XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 690 di lunedì 9 maggio 2022

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FEDERICA DAGA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 12 aprile 2022.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Ascari, Baldelli, Barelli, Battelli, Bergamini, Biancofiore, Boschi, Brescia, Brunetta, Butti, Cancelleri, Carfagna, Casa, Cavandoli, Cirielli, Colletti, Colucci, Comaroli, Davide Crippa, D'Inca', D'Uva, Dadone, De Maria, Delmastro Delle Vedove, Di Stefano, Fassino, Gregorio Fontana, Ilaria Fontana, Franceschini, Frusone, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gebhard, Gelmini, Giachetti, Giacomoni, Giorgetti, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Iovino, Lapia, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Lupi, Macina, Maggioni, Magi, Mandelli, Marattin, Marin, Migliore, Molinari, Molteni, Morelli, Mule', Mura, Nardi, Nesci, Orlando, Orsini, Paita, Parolo, Perantoni, Rampelli, Rizzo, Romaniello, Rotta, Ruocco, Sasso, Scalfarotto, Schullian, Serracchiani, Carlo Sibilia, Sisto, Speranza, Suriano, Tabacci, Tasso, Tateo, Zanettin e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente 100, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione di una componente politica del gruppo parlamentare Misto.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 6 maggio 2022, la deputata Jessica Costanzo, già iscritta alla componente politica “Alternativa” del gruppo parlamentare Misto, ha dichiarato di dimettersi da tale componente, restando iscritta al gruppo parlamentare Misto.

Discussione della proposta di legge: Siani ed altri: “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e alla legge 21 aprile 2011, n. 62, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori” (A.C. 2298-A​) e delle abbinate proposte di legge: Cirielli ed altri; Bellucci ed altri (A.C. 1780​-3129​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 2298-A: “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e alla legge 21 aprile 2011, n. 62, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori” e delle abbinate proposte di legge nn. 1780 e 3129.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 6 maggio 2022 (Vedi l'allegato A della seduta del 6 maggio 2022).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2298-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Walter Verini.

WALTER VERINI , Relatore. Grazie, Presidente. Prima di intervenire, un piccolo chiarimento tecnico: è obbligatorio parlare a distanza con la mascherina o posso toglierla?

PRESIDENTE. Secondo me si può togliere a prescindere, perché ci sono i due metri. Potrei toglierla anch'io e la toglierei volentieri, ma dopo apriamo un dibattito sull'argomento e quindi me la tengo.

WALTER VERINI , Relatore. Mi scusi, la ringrazio. Nella situazione troppo spesso drammatica, che viviamo e vediamo ogni giorno, del sistema carcerario italiano, questa proposta di legge, a prima firma Paolo Siani, potrà essere, una volta approvata, un passo in avanti importante su una questione particolarmente odiosa; un passo in avanti nella difesa dei diritti dei bambini, che non debbono scontare colpe dei propri genitori e un passo in avanti in termini di civiltà. Siamo consapevoli di quanto resti da fare nel quadro complessivo del nostro sistema carcerario, con i suoi numerosi problemi irrisolti, a partire da quello di cui stiamo discutendo fino alle condizioni quotidiane che si vivono in diverse, troppe, carceri italiane. Una responsabilità e un impegno per questo Parlamento e, ci auguriamo, un punto essenziale del lavoro del Ministero. A questo proposito, conoscendo la sensibilità istituzionale e anche personale della Ministra Marta Cartabia, rinnoviamo anche in questa sede la proposta di procedere a definire misure urgenti, urgentissime, per alleviare la situazione negli istituti di pena italiani.

C'è stato un lavoro compiuto recentemente dalla Commissione presieduta dal professor Ruotolo, che ha prodotto proposte di diverso segno, ma immediatamente praticabili, alcune per via regolamentare. E ci sono altre cose che potrebbero e dovrebbero essere approvate in tempi molto brevi. Per questo ribadiamo la nostra disponibilità a sostenere questi interventi e ribadiamo anche la proposta che si possa procedere anche per decretazione, vista la necessità e l'urgenza di questi interventi che potrebbero rendere il sistema carcerario più civile e più rispettoso delle persone - persone che hanno sbagliato e che scontano una pena -, ma anche più aderente ai contenuti della Costituzione, che scolpiscono come la pena debba essere non solo afflittiva, ma soprattutto rieducativa e riabilitativa. Lo ripetiamo, infine, ancora una volta: investire in umanità significa anche investire nella sicurezza di tutti i cittadini: chi esce da una pena rieducato e pronto al reinserimento sociale, difficilmente torna a commettere reati.

La proposta della quale l'Aula della Camera avvia l'esame si basa sul principio “mai più bambini in carcere”. È un principio condiviso dagli organismi nazionali e internazionali che si occupano dei diritti dei minori, dallo stesso Ministro, e credo, spero, da tutti noi. Non deve restare uno slogan, ma diventare realtà. La relazione tra genitore e figlio, tra madre e figlio, dev'essere sempre tutelata al massimo delle possibilità esistenti, interpretando e garantendo - con il dovuto, anche difficile a volte, equilibrio - l'interesse prevalente del bambino. L'onorevole Siani, quando presentò la proposta, presentò anche una relazione. Cito un passo da questa relazione: gli interventi previsti - scriveva - sono finalizzati all'eliminazione dei profili problematici emersi in sede di applicazione di una legge di circa dieci anni fa, undici, la legge n. 62 del 2011. L'entrata in vigore di quella legge, infatti, purtroppo non è riuscita a sortire tutti gli effetti sperati a causa di alcune limitazioni giuridiche ed economiche contenute nel testo allora approvato dal Parlamento. Con le modifiche previste da questa proposta, ci si propone di superare quelle criticità, senza modificare l'impianto essenziale della legge e perseguendo lo spirito di quella riforma, finalizzato a impedire che i bambini varchino la soglia del carcere. In particolare, si persegue quella finalità valorizzando l'esperienza delle case famiglia. Oggi ne esistono solo due in tutto il Paese: una a Milano e una a Roma, sono entrambe note. A Roma ci piace ricordare la “Casa di Leda”, da Leda Colombini, una personalità della politica romana che si è sempre occupata di questi temi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Le case famiglia sono considerate da tutti la vera soluzione al problema. Anche gli istituti a custodia attenuata per detenute madri, gli ICAM, infatti, pur essendo comunque un ripiego, per loro stessa natura mantengono comunque una connotazione tipicamente detentiva, con evidenti conseguenze lesive per i minori che dovessero essere lì ospitati. E pur senza escludere il ricorso agli ICAM nei casi più gravi, con questa proposta di legge si mira a promuovere il modello delle case famiglia, in primo luogo mediante l'eliminazione dei vincoli economici che sono contenuti nella vigente legge n. 62 del 2011. Oggi di che parliamo? Oggi parliamo di alloggi, di 18 madri detenute con 18-20 figli al seguito. Ci sono dei dati in alcune regioni che rappresentano come molte di queste situazioni riguardino persone che hanno compiuto reati, certamente, ma reati di non drammatica entità e gravità. Mi piace citare anche le parole pronunciate dalla Ministra Cartabia durante un'audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della disciplina dell'esecuzione della pena nei confronti dei condannati minorenni e delle detenute madri da parte della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza; un'audizione recentissima, il 17 febbraio di quest'anno, nella quale la stessa Ministra affermò: permettetemi di confessarvi di essere rimasta turbata nel vedere un calendario realizzato con i disegni di alcuni dei bambini, pochi ma sempre troppi, che vivono dentro il carcere. Le finestre hanno sempre le grate e davanti alla porta c'è sempre un agente a cui chiedere di aprire. Davanti a questi disegni, siamo chiamati a chiederci quali conseguenze possa lasciare, quali traumi possa lasciare un'esperienza di mesi o anni in una vita in formazione, bimbi oggi, adulti e cittadini di domani. La nostra meta ideale è, appunto, mai più bambini in carcere. Queste erano le parole della Ministra. Nel diciottesimo rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, nella parte “bambini in carcere”, anche questo recentissimo, del marzo di quest'anno, poco più di un mese fa, si può leggere: “Dopo i picchi raggiunti nei primi anni 2000, quando si sono arrivati a contare anche più di 70 bambini in carcere, negli ultimi dieci anni i numeri sono complessivamente diminuiti, seppure con un andamento con un andamento piuttosto altalenante. Con l'arrivo della pandemia la diminuzione dei bambini in carcere è stata, invece, particolarmente significativa: alla fine del 2021 erano appunto 18, a fronte dei 48 di appena 2 anni prima”. Quindi, anche questo dato, sia pure costretto dalla pandemia, ha dimostrato come sia stato, e sia possibile, ricorrere a soluzioni alternative tramite percorsi di esecuzione penale che limitino, annullino l'ingresso di bambini in carcere, e, al contempo, evitino la separazione dalle loro madri. Ecco quindi l'opzione case famiglia e, in certi casi di qualche gravità, di pericolosità, anche gli ICAM. Poi ci ispiriamo, noi, per questa proposta di legge, anche alla Carta dei diritti dei figli dei genitori detenuti, che affronta più complessivamente il tema del rapporto tra madri e padri detenuti e i minori che hanno bisogno comunque di avere una relazione, un legame con i propri genitori.

Nel dicembre 2021 è stata rinnovata, per 4 anni, la Carta dei diritti dei figli dei genitori detenuti, protocollo d'intesa siglato nel 2014, rinnovato nel 2016 e nel 2018 tra Ministero, l'AIGA, l'Associazione italiana giovani avvocati, e l'Associazione BambiniSenzaSbarre ONLUS. La Carta riconosce il diritto dei minorenni alla continuità del legame affettivo con i genitori, mira a sostenere il diritto alla genitorialità. Non parliamo dei bambini fino a 6 anni di età, parliamo dei minori, ma, inquadrando il problema, si può capire anche meglio l'essenza, lo spirito e le finalità di questa legge. Solo nel 2021, fino al 30 novembre, sono stati 280 mila, in Italia, i colloqui tra i detenuti e almeno un familiare minorenne. Con l'Accordo, con la Carta dei diritti si intendono promuovere iniziative in materia di custodia cautelare, di luoghi di detenzione, di spazi bambini nelle sale d'attesa e di colloquio, di visite in giorni compatibili con la frequenza scolastica, videochiamate e formazione del personale carcerario che entra in contatto con i piccini.

Insomma, assistenza, informazione e supporto alla genitorialità. La Carta contiene, inoltre, una serie di misure a tutela proprio dei diritti dei bambini costretti a vivere in una struttura detentiva con le madri, che è l'oggetto di cui si parla. Consegnerò poi, avviandomi rapidamente alla seconda e ultima parte di questa relazione, la completa relazione tecnica, che illustra nel dettaglio, grazie anche al contributo sempre prezioso degli uffici, i contenuti della proposta di legge. Cito qualche titolo, ricordando anche che la Commissione giustizia ha svolto audizioni, ha sentito associazioni, personalità, esperti, e si è avvalsa anche di altre proposte di legge, perché, abbinata a quella di Paolo Siani, c'è anche la proposta di legge Cirielli e un'altra proposta di legge a prima firma Bellucci. Insomma, è stato fatto un lavoro significativo per l'Aula, la quale potrà ulteriormente, se ritiene, come credo sarà possibile, migliorare ancora, alla ricerca di quell'equilibrio tra umanità ed esigenze di sicurezza che tutti noi vogliamo perseguire.

Vorrei anche citare che l'articolo 1 apporta alcune modifiche al codice di procedura penale, e, in particolare, incide sul divieto dell'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per donna incinta o madre di prole di età non superiore a 6 anni con lei convivente, ovvero padre, quando la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole.

Naturalmente si dice che, se sussistessero esigenze comunque eccezionali di custodia cautelare, questa esigenza di non far varcare la soglia del carcere ai bambini può essere comunque attenuata - questo è l'unico termine che possiamo usare - prevedendo non tanto arresti domiciliari o misure cautelari o una casa famiglia, perché ce ne sono poche attualmente, ma almeno la custodia in un istituto a custodia attenuata, cioè in un ICAM.

Poi vengono chiamati a un protagonismo e anche a una sensibilità diversi gli ufficiali e gli agenti di Polizia giudiziaria incaricati di eseguire la misura cautelare, naturalmente i giudici, da questi allertati, in caso di presenza di un minore fino a 6 anni, e quindi i giudici che hanno emesso il provvedimento, che saranno immediatamente allertati perché c'è la possibilità, il dovere quando la legge sarà approvata, di una misura alternativa al carcere. Poi, naturalmente, i magistrati di sorveglianza. Insomma, si cerca di irrobustire il contenuto e le prescrizioni della proposta di legge non solo con una sensibilizzazione, ma con un adeguato intervento multiplo di soggetti diversi che presiedono all'esecuzione penale.

L'articolo 2 modifica il codice penale, con riguardo alla disciplina dei casi di differimento obbligatorio e facoltativo della pena nei confronti di condannate madri, nel caso in cui, per esempio, si può prevedere il rinvio obbligatorio della pena nell'eventualità di prole di età inferiore a un anno, anche al condannato padre qualora la madre sia, come in altri casi citati, o deceduta o comunque impossibilitata a prendersene cura, o non vi siano parenti entro il quarto grado idonei all'affido.

Poi, si prevede il rinvio obbligatorio della pena quando il figlio abbia meno di 3 anni e sia afflitto da grave disabilità, e naturalmente si coordina il tutto con la disposizione che esclude il differimento della pena quando il genitore, non più solo la madre, ma eventualmente anche il padre, sia dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale.

