COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di marted́ 8 gennaio 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE

La seduta comincia alle 15,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizioni di esperti in materia di diritto costituzionale.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva svolta con riferimento all'esame delle proposte di legge C. 1451 e abbinate, recanti disposizioni in materia di ineleggibilità e incandidabilità, l'audizione di esperti in materia di diritto costituzionale.
Avverto la Commissione che il professor Onida si scusa di non poter partecipare alla seduta odierna. Ha inviato una nota scritta, che credo sia stata consegnata ai colleghi parlamentari. Chiedo di distribuirla anche ai professori presenti in aula.
Do la parola all'onorevole Marone, affinché illustri il tema in esame.

RICCARDO MARONE, Relatore sulle proposte di legge C. 1451 ed abbinate. Nell'ambito delle varie proposte di legge all'esame di questa Commissione, in ordine alle cause di ineleggibilità, si sono individuate alcune ipotesi di incandidabilità.
Abbiamo ritenuto di dover distinguere le cause di ineleggibilità rimovibili dalla parte da quelle oggettive quali, appunto, quelle di incandidabilità.
Come già previsto dalla legge del 1953, l'età, ad esempio, è causa certamente di incandidabilità, che viene esaminata dalla Commissione elettorale, non certo dalla Giunta per le elezioni. A questa si aggiungono altre cause di incandidabilità, per motivi assolutamente oggettivi, come potrebbero essere le sentenze di condanna penale passate in giudicato.
Stiamo ragionando, inoltre, sui limiti e sulle categorie da individuare come riferimento. Questo aspetto, ovviamente, non riguarda il profilo di costituzionalità.
Alcuni colleghi hanno sollevato dubbi circa la possibilità di introdurre la categoria dell'incandidabilità. Rispetto a tali perplessità, il relatore ha trovato conforto in una sentenza della Corte costituzionale del 1996 - ovviamente, rilevo che le cause di incandidabilità sono già previste dal nostro ordinamento, in relazione alle elezioni amministrative - che, nell'esaminare la costituzionalità delle norme del Testo unico degli enti locali, ha ritenuto l'incandidabilità una delle categorie dell'ineleggibilità e, quindi, come tale, costituzionale.
Nonostante ciò, alcuni colleghi hanno continuato a nutrire dubbi e perplessità sotto questo profilo. Pertanto, è stata avanzata la richiesta di un approfondito esame con i maggiori esperti del settore. Credo, dunque, che dovremo soffermarci insieme a loro ad analizzare la proposta di legge.

ANNIBALE MARINI, Presidente emerito della Corte costituzionale. Ringrazio il presidente e la Commissione del cortese e gradito invito.


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Premetto che mi limiterò a svolgere talune considerazioni di carattere generale, per ovvi motivi di tempo, riservandomi di esprimere qualche rilievo di ordine applicativo e di carattere specifico in un eventuale documento scritto.
Innanzitutto, voglio sottolineare che, a mio avviso, nell'ambito di un discorso di carattere generale sulla proposta unificata, si possono distinguere due categorie di cause di ineleggibilità.
Successivamente, vorrei svolgere una brevissima notazione sull'incandidabilità, tema sul quale lascerei successivamente la parola ai costituzionalisti.
Mi lascia abbastanza perplesso la distinzione che viene operata tra ineleggibilità e incandidabilità. Per avere un rilievo applicativo, infatti, l'incandidabilità dovrebbe consentire una valutazione al momento della presentazione delle candidature, una sorta di giudizio preventivo. In proposito, tuttavia, nutro qualche dubbio. Preferirei, quindi, che si parlasse di ineleggibilità, anche se, eventualmente, lascerei il giudizio - soprattutto in relazione alla seconda causa di ineleggibilità che, però, a mio avviso, dovrebbe essere eliminata - a un giudice professionale e non politico.
Veniamo ora alla prima causa di ineleggibilità, quella relativa ai requisiti minimi di onorabilità, che mi sembra di dover condividere. Giustamente, infatti, si afferma che tali requisiti - prescindo dai particolari e della specificazione delle ipotesi delittuose - vengono meno in presenza di una sentenza penale passata in giudicato, per fatti particolarmente gravi o per provvedimenti di prevenzione.
Allo stesso modo, mi sembra che sia da condividere appieno l'articolo 2 del testo che estende tali cause anche a determinate nomine parlamentari.
Avrei, invece, grosse perplessità, sotto tutti i profili, per quanto riguarda l'altra causa di ineleggibilità che, a ben vedere, fa riferimento a un conflitto di interessi.
Se non ho inteso male la norma, essa stabilisce che non sono eleggibili i soggetti che risultano avere la titolarità o il controllo, ovvero l'esercizio, di un'influenza dominante di determinate imprese e via dicendo.
Ebbene, in proposito, occorre fare diversi rilievi sotto il profilo costituzionale. Innanzitutto, sottolineo l'assoluta e totale irragionevolezza della norma.
Quella delineata, infatti, è un'ipotesi di conflitto di interessi. Tuttavia, non stiamo ragionando a livello di attività gestoria, di governo, dove il conflitto è ben ipotizzabile e rispetto alla quale sarei dell'avviso che vada regolato, anche in modo rigoroso.
In questo caso, il conflitto si pone tra la titolarità o l'influenza dominante sulle imprese e la partecipazione a una attività legislativa, che è astratta; si tratta di una ipotesi inconfigurabile, anche con la migliore fantasia, a meno che non si intenda ipotizzare - ma in questo caso arriveremmo al paradosso - che lo stesso conflitto valga per tutti i cittadini della Repubblica. Potrebbe valere per l'avvocato, per il medico e via dicendo. In questo modo, dunque, tutti si potrebbero trovare a essere destinatari di un'attività legislativa (non so se ho reso l'idea).
Quanto ho detto fino ad ora riguarda la parte contenutistica. Tuttavia, a mio avviso, vi è addirittura un'ulteriore irragionevolezza della norma - e arrivo al terzo profilo -, laddove essa ipotizza che questo conflitto possa essere riferito al coniuge, ai parenti, agli affini entro il quarto grado di parentela e ai conviventi. Mancano solo gli amici e i conoscenti!
Tale norma, inoltre, è inapplicabile allo stato, perché richiede l'istituzione di un organo di giustizia.
Se leggete la norma, noterete che per l'applicazione si richiede un raffinato commercialista. Non intendo darne lettura, ma essa contiene di tutto, vi è mezzo codice civile. Si parla di titolarità, di controllo, di influenza dominante, di rapporto di convivenza. Questo giudizio, rilevante ai fini della decadenza dalla carica parlamentare, dovrebbe essere espresso da un giudice che allo stato si identifica con la Camera di appartenenza!
Ebbene, personalmente nutrirei un ulteriore fondatissimo dubbio rispetto al


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fatto che un giudizio di questo genere, che richiede, allo stato attuale della nostra esperienza processuale, perlomeno dieci anni, possa essere di competenza della Camera di appartenenza.
In buona sostanza, pertanto, ritengo che siamo in presenza di una materia molto delicata che incide veramente sulle libertà costituzionali.
Si vogliono ampliare le cause di ineleggibilità, per quanto riguarda le ipotesi delittuose? Ebbene, con le opportune precisazioni, questa è un'esigenza largamente avvertita.
Ad essere sincero, tuttavia, il discorso relativo alla pena dei due anni mi lascia abbastanza perplesso. Un conto è la configurazione di determinate ipotesi delittuose; altro conto è il riferimento alla pena, che può non essere corrispondente ai requisiti di onorabilità di cui parlavo prima.
La seconda causa di ineleggibilità, a mio sommesso avviso, va radicalmente eliminata. Essa, infatti, è inconfigurabile. Inoltre, così come è strutturata, è irragionevole e, comunque, richiede un determinato giudizio che, allo stato attuale, non può che essere reso da un giudice professionale, il quale, in ipotesi, potrebbe essere identificato, qualora tale disposizione dovesse essere mantenuta -auspico che questo non avvenga - nella Corte costituzionale o nelle sezione riunite della Cassazione.
Questa potrebbe essere una delle prospettive possibili. In ogni caso, tuttavia, ripeto ancora una volta che tale ipotesi è inconfigurabile.
Presidente, mi riservo di aggiungere ancora qualche notazione, se lei ce ne darà la possibilità, in un successivo documento scritto.

NICOLÒ ZANON, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Milano. Ringrazio il presidente e la Commissione per avermi dato l'onore e l'occasione di partecipare alla seduta odierna. Ho predisposto un testo scritto che lascerò a disposizione della Commissione. Pertanto, vi presenterò una sintesi di quanto ho annotato.
Devo confessare che, inizialmente, la trasposizione delle cause di incandidabilità dal livello degli enti locali a quello delle cariche parlamentari ha suscitato in me qualche dubbio.
In primo luogo, la trasposizione integrale mi è sembrata abbastanza meccanica. Tale attività, infatti, consiste nell'applicare le cause di incandidabilità previste per gli enti locali alle cariche parlamentari.
Contemporaneamente, inoltre, si è aggiunta qualche causa di incandidabilità a livello degli enti locali. È noto, ad esempio, che in uno degli ultimi articoli si aggiungono, a livello degli enti locali, delle sentenze definitive, per reati che hanno a che fare con il terrorismo; mentre queste non sarebbero, se ho ben capito, ...

