizio delle funzioni pubbliche o di funzioni comunque connesse a interessi pubblici spettanti agli enti pubblici, si compone di sette articoli.

Istituzione e composizione dell’Autorità garante

L’articolo 1 definisce l’ambito di applicazione della disciplina recata dal provvedimento, che è volta a dare attuazione agli articoli 3, primo comma, 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione, individuando a tal fine gli strumenti necessari per assicurare la piena parità tra le donne e gli uomini nell’accesso alle cariche di vertice negli enti pubblici.

Si osserva in proposito che dalla formulazione del testo non si desume in modo esplicito quale sia l’ambito di applicazione della disciplina recata dal provvedimento, ovvero se esso intenda fare riferimento a tutte le pubbliche amministrazioni, comprese quelle dello Stato, oppure soltanto agli enti pubblici come definiti dal successivo articolo 5.

La prima interpretazione sembra avvalorata dalla ratio generale del provvedimento e dalla stessa relazione illustrativa che lo accompagna: si veda in particolare, alla pagina 4 della relazione, il riferimento all’“azione di garanzia della parità delle donne e degli uomini nell’accesso ai ruoli di vertice delle pubbliche amministrazioni” espletata dal garante e dai comitati regionali per la parità.

Verso la seconda interpretazione sembra invece far propendere la formulazione letterale dell’articolato, e, in particolare, l’articolo 5, nel quale si fa riferimento soltanto agli enti pubblici e non alle amministrazioni dello Stato.

 

Per la definizione di amministrazioni pubbliche si può prendere come riferimento l’art. 1, comma 2, del Testo unico sul pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001[20]) secondo cui si intendono come tali tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

 

L’articolo 2 istituisce l’Autorità garante della parità delle donne e degli uomini nell’accesso ai massimi livelli per l’esercizio delle funzioni pubbliche o di funzioni comunque connesse a interessi pubblici spettanti agli enti pubblici.

Vengono specificati gli attributi di indipendenza e autonomia dell’organo che “opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione”.

Tale asserzione, unitamente alle particolari modalità di nomina e al regime di incompatibilità, sembrerebbe consentire l’inclusione del garante nel novero delle autorità indipendenti.

 

Negli anni recenti si è registrata una proliferazione di questo tipo di strutture organizzative[21], la cui istituzione – malgrado le autorità siano state disciplinate ciascuna con una normativa distinta e specifica – è in tutti i casi finalizzata ad organizzare l’esercizio di funzioni amministrative di particolare rilievo, al di fuori degli apparati ministeriali, in modo da garantirne la maggiore e più completa imparzialità e neutralità politica. In conseguenza della loro preposizione allo svolgimento di funzioni di garanzia, esse sono poste in una posizione di terzietà rispetto all’amministrazione pubblica, sono dotate di proprio personale ed hanno generalmente una spiccata autonomia organizzativa, di spesa e di disciplina del proprio personale.

Le autorità sono costituite per svolgere funzioni di garanzia, regolazione, amministrazione e controllo in specifici settori della società civile e del mondo economico, che differiscono molto le une dalle altre per composizione, dandosi autorità con numero variabile di componenti; per modalità di nomina, essendo prevista la nomina da parte dei Presidenti delle Camere, o delle Assemblee parlamentari, o dal Governo; per durata in carica.

Sono generalmente classificate tra le Autorità:

§         la Commissione nazionale per le società e la borsa – Consob;

§         il Garante per la protezione dei dati personali;

§         l’Autorità garante della concorrenza e del mercato;

§         l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;

§         la Commissione di garanzia della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali;

§         l’Autorità per l’energia elettrica e il gas;

§         l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici;

§         l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private – ISVAP;

§         la Commissione per la vigilanza dei fondi pensione – Covip.

È di solito considerata quale autorità amministrativa indipendente anche la Banca d’Italia.

 

Il Governo ha recentemente presentato il disegno di legge A.S. 1366, che interviene sulle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, di vigilanza sui mercati finanziari (sopprimendo L’ISVAP, la COVIP, l’Ufficio Italiano Cambi e il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio e istituendo l’Autorità dei trasporti.

Il provvedimento introduce norme generali in materia di funzionamento delle Autorità indipendenti e in particolare di:

§       composizione delle singole Autorità (numero dei componenti, modalità di nomina, criteri di scelta dei candidati; situazioni soggettive ostative alla nomina; durata del mandato; revoca del Collegio; attività incompatibili);

§       organizzazione delle stesse (forme di autonomia; funzioni del Collegio e degli uffici; segretario generale; modalità di esercizio delle funzioni di controllo; organici);

§       atti e procedimenti delle Autorità (regime di pubblicità degli atti; obbligo di motivazione di regolamenti e atti generali; consultazione dei destinatari degli atti; revisione periodica degli atti; disciplina regolamentare dei termini per la conclusione dei procedimenti; modalità dei procedimenti di controllo; disciplina delle sanzioni amministrative);

§       ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti delle Autorità, prevedendo la giurisdizione esclusiva del TAR del Lazio, sede di Roma.

E’ inoltre istituita una Commissione parlamentare cui sono attribuiti rilevanti compiti in tema di rapporti con le Autorità, tra i quali l’espressione del parere vincolante nelle procedure di nomina e revoca e l’esame delle relazioni e dei pareri da queste prodotti.

 

Si ricorda infine che il 4 aprile 2007 la Camera ha approvato il testo unificato delle proposte di legge concernenti l’istituzione della Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e del Garante dei diritti delle persone detenute e private della libertà personale. Il provvedimento si trova ora all’esame del Senato (A.S. 1463).

 

Per il suo funzionamento, al garante è assicurata in via generale (articolo 2, comma 3) la disponibilità di una sede, di una dotazione di personale e di mezzi finanziari per il suo funzionamento. Il provvedimento, come si ribadisce nella relazione illustrativa, demanda ad un successivo regolamento di attuazione (vedi infra all’articolo 7) la determinazione del personale necessario per l’esercizio delle funzioni del garante.

 

Il garante è un organismo collegiale, composto dal presidente e da sei membri che rimangono in carica per sette anni (articolo 3).

Secondo il modello delle autorità amministrative indipendenti, la proposta conferisce ai Presidenti delle Camere, d’intesa tra loro, il potere di nomina dei componenti, stabilendo che venga rispettato il principio della parità dei sessi.

Il mandato è suscettibile di conferma; a differenza di quanto generalmente previsto per le autorità indipendenti, non viene precisato il numero di mandati consecutivi che i componenti del garante possono rivestire.

 

Quanto ai requisiti per la nomina, la proposta (art. 3, comma 3) stabilisce che ognuno dei componenti:

§      deve dare garanzia di notoria indipendenza;

§      deve essere scelto prioritariamente tra le seguenti categorie: magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti o della Corte di cassazione e tra professori universitari ordinari di materie giuridiche, nonché tra personalità esperte sulle tematiche delle pari opportunità.

Diversi sono i requisiti richiesti per la nomina a presidente dell’autorità garante, che deve essere individuato tra persone di notoria indipendenza che abbiano rivestito incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo (art. 3, comma 2).

 

La proposta, inoltre, individua una serie di incompatibilità per i membri del garante, i cui membri non possono, a pena di decadenza (art. 3, comma 4):

§      esercitare alcuna attività professionale o di consulenza, né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura

§      essere amministratori o dipendenti di enti pubblici o privati;

§      ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura.

I dipendenti statali, che assumono la carica di membro dell’autorità garante, sono collocati fuori ruolo per l’intera durata del mandato.

