Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Nuove norme sulla cittadinanza - A.C. 24 e abb. - Seconda edizione
Riferimenti:
AC n. 1607/XV   AC n. 1570/XV
AC n. 1529/XV   AC n. 1462/XV
AC n. 1297/XV   AC n. 938/XV
AC n. 24/XV     
Serie: Progetti di legge    Numero: 35
Data: 26/09/2006
Descrittori:
CITTADINANZA     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Progetti di legge

 

 

 

 

 

 

 

Nuove norme sulla cittadinanza

A.C. 24 e abb.

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 35
Seconda edizione

 

 

26 settembre 2006


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DIPARTIMENTO istituzioni

SIWEB

 

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File: ac0115.doc

 


 

INDICE

 

Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  10

§      Contenuto  10

§      Relazioni allegate  10

Elementi per l’istruttoria legislativa  11

§      Necessità dell’intervento con legge  11

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  11

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  11

Schede di lettura

Quadro normativo  15

§      Acquisto della cittadinanza  15

§      Doppia (o plurima) cittadinanza  19

§      Perdita della cittadinanza  19

§      Riacquisto della cittadinanza  21

§      Tabella: Concessioni e reiezioni della cittadinanza italiana  24

§      (1992-2005)24

I lavori parlamentari nella XIV legislatura  25

I progetti di legge in esame  27

§      Premessa  27

§      Acquisto della cittadinanza per nascita  27

§      Acquisto della cittadinanza da parte del minore  31

§      Acquisto della cittadinanza per matrimonio  32

§      Acquisto della cittadinanza per naturalizzazione  33

§      Altre disposizioni35

§      La proposta di legge A.C. 938  36

Progetti di legge

§      A.C. 24 (on. Realacci), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza  41

§      A.C. 938, (on. Mascia ed altri), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di riconoscimento della cittadinanza italiana  47

§      A.C. 1297, (on. Merlo R.A. ed altri), Modifiche all’articolo 1 della Legge 5 febbraio 1991, n. 91, in materia di cittadinanza per nascita  57

§      A.C. 1462, (on. Caparini ed altri), Disposizioni per l’introduzione di un test di naturalizzazione per gli stranieri e gli apolidi che richiedono la cittadinanza  63

§      A.C. 1529, (on. Boato), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza  71

§      A.C. 1570, (on. Bressa ed altri), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza  75

§      A.C. 1607, (Governo), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza  81

Testo a fronte

Raffronto tra la legge 91/1992 e i progetti di legge presentati102

Lavori parlamentari svolti nella XIV legislatura

Camera dei deputati

Progetti di legge

§      A.C. 204 (on. Cima e Bulgarelli), Modifica all’articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di acquisto della cittadinanza per nascita  153

§      A.C. 974 (on. Russo Spena), Riforma della disciplina relativa alla cittadinanza italiana  159

§      A.C. 1463 (on. Turco ed altri), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante norme sulla cittadinanza  171

§      A.C. 4327 (on. Diliberto ed altri), Riconoscimento dell’elettorato attivo e passivo nelle consultazioni provinciali, comunali e circoscrizionali agli stranieri titolari di permesso di soggiorno e modifica all’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di concessione della cittadinanza  179

§      A.C. 4388 (on. Mantini e Maccanico), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, concernenti il diritto di cittadinanza  183

§      A.C. 4396 (on. Cé ed altri), Introduzione di un test per cittadini stranieri che richiedono la cittadinanza  187

§      A.C. 4492 (on. Mascia ed altri), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di riconoscimento della cittadinanza italiana  193

§      A.C. 4562 (on. D’Alia), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza  205

§      A.C. 4678 (on. Realacci ed altri), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza  209

§      A.C. 4722 (on. Sinisi ed altri), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza  217

§      A.C. 4966 (on. Ruzzante ed altri), Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza  225

Esame in sede referente

-       I Commissione (Affari costituzionali)

Seduta del 3 marzo 2004  231

Seduta del 9 marzo 2004  235

Seduta del 10 marzo 2004  237

Seduta del 11 marzo 2004  239

Seduta del 28 aprile 2004  241

Seduta del 13 aprile 2005  243

Seduta del 5 maggio 2005  247

Seduta del 12 maggio 2005  249

Seduta del 14 settembre 2005  257

Testo unificato della Commissione

§      A.C. 204 e abb.-A, Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza  261

Discussione in Assemblea

Seduta del 16 maggio 2005  269

Seduta del 17 maggio 2005  289

Normativa di riferimento

Normativa nazionale

§      Costituzione della Repubblica (artt. 3, 10, 117)297

§      Legge 5 agosto 1978, n. 468. Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio (artt. 7, 11-ter)299

§      Legge 14 marzo 1985, n. 132. Ratifica ed esecuzione della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979  303

§      Legge 23 agosto 1988, n. 400. Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 17)317

§      L. 5 febbraio 1992, n. 91. Nuove norme sulla cittadinanza.320

§      D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572. Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza.329

§      D.P.R. 18 aprile 1994, n. 362. Regolamento recante disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana.339

§      D.M. Interno 22 novembre 1994  343

§      D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. (artt. 5-6, 9, 30)344

§      Legge 23 dicembre 2000, n. 388. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001) (art. 80, co. 19)353

§      Legge 27 dicembre 2002, n. 289. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003) (art. 38)356

Normativa comunitaria

§      Dir. 2003/109/CE del 25 novembre 2003. Direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo  363

 

 

 


Scheda di sintesi
per l’istruttoria legislativa


Dati identificativi

Numero del progetto di legge

A.C. 24

Titolo

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza

Iniziativa

on. Realacci

Settore d’intervento

Diritti e libertà fondamentali; immigrazione

Iter al Senato

No

Numero di articoli

2

Date

 

§          presentazione alla Camera

28 aprile 2006

§          annuncio

28 aprile 2006

§          assegnazione

6 giugno 2006

Commissione competente

I (Affari costituzionali)

Sede

Referente

Pareri previsti

-

 


 

Numero del progetto di legge

A.C. 938

Titolo

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di riconoscimento della cittadinanza

Iniziativa

on. Mascia ed altri

Settore d’intervento

Diritti e libertà fondamentali; immigrazione

Iter al Senato

No

Numero di articoli

10

Date

 

§          presentazione alla Camera

30 maggio 2006

§          annuncio

31 maggio 2006

§          assegnazione

1 agosto 2006

Commissione competente

I (Affari costituzionali)

Sede

Referente

Pareri previsti

II (Giustizia) e III (Esteri)


 

Numero del progetto di legge

A.C. 1297

Titolo

Modifiche all' articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza per nascita

Iniziativa

on. Ricardo Antonio Merlo ed altri

Settore d’intervento

Diritti e libertà fondamentali; immigrazione

Iter al Senato

No

Numero di articoli

3

Date

 

§          presentazione alla Camera

5 luglio 2006

§          annuncio

6 luglio 2006

§          assegnazione

21 settembre 2006

Commissione competente

I (Affari costituzionali)

Sede

Referente

Pareri previsti

-

 


 

Numero del progetto di legge

A.C. 1462

Titolo

Disposizioni per l' introduzione di un test di naturalizzazione per gli stranieri e gli apolidi che richiedono la cittadinanza

Iniziativa

on. Caparini ed altri

Settore d’intervento

Diritti e libertà fondamentali; immigrazione

Iter al Senato

No

Numero di articoli

4

Date

 

§          presentazione alla Camera

25 luglio 2006

§          annuncio

26 luglio 2006

§          assegnazione

21 settembre 2006

Commissione competente

I (Affari costituzionali)

Sede

Referente

Pareri previsti

-

 


 

Numero del progetto di legge

A.C. 1529

Titolo

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza

Iniziativa

on. Boato

Settore d’intervento

Diritti e libertà fondamentali; immigrazione

Iter al Senato

No

Numero di articoli

5

Date

 

§          presentazione alla Camera

1 agosto 2006

§          annuncio

2 agosto 2006

§          assegnazione

2 agosto 2006

Commissione competente

I (Affari costituzionali)

Sede

Referente

Pareri previsti

II (Giustizia), III (Esteri) XI (Lavoro)


 

Numero del progetto di legge

A.C. 1570

Titolo

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza

Iniziativa

on. Bressa ed altri

Settore d’intervento

Diritti e libertà fondamentali; immigrazione

Iter al Senato

No

Numero di articoli

5

Date

 

§          presentazione alla Camera

2 agosto 2006

§          annuncio

2 agosto 2006

§          assegnazione

19 settembre 2006

Commissione competente

I (Affari costituzionali)

Sede

Referente

Pareri previsti

II (Giustizia) e III (Esteri)


 

Numero del progetto di legge

A.C. 1607

Titolo

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza

Iniziativa

Governo

Settore d’intervento

Diritti e libertà fondamentali; immigrazione

Iter al Senato

No

Numero di articoli

7

Date

 

§          presentazione alla Camera

30 agosto 2006

§          annuncio

19 settembre 2006

§          assegnazione

19 settembre 2006

Commissione competente

I (Affari costituzionali)

Sede

Referente

Pareri previsti

II (Giustizia), III (Esteri), V (Bilancio), XI (Lavoro), XIV (Politiche comunitarie)

 


 

Struttura e oggetto

Contenuto

I sette progetti di legge in esame recano disposizioni in materia di acquisto della cittadinanza.

Sei di essi (A.C. 24, 1297, 1462, 1529, 1570 e 1607), intervengono su puntuali aspetti della vigente disciplina, recata dalla L. 91/1992, concernenti l’acquisto della cittadinanza alla nascita (jure sanguinis o jure soli), da parte di minori e a seguito di matrimonio ovvero il riconoscimento della cittadinanza (per “naturalizzazione”) allo straniero residente in Italia.

In prevalenza, essi si pongono l’obiettivo principale di rendere più agevole l’acquisto della cittadinanza, da un lato prevedendo il rafforzamento dello jus soli e ponendo condizioni più favorevoli per i minori nati o formatisi in Italia, dall’altro riducendo i termini per la concessione della cittadinanza per naturalizzazione. L’A.C. 1462 mira invece ad introdurre un “test di naturalizzazione” per coloro che richiedano la cittadinanza.

La proposta di legge A.C. 938 reca una più ampia disciplina della materia, che modifica ampiamente o sostituisce integralmente quella recata dalla L. 91/1992.

Relazioni allegate

Le sei proposte di legge di iniziativa parlamentare sono accompagnate dalla sola relazione illustrativa.

Il disegno di legge di iniziativa governativa è corredato da una dettagliata relazione tecnico-normativa, dall’analisi dell’impatto della regolamentazione (AIR) e dalla relazione tecnica sugli effetti finanziari del provvedimento.


 

Elementi per l’istruttoria legislativa

Necessità dell’intervento con legge

I progetti di legge intervengono su materia disciplinata da norme di legge.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La materia trattata rientra fra quelle riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma, lett. f) (“cittadinanza”) dell’art. 117 della Costituzione.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Coordinamento con la normativa vigente

I progetti di legge introducono modifiche espresse alla L. 91/1992, ricorrendo alla tecnica della novella, ad eccezione dell’A.C. 938, che riscrive integralmente la disciplina della cittadinanza e contestualmente dispone la generica abrogazione di tutte le disposizioni incompatibili con la nuova normativa.

L’art. 5 dell’A.C. 1529, l’art. 4 dell’A.C. 1570 e l’art. 8 dell’A.C. 938  fissano il termine massimo per la conclusione del procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza, in tal modo “legificando” una disposizione attualmente contenuta in un provvedimento di natura regolamentare adottato con decreto ministeriale.

 


Schede di lettura

 


Quadro normativo

Acquisto della cittadinanza

La disciplina in materia di cittadinanza fa oggi capo principalmente alla L. 91/1992[1].

Ai sensi di tale legge, acquistano di diritto alla nascita la cittadinanza italiana coloro i cui genitori (anche soltanto il padre o la madre) siano cittadini italiani (L. 91/1992, articolo 1, comma 1, lettera a)): si tratta della così detta modalità di acquisizione della cittadinanza jure sanguinis.

L’ordinamento italiano riconosce anche il criterio alternativo dello jus soli, pur prevedendolo soltanto in via residuale e per casi limitati a:

§         coloro che nascono nel territorio italiano e i cui genitori siano da considerarsi o ignoti (dal punto di vista giuridico) o apolidi (cioè privi di qualsiasi cittadinanza) (art. 1, co. 1, lett. b));

§         coloro che nascono nel territorio italiano e che non possono acquistare la cittadinanza dei genitori in quanto la legge dello Stato di origine dei genitori esclude che il figlio nato all’estero possa acquisire la loro cittadinanza (art. 1, co. 1, lett. b));

§         i figli di ignoti che vengono trovati (a seguito di abbandono) nel territorio italiano e per i quali non può essere dimostrato, da parte di qualunque soggetto interessato, il possesso di un’altra cittadinanza (art. 1, co. 2).

La cittadinanza italiana è acquisita anche per riconoscimento della filiazione(da parte del padre o della madre che siano cittadini italiani), oppure a seguito dell’accertamento giudiziale della sussistenza della filiazione: l’acquisto della cittadinanza nelle due ipotesi illustrate è automatico per i figli minorenni (art. 2, co. 1); i figli maggiorenni invece conservano la propria cittadinanza, ma possono eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione con un’apposita dichiarazione da rendere entro un anno dal riconoscimento, o dalla dichiarazione giudiziale di filiazione, o dalla dichiarazione di efficacia in Italia del provvedimento straniero nel caso in cui l’accertamento della filiazione sia avvenuto all’estero (art. 2, co. 2).

Sono previste modalità agevolate di acquisto della cittadinanza per gli stranieri di origine italiana: la cittadinanza italiana può essere acquistata dagli stranieri o apolidi, discendenti (fino al secondo grado) da un cittadino italiano per nascita, a condizione che facciano un’espressa dichiarazione di volontà e che siano in possesso di almeno uno di questi requisiti:

§         abbiano svolto effettivamente e integralmente il servizio militare[2] nelle Forze armate italiane: in questo caso la volontà del soggetto interessato di acquisire la cittadinanza italiana deve essere espressa preventivamente (art. 4, co. 1, lett. a));

§         assumano un pubblico impiego alle dipendenze, anche all’estero, dello Stato italiano (art. 4, co. 1, lett. b));

§         risiedano legalmente[3] in Italia da almeno due anni al momento del raggiungimento della maggiore età; la volontà di conseguire la cittadinanza italiana deve essere manifestata con una dichiarazione entro l’anno successivo (art. 4, co. 1, lett. c)).

Lo straniero che sia nato in Italiapuò divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari, entro un anno dal compimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana (art. 4, co. 2).

Disposizioni particolari sono dettate per quanto riguarda l’acquisto della cittadinanza da parte di stranieri o apolidi che hanno contratto matrimonio con cittadini italiani (artt. da 5 a 8). Gli stranieri coniugi di cittadini italiani ottengono la cittadinanza, dietro richiesta presentata al prefetto del luogo di residenza dell’interessato, oppure, se residenti all’estero, all’autorità consolare competente, se possono soddisfare, contemporaneamente, le seguenti condizioni:

§         residenza legale nel territorio italiano da almeno sei mesi, o, in alternativa, per gli stranieri residenti all’estero, il decorso di tre anni dalla data del matrimonio tra lo straniero e il cittadino;

§         persistenza del vincolo matrimoniale;

§         insussistenza della separazione legale;

§         assenza di condanne penali per i delitti contro la personalità internazionale e interna dello Stato e contro i diritti politici dei cittadini;

§         assenza di condanne penali per i delitti non colposi per i quali è prevista una pena edittale non inferiore a tre anni;

§         assenza di condanne penali per reati non politici, con pena detentiva superiore a un anno, inflitte da autorità giudiziarie straniere con sentenza riconosciuta in Italia;

§         insussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

L’acquisto della cittadinanza può avvenire, infine, per concessione (L. 91/1992, art. 9): in questo caso, a differenza dei procedimenti finora illustrati, che riservano all’autorità margini di intervento molto ristretti, l’emanazione del provvedimento di concessione della cittadinanza è soggetto ad una valutazione discrezionale di opportunità da parte della pubblica amministrazione, pur attenuata dall’obbligo del parere preventivo del Consiglio di Stato.

Il periodo di residenza legale in Italia, graduato in funzione dello status degli stranieri richiedenti, che costituisce il requisito fondamentale per conseguire la cittadinanza secondo tale modalità, deve essere ininterrotto e attuale al momento della presentazione dell’istanza per la concessione della cittadinanza.

Può presentare domanda per ottenere la concessione della cittadinanza italiana il cittadino straniero che si trova in una delle seguenti condizioni:

§         residente in Italia da almeno dieci anni, se cittadino non appartenente all’Unione europea, o da almeno quattro anni, se cittadino comunitario (art. 9, co. 1, lett. f) e d));

§         apolide residente in Italia da almeno cinque anni (art. 9, co. 1, lett. e));

§         il cui padre o la cui madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato in Italia e, in entrambi i casi, vi risiede da almeno tre anni (L. 91/1992, art. 9, co. 1, lett. a));

§         maggiorenne adottato da cittadino italiano e residente in Italia da almeno cinque anni (art. 9, co. 1, lett. b));

§         abbia prestato servizio[4] alle dipendenze dello Stato italiano, anche all’estero, per almeno cinque anni (L. 91/1992, art. 9, co. 1, lett. c)).

L’art. 10 subordina l’efficacia del decreto di concessione della cittadinanza alla prestazione da parte dell’interessato (entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo) del giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato.

 

La giurisprudenza amministrativa ha indicato alcuni ulteriori requisiti per l’ottenimento della cittadinanza e ha precisato i confini della discrezionalità della pubblica amministrazione con riferimento ai provvedimenti di concessione della cittadinanza, stabilendo inoltre quali siano gli obblighi di motivazione delle decisioni concernenti tali procedimenti.

 

Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana è adottato sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali circa l’esistenza di un’avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità nazionale, appartenenza di cui costituisce effetto e non causa la concessione della cittadinanza stessa, attribuendo all’interessato i diritti e gli obblighi connessi allo status civitatis; pertanto, la concessione del beneficio presuppone una valutazione assai articolata, nella quale ben possono avere rilievo considerazioni anche di carattere economico e patrimoniale relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza (TAR Piemonte, sez. II, sent. n. 124 del 26 febbraio 1996).

In sede di concessione della cittadinanza la valutazione del grado di probabilità di esiti pericolosi per la sicurezza dello Stato non necessita di una dettagliata esternazione dei fatti e delle circostanze che si oppongono al rilascio; pertanto, l’onere della prova a carico dell’Amministrazione di fatti pregiudizievoli per la sicurezza pubblica, sulla base dei quali sia possibile formulare il giudizio di pericolosità conseguente all’acquisto della cittadinanza italiana da parte dello straniero, non può essere spinto al punto di dover dimostrare i fatti pregiudizievoli per la sicurezza stessa (TAR Lombardia, Brescia, sent. n. 98 del 12 febbraio 1992).

I “comprovati motivi inerenti alla sicurezza pubblica”, che legittimano il diniego di concessione della cittadinanza italiana ad uno straniero non presuppongono necessariamente la condanna di quest’ultimo per determinati reati, giacché la tutela dell’ordine e della sicurezza dello Stato giustifica anche la preventiva valutazione di tutte le cause che sono potenzialmente in grado di incidere su di essi e di comprometterli. Il diniego di concessione della cittadinanza italiana ad uno straniero è sufficientemente motivato ogni qualvolta volta l’Amministrazione esterna il giudizio conclusivo del procedimento e quello intermedio di carattere consultivo, e da questi emerga, attraverso il riferimento al dato normativo, quale sia il potere esercitato in concreto e quali siano le ragioni del diniego, senza che sia necessaria l’esternazione di tutte quelle valutazioni interne – complesse e collegate ad una serie di episodi e comportamento che isolatamente considerati possono non essere significativi di una particolare pericolosità ma che, tuttavia, sono suscettibili di una diversa considerazione se valutati complessivamente ed in un unico contesto – che conducono ad un giudizio di pericolosità che, per sua natura e per volontà del legislatore, dovendo svolgere una funzione preventiva di sicurezza, è notevolmente fondato su elementi non rilevanti in altri settori dell’ordinamento (TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. 1, sent. n. 901 del 1 dicembre 1994).

Il regime procedimentale riguardante l’esame e, quindi, il rilascio o diniego della concessione della cittadinanza, concernendo il conferimento di uno status di rilevante importanza pubblicistica, è improntato necessariamente a valutazioni dell’Autorità competente squisitamente discrezionali, volte a considerare sia la situazione privatistica particolare dell’istante, sia quella generale dell’interesse pubblicistico della collettività, procedimento il cui corretto esercizio trova limiti esteriori sindacabili soltanto nelle previsioni specifiche della corrispondente normativa, nonché nei princìpi generali riferiti allo svolgimento dell’attività amministrativa (TAR Lazio, sez. I, sent. n. 993 del 3 maggio 1999).

La L. 91/1992 non ha mutato il carattere discrezionale del provvedimento di concessione (già previsto dalla normativa precedente, della quale si è limitata a mutare soltanto i minimi richiesti), sicché non si può certamente dire che con il compimento del periodo prescritto lo straniero possa maturare un diritto soggettivo all’acquisto della cittadinanza italiana, pur se concorrono tutti gli altri requisiti di legge ed esista una sua manifestazione di volontà in tal senso. È congruamente motivato il provvedimento che adduca ragioni riguardanti l’insussistenza di sufficienti mezzi di sostentamento e di un concreto interesse pubblico alla concessione della cittadinanza, né è necessaria l’indicazione di più circostanziate argomentazioni, essendo sufficiente l’uso di sintetiche formulazioni che appaiano idonee a rappresentare l’iter formativo della determinazione assunta dall’Amministrazione (TAR Lazio, sez. I, sent. n. 993 del 3 maggio 1999).

Secondo il Consiglio di Stato, l’amministrazione chiamata a decidere sulla domanda di concessione di cittadinanza italiana è tenuta a verificare la serietà sia dell’intento ad ottenere la cittadinanza italiana, sia delle ragioni che inducono ad abbandonare la comunità di origine. È inoltre necessario accertare il grado di conoscenza della lingua italiana, l’idoneità professionale, l’ottemperanza agli obblighi tributari e contributivi. Non può essere trascurata l’esigenza di ricomposizione di gruppi familiari, parte dei quali già residenti nel territorio italiano. L’amministrazione deve verificare eventuali cause ostative all’acquisto di cittadinanza, collegate a ragioni di sicurezza della Repubblica ed all’ordine pubblico (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 1423 del 26 ottobre 1988).

In tema di diniego della concessione della cittadinanza italiana, è indubbio che l’amministrazione competente, anche laddove disponga di un’ampia discrezionalità, debba indicare sia pure sinteticamente le ragioni poste a base delle proprie determinazioni (Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 366 del 24 maggio 1995).

 

La cittadinanza può essere concessa, in casi eccezionali, per merito allo straniero che abbia reso notevoli servigi all’Italia, per elevate necessità di ordine politico connesse all’interesse dello Stato (L. 91/1992, art. 9, co. 2).

Doppia (o plurima) cittadinanza

La legge ammette espressamente la possibilità di conservare la cittadinanza italiana pur essendo già in possesso di una cittadinanza straniera[5] ovvero dopo averla acquistata o riacquistata. Chi risiede o stabilisce la residenza all’estero può tuttavia rinunciare alla cittadinanza italiana (L. 91/1992, art. 11).

Non è consentito il possesso di una doppia (o plurima) cittadinanza se vi sono norme internazionali pattizie o norme statali straniere che lo vietino (v. paragrafo successivo).

Perdita della cittadinanza

I cittadini italiani possono rinunciare volontariamente alla cittadinanza italiana purché si trasferiscano, o abbiano trasferito, la propria residenza all’estero e siano titolari di un’altra o di altre cittadinanze (L. 91/1992, art. 11). La facoltà di rinuncia alla cittadinanza italiana in questo caso può essere esercitata soltanto dai cittadini maggiorenni.

Coloro che hanno ottenuto la cittadinanza italiana durante la minore età, in quanto figli conviventi con il genitore che ha acquistato o riacquistato la cittadinanza, hanno la facoltà di rinunciare ad essa (senza limiti di tempo), una volta divenuti maggiorenni, sempre che siano in possesso di un’altra cittadinanza (art. 14).

Può inoltre rinunciare alla cittadinanza italiana il soggetto maggiorenne in possesso di un’altra cittadinanza – anche se risiede in Italia – a seguito di revoca dell’adozione per fatti imputabili all’adottante. La rinuncia deve essere resa entro un anno dalla revoca (art. 3, co. 4).

La revoca dell’adozione per colpa dell’adottato ha come conseguenza la perdita automatica della cittadinanza acquistata da quest’ultimo in virtù dell’adozione, purché egli abbia un’altra cittadinanza o la riacquisti (art. 3, co. 3).

L’art. 12 della L. 91/1992 prevede due ulteriori ipotesi di perdita automatica della cittadinanza italiana:

§         la mancata ottemperanza all’intimazione del Governo italiano di lasciare un impiego pubblico o una carica pubblica che il cittadino abbia accettato da uno Stato o ente pubblico estero o da un ente internazionale cui non partecipi l’Italia, o la mancata ottemperanza all’invito di abbandonare il servizio militare che il cittadino presti per uno Stato estero (art. 12, co. 1);

§         l’assunzione di una carica pubblica o la prestazione del servizio militare per uno Stato estero, o l’acquisto volontario della cittadinanza dello Stato considerato, quando tali circostanze si verifichino durante lo stato di guerra con esso (art. 12, co. 2).

Per quanto riguarda gli effetti delle norme internazionali pattizie sull’ordinamento italiano, l’art. 26, co. 3, della L. 91/1992 fa salve, in via generale, le disposizioni previste dagli accordi internazionali, affermandone pertanto la prevalenza sulla disciplina interna. In proposito, si ricorda che l’Italia ha sottoscritto e ratificato[6] la Convenzione di Strasburgo del 6 maggio 1963 sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima e sugli obblighi militari[7] in caso di cittadinanza plurima.

 

La Convenzione stabilisce (art. 1, co. 1) che i cittadini, residenti all’estero, degli Stati contraenti perdono la loro precedente cittadinanza qualora acquistino o riacquistino volontariamente la cittadinanza di un altro dei Paesi che hanno sottoscritto e ratificato la Convenzione: essi non possono essere autorizzati a conservare la cittadinanza precedente.

Di conseguenza, il cittadino italiano residente all’estero che acquista volontariamente la cittadinanza di uno dei Paesi contraenti (con esclusione di Regno Unito, Irlanda e Spagna che hanno aderito soltanto al secondo Capitolo della Convenzione, relativo agli obblighi militari in caso di cittadinanza plurima, e della Germania, che non aderisce più alla Convenzione), perde la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 1 della Convenzione.

La Convenzione di Strasburgo disciplina anche le vicende della cittadinanza dei minorenni, in dipendenza di quelle della cittadinanza dei genitori (art. 1, punto 3; art. 2).

 

L’Italia ha inoltre ratificato[8] il Secondo Protocollo di emendamento alla Convenzione di Strasburgo del 1963, sottoscritto, allo stato attuale, anche dalla Francia e dai Paesi Bassi.

 

In base a tale Accordo, quando un cittadino di una Parte contraente acquisisce la nazionalità di un’altra Parte contraente sul cui territorio è nato e risiede, oppure vi ha risieduto abitualmente a partire da una data anteriore al compimento del diciottesimo anno di età, ciascuna di queste Parti può disporre che conservi la sua nazionalità d’origine. In caso di matrimonio tra cittadini di Parti contraenti diverse, ciascuna di tale Parti può disporre che il cittadino che acquisisce di sua libera volontà la nazionalità del coniuge, conservi la sua nazionalità d’origine.

Riacquisto della cittadinanza

La legge disciplina le modalità per il riacquisto della cittadinanza a favore di coloro che l’hanno perduta e a prescindere dai motivi della perdita. Il riacquisto avviene con condizioni di particolare favore rispetto a quelle stabilite dall’art. 9 della L. 91/1992 per l’acquisto della cittadinanza per naturalizzazione e, per alcuni aspetti, analoghe a quelle dettate dall’art. 4, co. 1, della L. 91/1992, le quali consentono allo straniero di origine italiana l’acquisto della cittadinanza per beneficio di legge. Il riacquisto è subordinato, in via generale, alla sussistenza di un legame con l’Italia, che può concretizzarsi in un rapporto di servizio (civile o militare) con lo Stato o nello stabilire la residenza nel Paese.

Può riacquistare la cittadinanza italiana:

§         chi presta effettivamente servizio militare per lo Stato italiano e dichiara preventivamente di voler riacquistare la cittadinanza italiana (art. 13, co. 1, lett. a));

§         chi, assumendo o avendo assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, dichiara di voler riacquistare la cittadinanza italiana (art. 13, co. 1, lett. b));

§         chi dichiara di voler riacquistare la cittadinanza italiana ed ha stabilito o stabilisce, entro un anno dalla dichiarazione, la propria residenza in Italia (art. 13, co. 1, lett. c));

§         lo straniero (che sia stato cittadino italiano) il quale, dopo un anno dalla data in cui ha stabilito la residenza in Italia, non fa espressa rinuncia, nello stesso termine, al riacquisto della cittadinanza italiana. Soltanto in questo caso il riacquisto avviene automaticamente: la legge prevede comunque la possibilità di rinuncia da parte dell’interessato per tutelarne la volontà (art. 13, co. 1, lett. d));

§         chi, avendo perduta la cittadinanza italiana per non aver ottemperato all’intimazione di abbandonare l’impiego o la carica accettati da uno Stato, da un ente pubblico estero o da un ente internazionale, ovvero il servizio militare per uno Stato estero, dichiara di volerla riacquistare, a condizione che abbia stabilito la residenza da almeno due anni nel territorio della Repubblica e provi di aver abbandonato l’impiego o la carica o il servizio militare, assunti o prestati nonostante l’intimazione (art. 13, co. 1, lett. e)).

La legge permette il riacquisto della cittadinanza, su loro dichiarazione in tal senso, alle donne italiane che l’hanno perduta al momento del matrimonio con uno straniero, avvenuto prima del 1° gennaio 1948[9], o in conseguenza del cambiamento di cittadinanza del marito (art. 17, co. 2).

Le persone originarie dei territori italiani facenti parte del cessato impero austro-ungarico[10], che emigrarono all’estero prima del 16 luglio 1920, e i loro discendenti, possono ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana qualora rendano una dichiarazione in tal senso all’ufficiale dello stato civile del comune in cui risiedono o intendono stabilire la propria residenza, oppure davanti all’autorità diplomatica o consolare del luogo di residenza, se residenti all’estero (L. 379/2000[11], art. 1). La dichiarazione va resa entro un termine che, inizialmente fissato al 20 dicembre 2005, è stato differito di cinque anni dall’art. 28-bis del D.L. 273/2005[12] per gli emigrati dai territori, già astroungarici, oggi appartenenti allo Stato italiano e per i loro discendenti.

La recente L. 124/2006[13] ha infine introdotto due articoli (17-bis e 17-ter) nella L. 91/1992, che consentono il riconoscimento della cittadinanza agli italiani (e ai loro discendenti) che abitavano nei territori dell’Istria, Fiume e Dalmazia, già facenti parti del Regno d’Italia e passati, dopo la seconda guerra mondiale, sotto la sovranità della Repubblica jugoslava e successivamente di Slovenia e Croazia.

 

Il diritto alla cittadinanza italiana è riconosciuto ai soggetti che siano stati cittadini italiani e che abbiano risieduto nei territori facenti parte dello Stato italiano e successivamente ceduti alla Repubblica jugoslava in forza del Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso esecutivo dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, ratificato dalla legge 25 novembre 1952, n. 3054, ovvero in forza del Trattato di Osimo del 10 novembre 1975, reso esecutivo dalla legge 14 marzo 1977, n. 73. Tale diritto è riconosciuto anche ai figli e ai discendenti in linea retta dei soggetti di cui sopra, purché di lingua e cultura italiana.

La cittadinanza non è acquistata ex lege dai soggetti summenzionati, ma solo a seguito della presentazione (e dell’accoglimento) di una apposita istanza. Ciò differenzia l’ottenimento della cittadinanza prefigurato dalla disposizione in esame da quello in passato disposto dall’art. 17 della L. 91/1992, che avveniva automaticamente con la presentazione della apposita dichiarazione[14].

 


 

Tabella: Concessioni e reiezioni della cittadinanza italiana

(1992-2005)

Anno

Concessioni

Reiezioni

Per

matrimonio

Per

residenza

Totale

Per

matrimonio

Per

residenza

Totale

2005

11.854

7.412

19.266

337

829

1.166

2004

9.997

1.948

11.945

261

1.056

1.317

2003

11.271

2.111

13.382

199

1.763

1.962

2002

9.728

917

10.645

143

762

905

2001

9.266

1.203

10.469

99

582

681

2000

8.027

1.518

9.545

121

524

645

1999

9.538

1.753

11.291

141

860

1.001

1998

10.930

1.106

12.036

131

558

689

1997

7.404

813

8.217

101

255

356

1996

6.053

899

6.952

112

325

437

1995

6.396

1.046

7.442

66

817

883

1994

5.498

495

5.993

62

880

942

1993

5.897

579

6.476

37

1.193

1.230

1992

3.844

601

4.445

72

488

560

Fonte: Ministero dell’interno. Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. Direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze[15].

 


I lavori parlamentari nella XIV legislatura

Al di là delle specifiche disposizioni introdotte con l’art. 28-bis del D.L. 273/2005 e con la L. 124/2006, illustrate nel paragrafo precedente, il Parlamento si è occupato della materia mediante l’esame di varie proposte di legge, tutte di iniziativa parlamentare, volte a modificare la disciplina generale di cui alla L. 91/1992 al fine di agevolare l’accesso alla cittadinanza italiana agli immigrati regolari.

Fra il 3 marzo 2004 e il 12 maggio 2005 la I Commissione della Camera ha esaminato in sede referente undici proposte di legge vertenti sulla materia. Il 16 maggio 2005 l’Assemblea della Camera ha iniziato la discussione sul testo unificato elaborato dalla Commissione (A.C. 204 ed abb.-A); nella seduta del 17 maggio il testo è stato rinviato in Commissione, dietro richiesta del rappresentante del Governo, “al fine di consentire a tutti i gruppi politici di approfondire più compiutamente le rispettive posizioni”.

Il testo giunto all’esame dell’Assemblea intendeva agevolare l’acquisto della cittadinanza per gli stranieri legalmente e continuativamente residenti in Italia e attribuire la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri residenti da lungo tempo nel nostro Paese. Viene invece aggravato il procedimento per l’acquisizione della cittadinanza per matrimonio.

 

In particolare, l’art. 1 estende il diritto alla cittadinanza per nascita – attualmente limitato ai figli dei cittadini italiani o ai figli di ignoti o apolidi – anche a coloro che sono nati in Italia ma da genitori stranieri, a condizione che essi siano residenti legalmente e continuamente in Italia da almeno otto anni o, in alternativa siano in possesso della carta di soggiorno[16] da almeno due anni.

L’art. 2 si riferisce all’acquisto della cittadinanza per matrimonio. Viene aumentato da sei mesi a due anni il periodo minimo di residenza legale del coniuge per richiedere la cittadinanza. Parimenti è elevato da due a tre anni il periodo minimo di durata del matrimonio quale requisito richiesto dalla legge in alternativa a quello della residenza legale.

L’art. 3 riguarda infine la naturalizzazione, ossia l’accesso alla cittadinanza da parte di un cittadino straniero nato all’estero che ne faccia richiesta. Rispetto alla disciplina vigente, viene ridotto il periodo minimo di residenza legale (da dieci a otto anni) richiesto per poter presentare la domanda di cittadinanza. In alternativa alla residenza viene introdotto il requisito del possesso da almeno due anni della carta di soggiorno.

A queste forme di agevolazione, fa riscontro l’introduzione di alcuni condizioni aggiuntive, quali:

§         la non sussistenza delle cause ostative che impediscono l’acquisto della cittadinanza per matrimonio indicati dall’art. 6 della L. 92/1991 (v. supra);

§         il possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento;

§         la conoscenza adeguata della lingua e della cultura italiana.

 

Un’altra proposta di legge in materia di cittadinanza ha iniziato l’esame in sede referente presso la I Commissione nel corso della XIV legislatura. Si tratta della proposta di legge costituzionale A.C. 4786 (on. Bressa ed altri) volta a modificare l’art. 48 Cost. introducendo quale requisito per il riconoscimento della cittadinanza l’effettiva partecipazione alla vita economica, sociale e politica del Paese.

 

La proposta di legge mirava ad integrare il disposto dell’art. 48 Cost., che disciplina la titolarità e l’esercizio del diritto di voto, anteponendo al primo comma un nuovo comma del seguente tenore: “Sono cittadini coloro i quali partecipano effettivamente alla vita economica, sociale e politica del Paese e soddisfano i requisiti stabiliti dalla legge”.

Nella seduta del 28 aprile 2004 fu nominato un comitato ristretto; si procedette, inoltre, a varie audizioni informali.


I progetti di legge in esame

Premessa

Risultano presentate sei proposte di legge di iniziativa parlamentare e un disegno di legge di iniziativa governativa.

Tutte le proposte introducono modifiche espresse alla L. 91/1992[17].

Per quanto concerne il contenuto, sei tra i progetti di legge (A.C. 24, Realacci ed altri; A.C. 1297, Ricardo Antonio Merlo ed altri; A.C. 1462, Caparini ed altri; A.C. 1529, Boato; A.C. 1570, Bressa ed altri e A.C. 1607, di iniziativa governativa, che si descrivono, per temi, nei prossimi paragrafi), prevedono interventi di revisione della L. 91/1992 di carattere puntuale, circoscrivendo le modifiche, sostanzialmente:

§         all’art. 1, che nel testo vigente sancisce l’acquisto di diritto alla nascita (jure sanguinis) della cittadinanza italiana per coloro i cui genitori siano cittadini italiani e riconosce il criterio alternativo dello jus soli, pur prevedendolo soltanto in via residuale e in casi limitati; quasi tutte le proposte in oggetto ampliano invece in vario modo la portata di quest’ultimo criterio;

§         all’art. 4, in cui si introduce la possibilità di acquisire la cittadinanza da parte di minori che, pur non essendo nati in Italia, vi abbiano trascorso un periodo significativo della formazione della loro personalità (ipotesi prevista anche con riferimento all’art. 1 della L. 91/1992 da alcune p.d.l.);

§         all’art. 5, modificando i requisiti per l’acquisto della cittadinanza per matrimonio;

§         all’art. 9, che stabilisce i casi in cui la cittadinanza può essere riconosciuta allo straniero per naturalizzazione, successivamente allo stabilimento della sua residenza in Italia, ridefinendo i requisiti necessari per ottenerla. L’A.C. 1462, in particolare, mira principalmente all’introduzione di un “test di naturalizzazione” per gli stranieri e gli apolidi che richiedano la cittadinanza.

Modifica invece numerosi articoli della L. 91/1992 la p.d.l. A.C. 938 Mascia ed altri, che sarà illustrata a parte, nel prosieguo della scheda.

Per un confronto analitico tra le proposte in esame, si rinvia al testo a fronte riportato nel presente dossier.

Acquisto della cittadinanza per nascita

La maggior parte dei progetti di legge in esame, intervenendo sull’art. 1, comma 1, della L. 91/1992, amplia in varia misura il novero dei casi in cui la cittadinanza è attribuita in base al criterio dello jus soli.

 

Il d.d.l. governativo A.C. 1607 introduce due nuovi casi di acquisizione automatica della cittadinanza italiana,stabilendo che essa può essere ottenuta da parte di:

§         coloro che nascono nel territorio italiano da genitori stranieri dei quali almeno uno vi risieda legalmente (con ciò intendendosi, come si specifica nella relazione illustrativa del provvedimento, che vi sia la contestuale presenza di un regolare permesso di soggiorno e dell’iscrizione anagrafica) e in maniera continuativa da non meno di cinque anni, al momento della nascita, e sia in possesso del requisito reddituale previsto per il rilascio del permesso di soggiorno CE di lungo periodo (equivalente alla carta di soggiorno attualmente prevista dal testo unico sull’immigrazione, vedi infra[18]);

§         coloro che nascono nel territorio italiano da genitori stranieri dei quali almeno uno sia nato in Italia, sia legalmente residente all’atto della nascita del figlio e disponga di un reddito minimo non inferiore a quello previsto per l’ottenimento del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo.

Il permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo è oggi disciplinato dalla direttiva 2003/109/CE[19].

 

La direttiva riguarda i cittadini provenienti da Paesi terzi che, soggiornando regolarmente da almeno cinque anni in un Paese dell’Unione europea, acquistano, se in possesso di determinati requisiti, un particolare status giuridico, al quale sono collegati ulteriori diritti rispetto a quelli riconosciuti agli altri stranieri non comunitari muniti di regolare permesso di soggiorno.

In attuazione della delega contenuta nella legge comunitaria 2004 (L. 62/2005[20]), allegato B, il 4 agosto 2006 il Governo ha trasmesso alle Camere, per il prescritto parere, lo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2003/109/CE.

L’art. 9 del testo unico in materia di immigrazione[21] prevede che lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato da almeno sei anni[22] può fare richiesta di una carta di soggiorno a tempo indeterminato.

La carta è concessa ad una serie di condizioni: oltre a soggiornare nel territorio italiano da almeno sei anni, lo straniero deve essere in possesso di un permesso di soggiorno che consenta un numero indeterminato di rinnovi e deve dimostrare di avere un reddito sufficiente per il proprio sostentamento e per quello dei suoi familiari.

Il possesso della carta di soggiorno conferisce allo straniero una serie di diritti, quali:

§       entrare in Italia senza bisogno del visto di ingresso;

§       svolgere qualsiasi attività lecita nel territorio dello Stato, ad eccezioni di quelle espressamente vietate agli stranieri;

§       accedere ai servizi ed alle prestazioni erogate dalla pubblica amministrazione;

§       partecipare alla vita pubblica locale.

Con lo schema di D.Lgs. di recepimento della direttiva 2003/109/CE si è proceduto all’adeguamento della normativa dettata dall’art. 9 del testo unico sull’immigrazione alle disposizioni della direttiva, sostituendo la carta di soggiorno con il permesso per i soggiornanti di lungo periodo e prevedendo come requisiti per il suo rilascio:

§      il possesso da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in corso di validità;

§      un reddito minimo non inferiore all’assegno sociale annuo.

Lo schema di D.Lgs. stabilisce i casi in cui il soggiorno, pur essendo regolare, non consente il rilascio del permesso di lungo soggiorno (soggiorno per motivi di studio, motivi umanitari, per richiesta di asilo, ecc.) ed esclude gli stranieri pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica. Sono inoltre fissati i criteri per valutare la durata del soggiorno utile per ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo, che è rilasciato a tempo indeterminato.

 

Le p.d.l. A.C. 24, 1529 e 1570 modificano la disciplina vigente sull’acquisto della cittadinanza jure soli, prevedendone l’attribuzione a coloro che nascono in Italia da genitori (in realtà sembrano fare riferimento ad un solo genitore) che siano residenti da almeno due anni (cinque anni secondo la p.d.l. C. 1529) e in possesso del permesso di soggiorno.

 

Gli artt. 5, 5-bis, 6 e 30 del testo unico sull’immigrazione[23] recano la disciplina del permesso di soggiorno e del contratto di soggiorno.

Il permesso di soggiorno deve essere richiesto al questore della provincia in cui lo straniero si trova entro otto giorni dal suo ingresso in Italia ed è rilasciato per le attività previste dal visto d’ingresso o dalle disposizioni vigenti. Esso viene rilasciato entro venti giorni dalla richiesta. La sua durata non può essere superiore a:

§         tre mesi, per visite, affari e turismo;

§         nove mesi per lavoro stagionale;

§         un anno, per studio o per formazione (in questi casi il permesso è rinnovabile annualmente nel caso di corsi pluriennali) o per lavoro subordinato a tempo determinato;

§         due anni per lavoro subordinato a tempo indeterminato, per lavoro autonomo e per ricongiungimento.

La c.d. “legge Bossi-Fini”[24] ha introdotto la nuova figura del contratto di soggiorno per lavoro subordinato fra un datore di lavoro (italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia) e un cittadino extracomunitario.

La sottoscrizione di tale contratto costituisce requisito essenziale per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, al fine di giustificare l’ingresso e la permanenza dello straniero per soggiorni duraturi esclusivamente in relazione all’effettivo svolgimento di una attività lavorativa sicura e lecita.

La stipula del contratto di soggiorno avviene presso lo sportello unico per l’immigrazione, appositamente istituito presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo non solo per facilitare l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro, ma anche al fine di snellire gli adempimenti burocratici connessi.

Il contratto deve contenere la garanzia – da parte del datore di lavoro – della disponibilità di un’adeguata sistemazione alloggiativa per il dipendente e l’impegno al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.

Il rinnovo del permesso di soggiorno è richiesto dallo straniero al questore della provincia in cui ha la residenza, almeno 90 giorni prima della scadenza nel caso del permesso rilasciato per lavoro subordinato a tempo indeterminato della durata di due anni; 60 giorni prima per i permessi per lavoro subordinato a tempo determinato della durata di un anno; 30 giorni nei restanti casi.

L’art. 30 del testo unico prevede il permesso di soggiorno per motivi familiari, che è rilasciato:

§         agli stranieri entrati in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti dall’art. 29, ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore;

§         agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio in Italia con cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti;

§         al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea residenti in Italia, ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia. In tal caso il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari;

§         al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia.

 

I p.d.l. A.C. 1607 e 1570 stabiliscono inoltre che, entro un determinato periodo dal compimento della maggiore età (un anno per il d.d.l. C. 1607, due anni per la p.d.l. C. 1570), il soggetto che ha ottenuto secondo le modalità illustrate la cittadinanza italiana iure soli possa, nel caso in cui sia in possesso di un’altra cittadinanza, rinunciare a quella italiana.

La p.d.l. A.C. 1297 prevede l’acquisto automatico della cittadinanza per quelle donne che sono state cittadine italiane e hanno perduto la cittadinanza a seguito di matrimonio contratto con un cittadino di un Paese straniero (la cui legislazione non consenta per la donna la conservazione della cittadinanza originaria in caso di matrimonio o la doppia cittadinanza) anche prima del 1° gennaio 1948. Tale diritto è esteso anche ai figli di tali soggetti, la cui nascita sia anteriore alla medesima data.

 

L'art. 1, primo comma, n. 1, della legge n. 555 del 1912[25] stabiliva che è cittadino "per nascita" il figlio di padre cittadino.

Con la sentenza n. 30 del 1983, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma primo, n. 1, della L. 555/1912, nella parte in cui non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina, equiparando, ai fini del conseguimento della cittadinanza iure sanguinis, i figli di madre cittadina e quelli di padre cittadino. La L. 123/1981, e successivamente la L. 91/1992, hanno recepito tale principio.

Il Consiglio di Stato (parere n. 105 del 15 aprile 1983) ha ritenuto che l'efficacia del giudicato costituzionale non può in ogni caso retroagire oltre il momento in cui si è verificato il contrasto tra la norma di legge - anteriore all'entrata in vigore della Costituzione - dichiarata illegittima, e la norma o il principio della Costituzione, cioè non può retroagire oltre il 1° gennaio 1948, data di entrata in vigore di quest'ultima.

Pertanto, al momento, l’autorità amministrativa ritiene possibile attribuire dalla nascita la cittadinanza italiana solo a quelle persone nate dopo il 1° gennaio 1948 da donna che a tale momento era in possesso dello status civitatis italiano[26].

Acquisto della cittadinanza da parte del minore

Il d.d.l. A.C. 1607 introduce un diritto all’acquisizione della cittadinanza jure domicilii (come viene definito nella relazione illustrativa) per il minore straniero che (pur non essendovi nato) abbia vissuto in Italia continuativamente per almeno cinque anni e vi abbia frequentato le scuole o corsi di formazione professionale, oppure vi abbia svolto un’attività lavorativa regolare per almeno un anno. Come emerge dalla relazione illustrativa, esso costituisce un’alternativa sia allo ius sanguinis, sia allo ius soli, fornendo un’opportunità di conseguire la cittadinanza a coloro che, pur non essendo nati in Italia, vi abbiano trascorso il periodo decisivo della formazione della loro personalità.

Per il conferimento della cittadinanza, in questo caso, è necessaria la presentazione di un’istanza da parte dei genitori ovvero del genitore che esercita la potestà genitoriale in base all’ordinamento del Paese di origine; è richiesto inoltre, analogamente a quanto stabilito per l’acquisto della cittadinanza iure soli, che almeno uno dei genitori sia legalmente e continuativamente residente in Italia da cinque anni e disponga di un reddito minimo non inferiore a quello previsto per l’ottenimento del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo. Resta comunque fissata la possibilità per gli interessati di rinunciare, entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, alla cittadinanza italiana per mantenere quella dei genitori o un’altra cittadinanza.

L’A.C. 1607 dispone inoltre che, dopo il compimento del diciottesimo anno di età, lo straniero può acquistare la cittadinanza italiana se è in possesso dei requisiti ora illustrati e risiede legalmente in Italia da almeno cinque anni, qualora manifesti entro un anno[27] la volontà di diventare cittadino mediante un’apposita dichiarazione.

Anche le p.d.l. C. 24, C. 1529 e C. 1570 prevedono il diritto all’acquisizione della cittadinanza con il meccanismo dello ius domicilii, in virtù del quale può ottenere la cittadinanza il minore straniero che (pur non essendovi nato) abbia vissuto in Italia continuativamente per almeno sei anni (cinque secondo la p.d.l. C. 1529) e vi abbia frequentato le scuole o corsi di formazione professionale, oppure vi abbia svolto un’attività lavorativa regolare e che comunque dimostri un’adeguata conoscenza della lingua e della cultura italiana (quest’ultimo requisito non è richiesto dalla p.d.l. C. 1529). Si rileva che, a differenza del d.d.l. di iniziativa governativa, che modifica l’art. 4 della L. 91/1992, le tre p.d.l. incidono sull’art. 1 della stessa legge, che disciplina i casi di acquisto automatico della cittadinanza; di conseguenza, nessuna di esse condiziona l’acquisto della cittadinanza alla presentazione di un’istanza.

Acquisto della cittadinanza per matrimonio

Il d.d.l. A.C. 1607 e le p.d.l. A.C. 1529 e 1570 intervengono in senso restrittivo sulla disciplina dettata dall’art. 5 della L. 91/1992, che regola l’acquisto della cittadinanza parte di stranieri che abbiano contratto matrimonio con cittadini italiani, con l’intento, espressamente dichiarato nelle rispettive relazioni illustrative, di porre un freno al fenomeno dei “matrimoni di comodo”.

Tale finalità viene perseguita sia estendendo il periodo minimo di residenza in Italia per l’attribuzione della cittadinanza iure matrimonii, sia richiedendo la persistenza del vincolo matrimoniale al momento dell’adozione del decreto ministeriale di conferimento della cittadinanza.

 

Si ricorda che l’art. 29[28] della L. 189/2002 ha introdotto disposizioni volte ad evitare il ricorso a matrimoni contratti al solo fine di eludere le norme sull’ingresso e il soggiorno degli stranieri: a tale scopo ha stabilito che il permesso di soggiorno per motivi familiari concesso a seguito di matrimonio con un cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante sia revocato qualora si accerti che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza, salvo che dal matrimonio sia nata prole.

Acquisto della cittadinanza per naturalizzazione

Il d.d.l. A.C. 1607 e le p.d.l. A.C. 24, 1529 e 1570, incidendo sull’art. 9 della L. 91/1992, abbreviano in varia misura (portandolo da dieci a cinque anni; soltanto l’A.C. 24 lo fissa a sei anni) il periodo minimo di presenza regolare e continuativa in Italia richiesto ai fini della concessione della cittadinanza per naturalizzazione.

Tale riduzione si accompagna peraltro alla fissazione di requisiti ulteriori:

§         il possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, comunque non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale (tale clausola non è prevista dall’A.C. 1570; l’A.C. 1607, in proposito, fa riferimento al requisito reddituale richiesto per il rilascio del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo);

§         un’adeguata conoscenza della lingua e della cultura italiane (in questo senso è orientata la p.d.l. C. 24; il d.d.l. C. 1067 stabilisce invece che la concessione della cittadinanza per naturalizzazione o per matrimonio sia subordinata alla verifica, da parte dell’autorità amministrativa, della “reale integrazione linguistica e sociale” dello straniero, su cui, vedi infra).

 

L’assegno sociale, di cui all’art. 3, co. 6, della L. 335/1995[29], è una prestazione di natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 1996, ha sostituito la pensione sociale, che continua comunque ad essere erogata a coloro che, avendone i requisiti, ne hanno fatto domanda entro il 31 dicembre 1995.

L’assegno sociale è riservato ai cittadini italiani che abbiano almeno 65 anni di età, siano residenti in Italia ed abbiano un reddito pari a zero o di importo comunque inferiore ai limiti stabiliti annualmente dalla legge. Se il soggetto interessato è coniugato si tiene conto anche del reddito del coniuge. Sono equiparati ai cittadini italiani gli abitanti della Repubblica di San Marino, i rifugiati politici, i cittadini dell’Unione europea ed i cittadini extracomunitari che hanno ottenuto la carta di soggiorno.

L'importo dell'assegno viene stabilito anno per anno ed è esente da imposta.

Per l'anno 2006, l'importo mensile dell'assegno è di 381,72 euro, per un importo annuo pari a 4.962,36 euro (381,72 x 13).

I limiti di reddito sono quindi pari a 4.962,36 euro se il richiedente non è coniugato e di 9.924,72 euro annui (4.962,36 x 2) se il richiedente è coniugato.

 

Come già accennato, il d.d.l. A.C. 1607 prevede, innovativamente, che tra i requisiti per la concessione della cittadinanza per matrimonio o naturalizzazione vi sia la sussistenza della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero nel territorio dello Stato.