Insomma, si interviene anche su altre fattispecie, ma tutte con l'esigenza prioritaria di tutelare il diritto del minore, perché è questo il senso civile di questa legge. L'articolo 4, infine, interviene sulla legge esistente, la citata n. 62 del 2011, e incide sulla disciplina dell'individuazione delle case famiglia protette, con nuovi commi, nuovi contenuti volti a prevedere l'obbligo - non più la facoltà - per il Ministro della Giustizia di stipulare con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture idonee a essere utilizzate come case famiglia protette. Quindi, a tal fine, i comuni - anche questo è stato il frutto di un emendamento suggerito dalla Commissione - devono riconvertire, utilizzare prioritariamente immobili di proprietà comunale, purché idonei. Poi c'è anche l'obbligo per i comuni, ove siano presenti case famiglia protette, di adottare i necessari interventi per consentire il reinserimento sociale delle donne una volta espiata la pena detentiva, avvalendosi a tal fine dei propri servizi sociali. C'è un tema, ne abbiamo discusso, che riguarda anche l'onere, le risorse finanziarie per poter adempiere a questi che, a questo punto, sono anche obblighi, però ricordo anche, Presidente, che proprio nell'attuale legge di bilancio 2022, proprio su iniziativa del deputato Siani, che, come altri – ma, in particolare - è davvero molto attento e sensibile alla tematica, fu approvato un emendamento che destinò una dotazione di risorse significativa - non ricordo la cifra precisa, ma certamente era significativa - da distribuire ai comuni per aiutarli a intervenire proprio per l'allestimento, l'individuazione e, poi, la ristrutturazione e comunque l'adeguamento di strutture da destinare a case famiglia. Ho citato alcuni titoli, però credo che già da questi si capisca il senso di questa proposta di legge.

Concludendo, mi auguro che si possa davvero trovare un iter rapido e il più possibile unitario. In Commissione - lo dicevo - c'è stato un confronto laborioso. Anche in questo caso si doveva trovare quel giusto equilibrio tra sicurezza e umanità, il dovere e voler fare gli interessi dei bambini con eventuali esigenze di sicurezza, e per casi di genitori ancora giudicati portatori di pericolosità sociale. Penso che la Commissione, nella sostanza, sia riuscita in questo obiettivo e il lavoro d'Aula potrà rifinire questo impegno.

L'altro giorno - concludo con questa annotazione - una personalità come Luigi Manconi, che da anni si batte quotidianamente per l'umanità e la civiltà del sistema carcerario e, in questo caso, anche per il “mai più bambini in carcere”, ha rivolto su un giornale, il Riformista, un appello alla Ministra affinché intervenisse subito su questo problema. Noi condividiamo l'appello di Manconi e vogliamo, raccogliendolo per la parte del Parlamento, sperare e confidare che la Camera faccia presto la sua parte e che, successivamente, il Senato faccia la sua nel tempo più rapido possibile. Secondo noi, sarebbe davvero un segno, che non risolverebbe, certamente, tutti i problemi del sistema carcerario, ma di notevole valore civile e costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, che rinuncia.

È iscritta a parlare la collega Lucia Annibali. Ne ha facoltà.

LUCIA ANNIBALI (IV). Grazie, signor Presidente. La presenza dei bambini in carcere, a seguito delle madri detenute, è una realtà nota, ma non adeguatamente affrontata, una condizione tanto più inaccettabile per uno Stato come il nostro, che tutela l'infanzia a livello costituzionale e che ha ratificato la Convenzione ONU dei diritti del fanciullo e la Convenzione europea sui diritti del fanciullo, che sanciscono che l'interesse superiore del bambino debba essere considerato preminente.

Si tratta di piccoli numeri, è vero, ma se si pensa alle conseguenze che la detenzione ha sul piano psicologico, emotivo e fisico di un bambino piccolo, siamo di fronte a una condizione inaccettabile per i diritti dell'infanzia. Molti studi condotti fino a oggi ci dicono che tra gli zero e i tre anni si vivono i giorni più importanti della vita, durante i quali si pongono le basi per la formazione della futura personalità. Dunque, i possibili rischi nello sviluppo del bambino, connessi al fatto di vivere in carcere con la madre detenuta, sono altissimi e possono condizionarne lo sviluppo fisico e cognitivo. Non possiamo accettare l'idea che questi bambini innocenti siano costretti a vivere in un carcere, dove i tempi degli adulti, il rumore e la tensione, dovuta al poco spazio, condizionano pesantemente la loro crescita. Sono bambini che hanno tutto il diritto di vivere una vita quanto più possibile normale. Bisogna, quindi, ribadire, in maniera forte e decisa, che il carcere, anche nelle situazioni migliori e meglio gestite, è comunque da considerare un luogo incompatibile con le esigenze di socializzazione e di sviluppo psicofisico del bambino.

Sebbene la legislazione degli ultimi anni e una giurisprudenza positiva abbiano favorito l'esecuzione della pena delle detenute madri fuori dal carcere, la presenza di bambini nelle carceri non è stata superata. È stato ricordato che, in base alle statistiche del Ministero della Giustizia, al 30 aprile 2022 erano presenti negli ICAM 14 madri e 14 bambini e, più in generale, nel complesso delle strutture detentive italiane, 18 detenute madri con 20 bambini al seguito. Sappiamo che, con la legge n. 62 del 2011, come alternativa alle sezioni nido delle carceri femminili, sono stati istituiti il circuito penitenziario di custodia attenuata, rivolto al genitore - di fatto, solo alle madri - con figli al seguito, gli ICAM e le case famiglia protette. La legge ha, tuttavia, istituito le case famiglia protette senza prevedere oneri per lo Stato, ragione per la quale, in assenza di fondi, ad oggi, le case famiglia attive in Italia sono solo 2 - è stato già ricordato -, mentre gli ICAM attualmente presenti sono solo 5.

Il numero delle presenze in carcere dei bambini ha subito una flessione negli ultimi anni grazie all'impegno congiunto di Ministero, garanti dei detenuti, associazioni e singoli magistrati, volto all'individuazione di soluzioni ad hoc alternative. È, però, evidente che serve una risposta organica e strutturale, perché l'obiettivo deve essere portare a zero quel numero. Sostenere questa necessità non significa soprassedere alle esigenze di sicurezza legate ai comportamenti delle madri; significa, invece, partire dall'idea che il bisogno e il diritto di un bambino di sviluppare la sua vita deve essere prevalente anche di fronte alle necessità di punizione giudiziaria del proprio genitore.

La proposta di legge del collega Siani, che vorrei ringraziare per la sua sensibilità, oggi all'esame dell'Aula e che anch'io ho sottoscritto convintamente, insieme ad altri colleghi, ha esattamente questo obiettivo: fare tutto il necessario per non avere mai più bambini in carcere.

Una proposta, questa, fortemente sostenuta anche dalle associazioni che da anni si battono per questo risultato.

Come riportato nella relazione illustrativa che accompagna il provvedimento, l'obiettivo dell'intervento è eliminare - anche questo il relatore lo ha ricordato - i profili problematici emersi in sede di applicazione della legge n. 62 del 2011, al fine di impedire che i bambini varchino la soglia del carcere e valorizzando l'esperienza delle case famiglia. Il testo, che ha subito interventi normativi nel suo passaggio in Commissione, introduce modifiche di natura sostanziale e processuale che consentono di superare definitivamente il fenomeno dell'incarcerazione dei bambini, puntando al superamento degli ICAM. Le case famiglia protette sono l'alternativa più adatta per porre al centro l'accoglienza dei bambini e la tutela del loro sviluppo e del loro rapporto con il genitore e avviare, al contempo, percorsi di recupero e di reinserimento delle madri. Occorre, dunque, lavorare per la realizzazione di una fitta rete di case famiglia in tutto il territorio, che garantiscano la sicurezza all'esterno e la possibilità per i bambini di vivere in un ambiente non detentivo.

Non entro nel merito, Presidente, della proposta, perché l'ha già fatto, in parte, il relatore, il collega Verini.

Concludo anch'io, dicendo, colleghi, che approvare questa legge significa compiere un gesto significativo di attenzione, protezione e cura verso chi è più nascosto, più dimenticato e più debole. Mi auguro, pertanto, che nei prossimi giorni questo testo venga approvato senza indugi e con celerità. Italia Viva certamente non farà mancare il suo sostegno (Applausi dei deputati dei gruppi Italia Viva e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vinci. Ne ha facoltà.

GIANLUCA VINCI (FDI). Grazie, signor Presidente. Anche il gruppo di Fratelli d'Italia ha lavorato in Commissione e ha avanzato proposte proprio per la modifica, per intervenire su questa legge che, oggi, come ritengo di sottolineare, riguarda numeri limitati (il relatore Verini parlava di 18 madri detenute, con un picco, qualche anno, fa di 70). Però, quando si parla di libertà personale e si va a legiferare su questo tema, in una materia nella quale già il singolo cittadino è privato della libertà e, in questo caso, addirittura si va a incidere sulla vita di un minore, ritengo che il punto di riferimento, quello che dobbiamo sempre ricordarci, è che non si tratta di privilegi del singolo indagato o del singolo condannato, ma tutto quello che viene fatto e che verrà fatto dev'essere in funzione del minore, minore che non ha colpe per quello che hanno commesso i genitori. Quindi, nessun favoritismo ma soltanto condizioni, modifiche e sospensioni che, però, devono essere strettamente collegate alla vita e il bene - per quanto possibile - del minore.

Ricordo che con questa normativa si va anche a mettere, in qualche modo, nero su bianco qualcosa che potrebbe fare anche esplodere il numero dei soggetti che usufruiranno di questo istituto, perché in diversi punti viene modificata la parola “madre” con la frase “ovvero padre della medesima prole, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole e non vi siano parenti entro il quarto grado di accertata idoneità”. Questo cosa comporta? Comporta che vi potrà essere un numero rilevante di persone in più che chiederanno o che usufruiranno di misure che non dovranno mai essere considerate benefici, ma che, in qualche modo, per i singoli possono essere ritenuti tali.

Questo cosa sta a significare? Sta a significare che anche dopo l'approvazione della legge servirà una verifica attenta dei dati sui soggetti che usufruiranno di queste condizioni, perché non è stato, a mio avviso, almeno fino ad oggi, accuratamente esaminato il fatto che, mentre un cittadino italiano, anche se uomo o se padre, con una dicitura di questa portata (parenti idonei entro il quarto grado), sicuramente o molto verosimilmente avrà qualcuno in grado di detenere il minore, invece, molti soggetti extracomunitari potranno agevolmente accedere a ciò soltanto in mancanza della madre, perché i parenti fino al quarto grado non sono sul nostro territorio oppure la madre si trova addirittura all'estero, assolutamente impossibilitata. Quindi, si va a cambiare sia il soggetto che ne usufruirà, sia, di fatto, si va ad agevolare, tra virgolette, alcune categorie. Questo potrà essere molto pericoloso e andrà osservato con assoluta cura, specificando magari meglio, prima dell'approvazione, quali siano esattamente queste condizioni, per non trovarci con il passare del tempo da alcune decine a centinaia o migliaia di soggetti, che magari pretestuosamente usino questi benefici, che non sono per il condannato o l'indagato, ma che devono essere legati soltanto al beneficio per i minori. Proprio per questo motivo, abbiamo avanzato alcune richieste che, però, nel dettaglio, almeno in Commissione, non sono state ancora accolte e che noi riproporremo. Si tratta anche di valutare la sospensione delle responsabilità genitoriali, per quei genitori che si sono macchiati di crimini e che, o perché sotto indagine o perché - situazione ancora più grave - vi è una sentenza passata in giudicato - e quindi deve iniziare l'esecuzione penale -, si trovano nell'alternativa di iniziare l'esecuzione penale oppure di usufruire di questi, che in qualche modo sono benefici. anche se non collegati a loro. Occorre valutare con molta attenzione, se questo genitore, che magari ha commesso crimini non violenti, ma legati a reati comunque gravi, sia idoneo. Occorre valutare se la responsabilità genitoriale non vada invece sospesa e non debbano finire in carcere, perché il figlio sta meglio scollegato totalmente da una vita all'interno del carcere, ma anche solo collegata a genitori che in carcere già sono o ci dovrebbero finire. Quindi, una maggiore attenzione per noi andava e andrà indirizzata alla verifica dei requisiti, dando anche ai magistrati la possibilità della verifica dei requisiti per sospendere o non sospendere la responsabilità genitoriale.

Un'altra richiesta che abbiamo avanzato, ma che purtroppo ancora non è stata accolta - e speriamo che invece l'Aula possa accoglierla -, è la preventiva verifica dei requisiti per avere la sospensione o il differimento della pena, una delle varie condizioni che vengono indicate dalle norme. Infatti, la norma lascia ancora soltanto in capo all'ufficiale - che procede materialmente alla redazione e alla notifica del verbale per la misura dell'arresto, la detenzione o quello che sarà - l'indicazione che sia verbalizzato tutto quanto serve a capire se vi sono dei figli e le condizioni. In Italia, ad oggi, ci sono 18 madri detenute e una verifica fatta di questo tipo può, anche nel nostro sistema giudiziario, avere una risposta immediata. Nel momento, però, in cui si dovesse tornare con numeri più elevati e anche d'ora in poi con condannati genitori padri - cosa che renderà sicuramente la verifica più difficile -, sarebbe utile avere una preventiva verifica. Riteniamo che non sia corretto consentire soltanto all'ufficiale di PG, intervenuto di redigere un verbale, di farsi dire, magari da cittadini di lingua straniera, quali sono le condizioni per poterne usufruire. Riteniamo che possa servire, in questi casi, una preventiva verifica più accurata, lasciando nella disponibilità anche del magistrato di fare degli accertamenti preventivi. Infatti, ricordiamo che il magistrato deve essere, secondo questa normativa, avvisato d'urgenza e addirittura prima dell'internamento nel carcere. Quindi, ci sarà pochissimo tempo per decidere, con un altissimo rischio di sbagliare sia in un senso sia nell'altro. Vi è anche l'eventualità di lasciare libere per errore delle persone che dichiarano il falso, magari perché può cambiare nei prossimi anni anche l'approccio dei criminali e anche della magistratura alla lettura di questa norma. Ci si potrebbe veramente trovare con persone che vengono rilasciate per errore. Si è del tutto eliminata questa possibilità del magistrato di esaminare già in via preventiva la situazione, che invece eliminerebbe ogni possibilità di errore. Riteniamo che qualche passo avanti possa essere anche stato fatto con questa norma, però alcuni punti cruciali ed errori vi siano ancora in questo testo e possono portare anche a storture pesanti del sistema giudiziario. Quindi, c'è sicuramente qualche riserva e ci aspettiamo dall'Aula ancora qualche correzione migliorativa (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cataldi. Ne ha facoltà.

