XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 49 di venerdì 3 febbraio 2023

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI

La seduta comincia alle 9,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

BENEDETTO DELLA VEDOVA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 66, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio di petizioni.

PRESIDENTE. Invito il deputato segretario di Presidenza a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

BENEDETTO DELLA VEDOVA, Segretario, legge:

Francesco Di Pasquale, da Cancello e Arnone (Caserta), chiede: l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle misure adottate per contenere la pandemia di COVID-19 (138) - alla XII Commissione (Affari sociali); disposizioni volte a garantire la sicurezza nelle zone della movida (139) - alla I Commissione (Affari costituzionali); il ripristino della festività nazionale del 4 novembre (140) - alla I Commissione (Affari costituzionali); interventi per il recupero delle persone affette da problemi di dipendenza da alcool e da sostanze stupefacenti, anche al fine di ridurre i rischi per la circolazione stradale (141) - alla XII Commissione (Affari sociali); il potenziamento degli interventi di manutenzione stradale, per garantire la sicurezza della circolazione (142) - alla VIII Commissione (Ambiente); nuove norme in materia di lavori pubblici (143) - alla VIII Commissione (Ambiente);

Aniello Traino, da Neirone (Genova), chiede: modifiche alla disciplina del superbonus 110 per cento con particolare riguardo ai cittadini meno abbienti (144) - alla VI Commissione (Finanze); misure per contrastare l'aumento dei costi delle bollette elettriche (145) - alla X Commissione (Attività produttive); norme per garantire l'equa distribuzione dei proventi derivanti dagli idrocarburi estratti nel territorio nazionale (146) - alla X Commissione (Attività produttive); contributi per le famiglie a basso reddito per l'acquisto di prodotti alimentari (147) - alla XII Commissione (Affari sociali); interventi legislativi in materia di flat tax (148) - alla VI Commissione (Finanze); nuove norme in materia di immigrazione irregolare (149) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

Massimiliano Valdannini, da Roma, chiede l'installazione di dispositivi di sicurezza innovativi in tutte le automobili (150) - alla IX Commissione (Trasporti);

Alessandro Amico, da Acireale (Catania), chiede: l'abrogazione dell'articolo 6 della legge 29 dicembre 1990, n. 405, in materia di versamento anticipato dell'IVA, e delle norme che prevedono l'automatico aumento dell'IVA a fini di salvaguardia dei conti pubblici (151) - alla VI Commissione (Finanze); l'approvazione di una legge elettorale di tipo maggioritario (152) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

Matteo Borelli, da San Benedetto Val di Sambro (Bologna), chiede: la tempestiva approvazione di una legge di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, in materia di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni (153) - alla I Commissione (Affari costituzionali); la ratifica ed esecuzione dei Protocolli n. 12 e n. 16 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (154) - alla III Commissione (Affari esteri); l'approvazione della proposta di legge d'iniziativa popolare recante «Norme contro la propaganda e la diffusione di messaggi inneggianti a fascismo e nazismo e la vendita e produzione di oggetti con simboli fascisti e nazisti» (atto Camera n. 4) (155) - alla II Commissione (Giustizia); l'approvazione della proposta di legge Baldino ed altri recante «Disposizioni e delega al Governo in materia di determinazione della data delle elezioni e dei referendum e di semplificazione del procedimento elettorale, per agevolare la partecipazione degli elettori» (atto Camera n. 302) (156) - alla I Commissione (Affari costituzionali); l'approvazione della proposta di legge Quartapelle Procopio ed altri recante «Istituzione della Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani fondamentali» (atto Camera n. 426) (157) - alla I Commissione (Affari costituzionali); l'istituzione di nuovi archivi di Stato e misure per la costituzione di nuovi poli archivistici (158) - alla VII Commissione (Cultura); l'abrogazione del regio decreto 16 novembre 1939, n. 1876, recante la dichiarazione di monumento nazionale della casa di via Paolo da Cannobio n. 25 e del salone dello stabile di piazza San Sepolcro n. 9 (159) - alla I Commissione (Affari costituzionali); disposizioni a favore della ricerca genealogica e della storia familiare (160) - alla VII Commissione (Cultura);

Remo Bibbiani, da Rosignano Marittimo (Livorno), chiede l'introduzione del reato di calunnia commesso dal coniuge o dal convivente (161) - alla II Commissione (Giustizia); sostegni economici ai genitori separati obbligati al pagamento dell'assegno di mantenimento (162) - alla II Commissione (Giustizia);

Francesco Romano, da Saviano (Napoli), chiede: la semplificazione delle procedure di iscrizione delle associazioni sportive dilettantistiche negli elenchi dei soggetti cui può essere destinato il 5 per mille del gettito dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (163) - alla V Commissione (Bilancio); l'emissione di buoni pluriennali del Tesoro da destinare all'edilizia scolastica (164) - alla V Commissione (Bilancio); disposizioni per consentire la partecipazione alle scelte editoriali della RAI da parte dei cittadini in regola con il pagamento del canone di abbonamento (165) - alla VII Commissione (Cultura);

Carlo Morganti, da Roma, chiede l'istituzione dell'onorificenza di Cavaliere della Patria (166) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

Filippo Mascolo, da Roma, chiede il riconoscimento ai fini pensionistici degli anni di espletamento della carica di sindaco (167) - alla XI Commissione (Lavoro);

Mariella Cappai, da Monserrato (Cagliari), chiede l'approvazione della proposta di legge Bisa ed altri recante «Modifiche al codice civile e al codice penale in materia di tutela della famiglia e dei minori, alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di affidamento dei minori, e istituzione dell'Osservatorio nazionale sulle comunità di tipo familiare» (atto Camera 381) (168) - alla II Commissione (Giustizia);

Diego Ludovici, da Frosinone, chiede l'elezione diretta del Presidente della Repubblica (169) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

Benito Alberto Ruiu, da Carate Brianza (Monza e Brianza), chiede interventi per potenziare il servizio di pronto soccorso (170) - alla XII Commissione (Affari sociali);

Paolo Alberto Paoli, da Prato, chiede misure a tutela delle persone emarginate (171) - alla XII Commissione (Affari sociali);

Plinio Omero De Zorzi, da Povoletto (Udine), chiede di sbloccare la cessione dei crediti edilizi legati al superbonus 110 per cento (172) - alla VI Commissione (Finanze);

Francesco De Siena, da Rogliano (Cosenza), chiede che la regione Calabria autorizzi e regolamenti la tecnica di pesca nota come «carpfishing» (173) - alla XIII Commissione (Agricoltura);

Raffaele Forestiero, da Roma, chiede interventi per la messa in sicurezza antisismica dei centri storici e degli immobili antichi tramite i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (174) - alla VIII Commissione (Ambiente);

Dario Bossi, da Montegrino Valtravaglia (Varese), chiede iniziative per l'istituzione, nell'ambito del corso di laurea in giurisprudenza, dell'insegnamento concernente gli errori giudiziari (175) - alla VII Commissione (Cultura);

Pino Pisicchio, da Roma, e altri cittadini chiedono di introdurre la previsione che le leggi elettorali debbano essere approvate a maggioranza qualificata e l'introduzione di un sistema elettorale pienamente proporzionale, con soglie di sbarramento appropriate o con premio di maggioranza (176) - alla I Commissione (Affari costituzionali).

Discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00038, Foti ed altri n. 1-00039, Bonelli ed altri n. 1-00054, Cattaneo ed altri n. 1-00055, Pavanelli ed altri n. 1-00043, Simiani ed altri n. 1-00057 e Manes ed altri n. 1-00058 concernenti iniziative in relazione alla proposta di direttiva europea sulla prestazione energetica nell'edilizia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00038, Foti ed altri n. 1-00039 (Nuova formulazione), Bonelli ed altri n. 1-00054, Cattaneo ed altri n. 1-00055, Pavanelli ed altri n. 1-00043, Simiani ed altri n. 1-00057 e Manes ed altri n. 1-00058 concernenti iniziative in relazione alla proposta di direttiva europea sulla prestazione energetica nell'edilizia (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto della seduta del 31 gennaio 2023 (Vedi l'allegato A della seduta del 31 gennaio 2023).

Avverto che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Foti ed altri n. 1-00039 (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare il deputato Candiani, che illustrerà anche la mozione n. 1-00038 di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

STEFANO CANDIANI (LEGA). La ringrazio, signor Presidente. Il gruppo Lega ha presentato questa mozione per interessare direttamente l'Aula della Camera affinché sia noto che quella direttiva europea, di cui si è avuta notizia e riguardo alla quale si è creato un dibattito anche nel nostro Paese, in merito all'efficientamento energetico degli edifici debba essere ben considerata e, soprattutto, debba essere affrontata. Prossimamente, ci sarà il trilogo, il confronto tra Commissione, Consiglio europeo e Parlamento europeo, e in questa fase i Paesi più interessati, come il nostro, devono fare la loro parte.

Per brevità e per economia, vado ad illustrare direttamente la mozione. La burocrazia europea torna nuovamente a colpire il tessuto economico e patrimoniale italiano e questa volta lo fa sotto la bandiera della transizione ecologica. Dopo anni di silenzio, la Commissione europea, con il recupero della proposta fatta nel 2021, pone al vaglio della Commissione per l'industria, la ricerca e l'energia del Parlamento europeo, il 9 febbraio 2023, quello che appare come l'ennesimo obbrobrio giuridico. Con l'obiettivo di ridurre l'impatto ambientale degli edifici, intende infatti fissare l'obbligo per tutti gli immobili residenziali di raggiungere una determinata classe energetica entro il 2030.

Il testo della direttiva, al momento ancora in fase di trattativa, prevede che, entro il 1° gennaio 2030, tutti gli immobili residenziali dovranno raggiungere almeno la classe energetica E. Successivamente, dopo altri tre anni, nel 2033, dovranno arrivare alla classe energetica D ed essere ad emissione zero nel periodo compreso tra il 2040 e il 2050. La richiesta dell'Europa comporterà dunque l'obbligo per gli Stati membri di ristrutturare il patrimonio edilizio. In caso contrario potrebbero addirittura essere applicate sanzioni ai singoli Stati. Una delle proposte iniziali prevedeva addirittura che fosse impedita la vendita o l'affitto della casa se non fosse stata a norma con l'efficienza energetica. Tale ipotesi sembra per ora fortunatamente tramontata ma, comunque, gli immobili che non verranno ristrutturati perderanno di valore, il che si prefigura come una reale stangata nei confronti dei contribuenti, sia che affrontino le spese di ristrutturazione sia che rinuncino per l'onerosità dei costi. Così facendo, dunque, Bruxelles dimostra ancora una volta di non conoscere le diversità che caratterizzano gli Stati membri e, di più, nel dettaglio, la particolarità dell'edilizia, dell'urbanistica e del patrimonio immobiliare italiano. L'Italia ha visto crescere il proprio tessuto urbano tra gli anni Sessanta e Ottanta dello scorso secolo, con una netta diminuzione delle costruzioni nei decenni successivi. Molte costruzioni sono precedenti alle normative sul risparmio energetico e sulla sicurezza sismica oppure sono state edificate in zone che sono successivamente divenute aree protette e sottoposte a vincolo. Si è venuto così a delineare, nel tempo, un quadro edilizio molto particolare di cui le Istituzioni europee non possono non tenere conto. Risulta infatti evidente che, differentemente dai Paesi del Nord Europa, dove gli immobili sono quasi tutti di recente costruzione, l'Italia ha alle spalle una lunga storia edilizia che non può essere di colpo adeguata a standard moderni imposti dalle pressanti richieste di un ambientalismo ideologico.

Il patrimonio edilizio italiano, secondo uno studio condotto dal Ministero dell'Economia e delle finanze e dall'Agenzia delle entrate, si compone di oltre 57 milioni di unità immobiliari, di cui almeno 19 milioni e mezzo sono abitazioni principali. La maggior parte degli immobili italiani ha una classe energetica di riferimento tra G ed F. L'avanzamento di classe energetica richiede solitamente un taglio dei consumi di circa il 25 per cento, con interventi come il cappotto termico, la sostituzione degli infissi, nuove caldaie a condensazione e pannelli solari, una serie di interventi, nonché di opere di ristrutturazione e ammodernamento, che necessitano di ingenti investimenti economici per il raggiungimento dei minimi previsti dalla Commissione europea. Imporre dall'alto, e in maniera indistinta, l'efficientamento energetico significa quindi gravare i cittadini di un ingiustificato esborso economico che si sommerebbe al già complesso periodo di crisi derivante dal COVID e dal caro energia.

L'Italia, Presidente, è un Paese che si compone di un'intricata rete di borghi, comuni e piccole frazioni arricchite da immobili storici e secolari. Molti di questi sono abitati e sono utilizzati ad abitazione principale oppure sono sede di istituzioni e di enti. Pare evidente, quindi, che la direttiva proposta risulterebbe di impossibile applicazione sul territorio nazionale. Il tipo di ambientalismo e di lotta alle emissioni messo in campo dall'Europa non trova alcun riscontro con la realtà e le esigenze dei cittadini. La direttiva proposta, infatti, evidenzia nuovamente come le azioni europee siano veicolate dal perseguimento degli interessi di alcuni Stati membri a discapito di altri. L'approvazione di una simile direttiva avrebbe il solo effetto di svalutare il patrimonio edilizio italiano e di impoverire i nostri concittadini. L'Italia ha da sempre investito sul mattone e sulla casa e non è un caso che sia uno dei Paesi con il più alto numero di proprietari di abitazioni principali. Quindi, la direttiva proposta si esplica come un chiaro attacco all'economia e al patrimonio edilizio italiano e pertanto dovrà essere oggetto della più dura opposizione.

Chiediamo pertanto al Governo di impegnarsi ad adottare le iniziative di competenza presso le competenti Istituzioni europee al fine di scongiurare l'introduzione di una disciplina quale quella di cui in premessa. Questo è il contenuto della mozione, Presidente. Aggiungo inoltre alcune considerazioni. È evidente che tutti noi dobbiamo essere impegnati nei confronti dell'efficientamento energetico e di una qualità ambientale elevata, nel contesto in cui viviamo. Tuttavia, è altrettanto evidente che non si può fare tutto questo senza che ci siano costi da affrontare e non considerare l'onerosità di questi costi a priori o, meglio, imporli a prescindere, significa o andare incontro a una frustrazione degli obiettivi, con l'irraggiungibilità, agli effetti pratici, di qualsiasi previsione, oppure utilizzare questi strumenti per fare pressione economica sui singoli Paesi, senza che ci sia nella realtà una capacità dei nostri concittadini di sopportare queste spese. Io mi sarei aspettato di vedere, quanto meno, in parallelo a queste proposte, un fondo economico dell'Unione europea destinato a quei Paesi, come il nostro, che hanno un patrimonio edilizio di maggiore rilievo storico, di maggiore qualità, anche dal punto di vista della costruzione ambientale dei borghi, che andasse ad aiutare i nostri concittadini ad affrontare queste spese. Invece, nulla di tutto questo. Ci troviamo di fronte a una ipotesi di direttiva che impone alcuni standard senza che ci sia la previsione di alcuna capacità economica, da parte dell'Unione europea, per aiutare e venire incontro agli Stati e ai nostri concittadini. In più, Presidente, c'è anche una carenza in termini di visione esterna. Noi sappiamo che l'Europa ha una sua responsabilità nella produzione di CO2, ma sappiamo anche che l'Europa pesa, a livello mondiale, per il 7 per cento a fronte di un Paese come la Cina, che produce circa il 30-33 per cento delle emissioni globali di CO2, di un Paese come gli Stati Uniti, che ne produce circa il 12-13 per cento, e dell'India, che ne produce il 7,5 per cento.

Questo per dire che noi ci possiamo impegnare con i massimi sforzi, ma se non c'è una politica globale, che, tutta assieme, prenda in considerazione questi sforzi e sviluppi delle azioni che vadano a ridurre le emissioni inquinanti, noi produrremo semplicemente uno sfascio economico nei livelli europei e nei nostri concittadini in Italia, non ottenendo alcun beneficio a livello globale e a livello planetario per quanto riguarda la qualità dell'ambiente.

Occorre, quindi, pragmatismo e occorre anche che ci sia consapevolezza di questi aspetti. Noi siamo, chiaramente, perché ci sia una qualità dell'ambiente e una qualità del contesto in cui viviamo, ma dobbiamo anche essere consapevoli che i costi e gli impegni che vengono presi e vengono imposti ai nostri concittadini debbono essere sostenibili e debbono avere una loro ragionevolezza. Se questa ragionevolezza manca all'interno delle direttive europee, il Governo ha il dovere di far valere e far sentire la voce e l'interesse dei cittadini italiani.

Su questo chiediamo al Governo che si impegni seriamente per scongiurare che una direttiva come questa - imposta in maniera irragionevole, senza criterio, utilizzando parametri che vanno bene per alcuni Paesi, magari del Nord Europa, che hanno una struttura edilizia molto più giovane rispetto alla nostra - venga imposta a una struttura edilizia e a una realtà economica come quella italiana, ripeto, senza alcun criterio e senza considerare lo squasso economico a cui andremo incontro. Su questo vogliamo l'impegno del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zaratti, che illustrerà anche la mozione n. 1-00054, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FILIBERTO ZARATTI (AVS). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, il 12 dicembre 2015 si è conclusa a Parigi la COP21, con l'obiettivo di pervenire alla firma di un accordo volto a regolare il periodo post 2020. Tale accordo ha definito quale obiettivo di lungo termine il contenimento dell'aumento della temperatura del pianeta al di sotto dei 2 gradi e il perseguimento degli sforzi di limitare l'aumento a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali.

Con la legge n. 204 del 2016, l'Italia ha ratificato l'accordo, che è entrato in vigore l'11 dicembre 2016.

Nel dicembre 2019 la Commissione europea ha presentato la comunicazione strategica sul Green Deal europeo per conseguire la neutralità climatica entro il 2050. Il Consiglio europeo, con le conclusioni del 12 dicembre 2019, ha stabilito che tutte le politiche e normative dell'Unione devono essere coerenti con tale traguardo, poi sancito dalla normativa europea sul clima, che ha introdotto un ulteriore obiettivo da conseguire entro il 2030, rispetto a una riduzione delle emissioni di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990.