 

Nella relazione illustrativa del provvedimento governativo si sottolinea che tale requisito è stato adottato con varie definizioni (“indicatore di socializzazione”, “sufficiente integrazione personale e professionale”) e con diverse modalità (test di integrazione, attestazione di conoscenza della lingua, frequenza di appositi corsi, eccetera), in alcuni Paesi europei, con lo scopo, condiviso dal d.d.l., di verificare la serietà dell'intento dello straniero di acquisire la cittadinanza e la possibilità di un suo reale inserimento nel tessuto sociale del Paese “in vista del rapporto perdurante e stabile che con il conferimento della cittadinanza verrà a determinarsi con la società e le sue istituzioni, anche attraverso la conseguente acquisizione dei diritti civili e politici che lo Stato riserva ai suoi cittadini”.

A titolo esemplificativo, si segnala che il test di nazionalità è stato introdotto nel novembre 2005 nel Regno Unito. Ad esso il Ministero dell’interno (Home Office) ha dedicato uno specifico sito: www.lifeintheuktest.gov.uk. Il test comprende un esame d'inglese per provare una sufficiente conoscenza linguistica e una prova di cultura generale in 24 domande, basate sulla conoscenza del volume Life in the United Kingdom. A Journey to Citizenship' handbook, cui si deve rispondere in 45 minuti. Il test può essere sostenuto mediante computer in 90 centri ufficiali e può essere ripetuto, in caso di insuccesso, un numero illimitato di volte. Il volume Life in the United Kingdom, elaborato da una specifica commissione, l'Advisory Group on Life in the UK,consta di 146 pagine in cui sono trattati argomenti quali storia, società, geografia, popolazione e religioni, struttura del Governo, informazioni sulla ricerca di un lavoro ed elementi di educazione civica.

Si ricorda che la I Sezione del Consiglio di Stato, con il parere n. 1423 reso il 26 ottobre 1988, cioè prima dell’entrata in vigore della L. 91/1992 (essendo vigente l’art. 4 della legge 13 giugno 1912 n. 555, nel testo modificato dal R.D. 1 dicembre 1934 n. 1997), ha evidenziato che l’amministrazione chiamata a decidere sulla domanda di concessione di cittadinanza italiana deve accertare, tra l’altro, il grado di conoscenza della lingua italiana del soggetto richiedente.

 

La p.d.l. A.C. 1462 si colloca nella stessa ottica, pur mantenendo inalterati i termini attualmente previsti per l’ottenimento della cittadinanza per concessione: essa introduce tra i requisiti richiesti il superamento di un test di naturalizzazione, il cui scopo è quello di accertare la conoscenza da parte dell’interessato “della lingua italiana e locale” e, più in generale, della storia e cultura e dell’ordinamento istituzionale della Repubblica. La p.d.l. in questione, oltre ad abrogare espressamente l’art. 11 della L. 91/1992 e quindi a sopprimere la possibilità di mantenere la doppia cittadinanza, estende ai casi di acquisto della cittadinanza per naturalizzazione le cause ostative previste dall’art. 6 della L. 91/1992 per il caso di acquisizione della cittadinanza per matrimonio (e cioè la sussistenza di condanne per gravi delitti o la presenza di comprovati motivi che possano pregiudicare la sicurezza dello Stato).

La p.d.l. A.C. 1570 specifica inoltre che l’acquisto della cittadinanza per concessione non richiede da parte dell’interessato la rinuncia ad altra cittadinanza di cui è in possesso.

Infine, semplificando il procedimento, il d.d.l. A.C. 1607 elimina la previsione del parere preventivo del Consiglio di Stato sul D.P.R. di concessione della cittadinanza per naturalizzazione.

Altre disposizioni

Le A.C. 1529 e 1570 stabiliscono, con norma di rango legislativo, il termine massimo per la conclusione del procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza, fissandolo in un anno dalla presentazione della domanda da parte dell’interessato.

La disposizione in questione “legifica” una norma contenuta in un provvedimento di natura regolamentare adottato con decreto ministeriale.

 

L’art. 2 della L. 241/1990[30] stabilisce che le pubbliche amministrazioni devono determinare per ciascun tipo di procedimento amministrativo di loro competenza, nel caso non sia già direttamente disposto per legge o per regolamento, il termine entro cui esso deve concludersi.

Con regolamento ministeriale (D.M. 284/1993[31]) sono stati definiti i termini di completamento ed i responsabili dei procedimenti di competenza dell’Amministrazione centrale e periferica dell’interno. I termini del procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza sono stati fissati in 1.095 giorni dalla Tabella A allegata al D.M. citato. Il successivo D.M. 24 agosto 1995, n. 228, ha ridotto i termini in questione a 730 giorni.

 

Per quanto riguarda le norme attuative, il d.d.l. A.C. 1607 demanda ad un regolamento, da adottarsi con decreto del Presidente della Repubblica, l’attuazione delle nuove disposizioni in materia di cittadinanza; il decreto provvederà ad adeguare il D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572, recante le disposizioni di attuazione della L. 91/1992, indicando, tra l’altro, la documentazione necessaria per comprovare la sussistenza del requisito della reale integrazione dello straniero.

Il d.d.l. A.C. 1607 interviene anche sulla disciplina del giuramento che deve essere reso dall’interessato, secondo quanto già prevede l’art. 10 della L. 91/1992, entro sei mesi dalla notifica del decreto di concessione della cittadinanza, pena l’inefficacia del decreto stesso, stabilendo che i nuovi contenuti e modalità di prestazione siano determinate dal regolamento di attuazione.

La disposizione sembra sostanzialmente ripetere quanto già previsto dalla normativa primaria vigente in quanto si limita ad omettere il riferimento alla Repubblica, alla Costituzione e alle leggi dello Stato, rinviando la definizione dei contenuti del giuramento al medesimo decreto del Presidente della Repubblica, da adottarsi ai sensi dell’art. 17, comma 1, della L. 400/1988, con cui saranno emanate le norme di esecuzione del provvedimento in esame.

 

Come osservato, il giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione e delle leggi dello Stato, riguardo al quale l’art. 7 del regolamento di esecuzione della L. 91/1992 (D.P.R. 572/1993) detta disposizioni attuative più specifiche, costituisce già un adempimento necessario del procedimento di concessione della cittadinanza (art. 10 della L. 91/1992).

Nella relazione illustrativa del d.d.l. A.C. 1607 si rileva che l'importanza della cittadinanza e dei diritti e doveri ad essa correlati sarà sottolineata dalla previsione di una più solenne cerimonia di conferimento del nuovo status,nel quale sarà particolarmente significativo il momento del giuramento, da prestarsi secondo nuove modalità e contenuti che saranno definiti con disposizioni regolamentari.

 

Il solo d.d.l. A.C. 1607 prevede una norma sulla copertura finanziaria. L’A.C. 1297 dispone (art. 2) che dall'attuazione delle sue disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

La proposta di legge A.C. 938

L’articolo 1 della p.d.l. A.C. 938 (Mascia ed altri) estende alcune cause ostative, che attualmente precludono il riconoscimento della cittadinanza per matrimonio, alle ipotesi di concessione della cittadinanza per naturalizzazione: in tal modo viene esclusa la possibilità di divenire cittadini italiani per coloro:

§         che hanno riportato una condanna per uno dei delitti contro la personalità internazionale e interna dello Stato e contro i diritti politici dei cittadini;

§         nei confronti dei quali sussistano comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

È stabilito in via generale (articolo 2) che l’organo competente per il riconoscimento della cittadinanza è il prefetto della provincia di residenza del soggetto interessato (e non il ministero dell’interno, come attualmente previsto). Con un proprio atto, il prefetto rilascia, a conclusione del procedimento, un “attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana”[32]. Al prefetto spetta anche la reiezione delle istanze qualora sussistano cause ostative; sono abbreviati (di tre anni) i termini per la riproposizione delle istanze respinte e quelli per l’emanazione del decreto di rigetto (articolo 3).

L’articolo 4, innovando l’art. 9 della legge n. 91, prevede il riconoscimento della cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia. L’obbligo di residenza per la presentazione dell’istanza di concessione della cittadinanza per naturalizzazione è ridotto per tutti i casi (stranieri comunitari e non comunitari; apolidi; stranieri che hanno prestato servizio alle dipendenze dello Stato italiano; coniuge straniero di cittadino italiano, nel caso in cui non risieda in Italia da almeno sei mesi) a tre anni.

Per quanto riguarda il riacquisto della cittadinanza, nel caso che sia stata persa ai sensi dell’art. 12[33] della legge n. 91, l’articolo 5 allinea tutti i termini previsti ad un anno, sopprime l’ipotesi di riacquisto a seguito della prestazione del servizio militare per lo Stato italiano ed estende la competenza del prefetto anche alla reiezione delle istanze di riacquisto della cittadinanza.

L’articolo 6 riproduce l’art. 16 della L. 91/1992, concernente la condizione dell’apolide che risiede legalmente in Italia, sopprimendo il riferimento agli obblighi del servizio militare.

È previsto (articolo 7) che gli stranieri adottati da cittadini italiani, ai quali è stata riconosciuta la cittadinanza italiana, qualora l’adozione sia revocata, conservino la cittadinanza italiana.

Viene fissato in un anno (articolo 8) il termine per la conclusione del procedimento di riconoscimento della cittadinanza.

Analogamente a quanto detto per le p.d.l. 1529 e 1570, la disposizione in questione “legifica” una norma contenuta in un provvedimento di natura regolamentare adottato con decreto ministeriale.

 

L’art. 2 della L. 241/1990[34] stabilisce che le pubbliche amministrazioni devono determinare per ciascun tipo di procedimento amministrativo di loro competenza, nel caso non sia già direttamente disposto per legge o per regolamento, il termine entro cui esso deve concludersi.

Con regolamento ministeriale (D.M. 284/1993[35]) sono stati definiti i termini di completamento ed i responsabili dei procedimenti di competenza dell’Amministrazione centrale e periferica dell’interno. I termini del procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza sono stati fissati in 1.095 giorni dalla Tabella A allegata al D.M. citato. Il successivo D.M. 24 agosto 1995, n. 228, ha ridotto i termini in questione a 730 giorni.

 

Con riferimento ai casi di doppia o plurima cittadinanza, l’articolo 9 prevede la possibilità per lo straniero che acquista la cittadinanza italiana di conservare la propria cittadinanza di origine, in conformità alla legge dello Stato di appartenenza, oppure rinunciarvi.

 


Progetti di legge

 


N. 24

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato REALACCI

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Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza

 

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Presentata il 28 aprile 2006

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Onorevoli Colleghi! - La comunità di Sant'Egidio si è fatta promotrice, nel Paese e nel Parlamento, di una riforma della normativa sulla cittadinanza (legge 5 febbraio 1992, n. 91), che ha sostituito un testo che era in vigore da circa ottanta anni (legge 13 giugno 1912, n. 555), i cui contenuti condividiamo.

Il testo attuale della legge n. 91 del 1992 conferma, e per certi aspetti rafforza, princìpi vecchi, tipici di un Paese la cui popolazione emigra per lavoro e completamente inconsapevoli della realtà nuova e diffusa dell'inserimento stabile di cittadini stranieri nel nostro Paese. Afferma con forza il principio dello ius sanguinis, l'acquisto della cittadinanza automatico quando il padre o la madre siano cittadini [articolo 1, comma 1, lettera a)], limita l'acquisto della cittadinanza in base al principio della nascita sul territorio, lo ius soli, solo al bambino figlio di ignoti o apolidi o nel caso in cui i genitori non trasmettano, secondo la legge del Paese di provenienza, la propria cittadinanza al figlio [articolo 1, comma 1, lettera b)]. Si tratta di casi solo teorici e comunque residuali. Di conseguenza il bambino che nasce in Italia da cittadini stranieri non ha oggi alcuna possibilità di diventare cittadino italiano finché è minorenne.

Ancora meno è riconosciuta questa possibilità al bambino straniero che arrivi in Italia anche in età precocissima, prima dell'inserimento scolastico, per il quale non c'è nessuna possibilità di divenire cittadino da minorenne e che anche da maggiorenne ha attualmente prospettive assai incerte.

Anche per gli adulti la normativa del 1992 restringe notevolmente le possibilità di acquisto della cittadinanza: servono non più cinque anni, come in precedenza, ma dieci anni per fare richiesta della cittadinanza [articolo 9, comma 1, lettera f)], sono conteggiati solo i periodi di residenza locale nel Paese perché non è sufficiente il solo possesso del permesso di soggiorno (articolo 1, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572), il procedimento amministrativo di concessione della cittadinanza ha una durata prevista di almeno due anni. In pratica, anche nel caso teorico in cui rilascio del permesso e l'elezione della residenza siano contemporanei, servono oggi almeno dodici anni per avere una risposta alla propria richiesta di cittadinanza.

Si tratta del periodo in assoluto più lungo in Europa: la Germania richiede otto anni, la Francia e il Regno Unito cinque. L'Italia ha in materia di naturalizzazione degli adulti la normativa più restrittiva d'Europa mentre non ne ha nessuna in materia di acquisto della cittadinanza per i minorenni.

L'impostazione della legge, a più di quattordici anni dalla sua entrata in vigore, ha dato risultati largamente prevedibili: mentre aumenta la presenza degli stranieri nel nostro Paese e si diffonde l'esigenza di assicurare forme stabili di inserimento, la possibilità di acquisto della cittadinanza riguarda una quantità sempre più irrisoria di persone.

Addirittura negli ultimi cinque anni, mentre la presenza di stranieri non comunitari ha registrato una crescita sensibile, i provvedimenti di concessione della naturalizzazione per residenza sono costantemente diminuiti.

Secondo i dati del Ministero dell'interno, riguardanti il periodo dal 1o gennaio 1995 al 18 settembre 2002, sono state 8.516 in quasi otto anni le concessioni della cittadinanza a soggetti non comunitari con naturalizzazione per residenza, una media annua di 1.098 provvedimenti; si è passati dai 1.709 del 1999, il numero più alto in assoluto, a soli 511 dal gennaio al settembre 2002.

Negli anni dal 1999 al 2004, mentre l'Italia è passata da 1.341.000 stranieri non comunitari regolarmente presenti nel Paese nel 1999 a circa 2.400.000 nel 2003, con una crescita del 79 per cento, le naturalizzazioni per residenza sono diminuite del 70 per cento.

Eppure già nel 2000 erano più di 350.000 gli stranieri con residenza legale nel Paese da almeno dieci anni; 1.465 naturalizzazioni per residenza nello stesso periodo rappresentano meno dello 0,5 per cento dei soggetti potenzialmente richiedenti.

Probabilmente questa tendenza è il risultato combinato di due fattori: prima di tutto l'alto numero di rigetti delle domande proposte (nel 2002 sono stati 762 a fronte di 511 provvedimenti positivi) quasi tutti motivati da ragioni di insufficienza dei redditi; in secondo luogo un effetto inevitabile di scoraggiamento quando si diffonde la conoscenza dell'effettivo funzionamento della legge, per cui neppure più si richiede quello che è quasi impossibile ottenere.

Si tratta di cifre che esprimono chiaramente la completa inadeguatezza e il fallimento della legge vigente.

La proposta di legge di riforma della legge sulla cittadinanza n. 91 del 1992 assume quindi oggi un valore prioritario in una politica di inserimento stabile, con chiarezza di diritti e doveri, degli stranieri nel nostro Paese, riconoscendo la forma più matura di partecipazione a chi ha un progetto di vita futura in Italia, con pienezza quindi anche di diritti politici e civili.

Bisogna riformare la legge con una pluralità di proposte, come plurali sono le situazioni che oggi caratterizzano la presenza straniera nel nostro Paese: per i bambini che qui nascono, per quelli che vi arrivano in età infantile o adolescenziale, per gli adulti. Il bambino nato in Italia da genitore straniero nasce e vive in Italia come tutti gli altri bambini, ne impara la lingua, mentre la trasmissione della lingua materna è affidata solo al genitore, ne frequenta la scuola, acquisisce di questo Paese gusti, cultura, abitudini. Conosce il Paese di provenienza dei genitori solo se questi decidono, e hanno la possibilità economica, di farlo viaggiare; più facile per gli stranieri non comunitari provenienti da Paesi europei, ben più costoso e improbabile per chi proviene dall'Asia, dall'America latina o dall'Africa. È un bambino straniero nel «suo» Paese, diverso dai suoi coetanei per ragioni incomprensibili.

Si tratta di una realtà che la legge vigente ignora completamente; quando nel 1992 la legge è stata approvata i minori stranieri presenti nel Paese erano 76.400, nel 2002 il loro numero è arrivato a 327.000, secondo le stime elaborate dall'Istituto nazionale di statistica.

Cresce la loro presenza in termini assoluti e cresce il loro peso percentuale sul totale della presenza straniera, passando dal 10,8 per cento del 1992 al 19,2 per cento del 2002.

Dei 327.000 minori presenti in Italia nel 2002, un numero vicino alla metà è anche nato in Italia.

Questi bambini secondo la legge vigente attraversano tutto il periodo fondamentale della crescita e della formazione della propria personalità in questa condizione di estraneità, stranieri nel proprio Paese.

Nel Preambolo della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva dall'Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, si afferma che «occorre preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati dalla Carta delle Nazioni Unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà». È chiaro come la condizione di estraneità in cui cresce il minore straniero rischi di compromettere questi princìpi che la Convenzione sui diritti del fanciullo ha affermato nel Preambolo ed è altrettanto evidente che questa incomprensibile diversità può persino alimentare preconcetti discriminatori che costituiscono una minaccia concreta alla dignità del bambino.

Anche la Convenzione europea sulla nazionalità, conclusa tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa il 6 novembre 1997, in attesa di ratifica da parte del nostro Paese, si dimostra consapevole del problema e prevede per questo che ciascun Stato Parte faciliti nel suo diritto interno l'acquisto della cittadinanza per le «persone nate sul suo territorio e ivi domiciliate legalmente e abitualmente» [articolo 6, paragrafo 4, lettera e)].

Attualmente il minore nato in Italia può chiedere la cittadinanza solo al raggiungimento del diciottesimo anno di età e perde definitivamente questo diritto se non lo esercita nei dodici mesi successivi (articolo 4, comma 2, della legge n. 91 del 1992).

Ma neppure questa condizione è sufficiente, visto che è richiesta anche la prova della residenza legale senza interruzioni dalla nascita [articolo 3, comma 4, lettera b), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572): accade così che anche chi è nato in Italia e vi ha continuativamente vissuto fino a diventare maggiorenne, non possa ottenere la cittadinanza solo perché la madre, che aveva al momento del parto un regolare permesso di soggiorno, non aveva a quel momento eletto la residenza nel comune, come spesso accade quando non si dispone di un alloggio stabile, oppure perché nell'arco dei diciotto anni il nucleo familiare si è allontanato per qualche mese dal Paese e ha, per questa ragione, perso la residenza.

Molti Paesi di antica tradizione immigratoria hanno da tempo valorizzato un principio di ius soli puro, appena contemperato da alcune condizioni : è cittadino alla nascita chiunque nasca nel territorio del Paese. Così gli USA, il Canada, l'Australia. Si è dimostrata una misura lungimirante che ha accresciuto negli immigrati delle generazioni successive alla prima il senso di appartenenza al Paese in cui nascono e crescono e che ha contribuito non poco allo sviluppo e alla crescita economica di quei Paesi.

La modifica alla legge sulla cittadinanza che si propone prevede per il minore nato in Italia un'attuazione più graduata del principio dello ius soli in quanto la proposta di legge coniuga due requisiti: la nascita nel Paese e la presenza regolare del genitore da almeno due anni, in possesso del permesso di soggiorno per uno dei motivi previsti dall'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

È bene chiarire che si tratta di una modifica da introdurre all'articolo 1 della legge n. 91 del 1992, e non all'articolo 9, perché prevede un modo di acquisto di diritto della cittadinanza, con un provvedimento quindi che presuppone esclusivamente l'accertamento dei requisiti previsti dalla legge e non la concessione con ampie facoltà discrezionali per l'amministrazione, come nel caso appunto dell'articolo 9 per le naturalizzazioni degli adulti. Accade di frequente che il genitore lasci il figlio, anche molto piccolo, nel proprio Paese ai parenti e arrivi in Italia da solo; dopo qualche anno, quando si è stabilizzato e in particolare quando dispone di un alloggio anche per il minore, si fa raggiungere. Si tratta di un bambino spesso in età prescolare o ancora adolescente che vive gli anni centrali della sua formazione in Italia, dove frequenta il ciclo scolastico dell'obbligo: attualmente non ha alcuna possibilità di divenire cittadino finché è minorenne. Non solo, ma a differenza della situazione del minore nato in Italia, anche una volta divenuto maggiorenne non ha altra possibilità che quella di chiedere la naturalizzazione per residenza.

In pratica tutto il periodo, prolungato e significativo, di crescita e di formazione in Italia non ha alcun valore, senza tener conto del fatto che questo periodo è determinante nella costruzione dell'identità della persona e nella maturazione del senso di appartenenza all'Italia.

Si tratta dell'altra metà circa dei 327.500 minori che nel 2002 erano presenti nel nostro Paese.

La citata Convenzione europea sulla nazionalità, proprio in relazione a queste situazioni, prevede che ogni Stato Parte faciliti nel suo diritto interno l'acquisto della cittadinanza per le «persone che risiedono nel suo territorio legalmente e abitualmente per un periodo iniziato prima dell'età di diciotto anni, periodo determinato dal diritto interno dello Stato Parte interessato» [articolo 6, paragrafo 4, lettera f)].

L'idea che ispira la proposta di legge di riforma della legge n. 91 del 1992 costituisce un'alternativa sia allo ius sanguinis come allo ius soli: l'acquisizione di un diritto per la presenza e per la partecipazione attiva alla vita del Paese in cui da bambini ci si inserisce, alla scuola, alla formazione professionale, anche al lavoro. Uno ius domicilii che si affianca allo ius soli per chi non è nato in Italia, ma qui vive gli anni decisivi della formazione della sua personalità.

I fatti che fondano questo diritto sono sia la durata della permanenza in Italia per un congruo periodo di anni, sei anni, che costituiscono un indice di stabilità significativo nella vita del minore, sia la qualità di questa permanenza, contrassegnata dalla partecipazione alla scuola e alla formazione professionale. Come nel caso dei minori nati in Italia, la modifica viene attuata con l'introduzione di una apposita disposizione nella legge n. 91 del 1992, perché riconosce il diritto alla cittadinanza ad esito di un provvedimento di accertamento costitutivo. Attualmente all'adulto straniero che fa domanda per ottenere la cittadinanza italiana sono richiesti dieci anni di residenza legale in Italia [articolo 9, comma 1, lettera f)]. Il tempo effettivo deve però considerare anche la durata, almeno biennale, del procedimento: si tratta quindi di un tempo complessivo di almeno dodici anni. È richiesta sempre l'attestazione del requisito del reddito, in genere relativo al triennio immediatamente precedente la presentazione della domanda, in una misura che attualmente non è definita né dalla legge né dai successivi regolamenti.

La proposta di legge di riforma della naturalizzazione è ispirata al principio di una ragionevole riduzione del periodo di regolare presenza in Italia, fissato in sei anni, tenendo conto che il tempo effettivo per ricevere una risposta sull'istanza di naturalizzazione verrebbe così a scendere dagli attuali dodici anni a otto, comunque un periodo consistente.

Sei anni costituisce per l'adulto, al pari di quanto già osservato per il minore, un indice di stabilità significativo, maggiore di due anni del periodo richiesto per la naturalizzazione degli stranieri comunitari [articolo 9, comma 1, lettera d)] e più elevato del periodo quinquennale su cui è orientata la normativa comunitaria per il rilascio di titoli di soggiorno per stranieri lungoresidenti.

Tra i requisiti, essenziale è la richiesta di una conoscenza adeguata della lingua e della cultura italiane, che costituisce un indice significativo della qualità della presenza dello straniero nel Paese e della sua effettiva volontà di progettare il proprio futuro come cittadino.

Per quanto riguarda il possesso dei requisiti reddituali, è opportuno che il parametro di valutazione sia predeterminato legalmente al fine di consentire un accertamento, al momento della proposizione della richiesta, obiettivo e prevedibile negli esiti. Per questa ragione la proposta di legge prevede espressamente la disponibilità di un reddito non inferiore all'importo dell'assegno sociale.

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

1. Al comma 1 dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono aggiunte le seguenti lettere:

«b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica se il genitore è regolarmente presente in Italia da almeno due anni e titolare del permesso di soggiorno previsto dall'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni;

b-ter) il minore figlio di genitore straniero se fornisce prova della presenza continuativa in Italia da almeno sei anni e della partecipazione ad un ciclo scolastico o di formazione professionale oppure dello svolgimento di regolare attività lavorativa, unitamente alla conoscenza adeguata della lingua e della cultura italiane».

Art. 2.

1. La lettera f) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

«f) allo straniero regolarmente presente nel territorio della Repubblica in forma continua e abituale da almeno sei anni, se dimostra di essere in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, in misura non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale, e di conoscere in maniera adeguata la lingua e la cultura italiane».

 

 


N. 938

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati

MASCIA, FRIAS, FRANCO RUSSO

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Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di riconoscimento della cittadinanza italiana

 

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Presentata il 30 maggio 2006

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Onorevoli Colleghi! - Il fenomeno immigratorio è questione epocale: non solo richiede l'impegno politico prioritario dei Governi e dei Parlamenti, ma investe valori di fondo che segnano il grado di civiltà di un Paese, di una società. Nel corso di questi anni le politiche concrete dell'Italia e dell'Europa si sono misurate spesso su un terreno che ha rimosso o cancellato la condizione di vita quotidiana degli immigrati. I morti senza nome sepolti nei nostri mari o nelle isole, come Lampedusa, fanno notizia per qualche giorno. Poi quelle persone, che cercano di sfuggire alla fame e alle guerre, diventano numeri. Numeri che non possono superare i flussi programmati, salvo entrare automaticamente nella categoria dei clandestini; fantasmi che turbano i sonni e alimentano le insicurezze dei cittadini italiani a cui sono proposti come responsabili di tutti i guai, o comunque come sicuri criminali. Nella migliore delle ipotesi diventano braccia da sfruttare per una stagione.

Nelle dichiarazioni e nelle statistiche, che pure segnano la differenza tra civiltà e barbarie, non si va mai oltre un pur meritevole concetto di solidarietà umana, fermo restando un contesto dato, cioè un'operazione di razionalizzazione dentro questo mercato, dentro questo sviluppo. Così si tenta persino di ordinare la domanda e l'offerta di immigrazione, ridotta essa stessa allo statuto di merce. In tal modo non si vedono o non si vogliono vedere, le persone, il dolore, la sofferenza e la deprivazione. In tal modo non si riesce a partire dalla considerazione della persona, dell'immigrato, per ragionare sul modello di sviluppo, ma lo si riduce invece ad entità di compatibilità.

La collocazione sempre precaria sul mercato del lavoro dello straniero extracomunitario o la sua condizione spesso di clandestino, condizioni non scelte ma subite per sopravvivere, ne sono la concreta testimonianza. Non è un caso che la cosiddetta «legge Bossi-Fini» (legge n. 189 del 2002), nel costruire persino un doppio binario giuridico nel trattamento di cittadini italiani e stranieri extracomunitari, trasformi il permesso di soggiorno in contratto di soggiorno. Fissa per legge, cioè, che la permanenza in Italia dello straniero extracomunitario è limitata al periodo in cui il suo lavoro sarà considerato utile alla nostra economia o alle nostre famiglie. Si nega così, in via di principio, la cittadinanza piena agli immigrati e per questo si consente loro di accedere al massimo alla categoria dell'elemosina per giustificare le ricorrenti sanatorie cui attingere manodopera per i nostri lavori poveri.

Parliamo di un fenomeno sociale e per questo politico. Un modello sociale, il nostro, che genera lavoro povero e che, all'estremo di questo lavoro povero, non è in grado di garantire nemmeno la copertura. Un fenomeno che chiama in causa l'organizzazione del lavoro e la distribuzione del reddito da lavoro. Ma questa è la condizione prodotta da una globalizzazione capitalista che causa crisi, che genera mobilità assoluta delle merci e dei capitali, ma non consente quella degli uomini e delle donne.

La clandestinità, dunque, si presenta come patologia propria di un sistema socio-economico, di un mondo attraversato da guerre «preventive ed infinite», e di un impianto legislativo che tenta di costruire fortezze invalicabili. Ma l'immigrazione è ormai fenomeno strutturale, che non verrà impedito con i cannoneggiamenti alle frontiere e con i rimpatri forzati, né verrà disincentivato con i regimi separati che negano diritti e generano precarietà. Si tratta perciò di invertire le politiche italiane ed europee fin qui praticate e di tradurle in modelli di società e di sviluppo davvero alternativi.

In questo contesto, la questione del diritto di voto ai cittadini stranieri extracomunitari si impone con particolare rilevanza. Essa rappresenta simbolicamente e concretamente il riconoscimento dei diritti civili, giuridici e politici, requisiti indispensabili per una effettiva partecipazione in una realtà sociale. Non è un caso che la maggioranza dei cittadini italiani si dichiari favorevole al diritto di voto per chi lavora e paga le tasse. Perché questo è nell'ordine del buon senso comune. Ma riconoscere la legittimità del diritto di voto, significa, nella società globale, anche riconoscere altre soggettività in un quadro di diritti universali e universalmente riconosciuti. Significa invertire la tendenza ad imporre precarietà per garantire lavori e servizi. Significa affrontare per tutte e tutti, italiani e stranieri, la questione della rappresentanza politica e istituzionale, anche mettendo in discussione gli attuali sistemi.

Il diritto di voto chiama in causa una nuova stagione di diritti fondamentali per tutte e tutti, in un mondo attraversato da migrazioni irrefrenabili e da soggetti migranti destinati a incrociare e a relazionarsi con altre storie, culture, abitudini. Il livello di accoglienza e di ricchezza umana e sociale che si potrà trarre da queste esperienze (o il suo contrario) è destinato a segnare la vita delle nostre città e dei nostri quartieri, nonché il grado di civile convivenza del continente Europa. Per queste ragioni, consideriamo necessario, oggi, affrontare insieme la questione dei diritti, ponendo il tema della cittadinanza.

Il primo provvedimento organico sulla cittadinanza italiana è rappresentato dalla legge 13 giugno 1912, n. 555. Questa legge, pur con dei limiti, ha introdotto nell'ordinamento italiano un sistema omogeneo destinato a rimanere in vigore, sia pure con significative modifiche, per ottant'anni fino cioè, all'entrata in vigore della legge 5 febbraio 1992, n. 91. Tale legge, pur essendo stata approvata da più di un decennio, risente del clima socio-economico di quegli anni, ed ha recepito solo marginalmente il fenomeno rappresentato dall'immigrazione dall'estero di consistenti flussi di stranieri senza alcun precedente legame con l'Italia. Anche confrontandola con quelle degli altri Stati membri dell'Unione europea, la legge 5 febbraio 1992, n. 91, non appare in grado di recepire la domanda derivante dalle attuali dimensioni del fenomeno dell'immigrazione. Di qui la totale inadeguatezza della normativa vigente in tema di concessione della cittadinanza. Un esempio per tutti è rappresentato dallo ius sanguinis, il diritto di sangue, il principio in base al quale è cittadino italiano chi nasce da genitori italiani o chi ha uno degli ascendenti in linea diretta di secondo grado con cittadinanza italiana. Tale criterio fondante si contrappone allo ius soli, basato sul luogo di nascita, che nella normativa vigente è subordinato a condizioni fortemente restrittive.

La diversità socio-culturale rappresenta per il nostro Paese una ricchezza da non disperdere e uno dei pilastri della costruzione democratica della Repubblica. Non a caso riteniamo che la parola chiave sia «interculturalità» concettualmente diversa dalla parola «integrazione», che mantiene un'ambiguità di fondo. Il fine ultimo è dunque creare un maggiore senso di identificazione, nel rispetto delle diversità linguistiche, religiose e etiche, e un maggiore coinvolgimento nelle istituzioni politiche, anche, e non solo, attraverso il diritto di voto.

La cittadinanza è la condizione giuridica di chi appartiene a uno Stato ed è titolare dei diritti politici, che si esercitano secondo il suo ordinamento, e dei relativi obblighi. L'odierno dibattito politico concentra la sua attenzione sul problema del diritto di voto dei cittadini stranieri. Per le ragioni di ordine sociale, etico e politico che abbiamo fin qui illustrato, si rende necessario fare un salto in avanti ed affrontare il tema dei diritti degli stranieri in modo più complessivo. È fin troppo evidente che è il diritto di voto a dover discendere dallo status di cittadino e non viceversa. Il concetto di cittadinanza esprime dal punto di vista giuridico il complesso di diritti e doveri che legano i cittadini allo Stato.

La presente proposta di legge si pone un obiettivo rilevante: riconoscere la cittadinanza quale diritto soggettivo, ovvero riconoscere tale condizione giuridica quale posizione direttamente garantita dal legislatore, in modo da assicurare al titolare il soddisfacimento di una propria utilità sostanziale.

Tale obiettivo è raggiunto tenendo conto di due criteri fondanti: scardinare i rigidi princìpi che hanno ispirato la normativa vigente ampliando e semplificando i criteri di acquisizione della cittadinanza italiana, tra cui, fondamentale, l'abbassamento a tre anni dell'obbligo di risiedere in Italia; snellire la procedura di acquisizione affidando gli adempimenti burocratici - la cui disposizione è rinviata ad un apposito regolamento - alla prefettura- ufficio territoriale del Governo della provincia nel cui territorio risulta risiedere il richiedente. Ne consegue pertanto che la cittadinanza diventa a tutti gli effetti un diritto soggettivo, designando la posizione giuridica del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.

Riteniamo che questi due aspetti insieme possano garantire il necessario adeguamento delle parti sostanziali della normativa vigente all'attuale situazione socio-economica caratterizzata da un fenomeno immigratorio rilevante.

La presente proposta di legge è concepita come modifica della normativa vigente (legge 5 febbraio 1992, n. 91) di cui tuttavia si mantengono inalterate alcune parti (in particolare gli articoli 1, 2, 12, 14, 17, 19, 20, 21, 23). Altri articoli della medesima legge sono stati invece abrogati perché incompatibili con il nuovo impianto o perché ripresi con qualche modifica in altre parti del presente progetto di legge.

L'articolo 1 prevede i casi che precludono il riconoscimento della cittadinanza, ovvero la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III del codice penale e la sussistenza di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

L'articolo 2 stabilisce che l'organo competente per il riconoscimento della cittadinanza è il prefetto. Questo articolo estende tale procedura a tutti casi in cui è previsto il riconoscimento della cittadinanza (vedi articolo 4 della presente proposta di legge) consegnando al prefetto competente per territorio il compito di istruire la pratica di riconoscimento della cittadinanza, verificare la sussistenza dei requisiti e concluderla attraverso il rilascio dell'«attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana».

L'articolo 3 prevede il respingimento delle istanze da parte del prefetto qualora sussistano cause ostative.

L'articolo 4 introduce i requisiti per il riconoscimento della cittadinanza. È qui che al principio dello ius sanguinis si affianca quello dello ius soli, estendendo ai figli degli stranieri nati sul territorio della Repubblica il riconoscimento della cittadinanza. L'obbligo di residenza per la presentazione dell'istanza è abbassato per tutti i casi a tre anni.

L'articolo 5 stabilisce le condizioni in base alle quali è previsto un nuovo riconoscimento della cittadinanza se persa ai sensi dell'articolo 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 91.

L'articolo 6 stabilisce l'esercizio dei diritti civili per l'apolide e per lo straniero a cui è riconosciuto lo status di rifugiato.

L'articolo 7 stabilisce norme per gli stranieri, maggiorenni e minorenni, adottati da cittadini italiani in caso di revoca dell'adozione.

L'articolo 8 stabilisce il termine di un anno per la definizione del procedimento di riconoscimento della cittadinanza.

L'articolo 9 stabilisce le modalità di conservazione o rinuncia della cittadinanza italiana.

L'articolo 10 stabilisce l'abrogazione delle disposizioni incompatibili con la legge, fatte salve le disposizioni più favorevoli previste da leggi italiane o da accordi internazionali, e rimanda l'emanazione delle disposizioni necessarie per l'attuazione della legge ad un regolamento, abrogando quelle oggi in vigore.



 


proposta di legge

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Art. 1.

1. L'articolo 6 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«Art. 6. - 1. Precludono il riconoscimento della cittadinanza ai sensi delle lettere a), b), d), e), f), g) ed i) del comma 1 dell'articolo 9:

a) la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III, del codice penale;

b) la sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

2. La riabilitazione fa cessare gli effetti preclusivi della condanna.

3. Il riconoscimento della cittadinanza è sospeso fino a comunicazione della sentenza definitiva, qualora sia stata promossa azione penale per uno dei delitti di cui al comma 1, lettera a)».

 

 

Art. 2.

1. L'articolo 7 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«Art. 7. - 1. La cittadinanza è riconosciuta con atto del prefetto competente per territorio, denominato "attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana", a richiesta dell'interessato, presentata al sindaco del comune di residenza o alla competente autorità consolare».

 

 

Art. 3.

1. L'articolo 8 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«Art. 8. - 1. Il prefetto competente per territorio respinge l'istanza di riconoscimento della cittadinanza di cui all'articolo 7 ove sussistano le cause ostative previste all'articolo 6. Ove si tratti di ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica, è richiesto il parere conforme del Consiglio di Stato. L'istanza respinta può essere riproposta dopo due anni dall'emanazione del relativo provvedimento.

2. L'emanazione dell'ordinanza di rigetto dell'istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell'istanza medesima, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di un anno.

3. L'attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana di cui all'articolo 7 non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica dell'attestato medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato».

 

 

Art. 4.

1. Il comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«1. La cittadinanza italiana è riconosciuta dal prefetto della provincia di residenza:

a) allo straniero o all'apolide del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea diretta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni;

b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano;

c) allo straniero minorenne adottato da cittadino italiano;

d) allo straniero che ha prestato servizio, anche all'estero, per almeno tre anni alle dipendenze dello Stato italiano;

e) al cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea se risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

f) all'apolide che risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

g) allo straniero che risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

h) ai figli di stranieri nati sul territorio della Repubblica;

i) al coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno sei mesi ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale».

 

 

Art. 5.

1. L'articolo 13 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«Art. 13. - 1. A coloro che hanno perduto la cittadinanza, la stessa è nuovamente riconosciuta se:

a) avendola perduta per non aver ottemperato all'intimazione di abbandonare l'impiego o la carica accettati da uno Stato, da un ente pubblico estero o da un ente internazionale, ovvero il servizio militare per uno Stato estero, dichiarano di volerla riacquistare, sempre che abbiano stabilito la residenza da un anno nel territorio della Repubblica e dimostrino di avere abbandonato l'impiego o la carica o il servizio militare, assunti o prestati nonostante l'intimazione di cui all'articolo 12;

b) dichiarano di volerla riacquistare e hanno stabilito o stabiliscono, entro un anno dalla dichiarazione, la residenza nel territorio della Repubblica;

c) assumendo o avendo assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato italiano, anche all'estero, dichiarano di volerla riacquistare;

d) è decorso un anno dalla data in cui hanno stabilito la residenza nel territorio della Repubblica, salvo espressa rinuncia entro lo stesso termine.

2. Nei casi indicati al comma 1, lettere b), c) e d), il riacquisto della cittadinanza non ha effetto se viene inibito con atto del prefetto competente per territorio in presenza di gravi e comprovati motivi e previo conforme parere del Consiglio di Stato. Tale inibizione può intervenire entro il termine di un anno dal verificarsi delle condizioni stabilite».

 

 

Art. 6.

1. L'articolo 16 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«Art. 16. - 1. L'apolide che risiede legalmente nel territorio della Repubblica è soggetto alla legge italiana per quanto attiene all'esercizio dei diritti civili.

2. Lo straniero riconosciuto rifugiato dallo Stato italiano secondo le condizioni stabilite dalla legge o dalle convenzioni internazionali è equiparato all'apolide ai fini dell'applicazione delle disposizioni della presente legge».

 

 

Art. 7.

1. Gli stranieri di cui alle lettere b) e c) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 4 della presente legge, qualora l'adozione sia revocata, conservano la cittadinanza italiana. Qualora la revoca intervenga durante la maggiore età dell'adottato, lo stesso, se in possesso di altra cittadinanza può comunque rinunciare alla cittadinanza italiana, anche se riacquistata, entro un anno dalla revoca stessa.

2. I figli minorenni di coloro ai quali è riconosciuta la cittadinanza ai sensi dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dall'articolo 4 della presente legge, acquistano la cittadinanza italiana e, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza.

3. Le disposizioni delle lettere b) e c) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 4 della presente legge, si applicano anche agli adottati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

 

Art. 8.

1. Il termine per la definizione dei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza è di trecentosessantacinque giorni dalla data di presentazione della domanda.

2. Il riconoscimento della cittadinanza o il suo eventuale riacquisto, hanno effetto, salvo quanto stabilito all'articolo 13, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 5 della presente legge, dal giorno successivo a quello del rilascio dell'attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana di cui all'articolo 7, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 2 della presente legge.

 

 

Art. 9.

1. Il cittadino che possiede, acquista o riacquista la cittadinanza straniera conserva quella italiana, ovvero può ad essa rinunciare qualora risieda o stabilisca la propria residenza all'estero.

2. Lo straniero che acquista la cittadinanza italiana può conservare la propria cittadinanza di origine, in conformità alla legge dello Stato di appartenenza, ovvero può comunicare all'ufficiale dello stato civile o alla competente autorità consolare italiana la rinuncia alla cittadinanza di origine.

 

 

 

Art. 10.

1. Sono abrogati gli articoli 3, 4, 5, 10, 11 e 15 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, nonché il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, e successive modificazioni, e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362.

2. Restano salve le norme più favorevoli previste da leggi o accordi internazionali in vigore per l'Italia.

3. Con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono emanate le disposizioni per l'attuazione della medesima legge.

 

 

 


N. 1297

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato RICARDO ANTONIO MERLO, ANGELI

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Modifiche all'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza per nascita

 

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Presentata il 5 luglio 2006  

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Onorevoli Colleghi! - Esiste ancora oggi nell'ordinamento italiano una anacronistica disparità di trattamento tra cittadini, in contrasto palese con i dettami costituzionali che garantiscono pari dignità sociale e uguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso (articolo 3 della Costituzione).

Tale discriminazione giuridica si riscontra, in particolare, nei confronti di quelle donne che, emigrate all'estero nel secolo scorso, sono state private della cittadinanza per se stesse e per i propri figli, per effetto della legge sulla cittadinanza italiana 13 giugno 1912, n. 555, allora vigente.

Il principio fondamentale per l'attribuzione originaria della cittadinanza italiana per nascita, cui era ispirato quel dettato legislativo, era quello dello jus sanguinis o diritto di sangue, non estendendo però il diritto di cittadinanza al figlio di madre italiana e di padre straniero, considerando quindi «la donna come giuridicamente inferiore all'uomo e addirittura come persona non avente la completa capacità giuridica» (si veda B. Nascimbene, «Acquisto e perdita della cittadinanza. Una riforma auspicata: la nuova disciplina della cittadinanza» in Il Corriere Giuridico n. 5, 1992).

Il figlio di madre italiana poteva considerarsi italiano solo se il padre era ignoto o apolide oppure se, in base alle leggi vigenti nello Stato di cui il padre era cittadino, non acquistava la cittadinanza di tale Stato.

In pratica, tale disposizione normativa era impostata sul principio della prevalenza dell'unità della cittadinanza in seno alla famiglia e della «supremazia» della figura del padre-marito.

 Ciò ha comportato per decenni una profonda disparità di trattamento tra uomo e donna, ancora più evidente dopo l'introduzione nell'ordinamento italiano della legge 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia, che ha affermato il principio di uguaglianza tra uomo e donna, nell'ambito dei rapporti familiari.

Ma nonostante questa fondamentale innovazione del nostro codice civile, si è dovuto ancora attendere perché questo principio fosse esteso anche alla legislazione sulla cittadinanza.

Infatti, è solo del 28 gennaio 1983 la sentenza n. 30 della Corte costituzionale che dichiara «incostituzionale» l'articolo 1 della legge n. 555 del 1912, laddove non riconosce come cittadino italiano per nascita anche il figlio di madre cittadina, sancendo che anche i figli di madre italiana sono italiani.

Sentenza fondamentale e «apripista» della legge n. 123, approvata nell'aprile dello stesso anno 1983, che consentiva la trasmissione della cittadinanza italiana ai figli anche per via materna, introducendo il principio di uguaglianza morale e giuridica tra uomo e donna nell'ordinamento italiano, con riguardo alla trasmissibilità di questo diritto ai figli.

Ma la sentenza n. 30 del 1983 della Corte costituzionale ha lasciato inalterate alcune situazioni discriminatorie, consentendo in pratica l'attribuzione della cittadinanza italiana «solo ai figli di madre italiana e di padre straniero nati dopo il 1o gennaio 1948» (si veda H. Guillen, «Lo jus sanguinis e la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Suprema Corte di cassazione» in Semplice, anno III, n. 3 marzo 2006, Demografici associati).

In base al parere n. 105 del 15 aprile 1983 del Consiglio di Stato, la retroattività della incostituzionalità dell'articolo 1 della legge n. 555 del 1912 non può andare oltre il momento in cui si è verificato il contrasto tra la norma di legge (o di atto avente forza di legge) - anteriore all'entrata in vigore della Costituzione - dichiarata illegittima e la norma o il principio della Costituzione.

In tempi più recenti, la legge n. 91 del 1992 ha recepito definitivamente il principio della parità di trattamento, ammettendo l'attribuzione della cittadinanza italiana ai figli di padre o di madre italiana.

La legge, tuttavia, non avendo effetti retroattivi, ha lasciato inalterata la situazione - perpetuando il trattamento discriminatorio - per il periodo che va dal 1912 al 1948, sia tra le donne e gli uomini italiani emigrati, sia tra gli stessi fratelli, figli della stessa madre italiana, ma nati prima e dopo il 1948 che, rebus sic stantibus, non godono dello stesso diritto di cittadinanza.

Nel 1996, la Corte di cassazione, con sentenza n. 6297 del 10 luglio 1996, emessa dalla prima sezione civile, ha ridato fiducia a tanti cittadini figli di donne italiane emigrate nel secolo scorso. Infatti, modificando radicalmente l'orientamento espresso in altre pronunce, la Cassazione ha deciso di accogliere il ricorso presentato da un cittadino argentino figlio di madre italiana contro il Ministero dell'interno, che aveva rigettato la sua richiesta di attribuzione della cittadinanza per linea materna, appunto perché nato prima del 1948.

Tuttavia, la successiva circolare del Ministero dell'interno del 10 dicembre 1996, sostenendo che la decisione della Suprema Corte si pone in contrasto con tutta la precedente giurisprudenza, ha ritenuto che la stessa costituisce un «caso isolato», che non può estendersi a tutti i casi analoghi, anche se consente di sperare in un esito positivo per ogni singolo ricorso.

Non vi è dubbio che, malgrado i tentativi finora compiuti, non si è ancora giunti a una definizione della materia che possa considerarsi soddisfacente sotto il profilo del dettato costituzionale, ma anche sotto quello delle norme internazionali: norme internazionali come la Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata dall'Assemblea generale nel 1979 e ratificata dall'Italia ai sensi della legge 14 marzo 1985, n. 132, con la quale gli Stati parte della Convenzione si sono impegnati a «perseguire, con ogni mezzo appropriato e senza indugio, una politica tendente ad eliminare la discriminazione nei confronti della donna».

Ecco perché oggi, con la presente proposta di legge che, modificando l'articolo 1 della legge n. 91 del 1992, estende il diritto di cittadinanza anche ai figli di madre italiana nati anteriormente al 1o gennaio 1948, proponiamo un intervento legislativo volto a eliminare una volta per tutte la disparità di trattamento tra cittadini, tuttora presente nel nostro ordinamento, che ha finora mantenuto viva la discriminazione tra uomo e donna.



 


proposta di legge

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Art. 1.

1. All'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:

«1-bis. È cittadina la donna che è stata cittadina per nascita e ha perduto la cittadinanza in quanto coniugata con cittadino straniero, anche quando il matrimonio è stato contratto prima del 1o gennaio 1948.

1-ter. È cittadino il figlio della donna di cui al comma 1-bis nato anteriormente al 1o gennaio 1948.

Art. 2.

1. Dall'attuazione delle disposizioni dei commi 1-bis e 1-ter dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, introdotti dall'articolo 1 della presente legge, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 3.

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


N. 1462

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato CAPARINI, ALESSANDRI, ALLASIA, BODEGA, BRIGANDÌ, COTA, DOZZO, FUGATTI, GARAVAGLIA, GIBELLI, GRIMOLDI, MONTANI, PINI, POTTINO, STUCCHI

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Disposizioni per l'introduzione di un test di naturalizzazione per gli stranieri e gli apolidi che richiedono la cittadinanza

 

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Presentata il 25 luglio 2006

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Onorevoli Colleghi! - La Fondazione ISMU, già Fondazione Cariplo-ISMU dal 1991, ente scientifico autonomo e indipendente che promuove studi e ricerche con particolare riguardo al fenomeno delle migrazioni internazionali, ha dichiarato che a luglio 2005 gli extracomunitari presenti nel nostro Paese erano 3 milioni e 300 mila, il 5,7 per cento della popolazione complessiva, di cui il 16 per cento irregolare. I denunciati stranieri erano il 21,7 per cento del totale, mentre i detenuti rappresentavano oltre il 32 per cento dell'intera popolazione carceraria. L'analisi per grandi aree di provenienza al 1o luglio 2005 ha evidenziato la netta superiorità degli est-europei che, con 1,5 milioni di unità, rappresentavano il 46 per cento dei presenti. Circa 600 mila erano i nordafricani e gli asiatici, mentre erano la metà gli «altri africani» e i latinoamericani. Alla fine del 2002 i lavoratori extracomunitari iscritti all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) risultavano 1.426.391, a cui si aggiungevano circa 34 mila con contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Tra gli assicurati extracomunitari INPS, quasi 350 mila erano domestici, poco più del 74 per cento del totale. Il dato registrava un'impennata nel 2003:

i domestici extracomunitari diventavano più del 93 per cento del totale degli iscritti all'INPS, di cui quasi l'85 per cento donne.

Importanti sono anche i dati elaborati dall'ISMU su fonti dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL): nel 2004 gli assicurati INAIL extracomunitari erano 1.765.578, la maggior parte titolare di un contratto di lavoro atipico. I titolari extracomunitari di imprese, al 30 settembre 2005, erano quasi 200 mila, poco meno del 6 per cento del totale, la maggior parte occupata nel settore delle costruzioni.

Nell'arco del primo quinquennio degli anni duemila, anche grazie alla crescente disponibilità delle banche a concedere mutui agli immigrati, l'acquisto di case si è più che quadruplicato, arrivando a rappresentare il 14,4 per cento del mercato nazionale nel 2005 (era al 12,6 per cento l'anno precedente). L'accesso alla casa in proprietà è sembrato consolidarsi tanto da giustificare la comparsa di agenzie immobiliari «specializzate», spesso gestite da stranieri che si rivolgono principalmente ai propri connazionali. Oltre all'aumento degli acquisti, è da sottolineare nell'ambito dell'edilizia residenziale pubblica la forte crescita della quota di alloggi assegnati a cittadini stranieri.

L'incremento di studenti stranieri si è velocizzato soprattutto con i processi di regolarizzazione degli stranieri e con i ricongiungimenti. Nell'anno scolastico 2004/2005 sono stati 361.576 gli allievi extracomunitari, pari al 4,2 per cento della popolazione scolastica. Nell'anno scolastico 1998/1999 gli studenti stranieri non raggiungevano l'1 per cento del totale degli iscritti, sfiorando le 85 mila unità. Da quell'anno, la crescita è diventata rapidamente significativa. I dati indicano che la presenza si è rafforzata ulteriormente nella scuola dell'infanzia (4,58 per cento della popolazione totale) e in quella primaria (5,37 per cento), dove troviamo oltre il 60 per cento degli alunni di cittadinanza non italiana. È cresciuta, pertanto, la percentuale di bambini che percorrono quasi o tutto il loro itinerario formativo all'interno della scuola italiana. L'Albania, il Marocco, la Romania, la Cina e la ex-Jugoslavia (le cinque nazionalità prevalenti negli ultimi anni) raggiungono insieme il 51,35 per cento del totale di alunni con cittadinanza non italiana. A livello di grandi aree geografiche l'anno scolastico 2004/2005 ha registrato un rafforzamento degli alunni provenienti dall'Europa - sia di Paesi membri dell'Unione europea che non - che rappresentano oggi il 47,8 per cento. L'Africa si è confermata il secondo continente di provenienza, mentre cala il peso relativo dell'Asia (11,9 per cento; rappresentava il 14,8 per cento l'anno precedente). È stato il nord est a registrare il maggior numero di presenze, al primo posto in tutti i gradi di scuola, raggiungendo il 7,02 per cento in Veneto e l'8,4 per cento in Emilia-Romagna, diventata nell'anno scolastico 2004/2005 la regione con il maggior tasso di presenza immigrata. La Lombardia ha continuato a essere la regione con la più elevata presenza numerica in valori assoluti (88.170, pari a un quarto della popolazione straniera complessiva). Seguono il nord-ovest con il 6,82 per cento e il centro con una media di presenze pari a 5,67 per cento (Umbria e Marche si sono collocate entrambe sopra il 7 per cento, presentando forti caratteristiche di attrazione). Sud e isole erano molto distanti, avvicinandosi all'1 per cento degli iscritti in complesso solo nell'anno scolastico 2004/2005 e con presenze pressoché irrilevanti nella scuola secondaria di secondo grado.

