Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Modifica all'articolo 111 della Costituzione in materia di garanzia dei diritti delle vittime di reato - A.C. 1242
Riferimenti:
AC n. 1242/XV     
Serie: Progetti di legge    Numero: 51
Data: 29/09/2006
Descrittori:
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA   REVISIONE DELLA COSTITUZIONE
VITTIME DI AZIONI CRIMINOSE     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Progetti di legge

 

 

 

 

 

 

Modifica all'articolo 111 della Costituzione in materia di garanzia dei diritti delle vittime di reato
(Pdl. Cost. 1242)

 

 

 

 

 

n. 51

 

 

 

 

29 settembre 2006


 

 

 

 

DIPARTIMENTO GIUSTIZIA

 

SIWEB

 

DIPARTIMENTO istituzioni

SIWEB

 

I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

File: ac0132.doc

 


INDICE

 

 

Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  4

§      Contenuto  4

§      Relazioni allegate  4

Elementi per l’istruttoria legislativa  5

§      Necessità dell’intervento con legge  5

Schede di lettura

La proposta di legge costituzionale  9

L’articolo 111 della Costituzione  10

La vittima del reato nel processo  12

§      La vittima del reato nel diritto processuale penale  12

§      Le iniziative comunitarie sulla protezione delle vittime dei reati17

Progetto di legge

§      A.C. 1242, (on. Boato), Modifica all'articolo 111 della Costituzione in materia di garanzia dei diritti delle vittime di reato  23

Normativa di riferimento

Normativa nazionale

§      Costituzione della Repubblica (artt. 24 e 111)33

§      Codice di procedura penale (artt. 88, 445, 460)35

Normativa comunitaria

§      Dec. 2001/220/GAI del 15 marzo 2001. Decisione quadro del Consiglio  relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale.41

§      Dir. 2004/80/CE del 29 aprile 2004. Direttiva del Consiglio relativa all'indennizzo delle vittime di reato.50

Dottrina

§      M. del Tufo, Linee di politica criminale europea e internazionale a protezione della vittima, in: Questione Giustizia, 4/2003  61

§      R. Henham, Il ruolo delle vittime inel processo penale e nella commisurazione della pena: un’analisi delle scelte normative e politico-criminali effettuate nell’ordinamento inglese e in quello italiano, in: Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2/2005  83

 

 

 


Scheda di sintesi
per l’istruttoria legislativa


Dati identificativi

Numero del progetto di legge

A.C. 1242

Titolo

Modifica all'articolo 111 della Costituzione in materia di garanzia dei diritti delle vittime di reato

Iniziativa

on. Boato

Settore d’intervento

Costituzione

Iter al Senato

No

Numero di articoli

1

Date

 

§          presentazione o trasmissione alla Camera

29 giugno 2006

§          annuncio

3 luglio 2006

§          assegnazione

24 luglio 2006

Commissione competente

I (Affari costituzionali)

Sede

Referente

Pareri previsti

II Commissione (Giustizia)

 


Struttura e oggetto

Contenuto

La proposta di legge costituzionale reca una novella all’articolo 111 della Costituzione consistente nell’inserimento, dopo il quinto comma dell’articolo, di un nuovo comma che recita: “La Repubblica garantisce i diritti e le facoltà delle vittime del reato”.

Relazioni allegate

La proposta di legge, di iniziativa parlamentare, è accompagnata dalla sola relazione illustrativa.

 


Elementi per l’istruttoria legislativa

Necessità dell’intervento con legge

La proposta in esame intende aggiungere un comma all'articolo 111 della Costituzione. Ai sensi dell'articolo 138 Cost., le modifiche alla Costituzione devono essere apportate con legge (di revisione) costituzionale, da approvarsi con la procedura aggravata ivi prevista.

 


Schede di lettura


La proposta di legge costituzionale

 

La proposta di legge costituzionale in esame è composta da un solo articolo, recante una novella all’articolo 111 della Costituzione, nel quale sono raccolti i princìpi costituzionali che presiedono al “giusto processo” regolato dalla legge.

Più precisamente, la proposta mira ad inserire, dopo il quinto comma dell’articolo menzionato, un nuovo comma ai sensi del quale: “La Repubblica garantisce i diritti e le facoltà delle vittime del reato”.

 

Come osserva la dettagliata relazione illustrativa che accompagna la proposta di legge costituzionale, tra i princìpi introdotti nell’art. 111 Cost. (sul quale, vedi infra) manca tuttora una esplicita previsione a tutela della vittima dei reati, nonostante che la revisione costituzionale del 1999 abbia voluto accentuare il contenuto accusatorio del processo penale e dunque la sua natura di processo di parti cui assegnare condizioni di parità.

L’intendimento perseguito dalla proposta di legge è pertanto quello di “colmare questa lacuna, restituendo, in linea con i princìpi costituzionali di solidarietà e di uguaglianza, diritto di cittadinanza processuale alle vittime del reato”.