Per questo, il 14 luglio 2021 la Commissione europea ha presentato il pacchetto di proposte legislative denominato “Pronti per il 55%” (FIT for 55%), volte a rivedere la normativa unionale in materia di riduzione delle emissioni climalteranti, energia e trasporti, per consentire il raggiungimento del nuovo più ambizioso obiettivo del 2030. Tra gli strumenti del FIT for 55%, riveste, tra le altre, particolare rilevanza la proposta di revisione della direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia, che punta ad avere in tutta Europa, entro il 2050, edifici a zero emissioni.

Il cuore della nuova direttiva è l'introduzione di standard minimi di prestazione energetica per gli edifici esistenti, alla stregua di quelli già in vigore per gli edifici nuovi. La proposta prevede che il 15 per cento del patrimonio edilizio con le peggiori prestazioni di ciascun Paese membro debba passare per gli edifici pubblici e non residenziali dalla classe G alla classe F entro il 2027 e alla classe E entro il 2030, mentre gli edifici residenziali avranno tempo fino al 2030 per portare il proprio certificato al livello F e fino al 2033 per portarlo alla classe E.

Ciascun Paese dell'Unione, una volta approvata la direttiva, sarà chiamato a recepirla, mettendo a punto il proprio Piano nazionale di ristrutturazione degli immobili, che sarà redatto sulla base delle condizioni nazionali, dello stock degli edifici, della disponibilità dei materiali e dei lavoratori. Ci pare, dunque, del tutto ingiustificato - visto che sarà il nostro Paese a programmare il passaggio - e pretestuoso il clima di allarme e paura che si è voluto ingenerare nell'opinione pubblica su questa vicenda. Si è parlato di eco-patrimoniale, di sanzioni a carico dei proprietari, di attacco alla proprietà privata, di deprezzamento degli immobili: tutte cose prive di fondamento. Poco e nulla è stato detto, invece, sul consumo energetico medio del patrimonio edilizio residenziale italiano costruito prima del 1990 e che fa affidamento sul gas naturale come principale fonte di energia, né sulla povertà energetica, che oggi colpisce in maniera sempre più evidente le famiglie italiane.

Con quasi il 45 per cento dei consumi finali, quello degli edifici è il primo settore in Italia per consumi di energia, con oltre i due terzi derivanti da abitazioni residenziali, settore che nel corso degli anni ha aumentato più di tutti gli altri la propria fame di energia: dal 1990 al 2019, escludendo la riduzione congiunturale dell'anno della pandemia, è passato da 34 a quasi 50 milioni di tonnellate di petrolio equivalente, con un incremento del 44 per cento.

Per soddisfare il fabbisogno energetico delle abitazioni, nel 2021 in Italia sono state consumate 33 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, di cui oltre il 50 per cento rappresentato da gas e poco meno del 20 per cento da energia elettrica, immettendo in atmosfera circa 70 milioni di tonnellate di gas serra.

Negli ultimi due decenni, mentre gli altri Paesi europei hanno progressivamente ridotto i consumi delle abitazioni mettendo in campo politiche e misure di efficientamento efficaci, l'Italia è rimasta ferma al palo: in 20 anni, infatti, i consumi energetici medi di una casa italiana non sono praticamente cambiati, mentre in Europa in media sono stati tagliati del 17 per cento e in alcuni Paesi, come la Francia, si sono spinti verso un taglio di oltre il 20 per cento.

Gli interventi di efficientamento energetico del patrimonio immobiliare sono, dunque, fondamentali, sia per raggiungere l'obiettivo di piena decarbonizzazione riducendo l'uso delle fonti fossili nel rispetto degli impegni assunti dal nostro Paese a livello internazionale, sia per migliorare le prestazioni energetiche degli immobili riducendo le dispersioni di calore e, più in generale, il fabbisogno energetico annuale dell'energia primaria per il riscaldamento, il raffrescamento, la ventilazione e la produzione di acqua calda sanitaria, con l'abbattimento dei costi di esercizio degli impianti domestici.

Gli immobili più energivori sono quelli in cui si ritiene che, attraverso la spesa minore, sia possibile raggiungere benefici maggiori in termini di riduzione dei consumi, di ritorno economico e anche di benessere sociale, stante che i residenti di queste abitazioni sono quelli più spesso colpiti da povertà energetica.

Il Paese ha sperimentato per 2 anni il superbonus, che ci ha consentito di accumulare un patrimonio di conoscenze e di comprendere come affrontare gli aspetti critici di piani di intervento di ristrutturazione estensivi, valorizzando e migliorando i punti di forza. Gli interventi di coibentazione con il superecobonus 110 per cento, realizzati fino a dicembre 2022, hanno generato un risparmio energetico di quasi 900 milioni di metri cubi standard di gas, il 32 per cento degli obiettivi di risparmio sugli edifici residenziali che il Governo intende realizzare nella stagione invernale 2022-2023, per contribuire a fare fronte alla crisi energetica in corso.

Siamo stati in grado di fare molto in poco tempo. Il Governo, con i primi provvedimenti adottati, ha deciso di ridimensionare l'accesso al superbonus, abbassando il livello di detrazioni e mantenendo il progressivo décalage temporale al 2025, già assunto dal Governo Draghi.

Noi, al contrario, riteniamo necessario stabilizzare la misura di detrazione fiscale del superbonus nell'arco dei 10 anni per far fronte al costo degli interventi per l'efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico e privato, semmai razionalizzando l'articolato quadro degli incentivi e delle agevolazioni fiscali sugli interventi edilizi in vigore, con un meccanismo semplificato e legato in modo più stringente al miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici e prevedendo percentuali di detrazioni differenziate secondo le fasce di reddito, con la massima detrazione destinata alle fasce più deboli e ai proprietari di immobili destinati alla prima casa.

Mettere nelle migliori condizioni il Paese per affrontare la riconversione energetica del proprio patrimonio edilizio, pubblico e privato, significa anche affrancarlo dalle importazioni di gas, usato prevalentemente per riscaldare abitazioni ed edifici, riducendo drasticamente il fabbisogno energetico e i costi della bolletta per i cittadini.

Per questo riteniamo fondamentale accogliere questa sfida di innovazione per il Paese, mettendo in campo fin da subito un piano straordinario di formazione professionale per il green building, riconvertendo parte dell'attuale sistema di formazione professionale verso specifici profili tecnici di esperti, progettisti ed esecutori degli interventi di efficienza e riqualificazione energetica degli edifici, accompagnando la riqualificazione di lavoratori polivalenti di imprese in crisi aziendale.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Mazzetti, che illustrerà anche la mozione n. 1-00055, di cui è cofirmataria.

ERICA MAZZETTI (FI-PPE). Grazie, Presidente e grazie ai colleghi presenti. In questi giorni, sta prendendo forma la nuova direttiva dell'Unione europea sulle case verdi, in vista dell'avvio della discussione in Commissione energia del Parlamento europeo, previsto per il 9 febbraio, che porterà poi, secondo l'attuale agenda, all'introduzione negli Stati membri del sistema dei passaporti di ristrutturazione, previsto per il 31 dicembre 2024.

Presidente, dalla propria nascita, oltre 29 anni fa, Forza Italia ha sempre intrapreso nel proprio programma la tutela della casa come bene di prima necessità, da tutelare economicamente e salubremente e, anche in questo contesto, il Presidente Silvio Berlusconi e tutti noi siamo stati i primi ad agire per tutelarla in questa sede e in Europa. Oggi vogliamo ribadire che la casa è sacra e inviolabile. Scusi un attimo.

PRESIDENTE. Attendiamo non si preoccupi.

ERICA MAZZETTI (FI-PPE). Oggi vogliamo ribadire che la casa è sacra e inviolabile, è un tetto sulla testa e il rifugio della famiglia ed è il primo investimento degli italiani. Siamo convinti della necessità di un nuovo Piano casa nazionale, che manca dal 2009, quando fu approvato proprio dal Governo Berlusconi. Il progetto di direttiva sull'efficienza energetica nell'edilizia, proposto dalla Commissione europea il 15 dicembre 2021, si innesta nella serie di misure da adottare nell'ambito del pacchetto Fit for 55 per raggiungere gli obiettivi di efficientamento energetico e di carbonizzazione, fissati a livello europeo in due step - uno nel 2030 e uno nel 2050 - anche se, negli ultimi anni, a livello economico e sociale sono cambiate molte situazioni - pandemia, guerra, aumento del costo delle materie prime ed energia - che rendono più difficili tali obiettivi. Come sappiamo, l'elemento centrale della direttiva è l'introduzione di standard minimi di prestazione energetica per gli edifici, con l'introduzione di obblighi di riqualificazione per migliorare il rendimento energetico. Ogni Stato membro dovrà stabilire la propria strategia a lungo termine, nell'ambito di un Piano nazionale di ristrutturazione degli edifici, per sostenere la modernizzazione del parco nazionale di edifici residenziali e non residenziali, sia pubblici che privati, in vista dell'obiettivo della neutralità climatica del 2050.

L'azione italiana, portata avanti dal precedente Esecutivo, per tutto il 2022, si è concentrata principalmente intorno agli standard minimi di prestazione energetica degli edifici (vedi articolo 9). Una richiesta, condivisa da altri Paesi europei, ha palesato la necessità di uno scadenzario di adeguamento più flessibile per avere un parco immobiliare compatibile con la neutralità climatica del 2050. Dall'altro lato, Germania, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo avevano chiesto target e tempistiche più stringenti. Il compromesso finale, raggiunto soprattutto grazie all'azione di Forza Italia, ha consentito, in primis, di rivedere la tempistica di adeguamento delle prestazioni energetiche degli edifici, in modo da renderle più graduali e meno stringenti, e di garantire inoltre la possibilità di esenzione per alcune categorie.

Rispetto al testo iniziale proposto dalla Commissione, il testo avallato dal Consiglio europeo prevede che solo gli edifici residenziali di nuova costruzione dovranno essere ad emissioni zero entro il 2030. Per gli edifici residenziali esistenti la scadenza per il raggiungimento degli obiettivi resta il 2050, fatta eccezione per alcune tipologie di edifici, come quelli storici - da precisare meglio in base alle caratteristiche territoriali e nazionali, perché questo punto ancora, ahimè, non è chiaro - e come, ad esempio, gli edifici di tutti i nostri centri cittadini e borghi, i luoghi di culto e gli edifici utilizzati a scopo di difesa, che restano esclusi. Questi interventi non danno al momento garanzie sufficienti.

Il 9 febbraio, tra meno di una settimana, è previsto l'avvio della discussione in Commissione energia al Parlamento dell'Unione europea e lasciare la direttiva nella sua originaria concezione sarebbe un grave errore. Lo dico da convinta europeista, in un partito che, prima e meglio di tutti, ha difeso un'idea di Europa vera. Ciò nonostante, dobbiamo correggere l'Europa, quando sbaglia, come in questo caso. Secondo i dati dell'ANCE, infatti, in Italia oltre 9 milioni di edifici, su 12,2 milioni, non sarebbero in regola: 2 case su 3 dovrebbero quindi essere ristrutturate. Nel nostro Paese, il 74 per cento degli immobili è stato realizzato prima dell'entrata in vigore della normativa completa sul risparmio energetico e sulla sicurezza sismica ed il 77 per cento degli attestati di prestazione energetica emessi nel 2020 si riferiscono a immobili che ricadono nelle classi più inquinanti (E, F e G). Proprio la classe G, in particolare, incide per oltre un terzo, per circa il 35 per cento, secondo il monitoraggio effettuato dall'ENEA. Il contenuto della proposta di direttiva, così com'è, avrebbe dunque un notevole impatto sul parco immobiliare italiano ed in particolare sui 9 milioni di edifici residenziali non in regola, i quali rischierebbero di subire un drastico calo del proprio valore, come sottolineato da Confedilizia, ma anche da ABI, FIAIP e da tutte le associazioni immobiliari nazionali che sono giustamente preoccupate, come tutti noi di Forza Italia. La direttiva deve tener conto delle peculiarità di ogni Stato membro e delle condizioni attuali: l'Italia è infatti un Paese a proprietà immobiliare diffusa, sia per la tradizionale tendenza ad abitare in case di proprietà (circa l'80 per cento secondo i dati FIAIP), sia per la propensione a investire nel settore immobiliare i propri risparmi (pari al 60 per cento, sempre secondo FIAIP). In più, nel nostro territorio, la maggior parte dei complessi edilizi è costituita da condomini, la cui complessa gestione potrebbe comportare ritardi nel raggiungimento degli obiettivi della direttiva. Non solo: in termini di costi, attualmente il processo di efficientamento appare insostenibile; per un condominio, il salto di due classi energetiche può arrivare a costare anche 600.000 euro, tra lavori di coibentazione, sostituzione delle caldaie, installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto, infissi e molto altro. Per un appartamento di media grandezza, che è quello che maggiormente è in voga nel nostro Paese, il passaggio di classe energetica può arrivare a costare oltre 20.000 euro, cifra che sale per le case dei centri storici; per una villetta verde si pagheranno invece oltre 100.000 euro, basti pensare che, per l'installazione di una pompa di calore si possono spendere fino a 15.000 euro. Non solo, la filiera edile è motrice di tutta l'economia italiana; pertanto, va ascoltata, sostenuta e incentivata, fornendo soprattutto norme chiare e non interpretabili, evitando di ripetere il caos normativo che abbiamo visto con il superbonus, una misura eccezionale nei principi, ma scellerata nei tempi e nei modi, di cui oggi paghiamo tutti le conseguenze economiche, ma anche strutturali ed architettoniche. Qui apro una parentesi, legata sempre al tema dell'efficientamento energetico. Noi siamo favorevoli a nuovi incentivi per migliorare gli immobili con il sistema della cessione dei crediti in modo organico, ma prima dobbiamo risolvere il problema di tutti quelli incagliati nei cassetti fiscali. È per questo che proprio Forza Italia ha presentato una mozione, a mia prima firma, che inizierà la discussione in quest'Aula il 27 febbraio. La parola d'ordine deve essere buon senso, a livello nazionale - e ne abbiamo molto - ma anche e soprattutto a livello europeo.

La riqualificazione energetica è corretta, ma dev'essere sostenibile economicamente e socialmente per tutti i cittadini italiani, imprenditori e professionisti del settore edile. Per questo ritengo la direttiva anche un'opportunità solo e soltanto se corretta e adattata al contesto italiano e, quindi, inserita in una cornice di sostegni stabili e duraturi alla riqualificazione.

La mia proposta è di prevedere un incentivo proporzionale all'aumento di classe energetica o ai lavori completati contro il rischio sismico. Intorno a questo, poche norme di principio tecnico ma soprattutto stabili e non interpretabili. Serve, inoltre, una vera rivoluzione culturale: zero burocrazia all'avvio dei lavori e controlli solo successivamente, come sosteniamo da tempo e come vorremmo che fosse portato avanti da questo Parlamento.

Come Forza Italia, Presidente, continuiamo a difendere i cittadini e gli imprenditori anche e soprattutto dopo il 9 febbraio, quando il confronto entrerà nel vivo con i negoziati interistituzionali fra Parlamento e Consiglio europeo, al fine di raggiungere un compromesso su un testo condiviso che possa rispettare le peculiarità del territorio italiano. Dovremo necessariamente avviare un percorso di confronto in VIII Commissione (Ambiente) con i rappresentanti del settore edile e immobiliare, dei proprietari di casa e di tutti coloro che ruotano intorno alla filiera.

Riassumendo, ad oggi la direttiva ha tempi e costi irragionevoli, soprattutto in questo frangente: determinerebbe il crollo del valore degli immobili, ma anche un possibile ulteriore irrigidimento dei mutui bancari. Il rispetto dell'ambiente e l'obbligo di non sprecare energia sono principi che non possono tradursi in obblighi e costi per le famiglie. La tutela della casa è stata sempre uno dei capisaldi della politica di Forza Italia e la tutela della salute e dell'ambiente non si realizzano in questo modo. Servono incentivi veri che devono partire dall'Europa fino ad arrivare al nostro Paese e non un'imposizione dall'Europa.

Ritengo che la proposta di modifica promossa dall'Italia a tutti i livelli, sperando in una prossima massima e trasversale condivisione, debba partire da questi tre capisaldi: sistema di incentivi strutturali e stabili secondo il criterio della proporzionalità sopra descritto e a favore dei meno abbienti, perché crediamo fortemente che sia soprattutto una vera azione sociale; ampliamento delle deroghe, a seconda delle caratteristiche degli immobili e dei territori; dilatazione temporale delle scadenze, fatta salva la soglia del 2025 e ragionando, quindi, in tempi molto più lunghi.

Vedete, Presidente e cari colleghi, in conclusione questa direttiva, se modificata e se accompagnata da una chiara cornice di incentivi strutturali - il cui peso non deve assolutamente ricadere sulle tasche degli italiani - sulla scia del superbonus e imparando proprio da questo in base agli errori commessi, nei modi e nei tempi, può essere da stimolo al settore e può essere utile agli italiani, però senza imposizioni dall'Europa e su scelta del nostro Governo e del nostro Parlamento, che meglio di tutti conoscono il proprio territorio con le sue particolarità, le sue caratteristiche immobiliari, le sue esigenze e disponibilità. Diversamente, rischia di essere solo un pericoloso auto-danneggiamento e noi di Forza Italia sicuramente non lo permetteremo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Massimo Milani, che illustrerà anche la mozione n. 1-00039, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MASSIMO MILANI (FDI). Grazie, Presidente. Ormai siamo prossimi alla conclusione dei lavori avviati da oltre 18 mesi dalla Commissione, dal Consiglio e dal Parlamento europeo sul progetto di rifusione della direttiva sull'efficienza energetica dell'edilizia. Questo provvedimento, contenuto nel più ampio pacchetto  “Fit for 55”, in italiano “Pronti per il 55 per cento”, vuole concorrere all'ambizioso obiettivo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030, per arrivare ad un'Unione europea climaticamente neutra e ad emissioni zero nel 2050.

Premesso che gli obiettivi sono ampiamente condivisibili, siamo, però, oggettivamente allarmati dalle conseguenze di questi tempi così stretti.