ROBERTO CATALDI (M5S). Grazie, Presidente. Vorrei partire da una considerazione: la popolazione carceraria non è composta soltanto da pericolosi criminali. Spesso nelle nostre carceri ci sono persone che non hanno avuto la stessa fortuna nella vita, che molti di noi hanno avuto. Ci sono persone che sono senza lavoro, persone che non hanno ricevuto un'adeguata formazione alla vita lavorativa, ci sono persone che sono vissute dentro quelle sacche di disagio sociale che spesso conducono a uno stato di indigenza e di povertà, dove probabilmente la strada dell'illegalità è l'unica possibile via d'uscita, è l'unica possibile forma di sopravvivenza. Dobbiamo comprendere che, sotto questo profilo, non è tanto un problema carcerario, ma è un problema sociale. Il mondo politico prima o poi deve cominciare a pensare che bisogna dare anche delle risposte, che non siano soltanto quelle legate all'esecuzione della pena. Dobbiamo comprendere che, finché continuano ad esistere queste sacche di disagio sociale, finché non si comincia a combattere la disoccupazione e a combattere la povertà, non faremo altro che interventi che mirano semplicemente a mettere dei rattoppi, rispetto a una situazione che sta diventando sempre più esplosiva. Proviamo a pensare alle tante aree di crisi industriale, dove c'è una crescente disoccupazione; è chiaro che tutto questo non può che favorire un aumento della criminalità e del disagio sociale, su cui bisogna intervenire.

C'è una seconda considerazione importante, prima di arrivare a parlare della tematica che entra oggi in Aula. Abbiamo dei principi che fanno parte della nostra cultura giuridica. Alcuni di questi principi sono sanciti dalla Carta fondamentale e uno di questi richiama proprio il concetto di umanità, di cui parlava poco prima il collega Verini: le pene non possono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Presidente, se parliamo di umanità, accostare la parola “carcere” alla parola “bambino” crea una certa dissonanza. Quindi, nell'approccio per una valutazione di questa proposta di legge, credo si debba tenere conto anche di questi fattori. Questo è il primo elemento di valutazione. Il principio che si vuole inserire è degno della nostra civiltà giuridica. Si sta parlando di una modifica normativa, che, intervenendo principalmente su una norma del codice di procedura penale, l'articolo 275, vuole impedire che i bambini possano varcare la soglia del carcere, fissando come regola quella di un ambiente più accogliente per i bambini, le case famiglia protette, dove un po' tutto somiglia di più a una detenzione domiciliare, un sistema che favorisce anche la rieducazione, l'applicazione del principio costituzionale della rieducazione.

Cosa c'è di rieducativo nel chiudere una madre con il suo bambino all'interno di un carcere? Sicuramente nulla, sicuramente non si farebbe altro che aprire la strada, di nuovo, al fenomeno della recidiva. Dobbiamo sempre pensare nell'ottica che la detenzione deve avere la sua funzione, ma, soprattutto, che il carcere non è la soluzione per tutti i mali, il carcere non risolve il problema sociale: il problema sociale lo si risolve con misure che creano sviluppo, che riducono il tasso di disoccupazione. Il carcere, di per sé, non risolve il problema della rieducazione: bisogna che queste persone compiano un percorso che le porti a capire che esistono anche modi alternativi rispetto alla delinquenza per poter vivere, bisogna dare la possibilità a queste persone di imparare un lavoro, fare in modo che si possano reinserire nella società. Quindi, è chiaro che la finalità di questa legge è condivisibile.

C'è una terza considerazione, da cui, però, non si può prescindere. Nessuna dichiarazione di principio può diventare un dogma assoluto. Si fissano principi generali, ma, a fronte della molteplicità della casistica, è chiaro che il legislatore deve tenere conto anche di quei casi che, per fortuna, non sono la norma, ma che vanno ugualmente disciplinati. In Commissione un primo passo in questo senso si è fatto, è stato approvato un emendamento che prevede quei casi un po' particolari, in cui ci sono esigenze cautelari importanti e che non consentono, magari, la permanenza in una casa famiglia. Noi queste eccezioni abbiamo il dovere di valutarle, perché possono esistere anche criminali che sono pericolosi, che compiono gesti violenti. Non dobbiamo pensare che la norma generale debba rimanere una regola uguale per tutti, non esiste un vestito adatto a tutte le stagioni. Quello che il MoVimento ha voluto fare, e ha fatto, è stato presentare una serie di emendamenti qui, per l'Aula, sui quali ci auguriamo si possa aprire un confronto, ma lo scopo di questi emendamenti è cercare di colmare la distanza tra il generale e il particolare. Questo tenendo conto, sì, di quell'equilibrio, di cui parlava poc'anzi il collega Verini, che si deve stabilire tra l'umanità e la sicurezza. Sono entrambi bisogni che meritano tutela, il punto di equilibrio lo dobbiamo sicuramente trovare.

Tutto questo provvedimento riguarda una parte veramente minimale della popolazione carceraria: parliamo, mi sembra, di 16 persone in tutto, non ho visto dati univoci nelle informazioni che ho avuto modo di consultare. Si tratta di pochi numeri, però, quando si parla di diritti umani e, soprattutto, di diritti dei bambini, non è più una questione di numeri e il Parlamento ha il dovere di intervenire (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Giannone. Ne ha facoltà.

VERONICA GIANNONE (FI). Grazie, Presidente. Questo testo nasce per superare i profili critici sorti dalla legge n. 62 del 2011 che, 11 anni fa, ha istituito gli istituti a custodia attenuata per detenute madri (ICAM), con l'obiettivo nobile - e sul quale tutti siamo d'accordo - di impedire che i bambini passino i loro primi anni di vita dietro le sbarre. Gli istituti a custodia attenuata sono luoghi che consentono a mamme e bambini la possibilità di vivere all'interno di ambienti più adatti alle loro esigenze, a differenza di quanto avviene nelle sezioni nido delle carceri. Negli ICAM, infatti, viene garantito il diritto alla privacy a mamme e bambini, le sbarre alle finestre vengono camuffate da tende e vasi di fiori e gli agenti di polizia penitenziaria non indossano la divisa: tutto questo, ovviamente, per garantire ai piccoli la parvenza di vivere in un ambiente simile ad una casa. Altra caratteristica che li rende “a custodia attenuata” - definizione, a mio avviso, opinabile - è la possibilità per i bambini di trascorrere del tempo fuori dall'istituto in compagnia di familiari o di volontari. Questo è certamente un aspetto importantissimo, tuttavia questi luoghi restano pur sempre dei luoghi di detenzione, nei quali non vi è piena libertà e le conseguenze sulla salute psicofisica dei minori, come è facilmente intuibile, sono moltissime: irrequietezza, crisi di pianto frequenti e immotivate. A queste si aggiungono gravi disturbi del sonno, quali difficoltà ad addormentarsi, a mantenere il sonno che è disturbato da frequenti risvegli e difficoltà a riaddormentarsi, inappetenza e significative variazioni ponderali, sia in eccesso che in difetto; tutto ciò senza contare, poi, gli effetti a lungo termine sul piano psicologico.

Ma il pericolo più grave di questo impianto normativo, soprattutto per quanto riguarda la tutela del supremo interesse del minore, è rappresentato dal fatto che, al compimento dei 6 anni imposti dalla legge, il bambino non può più restare con la madre e viene obbligatoriamente allontanato. In assenza di supporto o di altri parenti fuori dal carcere, il bambino viene assegnato a una famiglia affidataria o, addirittura, a una casa famiglia, decretando il traumatico distacco del bambino dalla madre, che potrebbe favorire lo sviluppo di problemi relazionali e cognitivi. Per tale motivo, per le donne che non presentano profili di pericolosità, è prevista anche la possibilità di risiedere in case famiglia protette, che, al contrario degli ICAM, sono strutture private, non penitenziarie, in cui la madre può stare con il suo bambino. Però, la legge n. 62 del 2011 ha istituito le case famiglia protette senza prevedere oneri per lo Stato, ragion per cui, in assenza di fondi, ad oggi, le case famiglia attive in Italia sono soltanto due: una a Roma e una a Milano. A dimostrazione del fatto che troppo poco è stato fatto per questi bambini è il dato sugli ICAM: 5 in tutta Italia.

Debbo dire che questo testo ha certamente passaggi molto positivi, laddove, ad esempio, prevede l'obbligo per lo Stato di finanziare le case famiglia protette per detenute madri, oltre all'obbligo, per il Ministero della Giustizia, di stipulare convenzioni con gli enti locali per individuare le strutture idonee e accogliere le mamme detenute con i loro bambini.

Si prevedono, poi, anche alcune modifiche al codice di procedura penale, finalizzate a rendere la custodia cautelare delle detenute madri all'interno degli ICAM solo nel caso in cui sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. In pratica, con questo impianto, per una donna con figli piccoli non si dovrebbero mai aprire le porte del carcere. Le case famiglia protette diventerebbero la soluzione ordinaria e il ricorso agli ICAM dovrebbe essere l'extrema ratio.

Durante i lavori in Commissione, ho presentato un emendamento con il gruppo di Forza Italia e a mia prima firma, con il quale si prevedeva l'esclusione della possibilità di custodia attenuata nelle ipotesi di reato particolarmente gravi, ove sussistenti le esigenze cautelari, di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio del 1975, n. 354, ovvero nei casi di cui agli articoli 575 e 577 del codice penale. Questo emendamento è stato oggetto di una riformulazione, per la quale, all'articolo 1, viene prevista, in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza che impongono la custodia cautelare, la possibilità di disporla o mantenerla esclusivamente presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri. E mi va bene, soprattutto, per quanto emerge da studi, pur se non proprio recenti. Infatti, nella raccomandazione n. 1469 del 2000 – risalente ormai a più di 20 anni - del Consiglio d'Europa, riguardante “Madri e bambini in carcere”, l'Assemblea parlamentare del Comitato per gli Affari sociali, la Salute e la Famiglia ricordava che, nonostante l'invito, fatto nella precedente raccomandazione del 1995 sulle condizioni di detenzione negli Stati membri, ad un ricorso più limitato a sentenze incarcerazioni, il numero di donne condannate alla pena detentiva stava aumentando in molti Paesi e che la stragrande maggioranza di donne detenute erano accusate, o condannate, per reati relativamente minori o non rappresentavano un pericolo per la comunità.

L'Assemblea ha riportato un dato molto importante: circa il 70 per cento delle donne in carcere in attesa di giudizio non vengono successivamente condannate alla pena detentiva. La gran parte delle detenute sconta, inoltre, un periodo di detenzione inferiore ai 6 mesi. Ciò indica che la maggior parte delle donne potrebbe usufruire delle misure alternative, invece di andare in carcere. Il principio dovrebbe essere, quindi, quello di riconoscere che la custodia penale per le madri e per i figli dovrebbe essere, nella maggior parte dei casi, evitata e che il benessere della famiglia e dei bambini trarrebbe beneficio da tale riforma, mentre, nello stesso tempo, sarebbero soddisfatti i bisogni della comunità. Infine, la sicurezza pubblica - sosteneva l'Assemblea - non sarebbe messa in pericolo in alcun modo. Il rapporto dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa di giugno 2000 indicava che un lungo studio sulle condizioni dei bambini in carcere aveva accertato un graduale peggioramento del loro sviluppo motorio e cognitivo. È stato dimostrato che ciò accade perché l'ambiente del carcere limita l'esercizio e l'esplorazione: una volta che i bambini imparano a stare in piedi, ad andare a quattro zampe e a camminare, hanno poche possibilità di esplorare, trascorrendo, al contrario, molto tempo sui seggioloni. Le detenute di San Vittore raccontano che una di loro si è convinta a mandare a passeggio il proprio figlio con un'operatrice volontaria, dopo essersi resa conto che, a 2 anni e mezzo, il bambino non era ancora capace di camminare sull'erba.

Io spero che questo testo possa far riflettere su un punto molto importante, che troppo spesso viene ignorato nelle aule dei nostri tribunali: il supremo interesse del minore è il faro che deve guidarci nell'intraprendere qualsiasi riforma normativa. E, così come questi bambini in stato di detenzione con le loro madri meritano tutto l'impegno possibile, ce ne sono tanti altri che non vengono ascoltati, non vengono creduti, ma, anzi, vengono allontanati dalle loro madri per essere chiusi in una casa famiglia, che non è certo un ICAM, ma che, per tali aspetti, a questi istituti si avvicina molto.

Questo corto circuito accade spesso in casi di violenza domestica, in cui le donne non vengono credute; anzi, ritenute colpevoli di essere alienanti e, pertanto, punite con l'allontanamento dei figli solo perché questi ultimi rifiutano il padre, quando poi nel concreto chi viene punito è più di tutti il bambino che incolpevolmente si trova a vivere in una famiglia difficile. Ricordiamoci sempre che i figli non devono scontare gli sbagli dei genitori, mai. Anche un solo bambino in carcere è di troppo: lo ha affermato la Ministra della Giustizia Marta Cartabia. L'obiettivo primario della riforma è realizzare gli interessi superiori del minore. È positivo che questi interessi siano tutelati, tutti. Sarebbe, quindi, ora di passare davvero dalle parole ai fatti e alcuni fatti sono in questo provvedimento che ci accingiamo a discutere in quest'Aula.