A giugno 2005 i detenuti stranieri in Italia erano il 32,26 per cento dell'intera popolazione carceraria. Gli stranieri denunciati per cui era stata esercitata l'azione penale, stando agli ultimi dati relativi al 2003, erano 116.392 su 536.237 denunciati complessivamente; si tratta del 21,7 per cento del totale (dato che, considerando solo il Nord, sale al 30 per cento), di cui quasi il 12,5 per cento donne. È il dato più alto mai registrato: è superiore di quasi tre punti percentuali a quello del 2002 che si fermava al 19 per cento. Le nazionalità più denunciate nel 2003 erano nell'ordine: la marocchina con il 17,1 per cento, la romena con il 12,7 per cento, l'albanese con il 10,5 per cento, la senegalese con il 6,7 per cento, la tunisina con il 5,9 per cento, l'algerina con il 4,4 per cento, la serba-montenegrina con il 4,2 per cento, la tedesca con il 2,4 per cento, la nigeriana con il 2,3 per cento e all'ultimo posto la cinese con solo il 2 per cento.

I reati più diffusi: nel 18,4 per cento si trattava di furto, di produzione e spaccio di stupefacenti nel 13 per cento dei casi, di falsità nel 10,1 per cento, di lesioni personali volontarie nel 3,9 per cento e di rapina nel 3,5 per cento. Considerando i reati contro la persona nel biennio 2003/2004 relativi al nord, il 44,7 per cento di stranieri è stato denunciato per tentato omicidio volontario, il 43,5 per cento per omicidio volontario consumato e il 37,59 per cento per violenza sessuale. Vuol dire che ogni due autori noti di omicidio consumato o tentato quasi uno era straniero. Ogni dieci autori noti di violenze sessuali, quattro erano stranieri. Il primato negativo spetta a marocchini, romeni, albanesi e algerini. Considerando i reati contro il patrimonio e quelli connessi agli stupefacenti, il 50,3 per cento dei denunciati per produzione, vendita e spaccio di stupefacenti era straniero. Le nazionalità più denunciate erano la marocchina, rumena, tunisina e albanese. Con riferimento al totale dei denunciati stranieri, nella fascia alta di criminalità rientravano, da est ad ovest, province come Trieste, Gorizia, Udine, Rimini, Ravenna, Ferrara e Rovigo, Bolzano, Verona, La Spezia, Genova, Savona, Imperia, Verbano Cusio Ossola, Torino. Si tratta di province di confine marino o terreste, o di province, come Torino o Verona, dove sono a tutt'oggi particolarmente fiorenti specifiche attività illegali (stupefacenti e prostituzione ), o province delle zone della riviera adriatica e ligure, in cui può arrivare un maggior afflusso, di solito stagionale, attratto dal turismo e dalle occasioni criminali collegate. La situazione peggiore per i reati contro la persona si evidenziava nel nord-ovest. Le tre nazionalità più denunciate nel nord Italia erano la marocchina, la romena e l'albanese.

Gli attentati negli USA, in Spagna e in Inghilterra, le rivolte nelle banlieues in Francia e i fatti di cronaca italiani (tra i quali quelli relativi alla scuola islamica di via Quaranta e alla moschea di viale Jenner a Milano) inducono a rivedere il modello del multiculturalismo, non più adeguato a dare risposte in una società multietnica. Le migrazioni contemporanee tendono ad assumere sempre più la configurazione della diaspora, fenomeno che implica un movimento e uno scambio costante tra diversi luoghi e differenti culture. La diaspora è una comunità transnazionale, etnica o culturale che si costituisce a seguito della dispersione di un popolo, spesso costretto ad allontanarsi da una patria, non necessariamente rappresentata da uno Stato, nella quale i suoi membri continuano a identificarsi e alla quale, quindi, continuano a fare riferimento, conservando obblighi e legami.

Questo impone un radicale mutamento di approccio nella definizione dei criteri per l'ottenimento della cittadinanza italiana da parte di un cittadino extracomunitario, oggi regolato dalla legge 5 febbraio 1992, n. 911 successive modificazioni. Tra i vari casi, è previsto che possa essere concessa la cittadinanza allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. La concessione della cittadinanza avviene con decreto del Presidente della Repubblica (articolo 9 della legge n. 91 del 1992), ovvero con decreto del Ministro dell'interno (articolo 7 della citata legge n. 91 del 1992) su istanza del prefetto competente per territorio in relazione alla residenza del richiedente. L'istanza per l'acquisto della cittadinanza deve essere presentata dal richiedente al prefetto competente e deve comprendere una serie di documenti, ai sensi dell'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362. Se la documentazione è in regola, e nulla osta alla concessione, al cittadino extracomunitario viene concessa la cittadinanza italiana. 

L'iter per la concessione della cittadinanza è quindi un mero procedimento burocratico del tutto inadeguato a rispondere alle problematiche che le nuove modalità di migrazione impongono. Un iter che non tiene conto di aspetti fondamentali quali, ad esempio, la capacità di parlare la nostra lingua, la conoscenza dei nostri usi e costumi, della nostra storia, del nostro sistema istituzionale e delle regole basilari della nostra società. L'ottenimento della cittadinanza dovrebbe essere la conclusione di un processo che porta lo straniero ad una perfetta integrazione nella comunità nella quale ha deciso di risiedere, non un semplice atto amministrativo totalmente slegato dal contesto sociale nel quale l'immigrato intende integrarsi.

La presente proposta di legge, mediante una parziale modifica all'articolo 9 della legge n. 91 del 1992, intende colmare questa lacuna facendo in modo che lo straniero, per diventare cittadino italiano, intraprenda un percorso di reale integrazione e assimilazione nella nostra società: condizione imprescindibile affinché l'immigrato possa assumere un ruolo attivo, evitando la ghettizzazione e i fenomeni di devianza.

A tale fine, per l'immigrato che intende diventare cittadino italiano, è previsto il superamento di un test che ne dimostri il reale livello di integrazione nella nostra società; test che, oltre a comprendere una prova di lingua italiana e locale, in base alla regione di residenza, comprende anche domande di cultura generale, storia, cultura e tradizioni, ordinamento istituzionale della Repubblica. Il test non è da considerare come un ulteriore aggravio delle procedure per l'ottenimento della cittadinanza, ma come un invito all'immigrato ad approfondire la conoscenza del nostro Paese in modo da comprendere al meglio gli usi e costumi, le leggi, i diritti e i doveri che derivano dall'appartenere alla nostra nazione, per poter convivere al meglio con la popolazione autoctona.

Su tale tema sono ormai numerosi i Paesi che si sono orientati in questa direzione e a titolo esemplificativo citiamo, a livello europeo, la Gran Bretagna e, in ambito extraeuropeo, gli Stati Uniti d'America.

In Gran Bretagna il «test di naturalizzazione» è stato inserito nella parte prima della legge del 2002 su «Nazionalità, immigrazione ed asilo», in modo, come risulta da un comunicato dell'ambasciata britannica in Roma, di: «aiutare le persone che acquisiscono la cittadinanza britannica ad imparare l'inglese, ad avere una conoscenza pratica della vita nel Regno Unito ed a comprendere le tradizioni democratiche britanniche per facilitare l'integrazione ed aiutarle a lavorare, a dare il proprio contributo e a partecipare alla società». Il test britannico comprende, dunque, un esame di lingua inglese e, a seconda della zona di residenza, di gaelico scozzese o gallese, e di nozioni sulle istituzioni britanniche e sulla democrazia parlamentare, sulla storia del Regno Unito, sulla conoscenza della legge, inclusi i diritti e i doveri dei cittadini, il mercato del lavoro, le fonti d'informazione e su come soddisfare esigenze quotidiane quali la ricerca di una casa o pagare una bolletta.

Negli Stati Uniti, la procedura per il rilascio della cittadinanza prevede, come elencato nella «guida alla naturalizzazione» edita dal Dipartimento della giustizia degli Stati Uniti - servizio immigrazione e naturalizzazione - che il richiedente, oltre a possedere buoni requisiti morali e assenza di precedenti penali, debba superare un test che dimostri la conoscenza della lingua inglese con la capacità di leggere, scrivere e comprendere frasi di uso quotidiano; inoltre viene richiesta la conoscenza delle nozioni fondamentali della storia e delle istituzioni americane.

Con la presente proposta di legge si va dunque a modificare la legislazione vigente in materia, in sintonia con le più recenti norme legislative di Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, allineando la nostra legislazione alla loro, secondo un impostazione ormai universalmente condivisa.

 

Si è ritenuto, inoltre, opportuno estendere al caso di acquisto della cittadinanza per naturalizzazione (ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 91 del 1992) le cause ostative previste all'articolo 6 della medesima legge per il caso di acquisto conseguente a matrimonio. Per effetto di questo richiamo non risulterà possibile l'acquisto della cittadinanza per chi abbia determinati precedenti penali o in presenza di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

La proposta di legge si completa con la previsione che subordina l'acquisto della cittadinanza alla rinuncia da parte dello straniero alla propria cittadinanza. Si tratta di una soluzione già nota in altri ordinamenti, quali l'Austria e la Germania, che ha l'ulteriore pregio di evitare casi di doppia cittadinanza.



 


proposta di legge

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Art. 1.

(Test di naturalizzazione).

1. All'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, la lettera e) è sostituita dalla seguente:

«e) all'apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica, previo superamento di un test di naturalizzazione»;

b) al comma 1, la lettera f) è sostituita dalla seguente:

«f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, previo superamento di un test di naturalizzazione e previa rinuncia alla propria cittadinanza»;

c) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:

«2-bis. L'acquisto della cittadinanza ai sensi del presente articolo è precluso nei casi di cui all'articolo 6».

Art. 2.

(Modalità del test).

1. Il test di naturalizzazione di cui all'articolo 9, comma 1, lettere e) e f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, è mirato a verificare la conoscenza, da parte del richiedente la cittadinanza italiana, della lingua italiana e locale, dell'educazione civica, della storia, della cultura e delle tradizioni, nonché dell'ordinamento istituzionale della Repubblica.

 

Art. 3.

(Norme di attuazione).

1. Le norme di attuazione della presente legge sono adottate, entro sei mesi dalla data della sua entrata in vigore, con regolamento del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Art. 4.

(Abrogazione).

1. L'articolo 11 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è abrogato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

N. 1529

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa del deputato BOATO

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Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza

 

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Presentata il 1o agosto 2006

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Onorevoli Colleghi! - L'esigenza di una nuova normativa sulla cittadinanza, che modifichi e integri la legge 5 febbraio 1992, n. 91, è tema all'attenzione del Parlamento sin dalla precedente legislatura e che l'attuale Governo, come ha recentemente confermato il Ministro dell'interno Amato, intende affrontare.

La presente proposta di legge incide sulla normativa vigente in ordine alle modalità e ai requisiti necessari per l'acquisto della cittadinanza, alla luce dei profondi mutamenti intervenuti nella società italiana a seguito dei fenomeni di immigrazione extracomunitaria che interessano, ormai strutturalmente, il nostro Paese così come l'intera area comunitaria.

Un esame comparato con le normative degli altri Paesi europei - dalla Francia alla Germania, dalla Gran Bretagna alla Spagna - evidenzia i gravi ritardi e le palesi contraddizioni della legislazione italiana rispetto agli indirizzi largamente condivisi negli altri ordinamenti.

La presente proposta di legge prevede la possibilità di acquisto della cittadinanza per i nati in Italia da genitori stranieri - riconoscendo pienamente nel nostro ordinamento il principio dello jus soli -, per i minori presenti sul territorio nazionale e per gli stranieri maggiorenni residenti nel nostro Paese.

Si modifica, inoltre, in senso più restrittivo rispetto al testo vigente, l'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, concernente l'acquisto della cittadinanza attraverso lo jus matrimoni, al fine di contrastare il fenomeno dei matrimoni per interesse.

Non meno importante, ai fini di un'effettiva e coerente applicazione delle disposizioni in materia, appare la previsione di un termine perentorio entro il quale abbia termine l'iter della domanda di concessione di cittadinanza, con un pronunciamento da parte dell'amministrazione competente. In tal senso dispone l'articolo 5 della proposta di legge.


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

(Acquisto della cittadinanza per i nati in Italia da genitori stranieri).

1. All'articolo 1, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

«b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitore straniero, se il genitore è regolarmente presente in Italia da almeno cinque anni ed è titolare del permesso di soggiorno previsto dall'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni».

 

 

Art. 2.

(Acquisto della cittadinanza per i minori presenti in Italia).

1. All'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«2-bis. È considerato cittadino per nascita il minore il cui genitore straniero, legalmente residente in Italia da almeno cinque anni, fornisca prova della partecipazione del minore a un ciclo scolastico o di formazione professionale oppure dello svolgimento di regolare attività lavorativa».

 

 

Art. 3.

(Acquisto della cittadinanza per gli stranieri residenti in Italia).

1. La lettera f) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

«f) allo straniero regolarmente presente nel territorio della Repubblica in forma continua e abituale da almeno cinque anni, se dimostra di essere in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, in misura non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale».

 

 

Art. 4.

(Acquisto della cittadinanza per matrimonio).

1. L'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«Art. 5. - 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza dopo tre anni dalla data del matrimonio se, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7, non sia intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussista separazione legale».

 

 

Art. 5.

(Termini per la concessione della cittadinanza).

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'interno, con proprio decreto emanato di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, provvede a disciplinare il procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza ed a stabilire il relativo termine, che non può comunque essere superiore a un anno dalla data di presentazione della domanda da parte dell'interessato.

 

 


 

N. 1570

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d'iniziativa dei deputati

BRESSA, AMICI, GIACHETTI, LEONI, MATTARELLA,

SUPPA, ZACCARIA

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Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza

 

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Presentata il 2 agosto 2006

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Onorevoli Colleghi! - La legge italiana sulla cittadinanza, legge 5 febbraio 1992, n. 91, è fortemente sbilanciata nella tutela della discendenza e dello jus sanguinis. Tale legge si contrappone oggi alle posizioni emerse in seno all'Unione europea. Fino alla riforma del 2000, la Germania aveva un sistema di jus sanguinis, simile a quello italiano. Dopo decenni di immigrazione vivono in Germania più di 7 milioni di stranieri e nascono ogni anno circa 100 mila bambini «stranieri». Si tratta di una ferita profonda in seno alla società tedesca, che da un lato alimenta fenomeni anche violenti di razzismo e dall'altro giustifica forme di rigetto e di alienazione da parte degli immigrati. Il Governo Schroeder ha avuto a suo tempo il coraggio di facilitare l'acquisizione della cittadinanza, ma occorreranno decenni prima che la ferita si rimargini. In Italia il fenomeno migratorio è recente e siamo in tempo per evitare l'errore tedesco. Occorre però agire presto, perché il numero di minori stranieri cresce di circa il 20 per cento all'anno.

      L'innovazione più importante apportata dalla riforma tedesca si risolve in una relativizzazione del tradizionalmente vigente principio tedesco dello jus sanguinis a favore di quello attributivo della cittadinanza dello jus soli.

      Acquisisce la cittadinanza tedesca il soggetto nato in territorio tedesco da genitori stranieri di cui almeno uno soggiorni regolarmente in Germania da otto anni e sia in possesso di un titolo di soggiorno o da tre anni con un permesso di soggiorno a tempo indeterminato.

      Un tale assetto normativo contempla fisiologicamente la presenza di cittadini con cittadinanza multipla nel territorio nazionale, dato che sarà molto frequente, a causa della concorrenza di sistemi nazionali di riconoscimento automatico della cittadinanza che si basano sullo jus sanguinis, che i figli nati da genitori stranieri in Germania acquistino anche la cittadinanza dello Stato di provenienza dei genitori.

      La portata della riforma è stata limitata sotto questo profilo dall'obbligo di opzione, per cui il cittadino tedesco in possesso di una seconda cittadinanza deve optare per una delle due al compimento della maggiore età e su esplicita richiesta delle competenti autorità tedesche. Un ulteriore punto nodale della riforma è la riduzione del periodo di legittima e regolare permanenza nel territorio nazionale che è necessario provare per ottenere la cittadinanza, che passa da quindici ad otto anni. Lo straniero deve, inoltre, accettare e riconoscere i princìpi democratici sui quali è fondata la Repubblica federale tedesca, soggiornare legittimamente, mantenersi senza l'ausilio di sussidi statali e non aver commesso ed essere stato condannato per alcun grave reato. Inoltre, deve dimostrare sufficienti capacità linguistiche che vengono giudicate secondo la sua capacità di interagire normalmente con le amministrazioni e di interloquire in tedesco nell'espletamento delle quotidiane incombenze sociali e lavorative (confronta R. Arnold e D. Biermann, La disciplina dell'immigrazione in Germania, in «Diritto pubblico comparato ed europeo», II, 2003, pagina 645).

      La presente proposta di legge si ispira ai contenuti della riforma tedesca e intende avvicinare la legislazione italiana alla legislazione della maggior parte dei Paesi dell'Unione europea. La proposta di legge riprende, in parte, i contenuti del lavoro svolto dalla Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, guidato dalla professoressa Giovanna Zincone (a tale proposito si possono consultare gli atti del Convegno Riformare la legge sulla cittadinanza svoltosi a Roma il 22 febbraio 1999, organizzato dal Dipartimento per gli affari sociali). Gli obiettivi della proposta di legge sono: favorire i minori nati sul territorio, cioè le seconde e, ancora più, le terze generazioni di immigrati; facilitare l'acquisizione della cittadinanza per gli stranieri non dell'Unione europea, specie se risiedono da lungo tempo e danno segni di integrazione; scoraggiare matrimoni di comodo.

      Raggiungere questi obiettivi «significa inserire le normative sulla cittadinanza in un progetto di integrazione ragionevole, un progetto che non pretende assimilazioni culturali a tappe forzate, ma richiede il rispetto della legalità e la disponibilità ad apprendere gli strumenti culturali necessari ad interagire con la società in cui si risiede e dove si intende vivere».

      La proposta di legge prevede il rafforzamento dello jus soli ponendo condizioni più favorevoli per i minori nati o formati nel Paese: con l'articolo 1, che riprende il testo della proposta di legge di cui si è fatta promotrice la Comunità di Sant'Egidio, si riconosce, infatti, la cittadinanza italiana al figlio nato in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno sia in Italia da almeno due anni e titolare del permesso di soggiorno previsto dall'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Si riconosce inoltre la possibilità di conservare la doppia cittadinanza, salvo che il nato in Italia da genitori stranieri che abbia conseguito la cittadinanza non vi rinunzi entro due anni dal compimento della maggiore età e trasferisca la sua residenza all'estero. Si riconosce altresì la cittadinanza al minore figlio di genitore straniero se fornisce prova della presenza continuativa in Italia da almeno sei anni e della partecipazione a un ciclo scolastico o di formazione professionale oppure dello svolgimento di regolare attività lavorativa, unitamente alla conoscenza adeguata della lingua e della cultura italiane.

      Con l'articolo 2 si riduce il tempo necessario alla naturalizzazione, che passa dagli attuali dieci anni ai sei della presente proposta. I tempi di residenza legale richiesti per la naturalizzazione oscillano da Paese a Paese (in Olanda, Belgio, Svezia, Finlandia e Francia si chiedono cinque anni, in Danimarca  sette, in Germania otto e in Spagna dieci; in Lussemburgo dieci, ma solo gli ultimi cinque continuativi). L'Italia si colloca, dopo la legge n. 91 del 1992, nella fascia di severità estrema, che è anche la soglia massima prevista dalla convenzione del Consiglio d'Europa del 1997.

      Inoltre con l'articolo 4, per dare tempi certi alle procedure, si stabilisce che il Ministro dell'interno, con proprio decreto, provvede a disciplinare il procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza e a stabilire il relativo termine, che non può essere comunque superiore a un anno dalla presentazione della domanda da parte dell'interessato.

      Con l'articolo 3 si intende porre un rimedio alla piaga dei matrimoni di comodo: si pone infatti un obbligo di residenza in Italia più lungo e si prevede che il vincolo del matrimonio debba persistere al momento del decreto con cui si acquista la cittadinanza.

      L'articolo 5, infine, prevede che il Governo provveda alla modifica dei regolamenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 572 del 1993 e al decreto del Presidente della Repubblica n. 362 del 1994, emanati in attuazione delle disposizioni della citata legge n. 91 del 1992, e che tanti problemi di interpretazione hanno creato.


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

(Acquisto della cittadinanza per i nati

e per i figli minori cresciuti in Italia).

      1. All'articolo 1, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:

          «b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitore straniero, se il genitore è regolarmente presente in Italia da almeno due anni ed è titolare del permesso di soggiorno previsto dall'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni; entro due anni dal compimento della maggiore età il soggetto, qualora stabilisca la sua residenza all'estero, può rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana;

          b-ter) il minore figlio di genitore straniero, se fornisce prova della presenza continuativa in Italia da almeno sei anni e della partecipazione a un ciclo scolastico o di formazione professionale oppure dello svolgimento di regolare attività lavorativa e della conoscenza adeguata della lingua e della cultura italiane».

 

 

 

Art. 2.

(Concessione della cittadinanza

agli stranieri residenti in Italia).

      1. La lettera f) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

          «f) allo straniero che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica».

      2. All'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

 

      «2-bis. Ai fini della concessione della cittadinanza italiana ai sensi del comma 1 non è richiesta la rinuncia alla cittadinanza straniera».

 

 

 

Art. 3.

(Acquisto della cittadinanza per matrimonio).

      1. L'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «Art. 5. - 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza quando risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica ovvero dopo due anni dalla data del matrimonio se, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non sia intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussista separazione legale».

 

 

 

Art. 4.

(Disciplina del procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza).

      1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'interno, con proprio decreto emanato di concerto con il Ministro della solidarietà sociale, provvede a disciplinare il procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza e a stabilire il relativo termine, che non può comunque essere superiore a un anno dalla data di presentazione della domanda da parte dell'interessato.

 

 

 

Art. 5.

(Norme di adeguamento).

      1. Con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23  agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono emanate le disposizioni per l'attuazione della legge medesima.

      2. A decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 1 sono abrogati il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, e successive modificazioni, e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362.

 

 

 


 

N. 1607

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CAMERA DEI DEPUTATI

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DISEGNO DI LEGGE

 

presentato dal ministro dell'interno

(AMATO)

di concerto con il ministro degli affari esteri

(D'ALEMA)

con il ministro della giustizia

(MASTELLA)

con il ministro per le politiche per la famiglia

(BINDI)

e con il ministro dell'economia e delle finanze

(PADOA SCHIOPPA)

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Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza

 

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Presentato il 30 agosto 2006


Onorevoli Deputati! - Com'è noto, l'attuale disciplina in materia di cittadinanza, fortemente ancorata allo ius sanguinis, stabilisce che acquistano automaticamente, alla nascita, la cittadinanza italiana coloro i cui genitori, o anche soltanto il padre o la madre, siano cittadini italiani; il criterio alternativo dello ius soli è, invece, previsto in via molto residuale, limitatamente ai nati nel territorio italiano e aventi genitori ignoti o apolidi. La medesima possibilità è prevista per i nati in Italia ai quali la legge dello Stato di origine dei genitori non consente di acquisire la cittadinanza dei genitori stessi.

La cittadinanza italiana viene acquisita anche per riconoscimento della filiazione oppure a seguito dell'accertamento giudiziale della sussistenza della filiazione stessa. Lo straniero nato in Italia, inoltre, può divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari, entro un anno dal compimento dei diciotto anni, di voler acquistare la cittadinanza italiana.

Per quanto riguarda l'acquisto della cittadinanza da parte di stranieri o apolidi che hanno contratto matrimonio con cittadini italiani, l'acquisto della cittadinanza ha luogo se gli stessi risiedano legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica ovvero siano trascorsi tre anni dalla data del matrimonio e non vi sia stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili né sussista separazione legale.

L'acquisto della cittadinanza per concessione, infine, richiede una valutazione discrezionale di opportunità da parte della pubblica amministrazione. Il periodo di residenza legale in Italia, graduato in funzione dello status degli stranieri richiedenti - e che costituisce il requisito fondamentale per il conseguimento della cittadinanza secondo tale modalità - deve essere ininterrotto e attuale al momento della presentazione dell'istanza per la concessione della cittadinanza stessa.

In particolare, il cittadino non appartenente all'Unione europea può presentare domanda per ottenere la concessione della cittadinanza italiana qualora risieda in Italia da almeno dieci anni.

La legge 5 febbraio 1992, n. 91, ha, quindi, introdotto norme più severe e restrittive rispetto a quelle contenute nella legge 13 giugno 1912, n. 555, per quanto concerne l'applicazione dello ius soli, consentendo l'acquisizione della cittadinanza italiana da parte degli stranieri solo in presenza del requisito della residenza continuativa nel Paese dal momento della nascita fino alla maggiore età (articolo 4, comma 2, della legge n. 91 del 1992).

Inoltre, nell'attuale normativa viene, com'è noto, riconosciuto un particolare favor agli appartenenti ai Paesi membri della Comunità europea, che si estrinseca in determinate agevolazioni di carattere temporale ad essi riservate per l'acquisto della cittadinanza stessa.

Tuttavia, già in occasione del dibattito parlamentare relativo alla legge del 1992 non era mancato chi richiamava l'attenzione sulla necessità di rispettare lo spirito democratico ed egualitario contenuto nel preambolo dell'Atto unico europeo, evitando, così, di precostituire, per la concessione della cittadinanza, posizioni di vantaggio dei cittadini comunitari nei confronti di quelli dei Paesi terzi o di altre categorie di non cittadini.

A quel tempo, però, non si ritenne utile seguire detti segnali di apertura e, pertanto, la vigente legge, pur provvedendo ad adeguare la normativa sulla cittadinanza al dettato costituzionale e ai mutamenti di costume sotto il profilo della parità di sesso, anche a seguito degli specifici interventi della Corte costituzionale, ha finito per accentuare il divario tra cittadini «comunitari» e «non comunitari», aumentando, per questi ultimi, da cinque a dieci anni il periodo di residenza necessario per l'acquisizione del nostro status civitatis.

Allo stato attuale, pertanto, appare assolutamente imprescindibile la necessità di intervenire nella materia attraverso una riforma della disciplina sulla cittadinanza che si snodi attraverso modifiche riconducibili ad un unico comune denominatore, costituito dalla necessità di attuare effettive politiche di integrazione, favorendo l'acquisizione, in termini più aperti, del diritto di cittadinanza non solo per i nati in Italia, ma anche per coloro che soggiornano stabilmente nel nostro Paese. Non si può disconoscere, infatti, che l'attuale situazione sociale, caratterizzata da un massiccio fenomeno immigratorio, è profondamente diversa da quella esistente all'atto dell'adozione della legge che si intende modificare e non si può non tener conto di una realtà di fatto radicalmente mutata: l'Italia, infatti, da Paese di emigrazione è divenuta Paese di immigrazione.

A fronte di quanto precede, l'intervento che si propone, in una materia così delicata e rilevante, è stato il frutto di una approfondita e ponderata riflessione essendo, com'è noto, la cittadinanza il «rapporto fondamentale» che si instaura tra lo Stato e i singoli individui.

Nella Carta costituzionale infatti - pur non contenendo quest'ultima precise norme aventi ad oggetto l'acquisto e la perdita della cittadinanza, ad eccezione dell'articolo 22, che ne impedisce la perdita per motivi politici - numerosissime sono le disposizioni che si indirizzano ai «cittadini» (ad esclusione, quindi, degli stranieri e degli apolidi) e che fanno sorgere diritti e obblighi solo in capo a questi ultimi.

Inoltre, anche se la regolamentazione della cittadinanza è prerogativa assoluta di ogni singolo Stato, cioè di esclusiva competenza nazionale, e come tale appartenente alla sovranità di ogni singola nazione, non può non considerarsi, del pari, l'esigenza di pervenire a una armonizzazione della legislazione in tema di cittadinanza con quella degli Stati membri della Unione europea.

È noto, infatti, che le scelte di ogni singolo Stato si ripercuotono automaticamente in ambito europeo in quanto - a norma del Trattato di Maastricht e, in prospettiva, del Trattato istitutivo della Costituzione europea - ciascuna cittadinanza nazionale porta con sé lo status di cittadino europeo e, con esso, tutta una serie di potestà ben definite, tra cui, principalmente, il diritto di libera circolazione nell'intero territorio comunitario.

Del resto l'esperienza degli ultimi decenni ci insegna che le migrazioni internazionali non possono essere governate in maniera efficace da un singolo Stato di destinazione, ma richiedono efficaci forme di collaborazione tra i Paesi di destinazione e i Paesi d'origine e di transito.

Come nel resto d'Europa, anche in Italia l'entità del fenomeno migratorio e le sue caratteristiche stanno trasformando la nostra società in modo radicale e strutturale. Sono quasi tre milioni gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, il 4,8 per cento della popolazione, dato vicino alla media europea. Di loro, circa il 30 per cento risiede stabilmente sul nostro territorio da oltre cinque anni. È un'immigrazione articolata per provenienza, distribuita nelle grandi città e nei piccoli centri, che rende sempre più indispensabile, quindi, l'obiettivo di interesse comune dell'adattamento reciproco.

In ragione di quanto sopra, sia in ambito internazionale che nazionale, dagli operatori del settore è stato fortemente auspicato un rinnovamento del concetto di cittadinanza che superi le radicate concezioni di stampo etnico-territoriale, per dare vita a una idea di cittadinanza «aperta» di stampo socio-culturale, connessa all'effettività dell'inserimento economico, sociale e politico di coloro che intendono stabilirsi nel nostro Paese. Si richiama, in proposito, la Convenzione europea sulla cittadinanza, sottoscritta dall'Italia a Strasburgo nel 1997 e in attesa di ratifica, che invita gli Stati contraenti a rendere più facile l'acquisto della cittadinanza anche in favore delle persone nate nel proprio territorio, in presenza di determinati requisiti, e a stabilire regole certe e un periodo di soggiorno non superiore ai dieci anni per la richiesta di cittadinanza.

Al riguardo, sotto questo profilo, il periodo di residenza previsto dall'attuale normativa per la naturalizzazione degli stranieri extracomunitari è, in assoluto, il più lungo tra quelli europei: ad esempio, in Germania sono richiesti otto anni, in Francia e nel Regno Unito cinque.

Anche per quanto riguarda l'acquisizione della cittadinanza per ius soli il nostro ordinamento non contiene disposizioni di particolare favor per i nati in Italia, a differenza dagli altri Stati europei.

Da un esame della legislazione comparata si evince, infatti, che in Germania acquisiscono automaticamente la cittadinanza tedesca coloro che nascono nello Stato da genitori stranieri, purché almeno uno di essi risieda stabilmente nel Paese da almeno otto anni e sia in possesso di regolare autorizzazione al soggiorno o di permesso di soggiorno illimitato da almeno tre anni.

In Francia, acquisisce la cittadinanza il bambino nato sul territorio francese, figlio di genitori stranieri, al momento del compimento della maggiore età se, a quella data, abbia la propria residenza in Francia

 

o vi abbia risieduto abitualmente per un periodo, continuo o discontinuo, di almeno cinque anni dall'età di undici anni in poi. Inoltre, è francese il figlio, legittimo o naturale, nato in Francia quando almeno uno dei genitori vi sia nato, qualunque sia la sua cittadinanza.

In Spagna, è possibile acquisire la cittadinanza spagnola per coloro che, nati nello Stato, vi risiedano, invece, da un anno.

In Gran Bretagna, infine, acquisisce la cittadinanza britannica colui che nasce nel Regno Unito se uno dei genitori vi risieda a tempo indeterminato, senza soggiacere ai limiti temporali previsti dalla legislazione in materia di immigrazione. Ha, inoltre, titolo a chiedere il riconoscimento della cittadinanza britannica anche colui che, figlio di genitori non residenti stabilmente nel Regno Unito, nasce nel Regno Unito e vi risiede, continuativamente, per i dieci anni successivi alla nascita.

Risulta pertanto necessario e non più procrastinabile riformare la vigente legge attraverso una pluralità di interventi che prendono in considerazione le varie situazioni che contraddistinguono la presenza degli stranieri nel nostro Paese e, partitamente, i nati nel nostro territorio, i minori che si ricongiungono ai loro familiari in età infantile o adolescenziale e, infine, gli adulti.

In linea con la direttiva europea 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, istitutiva del «permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo», in corso di recepimento nel nostro ordinamento, si è ritenuto opportuno determinare, in cinque anni, il periodo temporale minimo di volta in volta richiesto per le varie fattispecie acquisitive della cittadinanza italiana contemplate dalla presente legge.

Diversamente dalla richiamata direttiva, si è ritenuto, però, opportuno riferire e collegare tale periodo alla residenza legale e continuativa - con ciò intendendosi la contestuale presenza di un regolare permesso di soggiorno più l'iscrizione anagrafica - quale migliore indice di stabilità e radicamento sul territorio ai fini del conseguimento dello status di cui trattasi.

Anche per i requisiti reddituali, richiesti in determinate ipotesi di acquisto della cittadinanza contemplate nel presente disegno di legge, si è fatto riferimento a quelli stabiliti per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

Ciò posto, nell'articolo 1 del disegno di legge in esame, che interviene precipuamente sullo ius soli, si è inteso da un lato valorizzare, ai fini dell'acquisizione della cittadinanza, la nascita dello straniero nel territorio della Repubblica e, dall'altro, introdurre gli opportuni contemperamenti necessari a scongiurare il pericolo di un afflusso indiscriminato di stranieri che raggiungono il nostro Paese con il solo miraggio di far acquistare la cittadinanza italiana ai propri figli.

A tale riguardo, conformemente alla citata direttiva europea 2003/109/CE che fissa a cinque anni di permanenza regolare e ininterrotta il termine per il conseguimento dello speciale permesso sostitutivo della carta di soggiorno, si è provveduto, nella lettera b-bis), a contemperare il principio dello ius soli con il requisito connesso alla regolare presenza di almeno uno dei genitori nel territorio della Repubblica per un periodo di cinque anni antecedenti alla nascita; e la regolare presenza è stata collegata, come sopra detto, al requisito della residenza legale e senza interruzioni in Italia che appare idoneo a comprovare un sufficiente grado di radicamento del soggetto nel territorio.

Con la lettera b-ter) si introduce un'ulteriore ipotesi di acquisto della cittadinanza iure soli, per i nati in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno, residente legalmente all'atto della nascita del figlio nel nostro Paese, sia nato in Italia. La disposizione è finalizzata a favorire l'integrazione degli immigrati di terza generazione come parimenti previsto dalle legislazioni di altri Paesi europei (Francia, Spagna e Olanda). Il requisito della nascita in Italia del genitore, unitamente a quello della residenza legale, costituisce significativo indice della concreta determinazione del soggetto di voler stabilmente dimorare nel nostro Paese e di inserirsi, con la propria discendenza, nel tessuto sociale creando le condizioni per una reale integrazione nel Paese stesso. Il riferimento ad «almeno uno» dei genitori è essenzialmente preordinato a evitare discriminazioni tra figli legittimi o riconosciuti anche da «uno» solo dei genitori stessi.

Per quanto concerne l'articolo 2, il principio ispiratore della riforma proposta costituisce una precisa alternativa sia allo ius sanguinis sia allo ius soli: è il cosiddetto ius domicilii, che si affianca allo ius soli per chi non è nato in Italia ma si trova a vivere nel nostro Paese gli anni decisivi della formazione della sua personalità.

I fatti posti a fondamento di questo diritto - sempre sulla base dell'inderogabile presupposto che almeno uno dei genitori sia residente nel nostro Paese da almeno cinque anni - sono sia la durata della vita in Italia per un congruo periodo, sempre determinato in cinque anni e che costituisce, si ripete, un indice di stabilità significativo nella vita del minore, sia la qualità della vita trascorsa, contrassegnata dalla partecipazione alla scuola e alla formazione professionale o dallo svolgimento di una attività lavorativa, qualora consentita dalle norme che regolano la materia.

Il conferimento della cittadinanza al minore che si trovi nelle condizioni previste dal citato articolo avviene su istanza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale in base all'ordinamento del Paese di origine. È fatta comunque salva la facoltà, per il soggetto, di rinunziare alla cittadinanza entro un anno dalla maggiore età.

Nel caso in cui, invece, il soggetto, in possesso dei suddetti requisiti, sia divenuto maggiorenne e risieda legalmente in Italia, può acquistare la cittadinanza con una propria dichiarazione da rendere entro un anno dal compimento della maggiore età.

L'articolo 3 del disegno di legge contiene una norma tendente a contrastare il fenomeno dei cosiddetti «matrimoni di comodo» stabilendo termini più rigorosi per l'acquisto della cittadinanza iure matrimonii. Di particolare rilevanza, altresì, la disposizione che, ai fini dell'acquisto dello status civitatis, richiede la sussistenza del regime matrimoniale anche al momento, successivo, dell'adozione del decreto del Ministro dell'interno.

Con l'articolo 4 viene stabilito che la cittadinanza per naturalizzazione ex articolo 9 venga concessa ai soggetti in possesso del requisito reddittuale non inferiore a quello richiesto per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

Nello stesso articolo, al comma 2, viene, altresì, ridotto di cinque anni per gli stranieri extracomunitari il periodo di residenza legale nel territorio dello Stato necessario per poter richiedere la cittadinanza italiana.

L'articolo 5 introduce il concetto di reale integrazione dello straniero nel territorio dello Stato, subordinando l'acquisizione della cittadinanza alla verifica della sua sussistenza. È un requisito, quest'ultimo, da tempo adottato in gran parte dei Paesi europei, tipizzato attraverso varie definizioni (tra cui «indicatore di socializzazione», «sufficiente integrazione personale e professionale») e concretizzato con diverse formalità attuative (test di integrazione, attestazione di conoscenza della lingua, frequenza di appositi corsi eccetera), ma tutte preordinate ad acclarare la serietà dell'intento di diventare cittadini, nonché la possibilità di un reale inserimento del soggetto nel tessuto sociale del Paese in vista del rapporto perdurante e stabile che con il conferimento della cittadinanza verrà a determinarsi con la società e le sue istituzioni, anche attraverso la conseguente acquisizione dei diritti civili e politici che lo Stato riserva ai suoi cittadini.

Viene, quindi, demandato a un regolamento da adottarsi con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, l'attuazione della presente legge.

L'ultima disposizione (articolo 6) modifica parzialmente l'articolo 10 della legge n. 91 del 1992, in materia di giuramento, prevedendo uno specifico rinvio al suddetto regolamento per quanto concerne le modalità e il contenuto dello stesso.

Ciò al fine di poter disciplinare in maniera più solenne, come accade in altri Stati europei, il conferimento della cittadinanza italiana, con la previsione di formalità e contenuti più consoni al qualificante status che lo Stato, con proprie leggi, si appresta a concedere a cittadini di altri Paesi.

La copertura finanziaria del presente disegno di legge è contenuta nell'articolo 7.


 

 


 

 

ANALISI TECNICO-NORMATIVA

 

 

1. Aspetti tecnico-normativi in senso stretto.

 

A) Analisi del quadro normativo, della necessità dell'intervento normativo e delle situazioni di fatto che giustificano l'innovazione della legislazione vigente; accertamento dell'esistenza nella materia oggetto dell'intervento di riserve assoluta o relativa di legge e di precedenti norme di delegificazione.

In materia di cittadinanza non sussiste alcuna specifica riserva di legge. L'articolo 10 della Costituzione demanda alla legge il compito di regolare la condizione giuridica dello straniero; l'articolo 22, poi, prevede soltanto che «nessuno può essere privato della cittadinanza [...] per motivi politici».

Il presente disegno di legge contiene una rimodulazione dei casi di acquisto della cittadinanza italiana, adeguandoli all'attuale contesto socio-culturale nazionale e internazionale.

 

B) Incidenza delle norme proposte sulle leggi e i regolamenti vigenti.

Il disegno di legge in esame modifica gli articoli 1, 4, 5, 9 e 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91. Tali modifiche richiederanno un adeguamento del regolamento di attuazione della medesima legge 5 febbraio 1992, n. 91, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572.

 

C) Analisi della compatibilità dell'intervento con l'ordinamento comunitario.

Non si ravvisano elementi di contrasto al riguardo. La nuova normativa si muove nello spirito della Convenzione europea sulla cittadinanza - sottoscritta dall'Italia a Strasburgo nel 1997 e in attesa di ratifica - che invita gli Stati contraenti a facilitare l'acquisto della cittadinanza a favore degli stranieri, in possesso di determinati requisiti, soggiornanti sul loro territorio.

 

D) Analisi della compatibilità con le competenze delle regioni ordinarie e a statuto speciale.

Non si ravvisano elementi di contrasto al riguardo. L'articolo 117, comma 2, lettera i), della Costituzione attribuisce allo Stato competenza esclusiva in tema di cittadinanza.

 

E) Verifica della coerenza con le fonti legislative primarie che dispongono il trasferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali.

Le disposizioni del presente provvedimento non inficiano l'autonomia degli enti locali.

 

2. Elementi di drafting e linguaggio normativo.

Il provvedimento:

contiene riferimenti legislativi corretti;

non introduce nuove definizioni normative;

non reca abrogazioni implicite di norme vigenti;

non richiede previsione di delega per la redazione di un testo unico nella materia in oggetto.

 

 


 

ANALISI DELL'IMPATTO DELLA REGOLAMENTAZIONE (AIR)

 

 

A) Destinatari dell'intervento.

Destinatari del provvedimento sono gli stranieri nati o residenti in Italia che siano in possesso dei requisiti stabiliti dalla presente legge per il conseguimento della cittadinanza italiana.

 

B) Obiettivi e risultati attesi.

L'emanazione delle nuove disposizioni ha lo scopo di semplificare le condizioni e i requisiti per l'acquisto della cittadinanza italiana per gli stranieri nati sul territorio nazionale o giunti in Italia in età minore e per la concessione della cittadinanza stessa agli stranieri extracomunitari maggiorenni residenti nel nostro Paese.

In tutte le fattispecie in precedenza menzionate, l'acquisto della cittadinanza è subordinato al ricorrere di elementi che dimostrino un radicamento del richiedente sul territorio nazionale.

I mezzi per la concreta realizzazione delle previsioni normative in esame verranno specificati con successivo decreto del Presidente della Repubblica.

Il provvedimento apporta modifiche agli articoli 1, 4, 5, 9 e 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91. All'articolo 1 della citata legge vengono introdotte ulteriori ipotesi di acquisto della cittadinanza iure soli; all'articolo 4 viene sostituito il comma 2 con una disposizione che contempla fattispecie acquisitive della cittadinanza per i minori stranieri che si trovino in determinati condizioni; all'articolo 5 vengono modificati i termini per l'acquisto della cittadinanza per matrimonio prevedendo, altresì, che il regime matrimoniale sussista anche al momento dell'adozione del relativo decreto; all'articolo 9, comma 1, viene ridotto a cinque anni, per gli stranieri extracomunitari, il periodo di residenza legale necessario per poter richiedere la cittadinanza.

Viene, infine, introdotta una disposizione relativa alla verifica dell'integrazione dello straniero nel territorio dello Stato, demandando a un decreto del Presidente della Repubblica l'attuazione della presente legge. Allo stesso regolamento fa rinvio la disposizione di modifica dell'articolo 10 della legge n. 91 del 1992, in materia di giuramento.

 

C) Impatto sull'organizzazione e sull'attività delle pubbliche amministrazioni.

Non si prevede l'istituzione di nuove strutture amministrative.

Il provvedimento comporta oneri finanziari, ma solo in relazione alle maggiorazioni pensionistiche previste dall'articolo 38, comma 9, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

 

 

D) Verifica dell'esistenza a carico di cittadini e delle imprese di oneri finanziarie, organizzativi e di adempimenti burocratici.

Le disposizioni del presente disegno di legge non determinano nuovi oneri finanziari, organizzativi o burocratici a carico di soggetti privati.

 

 

 


 

RELAZIONE TECNICA

(Articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni).

 

 

Per quanto concerne gli effetti finanziari, occorre precisare che il provvedimento non comporta oneri aggiuntivi sul piano della spesa assistenziale, in quanto, ai fini del conseguimento della cittadinanza da parte dello straniero o del minore figlio dello straniero è richiesto - a seconda dei casi al diretto interessato o al genitore - il possesso dei requisiti di legale soggiorno e reddituali necessari per il conseguimento del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, titolo analogo alla carta di soggiorno che, ai sensi dell'articolo 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, già conferisce allo straniero il pieno godimento dei diritti sociali.

Sul piano della spesa previdenziale, deve invece tenersi conto degli oneri derivanti dalla maggiorazione pensionistica di cui all'articolo 38, comma 9, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

La maggiorazione pensionistica prevista dalla citata legge n. 289 del 2002 è concessa ai pensionati residenti all'estero in possesso del requisito della cittadinanza italiana.

Pertanto, gli ampliamenti delle possibilità di acquisizione della cittadinanza previsti dal provvedimento possono determinare maggiori oneri in conseguenza del seguente evento: un soggetto straniero in possesso dei requisiti anagrafici richiesti (età di almeno settanta anni, ridotta di un anno per ogni cinque anni di contribuzione in Italia), nonché di requisiti reddituali fissati dalla legge, avente diritto a un trattamento pensionistico in Italia che, una volta conseguita la cittadinanza italiana, torna a risiedere nel paese di origine (o in altro Stato estero), acquistando così il diritto alla maggiorazione.

Questo fenomeno può riguardare coloro, tra i 556.000 stranieri attualmente titolari di carta di soggiorno, in possesso dei requisiti anagrafici e reddituali di legge, che hanno diritto a una pensione e che, in quanto legalmente soggiornanti da non meno di cinque anni, potrebbero acquisire immediatamente la cittadinanza e trasferirsi all'estero, maturando così il diritto alla maggiorazione.

 

Calcolo degli oneri.

Data una maggiorazione pensionistica annua che - tenendo conto del fatto che l'articolo 38 della legge n. 289 del 2002 fissa il principio del «reddito equivalente», nei diversi Paesi, all'importo di 516 euro mensili - si ipotizza mediamente pari a circa 1.600 euro pro capite, e nell'ipotesi di un numero di beneficiari pari a circa 120 unità, ne consegue un onere stimato in circa 200.000 euro annui a decorrere dall'anno 2007. Per l'anno 2006 non si prevedono oneri, anche in considerazione dei tempi necessari per le pratiche amministrative connesse al riconoscimento della cittadinanza.

Si prevede un impatto limitato sulla spesa per maggiorazioni pensionistiche recato dalle nuove disposizioni sulla cittadinanza, in considerazione dei requisiti anagrafici e reddituali richiesti, nonché della condizione dell'acquisizione della residenza in un Paese estero.

I predetti oneri, decorrenti dall'anno 2007, sono ipotizzati costanti nel tempo, ritenendo che, negli anni successivi, i nuovi ingressi siano compensati dalle eliminazioni (dovute sia ai decessi sia all'eventuale rientro in Italia dei pensionati). Inoltre, negli anni successivi al 2007, si dovrebbe rilevare una riduzione dei nuovi benefìci concessi, conseguente alle disposizioni più restrittive sulla concessione della cittadinanza al coniuge, previste dall'articolo 3 del provvedimento.

 

 

(importi in migliaia di euro)

2006

-

2007

-200

2008

-200

2009

-200

2010

-200

2011

-200

2012

-200

2013

-200

2014

-200

2015

-200

 

 


 


disegno di legge

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Art. 1.

(Nascita).

1. Al comma 1 dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:

«b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno sia residente legalmente in Italia senza interruzioni da almeno cinque anni al momento della nascita e in possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;

b-ter) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno, legalmente residente, sia nato in Italia e in possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo».

2. Dopo il comma 1 dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dal comma 1 del presente articolo, è inserito il seguente:

«1-bis. Nei casi di cui alle lettere b-bis) e b-ter) del comma 1, entro un anno dal compimento della maggiore età il soggetto può rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana».

 

 

Art. 2.

(Minori).

1. Il comma 2 dell'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dai seguenti:

«2. Il minore figlio di genitori stranieri, di cui almeno uno residente legalmente in Italia senza interruzioni da almeno cinque anni e in possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, che, anch'esso legalmente residente in Italia senza interruzioni per un periodo non inferiore a cinque anni, vi abbia frequentato un ciclo scolastico o un corso di formazione professionale o vi abbia svolto regolare attività lavorativa per almeno un anno diviene cittadino italiano su istanza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale secondo l'ordinamento del Paese di origine. Entro un anno dal compimento della maggiore età il soggetto può rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana.

2-bis. Alle medesime condizioni di cui al comma 2, qualora alla maggiore età lo straniero risieda legalmente nel territorio da almeno cinque anni, diviene cittadino italiano ove dichiari entro un anno dalla suddetta data di voler acquistare la cittadinanza italiana».

 

 

Art. 3.

(Matrimonio).

1. L'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«Art. 5. - 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni se all'estero, qualora, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non sia intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista separazione personale dei coniugi».

 

 

Art. 4.

(Concessione della cittadinanza).

1. L'alinea del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«1. La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, ai soggetti di seguito indicati e in possesso del requisito reddituale, non inferiore a quello richiesto per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, come determinato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze».

2. La lettera f) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

«f) allo straniero che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica».

 

 

Art. 5.

(Regolamento di esecuzione).

1. Dopo l'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dall'articolo 4 della presente legge, è inserito il seguente:

«Art. 9-bis. - 1. L'acquisizione della cittadinanza italiana nelle ipotesi di cui agli articoli 5 e 9, comma 1, lettera f), è comunque sottoposta alla verifica della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero nel territorio dello Stato.

2. Con regolamento di esecuzione della presente legge, adottato, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dell'interno, sono definiti i termini e le modalità per la presentazione delle istanze, gli organi competenti a riceverle nonché la documentazione da produrre, ivi compresa quella ritenuta idonea a comprovare la sussistenza del requisito di cui al comma 1, e sono armonizzate le norme contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, e successive modificazioni».

 

 

Art. 6.

(Giuramento).

1. L'articolo 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«Art. 10. - 1. Entro sei mesi dalla notifica del decreto di conferimento della cittadinanza, la persona a cui lo stesso si riferisce deve prestare giuramento secondo le modalità e i contenuti stabiliti nel regolamento di cui al comma 2 dell'articolo 9-bis.

2. Il decreto di conferimento della cittadinanza non ha effetto se il giuramento non è prestato entro il termine di cui al comma 1».

 

 

Art. 7.

(Copertura finanziaria).

1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in 200.000 euro annui a decorrere dall'anno 2007, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, utilizzando per l'anno 2007 la proiezione di parte dell'accantonamento relativo al Ministero dell'interno e per l'anno 2008 la proiezione di parte dell'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

2. L'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) provvede al monitoraggio degli oneri finanziari derivanti dalle disposizioni introdotte dalla presente legge, informando tempestivamente il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e il Ministro dell'economia e delle finanze, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Gli eventuali decreti emanati, ai sensi dell'articolo 7, comma 2, numero 2), della citata legge n. 468 del 1978, prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti o delle misure di cui al presente comma sono tempestivamente trasmessi alle Camere, corredati da apposite relazioni illustrative.

 

 

 

 


Testo a fronte

 

 

 


Raffronto tra la legge 91/1992 e i progetti di legge presentati

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 


 

 

L. 5 febbraio 1992, n. 91
Nuove norme sulla cittadinanza

 

A.C. 24
(on. Realacci)

A.C. 938
(on. Mascia ed altri)

A.C. 1297
(on. Merlo R.A. ed altri)

 

A.C. 1462
(on. Caparini ed altri)

A.C. 1529
(on. Boato)

A.C. 1570
(on. Bressa ed altri)

A.C. 1607
(Governo)

Art. 1.

Art. 1.

 

Art. 1.

 

 

Art. 1

Art. 1

Art. 1

1. È cittadino per nascita:

 

 

 

 

 

 

 

 

a) il figlio di padre o di madre cittadini;

 

 

 

 

 

 

 

 

b) chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica se il genitore è regolarmente presente in Italia da almeno due anni e titolare del permesso di soggiorno previsto dall’articolo 6, comma 1, o dall’articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni;

 

 

 

 

b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitore straniero, se il genitore è regolarmente presente in Italia da almeno cinque anni ed è titolare del permesso di soggiorno previsto dall'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.

b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitore straniero, se il genitore è regolarmente presente in Italia da almeno due anni ed è titolare del permesso di soggiorno previsto dall'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni; entro due anni dal compimento della maggiore età il soggetto, qualora stabilisca la sua residenza all'estero, può rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana;

«b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno sia residente legalmente in Italia senza interruzioni da almeno cinque anni al momento della nascita e in possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;

 

 

 

 

 

 

 

 

b-ter) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno, legalmente residente, sia nato in Italia e in possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;

 

b-ter) il minore figlio di genitore straniero se fornisce prova della presenza continuativa in Italia da almeno sei anni e della partecipazione ad un ciclo scolastico o di formazione professionale oppure dello svolgimento di regolare attività lavorativa, unitamente alla conoscenza adeguata della lingua e della cultura italiane.

 

 

 

 

[Vedi co. 2-bis]

b-ter) il minore figlio di genitore straniero, se fornisce prova della presenza continuativa in Italia da almeno sei anni e della partecipazione a un ciclo scolastico o di formazione professionale oppure dello svolgimento di regolare attività lavorativa e della conoscenza adeguata della lingua e della cultura italiane

[Vedi art. 4, co. 2 e 2-bis]

 

 

 

1-bis. E’ cittadina la donna che è stata cittadina per nascita e ha perduto la cittadinanza in quanto coniugata con cittadino straniero, anche quando il matrimonio è stato contratto prima del 1 gennaio 1948.

 

 

 

 

 

 

 

 

1-ter. E’ cittadino il figlio della donna di cui al comma 1-bis nato anteriormente al 1 gennaio 1948.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1-bis. Nei casi di cui alle lettere b-bis) e b-ter) del comma 1, entro un anno dal compimento della maggiore età il soggetto può rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana.

2. È considerato cittadino per nascita il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Vedi co. 1, lett. b-ter]

 

 

 

 

2-bis. È considerato cittadino per nascita il minore il cui genitore straniero, legalmente residente in Italia da almeno cinque anni, fornisca prova della partecipazione del minore a un ciclo scolastico o di formazione professionale oppure dello svolgimento di regolare attività lavorativa.