 

Tra le finalità dichiarate della proposta è anche quella di avviare, sul piano costituzionale, un percorso che porti alla piena attuazione di princìpi sanciti anche in ambito comunitario: ci si riferisce in particolare alla Decisione quadro del Consiglio relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, (2001/220/GAI) adottata il 15 marzo 2001, le cui disposizioni (vedi infra) sono mirate a ravvicinare le norme e le prassi relative alla posizione e ai principali diritti della vittima sia nell'ambito del procedimento penale in senso stretto, sia con riguardo alle misure di assistenza alle vittime che potrebbero adottarsi prima, durante e dopo il procedimento penale, e che potrebbero attenuare gli effetti del reato.

 


L’articolo 111 della Costituzione

 

L’articolo 111 della Costituzione è stato ampiamente riformulato nel corso della XIII legislatura ad opera della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, diretta ad inserire in Costituzione i principi del “giusto processo”.

 

Tale riforma affondava le sue radici da un lato nella riconosciuta insufficienza della Carta sulle garanzie del processo e, dall’altro, con riferimento in particolare alla regola del contraddittorio, nella complessiva vicenda legislativa ed interpretativa dell’art. 513 del codice di procedura penale in materia di acquisizione delle prove che, riformato dalla L. 267/1997[1], era stato successivamente censurato dalla Corte costituzionale[2].

Inoltre, dopo l’approvazione della Carta costituzionale sono state sottoscritte e ratificate dall’Italia numerose convenzioni internazionali in materia di garanzie costituzionali del processo: è sufficiente in tal senso richiamare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, ratificato e reso esecutivo con la legge 25 ottobre 1977, n. 881. Accanto ai principi e alle norme internazionali espresse si collocano poi le numerose pronunce interpretative ed evolutive delle Corti internazionali, in particolare della Corte europea dei diritti dell’uomo, che sovente ha emesso pronunce di condanna nei confronti dell’Italia per denegata giustizia, soprattutto per la durata dei processi civili, penali e amministrativi.

Gran parte dei princìpi contenuti nel nuovo testo dell’articolo 111, riprendono le elaborazioni sul sistema costituzionale delle garanzie elaborate nel corso della prima parte della legislatura dalla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali.

 

Il testo originario dell’art. 11 Cost. corrispondeva ai soli ultimi tre commi del testo oggi vigente, nei quali si dispone:

§         l’obbligo di motivazione per tutti i provvedimenti giurisdizionali;

§         la facoltà di ricorrere in Cassazione per violazione di legge contro le sentenze e contro i provvedimenti giurisdizionali sulla libertà personale (è ammessa deroga solo per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra; contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione).

La riforma del 1999 ha premesso all’originario testo dell’articolo cinque ulteriori commi, diretti ad introdurre nella Carta costituzionale i princìpi nei quali si compendia il “giusto processo”, definito in apertura quale unico canale di attuazione della giurisdizione, vale a dire dell’affermazione del diritto nel caso concreto.

I principi enunciati sono i seguenti:

§         svolgimento di ogni processo – civile, penale, amministrativo – nel contraddittorio fra le parti;

§         condizioni di parità di tutte le parti nel processo – attori, convenuti, terzi chiamati nel processo civile e amministrativo, pubblica accusa e imputato nel processo penale;

§         garanzia di un giudice terzo ed imparziale;

§         ragionevole durata del processo (le modalità per assicurarla sono affidate alla legge).

Vengono poi inserite una serie di disposizioni volte a garantire e a costituzionalizzare un corpus di diritti della difesa nell’ambito del processo penale, tali da compendiare la sostanza del “giusto processo” nei termini anzidetti.

Le nuove “regole” processuali penali delineate appaiono dirette ad ampliare quello che è il patrimonio dei diritti della persona sottoposta al processo penale, rispetto a quanto già previsto dall’articolo 24 della Costituzione sull’inviolabilità del diritto di difesa. I principi introdotti prevedono:

§         il diritto dell’accusato di reato ad essere informato riservatamente, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico;

§         la garanzia per l’accusato di disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la difesa;

§         il diritto dell’accusato al controesame delle persone che rendono dichiarazioni a suo carico;

§         il diritto di chiamare testimoni a discarico;

§         il diritto alla prova;

§         il diritto della parte all’assistenza di un interprete se non comprende o non parla la lingua del processo,

§         nel processo penale, il principio della formazione della prova incontraddittorio;

§         l’impossibilità di impiegare, ai fini della prova della colpevolezza dell’imputato, le dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore.

Viene infine rimessa al legislatore ordinario la disciplina dei casi in cui la formazione della prova non ha luogo secondo il principio del contraddittorio, determinandone rigorosamente e tassativamente le fattispecie , in relazione al consenso dell’imputato o all’accertata impossibilità di natura oggettiva o in conseguenza di provata condotta illecita. Sono così fatti salvi, in particolare, i riti alternativi.


La vittima del reato nel processo

 

Si ricorda in premessa che nel nostro ordinamento non esiste una normativa generale sostanziale a tutela di tutte le vittime dei reati. L'Italia ha adottato finora misure e forme di assistenza, sostegno e informazione solo a favore di alcune vittime di “specifici” illeciti (in particolare, terrorismo e criminalità organizzata[3]).