Far scomparire edifici residenziali e non residenziali con ridotte prestazioni energetiche secondo una tempistica molto ravvicinata contrasta in modo netto con le peculiarità del patrimonio immobiliare italiano, risalente nel tempo, di proprietà diffusa, sovente di tipo condominiale e, quindi, con difficoltà di applicazione. In particolare, l'unica proposta di compromesso, che, come sappiamo, sarà posta in votazione il prossimo imminente 9 febbraio nella Commissione ITRE, la Commissione per l'Industria, la ricerca e l'energia del Parlamento europeo, dispone che gli edifici residenziali dovranno essere adeguati alla classe di prestazione energetica E entro il 1° gennaio 2030 e alla classe di prestazione energetica D entro il 1° gennaio 2033.

In Italia gli edifici ad uso residenziale sono oltre 12 milioni, per un totale complessivo di circa 32 milioni di singole abitazioni. La vita media del patrimonio edilizio italiano è di oltre 45 anni ed è stato costruito nel periodo antecedente l'entrata in vigore della legge 30 marzo 1976, n. 373, che disponeva le norme per il contenimento del consumo energetico per usi termici negli edifici.

Aggiungo che la massima parte degli edifici, in realtà, è stata costruita in Italia all'indomani della Seconda guerra mondiale, con esigenze di celerità e non certo con gli obiettivi di contenimento energetico che oggi giustamente l'Europa si pone.

Se la proposta di direttiva non dovesse essere modificata nella parte relativa alle tempistiche e alle classi energetiche, si stima che dovranno essere ristrutturati oltre 9 milioni di edifici residenziali nell'arco di appena 7 anni. Nel testo del provvedimento non è prevista, infatti, per gli Stati membri la sufficiente flessibilità per adattarsi al contesto nazionale, per valutarne la fattibilità, le necessità economiche e per verificare la capacità finanziaria dei proprietari e dei conduttori chiamati ad affrontare gli interventi suddetti. In moltissimi casi gli interventi richiesti non saranno neppure materialmente realizzabili per via delle particolari caratteristiche del patrimonio edilizio italiano. Pensiamo, infatti, ai centri storici e alle migliaia di borghi oggetto di vincolo paesaggistico.

Inoltre, i tempi ridottissimi determineranno una tensione senza precedenti sul mercato, con un aumento spropositato dei prezzi e impossibilità di trovare materie prime, ponteggi, manodopera qualificata, ditte specializzate e professionisti, come già, purtroppo, abbiamo visto in questi 2 ultimi anni nell'applicazione forsennata del super incentivo cosiddetto superbonus 110. Nell'immediato, poi, l'effetto sarà una perdita di valore della stragrande maggioranza degli immobili italiani e, di conseguenza, un impoverimento generale delle nostre famiglie.

Sempre in riferimento alla medesima direttiva europea, il gruppo di Fratelli d'Italia aveva già presentato anche in Commissione ambiente una risoluzione in tal senso. La mozione che oggi depositiamo qui in Aula differisce da quella presentata in Commissione poiché evidenzia un aspetto ulteriore relativo ai requisiti che, dal 2030, dovranno possedere gli edifici di nuova costruzione. La proposta di direttiva europea stabilisce, infatti, che nel 2030 potranno essere edificati solo edifici a emissioni zero, prevedendo che negli stessi il residuo fabbisogno energetico possa essere soddisfatto solo da fonti rinnovabili generate in loco, con ciò di fatto indicando un unico vettore energetico, ovvero la corrente elettrica, ed escludendo tutte le altre tecnologie che non possono garantire il rispetto del principio della generazione in loco, senza peraltro fondare tale limitazione su una corretta analisi dell'intero ciclo di vita delle diverse fonti e dei vettori energetici.

Facendo riferimento solo alle fonti rinnovabili di energia generata in loco si esclude, di fatto, la possibilità che il residuo fabbisogno energetico dei nuovi edifici possa essere soddisfatto con fonti rinnovabili, quali, ad esempio, il biometano, il bio GPL o altri prodotti rinnovabili anche da carbonio riciclato, che non sono generati in loco, ma che vengono stoccati presso l'edificio o che vengono distribuiti tramite una rete.

Di conseguenza, le limitazioni poste dalle definizioni di edificio a emissioni zero o quasi zero non solo risultano in contrasto con il principio di neutralità tecnologica, ma rappresentano un ostacolo allo sviluppo degli investimenti per la produzione dei gas rinnovabili, settore in cui l'Italia vanta eccellenze nazionali e mondiali, direi. Le citate limitazioni penalizzano in modo rilevante la nostra Nazione, che vedrebbe bloccati i progetti in atto per la produzione di gas rinnovabili, così come di apparecchiature in grado di impiegarli con elevatissimi rendimenti energetici, progetti che sono, invece, in grado di contribuire alla decarbonizzazione non solo degli edifici di nuova costruzione, ma soprattutto di tutto il patrimonio edilizio già esistente. Quindi, in questa mozione vogliamo evidenziare anche questo ulteriore aspetto critico della proposta della direttiva dell'Unione europea.

In conclusione, signor Presidente, per migliorare le prestazioni energetiche di milioni di edifici è necessario porsi obiettivi realistici, diciamo noi di Fratelli d'Italia. Occorrerebbe, soprattutto, agire attraverso misure incentivanti, e non imponendo ai Paesi europei, diversissimi fra loro, obblighi pensati dietro le scrivanie dei palazzi di Bruxelles; si sta scegliendo la strada della coercizione, senza neppur prevedere in capo agli Stati membri un'adeguata flessibilità per adattare le nuove norme ai contesti nazionali. Abbiamo molto apprezzato gli interventi di rassicurazione che il Ministro Pichetto Fratin ci ha dato nei giorni scorsi, con diverse dichiarazioni giornalistiche, ma noi siamo qui, a porre, appunto, l'accento sugli aspetti critici e lo invitiamo a continuare a porre la massima attenzione, a nome del Governo italiano, su questa tematica.

Alla luce di queste considerazioni, appare doveroso intraprendere ogni possibile azione per far sì che l'imminente fase finale di esame della bozza di direttiva europea possa condurre a ripensare un'impostazione che per l'Italia avrebbe conseguenze devastanti. Migliorare le prestazioni energetiche di milioni di edifici in un arco temporale così limitato è molto sfidante e ambizioso, ma potrebbe avere anche forti difficoltà realizzative e, quindi, effetti rischiosi per i proprietari e per il valore degli immobili; potrebbe addirittura ravvisarsi un serio pericolo anche per le banche e per le loro garanzie, poiché una riduzione generalizzata del valore del patrimonio immobiliare italiano, che è la garanzia reale sottostante all'erogazione dei mutui, porterebbe a una stretta creditizia e, peggio, a una esposizione delle banche a causa della svalutazione delle garanzie reali sottostanti i mutui già erogati negli anni precedenti.

Per cui, concludo, invitando il Governo e segnatamente il nostro Ministro Pichetto Fratin a occuparsi in maniera più attenta di questa tematica e a rappresentare in maniera adeguata le istanze peculiari dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Enrico Cappelletti, che illustrerà anche la mozione n. 1-00043, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ENRICO CAPPELLETTI (M5S). Grazie, Presidente. Gentili colleghi e colleghe, rappresentante del Governo, questa che ci apprestiamo a illustrare è una mozione particolarmente importante, per le molte ripercussioni che potrà avere sulla qualità della vita dei cittadini, sul contrasto all'effetto serra e al cambiamento climatico, ma anche sulla nostra economia, sul nostro sviluppo, sull'occupazione e sulla nostra autonomia energetica.

Poi, Presidente, è anche una discussione paradossale, per certi punti di vista, e le cito almeno un paio di motivi: il primo motivo è che arriviamo a questa discussione sulla necessità di avere sistemi di riscaldamento più efficienti, infissi più performanti, un isolamento termico più efficace e impianti fotovoltaici per tutte le case degli italiani proprio all'indomani della demolizione, da parte della maggioranza e del Governo, del superbonus, superbonus che, tra l'altro, è stato invocato più volte, negli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, da parte di tutte le forze politiche. Sappiamo che il superbonus è stato uno strumento straordinario, che, prevedendo appunto sistemi di riscaldamento più efficienti, infissi performanti, isolamento termico più efficace, impianti fotovoltaici, eccetera, eccetera, andava esattamente incontro alle esigenze indicate nella presente proposta di direttiva. Se non fosse stato demolito, quindi, avrebbe reso perfino superflua questa discussione.

Per una volta, signor Presidente, il nostro Paese, con una misura utile, coraggiosa e innovativa, era riuscito ad anticipare tutti gli altri Paesi d'Europa. Maggioranza e Governo hanno pensato bene, invece, di demolirla, peraltro, lasciando in mezzo alla strada 25.000 imprese edili, la cui unica colpa è stata quella di fidarsi dello Stato e che, ora, sono tutte a rischio fallimento. Ma paradossale è anche la reazione scomposta con cui alcune forze di maggioranza, in particolar modo la Lega - l'abbiamo appena ascoltata -, ma non solo, hanno reagito rispetto a questa bozza di direttiva. È paradossale perché, quando, in fase ascendente, se ne è parlato, discusso e votato in Parlamento, la posizione della Lega era stata favorevole e questo è accaduto solo pochi mesi fa, basta leggere i verbali della Commissione. Leggo qualche stralcio della risoluzione approvata dalla XIV Commissione permanente lo scorso 3 agosto 2022. “La Commissione - ovviamente nel merito di questa proposta di direttiva in fase ascendente -, tenuto conto delle considerazioni emerse nel corso delle - numerose - audizioni (…), ritiene che la proposta rispetti il principio di sussidiarietà, in quanto l'obiettivo di allineare la direttiva sulle prestazioni energetiche nell'edilizia ai rafforzati obiettivi dell'Unione europea in materia di clima ed energia può essere ottenuto solo mediante uno strumento legislativo dell'Unione europea”. Esattamente il contrario di quello che ho ascoltato questa mattina, in quest'Aula. “Un'azione a livello dell'Unione” - continuo a leggere - “inoltre, rappresenta un valore aggiunto rispetto a un'azione degli Stati non coordinata, al fine di accelerare la transizione energetica verso edifici più efficienti dal punto di vista energetico, trainando gli investimenti nella ristrutturazione degli edifici, creando posti di lavoro, stimolando l'innovazione, aumentando i vantaggi del mercato interno per i prodotti da costruzione e gli elettrodomestici e incidendo in maniera positiva sulla competitività dell'ecosistema dell'edilizia e dei settori correlati”.

Questa risoluzione, lo ripeto, è stata approvata, solo pochi mesi fa, anche dalla Lega. Stonano questi impegni con le parole che compaiono su alcune delle mozioni oggi in esame, come, ad esempio: obbrobrio giuridico, ambientalismo ideologico, direttiva che dovrà essere oggetto della più dura opposizione. Stonano queste parole, anche perché provengono da forze politiche che sostengono il Governo Meloni, poiché è lo stesso Governo il cui rappresentante ha dato parere favorevole alla proposta di direttiva nel corso della recente riunione dei Ministri dell'Energia dei 27 Stati membri dell'Unione, in cui si sono sentite parole di apprezzamento pronunciate, a nome del nostro Paese, dal Ministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica, Pichetto Fratin, il quale, nel merito del testo della proposta, ha detto: “Questo compromesso rende un po' più agevole la riqualificazione degli edifici esistenti non residenziali”, e poi: “Questa proposta rappresenta un compromesso, un equilibrio tra ambizione e fattibilità, in uno spirito che possiamo, quindi, tutti accettare”, con riferimento agli edifici residenziali esistenti. Quindi, questa è la posizione del Governo.

Ma, come se non bastasse il favore del Ministro Fratin, il Ministro Fitto, in risposta all'interrogazione parlamentare n. 3-00102, ha chiarito che il testo della proposta di direttiva: non contiene alcun divieto o limitazione alla possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati; individua i singoli Stati membri, e non i singoli proprietari, come soggetti obbligati al perseguimento degli obiettivi di riqualificazione; prevede che ogni Stato membro definisca la propria strategia di riqualificazione del patrimonio immobiliare mediante l'adozione di piani nazionali di ristrutturazione edilizia contenenti gli obiettivi nazionali e le indicazioni da questo previste; infine, consente ai singoli Stati di esentare dall'applicazione degli standard minimi determinate tipologie di immobili dall'obbligo di riqualificazione.

Sembra che la campagna elettorale attualmente in corso offuschi a qualcuno la vista, faccia prendere posizioni demagogiche che sono diametralmente opposte a quelle portate avanti solo fino a pochi mesi fa in Parlamento e faccia prendere a qualche gruppo politico addirittura le distanze dai propri Ministri, ovviamente, lo sappiamo bene, solo per qualche giorno, cioè fino alla data del voto prossimo delle elezioni regionali e amministrative.

Ma vorrei tornare sul superbonus, che è al centro della discussione, anche oggi, in quest'Aula. Secondo il Ministro Giorgetti, è stato un buco nelle casse dello Stato. A parte che ricordo al Ministro Giorgetti che lo ha votato, come la Presidente Meloni, ma le cose stanno molto diversamente, perché il superbonus 110 per cento ha attivato 900.000 posti di lavoro, ha portato, secondo stime di centri studi autorevoli, 43 miliardi di entrate fiscali, cioè oltre il 70 per cento dell'investimento è rientrato nelle casse dello Stato sotto forma di tasse ed imposte.

È costato, dunque, la differenza tra l'investimento effettuato e le aumentate entrate fiscali, solo 17,6 miliardi, peraltro, spalmati nei 5 anni della detrazione fiscale; 17 miliardi, non 60. Di questi 17 miliardi, 13 sono stati finanziati con il PNRR, ottenuto dal Presidente Conte. Il superbonus ha contribuito per il 22 per cento alla crescita del PIL nel 2022. Il superbonus ha prodotto e consentito 500 euro di risparmio all'anno in bolletta per circa 500.000 famiglie. Il superbonus ha prodotto un taglio delle emissioni inquinanti di quasi 1 milione di tonnellate di CO2. E, badate bene, a differenza di tanti altri bonus, il sistema delle asseverazioni ha ridotto, in modo sostanziale, le truffe.

Il 97 per cento delle truffe, secondo l'Agenzia delle entrate, in audizione proprio qui, in Parlamento, ha riguardato altri bonus. Sono risultati enormi, straordinari, comunque li si voglia guardare.

Il testo, in corso di revisione, della direttiva prevede che, a partire dal 2030, tutti i nuovi edifici dell'Unione europea dovranno essere a zero emissioni. Gli edifici residenziali esistenti con le peggiori prestazioni dovranno, invece, raggiungere almeno la classe F entro il 2030 e la classe E entro il 2033. Si tratta, certo, di una sfida enorme, ma, se ben giocata, anche di un altrettanto enorme opportunità per il nostro Paese. Secondo il professor De Santoli, prorettore de La Sapienza, il risparmio energetico conseguente all'aumento delle classi energetiche da G o F verso la classe E per circa 21 milioni di appartamenti può essere cautelativamente stimato in una riduzione dei consumi del 15 per cento, riduzione dei consumi che diventa, naturalmente, un alleggerimento delle bollette energetiche e delle famiglie. A conti fatti, questo risparmio vale dai 10 ai 12 miliardi di euro all'anno in bollette energetiche più leggere, ma a fronte di quali costi? Una stima sommaria di 10.000, 15.000 euro per alloggio porterebbe presumibilmente ad investimenti necessari nell'ordine di 30-40 miliardi di euro all'anno per i prossimi sette anni, da qui al 2030.

Sono cifre importanti. Come fare a trovare queste risorse? Come, peraltro, già condiviso da tutte le forze del Parlamento di maggioranza nella citata risoluzione della XIV Commissione (leggo testualmente): è necessario che questa proposta di direttiva preveda anche una disciplina volta all'individuazione delle modalità per assicurare le ingenti risorse private e pubbliche necessarie per l'effettuazione degli interventi e delle ristrutturazioni, come potrebbe essere, ad esempio, una misura strutturata come il superbonus 110 per cento ed il connesso strumento della cessione del credito.

Occorre sviluppare, insomma, adeguati meccanismi finanziari per rendere l'efficientamento energetico più attraente per l'intera filiera. Si può costruire una linea di sviluppo industriale nazionale inserita in una strategia energetica pluriennale in rapporto con la Commissione europea, per definire il flusso dei finanziamenti necessari dedicati alla riqualificazione energetica degli edifici.

Non ci sono tante altre strade. Questo processo di efficientamento energetico non va bloccato, al contrario va rilanciato, e il superbonus può esserne il protagonista, magari rivisto, proprio in funzione degli obiettivi posti in essere dalla nuova direttiva.

Bisogna riuscire a saper cogliere questa occasione, dalla quale tutti abbiamo da guadagnare in termini di minori spese energetiche, di migliore qualità della vita, di minori emissioni nocive nell'ambiente, di riduzione dell'effetto serra, di emancipazione energetica del nostro Paese. Il nostro tessuto economico, peraltro, presenta importanti distretti industriali specializzati proprio nella produzione di quei beni che vengono impiegati negli interventi di efficientamento energetico; distretti che vedrebbero significativamente accrescere naturalmente il loro sviluppo e soprattutto la crescita dell'occupazione.

Per fare questo, per raggiungere tutti questi importanti risultati, la nostra mozione impegna il Governo: a proseguire, in sede europea, nel sostegno all'individuazione di adeguate misure per il raggiungimento degli obiettivi di ristrutturazione e efficientamento energetico del parco immobiliare nazionale; a promuovere - leggo gli impegni, naturalmente, in sintesi - un confronto con gli altri Paesi dell'Unione affinché il costo delle ristrutturazioni sia garantito da strumenti finanziari emessi in ambito unionale, e questo impegno è particolarmente importante, è centrale sicuramente; impegna il Governo ad attivarsi, in sede europea, con adeguate iniziative, affinché, ai fini della prestazione energetica degli edifici, gli Stati membri possano tenere conto delle fonti energetiche rinnovabili fornite e delle infrastrutture di ricarica per i veicoli elettrici; ad attivarsi per promuovere la stabilizzazione della misura di detrazione fiscale per gli interventi di ristrutturazione e riqualificazione energetica degli edifici, predisponendo meccanismi di premialità per gli interventi caratterizzati da maggiore efficacia in termini di risparmio energetico; ad adottare urgenti iniziative, al fine di rendere funzionale e pienamente utilizzabile il meccanismo della cessione del credito; a favorire maggiori investimenti in programmi di riqualificazione di edifici pubblici e naturalmente di edilizia sociale; ad istituire un fondo ad hoc per la concessione di finanziamenti, a tasso agevolato, diretti alla realizzazione di interventi di efficientamento energetico; ad adottare iniziative volte a favorire lo sviluppo dell'industria dei prodotti per l'efficienza energetica; ad introdurre strumenti di supporto alle imprese che esportano prodotti, sistemi e servizi che vanno in questa direzione; a rafforzare le attività di comunicazione sui temi dell'efficienza energetica; e, infine, a sostenere percorsi di formazione e aggiornamento, anche all'interno della pubblica amministrazione, sui temi del risparmio e dell'efficienza energetica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Simiani, che illustrerà la sua mozione n. 1-00057. Ne ha facoltà.