Il provvedimento - come ho detto - contiene significativi interventi che allontanano i bambini dagli ambienti carcerari, oltre che con le modifiche processuali, alle quali ho già accennato, anche tramite il potenziamento, contenuto nell'articolo 4, della rete delle case famiglia protette, sopprimendo la clausola di invarianza finanziaria per i comuni e prevedendo che gli stessi, ove siano presenti case famiglia protette, riconvertano e utilizzino prioritariamente immobili di proprietà comunale purché idonei, utilizzando i fondi disponibili; si tratta di una disposizione inserita tramite un emendamento proposto da Forza Italia.

Dunque - e concludo Presidente - credo che i diversi interventi contenuti in questo provvedimento stiano andando nella direzione di sopprimere quell'ossimoro insito nelle parole “bambino in carcere”, ad oggi, seppur numericamente ridotto, pur sempre quanto mai disumano e attuale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Casu. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, la proposta di legge d'iniziativa parlamentare n. 2298, presentata dal vicepresidente della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, onorevole Paolo Siani ed altri, in data 11 dicembre 2019, affronta un tema cruciale: il rapporto tra detenute madri e figli minori. È un tema cruciale perché non solo è vero che la condizione carceraria ci offre sempre lo specchio nel quale possiamo valutare la qualità di una democrazia, ma non dobbiamo mai dimenticare che è nella privazione di diritti fondamentali a bambine e bambini innocenti che cogliamo la misura della presenza o dell'assenza di civiltà di un popolo. Nessun bambino, nessuna bambina merita di crescere in carcere: lo ha ricordato a tutte e a tutti noi la scrittrice Lara Cardella, in apertura di un recente numero de l'Espresso del 25 marzo, dedicato proprio a questo argomento. Ogni bambino o bambina dietro le sbarre è l'innocente per cui lottiamo in altre battaglie molto più comode, dove il bianco e il nero sono ben distinti, soltanto non può far sentire la sua voce.

Questa proposta di legge offre uno strumento giuridico per dimostrare che il Parlamento vuole lottare per tutti gli innocenti, compiendo un passo concreto nella direzione indicata anche dalla Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, il 18 febbraio, proprio nel corso di un'audizione alla Commissione infanzia. Mai più bambini in carcere, un'urgenza non più rinviabile. E lo fa rovesciando la prospettiva, mettendo sempre al centro dei procedimenti e delle procedure i diritti dei minori.

Voglio ringraziare il collega Paolo Siani, per il coraggio e la determinazione con cui ha portato avanti, negli ultimi tre anni, l'impegno che ci ha portato qui, al fianco del capogruppo in Commissione giustizia, Alfredo Bazoli e tutto il gruppo del Partito Democratico; e, insieme a loro, il mio ringraziamento va a Walter Verini, per il puntuale intervento che ha aperto la seduta e per il grande lavoro che sta compiendo per portare a compimento questo percorso.

Andiamo ad analizzare alcuni passaggi del provvedimento. L'articolo 1 introduce alcune modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge 21 aprile 2011, n. 62, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori. Si rende assoluto il divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere per la donna incinta o madre di prole di età non superiore a 6 anni con lei convivente; un divieto che vale anche per i padri, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. In questo modo, il nostro ordinamento assume come principio un divieto che oggi può venir meno, a fronte di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. A tal fine, all'articolo 275, comma 4, del codice di procedura penale sono apportate alcune modificazioni. La nuova formulazione è diretta a escludere sempre la custodia cautelare in carcere, prevedendo, in assenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, l'obbligo di disporre o mantenere la custodia cautelare esclusivamente presso un istituto a custodia attenuata per le detenute madri (ICAM). Inoltre, quando l'imputato sia unico genitore di persona affetta da disabilità grave con lui convivente ovvero nei casi in cui l'altro genitore sia assolutamente impossibilitato a dare assistenza al figlio e non vi siano parenti entro il quarto grado di accertata idoneità, la custodia cautelare in carcere è consentita solo se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

Il comma 2 abroga l'articolo 285-bis del codice di procedura penale inserito nel codice dalla predetta legge e il comma 3 va a modificare l'articolo 293 del codice di procedura penale e stabilisce le modalità esecutive delle misure cautelari, aggiungendo due nuovi commi. Si pone l'obbligo per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria incaricati di eseguire la misura cautelare, ove rilevino la sussistenza di una delle ipotesi di cui all'articolo 275, comma 4, di darne atto nel verbale di cui al comma 1-ter del presente articolo, ossia nel verbale di arresto, unitamente a ogni indicazione volontariamente fornita dalla persona sottoposta alla misura in ordine alla loro eventuale sussistenza. In questo caso, il verbale dovrà essere trasmesso al giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo prima dell'ingresso della persona sottoposta alla misura nell'istituto di pena. Inoltre, si prevede, nei casi predetti, che il giudice disponga la sostituzione della misura cautelare con altra meno grave o la sua esecuzione con modalità meno gravose, anche prima dell'ingresso della persona sottoposta alla misura nell'istituto di pena.

Il comma 4 agisce sull'articolo 656 del codice di procedura penale che disciplina l'esecuzione delle condanne definitive, aggiungendovi il nuovo comma 4-quinquies, che prescrive che, ove emergano circostanze di fatto che potrebbero determinare il differimento obbligatorio della pena, ai sensi dell'articolo 146 del codice penale, il pubblico ministero debba informare immediatamente il magistrato di sorveglianza, il quale, verificata la sussistenza dei presupposti, procede nelle forme di cui al comma 2 dell'articolo 684 del codice di procedura penale. Tale comma consente al magistrato di sorveglianza sia la possibilità di ordinare il differimento dell'esecuzione, quando vi sia fondato motivo di ritenere che sussistano i presupposti perché il tribunale disponga il rinvio, sia la liberazione del detenuto, qualora la protrazione della detenzione possa cagionare grave pregiudizio al condannato. Il provvedimento conserva effetto fino alla decisione del tribunale, al quale il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti.

L'articolo 2 introduce modifiche al codice penale sulla disciplina dei casi di differimento obbligatorio e facoltativo della pena nei confronti delle condannate madri; modifica il codice penale con riguardo al rinvio obbligatorio della pena, consentendo l'estensione dell'istituto in caso di prole di età inferiore a un anno anche al condannato padre e aggiungendo il rinvio obbligatorio quando il figlio abbia meno di 3 anni e sia affetto da disabilità grave. Al primo comma, n. 2, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “o ad anni tre, qualora portatore di disabilità avente connotazione di gravità, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se deve avere luogo nei confronti di padre della medesima prole, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole e non vi siano parenti entro il quarto grado di accertata idoneità”. Al secondo comma, le seguenti parole: “se la madre è dichiarata decaduta” sono sostituite dalle seguenti: “se il condannato è dichiarato decaduto”. Infine, viene esteso l'istituto in caso di prole di età inferiore ai tre anni anche al padre. In questo modo, si integra il primo comma, al quale vengono aggiunte le parole di riferimento al padre: “ovvero di padre della medesima prole, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole e non vi siano parenti, entro il quarto grado, di accertata idoneità”.

L'articolo 3 opera sulla legge n. 354 del 1975, che disciplina l'istituto della detenzione domiciliare, escludendo la detenzione domiciliare solo nei casi in cui sussiste il concreto pericolo della commissione di ulteriori delitti e, in questo caso, l'alternativa non sarà il carcere ma l'istituto a custodia attenuata (ICAM).

L'articolo 3 interviene sulla detenzione domiciliare speciale che, attualmente, consente la detenzione domiciliare alla madre di prole di età inferiore ad anni dieci (o al padre in assenza della madre), quando non sussiste il concreto pericolo di commissione di altri delitti e il condannato abbia già scontato un terzo della pena ovvero quindici anni in caso di ergastolo. In caso di concreto pericolo e di ulteriori delitti la riforma esclude il carcere, prevedendo per il condannato l'istituto a custodia attenuata.

Infine, con l'articolo 4 si integra la possibilità di convenzioni tra il Ministero della Giustizia e gli enti locali in ordine all'individuazione di case famiglia protette, con la possibilità per i comuni di utilizzare i fondi disponibili, al fine di attuare la riconversione e la destinazione in via prioritaria degli immobili di proprietà comunale.

Come ultimamente sottolineato dal relatore Verini, si tratta di un'innovazione di fondamentale importanza che consente di offrire strumenti più forti in un aspetto decisivo che è quello legato all'individuazione dei luoghi dove applicare le norme che abbiamo descritto.

Nel giorno di Natale di quest'anno - il mio primo Natale da parlamentare -, ho fatto visita alla casa circondariale di Roma Rebibbia femminile, che, oggi, accoglie 335 detenute, a fronte di 250 posti regolamentari e 25 posti non disponibili, dati che ho verificato questa mattina sul sito del Ministero della Giustizia. Ho visitato il reparto Camerotti e il reparto Cellulare, la cucina dove erano in corso i preparativi per il pranzo del giorno di festa; ho parlato con le detenute e con la Polizia penitenziaria delle attività che si svolgono nella struttura, di quanto sia stato difficile portare avanti la vita carceraria con la sospensione dei colloqui visivi con i familiari e con le altre misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19. Ad un certo punto, ho chiesto di visitare il nido. In quel momento, ho pensato ai dolorosissimi eventi che si sono consumati negli ultimi anni nella mia città, in quei luoghi, al dramma della ragazza che, a settembre, ha partorito in cella senza un'ostetrica, all'immane tragedia che si è consumata nel 2018, quando una mamma ha gettato dalle scale e ucciso i suoi due piccolissimi figli. Siamo arrivati di fronte all'ingresso e abbiamo trovato la porta chiusa. In quel momento, al suo interno non c'erano bambini, non c'erano mamme, c'era solo il murales, dedicato a Leda Colombini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), che penso sia giusto e doveroso ricordare, come ha fatto il relatore Walter Verini anche oggi in quest'Aula per la vita di impegno spesa per tutte le detenute madri, per i loro figli e le loro figlie.

Ho provato una forte, grande e bella emozione nel pensare che quel nido fosse vuoto. Questa emozione dovrebbe essere la regola, perché un carcere non può essere un nido e mai nessun bambino o bambina dovrebbe vivere e crescere dietro le sbarre.

Dell'appello che Luigi Manconi ha rivolto il 7 maggio alla Ministra Cartabia, attraverso le pagine de il Riformista, per chiedere un intervento immediato per raggiungere l'obiettivo di zero bambini in carcere - un appello importante che condividiamo -, apprendo un dato drammatico: il numero di bambini reclusi a Rebibbia è tornato a crescere. Sono 20 al 30 aprile 2022.

Tutti noi ricordiamo la prima parola che abbiamo pronunciato o, meglio, lo sappiamo, perché per tutta la vita ci viene ricordata dalle persone care. Per molti dei bambini costretti a vivere i primi mesi e anni delle loro vite nelle carceri, la prima parola che si impara a dire è solo “apri”, e non è rivolta ai propri genitori. Loro si rivolgono alle persone chiamate al gravoso compito di chiuderli in cella insieme alla madre, ma, in realtà, stanno parlando a noi, perché sono le nostre attuali leggi a costringerli in questa reclusione.

Approvando la “legge Siani”, non sarà più così, perché ogni bambino potrà crescere in una casa famiglia o in un ICAM, mai più in una cella. Anche per questa ragione, il provvedimento che discutiamo oggi è sicuramente un passo avanti importante, necessario, irrinunciabile e, soprattutto, non più rinviabile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Turri. Ne ha facoltà.

ROBERTO TURRI (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il provvedimento che ci accingiamo a licenziare interviene su un tema da anni discusso che interessa, tuttavia, un numero non rilevantissimo di persone. Al 31 dicembre 2020, le detenute madri, con bambini al seguito, presenti negli istituti penitenziari erano 18 e i bambini 20, cui devono aggiungersi 12 mamme, 13 bambini negli ICAM ed altri 2 allocati presso case famiglia.

La Lega, di principio, non ha alcuna preclusione in direzione di un miglioramento della disciplina sul punto, in base al principio che i figli non debbano pagare per gli errori dei padri. Qualche perplessità, trasfusa, peraltro, in emendamenti presentati in Commissione e, in parte, riproposti in Aula, deriva dal possibile utilizzo strumentale di tali norme da parte di madri e padri che si servono dei figlioletti per conseguire un trattamento meno afflittivo, ma, soprattutto, come non di rado accaduto, per poter continuare nelle attività criminose per cui sono detenute. Vero è che, proprio a causa del ridotto numero di casi presenti in Italia, non sarà certo questo un problema epocale, ma quel che ci preme affermare è il principio generale di non consentire abusi o usi strumentali di norme ispirate da nobili principi. Non di rado, si è letto di donne che hanno sistematicamente evitato di rispondere dei loro reati ed evitato il carcere solo perché in gravidanza, invece che cogliere questo beneficio come un momento di riflessione e ripartenza verso un cambio di stile di vita, ed hanno reiterato immediatamente e più volte le condotte illecite.

Ad avviso della Lega, occorreva e occorre prevedere sempre una norma di chiusura che consenta di intervenire in casi di conclamato uso, per non dire abuso, strumentale della norma. Per questo, ci siamo battuti in Commissione, perché il testo originario dell'articolo 1 della proposta di legge n. 2298, che prevedeva la soppressione della possibilità di custodia cautelare, in sostanza il divieto assoluto di mettere in carcere donne indagate o imputate, venisse temperato e reso più flessibile.