La vittima del reato nel diritto processuale penale

Per la giustizia penale è lo Stato, in rappresentanza degli interessi dei cittadini, che reagisce al crimine attivando il processo penale e, in caso di condanna, punendo il colpevole.

Nel processo – nonostante i significativi passi in avanti operati dal nuovo codice – la vittima ha uno spazio modesto: non ha la possibilità di esprimere i propri sentimenti o la propria volontà nei confronti dell’autore del reato e partecipa al processo solo in quanto persona offesa dal reato.

 

Con la persona offesa non va confusa quella danneggiata dal reato, la quale ha sofferto un danno patrimoniale o morale per il cui risarcimento ha diritto di azione e, quindi, di costituirsi parte civile (v. infra). Normalmente le due figure coincidono nella stessa persona fisica, ma possono essere anche persone diverse. Così, nel reato di omicidio, persona offesa è il deceduto, danneggiati sono i congiunti superstiti (i quali pertanto potranno costituirsi parte civile per le pretese risarcitorie).

 

Ai sensi degli articoli 90 e seguenti del codice di procedura penale la persona offesa dal reato è un soggetto processuale che svolge un ruolo di accusa privata, sussidiaria e accessoria rispetto a quella pubblica, spettante al pubblico ministero – che è l’intestatario istituzionale dell’interesse penalmente protetto. Tale ruolo si estrinseca in forme di adesione o di supporto dell’attività del PM, oppure di controllo su essa.

In ogni fase del procedimento la persona offesa può presentare memorie (elaborati scritti riguardanti questioni processuali o di merito, rivolte al PM o al giudice) e indicare elementi di prova. Inoltre, durante le indagini preliminari la persona offesa:

§         può nominare un difensore (art. 101 c.p.p.);

§         può proporre istanza di procedimento (art. 341 c.p.p.);

§         può assistere agli atti c.d. garantiti compiuti dal PM (art. 360 c.p.p.);

§         deve ricevere l’informazione di garanzia rivolta alla persona sottoposta alle indagini (art. 369 c.p.p.);

§         può richiedere al PM di promuovere un incidente probatorio obbligandolo – laddove non intenda procedere in tal senso – a pronunciare un decreto motivato (art. 394 c.p.p.);

§         può partecipare (attraverso il proprio difensore) all’incidente probatorio (artt. 398 e 401 c.p.p.);

§         deve ricevere l’eventuale richiesta del PM di archiviazione per infondatezza della notizia di reato potendo opporvisi e chiedendo la prosecuzione delle indagini preliminari indicando l’oggetto dell’investigazione e gli elementi di prova (artt. 408-410 c.p.p.);

§         può richiedere al procuratore generale di avocare il procedimento in caso di inerzia del PM (art. 413 c.p.p.).

Durante la fase del processo la persona offesa:

§         deve ricevere l’avviso dell’udienza preliminare (art. 419 c.p.p.);

§         può far valere in Cassazione la nullità (ex art. 419, co. 7) della sentenza di luogo a procedere (art. 428 c.p.p.);

§         deve ricevere la notifica del decreto che dispone il rinvio a giudizio dell’imputato (art. 429 c.p.p.) e del decreto che dispone il giudizio immediato (art. 456 c.p.p.);

§         può richiedere al PM di impugnare la sentenza obbligandolo – laddove non intenda procedere in tal senso – a pronunciare un decreto motivato (art. 572 c.p.p.).

 

Se la persona offesa/vittima del reato ha subito un danno suscettibile di riparazione economica può partecipare al processo penale come parte civile(artt. 76 e ss. c.p.p.).

 

La costituzione di parte civile ha carattere facoltativo, atteso che la pretesa può essere tutelata mediante l’esercizio dell’azione ordinaria di danno in sede civile, ed autonomo, dal momento che una sentenza assolutoria non incide sull’esito del giudizio civile.

La dichiarazione di costituzione di parte civile va fatta personalmente o a mezzo di un procuratore speciale e depositata nella cancelleria del giudice che inizierà il giudizio, o portata all'udienza preliminare (art. 78 c.p.p.). Quando siano presenti una o più parti lese, il giudice, al momento della sentenza, deve anche stabilire (se l'imputato è stato riconosciuto colpevole) il risarcimento dei danni.

 

In veste di parte civile la vittima del reato può curare solo la pretesa civilistica alle restituzioni o al risarcimento del danno. L’azione civile ha natura secondaria, atteso che l’oggetto principale del processo penale è rappresentato dall’accertamento della penale responsabilità dell’imputato. Con l’inserimento dell’azione civile nel processo penale l’ordinamento persegue esclusivamente esigenze di economia dei giudizi, intendendo evitare che, concluso l’accertamento penale, si instauri un ulteriore giudizio in sede civile.