 

[Vedi art. 4, co. 2 e 2-bis]

Art. 2.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale della filiazione durante la minore età del figlio ne determina la cittadinanza secondo le norme della presente legge.

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Se il figlio riconosciuto o dichiarato è maggiorenne conserva il proprio stato di cittadinanza, ma può dichiarare, entro un anno dal riconoscimento o dalla dichiarazione giudiziale, ovvero dalla dichiarazione di efficacia del provvedimento straniero, di eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

3. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai figli per i quali la paternità o maternità non può essere dichiarata, purché sia stato riconosciuto giudizialmente il loro diritto al mantenimento o agli alimenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 3.

 

Art. 3.

 

 

 

 

 

 

1. Il minore straniero adottato da cittadino italiano acquista la cittadinanza.

 

[Articolo abrogato] [36]

 

 

 

 

 

 

2. La disposizione del comma 1 si applica anche nei confronti degli adottati prima della data di entrata in vigore della presente legge.

 

 

 

 

 

 

 

 

3. Qualora l’adozione sia revocata per fatto dell’adottato, questi perde la cittadinanza italiana, sempre che sia in possesso di altra cittadinanza o la riacquisti.

 

 

 

 

 

 

 

 

4. Negli altri casi di revoca l’adottato conserva la cittadinanza italiana. Tuttavia, qualora la revoca intervenga durante la maggiore età dell’adottato, lo stesso, se in possesso di altra cittadinanza o se la riacquisti, potrà comunque rinunciare alla cittadinanza italiana entro un anno dalla revoca stessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 4.

 

Art. 4

 

 

 

Art. 4

 

Art. 4

1. Lo straniero o l’apolide, del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, diviene cittadino:

 

[articolo abrogato]

 

 

 

 

 

 

a) se presta effettivo servizio militare per lo Stato italiano e dichiara preventivamente di voler acquistare la cittadinanza italiana;

 

 

 

 

 

 

 

 

b) se assume pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, e dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana;

 

 

 

 

 

 

 

 

c) se, al raggiungimento della maggiore età, risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica e dichiara, entro un anno dal raggiungimento, di voler acquistare la cittadinanza italiana.

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data.

[Vedi art. 1, co. 1, lett. b-ter]

 

 

 

 

[Vedi art. 1, co. 2-bis]

 

2. Il minore figlio di genitori stranieri, di cui almeno uno residente legalmente in Italia senza interruzioni da almeno cinque anni e in possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, che, anch'esso legalmente residente in Italia senza interruzioni per un periodo non inferiore a cinque anni, vi abbia frequentato un ciclo scolastico o un corso di formazione professionale o vi abbia svolto regolare attività lavorativa per almeno un anno diviene cittadino italiano su istanza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale secondo l'ordinamento del Paese di origine. Entro un anno dal compimento della maggiore età il soggetto può rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana.

 

 

 

 

 

 

 

 

2-bis. Alle medesime condizioni di cui al comma 2, qualora alla maggiore età lo straniero risieda legalmente nel territorio da almeno cinque anni, diviene cittadino italiano ove dichiari entro un anno dalla suddetta data di voler acquistare la cittadinanza italiana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 5.

 

Art. 5

 

 

 

Art. 5.

Art. 5.

Art. 5.

1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando risiede legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale.

 

[articolo abrogato]

 

 

 

1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza dopo tre anni dalla data del matrimonio se, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7, non sia intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussista separazione legale.

1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza quando risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica ovvero dopo due anni dalla data del matrimonio se, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non sia intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussista separazione legale.

Art. 5. - 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni se all'estero, qualora, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non sia intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista separazione personale dei coniugi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 6.

 

Art. 6.

 

 

 

 

 

 

1. Precludono l’acquisto della cittadinanza ai sensi dell’articolo 5:

 

1. Precludono il riconoscimento della cittadinanza ai sensi delle lettere a), b), d), e), f), g) ed i) del comma 1 dell’articolo 9:

 

 

 

 

 

 

a) la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III, del codice penale;

 

a) la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III, del codice penale;

 

 

 

 

 

 

b) la condanna per un delitto non colposo per il quale la legge preveda una pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione; ovvero la condanna per un reato non politico ad una pena detentiva superiore ad un anno da parte di una autorità giudiziaria straniera, quando la sentenza sia stata riconosciuta in Italia;

 

[Lettera soppressa]

 

 

 

 

 

 

c) la sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

 

b) la sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

 

 

 

 

 

 

2. Il riconoscimento della sentenza straniera è richiesto dal procuratore generale del distretto dove ha sede l’ufficio dello stato civile in cui è iscritto o trascritto il matrimonio, anche ai soli fini ed effetti di cui al comma 1, lettera b).

 

[Comma soppresso]

 

 

 

 

 

 

3. La riabilitazione fa cessare gli effetti preclusivi della condanna.

 

2. La riabilitazione fa cessare gli effetti preclusivi della condanna.

 

 

 

 

 

 

4. L’acquisto della cittadinanza è sospeso fino a comunicazione della sentenza definitiva, se sia stata promossa azione penale per uno dei delitti di cui al comma 1, lettera a) e lettera b), primo periodo, nonché per il tempo in cui è pendente il procedimento di riconoscimento della sentenza straniera, di cui al medesimo comma 1, lettera b), secondo periodo.

 

3. Il riconoscimento della cittadinanza è sospeso fino a comunicazione della sentenza definitiva, qualora sia stata promossa azione penale per uno dei delitti di cui al comma 1, lettera a).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 7.

 

Art. 7.

 

 

 

 

 

 

1. Ai sensi dell’articolo 5, la cittadinanza si acquista con decreto del Ministro dell’interno, a istanza dell’interessato, presentata al sindaco del comune di residenza o alla competente autorità consolare[37].

 

1. La cittadinanza è riconosciuta con atto del prefetto competente per territorio, denominato “attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana”, a richiesta dell’interessato, presentata al sindaco del comune di residenza o alla competente autorità consolare.

 

 

 

 

 

 

2. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 3 della legge 12 gennaio 1991, n. 13.

 

[Comma soppresso]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 8.

 

Art. 8.

 

 

 

 

 

 

1. Con decreto motivato, il Ministro dell'interno respinge l'istanza di cui all'articolo 7 ove sussistano le cause ostative previste nell'articolo 6. Ove si tratti di ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica, il decreto è emanato su conforme parere del Consiglio di Stato. L'istanza respinta può essere riproposta dopo cinque anni dall'emanazione del provvedimento.

 

1. Il prefetto competente per territorio respinge l'istanza di riconoscimento della cittadinanza di cui all'articolo 7 ove sussistano le cause ostative previste all'articolo 6. Ove si tratti di ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica, è richiesto il parere conforme del Consiglio di Stato. L'istanza respinta può essere riproposta dopo due anni dall'emanazione del relativo provvedimento.

 

 

 

 

 

 

2. L'emanazione del decreto di rigetto dell'istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell'istanza stessa, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di due anni.

 

2. L'emanazione dell'ordinanza di rigetto dell'istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell'istanza medesima, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di un anno.

 

 

 

 

 

 

 

 

3. L'attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana di cui all'articolo 7 non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica dell'attestato medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 9.

Art. 9

Art. 9

 

 

 

Art. 9

Art. 9

Art. 9

1. La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno:

 

La cittadinanza italiana è riconosciuta dal prefetto della provincia di residenza:

 

 

 

 

 

1. La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, ai soggetti di seguito indicati e in possesso del requisito reddituale, non inferiore a quello richiesto per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, come determinato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

a) allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi i casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni, comunque fatto salvo quanto previsto dall'articolo 4, comma 1, lettera c);

 

a) allo straniero o all'apolide del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea diretta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni;

 

 

 

 

 

 

b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione;

 

b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano;

 

 

 

 

 

 

 

 

c) allo straniero minorenne adottato da cittadino italiano;

 

 

 

 

 

 

c) allo straniero che ha prestato servizio, anche all'estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello Stato;

 

d) allo straniero che ha prestato servizio, anche all'estero, per almeno tre anni alle dipendenze dello Stato;

 

 

 

 

 

 

d) al cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee se risiede legalmente da almeno quattro anni nel territorio della Repubblica;

 

e) al cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea se risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

 

 

 

 

 

 

e) all'apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica;

 

f) all'apolide che risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

 

 

e) all’apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica, previo superamento di un test di naturalizzazione[38];

 

 

 

f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica

f) allo straniero regolarmente presente nel territorio della Repubblica in forma continua e abituale da almeno sei anni, se dimostra di essere in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, in misura non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale, e di conoscere in maniera adeguata la lingua e la cultura italiane.

g) allo straniero che risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

 

 

f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, previo superamento di un test  di naturalizzazione e previa rinuncia alla propria cittadinanza;

f) allo straniero regolarmente presente nel territorio della Repubblica in forma continua e abituale da almeno cinque anni, se dimostra di essere in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, in misura non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale.

f) allo straniero che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica.

f) allo straniero che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica.

 

 

h) ai figli di stranieri nati sul territorio della Repubblica;

 

 

 

 

 

 

 

 

i) al coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno sei mesi ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale.

 

 

 

 

 

 

2. Con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri, la cittadinanza può essere concessa allo straniero quando questi abbia reso eminenti servizi all'Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2-bis. L’acquisto della cittadinanza ai sensi del presente articolo è precluso nei casi di cui all’articolo 6.

 

2-bis. Ai fini della concessione della cittadinanza italiana ai sensi del comma 1 non è richiesta la rinuncia alla cittadinanza straniera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 9-bis

 

 

 

 

 

 

 

 

1. L'acquisizione della cittadinanza italiana nelle ipotesi di cui agli articoli 5 e 9, comma 1, lettera f), è comunque sottoposta alla verifica della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero nel territorio dello Stato.

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Con regolamento di esecuzione della presente legge, adottato, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dell'interno, sono definiti i termini e le modalità per la presentazione delle istanze, gli organi competenti a riceverle nonché la documentazione da produrre, ivi compresa quella ritenuta idonea a comprovare la sussistenza del requisito di cui al comma 1, e sono armonizzate le norme contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, e successive modificazioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 10.

 

Art. 10.

 

 

 

 

 

Art. 10.

1. Il decreto di concessione della cittadinanza non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato.

 

[Articolo abrogato]

 

 

 

 

 

1. Entro sei mesi dalla notifica del decreto di conferimento della cittadinanza, la persona a cui lo stesso si riferisce deve prestare giuramento secondo le modalità e i contenuti stabiliti nel regolamento di cui al comma 2 dell'articolo 9-bis.

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Il decreto di conferimento della cittadinanza non ha effetto se il giuramento non è prestato entro il termine di cui al comma 1.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 11.

 

Art. 11.

 

 

Art. 11.

 

 

 

1. Il cittadino che possiede, acquista o riacquista una cittadinanza straniera conserva quella italiana, ma può ad essa rinunciare qualora risieda o stabilisca la residenza all'estero.

 

Articolo abrogato][39]

 

 

[Articolo abrogato]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 12.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Il cittadino italiano perde la cittadinanza se, avendo accettato un impiego pubblico od una carica pubblica da uno Stato o ente pubblico estero o da un ente internazionale cui non partecipi l'Italia, ovvero prestando servizio militare per uno Stato estero, non ottempera, nel termine fissato, all'intimazione che il Governo italiano può rivolgergli di abbandonare l'impiego, la carica o il servizio militare.

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Il cittadino italiano che, durante lo stato di guerra con uno Stato estero, abbia accettato o non abbia abbandonato un impiego pubblico od una carica pubblica, od abbia prestato servizio militare per tale Stato senza esservi obbligato, ovvero ne abbia acquistato volontariamente la cittadinanza, perde la cittadinanza italiana al momento della cessazione dello stato di guerra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 13.

 

Art. 13.

 

 

 

 

 

 

1. Chi ha perduto la cittadinanza la riacquista:

 

1. A coloro che hanno perduto la cittadinanza, la stessa è nuovamente riconosciuta se:

 

 

 

 

 

 

a) se presta effettivo servizio militare per lo Stato italiano e dichiara previamente di volerla riacquistare;

 

[Lettera soppressa]

 

 

 

 

 

 

 

 

a) avendola perduta per non aver ottemperato all'intimazione di abbandonare l'impiego o la carica accettati da uno Stato, da un ente pubblico estero o da un ente internazionale, ovvero il servizio militare per uno Stato estero, dichiarano di volerla riacquistare, sempre che abbiano stabilito la residenza da un anno nel territorio della Repubblica e dimostrino di avere abbandonato l'impiego o la carica o il servizio militare, assunti o prestati nonostante l'intimazione di cui all'articolo 12;

 

 

 

 

 

 

 

 

b) dichiarano di volerla riacquistare e hanno stabilito o stabiliscono, entro un anno dalla dichiarazione, la residenza nel territorio della Repubblica;

 

 

 

 

 

 

b) se, assumendo o avendo assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all'estero, dichiara di volerla riacquistare;

 

c) assumendo o avendo assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato italiano, anche all'estero, dichiarano di volerla riacquistare;

 

 

 

 

 

 

c) se dichiara di volerla riacquistare ed ha stabilito o stabilisce, entro un anno dalla dichiarazione, la residenza nel territorio della Repubblica;

 

[Vedi lettera b)]

 

 

 

 

 

 

d) dopo un anno dalla data in cui ha stabilito la residenza nel territorio della Repubblica, salvo espressa rinuncia entro lo stesso termine;

 

d) è decorso un anno dalla data in cui hanno stabilito la residenza nel territorio della Repubblica, salvo espressa rinuncia entro lo stesso termine.

 

 

 

 

 

 

e) se, avendola perduta per non aver ottemperato all'intimazione di abbandonare l'impiego o la carica accettati da uno Stato, da un ente pubblico estero o da un ente internazionale, ovvero il servizio militare per uno Stato estero, dichiara di volerla riacquistare, sempre che abbia stabilito la residenza da almeno due anni nel territorio della Repubblica e provi di aver abbandonato l'impiego o la carica o il servizio militare, assunti o prestati nonostante l'intimazione di cui all'articolo 12, comma 1.

 

[Vedi lettera a)]

 

 

 

 

 

 

2. Non è ammesso il riacquisto della cittadinanza a favore di chi l'abbia perduta in applicazione dell'articolo 3, comma 3, nonché dell'articolo 12, comma 2.

 

[Comma soppresso]

 

 

 

 

 

 

3. Nei casi indicati al comma 1, lettera c), d) ed e), il riacquisto della cittadinanza non ha effetto se viene inibito con decreto del Ministro dell'interno, per gravi e comprovati motivi e su conforme parere del Consiglio di Stato. Tale inibizione può intervenire entro il termine di un anno dal verificarsi delle condizioni stabilite.

 

2. Nei casi indicati al comma 1, lettere b), c) e d), il riacquisto della cittadinanza non ha effetto se viene inibito con atto del prefetto competente per territorio in presenza di gravi e comprovati motivi e previo conforme parere del Consiglio di Stato. Tale inibizione può intervenire entro il termine di un anno dal verificarsi delle condizioni stabilite.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 14.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. I figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, se convivono con esso, acquistano la cittadinanza italiana, ma, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 15.

 

Art. 15.

 

 

 

 

 

 

1. L'acquisto o il riacquisto della cittadinanza ha effetto, salvo quanto stabilito dall'articolo 13, comma 3, dal giorno successivo a quello in cui sono adempiute le condizioni e le formalità richieste.

 

[Articolo abrogato][40]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 16.

 

Art. 16

 

 

 

 

 

 

1. L'apolide che risiede legalmente nel territorio della Repubblica è soggetto alla legge italiana per quanto si riferisce all'esercizio dei diritti civili ed agli obblighi del servizio militare.

 

1. L'apolide che risiede legalmente nel territorio della Repubblica è soggetto alla legge italiana per quanto attiene all'esercizio dei diritti civili.

 

 

 

 

 

 

2. Lo straniero riconosciuto rifugiato dallo Stato italiano secondo le condizioni stabilite dalla legge o dalle convenzioni internazionali è equiparato all'apolide ai fini dell'applicazione della presente legge, con esclusione degli obblighi inerenti al servizio militare.

 

2. Lo straniero riconosciuto rifugiato dallo Stato italiano secondo le condizioni stabilite dalla legge o dalle convenzioni internazionali è equiparato all'apolide ai fini dell'applicazione delle disposizioni della presente legge.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 17.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Chi ha perduto la cittadinanza in applicazione degli articoli 8 e 12 della legge 13 giugno 1912, n. 555, o per non aver reso l'opzione prevista dall'articolo 5 della legge 21 aprile 1983, n. 123, la riacquista se effettua una dichiarazione in tal senso entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge[41].

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 219 della legge 19 maggio 1975, n. 151.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 17-bis.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Il diritto alla cittadinanza italiana è riconosciuto:

 

 

 

 

 

 

 

 

a) ai soggetti che siano stati cittadini italiani, già residenti nei territori facenti parte dello Stato italiano successivamente ceduti alla Repubblica jugoslava in forza del Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso esecutivo dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, ratificato dalla legge 25 novembre 1952, n. 3054, ovvero in forza del Trattato di Osimo del 10 novembre 1975, reso esecutivo dalla legge 14 marzo 1977, n. 73, alle condizioni previste e in possesso dei requisiti per il diritto di opzione di cui all'articolo 19 del Trattato di pace di Parigi e all'articolo 3 del Trattato di Osimo;

 

 

 

 

 

 

 

 

b) alle persone di lingua e cultura italiane che siano figli o discendenti in linea retta dei soggetti di cui alla lettera a) (9).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 17-ter.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Il diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana di cui all'articolo 17- bis è esercitato dagli interessati mediante la presentazione di una istanza all'autorità comunale italiana competente per territorio in relazione alla residenza dell'istante, ovvero, qualora ne ricorrano i presupposti, all'autorità consolare, previa produzione da parte dell'istante di idonea documentazione, ai sensi di quanto disposto con circolare del Ministero dell'interno, emanata di intesa con il Ministero degli affari esteri[42].

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Al fine di attestare la sussistenza dei requisiti di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 17- bis, all'istanza deve essere comunque allegata la certificazione comprovante il possesso, all'epoca, della cittadinanza italiana e della residenza nei territori facenti parte dello Stato italiano e successivamente ceduti alla Repubblica jugoslava in forza dei Trattati di cui al medesimo comma 1 dell'articolo 17-bis.

 

 

 

 

 

 

 

 

3. Al fine di attestare la sussistenza dei requisiti di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 17- bis, all'istanza deve essere comunque allegata la seguente documentazione:

 

 

 

 

 

 

 

 

a) i certificati di nascita attestanti il rapporto di discendenza diretta tra l'istante e il genitore o l'ascendente;

 

 

 

 

 

 

 

 

b) la certificazione storica, prevista per l'esercizio del diritto di opzione di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 17- bis, attestante la cittadinanza italiana del genitore dell'istante o del suo ascendente in linea retta e la residenza degli stessi nei territori facenti parte dello Stato italiano e successivamente ceduti alla Repubblica jugoslava in forza dei Trattati di cui al medesimo comma 1 dell'articolo 17- bis;

 

 

 

 

 

 

 

 

c) la documentazione atta a dimostrare il requisito della lingua e della cultura italiane dell'istante (11).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 18.

 

 

 

 

 

 

 

 

[Abrogato][43]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 19.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Restano salve le disposizioni della legge 9 gennaio 1956, n. 27 , sulla trascrizione nei registri dello stato civile dei provvedimenti di riconoscimento delle opzioni per la cittadinanza italiana, effettuate ai sensi dell'articolo 19 del Trattato di pace tra le potenze alleate ed associate e l'Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 20.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Salvo che sia espressamente previsto, lo stato di cittadinanza acquisito anteriormente alla presente legge non si modifica se non per fatti posteriori alla data di entrata in vigore della stessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 21.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Ai sensi e con le modalità di cui all'articolo 9, la cittadinanza italiana può essere concessa allo straniero che sia stato affiliato da un cittadino italiano prima della data di entrata in vigore della legge 4 maggio 1983, n. 184 , e che risieda legalmente nel territorio della Repubblica da almeno sette anni dopo l'affiliazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 22.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Per coloro i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, abbiano già perduto la cittadinanza italiana ai sensi dell'articolo 8 della legge 13 giugno 1912, n. 555, cessa ogni obbligo militare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 23.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Le dichiarazioni per l'acquisto, la conservazione, il riacquisto e la rinunzia alla cittadinanza e la prestazione del giuramento previste dalla presente legge sono rese all'ufficiale dello stato civile del comune dove il dichiarante risiede o intende stabilire la propria residenza, ovvero, in caso di residenza all'estero, davanti all'autorità diplomatica o consolare del luogo di residenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Le dichiarazioni di cui al comma 1, nonché gli atti o i provvedimenti attinenti alla perdita, alla conservazione e al riacquisto della cittadinanza italiana vengono trascritti nei registri di cittadinanza e di essi viene effettuata annotazione a margine dell'atto di nascita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 24.

 

 

 

 

 

 

 

 

[abrogato][44]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 25.

 

Art. 25[45].

Art. 25[46]

 

Art. 25[47]

Art. 25[48].

Art. 25[49]

Art. 25[50].

1. Le disposizioni necessarie per l'esecuzione della presente legge sono emanate, entro un anno dalla sua entrata in vigore, con decreto del Presidente della Repubblica, udito il parere del Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri degli affari esteri e dell'interno, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 26.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Sono abrogati la legge 13 giugno 1912, n. 555, la legge 31 gennaio 1926, n. 108 , il regio decreto-legge 1° dicembre 1934, n. 1997 (14), convertito dalla legge 4 aprile 1935, n. 517, l'articolo 143-ter del codice civile, la legge 21 aprile 1983, n. 123, l'articolo 39 della legge 4 maggio 1983, n. 184 , la legge 15 maggio 1986, n. 180 , e ogni altra disposizione incompatibile con la presente legge.

 

 

 

 

 

 

 

 

2. È soppresso l'obbligo dell'opzione di cui all'articolo 5, comma secondo, della legge 21 aprile 1983, n. 123, e all'articolo 1, comma 1, della legge 15 maggio 1986, n. 180 .

 

 

 

 

 

 

 

 

3. Restano salve le diverse disposizioni previste da accordi internazionali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 27.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. La presente legge entra in vigore sei mesi dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lavori parlamentari
svolti nella XIV legislatura


Camera dei deputati


Progetti di legge


 

N. 204

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

CIMA, BULGARELLI

 

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Modifica all’articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di acquisto della cittadinanza per nascita

 

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Presentata il 30 maggio 2001


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Onorevoli Colleghi! - Gli ultimi anni sono stati quanto mai significativi per quanto riguarda il fenomeno della mobilità migratoria: basti pensare all’inclusione dell’Italia nel sistema di Schengen e al lavoro parlamentare che ha reso possibile l’approvazione della legge 6 marzo 1998, n. 40 e successivamente l’emanazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

A partire dal secondo dopoguerra ad oggi, è possibile individuare e distinguere almeno tre grandi fasi del fenomeno migratorio mondiale, ciascuna delle quali legata indissolubilmente a differenti congiunture economiche e a diverse circostanze politiche e sociali. La prima fase è quella che, partendo dall’immediato dopoguerra, termina intorno alla fine degli anni sessanta: essa appare caratterizzata da ciò che è stato definito "liberismo migratorio", ovvero dallo spostamento di consistenti gruppi di migranti da una nazione all’altra (spesso a causa della difficile ricostruzione post-bellica, incoraggiati alla partenza dai loro stessi Paesi d’origine), senza alcuna regolamentazione dei flussi sul piano normativo. In questo periodo i principali "esportatori" sono stati i Paesi europei del Mediterraneo e in particolare proprio l’Italia.

La seconda fase è compresa tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni settanta.

Nell’ultima fase, che dagli inizi degli anni ottanta arriva fino ai nostri giorni, il fenomeno migratorio è venuto facendosi molto più complesso e articolato rispetto alle epoche passate, sia perché è andato rapidamente interessando un maggior numero di Paesi di provenienza e di approdo, sia perché ha continuamente coinvolto organismi e fattori della vita comune sempre più numerosi.

L’ondata migratoria è pertanto ormai divenuta fenomeno mondiale che sembra destinato a ridisegnare in modo più variegato, grazie a un nuovo scenario di etnie e di culture, la struttura sociale e occupazionale.

Eppure l’immigrazione rischia, per una buona parte della popolazione, di restare qualcosa di estraneo, pur essendo un segno dei tempi che ci accompagnerà anche nel prossimo secolo.

Qualsiasi rassegna sullo stato delle migrazioni nei vari continenti è condizionata dal fatto che spesso i dati risultano difficilmente comparabili dal momento che i sistemi di rilevazione non sono omogenei. Ad esempio, nella stessa Europa - dove pure il rilevamento statistico è considerato indispensabile - sono registrati come "stranieri" coloro che intendono risiedere all’estero o per più di un anno (Danimarca, Svezia, Svizzera), o per più di sei mesi (Norvegia), o per almeno tre mesi (Italia), mentre i richiedenti asilo non sempre sono inclusi nelle registrazioni.

La stima dell’intera popolazione straniera presente in tutti i Paesi del mondo (inclusi i rifugiati) viene di volta in volta elaborata sia in base alle anagrafi e ai registri degli stranieri, laddove esistono, sia soprattutto in base ai censimenti.

In ogni caso, secondo una stima della "Population Division" dell’ONU ("World Population Prospects: the 1996 Revision", che ha rivisto le stime contenute nella "Population Newsletter" pubblicata nel 1995 dall’ONU stessa) le migrazioni coinvolgono, a livello planetario, più di 100 milioni di individui: in particolare, le persone che vivono al di fuori del loro Stato di nascita risultano passate da 75 milioni nel 1965 a 84 nel 1975 (aumento annuo dell’1,2 per cento), a 105 nel 1985 (aumento annuo del 2,2 per cento), a 119 all’inizio del 1990 (aumento annuo del 2,6 per cento). Poiché l’incremento avviene in media al ritmo di circa un milione all’anno, si calcola che attualmente abbiano raggiunto il numero complessivo di circa 130 milioni, di cui quasi il 55 per cento è concentrato nei Paesi in via di sviluppo e il restante nei Paesi a sviluppo avanzato. In tali condizioni strutturali proprie dell’attuale contesto mondiale, è naturale prevedere che i movimenti migratori assumeranno dimensioni ancora più rilevanti.

Ai sensi dell’articolo 5 del citato testo unico possono soggiornare in Italia i cittadini stranieri muniti di carta di soggiorno (rilasciata agli stranieri con più di cinque anni di residenza), di permesso di soggiorno (da richiedere entro otto giorni al questore della provincia competente) o titolo equipollente rilasciato da uno Stato dell’Unione europea (ad essi è rilasciata una ricevuta della dichiarazione di soggiorno). Una innovazione giuridica di rilevante portata, introdotta dalla legge n. 40 del 1998, consiste nella previsione di una carta di soggiorno a tempo indeterminato, da rilasciare allo straniero regolarmente soggiornante da almeno cinque anni per motivi suscettibili di rinnovo, il quale dimostri di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari e non sia stato condannato per aver commesso delitti di particolare gravità (ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale). Questi cittadini stranieri, che costituiranno l’immigrazione maggiormente inserita nella società italiana, godranno di una più completa equiparazione agli italiani per quanto riguarda l’accesso ai servizi, l’esercizio di una attività lavorativa, la libertà di movimento in esenzione di visti e la stessa partecipazione all’elettorato attivo quando questa innovazione verrà recepita nel nostro ordinamento giuridico, così come è già avvenuto in altri Stati membri dell’Unione europea.

Il tasso di stabilità generale, rapportato alla popolazione straniera complessiva, è pari al 54,7 per cento: infatti, al 31 dicembre 1991, i soggiornanti con permesso di soggiorno in corso di validità erano 859.571. Supera, invece, il 60 per cento il tasso di stabilità rapportato ai motivi che implicano un certo soggiorno duraturo, in particolare per lavoro. Indubbiamente, ci troviamo di fronte ad un alto tasso di stabilità, di cui la rilevazione statistica ci invita a prendere atto dando maggiore spessore alla politica di inserimento e lasciando cadere la presunzione di un’immigrazione in prevalenza temporanea.

In ogni modo sono andate delineandosi alcune tendenze di rilevante significato sociale:

1) l’immigrazione è un fenomeno di mobilità ma con tendenza al radicamento nel Paese, salvo gli spostamenti da una provincia all’altra;

2) la percentuale dei residenti di lunga durata è più alta di quanto si potesse immaginare;

3) il radicamento in atto è destinato a far aumentare i ricongiungimenti familiari, i matrimoni e quindi anche il numero dei minori;

4) in un contesto simile è fondamentale un’adeguata politica di integrazione.

Per quanto riguarda l’obiettivo dell’integrazione, bisogna adoperarsi per promuovere una molteplicità di iniziative che consentano di recuperare i ritardi e di rispondere adeguatamente alla voglia di convivenza degli immigrati, assicurando anche la disponibilità a ritornare in prospettiva sulle disposizioni in materia di cittadinanza. Nel diritto, la cittadinanza è una posizione soggettiva, importante in quanto presupposto di diritti e di doveri civili e politici.

L’Italia, nello scenario europeo, è un Paese di immigrazione di media grandezza quanto allo stock di immigrati, mentre è ancora ridotta la loro incidenza sulla popolazione residente.

La nostra legge sulla nazionalità è del 1992, ma è arcaica, arretrata rispetto alle nuove realtà nate con l’immigrazione. E’ troppo legata e condizionata dal vecchio jus sanguinis e dalla tutela della discendenza. Il criterio dello jus sanguinis attribuisce, infatti, la cittadinanza sulla base della situazione giuridica di filiazione.

Se dobbiamo tenere conto delle attuali vicende migratorie, occorre tenere nella debita considerazione quel milione e 86 mila immigrati regolari che rappresentano la maggioranza silenziosa del nostro Paese, soggetto cruciale non solo per la politica dell’immigrazione italiana ma anche per la convivenza civile in Italia. Tanto più che l’Italia non si è creata sulla base del sangue, ma grazie a un mosaico di identità che hanno scelto di unirsi. La cittadinanza deve rispettare questa matrice. Infatti, non sono un’eccezione i figli di immigrati che parlano esprimendosi nei dialetti locali o che vanno allo stadio per tifare per le squadre di calcio locali.

E’ ora di abbandonare la cultura dell’emergenza nei confronti dell’immigrazione; ciò richiede la costruzione di una nuova convivenza, di un nuovo modo di vivere proprio con quel milione e 86 mila immigrati regolari.

Serve una revisione improcastinabile, urgente: dunque, occorre aprirsi a forme di cittadinanza più moderne, basate sulla condivisione dei valori culturali e costituzionali di un Paese e non sull’etnia.

L’impianto odierno della legge sulla cittadinanza italiana (legge 5 febbraio 1992, n. 91) prescrive un tempo troppo lungo per acquisire la cittadinanza. Il requisito per ottenerla è agevole in caso di matrimonio (sei mesi di attesa) e più restrittivo nell’ipotesi di naturalizzazione ordinaria (dieci anni di residenza), per cui il numero dei casi attualmente è destinato ad un sensibile aumento quando il grosso degli stranieri potrà vantare i necessari requisiti.

La nostra è una legge che tutela la discendenza ed è doveroso cambiarla. E’ negata la cittadinanza ai bambini che nascono e crescono in Italia: devono aspettare fino a diciotto anni in una specie di limbo, fare una domanda e poi magari possono vedersela respingere.

Vari giuristi sottolineano l’alto tasso di discrezionalità delle procedure e la difficoltà delle prassi. L’esempio, infatti, è dato da chi è nato in Italia da "clandestino", ma i cui genitori si sono regolarizzati e che però al compimento del diciottesimo anno non può dimostrare l’iscrizione anagrafica dalla nascita. In tale caso la cittadinanza, molto probabilmente, gli viene negata.

Occorre stabilire il diritto alla cittadinanza in base al luogo dove si nasce, ovvero allo jus soli. In base a tale criterio la cittadinanza è attribuita a colui che nasce nel territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Tale collegamento è presente in generale, nella legislazione di quegli Stati a carattere immigratorio e/o con problemi demografici. Il legislatore italiano ha finora previsto l’acquisto della cittadinanza iure soli per evitare l’apolidia del soggetto, sul presupposto che il legame rappresentato dalla nascita in Italia, ossia nell’ambito spaziale in cui si esplica il potere di governo del nostro Paese, valga ad inserire il soggetto nella comunità nazionale. In questa stessa prospettiva, la nascita su nave o su aeromobile battente bandiera italiana quando il mezzo di trasporto sia, secondo il diritto internazionale, soggetto al potere di governo dello Stato della bandiera, assume anch’essa il valore di legame significativo con l’Italia idoneo a giustificare l’attribuzione della cittadinanza a quei soggetti che, altrimenti, diventerebbero apolidi.

La presente proposta di legge contiene, pertanto, una modifica a quanto previsto dalla disposizione dell’articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di acquisto della cittadinanza italiana ed ha lo scopo di facilitare l’inserimento e l’integrazione, a determinate condizioni, di chi nasce in Italia. Infatti, non può essere considerato corpo estraneo chi nasce in Italia da genitori che hanno entrambi la residenza in questa nazione da almeno tre anni e chi nasce da genitori di cui almeno uno sia in possesso di carta di soggiorno.


 

 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Al comma 1 dell’articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, dopo la lettera b) è aggiunta la seguente:

"b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori risiedono in Italia da almeno tre anni o se almeno un genitore è in possesso di carta di soggiorno".

 

 

 

 

 


N. 974

¾

 

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato

RUSSO SPENA

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Riforma della disciplina relativa alla cittadinanza italiana

 

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Presentata il 21 giugno 2001

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Onorevoli Colleghi! - La legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante "Nuove norme sulla cittadinanza", insieme al relativo regolamento di esecuzione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, mentre ha adeguato le sue norme al dettato costituzionale, ai mutamenti di sensibilità e di costume per ciò che concerne la parità fra i sessi, equiparando, per esempio, la figura del padre e della madre, è invece peggiorativa per quanto riguarda la possibilità di "acquisto" della cittadinanza italiana da parte dei cittadini stranieri extracomunitari. Per questi, infatti, la condizione per poter fare istanza di concessione della cittadinanza è di risiedere legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, mentre la legge precedente prescriveva solo cinque anni e non faceva distinzione fra stranieri extracomunitari e comunitari. La legge attuale, al contrario, discrimina pesantemente i primi rispetto ai cittadini di Stati membri dell’Unione europea, per i quali è richiesta la residenza locale da almeno quattro anni.

Discriminatoria è la legge attuale anche rispetto a due altre categorie di stranieri, definite in base ad un criterio di discendenza. Lo straniero "del quale il padre e la madre od uno degli ascendenti in linea retta sono stati cittadini italiani per nascita" può ottenere la cittadinanza italiana se è residente in Italia da almeno tre anni (rispetto ai quattro o ai dieci degli stranieri "non di stirpe", rispettivamente comunitari ed extracomunitari); se presta servizio militare; se assume pubblico impiego alle dipendenze dello Stato (per lo straniero che non sia di "stirpe italiana" in caso analogo occorrono cinque anni alle dipendenze dello Stato); se al raggiungimento della maggiore età, risiede in Italia da almeno due anni e dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana. Al contrario, lo straniero che non avendo ascendenti italiani voglia ottenere la cittadinanza italiana al raggiungimento della maggiore età deve essere nato in Italia e deve averci risieduto continuativamente; inoltre chi sia nato in Italia da genitori stranieri è cittadino italiano per nascita solo se la legge dello Stato cui appartengono i genitori non prevede la "trasmissione" della cittadinanza al figlio nato all’estero: dunque solo perché altrimenti sarebbero apolidi.

Senza addentrarci nell’analisi puntuale del testo, l’illustrazione di questi pochi elementi già mostra quale sia lo spirito della legge; come in essa permangano criteri ispirantisi allo jus sanguinis, mentre lo jus soli è subordinato a condizioni fortemente restrittive. Un altro aspetto a nostro parere da riformare è l’istituto della concessione della cittadinanza: nella maggior parte dei casi, lo straniero che voglia naturalizzarsi deve sperare che ciò gli venga concesso su proposta del Ministero dell’interno e per decreto del Presidente della Repubblica. I criteri di fondo che abbiamo inteso affermare in questo testo sono: è cittadino italiano per nascita chi è nato nel territorio italiano, anche se figlio di genitori ignoti, apolidi o stranieri, senza distinzione tra comunitari ed extracomunitari.

Può acquisire la cittadinanza italiana l’apolide o lo straniero - comunitario o extracomunitario - che risiede ininterrottamente da cinque anni nel territorio italiano. Chi acquista la cittadinanza italiana può conservare quella "d’origine".

Quanto ai privilegi concessi allo straniero di "stirpe italiana", abbiamo limitato gli effetti dello jus sanguinis conservando solo i casi relativi al servizio militare ed al pubblico impiego alle dipendenze dello Stato.

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1.      E’ cittadino per nascita:

a) il figlio di padre o madre cittadini;

b) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori cittadini italiani o stranieri;

c) chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono.

2. E’ considerato cittadino per nascita il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza.

 

 

Art. 2.

 

1. Il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale della filiazione durante la minore età del figlio nato al di fuori del territorio della Repubblica da madre o padre cittadino ne determina la cittadinanza secondo le norme della presente legge.

2. Se il figlio riconosciuto o dichiarato è maggiorenne conserva il proprio stato di cittadinanza, ma può dichiarare , entro un anno dal riconoscimento o dalla dichiarazione giudiziale, ovvero dalla dichiarazione di efficacia del provvedimento straniero, di eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione.

3. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai figli per i quali la paternità o la maternità non può essere dichiarata, purché sia stato riconosciuto giudizialmente il loro diritto al mantenimento o agli alimenti.

 

 

Art. 3.

 

1. Il minore straniero adottato da cittadino italiano acquista la cittadinanza.

2. La disposizione del comma 1 si applica anche agli adottati prima della data di entrata in vigore della presente legge.

3. Qualora l’adozione venga revocata, l’adottato conserva la cittadinanza italiana. Qualora la revoca intervenga durante la maggiore età dell’adottato, lo stesso, se in possesso di altra cittadinanza o se la riacquisti, potrà comunque rinunciare alla cittadinanza italiana entro un anno dalla revoca stessa.

 

 

Art. 4.

 

1. Lo straniero o l’apolide, del quale il padre o la madre sono stati cittadini per nascita, diviene cittadino:

a) se presta effettivo servizio militare per lo Stato italiano e dichiara preventivamente di voler acquistare la cittadinanza italiana;

b) se assume pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, e dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana.

 

 

Art. 5.

 

1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando risiede legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale.

2. Negli altri casi, acquista la cittadinanza italiana lo straniero o l’apolide che risieda legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica.

3. Con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, e previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri, la cittadinanza può essere concessa allo straniero, quando questi abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato.

 

 

Art. 6.

 

1. Precludono l’acquisto della cittadinanza ai sensi dell’articolo 5:

a) la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II, III, del codice penale;

b) la sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza dello Stato.

2. La riabilitazione fa cessare gli effetti preclusivi della condanna.

3. L’acquisto della cittadinanza è sospeso fino a comunicazione della sentenza definitiva se sia stata promossa azione penale per uno dei delitti di cui al comma 1, lettera a).

 

Art. 7.

 

1. La cittadinanza si acquista con decreto del Ministro dell’interno a richiesta dell’interessato, presentata al sindaco del comune di residenza o alla competente autorità consolare.

 

 

Art. 8.

1. Con decreto motivato, il Ministro dell’interno respinge l’istanza di cui all’articolo 7 ove sussistano le cause ostative previste dall’articolo 6. Ove si tratti di ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica, il decreto è emanato su conforme parere del Consiglio di Stato. L’istanza respinta può essere riproposta dopo due anni dall’emanazione del provvedimento.

2. L’emanazione del decreto di rigetto dell’istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell’istanza stessa, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di un anno.

3. Il decreto di concessione della cittadinanza non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato.

 

 

Art. 9.

 

1. Il cittadino che possiede, acquista o riacquista la cittadinanza straniera conserva quella italiana, ovvero può ad essa rinunciare qualora risieda o stabilisca la residenza all’estero.

2. Lo straniero che acquista la cittadinanza italiana può conservare la propria cittadinanza di origine, in conformità con la legge dello Stato di precedente appartenenza, ovvero può comunicare all’Ufficiale dello stato civile o alla competente Autorità consolare italiana la rinuncia alla cittadinanza di origine.

 

Art. 10.

 

1. Il cittadino italiano perde la cittadinanza se, avendo accettato un impiego pubblico o una carica pubblica da uno Stato o ente pubblico estero o da un ente internazionale cui non partecipi l’Italia, ovvero prestando servizio militare per uno Stato estero, non ottempera, nel termine fissato dall’intimazione che il Governo italiano può rivolgergli di abbandonare l’impiego, la carica o il servizio militare.

2. Il cittadino italiano che, durante lo stato di guerra con uno Stato estero, abbia accettato o non abbia abbandonato un impiego pubblico o una carica pubblica o abbia prestato servizio militare per tale Stato senza esservi obbligato, ovvero ne abbia acquistato volontariamente la cittadinanza, perde la cittadinanza italiana al momento della cessazione dello stato di guerra.

 

 

Art. 11.

 

1. Chi ha perduto la cittadinanza la riacquista:

a) se presta effettivo servizio militare o civile in sostituzione di quello militare per lo Stato italiano e dichiara previamente di volerla riacquistare;

b) se, assumendo o avendo assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, dichiara di volerla riacquistare;

c) se dichiara di volerla riacquistare ed ha stabilito o stabilisce, entro un anno dalla dichiarazione, la residenza nel territorio della Repubblica;

d) dopo un anno dalla data in cui ha stabilito la residenza nel territorio della Repubblica, salvo espressa rinuncia entro lo stesso termine;

e) se, avendola perduta per non aver ottemperato all’intimazione di abbandonare l’impiego o la carica accettati da uno Stato, da un ente pubblico estero o da un ente internazionale, ovvero il servizio militare per uno Stato estero, dichiara di volerla riacquistare, sempre che abbia stabilito la residenza da un anno nel territorio della Repubblica e provi di aver abbandonato l’impiego o la carica o il servizio militare, assunti o prestati nonostante l’intimazione di cui all’articolo 10, comma 1.

2. Nei casi indicati al comma 1, lettere c), d), ed e), il riacquisto della cittadinanza non ha effetto se viene inibito con decreto del Ministro dell’interno per gravi e comprovati motivi e su conforme parere del Consiglio di Stato. Tale inibizione può intervenire entro il termine di un anno dal verificarsi delle condizioni stabilite.

 

 

Art. 12.

 

1. I figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, se convivono con esso, acquistano la cittadinanza italiana, ma, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza.

 

 

Art. 13.

 

1. L’acquisto o il riacquisto della cittadinanza ha effetto, salvo quanto stabilito dall’articolo 11 comma 2, dal giorno successivo a quello in cui sono adempiute le condizioni e le formalità richieste.

 

 

Art. 14.

 

1. L’apolide che risiede legalmente nel territorio della Repubblica è soggetto alla legge italiana per quanto si riferisce all’esercizio dei diritti civili e agli obblighi del servizio militare.

2. Lo straniero riconosciuto rifugiato dallo Stato italiano secondo le condizioni stabilite dalle legge, o dalle convenzioni internazionali è equiparato all’apolide ai fini dell’applicazione della presente legge, con esclusione degli obblighi inerenti al servizio militare.

 

 

Art. 15.

 

1. Salvo che sia espressamente previsto, lo stato di cittadinanza acquisito anteriormente alla presente legge non si modifica se non per fatti posteriori alla data di entrata in vigore della stessa.

 

 

Art. 16.

 

1. Le dichiarazioni per l’acquisto, la conservazione, il riacquisto e la rinuncia previste dalla presente legge sono rese all’ufficiale dello stato civile del comune dove il dichiarante risiede o intende stabilire la propria residenza, ovvero, in caso di residenza all’estero, davanti all’autorità diplomatica o consolare del luogo di residenza.

2. Le dichiarazioni di cui al comma 1, nonché gli atti o i provvedimenti inerenti alla perdita, alla conservazione, e al riacquisto della cittadinanza italiana vengono trascritti nei registri di cittadinanza e di essi viene effettuata annotazione a margine dell’atto di nascita.

 

 

Art. 17.

 

1. Il cittadino italiano, in caso di acquisto o riacquisto di cittadinanza straniera o di opzione per essa, deve darne, entro tre mesi dall’acquisto, riacquisto od opzione, o dal raggiungimento della maggiore età, se successivo, comunicazione mediante dichiarazione all’ufficiale dello stato civile del luogo di residenza, ovvero, se residente all’estero, all’autorità consolare competente.

2. Le dichiarazioni di cui al comma 1 sono soggette alla medesima disciplina di cui all’articolo 16.

3. Chiunque non adempia agli obblighi indicati al comma 1 è assoggettato alla sanzione amministrativa pecuniaria da lire duecentomila a lire due milioni. Competente all’applicazione della sanzione amministrativa è il prefetto.

 

 

Art. 18.

 

1. Le disposizioni necessarie per l’esecuzione della presente legge sono emanate, entro un anno dalla sua entrata in vigore, con decreto del Presidente della Repubblica.

 

 

Art. 19.

 

1. E’ abrogata ogni disposizione incompatibile con la presente legge.

2. Restano salve le disposizioni, in quanto più favorevoli, previste da leggi italiane diverse, nonché da accordi internazionali.

 

Art. 20.

 

1. La presente legge entra in vigore sei mesi dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 

 


N. 1463

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

TURCO, VIOLANTE, MONTECCHI

 

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Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante norme sulla cittadinanza

 

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Presentata il 1°agosto 2001

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Onorevoli Colleghi! - La legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante: "Nuove norme sulla cittadinanza", riafferma il principio dello jus sanguinis ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana per nascita, enunciato già dal codice civile del 1865 ed accolto nella prima legge organica in materia, la legge n. 555 del 1912.

L’affermazione del principio dello jus sanguinis nasceva essenzialmente in uno Stato che, a causa della difficile situazione economica interna, vedeva un considerevole numero di cittadini lasciare il Paese per emigrare all’estero.

Attraverso lo jus sanguinis si consentiva così agli emigranti di trasmettere, soltanto in linea paterna, la cittadinanza ai propri discendenti e di conservare un vincolo di nazionalità con la terra d’origine.

La legge del 1992, pur modellandosi sulla legge del 1912, ha comunque riaffermato la trasmissione della cittadinanza anche da parte della madre, in linea con la giurisprudenza costituzionale e con la legge n. 123 del 1983.

Il principio dello jus soli rimane nell’attuale legge, così come in quella del 1912, un modo di acquisto della cittadinanza italiana soltanto residuale. L’acquisto della cittadinanza per nascita nel territorio è infatti limitato ai casi in cui chi nasce nel nostro territorio si verrebbe a trovare in una condizione di apolidia a causa della non trasmettibilità della cittadinanza da parte dei genitori stranieri, o perché figlio di ignoti, qualora non venga provato il possesso di un’altra cittadinanza.

Nella nuova configurazione dell’istituto perde quindi ogni rilevanza il fatto che lo straniero sia figlio di genitori residenti in Italia da almeno dieci anni al tempo della sua nascita, come nella legge n. 555 del 1912.

Viene inoltre ridimensionata l’importanza attribuita al fatto che lo straniero sia nato in Italia: si richiede infatti che, oltre ad essere nato in Italia, vi abbia risieduto "legalmente senza interruzioni" fino al raggiungimento della maggiore età e che manifesti entro un anno la volontà di diventare italiano. L’orientamento della legge n. 91 del 1992, sostanzialmente sfavorevole ad una rapida integrazione degli stranieri residenti in Italia, emerge inoltre dall’articolo 9, che disciplina la concessione della cittadinanza.

Come è noto, mentre la legge del 1912 prevedeva la possibilità di acquistare il nostro status civitatis dopo cinque anni di residenza, l’attuale disciplina innalza a dieci gli anni di residenza per l’acquisto della cittadinanza da parte di uno straniero extracomunitario. La presente proposta di legge di modifica dalla legge n. 91 del 1992 è quindi volta a rendere più flessibile il sistema per l’acquisto della cittadinanza italiana iure soli, nella consapevolezza dei mutamenti intervenuti nell’ultimo decennio, sia nella legislazione in materia di immigrazione, sia in riferimento alle condizioni sociali che rendono necessario il perseguimento di efficaci politiche di integrazione degli stranieri. In tale nuovo contesto la riforma della disciplina della cittadinanza acquista un rilievo primario.

L’articolo 1 della presente proposta di legge prevede l’acquisto per nascita della cittadinanza italiana da parte dei bambini nati in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno sia a sua volta nato in Italia.

La disposizione è volta a favorire l’integrazione, attraverso l’acquisto della cittadinanza italiana, degli immigrati della terza generazione, i cui genitori (o anche uno solo di essi) siano nati in Italia e, risiedendovi al momento della nascita del figlio, dimostrino implicitamente di aver fissato nel nostro Paese la loro stabile dimora e di essere quindi inseriti nel tessuto sociale pur senza essere divenuti, per naturalizzazione, cittadini. Accade spesso, infatti, che lo straniero immigrato rinunci alla possibilità dell’acquisto della cittadinanza italiana per naturalizzazione perché lo Stato di origine ricollega all’acquisto volontario di un altro status civitatis la perdita della cittadinanza originaria. L’acquisto iure soli della cittadinanza per gli immigrati della terza generazione è presente nella legislazione francese, spagnola e olandese.

L’articolo 2 sostituisce il comma 2 dell’articolo 4 della legge n. 91 del 1992, il quale prevede che, al diciottesimo anno di età, lo straniero acquista la cittadinanza italiana se, oltre ad essere nato in Italia, vi abbia risieduto legalmente e senza interruzioni fino al diciottesimo anno di età e se manifesta entro un anno la volontà di diventare cittadino.

La disposizione citata è più restrittiva dell’analoga disposizione contenuta nell’articolo 3 della legge n. 555 del 1912, che prevedeva come requisito per l’acquisto della cittadinanza, oltre alla nascita nel territorio della Repubblica, la residenza da almeno dieci anni. La disposizione vigente di fatto limita la possibilità di acquisto del nostro status civitatis da parte dei figli di immigrati.

La modifica che si propone intende facilitare l’acquisto della cittadinanza agli stranieri nati in Italia, richiedendo il requisito della residenza legale al momento del compimento del diciottesimo anno di età e di un periodo precedente di residenza non inferiore a cinque anni. Tale modifica appare in linea con la normativa francese, la quale, in maniera piuttosto articolata, prevede l’acquisto automatico della cittadinanza per il figlio di stranieri, qualora sia residente in Francia al momento del raggiungimento della maggiore età e vi abbia risieduto, anche non continuativamente, per un periodo di almeno cinque anni, dall’età di undici anni. In alternativa, lo straniero nato in Francia può richiedere, dall’età di sedici anni, la cittadinanza se è residente in quel momento e se vi ha avuto la propria residenza per cinque anni dall’età di undici anni. Alle stesse condizioni i genitori possono richiedere la cittadinanza per il figlio a partire dall’età di tredici anni, con il suo consenso personale, se risiede in Francia dall’età di otto anni.

In Lussemburgo il figlio di stranieri, nato nel territorio del Gran Ducato, tra i diciotto ed i venticinque anni di età può optare per la cittadinanza lussemburghese se ha avuto lì la residenza abituale durante l’anno precedente l’opzione e se vi abbia risieduto per almeno cinque anni consecutivi.

Alle stesse condizioni può rendere l’opzione lo straniero nato all’estero, ma che abbia compiuto gli studi obbligatori in Lussemburgo.

In Olanda è invece richiesta la residenza, od il soggiorno reale o l’abitazione di fatto, per lo straniero nato nel territorio olandese o delle Antille, purché non abbia ancora compiuto i venticinque anni.

Si è ritenuto opportuno specificare che l’acquisto della cittadinanza non richiede la rinuncia alla cittadinanza che è stata eventualmente acquistata iure sanguinis; ciò per evitare che possa ripetersi per il futuro che sia richiesta la documentazione relativa allo svincolo dalla cittadinanza di origine.

L’articolo 3 prevede una forma di acquisto per nascita nel territorio subordinato a due requisiti: la residenza legale dei genitori da almeno sette anni e la richiesta da parte dei genitori a partire dal quinto anno di età del figlio, nel momento cioè in cui il bambino si avvia a frequentare la scuola dell’obbligo.

L’ipotesi appare simile, ma meno complessa, a quella prevista dal codice francese per i figli di stranieri nati nel territorio.

E’ fatta comunque salva la volontà dell’interessato, che al raggiungimento della maggiore età può rinunciare alla cittadinanza italiana se questo non comporta l’apolidia del soggetto.

L’articolo 4 riguarda la concessione della cittadinanza con decreto del Presidente della repubblica, disciplinato dall’articolo 9 delle legge n. 91 del 1992, e prevede la sostituzione della lettera f) del comma 1, volta a ridurre da dieci a sette anni il periodo di residenza legale dello straniero che intende acquistare la cittadinanza italiana.

La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla cittadinanza del 1997 stabilisce che ogni Stato firmatario deve prevedere la possibilità di naturalizzazione per le persone che vi risiedono legalmente ed abitualmente per un periodo non superiore a dieci anni al momento della presentazione della domanda.

La nostra vigente normativa è quindi assestata sul massimo degli anni previsti dalla Convenzione ed appare più severa rispetto ad altri Paesi europei: la Francia, l’Olanda ed il Regno Unito richiedono infatti cinque anni di residenza, il Lussemburgo ne richiede dieci, ma soltanto gli ultimi cinque continuativi, mentre la Spagna ne richiede dieci, ma riduce il periodo a cinque anni per i rifugiati (la nostra legge non prevede questa ipotesi) ed a un anno per chi è nato in Spagna (l’articolo 9 della legge n. 91 del 1992 prevede tre anni di residenza).