Funzioni e poteri

Il garante interviene d’ufficio o in seguito a segnalazione (articolo 4), che può essere effettuata sia da soggetti portatori di interessi pubblici o privati, sia da portatori di interessi diffusi che siano costituiti in associazioni o fondazioni, ai quali possa derivare un pregiudizio dagli atti o provvedimenti di nomina dei più elevati livelli dirigenziali degli enti pubblici o dei membri di organi monocratici o collegiali, in apparati degli enti stessi o di altre amministrazioni o in enti pubblici o privati, che violino il principio dell’equilibrio tra i sessi.

Il garante verifica sistematicamente gli atti o provvedimenti di nomina dei dirigenti che gli enti pubblici sono tenuti ad inviare ai sensi del successivo articolo 5 (vedi infra), accertandone l’osservanza del principio di eguaglianza tra gli uomini e le donne.

Qualora il garante riscontri nella decisione dell’amministrazione la mancata osservanza del principio di parità che non sia motivata secondo quanto previsto dall’articolo 3 della legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990[22], in merito al quale, vedi infra), si instaura un contraddittorio tra il garante e l’amministrazione che ha adottato il provvedimento di nomina, nel corso del quale quest’ultima può fornire elementi per la verifica della legittimità del proprio operato.

In caso di accertamento negativo, si aziona un meccanismo sanzionatorio attivabile dal garante medesimo, il quale:

§      impugna l’atto davanti al tribunale amministrativo regionale;

§      ne dispone l’immediata inefficacia fino al termine del giudizio.

 

Tutti gli atti amministrativi che esplicano direttamente efficacia nei confronti dei terzi devono rispondere all’esigenza generale di motivazione riconosciuta dall’art. 3 della L. 241/1990: tale disposizione stabilisce che ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato; l’obbligo di motivazione non sussiste per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.

 

La L. 14/1978[23] stabilisce che, per le nomine, proposte o designazioni, di competenza del Governo, di presidenti e vicepresidenti di istituti e di enti pubblici, anche economici, deve essere richiesto preventivamente il parere parlamentare, che viene espresso dalle Commissioni permanenti competenti per materia delle due Camere e deve essere motivato anche in relazione ai fini ed agli indirizzi di gestione da perseguire.

La richiesta di parere da parte del Governo deve contenere la esposizione della procedura seguita per addivenire alla indicazione della candidatura, dei motivi che la giustificano secondo criteri di capacità professionale dei candidati e degli eventuali incarichi precedentemente svolti o in corso di svolgimento, in relazione ai fini ed agli indirizzi di gestione che si intendono perseguire nell’istituto o ente pubblico.

Le nomine alla presidenza di enti, istituti o aziende di carattere nazionale di competenza dell’amministrazione statale sono effettuate con decreto del Presidente della Repubblica emanato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri adottata su proposta del ministro competente (art. 3, della L. 400/1988[24]).

 

Si ricorda che, secondo le ricostruzioni dottrinarie, il principio di ragionevolezza, indicato dalla relazione illustrativa quale strumento per attuare le finalità del provvedimento in esame, rappresenta uno dei principi fondamentali dell’azione amministrativa, in forza del quale quest’ultima, al di là del rispetto delle prescrizioni normative, deve adeguarsi ad un canone di razionalità operativa, in modo da evitare decisioni arbitrarie e irrazionali, in piena adesione ai dati di fatto ed agli interessi emersi nel corso dell’istruttoria ed in coerenza con le premesse ed i criteri fissati dalla P.A. medesima.

La violazione del principio di ragionevolezza comporta un vizio di eccesso di potere, con particolare riferimento alle figure sintomatiche del difetto di motivazione, di ingiustificata disparità o di contraddittorietà della motivazione stessa.

 

La disposizione in esame non chiarisce la natura dell’atto con cui il garante dispone l’inefficacia del provvedimento di nomina. Tale atto è da ritenersi impugnabile da parte del soggetto sul quale incide l’atto sospensivo.

 

Il procedimento delineato dalla proposta di legge in esame presenta alcune analogie con quello previsto dalla L. 28/2000[25] per gli interventi che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni può disporre per le violazioni della disciplina sulla par condicio nell’accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali.

L’Autorità (AGCOM), una volta iniziato d’ufficio, o su denuncia dell’interessato, il procedimento, compie un’istruttoria sommaria, procede alla contestazione dei fatti, in merito ai quali possono essere presentate, entro 24 ore, le relative controdeduzioni, e provvede, entro 48 ore dall’accertamento della violazione o dalla presentazione della denuncia, all’emanazione della sanzione.

Le sanzioni sono individuate in relazione alle varie fattispecie e consistono, tra l’altro, nell’obbligo di trasmettere programmi con prevalente partecipazione dei soggetti che siano stati danneggiati; nella sospensione delle trasmissioni programmate in violazione della legge; nella messa a disposizione di spazi per la trasmissione di messaggi autogestiti in favore dei soggetti politici danneggiati o esclusi; ecc. (L. 28/2000, art. 10, commi 3 – 8).

I provvedimenti emessi dall’AGCOM possono essere impugnati dinanzi al TAR del Lazio entro trenta giorni. Presso lo stesso TAR può essere proposto, in caso di inerzia dell’Autorità, ricorso per ottenere in sede cautelare la condanna dell’AGCOM a provvedere entro tre giorni dalla pronunzia (L. 28/2000, art. 10, comma 10).

 

Si segnala che il Codice delle pari opportunità già prevede un articolato sistema di tutela giudiziaria contro le discriminazioni nel campo del lavoro, secondo il quale i consiglieri di parità regionali e provinciali competenti per territorio possono promuovere e sostenere, su delega dei soggetti individuali o collettivi che vi hanno interesse, azioni in giudizio nei casi di rilevata discriminazione basata sul sesso.

 

L’articolo 25 del Codice delle pari opportunità individua la nozione di discriminazione diretta: essa consiste in qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, nel trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.

Oltre al divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro (articolo 27) e nella retribuzione (articolo 28), il Codice pone anche il divieto di qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera (articolo 29).

Il Codice reca disposizioni specifiche sulla tutela giudiziaria nei confronti degli atti di discriminazione: i consiglieri di parità provinciali e regionali competenti per territorio possono ricorrere innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro o, per i rapporti sottoposti alla sua giurisdizione, al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti, su delega della persona che vi ha interesse, ovvero di intervenire nei giudizi promossi dalla medesima (articolo 36, comma 2).

L’accertata violazione del divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro di cui all’articolo 27 del Codice comporta il risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita e la rimozione degli effetti del comportamento illegittimo (articolo 38, comma 1).

 

Il garante, nell’esercizio delle sue funzioni, utilizza quali parametri di riferimento del rispetto del principio di parità tra le donne e gli uomini nell’accesso alle cariche di vertice negli enti pubblici i principi costituzionali di cui agli articoli 3, primo comma, 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione (vedi supra).

 

L’articolo 4, comma 5, della proposta pone l’obbligo di presentare al Parlamento, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione sull’attività svolta che dia conto degli atti e dei provvedimenti annullati e che ponga in evidenza gli elementi di criticità della normativa.

 

Come già accennato, l’articolo 5 del provvedimento pone in capo agli enti pubblici l’obbligo di trasmettere al garante tutti gli atti e i provvedimenti di nomina delle cariche di vertice da essi adottati, ai fini dell’accertamento della loro rispondenza al principio di parità.

Il comma 2 del medesimo articolo individua la nozione di ente pubblico ai fini della definizione dei soggetti ai quali si applica la disciplina illustrata.

Sono pertanto ritenuti enti pubblici:

a)      gli enti che vengano qualificati come tali dalla legge o con atto amministrativo;

b)      gli enti che possiedono indici rivelatori della loro pubblicità;

c)      gli enti pubblici economici;

d)      gli enti i cui organi di amministrazione, direzione o vigilanza sono designati dal Parlamento, dal Governo o da organi rappresentativi (Consigli) di enti pubblici territoriali (Regioni, Province, Comuni).