Il codice di procedura penale dispone che la parte civile:

§         sta in giudizio col ministero di un difensore (art. 100 c.p.p.), presso il quale riceve le notificazioni (art. 154 cp.p.);

§         può fare richiesta o acconsentire all’esame, sempre che non debba essere sentita come testimone (art. 208 c.p.p.);

§         può chiedere che sulle cose appartenenti all'imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti (artt. 262 e 323 c.p.p.); può chiedere il sequestro conservativo (art. 316 c.p.p.);

§         partecipa alla discussione nell’ambito dell’udienza preliminare (art. 421 c.p.p.) e può ricorrere in Corte di cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere (art. 428 c.p.p.);

§         può non accettare il rito abbreviato; se però la costituzione di parte civile avviene dopo la conoscenza dell'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, ciò vale da accettazione del rito (art. 441 c.p.p.);

§         nel giudizio direttissimo può presentare in dibattimento testimoni senza citazione (art. 451 c.p.p.);

§         nel rito ordinario, in dibattimento, può indicare i fatti che intende provare e chiedere l’ammissione delle prove (art. 493 c.p.p.); può esaminare le parti (art. 503 c.p.p.) e partecipare alla discussione finale illustrando le proprie conclusioni scritte che devono comprendere, quando sia richiesto il risarcimento dei danni, anche la determinazione del loro ammontare (art. 523 c.p.p.);

§         può chiedere al PM di proporre impugnazione a ogni effetto penale obbligandolo – laddove non intenda procedere in tal senso – a pronunciarsi con un decreto motivato (art. 572 c.p.p.);

§         può proporre impugnazione, contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio; può altresì proporre impugnazione contro la sentenza pronunciata a seguito di rito abbreviato, quando ha consentito al rito stesso (art. 576 c.p.p.).

 

Il diritto processuale penale riconosce un ulteriore spazio alla vittima nelle ipotesi – per ora limitate – nelle quali si prevede la mediazione penale.

 

La mediazione è un processo di risoluzione dei conflitti che coinvolge l’intervento di una terza parte neutrale, con l’intento di favorire accordi volontari tra le parti. In ambito penale, la mediazione avviene tra vittima e autore del reato: le due parti possono, con l’aiuto di un soggetto “terzo”, discutere e trovare una soluzione ai problemi che sorgono dalla commissione del reato. La mediazione tra autore e vittima introduce una modifica importante nel processo penale, restituendo alle parti il potere di discutere del fatto di reato e delle sue conseguenze e di trovare delle forme di riparazione adeguate. Ovviamente tutto ciò avviene nel rispetto delle garanzie processuali: l’accordo è sempre sottoposto ad una conferma del giudice che ne valuta la congruità.

Dalla mediazione, solitamente, ci si attende tre effetti: a) la responsabilizzazione dell’autore di reato; b) la soddisfazione della vittima; c) una deflazione del contenzioso giudiziario.

 

Nel nostro ordinamento, la più nota esperienza di mediazione in ambito penale non riguarda il processo penale ordinario, bensì il processo minorile. Nell’ambito della cd.“messa alla prova” (DPR 448/1998[4], art. 28) si prevede, infatti, una specifica ipotesi di mediazione ed attività riparatoria delle conseguenze del reato[5].

 

L’art. 28 del DPR 448/1988 prevede che il giudice, quando ritiene di dover procedere alla valutazione della personalità del minorenne all’esito della cd. messa alla prova, sentite le parti, può sospendere il processo per un massimo di tre anni (o di un anno)[6], periodo durante il quale la prescrizione è sospesa.

Con l’ordinanza che sospende il processo, il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento delle attività di osservazione, trattamento e sostegno; Se la messa alla prova dà esito positivo il giudice dichiara con sentenza estinto il reato; in caso contrario il procedimento penale riprende dal momento della sospensione (art. 29).

Con l’ordinanza di messa alla prova il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato (art. 28,comma 2).

È quindi previsto un progetto di intervento globale che prevede, o dovrebbe prevedere, le modalità di coinvolgimento del minorenne, della sua famiglia, e dell’ambiente che lo circonda, la partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e degli enti locali; se il giudice lo ritiene opportuno, tale progetto sarà comprensivo delle modalità di attuazione dirette alla riparazione del reato e alla riconciliazione con la vittima.

L’esito positivo della mediazione può far sì che il PM possa avanzare richiesta di risoluzione del procedimento attraverso una pronuncia di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, ovvero può rimandare al GUP la proposta dell’applicazione del perdono giudiziale o la proposta di applicazione di misure di riparazione (art. 28 o 32 del D.P.R. 488/88).

 

Tornando alla giustizia penale ordinaria, il codice di rito, così come modificato dalla L. 479/1999[7] (cd. legge Carotti), attribuisce al giudice monocratico di tribunale in sede di udienza di comparizione a seguito di citazione diretta in giudizio il potere di tentare la conciliazione tra la vittima e l'autore del reato, per i reati perseguibili a querela (art. 555 c.p.p., terzo comma). Il tentativo consiste nella verifica, da parte del giudice, della possibilità della rimessione della querela da parte del querelante e nella conseguente accettazione della remissione da parte del querelato.