MARCO SIMIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente. La discussione di oggi è molto importante, anche perché è un tema che non riguarda l'oggi, ma riguarda sicuramente il domani, il futuro del nostro Paese e il futuro dell'Europa.

Proprio per questo credo che la discussione che dobbiamo fare stamani sia legata soprattutto al futuro, tenendo conto dello stato dell'arte del nostro Paese, degli edifici dell'Unione europea, ma soprattutto affermando un principio: le direttive europee, e questa è una di quelle, sono state nel passato, e saranno sicuramente anche nel futuro, elemento di crescita del nostro Paese e non di distruzione o di difficoltà per i nostri cittadini. Questo è uno storytelling che, di fatto, anche stamane, in quest'Aula, alcuni deputati hanno letto nei propri discorsi e ragionamenti e credo che sia un errore, perché oggi, anche viste le peculiarità del nostro sistema, delle varie abitazioni che abbiamo nel nostro Paese, dobbiamo fare in modo che questa opportunità possa essere resa sostenibile.

E, proprio per questo, credo che non dobbiamo assolutamente pensare che l'Europa sia quell'organismo cattivo, quel soggetto cattivo che impone, ogni volta, un elemento di difficoltà, ma dobbiamo affermare il contrario. Infatti, secondo i dati che emergono dai vari Stati membri, oggi sappiamo benissimo che, in tutti gli edifici del nostro del nostro continente, degli Stati membri, il 40 per cento dell'energia che consumiamo per ogni azione, per ogni impresa, per ogni abitazione, concerne solamente gli edifici pubblici, mentre il consumo del gas, sia diretto che indiretto, è pari al 36 per cento.

Questo cosa vuol dire? Vuol dire che oggi dobbiamo effettivamente mettere mano a una situazione per cui, specialmente negli ultimi mesi, nell'anno scorso, abbiamo visto costi enormi arrivare sulla testa di molti cittadini, ma, soprattutto, di molte imprese.

Ecco perché dobbiamo risolvere questo stato dell'arte ma, soprattutto, questa difficoltà che esiste nel nostro Paese, ma anche in tutti gli Stati membri, e dobbiamo farlo attraverso l'azione. Perché, nei discorsi che ho sentito stamani, mi è sembrato che tutto quello che è successo in questi mesi - soprattutto, tutte le risorse che abbiamo impegnato per calmierare il costo della bolletta del gas o dell'energia elettrica - sia superato. No, questo è un dato che noi dobbiamo, invece, preservare e capire, che dobbiamo assolutamente cambiare.

E dobbiamo cambiare cercando di capire cosa è successo, perché, quando l'onorevole Mazzetti ci dice che, grazie al presidente Berlusconi, oggi le case sono molto più sicure o, comunque, il bene è molto più sicuro di prima, io vi posso dire che, grazie ai Governi che ci sono stati in questi 10 anni, siamo riusciti a porre in campo azioni concrete per mettere, soprattutto, in sicurezza le case e a creare un grande risparmio energetico. Questo vuol dire aiutare gli italiani, aiutare i proprietari del patrimonio italiano, e non solo, anche il patrimonio pubblico.

La nostra proposta, che è stata avanzata non solo in Commissione bilancio, ma anche in Commissione ambiente, di creare le condizioni per svolgere un'indagine conoscitiva che riesca a far capire cosa hanno prodotto i bonus in edilizia, non solo dal punto di vista del risparmio energetico, ma anche dal punto di vista del livello occupazionale e del PIL, è un elemento fondamentale per capire effettivamente cosa è successo, ma anche quello che dovremo fare nel futuro.

Questa indagine conoscitiva riuscirà anche a farci capire come potremo risolvere la questione del credito, che è un elemento fondamentale per riuscire a supportare questi bonus o tutte quelle proposte che emergeranno subito dopo aver capito, effettivamente, quale è stato il beneficio che questi bonus hanno portato.

Vede, Presidente, ci sono dei dati forniti da soggetti importanti, istituti importanti, come ENEA, Censis, ma, soprattutto, anche come CRESME: il rapporto 2022 dà una chiara indicazione sull'impatto che i bonus edilizi hanno avuto nell'economia italiana, soprattutto sul PIL, con il 13,9 per cento, che è il più alto d'Europa, e solo il superbonus ha contribuito, con il 22 per cento, alla crescita totale del PIL, trovando, soprattutto, rispondenza dal punto di vista degli occupati, dal punto di vista lavorativo: 460.000 in più rispetto al 2019.

Questo cosa vuol dire? Che abbiamo fatto centro. Se oggi gli investimenti dei Governi - credo che questo dovrebbe essere anche il futuro che dovremo, in questo caso, seguire anche nei prossimi provvedimenti -, se questa azione sono continuati e, soprattutto, possono riuscire a dare un assetto concreto al sistema dei bonus in edilizia, noi riusciremo sicuramente a supportare anche quelle azioni che oggi ci vengono richieste dall'Europa, azioni che devono essere anche attenzionate.

Noi sappiamo benissimo anche le difficoltà che troveremo nel percorso, le peculiarità del nostro patrimonio non solo residenziale, ma anche storico e pubblico, sappiamo benissimo che oggi servono risorse. Io spero che, da qui alla votazione del 13 marzo in sede plenaria, ci sia anche un'attenzione a supportare dal punto di vista economico, attraverso anche un fondo simil SURE, che ci può effettivamente dare quella capacità, anche economica, di supportare questa grande mole di lavoro.

E, guardate, se il settore dell'edilizia è stato negli anni un settore fondamentale per l' economia italiana, ma, allo stesso tempo, ha creato anche problemi di consumo di suolo, forse l'idea di incentivare anche la capacità di rinnovare i nostri beni immobiliari, ma, soprattutto, i beni pubblici, oggi è una scelta ideale che dobbiamo fare. Avere luoghi pubblici, edifici pubblici, scuole, ospedali, caserme o anche altri edifici dove c'è un risparmio del 100 per cento dal punto di vista dell'energia e del gas, è una scelta che dobbiamo fare a prescindere, perché è una scelta ideale, etica, perché dobbiamo assolutamente riuscire a far diventare il nostro Paese un posto migliore.

Mi avvio a concludere, Presidente. Noi, con questa mozione, chiediamo al Governo di rispettare questi due traguardi che l'Europa ci ha dato - il 2030 e il 2050 -, che siano traguardi e che non siano asticelle da saltare di nuovo, perché ci sarebbe una difficoltà vera. Oggi, infatti, siamo di fronte ad una rivoluzione necessaria, è la necessità che l'Europa ci chiede, ma non solo l'Europa, anche i cittadini, perché capiscono che oggi risparmiare può essere positivo anche per il futuro.

Noi oggi chiediamo all'Europa una flessibilità temporale per riuscire veramente a capire le peculiarità e intervenire proprio per creare adeguati strumenti a supporto della direttiva stessa, escludendo sicuramente gli edifici protetti dal valore storico ed architettonico, i luoghi di culto, i luoghi legati alla Difesa - dove, logicamente, è possibile -, ma, soprattutto, per riuscire anche a supportare, dal punto di vista del credito, la trasformazione che si avvierà e che porterà sicuramente un beneficio economico. Il credito, certo, è l'elemento fondamentale.

Noi crediamo che oggi sia opportuno supportare il sistema bancario attraverso strumenti con i quali il percettore di ultima istanza può essere anche il sistema economico statale, ad esempio CDP e altre strutture che sono fortemente patrimonializzate. Soprattutto, è necessario l'aiuto di sistemi regionali, enti regionali o comunali dove le società, le utilities, possano influire ed aiutare in questo processo.

L'altro aspetto fondamentale è che, dopo l'indagine conoscitiva, sia approvata da parte del nostro Parlamento una legge che possa effettivamente identificare o, comunque, proporre uno strumento che sia strutturale, per i prossimi dieci anni, con il quale definire, attraverso un testo unico, tutti gli incentivi che possano essere utili a migliorare l'efficientamento energetico nel nostro Paese. Mi riferisco a un testo unico che possa essere sicuramente condiviso e supportato da una serie di concertazioni, che sicuramente ci saranno, con la parte datoriale e con la parte sindacale, con i cittadini e con i proprietari di case. Noi crediamo, infatti, che quando si fanno trasformazioni del genere, azioni del genere è giusto che ci sia una grande concertazione.

Noi, colleghi, proprio quali deputati della Repubblica, abbiamo il dovere di supportare questo processo e di far diventare il nostro Paese un luogo migliore, nel quale i nostri figli potranno vivere la propria vita soprattutto rispettando quei processi e quegli obiettivi ambientali, sociali ed etici che la nostra Costituzione ci ha dato, proprio per poter dare, in futuro, ai nostri figli quelle economie, non per pagare le bollette energetiche, ma per poter formarsi e affrontare la propria vita e il proprio lavoro in maniera migliore (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nicola Ottaviani. Ne ha facoltà.

NICOLA OTTAVIANI (LEGA). Grazie, Presidente. Io, in realtà, sono costretto a modulare il mio intervento a seguito delle considerazioni che sono state formulate da parte di alcuni gruppi che sono già intervenuti, primo tra tutti il MoVimento 5 Stelle.

Credo che la Lega non possa accettare - in primis, il Vice Presidente del Consiglio Matteo Salvini - alcun tipo di richiamo alla coerenza, soprattutto laddove questa coerenza venga ostentata, prospettata da parte di gruppi che, ancora una volta, sembra, Presidente, che su questa materia e su altre siano all'interno di quel rigore che, una volta, veniva chiamato SPE, servizio permanente effettivo, che, però, non è di carattere militare ma è un servizio permanente elettorale. Sembrerebbe, infatti, che qualsiasi tipo di richiamo che venga effettuato, da parte di alcuni gruppi, all'operato che in questo momento sta portando avanti il Governo, e in modo particolare il Ministro delle Infrastrutture, sia teso soltanto a screditare quello che, invece, è un profilo di coerenza intrinseca ed estrinseca rispetto alle esigenze di tutela, non solo del nostro ordinamento, ma anche e soprattutto di quelli che dovrebbero essere i diritti fondamentali ai quali abbiamo sentito fare richiamo negli interventi svolti qualche istante fa.

Se si fa riferimento alla Costituzione, quindi ai diritti fondamentali ivi inclusi, io vorrei capire se da questi diritti qualcuno, e quindi il MoVimento 5 Stelle o altre forze, in questo momento stia escludendo il diritto alla proprietà privata e, soprattutto, il diritto all'utilizzo in modo razionale e armonico di un bene primario, quale deve essere necessariamente considerata la casa.

Anzi, mentre ascoltavamo questi interventi, abbiamo potuto sfogliare il risultato a cui è giunto il recente studio dell'Eurostat che riguarda il tasso di proprietà immobiliare in Europa.

Tale studio ha messo in rilevo, per quanto riguarda le persone che vivono in abitazioni di proprietà, risultati assolutamente interessanti che sono propedeutici rispetto a qualsiasi possibilità di affrontare questa materia con un minimo di logica e, soprattutto, con un obiettivo, quello di coniugare le esigenze dell'ambiente con altri diritti fondamentali che vengono inseriti nel nostro dettato costituzionale.

Abbiamo scoperto grazie ad Eurostat - credo che la fonte sia assolutamente imparziale e trasparente e non possa essere predicata di vicinanza o prossimità ad ambienti Lega – che, rispetto alla Spagna, che ha il 77 per cento di persone che vivono in abitazioni di proprietà, alla Grecia, con il 76 per cento, e al Portogallo, con il 74 per cento, l'Italia è comunque in questa fascia alta, che è quella del 73 per cento. Quindi, abbiamo 73 cittadini su cento che vivono in abitazioni di loro proprietà che credo non siano cadute giù dal cielo o non siano necessariamente di derivazione medievale, con lasciti da manomorta che proseguono da migliaia di anni. No, sono abitazioni di proprietà che molto presumibilmente sono connesse e legate a sacrifici di carattere economico-patrimoniale e di vita sociale che sono stati compiuti. Poi, che cosa avviene? Questa è una sorpresa importante, perlomeno per questo deputato: la Francia ha appena il 64 per cento di persone che vivono in abitazioni di proprietà, la Danimarca il 63 per cento, per scendere ancora più in basso con l'Austria, che gode soltanto del 57 per cento di questo privilegio, e, last but not least per quanto riguarda le sorprese, la Germania che è al 52 per cento. Pensate un po' che, rispetto ad un altro soggetto comunitario che ho lasciato fuori da questa statistica, ma va tirato in ballo in questo momento, cioè la Romania, la Germania è quasi alla metà perché la Romania - sorpresa delle sorprese - ha il 95 per cento del tasso di proprietà dei soggetti che vivono all'interno di case che in qualche modo sono state realizzate o comprate.

È evidente che, se non si parte da questi dati, che non sono macroeconomici ma sono microeconomici, non si può avere cognizione degli effetti distorsivi che questi provvedimenti - se non adottati cum grano salis e, soprattutto, se non inseriti all'interno di una programmazione, con un intervento importante da parte dello Stato - rischiano di provocare; quegli stessi effetti di distorsione sul mercato che sono stati sottaciuti anche oggi, in quest'Aula parlamentare, da parte di alcuni gruppi che sono intervenuti.

Il problema di fondo è legato al fatto che, a prescindere dai due periodi, che poi sarebbero stati suscettibili di una correzione, cioè il 2030 per l'attuazione di tutti gli obiettivi per gli immobili di nuova costruzione, e il 2050 per gli immobili di vecchia costruzione, e a prescindere anche dalle classi G ed F, che dovrebbero essere centrate nel brevissimo periodo, e dalle classi E e D che, invece, dovrebbero esserlo nel medio periodo, quando si fa riferimento alla disciplina del superbonus ancora una volta si mente, sottacendo il vero sia nell'ambito dei lavori parlamentari sia nelle comunicazioni e nelle esternazioni che vengono effettuate fuori dall'Aula parlamentare.

Ci mancherebbe altro, i parlamentari e i gruppi politici possono pensarla come credono, ma alcuni dati non possono essere saltati a piè pari perché, nella valutazione che deve essere portata avanti, e che nelle prossime settimane sarà anche all'esame della Commissione bilancio, gli effetti sull'economia reale del bonus 110 per cento hanno bisogno di essere analizzati in concreto e a 360 gradi.

Infatti, portare avanti misure, signor Presidente, che purtroppo non riescono a non tener conto degli effetti che vanno oltre il campo di azione, quindi oltre quella che è la ristrutturazione dell'immobile in sé, e incidono sulle misure dell'economia di mercato e, soprattutto, sulla determinazione del prezzo delle materie prime, significa portare avanti un approccio assolutamente riduttivo e - posso definirlo senza mezzi termini - addirittura banale. Chi non sa in quest'Aula, chi non è a conoscenza del fatto che gli enti locali, le amministrazioni sono oggi in una difficoltà mostruosa, enorme, che si è venuta a determinare a seguito dell'aumento del costo delle materie prime, a seguito dell'aumento anche del costo del lavoro? Infatti, se tutto viene concentrato in un periodo così breve per la realizzazione degli interventi di efficientamento energetico e di ristrutturazione - stiamo parlando quindi dei vari bonus che sono stati discussi fino ad oggi -, è chiaro che, per una regola minima e potremmo dire anche scontata, senza far ricorso né ad Adam Smith né tantomeno a Keynes, sappiamo che c'è un aumento esponenziale di quei prezzi che fa sì che le amministrazioni locali oggi non siano in grado, probabilmente, di centrare anche gli obiettivi del PNRR, perché quegli appalti sono stati aggiudicati a imprese che dicono: mi conviene riconsegnarti le chiavi del cantiere, perché a quei prezzi non ci posso stare più.

Noi vogliamo ribadire un concetto ben chiaro, che poi è il concetto della sentenza della Corte costituzionale n. 269 del 2017: se ci sono princìpi fondamentali che entrano all'interno della nostra Costituzione, e tra questi princìpi c'è il valore della casa, che viene espresso agli articoli 42 e 47 della Costituzione, è necessario armonizzare le norme - anche se sono direttive e, quindi, non immediatamente precettive nel nostro ordinamento - di carattere europeo con le norme che attengono ai principi fondamentali della nostra Costituzione. Solo con questa armonizzazione è possibile portare avanti il contemperamento degli opposti interessi in gioco, altrimenti c'è una prevalenza e, soprattutto, c'è una sorta di comportamento, che noi non possiamo assolutamente condividere, che è quello di saltare a piè pari le esigenze delle nostre popolazioni e, soprattutto, le esigenze delle famiglie che vivono nel nostro Paese.

Vado a concludere, Presidente. Il problema non è quello che viene prospettato in più di qualche intervento delle minoranze, ossia comprendere qual è il nostro rapporto con l'Europa, il rapporto tra l'Italia e l'Europa. No, è mal posta la questione, è l'esatto contrario: ossia, qual è la nostra rilevanza all'interno della famiglia europea alla quale noi apparteniamo. Questa è la rivoluzione copernicana che stanno portando avanti in questo momento la Lega e il Governo di centrodestra, perché non parlano di rapporto tra diversi, ma parlano di rapporto endoistituzionale, all'interno del quale il nostro Paese ha pari dignità rispetto agli altri per contribuire all'adozione di normative di carattere comunitario, che, o mediatamente o immediatamente, sono attuabili, ma devono comunque centrare gli obiettivi anche della nostra Carta costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Salutiamo gli studenti e gli insegnanti del liceo statale «Maria Montessori» di Roma, che stanno seguendo i nostri lavori dalla tribuna. Li ringraziamo per questo e li avvisiamo anche che siamo in discussione generale, per cui sono presenti soltanto i deputati che dovranno svolgere i loro interventi (Applausi). È iscritta a parlare la deputata Ambrosi. Ne ha facoltà.