Con la norma proposta si introduce, inoltre, il comma 2-bis all’articolo 9 della legge n. 91 del 1992, con il quale si chiarisce che ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana non è richiesta la rinuncia alla cittadinanza di origine.

L’articolo 5 della proposta di legge prevede una norma tendente a contrastare il fenomeno dei cosiddetti "matrimoni di comodo" stabilendo un termine più rigoroso per l’acquisto della cittadinanza iure matrimoni.

L’articolo 6 stabilisce che il Ministro dell’interno con proprio decreto provvede a disciplinare il procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza ed a stabilire il relativo termine, che non può essere comunque superiore ad un anno dalla presentazione della domanda da parte dell’interessato.

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. All’articolo 1, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, dopo la lettera b) è aggiunta la seguente:

"b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica, da genitori stranieri ivi legalmente residenti, di cui almeno uno sia nato in Italia; entro un anno dal compimento della maggiore età il soggetto può rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana".

 

 

Art. 2.

 

1. Il comma 2 dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

"2. Lo straniero nato in Italia, qualora al compimento della maggiore età risieda legalmente nel territorio della Repubblica e vi abbia risieduto per un periodo non inferiore a cinque anni, diviene cittadino se dichiara, entro un anno dalla suddetta data, di voler acquistare la cittadinanza italiana. Per tale acquisto non è richiesta la rinuncia ad altra cittadinanza".

 

 

Art. 3.

 

1. Dopo il comma 2 dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall’articolo 2 della presente legge, è aggiunto il seguente:

"2-bis. Il figlio nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri in possesso della carta di soggiorno prevista dall’articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, diviene cittadino se i genitori presentano congiuntamente istanza al prefetto competente per territorio a partire dal compimento del quinto anno di età del minore. Al raggiungimento della maggiore età il soggetto può rinunciare alla cittadinanza italiana se in possesso di altra cittadinanza".

 

 

Art. 4.

 

1. La lettera f) del comma 1 dell’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

"f) allo straniero che risiede legalmente in Italia da almeno sette anni nel territorio della Repubblica".

2. Dopo il comma 2 dell’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunto il seguente:

"2-bis. Ai fini della concessione di cui al comma 1 non è richiesta la rinuncia alla cittadinanza di origine".

 

 

Art. 5.

 

1. L’articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

"Art. 5. - 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza dopo due anni dalla data del matrimonio se, al momento dell’adozione del decreto di cui all’articolo 7, non sia intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussista separazione legale".

Art. 6.

 

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell’interno, con proprio decreto emanato di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, provvede a disciplinare il procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza ed a stabilire il relativo termine, che non può comunque essere superiore a un anno dalla data di presentazione della domanda da parte dell’interessato.

 

 

 

 

 


N. 4327

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

DILIBERTO, ARMANDO COSSUTTA, RIZZO, BELLILLO, MAURA COSSUTTA, NESI, PISTONE, SGOBIO

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Riconoscimento dell’elettorato attivo e passivo nelle consultazioni provinciali, comunali e circoscrizionali agli stranieri titolari di permesso di soggiorno e modifica all’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di concessione della cittadinanza

 

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Presentata il 1° ottobre 2003

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Onorevoli Colleghi! - Il diritto di voto è lo strumento più importante di partecipazione politica, in quanto permette ad ogni persona di influire sui mutamenti della società in cui vive.

La effettiva ammissione degli immigrati alla vita pubblica è rappresentata dalla partecipazione alle consultazioni elettorali del Paese in cui lavorano e risiedono offrendo così loro la possibilità di incidere sul suo progresso economico e democratico.

Secondo l’articolo 48 della Costituzione italiana "sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età".

L’elettorato, attivo e passivo, per gli stranieri provenienti dai Paesi dell’Unione europea è invece contemplato dall’articolo 19 del Trattato istitutivo della Comunità europea, come modificato dal Trattato di Amsterdam, di cui alla legge n. 209 del 1998.

Con la risoluzione n. 136 del 15 gennaio 2003 approvata a Strasburgo nell’ambito della Relazione annuale sui diritti umani nell’Unione, il Parlamento europeo raccomanda agli Stati membri "di estendere il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e del Parlamento europeo a tutti i cittadini di Paesi terzi che soggiornino legalmente nell’Unione europea da almeno tre anni".

In Italia vi sono oltre 1.250.000 stranieri legalmente residenti. A tutti loro è negato il diritto di voto per le elezioni amministrative (con la limitatissima eccezione di quelli provenienti da Paesi membri dell’Unione europea).

Eppure sul diritto di voto alle elezioni amministrative il Parlamento potrebbe procedere con relativa celerità, essendovi già sia riferimenti giuridici che precedenti significativi.

Il riferimento giuridico è la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, che al capitolo C (ancora non ratificato dal Parlamento italiano) prevede appunto il diritto di voto - elettorato attivo e passivo - per le elezioni amministrative. Il precedente significativo è il riconoscimento del diritto di voto amministrativo per gli stranieri residenti provenienti da Paesi membri dell’Unione europea, già in vigore dal 1996.

Nel nostro Paese il dibattito sul diritto di accesso al voto amministrativo per gli immigrati ha subìto una forte accelerazione in concomitanza con la presentazione in Parlamento della cosiddetta "legge Turco-Napolitano" che prevedeva, tra l’altro, la partecipazione attiva e passiva alle elezioni locali per gli stranieri titolari di carta di soggiorno. Questa norma fu in seguito stralciata dal testo originario per il timore di vizi di costituzionalità rivelatisi poi infondati, e venne così approvata legge n. 40 del 1998 che prevede unicamente forme di partecipazione intermedia alla vita politica, quali iscrizioni alle organizzazioni sindacali o la costituzione di organi consultivi che permettono alle associazioni di immigrati una collaborazione alla gestione di progetti e attività sociali.

In Italia, fino al 1992, la cittadinanza, e quindi il diritto di voto, potevano essere ottenuti dopo cinque anni di residenza continuativa nel territorio dello Stato, periodo che, con la legge 5 febbraio 1992, n. 91, si è innalzato a dieci anni. Le sole città italiane che hanno ammesso gli immigrati regolarmente residenti ai referendum consultivi locali sono Torino, Bologna e Roma, mentre è recente la notizia che le regioni Toscana e Friuli-Venezia Giulia si accingono ad introdurre nei loro statuti norme che prevedono il diritto di voto agli immigrati.

Alcuni Paesi europei hanno già ammesso gli immigrati alle elezioni amministrative, sostituendo come criterio per il riconoscimento dei diritti politici la residenza alla cittadinanza.

Svezia, Danimarca, Olanda, Irlanda, Norvegia e Spagna rappresentano infatti l’esempio concreto di Paesi europei che hanno scelto la strada maestra dell’integrazione e della partecipazione, attraverso il voto, almeno alle elezioni amministrative. Più precisamente, in Svezia dal 1975, dopo tre anni di continuata permanenza, gli stranieri possono votare per le elezioni comunali, regionali e per i referendum; in Danimarca, già dal 1981, per le elezioni comunali e provinciali; in Olanda, dal 1985, ed in Irlanda, dal 1963, per le elezioni comunali.

In Portogallo possono votare i peruviani, i brasiliani, gli argentini, gli uruguaiani, i norvegesi e gli israeliani. Dal 1993, poi, la Norvegia riconosce il diritto al voto per le elezioni amministrative a tutti gli stranieri, così come i cantoni di Jura e Neuchatel in Svizzera, mentre l’Islanda lo riconosce solo ai cittadini dei Paesi dell’area nordica.

In Gran Bretagna, infine, votano a tutte le elezioni incluse le politiche, oltre ai cittadini di tutti i Paesi del Commonwealth, anche irlandesi e pakistani. La partecipazione elettorale si configura quindi come l’ammissione ufficiale degli immigrati nella vita pubblica del luogo in cui lavorano e risiedono.

Uno degli interrogativi sul quale si è molto dibattuto è quello del "principio di reciprocità", e cioè se riconoscere il diritto di voto a quei cittadini il cui Paese a loro volta riconosce il voto agli immigrati italiani. Su questo principio, già adottato da Spagna e Portogallo, si regge la cittadinanza dell’Unione europea, basata sul reciproco riconoscimento dei diritti ai cittadini dei Paesi membri; tuttavia esso non tiene conto dell’esistenza di situazioni politiche dove la democrazia e la tolleranza sono lontane dall’affermarsi e spesso gli immigrati provengono da Paesi con queste caratteristiche come Africa, Asia, Sud America e anche Europa orientale.

Gli extracomunitari che lavorano nel nostro Paese, stimati in circa 800 mila unità con un monte retributivo di circa 18 mila miliardi di vecchie lire, forniscono un apporto al valore aggiunto nazionale di quasi 70 mila miliardi di vecchie lire annui pari al 3,2 per cento del prodotto interno lordo. L’apporto negli ultimi cinque anni si può stimare in circa 320 mila miliardi (sempre di vecchie lire).

Ebbene, queste cifre possono farci riflettere sull’anomalia di una società multietnica, dove soltanto ad una etnia è riservato il diritto di elettorato attivo e passivo, essendo le altre finora utilizzate come forza-lavoro priva di una reale soggettività politica.

Onorevoli colleghi, auspichiamo pertanto l’approvazione della proposta di legge con la quale abbiamo ritenuto doveroso estendere il diritto di voto nelle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali, rimandando ad analoga iniziativa di ordine costituzionale per il diritto di voto nelle elezioni politiche e regionali, perché crediamo che il riconoscimento da parte del nostro Paese di questa prerogativa in favore degli stranieri possa diventare il primo passo per la costruzione di una nuova cultura del confronto e del dialogo.

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Allo straniero titolare di permesso di soggiorno, per il quale ricorrono i requisiti e le condizioni stabiliti dalla legge per il cittadino, è riconosciuto l’elettorato attivo e passivo nel comune di residenza in occasione delle consultazioni elettorali provinciali, comunali e circoscrizionali, con modalità analoghe a quanto previsto per i cittadini dell’Unione europea dall’articolo 1, comma 5, del decreto legislativo 12 aprile 1996, n. 197.

2. All’articolo 9, comma 1, lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91, le parole: "dieci anni" sono sostituite dalle seguenti: "tre anni".

 

 

 

 


N. 4388

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

MANTINI, MACCANICO

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Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, concernenti il diritto di cittadinanza

 

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Presentata il 16 ottobre 2003

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Onorevoli Colleghi! - Le grandi trasformazioni sociali del nostro tempo e la crescente realtà cosmopolita delle nostre società inducono a considerare la necessità di politiche di integrazione che favoriscano, in modo equilibrato, l’acquisizione dei diritti di cittadinanza, nel rispetto della coesione sociale.

E’ aperto nel nostro Paese un significativo dibattito politico sulla concessione del diritto di voto alle elezioni amministrative agli immigrati regolari in possesso di determinati requisiti.

Le proposte di riforma, molte delle quali di condivisibile tenore e contenuti, comportano in più punti la revisione della Costituzione, essendo mosse dall’intento della mera concessione dei diritti politici.

I procedimenti di revisione costituzionale, come noto, sono lunghi e complessi, ex articolo 138 della Costituzione, e più incerti sotto il profilo della sostenibilità politica e degli esiti.

Essendo le esigenze di maggiore integrazione e di una più diffusa e responsabile cittadinanza assai avvertite, e in larga misura condivise, a noi sembra più opportuna una linea di riforma legislativa che, senza modificare la Costituzione al fine di estendere i soli diritti politici, agisca invece, con legge ordinaria, riducendo il termine per l’acquisto del diritto di cittadinanza, esattamente dai dieci anni oggi previsti a otto anni.

In tale modo si estendono, entro un arco di tempo ragionevole e con i rigorosi requisiti soggettivi vigenti, tutti i diritti di cittadinanza, e non solo quelli politici, senza modificare la Costituzione.

I tempi sono d’altronde maturi per una riduzione del termine per l’acquisto della cittadinanza, sulla scorta delle prevalenti esperienze europee.

In Italia, fino al 1992, la cittadinanza, e quindi il diritto di voto, potevano essere ottenuti dopo cinque anni di residenza continuativa nel territorio dello Stato, periodo che, con la legge 5 febbraio 1992, n. 91, si è innalzato a dieci anni.

Ma le preoccupazioni di allora oggi sono mutate: l’Europa e l’Italia hanno bisogno di maggiore integrazione sociale e d’altronde vi sono città italiane che hanno già ammesso gli immigrati regolarmente residenti ai referendum consultivi locali (Torino, Bologna e Roma), mentre è recente la notizia che le regioni Toscana e Friuli Venezia Giulia si accingono ad introdurre nei loro statuti norme che prevedono il diritto di voto agli immigrati.

Alcuni Paesi europei hanno già ammesso gli immigrati alle elezioni amministrative, sostituendo come criterio per il riconoscimento dei diritti politici la residenza alla cittadinanza.

Svezia, Danimarca, Olanda, Irlanda, Norvegia e Spagna rappresentano infatti l’esempio concreto di Paesi europei che hanno scelto la strada maestra dell’integrazione e della partecipazione, attraverso il voto, almeno alle elezioni amministrative. Più precisamente, in Svezia dal 1975, dopo tre anni di continuata permanenza, gli stranieri possono votare per le elezioni comunali, regionali e per i referendum; in Danimarca, già dal 1981, per le elezioni comunali e provinciali; in Olanda, dal 1985, ed in Irlanda, dal 1963, per le elezioni comunali.

In Portogallo possono votare i peruviani, i brasiliani, gli argentini, gli uruguaiani, i norvegesi e gli israeliani. Dal 1993, poi, la Norvegia riconosce il diritto al voto per le elezioni amministrative a tutti gli stranieri, così come i cantoni di Jura e di Neuchatel in Svizzera, mentre l’Islanda lo riconosce solo ai cittadini dei Paesi dell’area nordica.

In Gran Bretagna, infine, votano a tutte le elezioni, incluse le politiche, oltre ai cittadini di tutti i Paesi del Commonwealth, anche irlandesi e pakistani. La partecipazione elettorale si configura quindi come l’ammissione ufficiale degli immigrati nella vita pubblica del luogo in cui lavorano e risiedono.

Anche in Italia sono state presentate proposte di legge in tal senso (vedi, in specie, atto Camera n. 4327).

Vi è dunque in tutta Europa un vasto favor verso la partecipazione, a determinate condizioni, degli stranieri alla vita pubblica, anche sulla base della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatte a Strasburgo il 5 febbraio 1992, e resa esecutiva, limitatamente ai capitoli A e B, dalla legge 8 marzo 1994, n. 203.

Ma le condizioni più idonee sono proprio quelle previste dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91, che esclude il diritto di acquisire la cittadinanza nei seguenti casi:

a) la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e II, del codice penale;

b) la condanna per un delitto non colposo per il quale la legge preveda una pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione; ovvero la condanna per un reato non politico ad una pena detentiva superiore ad un anno da parte di una autorità giudiziaria straniera quando la sentenza sia stata riconosciuta in Italia;

c) la sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

Inoltre il riconoscimento della cittadinanza solo allo straniero che risiede "legalmente" in Italia da almeno otto anni, anziché dieci, secondo la presente proposta di legge, consente di far sì che la condotta e lo status del richiedente debbano essere conformi a tutte le disposizioni di legge vigenti, rimuovendo ogni possibile ragione di allarme sociale.

La proposta di legge prevede inoltre, in modo innovativo, che il riconoscimento della cittadinanza debba essere preceduto dalla dimostrazione della buona conoscenza della lingua italiana e dal giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi. Una condizione, questa, tesa a promuovere una integrazione sociale responsabile.

Si tratta dunque di una proposta di legge equilibrata e civile che può meritare il vasto consenso del Parlamento.

 

 


 

 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. La lettera f) del comma 1 dell’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

"f) allo straniero che risiede legalmente da almeno otto anni nel territorio della Repubblica".

2. L’articolo 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

"Art. 10. 1. Il decreto di concessione della cittadinanza deve essere preceduto dalla dimostrazione, da parte della persona a cui si riferisce, della buona conoscenza della lingua italiana e dal giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi".

3. La presente legge entra in vigore sei mesi dopo la data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 

 


N. 4396

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

CE’, BALLAMAN, BIANCHI CLERICI, BRICOLO, CAPARINI, DIDONE’, LUCIANO DUSSIN, ERCOLE, FONTANINI, GIBELLI, LUSSANA, PAROLO, POLLEDRI, GUIDO ROSSI, SERGIO ROSSI, STEFANI, STUCCHI, VASCON

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Introduzione di un test per cittadini stranieri che richiedono la cittadinanza

 

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Presentata il17 ottobre 2003

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Onorevoli Colleghi! - L’ottenimento della cittadinanza italiana da parte di un cittadino extracomunitario è attualmente regolato dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e successive modificazioni. Tra i vari casi è previsto che allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica possa essere concessa la cittadinanza, come anche all’apolide che risieda in Italia da almeno dieci anni. La concessione della cittadinanza avviene con decreto del Presidente della Repubblica (articolo 9 della legge n. 91 del 1992), ovvero con decreto del Ministro dell’interno (articolo 7 della citata legge n. 91 del 1992) su istanza del prefetto competente per territorio in relazione alla residenza del richiedente. L’istanza per l’acquisto della cittadinanza deve essere presentata dal richiedente al prefetto competente e deve comprendere una serie di documenti come previsto all’articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362. Se la documentazione è in regola, e nulla osta alla concessione, al cittadino extracomunitario viene concessa la cittadinanza italiana. Da quanto sopra descritto si evince che l’iter per la concessione della cittadinanza è un mero procedimento burocratico, che non tiene conto di altri aspetti come ad esempio la capacità dello straniero di parlare la nostra lingua, o la sua conoscenza dei nostri usi e costumi, della nostra storia, del nostro sistema istituzionale e delle regole basilari della nostra società. L’ottenimento della cittadinanza dovrebbe essere la conclusione di un processo che porta lo straniero ad una perfetta integrazione con il territorio ed i cittadini dello Stato nel quale egli ha deciso di stabilirsi, e non un semplice atto amministrativo slegato totalmente dal contesto sociale nel quale l’immigrato intende inserirsi.

La presente proposta di legge, mediante una leggera modifica all’articolo 9 della legge n. 91 del 1992, intende colmare questa lacuna facendo in modo che lo straniero prima di diventare cittadino italiano segua un percorso di reale integrazione ed assimilazione nella società italiana e nelle sue varie e fondamentali realtà locali, in modo da permettere all’immigrato di vivere attivamente nel nostro Paese, evitando ghettizzazioni che possono portare a disagi e, in alcuni casi, a fenomeni di devianza.

Il metodo da noi individuato per raggiungere questo scopo è quello di richiedere, all’immigrato che intende diventare cittadino italiano, il superamento di un test che ne dimostri il reale livello di integrazione nella nostra società, test che oltre a comprendere una prova di lingua italiana e locale, in base alla regione di residenza, comprende anche domande di cultura generale, storia, cultura e tradizioni, ordinamento istituzionale della Repubblica. Il test non è da considerare come un ulteriore aggravio delle procedure per l’ottenimento della cittadinanza, ma come un invito all’immigrato ad approfondire la conoscenza del nostro Paese in modo da comprendere al meglio gli usi e costumi, le leggi, i diritti e i doveri che derivano dall’appartenere alla nostra nazione, per poter convivere al meglio con la popolazione autoctona.

Su questo tema sono ormai numerosi i Paesi che si sono orientati in questa direzione e a titolo esemplificativo citiamo, a livello europeo, la Gran Bretagna e, in ambito extraeuropeo, gli Stati Uniti d’America.

In Gran Bretagna il "test di naturalizzazione" è stato inserito nella parte prima della legge del 2002 su "Nazionalità, immigrazione ed asilo", in modo, come da comunicato dell’ambasciata britannica in Roma, di: "aiutare le persone che acquisiscono la cittadinanza britannica ad imparare l’inglese, ad avere una conoscenza pratica della vita nel Regno Unito ed a comprendere le tradizioni democratiche britanniche per facilitare l’integrazione ed aiutarle a lavorare, a dare il proprio contributo e a partecipare alla società". Il test britannico, che sarà operativo a breve, comprenderà, dunque, un esame di lingua inglese e, a seconda della zona di residenza, di gaelico scozzese o gallese, e di nozioni sulle istituzioni britanniche e sulla democrazia parlamentare, la storia del Regno Unito, la conoscenza della legge, inclusi i diritti e i doveri dei cittadini, il mercato del lavoro, le fonti d’informazione e su come soddisfare esigenze quotidiane come la ricerca di una casa o pagare una bolletta.

Negli Stati Uniti, la procedura per il rilascio della cittadinanza prevede, come elencato nella "guida alla naturalizzazione" edita dal dipartimento della giustizia degli Stati Uniti - servizio immigrazione e naturalizzazione - che il richiedente, oltre a possedere buoni requisiti morali e assenza di precedenti penali, debba superare un test che dimostri la conoscenza della lingua inglese con la capacità di leggere, scrivere e comprendere frasi di uso quotidiano; inoltre viene richiesta la conoscenza delle nozioni fondamentali della storia e delle istituzioni americane.

Con le disposizioni elencate nell’articolato della proposta di legge si va dunque a modificare la legislazione in materia, in sintonia con le più recenti norme legislative di Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, allineando la nostra legislazione alla loro, secondo un impostazione ormai universalmente condivisa.

La proposta si completa con la previsione che subordina l’acquisto della cittadinanza alla rinuncia da parte dello straniero alla propria cittadinanza. Si tratta di una soluzione già nota in altri ordinamenti quali l’Austria e la Germania, che ha l’ulteriore pregio di evitare casi di doppia cittadinanza.

Si è ritenuto da ultimo opportuno estendere al caso di acquisto della cittadinanza per naturalizzazione (ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992) le cause ostative previste all’articolo 6 della medesima legge per il caso di acquisto conseguente a matrimonio. Per effetto di questo richiamo non risulterà possibile l’acquisto della cittadinanza per chi abbia determinati precedenti penali o in presenza di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

 

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

(Test di naturalizzazione).

 

1. All’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, la lettera e) è sostituita dalla seguente:

"e) all’apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica, previo superamento di un test di naturalizzazione";

b) al comma 1, la lettera f) è sostituita dalla seguente:

"f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, previo superamento di un test di naturalizzazione e previa rinuncia alla propria cittadinanza";

c) dopo il comma 2, è aggiunto il seguente:

"2-bis. L’acquisto della cittadinanza ai sensi del presente articolo è precluso nei casi di cui all’articolo 6".

 

 

Art. 2.

(Modalità del test).

 

1. Il test di naturalizzazione di cui all’articolo 9, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dall’articolo 1 della presente legge, è mirato a verificare la conoscenza, da parte del richiedente la cittadinanza italiana, della lingua italiana e locale, dell’educazione civica, della storia, della cultura e delle tradizioni, dell’ordinamento istituzionale della Repubblica.

 

 

Art. 3.

(Disposizioni finali).

 

1. Le disposizioni necessarie per l’attuazione della presente legge sono emanate, entro sei mesi dalla data della sua entrata in vigore, con decreto adottato dal Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia.

 

 

Art. 4.

(Abrogazione).

 

1. L’articolo 11 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è abrogato.

 

 

 

 


N. 4492

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

MASCIA, BERTINOTTI, DEIANA, TITTI DE SIMONE, ALFONSO GIANNI, GIORDANO, MANTOVANI, PISAPIA, RUSSO SPENA, VALPIANA, VENDOLA

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Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di riconoscimento della cittadinanza italiana

 

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Presentata il 17 novembre 2003

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Onorevoli Colleghi! - Il fenomeno immigratorio è questione epocale: non solo richiede l’impegno politico prioritario dei governi e dei parlamenti, ma investe valori di fondo che segnano il grado di civiltà di un Paese, di una società. Nel corso di questi anni le politiche concrete dell’Italia e dell’Europa si sono misurate spesso su un terreno che ha rimosso o cancellato la condizione di vita quotidiana degli immigrati. I morti senza nome sepolti nei nostri mari o nelle isole come Lampedusa, fanno notizia per qualche giorno. Poi quelle persone, che cercano di sfuggire alla fame e alle guerre, diventano numeri. Numeri che non possono superare i flussi programmati, salvo entrare automaticamente nella categoria dei clandestini; fantasmi che turbano i sonni e alimentano le insicurezze dei cittadini italiani a cui sono proposti come responsabili di tutti i guai, o comunque come sicuri criminali. Nella migliore delle ipotesi diventano braccia da sfruttare per una stagione.

Nelle dichiarazioni e nelle statistiche, che pure segnano la differenza tra civiltà e barbarie, non si va mai oltre un pur meritevole concetto di solidarietà umana, fermo restando un contesto dato, cioè un’operazione di razionalizzazione dentro questo mercato, dentro questo sviluppo. Così, si tenta persino di ordinare la domanda e l’offerta di immigrazione, ridotta essa stessa ad uno statuto di merci. In tal modo non si vedono o non si vogliono vedere, le persone, il dolore, la sofferenza e la deprivazione. In tal modo non si riesce a partire dalla considerazione della persona, dell’immigrato, per ragionare sul modello di sviluppo, ma lo si riduce invece ad entità di compatibilità.

La collocazione sempre precaria sul mercato del lavoro dello straniero extracomunitario o la sua condizione spesso di clandestino, condizioni non scelte ma subite per sopravvivere, ne sono la concreta testimonianza. Non è un caso che la cosiddetta "legge Bossi-Fini" (legge n. 189 del 2002), nel costruire persino un doppio binario giuridico nel trattamento di cittadini italiani e stranieri extracomunitari, trasforma il permesso di soggiorno in contratto di soggiorno. Fissa per legge, cioè, che la permanenza in Italia dello straniero extracomunitario è limitata al periodo in cui il suo lavoro sarà considerato utile alla nostra economia o alle nostre famiglie. Si nega così, in via di principio, la cittadinanza piena agli immigrati, e per questo si consente loro di accedere al massimo alla categoria dell’elemosina per giustificare le ricorrenti sanatorie cui attingere manodopera per i nostri lavori poveri.

Parliamo di un fenomeno sociale e per questo politico. Un modello sociale, il nostro, che genera lavoro povero, e che, all’estremo di questo lavoro povero, non è in grado di garantire nemmeno la copertura. Un fenomeno che chiama in causa l’organizzazione del lavoro e la distribuzione del reddito da lavoro. Ma questa è la condizione prodotta da una globalizzazione capitalista che causa crisi, che genera mobilità assoluta delle merci e dei capitali, ma non consente quella degli uomini e delle donne.

La clandestinità, dunque, si presenta come patologia propria di un sistema socio-economico, di un mondo attraversato da guerre "preventive ed infinite", e di un impianto legislativo che tenta di costruire fortezze invalicabili. Ma l’immigrazione è ormai fenomeno strutturale, che non verrà impedito con i cannoneggiamenti alle frontiere e con i rimpatri forzati, né verrà disincentivato con i regimi separati che negano diritti e generano precarietà. Si tratta perciò di invertire le politiche italiane ed europee fin qui praticate e di tradurle in modelli di società e di sviluppo davvero alternativi.

In questo contesto, la questione del diritto di voto ai cittadini stranieri extracomunitari si impone con particolare rilevanza. Essa rappresenta simbolicamente e concretamente il riconoscimento dei diritti civili, giuridici e politici, requisiti indispensabili per una effettiva partecipazione in una realtà sociale. Non è un caso che la maggioranza dei cittadini italiani si dichiari favorevole al diritto di voto per chi lavora e paga le tasse. Perché questo è nell’ordine del buon senso comune. Ma riconoscere la legittimità del diritto di voto, significa, nella società globale, anche riconoscere altre soggettività in un quadro di diritti universali e universalmente riconosciuti. Significa invertire la tendenza ad imporre precarietà per garantire lavori e servizi. Significa affrontare per tutte e tutti, italiani e stranieri, la questione della rappresentanza politica e istituzionale, anche mettendo in discussione gli attuali sistemi.

Il diritto di voto chiama in causa una nuova stagione di diritti fondamentali per tutte e tutti, in un mondo attraversato da migrazioni irrefrenabili e da soggetti migranti destinati a incrociare e a relazionarsi con altre storie, culture, abitudini. Il livello di accoglienza e di ricchezza umana e sociale che si potrà trarre da queste esperienze (o il suo contrario) è destinato a segnare la vita delle nostre città e dei nostri quartieri, nonché il grado di civile convivenza del continente Europa. Per queste ragioni, consideriamo necessario, oggi, affrontare insieme la questione dei diritti, ponendo il tema della cittadinanza.

Il primo provvedimento organico sulla cittadinanza italiana è rappresentato dalla legge 13 giugno 1912, n. 555. Questa legge, pur con dei limiti, ha introdotto nell’ordinamento italiano un sistema omogeneo destinato a rimanere in vigore, sia pure con significative modifiche, per ottant’anni fino cioè, all’entrata in vigore della legge 5 febbraio 1992, n. 91. Tale legge, pur essendo stata emanata da poco più di un decennio, risente dei clima socio-economico di quegli anni, ed ha recepito solo marginalmente il fenomeno rappresentato dall’immigrazione dall’estero di consistenti flussi di stranieri senza alcun precedente legame con l’Italia. Anche confrontandola con quelle degli altri Stati membri dell’Unione europea, la legge 5 febbraio 1992, n. 91, non appare in grado di recepire la domanda derivante dalle attuali dimensioni del fenomeno dell’immigrazione. Di qui la totale inadeguatezza della normativa vigente in tema di concessione della cittadinanza. Un esempio per tutti è rappresentato dallo jus sanguinis, il diritto di sangue, il principio in base al quale è cittadino italiano chi nasce da genitori italiani o chi ha uno degli ascendenti in linea diretta di secondo grado con cittadinanza italiana. Tale criterio fondante si contrappone allo jus soli, basato sul luogo di nascita, che nella normativa vigente è subordinato a condizioni fortemente restrittive.

La diversità socio-culturale rappresenta per il nostro Paese una ricchezza da non disperdere e uno dei pilastri della costruzione democratica della Repubblica. Non a caso riteniamo che la parola chiave sia "interculturalità" concettualmente diversa dalla parola "integrazione", che mantiene un’ambiguità di fondo. Il fine ultimo è dunque creare un maggiore senso di identificazione, nel rispetto delle diversità linguistiche, religiose e etiche, e un maggiore coinvolgimento nelle istituzioni politiche, anche, e non solo, attraverso il diritto di voto.

La cittadinanza è la condizione giuridica di chi appartiene a uno Stato ed è titolare dei diritti politici, che si esercitano secondo il suo ordinamento, e dei relativi obblighi. L’odierno dibattito politico concentra la sua attenzione sul problema del diritto di voto dei cittadini stranieri. Per le ragioni di ordine sociale, etico e politico che abbiamo fin qui illustrato, si rende necessario fare un salto in avanti ed affrontare il tema dei diritti degli stranieri in modo più complessivo. E’ fin troppo evidente che è il diritto di voto a dover discendere dallo status di cittadino e non viceversa. Il concetto di cittadinanza esprime dal punto di vista giuridico il complesso di diritti e doveri che legano i cittadini allo Stato.

La presente proposta di legge si pone un obiettivo rilevante: riconoscere la cittadinanza quale diritto soggettivo, ovvero riconoscere tale condizione giuridica quale posizione direttamente garantita dal legislatore, in modo da assicurare al titolare il soddisfacimento di una propria utilità sostanziale.

Tale obiettivo è raggiunto tenendo conto di due criteri fondanti: scardinare i rigidi princìpi che hanno ispirato la normativa vigente ampliando e semplificando i criteri di acquisizione della cittadinanza italiana, tra cui, fondamentale, l’abbassamento a tre anni dell’obbligo di risiedere in Italia; snellire la procedura di acquisizione affidando gli adempimenti burocratici - la cui disposizione è rinviata ad un apposito regolamento - all’ufficio territoriale del Governo della provincia nel cui territorio risulta risiedere il richiedente. Ne consegue pertanto che la cittadinanza diventa a tutti gli effetti un diritto soggettivo, designando la posizione giuridica del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.

Riteniamo che questi due aspetti insieme possano garantire il necessario adeguamento delle parti sostanziali della normativa vigente all’attuale situazione socio-economica caratterizzata da un fenomeno immigratorio rilevante.

La presente proposta di legge è concepita come modifica della normativa vigente (legge 5 febbraio 1992, n. 91) di cui tuttavia si mantengono inalterate alcune parti (articoli 1, 2, 12, 14, 17, 19, 20, 21, 23). Altri articoli della medesima legge sono stati invece abrogati perché incompatibili con il nuovo impianto o perché ripresi con qualche modifica in altre parti del presente progetto di legge.

L’articolo 1 prevede i casi che precludono il riconoscimento della cittadinanza, ovvero la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III del codice penale e la sussistenza di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

L’articolo 2 stabilisce che l’organo competente per il riconoscimento della cittadinanza è il prefetto. Questo articolo estende tale procedura a tutti casi in cui è previsto il riconoscimento della cittadinanza (vedi articolo 4 della presente proposta di legge) consegnando al prefetto competente per territorio il compito di istruire la pratica di riconoscimento della cittadinanza, verificare la sussistenza dei requisiti e concluderla attraverso il rilascio dell’"attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana".

L’articolo 3 prevede il respingimento delle istanze da parte del prefetto qualora sussistano cause ostative.

L’articolo 4 introduce i requisiti per il riconoscimento della cittadinanza. E’ qui che al principio dello jus sanguinis si affianca quello dello jus soli estendendo ai figli degli stranieri nati sul territorio della Repubblica il riconoscimento della cittadinanza. L’obbligo di residenza per la presentazione dell’istanza è abbassato per tutti i casi a tre anni.

L’articolo 5 stabilisce le condizioni in base alle quali è previsto un nuovo riconoscimento della cittadinanza se persa ai sensi dell’articolo 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 91.

L’articolo 6 stabilisce l’esercizio dei diritti civili per l’apolide e per lo straniero a cui è riconosciuto lo status di rifugiato.

L’articolo 7 stabilisce norme per gli stranieri, maggiorenni e minorenni, adottati da cittadini italiani in caso di revoca dell’adozione.

L’articolo 8 stabilisce il termine di un anno per la definizione del procedimento di riconoscimento della cittadinanza.

L’articolo 9 stabilisce le modalità di conservazione o rinuncia della cittadinanza italiana.

L’articolo 10 stabilisce l’abrogazione delle disposizioni incompatibili con la legge, fatte salve le disposizioni più favorevoli previste da leggi italiane o da accordi internazionali e rimanda l’emanazione delle disposizioni necessarie per l’attuazione della legge ad un regolamento abrogando quelli oggi in vigore.

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. L’articolo 6 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

"Art. 6. - 1. Precludono il riconoscimento della cittadinanza ai sensi delle lettere a), b), d), e), f), g) ed i) del comma 1 dell’articolo 9:

a) la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III, del codice penale;

b) la sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

2. La riabilitazione fa cessare gli effetti preclusivi della condanna.

3. Il riconoscimento della cittadinanza è sospeso fino a comunicazione della sentenza definitiva, se sia stata promossa azione penale per uno dei delitti di cui al comma 1, lettera a)".

 

 

Art. 2.

 

1. L’articolo 7 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

"Art. 7. - 1. La cittadinanza è riconosciuta con atto del prefetto competente per territorio, denominato "Attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana", a richiesta dell’interessato, presentata al sindaco del comune di residenza o alla competente autorità consolare".

 

 

 

Art. 3.

 

1. L’articolo 8 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

"Art. 8. - 1. Il prefetto competente per territorio respinge l’istanza di riconoscimento della cittadinanza di cui all’articolo 7 ove sussistano le cause ostative previste all’articolo 6. Ove si tratti di ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica, è richiesto il parere conforme del Consiglio di Stato. L’istanza respinta può essere riproposta dopo due anni dall’emanazione del relativo provvedimento.

2. L’emanazione dell’ordinanza di rigetto dell’istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell’istanza medesima, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di un anno.

3. L’attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana di cui all’articolo 7 non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica dell’attestato medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato".

 

 

Art. 4.

 

1. Il comma 1 dell’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

"1. La cittadinanza italiana è riconosciuta dal prefetto della provincia di residenza:

a) allo straniero o all’apolide del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea diretta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni;

b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano;

c) allo straniero minorenne adottato da cittadino italiano;

d) allo straniero che ha prestato servizio, anche all’estero, per almeno tre anni alle dipendenze dello Stato;

e) al cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea se risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

f) all’apolide che risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

g) allo straniero che risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

h) ai figli di stranieri nati sul territorio della Repubblica;

i) al coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno sei mesi ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale".

 

 

Art. 5.

1. L’articolo 13 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

"Art. 13. - 1. A coloro che hanno perduto la cittadinanza, la stessa è nuovamente riconosciuta se:

a) avendola perduta per non aver ottemperato all’intimazione di abbandonare l’impiego o la carica accettati da uno Stato, da un ente pubblico estero o da un ente internazionale, ovvero il servizio militare per uno Stato estero, dichiarano di volerla riacquistare, sempre che abbiano stabilito la residenza da un anno nel territorio della Repubblica e dimostrino di avere abbandonato l’impiego o la carica o il servizio militare, assunti o prestati nonostante l’intimazione di cui all’articolo 12;

b) dichiarano di volerla riacquistare ed hanno stabilito o stabiliscono, entro un anno dalla dichiarazione, la residenza nel territorio della Repubblica;

c) assumendo o avendo assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato italiano, anche all’estero, dichiarano di volerla riacquistare;

d) è decorso un anno dalla data in cui hanno stabilito la residenza nel territorio della Repubblica, salvo espressa rinuncia entro lo stesso termine.

2. Nei casi indicati al comma 1, lettere b), c) e d), il riacquisto della cittadinanza non ha effetto se viene inibito con atto del prefetto competente per territorio in presenza di gravi e comprovati motivi e previo conforme parere del Consiglio di Stato. Tale inibizione può intervenire entro il termine di un anno dal verificarsi delle condizioni stabilite".

 

 

Art. 6.

 

1. L’articolo 16 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

"Art. 16. - 1. L’apolide che risiede legalmente nel territorio della Repubblica è soggetto alla legge italiana per quanto attiene all’esercizio dei diritti civili.

2. Lo straniero riconosciuto rifugiato dallo Stato italiano secondo le condizioni stabilite dalla legge o dalle convenzioni internazionali è equiparato all’apolide ai fini dell’applicazione delle disposizioni della presente legge".

 

 

Art. 7.

 

1. Gli stranieri di cui alle lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall’articolo 4 della presente legge, qualora l’adozione sia revocata, conservano la cittadinanza italiana. Qualora la revoca intervenga durante la maggiore età dell’adottato, lo stesso, se in possesso di altra cittadinanza può comunque rinunciare alla cittadinanza italiana, anche se riacquistata, entro un anno dalla revoca stessa.

2. I figli minorenni di coloro ai quali è riconosciuta la cittadinanza ai sensi dell’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, acquistano la cittadinanza italiana e, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza.

3. Le disposizioni delle lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall’articolo 4 della presente legge, si applicano anche agli adottati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

 

Art. 8.

 

1. Il termine per la definizione dei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza è di trecentosessantacinque giorni dalla data di presentazione della domanda.

2. Il riconoscimento della cittadinanza o il suo eventuale riacquisto, hanno effetto, salvo quanto stabilito all’articolo 13, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall’articolo 5 della presente legge, dal giorno successivo a quello del rilascio dell’attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana di cui all’articolo 7, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall’articolo 2 della presente legge.

 

Art. 9.

 

1. Il cittadino che possiede, acquista o riacquista la cittadinanza straniera conserva quella italiana, ovvero può ad essa rinunciare qualora risieda o stabilisca la propria residenza all’estero.

2. Lo straniero che acquista la cittadinanza italiana può conservare la propria cittadinanza di origine, in conformità alla legge dello Stato di appartenenza, ovvero può comunicare all’ufficiale dello stato civile o alla competente autorità consolare italiana la rinuncia alla cittadinanza di origine.

 

 

Art. 10.

 

1. Sono abrogati gli articoli 3, 4, 5, 10, 11 e 15 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, nonché il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, e successive modificazioni, e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362.

2. Restano salve le norme più favorevoli previste da leggi o accordi internazionali in vigore per l’Italia.

3. Con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono emanate le disposizioni per l’attuazione della medesima legge.

 

 


N. 4562

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato

D’ALIA

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Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza

 

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Presentata il 16 dicembre 2003

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Onorevoli Colleghi! - La normativa vigente in materia di acquisto della cittadinanza italiana per nascita e di concessione della stessa costituisce un esempio di legge tra le più restrittive tra quelle adottate dai Paesi dell’Unione europea.

La normativa vigente prevede, infatti, che i minori nati in Italia da genitori stranieri acquistano la cittadinanza italiana non prima del compimento della maggiore età e limitatamente alla richiesta formulata nei dodici mesi successivi al raggiungimento della stessa.

Per quanto riguarda l’adulto è previsto che egli possa chiedere l’acquisto della cittadinanza ma solo dopo una permanenza di almeno dieci anni nel territorio italiano; i tempi del procedimento sono però talmente lunghi che, in effetti, l’eventuale provvedimento di accoglimento della domanda non viene adottato prima di ulteriori due anni, con la conseguenza che il tempo effettivo è di almeno dodici anni. Alla luce di quanto osservato e in considerazione della presenza sempre più consistente di cittadini stranieri presenti nel nostro Paese, si profila necessaria l’opportunità di ripensare la normativa in materia, introducendo ulteriori criteri che favoriscano l’acquisto della cittadinanza italiana, a fronte di requisiti certi che costituiscano indice della volontà di un inserimento regolare e stabile.

In questa prospettiva si inserisce la presente proposta di legge che intende apporre modifiche alla legge 5 febbraio 1992 n. 91, con l’ulteriore intento, inoltre, di rivedere il termine attuale di regolare permanenza nel Paese degli stranieri giunti in Italia.

Di particolare rilevanza risulta essere a questo proposito la modifica proposta all’articolo 9 della citata legge n. 91 del 1992, che porta da dieci a sei anni il periodo di residenza continua ed abituale nel territorio della Repubblica, accompagnato dalla prova del requisito di soggiorno, congiuntamente al requisito della conoscenza della lingua e della cultura italiane, indici significativi della volontà di realizzare un inserimento stabile ed organico nella società di accoglienza.

 

 


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. All’articolo 1, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

"b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono regolarmente presenti in Italia da almeno due anni e titolari del permesso di soggiorno previsto dall’articolo 6, comma 1, o dall’articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286".

 

 

Art. 2.

 

1. La lettera f) del comma 1 dell’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

"f) allo straniero regolarmente residente nel territorio della Repubblica in forma continua ed abituale da almeno sei anni, se dimostra di essere in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, in misura non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, e di conoscere in maniera adeguata la lingua e la cultura italiane".

 

 

 


N. 4678

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

REALACCI, DE FRANCISCIS, BRESSA, BIMBI, BINDI, BULGARELLI, CENTO, CIANI, FIORONI, GENTILONI SILVERI, GIACHETTI, GRIGNAFFINI, LETTIERI, LUCA’, PAOLA MARIANI, MOSELLA, PASETTO, REDUZZI, SINISI, VIGNI

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Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza

 

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Presentata il 6 febbraio 2004

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Onorevoli Colleghi! - La comunità di Sant’Egidio si è fatta promotrice, nel Paese e nel Parlamento, di una riforma della normativa sulla cittadinanza (legge 5 febbraio 1992, n. 91), che ha sostituito un testo che era in vigore da circa ottanta anni (legge 13 giugno 1912, n.555), i cui contenuti condividiamo.

Il testo attuale della legge n. 91 del 1992 conferma, e per certi aspetti rafforza, princìpi vecchi, tipici di un Paese la cui popolazione emigra per lavoro e completamente inconsapevoli della realtà nuova e diffusa dell’inserimento stabile di cittadini stranieri nel nostro Paese. Afferma con forza il principio dello ius sanguinis, l’acquisto della cittadinanza automatico quando il padre o la madre siano cittadini <articolo 1, comma 1, lettera a)>, limita l’acquisto della cittadinanza in base al principio della nascita sul territorio, lo ius soli, solo al bambino figlio di ignoti o apolidi o nel caso in cui i genitori non trasmettano, secondo la legge del Paese di provenienza, la propria cittadinanza al figlio <articolo 1, comma 1, lettera b)>. Si tratta di casi solo teorici e comunque residuali. Di conseguenza il bambino che nasce in Italia da cittadini stranieri non ha oggi alcuna possibilità di diventare cittadino italiano finché è minorenne.

Ancora meno è riconosciuta questa possibilità al bambino straniero che arrivi in Italia anche in età precocissima, prima dell’inserimento scolastico, per il quale non c’è nessuna possibilità di divenire cittadino da minorenne e che anche da maggiorenne ha attualmente prospettive assai incerte.

Anche per gli adulti la normativa del 1992 restringe notevolmente le possibilità di acquisto della cittadinanza: servono non più cinque anni, come in precedenza, ma dieci anni per fare richiesta della cittadinanza <articolo 9, comma 1, lettera f)>, sono conteggiati solo i periodi di residenza locale nel Paese perché non è sufficiente il solo possesso del permesso di soggiorno (articolo 1, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572), il procedimento amministrativo di concessione della cittadinanza ha una durata prevista di almeno due anni. In pratica, anche nel caso teorico in cui rilascio del permesso e l’elezione della residenza siano contemporanei, servono oggi almeno dodici anni per avere una risposta alla propria richiesta di cittadinanza.

Si tratta del periodo in assoluto più lungo in Europa: la Germania richiede otto anni, la Francia e il Regno Unito cinque. L’Italia ha in materia di naturalizzazione degli adulti la normativa più restrittiva d’Europa mentre non ne ha nessuna in materia di acquisto della cittadinanza per i minorenni.

L’impostazione della legge, a più di dieci anni dalla sua entrata in vigore, ha dato risultati largamente prevedibili: mentre aumenta la presenza degli stranieri nel nostro Paese e si diffonde l’esigenza di assicurare forme stabili di inserimento, la possibilità di acquisto della cittadinanza riguarda una quantità sempre più irrisoria di persone.

Addirittura negli ultimi cinque anni, mentre la presenza di stranieri non comunitari ha registrato una crescita sensibile, i provvedimenti di concessione della naturalizzazione per residenza sono costantemente diminuiti.

Secondo i dati del Ministero dell’interno, riguardanti il periodo dal 1^ gennaio 1995 al 18 settembre 2002, sono 8.516 in quasi otto anni le concessioni della cittadinanza a soggetti non comunitari con naturalizzazione per residenza, una media annua di 1.098 provvedimenti; si passa dai 1.709 del 1999, il numero più alto in assoluto, a soli 511 dal gennaio al settembre 2002.

Negli ultimi cinque anni, mentre l’Italia passa da 1.341.000 stranieri non comunitari regolarmente presenti nel Paese nel 1999 a circa 2.400.000 nel 2003, con una crescita del 79 per cento, le naturalizzazioni per residenza diminuiscono del 70 per cento.

Eppure già nel 2000 erano più di 350.000 gli stranieri con residenza legale nel Paese da almeno dieci anni; 1.465 naturalizzazioni per residenza nello stesso periodo rappresentano meno dello 0,5 per cento dei soggetti potenzialmente richiedenti.

Probabilmente questa tendenza è il risultato combinato di due fattori: prima di tutto l’alto numero di rigetti delle domande proposte (nel 2002 sono stati 762 a fronte di 511 provvedimenti positivi) quasi tutti motivati da ragioni di insufficienza dei redditi; in secondo luogo un effetto inevitabile di scoraggiamento quando si diffonde la conoscenza dell’effettivo funzionamento della legge, per cui neppure più si richiede quello che è quasi impossibile ottenere.

Si tratta di cifre che esprimono chiaramente la completa inadeguatezza e il fallimento della legge vigente.

La proposta di legge di riforma della legge sulla cittadinanza n. 91 del 1992 assume quindi oggi un valore prioritario in una politica di inserimento stabile, con chiarezza di diritti e doveri, degli stranieri nel nostro Paese, riconoscendo la forma più matura di partecipazione a chi ha un progetto di vita futura in Italia, con pienezza quindi anche di diritti politici e civili..

Bisogna riformare la legge con una pluralità di proposte come plurali sono le situazioni che oggi caratterizzano la presenza straniera nel nostro Paese: per i bambini che qui nascono, per quelli che vi arrivano in età infantile o adolescenziale, per gli adulti. Il bambino nato in Italia da genitore straniero nasce e vive in Italia come tutti gli altri bambini, ne impara la lingua, mentre la trasmissione della lingua materna è affidata solo al genitore, ne frequenta la scuola, acquisisce di questo Paese gusti, cultura, abitudini. Conosce il Paese di provenienza dei genitori solo se questi decidono, e hanno la possibilità economica, di farlo viaggiare; più facile per gli stranieri non comunitari provenienti da Paesi europei, ben più costoso e improbabile per chi proviene dall’Asia, dall’America latina o dall’Africa. E’ un bambino straniero nel "suo" Paese, diverso dai suoi coetanei per ragioni incomprensibili.

Si tratta di una realtà che la legge vigente ignora completamente; quando nel 1992 la legge è stata approvata i minori stranieri presenti nel Paese erano 76.400, nel 2002 il loro numero è arrivato a 327.000, secondo le stime elaborate dall’Istituto nazionale di statistica.

Cresce la loro presenza in termini assoluti e cresce il loro peso percentuale sul totale della presenza straniera, passando dal 10,8 per cento del 1992 al 19,2 per cento del 2002.

Dei 327.000 minori presenti in Italia nel 2002, un numero vicino alla metà è anche nato in Italia.

Questi bambini secondo la legge vigente attraversano tutto il periodo fondamentale della crescita e della formazione della propria personalità in questa condizione di estraneità, stranieri nel proprio Paese.

Nel Preambolo della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva dall’Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, si afferma che "occorre preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati dalla Carta delle Nazioni Unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà". E’ chiaro come la condizione di estraneità in cui cresce il minore straniero rischi di compromettere questi princìpi che la Convenzione sui diritti del fanciullo ha affermato nel Preambolo ed è altrettanto evidente che questa diversità incomprensibile può persino alimentare preconcetti discriminatori che costituiscono una minaccia concreta alla dignità del bambino.

Anche la Convenzione europea sulla nazionalità, conclusa tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa il 6 novembre 1997, in attesa di ratifica da parte del nostro Paese, si dimostra consapevole del problema e prevede per questo che ciascun Stato Parte faciliti nel suo diritto interno l’acquisto della cittadinanza per le "persone nate sul suo territorio e ivi domiciliate legalmente e abitualmente" <articolo 6, paragrafo 4, lettera e)>.

Attualmente il minore nato in Italia può chiedere la cittadinanza solo al raggiungimento del diciottesimo anno d’età e perde definitivamente questo diritto se non lo esercita nei dodici mesi successivi (articolo 4, comma 2, della legge n. 91 del 1992).

Ma neppure questa condizione è sufficiente, visto è richiesta anche la prova della residenza legale senza interruzioni dalla nascita <articolo 3, comma 4, lettera b), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572): accade così che anche chi è nato in Italia e vi ha continuativamente vissuto fino a diventare maggiorenne, non possa ottenere la cittadinanza solo perché la madre, che aveva al momento del parto un regolare permesso di soggiorno, non aveva a quel momento eletto la residenza nel comune, come spesso accade quando non si dispone di un alloggio stabile, oppure perché nell’arco dei diciotto anni il nucleo familiare si è allontanato per qualche mese dal Paese e ha per questa ragione perso la residenza.

Molti Paesi di antica tradizione immigratoria hanno da tempo valorizzato un principio di jus soli puro, appena contemperato da alcune condizioni : è cittadino alla nascita chiunque nasca nel territorio del Paese. Così gli USA, il Canada, l’Australia.

Si è dimostrata una misura lungimirante che ha accresciuto negli immigrati delle generazioni successive alla prima il senso di appartenenza al Paese in cui nascono e crescono e che ha contribuito non poco allo sviluppo e alla crescita economica di quei Paesi.

La modifica alla legge sulla cittadinanza che proponiamo prevede per il minore nato in Italia un’attuazione più graduata del principio dello ius soli in quanto la proposta di legge coniuga due requisiti: la nascita nel Paese e la presenza regolare del genitore da almeno due anni, in possesso del permesso di soggiorno per uno dei motivi previsti dall’articolo 6, comma 1, o dall’articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

E’ bene chiarire che si tratta di una modifica da introdurre all’articolo 1 della legge n. 91 del 1992, e non all’articolo 9, perché prevede un modo di acquisto di diritto della cittadinanza, con un provvedimento quindi che presuppone esclusivamente l’accertamento dei requisiti previsti dalla legge e non la concessione con ampie facoltà discrezionali per l’amministrazione, come nel caso appunto dell’articolo 9 per le naturalizzazioni degli adulti. Accade di frequente che il genitore lasci il figlio, anche molto piccolo, nel proprio Paese ai parenti e arrivi in Italia da solo; dopo qualche anno, quando si è stabilizzato e in particolare quando dispone di un alloggio anche per il minore, si fa raggiungere. Si tratta di un bambino spesso in età prescolare o ancora adolescente che vive gli anni centrali della sua formazione in Italia, dove frequenta il ciclo scolastico dell’obbligo: attualmente non ha alcuna possibilità di divenire cittadino finché è minorenne. Non solo, ma a differenza della situazione del minore nato in Italia, anche una volta divenuto maggiorenne non ha altra possibilità che quella di chiedere la naturalizzazione per residenza.

In pratica tutto il periodo, prolungato e significativo, di crescita e di formazione in Italia non ha alcun valore, senza tener conto del fatto che questo periodo è determinante nella costruzione dell’identità della persona e nella maturazione del senso di appartenenza all’Italia.

Si tratta dell’altra metà circa dei 327.500 minori che nel 2002 erano presenti nel nostro Paese.