 

La più importante novità in materia di giustizia riparativa riguarda però l’emanazione del D.Lgs 28 agosto 2000, n. 274 sulle competenze penali del giudice di pace, che apre la via al tentativo di introdurre “a regime” nel nostro ordinamento un effettivo filtro conciliativo precontenzioso in materia penale come strumento privilegiato di risoluzione dei conflitti[8].

L’art. 29, co. 4, del D.Lgs 274/2000 stabilisce che, prima di aprire il dibattimento – quando il reato è perseguibile a querela – il giudice onorario debba promuovere, nell’udienza di comparizione, il tentativo di conciliazione[9] tra le parti al fine di pervenire alla remissione della querela o alla rinuncia al ricorso.

 

Per favorire il tentativo di conciliazione, il giudice può sospendere l’udienza e rinviarla fino a 2 mesi, allo scopo di permettere alle parti di valutare le proposte transattive formulate. In caso di necessità, il giudice di pace potrà avvalersi dell’attività di mediazione offerta dalle strutture territoriali di assistenza pubbliche o private.

 

In caso di esito positivo del tentativo, viene redatto apposito processo verbale di remissione di querela, o di rinuncia al ricorso (anche da parte delle altre persone offese che siano intervenute nel processo ex art. 28), che dovrà essere accettata dall’imputato; conseguentemente, il processo si concluderà per estinzione del reato ex art. 469 c.p.p. La conciliazione viene sancita con la sentenza di non doversi procedere(art. 529 c.p.p.). Se la conciliazione fallisce, si procede al giudizio e per evitare che le opinioni espresse dalle parti durante il tentativo di conciliazione possano costituire materiale probatorio, è stabilito che le dichiarazioni rese in tale sede non abbiano alcuna valenza processuale, non potendo essere in alcun modo utilizzabili ai fini della deliberazione, neppure attraverso il meccanismo delle contestazioni.

Poiché il giudice di pace “deve” tentare la conciliazione sugli aspetti riparatori e risarcitori conseguenti al reato, il suo intervento non può limitarsi soltanto a verificare la volontà della parte offesa di rimettere la querela (e quella del querelato di accettarla); ora, al giudice di pace (o a un suo delegato nel caso di ricorso a strutture pubbliche) viene infatti chiesto di promuovere, con la riconciliazione tra le parti, anche la riparazione e il risarcimento del danno.

Le iniziative comunitarie sulla protezione delle vittime dei reati

L'esigenza di tutela delle vittime dei reati all’interno dello Spazio di libertà. sicurezza e giustizia dell’Unione Europea è già nota all’indomani del Trattato di Amsterdam[10]. Appare, infatti, evidente come l’esistenza di un reale spazio di giustizia debba significare anche la possibilità, per le vittime di reati, di ottenere – da parte delle autorità di tutti gli Stati membri dell’Unione – una tutela dei propri diritti equivalente a quella che otterrebbero da parte del proprio Stato.

Con il Piano d'azione di Vienna[11], adottato dal Consiglio il 3 dicembre 1998 (punto 51, c), si sollecitava una soluzione per la questione dell'assistenza alle vittime attraverso un esame comparativo dei sistemi di risarcimento alle vittime medesime nonché una valutazione della fattibilità di un'azione da intraprendersi da parte dell'Unione. La Commissione ha poi presentato, il 14 luglio 1999, una Comunicazione (COM(1999) 349 def.)[12] che esaminava non solo gli aspetti relativi al risarcimento delle vittime di reati, ma anche altre possibili questioni da affrontare al fine di migliorare la posizione giuridica delle stesse all'interno dell'Unione.

In considerazione di questa comunicazione, le conclusioni delConsiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999 (punto 32) sollecitavano l'istituzione di norme minime in materia di protezione delle vittime di reati, in particolare sull'accesso alla giustizia e sui diritti delle stesse al risarcimento dei danni subiti, comprese le spese legali. Inoltre, il Consiglio di Tampere ha richiesto l'istituzione di programmi nazionali per il finanziamento di provvedimenti, pubblici ma anche non governativi, di assistenza e tutela delle vittime.

Nel marzo 2001, il Consiglio adotta una decisione quadro relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (vedi ultra) e successivamente viene presentato da parte della Commissione delle Comunità europee un Libro Verde (Com. 2001-536 del 28 settembre 2001) che ha inteso avviare una consultazione con gli Strati membri sulle possibili misure da adottarsi a livello comunitario per migliorare il risarcimento da parte dello Stato delle vittime di reati all'interno dell'Unione[13].

 

In particolare, la decisione quadro del Consiglio relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (Dec 2001/220/GAI del 15 marzo 2001) mira a garantire alle vittime nel processo penale una migliore tutela giuridica e una migliore difesa dei loro interessi, indipendentemente dallo Stato membro in cui si trovino. Prevede inoltre disposizioni volte a fornire assistenza alle vittime prima e dopo il procedimento penale al fine di attenuare le conseguenze del reato.