ALESSIA AMBROSI (FDI). Grazie, Presidente. Signor Presidente, care colleghe e colleghi, la storia dei dibattiti parlamentari - ce lo insegnano anche queste ore - è sovente storia di contrapposizioni e di scontri talora anche feroci. Si tratta di momenti fisiologici, naturali, nei rapporti tra maggioranza e opposizioni, che non debbono scandalizzarci. Ci sono, tuttavia, temi che, perlomeno a mio avviso, da tali contrapposizioni dovrebbero essere espunti e tutelati, quando riguardano questioni di particolare urgenza a tutela dell'interesse della nostra Nazione, delle italiane e degli italiani. Mi riferisco, ovviamente, Presidente, al tema oggi in discussione, ossia la direttiva europea sulle case green, che vedrebbe milioni - ripeto, milioni! - di nostri concittadini costretti a dover ristrutturare casa a proprie spese per necessità di adeguamento energetico. Queste necessità, sia chiaro, nessuno le nega, nessuno le banalizza, e certamente non lo facciamo noi di Fratelli d'Italia. Tuttavia, sussistono in questa normativa serie criticità: soprattutto, la tempistica entro la quale questi milioni di persone dovrebbero trovarsi nella condizione di dover sborsare 20 o anche 30.000 euro a famiglia, e forse anche più in casi di particolari interventi ancora più complessi. Per l'economia delle persone, di tante persone, reperire queste risorse economiche in tempi così stretti sarebbe un serio, serissimo problema. E non è un problema che scopriamo o ci inventiamo noi di Fratelli d'Italia, basti al riguardo rileggersi le perplessità della stessa Banca centrale europea.

Per noi il tema dell'ambiente va affrontato in modo serio e crediamo che non si possano compiere, in nome dell'ambiente, scelte distruttive per la vita delle persone. Pensate, giusto per dare dei dati, che ben 9 milioni di abitazioni su 12 milioni dovrebbero essere obbligatoriamente ristrutturate per fronteggiare la direttiva sull'efficientamento energetico. In Italia i dati sono eloquenti: il 74 per cento dei nostri immobili è stato realizzato prima dell'entrata in vigore della normativa completa sul risparmio energetico e sulla sicurezza sismica. Per noi di Fratelli d'Italia, come sempre abbiamo sostenuto in campagna elettorale, la casa è sacra e la casa non si tocca (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Coerentemente con questo concetto, come saprete, abbiamo tentato e stiamo tentando di correre ai ripari. Proponiamo che si allunghi sensibilmente la tempistica degli interventi previsti, mettendo così le persone in grado di farvi fronte, al contempo chiedendo da parte europea almeno una sensibile partecipazione a dette spese, perché, come tutte e tutti sappiamo in quest'Aula, l'Italia dispone di un patrimonio immobiliare non recente e l'impatto di una mera accettazione della direttiva così com'è, sarebbe semplicemente devastante per tante famiglie e tante comunità. È insomma, la nostra, una battaglia che stiamo conducendo per salvaguardare, oltre le condizioni economiche delle famiglie, soprattutto penso alle famiglie non abbienti, anche la peculiarità stessa della nostra Nazione. Mi riallaccio, Presidente, a questo punto e in questo senso, al mio concetto iniziale, ossia alla considerazione, spero condivisa, della possibilità di una convergenza unitaria di tutte le forze politiche presenti in quest'Aula, e mi rivolgo quindi oltre il perimetro della maggioranza di Governo per fare appello alle opposizioni tutte, di centro, di sinistra, allo stesso MoVimento 5 Stelle, per lanciare un appello: facciamola insieme, questa battaglia. Diventiamo, su questa tematica così delicata, tutte e tutti portavoce delle esigenze delle famiglie italiane e degli italiani. A voi delle opposizioni si pone in questa sede una domanda e la possibilità di una scelta di collaborazione nell'interesse delle persone, per un ambientalismo economicamente sostenibile. Dobbiamo tutti vigilare affinché l'ambientalismo non sfoci nel classismo e non divenga quel che spesso già è, ossia un lusso solo per chi se lo può permettere. Di questo rischio dobbiamo renderci conto e soprattutto se ne deve rendere conto l'Europa. Certo, francamente non aiutano parole incredibili come quelle recentemente pronunciate da Elly Schlein, che, più che in linea con l'idealità di un partito che dovrebbe tutelare i più deboli, è parsa in linea con le teorie economiche di Maria Antonietta, senza nessuna cura, nessuna parola e nessuna sensibilità per le famiglie in difficoltà.

Ma - badate - non esiste nessuna questione ambientale che possa sussistere se del tutto avulsa da una questione sociale. Non può esistere un ambientalismo che trascenda dalla vita delle persone, della gente comune. Cosa ne facciamo dei milioni di persone che non hanno i soldi per ristrutturare casa? Qui faccio riferimento anche alle parole riportate nell'articolo di ieri de il Giornale dei rappresentanti delle associazioni dei costruttori ANCE, che dichiarano: Nel periodo 2017-2019 abbiamo ristrutturato mediamente 2.900 edifici l'anno. Sono necessari quindi 630 anni per raggiungere il primo step richiesto dalla direttiva europea e 3.800 anni per arrivare alla decarbonizzazione completa degli edifici. Ancor più, Confedilizia, attraverso le parole del presidente Giorgio Spaziani Testa: Il testo che sarà posto in votazione il prossimo 9 febbraio - come ricordato anche dai colleghi che mi hanno preceduto - nella Commissione Industria del Parlamento europeo, modificato o meno per effetto delle riunioni notturne di questi giorni, provocherebbe in Italia effetti devastanti. C'è una settimana per difendere il risparmio di milioni di famiglie italiane, la bellezza del nostro patrimonio edilizio e la libertà dei Paesi europei di individuare le proprie esigenze e stabilire le proprie priorità (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Allora, Presidente, è possibile che la sinistra non si ponga questo interrogativo? Sinceramente invito ad una riflessione: noi - e concludo - speriamo che l'atteggiamento delle opposizioni in quest'Aula risulti alla fine diverso rispetto alla sinistra da ZTL della Schlein. Ribadiamo la nostra disponibilità per questa battaglia, se riporrete da parte l'estremismo e vorrete combatterla insieme (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Billi. Ne ha facoltà.

SIMONE BILLI (LEGA). Grazie, Presidente. Cari colleghi, il 9 febbraio si discuterà nella Commissione per l'Industria, la ricerca e l'energia del Parlamento europeo l'ennesimo obbrobrio giuridico della Commissione Europea, l'obbligo per tutti gli immobili residenziali di raggiungere una determinata classe energetica entro il 2030 per ridurre l'impatto ambientale degli edifici. Questa direttiva prevedrebbe, entro il 1° gennaio 2030, che tutti gli immobili residenziali raggiungano almeno la classe energetica E; successivamente, dopo altri tre anni, nel 2033, dovrebbero arrivare alla classe energetica D ed essere ad emissioni zero nel periodo compreso tra il 2040 ed il 2050. Presidente, la richiesta dell'Unione europea comporterebbe dunque l'obbligo per gli Stati membri di una ristrutturazione del patrimonio edilizio. In caso contrario, potrebbero essere applicate delle sanzioni ai singoli Stati. Addirittura una delle proposte iniziali prevedeva che fosse impedita la vendita o l'affitto della casa se non fosse stata a norma dal punto di vista dell'efficienza energetica. Per fortuna, per ora, questa ipotesi sembra essere tramontata, ma comunque gli immobili che non verranno ristrutturati perderanno un enorme valore. Voglio precisare che il testo di questa direttiva è al momento ancora in fase di trattativa e verrà appunto discusso in Commissione tra pochi giorni.

Cari colleghi e Presidente, il patrimonio immobiliare del nostro Paese, da alcuni studi, risulta chiaramente obsoleto: oltre il 50 per cento ha più di 45 anni ed è potenzialmente da riqualificare, questo secondo i dati forniti dall'ufficio studi Gabetti e Abaco Team. Solo il 3 per cento del campione totale è stato interessato da interventi di ristrutturazione significativi e solo il 34 per cento degli immobili dispone di un attestato di prestazione energetica. Pertanto, questa nuova norma che nell'Unione europea vogliono introdurre si prefigura come una stangata per i contribuenti italiani, che metterà in enorme difficoltà molte famiglie e molte aziende del nostro Paese, sia che affrontino le spese di ristrutturazione, sia che rinuncino per l'onerosità dei costi. Voglio precisare, cari colleghi, che la candidata alla segreteria del Partito Democratico, Elly Schlein, si è schierata apertamente a favore di questa direttiva, a testimonianza ancora una volta di come il PD sia un partito di radical chic, lontano dai bisogni dei lavoratori, dei pensionati e della classe media. In quest'Aula, pochi minuti fa, anche un esponente del MoVimento 5 Stelle ha definito questa nuova normativa una opportunità per il nostro Paese.

Voglio sottolineare, in particolare, come l'impatto delle emissioni di CO2 dei Paesi dell'Unione europea è pari a circa il 6 per cento delle emissioni globali; quello della Cina è di circa il 27 per cento; quello degli USA dell'11 per cento; quello dell'India del 7 per cento. Presidente, cari colleghi, gli scienziati ammoniscono che, senza un accordo tra Pechino e Washington, sarà difficile evitare una pericolosa spirale di cambiamento climatico nei prossimi decenni. Pertanto, cari colleghi, una consistente diminuzione di emissioni di CO2 solo in Europa non comporterebbe un sostanziale beneficio per l'impatto ambientale a livello globale, mentre provocherebbe enormi danni al nostro Paese e metterebbe in mezzo ad una strada moltissime famiglie italiane.

Caro Presidente e cari colleghi, le fatture di queste ristrutturazioni a chi le dovremo intestare? Alla Schlein, al PD o al MoVimento 5 Stelle? Per tutti questi motivi, auspichiamo un ripensamento della Commissione del Parlamento europeo per una politica più vicina alle reali necessità ed ai problemi dei popoli europei sul lavoro, sull'occupazione e sullo sviluppo, senza prese di posizione puramente ideologiche, senza un fondamentalismo ideologico - ogni fondamentalismo nuoce alla causa -, con la gradualità che è necessaria in questi casi.

Concludo dicendo che è necessario spingere al massimo politiche più green anche in Europa, ma queste vanno fatte con razionalità e visione per il futuro, nell'interesse dei popoli europei e considerando accordi con i maggiori Paesi inquinanti a livello globale per avere realistici benefici nell'interesse dell'ambiente (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Il Governo si riserva di intervenire in una fase successiva. Il seguito della discussione è, dunque, rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Sportiello ed altri n. 1-00051 concernente iniziative volte al potenziamento del Servizio sanitario nazionale (ore 11,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Sportiello ed altri n. 1-00051, concernente iniziative volte al potenziamento del Servizio sanitario nazionale (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 31 gennaio 2023 (Vedi l'allegato A della seduta del 31 gennaio 2023).

Avverto che è stata testé presentata la mozione Bonetti ed altri n. 1-00061 (Vedi l'allegato A) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare il deputato Andrea Quartini, che illustrerà anche la mozione n. 1-00051, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANDREA QUARTINI (M5S). Onorevoli colleghi e colleghe, gli anni Settanta sono stati degli anni davvero significativi e importanti. Abbiamo avuto la possibilità di approvare in questo Paese la riforma sanitaria più bella del mondo, con la legge n. 833. Ce la invidiano tutti ed è stata una cosa fantastica. In quegli anni siamo riusciti ad avere la legge n. 180, con la chiusura dei manicomi. In quegli anni abbiamo fatto dei progressi in termini di welfare e di Stato sociale enormi (ad esempio, lo Statuto dei lavoratori).

Credo che avere questa memoria sia fondamentale, perché la legge n. 833 ha reso in qualche modo compiuto l'articolo 32 della Costituzione. Guardate, il diritto alla salute nell'articolo 32 della Costituzione viene definito fondamentale. Cioè, questa parola, “fondamentale”, compare soltanto quando si parla di diritto alla salute nella Carta costituzionale. È il diritto dei diritti. Molti costituzionalisti - e l'ho detto anche in questi giorni - dicono che un diritto dei diritti, come è il diritto alla salute, che è un bene comune, non dovrebbe andare a far parte del patto di stabilità e del pareggio di bilancio e non si dovrebbe mai badare a spese.

Ma non è che non si deve badare a spese sulla salute soltanto perché è un diritto che non va compresso, che non è opzionabile ed è fondamentale, appunto, ma anche perché conviene, perché la spesa sanitaria non è un costo ma un investimento. Guardate che questo non è che lo dice il MoVimento 5 Stelle o Andrea Quartini, che è anche un operatore sanitario, un medico del Servizio sanitario nazionale pubblico: questo, addirittura, lo ha detto prima di noi un conservatore, lo ha detto un liberale inglese, Beveridge, perché è sulla sua impostazione che si è realizzato il welfare nel 1942 e poi, nel 1943, fu la parte avversa, cioè i laburisti, ad adottare questo sistema sulla sicurezza sociale, perché si è visto che se si investe si sta meglio, se si investe siamo più felici e siamo anche più produttivi e, quindi, conviene investire in salute e conviene investire in sanità. Questo è un dato di fatto!

Tuttavia, che cosa è successo negli ultimi anni? Si è assistito a una sorta - diciamo che le metafore sono tante - di cipolla che viene sbucciata piano piano o di carciofo che viene sbucciato piano piano (c'era anche la metafora della rana bollita). Cioè, piano piano il Servizio sanitario pubblico nazionale è stato impoverito ed è stato svuotato. È chiaro che c'erano grosso modo 2 impostazioni della politica in questi anni rispetto al Servizio sanitario nazionale: la prima era di privatizzare il Servizio sanitario nazionale e si è visto quello che è successo con la privatizzazione del Servizio sanitario nazionale, che è stata criticata anche dal Ministro Schillaci in questi giorni, almeno rispetto alle convenzioni e alle esternalizzazioni troppo costose rispetto alla possibilità di erogare prestazioni in house. Si è visto che cosa è successo!

Quindi, qualcuno ha cercato di privatizzare la sanità e il caso vuole che sono le stesse forze politiche che oggi vorrebbero l'autonomia differenziata. Il caso vuole che si vorrebbe procedere a una maggiore disuguaglianza nel territorio nazionale, per cui chi nasce in Calabria non dovrebbe avere gli stessi diritti di chi nasce in Toscana o di chi nasce in Lombardia e in sanità ‘e c'è di già (fatemelo dire alla Toscana). Cioè, in sanità c'è già l'autonomia differenziata e si è visto che cosa è successo durante la pandemia con questa capacità di svuotare il sistema.

L'altra alternativa alla privatizzazione, giustificata per lo più dai Governi di centrosinistra, era il contenimento della spesa. Con il contenimento della spesa il risultato, però, era lo stesso, perché, comunque sia, o a contenere la spesa o a privatizzare cosa avviene? Avviene che viene compresso un diritto giustappunto fondamentale, ossia il diritto alla salute. È chiaro, poi, che se a tutto questo ci si aggiungono i ticket odiosi, che spesso i cittadini devono pagare, e le lista d'attesa lunghissime è chiaro che alla fine al cittadino non gli resta che andare dal privato. Ecco, dunque, il disegno che c'è dietro comunque sia. Che si parli di contenimento della spesa o che si parli di privatizzazione come obiettivo, si ottengono, purtroppo, gli stessi risultati.

Se poi a questo ci si aggiungesse, per caso, anche la flat tax, allora sì che si svuota il Servizio sanitario nazionale, perché a un professionista del Servizio sanitario nazionale gli conviene andare a lavorare nel privato piuttosto che nel Servizio sanitario pubblico, perché se fino a 85.000 euro di reddito paga solo il 15 per cento di tasse e invece nel pubblico paga quasi il 50 per cento è chiaro che poi si svuota tutto il sistema. Io credo che su questo punto si debba fare davvero molta attenzione.

In questa logica noi abbiamo assistito - e non lo dice il MoVimento 5 Stelle; lo dicono autorevoli fonti indipendenti, tra cui lo stesso GIMBE - a un depauperamento complessivo negli ultimi 20 anni di oltre 37 miliardi di euro, cioè 37 miliardi che non sono andati a finanziare le necessità del Servizio sanitario pubblico nazionale. Attualmente, pur nella speranza e al netto delle buone intenzioni - ma sappiamo benissimo che di buone intenzioni è lastricata la strada dell'inferno, purtroppo - che ha dichiarato il Ministro Schillaci, ad oggi noi abbiamo una proiezione, per il 2025, di un investimento in sanità pari al 6,1 del PIL.

OCSE e OMS dicono da tempo che al di sotto del 6,5 per cento del PIL speso in sanità siamo uno Stato povero, molto povero, e investire meno del 6,5 per cento del PIL riguarda soltanto gli Stati del Terzo mondo. Attenzione: da questo punto di vista si sta andando verso un rischio enorme.

La stessa Corte dei conti ci ha richiamato proprio rispetto a questo gap, a questa differenza che c'è comparando l'impatto sul PIL della spesa sanitaria nazionale con l'impatto della spesa del Fondo sanitario nazionale rispetto al PIL degli altri Paesi europei. Noi siamo orientati verso un allontanamento in basso dalla media in Europa, che grosso modo è pari a circa l'8 per cento del PIL. Dunque, nella mozione noi chiediamo di reinvestire in sanità e chiediamo che non si investa meno dell'8 per cento del PIL per garantire il Servizio sanitario nazionale pubblico.

È chiaro che tutto questo, ovviamente, deve far riflettere anche il Servizio sanitario stesso, perché è evidente che il combinato disposto fra ticket e liste d'attesa invita lo stesso Servizio sanitario pubblico - e anche lo stesso ospedale - a rivedere la propria capacità di essere trasparente, per esempio, rispetto alla libera professione intramoenia.

Al riguardo, mi viene in mente che, in Toscana, in questi giorni, nell'Azienda ospedaliera di Careggi, è stata realizzata un'inchiesta giornalistica che indica come chi fa visite urologiche in visita istituzionale ha una probabilità del 20 per cento di essere operato di prostata a un mese, mentre chi, invece, va in libera professione intramoenia ha l'80 per cento di probabilità di essere operato dello stesso intervento a un mese.