Il punto di sintesi allo stato si è trovato nel testo dell'articolo 1 in esame, che prevede, in caso di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, non più il divieto assoluto, ma l'obbligo di attuare la custodia cautelare presso istituti di custodia attenuata per detenute madri, ma, a nostro avviso, sarebbe migliorabile - di qui uno degli emendamenti riproposti -, inserendo nel testo dell'articolo 1 la possibilità di intervenire, in casi di accertato utilizzo strumentale del beneficio ovvero nei casi previsti dagli articoli 99, 102 e 103 del codice penale (quindi, recidiva, abitualità presunta, abitualità ritenuta dal giudice), per evitare, quindi, di conseguire indebiti vantaggi penitenziari e continuare a delinquere, usando, come scudo, creature innocenti; in questo caso, l'ordinamento potrebbe, volendo, come fa per tante famiglie problematiche, non implicate in fatti di penale rilevanza, adottare provvedimenti a tutela del minore e questo con due evidenti e positive conseguenze: la prima, esercitare un'azione di disincentivazione alla reiterazione del reato verso recidive abituali. A questo punto, non avrebbero più la certezza di non finire in carcere, anzi, correrebbero il rischio che il figlio venga temporaneamente sottratto alla loro potestà, cosa che, forse, indurrebbe molte ad astenersi dal commettere reati. La seconda conseguenza è evitare una disparità di trattamento tra detenuti tale per cui, a parità di situazioni processuali, chi strumentalmente si serve di creature innocenti per continuare a delinquere come e più di prima avrebbe un trattamento migliore di chi tale condotta, moralmente deplorevole, non possa attuare.

Molte più perplessità, per l'utilizzo potenzialmente strumentale che potrebbe esserne fatto, suscita il comma 1, lettera b dell'articolo 1, che prevede che, potenzialmente, anche un boss mafioso, sottoposto al 41-bis, ove fosse l'unico genitore di persona con disabilità grave, ovvero nei casi in cui l'altro genitore sia assolutamente impossibilitato a dare assistenza al figlio, e non vi siano parenti entro il quarto grado di accertata idoneità, potrebbe usufruire del medesimo beneficio. Vero è che si tratta di ipotesi poco più che di scuola, data la pluralità di condizioni che dovrebbero verificarsi per ottenerlo, ma ci pare discutibile il principio, sempre alla luce del fatto che lo Stato, in caso di famiglie problematiche, spesso utilizza strumenti ordinamentali che sottraggono al genitore inadeguato il figlio minore. Non si capisce perché in questa e in altre situazioni si prevedano norme sicuramente più di favore verso il genitore che ha compiuto reati rispetto al genitore che, pur inadeguato al ruolo, non è finito in carcere. Ed è proprio per evitare abusi ed in linea con il principio di parità di trattamento tra cittadini che la Lega propone un altro emendamento che prevede la trasmissione di copia degli atti da parte del tribunale di Sorveglianza alla Procura della Repubblica per i minorenni competente per territorio per valutazioni circa l'opportunità di attivare la procedura di decadenza dalla potestà genitoriale.

Anche qui, con il duplice scopo, da un lato, di dissuadere dal continuare a delinquere la donna detenuta madre - “sappi che, se non cambi condotta, potresti perdere, oltre che la libertà, anche la potestà sul bambino” - cosa che certamente costituirebbe un efficace deterrente per la reiterazione di reati e un importante stimolo morale a cambiare il proprio stile di vita, anche e soprattutto nell'interesse dei minori. Dall'altro lato, di portare ufficialmente a conoscenza del Tribunale dei minori determinate situazioni per valutazioni su eventuali provvedimenti di competenza.

Il comma 3 dell'articolo 1, che prevede che gli ufficiali e agenti di PG, chiamati ad eseguire un'ordinanza di esecuzione del provvedimento cautelare, debbano immediatamente dare atto a verbale della situazione di cui al comma 1-ter, raccogliendo altresì ogni indicazione volontariamente fornita dalla persona sottoposta alle misure in ordine alla loro eventuale sussistenza, è una norma di buonsenso, non meramente burocratica e positivamente funzionale allo scopo ultimo del provvedimento, ossia rendere edotto il giudice che decide della custodia cautelare della situazione personale della indagata/imputata in ordine alle situazioni oggetto della presente legge.

Anche il comma 4-quinquies dell'articolo 1 appare condivisibile, perché si muove nella medesima direzione di cui al comma 3.

Le modifiche all'articolo 146 del codice penale, di cui all'articolo 2, si prestano potenzialmente ad un uso strumentale di situazioni in presenza di disabili nell'ambito familiare del detenuto, anche maschio, di cui si è già detto sopra, che potrebbero essere migliorate in Aula, soprattutto allo scopo di evitare utilizzi strumentali. Il testo uscito dalla Commissione, comunque, è migliorativo rispetto all'originale, in particolare nella parte in cui prevede che l'innalzamento di età del minore da 1 a 3 anni per poter usufruire del beneficio, non sia esteso a tutti, ma solo qualora ci si trovi in presenza di portatori di gravi disabilità, ovvero in presenza di orfani o di madri assolutamente impossibilitate a dare assistenza alla prole, e non vi siano parenti entro il quarto grado di accertata idoneità. Tali limiti, per le ragioni già espresse sopra, lasciano prevedere in concreto una ridottissima probabilità di uso strumentale della norma, anche da genitore diverso dalla madre.

L'articolo 3, inoltre, disciplina le condizioni in cui può essere negata la detenzione domiciliare, sostituita con un istituto a custodia attenuata per le madri in specifiche e precise condizioni. La norma pare corretta ed equilibrata.

L'articolo 4, infine, prevede che gli enti locali, di concerto con il Ministero della Giustizia, dovranno stipulare convenzioni per incrementare l'individuazione di strutture idonee ad essere utilizzate come case famiglia protette mediante riconversione di immobili di proprietà, attivandosi altresì per favorire il reinserimento della donna detenuta a fine pena, avvalendosi dei propri servizi sociali. La norma è certamente positiva, ma perché sia efficace, non resti sulla carta e non finisca per tradursi in un ulteriore onere gravante sugli enti locali, già in notoria difficoltà, andrà oggi e in futuro adeguatamente finanziata.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2298-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Verini, che rinuncia.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, che rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Nappi ed altri n. 1-00618 concernente iniziative per la riorganizzazione dell'assistenza sanitaria territoriale.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Nappi ed altri n. 1-00618 concernente iniziative per la riorganizzazione dell'assistenza sanitaria territoriale (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che sono state presentate le mozioni Carnevali ed altri n. 1-00643, Gemmato ed altri n. 1-00645 e Mandelli ed altri n. 1-00647 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Provenza, che illustrerà la mozione n. 1-00618, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

NICOLA PROVENZA (M5S). Grazie, Presidente. Non vi è dubbio che la pandemia da COVID-19 in qualche modo abbia drammaticamente svelato e fatto luce su una serie di fragilità del nostro Servizio sanitario nazionale, ma in particolare sulla fragilità del sistema territoriale.

I nostri territori si sono trovati impreparati nel rispondere a questa drammatica e incalzante domanda di salute, costringendo buona parte della popolazione contagiata a riversarsi nelle strutture ospedaliere, determinando proprio quella pressione sulle strutture tale per cui anche le strutture stesse, poi, hanno avuto una difficoltà notevole nel rispondere alle cure necessarie e appropriate, con il conseguente sovraccarico delle terapie intensive.

È fuor di dubbio, però, che su queste difficoltà abbia inciso anche la pregressa carenza cronica di personale medico e sanitario, nonché la riduzione progressiva dei posti letto, riduzione che avrebbe trovato e trova oggi una logica solo attraverso il potenziamento della sanità territoriale. È evidente che, dal 2012, cioè dai tempi del “decreto Balduzzi”, si è proceduto a una riorganizzazione della rete ospedaliera, così come declinata dal DM n. 70, alla quale tutte le regioni non di rado, obtorto collo, si sono dovute adeguare, chi più e chi meno, per non incorrere in penalizzazioni economiche e commissariamenti, come certificati in sede di valutazione dei livelli essenziali di assistenza.

Questa riorganizzazione della rete ospedaliera, negli intendimenti della riforma che l'aveva sostenuta e giustificata, doveva essere accompagnata anche dalla riorganizzazione dell'assistenza territoriale, per fare in modo di compensare sul territorio quell'assistenza che negli ospedali non poteva essere più garantita a seguito proprio della chiusura di strutture ospedaliere con standard qualitativi inadeguati, della riduzione dei posti letto e anche della progressiva carenza di organico, come dicevamo poc'anzi.

E dunque il noto, ben noto, vorrei dire, DM n. 70 sulla riorganizzazione della rete ospedaliera, doveva essere accompagnato dal decreto gemello, cioè dal DM n. 71, che solo oggi - solo oggi! - dopo e a causa del dramma della pandemia da COVID-19, sta per prendere corpo e luce al netto della contrarietà delle regioni, che, quando non strumentali, lamentano la mancanza di risorse adeguate all'implementazione di strutture e servizi territoriali.

Le case di comunità, ad esempio, certamente non possono essere messe in piedi a invarianza finanziaria e neanche possono essere rese operative con le risorse estemporanee del PNRR, che, come tutti sappiamo, non possono - non possono! - essere impiegate per la spesa corrente, dunque per assumere il personale necessario da collocare nelle case di comunità o implementare l'assistenza domiciliare.

Il protrarsi delle politiche di controllo della spesa sanitaria, come puntualmente rilevato dalla Corte dei conti, ha comportato senza ombra di dubbio, proprio in quel decennio della riorganizzazione ospedaliera, una consistente riduzione in termini reali delle risorse destinate alla sanità, determinando, quanto a spesa sanitaria pro capite, un divario abnorme tra i diversi Paesi europei. Dunque, recuperare adeguate e stabili risorse sulla sanità è il primo punto imprescindibile e dirimente per una salute efficiente ed equa e per qualsiasi riforma si voglia realizzare. Questo occorre dirlo e premetterlo, senza indugio alcuno.

Colleghi, permettetemi anche di sollecitare un'altra riflessione e di dire che questo non basta. Non si tratta soltanto di risorse. Non possiamo centrare tutto e ubriacarci con le risorse. Perché?

Perché occorre puntare sulla riorganizzazione e sull'efficientamento dell'assistenza territoriale, sanitaria e sociosanitaria, per garantire una risposta assistenziale che sia realmente appropriata, efficace e che sia in grado di ridurre stabilmente la pressione sulle strutture emergenziali e ospedaliere, e per fornire ai cittadini una salute equa, di qualità e di reale e concreta prossimità. E allora quali sono le parole d'ordine che dovremmo sentire pronunciare anche suggellate dal PNRR e dal DM n. 71? Case di comunità, assistenza domiciliare integrata, telemedicina, ospedali di comunità.

Nell'ambito di questo potenziamento territoriale le case della comunità aspirano a rappresentare proprio il modello organizzativo che dovrebbe rendere concreta l'assistenza di prossimità e il luogo fisico al quale l'assistito dovrà accedere e vedere finalmente concretizzata una reale e organica presa in carico. La casa della comunità, secondo quanto è proprio previsto dall'emanando DM n. 71, intende, molto più in particolare, promuovere un modello integrato, proprio d'intervento integrato e multidisciplinare. Quando parliamo di questo, parliamo non solo di un'integrazione nel sanitario, ma anche e soprattutto tra sanitario e sociale, tra offerta sanitaria e tra sanitario e sociale. Casa della comunità, quindi, come sede privilegiata per la progettazione e l'erogazione di interventi sanitari. È un'attività che deve essere organizzata in modo tale da permettere - questo penso che sia davvero un tema centrale - un'azione di équipe tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali interni, anche nelle loro forme organizzative, infermieri di famiglia o di comunità, altri professionisti della salute disponibili, a legislazione vigente, nell'ambito delle aziende sanitarie. Parlo ovviamente di psicologi, ostetrici, professionisti dell'area della prevenzione, della riabilitazione tecnica, assistenti sociali, anche al fine di consentire il coordinamento con i servizi sociali degli enti locali del bacino di riferimento.

Ed è proprio nell'ambito di questa condivisibile riorganizzazione del nostro servizio e del nostro sistema sanitario nazionale che la mozione in esame oggi, qui, in Aula - in questa discussione generale ci tengo che questa cosa sia ben evidenziata - ha un auspicio e al tempo stesso un obiettivo, che è quello di ricondurre anche al medico di famiglia buona parte delle azioni operative qualificanti indicate nel DM n. 71, in particolare quelle relative alle case di comunità, attribuendo al medico di medicina generale e al pediatra di libera scelta la responsabilità dell'analisi clinico-terapeutica e della valutazione clinica della persona assistita, dei suoi bisogni non solo sanitari, ma anche assistenziali e sociali. Questi ultimi ovviamente - lo dico per inciso - in raccordo con i servizi sociali del comune.

La mozione colloca allora in questo scenario il medico di famiglia quale snodo delle attività territoriali, come filtro della domanda e garante dello stato di benessere o di selezione degli interventi per l'assistenza dei pazienti acuti o cronici, nell'ambito, come dicevamo prima, di una struttura di servizi integrata che deve essere appunto la casa della comunità. Ed è solo la centralità, l'operatività del medico di famiglia che può assicurare in tutto il territorio nazionale un'effettiva semplificazione del sistema organizzativo sanitario e territoriale, offrendo in tal senso adeguate risposte ai bisogni effettivi di assistenza. Non si può immaginare di fatto alcun involucro organizzativo, prestazionale, che sia esso una casa o un ospedale di comunità, l'assistenza domiciliare integrata, la telemedicina, senza il medico di famiglia, che è e rimane centrale nella riorganizzazione territoriale, tenuto conto, peraltro, che rappresenta un presidio capillarmente diffuso in tutto il territorio.