 

La disposizione in esame non indica in modo inequivocabile a quali categorie di enti si intende fare riferimento; pertanto essa appare verosimilmente suscettibile di ingenerare dubbi in sede di applicazione.

 

Per quanto riguarda la lettera b), la dottrina e la giurisprudenza hanno individuato per deduzione gli indici di riconoscibilità della pubblicità di un ente, che consistono nell’autarchia, nell’autotutela, nel carattere autoritativo delle scelte, nella indisponibilità dei beni finalizzati al conseguimento dei propri scopi, nell’attribuzione della personalità giuridica pubblica per legge o altra disposizione normativa, nella cura di interessi pubblici.

Per quanto riguarda gli enti pubblici economici (lettera c)), la giurisprudenza ne ha enucleato i caratteri distintivi, che sono così riassumibili: tali enti, pur perseguendo finalità di interesse generale, con o senza scopi speculativi e con l’ingerenza della pubblica amministrazione, operano nel settore della produzione o scambio di beni o servizi mediante un’organizzazione di tipo imprenditoriale e dietro corrispettivi diretti al recupero dei costi.[26] Normalmente essi svolgono la loro attività nelle forme del diritto privato (artt. 2093 e 2201 c.c.).

 

La Presidenza del Consiglio effettua, entro 30 giorni dalla costituzione dell’Autorità garante, una ricognizione degli enti pubblici ricadenti nell’ambito di applicazione del provvedimento e ne comunica il relativo elenco al garante (art. 5, comma 5).

 

Su un modello analogo a quello profilato dalla legge istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), sono previste delle articolazioni a livello regionale del garante, le quali operano come organi funzionali del medesimo organismo (articolo 6).

Il provvedimento ne demanda l’istituzione, nelle regioni in cui tali organi siano già stati esistenti, alla potestà normativa regionale.

 

L’art. 1, comma 13, della L. 249/1997[27] stabilisce che sono organi funzionali dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni i comitati regionali per le comunicazioni (Corecom), che possono essere istituiti con leggi regionali entro sei mesi dall’insediamento, ai quali sono state attribuite le competenze in precedenza svolte dai comitati regionali radiotelevisivi. Si ricorda, per inciso, che tali disposizioni sono state introdotte prima della riforma del titolo V della Costituzione.

 

In proposito si rileva inoltre che, nelle regioni in cui i comitati per la parità non siano già stati istituiti, il garante sembra poter comunque operare.

La disposizione comporta come possibile effetto una struttura regionale non omogenea, in quanto ciascuna regione provvederebbe a disciplinare il comitato regionale per la parità nella sua piena autonomia normativa.

 

Come già ricordato, l’art. 12 del Codice delle pari opportunità già prevede la nomina in ciascuna regione e provincia di un consigliere di parità; l’insieme di questi costituisce la rete nazionale dei consiglieri di parità, disciplinata dall’art. 19 del Codice.

Si segnala inoltre che, a livello regionale, operano organi (denominati Commissioni o Consulte) per la tutela e la promozione delle pari opportunità, istituiti dalle regioni con propri provvedimenti, (vedi, infra, Il quadro normativo. Gli organismi pubblici a tutela delle pari opportunità).

 

Con un regolamento emanato da parte del garante, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sono determinate le procedure di raccordo dell’attività del garante con quella dei Comitati regionali.

L’articolo 7 demanda ad un regolamento di attuazione, da adottarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 400/1088, la disciplina dell’organizzazione dell’attività del garante e, in particolare:

§      la determinazione del personale necessario per il suo funzionamento;

§      la individuazione dei criteri di gestione delle risorse finanziarie;

§      la fissazione dell’indennità spettante ai membri dell’Autorità;

§      la definizione dello stato giuridico e del trattamento economico del personale dell’Autorità;

§      le modalità di funzionamento dell’Autorità, con riferimento anche all’eventuale istruttoria da essa disposta, all’impugnazione degli atti di nomina ritenuti non rispondenti al principio di pari opportunità e alla sospensione della loro efficacia.

 

La disposizione non fissa alcun limite al contingente di personale dipendente dell’Autorità, né i criteri di selezione, né i parametri generali del trattamento economico e giuridico di detto personale.

Il testo non dispone inoltre quanto ai criteri di determinazione dell’indennità dei membri dell’organismo.

Manca infine una disposizione relativa alla quantificazione e alla copertura degli oneri finanziari recati dal provvedimento.


La proposta di legge A.C. 2065

La proposta di legge A.C. 2065 (on. Incostante), recante Nuove disposizioni in materia di parità e di pari opportunità tra donne e uomini, ha l’obiettivo, come rileva la relazione illustrativa, di “dare concreta attuazione al dettato costituzionale in materia di parità e di pari opportunità per donne e uomini, promuovendo una normativa per il riequilibrio di genere e per il sostegno al sesso sottorappresentato negli organi di decisione, direzione, indirizzo, gestione e controllo delle amministrazioni pubbliche dello Stato”.

La proposta si compone di sette articoli.

Finalità, oggetto e ambito di applicazione

Sia l’articolo 1 che l’articolo 2 sono dedicati alla descrizione delle finalità – generali e immediate – e dell’oggetto del provvedimento, richiamandosi in particolare ai princìpi di cui all’articolo 51 della Costituzione. Il richiamo è, con tutta evidenza, operato al primo comma di tale articolo, che assicura a tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso l’accesso agli uffici pubblici (e alle cariche elettive) in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, e che a tal fine impegna la Repubblica a promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.

Finalità immediata della proposta è, per l’appunto, la promozione della presenza paritaria di donne e di uomini nelle amministrazioni pubbliche.

Come espressamente precisa l’articolo 2, l’ambito di intervento è circoscritto alle amministrazioni dello Stato, in esso comprendendosi anche le aziende e le amministrazioni statali a ordinamento autonomo, nonché agli enti pubblici nazionali ed alle società a totale o a prevalente partecipazione pubblica statale.

Sembrerebbero pertanto escluse dall’applicazione della legge le amministrazioni degli enti territoriali (regioni ed enti locali); va tuttavia rilevato che il successivo articolo 3 reca una disposizione che sembra estendere la portata delle sue disposizioni alle amministrazioni regionali o, più precisamente, “alle regioni che non hanno provveduto ad emanare le leggi regionali in attuazione dell’articolo 117, settimo comma, della Costituzione”.

 

Si ricorda che il settimo comma dell’art. 117 Cost., nel testo in vigore a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione (L.Cost. 3/2001), dispone che “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”.

 

Sotto questo profilo, la proposta di legge sembrerebbe incidere in un ambito materiale – la disciplina dell’organizzazione amministrativa delle regioni – rientrante nella competenza legislativa delle regioni medesime. L’articolo 3 in commento introduce tuttavia, al riguardo, quella che la relazione illustrativa definisce “clausola di cedevolezza”, disponendo che le norme della legge si applichino alle regioni che non abbiano adottato leggi attuative dell’art. 117, co. 7°, Cost., solo fino a quando tali leggi regionali non siano state adottate, perdendo efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore delle leggi regionali medesime.

Al riguardo, si segnala come, alla luce del vigente dettato costituzionale, l’ammissibilità di norme statali “cedevoli” in materie di competenza regionale (e segnatamente, di competenza residuale) non appaia certa, al di fuori dei casi in cui lo stesso testo costituzionale sembra ammettere tale possibilità[28].

La parità di genere nella composizione degli organi amministrativi

Il nucleo precettivo della proposta di legge è recato dagli articoli 4 e 5.

L’articolo 4 impone alle amministrazioni e agli organismi di cui all’art. 2 di dare attuazione al principio di parità di genere nella composizione degli organi di direzione, indirizzo, gestione e controllo garantendo, in sede di nomina dei soggetti da preporre a tali organi (e ancor prima, in sede di designazione o proposta), “la rappresentanza di entrambi i generi, nel rispetto dei princìpi di pari opportunità e non discriminazione, negli organi monocratici e collegiali” di ciascuna amministrazione o organismo. Resta fermo il rispetto dei requisiti di competenza, esperienza e professionalità eventualmente richiesti dalla legge per l’assunzione dell’incarico.