RICCARDO MARONE, Relatore sulle proposte di legge C. 1451 ed abbinate. Forse è utile fare una precisazione. Rispetto al testo base, ci sono già delle proposte di emendamenti che dovrebbero avere un consenso generalizzato.
L'idea è quella di unificare le ipotesi di ineleggibilità per tutti i livelli istituzionali.

NICOLÒ ZANON, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Milano. Ecco, questo è un profilo di coerenza maggiore ...

RICCARDO MARONE, Relatore sulle proposte di legge C. 1451 ed abbinate. Non vogliamo trasporre in Parlamento le norme degli enti locali. Modifichiamo anche quelle.
La nostra idea era quella di prevedere, per tutti i modelli istituzionali, le medesime cause di ineleggibilità o incandidabilità, a seconda di come vogliamo decidere.
L'altra ipotesi era quella di evitare l'elencazione dei reati, riferendoci alla pena minima e non alla condanna. In questo modo, poiché il legislatore penale ha già individuato la gravità del reato, non sarebbe per noi necessario determinarla in questa sede.


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Il nostro intendimento era quello di disancorare il reato dalla condanna, proprio perché questa può variare a seconda del giudice e della vicenda. Ancorandolo invece alla pena minima, ci riferiremmo ad un'indicazione già data dal legislatore.
Queste erano le due precisazioni indispensabili che volevo comunicare al professor Zanon.

NICOLÒ ZANON, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Milano. Mi collego a questo rilievo e anche all'intervento del presidente Marini che parlava del criterio della pena di condanna non inferiore a due anni.
Se ho capito bene, seguendo dai resoconti stenografici anche il dibattito in Commissione, uno dei problemi affrontati è quello di evitare che vi sia una discrezionalità del giudice.
In questo modo, infatti, si consente al potere giudiziario di incidere, sia pure indirettamente, sulla composizione del Parlamento. Quindi, vi è un bene costituzionale di tutto rispetto da tutelare.
In termini generali, osserverei però che l'eleggibilità è la regola, mentre l'ineleggibilità e l'incandidabilità - in seguito dirò qualcosa sul punto - sono l'eccezione.
Quindi, tutte le misure di limitazione dell'elettorato passivo devono essere estremamente attente a considerare che l'elettorato passivo è un diritto inviolabile - come stabilisce la giurisprudenza costituzionale -, devono essere proporzionate allo scopo e devono essere ragionevoli.
A mio parere, il criterio della pena non inferiore a due anni - che potrebbero essere anche tre, dal momento che, come ho visto, si oscilla nella definizione - non è rispondente al criterio di proporzionalità e di ragionevolezza, perché accomuna reati molto diversi dal punto di vista del bene giuridico tutelato.
In questo caso, invece, abbiamo una giurisprudenza costituzionale che, in tema di ineleggibilità, ha fatto riferimento a un criterio di proporzionalità molto chiaro.
Dal mio punto di vista, la proporzionalità e la ragionevolezza della misura di incandidabilità si dovrebbe valutare a partire dallo specifico bene giuridico tutelato dalla singola fattispecie di reato. Pertanto, può avere un significato ragionevole e proporzionale escludere dalla possibilità di essere candidati persone rispetto alle quali si è accertato il compimento di reati legati all'associazione mafiosa, ma in altri casi questo potrebbe non essere ragionevole.
Tra l'altro, è vero - mi pare che sia stato osservato proprio dal presidente Violante - che, nella scelta legislativa che si propone, vi è una maggiore oggettività rispetto ai casi in cui la misura dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici consegua ad una condanna. Infatti, in base al quantum di pena, può scattare o meno la interdizione perpetua.
Credo, tuttavia, che sarebbe ancora più oggettiva e ragionevole la scelta del tipo di reato. Certo, potrebbe verificarsi un'imputazione del tutto assurda, ma in tal caso essa verrebbe corretta alla radice.
Quindi, ammesso e non concesso - vorrei aggiungere qualcosa sul punto in oggetto - che l'incandidabilità sia del tutto priva di dubbi di costituzionalità, riterrei preferibile e più ragionevole scegliere il criterio della fattispecie di reato, del bene giuridico tutelato.
Vorrei introdurre qualche piccolo dubbio, se mi è permesso, sulla categoria stessa della incandidabilità e della sua conformità alla Costituzione. Del resto, mi pare che sia questa la ragione per la quale siamo stati chiamati in questa sede.
Ho visto che in Commissione il problema è già stato ricostruito. Personalmente, ricostruirei come segue la disciplina costituzionale. L'articolo 51, comma 1, dà una discrezionalità ampia al legislatore, affermando che tutti i cittadini possono accedere alle cariche elettive secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
Le cariche elettive di cui si ragiona sono tutte quelle che risultano da una elezione, in particolare se a suffragio universale. Si delinea, quindi, un'ampia discrezionalità legislativa, nell'intervenire a fissare i limiti dell'elettorato passivo. Una discrezionalità che naturalmente, come dicevo prima, si deve confrontare con il fatto che l'elettorato


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passivo è un diritto inviolabile, garantito anche dall'articolo 2, oltre che dall'articolo 51 della Costituzione. Questo, dunque, incide sul modo in cui si interpretano e si applicano le norme che intervengono a limitare l'elettorato passivo.
Aggiungerei, inoltre, che esiste una distinzione tra il ruolo delle assemblee parlamentari nazionali e quello dei collegi elettivi di regioni ed enti locali.
Sicché, da un lato si potrebbe dire che è conforme a ragionevolezza la diversa disciplina prevista nei due casi, dall'altro, forse, nulla impone, in termini costituzionali, di parificare le discipline. Anzi, la conformità costituzionale e la parificazione sono ciò che deve essere dimostrato.
Forse, il problema specifico che sottolineerei riguarda l'articolo 65, comma 1, in quanto esso contiene la disciplina costituzionale specifica dei limiti all'elettorato passivo al Parlamento nazionale e ragiona di casi di ineleggibilità, oltre che di incompatibilità. Credo che in questo risieda il problema che deve essere superato.
Premetto che in termini di politica di diritto sono d'accordo con tale scelta. Ritengo che quello delineato sia l'obiettivo giusto, perché non si può ammettere che chi non può fare il sindaco o il consigliere comunale possa essere eletto in Parlamento. Trovo che tale elemento rappresenti una discrasia del sistema, che in qualche modo va eliminata, soprattutto con riferimento a certi reati esplicitamente previsti.
Obiettivamente, quindi, con riferimento all'assunzione del mandato parlamentare, direi che l'articolo 65, comma 1, è una norma speciale rispetto al generale riferimento che l'articolo 51, comma 1, fa all'intervento del legislatore, sui requisiti per l'assunzione di cariche elettive.
Leggendo la Costituzione, con riguardo al mandato parlamentare - questa senza dubbio è una tesi revocabile -, sembrerebbe che il legislatore debba intervenire a stabilire regole in tema di ineleggibilità, ma non possa introdurre altri limiti all'elettorato passivo che non sono riconducibili all'ineleggibilità.
Il problema, quindi, consiste nel capire se l'incandidabilità rientra nel concetto di ineleggibilità.
Tale quesito porta a chiedersi se esista una categoria o un concetto costituzionale specifico di ineleggibilità, o se invece tutto dipenda dalle classificazioni che il legislatore può determinare, potendosi ricostruire la categoria dell'ineleggibilità solo ex post, sulla base di ciò che il legislatore ritenga di chiamare in questo modo.
Personalmente, propenderei per la prima soluzione. L'ineleggibilità non è un qualunque istituto, ma quello che una giurisprudenza consolidata e un comune e stabile consenso dottrinale ritengono esser tale, certamente anche sulla base di scelte legislative che però sono contenute nell'ambito di questi criteri.
Se l'esito di tale esame è di carattere positivo, se l'incandidabilità è una categoria particolarissima dell'ineleggibilità, non ci sono problemi. Se così non fosse, invece, sorgerebbe qualche problema.
Mi sembra che la giurisprudenza della Corte in due riferimenti sostenga che la non candidabilità - lo si afferma incidentalmente, per la verità - debba essere considerata come una particolarissima causa di ineleggibilità. Questo, tuttavia, non risolve il problema, intanto perché è una causa particolarissima e, in secondo luogo, perché la Corte ne ha parlato con riferimento agli enti locali. È da dimostrare, dunque, che direbbe la stessa cosa se il problema riguardasse il mandato parlamentare.
Una prospettiva sostanzialistica indurrebbe a fare riferimento alla struttura dei due istituti e alle rationes che vi si trovano alla base.
Se avessi qualche minuto a disposizione, cercherei di sviluppare molto in sintesi quelle che mi sembrano essere delle differenze.
La previsione delle cause di ineleggibilità è motivata dall'obiettivo di impedire che i candidati, in virtù di particolari posizioni che rivestono, possano condizionare il libero convincimento e il libero