Gli Stati membri sono invitati ad armonizzare le loro disposizioni legislative e normative relative ai procedimenti penali, al fine di garantire alle vittime:

§         il diritto di essere sentite nel corso del procedimento e il diritto di fornire elementi di prova;

§         l'accesso alle informazioni rilevanti ai fini della tutela dei loro interessi, sin dall'inizio del procedimento;

§         l'accesso a forme adeguate di interpretazione e comunicazione;

§         la possibilità di partecipare al processo in qualità di vittime (parte lesa) e di accedere alla consulenza giuridica nonché – ove necessario – all'assistenza giudiziaria gratuita;

§         il diritto al rimborso delle spese giudiziarie;

§         un livello adeguato di tutela per quanto riguarda la sicurezza, la vita privata e l'immagine delle vittime e dei loro familiari;

§         il diritto al risarcimento;

§         la possibilità di partecipare in modo adeguato al processo penale per le vittime che risiedono in un altro Stato membro (utilizzazione di teleconferenze o videoconferenze, ecc…).

Il recepimento negli Stati membri della decisione quadro era fissato al 22 marzo 2002, con esclusione delle norme relative alle garanzie di comunicazione delle vittime e all’assistenza specifica (artt 5 e 6) – la cui attuazione era prevista al 22 marzo 2004 – e della disposizione relativa alla promozione della mediazione nel procedimento penale (art. 10), che avrebbe dovuto trovare attuazione entro il 22 marzo 2006[14].

 

Più recentemente, il Consiglio ha adottato la Direttiva 2004/80/CE, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato. La direttiva si propone di garantire alle vittime dei reati un risarcimento equo ed adeguato per i danni subiti a prescindere dal luogo, all'interno dell'Unione europea, in cui simili eventi si siano verificati. La direttiva contiene disposizioni relative all'accesso al risarcimento in casi transfrontalieri, nonché una disposizione volta a garantire che gli Stati membri introducano le pertinenti disposizioni nazionali per assicurare un risarcimento appropriato alle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori.

Gli Stati membri avrebbero dovuto recepire la direttiva entro il 1º gennaio 2006. Il legislatore italiano ha inserito la direttiva nell’allegato B dell’ultima legge comunitaria (legge 29 gennaio 2006, n. 29, Legge comunitaria 2005).

 


Progetto di legge

 


N. 1242

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

 

d'iniziativa del deputato BOATO

¾

 

Modifica all'articolo 111 della Costituzione
in materia di garanzia dei diritti delle vittime di reato

 

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Presentata il 29 giugno 2006

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Onorevoli Colleghi! - L'articolo 111 della Costituzione, modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, al primo comma, stabilisce quali regole debbano assistere un processo nel nostro Paese perché questo possa ritenersi, per dettato costituzionale, «giusto».

      Accanto a princìpi generali, come la regola del contraddittorio, che deve svolgersi in condizioni di parità, e al principio della ragionevole durata del processo, il legislatore costituzionale si è anche soffermato sulla specifica disciplina di talune regole processuali. Manca però una previsione a tutela della vittima dei reati, nonostante si sia voluto accentuare il contenuto accusatorio del processo penale e dunque la sua natura di processo di parti cui assegnare condizioni di parità.

      Si tratta allora di colmare questa lacuna, restituendo, in linea con i princìpi costituzionali di solidarietà e di uguaglianza, diritto di cittadinanza processuale alle vittime del reato. È noto come oggi le vittime non trovino alcuno spazio di tutela se non si siano, al tempo stesso, costituite parte civile. Peraltro, l'esercizio dell'azione civile in sede penale è visto con scarso favore dal sistema, in quanto appesantisce inevitabilmente l'iter processuale e costituisce un ostacolo alla rapida definizione del processo. Ecco perché la vittima viene emarginata nei procedimenti speciali che eliminano il dibattimento: così la parte civile non può interloquire sul contenuto del negozio processuale in cui si sostanzia l'applicazione della pena su richiesta delle parti, benché la relativa sentenza non esplichi alcuna efficacia nei giudizi civili o amministrativi (articolo 445, comma 1-bis, del codice di procedura penale); e resta libera di accettare o meno il giudizio abbreviato richiesto dal solo imputato, ma la costituzione dopo l'avvenuta conoscenza dell'instaurazione del rito speciale equivale alla relativa accettazione.

      Inoltre, le modifiche legislative successivamente intervenute in materia, che hanno previsto il compimento di un'integrazione probatoria su istanza di parte o d'ufficio da parte del giudice, non hanno contemplato la parte civile quale soggetto legittimato a farne richiesta, per cui, pur direttamente interessata alla rapida definizione del processo penale, la parte civile è di fatto scoraggiata dall'accettare il rito abbreviato.

      Anche dal giudizio per decreto la parte civile viene esclusa nonostante il decreto penale divenuto esecutivo non eserciti efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo (articolo 460, comma 5, del codice di procedura penale).

      Non è inoltre prevista alcuna impugnazione avverso le ordinanze che escludono la parte civile dal processo penale, benché tale provvedimento non impedisca la riproposizione della domanda risarcitoria nella sede propria né determini la sospensione del giudizio civile (articolo 88, commi 2 e 3, del codice di procedura penale).