Sembra opportuno un chiarimento in ordine alla portata di tale obbligo. Non sembra infatti che esso possa intendersi applicabile ad ogni atto di nomina, singolarmente inteso: in tal caso infatti, il principio di rappresentanza di entrambi i generi non potrebbe trovare applicazione con riguardo alle nomine ad organi monocratici.

L’articolo 5 esclude l’applicazione delle illustrate disposizioni alle nomine o designazioni “vincolate alla titolarità di uffici e di cariche già rivestiti alla data di entrata in vigore della legge” (cioè, sembra intendere, alle nomine ad incarichi la cui titolarità dipenda per legge dalla titolarità di un altro incarico, già ricoperto alla data di entrata in vigore della legge).

 

In ordine al parere parlamentare previsto dalla L. 14/1978[29] per le nomine, proposte o designazioni, di competenza del Governo, di presidenti e vicepresidenti di istituti e di enti pubblici, si rinvia a quanto ricordato nella scheda relativa all’A.C. 2045.

Il Comitato di garanzia per l’attuazione dell’equilibrio della rappresentanza dei generi

L’articolo 7 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e disciplina un apposito nuovo organo, denominato Comitato di garanzia per l’attuazione dell’equilibrio della rappresentanza dei generi, preposto alla vigilanza sul rispetto delle disposizioni recate dalla legge.

Il Comitato è costituito da cinque componenti, oltre il presidente, tutti nominati con decreto dal Ministro per i diritti e le pari opportunità, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale. I componenti durano in carica tre anni e non sono confermabili.

Nulla si dispone in ordine ai requisiti prescritti per la nomina.

Il potere di vigilanza del Comitato, che può esercitarsi anche svolgendo indagini a campione, include la possibilità di richiedere ad amministrazioni pubbliche e altri organismi documenti, informazioni e chiarimenti in ordine alle nomine effettuate, anche su richiesta motivata di chiunque vi abbia interesse. Chi disattenda alla richiesta senza giustificato motivo incorre in responsabilità disciplinare o, qualora non appartenga ad amministrazioni pubbliche, è passibile dell’irrogazione di una sanzione pecuniaria.

Particolarmente incisivi sono i poteri attribuiti al Comitato nei casi in cui esso ritenga che, in un caso di nomina, siano state violate le disposizioni di cui al precedente art. 4.

In tale ipotesi il Comitato può infatti chiedere all’amministrazione competente che la nomina sia revocata o che, in alternativa, sia prodotta “un’adeguata e documentata motivazione”. Qualora quest’ultima sia ritenuta insufficiente, il presidente del Comitato può dichiarare l’inefficacia del provvedimento di nomina, dandone adeguata pubblicità.

La disposizione in esame non chiarisce la natura dell’atto con cui il Comitato dispone l’inefficacia del provvedimento di nomina. Tale atto è da ritenersi impugnabile da parte del soggetto sul quale incide l’atto sospensivo.

Il Comitato predispone un rapporto annuale, che invia al Governo e alle Camere.

 

L’articolo 7, infine, dispone in ordine alla copertura finanziaria del provvedimento.

 

 

 


Progetti di legge

 


N. 2045

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

______________________________

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

MISTRELLO DESTRO, BALDUCCI, BIANCHI, BONIVER, CIOFFI, PELINO, SANTELLI, ADOLFO, AMICI, ARMOSINO, BELLILLO, BERNARDO, BERTOLINI, BONDI, BONGIORNO, BRUSCO, CAPOTOSTI, CARFAGNA, CARLUCCI, CASTIELLO, CECCACCI RUBINO, CESARO, COLUCCI, COSENZA, DATO, DI CAGNO ABBRESCIA, DI CENTA, D’IPPOLITO VITALE, DI VIRGILIO, FABBRI, FALLICA, FINCATO, GIUSEPPE FINI, FRANCESCATO, GALATI, GARDINI, GARNERO SANTANCHÈ, GELMINI, LENNA, LUSSANA, MAZZONI, MELE, MILANATO, MORONI, ANGELA NAPOLI, PAOLETTI TANGHERONI, PELLEGRINO, PILI, PORETTI, ALFREDO VITO

¾

 

Istituzione dell’Autorità garante della parità delle donne e degli uomini nell’accesso ai massimi livelli per l’esercizio delle funzioni pubbliche o di funzioni comunque connesse a interessi pubblici spettanti agli enti pubblici

 

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Presentata l’11 dicembre 2006

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Onorevoli Colleghi! - Com’è noto, l’articolo 3, primo comma, della Costituzione dispone che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso (...)».

A sua volta, l’articolo 51, primo comma, elemento fondamentale della medesima Carta costituzionale, prevede (nella formulazione del testo introdotto dall’articolo 1 della legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1) che «tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini».

Infine, l’articolo 117, settimo comma, della stessa fonte normativa (nel testo novellato dall’articolo 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) stabilisce - quanto alle regioni - che «le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità d’accesso tra donne e uomini alle cariche elettive».

Fatte salve le naturali e ovvie differenze esistenti tra donna e uomo, non v’è dubbio che l’area dell’eguaglianza riferibile all’una e all’altro coincida, almeno sulla carta. Tuttavia, realtà ed esperienza dimostrano, oltre ogni ragionevole dubbio, che soprattutto in Italia la strada da percorrere, nell’attuazione delle citate previsioni costituzionali, è ben lunga e obiettivamente complessa, sul piano operativo, quando si cerca di individuare gli strumenti per rendere completa la parità.

È difficile, infatti, andare oltre l’attività promozionale. La promozione delle «pari opportunità tra donne e uomini» (articolo 51, primo comma, della Costituzione) si è rivelata finora una mera esortazione pressoché priva di conseguenze, dal momento che mancano sanzioni (giuridiche o politiche) di carattere effettivo in grado di «dissuadere» chi persiste nella inattuazione, sotto il profilo qui considerato, del principio costituzionale di eguaglianza.

Occorre dunque prendere atto che la parità delle donne e degli uomini, nell’accesso ai massimi livelli per l’esercizio delle funzioni pubbliche non esiste (a dire il vero, oggi le disposizioni costituzionali parlano anche di «parità (...) nella vita sociale, culturale ed economica»: ex articolo 117, settimo comma, facendo in tal modo emergere, con chiarezza, l’esigenza di una parità che riguarda tutti gli aspetti dell’esperienza umana). Per essere più precisi, si deve ricordare che, per quanto riguarda l’accesso ai pubblici uffici, il problema della parità non si pone più da quasi un secolo. È inoltre esperienza comune che, tanto per le amministrazioni dello Stato, quanto per gli enti pubblici e le amministrazioni regionali e locali, la presenza femminile nelle qualifiche direttive e dirigenziali è quasi sempre adeguata, talvolta persino prevalente. Squilibri forti ed intollerabili si registrano invece nell’accesso alle posizioni di vertice o apicali (capo-dipartimento, segretario generale, direttore generale, direttore centrale e via elencando a seconda delle nomenclature in uso nelle varie amministrazioni, nazionali, regionali e locali; consigliere d’amministrazione, presidente, amministratore delegato e vertici aziendali in genere). Si deve dunque affrontare la questione della parità delle donne e degli uomini nell’accesso ai massimi livelli nell’esercizio delle funzioni pubbliche o di funzioni comunque connesse a interessi pubblici spettanti agli enti pubblici, tenendo in debito conto due aspetti o momenti qualificanti lo Stato costituzionale: la ragionevolezza delle decisioni amministrative concernenti la preposizione o investitura all’esercizio dei più alti livelli dirigenziali (ciò che corrisponde, come si è giustamente osservato, alla «logica dei valori») e la funzione pubblica chiamata ad attuarla in concreto, secondo il principio di imparzialità (che è connesso all’eguaglianza), ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione.