Perdere di vista questo dato oggettivo rischia di non efficientare alcunché e rischia anche di reiterare negli anni a venire l'inadeguatezza dell'assistenza territoriale. Il rischio che noi corriamo è proprio quello di trasferire inappropriatezza da un ambito di cura, cioè l'ospedale, a un altro ambito di cura, e cioè il territorio. Questa inadeguatezza vede troppo spesso il cittadino-paziente costretto a ricomporre egli stesso il suo percorso di cura; è questo che genera inappropriatezza complessiva e, di fatto, poi un conseguente - inevitabile, dovrei dire - spreco di risorse.

Il modello di gestione clinico-assistenziale e di presa in carico con un ruolo operativo proprio del medico di famiglia ed inclusivo di tutti gli specialisti necessari dovrà essere in capo però a nuove capacità di governo da parte dei direttori sanitari di distretto, che dovrebbero altresì gestire anche le risorse economiche destinate all'assistenza della comunità di riferimento, con un budget specifico, ben definito sulla base della popolazione assistita, ovviamente, dei servizi offerti e dei risultati attesi. Queste nuove capacità di governo del direttore di distretto sanitario dovrebbero responsabilizzarlo in maniera stringente a farsi carico di tutte le esigenze preventive, cliniche, mediche, infermieristiche, riabilitative, amministrative, sociosanitarie.

Tornando al modello di gestione, dobbiamo dire che dovrà essere ovviamente supportato con tecnologie di base, elettrocardiogramma, spirometro, pulsossimetro, ecografo, punto di prelievo e tanto altro, per dare una risposta che sia tempestiva - e la tempestività abbiamo visto quanto è stata importante durante il COVID, quanto sarebbe stato importante avere una tempestività nell'assistenza dei pazienti nei primi giorni - e coerente proprio con le esigenze immediate degli assistiti, e sarà composto nella riorganizzazione territoriale da almeno 10-15 medici che siano in grado di organizzare un servizio, anche in sedi decentrate, adeguato alle esigenze di una popolazione di almeno 20-25 mila abitanti, garantendo prossimità in coerenza con valutazioni di densità di popolazione.

Un modello di gestione - diciamolo molto chiaramente - che si avvarrà ovviamente del sistema informativo più aggiornato, in particolare del fascicolo sanitario elettronico - anche questo è uno snodo determinante -, strumenti tecnologici, informatici, telematici che siano necessari a garantire la telemedicina, e anche nell'ottica di agevolare e semplificare molti dei processi amministrativi e assistenziali. La gestione degli assistiti deve essere integrata con facilità di comunicazione, interazione, per la valutazione dei bisogni assistenziali, ma anche con un chiaro coordinamento tra i medici di famiglia e gli specialisti, e dovrà essere in grado di creare un filtro assistenziale appropriato e la gestione precoce delle patologie, al fine proprio di evitare e di ridurre in maniera sensibile il fabbisogno sanitario soprattutto per le patologie cronico-degenerative. Ed è in questa ottica che anche la gestione domiciliare, con un organico che sia significativo, appare dirimente per garantire una reale presa in carico, una completa - vorrei dire - presa in carico degli assistiti. E allora ci sono tre elementi qualificanti, veramente innovativi, di questa mozione, che, dal mio punto di vista, vale la pena di evidenziare da subito e che per la loro importanza possono essere annoverati come produttori di qualità ed equità della salute.

Il primo elemento qualificante e innovativo è l'introduzione della valutazione dell'esito di cura.

Fintanto che non si avrà l'ardore di misurare gli obiettivi di risultato in termini di salute, il nostro sistema sanitario si dibatterà continuamente fra risorse scarse, prestazioni onerose, inefficienze, inappropriatezze, accreditamenti inappropriati di strutture e prestazioni. Un vero sistema di gestione della salute dei nostri cittadini deve avere coraggio! Il coraggio di misurare, innanzitutto, la salute in senso stretto e proprio, ossia in termini di prevenzione, assistenza e cura riuscita!

Colleghi, io attiro la vostra attenzione durante questa discussione generale su questo tema, perché a me pare davvero rilevante. Il nostro sistema sanitario, tramite il ben noto monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza, valuta oggi obiettivi prevalentemente quantitativi e incredibilmente non è dotato di elementi di valutazione del risultato e di indicatori di salute! La salute deve essere misurata in termini qualitativi, anche in termini qualitativi!

Il secondo elemento qualificante di questa mozione è la remunerazione in base al risultato. La remunerazione dovrà modificarsi in modo significativo, così da consentire il raggiungimento del miglior risultato clinico possibile al costo più basso e, per la medicina generale, al fianco della remunerazione in base alla quota capitaria, dovrebbe esserci anche una componente della remunerazione per risultato clinico di salute, così da attivare azioni virtuose e promozionali del risultato atteso.

Poi, c'è il terzo elemento qualificante, direi quello più attuale, quello che può implementare e accelerare i processi, ossia l'implementazione tecnologica, la telemedicina, come abbiamo avuto modo, tra l'altro, di appurare proprio durante l'emergenza COVID, perché la rete telematica favorisce un utilizzo intensivo dei servizi, la continuità assistenziale e un'attenzione molto forte ai malati, anche a domicilio. Oggi, la telemedicina appare matura per garantire servizi di alto livello di diagnosi, di terapia e di follow-up di pazienti cronici, anche in condizione di scompenso cronico, proprio per mantenere in equilibrio il paziente, garantirgli una gestione domiciliare che sia monitorata e assicurare un intervento tempestivo in caso di necessità.

Al riguardo, mi piace ribadire - e penso sia importante - che in tutti i luoghi in cui si realizza l'integrazione dell'assistenza territoriale è rilevante che vi siano tecnologie adeguate, personale idoneo e soprattutto formato - e soprattutto formato - a questo loro impiego, anche proprio nell'ottica di ridurre quanto più possibile ogni forma di burocrazia. Perché? Perché la burocrazia finisce, spesso, per fagocitare l'assistenza stessa e, quindi, troviamo tanti medici e tanti sanitari impegnati oggi a risolvere problematiche burocratiche, a discapito della prestazione professionale da rendere ai pazienti.

Io mi auguro che ci sia al centro del dibattito politico, e anche del dibattito della categoria professionale dei medici, in particolare, un aspetto che ritengo centrale, ossia il recupero della dimensione clinica della professione medica. Oggi, il medico può assumere un ruolo davvero centrale se punta il suo obiettivo principale nel recuperare questa dimensione clinica. Quante inappropriatezze, quanti ricoveri incongrui, quante inadeguatezze verrebbero evitati se il recupero della dimensione clinica fosse portato davvero al centro dell'azione di assistenza da parte dei medici, troppo spesso impegnati in altre attività?

Mi avvio alla conclusione, Presidente. Per rivoluzionare la nostra sanità territoriale non basta modificare la denominazione delle strutture già diversamente attivate nel territorio. Occorre, innanzitutto, individuare un nuovo metodo di gestione, che sia valido per tutti e che non si presti a odiose sperequazioni. Questa mozione vuole proprio significare quanto sia importante modificare il paradigma, innanzitutto il paradigma, del nostro sistema sanitario. Come? Guardando agli esiti di cura - lo abbiamo detto -, al risultato clinico e alle tecnologie adeguate, anche tenendo conto - questo è da sottolineare - della complessità assistenziale.

Questo cambio di paradigma ci porta, dunque, a chiedere che, nell'ambito della riorganizzazione, delineata anche nel DM n. 71, siano individuate misure idonee per assicurare che le case di comunità si avvalgano di modelli organizzativi e di gestione effettivamente integrati, ossia modelli che siano in grado di recuperare e valorizzare il ruolo del medico di medicina generale e del pediatra di libera scelta, favorendo le aggregazioni tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali, infermieri, assistenti sociali, fisioterapisti, medici di continuità assistenziale e collaboratori di studio, e che soprattutto i direttori sanitari di distretto siano sempre più competenti e preparati al nuovo ruolo di governo a cui sono chiamati, che siano selezionati - selezionati! - con criteri trasparenti e meritocratici! Se il cuore della sanità si sposta, in un riequilibrio tra ospedale e territorio, verso il territorio, si comprende che il cuore sarà il distretto. Dunque, come non avere, in quella postazione, competenza, visione, determinazione e capacità? Come non averla, in quel ruolo?

Allora, concludo dicendo che è necessario introdurre, ovviamente, meccanismi remunerativi innovativi, così da raggiungere il miglior risultato clinico possibile e attivare azioni corresponsabili e virtuose in relazione, appunto, al risultato atteso. Parimenti, è necessario consentire l'accesso alla carriera di medico di medicina generale anche ai medici di comunità e delle cure primarie, valutando anche la possibilità di rimodulare il percorso formativo di medicina generale, in modo che diventi un vero e proprio corso di specializzazione universitaria, che sia molto più adeguato ai nuovi bisogni assistenziali ed equiparandolo a tutte le altre specializzazioni.

Concludo, Presidente. La mozione che oggi abbiamo iniziato a discutere e a esaminare è volutamente concentrata su taluni nodi, cioè aspetti prevalentemente gestionali anziché propriamente assistenziali, che, ovviamente, mantengono la loro importanza (però, nodi di carattere gestionale). L'auspicio che, a nome del gruppo del MoVimento 5 Stelle, pongo all'Aula è che l'esame di questa mozione conduca a una visione unitaria su strategie che siano effettivamente innovative e produttrici di equità e qualità di salute. La mozione è chiaramente aperta ad accogliere ogni contributo che ancora meglio possa rappresentare l'obiettivo di fondo di questa mozione, che è l'offerta di salute vicina al cittadino.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gemmato, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00645. Ne ha facoltà.

MARCELLO GEMMATO (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, intervengo a nome del gruppo di Fratelli d'Italia, per rappresentare la mozione di Fratelli d'Italia, a mia prima firma, che intende dare un contributo al dibattito e alla costruzione di una sanità di prossimità a misura d'uomo. Io voglio ricordare, preventivamente e per amore di verità, che una mozione è un atto di indirizzo al Governo. Noi, sostanzialmente, nel momento in cui si stanno impiegando i 15,6 miliardi della misura 6 del PNRR, nel momento in cui si pone mano al DM n. 71, ci troviamo in Aula a produrre una mozione oserei dire “romantica”.

Ho seguito con estrema attenzione il ragionamento interessante sviluppato dal collega Provenza, però ritengo che questo dibattito sia tardivo rispetto agli eventi, perché, mentre noi parliamo, altrove vi sono i fatti e le decisioni sono state già prese. Quindi in itinere - meritoriamente aggiungerei - noi cerchiamo di inserirci per dare il nostro contributo.

Sempre per amore di verità, però, non posso innanzitutto non ricordare quello che è successo durante questi due anni di pandemia. L'Italia è stata prima al mondo, durante la morsa della pandemia da Coronavirus, per mortalità ed è stata terza al mondo per letalità. I due parametri, come sapete, si riferiscono ai morti rispetto a una determinata popolazione (la mortalità) e ai morti per popolazione ammalata di una particolare patologia (la letalità). Quindi, siamo stati primi e terzi al mondo.

Perché questo? È di tutta evidenza - ed è il tema della mozione di quest'oggi - che non esisteva un'assistenza sanitaria territoriale, al netto di ciò che il gruppo di Fratelli d'Italia ha evidenziato, con il sottoscritto e il collega Bignami, cioè, per esempio, che il piano pandemico nazionale fosse bloccato al 2006. Siamo stati costretti a portare in tribunale il Ministro Speranza per dimostrarlo, ma, al netto di ciò, questa elevata mortalità testimonianza del fatto che non esiste, purtroppo, un' assistenza sanitaria territoriale degna di nota.

I cittadini italiani si ammalavano, cercavano interlocuzione con il territorio e con le istituzioni sanitarie, ma, purtroppo, non la trovavano - chi ha avuto esperienze di Coronavirus in famiglia può asseverare quanto sto dicendo -, non riuscivano a interfacciarsi con il territorio e arrivavano nelle strutture ospedaliere quando il quadro sintomatologico era ormai compromesso. Di qui l'elevata mortalità e letalità del virus in Italia.

Ma perché siamo arrivati a questo? Perché l'assistenza territoriale sanitaria in Italia è deficitaria rispetto ad altre parti del mondo e a Paesi evoluti, rispetto ai quali noi dobbiamo paragonarci? A mio avviso, ad avviso del gruppo di Fratelli d'Italia, tre sono i punti chiave dai quali un dibattito parlamentare dovrebbe partire, per rendere verità allo stesso.

Il primo è che, nei dieci anni antecedenti al 2019, sono stati sottratti alla sanità pubblica per definanziamento 37 miliardi di euro. A dire questo è un organismo, una fondazione indipendente, GIMBE, notoriamente non vicina alle posizioni del centrodestra - men che meno a quelle di Fratelli d'Italia -, che ci racconta che, al 2019, nei dieci anni precedenti, 37 miliardi di euro sono stati sottratti, definanziati alla sanità pubblica. Guarda caso nei dieci anni non ha governato il centrodestra, non ha governato Fratelli d'Italia, ma ha governato il PD e la sinistra: sicuramente non vi è una responsabilità politica per quanto ci riguarda.