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voto degli elettori, oppure possano trovarsi, se eletti, in conflitto di interessi con l'esercizio della funzione.
La Corte ha detto - cosa molto importante - che il legislatore non può far derivare l'ineleggibilità da situazioni personali che il soggetto non possa liberamente rimuovere.
D'altra parte, le cause di ineleggibilità non impediscono al soggetto di partecipare alla competizione elettorale, ma influiscono sulla validità delle elezioni.
Le cause di incandidabilità hanno una struttura profondamente diversa da queste.
La Corte ha affermato, nella sentenza n. 141 del 1996, che: «L'elezione di coloro che versano nelle condizioni di non candidabilità è nulla, senza che sia in alcun modo possibile per l'interessato rimuovere l'impedimento all'elezione, come invece è ammesso per le cause di ineleggibilità».
Vi è una sentenza della Cassazione che osserva che, mentre le cause di incandidabilità alla carica di amministratore locale si riferiscono a uno status di inidoneità funzionale assoluta e non rimovibile da parte dell'interessato, le cause di ineleggibilità sono stabilite allo scopo di garantire l'eguale e libera espressione del voto, tutelata dall'articolo 48, primo comma, rispetto a qualsiasi possibilità di captatio benevolentiae o di metus potestatis del candidato.
Emergerebbe dunque una differenza di ratio, dal momento che la ratio delle previsioni di non candidabilità non ha nulla a che fare con lo svolgimento della competizione elettorale.
Secondo la Corte, infatti, essa è volta a tutelare il buon andamento, la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, l'ordine e la sicurezza, e la libera determinazione degli organi elettivi, con riferimento agli enti locali.
I tipi di reati che, in ambito locale, sono previsti a questo scopo lo confermerebbe.
Come dicevo, colui sul quale gravi una causa di incandidabilità non può rimuoverla, come può invece fare, entro certi limiti, colui sul quale gravi un causa di ineleggibilità.
Nel leggere i resoconti stenografici relativi ai lavori della Commissione, ho visto che questa è stata considerata una differenza non decisiva, che non impedisce di considerare l'incandidabilità come una sottospecie di ineleggibilità, anche se si ammette che l'accertamento di una causa di incandidabilità produce l'effetto irreversibile - e sottolineerei questo termine - di escludere il soggetto dalla competizione elettorale.
L'unica via giuridica per la rimozione è la riabilitazione, che, scontata la pena, estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale.
Ho visto che nel progetto c'è consapevolezza di questo, perché le cause di incandidabilità non si applicherebbero nel caso in cui fosse concessa la riabilitazione.
Come è noto, la riabilitazione può essere concessa. Tuttavia, le condizioni alle quali ciò avviene sfuggono all'interessato, sono soggette a una valutazione discrezionale del tribunale di sorveglianza, il quale non mi pare che compia atti dovuti, ma dispone di un margine per verificare se il condannato abbia dato o meno prove effettive e costanti di buona condotta.
Considerando tutte queste differenze, sembrerebbe quindi che l'incandidabilità si avvicini di più - mi sembra che il relatore lo accennasse in precedenza - a quella che si definisce l'incapacità elettorale passiva, che si verifica laddove il soggetto sia carente di alcuni requisiti, come elettorato attivo, età e, per alcuni, anche l'analfabetismo.
Il problema è questo. Esiste una differenza forte e si pone anche una differenza ulteriore che il progetto assume consapevolmente. La sussistenza di cause di ineleggibilità è accertata al momento della convalida dell'elezione già avvenuta, ma una causa di incandidabilità, per essere presa sul serio, deve essere verificata preventivamente all'elezione, dal competente ufficio elettorale circoscrizionale. Quindi, deve poter emergere già al momento della presentazione delle liste elettorali.


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Ho notato che il progetto è coerente da questo punto di vista, perché prevede una modifica dell'articolo 22 del Testo unico per le elezioni della Camera.
Nella consapevole sottolineatura di questa differenza, però, scorgo anche l'accettazione di una distinzione concettuale tra ineleggibilità e incandidabilità, con il connesso problema di conformità all'articolo 65, comma 1, della Costituzione, oltre che all'articolo 66, come dirò dopo.
Vengo ora a esporre un piccolo problema operativo. Si dice che l'ufficio cancelli anche i nomi di coloro che abbiano presentato dichiarazioni sostitutive non veritiere.
A tal proposito, sottolineerei che l'ufficio circoscrizionale deve decidere in tempi molto brevi (mi sembra entro 24-48 ore, non ricordo bene). Tuttavia, verificare se la dichiarazione sostitutiva dell'assenza di cause di incandidabilità sia veritiera non è come accertare l'età. Per procedere a tale operazione, bisognerebbe poter disporre dei dati del casellario, e non è così evidente che questi siano sempre aggiornati.
Pertanto, tale norma può incontrare delle difficoltà operative.
Certo, se il controllo dell'ufficio circoscrizionale non fosse efficace, interverrebbe la norma di chiusura dell'articolo 66, che affida alle Camere i giudizi sulle cause sopraggiunte di ineleggibilità. Sotto questo profilo, il presupposto discusso è che l'ineleggibilità equivalga all'incandidabilità. Ebbene, sottolineo ulteriormente che accertare l'esistenza di una causa di incandidabilità, dopo lo svolgimento delle elezioni, sembra particolarmente incongruo. Si tratta, infatti, di un aspetto che deve essere verificato prima che le elezioni si svolgano.

RICCARDO MARONE. Per le condanne sopravvenute...

NICOLÒ ZANON, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Milano. Certo, per le condanne sopravvenute.
Infine, trovo importante osservare che vi sono alcune norme interessanti nel progetto, che mi pare abbiano un rapporto non sempre facile con l'articolo 66 della Costituzione.
Il nuovo articolo 6-bis, secondo comma, del Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, stabilisce che le sentenze e i provvedimenti definitivi, indicati al comma 1, emersi nei confronti dei deputati in carica, sono comunicati alla Camera dei deputati per la pronuncia della decadenza; l'articolo 6-bis, quinto comma, del testo unico, stabilirebbe che la Camera dichiara la nullità delle elezioni dei propri componenti.
Sembrerebbero, dunque, due norme che prevedono le conseguenze per l'elezione di un soggetto incandidabile.
La prima si riferisce ai già eletti che, in corso di mandato, subiscano condanne definitive per reati che determinano causa sopraggiunta di incandidabilità, si potrebbe dire così.
Rispetto all'articolo 66, presupposto che non siano la stessa cosa, si prospetterebbe qualche problema.
La seconda, invece, credo che si riferisca a soggetti che, pur essendo originariamente incandidabili, siano stati eletti. Se non sbaglio, dovrebbe essere così. Il legislatore, quindi, sembra presupporre che le Giunte e l'Aula rimedino a una situazione che sia sfuggita agli uffici circoscrizionali.
Oltre a quelli citati, vi è anche un 6-ter, interessante, che stabilisce che la perdita delle condizioni di eleggibilità comporta la decadenza dalla carica di deputato, se dichiarata dalla Camera.
Direi che questa è una norma indipendente dalle prime due, perché si riferisce non già alle cause di incandidabilità, ma a quelle di ineleggibilità vere e proprie.
Sembrerebbe l'inserimento di quella indispensabile previsione legislativa che finora mancava e rispetto alla quale, come è noto, forse si è registrato qualche ritardo (sebbene si tratti ormai di faccende chiuse).
Per concludere sulle prime due norme, vediamo come si collocano in rapporto all'articolo 66. Com'è noto, l'articolo 66 è una norma contestata nel suo significato


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storico (sono state presentate varie proposte di revisione), tuttavia, finché essa rimane in vigore, dobbiamo considerarla.
Inoltre, la sua ratio ispiratrice è quella di evitare che soggetti esterni possano incidere sulla composizione del Parlamento, impedendo il libero giudizio delle assemblee parlamentari.
La prima norma afferma che la Camera deve dichiarare la nullità dell'elezione dei propri competenti, ossia di coloro che erano originariamente incandidabili, ma che, ciononostante, sono stati eletti. Direi che tale norma sarebbe conforme all'articolo 66, nel senso che, proprio la circostanza che l'incandidabilità è originaria, e che tale originarietà sia sfuggita al controllo dell'ufficio, a mio avviso, consentirebbe di ritenere che la Camera possa emettere una pronuncia che ha meri effetti dichiarativi e non costitutivi di una nullità che già esisteva.
L'articolo 6-bis, al secondo comma, stabilisce che le sentenze e i provvedimenti definitivi, indicati al comma 1, emessi nei confronti di deputati in carica, sono comunicati alla Camera per la pronuncia della decadenza. Ebbene, in questo caso, la norma dipende da come la si interpreta.
A mio parere, essa sarebbe non conforme all'articolo 66, se la si interpreta come implicante l'obbligo della Camera di pronunciare automaticamente la decadenza, a seguito della comunicazione proveniente dall'autorità giudiziaria. Se così fosse, infatti, non vi sarebbe una salvaguardia dell'autonomia di giudizio che, costituzionalmente, è attribuita alla Camera di appartenenza.
Forse è possibile dare un'interpretazione costituzionalmente conforme, a condizione che l'uso dell'espressione «pronuncia della decadenza» non comporti una mera attività dovuta della Camera, quindi una presa d'atto, ma lasci libera la Camera di fornire il proprio giudizio.
A questo punto, la conformità con l'articolo 66 sembrerebbe assicurata.
Queste mi sembrano le considerazioni da svolgere in relazione alla materia in esame.
Ho esaminato anche le norme sull'incompatibilità, ma se affrontassimo anche questo aspetto, si aprirebbero problemi di tutt'altro genere. Pertanto, concludo il mio intervento e vi ringrazio.