In estrema sintesi, i capisaldi sui quali si fonda la presente proposta di legge sono i seguenti:

l’oggetto della disciplina è rappresentato dalla parità delle donne e degli uomini nell’accesso ai massimi livelli per l’esercizio di funzioni pubbliche o di funzioni comunque connesse a interessi pubblici spettanti agli enti pubblici, vale a dire ai più alti livelli dirigenziali;

lo strumento prescelto per attuare le finalità stabilite dagli articoli 3, primo comma, 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione (anche in connessione con l’articolo 97), è quello della ragionevolezza delle decisioni amministrative concernenti la preposizione o investitura all’esercizio delle funzioni di cui sopra. Ciò che è o non è ragionevole lo si fa emergere attraverso la dialettica, vale a dire il contraddittorio sulla motivazione degli atti e dei provvedimenti assunti da chi ha la competenza ad adottarli, ai sensi di ciò che dispone l’articolo 3, comma 1, della celeberrima legge 7 agosto 1990, n. 241, stando al quale «ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato (...). La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle - risultanze dell’istruttoria»;

ne segue, sul piano operativo (empirico-pratico), che l’amministrazione competente a provvedere è tenuta a svolgere un’istruttoria (funzionale alla realizzazione della parità di cui qui si discute), ad identificare i presupposti di fatto, a delineare le ragioni giuridiche, dunque a motivare ai sensi di legge. L’atto o il provvedimento sarà trasmesso all’Autorità garante, che verificherà l’operato secondo la logica prevalente, ancorché non assorbente, dell’eccesso di potere e delle relative figure sintomatiche. Qualora l’Autorità riscontri che la scelta non corrisponde ai princìpi d’uguaglianza provvede a presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale e contemporaneamente sospende l’efficacia della nomina. Tutti i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o fondazioni, cui possa derivare un pregiudizio dagli atti o dai provvedimenti di nomina, sono legittimati a denunziare all’Autorità ciascun caso di scelta o nomina che violi i princìpi di uguaglianza.

La ratio sottesa a un simile «meccanismo» è molto semplice. Messa in disparte la logica delle predeterminazioni quantitative, ciò che si esige, a carico di chi svolge una funzione pubblica rilevante, in un ente pubblico, è che spieghi (renda evidenti) le ragioni del come ha deciso, soprattutto le ragioni relative al perché si è discostato dal principio costituzionale di eguaglianza nei suoi profili attinenti la parità delle donne e degli uomini nell’accesso ai massimi livelli per l’esercizio di funzioni pubbliche o di funzioni comunque connesse a interessi pubblici spettanti agli enti pubblici.

È evidente, infatti, che gli articoli 3, primo comma, 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione sono precettivi almeno in ciò: che, in linea di principio, la parità «senza distinzioni di sesso» (articolo 3, primo comma, della Costituzione) equivale, sul piano quantitativo, a una suddivisione del tutto nella misura del 50 per cento tra donna e uomo. La legge non ha nulla da precisare sul punto, salvo prevedere - come qui si prevede - che ogni scostamento sia spiegato secondo la logica del contraddittorio, che esprime l’essenza della democrazia. Sicché, nulla può dirsi garantito a priori, in quanto possono mancare, nel caso concreto, persone di un sesso o dell’altro aspiranti o idonee a ricoprire l’ufficio; tutto è assicurato ex post, poiché le ragioni rese esplicite e ritenute persuasive secondo il criterio della verifica della legittimità dell’operato di chi ha scelto, danno conto di un risultato «ragionevole», vale a dire della misura della parità tra donne e uomini realizzabile nella concretezza dell’esperienza e nell’ambito di istituzioni date, non già meramente virtuali.

È appena il caso di osservare che i componenti dell’Autorità debbono essere esperti in materie giuridico-amministrative, oltre che nell’interpretazione e nell’applicazione dei princìpi di parità: in una parola, avere dimestichezza con l’articolo 3 della legge n. 241 del 1990 e con i relativi problemi di attuazione delle normative destinate a realizzare l’uguaglianza delle opportunità tra donne e uomini. Una volta avviata, la nuova legge consentirà di elaborare standard di giudizio e, con ciò, criteri di riscontro in grado di facilitare l’azione dell’Autorità garante che, in ogni caso, dovrà riferire annualmente alle Camere sui risultati del proprio lavoro.

Considerate le competenze oggi attribuite alle regioni e, in particolare, quella prevista dall’articolo 117, settimo comma, della Costituzione prima richiamato, si è ritenuto opportuno prevedere un sistema di raccordi che conferisca coerenza, omogeneità e, quindi, maggiore incisività su tutto il territorio nazionale all’azione di garanzia della parità delle donne e degli uomini nell’accesso ai ruoli di vertice delle pubbliche amministrazioni. Tale sistema si realizza mediante i Comitati regionali per la parità delle donne e degli uomini, che possono essere istituiti con leggi regionali in attuazione dell’articolo 117, settimo comma, della Costituzione. Questi Comitati, ove costituiti, assumono la qualificazione di organi funzionali dell’Autorità, mutuando uno schema già sperimentato per un’altra Autorità nazionale di garanzia. L’Autorità garante della parità delle donne e degli uomini, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adotterà un apposito regolamento per definire le procedure di raccordo con l’attività dei Comitati regionali.

Si è preferito stabilire, con legge, il contenuto essenziale, di carattere non regolamentare, della materia, lasciando alla normazione secondaria (come previsto dall’articolo 17 della legge n. 400 del 1988) tutto ciò che è dettaglio esecutivo o comunque deve corrispondere a scelte organizzative puntuali e mutevoli nel tempo.

Per chi ha il senso delle istituzioni, che a decidere sia il Governo, piuttosto che il Parlamento, non equivale tanto a una diminuzione di garanzie quanto a una maggiore concretezza, che qui ha una rilevanza esemplare.

La complessità della disciplina, tale per il contesto nel quale si cala e per le sue implicazioni, fa sì che relazione e articolato siano soprattutto un impulso ad maiora, piuttosto che un punto di arrivo: dunque, è auspicabile e richiesta la massima cooperazione nell’esercizio della funzione legislativa e nei necessari ulteriori approfondimenti, che riguarderanno anche la «fattibilità» (per negare la quale, tuttavia, non è il caso di fare ricorso a obiezioni di rito, scarsamente meditate, se non pretestuose). Si vorrebbe poter fare a meno di nuove leggi e nuovi strumenti per realizzare l’uguaglianza costituzionalmente sancita, ma il trascorrere degli anni e l’esperienza impongono di individuare finalmente meccanismi capaci di applicarla piuttosto che declamarla.


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

(Ambito della disciplina).

1. Le disposizioni della presente legge attuano gli articoli 3, primo comma, 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione.

2. La presente legge disciplina la parità delle donne e degli uomini nell’accesso ad ogni livello per l’esercizio di funzioni pubbliche o di funzioni comunque connesse a interessi pubblici spettanti agli enti pubblici.

 

Art. 2.

(Istituzione dell’Autorità garante della parità delle donne e degli uomini).

1. È istituita l’Autorità garante della parità delle donne e degli uomini nell’accesso ai massimi livelli per l’esercizio delle funzioni pubbliche o di funzioni comunque connesse a interessi pubblici spettanti agli enti pubblici, di seguito denominata «Autorità», con sede in Roma.

2. L’Autorità opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione.

3. L’Autorità dispone di una sede propria, di personale e risorse finanziarie adeguati alle sue attribuzioni, secondo quanto annualmente stabilito con la legge di bilancio.