Secondo aspetto è il decreto ministeriale n. 70 del 2015, che sostanzialmente partiva dal giusto assunto che, per gli 8.300 comuni italiani, gli 8.300 campanili, non possono esistere 8.300 strutture ospedaliere, come è di tutta evidenza. Si è provveduto a razionalizzare la rete ospedaliera italiana - un pilastro era la razionalizzazione degli ospedali - purtroppo, parallelamente, non è stato attrezzato il territorio, quindi i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, i medici della continuità assistenziale, i dipartimenti di prevenzione, i tecnici di prevenzione, i medici veterinari, in sostanza, la straordinaria rete della professionalità pubblica italiana è stata mortificata. Perché - lo ribadisco - nel 2015, quando si è pensato di porre in essere questa riforma, non si è tenuto conto del fatto che il territorio andava attrezzato.

Le case della salute, volute con il “decreto Balduzzi”, non hanno mai preso in realtà luce e più del 50 per cento delle regioni italiane non ne ha. In sostanza è una situazione drammatica, che poi, al primo soffio di vento forte - evidentemente parlo della pandemia - ha mostrato tutti i propri limiti: in Italia abbiamo avuto più di 150 mila morti. È evidente che nel 2015 non governava il centrodestra, ma lo dico più per esercizio politico di verità, che non per discolpare la parte politica che in questo momento rappresento.

Terzo elemento, per così dire, accessorio rispetto ai primi due, è il riparto del fondo sanitario nazionale. Fino all'anno scorso, per curare gli italiani, esemplificando, c'era bisogno di 114 miliardi; attualmente spendiamo 124 miliardi. La ripartizione di questi quattrini nelle 20 regioni italiane viene effettuata soprattutto tenendo conto della spesa storica, che viene incardinata sull'anzianità della popolazione, provocando una sperequazione fra le regioni italiane.

La Conferenza Stato-regioni e il dottor Filippo Anelli - mi piace ricordarlo -, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici, hanno inteso stimolare il dibattito politico, chiedendo che a ripartire il Fondo sanitario nazionale ci fosse come criterio di valutazione, non la storicità della spesa, non l'anzianità della popolazione, bensì un altro coefficiente, il cosiddetto coefficiente di deprivazione, che tiene conto di altri parametri (i parametri di disoccupazione, i parametri di inquinamento, i parametri orografici del territorio), proprio per rendere una sanità perequata sul nostro territorio nazionale ed evitare quelle migrazioni sanitarie, che poi in termini di mobilità passiva e quindi di spesa sanitaria provocano sempre più una sperequazione fra alcune regioni, che vanno e corrono forte, e altre regioni, che invece rimangono al palo, a nocumento soprattutto del popolo italiano che deve essere il target della nostra azione politica.

Infatti - lo ricordo a me stesso -, l'articolo 32 della nostra Costituzione recita che tutti i cittadini italiani hanno pari diritto a un pari livello di assistenza sanitaria, che nascano in Sicilia, in Puglia, in Sardegna o sul cucuzzolo della montagna, perché sostanzialmente questo prevede la nostra straordinaria Costituzione. Il riparto del fondo sanitario nazionale, così come oggi è immaginato, non ci dice e non ci racconta questo.

In tale ricostruzione, che era doveroso fare per amore di verità e anche per analisi di contesto, si inseriscono le misure all'ordine del giorno. Parlo evidentemente della Missione 6 del PNRR. Questo straordinario strumento, voluto e immaginato, che sostanzialmente indirizza 15,6 miliardi alla Missione 6 relativa alla salute, se non ben declinato, se non ben applicato, se strutturalmente non immaginato, può diventare l'ennesima occasione perduta.

Perché vi dico questo? Lo dico perché le 1.350 case di comunità - inizialmente nel primo Piano erano 1.288 - equivalgono all'incirca a una ogni 40-45 mila abitanti e non rendono una sanità di prossimità al cittadino. I 600 COT (centri operativi) e i 400 ospedali di comunità non si capisce come vengano omogeneizzati sul territorio. Anche rispetto a questo, avremmo potuto e voluto parlare in XII Commissione, dove in realtà c'è stato un unico contatto con il Governo su queste tematiche. Soprattutto, avremmo voluto che i soggetti primari attivi, cioè i professionisti della salute, fossero direttamente coinvolti nell'immaginare la nuova architettura della salute e della sanità in Italia. Infatti, per chi ha letto il PNRR e anche i giudizi dei tecnici, è evidente che la Missione 6 è incardinata soprattutto con una spesa per le strutture e i macchinari, ma senza investire in professionisti e professionalità.

Questo macro-tema esiste in Italia. Noi, Presidente, abbiamo una penuria - e, purtroppo, il Coronavirus ha evidenziato anche questo - di professionisti della salute, il cosiddetto imbuto formativo, ovvero la sperequazione fra i laureati in medicina e gli specializzati. Ricordo che, in Italia, fino a prima del COVID, si poteva esercitare la professione medica non se laureati con un curriculum di sei anni di studi, ma solo se si era acquisita la specializzazione. Superare l'imbuto formativo è il primo passaggio fondamentale per rendere una classe professionale presente sul territorio.

In secondo luogo, è altresì molto importante iniziare a immaginare - lo dico oggi e lo lascio all'equilibrio e all'economia di questo dibattito parlamentare - che, fra qualche anno, vi sarà, sia per “quota 100” sia per una gobba pensionistica, penuria di medici di medicina generale. Noi, sostanzialmente, non avremo medici di medicina generale, di qui a qualche mese, per curare gli italiani e, anche rispetto a questo, non si vedono all'orizzonte provvedimenti drastici che mirano alla risoluzione del problema. Le case di comunità, le COT, gli ospedali di comunità - 1.350, 600 e 400 - non vengono armonizzati: in particolare, non si capisce la filiera delle responsabilità all'interno di questa nuova architettura che andiamo a delineare, non si capisce anche la funzione dello specialista, ma, soprattutto, la funzione che queste strutture vanno a rendere sui territori disagiati italiani.

Voglio ricordare che esiste larga parte del nostro territorio nazionale che oggi non ha livelli di assistenza sanitaria degni di un Paese civile del Terzo millennio, mi riferisco non solo alle zone del Meridione - e questo già tanto basterebbe -, ma anche a tutte le aree montane, a tutti quei piccoli centri che oggi non hanno dei presidi sanitari.

Con riferimento a questo, nella mozione prodotta da Fratelli d'Italia, abbiamo rilanciato in maniera forte la possibilità di sfruttare la straordinaria rete delle farmacie pubbliche e private convenzionate, voglio ricordare, presenti in forza della pianta organica in tutto il territorio nazionale, di modo che ogni cittadino italiano - che viva nel centro della metropoli urbana di Roma o viva sul cucuzzolo di una montagna -, guardandosi attorno, a distanza di 200 metri, possa intercettare una croce verde e un camice bianco, cioè un professionista della salute a sua disposizione.

Ciò è fondamentale nel rendere salute, perché, apro e chiudo una parentesi, le case della salute non sono differenti dalle case di comunità, ma, ad oggi, lo ripeto, nel 50 per cento delle regioni italiane, il “decreto Balduzzi” non ha trovato applicazione, non vi sono le case della salute, quindi già si parte con una macchia. Ma la riflessione quale è? È che le 1.350 case di comunità, facendo i conti della serva, come si suol dire, vanno ad intercettare larghe fasce di popolazione che tengono fuori, invece - come dicevo precedentemente -, le aree interne, le aree disagiate e le aree montane.

Sfruttare la rete straordinaria delle farmacie pubbliche e private convenzionate può servire, appunto, a rendere salute ai cittadini, questo sì, mixandola alla telemedicina, facendo diventare ognuna di queste farmacie, ognuno di questi punti presenti uniformemente nel territorio un presidio sostanziale del Sistema sanitario nazionale, così come - lo possiamo dire - è avvenuto durante la stretta del COVID, quando le strutture ospedaliere erano prese d'assalto, quando tutti gli altri soggetti primari della filiera della salute erano presi d'assalto, le farmacie, aprendo con difficoltà, con le code, con le mascherine, con il paravento, però rendevano salute, tranquillità e, soprattutto, presenza dello Stato all'interno del territorio nazionale. Secondo noi, non sfruttare questa rete, che è già presente e strutturata, sembra un grande errore, anche perché il PNRR, la Missione 6 non finanzia l'assunzione di nuovo personale nell'immediato. Che significa? Che noi andiamo a porre in essere la presenza di queste strutture, però, poi, ci sfugge come le strutture vengono dotate di personale. E, soprattutto, tutti i costi fissi relativi alla gestione di queste 1.350 case della comunità, delle 600 COT, dei 400 ospedali di comunità come vengono finanziati e dove vanno a valere le spese? Penso al riscaldamento - è un tema di attualità -, penso alla luce - è un tema di attualità -, penso alla guardiania, penso allo stesso personale: li andiamo a far valere sui bilanci regionali o, peggio ancora, comunali, che sono, in questo momento storico, deficitari? Questi sono i dubbi che a noi vengono nell'analisi del PNRR, la Missione 6 e, quindi, sostanzialmente, il DM n. 71, che, possiamo dire, è una diretta applicazione che vuole - come ricordato - porre rimedio alle storture del DM n. 70.

Ma se non partiamo dai professionisti, se non partiamo dal finanziamento, se non partiamo dalla storicità e dagli ultimi 2 anni, che ci hanno raccontato tanto e hanno evidenziato delle professionalità, evidentemente, facciamo un grande errore. In questa filiera non possiamo - e mi accingo, Presidente, a concludere - non partire da quelle che sono le straordinarie figure professionali, i medici, i già ricordati farmacisti, gli infermieri, gli psicologi, quindi tutta questa filiera professionale che è presente in Italia e che ci viene invidiata a livello mondiale. Infatti, ci vengono scippati continuamente professionisti in tutto il mondo, strapagati in altre nazioni del mondo e noi dobbiamo trovare il modo per farli stare qui, in un'architettura del nostro Sistema sanitario nazionale, che renda un servizio e che renda i livelli essenziali di assistenza uguali per tutto il territorio nazionale. La nostra mozione è qui, la nostra mozione - e concludo, Presidente - è ben architettata, noi l'abbiamo depositata, in fase di dichiarazione di voto faremo emergere ulteriormente la posizione dei Fratelli d'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Elvira Savino, che illustrerà anche la mozione n. 1-00647, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

ELVIRA SAVINO (FI). Grazie, Presidente. La mozione che oggi l'Aula si trova a discutere affronta - come è stato già ampiamente detto - un tema di estrema importanza, ossia il futuro del Servizio sanitario del nostro Paese e, in particolare, lo sviluppo e il potenziamento del servizio sanitario territoriale, un tema decisivo per garantire, in maniera davvero uniforme su tutto il territorio, il diritto alla salute dei cittadini.

La pandemia da COVID-19, che spero ci siamo lasciati definitivamente alle spalle, ha portato ancora di più alla luce le carenze strutturali della nostra sanità pubblica. Infatti, la nostra sanità pubblica si è trovata a dover gestire la pandemia con troppe armi spuntate: gli ospedali, quale principale e, spesso, unico presidio sanitario sul territorio, sono stati prossimi al collasso, come sappiamo; c'è stata una grave carenza di personale, la mancanza di posti letto, l'assistenza sociosanitaria territoriale insufficiente. Riguardo alla carenza di personale, ricordo, per esempio, che nel nostro Paese ci sono molti meno infermieri rispetto alla media OCSE, in particolare, se rapportato al numero dei medici: ogni infermiere dovrebbe assistere al massimo 6 pazienti per ridurre i livelli di mortalità del 20 per cento, invece, nel nostro Paese, ogni infermiere ne assiste almeno 11. Il numero di medici e infermieri ogni mille abitanti di età superiore ai 75 anni risulta, anche questo, essere inferiore rispetto alla media OCSE: allo stato attuale, mancano all'appello più di 17 mila medici e 350 mila infermieri.

Ricordo che il totale dei dipendenti del Servizio sanitario nazionale rappresenta il 20 per cento della forza lavoro della pubblica amministrazione: la pandemia ha confermato ancora una volta che l'assistenza sanitaria nel nostro Paese deve essere ripensata e necessariamente rafforzata. Evidenti, infatti, sono le difficoltà della nostra sanità pubblica, soprattutto in alcune aree del Paese, come è stato ampiamente detto, al Sud, per poter garantire il diritto fondamentale alla salute che, poi, è la caratteristica principale del nostro Servizio sanitario nazionale.

Abbiamo la necessità di incrementare sensibilmente le risorse per la nostra sanità e questo è dovuto anche al grave e pesante invecchiamento della popolazione e all'aumento costante delle malattie croniche. Infatti, voglio ricordare che l'Italia è il Paese più anziano d'Europa, con oltre 24 milioni di malati cronici, che purtroppo le differenze tra Nord e Sud circa i livelli di tutela sanitaria sono fortissime e che abbiamo anche il più basso numero di posti letto in Europa.

I due Governi che si sono succeduti durante l'emergenza pandemica hanno dovuto affrontare in poco tempo le criticità relative alla carenza di personale sanitario, alla mancanza di posti letto, come abbiamo visto, soprattutto nelle terapie intensive e alla inadeguatezza dei livelli di assistenza territoriali.

Gli esperti dell'Alta scuola di formazione di management dei sistemi sanitari della facoltà di economia dell'Università Cattolica hanno calcolato, in un report, che due anni di pandemia hanno determinato in Italia una spesa di 19 miliardi di euro, di cui 11 e mezzo legati all'incremento della spesa sanitaria delle regioni.