CARLO MEZZANOTTE, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università LUISS «Guido Carli» di Roma. Il terreno è stato molto arato. Quindi, mi richiamo anche io al carattere contestato e contestabile dell'articolo 66 della Costituzione.
È sufficiente rileggere gli atti della Costituente, o ricordare autori che sono conservati nel nostro cuore, sui quali tutti si sono formati. Penso, ad esempio, a Mortati che, in tutte le sue edizioni, riprendeva un filo che aveva annodato alla Costituente proprio su questo tema. Egli avrebbe preferito un sindacato autenticamente giurisdizionale, senza alcuna contaminazione politica.

PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, professore. Proprio sulla base di considerazioni di questo tipo, la Commissione ha deciso di proporre di trasferire alla Corte costituzionale l'esame di queste materie relative all'eleggibilità.

CARLO MEZZANOTTE, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università LUISS «Guido Carli» di Roma. Ho capito.
Questa del trasferimento alla Corte era un'opinione diffusa, prima ancora che fosse decisa dalla Commissione. Secondo gli autori di questa proposta, la Corte offrirebbe maggiori garanzie di indipendenza del Parlamento. L'auspicio sarebbe che il Parlamento finisca con l'identificarsi e prenda posizione.
Eppure questa norma, nonostante i rimbrotti che Mortati dovette subire ad opera di Emilio Lussu, che lo costrinse a ritirare il suo emendamento, è stata approvata. È vero che i partiti allora erano altra cosa rispetto a quel che sono oggi e che, di conseguenza, anche il Parlamento era differente.


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Tuttavia, questa competenza di giudizio - ed è importante che l'articolo 66 parli di giudizio - è contestata. Pertanto, c'è una tendenza, una spinta del legislatore a sottrarre zone di giudizio alle Camere. In che cosa consiste la non candidabilità, se non nel tentativo di sottrarre al Parlamento un giudizio? Giustamente, il professor Zanon ricordava che non esiste una nozione naturalistica di incandidabilità o di ineleggibilità. Entrambe coprono la stessa area. Per quanti sforzi vogliamo compiere per cercare una distinzione, una diversità di ratio, l'area è la medesima.
Sorge, allora, un problema di compatibilità proprio con l'articolo 66, che affida il giudizio alle Camere. La previsione all'articolo 66 è così larga che anche le cause sopravvenute di incompatibilità o di ineleggibilità sono affidate al giudizio delle Camere.
Signor presidente, mi ero ripromesso di svolgere poche considerazioni e ho praticamente concluso il mio intervento.
Ricordo che la Costituzione deve essere rispettata nella sua interezza (personalmente, sono rimasto «mortatiano»). Quindi, spetta al giudice stabilire se si siano commessi reati, se ci sia una sentenza passata in giudicato e tutti gli altri aspetti contenuti nella proposta di legge.
Ad ogni modo, penso che sarebbe bene, previa un'intesa, nei modi acconci, quelli in cui si raggiungono le intese pre-legislative, che vi fosse una piccola modifica costituzionale che eliminasse dall'articolo 66 quanto effettivamente pesa troppo, come per l'appunto questo giudizio delle Camere.
Non ho un'esperienza di vita parlamentare, ma so, per sentito dire, per letture, per riflessioni fatte, che le Camere sono idonee a pronunciare giudizi politici e che quanto arriva alle Camere entra in un circuito politico, in un mercato che è quello della politica.
Ecco perché mi sento toto corde favorevole a una giurisdizionalizzazione piena, non nel senso che sia la Giunta, piuttosto che l'Assemblea a pronunciarsi, in quanto giurisdizione significa giudice. Quindi, occorre una piccola modifica costituzionale che scarichi l'articolo 66 dal troppo che esso contiene. Del resto non possiamo chiudere gli occhi...

MARCO BOATO. Con la possibilità di ricorso alla Corte?

CARLO MEZZANOTTE, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università LUISS «Guido Carli» di Roma. A mio avviso, è giurisdizione piena.
Peraltro, si tratta di diritti fondamentali, quindi c'è una correlazione. Se vogliamo dire che è necessaria una particolare sensibilità, possiamo farlo, ma penso che il giudice sia in grado di capire se vi sia un'ipotesi di non candidabilità.
Certo, sotto il profilo dell'indipendenza, la Corte potrebbe dare garanzie maggiori rispetto a quanto possa fare attualmente il Parlamento. Tuttavia, non mi scandalizzerei se dicesse ai giudici che il loro mestiere è proprio questo, che sono stati insigniti della loro carica per questo motivo e che hanno, pertanto, una determinata indipendenza istituzionale.
So che dicendo questo mi oppongo a diverse opinioni, anche autorevoli, ma i giudici esistono per applicare la legge.
Peraltro, mi pare che questa proposta di legge non presenti enormi difficoltà di applicazione. Si tratta di riscontri oggettivi, in fin dei conti.
Sto parlando del problema dell'incandidabilità. Un ulteriore discorso, che richiederebbe un'apposita e diversa audizione, è quello relativo all'articolo 10-bis (se non sbaglio), che coinvolge il problema dei problemi. Pertanto, è inutile spendere ora poche, più o meno sentite, parole su questo tema.
Su invito del presidente Violante, sono venuto in questa sede a parlare di incandidabilità, ineleggibilità e/o incompatibilità. Mi pare, quindi, che non ci si possa sottrarre dall'impressione che la proposta di legge in esame voglia sottrarre competenze di giudizio al Parlamento. Perché ricevere un'accusa di questo genere, quando, per evitarlo, basterebbe poco? Sarebbe forse sufficiente un'intesa per una


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piccolissima revisione costituzionale, che credo sia sentita come necessaria non soltanto dall'opinione pubblica, essendovi un sentire diffuso anche nel Parlamento. Del resto, non è possibile che non si percepisca che il mercato politico non è idoneo a vicende di questo genere.

PRESIDENTE. È capitato che tutte le maggioranze hanno abusato di questo loro potere. È incolore, quindi. Anzi, recentemente, senza neanche una maggioranza particolare, credo che il voto segreto...

RICCARDO MARONE, Relatore sulle proposte di legge C. 1451 ed abbinate. Trasversale ...

PRESIDENTE. Per via trasversale è stata dichiarata l'eleggibilità di persone certamente non eleggibili. Penso ai sindaci e via dicendo ...

CARLO MEZZANOTTE, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università LUISS «Guido Carli» di Roma. Sì, si tratta della questione dei sindaci di comuni con popolazione superiore a ventimila abitanti...

PRESIDENTE. Questo è un altro abuso che si compie. Intendo dire che mi pare che abbiamo stabilito che se una persona ricopre la carica di sindaco non può fare il parlamentare; mentre un parlamentare può essere anche sindaco.

RICCARDO MARONE, Relatore sulle proposte di legge C. 1451 ed abbinate. Questa è un'interpretazione della Camera dei deputati.

MARCO BOATO. Della Giunta!