Queste sono cose inaccettabili, perché introducono disuguaglianze insopportabili. Il Servizio sanitario nazionale deve essere equo, deve essere capace di garantire su tutto il territorio nazionale le stesse prestazioni, negli stessi tempi, a tutti i cittadini, indipendentemente dal censo. Non è che se uno può pagare di più, allora, il Servizio sanitario pubblico nazionale lo tratta meglio. È questa un po' la contraddizione dell'intramoenia, che va un pochino rivista in termini di trasparenza e anche di questo noi parliamo nella mozione.

Una premessa, prima di andare nel dettaglio della mozione: noi sappiamo che, grosso modo - ormai, siamo tutti abbastanza consapevoli di questo -, quello che conviene di più non è curare, ma è prevenire le malattie, quindi, parlare di prevenzione è assolutamente fondamentale. Ora, io non mi fermo molto a lungo su questo tema, perché già ho fatto un intervento, visto che domani è la giornata internazionale per la lotta contro il cancro, nella mozione unitaria che abbiamo approvato l'altro ieri e, quindi, ho già detto abbastanza su questo, però, c'è una questione che è assolutamente fondamentale, dal mio punto di vista, è cioè che uomo, ambiente e animali sono un tutt'uno, sono intimamente interconnessi; se non si procede nella capacità di vedere un tutt'uno verso una one health, una sanità globale, non si va da nessuna parte, anche perché sappiamo che fra i determinanti di malattia resta valida la piramide che fu alla base della Conferenza di Alma Ata, durante la quale, nel 1978, vedete gli anni Settanta che ritornano, a livello mondiale, l'Organizzazione mondiale della sanità suggeriva che era possibile raggiungere la salute per tutti entro l'anno 2000. Evidentemente, erano troppo utopisti, però, all'epoca, c'era questo sentimento, questa voglia, questo coraggio anche di dire di andare fino in fondo.

Ecco, la piramide dei determinanti della salute mette, alla base della buona salute, delle buone performance di salute, i fattori economico e sociali, mette l'istruzione, mette l'ambiente, mette il lavoro, mette l'alimentazione, mette l'acqua potabile, mette i sistemi fognari, mette la distanza dai servizi sanitari - ecco il territorio quant'è importante -, mette la protezione dal caldo e dal freddo, mette le reti sociali, mette la comunità, mette lo stress della guerra fra i determinanti della salute e fra questi determinati della salute mette la povertà.

Ecco, io voglio sostenere, ancora una volta, che è stato un errore enorme incidere sul reddito di cittadinanza, perché il reddito di cittadinanza era una misura contro la povertà, era una misura per la salute, era una misura di buona salute e, del resto, c'è anche una grande contraddizione in questo, perché gli stessi che hanno voluto fare la guerra ai poveri in Italia, poi, a livello europeo, hanno votato a favore delle risoluzioni che parlano di reddito minimo garantito a tutti i cittadini europei (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Quindi, ben venga questa revisione anche interna al partito di maggioranza in Parlamento in questo momento; io non voglio sostenere che sia solo un fatto, come dire, di contraddizione, in questo senso, la voglio vedere anche come una capacità evolutiva, quindi, siamo in tempo a rivederla questa posizione. Il reddito di cittadinanza è una misura che rappresenta un investimento in salute e non si deve badare a spese quando si investe in salute. È una cosa fondamentale; mi fermo solo su questo, perché ce ne sarebbero da dire numerosissime.

La mozione, quindi, va proprio in questa direzione. Al primo posto, la mozione cerca di mettere la salvaguardia del Servizio sanitario nazionale pubblico, cerca di impostare un ragionamento fondamentale sul rilancio del Servizio sanitario pubblico, investendo più risorse; impegna il Governo a non spendere meno dell'8 per cento del PIL in salute; io direi che non dovremmo parlare solo di PIL, ma bisognerebbe cominciare a parlare di BES, di benessere equo e sostenibile, perché il PIL è un indicatore imperfetto rispetto alla salute di un Paese. Cerca di riamplificare l'importanza della continuità fra ospedale e territorio. Impegna il Governo a rivedere i livelli essenziali di assistenza, a renderli uniformi su tutto il territorio nazionale e a rivedere il nomenclatore. Impegna il Governo, finalmente, a superare il tetto di spesa per il personale: mancano 50.000 operatori sanitari, al minimo, in questo Paese, a causa del definanziamento che c'è stato.

Con la mozione si suggerisce di aumentare di nuovo il numero dei posti letto. Al riguardo, faccio riferimento al “decreto 71”; doveva essere il n. 69 e andava fatto prima del “decreto 70” che ha ridotto i posti letto ospedalieri e creato un imbuto, intasando il pronto soccorso, congestionandolo. Quindi, c'è da rifare un ragionamento anche in questo senso.

Si cerca di disincentivare il ricorso al privato, si suggerisce di ricorrere meno al privato, in particolare, anche, con le convenzioni e le esternalizzazioni, anche in armonia con quanto dichiarato dal Ministro della Salute e, ovviamente, una grande influenza la vogliamo fare esercitare dal territorio, capace, se ben organizzato, di assolvere a gran parte delle problematiche delle malattie croniche, senza bisogno di ricorrere al pronto soccorso.

Tutte le cose che sto sostenendo le potete vedere nel punti 1, nel punto 5, nel punto 6, nel punto 7, nel punto 8, nel punto 9, nel punto 10, nei punti 13, 17 e 25 della mozione. Sono 28 punti, quindi, non sto a leggerveli tutti, però, cerco di fare una sintesi. Ovviamente, ai punti 12 e 24 si parla di appropriatezza, che è necessaria nell'uso delle risorse, perché se io dico che la spesa sanitaria non è un costo, ma un investimento, però, non deve essere uno spreco, bisogna starci attenti.

Al punto 11 si parla di formazione del personale. È un personale straordinario, soprattutto quello che lavora nei pronto soccorso; è un personale che andrebbe elogiato ogni giorno, che durante la pandemia ha lavorato a faccia scoperta e a mani nude! Li abbiamo definiti eroi e, poi, non andiamo a incentivare questa capacità di grande professionalità. Non ci sono dubbi, da questo punto di vista, sulla capacità professionale dei nostri operatori sanitari: sono ai minimi storici in termini di assenteismo, sono sempre disponibili. Meno male che ci sono loro, perché se fosse dipeso dalla politica, non oso pensare a quello che avrebbe potuto succedere. Quindi, formazione del personale al punto 11.

Ovviamente, è fondamentale la trasparenza, è fondamentale lavorare contro la corruzione. Secondo l'ANAC siamo a 7 o 8 miliardi di corruzione solo in sanità, rispetto agli appalti, rispetto ai concorsi, rispetto alle convenzioni, addirittura, rispetto alla gestione del percorso funerario. Quindi, c'è da fare molto, da questo punto di vista: trasparenza, accountability, digitalizzazione orientata in tal senso e, ovviamente, anche nell'ambito della politica del farmaco. È ora di farla finita di vedere contratti secretati, perché non si sa quali sono i prezzi e non c'è trasparenza sui farmaci. Ovviamente, questa trasparenza e questa modalità devono essere estese anche al privato e alla libera professione intramoenia.

E questo riguarda i punti 14, 15, 19, 20, 21, 22, 23 e 24 della mozione.

Un'attenzione particolare è dedicata a una politica orientata, in termini di farmaco, contro l'antimicrobico-resistenza, che sappiamo essere un problema importante, sia in termini di appropriatezza sia in termini di capacità del sistema di prevenire anche atteggiamenti antiscientifici, perché abbiamo constatato quanto si è rischiato di abusare di alcuni farmaci, soprattutto antibiotici, macrolidi in particolare, durante la pandemia da parte di chi negava – di chi negava - le linee guida del Ministero della Salute, e questo è stato pericolosissimo, perché non si trovavano più certi farmaci, non si trovavano più certe opzioni terapeutiche.

Al punto 27, ed è una cosa che a noi preme in maniera particolare, e annuncio che su questo ho depositato anche una proposta di legge, ci interessa moltissimo che venga davvero implementato, soprattutto garantendo operatori, non obiettori di coscienza, il lavoro nei consultori familiari per garantire la legge n. 194 del 1978, che è una legge, anche quella di quegli anni, importantissima, che non può essere soggetta a restaurazione, ne va della libertà, in questo senso. Ovviamente, il Piano della cronicità deve essere attuato, punto 28, il punto 27 riguardava i consultori, e infine - è una questione che sta a cuore al MoVimento 5 Stelle da sempre - vorremmo allontanare la politica dalla nomina dei direttori generali (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Vorremmo che la salute non fosse un fatto politico, ma un fatto tecnico, a cui devono partecipare i cittadini, e deve essere assolutamente chiaro che è un investimento fondamentale. Quando si parla di salute, si sta parlando di persone in una situazione di debolezza, si sta parlando di dolore. E chi lucra sul dolore deve avere un suo codice etico e un suo codice deontologico, che non può prescindere dall'idea stessa che il profitto eccessivo è criminale, perché si va ad agire su un substrato di sofferenza. È una sofferenza che, poi, non riguarda il singolo, ma riguarda l'intera comunità, riguarda il cittadino stesso, riguarda l'individuo stesso.

E qui finisco e mi riallaccio un pochino al fatto che ieri si è parlato del decreto Immigrazione. L'articolo 32 della Costituzione, oltre a dire che la salute è un bene, è un diritto fondamentale, lo ripeto, fondamentale - questa parola compare solo all'articolo 32, il diritto alla salute è il diritto dei diritti, e non mi scuso di averlo ripetuto, perché è importante, in questo caso, averlo chiaro tutti quanti -, non parla di diritto alla salute per i cittadini, ma parla di diritto allo salute per gli individui. I padri e le madri costituenti ci hanno detto che la salute viaggia senza passaporto, la salute non ammette deroghe, è un bene comune, che non va compresso, non opzionabile e assolutamente fondamentale, voglio ripetere questa parola, fondamentale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Colgo l'occasione di questa piccola pausa per indirizzare un saluto alla delegazione dell'Ambasciata di Francia a Roma, guidata dal Console generale Fabrice Maiolino, che è qui in tribuna e assiste ai nostri lavori (Applausi). Grazie. Ovviamente, preciso che siamo in sede di discussione generale e che sono presenti in Aula, non casualmente, i parlamentari che sono iscritti a parlare e che devono svolgere il loro intervento.

È iscritta a parlare la deputata Grippo, che illustrerà anche la mozione n. 1-00061, di cui è cofirmataria.

VALENTINA GRIPPO (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il tema che ci troviamo ad affrontare oggi evidentemente va ben oltre le mozioni che alcuni di noi hanno deciso di presentare e sulle quali viene attenzionato oggi il Governo. È un tema che, negli ultimi anni, ha segnato essere l'infrastruttura portante della vita delle persone. Bene è stato fatto, bene ha fatto il collega che mi ha preceduto a richiamare il diritto delle persone, e non dei cittadini; l'idea che ci sia un diritto universale che i nostri padri costituenti hanno voluto prevedere, che, negli ultimi anni, è stato messo così a dura prova, e che ha dimostrato anche le proprie fragilità, ma anche le straordinarie risorse che questo Paese ha non solo nel personale sanitario, che più volte ci siamo trovati in quest'Aula ad applaudire e a ricordare, ma in tutti i settori che vengono coinvolti nella governance di quello che l'Organizzazione mondiale della sanità chiama il sistema di one health, il sistema di health in all policies, perché è chiaro che, quando parliamo di salute, non parliamo solo di quello che prevediamo in senso stretto per l'organizzazione del sistema sanitario, ma di tutte le politiche, ormai, che, trasversalmente, nei diversi ambiti della nostra legislazione e del nostro agire di Governo, incidono sulla vita e sulla salute dei cittadini.

Quello che abbiamo, però, noi come ossatura che è al centro di questo corpo, che poi è fatto di muscoli, di organi vitali, lo scheletro, l'impianto che ci viene invidiato da molti altri sistemi sanitari del mondo è il Servizio sanitario nazionale. È stato ricordato, è stato istituito circa 45 anni fa, era il 23 dicembre 1978, ed è stato istituito con alcuni principi cardine, che sono quelli che venivano richiamati, della nostra Costituzione: l'universalità, l'eguaglianza, l'equità, che erano gli strumenti che attuavano quella parte della Costituzione che poi ci ricorda sempre, non solo l'articolo 32, che lo Stato deve rimuovere gli ostacoli che, di fatto, impediscono la reale attuazione dei diritti dell'individuo. Il Servizio sanitario nazionale era la cristallizzazione di quella parte della Costituzione, di quando il legislatore ha detto: non mi accontento di sancire un diritto, cerco di mettere in pratica le azioni che sono la premessa affinché quell'universalità, quell'uguaglianza e quell'equità siano un fatto concreto.

La salute è un diritto dell'individuo, è un interesse della collettività; quasi sempre questi due concetti viaggiano insieme, talvolta non viaggiano insieme, e quindi bisogna avere la capacità normativa e la visione d'insieme che consentano di vedere questi interessi, talvolta contrapposti, e farli viaggiare insieme. L'obiettivo della Costituzione è anche la promozione del mantenimento e del recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, e lo ribadisco perché, purtroppo, ogni giorno le notizie di cronaca ci testimoniano che la salute fisica e psichica dell'individuo non è garantita, e, soprattutto, non è garantita senza distinzione di condizioni individuali e sociali.

Noi abbiamo, lo ripeto, uno strumento che ancora oggi in Europa e nel mondo è un modello. Ho avuto modo di partecipare a molti consessi internazionali, nei quali, non dal punto di vista dell'efficienza di risposte - poi, arriverò, purtroppo, ad illustrare alcuni numeri che ci preoccupano -, ma dal punto di vista del modello di governance e del sistema, il modello italiano istituito nel 1978 è una best practice, viene preso ad esempio, viene studiato da Paesi, come quelli anglosassoni, che sono arrivati tardi a sistemi di tutela universale della salute che prescinda dal censo, da strumenti privatistici di tutele, che siano indistinti in tutta la Nazione, almeno dal punto di vista dell'impianto strutturale e normativo.

Questo strumento ha garantito agli italiani, nel corso degli anni, il miglioramento delle condizioni di vita, la riduzione delle patologie, maggiore longevità e benessere e una risposta collettiva ai bisogni di salute e di vita di cittadini, famiglia e società nel suo complesso. Questo sistema, però, oggi deve dare risposte a sfide e sollecitazioni nuove, anche legate al cambiamento demografico del nostro Paese, con l'invecchiamento della popolazione e la conseguente necessità di presa in carico della cronicizzazione delle malattie. Sono diverse le problematiche che affliggono il nostro Sistema sanitario nazionale e questo - è stato anche detto da chi mi ha preceduto - si traduce in tanti aspetti. In primo luogo, non può non richiamarsi il divario nella quantità e qualità dei servizi forniti dalle singole regioni, legato sia alla diversa dotazione infrastrutturale - ci sono alcuni ospedali, alcune zone, dove chi va sa che va in un posto dove le cose, più o meno, funzioneranno, mentre ci sono altre aree, altri ospedali, dove chi ci va non sa se le cose, effettivamente, funzioneranno, e questa è cronaca del Paese -, sia anche ad altri aspetti, come, ad esempio, la capacità di programmazione gestionale non omogenea. Tantissime volte, ci è capitato di parlare con eccellenze sanitarie del Paese e sentirci dire che nulla quaestio - parlando anche con i pazienti - rispetto alla valutazione del personale sanitario e parasanitario, moltissimi dubbi rispetto alla gestione dei processi di governance ed organizzativi su cui quel sistema si appoggia. Ci sono, viceversa, alcune eccellenze anche nei processi di governance, ma, come dicevo, purtroppo non abbiamo nel Paese una risposta omogenea da questo punto di vista.

Vi è anche un altro aspetto per chi, come me, ha avuto una lunga esperienza di lavoro nelle regioni. Abbiamo avuto, negli ultimi anni, un ridimensionamento dei servizi ospedalieri e una ridistribuzione sui territori talvolta anche razionale e necessaria, ma non sempre è avvenuta una sufficiente compensazione di queste riorganizzazioni, ripensando i presidi territoriali in un'ottica di primo soccorso e di presa in carico di prossimità, che, poi, indirizzi verso strutture più articolate e più complesse le esigenze dei cittadini, e questo è vero, soprattutto, in alcune zone del Paese, dove è veramente critica e cronica questa situazione.

Ma il tema centrale è quello delle liste di attesa. Le lista di attesa sono un problema strutturale, che si è andato aggravando nel corso degli anni e che è esploso nella fase pandemica. In parte in modo inevitabile, perché nella fase pandemica, di fatto, si è sospesa la presa in carico di molte malattie che potevano essere rimandate nella loro gestione o perché era tecnicamente impossibile portare avanti processi di cura e, soprattutto, in modo macroscopico, di prevenzione delle patologie, con un calo degli screening, un calo del monitoraggio, un calo del controllo delle cronicità e, quindi, un acuirsi, poi, delle richieste nella fase post-pandemica.

Aggiungiamo a questo l'ingente spesa privata dei cittadini, che ha raggiunto più di 40 miliardi all'anno. In particolare, io torno a sottolineare - abbiamo approvato qui, nel Lazio, la legge quadro sulla disabilità e le patologie croniche - gli enormi costi che sono a carico delle famiglie per la gestione delle patologie croniche e della disabilità. Molto spesso, chi è in questa condizione non ha alternative rispetto a effettuare o non effettuare un controllo o un monitoraggio: la lista d'attesa diventa, talvolta, un obbligo e impone alle persone di scegliere servizi alternativi a quello pubblico. L'incidenza della spesa sanitaria di questa natura, quella cosiddetta, in termini tecnici, out of pocket, è, in Italia, del 22 per cento; segnalo che la media europea in questo senso è del 15 per cento. Sono dati Eurostat a disposizione di tutti.

Si aggiunga a questo anche la carenza di personale. Noi plaudiamo, ripeto, periodicamente, in quest'Aula, al personale sanitario. La carenza di personale è cronica, basta parlare con chiunque lavori nell'ambito sanitario, e questo, sì, è un tema dove, ahimè, la distribuzione nazionale è abbastanza omogenea, la carenza è strutturale. Mi preme sottolineare, peraltro, che questo aspetto è acuito dal fatto - e ne abbiamo parlato in sede di bilancio - che, all'investimento e alla pianificazione del PNRR, non è conseguito un parallelo e contestuale piano di investimento sulle risorse umane.