      Eppure, al di là delle intenzioni del legislatore, il ruolo della parte civile rimane intessuto di elementi pubblicistici in quanto persegue chiaramente un interesse punitivo, a volte persino sganciato da quello privatistico alle restituzioni o al risarcimento del danno, come quando ci si limiti a richiedere un risarcimento puramente simbolico o quando la costituzione sia operata nei confronti di un imputato notoriamente insolvente.

      Sono queste le ragioni che devono indurre il legislatore costituzionale a tutelare in maniera più incisiva la vittima del reato, come parte di pieno diritto nel processo penale. Tra l'altro, statuendo che, in caso di condanna, il giudice disponga il risarcimento e le restituzioni anche in difetto di costituzione di parte civile quantificando, in misura parziale, la somma dovuta, come prevedeva il «progetto 1992» o «progetto Pagliaro», all'articolo 51, n. 4. Ovvero, in maniera ancora più incisiva, riconoscendo che il risarcimento del danno non patrimoniale ha finalità caratteristiche della sanzione penale più che di quella civile trasformandola, come avviene nei Compensation orders del diritto inglese, in sanzione autonoma rispetto al vero e proprio risarcimento del danno e facendone esplicitamente una sorta di multa, prevista come sanzione aggiuntiva o alternativa, inflitta dal giudice penale e da versare al soggetto passivo del reato. Ovvero sottoponendo la sospensione della esecuzione della pena alla condizione dell'avvenuto risarcimento del danno, come avviene in Portogallo. O estendendo tale condizione all'accettazione della richiesta di patteggiamento.

      Sembra a questo punto opportuno richiamare la collocazione della vittima del reato nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955, e le aperture nella giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee di Strasburgo che ha riconosciuto specifici doveri di «penalizzazione» da parte dei singoli Stati che hanno trovato una loro collocazione formale nella decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio del 15 marzo 2001.

      In questo documento si definisce cosa debba intendersi per «vittima» di reato e le si garantisce la possibilità di essere sentita durante il procedimento (articolo 3); le si riconosce il diritto di accesso alle informazioni rilevanti ai fini della tutela dei suoi interessi, tra cui quella relativa al diritto al patrocinio gratuito, nonché del seguito riservato alla sua denuncia e ad essere informata, nei casi in cui esiste un pericolo per la vittima, al momento del rilascio dell'imputato o della persona condannata (articoli 4 e 6); il diritto al rimborso, alla vittima, sia essa parte civile o testimone, delle spese sostenute a causa della sua legittima partecipazione al processo penale (articolo 7); il diritto alla protezione sua ed a quella dei suoi familiari e persone ad essi assimilabili, ove si accerti l'esistenza di una seria minaccia di atti di ritorsione o di intromissione nella sfera della vita privata; ma anche il diritto ad una protezione appropriata della sfera privata e dell'immagine fotografica della vittima, dei suoi familiari e delle persone ad essi assimilabili, curando di evitare contatti tra vittima ed autori del reato negli edifici degli organi giurisdizionali, fornendo progressivamente tali edifici di luoghi d'attesa riservati alle vittime; garantendo tutela alle vittime più vulnerabili allorché devono rendere dichiarazioni in udienza pubblica, assicurando loro condizioni di sicurezza sulla base della decisione del giudice (articolo 8), e dettando una normativa che incoraggi l'autore del reato a prestare risarcimento alla vittima (articolo 9).

      Sono infine previste la cooperazione tra Stati finalizzata alla protezione degli interessi della vittima nel procedimento penale, nonché la costituzione di servizi specializzati e di organizzazioni di assistenza alle vittime, attraverso la messa a disposizione di persone fornite di adeguata formazione professionale e allo scopo preparate nei servizi pubblici o mediante riconoscimento e finanziamento di organizzazioni di assistenza alle vittime.

      Come è dato rilevare, si tratta di un complesso di norme assai avanzate in materia di protezione e assistenza alle vittime.

      Su questo tema si sono sensibilizzati anche gli Stati Uniti, che hanno approvato una proposta di emendamento alla Costituzione, denominata Crime Victims Bill of Rights, tesa a garantire una serie di diritti alle vittime di crimini violenti: in particolare, quello a informare e ad essere informate; a presenziare a tutte le fasi del procedimento; ad essere ascoltate in ogni fase del processo, così come avviene per l'imputato; ad essere informate su tutto ciò che riguarda l'aggressore (sue dichiarazioni, suoi precedenti eccetera), ad avere un processo veloce; a ottenere la restituzione totale dei danni da parte dell'imputato una volta che sia stato condannato; ad essere ragionevolmente protette dagli atti violenti dell'imputato o dal comportamento violento del condannato; ad essere informate sui diritti spettanti alle vittime.

      Si tratta, a ben vedere, di previsioni assai simili a quelle dettate dalla citata decisione quadro del Consiglio europeo, che tendono a superare ritardi e vuoti normativi fortemente pregiudizievoli per il soggetto più debole e meno garantito del processo penale. L'emendamento in questione si applica automaticamente alle vittime dei crimini violenti, ma è consentito ai singoli Stati e al Congresso di estendere tali diritti, mediante legge, anche alle vittime di altri reati.