FULCO LANCHESTER, Professore ordinario di diritto pubblico comparato presso la facoltà di scienze politiche dell'Università «La Sapienza» di Roma. È stato molto arato il campo, per cui mi limiterò a svolgere alcune osservazioni generali.
Prima di tutto, devo ringraziare la Commissione per essere stato convocato, ma soprattutto perché apprezzo il tentativo di omogeneizzare le categorie di ineleggibilità e di incompatibilità a tutti i livelli, su tutti i piani elettorali.
In realtà, esiste davvero una situazione da Arlecchino a livello nazionale. Credo, quindi, che il problema che si pone sia quello di inquadrare la materia elettorale in via preliminare, sulla base delle affermazioni che, anche nella dottrina italiana, sono state fatte, ad esempio, da Ferrari.
Esiste un diritto elettorale generale. Anzi, personalmente parlerei di un diritto alle votazioni in generale, che devono inquadrarsi all'interno della Costituzione.
Gli ordinamenti democratici sono contraddistinti da votazioni a vari livelli e i princìpi che li caratterizzano sono necessariamente omogenei.
Da questo punto di vista, dunque, accordo il mio consenso per quanto riguarda sia la titolarità della partecipazione attiva, sia l'elemento della capacità passiva, sia le norme di tipo procedimentale.
Vorrei osservare, inoltre, che il costituente ha stabilito un'arena - questo è l'elemento essenziale - in cui vi è una serie di soggetti, alcuni dei quali che richiedono informazioni per decidere e altri che le offrono, insieme a candidature e quindi prodotti.
A questo punto, l'elemento essenziale è quello del mantenimento dell'uguaglianza delle chance tra i contendenti. In realtà, lo scopo della normativa sottoposta alla nostra attenzione è questo, ossia l'eliminazione delle pressioni indebite, all'interno del procedimento elettorale, definendo un circuito ben descritto dagli articoli 1, 3, 48, 49 e 51 della Costituzione, a cui si collega una serie di altri articoli, considerando, all'interno di questi, anche le votazioni deliberative.
Questo progetto di legge, in realtà, cerca di affrontare un argomento essenziale per l'ordinamento democratico sotto il duplice profilo della veridicità della contesa elettorale, da una parte, e della


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qualità del personale politico selezionato, dall'altra, all'interno del quadro costituzionale.
Alcuni proponenti hanno osservato che l'eccessivo interesse per un sistema elettorale in senso stretto, ovvero per le varie modificazioni del meccanismo elettorale, ha posto in penombra temi di fondamentale importanza, come quelli affrontati da questo progetto di legge.
È anche vero, tuttavia, che la sedimentazione della legislazione in materia di capacità elettorale attiva e passiva è di era geologica. Se dovessimo tenere un seminario su questo argomento, si potrebbe analizzare quanto deriva dall'ordinamento liberale oligarchico, anche nella concettuologia, e quanto dallo Stato democratico di massa.
Per di più, la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale e la stessa legislazione ordinaria non hanno ben distinto alcune categorie (ineleggibilità, incompatibilità).
Affronterò in maniera specifica il problema della incandidabilità, perché la giurisprudenza della Corte, in realtà, la inserisce - l'onorevole Zanon sottolineava il problema - tra le cause di ineleggibilità.
Detto con chiarezza, bisogna trovare un elemento funzionale, di scopo, per la distinzione. Possiamo dire che questo tipo di normativa emerge a livello carsico e sinusoidale a seconda delle dinamiche del nostro sistema politico (1953-1972, 1991-1993 e adesso). Questa potrà anche essere una «grillata», ma ha una sua razionalità nella dinamica.
Per arrivare all'elemento essenziale, ricordo che la capacità elettorale attiva non deve essere fraintesa con uno status, ma deve essere considerata come un diritto derivante dalla cittadinanza, ovvero dalla condizione di appartenente al demos politico, e quindi deve essere basata sul principio dell'autodeterminazione e della dignità.
La capacità elettorale passiva deve, invece, essere intesa come possesso di attitudini base per l'accesso alle cariche elettive; questo è il grosso ombrello.
L'ineleggibilità, infine, è considerata al fine di tutelare la libertà di voto, di cui all'articolo 48 della Costituzione contro le pressioni indebite; in questi casi l'elezione è invalida per colui che non abbia rimosso in tempo la situazione di ineleggibilità.
Le cause di incompatibilità, invece, sono previste onde assicurare un corretto adempimento del mandato elettorale, ratio pertanto differente rispetto a quella del mantenimento dell'eguaglianza delle chance.
In merito alla figura dell'incandidabilità, in realtà essa viene trattata come una forma di ineleggibilità rafforzata ed assoluta, che si distingue da una ineleggibilità sanabile ex post. A questo punto, ci riallacciamo ai due interventi di Zanon e di Mezzanotte: se la giurisprudenza parlamentare fosse regolare, non ci sarebbe la necessità di questi interventi sull'incandidabilità, da intendersi come una barriera che precede il momento della elezione.
Alcune di queste cause di incandidabilità riguardano una indegnità morale, ma altre si collocano, in realtà, in una zona grigia; se ci fosse una giurisprudenza non politica, non ci sarebbero questi problemi che, per altro, non sono tipici dei giorni nostri bensì, se si guarda alla giurisprudenza parlamentare in materia di verifica dei poteri, nascono dal 1860 in poi.
Questo è un tentativo di mettere delle piccole barriere e di omogeneizzare tutta la materia, ed è per questo motivo che, stanti i numerosi problemi - su cui non mi soffermo -, approvo la razionalità di questo progetto.
Anche se non è scritto, l'articolo 10-bis - una vera «bomba atomica» - è un provvedimento ad personam, e presenta dei problemi evidenti che possono essere risolti soltanto in modo «naturale», con il passare del tempo, quando giungerà il 2025.

PRESIDENTE. La biologia, insomma.

FULCO LANCHESTER, Professore ordinario di diritto pubblico comparato presso la facoltà di scienze politiche dell'Università «La Sapienza» di Roma. Sì, la


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biologia. Tuttavia, considerando la dinamica costituzionale dagli anni Ottanta e, soprattutto, dagli anni Novanta in poi, confesso che questo compattamento ha una sua razionalità, che approvo.
La soluzione inglese è la verifica dei poteri: nel 1867, quando in Inghilterra fu esteso il suffragio - i cosiddetti «borghi putridi» vennero modificati nel 1832, ma l'estensione del suffragio avvenne nel 1867 - fu introdotta una verifica dei poteri tutt'affatto particolare, basata sulla convenzione che di tale verifica si sarebbero occupati i magistrati, ma che la competenza finale dell'approvazione sarebbe stata comunque della Camera.
Questa è una soluzione che nella nostra realtà potrebbe rispondere al problema di non gravare la Corte costituzionale anche di questa competenza e di non farla divenire a sua volta oggetto di pressioni indebite. Questo è un problema che può diventare materia di discussione per un'altra eventuale audizione.

CLAUDIO DE FIORES, Professore associato di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza della Seconda Università degli studi di Napoli. Dagli interventi svolti fino a questo momento ho tratto l'impressione che, dietro l'attuale proposta di legge, ci siano tre grandi questioni.
La prima concerne la mancata menzione nella Costituzione della categoria dell'incandidabilità; la seconda è relativa ai vincoli costituzionali che il legislatore è chiamato a rispettare nel disciplinare la fattispecie; la terza, posta in modo particolare dal professor Zanon, riguarda la trasposizione automatica della disciplina attualmente vigente nell'ordinamento locale al Parlamento nazionale.
La non menzione in Costituzione di tale fattispecie è una questione che, anche di recente, una parte della pubblicistica ha tentato di aggirare, trincerandosi dietro l'articolo 51 che attribuisce questa competenza al legislatore ordinario.
L'articolo 51 stabilisce che l'accesso alle cariche elettive deve avvenire secondo requisiti stabiliti dalla legge; tuttavia, come diceva anche il professor Zanon, è evidente che gli articoli 48 e 51 disciplinino l'elettorato attivo e passivo tout court, ovvero a prescindere dal tipo di organo rappresentativo coinvolto, sia esso nazionale o locale.
Questa tesi in particolare non fa i conti con un dato che appare a mio giudizio incontrovertibile, ovvero che il Titolo I della Costituzione, relativo all'organizzazione delle funzioni del Parlamento, agli articoli 65 e 66 si limita a prendere in considerazione soltanto due ipotesi di fattispecie ostative all'elezione, ovvero l'ineleggibilità e l'incompatibilità.
Da questo discende che l'introduzione dell'istituto dell'incandidabilità pone il legislatore di fronte ad un bivio: o la modifica ex articolo 138, quindi una revisione costituzionale che modifichi queste disposizioni, oppure - ipotesi privilegiata dalla proposta - l'accesso ad una interpretazione data dal giudice costituzionale che, come è stato già detto, con la sentenza n. 121 del 1996 definisce l'incandidabilità una particolarissima causa di ineleggibilità, riconducendo in tal modo la species dell'incandidabilità all'interno del più ampio genus dell'ineleggibilità.
Privilegiare questa opzione induce il legislatore a trarne le conseguenze, anche perché ho l'impressione che in questo caso siamo di fronte ad una forzatura o, per meglio dire, ad una rottura sul piano sistematico.
Abbiamo detto che le cause ostative all'accesso alle cariche parlamentari, così come fino ad oggi configurate dalla legislazione, dalla dottrina e anche dalla giurisprudenza, presentano un tratto comune, definito da una sentenza del 1961 della Corte costituzionale come la comune matrice giuridica dei due istituti, ovvero la loro rimovibilità, per volontà dello stesso interessato, alla vigilia della candidatura, nel caso della ineleggibilità, o al momento in cui viene eletto, nel caso della incompatibilità.
Questo carattere manca, invece, nel caso della incandidabilità, senza aggiungere che in questo caso l'impedimento è disciplinato in maniera ancor più incisiva,