Con la nostra mozione - Presidente, se posso prendere un minuto in più – noi, di fatto, al Governo di reperire le risorse finanziarie necessarie a rispondere alle criticità che ho illustrato - è la prima richiesta -, di adottare poi iniziative volte ad aumentare il personale medico e infermieristico, di intervenire per assicurare maggiore attrattività alle professioni sanitarie e di dare piena attuazione ai piani nazionali approvati in sede ministeriale europea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ciocchetti. Ne ha facoltà.

LUCIANO CIOCCHETTI (FDI). Grazie, signor Presidente. Credo sia un dibattito molto interessante, su un tema centrale per la vita degli italiani, per la vita del Paese, per la salute, per tutto ciò che riguarda un'equilibrata gestione del Servizio sanitario nazionale.

Come Fratelli d'Italia, siamo estremi difensori del Servizio sanitario nazionale universale, ritenendo assolutamente fondamentale difendere questo modello di assistenza e di servizio. Bisogna dare assoluta attuazione agli articoli 2 e 32 della Costituzione, sebbene negli ultimi anni una serie di criticità hanno reso difficoltoso al Servizio sanitario nazionale l'espletamento appieno della sua funzione, in particolare, per alcune categorie di cittadini, le quali hanno trovato difficoltà nell'avere sul territorio e nelle strutture ospedaliere un servizio adeguato e nei tempi giusti.

Queste criticità sono esplose maggiormente dopo la pandemia. La pandemia ha segnato, in positivo, il cambiamento di un'idea: bisogna investire e non tagliare nella sanità. Ricordo che, fino al 2019, prima della pandemia, in questo Paese, qualsiasi Governo ha tagliato fortemente i finanziamenti alla sanità, sulla base di una logica di spending review, di riduzione dei costi assolutamente folle.

Voglio ricordare anche che si è intervenuti, creando grandissime difficoltà al sistema, sul tetto per le assunzioni, che ricordo essere ancora oggi, sottosegretario, Presidente, un tetto fissato all'organico del 2004, meno il 14 per cento.

ANDREA QUARTINI (M5S). Meno l'1,4!

LUCIANO CIOCCHETTI (FDI). Va bene, l'1,4 per cento. Credo che sicuramente sia una delle questioni su cui si deve mettere mano al più presto per consentire di adeguare il numero dei dipendenti del sistema sanitario nazionale alle esigenze sia ospedaliere sia non ospedaliere. Arriverò, poi, anche alla visione che in qualche modo i precedenti Governi hanno delineato nell'attuazione, per esempio, del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Pensare che la si possa realizzare, individuando una serie di finanziamenti molto importanti dal punto di vista strutturale, in case di comunità e ospedali di comunità, senza avere oggi la possibilità di assicurare il personale sufficiente, io credo che debba imporre a tutti una riflessione sull'attuazione concreta di questa proposta, di questo progetto che è all'interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza, Missione 6, Rischiamo anche di creare, in molte regioni, delle cattedrali nel deserto senza avere la possibilità di farle funzionare, mancando medici, mancando infermieri professionali e mancando OSS. Occorre fare una riflessione molto più ampia in termini di individuazione di un percorso di forte incentivazione del personale e di aumento del numero delle persone che possono entrare a lavorare all'interno del sistema.

C'è poi il problema - ce lo ha consegnato la pandemia - della mancanza assoluta della presenza del territorio nel presidio, nel rapporto e nel filtro per i cittadini, soprattutto per i più deboli, quelli che vivono in condizioni di maggiore disagio, verso le strutture ospedaliere. Non c'è un filtro che funzioni, che sia organizzato e che invece bisogna assolutamente attuare. Penso, come già ha detto il ministro Schillaci nell'audizione in Commissione affari sociali della Camera, che bisogna dare attuazione alla riforma di cui al decreto n. 77 del 23 maggio 2022, che è il regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale del Servizio sanitario nazionale. Si deve prevedere un forte investimento sull'assistenza domiciliare, sulle farmacie dei servizi, su un modello organizzativo complessivo che sia in grado davvero di svolgere quest'azione di filtro. Questo è un tema che rivedremo anche in occasione dell'esame della legge delega sul patto sugli anziani, approvata dal Consiglio dei Ministri qualche settimana fa, che sarà in discussione alle Camere nei prossimi giorni e dovrà essere approvata entro il 31 di marzo. Oggettivamente, questo provvedimento apre, almeno per una categoria importante, quella degli ultrasessantacinquenni, una scommessa forte, anche questa in attuazione del Piano nazionale di ripresa di resilienza, Missione 5, riguardo a una serie di servizi domiciliari e territoriali che siano in grado di accompagnare questa categoria di persone, che oggi rappresenta un quarto della popolazione italiana. Tuttavia, c'è il problema della carenza di personale, che rischia di non far utilizzare appieno le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, come ho già detto prima per le case di comunità e gli ospedali di comunità, oltre a quello delle scarse risorse previste per l'assistenza domiciliare, che sono assolutamente insufficienti per poter far partire fortemente questo tipo di servizio che io ritengo e noi riteniamo assolutamente fondamentale.

Servono risorse di spesa corrente per ospedali potenziati, assistenza domiciliare estesa, case e ospedali di comunità e per le spese del personale, perché altrimenti le risorse che sono state appostate sulle previsioni, che sono più spese in conto capitale e di investimento, del Piano nazionale di ripresa e resilienza rimarranno soltanto spese che non produrranno effetti di miglioramento dei servizi per i cittadini.

Credo che bisogna rivedere il decreto ministeriale n. 70 del 2015 sugli standard qualitativi strutturali e rivedere la progressiva riduzione dei pronto soccorso, che è un'altra delle grandi criticità che, purtroppo, nel nostro Paese, a macchia di leopardo ma in molte regioni, sta creando grandissime difficoltà. Visitando alcuni pronto soccorso del Lazio, nelle ultime settimane, ho rilevato, da una parte, la grande competenza e la grande disponibilità del personale sanitario, sia medico sia del comparto, ma, dall'altra, la difficoltà di organizzazione, la carenza di posti letto, la carenza di alternative, sia prima di arrivare al pronto soccorso sia dopo, per l'uscita, per ritornare verso casa, soprattutto per le persone anziane e per chi vive in condizioni patologiche croniche. Soprattutto, ho verificato il meccanismo del cosiddetto burnout che sta colpendo molte unità del personale sanitario. Nella visita che abbiamo fatto al pronto soccorso dell'ospedale Sant'Eugenio, quella settimana, su 3 medici, 2 erano andati in aspettativa e uno si era dimesso per andare a lavorare o nel privato o in altre parti. Noi abbiamo una media di posti letto che è assolutamente insufficiente, a nostro avviso. In questo momento, in Italia, siamo al 3,7 per mille abitanti; alcune regioni, tra cui il Lazio, hanno una media di 3 posti letto per mille abitanti mentre la media OCSE è di 4,9. È un tema che, credo, come ha già sottolineato lo stesso Ministro Schillaci in Commissione, dovrà essere posto nello sviluppo della legislatura perché è assolutamente fondamentale.

Credo che sia necessario far ridefinire i percorsi di accompagnamento dei pazienti che oggi, in molti casi, salvo alcune situazioni, si trovano senza punti di riferimento, soprattutto per alcune malattie, per alcune patologie, e soprattutto per alcune malattie croniche. Ho avuto un'esperienza diretta relativa ad alcuni ragazzi disabili le cui famiglie non hanno avuto la possibilità, e si sono dovute rivolgere al privato, di essere accompagnate lungo un percorso sanitario, di salute, di inserimento, e così via, che poteva in qualche modo essere sviluppato dal Servizio sanitario nazionale.

Credo, inoltre, che bisogna adottare al più presto il decreto Tariffe per adeguare i LEA alle mutate esigenze e per la loro piena attuazione su tutto il territorio nazionale. La polemica sull'autonomia, o sulla proposta di autonomia, credo che in qualche modo rientri fortemente in tale questione. Il problema, cioè, è stabilire regole che valgano per tutti e tutti debbono avere lo stesso livello minimo di assistenza in tutte le regioni e in tutti i territori; cosa che oggi non è. Sicuramente, nel dibattito che si svilupperà intorno a quella proposta - perché oggi è solo una proposta - si dovranno mettere insieme il tema dei LEPS e il tema dei LEA per la parte sanitaria, cercando di dare un indirizzo assolutamente cogente, forte e significativo.

Occorre investire su nuove prestazioni, sulla ricerca, sulle innovazioni tecnologiche sanitarie che la comunità scientifica rende disponibili. È un altro tema che vede le regioni divise a macchia di leopardo: alcune lo fanno, altre non lo fanno, alcune sono in grandissima difficoltà da questo punto di vista. E qui c'è anche il tema della messa a disposizione - che credo il Governo stia affrontando - dei farmaci innovativi, dei farmaci biologici, che oggi sono importantissimi, sia per alcune malattie rare sia per una serie di patologie tipo quelle oncologiche e altri tipi di malattie che hanno, appunto, la necessità di mettere a disposizione dei pazienti dei farmaci che oggi esistono in commercio a livello internazionale, ma di cui in molti casi diventa difficile avere disponibilità nel nostro Servizio sanitario nazionale.

Affrontare con più forza la cronicità, la non autosufficienza e la disabilità: qui c'è un problema di presa in carico, che deve diventare un fatto centrale nella riorganizzazione del Servizio sanitario nazionale. In questo quadro, bisogna aggiornare il Piano nazionale delle cronicità, il Piano nazionale sulle malattie rare, con il lavoro che sicuramente il Sottosegretario svilupperà, avendo anche ricevuto la delega da parte del Ministro specificatamente in questo settore, che è assolutamente importante, anche in relazione allo sviluppo dei cosiddetti farmaci ignoti, su cui c'è bisogno di fare un investimento assolutamente forte, per non lasciare sole le famiglie e i pazienti che si trovano a combattere le malattie in questione. Noi abbiamo centri particolarmente significativi e importanti, che svolgono un lavoro straordinario e hanno bisogno di maggiore attenzione e di maggiore supporto. Il Ministro, nella sua relazione in Commissione affari sociali, ha parlato del fatto che c'è un investimento, uno stanziamento nella legge di bilancio di 40 milioni per l'antibiotico-resistenza: è un tema assolutamente centrale, molto legato anche alle corrette informazioni verso i prescrittori e verso i cittadini. E io aggiungerei anche un appello al Governo per un'attenzione alle infezioni ospedaliere, che sono, credo, una questione forse troppo sottovalutata.

È importante il fatto che partano finalmente il Piano oncologico nazionale 2022-2027, con un primo stanziamento che il Ministero della Salute ha individuato all'interno delle proprie attività del Ministero, e il Piano europeo, che nelle prossime settimane avremo in discussione in Commissione affari sociali, che prevede uno stanziamento di 4 miliardi di euro per tutti i Paesi membri. Auspichiamo che l'Italia possa avere uno stanziamento significativo per rafforzare il Piano oncologico nazionale, attraverso meccanismi di screening non più sperimentali o episodici, ma strutturati e anche legati a tutta una serie di realtà che si confrontino con le esigenze del territorio.

Torno al problema centrale, che è quello del personale: la carenza dei medici e del personale sanitario del comparto. Oltre alla carenza dei medici, su cui occorre mettere mano al più presto, e il Ministro ha posto il tema, più volte, nei suoi interventi, credo che ci sia il problema anche di rivedere - per trattenere e per dare incentivazione al fatto di rimanere a lavorare nel Servizio sanitario nazionale - il trattamento economico, che in Italia sconta una difficoltà importante in rapporto a molti degli altri Paesi europei e internazionali. Credo che, da questo punto di vista, dobbiamo cominciare a mettere in campo azioni per far tornare in Italia i cervelli nel campo sanitario e medico. È importante questo. Io, ieri, ho avuto l'occasione di incontrare un giovane trentatreenne, italiano, romano, che a Birmingham fa trapianti di fegato, il quale ha avuto la possibilità di fare interventi di altissimo livello. È diventato un'eccellenza a livello internazionale, prima in Corea e poi a Boston, e lui vuole tornare in Italia a lavorare, vuole tornare qui. Dobbiamo - io credo - creare le occasioni e le opportunità per poterlo permettere, anche attraverso un riconoscimento economico e condizioni di lavoro che siano in grado di portare avanti queste eccellenze particolarmente importanti.

L'impegno del Governo per ripartire, rivedendo e incentivando il lavoro che si svolge nei dipartimenti di emergenza di primo e di secondo livello, credo sia assolutamente importante. Credo che tutto il Parlamento debba porre un'attenzione assolutamente fondamentale al tema, affinché questo avvenga nel 2023 e che possa, in qualche modo, essere anticipato per creare l'opportunità di dare una risposta importante. La Commissione affari sociali della Camera avvierà - lo ha deciso l'Ufficio di presidenza di qualche giorno fa - un'indagine conoscitiva sul sistema dei pronto soccorso, sulla situazione di tutta Italia, perché crediamo che sia un tema da affrontare e, in qualche modo, verificare. Dobbiamo superare le limitazioni del turnover, l'ho detto in precedenza.

Rimane anche il tema che, su base volontaria - questa è una mia idea, quindi non coinvolge assolutamente il gruppo di Fratelli d'Italia, ma, ripeto, è una mia personale idea -, considerata la carenza di medici che abbiamo, sarebbe opportuno che su base volontaria si possa allungare, solo in via sperimentale e solo per la parte assistenziale, la possibilità di rimanere in attività presso il Servizio sanitario nazionale, per i medici convenzionati, quindi i medici di medicina generale, da 70 a 72 anni; anche perché molte di queste persone, quando vanno in pensione dal Servizio sanitario nazionale, vanno a lavorare nel privato accreditato. Abbiamo centinaia di casi, che ciascuno di noi conosce. Siamo in un momento drammatico dal punto di vista del numero dei medici e credo che, in qualche modo, oltretutto grazie al numero delle borse di studio aumentate durante la pandemia, che avranno, nei prossimi anni, la possibilità di avere un numero di medici specializzati in maggior numero rispetto a quelli che ci sono stati precedentemente, anche avere un confronto esperienziale sia assolutamente importante.

Mi pare che il Ministro abbia chiarito la posizione del Governo sul troppo precariato, sui medici a gettone e sull'utilizzo in maniera sbagliata delle cooperative: aspettiamo anche un provvedimento da parte del Governo, da questo punto di vista, che possa chiarire questo discorso.

Credo che vada anche ridefinito il tema del rapporto - di cui si parla sempre - tra pubblico e privato. Il problema è che tipo di servizio viene offerto ai cittadini. Io penso che le strutture accreditate, seppur gestite da privati, rientrino a pieno nel Servizio sanitario nazionale, e non siano una cosa a parte; altra questione è l'acquisto, da parte delle ASL, di ospedali, da parte di strutture autorizzate private, di servizi sanitari. Sono due cose totalmente diverse.

Credo che dobbiamo rivedere anche il sistema delle residenze sanitarie assistenziali, che oggi vivono una condizione di grandissima difficoltà, sia per la mancanza di personale sia per le prestazioni che vengono offerte alle persone.

A memoria dell'Aula, voglio sottolineare che, con grande sorpresa, ho scoperto che il cosiddetto articolo 20 della legge n. 67 del 1988, quello per l'edilizia sanitaria, ha previsto, dal 1988 ad oggi, 23,3 miliardi di stanziamento per le regioni; ad oggi sono stati spesi soltanto 13,7 miliardi dal 1988. Credo che questa sia un'altra vicenda incredibile: abbiamo ospedali che cadono a pezzi e le regioni non sono riuscite a utilizzare neppure i soldi che, dal 1988, sono stati messi a disposizione per intervenire sul patrimonio edilizio sanitario.

L'ultima questione, che porteremo in una mozione che la maggioranza presenterà congiuntamente, quando entreremo nel dibattito sull'approvazione delle stesse mozioni, attiene alla mobilità passiva e attiva e i numeri che pubblicati oggi su un giornale sono particolarmente preoccupanti. In Italia, vi è una mobilità attiva verso la Lombardia, il Veneto, l'Emilia-Romagna, la Toscana, l'Umbria, il Molise, la provincia di Bolzano e il Friuli-Venezia Giulia; il resto delle regioni registra una mobilità passiva e 4 regioni hanno il record della mobilità passiva e sono la Campania, la Calabria, il Lazio e la Sicilia. Credo che tutte le politiche di spending review che sono state fatte nel corso di questi anni abbiano prodotto questa problematica.

Però il Governo Meloni ha dimostrato - a differenza di quello che viene raccontato - che, con i dati reali della legge di bilancio, nei prossimi tre anni (2023, 2024 e 2025), ci saranno 7 miliardi e 50 milioni in più di stanziamento sul Fondo sanitario nazionale. Avremmo voluto fare molto di più - non c'è dubbio -, credo che il Ministro, per primo, avrebbe voluto fare molto di più, ma anche il Presidente del Consiglio, peccato che dovevano essere affrontare le questioni del caro bollette e del caro energia, che hanno portato via 21 miliardi di stanziamento, ma, nonostante questo, il segnale è stato dato.

A parte i due anni della pandemia, questa è la prima volta, dal 2010, che c'è uno stanziamento in aumento sul Fondo sanitario nazionale e credo che questa sia la cifra di una linea di indirizzo e di una visione politica che Fratelli d'Italia, il Governo e la maggioranza vogliono portare avanti con forza, perché vogliamo scommettere fortemente sul rilancio del Servizio sanitario nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti dell'Istituto “Ettore Majorana”, di Orvieto, che assistono ai nostri lavori dalle tribune (Applausi). Ricordo che ci troviamo in fase di discussione generale, non ci sono votazioni e sono presenti pertanto i parlamentari iscritti a parlare in discussione generale.

È iscritta a parlare la deputata Ilenia Malavasi. Ne ha facoltà.

ILENIA MALAVASI (PD-IDP). Signor Presidente, colleghe e colleghi e sottosegretario, questa è una mozione importante, soprattutto perché ci stimola a riflettere insieme sull'importanza del Sistema sanitario nazionale, la cui tenuta - come già hanno detto i colleghi intervenuti - è messa a dura prova per molteplici fattori.