      Diviene a questo punto ancora più necessaria una doverosa tutela della vittima del reato all'interno delle regole del giusto processo.

      È per superare i ritardi, rendere attuali le prescrizioni del Consiglio europeo, più giusto il processo penale, che si propone di riconoscere, nel testo dell'articolo 111 della Costituzione, cittadinanza processuale alla vittima del reato attraverso la previsione che ad essa si applicano tutte le norme dettate a garanzia della persona accusata di un reato. Sarà sufficiente questo richiamo per convincere il legislatore ordinario ad attuare il quadro normativo dettato a garanzia dei diritti delle vittime del reato in sede di Consiglio europeo, a superare i notevoli ritardi finora accumulati e a realizzare un processo penale certamente, in questo modo, più giusto.

 


 


 


PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

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Art. 1.

      1. Dopo il quinto comma dell'articolo 111 della Costituzione è inserito il seguente:

      «La legge garantisce i diritti e le facoltà delle vittime di reato».

 

 

 

 

 




[1]     L. 7 agosto 1997, n. 267, Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove.

[2]     Quest’ultima, con sentenza n. 361/1998 ne aveva dichiarato la illegittimità costituzionale in quanto non consentiva il recupero, ai fini della decisione, del sapere accumulato nelle indagini a fronte del silenzio del dichiarante su precedenti dichiarazioni rese su fatti concernenti la responsabilità di altri, così ribadendo, seppur in modo più temperato, il proprio orientamento a favore del principio di non dispersione della prova raccolta prima del dibattimento affermato con le sentt. 254/1992 e 255/1992.

[3]     Per un quadro illustrativo di tali misure, recate da numerose disposizioni e principalmente dalla L. 3 agosto 2004, n. 206, si veda il Dossier progetti di legge Benefici per le vittime del terrorismo (n. 49 – 26 settembre 2006) del Servizio studi.

[4]    D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.

[5]    Peraltro, nel processo minorile l’art. 10 del DPR 448/1988 preclude alla vittima del reato la possibilità di esercitare l'azione civile “per le restituzioni e per il risarcimento del danno cagionato dal reato”, tramite la costituzione di  parte civile. L’attuazione dell'attività di mediazione penale si è connotata, quindi, come possibile strumento di intervento a favore anche della vittima del reato, come percorso relazionale attraverso cui preparare, motivare e configurare la successiva definizione dell'attività riparatoria. In questo senso resta distinto il concetto di mediazione da quello di riparazione.

[6] La sospensione può essere al massimo triennale in caso si proceda per delitti per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, il processo può essere sospeso per un periodo non superiore a un anno.

[7]     Legge 16 dicembre 1999, n. 479 Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense.

[8]    L’art. 2, comma 2 del D.Lgs 274/2000 prevede, come principio generale, che il giudice di pace debba favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti.

[9]    Analogo tentativo di conciliazione deve essere compiuto dal giudice di pace nella prima udienza di comparizione del processo civile (art. 320 c.p.c.).

[10]    Si ricorda la Convenzione europea sul risarcimento delle vittime di reati violenti (1983) e la risoluzione del Parlamento europeo sull’indennizzo delle vittime di atti di violenza criminale (A 3/13/1989).

[11]    Piano d’azione del Consiglio e della Commissione sul modo migliore per attuare le disposizioni del trattato di Amsterdam concernenti uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

[12]    Sulla Comunicazione, vedi la corrispondente risoluzione del Parlamento europeo A 5-0126/2000.

[13]   Le questioni principali affrontate nel Libro verde sono state le seguenti:

,- individuazione delle norme europee pertinenti per affrontare la questione del risarcimento statale delle vittime di reati a livello comunitario;

- attuali possibilità per le vittime di reati all'interno dell'Unione europea di ricevere un risarcimento dallo Stato;

- monitoraggio dell’esigenza di un'azione a livello comunitario, e individuazione, sulla base della situazione attuale nell'Unione europea, dell’eventuale ambito di intervento;

- individuazione delle modalità atte ad aumentare, attraverso un'iniziativa comunitaria, le possibilità per le vittime di reati di ottenere un risarcimento da parte dello Stato;

- agevolazione l'accesso delle vittime di reati al risarcimento da parte dello Stato in situazioni transfrontaliere.

[14]   Il 3 febbraio 2004 la Commissione ha presentato una relazione (COM(2004)54) sulle misure prese dagli Stati membri per conformarsi alla decisione quadro del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale. La decisione quadro prevede il ravvicinamento delle legislazioni al fine di garantire un livello elevato e comparabile di protezione alle vittime, indipendentemente dallo Stato membro nel quale si trovano.

Nella relazione la Commissione sottolinea che, data la mancanza di contributi da parte di alcuni Stati membri o la loro lacunosità, ha potuto acquisire una visione solo superficiale dello stato di recepimento della decisione quadro. Tale visione superficiale le consente tuttavia di concludere che lo stato attuale di trasposizione delle disposizioni della decisione quadro è insoddisfacente.