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tale da coinvolgere anche la fase propedeutica rispetto alle elezioni stesse, ovvero la candidatura.
Da qui, la necessità di ponderare scrupolosamente l'ipotesi dell'ambito dell'applicazione, come è già stato detto più volte. Esiste una formula, più volte richiamata dalla giurisprudenza costituzionale ed ampiamente ripresa in dottrina nel sistema giuridico e costituzionale italiano: «l'eleggibilità è la regola, l'ineleggibilità è l'eccezione». Tuttavia, c'è il rischio che l'immissione di un cospicuo numero di ipotesi di incandidabilità non adeguatamente ponderato e calibrato possa incrinare l'efficacia di questo principio.
Per questo motivo, la scelta del legislatore deve essere razionale, costantemente ispirata all'interesse pubblico e ai princìpi costituzionali; anche perché, in questo caso, si è detto che ci troviamo a che fare con un diritto. L'elettorato attivo e l'elettorato passivo rappresentano un diritto inviolabile dell'uomo e del cittadino, come è stato già detto, anche in questo caso, dalla Corte costituzionale in varie sentenze.
In modo particolare, nella legge n. 141 del 1996 si è precisato che le restrizioni di questo diritto sono possibili, ma a condizione che siano strumentali al perseguimento della tutela di interessi costituzionalmente garantiti - quali sicurezza pubblica e tutela dei diritti politici - e alla necessità di assicurare un confronto democratico aperto, non condizionato da indebite interferenze.
Questo significa che la Corte costituzionale, nell'avallare questa giurisprudenza - tra l'altro tendenzialmente neppure uniforme - ha voluto anzitutto evitare che si potessero introdurre nell'ordinamento ipotesi restrittive imprecise e vaghe, e si è vincolata costantemente al criterio della determinatezza, che impone di richiamare i singoli delitti evitando soluzioni e formule complessive, descrittive in più fattispecie.
Ecco perché, a mio giudizio, suscita non poche perplessità la lettera c) dell'articolo 1, dove troviamo il riferimento a «coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo». È una formula che rischia di disancorare la disciplina dell'incandidabilità dalla concreta fattispecie dei reati commessi, vincolandola alla pena edittale. Pertanto, in questo caso ci troviamo di fronte a una formulazione omnicomprensiva, che rischia di incidere su situazioni non soltanto particolarmente numerose, ma anche disomogenee tra di loro.
Infine, nutro qualche perplessità sulla trasposizione della disciplina oggi attualmente vigente - quindi parte integrante del Testo unico degli enti locali - anche per quanto attiene alla rappresentanza nazionale. È un approccio che non convince, anche se, recentemente, si è tentato di porre un argomento a sostegno, rintracciandolo nell'articolo 114, così come modificato a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, che ha introdotto la pari ordinazione tra i livelli di Governo.
In merito a questo argomento, rinvio al testo scritto, limitandomi a dire che questa pari ordinazione è, di fatto, già smentita dallo stesso articolo 114 che, al secondo comma, fa riferimento agli enti territoriali definendoli «enti autonomi».
D'altra parte, la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 274 del 2003 precisa che l'articolo 114 della Costituzione non comporta affatto una totale equiparazione tra gli enti ivi indicati, che dispongono di poteri profondamente diversi fra loro. Pertanto, permane questa distinzione tra le comunità locali e lo Stato ma, in modo particolare, tra il Parlamento e le altre espressioni delle rappresentanze territoriali; ovvero, mentre il Parlamento è la sede della rappresentanza politica nazionale, il consiglio regionale, nel caso in specie, è espressione di autonomia politica.
Anche in questo caso, la giurisprudenza della Corte specifica in più circostanze (sentenza n. 106 del 2002) che esiste una specificità del Parlamento che va tenuta in considerazione e che la parola «Parlamento» non ha solo un valore puramente lessicale, ma una valenza qualificativa propria.


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Inoltre, nella sentenza n. 407 del 1992 si precisa che i titolari di cariche elettive non nazionali, quindi i consiglieri, non possono essere assimilati ai parlamentari, sotto vari profili.
Per quanto attiene alle ragioni di contingenza, in una recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 2583 del 2007), la giurisprudenza amministrativa, in più circostanze nel corso di questa pronuncia, ha evidenziato che il ventre molle all'infiltrazione di poteri criminali è oggi costituito soprattutto dalle amministrazioni locali. Non è un caso che la proposta di legge che oggi stiamo esaminando tende a ricostruire le singole figure di reato così come erano state ritagliate, con espresso riferimento alla formulazione attualmente vigente del Testo unico degli enti locali.
Ho l'impressione che questo tentativo di trasposizione faccia poco i conti con un dato sistemico che, invece, va tenuto in considerazione. Non è un caso, infatti, che lo stesso testo unico, nel recepire le disposizioni già vigenti dal 1990, preveda espressamente, tra le cause di scioglimento dei consigli provinciali e comunali, anche l'accertata sussistenza di fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso; quindi c'è una specificità che giustifica i profili della incandidabilità a livello locale ma che, forse, per quanto riguarda la loro automatica trasposizione a livello nazionale, meriterebbe qualche ulteriore riflessione.

BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, Professore ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di scienze politiche dell'Università «La Sapienza» di Roma. Innanzitutto, vorrei ringraziare di essere stato invitato questa sera a riflettere su questo argomento.
Non ho un testo scritto, ma mi riservo di produrlo, anche se ho molti appunti sparsi sul tavolo. Prima di tutto, mi pare un principio condivisibile - se non sacrosanto, direi - quello di omogeneizzare le diverse cause di incapacità, incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità dei livelli elettivi.
Mi pare un principio giusto perché, a prescindere dall'articolo 114, salve alcune specifiche situazioni, chi non può sedere in consiglio comunale forse è bene che non stia neppure in Parlamento. Mi sembra un banale argomento di buonsenso.
Vorrei tuttavia far notare che questo giusto principio cozza, ahimé, con l'attuale testo dell'articolo 122 il quale, affidando la legislazione sulle cause di ineleggibilità e incompatibilità ai singoli consigli regionali, fa in modo che, nell'ambito dei princìpi fissati dalla legge-quadro, questi possano procedere in modo indipendente.
Paradossalmente, quindi, noi spingiamo all'omogeneità, mentre l'attuale testo dell'articolo 122 spinge ad un'ampia differenziazione.

PRESIDENTE. Scusi, professore, vorrei capire meglio. Qui, però, si fa riferimento ai princìpi fondamentali. Sarebbe un caso di concorrenza.

BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, Professore ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di scienze politiche presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Lo so, ma il problema è che la legge n. 165 del 2004 ha delineato i principi in maniera molto vaga e ampia.

RICCARDO MARONE, Relatore sulle proposte di legge C. 1451 ed abbinate. Con questa integreremo!

BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, Professore ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di scienze politiche presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Lo so, ma il problema non è solo quello di integrare. Su questo argomento ho una posizione, paradossalmente, abbastanza contraria a quella che normalmente sostengo in altra sede.
In realtà, però, l'articolo 122 è una valvola di enorme differenziazione fra regioni e regioni, tanto più alla luce della legge n. 165 che contiene princìpi molto ampi e sulla quale, peraltro, si discusse molto al momento del suo varo. Questa legge rappresenta uno dei pochi casi in cui


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si è detto che le leggi di principio devono essere non autoapplicative. Ci fu addirittura un rinvio, da parte del Presidente della Repubblica, di una leggina in materia di ineleggibilità, alla quale il Presidente si oppose dicendo che doveva essere rinviata, in quanto riguardava una materia concorrente e occorreva la non autoapplicatività della legislazione di principio.
Quello della legge n. 165 è uno dei pochi casi in cui, addirittura, il sistema si è attestato nel senso della necessità della non autoapplicatività. Io sottolineo, quindi, questa contraddizione: da un lato una spinta verso l'omogeneizzazione, dall'altro l'articolo 122, che lascia invece molto spazio; detto questo, a mio avviso, sarebbe opportuno che le regole fossero il più possibile omogenee.
Come stabilisce la Corte, si è detto che l'incandidabilità è una particolare forma di ineleggibilità.
In un'altra sentenza della Corte, molto importante, si auspica da parte della Corte medesima un trattamento della ineleggibilità simile a quello previsto per la incandidabilità (sentenza n. 84 del 2006). Questa sentenza mi spaventa, perché se in base allo schema di ineleggibilità che voi proponete dovesse passare l'idea che il regime della ineleggibilità, così come sostanzialmente auspicato dalla Corte e come vedo qui accolto dal professor Valerio Onida, sia un regime assimilabile a quello della incandidabilità, apriti cielo!
Con questo testo, diventa un gioco quasi impossibile addirittura candidarsi.
Siamo proprio sicuri che l'incandidabilità sia una speciale forma di ineleggibilità e non sia piuttosto da ricollegare alla incapacità?
Mi pongo una domanda, che nasce da due osservazioni. Innanzitutto, l'incandidabilità è nata con riferimento non tanto ai condannati con sentenza definitiva, quanto ai condannati con sentenza di primo e di secondo grado; è stata poi una sentenza della Corte a sanzionare questa situazione.
Seconda osservazione: di incandidabilità si riparla in maniera forte nell'articolo 2 della legge n. 165 del 2004. Il problema del legislatore non era quello di evitare che l'incandidabilità fosse una specie di ineleggibilità, perché in tal caso, allora, anche l'incandidabilità ricadrebbe nella competenza regionale.
Mi chiedo se non possiamo ricostruire l'incandidabilità come una forma di incapacità, ovvero legarla all'articolo 48, ultimo comma, della Costituzione, dove si dice: «il diritto di voto non può essere limitato, se non per incapacità civile, o per effetto di sentenza penale irrevocabile (...)».