 

Art. 3.

(Composizione dell’Autorità).

1. L’Autorità è organo collegiale, costituito dal presidente e da sei membri, paritariamente rappresentativi di entrambi i sessi, nominati con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

2. Il presidente dell’Autorità è scelto tra persone di notoria indipendenza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo.

3. I sei membri dell’Autorità sono scelti tra persone di notoria indipendenza, da individuare prioritariamente tra magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti o della Corte di cassazione e tra professori universitari ordinari di materie giuridiche, nonché tra personalità esperte sulle tematiche delle pari opportunità.

4. I membri dell’Autorità sono nominati per sette anni e possono essere confermati. Essi non possono esercitare, a pena di decadenza, alcuna attività professionale o di consulenza, né possono essere amministratori o dipendenti di enti pubblici o privati, né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura. I dipendenti statali, che diventano membri dell’Autorità, sono collocati fuori ruolo per l’intera durata del mandato.

 

 

Art. 4.

(Attribuzioni dell’Autorità).

1. L’Autorità riceve gli atti o i provvedimenti con i quali gli enti pubblici nominano i propri dirigenti oppure designano o nominano membri di organi monocratici o collegiali, in apparati propri o di altre amministrazioni o in enti pubblici o privati.

2. L’Autorità verifica che le determinazioni assoggettate al suo riscontro siano conformi ai princìpi costituzionali di cui all’articolo 1 e, in particolare, che ogni scostamento dalla regola della parità sia motivato ai sensi dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

3. Ove constati incongruenze, l’Autorità richiede i chiarimenti e l’eventuale documentazione per la verifica della legittimità dell’operato; quindi provvede al riscontro positivo. In caso contrario, l’Autorità impugna l’atto davanti al tribunale amministrativo regionale e ne sospende l’efficacia fino al termine del giudizio.

4. Tutti i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o fondazioni, cui possa derivare un pregiudizio dagli atti o provvedimenti di cui al presente articolo, hanno facoltà di denunziare all’Autorità la violazione di norme di sua competenza.

5. L’Autorità presenta alle Camere, entro il 30 giugno di ciascun anno, una relazione sull’attività svolta, indicando gli atti o i provvedimenti annullati e segnalando le criticità riscontrate.

 

 

Art. 5.

(Enti pubblici e relativi adempimenti).

1. Gli enti pubblici inviano all’Autorità gli atti o provvedimenti di cui all’articolo 4, comma 1.

2. Sono enti pubblici, ai fini della presente legge, gli enti così qualificati dalla legge o con atto amministrativo, nonché gli enti che possiedono indici rivelatori della loro pubblicità. Sono comunque enti pubblici gli enti pubblici economici e tutti gli enti i cui organi di amministrazione, direzione o vigilanza sono designati dal Parlamento, dal Governo o da organi rappresentativi di enti pubblici territoriali.

3. La Presidenza del Consiglio dei ministri trasmette all’Autorità, entro trenta giorni dalla sua costituzione, un elenco completo degli enti pubblici di cui al comma 2.

 

 

Art. 6.

(Comitati regionali per la parità delle donne e degli uomini).

1. Sono funzionalmente organi dell’Autorità i Comitati regionali per la parità delle donne e degli uomini, che possono essere istituiti con leggi regionali in attuazione dell’articolo 117, settimo comma, della Costituzione.

2. L’Autorità, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adotta un regolamento per definire le procedure di raccordo con l’attività dei Comitati regionali di cui al presente articolo.

 

 

Art. 7.

(Regolamento di attuazione).

1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con regolamento emanato dai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sono adottate le disposizioni attuative della presente legge.

2. Il regolamento di cui al comma 1, in particolare:

a) disciplina l’organizzazione dell’Autorità;

b) stabilisce il personale necessario per un adeguato esercizio delle sue attribuzioni;

c) determina i criteri di gestione delle risorse finanziarie e i conseguenti adempimenti;

d) fissa l’indennità spettante ai membri dell’Autorità;

e) definisce lo stato giuridico e il trattamento economico del personale dipendente dell’Autorità;

f) precisa tempi e modi dell’invio all’Autorità, da parte delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 5, comma 2, degli atti o di provvedimenti di cui all’articolo 4, comma 1, dell’eventuale istruttoria disposta dalla medesima Autorità, nonché del riscontro positivo oppure dell’impugnazione dell’atto e della sospensione della sua efficacia.

 

 

 


N. 2065

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato INCOSTANTE

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Nuove disposizioni in materia di parità e di pari opportunità
tra donne e uomini

 

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Presentata il 14 dicembre 2006

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Onorevoli Colleghi! - La proposta di legge che si presenta ha l’obiettivo di dare concreta attuazione al dettato costituzionale in materia di parità e di pari opportunità per donne e uomini, promuovendo una normativa per il riequilibrio di genere e per il sostegno al sesso sottorappresentato negli organi di decisione, direzione, indirizzo, gestione e controllo delle amministrazioni pubbliche dello Stato, ivi comprese le aziende e le amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici nazionali e le società a totale o a prevalente partecipazione pubblica statale.

L’articolo 51 della Costituzione, come è ormai noto, stabilisce che «Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini».

Appare, dunque, necessario che lo Stato si doti di strumenti idonei a garantire l’effettività del principio di uguaglianza fissato dalla Costituzione, in primo luogo presso le proprie amministrazioni, stabilendo criteri per favorire l’accesso alle nomine negli organi decisionali al sesso sottorappresentato e garantendo pari presenza di donne e di uomini all’interno degli organi stessi.

Non vi è dubbio, infatti, che nonostante le donne abbiano conseguito negli ultimi decenni piena parità nella formazione, nell’istruzione e in molti aspetti della vita economica e sociale, vi sia ancora una loro scarsa presenza, o in alcuni casi «assenza», nei luoghi decisionali e di governo.

La presente proposta di legge vuole, quindi, intervenire in quella che viene definita una «ampia zona grigia» che riguarda le scelte largamente discrezionali effettuate dagli organi di vertice delle amministrazioni pubbliche e degli altri soggetti indicati. Analizzando i vertici delle amministrazioni pubbliche si evidenzia che la componente femminile è ignorata o ampiamente sottodimensionata nonostante la presenza sempre più massiccia e competente delle donne nel mondo delle professioni, dell’istruzione, della formazione, della ricerca eccetera.

Gli apparati pubblici «replicano», in sostanza, quanto avviene negli organismi di rappresentanza e nei vertici del mondo dell’impresa privata. Eppure è noto che le donne leggono più degli uomini, studiano più degli uomini, riescono prima e meglio nei concorsi pubblici, entrano in tutte le professioni e hanno le migliori performance nei percorsi scolastici facendo riscontrare i minori abbandoni.

Questi successi sono il risultato di una forza che le donne hanno mostrato di avere, oltre che di un apparato normativo di tutela e di rimozione degli ostacoli alla parità di genere che nel nostro Paese è stato molto opportunamente promosso e si è stratificato contribuendo a produrre molti significativi risultati.

È necessario, tuttavia, compiere un deciso passo in avanti con norme di promozione delle competenze e dei talenti al fine di rompere il «tetto di cristallo» che ancora oggi impedisce alle donne di assurgere agli incarichi di vertice negli apparati pubblici, con una sicura perdita di efficacia dell’azione della pubblica amministrazione, e produrre un’utile innovazione nei criteri di selezione della classe dirigente del nostro Paese.

Fa piacere ricordare che la pubblica amministrazione è stata definita «la fabbrica dei diritti». Pertanto si richiede che debbano essere utilizzate tutte le migliori professionalità al servizio e per la cura dell’interesse pubblico quale fattore di autentica democrazia che riconosca a tutti i cittadini, uomini e donne, uguali diritti e uguali doveri senza discriminazioni di genere. Le donne vogliono e possono prendersi le loro responsabilità: per farlo devono poter avere pari opportunità di accesso ai luoghi decisionali.