Al di là del limite di parlare di temi così importanti attraverso una mozione - questi temi necessiterebbero di un ampio coinvolgimento di tutte le parti coinvolte -, ci interessa stare nel merito di questa discussione e lo facciamo riprendendo due principi fondamentali che già sono stati richiamati.

Parto, ricordando l'articolo 32 della nostra Costituzione, che definisce espressamente la salute un diritto fondamentale dell'individuo, che deve essere garantito a tutti, indipendentemente dall'essere cittadini italiani o meno (perché, come ricordava il collega Quartini, parla di “individui”), dal possedere un reddito o dall'essere indigenti.

Sulla base di questo principio, il nostro Sistema sanitario nazionale, istituito da Tina Anselmi - lo ricordiamo - il 23 dicembre del 1978, nasce con l'obiettivo di garantire la salute a tutti i cittadini, senza alcuna distinzione sociale, economica e territoriale, configurandosi come uno strumento di giustizia e di coesione sociale secondo i principi di universalità e di uguaglianza, proprio perché ogni cittadino ha il diritto di essere curato e ogni malato deve essere considerato un utente di un servizio pubblico in modo legittimo, cui ha pieno e incondizionato diritto. Questa è una premessa che riteniamo fondamentale, ben consapevoli che, nonostante ciò, per un insieme di motivi economici e organizzativi e per scelte anche politiche, a cui si è aggiunta, negli ultimi due anni, la pandemia da COVID-19, la tenuta del nostro Sistema sanitario nazionale è stata messa a dura prova. Si sono determinate delle condizioni di frammentazione e di difformità territoriali in cui, a regioni in grado di assicurare prestazioni e servizi all'avanguardia e di eccellenza, se ne affiancano altre in cui è più difficoltoso garantire anche solo i livelli essenziali di assistenza, con la conseguenza che non tutti riescono ad accedere alle cure di cui hanno bisogno nei territori in cui vivono.

Abbiamo ricordato - e lo ricorda anche la mozione – che, nel decennio 2010-2019, secondo l'ultimo rapporto Gimbe, sono stati sottratti, tra tagli e definanziamenti, 37 miliardi al Sistema sanitario nazionale, mentre il fabbisogno sanitario nazionale è aumentato di soli 8,2 miliardi. A sua volta, negli anni 2020-2022 - sono dati importanti da ricordare -, il fabbisogno sanitario nazionale è cresciuto di 11,2 miliardi, rispetto agli 8,2 del decennio precedente, ma, nonostante ciò, le risorse sono state interamente assorbite dalla pandemia e non sono state certamente sufficienti a rafforzare, in maniera strutturale, il Servizio sanitario nazionale, che, oggi, paga alcuni problemi strutturali importanti.

A questo, si aggiunge la legge di bilancio. Con la NADEF, nella versione rivista e integrata del 4 novembre del 2022, la spesa sanitaria scenderà costantemente nel triennio 2022-2025, arrivando al 6 per cento del PIL nel 2025, al di sotto dei livelli antecedenti la pandemia, non intravedendo e non permettendoci di vedere alcun programma di rilancio degli investimenti. Infatti, con la legge di bilancio del 2023, sono stati aggiunti, rispetto a quanto già previsto dalla legislazione, solamente 2 miliardi, portando a 128 lo stanziamento per la sanità, di cui 1,4 miliardi destinati a coprire maggiori costi per fonti energetiche.

Secondo quanto riporta la relazione della Corte dei conti, nonostante, nel biennio 2020-2022, la spesa sanitaria sia aumentata, l'Italia continua a spendere meno degli altri partner europei.

A questa riduzione in termini reali del finanziamento e della spesa sanitaria corrente rispetto al 2022, si accompagnano però le risorse necessarie e le riforme previste dalla Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Com'è noto, infatti, rispetto alla dotazione iniziale di 191,5 miliardi di euro, da investire tra il 2022 e il 2026, il PNRR destina importanti risorse (ben 15,6 miliardi) alla sanità, l'8,2 per cento del totale, oltre alle risorse comprese nelle altre Missioni che hanno importanza e sono relative alla tutela della salute.

È, quindi, importante - sono certa che il Sottosegretario sarà d'accordo con me - dare piena attuazione alla Missione 6, che ha alcuni obiettivi importanti: la definizione di nuovi modelli per la tutela della salute attraverso lo sviluppo di diverse innovazioni organizzative; lo sviluppo di reti di prossimità, di strutture intermedie e della telemedicina per l'assistenza territoriale sanitaria; la promozione dell'innovazione, della ricerca e della digitalizzazione del Servizio sanitario nazionale. In particolare, gli interventi della prima componente mirano a rafforzare le prestazioni erogate sul territorio, tramite il potenziamento e la creazione di strutture e presidi territoriali, come le case della comunità e gli ospedali di comunità, il rafforzamento dell'assistenza domiciliare, lo sviluppo della telemedicina e una più efficace integrazione di tutti i servizi sociosanitari.

In particolare, la Missione 6 prevede 1.350 case della comunità, 600 COT e 400 ospedali di comunità, per un totale di circa 18.350 infermieri, 10.250 unità di personale di supporto, 2.000 operatori sociosanitari e 1.350 assistenti sociali. L'implementazione di questo modello ad oggi, però, è molto differenziata nel territorio nazionale. In totale, si dichiarano attive: 493 case della salute, di cui il 56 per cento al Nord, il 18 per cento al Sud e il restante al Centro; 163 ospedali di comunità, di cui il 74 per cento al Nord e solamente il 5 per cento al Sud.

Questo modello di assistenza territoriale è stato anche fortemente criticato nella sua organizzazione - mi riferisco alle case della salute - dall'attuale Governo e anche dal Sottosegretario Gemmato, qui presente, che ringrazio per il confronto, il quale ha dichiarato: “No alle case di comunità. Non garantiscono la prossimità delle cure. Bisogna invece puntare di più sui medici di famiglia e sui farmacisti. Queste strutture rischiano di non realizzare una vera medicina di prossimità, visto che prevedono un bacino di utenza di 50.000 persone e questo fatto esclude i piccoli paesini, le aree interne e le aree disagiate che dovrebbero essere accorpate per raggiungere 40.000 abitanti, mentre il medico di famiglia e il farmacista attrezzati garantiscono l'assistenza di base davvero prossima”.

Questa posizione si contrappone ad una visione che vede, invece, proprio i medici di medicina generale come attori chiave delle nuove case e degli ospedali di comunità. Lo stesso collega Ciocchetti, il cui intervento ho apprezzato, parla della necessità di avere un filtro di una rete territoriale di base che aiuti a migliorare l'organizzazione dell'intero sistema, perché la riorganizzazione della medicina territoriale si scontra, purtroppo, con una carenza ormai cronica di medici di famiglia e di pediatri di libera di scelta, di cui abbiamo bisogno nel nostro Paese perché la loro funzione è fondamentale per riorganizzare l'intero sistema e per farlo funzionare al meglio.

A mettere in evidenza l'emergenza sulla carenza dei medici di medicina generale sono tantissime associazioni e fondazioni. L'Agenas ha aggiornato i dati al 2021 e ha evidenziato che, a fronte di 40.250 medici di famiglia complessivi, la media di italiani assistiti per ognuno di loro è di 1.237, con il valore più alto al Nord (pari a 1.326), rispetto al Centro (pari a 1.159) e al Sud (pari a 1.102).

La Federazione italiana dei medici di base stima che, entro il 2028, andranno in pensione 33.000 medici di base, a cui si deve sommare la stima di 47.000 medici ospedalieri.

Questo è sicuramente un problema urgente e ad affliggere il mondo della medicina generale non è solamente il numero delle carenze di professionisti, non più in grado ormai di coprire il nostro territorio, ma anche la necessità di una riforma di questa figura professionale che deve essere un nuovo pilastro della riforma territoriale che sta per decollare - dobbiamo essere in grado di farla decollare - grazie ai fondi del PNRR. Emerge, infatti, che nel biennio 2020-2021 l'emergenza sanitaria ha comportato la difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie anche non COVID.

La riduzione in volume delle prestazioni sanitarie è stata generalizzata in tutte le regioni italiane e il Parlamento, nel periodo pandemico, ha fatto fronte con una legislazione emergenziale, intervenendo su una significativa immissione di personale in tutte le possibili forme contrattuali. Ricordo che nella legge di bilancio abbiamo anche prorogato, grazie a un emendamento del Partito Democratico, i termini per la stabilizzazione del personale, che hanno raggiunto, entro il 31 dicembre 2024, i 6 mesi, in un periodo tra il 1° gennaio 2020 e il 30 giugno 2022. È un problema che ha comportato un allungamento delle liste di attesa e un rallentamento degli esami, della prevenzione e anche degli interventi.

Oltre a questo problema, rimane il fatto che, nonostante i livelli essenziali di assistenza siano stati modificati nel 2017, ad oggi non sono ancora operativi i decreti necessari, perché non è stato emanato il decreto Tariffe, necessario a dare applicazione alle prestazioni ivi previste. Un provvedimento, dunque, atteso e non più rinviabile, su cui siamo certi che questo Governo lavorerà.

Dal report Osservatorio GIMBE sui livelli essenziali di assistenza emerge che, rispetto al mantenimento dell'erogazione dei LEA, a fronte di un Servizio sanitario nazionale fondato sui principi di equità, uguaglianza e universalismo, il nostro Paese presenta inaccettabili e non più giustificabili disuguaglianze regionali, che mi pare anche tutti i colleghi che sono intervenuti hanno ricordato. È necessario, come affermato dal Presidente Mattarella, operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese, rappresentato dal Servizio sanitario nazionale, si rafforzi, ponendo sempre al centro la persona e i suoi bisogni concreti nel territorio in cui vive. Appare, pertanto, necessario valutare con estrema attenzione la proposta di autonomia differenziata anche in materia sanitaria, al fine di non cancellare il nostro Sistema sanitario nazionale ora improntato a quei principi di universalità, equità e solidarietà per cui tutti i cittadini, indipendentemente da origine, residenza e capacità economica, devono essere curati allo stesso modo, con oneri a carico dello Stato mediante prelievo fiscale su base proporzionale.

Forse non era certamente questa l'urgenza di cui occuparsi oggi. Forse era più urgente occuparsi di sanità pubblica, piuttosto che proporre una riforma che farà tanto discutere e che ha già scatenato molte reazioni contrarie da parte di tanti governatori, visto che il testo è stato un'evidente forzatura, forse a scopo elettorale. Infatti, è stata approvata dal Consiglio dei ministri una proposta - una bozza - senza alcun confronto con la Conferenza Stato-regioni.

È un atto politico che ci preoccupa anche nei modi, perché non si capisce come possano essere definiti i LEP, che sono così importanti per superare le disuguaglianze, e, superata la fase storica, come tutelare le regioni più deboli. Soprattutto, non c'è un euro per realizzare questa riforma. È necessario, dunque, prevenire una parcellizzazione ulteriore e non sostenibile nelle regioni, che comporterà una differenza nelle materie e nelle competenze e riguarderà, oltre una pericolosa politica dei farmaci, una sanità animale, una specializzazione della dirigenza, igiene e sicurezza degli ambienti scolastici e tanto altro, con una parcellizzazione e una frammentazione non sostenibili.

Oltre alle risorse così importanti, che abbiamo tutti quanti ricordato, l'altro tema importante è proprio quello del personale, ossia la drammatica carenza del personale sanitario all'interno del nostro Sistema sanitario nazionale. Le strutture sanitarie oggi registrano maggiori difficoltà a reperire sul mercato del lavoro personale medico, con particolare riferimento alla specialità di anestesia, rianimazione, medicina d'urgenza, malattie infettive, pneumologia, ostetricia, ginecologia e pediatria, ma la criticità investe trasversalmente tutta la professione medica. Anche il personale del comparto rileva oggi un'offerta di operatori significativamente insufficiente rispetto ai nuovi fabbisogni, in particolare infermieri, tecnici, radiologi e tecnici di laboratorio, oltre a personale infermieristico. Questo tema richiede una riflessione importante, perché la carenza del personale all'interno del Servizio sanitario nazionale ha bisogno di interventi strutturali, anche andando a superare l'imbuto formativo che ha contribuito pesantemente alla carenza dei medici, con una riflessione urgente sui numeri chiusi nelle università e nelle specializzazioni, che stanno penalizzando anche i nostri giovani.

Il Partito Democratico pensa, senza ogni dubbio, che il diritto alla salute sia un diritto di cittadinanza. È una questione di democrazia, di equità, di giustizia sociale e garantire parità di accesso alle cure e ai servizi è un dovere.

Sia chiaro: oggi non stiamo discutendo di mettere un euro in più o in meno in una legge di bilancio, come se bastasse un miliardo in più per risolvere i problemi strutturali. Si deve fare, però, una scelta di campo da cui far dipendere tutte le altre scelte: difendere il Servizio sanitario nazionale, mettendo le risorse necessarie e togliendo il tetto di spesa al personale, perché, senza il personale, possiamo costruire bellissime case della comunità e bellissimi ospedali ma non sapremo come erogare i servizi.

In ballo non c'è, infatti, solamente la necessità di accorciare una lista di attesa da 3 mesi a 3 settimane per una prestazione oppure per uno screening.

PRESIDENTE. Ha esaurito il suo tempo. Deve concludere.

ILENIA MALAVASI (PD-IDP). Si tratta di difendere - e concludo - un sistema pubblico che consenta a tutti, indipendentemente dalla propria condizione economica, di definire una prestazione e uno screening.

PRESIDENTE. Concluda.

ILENIA MALAVASI (PD-IDP). Non ci dobbiamo, quindi, stancare di chiedere al Governo un impegno costante - e so che il Sottosegretario è d'accordo con me, ma anche il collega Ciocchetti - per garantire centralità e unitarietà ad un Sistema sanitario nazionale, messo a dura prova da questa riforma di autonomia differenziata (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Sottosegretario Gemmato, intende intervenire o si riserva di farlo?

MARCELLO GEMMATO, Sottosegretario di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. Mi riservo di farlo, ovviamente, nel prosieguo del dibattito concernente la mozione sul sistema sanitario nazionale e sul potenziamento dello stesso.

Vorrei, semplicemente, però, complimentarmi con i colleghi per il livello del dibattito, per la profondità delle argomentazioni trattate e per il bene che traspare in maniera trasversale, quindi, omogenea e orizzontale, da parte di tutti i gruppi, nei confronti del sistema sanitario nazionale, in generale, e nei confronti del cittadino.

Il collega Quartini ricordava i termini costituzionali, a me piace ricordare una definizione data da Pietro Calamandrei che dice che l'uomo malato non è un uomo libero. Allora, noi dovremmo consentire a tutti gli uomini di rendersi liberi e immagino che questa discussione e queste mozioni abbiano come orizzonte e obiettivo proprio questo.

Rispetto a ciò che diceva la collega Malavasi, la critica prodotta da parte mia e del Governo rispetto alle case di comunità penso che trovi una risposta nell'altra metà del suo intervento, quando, appunto, parlava della mancanza di personale. Infatti, le 1.350 case di comunità, le 605 COT, i 400 ospedali di comunità, è vero che, secondo noi, secondo me, non rendono sanità territoriale, perché vengono parametrati per essere uno ogni 40.000 o 50.000 abitanti, e io penso a tutte le aree interne, alle aree montane, a quelle tante comunità che costituiscono la specificità della nostra Nazione e che sono comuni di 1.000, 2.000 o 800 abitanti: riuscire a parametrare 40.000 persone significa, magari, sommare due valli o tre valli e, quindi, significa non dare sanità territoriale.

Tuttavia, al netto di questo, non c'è il personale sanitario da mettere all'interno delle stesse strutture e di qui l'intervento puntuale dell'onorevole Ciocchetti: occorre trovare delle soluzioni rispetto a questo; potrebbe essere il superamento del vincolo del 2004 meno l'1,4 per cento; potrebbe essere sicuramente una maggiore dotazione economica; potrebbe essere il superamento di tante situazioni che si sono determinate negli anni.

Noi ci siamo e lo ripeto in questa mia brevissima replica che non è una replica, ma è un saluto, un indirizzo anche di congratulazioni per un dibattito orizzontale e puntuale: sicuramente, il Governo Meloni c'è e sicuramente c'è il Ministro Schillaci.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Annunzio della nomina di una Commissione d'indagine ai sensi dell'articolo 58 del Regolamento (ore 12,42).

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera, essendone stata fatta richiesta, ai sensi dell'articolo 58 del Regolamento, da parte dei deputati Debora Serracchiani, Silvio Lai e Andrea Orlando, e sussistendone i presupposti, ha nominato una Commissione d'indagine che giudichi la fondatezza delle accuse loro rivolte dal deputato Giovanni Donzelli nel corso della seduta dell'Assemblea del 31 gennaio 2023, chiamando a farne parte il deputato Sergio Costa, in qualità di presidente, e i deputati Fabrizio Cecchetti, Annarita Patriarca, Roberto Giachetti e Alessandro Colucci.

La Commissione dovrà riferire alla Camera entro il 10 marzo 2023.

Annunzio di un'informativa urgente del Governo.

PRESIDENTE. Avverto che, secondo le intese intercorse tra i gruppi, nella seduta di mercoledì 15 febbraio, alle ore 16, avrà luogo un'informativa urgente del Governo sull'esito degli approfondimenti prospettati dal Ministro della Giustizia nel corso della seduta della Camera dei deputati del 1° febbraio 2023.

Conseguentemente, l'esame del decreto-legge in materia di trasparenza dei prezzi dei carburanti, previsto dal calendario dei lavori a partire dalle ore 16 della stessa seduta di mercoledì 15 febbraio, avrà inizio dopo la conclusione dell'informativa urgente.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Lunedì 13 febbraio 2023 - Ore 16:

1. Seguito della discussione del disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 2 gennaio 2023, n. 1, recante disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori (C. 750-A​)

Relatori: ZIELLO (per la I Commissione) e RAIMONDO (per la IX Commissione), per la maggioranza; BONAFÉ e MAGI (per la I Commissione) e BARBAGALLO e GHIRRA (per la IX Commissione), di minoranza.

La seduta termina alle 12,45.