PRESIDENTE. Il diritto di voto riguarda anche quello di poter essere votato?

BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, Professore ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di scienze politiche presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Su questo, secondo me, andrebbe fatta una riflessione. Poiché abbiamo sempre detto che l'elettorato attivo e l'elettorato passivo vanno considerati insieme, mi chiedo perché nell'articolo 48 dovrebbe essere contemplato solo l'elettorato attivo e non quello passivo. Altrimenti, i casi di incapacità elettorale a che cosa sono collegati? A che cosa colleghiamo l'incapacità?

PRESIDENTE. L'elettorato attivo per il Senato ha inizio a 25 anni, il passivo a 40 anni. È un caso di distonia e credo che non sia il solo.

BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, Professore ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di scienze politiche presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Perché non potremmo pensare che l'articolo 48, comma 1, riguardi anche l'elettorato passivo?

PRESIDENTE. La mia osservazione era solo per dire che elettorato passivo e attivo non coincidono, né per la Camera, né per il Senato, né sulla base di alcune condizioni.


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BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, Professore ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di scienze politiche presso l'Università «La Sapienza» di Roma. È proprio necessario agganciare l'incandidabilità all'ineleggibilità? L'incandidabilità non può essere letta come una forma di limitazione dell'elettorato passivo e, come tale, essere legata all'articolo 48, ultimo comma?
La discrasia che si creò quando legammo l'incandidabilità alle sentenze di primo e di secondo grado è stata superata, perché l'articolo n. 48 prevede che «il diritto di voto non può essere limitato se non per effetto di sentenza penale irrevocabile». Anche questa proposta lega l'incandidabilità alle sentenze passate in giudicato. Sollevo, quindi, questo tema.
A mio avviso, bisogna distinguere più nettamente incandidabilità ed ineleggibilità. Torno sulla sentenza n. 84 del 2006 della Corte che, sostanzialmente, stabilisce che il regime della incandidabilità va equiparato al regime della ineleggibilità e auspica, in maniera anche abbastanza forte, un trattamento delle cause di ineleggibilità assimilabile a quello delle cause di incompatibilità, ovvero con una verifica ex ante, con l'impossibilità, addirittura, di candidarsi. La Corte dice, cioè, che le cause di ineleggibilità dovrebbero prevedere una forma di controllo ex ante.
Da questa sentenza scaturiscono due riflessioni. In primo luogo, in questo modo l'ineleggibilità è una condizione diversa da quella che siamo stati abituati a pensare, perché non vi sarebbe la possibilità di rimuovere la causa di ineleggibilità, se non prima delle elezioni.
Se noi colleghiamo questa sentenza della Corte al testo oggi in discussione e ipotizziamo che, un domani, le cause di ineleggibilità potrebbero avere un trattamento diverso, questo testo diventerebbe veramente particolarmente pericoloso perché significherebbe che tutte le situazioni di ineleggibilità, fra cui quelle indicate all'articolo 10-bis, possano essere valutate addirittura prima delle elezioni.
L'articolo 10-bis pone una serie di problemi: mi limito ad indicarne uno solo. Tale disposizione recita quanto segue: «Non sono eleggibili i soggetti che risultano avere la titolarità o il controllo, ovvero l'esercizio di un'influenza dominante, anche per interposta persona, di un'impresa che svolga prevalentemente o esclusivamente la propria attività in regime di autorizzazione o di concessione rilasciata dallo Stato, ovvero che risultano poterne disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente, o possano determinarne in qualche modo gli indirizzi, ivi comprese le partecipazioni azionarie indirette.».
Inserire, in una norma sulla ineleggibilità, una formulazione che utilizzi l'espressione «in qualche modo» lascia un'ampiezza che mi sembra inaccettabile.
Vorrei fare qualche ulteriore osservazione su questo testo, anche se l'argomento della presente audizione riguarda, fondamentalmente, l'incandidabilità. A mio avviso, non ha molto senso la trasposizione automatica dell'articolo 6-bis con riferimento alle nomine dei Presidenti delle Camere, non perché io auspichi che i presidenti delle Camere nominino, a capo delle autorità indipendenti, persone con sentenze passate in giudicato, ma perché le rationes sono diverse. Dell'automatica trasposizione non vedo il senso.
Mi sembra paradossale e sintomatico della confusione fra incompatibilità e ineleggibilità l'articolo 7, comma 1, che prevede che l'ufficio del deputato, senatore, o componente del Governo, sia incompatibile con l'ufficio di componente dell'autorità amministrativa indipendente, con la conseguenza che il membro di un'autorità amministrativa indipendente si potrebbe candidare e dovrebbe successivamente operare una scelta. Considerata la ratio della ineleggibilità, questo - così come altre piccole cose che emergono - dovrebbe essere un caso di ineleggibilità.
La mia sensazione è che, posta la favorevole condizione della omogeneizzazione, questo testo, secondo me, si muove su terreni che non sono particolarmente saldi e che, forse, andrebbero ricontrollati, perché probabilmente la verità è che le categorie che noi utilizziamo (incapacità,


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incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità) andrebbero riordinate e rese più congrue; forse questa proposta normativa contiene disposizioni un po' troppo singolari e puntuali.

MASSIMO LUCIANI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università «La Sapienza» di Roma. Ringrazio dell'invito a partecipare a questa discussione comune. Mi scuso per il ritardo, ma come lei sa, è dovuto a doveri didattici.
Non ho potuto ascoltare i primi minuti della vostra discussione, ma vorrei fare un ragionamento sintetico.
È stato osservato da molti di voi, in questa sede, che sarebbe piuttosto complesso distinguere tra incandidabilità e ineleggibilità. Il professor Mezzanotte diceva, al riguardo, che l'area dell'incandidabilità e dell'ineleggibilità è sostanzialmente la stessa. In effetti, dal punto di vista del profilo soggettivo, incandidabilità ed ineleggibilità, candidabilità ed eleggibilità si distinguono quantomeno per i destinatari del precetto.
A ben vedere, infatti, mentre l'ineleggibilità riguarda il soggetto interessato, l'incandidabilità riguarda innanzitutto i presentatori della candidatura; pertanto, nei sistemi a scrutinio di lista riguarda innanzitutto i presentatori delle liste.
Ciò lo si evince anche dal vigente articolo 22, comma 1, n. 3), del Testo unico della legge elettorale della Camera n. 361 del 1957 laddove si stabilisce che debbono essere cancellati gli ultimi nomi inseriti nella lista in eccesso rispetto al numero massimo. Evidentemente, questo è un precetto che determina la non candidabilità di queste persone; non so se nel caso di specie si possa parlare di incandidabilità, non essendo paragonabile a quella prevista nel testo che stiamo esaminando, ma certamente il precetto si rivolge ai presentatori delle liste.
Detto questo, credo che sotto questo profilo abbia ragione la giurisprudenza costituzionale nel ritenere che l'incandidabilità è, in buona sostanza, una ineleggibilità peculiare, nel senso che il regime giuridico dell'incandidabilità è diverso da quello dell'ineleggibilità in generale ma, alla fine, il risultato è il medesimo. Ci troviamo, cioè, di fronte a cause che impediscono l'accesso ad una carica elettiva.
Cause di questo genere, in realtà, esistono già nel nostro ordinamento e, se non ho capito male, questo è stato detto precedentemente dal relatore. L'articolo 22 del testo unico, infatti, riporta quell'ipotesi di cui vi dicevo prima e va considerata anche la cancellazione dalle liste degli elettori di coloro che non hanno raggiunto il venticinquesimo anno di età. La legge in questo caso è molto precisa.
Un'altra causa la troviamo nella legge n. 459 del 2001 sul voto degli italiani all'estero, laddove si prevede che non siano candidabili coloro che, candidandosi nelle ripartizioni della circoscrizione estero, non risiedono per l'appunto in quella ripartizione.

MARCO BOATO. Norma a mio parere palesemente incostituzionale. Però c'è!

MASSIMO LUCIANI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università «La Sapienza» di Roma. Mi limito a ricordarla e a dire che qui si applicano, ovviamente, le norme del testo unico. Ricordo, inoltre, che l'identificazione delle ripartizioni non è poi tanto sicura come sembra.
Il punto di fondo, a mio avviso, è che nessuno, fino ad oggi, si è lamentato granché per il fatto che siano cancellabili, da parte dell'Ufficio centrale circoscrizionale, i nomi dei candidati in eccesso o dei candidati che non abbiano compiuto il venticinquesimo anno di età.
Perché nessuno si è lamentato, nonostante queste siano cause di non candidabilità? A mio avviso, per due ragioni di fondo.
Innanzitutto, per il carattere assolutamente rigoroso dell'identificazione della fattispecie; in secondo luogo, perché questa ratio di incandidabilità non era rimovibile da parte del soggetto interessato. Questi sono i due elementi fondamentali.