Vale la pena ricordare, a puro titolo di esempio e senza nessuna pretesa di essere esaustivi, che permangono nel nostro Paese «asimmetrie di genere» evidenti e corpose nell’amministrazione della cosa pubblica che vanno riequilibrate: il 53,1 per cento dei dipendenti pubblici sono donne, ma nei livelli apicali la loro presenza si attesta sul 7 per cento.

Per andare più nello specifico del provvedimento in oggetto vediamo, da dati pubblicati dall’Osservatorio sulle pari opportunità del Forum della pubblica amministrazione, che sul totale dei direttori generali degli enti pubblici solo il 12,1 per cento sono donne, mentre i direttori generali delle aziende sanitarie locali sono per il 9,4 per cento donne; la situazione migliora un po’ tra i dipartimenti della pubblica amministrazione centrale, dove le donne capo dipartimento raggiungono il 12,5 per cento; ma se guardiamo ai presidenti degli enti pubblici la percentuale di presenza femminile scende al 2,3 per cento. Da ultimo, caso estremo, ma nemmeno tanto, nel nostro Paese nessuna donna è direttore generale di una città metropolitana. Dati molto significativi, che pongono l’Italia agli ultimi posti in Europa e nel mondo. Anche gli obblighi derivanti dall’appartenenza del nostro Paese all’Unione europea e il raggiungimento degli obiettivi condivisi in materia di sostegno e di valorizzazione alla partecipazione delle donne alla vita pubblica fanno sì che il riequilibrio di genere nei luoghi decisionali sia una questione sulla quale intervenire per colmare i divari che ancora si registrano nel nostro Paese e raggiungere risultati certi e durevoli.

La presente proposta di legge ha, dunque, una doppia finalità: favorire l’accesso alle nomine per gli incarichi pubblici del sesso sottorappresentato (articolo 1) e, inoltre, promuovere la presenza paritaria di donne e di uomini nelle amministrazioni pubbliche dello Stato, ivi compresi le aziende e le amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici nazionali e le società a totale o a prevalente partecipazione pubblica statale (articolo 2).

La proposta di legge, all’articolo 3, reca la cosiddetta «clausola di cedevolezza». In base al nuovo riparto delle competenze legislative dello Stato e delle regioni, le disposizioni della normativa statale in materia di legislazione concorrente regionale si applicano fino alla data di entrata in vigore delle leggi regionali di ciascuna regione.

All’articolo 4 si stabilisce che le amministrazioni pubbliche sono tenute a dare attuazione al principio di parità di genere nella composizione degli organi di direzione, indirizzo, gestione e controllo e che i soggetti cui compete la nomina, la proposta o la designazione devono garantire la rappresentanza di entrambi i generi, nel rispetto dei princìpi di pari opportunità e non discriminazione, nei singoli organi monocratici o collegiali.

All’articolo 5 si è ritenuto di precisare che le disposizioni della legge non si applicano alle nomine e alle designazioni vincolate alla titolarità di uffici e di cariche già rivestiti.

L’articolo 6 istituisce il Comitato di garanzia per l’attuazione dell’equilibrio della rappresentanza dei sessi. La previsione di un apposito organismo di vigilanza presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ha l’obiettivo di rafforzare il carattere prescrittivo delle disposizioni in materia di rappresentanza non discriminatoria di entrambi i generi nelle cariche più importanti dell’apparato pubblico. Il Comitato esercita le sue funzioni attraverso indagini a campione e rapporti annuali al Governo e al Parlamento sul fenomeno della sottorappresentazione delle donne nella composizione degli organi di direzione, gestione, indirizzo e controllo. Il Comitato può, inoltre, richiedere ai soggetti indicati all’articolo 2 ogni informazione sulle nomine effettuate, anche su richiesta di chiunque vi abbia interesse.

Nell’intento di superare la possibile sottovalutazione dei compiti del Comitato si è inteso prevedere anche uno specifico obbligo di fornire le informazioni e i documenti richiesti, con relativa applicabilità di sanzioni amministrative o disciplinari per coloro che rifiutano oppure omettono di fornire, entro sessanta giorni, i dati richiesti.

L’apparato sanzionatorio è infine completato dalla previsione di un potere di intervento, che può giungere fino alla dichiarazione di inefficacia del provvedimento, sulle nomine effettuate in violazione del principio di rappresentanza non discriminatoria e dalla pubblicità del relativo provvedimento del Comitato.


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

1. Allo scopo di assicurare l’effettiva e completa parità tra donne e uomini nella vita economica, sociale, culturale e civile e in ogni altro settore, la presente legge, in attuazione dell’articolo 51 della Costituzione, reca disposizioni volte a favorire l’accesso alle nomine nei confronti del genere sottorappresentato.

 

 

Art. 2.

1. Le disposizioni contenute nella presente legge hanno lo scopo di promuovere la presenza paritaria di donne e di uomini nelle amministrazioni pubbliche dello Stato, ivi compresi le aziende e le amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici nazionali e le società a totale o a prevalente partecipazione pubblica statale.

 

 

Art. 3.

1. Le disposizioni della presente legge si applicano alle regioni che non hanno provveduto ad emanare le leggi regionali in attuazione dell’articolo 117, settimo comma, della Costituzione, e perdono comunque efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore di tali leggi.

 

 

Art. 4.

l. Le amministrazioni pubbliche e gli altri organismi di cui all’articolo 2 sono tenuti a dare attuazione al principio di parità di genere nella composizione degli organi di direzione, indirizzo, gestione e controllo.

 2. Al fine di cui al comma 1, i soggetti cui compete la nomina, la proposta o la designazione garantiscono la rappresentanza di entrambi i generi, nel rispetto dei princìpi di pari opportunità e non discriminazione, negli organi monocratici e collegiali di ciascuna delle amministrazioni e degli organismi di cui all’articolo 2 fermo restando gli specifici requisiti di competenza, esperienza e professionalità eventualmente richiesti per l’incarico dalla normativa applicabile.

 

 

Art. 5.

1. Le disposizioni della presente legge non si applicano alle nomine e alle designazioni vincolate alla titolarità di uffici e di cariche già rivestiti alla data di entrata in vigore della medesima legge.

 

 

Art. 6.

1. Al fine di garantire la realizzazione delle finalità di cui all’articolo 1, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Comitato di garanzia per l’attuazione dell’equilibrio della rappresentanza dei generi, di seguito denominato «Comitato».

2. Il Comitato è un organo collegiale costituito da cinque componenti, escluso il presidente.

3. I componenti e il presidente del Comitato sono nominati con decreto dal Ministro per i diritti e le pari opportunità, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale.

4. I componenti del Comitato durano in carica tre anni e non possono essere confermati.

5. L’indennità da corrispondere ai componenti e al presidente del Comitato è determinata con decreto del Ministro per i diritti e le pari opportunità, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

6. Il Comitato:

a) vigila affinché sia assicurato il rispetto delle finalità di cui all’articolo 1, anche predisponendo apposite indagini campionarie;

b) predispone e invia al Governo e al Parlamento un rapporto annuale nel quale sono evidenziati gli eventuali fenomeni di sottorappresentazione delle donne nella composizione degli organi di direzione, gestione, indirizzo e controllo delle amministrazioni pubbliche e degli altri organismi di cui all’articolo 2.

7. Nell’ambito della propria attività, il Comitato può richiedere alle amministrazioni pubbliche e agli altri organismi di cui all’articolo 2 documenti, informazioni e chiarimenti in ordine alle nomine effettuate, anche su richiesta motivata di chiunque vi abbia interesse.