La citata Convenzione europea sulla nazionalità proprio in relazione a queste situazioni prevede che ogni Stato Parte faciliti nel suo diritto interno l’acquisto della cittadinanza per le "persone che risiedono nel suo territorio legalmente e abitualmente per un periodo iniziato prima dell’età di diciotto anni, periodo determinato dal diritto interno dello Stato Parte interessato" <articolo 6, paragrafo 4, lettera f)>.

L’idea che ispira la proposta di legge di riforma della legge n. 91 del 1992 costituisce un’alternativa sia allo ius sanguinis come allo ius soli: l’acquisizione di un diritto per la presenza e per la partecipazione attiva alla vita del Paese in cui da bambini ci si inserisce, alla sua scuola, alla formazione professionale, anche al lavoro. Uno ius domicilii che si affianca allo ius soli per chi non è nato in Italia ma qui vive gli anni decisivi della formazione della sua personalità.

I fatti che fondano questo diritto sono sia la durata della vita in Italia per un congruo periodo di anni, sei anni che costituiscono un indice di stabilità significativo nella vita del minore, sia la qualità di questa vita, contrassegnata dalla partecipazione alla scuola e alla formazione professionale. Come nel caso dei minori nati in Italia, la modifica viene attuata con l’introduzione della norma della legge n. 91 del 1992, perché riconosce il diritto alla cittadinanza ad esito di un provvedimento di accertamento costitutivo. Attualmente all’adulto straniero che fa domanda per ottenere la cittadinanza italiana sono richiesti dieci anni di residenza legale in Italia <articolo 9, comma 1, lettera f)>. Il tempo effettivo deve però considerare anche la durata, almeno biennale, del procedimento: si tratta quindi di un tempo complessivo di almeno dodici anni. E’ richiesta sempre l’attestazione del possesso di redditi, in genere relativi al triennio immediatamente precedente la presentazione della domanda in una misura che attualmente non è definita né dalla legge né dai successivi regolamenti.

Con il decreto del Ministro dell’interno 22 novembre 1994 è stata poi introdotta un’ulteriore condizione: lo straniero richiedente deve produrre il "certificato di svincolo".

E’ una disposizione ambigua, non contenuta né nella legge n. 91 del 1992, né nei regolamenti successivi, che introduce il principio di rinuncia necessaria alla cittadinanza di origine e di negazione della doppia cittadinanza che il legislatore aveva intenzionalmente escluso, affermando invece proprio il principio contrario quando all’articolo 11, comma 1, della medesima legge aveva previsto che "Il cittadino che possiede, acquista o riacquista una cittadinanza straniera conserva quella italiana (....)".

La proposta di legge di riforma della naturalizzazione è ispirata al principio di una ragionevole riduzione del periodo di regolare presenza in Italia, fissato in sei anni, tenendo conto che il tempo effettivo per ricevere una risposta sull’istanza di naturalizzazione verrebbe così a scendere dagli attuali dodici anni a otto, comunque un periodo consistente.

Sei anni costituisce per l’adulto, al pari di quanto già osservato per il minore, un indice di stabilità significativo, maggiore di due anni del periodo richiesto per la naturalizzazione degli stranieri comunitari <articolo 9, comma 1, lettera d)> e più elevato del periodo quinquennale su cui è orientata la normativa comunitaria per il rilascio di titoli di soggiorno per stranieri lungoresidenti.

Tra i requisiti, essenziale è la richiesta di una conoscenza adeguata della lingua e della cultura italiane, che costituisce un indice significativo della qualità della presenza dello straniero nel Paese e della sua effettiva volontà di progettare il proprio futuro come cittadino.

Per quanto riguarda il possesso dei requisiti reddituali, è opportuno che il parametro di valutazione sia predeterminato legalmente al fine di consentire un accertamento, al momento della proposizione della richiesta, obiettivo e prevedibile negli esiti. Per questa ragione la proposta di legge prevede espressamente la disponibilità di un reddito non inferiore all’importo dell’assegno sociale.

 

 


 

 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Al comma 1 dell’articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono aggiunte le seguenti lettere:

"b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica se il genitore è regolarmente presente in Italia da almeno due anni e titolare del permesso di soggiorno previsto dall’articolo 6, comma 1, o dall’articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni;

b-ter) il minore figlio di genitore straniero se fornisce prova della presenza continuativa in Italia da almeno sei anni e della partecipazione ad un ciclo scolastico o di formazione professionale oppure dello svolgimento di regolare attività lavorativa, unitamente alla conoscenza adeguata della lingua e della cultura italiane".

 

Art. 2.

1. La lettera f) del comma 1 dell’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

"f) allo straniero regolarmente presente nel territorio della Repubblica in forma continua e abituale da almeno sei anni, se dimostra di essere in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, in misura non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, e di conoscere in maniera adeguata la lingua e la cultura italiane".

 

 


N. 4722

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato

SINISI, FIORONI, BRESSA, FISTAROL, MACCANICO

¾

 

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza

 

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Presentata il 18 febbraio 2004

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Onorevoli Colleghi! - La legge italiana sulla cittadinanza, legge 5 febbraio 1992, n. 91, è fortemente sbilanciata nella tutela della discendenza e dello jus sanguinis. Tale legge si contrappone oggi alle posizioni emerse in seno all'Unione europea. Fino alla riforma del 2000, la Germania aveva un sistema di jus sanguinis, simile a quello italiano. Dopo decenni di immigrazione vivono in Germania più di 7 milioni di stranieri e nascono ogni anno circa 100 mila bambini «stranieri». Si tratta di una ferita profonda in seno alla società tedesca, che da un lato alimenta fenomeni anche violenti di razzismo e dall'altro giustifica forme di rigetto e di alienazione da parte degli immigrati. Il Governo Schroeder ha avuto il coraggio di facilitare l'acquisizione della cittadinanza, ma occorreranno decenni prima che la ferita si rimargini. In Italia il fenomeno migratorio è recente e siamo in tempo per evitare l'errore tedesco. Occorre però agire presto perché il numero di minori stranieri cresce di circa il 20 per cento all'anno (confronta Bertocchi, Prat, Perasso in www.lavoce.info).

L'innovazione più importante apportata dalla riforma tedesca si risolve in una relativizzazione del tradizionalmente vigente principio tedesco dello jus sanguinis a favore di quello attributivo della cittadinanza dello jus soli.

Acquisisce la cittadinanza tedesca il soggetto nato in territorio tedesco da genitori stranieri di cui almeno uno soggiorni regolarmente in Germania da otto anni e sia in possesso di un titolo di soggiorno o da tre anni con un permesso di soggiorno a tempo indeterminato.

Un tale assetto normativo contempla fisiologicamente la presenza di cittadini con cittadinanza multipla nel territorio nazionale, dato che sarà molto frequente a causa della concorrenza di sistemi nazionali di riconoscimento automatico della cittadinanza che si basano sullo jus sanguinis che i figli nati da genitori stranieri in Germania acquisteranno anche la cittadinanza dello Stato di provenienza dei genitori.

La portata della riforma è stata limitata sotto questo profilo dall'obbligo di opzione che obbliga il cittadino tedesco che sia in possesso di una seconda cittadinanza ad optare per una delle due al compimento della maggiore età e su esplicita richiesta delle competenti autorità tedesche. Un ulteriore punto nodale della riforma è la riduzione del periodo di legittima e regolare permanenza nel territorio nazionale che è necessario provare per ottenere la cittadinanza, che passa da quindici ad otto anni. Lo straniero deve, inoltre, accettare e riconoscere i princìpi democratici sui quali è fondata la Repubblica federale tedesca, soggiornare legittimamente, mantenersi senza l'ausilio di sussidi statali e non aver commesso ed essere stato condannato per alcun grave reato. Inoltre, deve dimostrare sufficienti capacità linguistiche che vengono giudicate secondo la sua capacità di interagire normalmente con le amministrazioni e di interloquire in tedesco nell'espletamento delle quotidiane incombenze sociali e lavorative (confronta R. Arnold e D. Biermann, La disciplina dell'immigrazione in Germania, in Diritto pubblico comparato ed europeo, II, 2003, pagina 645).

La presente proposta di legge si ispira ai contenuti della riforma tedesca e intende avvicinare la legislazione italiana alla legislazione della maggior parte dei Paesi dell'Unione europea. La stessa proposta di legge riprende, in parte, i contenuti del lavoro svolto dalla Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, guidato dalla professoressa Giovanna Zincone (a tale proposito si possono consultare gli atti del Convegno Riformare la legge sulla cittadinanza svoltosi a Roma il 22 febbraio 1999, organizzato dal Dipartimento per gli affari sociali). Gli obiettivi della proposta di legge sono: favorire i minori nati sul territorio, cioè le seconde e, ancora più, le terze generazioni di immigrati; facilitare l'acquisizione della cittadinanza per gli stranieri non dell'Unione europea, specie se risiedono da lungo tempo e danno segni di integrazione; scoraggiare matrimoni di comodo.

Raggiungere questi obiettivi «significa inserire le normative sulla cittadinanza in un progetto di integrazione ragionevole, un progetto che non pretende assimilazioni culturali a tappe forzate, ma richiede il rispetto della legalità e la disponibilità ad apprendere gli strumenti culturali necessari ad interagire con la società in cui si risiede e dove si intende vivere».

La proposta di legge prevede il rafforzamento dello jus soli ponendo condizioni più favorevoli per i minori nati o formati nel Paese: con l'articolo 1 si riconosce, infatti, la cittadinanza italiana al figlio nato in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno sia residente legalmente e continuativamente in Italia da almeno otto anni o sia titolare della carta di soggiorno da almeno due anni. Si riconosce la possibilità di conservare la doppia cittadinanza, salvo che il nato in Italia da genitori stranieri che abbia conseguito la cittadinanza vi rinunzi entro due anni dal compimento della maggiore età e trasferisca la sua residenza all'estero.

Con l'articolo 2 si intende porre un rimedio alla piaga dei matrimoni di comodo: si pone infatti un obbligo di residenza in Italia più lungo e si prevede che il vincolo del matrimonio debba persistere al momento del decreto con cui si acquista la cittadinanza.

Con l'articolo 3 si pone in essere una novità rilevante trasformando la naturalizzazione per lungo residenti in un diritto soggettivo. La naturalizzazione si distingue dagli altri tipi di acquisizione perché non costituisce un diritto, non è data automaticamente a chi abbia i requisiti e la richieda, è concessa a discrezione attraverso procedure lente e complesse. Molti Paesi hanno ridotto la discrezionalità della decisione. La facilitazione ha seguito tre vie: tempi di residenza richiesti più brevi, pratiche più semplici e più standardizzate su tutto il territorio, riduzione della discrezionalità

delle decisioni e delle competenze. I tempi di residenza legale richiesti per la naturalizzazione oscillano (in Olanda, Belgio, Svezia, Finlandia, Francia, si chiedono cinque anni, in Danimarca sette, in Germania otto e in Spagna dieci, in Lussemburgo dieci, ma solo gli ultimi cinque continuativi). L'Italia si colloca, dopo la citata legge n. 91 del 1992, nella fascia di severità estrema, che è anche la soglia massima prevista dalla convenzione del Consiglio d'Europa del 1997. Con la presente proposta di legge si lascia immutata la disciplina che prevede la piena discrezionalità dello Stato nel concedere la cittadinanza a coloro che hanno soggiornato legalmente per oltre dieci anni in Italia (acquisizione per naturalizzazione) ma si trasforma la cittadinanza in un diritto per lo straniero legalmente e continuativamente residente in Italia da oltre otto anni o che sia titolare della carta di soggiorno da almeno due anni qualora: a) non abbia riportato condanne penali per reati che prevedono l'arresto in flagranza di reato ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale (ovvero ricorra la condizione preclusiva per condanne penali prevista dall'articolo 6 della legge n. 91 del 1992); b) conosca la lingua italiana; c) non abbia fruito di sussidi pubblici per il sostentamento nei tre anni precedenti la richiesta; d) disponga di una idonea abitazione; e) non vi ostino motivi di sicurezza dello Stato. Resta fermo anche per questi soggetti l'obbligo di prestare entro sei mesi giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. Con gli articoli 4 e 5 si prevede che la richiesta di acquisto della cittadinanza vada presentata al prefetto e che il decreto sia emanato dal Ministro dell'interno entro un anno dalla data di presentazione dell'istanza. L'articolo 6 stabilisce che qualora sia accertata anche successivamente la mancanza dei requisiti la cittadinanza può essere revocata.

L'articolo 7 prevede che il Ministro dell'interno può, con proprio decreto, revocare la cittadinanza concessa allo straniero naturalizzato o acquisita per il decorso del tempo qualora la stessa sia funzionale ad un proposito illecito quale quello di agevolare la costituzione e la partecipazione ad associazioni eversive o di compiere atti terroristici, ovvero di sottrarsi all'accertamento dell'autorità. Si tratta di una norma tesa ad evitare strumentalizzazioni ed abusi di un diritto, poiché tale viene configurata la cittadinanza nella proposta di legge.

L'articolo 8 prevede che il Governo provveda alla modifica dei regolamenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 572 del 1993 e al decreto del Presidente della Repubblica n. 362 del 1994, emanati in attuazione delle disposizioni della citata legge n. 91 del 1992, e che tanti problemi di interpretazione hanno suscitato.



 


proposta di legge

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Art. 1.

(Acquisto della cittadinanza per i nati in Italia).

1. Al comma 1 dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

«b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno sia residente legalmente e continuativamente in Italia da almeno otto anni o sia in possesso da almeno due anni della carta di soggiorno prevista dall'articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni; entro due anni dal compimento della maggiore età il soggetto, qualora stabilisca la sua residenza all'estero, può rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana».

Art. 2.

(Acquisto della cittadinanza per matrimonio).

1. L'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«Art. 5. - 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio se, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non sia intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussista separazione legale».

 

Art. 3.

(Acquisto della cittadinanza per lo straniero legalmente e continuativamente residente in Italia).

1. Dopo l'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 2 della presente legge, è inserito il seguente:

«Art. 5-bis. - 1. Lo straniero residente legalmente e continuativamente in Italia da almeno otto anni o in possesso da almeno due anni della carta di soggiorno prevista dall'articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, acquista la cittadinanza italiana qualora:

a) non ricorrano le cause ostative previste dall'articolo 6;

b) non abbia riportato condanne penali per reati che prevedono l'arresto in flagranza di reato ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale;

c) conosca la lingua italiana;

d) non abbia fruito di sussidi pubblici per il sostentamento nei tre anni precedenti la data della richiesta;

e) disponga di una idonea abitazione;

f) non vi ostino motivi di sicurezza dello Stato.

2. L'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, è sospesa fino a comunicazione della sentenza definitiva se sia stata promossa azione penale per uno dei delitti di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a) e lettera b), prima parte, e di cui al comma 1, lettera b), del presente articolo, nonché per il tempo in cui è pendente il procedimento di riconoscimento della sentenza straniera di cui al citato articolo 6, comma 1, lettera b), seconda parte.

3. Il decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla data di notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato».

Art. 4.

(Decreto del Ministro dell'interno per l'acquisto della cittadinanza italiana).

1. Il comma 1 dell'articolo 7 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«1. Ai sensi dell'articolo 5 e dell'articolo 5-bis, la cittadinanza italiana si acquista con decreto del Ministro dell'interno, a istanza dell'interessato, presentata al prefetto competente per territorio in relazione alla residenza dell'istante».

 

Art. 5.

(Decreto del Ministro dell'interno di rigetto dell'istanza di acquisto della cittadinanza).

1. L'articolo 8 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«Art. 8. - 1. Con decreto motivato, il Ministro dell'interno respinge l'istanza di cui all'articolo 7, comma 1, ove sussistano le cause ostative previste dall'articolo 6 o non ricorrano le condizioni di cui all'articolo 5-bis. Ove si tratti di ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica, il decreto è emanato su conforme parere del Consiglio di Stato. L'istanza può essere riproposta dopo cinque anni dalla data di emanazione del decreto di rigetto di cui al presente comma.

2. L'emanazione del decreto di rigetto è preclusa quando dalla data di presentazione dell'istanza stessa sia decorso il termine di un anno».

Art. 6.

(Perdita della cittadinanza).

1. All'articolo 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«2-bis. Il cittadino italiano che abbia acquistato la cittadinanza ai sensi dell'articolo 5 o dell'articolo 5-bis perde la stessa qualora sia accertata, successivamente all'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, la mancanza dei requisiti di cui ai medesimi articoli 5 e 5-bis».

Art. 7.

(Revoca della cittadinanza).

1. Dopo l'articolo 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dall'articolo 6 della presente legge, è inserito il seguente:

«Art. 12-bis. - 1. Il Ministro dell'interno può, con proprio decreto, revocare la cittadinanza, concessa ai sensi dell'articolo 9 o acquisita ai sensi degli articoli 5 e 5-bis, qualora l'acquisto della medesima agevoli la costituzione e la partecipazione ad associazioni eversive o la commissione di atti terroristici, ovvero la sottrazione all'accertamento dell'autorità».

Art. 8.

(Norme di adeguamento).

1. Con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono emanate le disposizioni per l'attuazione della legge medesima.

2. A decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 1 sono abrogati il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362.

 


N. 4966

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato

RUZZANTE, MONTECCHI, FINOCCHIARO, LEONI, ABBONDANZIERI, ADDUCE, ALBONETTI, AMICI, ANGIONI, BELLILLO, BELLINI, BENVENUTO, BIELLI, BOGI, BOLOGNESI, BORRELLI, BOVA, BUFFO, BULGARELLI, BURLANDO, BURTONE, CAMO, CAPITELLI, CARBONI, CENNAMO, CEREMIGNA, CHIAROMONTE, CHITI, CIMA, CORDONI, ARMANDO COSSUTTA, MAURA COSSUTTA, CRISCI, CRUCIANELLI, DE BRASI, DI SERIO D'ANTONA, DIANA, DUCA, FANFANI, FILIPPESCHI, FOLENA, FRANCI, FUMAGALLI, GASPERONI, GIULIETTI, GRANDI, GRILLINI, GROTTO, INNOCENTI, KESSLER, LABATE, LUCÀ, LUCIDI, LULLI, LUSETTI, MAGNOLFI, FILIPPO MANCUSO, MANZINI, PAOLA MARIANI, RAFFAELLA MARIANI, MARIOTTI, MARTELLA, MAURANDI, MAZZARELLO, MELANDRI, MILIOTO, MOTTA, PANATTONI, PAPPATERRA, PENNACCHI, PISTONE, POLLASTRINI, PREDA, QUARTIANI, ROCCHI, NICOLA ROSSI, ROSSIELLO, RUGGERI, RUGGHIA, SANDI, SASSO, SEDIOLI, SERENI, TOCCI, TOLOTTI, TRUPIA, VERTONE, VIANELLO, ZANOTTI, ZUNINO

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Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza

 

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Presentata il 5 maggio 2004

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Onorevoli Colleghi! - La normativa vigente in materia di acquisto della cittadinanza italiana, la legge 5 febbraio 1992, n. 91, costituisce un esempio di legge tra le più restrittive tra quelle adottate dai Paesi dell'Unione europea. Tale legge, che ha sostituito un testo normativo che era in vigore da circa ottanta anni (la legge 13 giugno 1912, n. 555), ha confermato e rafforzato vecchi princìpi assolutamente non in grado di disciplinare la mutata situazione sociale, che vede enormemente aumentata la presenza di cittadini stranieri che necessitano di un inserimento stabile nel nostro Paese. La legge n. 91 del 1992 conferma il principio dello ius sanguinis, l'acquisto della cittadinanza automatico quando il padre e la madre siano cittadini [(articolo 1, comma 1, lettera a)], limita l'acquisto della cittadinanza in base al principio della nascita nel territorio, ius soli, solo al bambino figlio di ignoti o apolidi o nel caso in cui i genitori non trasmettano, secondo la legge del Paese di provenienza, la propria cittadinanza al figlio. Le limitazioni, quanto allo ius soli, comportano come conseguenza che il bambino che nasce in Italia da cittadini stranieri non ha alcuna possibilità di divenire cittadino italiano finché è minorenne. Ancora più grave è la situazione del bambino straniero che arriva in Italia il quale, oltre a non avere nessuna possibilità di divenire cittadino da minorenne, da maggiorenne ha prospettive assai incerte e i relativi iter amministrativi durano diversi anni.

Anche per gli adulti la normativa del 1992 restringe notevolmente la possibilità di acquistare la cittadinanza: servono dieci anni per fare la richiesta (la precedente disciplina ne prevedeva solo cinque), a tale fine sono conteggiati solo i periodi di residenza locale nel Paese non essendo sufficiente il solo possesso del permesso di soggiorno (articolo 1, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572) e il procedimento amministrativo di concessione della cittadinanza ha una durata di almeno due anni. Si tratta in assoluto del periodo più lungo in Europa (la Germania richiede otto anni, mentre Francia e Regno Unito cinque) e della normativa, in materia di naturalizzazione degli adulti, più restrittiva del vecchio continente che addirittura non prevede nulla per quanto riguarda i minori.

L'attuazione della legge, a più di dieci anni dalla sua entrata in vigore, ha dato risultati largamente prevedibili: a fronte di un considerevole aumento della presenza di stranieri nel nostro Paese e della correlata esigenza di assicurare forme stabili di inserimento, la possibilità di acquisto della cittadinanza riguarda una quantità sempre più irrisoria di persone, con un costante decremento, negli ultimi cinque anni, dei provvedimenti di concessione della naturalizzazione per residenza. Il nostro Paese infatti, passando da 1.341.000 stranieri non comunitari regolarmente presenti nel 1999 a circa 2.400.000 nel 2003, ha registrato una crescita del 79 per cento mentre le naturalizzazioni per residenza sono diminuite del 70 per cento. Si tratta di cifre che esprimono chiaramente la completa inadeguatezza e il fallimento di una legge che necessita urgentemente di una riformulazione finalizzata a una politica di inserimento stabile, che sia in grado di dare certezza ai diritti e ai doveri degli stranieri presenti nel nostro Paese.

La presente proposta di legge, che fa propri i princìpi fondamentali della proposta della Comunità di Sant'Egidio, si sostanzia in una serie di modifiche che tengono conto del mutato quadro sociale del nostro Paese quanto a presenze straniere, prendendo in considerazione sia il bambino straniero che nasce in Italia o vi arriva in età adolescenziale, che l'adulto che vi risiede per un considerevole periodo di tempo.

Attualmente il minore nato in Italia può chiedere la cittadinanza solo al raggiungimento del diciottesimo anno d'età, perde definitivamente questo diritto se non lo esercita nei dodici mesi successivi ed è richiesta anche la prova della residenza legale in Italia senza interruzioni dalla nascita. La modifica proposta mira ad introdurre, per il minore nato in Italia, un'attuazione graduata del principio dello ius soli, coniugando il requisito della nascita nel Paese e la presenza regolare del genitore da almeno due anni, in possesso del permesso di soggiorno previsto dall'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni. Si tratta in sostanza dell'introduzione della lettera b-bis) al comma 1 dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, che, in linea con quanto previsto dal Preambolo della Convenzione sui diritti del fanciullo (firmata a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176) e dalla Convenzione europea sulla nazionalità (conclusa il 6 novembre 1997 e non ancora ratificata dal nostro Paese), mira a facilitare, nei diritti interni dei singoli Stati, l'acquisto della cittadinanza per le persone nate nel territorio e ivi domiciliate legalmente e presente nel territorio della Repubblica in forma continua e abituale da almeno sei anni e se conosce in maniera sufficiente la lingua italiana.


 


proposta  di legge

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Art. 1.

1. Al comma 1 dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono aggiunte le seguenti lettere:

«b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica se il genitore è regolarmente presente in Italia da almeno due anni e titolare del permesso di soggiorno previsto dall'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni;

b-ter) il minore, figlio di genitore straniero, a condizione che siano provati la sua presenza continuativa in Italia da almeno sei anni e la sua partecipazione a un ciclo scolastico o di formazione professionale oppure lo svolgimento di una regolare attività lavorativa, unitamente alla sua conoscenza sufficiente della lingua italiana».

Art. 2.

1. La lettera f) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

«f) allo straniero regolarmente presente nel territorio della Repubblica in forma continua e abituale da almeno sei anni, e che dimostra di conoscere in maniera sufficiente la lingua italiana».

 

 


Esame in sede referente

 


I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

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SEDE REFERENTE

Mercoledì 3 marzo 2004. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Intervengono il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, i Sottosegretari di Stato per i rapporti con il Parlamento, Cosimo Ventucci e per l'interno, Alfredo Mantovano.

La seduta comincia alle 13.40.

(omissis)

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza.

C. 204 Cima, C. 974 Russo Spena, C. 1463 Turco, C. 4327 Diliberto, C. 4388 Mantini, C. 4396 Cè, C. 4492 Mascia, C. 4562 D'alia e C. 4678 Realacci.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame.

Isabella BERTOLINI (FI), relatore, premesso che le nove proposte di legge di cui la Commissione si accinge ad avviare l'esame, recano disposizioni in materia di  acquisto della cittadinanza, fa presente che, in particolare, sei di esse intervengono su puntuali aspetti della vigente disciplina, recata dalla legge 91 del 1992, concernenti l'acquisto della cittadinanza alla nascita (jure sanguinis o jure soli) ovvero il riconoscimento della cittadinanza (per «naturalizzazione») allo straniero residente in Italia. Altre tre proposte di legge recano una più ampia disciplina della materia, che modifica ampiamente o sostituisce integralmente quella recata dalla medesima legge. L'ultimo progetto di legge reca anche disposizioni volte a riconoscere il diritto di elettorato attivo e passivo a livello locale agli stranieri titolari di permesso di soggiorno. È opportuno quindi soffermarsi sull'attuale disciplina in materia di cittadinanza stabilisce che acquistano automaticamente alla nascita la cittadinanza italiana coloro i cui genitori (anche soltanto il padre o la madre) siano cittadini italiani, in base quindi allo jure sanguinis. Il criterio alternativo dello jus soli è invece previsto soltanto in via residuale, limitatamente ai nati in territorio italiano che hanno genitori ignoti o apolidi. La stessa possibilità è prevista per i nati in Italia ai quali la legge dello Stato di origine dei genitori non consente di acquisire la cittadinanza dei genitori stessi. La cittadinanza italiana è acquisita anche per riconoscimento della filiazioneoppure a seguito dell'accertamento giudiziale della sussistenza della filiazione. Sono altresì previste modalità agevolate di acquisto della cittadinanza per gli stranieri di origine italiana, nel senso che la cittadinanza può essere acquistata dagli stranieri o apolidi, discendenti (fino al secondo grado) da un cittadino italiano per nascita, a condizione che facciano un'espressa dichiarazione di volontà e che siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge. Quanto invece allo straniero che sia nato in Italia, questi può divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari, entro un anno dal compimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana. Per quanto riguarda l'acquisto della cittadinanza da parte di stranieri o apolidi che hanno contratto matrimonio con cittadini italiani, occorre soddisfare una serie di condizioni particolari. L'acquisto della cittadinanza può avvenire, infine, per concessione e in tale caso entra in gioco una valutazione discrezionale di opportunità da parte della pubblica amministrazione, pur attenuata dall'obbligo del parere preventivo del Consiglio di Stato. Va precisato che il periodo di residenza legale in Italia, graduato in funzione dello status degli stranieri richiedenti, che costituisce il requisito fondamentale per conseguire la cittadinanza secondo tale modalità, deve essere ininterrotto e attuale al momento della presentazione dell'istanza per la concessione della cittadinanza. In particolare, può presentare domanda per ottenere la concessione della cittadinanza italiana il cittadino straniero che si trova in una delle seguenti condizioni: residente in Italia da almeno dieci anni, se cittadino non appartenente all'Unione europea, o da almeno quattro anni, se cittadino comunitario; apolide residente in Italia da almeno cinque anni; il cui padre o la cui madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato in Italia e, in entrambi i casi, vi risiede da almeno tre anni; maggiorenne adottato da cittadino italiano e residente in Italia da almeno cinque anni; aver prestato servizio alle dipendenze dello Stato italiano, anche all'estero, per almeno cinque anni. Da un punto di vista quantitativo, si può segnalare che nel corso del 2003 la cittadinanza italiana è stata concessa a 13.382 persone, nella maggior parte dei casi in forza di matrimonio contratto con un cittadino italiano. La legge 91 del 1992 prevede inoltre disposizioni in materia di doppia cittadinanza, perdita e riacquisto della cittadinanza. Passando quindi ad un'analisi delle proposte di legge presentate, va segnalato che sulla disciplina dell'acquisto della cittadinanza per nascita, recata dall'articolo 1 della legge 91 del 1992, intervengono le p.d.l. nn. 204 Cima, 4562 D'Alia e 4678 Realacci. L'A.C. 204, in  particolare, amplia il novero dei casi in cui la cittadinanza viene attribuita in base al criterio dello jus soli, stabilendo l'acquisizione automatica della cittadinanza italiana da parte di coloro che nascono nel territorio italiano da genitori che vi risiedano (entrambi) legalmente da almeno tre anni o dei quali almeno uno sia in possesso della carta di soggiorno, mentre gli A.C. 4562 e 4678 modificano la disciplina vigente sull'acquisto della cittadinanza jure soli, prevedendone l'attribuzione a coloro che nascono in Italia da genitori (la p.d.l. A.C. 4562in realtà fa riferimento ad un solo genitore) che siano residenti da almeno due anni e in possesso del permesso di soggiorno. Sulla modifica della disciplina della naturalizzazione, recata dall'articolo 9 della legge sulla cittadinanza, intervengono le p.d.l. nn. 4327 Diliberto, A.C. 4388 Mantini, A.C. 4562 D'Alia e 4678 Realacci, che abbreviano in varia misura, fissandolo, rispettivamente, in tre, otto e sei anni (C. 4562 e C. 4678) i termini del soggiorno in Italia ai fini della concessione della cittadinanza per naturalizzazione. Viene inoltre chiesto tra i requisiti il possesso di un reddito adeguato, comunque non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale (A.C. 4562, A.C. 4678), e la buona conoscenza della lingua italiana (quest'ultima condizione è indicata dalle due p.d.l. citate e dall'A.C 4388). La p.d.l. n. 4396 Cè, pur mantenendo inalterati i termini attualmente previsti per l'ottenimento della cittadinanza per concessione, introduce tra i requisiti richiesti il superamento di un test di naturalizzazione, il cui scopo è quello di accertare la conoscenza da parte dell'interessato «della lingua italiana e locale» e, più in generale, della storia e cultura e dell'ordinamento istituzionale della Repubblica. La p.d.l. n. 4327 Diliberto estende inoltre agli stranieri titolari di permesso di soggiorno il diritto elettorale attivo e passivo nelle elezioni amministrative e circoscrizionali con le modalità previste per i cittadini dell'Unione europea. Quanto alla p.d.l. n. 974 Russo Spena, essa riproduce sostanzialmente il contenuto della legge 91/1992, pur apportandovi significative novità, come ad esempio il riconoscimento della cittadinanza a tutti coloro che nascono in Italia, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori, una limitazione delle modalità agevolate di acquisto della cittadinanza ora previste per gli stranieri i cui genitori siano stati cittadini italiani. Il medesimo progetti di legge è volto ad introdurre inoltre il principio generale secondo cui acquistano la cittadinanza italiana gli stranieri e gli apolidi che risiedano legalmente e in maniera continuativa in Italia per almeno cinque anni, abbreviando altresì a due anni (rispetto ai cinque attuali) il termine per la riproposizione delle istanze per la concessione della cittadinanza che siano state respinte. La p.d.l. 1463 Turco è finalizzata sostanzialmente a rendere più flessibile il sistema per l'acquisto della cittadinanza italiana jure soli, introducendo il principio secondo il quale gli stranieri nati in Italia da genitori stranieri, dei quali almeno uno sia a sua volta nato in Italia, acquistano per nascita la cittadinanza italiana. Va precisato che la proposta di legge consente comunque agli interessati di rinunciare, al raggiungimento della maggiore età, alla cittadinanza italiana per mantenere quella dei genitori o un'altra cittadinanza. Dopo il compimento del diciottesimo anno di età, invece, lo straniero può acquistare la cittadinanza italiana se, oltre ad essere nato in Italia, vi risiede legalmente e dimostra di avervi risieduto per un periodo non inferiore a cinque anni, e se manifesta entro un anno la volontà di diventare cittadino. Una disposizione innovativa è poi contenuta all'articolo 3, che prevede per gli stranieri nati in Italia una modalità di acquisto della cittadinanza per nascita subordinata alla sussistenza di due condizioni: il possesso da parte dei genitori della carta di soggiorno e la richiesta da parte dei genitori a partire dal quinto anno di età del figlio. Per quanto riguarda la concessione della cittadinanza per naturalizzazione, è prevista la riduzione da dieci a sette anni del periodo di residenza legale dello straniero che intende acquistare la cittadinanza italiana. Passando infine alla p.d.l. n. 4492 Mascia, tale progetto  estende alcune cause ostative, che attualmente precludono il riconoscimento della cittadinanza per matrimonio, alle ipotesi di concessione della cittadinanza per naturalizzazione: in tal modo viene esclusa la possibilità di divenire cittadini italiani per coloro che hanno riportato una condanna per uno dei delitti contro la personalità internazionale e interna dello Stato e contro i diritti politici dei cittadini e per coloro nei confronti dei quali sussistano comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica. L'articolo 2 stabilisce, in via generale, che l'organo competente per il riconoscimento della cittadinanza è il prefetto della provincia di residenza del soggetto interessato e non il ministero dell'interno, come attualmente previsto. Con un proprio atto, il prefetto rilascia, a conclusione del procedimento, un «attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana». Al prefetto spetta anche la reiezione delle istanze qualora sussistano cause ostative. Inoltre l' articolo 4 prevede il riconoscimento della cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia, mentre l'obbligo di residenza per la presentazione dell'istanza di concessione della cittadinanza per naturalizzazione è ridotto per tutti i casi a tre anni. È previsto infine che gli stranieri adottati da cittadini italiani, ai quali è stata riconosciuta la cittadinanza italiana, qualora l'adozione sia revocata, conservino la cittadinanza italiana.

Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.



I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

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SEDE REFERENTE

Martedì 9 marzo 2004. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Intervengono il Sottosegretario all'interno, Maurizio Balocchi, il Sottosegretario all'economia e alle finanze, Manlio Contento e il Sottosegretario per le riforme istituzionali e la devoluzione, Aldo Brancher.

La seduta comincia alle 11.30.

(omissis)

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza.

C. 204 Cima, C. 974 Russo Spena, C. 1463 Turco, C. 4327 Diliberto, C. 4388 Mantini, C. 4396 Cè, C. 4492 Mascia, C. 4562 D'Alia e C. 4678 Realacci.

(Seguito esame e rinvio - Abbinamento pdl 4722).

La Commissione prosegue l'esame, rinviato nella seduta del 3 marzo 2004.

Donato BRUNO, presidente, avverte che nella seduta odierna sostituirà il relatore. Comunica quindi che è stata assegnata alla I Commissione la proposta di legge C. 4722 del deputato Sinisi, recante nuove norme  sulla cittadinanza. Poiché la suddetta proposta di legge verte sulla stessa materia delle proposte di legge già all'ordine del giorno, avverte che ne è stato disposto l'abbinamento, ai sensi dell'articolo 77, comma 1, del regolamento.

Giannicola SINISI (MARGH-U) illustra il contenuto della proposta di legge n. 4722, recante nuove norme sulla cittadinanza, di cui è il primo firmatario. In particolare, la proposta di legge, che si ispira ai contenuti della riforma tedesca in materia, si prefigge gli obiettivi di favorire i minori nati sul territorio, cioè le seconde e le terze generazioni di immigrati, facilitare l'acquisizione della cittadinanza per gli stranieri extracomunitari, specie se risiedono nel paese da lungo tempo e si sono integrati e, infine, scoraggiare matrimoni di comodo. Il primo di questi obiettivi è perseguito mediante il rafforzamento dello ius soli, a discapito dello ius sanguinis, che si attua attraverso il riconoscimento della cittadinanza italiana, a determinate condizioni, al figlio nato in Italia da genitori stranieri e facilitando la possibilità di conservare la doppia cittadinanza. Al fine di disincentivare i matrimoni di comodo, si prevede invece un obbligo di residenza in Italia più lungo e si stabilisce che il vincolo di matrimonio debba ancora persistere al momento dell'emanazione del decreto con cui si acquista la cittadinanza. La proposta di legge in esame introduce, inoltre, una rilevante novità relativa alla procedura che consente di conseguire la naturalizzazione. L'ottenimento della cittadinanza, infatti, in presenza di determinati requisiti, viene considerato un vero e proprio diritto soggettivo, e non più una mera facoltà, subordinata ad una scelta discrezionale dello Stato. Ciò è previsto, tra l'altro, per lo straniero legalmente e continuativamente residente in Italia da oltre otto anni, o che sia titolare della carta di soggiorno da almeno due anni, che non abbia riportato condanne per reati che prevedono l'arresto in flagranza, che conosca la lingua italiana e che non abbia usufruito di sussidi pubblici per il sostentamento nei tre anni precedenti la richiesta. Quest'ultimo requisito, che sostituisce quello del reddito sufficiente, è mutuato dal sistema tedesco, e si caratterizza per una maggiore oggettività. La proposta di legge prevede poi che la richiesta di acquisto della cittadinanza debba essere presentata al prefetto e che il decreto sia emanato dal Ministro dell'interno entro un anno dalla data di presentazione dell'istanza. Infine, il progetto di legge disciplina i casi e le modalità di revoca della cittadinanza qualora essa sia funzionale ad un proposito illecito.

Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.10.


 

 


I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

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SEDE REFERENTE

Mercoledì 10 marzo 2004. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Intervengono i sottosegretari per l'interno, Maurizio Balocchi, Antonio D'Alì e Alfredo Mantovano.

La seduta comincia alle 14.10.

(omissis)

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza.

C. 204 Cima, C. 974 Russo Spena, C. 1463 Turco, C. 4327 Diliberto, C. 4388 Mantini, C. 4396 Cè, C. 4492 Mascia, C. 4562 D'Alia, C. 4678 Realacci e C. 4722 Sinisi.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame, rinviato, da ultimo, nella seduta del 9 marzo 2004.

Donato BRUNO, presidente, fatto presente che gli interventi svolti in merito alle proposte di legge concernenti la modifica dell'articolo 48 della Costituzione hanno interessato anche le problematiche relative alla disciplina della cittadinanza, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta, sospesa alle 15.10, riprende alle 15.20.

(omissis)


 


I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

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SEDE REFERENTE

Giovedì 11 marzo 2004. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Intervengono i sottosegretari di Stato per l'Interno Maurizio Balocchi e Antonio D'Alì.

La seduta comincia alle 14.40.

(omissis)

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza.

C. 204 Cima, C. 974 Russo Spena, C. 1463 Turco, C. 4327 Diliberto, C. 4388 Mantini, C. 4396 Cè, C. 4492 Mascia, C. 4562 D'Alia, C. 4678 Realacci e C. 4722 Sinisi.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame, rinviato, da ultimo, nella seduta del 10 marzo 2004.

Donato BRUNO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.50.


 


I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

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SEDE REFERENTE

Mercoledì 28 aprile 2004. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per le riforme istituzionali e la devoluzione, Aldo Brancher e per l'interno, Alfredo Mantovano.

La seduta comincia alle 14.

(omissis)

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza.

C. 204 Cima, C. 974 Russo Spena, C. 1463 Turco, C. 4327 Diliberto, C. 4388 Mantini, C. 4396 Cè, C. 4492 Mascia, C. 4562 D'alia, C. 4678 Realacci e C. 4722 Sinisi.

(Seguito dell'esame e rinvio - Nomina di un Comitato ristretto).

La Commissione prosegue l'esame, rinviato, da ultimo, nella seduta dell'11 marzo 2004.

Donato BRUNO, presidente, tenuto conto che nella giornata di ieri si sono concluse le programmate audizioni informali, propone di procedere alla nomina di un Comitato ristretto per il seguito dell'esame delle proposte di legge in titolo, nonché di un Comitato ristretto per il seguito dell'esame della proposta di legge costituzionale vertente sulla medesima materia, e per il seguito dell'esame delle proposte di legge costituzionale concernenti l'attribuzione del diritto di voto agli stranieri, la cui discussione in Commissione sta procedendo in parallelo, al fine di valutare in quella sede come procedere ulteriormente nell'esame delle diverse proposte di legge.

La Commissione concorda con la proposta del presidente di nominare un Comitato ristretto per il seguito dell'esame delle proposte di legge in titolo.

Donato BRUNO, presidente, invita i gruppi a designare i propri rappresentanti in seno al Comitato ristretto e rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.


 


I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

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SEDE REFERENTE

Mercoledì 13 aprile 2005. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno Michele Saponara.

La seduta comincia alle 14.20.

(omissis)

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza.

C. 204 Cima, C. 974 Russo Spena, C. 1463 Turco, C. 4327 Diliberto, C. 4388 Mantini, C. 4396 Cè, C. 4492 Mascia, C. 4562 D'Alia, C. 4678 Realacci e C. 4722 Sinisi.

(Seguito dell'esame e rinvio - Abbinamento del progetto di legge C. 4966 - Adozione del testo base).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, il 28 aprile 2004.

Donato BRUNO, presidente, avverte che è stata assegnata alla I Commissione la proposta di legge n. 4966 Ruzzante ed altri «Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza»; poiché la proposta verte su materia identica a quella dei progetti di legge all'esame della Commissione ne è stato disposto l'abbinamento ai sensi dell'articolo 77 del Regolamento.

Isabella BERTOLINI (FI), relatore, propone alla Commissione di adottare il testo unificato delle proposte di legge in titolo da lei predisposto a seguito dei lavori del Comitato ristretto quale testo base per il seguito dell'esame dei progetti di legge in titolo e recante modifiche agli articoli 1, 5 e 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 in materia di cittadinanza. In particolare le modifiche proposte incidono sulla disciplina dell'acquisto della cittadinanza per effetto dello «jus soli», in caso di matrimonio con cittadino italiano, nonché a seguito di residenza regolare e continuativa nel territorio della Repubblica.

Sesa AMICI (DS-U), dichiara voto di astensione sulla proposta di adottare il testo unificato elaborato dal relatore a seguito dei lavori del Comitato ristretto quale testo base, atteso che, a fronte di notevoli perplessità nel merito del contenuto del provvedimento stesso, vi è comunque la necessità di ultimare l'iter legislativo in corso.

Pietro FONTANINI (LNFP) dichiara voto contrario sulla proposta di adottare il testo unificato elaborato dal relatore nell'ambito del Comitato ristretto quale testo base per il seguito dell'esame dei progetti di legge in titolo, ritenendo che non vi sia alcuna esigenza di modificare la vigente disciplina in materia di acquisto della cittadinanza.

Giampiero D'ALIA (UDC) dichiara voto favorevole del suo gruppo sulla proposta di adottare il testo unificato elaborato dal relatore quale testo base per il seguito dell'esame dei progetti di legge in titolo, ritenendo tuttavia che tale testo debba essere opportunamente modificato nel prosieguo dell'esame, al fine di rendere più agevole l'acquisto della cittadinanza.

Marco BOATO (Misto-VU), ricordando che il provvedimento in titolo è stato  iscritto nel calendario dei lavori dell'Assemblea su richiesta dei gruppi di opposizione e del gruppo dell'UDC, che ne hanno più volte sollecitato la predetta iscrizione, dichiara, per motivi che attengono al merito del testo in esame, voto di astensione sulla proposta di adottare il testo unificato predisposto dal relatore quale testo base per il seguito dell'esame dei progetti di legge in titolo.

Graziella MASCIA (RC), associandosi alle considerazioni svolte dal deputato Amici, dichiara, per ragioni di merito, voto di astensione sulla proposta di adottare il testo unificato elaborato dal relatore quale testo base per il seguito dell'esame dei progetti di legge in titolo.

La Commissione delibera di adottare quale testo base per il seguito dell'esame il testo unificato predisposto dal relatore a seguito dei lavori del Comitato ristretto (vedi allegato 5).

Donato BRUNO, presidente, avverte che il termine per la presentazione di emendamenti è fissato alle ore 12 di martedì 19 aprile 2005. Rinvia, quindi, il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.10.



ALLEGATO 5

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza (C. 204 Cima, C. 974 Russo Spena, C. 1463 Turco, C. 4327 Diliberto, C. 4388 Mantini, C. 4396 Cè, C. 4492 Mascia, C. 4562 D'Alia, C. 4678 Realacci, C. 4722 Sinisi e C. 4966 Ruzzante - Rel. Bertolini)

TESTO UNIFICATO ELABORATO DAL

COMITATO RISTRETTO ADOTTATO COME TESTO BASE

 

 


Art. 1.

(Acquisto della cittadinanza per i nati in Italia).

1. All'articolo 1, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91 è aggiunta in fine la seguente lettera:

«c) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, se entrambi siano residenti legalmente e continuativamente in Italia da almeno otto anni o siano in possesso da almeno due anni della carta di soggiorno, di cui all'articolo 9, comma 1, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni».

Art. 2.

(Acquisto della cittadinanza per matrimonio).

1. L'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«Art. 5 - Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio se, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non sia intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussista separazione legale».

Art. 3.

(Acquisto della cittadinanza per lo straniero legalmente e continuativamente residente in Italia).

1.La lettera f) del comma 1, dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 è sostituita dalla seguente:

«f) allo straniero residente legalmente e continuativamente nel territorio della Repubblica da almeno otto anni, o in possesso da almeno due anni della carta di soggiorno, prevista dall'articolo 9 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, se non ricorrono le cause ostative previste dall'articolo 6, se dimostra di essere in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, in misura non inferiore al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale, non abbia usufruito di sussidi pubblici per il sostentamento nei tre anni precedenti la data della richiesta e di conoscere in maniera adeguata la lingua e la cultura italiane».

 



I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

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SEDE REFERENTE

Giovedì 5 maggio 2005. - Presidenza del presidente Donato BRUNO.

La seduta comincia alle 13.25.

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza.

C. 204 Cima, C. 974 Russo Spena, C. 1463 Turco, C. 4327 Diliberto, C. 4388 Mantini, C. 4396 Cè, C. 4492 Mascia, C. 4562 D'Alia, C. 4678 Realacci, C. 4722 Sinisi e C. 4966 Ruzzante.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, il 13 aprile 2005.

Isabella BERTOLINI (FI), relatore, propone di rinviare l'esame degli emendamenti presentati alla seduta di martedì 10 maggio 2005, atteso che è in corso un  approfondimento con il Governo circa la loro portata normativa.

Donato BRUNO, presidente, ritenendo che nulla osti ad accedere alla proposta formulata dal relatore e nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.30.


 


I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

¾¾¾¾¾¾¾¾¾¾¾

 


 

SEDE REFERENTE

Giovedì 12 maggio 2005. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Intervengono il ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione, Roberto Calderoli, nonché i sottosegretari di Stato per l'interno Michele Saponara e per le riforme istituzionali e la devoluzione Aldo Brancher.

La seduta comincia alle 10.25.

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza.

C. 204 Cima, C. 974 Russo Spena, C. 1463 Turco, C. 4327 Diliberto, C. 4388 Mantini, C. 4396 Cè, C. 4492 Mascia, C. 4562 D'Alia, C. 4678 Realacci, C. 4722 Sinisi e C. 4966 Ruzzante.

(Seguito dell'esame e conclusione).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, il 5 maggio 2005.

Donato BRUNO, presidente, avverte che sono stati presentati emendamenti al testo base (vedi allegato 9). Rileva peraltro, sotto il profilo dell'organizzazione dei lavori, che il provvedimento è iscritto nel calendario dei lavori dell'Assemblea, per lo svolgimento della discussione sulle linee generali, a partire da lunedì 16 maggio 2005 e che, pertanto la Commissione è chiamata a concluderne l'esame nell'odierna seduta. Tuttavia, atteso che nel corso dell'esame non sono emerse compiutamente le posizioni di tutti i gruppi politici in merito alle rilevanti questioni recate dal provvedimento, ritiene che sia necessario procedere ad un serio approfondimento delle proposte emendative presentate che, a suo avviso, potrebbe essere più proficuamente svolto in sede di Comitato dei nove. Invita pertanto al ritiro, in questa fase, di tutti gli emendamenti presentati, con l'intesa che gli stessi saranno ripresentati per l'esame in Assemblea. Domanda pertanto l'avviso del relatore e dei rappresentanti dei gruppi sulla proposta testè formulata, nel presupposto che essa consentirebbe alla Commissione di adempiere all'obbligo regolamentare di concludere l'esame del provvedimento nella seduta odierna, licenziando per l'Aula il testo base predisposto al termine dei lavori del Comitato ristretto.

Isabella BERTOLINI, relatore, condivide pienamente la proposta di organizzazione dei lavori avanzata dal presidente ed invita i presentatori a ritirare le proposte emendative, assumendo nel contempo l'impegno, in caso di loro rispresentazione per l'esame del provvedimento in Assemblea, a valutarle in modo approfondito nel corso dei lavori del Comitato dei nove.

Graziella MASCIA (RC), ritenendo realistica l'ipotesi formulata dal presidente e condivisa dal relatore, ritira gli emendamenti a sua firma, preannunciandone la ripresentazione in Assemblea, rilevando tuttavia, che il suo gruppo ha avuto modo di manifestare chiaramente una posizione fortemente contraria rispetto al testo base predisposto dal relatore.

Carlo LEONI (DS-U) accede all'invito formulato dal presidente e dal relatore e ritira gli emendamenti di cui sono firmatari deputati del suo gruppo, preannunciandone la ripresentazione in Assemblea.

Pietro FONTANINI (LNFP) ritira gli emendamenti di cui è cofirmatario e ne preannuncia la ripresentazione in Assemblea.

Remo DI GIANDOMENICO (UDC) dichiara di ritirare tutti gli emendamenti presentati dal suo gruppo, che ripresenterà ai fini dell'esame del provvedimento in Assemblea.

Donato BRUNO, presidente, fa presente che, essendo stati ritirati tutti gli emendamenti, la Commissione dovrà procedere alla votazione del mandato al relatore a riferire in Assemblea sul testo adottato come base nella seduta del 13 aprile 2005.

Carlo LEONI (DS-U) dichiara il voto contrario del suo gruppo sul mandato al relatore a riferire favorevolmente in Assemblea.

Graziella MASCIA (RC) dichiara il voto contrario del suo gruppo sul mandato al relatore a riferire favorevolmente in Assemblea.

La Commissione delibera di conferire mandato al relatore di riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame. Delibera altresì di chiedere l'autorizzazione a riferire oralmente.

Donato BRUNO, presidente, si riserva di designare i componenti del Comitato dei nove sulla base delle indicazioni dei gruppi.



ALLEGATO 9

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza (C. 204 Cima, C. 974 Russo Spena, C. 1463 Turco, C. 4327 Diliberto, C. 4388 Mantini, C. 4396 Cè, C. 4492 Mascia, C. 4562 D'Alia, C. 4678 Realacci, C. 4722 Sinisi e C. 4966 Ruzzante).

EMENDAMENTI

 

 


ART. 1

Sopprimerlo.

1. 1.Fontanini, Luciano Dussin.

Sostituirlo con il seguente:

1. All'articolo 1, comma 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

c) il figlio di stranieri nato sul territorio della Repubblica.

1. 6.Mascia.

Sostituirlo con il seguente:

«Art. 1.

(Acquisto della cittadinanza per i nati in Italia).

1. All'articolo 1, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

c) chi è nato nel territorio della Repubblica, da genitori stranieri ivi legalmente residenti; entro un anno dal compimento della maggiore età il soggetto può rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana.

1. 5. Amici, Bressa, Boato, Leoni, Coluccini, Mascia, Sgobio, Cima, Zaccaria.

Sostituirlo con il seguente:

Art. 1.

(Acquisto della cittadinanza per i nati in Italia).

1. All'articolo 1, comma 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:

c) chi è nato nel territorio della Repubblica se il genitore è regolarmente presente in Italia da almeno due anni e titolare del permesso di soggiorno previsto dall'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni;

d) il minore figlio di genitore straniero se fornisce prova della presenza continuativa in Italia da almeno sei anni e della partecipazione ad un ciclo scolastico o di formazione professionale oppure dello svolgimento di regolare attività lavorativa, unitamente alla conoscenza adeguata della lingua e della cultura italiane.

 1. 4. Bressa, Amici, Boato, Leoni, Coluccini, Mascia, Sgobio, Cima, Zaccaria.

Sostituirlo con il seguente:

Art. 1.

1. All'articolo 1, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:

c) chi è nato nel territorio della Repubblica se il genitore è regolarmente  presente in Italia da almeno due anni e titolare del permesso di soggiorno previsto all'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni;

c-bis) il minore figlio di genitore straniero se fornisce prova della presenza continuativa in Italia da almeno sei anni e della partecipazione ad un ciclo scolastico o di formazione professionale oppure dello svolgimento di regolare attività lavorativa, unitamente alla conoscenza adeguata della lingua e della cultura italiana.

 1. 7.Mascia.

Sostituirlo con il seguente:

Art. 1.

1. All'articolo 1, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

c) chi è nato nel territorio della Repubblica se il genitore è regolarmente presente in Italia da almeno due anni e titolare del permesso di soggiorno previsto all'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.

1. 8.Mascia.

Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: da genitori stranieri, se entrambi siano residenti legalmente e continuativamente, con le seguenti: da genitore straniero se sia regolarmente presente e abitualmente.

1. 2.D'Alia, Di Giandomenico.

Al comma 1, lettera c) sostituire le parole: se entrambi siano residenti, con le seguenti: se almeno uno sia residente.

 1. 9.Mascia.

Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: se entrambi siano residenti, con le seguenti: se almeno uno sia residente.

 1. 10.Sinisi.

Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: se entrambi siano residenti, con le seguenti: se almeno uno sia residente.

 1. 11. Coluccini, Bressa, Amici, Boato, Leoni, Sgobio, Mascia, Cima.

Al comma 1, lettera c) sostituire le parole: legalmente e continuativamente in Italia, fino alla fine del comma con le seguenti: regolarmente in Italia.