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Il progetto di legge in esame, ovviamente, presenta molti profili di interesse ma, se non ho male interpretato la lettera di invito, noi dovremmo occuparci soltanto della questione dell'incandidabilità. L'articolo 1, effettivamente, contiene dei punti critici, ma contiene anche aspetti che possono essere considerati più tranquillizzanti. I punti critici li ravviso anch'io nella lettera c), come diceva prima De Fiores, e, in parte, anche nell'ultimo periodo della lettera a) - sto parlando ovviamente della lettera a) dell'articolo 6-bis, introdotto dall'articolo 1 della proposta - perché si potrebbe forse ritenere che le fattispecie non siano descritte con il rigore necessario.

RICCARDO MARONE, Relatore sulle proposte di legge C. 1451 ed abbinate. Lei non ha sentito la precisazione del relatore.
Se mi consente, gliela ripeto. C'è già un emendamento, con parere favorevole del relatore, che modifica il testo, nel senso che è prevista l'incandidabilità per coloro che abbiano riportato condanne per reati che prevedono una pena minima di due anni. Pertanto, questo diventa l'elemento oggettivo, mentre tutto il resto non c'è più.

MASSIMO LUCIANI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università «La Sapienza» di Roma. La ringrazio per la precisazione, perché è importante: questo, evidentemente, consente di percorrere la medesima strada. Se la strada è quella della non rimovibilità - e la condanna non è rimovibile da parte dell'interessato, anche perché è prevista, tra l'altro, l'ipotesi di una successiva riabilitazione - e l'altra condizione è sostanzialmente quella dell'automatismo, ovvero del rigore della descrizione della fattispecie, si tratta semplicemente di trovare un punto d'intesa sul rigore della fattispecie descritta.
Da questo punto di vista, personalmente ritengo che, forse, si potrebbero trovare anche delle norme di contorno che potrebbero rendere il tutto più semplice. Prima si parlava di casellario giudiziario e di tanti problemi legati all'accertamento di queste condanne. Mi chiedo perché non prevedere, ad esempio, un registro apposito delle condanne di questo tipo - che possa essere tenuto addirittura presso gli organi rappresentativi, oppure che sia di facile accesso per loro - anche per le finalità connesse all'articolo 66, il quale non verrebbe meno.
Io non so cosa accadrà dell'articolo 66, se verrà modificato o meno, se si deciderà di passare ad una giurisdizionalizzazione della verifica dei poteri, oppure se si manterrà.
Finché ci sarà, dovremo evidentemente considerare anzitutto il rapporto di conformità tra questa normativa proposta e l'articolo 66; mi pare che, finché ci troviamo su quei due binari, problemi di legittimità costituzionale non possano porsi.
Dall'altro punto di vista, per rendere più semplici gli accertamenti bisognerebbe forse pensare ad un emendamento aggiuntivo, che possa identificare degli strumenti che diano maggiore certezza, sia all'Ufficio centrale circoscrizionale - perché si applicherebbe l'articolo 22, secondo la vostra previsione - sia, successivamente, alla Camera e al Senato, in sede di applicazione dell'articolo 66 della Costituzione, per sapere cosa effettivamente è accaduto e se esistevano o meno, effettivamente, le condizioni di incandidabilità/ineleggibilità.

RICCARDO MARONE, Relatore sulle proposte di legge C. 1451 ed abbinate. Ringrazio tutti coloro che hanno dato un contributo utile ed importante a questa problematica.
Mi sembra di individuare, tuttavia, un comune filo conduttore del ragionamento che ci potrà essere utile, se ho ben compreso e ascoltato le relazioni. Mi riferisco al fatto che la distinzione tra incandidabilità e ineleggibilità deve consistere nel fatto che nel caso della incandidabilità non occorra un giudizio, come citava il professor Zanon con riferimento all'articolo 66, ma si tratti di una causa assolutamente oggettiva e, nel caso in specie, di sentenze penali passate in giudicato.


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Il criterio distintivo, quindi lo scopo della distinzione, come diceva il professor Lanchester, è il seguente: mentre nelle cause di ineleggibilità è necessaria una valutazione che applichi le fattispecie giuridiche al caso concreto - quindi l'analisi che in questo caso spetta alla Giunta e poi alla Camera per i deputati e i senatori, ma che, in via ordinaria, è di competenza del giudice per le altre cariche elettive - nel caso delle ipotesi di incandidabilità questa non deve e non può avvenire, perché siamo in presenza di un fatto oggettivo.
Mi fa piacere che il professor Luciani abbia citato proprio ciò che avevo detto all'inizio, facendo riferimento, ad esempio, all'ipotesi dell'età: se non c'è il requisito dell'età, una persona non viene candidata e viene cancellata dalla lista.
L'idea attuale è quella di collegare l'incandidabilità al fatto che non si possa dare la condizionale, ritenendo che il legislatore abbia considerato quello il limite di gravità del reato penale. Ci sembrava giusto operare questo collegamento, anche se sono stati proposti alcuni emendamenti che vorrebbero alzare il limite minimo della condanna a tre anni.
Da questo punto di vista, ringrazio tutti, perché mi sembra che questa audizione sia stata importante ed utile.
Rispetto all'intervento del presidente Marini, tengo a precisare che abbiamo limitato l'audizione all'articolo 1 perché non abbiamo ancora esaminato l'articolo 3. È già in corso di elaborazione una proposta emendativa semplificativa volta a meglio identificare la fattispecie. Preciso, altresì, che stiamo semplicemente aggiornando una norma esistente: non dimentichiamo che la norma sull'ineleggibilità per conflitto di interessi è contenuta nel nostro ordinamento dal 1953 e che mai sono stati posti problemi di incostituzionalità o dubbi in merito.
Condivido pienamente il giudizio di eccessiva genericità o di non sufficiente precisazione della fattispecie giuridica, che può effettivamente creare problemi allo Stato, sui quali dovremo lavorare molto.
Non so se, nonostante se ne sia parlato in merito all'altro provvedimento che abbiamo in discussione, il presidente Violante vorrà svolgere un'audizione specifica su questo tema. Tengo a precisare che, su questo punto, siamo ancora in una fase di approfondimento e di elaborazione della norma, rispetto al testo del 1953 che già prevede l'ineleggibilità per conflitto di interessi, anche per cariche non governative.
Non dimentichiamo che anche i cittadini concessionari dello Stato non possono essere deputati, nonostante non rivestano cariche di Governo ma siano soltanto legislatori. Bisogna quindi verificare come adeguare la legge n. 60 del 1953.
Per il resto, mi sembra che gli spunti di riflessione che ci sono stati forniti oggi ci saranno molto utili per procedere alla votazione degli emendamenti.

PRESIDENTE. Anch'io trovo che questo incontro sia stato particolarmente utile. Sicuramente ha reso più complesso il lavoro, perché sono emersi con molta forza problemi che non avevamo ancora affrontato.
Mi pare che il punto di fondo sia proprio quello sottolineato dal relatore, ovvero che l'incandidabilità fa riferimento ad espressioni oggettivamente rilevabili con immediatezza, tali da non porre problemi interpretativi, a differenza del resto.
Intendiamo seguire un criterio descrittivo ben definibile, come quello della posizione in lista e dell'età, anche perché, trattandosi di un giudizio riguardante un diritto fondamentale, non può essere lasciato ad una valutazione di carattere discrezionale.

RICCARDO MARONE, Relatore sulle proposte di legge C. 1451 ed abbinate. Tengo a sottolineare il riferimento che si faceva all'articolo 66, non trattandosi di un giudizio.

PRESIDENTE. È una verifica. La causa di ineleggibilità, di contro, può essere teoricamente rimossa direttamente anche dalla persona eletta.
Il problema relativo all'articolo 10-bis è stato affrontato in altra sede. Ci sono emendamenti su questa materia, per cui lo


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valuteremo con ulteriore attenzione. In ogni caso, più andiamo verso un peso rilevante delle lettere e delle dizioni, più c'è bisogno di determinare alcuni tipi di condizioni, proprio per evitare che ci sia un prepotere, al di là delle persone a cui si possa fare riferimento.
Ovviamente, nel nostro Paese poche persone rientrano in questo tipo di disciplina, che però va sicuramente prevista, poiché non farlo lascerebbe strascichi e causerebbe polemiche politiche parlamentari.

MARCO BOATO. Il professor Lanchester auspicava una soluzione biologica!

PRESIDENTE. La biologia vale per le persone attualmente in vita. Per il futuro non sappiamo che cosa succederà. La medicina gerontologica, come sa - fortunatamente per me - fa progressi.
Vi ringrazio molto e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,45.