8. Con provvedimento del Comitato i soggetti non appartenenti alle amministrazioni pubbliche ai quali è richiesto di fornire gli elementi di cui al comma 7 sono sottoposti alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma fino a 1.000 euro se rifiutano od omettono, entro sessanta giorni dalla data della richiesta, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di esibire i documenti.

9. Qualora i soggetti ai quali è richiesto di fornire gli elementi di cui al comma 7 appartengano alle amministrazioni pubbliche, si applicano le sanzioni disciplinari previste dall’ordinamento per gli impiegati dello Stato.

10. Qualora il Comitato ritenga, sulla base degli elementi acquisiti, che siano state violate le disposizioni di cui all’articolo 4, può richiedere ai soggetti cui compete la nomina di revocarla e procedere a una nuova nomina ovvero di produrre un’adeguata e documentata motivazione delle deliberazioni assunte. Qualora il comitato, sulla base dell’ulteriore istruttoria, persista nel ritenere che la nomina violi le disposizioni di cui all’articolo 4, il presidente dichiara l’inefficacia del provvedimento di nomina e ne dà adeguata pubblicità.

 

 

Art. 7.

1. Agli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.

2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

 




[1]    D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246.

[2]     La legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1 ha aggiunto un periodo al primo comma dell’art. 51, che così recita: “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

[3]     L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.

[4]     D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (art. 7, co. 1 e art. 57).

[5]    La Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 39 del 2005, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 61 comma 1, lett. a), del D.Lgs. 2 febbraio 1993 n. 29 (come modificato dall’articolo 43 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e successivamente confluito nell’articolo 57 del Testo unico sul pubblico impiego), che impone l’obbligo di riservare almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni alle donne.

Il Consiglio di Stato, che aveva sollevato la questione, aveva ritenuto che la disposizione violasse gli articoli 3 e 51 della Costituzione, poiché l’imposizione della presenza di donne per almeno un terzo nelle commissioni giudicatrici appariva irrazionale, in quanto ammetteva implicitamente che una commissione è legittimamente composta da sole donne mentre è illegittimamente composta da soli uomini. Il Consiglio di Stato, a sostegno della propria tesi, richiamava la sentenza 422 del 1995 con la quale la Corte Costituzionale aveva sostenuto l’irrilevanza del sesso ai fini dell’accesso alle cariche pubbliche sicché qualsiasi misura adottata per eliminare situazioni di inferiorità sociale ed economica non deve tradursi in un’incisione dei diritti che sono garantiti a tutti in eguale misura.

L’Avvocatura dello Stato ha richiamato la sentenza n. 49 del 2003 della Corte, nella quale si sarebbe operata una netta inversione di tendenza rispetto alle argomentazioni sostenute nella sentenza n. 422 del 1995; secondo l’Avvocatura, quindi, la norma impugnata sarebbe coerente con il mutato quadro normativo in quanto, introducendo un vincolo legale nella formazione delle commissioni di concorso per il reclutamento nel pubblico impiego, non andrebbe ad incidere sul fondamentale diritto dei cittadini, dell’uno e dell’altro sesso, di partecipare in piena uguaglianza ad un concorso pubblico, bensì sulla formazione delle scelte dell’Amministrazione pubblica in merito ai componenti della commissione.

L’Avvocatura dello Stato, inoltre, ha sottolineato come la norma sia volta a creare le condizioni per un’effettiva partecipazione delle donne ai processi decisionali pubblici, in linea con una scelta politica che trova piena rispondenza nella situazione attuale della pubblica amministrazione, ove è ancora necessario correggere uno squilibrio di fatto esistente a svantaggio delle donne.

[6]    L. 15 luglio 2002, n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato (art. 3, co. 1, lett. e), che ha aggiunto il comma 4-bis all’art. 19 del Testo unico sul pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001).

[7]    Il testo della direttiva, che è attualmente in corso di registrazione, è stato pubblicato nel sito http://www.pariopportunita.gov.it ed è riportato nella sezione Normativa di riferimento del dossier.

[8]    Fonte: elaborazione Dipartimento funzione pubblica su dati conto annuale anni 2001-2005.

[9]     L. 9 dicembre 1977, n. 903, Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro.

[10]    L. 10 aprile 1991, n. 125, Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro.

[11]    Istituiti tra gli anni ‘80 e i primi anni ‘90, sono stati ridisciplinati dal D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 196, Disciplina dell’attività delle consigliere e dei consiglieri di parità e disposizioni in materia di azioni positive, a norma dell’articolo 47 della L. 17 maggio 1999, n. 144.

[12]    Il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53, successivamente modificato e integrato dal D.Lgs. 23 aprile 2003, n. 115.

[13]   Come già ricordato, la legge è stata successivamente abrogata e le sue disposizioni sono confluite, parte, nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. 198/2006) e, parte, nel Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.Lgs. 151/2001).

[14]   L. 29 dicembre 1987 n. 546, Indennità di maternità per le lavoratrici autonome. Anche tale legge è stata abrogata; le sue disposizioni sono state trasfuse nel Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.Lgs. 151/2001).

[15]    D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 145, Attuazione della direttiva 2002/73/CE in materia di parità di trattamento tra gli uomini e le donne, per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro. Il provvedimento ha novellato le leggi n. 903/1977 e n. 125/1991, successivamente confluite nel Codice delle pari opportunità.

[16]   Direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro; direttiva 86/378/CEE del Consiglio, del 24 luglio 1986, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale; direttiva 75/117/CEE del Consiglio, del 10 febbraio 1975, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile; direttiva 97/80/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso.

[17]   Direttiva 5 luglio 2006, n. 2006/54/CE, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione).

[18] A titolo esemplificativo, si ricordano: per il Lazio, L.R. Stat. 11 novembre 2004 n. 1, Nuovo Statuto della Regione Lazio (art. 73: Consulta femminile regionale per le pari opportunità); per l’Umbria, L.R. 16 aprile 2005, n. 21, Nuovo Statuto della Regione Umbria (art. 62: Centro per le pari opportunità).

[19]   Dipartimento per le pari opportunità, Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna, Mappa delle Commissioni pari opportunità a livello regionale e provinciale, febbraio 2006.

[20]   D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[21]   In proposito, si veda anche l’intervento del sen. Villone presso la 1a Commissione Affari costituzionali del Senato (seduta del 3 aprile 2007), in cui ha illustrato in qualità di relatore il disegno di legge A.S. n. 1366 (sul quale vedi infra). Il relatore ha rilevato “la circostanza che una proliferazione delle authorities fatalmente sottrae spazio al potere politico”. A suo avviso, occorre ridefinire il confine fra regolazione e autoregolazione, favorendo una maggiore partecipazione dei cittadini e adottando meccanismi che consentano di modificare quel confine nel tempo e a seconda delle circostanze.

[22]   L. 7 agosto 1990 n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[23]   L. 24 gennaio 1978, n. 14, Norme per il controllo parlamentare sulle nomine negli enti pubblici.

[24]   L. 23 agosto 1988 n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[25]   L. 22 febbraio 2000, n. 28 Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica.

[26]   Corte di cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 4 aprile 2000, n. 97, con riferimento all’Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano.

[27]   L. 31 luglio 1997 n. 249, Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo.

[28]    Ci si riferisce al meccanismo della “cedevolezza” previsto nelle più recenti leggi comunitarie, con riguardo alle disposizioni statali di recepimento di direttive comunitarie in materie di competenza regionale, delle quali è disposta l’efficacia solo nelle regioni che non abbiano provveduto al recepimento con proprie leggi e solo sino all’entrata in vigore di queste; meccanismo che sembra legittimato dal tenore del quinto comma dell’art. 117 Cost., ai sensi del quale “le Regioni […] nelle materie di loro competenza […] provvedono all’attuazione e all’esecuzione […] degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”.

[29]   L. 24 gennaio 1978, n. 14, Norme per il controllo parlamentare sulle nomine negli enti pubblici.