1. 12.Mascia.

Al comma 1, lettera c), sopprimere le parole: e continuativamente.

1. 13. Leoni, Coluccini, Bressa, Amici, Boato, Sgobio, Mascia, Cima, Zaccaria.

Al comma 1, lettera c), sostituire la parola: continuativamente, con la seguente: abitualmente.

1. 14. Amici, Leoni, Coluccini, Bressa, Boato, Mascia, Cima.

Al comma 1, lettera c), sostituire le parole da: otto anni, fino alla fine del comma con le seguenti: due anni e titolare del permesso di soggiorno previsto dall'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.

1. 15. Boato, Coluccini, Bressa, Amici, Leoni, Cima, Zaccaria.

Al comma 1, lettera c), sopprimere le parole: o siano in possesso da almeno due anni della carta di soggiorno, di cui all'articolo 9, comma 1 del testo unico delle  disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio l998, n. 286 e successive modificazioni.

1. 3.Fontanini, Luciano Dussin.

Al comma 1, lettera c), aggiungere in fine le seguenti parole: entro due anni dal compimento della maggiore età il soggetto, qualora stabilisca la sua residenza all'estero, può rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana.

1. 16.Sinisi.

ART. 2.

Sopprimerlo.

2. 1.Mascia.

Sostituirlo con il seguente:

Art. 2.

1. L'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

Art. 5. - 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza dopo due anni dalla data del matrimonio se, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7, non sia intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussista separazione legale.

2. 2. Boato, Leoni, Amici, Coluccini, Bressa, Cima.

Al comma 1, articolo 5, sopprimere le parole da: quando risiede, fino alla parola: ovvero.

2. 3. Zaccaria, Bressa, Amici, Boato, Leoni, Coluccini, Sgobio, Mascia, Cima.

Al comma 1, articolo 5, sostituire le parole: tre anni, con le seguenti: due anni.

2. 4. Leoni, Bressa, Amici, Boato, Coluccini, Sgobio, Mascia, Cima, Zaccaria.

ART. 3.

Sopprimerlo.

3. 1.Fontanini, Luciano Dussin.

Sostituirlo con i seguenti:

Art. 3.

(Acquisto della cittadinanza per lo straniero legalmente e continuativamente residente in Italia).

1. Dopo l'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 2 della presente legge, è inserito il seguente:

Art. 5-bis. - 1. Lo straniero regolarmente presente nel territorio della Repubblica in forma continua e abituale da almeno sei anni acquista la cittadinanza italiana qualora:

a) non ricorrano le cause ostative previste dall'articolo 6;

b) non abbia riportato condanne penali per reati che prevedono l'arresto in flagranza di reato ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice dl procedura penale;

c) conosca la lingua italiana;

d) dimostra di essere in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, in misura non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale.

2. L'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, è sospesa fino a comunicazione della sentenza definitiva se sia stata promossa azione penale per uno dei delitti di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a) e lettera b), prima parte, e di cui al comma 1, lettera b), del presente articolo,  nonché per il tempo in cui è pendente il procedimento di riconoscimento della sentenza straniera di cui al citato articolo 6, comma 1, lettera b), seconda parte.

3. Il decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla data di notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato.

Art. 4.

(Decreto del Ministro dell'interno per l'acquisto della cittadinanza italiana).

1. Il comma 1 dell'articolo 7 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

1. Ai sensi dell'articolo 5 e dell'articolo 5-bis, la cittadinanza italiana si acquista con decreto del Ministro dell'interno, a istanza dell'interessato, presentata al prefetto competente per territorio in relazione alla residenza dell'istante.

Art. 5.

(Decreto del Ministro dell'interno di rigetto dell'istanza di acquisto della cittadinanza).

1. L'articolo 8 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

Art. 8. - 1. Con decreto motivato, il Ministro dell'interno respinge l'istanza di cui all'articolo 7, comma 1, ove sussistano le cause ostative previste dall'articolo 6 o non ricorrano le condizioni di cui all'articolo 5-bis. Ove si tratti di ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica, il decreto è emanato su conforme parere del Consiglio di Stato. L'istanza può essere riproposta dopo cinque anni dalla data di emanazione del decreto di rigetto di cui al presente comma.

2. L'emanazione del decreto di rigetto è preclusa quando dalla data di presentazione dell'istanza stessa sia decorso il termine di un anno.

Art. 6.

(Norme di adeguamento).

1. Con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono emanate le disposizioni per l'attuazione della legge medesima.

2. A decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 1 sono abrogati il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362.

3. 3. Bressa, Coluccini, Amici, Boato, Leoni, Sgobio, Cima.

Sostituirlo con i seguenti:

Art. 3.

(Acquisto della cittadinanza per lo straniero legalmente e continuativamente residente in Italia).

1. Dopo l'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 2 della presente legge, è inserito il seguente:

Art. 5-bis. - 1. Lo straniero residente legalmente e continuativamente in Italia da almeno otto anni o in possesso da almeno due anni della carta di soggiorno prevista dall'articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, acquista la cittadinanza italiana qualora:

a) non ricorrano le cause ostative previste dall'articolo 6; 

b) non abbia riportato condanne penali per reati che prevedono l'arresto in flagranza di reato ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale;

c) conosca la lingua italiana;

d) non abbia fruito di sussidi pubblici per il sostentamento nei tre anni precedenti la data della richiesta;

e) disponga di una idonea abitazione;

f) non vi ostino motivi di sicurezza dello Stato.

2. L'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, è sospesa fino a comunicazione della sentenza definitiva se sia stata promossa azione penale per uno dei delitti di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a) e lettera b), prima parte, e di cui al comma 1, lettera b), del presente articolo, nonché per il tempo in cui è pendente il procedimento di riconoscimento della sentenza straniera di cui al citato articolo 6, comma 1, lettera b), seconda parte.

3. Il decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla data di notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato.

Art. 4.

(Decreto del Ministro dell'interno per l'acquisto della cittadinanza italiana).

1. Il comma 1 dell'articolo 7 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

1. Ai sensi dell'articolo 5 e dell'articolo 5-bis, la cittadinanza italiana si acquista con decreto del Ministro dell'interno, a istanza dell'interessato, presentata al prefetto competente per territorio in relazione alla residenza dell'istante.

Art. 5.

(Decreto del Ministro dell'interno di rigetto dell'istanza di acquisto della cittadinanza).

1. L'articolo 8 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

Art. 8. - 1. Con decreto motivato, il Ministro dell'interno respinge l'istanza di cui all'articolo 7, comma 1, ove sussistano le cause ostative previste dall'articolo 6 o non ricorrano le condizioni di cui all'articolo 5-bis. Ove si tratti di ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica, il decreto è emanato su conforme parere del Consiglio di Stato. L'istanza può essere riproposta dopo cinque anni dalla data di emanazione del decreto di rigetto di cui al presente comma.

2. L'emanazione del decreto di rigetto è preclusa quando dalla data di presentazione dell'istanza stessa sia decorso il termine di un anno.

Art. 6.

(Perdita della cittadinanza).

1. All'articolo 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

2-bis. Il cittadino italiano che abbia acquistato la cittadinanza ai sensi dell'articolo 5 o dell'articolo 5-bis perde la stessa qualora sia accertata, successivamente all'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, la mancanza dei requisiti di cui ai medesimi articoli 5 e 5-bis.

Art. 7.

(Revoca della cittadinanza).

1. Dopo l'articolo 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dall'articolo 6 della presente legge, è inserito il seguente:

Art. 12-bis. - 1. Il Ministro dell'interno può, con proprio decreto, revocare la cittadinanza, concessa ai sensi dell'articolo 9  o acquisita ai sensi degli articoli 5 e 5-bis, qualora l'acquisto della medesima agevoli la costituzione e la partecipazione ad associazioni eversive o la commissione di atti terroristici, ovvero la sottrazione all'accertamento dell'autorità.

Art. 8.

(Norme di adeguamento).

1. Con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono emanate le disposizioni per l'attuazione della legge medesima.

2. A decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 1 sono abrogati il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362.

3. 2.Sinisi.

Al comma 1, sostituire il capoverso lettera f) con il seguente:

f) allo straniero regolarmente presente nel territorio della Repubblica in forma continua e abituale da almeno cinque anni, se dimostra di essere in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, in misura non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale, e di conoscere in maniera adeguata la lingua e la cultura italiane.

3. 5. Amici, Bressa, Boato Leoni, Coluccini, Cima, Zaccaria.

Al comma 1, sostituire il capoverso lettera f), con il seguente:

f) allo straniero regolarmente presente nel territorio della Repubblica in forma continua e abituale da almeno sei anni, se dimostra di essere in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, in misura non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale, e di conoscere in maniera adeguata la lingua e la cultura italiane.

3. 4.Bressa, Zaccaria.

Al comma 1, sostituire il capoverso lettera f) con il seguente:

f) allo straniero che risiede legalmente in Italia da almeno sette anni nel territorio della Repubblica.

3. 6. Coluccini, Amici, Boato, Leoni, Bressa, Cima, Zaccaria.

Al comma 1, lettera f), sostituire le parole: residente legalmente e continuativamente, con le seguenti: regolarmente presente e abitualmente.

3. 7.D'Alia, Di Giandomenico.

Al comma 1, capoverso lettera f), sopprimere le parole: e continuativamente.

3. 8. Coluccini, Amici, Bressa, Boato, Leoni, Mascia, Sgobio, Cima, Zaccaria.

Al comma 1, capoverso lettera f), sostituire la parola: continuativamente, con la seguente: abitualmente.

3. 9. Leoni, Coluccini, Amici, Bressa, Boato, Mascia, Sgobio, Cima.

Al comma 1, lettera f), sostituire le parole: da almeno otto anni o in possesso da almeno due anni, fino alla fine della lettera con le seguenti: da almeno tre anni.

3. 10.Mascia.

Al comma 1, lettera f), sostituire le parole da: da almeno otto anni, sino alle parole: decreto legislativo 25 luglio 1998,  n. 286, e successive modificazioni, con le seguenti: da almeno sei anni.

3. 11.Mascia, D'Alia, Di Giandomenico.

Al comma 1, lettera f), sostituire le parole da: almeno otto anni, sino alle parole: articolo 9, con le seguenti: da almeno due anni e titolare del permesso di soggiorno previsto dall'articolo 6, comma 1, o dall'articolo 30.

3. 12.D'Alia, Di Giandomenico.

Al comma 1, lettera f), sopprimere le parole: o in possesso da almeno due anni della carta di soggiorno, di cui all'articolo 9, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni.

3. 13.Fontanini, Luciano Dussin.

Al comma 1, lettera f), sostituire le parole: al doppio dell'importo, con le seguenti: all'importo.

 3. 14.D'Alia, Di Giandomenico.

Al comma 1, lettera f), sostituire le parole: al doppio dell'importo, con le seguenti: all'importo.

 3. 15. Coluccini, Amici, Bressa, Boato, Leoni, Mascia, Sgobio, Cima.

Al comma 1, lettera f), sopprimere le parole: non abbia usufruito di sussidi pubblici per il sostentamento nei tre anni precedenti la data della richiesta.

3. 16. Bressa, Coluccini, Amici, Boato, Mascia, Sgobio, Cima, Leoni.

Al comma 1, lettera f), sostituire le parole da: in maniera adeguata la lingua e la cultura italiane, con le seguenti: la lingua italiana secondo le modalità stabilite da un regolamento da adottarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni.

3. 17. Boato, Amici, Bressa, Leoni, Coluccini, Cima.

Al comma 1, lettera f), sostituire le parole: e di conoscere in maniera adeguata la lingua e la cultura italiane, con il seguente periodo:

. L'acquisto della cittadinanza è subordinato al superamento di un test diretto a verificare la conoscenza, da parte del richiedente la cittadinanza italiana, della lingua italiana, della storia, della cultura e dell'ordinamento istituzionale della Repubblica.

3. 18.Fontanini, Luciano Dussin.


 


I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

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SEDE REFERENTE

Mercoledì 14 settembre 2005. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno, Michele Saponara.

La seduta comincia alle 14.25.

(omissis)

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza.

C. 204 Cima, C. 974 Russo Spena, C. 1463 Turco, C. 4327 Diliberto, C. 4388 Mantini, C. 4396 Cè, C. 4492 Mascia, C. 4562 D'Alia, C. 4678 Realacci, C. 4722 Sinisi e C. 4966 Ruzzante.

(Seguito dell'esame e rinvio - Nomina di un Comitato ristretto).

Donato BRUNO, presidente, ricorda che nella seduta odierna la Commissione riprende l'esame del provvedimento, dopo la deliberazione del rinvio in Commissione adottata dall'Assemblea nella seduta del 17 maggio 2005.

Isabella BERTOLINI (FI), relatore, propone la costituzione di un Comitato ristretto, nell'ambito del quale procedere ad un approfondimento e ad un confronto delle posizioni dei diversi gruppi sulle questioni oggetto del provvedimento.

La Commissione approva la proposta di costituire un Comitato ristretto.

Donato BRUNO, presidente, invita i gruppi a designare i propri rappresentanti in seno al Comitato ristretto e rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.


 


Testo unificato della Commissione

 


N. 204-974-1463 4327-4388-4396-4492-4562-4678-4722-4966-A

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTE DI LEGGE

n. 204, d'iniziativa dei deputati

 

CIMA, BULGARELLI

 

Modifica all'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91,

in materia di acquisto della cittadinanza per nascita

 

Presentata il 30 maggio 2001

 

n. 974, d'iniziativa del deputato RUSSO SPENA

 

Riforma della disciplina relativa alla cittadinanza italiana

 

Presentata il 21 giugno 2001

 

 

n. 1463, d'iniziativa dei deputati

 

TURCO, VIOLANTE, MONTECCHI

 

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91,

recante norme sulla cittadinanza

 

 

Presentata il 1o agosto 2001


NOTA: La I Commissione permanente (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) il 12 maggio 2005, ha deliberato di riferire favorevolmente sul testo unificato delle proposte di legge nn. 204, 974, 1463, 4327, 4388, 4396, 4492, 4562, 4678, 4722 e 4966. In pari data la Commissione ha chiesto di essere autorizzata a riferire oralmente. Per i testi delle proposte di legge si vedano i relativi stampati.

 

n. 4327, d'iniziativa dei deputati

 

DILIBERTO, ARMANDO COSSUTTA, RIZZO, BELLILLO, MAURA COSSUTTA, NESI, PISTONE, SGOBIO

 

Riconoscimento dell'elettorato attivo e passivo nelle consultazioni provinciali, comunali e circoscrizionali agli stranieri titolari di permesso di soggiorno e modifica all'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di concessione della cittadinanza

 

Presentata il 1o ottobre 2003

 

 

n. 4388, d'iniziativa dei deputati

 

MANTINI, MACCANICO

 

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91,

concernenti il diritto di cittadinanza

 

Presentata il 16 ottobre 2003

 

 

n. 4396, d'iniziativa dei deputati

 

CÈ, BALLAMAN, BIANCHI CLERICI, BRICOLO, CAPARINI, DIDONÈ, LUCIANO DUSSIN, ERCOLE, FONTANINI, GIBELLI, LUSSANA, PAROLO, POLLEDRI, GUIDO ROSSI, SERGIO ROSSI, STEFANI, STUCCHI, VASCON

 

Introduzione di un test per cittadini stranieri

che richiedono la cittadinanza

 

Presentata il 17 ottobre 2003

 

n. 4492, d'iniziativa dei deputati

 

MASCIA, BERTINOTTI, DEIANA, TITTI DE SIMONE, ALFONSO GIANNI, GIORDANO, MANTOVANI, PISAPIA, RUSSO SPENA, VALPIANA, VENDOLA

 

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91,

in materia di riconoscimento della cittadinanza italiana

 

Presentata il 17 novembre 2003

 

 

n. 4562, d'iniziativa dei deputati

 

D'ALIA, ALBERTINI, BENVENUTO, BERTUCCI, GIOVANNI BIANCHI, BIONDI, BOGI, BOLOGNESI, BONITO, BRUSCO, BUEMI, BURANI PROCACCINI, CAMO, CARBONELLA, CARLUCCI, CARRA, CASTAGNETTI, CHIAROMONTE, CIMA, COSSA, CUSUMANO, D'AGRÒ, DAMIANI, DE FRANCISCIS, DE LAURENTIIS, DEGENNARO, DELL'ANNA, DI GIANDOMENICO, DIANA, FILIPPO DRAGO, FRIGERIO, GASPERONI, GERMANÀ, GIACCO, GIGLI, GRILLO, LAMORTE, ANNA MARIA LEONE, LIOTTA, SANTINO ADAMO LODDO, LUCCHESE, LUSETTI, MANINETTI, MARINELLO, MAZZOCCHI, MAZZONI, MAZZUCA, MEDURI, MEREU, MILANESE, MONDELLO, MORETTI, NARO, NICOTRA, OSTILLIO, PATRIA, RANIELI, REALACCI, RIVOLTA, ROCCHI, ROMANO, ROSSIELLO, SANZA, SARDELLI, SARO, SINISCALCHI, SPINI, SQUEGLIA, TANZILLI, TARANTINO, TOLOTTI, TUCCI, VOLONTÈ

 

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91,

in materia di cittadinanza

 

Presentata il 16 dicembre 2003

 

 

n. 4678, d'iniziativa dei deputati

REALACCI, DE FRANCISCIS, BRESSA, BIMBI, BINDI, BULGARELLI, CENTO, CIANI, FIORONI, GENTILONI SILVERI, GIACHETTI, GRIGNAFFINI, LETTIERI, LUCÀ, PAOLA MARIANI, MOSELLA, PASETTO, REDUZZI, SINISI, VIGNI, ROSATO

 

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91,

recante nuove norme sulla cittadinanza

 

Presentata il 6 febbraio 2004

 

 

n. 4722, d'iniziativa dei deputati

 

SINISI, FIORONI, BRESSA, FISTAROL, MACCANICO

 

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91,

recante nuove norme sulla cittadinanza

 

Presentata il 18 febbraio 2004

 

 

n. 4966, d'iniziativa dei deputati

RUZZANTE, MONTECCHI, FINOCCHIARO, LEONI, ABBONDANZIERI, ADDUCE, ALBONETTI, AMICI, ANGIONI, BELLILLO, BELLINI, BENVENUTO, ENZO BIANCO, BIELLI, BOGI, BOLOGNESI, BORRELLI, BOVA, BUFFO, BULGARELLI, BURLANDO, BURTONE, CAMO, CAPITELLI, CARBONELLA, CARBONI, CAZZARO, CENNAMO, CEREMIGNA, CHIAROMONTE, CHITI, CIMA, CORDONI, ARMANDO COSSUTTA, MAURA COSSUTTA, CRISCI, CRUCIANELLI, DE BRASI, DI SERIO D'ANTONA, DIANA, DUCA, FANFANI, FILIPPESCHI, FOLENA, FRANCI, FUMAGALLI, GASPERONI, GIACCO, GIULIETTI, GRANDI, GRILLINI, GROTTO, INNOCENTI, KESSLER, LABATE, LUCÀ, LUCIDI, LULLI, LUMIA, LUSETTI, MAGNOLFI, FILIPPO MANCUSO, MANZINI, PAOLA MARIANI, RAFFAELLA MARIANI, MARIOTTI, MARTELLA, MAURANDI, MAZZARELLO, MELANDRI, MILIOTO, MOTTA, NESI, PANATTONI, PAPPATERRA, PENNACCHI, PISTONE, POLLASTRINI, PREDA, QUARTIANI, ROCCHI, NICOLA ROSSI, ROSSIELLO, RUGGERI, RUGGHIA, SANDI, SASSO, SEDIOLI, SERENI, TOCCI, TOLOTTI, TURCO, TRUPIA, VERTONE, VIANELLO, ZANOTTI, ZUNINO

 

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91,

recante nuove norme sulla cittadinanza

 

Presentata il 5 maggio 2004

 

(Relatore: BERTOLINI)

 

TESTO UNIFICATO

DELLA COMMISSIONE

 

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza

 

Art. 1.

(Acquisto della cittadinanza per i nati in Italia da genitori stranieri).

1. All'articolo 1, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

«b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, se entrambi sono residenti legalmente e continuativamente in Italia da almeno otto anni o sono in possesso da almeno due anni della carta di soggiorno, prevista dall'articolo 9, comma 1, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni».

Art. 2.

(Acquisto della cittadinanza per matrimonio).

1. L'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

«Art. 5. - 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio se, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non è intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale».

 

Art. 3.

(Acquisto della cittadinanza per lo straniero legalmente e continuativamente residente in Italia).

1. La lettera f) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

«f) allo straniero residente legalmente e continuativamente nel territorio della Repubblica da almeno otto anni, o in possesso da almeno due anni della carta di soggiorno prevista dall'articolo 9, comma 1, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, successive modificazioni, se non ricorrono le cause ostative previste dall'articolo 6 della presente legge e se dimostra di essere in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, in misura non inferiore al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale, di non avere usufruito di sussidi pubblici per il sostentamento nei tre anni precedenti la data della richiesta e di conoscere in maniera adeguata la lingua e la cultura italiane».

 


Discussione in Assemblea

 


 

RESOCONTO

SOMMARIO E STENOGRAFICO

 


______________   ______________


 

626.

 

Seduta di lunedì 16 maggio 2005

 

presidenza del vicepresidente ALFREDO BIONDI

 


(Discussione sulle linee generali - A.C. 204 ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

La relatrice, onorevole Bertolini, ha facoltà di svolgere la relazione.

ISABELLA BERTOLINI, Relatore. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame riguarda la proposta di modifica della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante norme in materia di cittadinanza.

Ritengo opportuno affrontare, nello svolgimento della mia relazione, dapprima, in sintesi, le parti della legge che intendiamo modificare, quindi l'iter seguito in Commissione, nonché l'illustrazione del testo al nostro esame, per procedere, infine, ad alcune considerazioni di merito.

La Commissione affari costituzionali ha esaminato in sede referente undici proposte di legge recanti disposizioni concernenti la disciplina dell'acquisto della cittadinanza, attualmente contenuta nella legge n. 91 del 1992.

Talune di queste proposte di legge si limitavano ad intervenire su puntuali aspetti della vigente disciplina, concernenti, in particolare, l'acquisto della cittadinanza alla nascita ed il riconoscimento della stessa allo straniero residente in Italia; le altre iniziative legislative, invece, si proponevano un ambito di intervento molto più ampio, volto a modificare in misura rilevante o, addirittura, a sostituire integralmente la legge n. 91 del 1992.

In linea generale, l'attuale disciplina in materia di cittadinanza stabilisce che acquistano automaticamente alla nascita la cittadinanza italiana coloro i cui genitori, anche soltanto il padre o la madre, siano cittadini italiani - in base, quindi, allo ius sanguinis -; il criterio alternativo dello ius soli è, invece, previsto in via molto residuale, limitatamente ai nati in territorio italiano che hanno genitori ignoti o apolidi. La stessa possibilità è prevista per i nati in Italia ai quali la legge dello Stato di origine dei genitori non consente di acquisire la cittadinanza dei genitori stessi.

La cittadinanza italiana è acquisita anche per riconoscimento della filiazione oppure a seguito dell'accertamento giudiziale della sussistenza della filiazione stessa. Sono altresì previste modalità agevolate di acquisto della cittadinanza per gli stranieri di origine italiana, nel senso che la cittadinanza può essere acquistata dagli stranieri o apolidi, discendenti (fino al secondo grado) da un cittadino italiano per nascita, a condizione che facciano un'espressa dichiarazione di volontà e che siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge.

Quanto invece allo straniero nato in Italia, questi può divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto  legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari, entro un anno dal compimento dei diciotto anni, di voler acquistare la cittadinanza italiana.

Per quanto riguarda l'acquisto della cittadinanza da parte di stranieri o apolidi che hanno contratto matrimonio con cittadini italiani, l'acquisto della cittadinanza ha luogo se gli stessi risiedano legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica ovvero siano trascorsi tre anni dalla data del matrimonio e non vi sia stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili né sussista separazione legale.

L'acquisto della cittadinanza per concessione, infine, richiede una valutazione discrezionale di opportunità da parte della pubblica amministrazione, pur attenuata dall'obbligo del parere preventivo del Consiglio di Stato. Va precisato che il periodo di residenza legale in Italia, graduato in funzione dello status degli stranieri richiedenti - che costituisce il requisito fondamentale per conseguire la cittadinanza secondo tale modalità - deve essere ininterrotto e attuale al momento della presentazione dell'istanza per la concessione della cittadinanza.

In particolare, può presentare domanda per ottenere la concessione della cittadinanza italiana il cittadino straniero che si trovi in una delle seguenti condizioni: residente in Italia da almeno dieci anni, se cittadino non appartenente all'Unione europea, o da almeno quattro anni, se cittadino comunitario; apolide residente in Italia da almeno cinque anni; straniero il cui padre, la cui madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato in Italia e che, in entrambi i casi, vi risiede da almeno tre anni; il maggiorenne adottato da cittadino italiano e residente in Italia da almeno cinque anni; oppure l'aver prestato servizio alle dipendenze dello Stato italiano, anche all'estero, per almeno cinque anni.

Nell'ambito dell'istruttoria legislativa, la Commissione affari costituzionali ha proceduto a svolgere numerose audizioni informali di costituzionalisti, di esperti della materia e di associazioni operanti nel settore dell'immigrazione e, al termine dei lavori del Comitato ristretto, ha adottato, nella seduta del 13 aprile scorso, un testo base composto di soli tre articoli, volti a modificare altrettanti aspetti dell'attuale disciplina sull'acquisto della cittadinanza.

In particolare, il primo articolo del provvedimento in esame reca una modifica all'articolo 1 della legge n. 91 del 1992, volta a prevedere la possibilità di acquisto della cittadinanza per nascita in favore di chi è nato in Italia da genitori stranieri se entrambi siano residenti legalmente e continuativamente in Italia da almeno otto anni, o siano in possesso da almeno due anni della carta di soggiorno di cui all'articolo 9, primo comma, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Tale principio è ribadito nella Convenzione europea sulla cittadinanza (fatta a Strasburgo il 6 novembre 1997), sottoscritta e non ancora ratificata dall'Italia, la quale esprime la necessità di pervenire ad un nuovo equilibrio tra ius soli e ius sanguinis, prevedendo che ogni Stato faciliti l'acquisizione della cittadinanza per le persone nate sul territorio ed ivi domiciliate, nonché per le persone che risiedono nel suo territorio legalmente ed abitualmente per un periodo iniziato prima dell'età di 18 anni, periodo determinato dal diritto interno dello stesso Stato interessato.

L'articolo 2 apporta, invece, modifiche al regime di acquisto della cittadinanza da parte dei coniugi, stranieri o apolidi, di cittadino italiano, estendendo da sei mesi a due anni il periodo di residenza legale in Italia e stabilendo, quanto al criterio alternativo, che il matrimonio non deve essere stato sciolto, annullato o non ne devono essere cessati gli effetti civili fino al momento dell'adozione del decreto del ministro dell'interno, che, ai sensi dell'articolo 7, primo comma, attesta l'acquisizione della cittadinanza in capo al richiedente, rispetto al termine attualmente previsto, nei tre anni successivi alla celebrazione del matrimonio.

Con tale modifica, si intende porre un rimedio ai cosiddetti «matrimoni di comodo», poiché si pone un obbligo di residenza in Italia più lungo per il coniuge straniero, e si prevede che il vincolo del matrimonio debba persistere al momento dell'adozione del decreto con cui si acquista la cittadinanza.

L'articolo 3 del testo unificato delle proposte di legge in esame, ai sensi del quale viene sostituita la lettera f) del primo comma dell'articolo 9 della legge n. 91 del 1992, invece, è finalizzato a prevedere che, con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del ministro dell'interno, la cittadinanza possa essere concessa allo straniero residente legalmente e continuativamente in Italia da almeno otto anni, o comunque in possesso da almeno due anni della carta di soggiorno prevista dall'articolo 9, primo comma, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.

A tale fine, tuttavia, il richiedente deve dimostrare la sussistenza di alcuni requisiti: essere in possesso di un reddito sufficiente al proprio sostentamento, in misura non inferiore al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale; non aver usufruito di sussidi pubblici per il sostentamento nei tre anni precedenti la data della richiesta; conoscere in maniera adeguata la lingua e la cultura italiane. Va ribadito che, attualmente, la concessione della cittadinanza è ordinariamente possibile solo in favore di stranieri che risiedano legalmente da almeno dieci anni nel nostro paese.

Il testo adottato dalla I Commissione come base per il seguito dell'esame, i cui contenuti ho testé sommariamente illustrato, coincide con l'articolato licenziato dalla Commissione stessa al termine dell'esame in sede referente, atteso che l'obbligo di concludere l'esame del provvedimento, in ragione della programmazione dei lavori dell'Assemblea, non avrebbe consentito alla Commissione affari costituzionali di esaminare in maniera approfondita le quaranta proposte emendative che erano state presentate. Pertanto, con il consenso di tutti i gruppi parlamentari, il 12 maggio scorso si è convenuto sul ritiro di tutti gli emendamenti presentati, al fine di una successiva ripresentazione nel corso dell'esame in Assemblea (come puntualmente è avvenuto), onde consentire al Comitato dei nove di procedere, in modo più accurato, agli approfondimenti necessari.

Il percorso seguito dal Parlamento per arrivare alla revisione della legge sulla cittadinanza è stato determinato da una discussione, iniziata precedentemente, su alcune proposte di legge per l'introduzione nel nostro ordinamento del diritto di voto agli immigrati, attraverso la modifica dell'articolo 48 della Costituzione. Tale argomento era stato avviato nel dibattito politico dalle forze del centrosinistra, ma è necessario ricordare che fu sollecitato da una precisa proposta di Alleanza Nazionale. Su tale tema, di grande attualità anche in altri paesi europei, ci siamo confrontati - credo utilmente - in Commissione, pur in una netta contrapposizione di vedute, ed abbiamo approfondito il tema anche grazie al supporto giuridico di illustri costituzionalisti, supporto che si è rivelato - ritengo - molto utile.

L'iter di modifica costituzionale è apparso alquanto complesso e la Commissione ha iniziato in parallelo la discussione sulla revisione della legge n. 91 del 1992, in materia di acquisizione della cittadinanza da parte degli stranieri. Si è giunti, quindi, a scegliere di abbandonare temporaneamente la discussione sul diritto di voto agli immigrati, per concentrarsi solo sul tema della cittadinanza.

Ho premesso ciò, perché ritengo sia giusto rilevare che quasi tutte le proposte di legge presentate mirano a snellire - alcune più, altre meno - il procedimento di acquisizione della cittadinanza, in modo tale da consentire agli stranieri che risiedono nel nostro paese di diventare cittadini italiani più rapidamente e, di conseguenza,  acquisire anche il diritto di voto. Non dobbiamo, tuttavia dimenticare che si tratta di due principi molto diversi.

Ribadisco che la discussione in Commissione è stata utile - e di ciò ringrazio tutti i colleghi - ma, a mio avviso, non esaustiva delle problematiche che questo tema comporta. Il testo unificato da me proposto è volutamente snello ed altrettanto volutamente non comprende una revisione complessiva della legge che regola attualmente la materia. Esso risente, inoltre, anche della poca chiarezza determinatasi nel corso del dibattito rispetto a questioni importanti. Ne cito una: le modalità procedurali da attivare per la concessione della cittadinanza. Oggi, l'iter è piuttosto complesso, sia quando dipende dal Ministero dell'interno, sia quando si tratta di ottenere la concessione della cittadinanza da parte del Capo del Stato. Su tale tema alcuni gruppi parlamentari non si sono assolutamente espressi, mentre altri hanno proposto l'attribuzione - in ogni caso - della competenza al Ministero dell'interno, sottraendo, quindi, una prerogativa al Presidente della Repubblica. Non sono state, tuttavia, portate in discussione argomentazioni sufficientemente utili per fare chiarezza e tali da giustificare un simile cambiamento. Il relatore ha il dubbio, quindi, che l'intervento di modifica che ci apprestiamo a discutere rischia di non comportare una modifica organica della legge n. 91 del 1992, ma di rappresentare soltanto un «aggiustamento» di norme dettato dalla necessità di rispondere soprattutto ad una precisa sollecitazione politica, ossia quella di attribuire il diritto di voto agli immigrati rispetto alle reali esigenze sociali del paese.

Mi auguro pertanto che il dibattito parlamentare - anche se devo riscontrare che mancano alla discussione odierna molti parlamentari, e perciò ne dubito - possa colmare le lacune e le carenze tecniche che ancora emergono dalla lettura del testo e dagli emendamenti ad esso presentati (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

È iscritta a parlare l'onorevole Coluccini. Ne ha facoltà.

MARGHERITA COLUCCINI. Signor Presidente, sono indubbiamente da ritenere maturi i tempi per ripensare la legge che regola l'acquisizione della cittadinanza nel nostro paese. Proprio perché una democrazia intelligente deve adattare le proprie leggi ai tempi, legandole ad un sistema di convivenza ampio, in cui la burocrazia non prevalga ed in cui i meccanismi di identificazione, contaminazione ed integrazione siano la mossa opportuna di una società in movimento, quei tempi e quella maturità che le attribuisco devono essere colti da una classe politica che guardi alla modernità ed al futuro senza paure e senza remore di tipo ideologico.

Il numero delle proposte di legge presentate allo scopo di aggiornare le norme sulla cittadinanza in vigore nel nostro paese se, da una parte, segnano le articolazioni e le differenze che vi sono, a testimonianza di un'esigenza colta da tutti, d'altra parte evidenziano l'insufficienza - del tutto incongrua, a mio giudizio - del testo adottato dalla Commissione ed oggi proposto, in questa sede. Si tratta, infatti, di un testo che raccoglie e mostra le divergenze riscontrate nella maggioranza che governa il paese su una materia in cui si misurano e si scontrano visioni politiche, senso di prospettiva, ideologie e pregiudizi, governo della realtà ed attitudini al confronto.

Indubbiamente, la riforma di una normativa così importante non può essere affrontata in maniera superficiale e distratta. Credo che sarebbe necessario riuscire a mettere in atto una discussione impegnata, che sia all'altezza della questione affrontata, cominciando dall'approfondire il significato stesso dell'essere cittadino e valutando come tale significato stia cambiando in Italia e in Europa. Occorre domandarsi cosa vuol dire appartenere ad una nazione, essere parte di una comunità, in un tempo in cui le necessità  e le opportunità della vita portano spesso a cambiare il paese di residenza, in un tempo che, a volte, costringe anche alla mobilità e al pendolarismo.

Sono tutte questioni che imporrebbero di guardare oltre il concetto stesso di cittadinanza, impegnandoci a progettare diritti che spettino ai residenti, alle persone che siano, a qualunque titolo, presenti nel territorio.

Certamente, non vanno trascurate le esigenze di coloro che risiedono a lungo nel nostro paese, che sono in Italia per restarci, che progettano il loro futuro qui da noi. In particolare, non va trascurata la domanda di futuro dei bambini. Quando si nasce o si arriva da piccoli e si cresce in un paese, quando di questo paese si parla la lingua e se ne condividono gli stili di vita e le prospettive, quando il paese impegna se stesso nella formazione e nell'accompagnamento verso il futuro di bambini figli di stranieri, è lecito continuare a considerare questi minori degli ospiti? Non deve quel paese, invece, essere in grado di riconoscere a quei bambini il diritto di essere formalmente cittadini? Su questo aspetto tornerò più approfonditamente in seguito. Mi soffermo, per il momento, sull'importanza di un percorso di integrazione degli immigrati nel nostro tessuto sociale e culturale, partendo da una riflessione critica sul modo italiano di essere cittadini, sull'accezione che conferiamo al termine «cittadinanza».

Indubbiamente, l'Italia non può porsi i quesiti dell'immigrazione e della cittadinanza come qualunque altro paese. Dobbiamo chiederci cosa significhi essere cittadini di un paese che ha nella sua identità storica una profonda esperienza di emigrazione. Nel nostro paese, anche quello dell'integrazione è un capitolo che va ancora, in gran parte, scritto, perché viviamo l'ambiguità di un dibattito politico sull'immigrazione che è tutto concentrato sul problema dei clandestini, delle espulsioni, delle sanatorie, e che continua a trascurare quel nucleo consistente di immigrati regolari che vivono con noi, lavorano con noi, rispettano le leggi e pagano le tasse.

Credo che il rapporto tra cittadini italiani e stranieri debba fondarsi non su un generico sentimento di accoglienza, ma su un patto di reciproco rispetto, su un patto che abbia alla propria base regole e valori, diritti e doveri, sul riconoscimento di una convenienza reciproca a convivere.

Allo stesso tempo, immagino che una politica di cittadinanza seria e serena per gli immigrati sia molto utile anche a noi italiani, perché ci costringe a riconoscere il bisogno che abbiamo di loro, un bisogno esplicito per l'economia, ma anche per aprire culturalmente i nostri orizzonti alle sfide che ci vengono da un'epoca di cambiamenti e di globalizzazione.

Sarebbe molto interessante aprirsi ad un ragionamento che individuasse nel modello di integrazione da seguire la proposta di crescita e di futuro che il paese pensa per sé.

Parlavo all'inizio del mio intervento della maturità dei tempi circa una proposta di aggiornamento della legge sulla cittadinanza. La legge n. 91 del 1992 ha riordinato la materia. In essa viene riaffermato che il principio dello ius sanguinis, ai fini dell'acquisto della cittadinanza alla nascita, vale per la madre come per il padre, si conferma la comunicazione reciproca tra i coniugi della propria cittadinanza, già recepita nella legge del 1983, si introduce l'accettazione della possibilità di possedere una doppia cittadinanza. Come nella normativa precedente, l'acquisto alla nascita o immediato della cittadinanza iure soli continua a rimanere limitato ai figli di ignoti o apolidi o ai figli che non seguono la cittadinanza dei genitori. Ius sanguinis, ius soli e residenza devono unirsi alla volontà della persona per determinare l'acquisto della cittadinanza per beneficio di legge. Viene richiesta, infatti, la manifestazione di volontà nell'ipotesi in cui si favorisce l'acquisto da parte di figli e nipoti di chi è stato cittadino per nascita e da parte degli stranieri nati in Italia.

L'elemento della nascita sul territorio è, però, sottoposto a condizioni più rigorose rispetto alla legge del 1912, quale la residenza legale ininterrotta fino al raggiungimento della maggiore età. Ad un maggiore  rigore viene ispirata anche la norma relativa alla naturalizzazione ordinaria, per la quale vengono richiesti allo straniero extracomunitario dieci anni di residenza legale.

Il principio dello ius sanguinis, storicamente, è collegato al principio di nazionalità, in quanto costituiva uno strumento di conservazione dell'identità nazionale in condizioni di emigrazione in un paese che, a causa della difficile situazione economica, vedeva un numero considerevole di propri cittadini lasciare il paese per emigrare all'estero.

Il principio dello ius soli è stato invece adottato soprattutto dai paesi che sono stati tradizionalmente luoghi di destinazione dei flussi migratori provenienti dall'Europa.

In Italia, la preminenza del principio dello ius sanguinis e il ruolo marginale dello ius soli svolgono in realtà la funzione di disincentivare la piena integrazione nella comunità nazionale di figli di immigrati stranieri che nascono nel nostro paese.

Per questi motivi, l'idea di riformare la legge n. 91 del 1992 dovrebbe comportare una riflessione sugli obiettivi che si vogliono raggiungere, passando attraverso una formulazione di quesiti che, se posti, determinerebbero un risultato più accorto e lungimirante. Infatti, dovremmo chiederci se non sia utile, ad esempio, facilitare l'acquisizione della cittadinanza per i bambini di famiglie che hanno un progetto di radicamento nella nostra società; se non sia utile ragionare non per imposizione ma per volontarietà e flessibilità delle scelte, così da trovare la giusta combinazione tra identità acquisita e identità originaria; se non dovremmo valorizzare oltre misura il ruolo della scuola e della famiglia quali promotori principali di integrazione.

D'altra parte, una considerazione sui numeri e la consistenza della presenza degli alunni stranieri o di cittadinanza non italiana che frequentano il nostro sistema scolastico è un punto di partenza del ragionamento senza il quale si rischia di non comprendere a fondo il problema.

Occorre riconoscere, infatti, il carattere ormai strutturale che ha assunto l'immigrazione nel nostro paese e capire che non solo i nuovi arrivati, ma anche le seconde generazioni di giovani di origine straniera sono soggetti a forte rischio di esclusione sociale e scolastica. Infatti, il numero di studenti non italiani che frequentano le nostre scuole è da anni in progressivo aumento: ad oggi, sono quasi 300 mila, di ben 191 paesi di origine, con un peso percentuale medio sul totale di studenti che ha raggiunto e superato il 3 per cento. Le previsioni del Ministero dell'istruzione, università e ricerca prospettano, al 2020, una presenza oscillante tra le 500 mila e le 70 mila unità.

Al di là delle cifre, la considerazione che va svolta è che esse sono lo specchio delle nuove dinamiche migratorie che interessano il paese e che manifestano un'accentuazione del carattere di stabilità dei nuclei familiari di ingresso. Tale fenomeno costituisce sempre più una variabile fondamentale da considerare nella determinazione dell'offerta di istruzione, dal punto di vista sia qualitativo, sia quantitativo. Rispetto a quest'ultimo, infatti, un recente studio, effettuato dal Censis a supporto dell'attività di programmazione della rete scolastica per la provincia di Arezzo, ha evidenziato, ad esempio, come, sia in termini di popolazione pura e semplice, sia in termini di popolazione scolastica, i tassi di incremento saranno mantenuti attivi nei prossimi anni solo in virtù dei flussi di ingresso nel territorio relativi agli immigrati.

Alla luce di tutto questo, la nostra proposta è tesa a dare risposte politicamente più lungimiranti e consone, in una visione non meramente solidaristica, per la quale è necessario trovare soluzioni che si leghino alle realtà. In questo senso, una disposizione che permetta l'acquisto della cittadinanza italiana da parte dei bambini nati in Italia da genitori residenti, di cui almeno uno sia a sua volta nato in Italia, favorirebbe l'integrazione sociale, facendo acquisire la cittadinanza italiana agli immigrati di terza generazione.

Allo stesso modo, l'acquisto della cittadinanza per il figlio nato nel territorio italiano da genitori stranieri, se tali genitori sono regolarmente residenti in Italia e presentano congiuntamente una richiesta di acquisto della cittadinanza per il figlio a partire dal quinto anno di età del bambino, sarebbe un esercizio di civiltà e di governo responsabile e avrebbe un valore prioritario in una politica di inserimento stabile degli stranieri nel nostro paese, riconoscendo una forma più matura di partecipazione a chi ha un progetto di vita futura nel nostro paese, con pienezza e chiarezza di diritti e doveri politici e civili, così come chiedono la comunità di Sant'Egidio e la parte del paese che vive con maggiore naturalezza della politica le nuove dinamiche sociali e i nuovi bisogni e che soffre nel riconoscere il deficit di risposta che il ceto politico dimostra.

Per ciò che concerne gli adulti e sempre sulla scorta del ragionamento sviluppato finora, è opportuno, è democraticamente avanzato che, per poter soltanto chiedere la naturalizzazione, gli stranieri adulti debbano attendere un periodo di dieci anni?

La nostra normativa è senz'altro più severa, in questo senso, rispetto a quella di altri paesi europei (la Francia, l'Olanda, il Regno Unito richiedono, ad esempio, cinque anni di residenza). Essa è fissata sul massimo degli anni previsti dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla cittadinanza del 1997, secondo cui ogni paese firmatario deve prevedere la possibilità di naturalizzazione per le persone che vi risiedano abitualmente e legalmente per un periodo non superiore ai dieci anni al momento della presentazione della domanda. Credo che questa specie di muro alzato impedisca la trasformazione da straniero a cittadino e rischi di configurarsi come un segnale di pubblico rifiuto, anche in considerazione del fatto che la pratica di naturalizzazione, per essere evasa, può impiegare anche due anni. Quel muro, quindi, può essere veramente rischioso se entra nel dibattito politico e, ancor peggio, nelle leggi dello Stato.

Dovremmo tentare di rendere i tempi di attesa più brevi ed abbassare il livello di discrezionalità e, quindi, lanciare un messaggio che indichi una disponibilità legata al tempo necessario all'acquisizione di familiarità con le regole del paese - si tratta di proporre un patto di cittadinanza politica che si sommerebbe a quello di cittadinanza civica già formatasi nel tempo -, cioè al tempo utile per integrarsi, per perfezionare la conoscenza della nostra lingua e della nostra cultura e per dare nerbo alla propria posizione economica e sociale.

Vanno, inoltre, considerati i numeri che dicono che in Italia è del tutto residuale il carattere dei provvedimenti di naturalizzazione. Infatti, ci collochiamo negli ultimi posti tra i paesi europei nel rapporto tra popolazione straniera regolarmente presente e acquisizione di cittadinanze complessivamente considerate. Lo stesso rapporto sarebbe molto inferiore se fossero considerate le cittadinanze riconosciute per matrimonio. L'inadeguatezza della norma appare in tutta evidenza tanto più prendendo in considerazione tale secondo aspetto: l'estrema facilità con cui si ottiene la cittadinanza per matrimonio costituisce una vera e propria anomalia giuridica, corretta in altri paesi europei proprio per evitare l'uso strumentale del matrimonio stesso.

In tale ragionamento appare del tutto incongrua la riflessione miscellanea aperta nella maggioranza, divisa anche su questo terreno, nella quale brilla per pregiudizio e per difettosa visione politica della realtà la posizione della Lega. Non c'è, infatti, in tale riflessione, considerando la parzialità delle misure che si ritiene necessario modificare o inserire, una visione di insieme della nostra società. Non c'è capacità di lettura complessiva, figuriamoci condivisa, dei fenomeni che attraversano la nostra storia. Non c'è capacità di approccio a ciò che si presenta come nuovo e come tale richiederebbe il massimo ed il meglio di innovazione politica.

Si dovrebbe evitare, in tal senso, di dare un codice alle disuguaglianze. Si dovrebbe, al contrario, praticare la strada  del rafforzamento dei diritti, principio meno costoso socialmente e certamente più efficace nella lotta contro le disparità tra le persone. In tal senso, la cittadinanza può essere una costruzione a cui si prende parte, più di una libera scelta che, comunque, non dovrebbe mai essere preclusa.

Inoltre, sarebbe singolare rifiutare un futuro multietnico al nostro paese nel momento in cui l'Europa si presenta come un grande paese multietnico. L'integrazione, lo scambio, la reciproca contaminazione sono in molti paesi europei un dato assodato e codificato da norme attente e aderenti a ciò che si muove al loro interno. Il modello europeo non può essere liquidato né sconfessato dall'asfissia del dibattito interno alla maggioranza e che, comunque, non corrisponde a quello aperto e vitale del mondo reale, dove molte persone sono impegnate concretamente per rendere praticabile la strada del reciproco riconoscimento tra i cittadini.

Se le cose non cambieranno, è molto probabile che preserveremo la nostra etnia, il nostro italianissimo sangue, ma saremo sempre meno e sempre più vecchi. Lo sforzo che va fatto è quello di preparare il futuro con norme e discussioni che non siano chiuse nelle strette delle convenienze del momento e di parte.

Una nuova legge sulla cittadinanza è necessaria ed opportuna e, quindi, anche con tutti i limiti politici ed ideologici della proposta della maggioranza che ho cercato di illustrare, la strada intrapresa non può essere abbandonata. La necessità e l'opportunità di una revisione della legge in vigore deve superare il confine angusto del vostro dibattito interno, aprirsi ad un confronto vero sulle questioni di merito e tenere conto della complessità che chiede di essere rappresentata.

Sulle grandi questioni, che attengono al futuro e alle prospettive ideali per il nostro paese, così come sulle questioni che vi impegnano sul terreno dei valori, avete dimostrato più di qualche ritardo ed una seria insufficienza di proposte. Sulla libertà religiosa, piuttosto che sul diritto di voto ai cittadini stranieri, le discussioni subiscono uno strano fenomeno carsico, che la dice lunga sullo stato della compattezza valoriale (per così dire) che vi lega e sulla definizione dell'obiettivo che volete raggiungere, in termini di prospettiva da dare al nostro paese.

Noi ripresenteremo in Assemblea tutte le nostre proposte emendative e, se possibile, ne presenteremo delle ulteriori, proprio per marcare ulteriormente la nostra contrarietà alla soluzione legislativa che ci presentate, nonché per evidenziare la nostra diversa idea del mondo, i cui cambiamenti vogliamo intercettare e capire, proprio per dare ad essi forma e contenuti adeguati ad un paese moderno e libero, come chiede di essere il nostro (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Rendo conto ai colleghi - pochi, ma buoni - presenti in aula che dalle tribune stanno assistendo ai nostri lavori gli studenti della classe V elementare dell'Istituto Marymount di Roma, che saluto a nome di tutti (Applausi).

Vorrei far rilevare agli studenti nostri ospiti che la presenza di pochi parlamentari in aula non è determinata da motivi di assenza volontaria, bensì dal fatto che le discussioni di carattere generale riguardano solo coloro che si sono iscritti a parlare e che quindi svolgono una funzione esplicativa dei temi generali, che sono poi successivamente portati all'ordine del giorno da tutti colleghi in altra seduta. Lo dico, perché non sembri che l'Assemblea sia disattenta. Anzi, i colleghi che sono presenti hanno scelto questo ruolo per potere, in questa fase, discutere i problemi di carattere generale alla presenza dei relatori, del Governo e del presidente della Commissione, in modo che tutto si svolga con un criterio di reciproca conoscenza ed affidabilità.

È iscritto a parlare l'onorevole Perrotta. Ne ha facoltà.

ALDO PERROTTA. Ho ascoltato attentamente la relazione della collega Bertolini, la quale è un po' come il lievito, nel  senso che diventa sempre più brava...! Peraltro, quando la collega Bertolini riveste la qualità di relatore, io di solito sono qui in aula, proprio perché apprezzo la chiarezza con la quale la collega spiega il testo del provvedimento, che diviene così comprensibile anche se non lo si conosce nel dettaglio.

PRESIDENTE. Questo è un dono di natura, ma è anche dovuto all'intelligenza dell'interprete!

ALDO PERROTTA. Ricordo che quando, circa due anni fa, si è parlato di questo argomento, si accese sulla stampa un grande dibattito, nel quale intervennero un po' tutti, sia da destra, sia da sinistra, sia dal centro. La realtà poi la vediamo oggi, nel senso che i problemi interessano giustamente i pochi addetti ai lavori, che si possono così confrontare fra di loro.

Vorrei sottolineare l'importanza dell'articolo 2, che pone un freno a tutti i falsi matrimoni, a causa dei quali abbiamo visto moltissimi pensionati od anziani cadere in depressione e suicidarsi. Dunque, l'aver messo un freno all'acquisto della cittadinanza attraverso il matrimonio è stato un fatto sicuramente positivo. Siamo andati incontro alle esigenze soprattutto di chi lavora onestamente nel nostro territorio, elaborando un testo legislativo assolutamente non restrittivo e migliore di quello del 1992. Esso è peraltro in linea con un concetto moderno di Europa, visto che l'Italia, con 2 milioni 800 mila stranieri sul proprio territorio, regolarmente registrati - ma chissà quanti altri ce ne sono -, è sicuramente una nazione moderna e multietnica.

Per concludere, nel complimentarmi con l'onorevole Bertolini per la sua relazione, vorrei rivolgere un piccolo appunto non polemico nei confronti della collega che mi ha preceduto, la quale ha detto che la sinistra ha un'idea del mondo diversa dalla nostra. Personalmente, sono convinto che ciò è vero. Mi domando però il motivo per il quale la sinistra non abbia realizzato questa sua diversa idea del mondo dal 1996 al 2001, dato che la legge è del 1992!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.

GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, le colleghe intervenute precedentemente hanno, a partire dalla relatrice, delineato la questione in base alle disposizioni previste dal provvedimento in esame, nonché l'iter seguito in Commissione.

Dalle audizioni svolte in Commissione (in particolare, da quella del professor Ferrara) si è desunto che la tematica della cittadinanza è stata affrontata nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo - approvata dall'Assemblea generale nel 1948, che vincola tutti gli Stati membri - il cui articolo 15 prevede che ogni individuo abbia diritto alla cittadinanza. Nessun individuo può essere privato arbitrariamente della sua cittadinanza né del diritto a mutarla.

Sono evidenti le implicazioni di questa disposizione, in particolare rispetto a due proposizioni: la prima è quella che definisce la cittadinanza come un diritto soggettivo universale e, quindi, inviolabile, mentre la seconda è quella che libera tale diritto da ogni condizionamento e lo rende disponibile da parte del titolare, sopprimendone i vincoli e recidendo ogni rapporto o limite di tipo naturalistico alla titolarità del diritto di cittadinanza.

Coerentemente con tale articolo della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, la nostra Costituzione, all'articolo 22, prevede che nessuno possa essere privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome. Non è casuale né priva di significato la successione di queste varie situazioni giuridiche soggettive enunciate e poi garantite come diritti costituzionalmente protetti.

Quindi, gli stranieri dispongono del diritto di cambiare la cittadinanza, sulla base dell'articolo 15 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, consapevoli che la stessa non si identifica solo con l'appartenenza ad uno Stato, con la sudditanza  nei suoi confronti, ma con l'integrità dei diritti che un ordinamento statale riconosce, con le sue tutele, con le situazioni soggettive di svantaggio che impone.

La nostra Costituzione, dunque, recepisce ed apre il suo ordinamento legislativo al diritto universale della cittadinanza. Infatti, non si limita ad escludere per motivi politici la perdita di cittadinanza come mera applicazione del principio di eguaglianza, ma lo esclude anche per eventuali motivi connessi ad interessi pubblici della comunità.

Peraltro, in un mondo sempre più interdipendente, il diritto alla cittadinanza può essere, dunque, considerato strumento che, secondo la civiltà del diritto, può e deve presiedere all'incontro ed all'accoglienza; si tratta di un istituto, dunque, regolatore della convivenza.

È evidente da quanto è già stato sottolineato che l'attuale legislazione vigente non corrisponde a queste esigenze, a queste necessità, nonché al mondo così come cambiato e come si manifesta. È un provvedimento inadeguato; per tale motivo, le proposte che sono state discusse in Commissione sono numerose e partono dall'esigenza di cercare di attualizzare questa normativa rispetto alle nuove dimensioni assunte dal fenomeno dell'immigrazione.

La totale inadeguatezza della normativa vigente in tema di concessione della cittadinanza parte proprio dal carattere strutturale, ma anche dal carattere qualitativo attuale dell'immigrazione, da questo mondo che è diventato piccolo e dal diritto a poter migrare. Un esempio per tutti è rappresentato dal diritto di sangue, il principio secondo il quale è cittadino italiano chi nasce da cittadini italiani o chi ha uno degli ascendenti in linea diretta di secondo grado con cittadinanza italiana.

Tale criterio fondante si contrappone allo ius soli, basato sul luogo di nascita, che, nella normativa vigente, è subordinato a condizioni fortemente restrittive.

La diversità socioculturale rappresenta per il nostro paese una ricchezza da non disperdere, uno dei pilastri della ricostruzione democratica della Repubblica. Non a caso riteniamo che la parola chiave sia «interculturalità», concettualmente diversa dalla parola «integrazione» che, a nostro avviso, mantiene un'ambiguità di fondo.

Il fine ultimo è dunque quello di creare un senso di identificazione, nel rispetto delle diversità linguistiche, religiose ed etiche, nonché un maggior coinvolgimento nelle istituzioni politiche anche e non solo attraverso il diritto di voto. Infatti, non è un caso che, contestualmente alla questione della cittadinanza, si sia discusso proprio il diritto di voto. Su tale tema sono state presentate diverse proposte di legge, ma soprattutto vi sono state numerose sollecitazioni contenute negli statuti comunali e regionali, anche attraverso forzature - come qualcuno ha sostenuto - rispetto alle norme costituzionali, comunque tutte con l'intento di assicurare i diritti garantiti proprio dal diritto di voto e l'esigenza di prendere atto di una società che ha subito cambiamenti.

Tuttavia, anche nell'eventualità di un riconoscimento del diritto di voto dei cittadini stranieri - su tale aspetto la legislazione è assolutamente assente, con l'impossibilità di addivenire ad una proposta unitaria per rispondere a tali esigenze -, ciò non potrebbe comunque esimerci dalla responsabilità di rivedere le norme sulla cittadinanza. Le due questioni meritano attenzione e di essere affrontate in maniera adeguata ai tempi e alle necessità.

Naturalmente, anche il nostro gruppo ha presentato una proposta di adeguamento e di attualizzazione di questa legge sulla cittadinanza, prevedendo la cittadinanza quale diritto soggettivo, dunque immediatamente esigibile, ovvero quale posizione direttamente garantita dalla legge, in modo da assicurare al titolare il soddisfacimento di una propria utilità sostanziale.

Nel testo della nostra proposta vi è un articolo con il quale si prevede di abbassare a tre anni l'obbligo di risiedere in Italia, in quanto a nostro avviso ciò corrisponde all'attuale situazione che caratterizza il fenomeno migratorio nei termini che abbiamo citato.

Viceversa, esprimiamo un giudizio molto negativo sulle politiche del Governo in materia di immigrazione, a partire dalla legge Bossi-Fini, che ha affrontato tale fenomeno come una questione di ordine pubblico, priva di qualsiasi logica di accoglienza e di solidarietà, legata soprattutto ad una filosofia secondo la quale la domanda e l'offerta di immigrazione possano acquisire al massimo lo status di merce. Sulla base di ciò si regolano dunque i flussi migratori, i numeri, l'accettazione dei contratti di soggiorno - anche la modifica da «permesso di soggiorno» a «contratto di soggiorno» evidenzia la filosofia che sta dietro alla gestione del fenomeno immigratorio -, sempre e comunque affermando una situazione di precarietà per i cittadini stranieri che vengono a lavorare nel nostro paese. Prevedendo inoltre - come sancito nella legge Bossi-Fini - addirittura un doppio binario dal punto di vista giuridico e delle garanzie individuali. In tal modo, a mio avviso, sono state cancellate le persone, negando gli aspetti positivi, come quello dell'interculturalità, che potrebbe derivare da questo fenomeno migratorio che nasce dai bisogni e che potrebbe diventare una risorsa per tutti.

Anche nel testo illustrato dalla relatrice si evidenzia una cultura politica che risponde alla logica di dover necessariamente approvare un provvedimento di modifica di quello attuale - le sollecitazioni sono state veramente tante in questa direzione -, senza riuscire a sganciarsi dalla cultura basata sul respingimento e non sull'accoglimento degli stranieri.

Molte sollecitazioni in questa direzione sono venute in particolare dalla comunità di Sant'Egidio, ma anche queste non sono risultate sufficienti per adeguare in modo congruo le norme contenute nel testo. Infatti, il provvedimento al nostro esame non solo viene da noi fortemente criticato, ma anche la stessa maggioranza in proposito risulta divisa - come peraltro ribadito dalla collega Bertolini - al proprio interno, tanto che allo stato attuale non è dato di sapere quale sarà l'effettivo iter del testo unificato in oggetto.

In particolare, per la concessione della cittadinanza ai bambini nati in Italia, l'articolo 1 richiede la residenza di entrambi i genitori da almeno otto anni. La norma non solo è in contrasto con le nostre proposte, ma persino con quelle suggerite dalla comunità di Sant'Egidio, che molta esperienza ha accumulato nel corso degli anni. Infatti, la stessa comunità suggerisce che i genitori risiedano in Italia da almeno due anni e siano in possesso del permesso di soggiorno. Quindi, già nell'articolo 1 si può cogliere come la proposta di legge non contenga l'equilibrio - cui, invece, faceva riferimento la collega Bertolini - tra lo ius soli e lo ius sanguinis, così come richiamato dai dettati dell'Unione europea. Certo, tale equilibrio non si introduce con una norma così restrittiva.

Inoltre, siamo fortemente perplessi e contrari anche all'articolo 2, che aumenta per un coniuge da sei mesi a due anni i tempi per l'acquisizione della cittadinanza rispetto alla residenza.

L'articolo 3, inoltre, completa l'inadeguatezza del testo. Infatti, nella norma si chiedono otto anni di tempo prima di avanzare la richiesta di cittadinanza; ricordo che attualmente sono necessari dieci anni, ma che a quelli previsti nella norma ne vanno aggiunti altri, da uno a tre anni, dovuti alla burocrazia, che allungano ulteriormente i tempi per ottenere la cittadinanza effettiva. Ebbene, otto anni sono un periodo di tempo assolutamente eccessivo persino rispetto alla media europea: a nostro avviso, risultano eccessivi in assoluto - ed infatti ne proponiamo soltanto tre -, ma sicuramente sono eccessivi rispetto agli altri paesi europei. Quindi, emanare oggi una legge che prevede otto anni di tempo prima di poter richiedere la cittadinanza appare un po' curioso.

Inoltre, anche altre norme risultano a mio avviso piuttosto singolari e testimoniano la mancata volontà di affrontare e risolvere adeguatamente un problema aperto come questo. Innanzitutto, mi riferisco alla disposizione con cui si richiede un reddito garantito doppio rispetto all'importo annuo dell'assegno sociale. La  comunità di Sant'Egidio anche in questo caso chiedeva che il reddito garantito fosse esattamente corrispondente all'assegno sociale, e non si comprendono i motivi per i quali si debba chiedere il doppio. Infatti, ai cittadini italiani viene riconosciuta la possibilità di vivere con 367,97 euro: certo, si tratta di un reddito basso, ma evidentemente il Governo ritiene che un cittadino italiano possa vivere con tale somma, per cui non si capisce perché questa possibilità viene negata agli stranieri.

Un'altra norma stabilisce che tra i requisiti per richiedere la residenza vi sia quello di non avere utilizzato sussidi pubblici. Anche tale circostanza appare curiosa, perché si parla di cittadini che a tutti gli effetti risiedono e lavorano nel nostro paese da anni. Pertanto, potrebbero essere stati, durante la loro vita lavorativa, in situazioni di cassa integrazione o aver ricevuto altri sussidi pubblici, che a volte vengono concessi per far fronte alle ristrutturazioni aziendali.

Oltretutto, occorre ricordare che il Governo non ha brillato dal punto di vista delle strategie industriali. Quindi, tale requisito appare sinceramente privo di motivazione e non si capisce perché debba essere negato agli stranieri ciò che invece viene concesso ai cittadini italiani.

Dunque, c'è un dato che mi permetto di definire un po' di «cattiveria» in questi requisiti, che non possono che nascondere una volontà di rendere comunque difficile l'acquisizione della cittadinanza. Se sussiste tale volontà, ci poniamo in contrasto non soltanto con la nostra Costituzione e con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo, ma anche con la sensibilità, con la maturità e con le sollecitazioni provenienti dagli enti locali e dalla società, dalle cittadine e dai cittadini che su queste materie hanno probabilmente maturato esperienze concrete sul territorio, che dicono che invece sarebbe così naturale e facile poter fare delle migrazioni luoghi di incontri fecondi.

Ciò è dimostrato dalla raccolta di firme in corso - è stato già raggiunto un milione di firme - per chiedere la cittadinanza europea di residenza. Si tratta di un'iniziativa in corso non soltanto nel nostro paese, ma in tutta Europa, che indica il punto in cui ci troviamo, su tali temi, a livello di sensibilità sociale. Credo che, se non saremo all'altezza, in questo Parlamento, di rispondere a tale maturità e a tale sensibilità, non faremo che accentuare la separatezza già riscontrata fra le istituzioni e la società, che dovremmo tendere quanto meno a ridurre (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, intendo preliminarmente esprimere la mia personale e convinta comprensione per le difficoltà che la relatrice ha incontrato nel corso dell'esame del provvedimento, nonché l'apprezzamento per la sobrietà con cui ha saputo gestire passaggi sicuramente non semplici. Come ha ricordato nella sua relazione, onorevole Bertolini, le presenze, o meglio, le assenze in quest'aula sono molto significative rispetto al convincimento politico nel voler affrontare questi problemi.

Noi siamo presenti - ad eccezione del collega Boato, che è trattenuto da impegni elettorali del suo collegio e che mi ha incaricato di rappresentare anche la sua posizione - in quanto, anche di fronte ad una proposta che non condividiamo e che, anzi, consideriamo arretrata e inadeguata, intendiamo discutere e modificare la legge in materia di cittadinanza.

Se volessimo far capire ad un cittadino straniero quale è la situazione politica del Governo italiano e della sua maggioranza, ritengo non vi sia esempio migliore della proposta di legge in esame. A suo modo, è un vero e proprio paradigma della cultura di governo e dello stato di salute del Governo e della sua maggioranza. La questione in esame, infatti, è una questione seria - modifiche alla disciplina della cittadinanza - perché ci fa riflettere su problemi fondamentali. Non si tratta, infatti, solo di adeguare la nostra normativa  ad una realtà di fatto radicalmente mutata, vale a dire la trasformazione dell'Italia da paese di emigrazione a meta di immigrazioni. Non si tratta neppure di adeguare solamente - e sarebbe già importante in sé - la nostra normativa alla Convenzione europea sulla cittadinanza del 1997, che l'Italia ha sottoscritto ma non ancora ratificato. Si tratta di aspetti assolutamente fondamentali, ma non esaustivi della complessità del problema, in quanto modificare la disciplina della cittadinanza per gli stranieri residenti in Italia significa, prima di ogni altra cosa, riconoscere una capacità giuridica sostanziale non più al cittadino di uno Stato, ma ad un essere umano, a una persona in quanto tale. Ogni essere umano sottoposto alla sovranità dello Stato, indipendentemente da ragioni di calcolo economico e dai caratteri dell'indirizzo politico che di volta in volta si afferma come prevalente, deve essere posto nelle condizioni di poter realizzare, nella maniera più piena, lo sviluppo della propria persona.

Peter Haberle - un famoso giurista da me molto apprezzato e spesso citato in quest'aula - sostiene che la dignità umana costituisce la premessa antropologica dello Stato costituzionale e del diritto statale. Affrontare il tema della cittadinanza mette a nudo la propria visione della forma di Stato, relativa, ossia dei modi di estrinsecazione della potestà sovrana e, quindi, dei rapporti variamente intercorrenti tra i componenti della società e i detentori del potere.

Non v'è dubbio che la proposta che avete portato in quest'aula, con la significativa opposizione di alcune forze della stessa maggioranza (che la considerano troppo liberale), presenta una visione distorta del rapporto Stato-individuo. La precedenza sostanziale della persona umana e dei suoi bisogni rispetto allo Stato, e la destinazione di quest'ultimo a servizio della prima, è estranea non solo alla vostra proposta ma anche alla vostra cultura. La vostra conclamata e rafforzata convinzione di non riconoscere la naturalizzazione per i «lungo-residenti» come un diritto soggettivo, ma di volerla considerare una concessione discrezionale, per di più attraverso procedure lente e complesse, rappresenta la chiave di lettura dell'insufficienza e dell'arretratezza della vostra cultura. Ma quello che più è inquietante, lo ripeto, è che questa vostra proposta, così sbagliata, arretrata e culturalmente e politicamente inadeguata, è contestata da destra, da una componente della maggioranza, la Lega.

Allora, torniamo al punto dal quale siamo partiti, ossia l'idea di spiegare ad uno straniero cosa sia oggi il Governo italiano. A ciò, ahimè, vi è una sola risposta: il Governo e la maggioranza sono politicamente e culturalmente arretrati rispetto allo spirito che informa la nostra Costituzione; il Governo e la maggioranza sono incapaci di affrontare l'emergenza e i problemi del paese; il Governo e la maggioranza sono lacerati al loro interno sui principi fondanti la nostra democrazia!

Ma poiché siamo in Assemblea per l'esame di questo provvedimento, di esso è utile parlare. È, allora, necessario comprendere il senso, lo spirito che anima questa vostra proposta di legge. Montesquieu, nel suo «Lo spirito delle leggi», sostiene che le leggi devono rifarsi al grado di libertà che la Costituzione può permettere e che hanno relazioni tra loro, con la loro origine, con lo scopo del legislatore e con l'ordine delle cose su cui sono stabilite. È una definizione astratta di cosa sia lo spirito di una legge, ma è quanto mai significativa. Aveste indovinato almeno uno di questi principi ispiratori! Nemmeno per idea: zero su zero!

Qualche esempio, per comprenderci. Le leggi devono tener conto dell'ordine delle cose su cui sono stabilite, ossia del tessuto vivo su cui queste sono chiamate ad operare ed incidere.

Negli ultimi cinque anni, l'Italia è passata da un milione 341 mila stranieri non comunitari, regolarmente presenti nel 1999, a circa due milioni e 400 mila nel 2003 (oggi ci avviciniamo ai tre milioni), con una crescita del 79 per cento.

A fronte della crescita del numero di stranieri non comunitari regolarmente presenti nel nostro territorio, le naturalizzazioni  per residenza diminuiscono del 70 per cento. Nel 2000, erano più di 350 mila gli stranieri con residenza legale nel paese da almeno dieci anni. Le naturalizzazioni per residenza nello stesso periodo sono state 1.465: cifra che rappresenta meno dello 0,5 per cento dei soggetti potenzialmente richiedenti.

Ancora, nel 1992, quando la legge n. 91, attualmente in vigore, fu approvata, i minori stranieri presenti nel paese erano 76.400. Nel 2002, il loro numero è arrivato a 327 mila. Cresce la loro presenza in termini assoluti e cresce il loro peso percentuale sul totale delle presenze straniere: dal 10 al 20 per cento.

Rispetto, dunque, a questo ordine delle cose, la vostra proposta quali rimedi ipotizza? Si pensa ad un modello di tipo tedesco tendente a rafforzare lo ius soli, come la recente riforma di Schröeder? Nemmeno per idea! Vi è una proposta tendente a riconoscere con immediatezza - in quanto trattasi di un diritto soggettivo inalienabile - la cittadinanza al figlio nato in Italia da genitori stranieri, come suggerito dalla comunità di Sant'Egidio e in molte altre nostre proposte? Nemmeno per idea! La vostra risposta segue la stessa linea della legge n. 91 del 1992, nata allora già vecchia e in questi 13 anni ulteriormente incanutita.

Non vi è alcuna certezza nemmeno sui tempi di risposta alle domande di naturalizzazione, mentre vi sono delle condizioni che renderebbero complicata la concessione della cittadinanza anche per un italiano iure sanguinis.

Richiamo un altro esempio rispetto allo «spirito delle leggi» di Montesquieu, a proposito dello scopo del legislatore. Lo scopo del legislatore dovrebbe essere quello di risolvere un problema, regolando la materia, ma voi con questa legge, che continua a privilegiare lo ius sanguinis per l'acquisizione della cittadinanza, volete raggiungere uno scopo chiaro: la riduzione dell'ingresso di immigrati nel nostro paese, quasi fosse una sorta di postilla della legge Bossi-Fini, ma, tanto per non smentirvi, usate uno strumento inefficace.

La difficoltà di divenire parte del popolo ex lege non è uno strumento per bloccare i flussi migratori nel nostro paese. Credo non vi sfugga il particolare che chi viene in Italia lo fa, il più delle volte, per raggiungere un benessere economico difficilmente conseguibile in patria, o per fuggire da situazioni di oppressione nel proprio paese, e non certo per vedersi riconosciuto lo status di cittadino italiano; ma se il mancato riconoscimento della cittadinanza non è un deterrente sufficiente a dissuadere dall'emigrazione, esso diventa sicuramente uno strumento per ostacolare l'inserimento nella comunità proprio di quegli immigrati che sono necessari all'avanzamento della comunità stessa. Nulla è più triste dell'ipocrisia di accettare i processi di globalizzazione più favorevoli sul piano economico e di non accettarli, anzi di inibirli, sul piano del diritto e dei diritti.

Veniamo all'ultimo esempio di alto tradimento di Montesquieu e del suo «spirito delle leggi». Le leggi - dice Montesquieu - devono rifarsi al grado di libertà che la Costituzione può permettere. È fuori di dubbio, dottrina prevalentissima e giurisprudenza costituzionale concorde, che il costituente italiano abbia optato per una concezione civica della nazione, nel senso che il professor Bartole ha sapientemente sintetizzato. L'appartenenza alla nazione non è fondata sul legame etnico che, pur implicando un riferimento a tradizioni storiche e culturali, rinvia in ultima istanza a legami di terra e sangue, ma si identifica con l'accettazione volontaria di dati valori civici e costituzionali della nostra comunità statale. Come è significativo - come è stato osservato durante le audizioni dal professor Vittorio Angiolini -, a proposito della maniera di percepire la cittadinanza alla stregua di nesso unificante la società, lo stesso linguaggio usato nella Costituzione italiana, nel cui testo al termine «popolo» o «nazione» si preferisce quasi sempre il termine «Repubblica», il quale è indicativo, secondo autorevolissima dottrina, non di un'appartenenza ma di una compartecipazione all'attuazione costituzionale.

Lo stesso fatto che i costituenti abbiano lasciato per tanta parte al legislatore ordinario la disciplina della cittadinanza è significativo di un orientamento chiaro verso una concezione aperta di cittadinanza. Per questo è tanto più incongruo costituzionalmente innalzare lo ius sanguinis a valore prevalente di attribuzione della cittadinanza; incongruo e pericoloso perché in palese contrasto con i tratti universalistici e pluralistici che informano la nostra Costituzione. Ne è un'ulteriore riprova la giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, più volte chiamata a pronunciarsi sul riconoscimento agli stranieri dei diritti costituzionalmente sanciti, ha mantenuto un indirizzo costante, ritenendo che, dal combinato disposto dell'articolo 2 e dell'articolo 10, secondo comma, della nostra Costituzione, consegue che i diritti fondamentali garantiti sono applicabili anche agli stranieri. Con l'ulteriore specificazione che, rispetto all'operatività del princìpio di eguaglianza tra i cittadini e gli stranieri, la distinzione tra diritti fondamentali e altre posizioni giuridiche soggettive non appare in grado di spiegare alcuna concreta utilità, perché tale distinzione non può significare che ogni volta che non siano in gioco diritti fondamentali il legislatore sarebbe libero di introdurre tra cittadino e non cittadino disparità di trattamento irragionevoli.

È questa la grandezza della nostra Carta costituzionale! Quello che appare sempre più evidente è la vostra estraneità culturale rispetto alla Carta fondamentale: anche oggi ne date una prova tangibile. Lo ripeto, anche in questa occasione: riflettete su quello che state facendo! La vostra attività legislativa è sempre più simile ad un OGM, in cui in questo caso si intende «ordinamento geneticamente modificato», che, guardate bene, non è positivo in sé; cambiare non significa necessariamente migliorare e i cambiamenti legislativi che fino ad oggi la maggioranza ha operato sono stati quasi tutti fallimentari.

Riflettete: con questa proposta di legge incongrua e pericolosa sono in gioco le aspettative di vita di milioni di persone, di giovani nati in Italia che sono italiani per «vita», anche se ancora non per legge. Ma c'è di più: è in gioco la visione della forma di Stato, che vorrei continuasse ad essere democratico.

Riflettete, riflettiamo! Questa non è che una legge tra tante, ma è una legge che misura la nostra cultura democratica, la nostra consapevolezza giuridica, in una parola, la nostra misura di umana civiltà (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

 

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 204 ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Bertolini.

ISABELLA BERTOLINI, Relatore. Signor Presidente, ringrazio innanzitutto i colleghi intervenuti per il contributo offerto, sia in Commissione sia oggi in Assemblea, e desidero stigmatizzare nuovamente l'assenza di molte componenti della maggioranza.

È mia intenzione sgombrare il campo da equivoci, perché quando si esamina un provvedimento ritengo si debba cercare di usare meno demagogia e più concretezza. Ciò lo dico, in particolare, al collega Bressa.

Onorevole Bressa, noi non vogliamo bloccare i flussi migratori modificando questa legge, come dite voi, in senso restrittivo, perché, secondo noi, alla stessa sono state apportate modifiche importanti, che peraltro (e ciò lo ricordo alla collega Mascia) voi stessi avreste potuto introdurre nei cinque anni in cui siete stati al Governo. A questo riguardo, ricordo che la Germania ha riformato la legge sulla cittadinanza nel 2000, cosa che potevate fare anche voi tra il 1996 e il 2001; ma, evidentemente, questa necessità non  l'avete avvertita, così come non pensavate di favorire i flussi migratori attraverso la modifica della legge in questione.

Noi vogliamo gestire l'immigrazione con politiche adeguate di accoglienza vera, e non fittizia, ma vogliamo gestirla anche con rigore, distinguendo fra immigrazione regolare e immigrazione clandestina. Conseguentemente, bando alle ipocrisie! Non è concedendo a chiunque la cittadinanza o riducendo i tempi di permanenza sul nostro territorio necessari per concederla che noi realizzeremo una migliore integrazione. L'integrazione si ottiene attraverso delle politiche di carattere sociale, di accoglienza vera, di possibilità di risorse di lavoro, che chi ci ha preceduto nel Governo del paese non è riuscito a realizzare.

Abbiamo sicuramente delle visioni differenti rispetto al fenomeno immigratorio. Stupisce però vedere come oggi anche voi, su questo tema, siete divisi. Ricordo all'amico Bressa, il quale è firmatario, tra gli altri, di una proposta di legge in materia che ricalca il modello tedesco - un modello molto importante ed innovativo, anche perché la Germania ha vissuto il fenomeno immigratorio prima di noi in maniera massiccia -, che riprende pedissequamente una mia proposta di legge. Pertanto, forse, oggi il collega Bressa ha cambiato idea rispetto al testo che ha firmato poco tempo fa.

Desidero soffermarmi su alcuni aspetti contenuti nel testo unificato in esame.

Onorevole Mascia, ritengo che tre anni siano pochi per concedere la cittadinanza, perché vigono nel nostro paese al riguardo delle apposite leggi. In Italia c'è una legge, che a voi non piace ma che comunque è in vigore, la legge Bossi-Fini, che noi abbiamo voluto fortemente e che prevede un permesso permanente a chi ottiene per tre volte un permesso di soggiorno; quindi, dopo sei anni di permanenza regolare sul territorio italiano viene rilasciata la carta di soggiorno. Trovo un po' incongruente concedere ad una persona la cittadinanza prima ancora di avergli rilasciato un permesso permanente di residenza nel nostro territorio.

Credo, inoltre, che le sollecitazioni giunte dalla comunità di Sant'Egidio (che abbiamo tutti preso in considerazione e alcuni gruppi della maggioranza le hanno addirittura accolte) siano importanti, ma non per questo debbano essere condivisibili. Ritengo che il termine proposto dalla comunità di Sant'Egidio - due soli anni di permanenza sul territorio italiano di uno dei due genitori per poter concedere la cittadinanza italiana al figlio nato in Italia - non sia proponibile nel nostro ordinamento per il modo in cui esso è attualmente impostato. Ciò, tra l'altro, creerebbe diversi problemi. Infatti, concedere la cittadinanza italiana a molti minori i cui genitori siano stranieri porrebbe rilevanti problematiche rispetto alla permanenza di questi minori sul territorio nel momento in cui i loro genitori non dovessero avere più i requisiti richiesti dalla legge per poter rimanere in Italia.

Credo che su questi aspetti si potrebbero sviluppare ulteriori riflessioni.

Ultima considerazione. La collega Mascia ha criticato la proposta riguardante il problema finanziario, laddove si fa riferimento alla «misura non inferiore al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale» per richiedere ed ottenere la cittadinanza. Chi diventa cittadino italiano per concessione trasmette la propria cittadinanza ai figli e, quindi, deve dimostrare la possibilità del sostentamento proprio e dell'intera famiglia. Queste norme sono in vigore nel nostro paese attraverso la legge Bossi-Fini. Credo che un legislatore, quando legifera, debba farlo in maniera coordinata rispetto alle norme vigenti e che, se ha contribuito a crearle o a farle approvare, evidentemente, le ritenga assolutamente valide. Troppe volte si è legiferato (e si continua a farlo) sull'onda dell'emozionalità e spesso, purtroppo, i risultati nel nostro paese si vedono (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

MICHELE SAPONARA, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente,  onorevoli colleghi, il testo unificato in esame approda in quest'aula dopo l'esame, in sede di Comitato ristretto della Commissione affari costituzionali, di numerosi progetti di legge di iniziativa parlamentare in materia di cittadinanza.

Tutte, o quasi, le suddette proposte, sia pure variamente articolate, muovono dalla considerazione che la vigente normativa risulta ormai arcaica ed arretrata rispetto alle nuove realtà sorte con il fenomeno immigratorio.

La legge del 1992, infatti, fortemente ancorata ai criteri ispirantisi allo ius sanguinis, ha introdotto norme più severe e restrittive rispetto a quelle contenute nella legge n. 505 del 1912 per quanto concerne l'applicazione dello ius soli, consentendo l'acquisizione della cittadinanza italiana da parte degli stranieri solo in presenza del requisito della residenza continuativa nel paese dal momento della nascita fino alla maggiore età (articolo 4, comma 2, della legge n. 91 del 1992).

Ciò ha effettivamente comportato, come risulta dai dati resi disponibili dal Ministero dell'interno ed illustrati nel corso della discussione generale in Commissione, che l'acquisto della cittadinanza italiana ha assunto, nel tempo, per diversi ordini di motivi, una portata assai limitata.

Inoltre, nell'attuale normativa viene, come noto, riconosciuto un particolare favor agli appartenenti ai paesi membri della Comunità europea, che si estrinseca in determinate agevolazioni di carattere temporale ad essi riservate per l'acquisto della cittadinanza stessa.

Tuttavia, già in occasione del dibattito parlamentare relativo alla legge del 1992, non era mancato chi richiamava l'attenzione sulla necessità di rispettare lo spirito democratico ed egualitario contenuto nel preambolo dell'Atto unico europeo, evitando, così, di precostituire, per la concessione della cittadinanza, posizioni di vantaggio dei cittadini comunitari nei confronti di quelli dei paesi terzi o di altre categorie di non cittadini.

A quel tempo, però, non si ritenne utile seguire detti segnali di apertura e, pertanto, la vigente legge, pur provvedendo a adeguare la normativa sulla cittadinanza al dettato costituzionale e ai mutamenti di costume sotto il profilo della parità di sesso, anche a seguito degli specifici interventi della Corte costituzionale, ha finito per accentuare il divario tra cittadini «comunitari» e «non comunitari», aumentando, per questi ultimi, da cinque a dieci anni il periodo di residenza necessario per l'acquisizione del nostro status civitatis.

Allo stato attuale, pertanto, appare assolutamente comprensibile e giustificata l'esigenza di una riforma e di un ammodernamento della disciplina oggetto di esame che si snodi attraverso modifiche riconducibili, come si evince dalle proposte presentate in Parlamento, ad un unico comune denominatore, costituito dalla necessità di attuare effettive politiche di integrazione, favorendo l'acquisizione, in termini più globali, del diritto di cittadinanza.

Al riguardo, non può disconoscersi che l'attuale situazione sociale, caratterizzata da un massiccio fenomeno immigratorio, è profondamente diversa da quella esistente all'atto dell'adozione della legge che si intende modificare ma, d'altro canto, appare necessaria un'attenta opera di approfondimento, evitando di affidare ad interventi poco ponderati la disciplina di una materia così delicata e rilevante essendo, come noto, la cittadinanza il «rapporto fondamentale» che si instaura tra lo Stato ed i singoli individui.

Nella Carta costituzionale, infatti - pur non contenendo quest'ultima precise norme aventi ad oggetto l'acquisto e la perdita della cittadinanza, ad eccezione dell'articolo 22, che ne impedisce la perdita per motivi politici -, numerosissime sono le disposizioni che si indirizzano ai «cittadini» (ad esclusione, quindi, degli stranieri e degli apolidi) e che fanno sorgere diritti ed obblighi solo in capo a questi ultimi.

Inoltre, anche se la regolamentazione della cittadinanza è prerogativa assoluta di ogni Stato, cioè di esclusiva competenza nazionale e come tale sottratta al legislatore  comunitario, non può non considerarsi l'esigenza di pervenire ad una armonizzazione della legislazione in tema di cittadinanza con quella degli Stati membri della Comunità europea.

È noto, infatti, che le scelte di ogni singolo Stato si ripercuotono automaticamente in ambito europeo in quanto - a norma già del Trattato di Maastricht, ed ora del Trattato istitutivo della Costituzione europea - ciascuna cittadinanza nazionale porta con sé lo status di cittadino europeo e, con esso, tutta una serie di potestà ben definite, tra cui il diritto di libera circolazione nell'intero territorio comunitario.

Quanto sopra è stato efficacemente espresso anche nel corso delle audizioni informali tenutesi presso la Commissione di merito, cui hanno partecipato eminenti giuristi, esponenti del mondo universitario e rappresentanti di associazioni di categoria. Tutti, pur partendo da approcci sistematici differenti, e con diverse motivazioni, sono stati concordi nel ritenere rigido, e soprattutto inadeguato ai tempi, l'edificio normativo costruito dalla legge del 1992 e dalla relativa normativa di attuazione.

In questa sede, è stato fortemente auspicato un rinnovamento del concetto di cittadinanza che superi le radicate concezioni di stampo etnico-territoriale, per dare vita ad una idea di cittadinanza «aperta» di stampo socio-culturale, connessa all'effettività dell'inserimento economico, sociale e politico di coloro che intendono stabilirsi nel nostro paese.

Ciò, in conformità con la Convenzione europea sulla cittadinanza - sottoscritta dall'Italia ed in attesa di ratifica -, che invita gli Stati contraenti a rendere più facile l'acquisto della cittadinanza anche in favore delle persone nate nel proprio territorio, in presenza di determinati requisiti.

Il testo unificato oggi all'attenzione dell'Assemblea si pone in linea con le conclusioni propositive formulate nel corso delle cennate audizioni che, sia pure diversificate sul piano fattuale, sono tutte basate sul presupposto, univocamente e unanimemente riconosciuto, della necessità di adeguare l'attuale legge alla realtà sottostante, tenendo in debito conto il passaggio «epocale» dell'Italia da paese di emigrazione a paese di immigrazione.

Il testo medesimo riassume, pertanto, il manifestato intendimento di conseguire una maggiore integrazione degli stranieri, ed in particolare dei minori stranieri, implementando le ipotesi di acquisto della cittadinanza per nascita e modificando, anche attraverso una congrua riduzione del periodo di residenza legale, le norme relative alla concessione dello status civitatis ai cittadini extracomunitari (articolo 9, lettera f), della legge n. 91 del 1992).

Un'altra disposizione - che interviene, invece, sull'ipotesi di acquisto della cittadinanza per matrimonio, elevando, per contro, il periodo minimo di residenza legale del coniuge straniero - mira a tradurre nella sostanza il condivisibile intento - non pienamente realizzato dalla riforma del 1992 - di contrastare e ridurre i cosiddetti matrimoni di comodo, vale a dire quelli contratti al solo scopo di acquisire il nostro status civitatis.

L'iniziativa sembra costituire un'apprezzabile premessa per un sereno confronto parlamentare, nonché per un efficace approccio alla materia de qua in vista dei successivi, necessari approfondimenti su un tema di grande attualità e di peculiare rilievo per tutte le democrazie occidentali.

Il Governo si farà, dunque, interprete delle esigenze politiche che verranno manifestate in questa sede, assicurando la consueta più ampia collaborazione per il conseguimento degli auspicati obiettivi, nel sicuro intento di favorire la modifica della vigente legge sulla cittadinanza in termini di coerenza con l'intero sistema ordinamentale e di conformità con il dettato costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

In attesa delle determinazioni della Conferenza dei presidenti di gruppo, sospendo la seduta.




 

 

RESOCONTO

SOMMARIO E STENOGRAFICO

 


______________   ______________


 

627.

 

Seduta di martedì 17 maggio 2005

 

presidenza del vicepresidente ALFREDO BIONDI

indi DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI

E DEL VICEPRESIDENTE  MARIO CLEMENTE MASTELLA

 

 


Rinvio in Commissione del testo unificato delle proposte di legge Cima e Bulgarelli; Russo Spena; Turco ed altri; Diliberto ed altri; Mantini e Maccanico; Cè ed altri; Mascia ed altri; D'Alia; Realacci ed altri; Sinisi ed altri; Ruzzante ed altri: Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza (204-974-1463-4327-4388-4396-4492-4562-4678-4722-4966).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge Cima e Bulgarelli; Russo Spena; Turco ed altri; Diliberto ed altri; Mantini e Maccanico; Cè ed altri; Mascia ed altri; D'Alia; Realacci ed altri; Sinisi ed altri; Ruzzante ed altri: Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza (204-974-1463-4327-4388-4396-4492-4562-4678-4722-4966).

Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali.

DONATO BRUNO, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DONATO BRUNO, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, il Governo, in sede di Comitato dei nove, ha preannunziato la richiesta di rinvio in Commissione del provvedimento. Nel riferire questa esigenza manifestata dal Governo (credo che il Sottosegretario Saponara possa in questa sede rappresentare questa necessità), mi rimetto all'Assemblea per le determinazioni del caso.

PRESIDENTE. Quale è la posizione del Governo al riguardo?

MICHELE SAPONARA, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, come preannunziato questa mattina in sede di Comitato dei nove e come rappresentato dal presidente Bruno, il Governo chiede che il testo unificato in materia di cittadinanza sia rinviato in Commissione, al fine di consentire a tutti i gruppi politici di approfondire più compiutamente le rispettive posizioni e di procedere ad una più completa istruttoria legislativa.

Si tratta, infatti, di un tema di particolare rilievo che, a mio avviso, merita un ulteriore approfondimento e, quindi, il rinvio del testo unificato in Commissione.

CARLO LEONI. Chiedo di parlare contro.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARLO LEONI. Signor Presidente, in realtà l'Assemblea è nelle condizioni di esaminare questo provvedimento (vi è un testo unificato, gli emendamenti sono stati presentati) e non vi è alcuna ragione, che non riguardi semplicemente dissensi interni alla maggioranza di Governo, che possa motivare il rinvio in Commissione.

Tutti noi sappiamo cosa significhi in realtà il rinvio in Commissione dopo mesi nei quali la Commissione ha esaminato - a dire il vero un po' «al rallentatore», a causa dei soliti problemi politici - un tema così rilevante. Tale rinvio significa insabbiare anche questo provvedimento, atteso da moltissime persone e sollecitato anche da forze politiche della maggioranza. Dunque, anche quello sulla cittadinanza potrebbe subire la sorte dei provvedimenti in materia di libertà religiosa, di diritto d'asilo, di diritto di voto per i cittadini immigrati, proposto dall'onorevole Fini e mai seguito dalla sua maggioranza e, forse, neanche dal suo partito.

Ciò vuol dire che questa maggioranza di centrodestra non è in grado di indicare una prospettiva di lungo respiro sui problemi dell'accoglienza, del governo della multiculturalità e dell'incontro tra culture e persone diverse per tradizione e fede  religiosa. Né è in grado di prospettare un futuro rigoroso, nuovo e moderno in tema di cittadinanza.

La maggioranza di centrodestra resta solo attaccata alla legge Bossi-Fini, che ormai è fallita. Nei giorni scorsi, il ministro Pisanu ha affermato che, in alcune regioni, il 50 per cento dei reati sarebbe commesso da immigrati clandestini. Credo poco in queste statistiche ma, se fossero vere, dimostrerebbero proprio il fallimento di quella legge e di tutti i proclami propagandistici, secondo i quali con Berlusconi al Governo non vi sarebbe più stata immigrazione clandestina né criminalità nel nostro paese.

È falso e cieco seguire una linea repressiva, soprattutto quando non si ha la forza politica e culturale di prospettare un futuro consistente nel diritto di voto, nella libertà religiosa, nel diritto d'asilo e in nuove regole sulla cittadinanza.

Approvare il rinvio in Commissione significa affossare anche questo provvedimento così importante. Per tale motivo i gruppi di opposizione esprimeranno un voto contrario su tale proposta di rinvio (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-l'Unione).

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Chiedo di parlare a favore.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Signor Presidente, ritengo che il rinvio in Commissione del provvedimento in esame sia opportuno in quanto, aldilà ed oltre l'importanza del testo, credo sia necessario un ulteriore momento di riflessione. Occorre infatti approvare un provvedimento largamente condiviso sia dalla maggioranza sia dall'opposizione.

Stiamo parlando di un testo particolarmente importante e delicato, che coinvolge le politiche di integrazione della comunità extracomunitaria. Dunque, bisogna affrontare con grande intelligenza, con grande cautela, ma anche con doverosa riflessione, temi che potrebbero lacerare il tessuto sociale italiano se questa normativa non fosse ampiamente metabolizzata ed inquadrata in un provvedimento che salvaguardi gli interessi ed i diritti dei cittadini italiani, valorizzando la comunità extracomunitaria presente sul territorio.

Come i colleghi sanno, sono stati presentati diversi emendamenti sia da parte della maggioranza sia da parte dell'opposizione. Nei mesi scorsi si è svolto un ampio dibattito politico; il Governo, coerentemente, ha voluto seguire questo provvedimento con particolare intelligenza e interesse. Ora è necessaria una ulteriore revisione di carattere politico delle questioni emerse anche a seguito della presentazione degli emendamenti.

Io stesso, a nome del gruppo di Alleanza nazionale, ho presentato alcuni emendamenti che riguardano anche la figura dell'apolide e del rifugiato politico, per creare una norma omogenea che eviti una sperequazione di trattamento tra l'extracomunitario, l'apolide e il rifugiato politico.

Quindi, anche a seguito del nuovo impianto del testo, così come si presume verrà modificato dall'approvazione delle proposte emendative, è necessaria un'ulteriore valutazione politica da parte delle forze della maggioranza che spero possa incontrare anche il consenso dell'opposizione.

Pertanto, ritengo opportuno e doveroso il rinvio in Commissione, senza che questo implichi l'affossamento della legge. Tuttavia, per evitare altri errori, come nel caso di provvedimenti magari votati (o non votati) forzatamente a causa di pregiudizi di carattere ideologico, l'auspicio della maggioranza è quello di introdurre ulteriori elementi di riflessione per giungere ad una maggiore condivisione sul testo unitario.

Con tale condivisione, si auspica che il testo torni all'esame dell'Assemblea incontrando un'ampia convergenza di vedute, onde esprimere un voto che dia valore aggiunto alle politiche dell'immigrazione e dell'integrazione.

Per tali motivi, la maggioranza esprimerà voto favorevole al rinvio in Commissione.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione elettronica, senza registrazione di nomi, sulla proposta di rinvio in Commissione del testo unificato delle proposte di legge n. 204 ed abbinate.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 408

Votanti 407

Astenuti 1

Maggioranza 204

Hanno votato 212

Hanno votato no 195).

 


 




[1]     Legge 5 febbraio 1992, n. 91, Nuove norme sulla cittadinanza.

[2]     Il regolamento di attuazione della L. 91/1992 chiarisce che, ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana, si considera che abbia prestato effettivamente servizio militare chi abbia compiuto la ferma di leva nelle Forze armate italiane o la prestazione di un servizio equiparato a quello militare (ad es. il servizio civile), a condizione che queste siano interamente rese, salvo che il mancato completamento dipenda da sopravvenute cause di forza maggiore riconosciute dalle autorità competenti (D.P.R. 572/1993, art. 1, co. 2, lett. b)).

[3]     Per l’acquisto della cittadinanza italiana, viene considerato legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d’ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d’iscrizione anagrafica (D.P.R. 572/1993, art. 1, co. 2, lett. a)).

[4]     Salvi i casi previsti dall’art. 4 della legge, nel quale si richiede specificamente l’esistenza di un rapporto di pubblico impiego, si considera che abbia prestato servizio alle dipendenze dello Stato chi sia stato parte di un rapporto di lavoro dipendente con retribuzione a carico del bilancio dello Stato (D.P.R. 572/1993, art. 1, co. 2, lett. c)).

[5]     La disposizione consente, in particolare, il mantenimento della cittadinanza italiana agli italiani emigrati all’estero che acquistano volontariamente la cittadinanza dello Stato in cui risiedono per potersi inserire pienamente nel contesto sociale ed economico del Paese e usufruire del trattamento favorevole riservato ai cittadini.

[6]     Unitamente all’Austria, al Belgio, alla Danimarca, alla Francia, alla Germania, alla Gran Bretagna, al Lussemburgo, alla Norvegia, ai Paesi Bassi, alla Spagna, alla Svezia e all’Irlanda. La Convenzione è stata ratificata dalla L. 4 ottobre 1966, n. 876.

Si ricorda peraltro che Regno Unito, Irlanda e Spagna hanno aderito soltanto al secondo Capitolo della Convenzione (vedi nota successiva). La Germania ha denunciato la Convenzione di Strasburgo il 21 dicembre 2001: di conseguenza, dal dicembre 2002, l’art. 1 della Convenzione non ha effetto neanche nei confronti di tale Stato.

[7]     Per quanto riguarda l’assolvimento degli obblighi militari in caso di doppia (o plurima) cittadinanza, il secondo Capitolo della Convenzione (artt. 5 e 6) stabilisce che i cittadini che appartengono a due o più Stati contraenti prestano il servizio militare soltanto nello Stato in cui essi hanno la residenza abituale.

[8]    Con legge 14 dicembre 1994, n. 703.

[9]    Il riferimento è all’entrata in vigore della Costituzione.

[10]    Si tratta dei:

§       territori attualmente appartenenti allo Stato italiano;

§       territori già italiani ceduti alla Jugoslavia in forza:

-        del trattato di pace fra l’Italia e le Potenze alleate ed associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 e reso esecutivo in Italia con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430;

-        del trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia firmato ad Osimo il 10 novembre 1975, ratificato e reso esecutivo in Italia ai sensi della legge 14 marzo 1977, n. 73.

[11]    L. 14 dicembre 2000, n. 379, Disposizioni per il riconoscimento della cittadinanza italiana alle persone nate e già residenti nei territori appartenuti all'Impero austro-ungarico e ai loro discendenti.

[12]    D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti, conv. con mod. dalla L. 23 febbraio 2006, n. 51.

[13]    L. 8 marzo 2006, n. 124, Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, concernenti il riconoscimento della cittadinanza italiana ai connazionali dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia e ai loro discendenti.

[14]    L’opzione per la cittadinanza italiana prevista dall’art. 17 della L. 91/1992 avrebbe dovuto essere esercitata entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge. Questo termine fu prorogato una prima volta, sino al 15 agosto 1995, dall’art. 1 della L. 736/1994; un’ulteriore proroga al 31 dicembre 1997 intervenne ad opera dell’art. 2, co. 195, della L. 662/1996 (legge collegata alla manovra finanziaria per il 1997).

[15]    Il termine per la conclusione del procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza è fissato in 730 giorni (due anni). Pertanto, il numero complessivo annuo degli esiti (concessioni più reiezioni) delle richieste di acquisto della cittadinanza di ciascun anno non corrisponde al numero delle istanze presentate nello stesso anno. Tenendo conto di ciò, non è stato riportato quest’ultimo dato.

[16]    La carta di soggiorno, disciplinata dall’art. 9 del testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998), è un documento destinato agli stranieri extracomunitari residenti di lunga durata. Possono farne richiesta gli stranieri residenti in Italia da almeno sei anni; è rilasciata a tempo indeterminato ed è soggetta a vidimazione dopo dieci anni dal rilascio. Essa dà diritto allo straniero di fare ingresso in Italia anche senza visto; di lavorare e svolgere ogni altra attività lecita e di accedere ai servizi sociali. Le modalità di richiesta, rilascio e rinnovo della carta di soggiorno sono disciplinate dagli artt. 16 e 17 del regolamento di attuazione del testo unico, adottato con D.P.R. 394/1999.

[17]    L. 5 febbraio 1992, n. 91, Nuove norme sulla cittadinanza.

[18]    Per quanto riguarda il “requisito reddituale previsto per il rilascio del permesso di soggiorno CE di lungo periodo”, il riferimento è da intendersi al reddito minimo non inferiore all’assegno sociale annuo, sul quale vedi infra.

[19]    Dir. 2003/109/CE del 25 novembre 2003, Direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.

[20]   L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004.

[21]    D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[22]    Il termine, originariamente fissato a cinque anni, è stato così elevato ad opera della L. 30 luglio 2002, n. 189 (art. 9, co. 1).

[23]    D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[24]   L. 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.

[25]   L. 13 giugno 1912 n. 555, Sulla cittadinanza italiana.

[26]   Contra, Cassazione civile, sent. n. 6297 del 10 luglio 1996.

[27]    La legge n. 91 invece richiede come requisito la residenza senza interruzioni fino al diciottesimo anno di età.

[28]   Novellando l’art. 30 del D.Lgs. 286/1998 (testo unico sull’immigrazione).

[29]    L. 8 agosto 1995, n. 335, Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare.

[30]    L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[31]    Decreto del ministro dell’interno 2 febbraio 1993, n. 284, Regolamento di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardanti i termini di completamento ed i responsabili dei procedimenti imputati alla competenza degli organi dell’Amministrazione centrale e periferica dell’interno.

[32]   Al momento la concessione della cittadinanza avviene con un decreto del ministro dell’interno o con un D.P.R., a seconda dei casi (vedi supra).

[33]    Si ricorda che l’art. 12 della L. 91/1992 prevede due ipotesi di perdita automatica della cittadinanza italiana:

§          la mancata ottemperanza all’intimazione del Governo italiano di lasciare un impiego pubblico o una carica pubblica che il cittadino abbia accettato da uno Stato o ente pubblico estero o da un ente internazionale cui non partecipi l’Italia, o la mancata ottemperanza all’invito di abbandonare il servizio militare che il cittadino presti per uno Stato estero;

§          l’assunzione di una carica pubblica o la prestazione del servizio militare per uno Stato estero, o l’acquisto volontario della cittadinanza dello Stato considerato, quando tali circostanze si verifichino durante lo stato di guerra con esso.

[34]    L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[35]    Decreto del ministro dell’interno 2 febbraio 1993, n. 284, Regolamento di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardanti i termini di completamento ed i responsabili dei procedimenti imputati alla competenza degli organi dell’Amministrazione centrale e periferica dell’interno.

[36]    L’art. 7 dell’A.C. 938 recita:

      ”1. Gli stranieri di cui alle lettere b) e c) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 4 della presente legge, qualora l'adozione sia revocata, conservano la cittadinanza italiana. Qualora la revoca intervenga durante la maggiore età dell'adottato, lo stesso, se in possesso di altra cittadinanza può comunque rinunciare alla cittadinanza italiana, anche se riacquistata, entro un anno dalla revoca stessa.

      2. I figli minorenni di coloro ai quali è riconosciuta la cittadinanza ai sensi dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dall'articolo 4 della presente legge, acquistano la cittadinanza italiana e, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza.

      3. Le disposizioni delle lettere b) e c) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 4 della presente legge, si applicano anche agli adottati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge”.

[37]    L'istanza per l'acquisto o la concessione della cittadinanza italiana va, ora, presentata al prefetto competente per territorio in relazione alla residenza dell'istante, ovvero, qualora ne ricorrano i presupposti, all'autorità consolare, in virtù di quanto disposto dall'art. 1, D.P.R. 18 aprile 1994, n. 362. Vedi, anche, l'art. 8 dello stesso decreto.

[38]   L’art. 2 (Modalità del test) dell’A.C. 1462 recita:

      “1. Il test di naturalizzazione di cui all’articolo 9, comma 1, lettere e) e f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dall’articolo 1 della presente legge, è mirato a verificare la conoscenza, da parte del richiedente la cittadinanza italiana, della lingua italiana e locale, dell’educazione civica, della storia, della cultura e delle tradizioni, nonché dell’ordinamento della Repubblica”:

[39]    L’art. 9 dell’A.C. 938 recita:

      “1. Il cittadino che possiede, acquista o riacquista la cittadinanza straniera conserva quella italiana, ovvero può ad essa rinunciare qualora risieda o stabilisca la propria residenza all'estero.

      2. Lo straniero che acquista la cittadinanza italiana può conservare la propria cittadinanza di origine, in conformità alla legge dello Stato di appartenenza, ovvero può comunicare all'ufficiale dello stato civile o alla competente autorità consolare italiana la rinuncia alla cittadinanza di origine”.

[40]    L’art. 8, co. 2, dell’A.C. 938 recita: “2. Il riconoscimento della cittadinanza o il suo eventuale riacquisto, hanno effetto, salvo quanto stabilito all'articolo 13, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 5 della presente legge, dal giorno successivo a quello del rilascio dell'attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana di cui all'articolo 7, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 2 della presente legge”.

[41]    Termine prorogato fino al 15 agosto 1995 dall'art. 1, L. 22 dicembre 1994, n. 736 (Gazz. Uff. 4 gennaio 1995, n. 3). Per l'ulteriore proroga del termine al 31 dicembre 1997, vedi l'art. 2, comma 195, L. 23 dicembre 1996, n. 662.

[42]    Il comma 2 dell'art. 1, L. 8 marzo 2006, n. 124 (Gazz. Uff. 28 marzo 2006, n. 73) ha disposto che la circolare prevista dal presente comma sia emanata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della stessa legge n. 124 del 2006.

[43]    Articolo abrogato dall'art. 1, L. 14 dicembre 2000, n. 379.

[44]    Articolo abrogato dall'art. 110, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.

[45]    L’art. 8, co. 1, dell’A.C. 938 recita: “1. Il termine per la definizione dei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza è di trecentosessantacinque giorni dalla data di presentazione della domanda”.

      L’art. 10 dell’A.C. 938 recita:

      “1. Sono abrogati gli articoli 3, 4, 5, 10, 11 e 15 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, nonché il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, e successive modificazioni, e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362.

      2. Restano salve le norme più favorevoli previste da leggi o accordi internazionali in vigore per l'Italia.

      3. Con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono emanate le disposizioni per l'attuazione della medesima legge”.

[46]   L’art. 2 dell’A.C. 1297 recita:

      “1. Dall’attuazione delle disposizioni dei commi 1-bis e 1-ter della legge 5 febbraio 1992, n. 91, introdotti dalla presente legge, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

[47]   L’art. 3 dell’A.C. 1462 così recita:

      “1. Le norme di attuazione della presente legge sono adottate, entro sei mesi dalla data della sua entrata in vigore, con regolamento del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400”.

[48]    L’art. 5 dell’A.C. 1529 recita:

      “1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'interno, con proprio decreto emanato di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, provvede a disciplinare il procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza ed a stabilire il relativo termine, che non può comunque essere superiore a un anno dalla data di presentazione della domanda da parte dell'interessato”.

[49]   L’art. 4 dell’A.C. 1570 recita:

“1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'interno, con proprio decreto emanato di concerto con il Ministro della solidarietà sociale, provvede a disciplinare il procedimento amministrativo per la concessione della cittadinanza e a stabilire il relativo termine, che non può comunque essere superiore a un anno dalla data di presentazione della domanda da parte dell'interessato”.

L’art. 5 del medesimo A.C. prevede:

“1. Con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23  agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono emanate le disposizioni per l'attuazione della legge medesima.

  2. A decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 1 sono abrogati il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, e successive modificazioni, e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362”.

[50]    L’art. 7 dell’A.C.1607 recita:

      “1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in 200.000 euro annui a decorrere dall'anno 2007, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, utilizzando per l'anno 2007 la proiezione di parte dell'accantonamento relativo al Ministero dell'interno e per l'anno 2008 la proiezione di parte dell'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

      2. L'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) provvede al monitoraggio degli oneri finanziari derivanti dalle disposizioni introdotte dalla presente legge, informando tempestivamente il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e il Ministro dell'economia e delle finanze, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Gli eventuali decreti emanati, ai sensi dell'articolo 7, comma 2, numero 2), della citata legge n. 468 del 1978, prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti o delle misure di cui al presente comma sono tempestivamente trasmessi alle Camere, corredati da apposite relazioni illustrative”.