La gran parte dei provvedimenti ha cercato di intervenire sulle carenze infrastrutturali e sull'adeguamento degli organici, grazie anche all'approvazione di ben sei scostamenti di bilancio. I decreti adottati hanno cercato di rafforzare soprattutto la rete ospedaliera assumendo più di 36 mila unità tra personale sanitario, infermieristico e socio-sanitario, e l'ultima legge di bilancio ha previsto fondi per investimenti in infrastrutture sanitarie, per adeguare l'impianto tecnologico, nonché per implementare i sistemi digitali sia in ambito nazionale che in ambito regionale. Ora, con il PNRR, abbiamo finalmente l'occasione di trasformare, rafforzare e rilanciare il nostro sistema sanitario nazionale. Per quanto riguarda la sanità, gli interventi previsti dalla Missione 6 corrispondono a circa 20 miliardi di investimenti e comprendono: la componente 1, che interviene su rete territoriale, reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l'assistenza sanitaria territoriale; la componente 2, che ammoderna tecnologicamente, mette in sicurezza gli ospedali e prevede investimenti su innovazione, ricerca e digitalizzazione del Servizio sanitario nazionale. Peraltro, come sappiamo, il raggiungimento dei traguardi e degli obiettivi previsti dal PNRR costituisce un presupposto necessario per l'ottenimento dei 191 miliardi di euro previsti dall'Europa per il nostro Paese. La scadenza finale per il completamento di questi obiettivi è fissata al 31 agosto del 2026. Ovviamente, sono obiettivi e tempistiche ambiziosi che, però, il nostro Paese non può assolutamente permettersi di non rispettare.

Uno degli investimenti più importanti e decisivi per la nostra sanità e per garantire il diritto alla salute e all'assistenza omogenea su tutto il territorio nazionale è, quindi, come è stato ampiamente detto, legato all'assistenza sanitaria territoriale. Sotto questo aspetto, si sta mettendo in cantiere, soprattutto grazie alle risorse del Next Generation EU, una riorganizzazione complessiva dell'offerta sanitaria e socio-sanitaria, che sia davvero in grado di dare una risposta efficiente ai cittadini, ai loro bisogni di prevenzione e di assistenza, rimettendo al centro i territori e i bisogni di salute che le comunità esprimono.

In questa ottica va letta la riforma in via di approvazione contenuta nello schema di regolamento trasmesso dal Ministero della Salute, di concerto con il Ministero dell'Economia e con la Conferenza Stato-regioni, riguardante i nuovi standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi delle strutture dedicate all'assistenza territoriale e al sistema di prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico. Questo regolamento sui modelli standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale sarà adottato entro il prossimo giugno e si collocherà proprio in piena coerenza con gli obiettivi della Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza per assicurare una risposta assistenziale appropriata ed efficace che riesca a deflazionare sul serio il carico degli ospedali.

Questo provvedimento prenderà poi finalmente il posto del decreto ministeriale n. 70 del 2015 che è ancora vigente e che ha definito gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi dell'assistenza ospedaliera. Questo decreto n. 70 - che ora è in via di dismissione - ha comportato troppo spesso un pesante ridimensionamento dei presidi ospedalieri offerti dai territori del nostro Paese e la chiusura di molti presidi sanitari, con la conseguenza che in alcune aree del nostro Paese non si è riusciti a garantire quei livelli essenziali di assistenza che sarebbero stati necessari. Ora, il perno del sistema sarà il distretto sanitario al cui interno rivestirà un ruolo fondamentale la casa della comunità, dove i cittadini potranno trovare assistenza 24 ore su 24, ogni giorno della settimana.

Rimangono operativi gli ambulatori dei medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, che, tenendo conto delle caratteristiche orografiche e demografiche del territorio, saranno collegati in rete per garantire assistenza dodici ore al giorno, sei giorni su sette. All'interno del distretto vi saranno poi gli ospedali di comunità con una forte assistenza infermieristica. Nel nuovo sistema un forte ruolo rivestiranno anche gli infermieri di famiglia.

Le farmacie convenzionate con il sistema sanitario nazionale, ubicate uniformemente all'interno del territorio nazionale, vengono definite presidi sanitari di prossimità e rappresentano un elemento fondamentale ed integrante del Servizio sanitario nazionale.

In questo complessivo necessario ripensamento della nostra sanità territoriale sarà indispensabile che la riforma finalmente riesca a ridurre le troppe, grandi differenze territoriali che esistono nel nostro Paese tra Nord e Sud in modo da rendere veramente e definitivamente esigibile il diritto alla salute per tutti gli italiani.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il rappresentante Governo si riserva di intervenire successivamente. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Molinari ed altri n. 1-00639 concernente iniziative volte ad incrementare le misure per il contrasto della peste suina africana e per il sostegno della filiera suinicola.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Molinari ed altri n. 1-00639 (Vedi l'allegato A) concernente iniziative volte ad incrementare le misure per il contrasto della peste suina africana e per il sostegno della filiera suinicola.

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 4 maggio 2022 (Vedi l'allegato A della seduta del 4 maggio 2022).

Avverto che sono state presentate le mozioni Incerti ed altri n. 1-00642, Lollobrigida ed altri n. 1-00644 e Nevi ed altri n. 1-00646 che, vertendo su materia analoga a quella della mozione trattata, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare il collega Viviani, che illustrerà anche la mozione n. 1-00639, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

LORENZO VIVIANI (LEGA). Grazie, Presidente. Colleghi, ritorniamo su un argomento che mi è caro personalmente da ligure, ma che è caro anche ai piemontesi. Infatti, il problema della peste suina africana coinvolge naturalmente in primis, dal 7 gennaio quando c'è stato il rinvenimento del primo caso, del primo animale malato sul nostro territorio, quella parte dell'Appennino, mi viene da dire eroico, dove gli agricoltori, contro ogni ragione logica, continuano a fare il loro mestiere, in un territorio meraviglioso, un rubino nascosto, dove però sicuramente la vita dei residenti, ma soprattutto quella degli agricoltori è difficilissima.

È un problema che sta diventando importantissimo anche a livello nazionale perché - è inutile nascondercelo ed è proprio notizia di qualche giorno fa - è stato rinvenuto un caso di peste suina anche in quel di Roma. Quindi, è un problema che deve essere affrontato e in questa mozione non lo vogliamo affrontare in antitesi rispetto al lavoro portato avanti in maniera pragmatica, veloce e sicuramente molto bene dalle regioni e dagli assessori regionali di Piemonte e Liguria, che si sono attivati immediatamente per la sua soluzione sia sul versante del settore agricolo sia su quello dell'allevamento anche per circoscriverlo a zona con i protocolli di biosicurezza. Si sono attivati anche nella salvaguardia della popolazione che - sicuramente ne parleremo dopo – sta attraversando momenti difficili, dopo il COVID, a causa delle restrizioni per la peste suina africana.

Nella mozione si fa riferimento a quanto è stato portato avanti dal Governo: mi riferisco al decreto-legge appena approvato sulla peste suina, che prevede la figura del commissario straordinario. Il fatto di aver commissariato e di aver individuato una persona, mi viene anche da dire con qualità sicuramente ottimali per affrontare questa emergenza, come il direttore dell'Istituto zooprofilattico di Liguria, Piemonte e Val d'Aosta, è stata una scelta veramente ottimale da parte del Governo.

Però, manca ancora - e questo è il nucleo della mozione - un incipit maggiore, cioè affrontare una problematica coinvolgendo realmente tutte le istituzioni e cercando di cambiare anche la mentalità. Dico questo perché, purtroppo, ci siamo ritrovati nell'emergenza legata al virus della peste suina dopo anni che, come Lega, portavamo avanti alcune istanze all'interno della Camera dei deputati e fuori, all'esterno, a livello comunale e a livello regionale; ma le hanno portate avanti anche le associazioni di categoria facendo manifestazioni in piazza: mi riferisco alla corretta gestione della fauna selvatica che, però, è stata dimenticata.

Tutti abbiamo detto di sì a queste associazioni di categoria, tutti abbiamo rincuorato gli agricoltori sul fatto che avvenisse un cambiamento di rotta sulla modifica della legge n. 157 del 1992, però tutto questo non è avvenuto. Il grande rammarico è aver trovato una situazione di emergenza causata da questo virus che dobbiamo sottolineare, soprattutto per chi è all'esterno di quest'Aula e non conosce la tematica, altamente infettivo e contagioso che, tuttavia, colpisce solamente i suini selvatici e domestici. Non c'è alcun problema per la popolazione, per i consumatori; è un grande problema, invece, per il nostro settore dell'agroalimentare, è un grande problema per chi abita, in questo momento, nelle “zone rosse”. Perché è un grave problema per il settore agroalimentare? Perché, se finisse all'interno di un allevamento, potete ben capire cosa potrebbe accadere; già in “zona rossa” sono stati bloccati gli allevamenti e sono stati abbattuti animali anche non infetti ma, se dovesse dilagare e non riuscissimo con i protocolli di biosicurezza a contenere questo virus, quindi a regionalizzare la zona (adesso la “zona rossa” è delimitata in Piemonte e Liguria), significherebbe far deflagrare un settore di punta del nostro agroalimentare italiano, un settore che produce 400 milioni di euro anni, con 25 mila aziende agricole e 3 mila aziende solamente nel settore della trasformazione. Se tuttavia domani mattina ci trovassimo realmente a sospendere le esportazioni, quindi ad affrontare una situazione di emergenza a livello nazionale, questo non significherebbe solamente perdere punti di PIL (ciò accadrebbe realmente), ma ci troveremmo anche nella condizione di perdere completamente, in futuro, fette di mercato. Ricordiamoci che qui stiamo parlando, come dicevo in precedenza, di un settore che rappresenta l'immagine dell'Italia e, come accade per tutti i settori che rappresentano l'immagine dell'Italia, appena togliamo dal mercato un salume, un prosciutto o qualsiasi cosa che deriva dalla trasformazione dei suini, importante a livello nazionale, questo posto viene occupato da chi già normalmente ci procura danni, ossia quelle aziende che utilizzano i nostri marchi, utilizzano la bontà dei prodotti italiani per vendere prodotti esteri. Mi riferisco a tutta la parte dell'Italian sounding. È per questo che l'impegno - precisato anche nella nostra mozione - non si deve limitare solamente ad alcune operazioni. Vi deve essere anche interlocuzione con i Paesi esteri, facendo capire loro che l'Italia sta portando avanti veramente un buon lavoro per quanto riguarda le recinzioni, la regionalizzazione, e che individuare una zona limitata nel nostro Paese, in cui c'è l'emergenza della peste suina, è fondamentale per dare respiro al settore agroalimentare italiano che, ricordiamoci, sta anche affrontando, per quanto riguarda soprattutto gli allevatori, un aumento dei costi energetici veramente rilevanti. Stiamo parlando, infatti, di allevatori che devono subire aumenti del costo dell'energia elettrica e del gas sul loro territorio e che vivono una situazione di emergenza anche a causa dei mangimi. Come ben sapete, soprattutto per quanto riguarda la parte del mangimificio, siamo dipendenti, ad esempio, per il mais quasi al 50 per cento dalle produzioni estere. La crisi ucraino-russo ha rimarcato la nostra dipendenza dai Paesi esteri e il fatto che vi siano stati rincari, oltre a questa fase di incertezza, sta provocando sicuramente forti scossoni in questo settore. Però non è che l'emergenza PSA si fermi al settore agroalimentare; riguarda anche il territorio ligure e quello piemontese i cui cittadini, come dicevo prima, non solo hanno subito limitazioni, come tutti gli italiani, durante la pandemia ma, in una fase secondaria in cui il Paese ricomincia a vivere, hanno dovuto sopportare limitazioni nella vita quotidiana. Mi riferisco alla socialità, al fatto di poter andare in un bosco, di fare trekking, di vivere l'outdoor e di svolgere quelle piccole attività che magari vengono considerate di secondo piano, ma che fanno rimanere le persone sui territori. Danneggia quell'agricoltura, come dicevamo prima, di sopravvivenza, di sussistenza, ma che presidia il territorio, che ha accompagnato tutte le attività che gli agricoltori svolgono con l'agriturismo e non solo. Un progetto da stimolare e portare avanti è far vivere il nostro entroterra che si spopola; la Liguria, il Piemonte hanno magari altre attrattive, la zona appenninica molte volte è quella che viene “bypassata”, ma l'attività turistica in quell'area mantiene i presidi sui territori e fa vedere bellezze nascoste che sono inestimabili. Ecco, tutto questo è venuto meno insieme al fatturato che queste aziende immaginavano di poter ottenere con le riaperture.

Per questo chiediamo al Governo nei prossimi interventi non solo di implementare tutto quello che riguarda gli allevamenti e il settore suinicolo, ma di aver riguardo a tutte le attività che lavorano con il turismo outdoor, con il trekking, che sono rimaste chiuse proprio perché limitate dalla “zona rossa”. Per quanto riguarda la “zona rossa”, fatemi dire, devo spezzare una lancia a favore delle regioni perché, grazie all'intervento del Governo, alla modulazione resa possibile dal Governo nei confronti delle stesse, nonché all'assunzione di responsabilità da parte degli assessori regionali, si è riusciti a prevedere zone diverse, quindi ad allargare le maglie in certe zone ove non era necessario. Alcune zone, lontane dalla “zona rossa”, vi rientrano, infatti, senza alcun motivo. Abbiamo avuto la fortuna di avere due direttrici autostradali che hanno limitato la circolazione dei cinghiali, il movimento di questi animali selvatici in una fase in cui non erano presenti le recinzioni che adesso si stanno costruendo. Occorre sfruttare questo per cercare di limitare i danni causati alla popolazione autoctona che mal sopporta quello che sta accadendo.

Non voglio dilungarmi troppo sull'argomento, Presidente, che è stato già vagliato da un decreto, ma portare alla ribalta questo argomento. Al riguardo, ringrazio i presentatori della mozione e mi auguro che verrà presentata una mozione unitaria, che penso verrà discussa e votata questa settimana, con riferimento alla parte dell'emergenza per il settore agroalimentare ed energetico. Sono momenti storici in cui si deve capire cosa si è fatto in passato. Ho iniziato il mio intervento, recriminando comunque il fatto che non si è riusciti a trovare una soluzione anche all'interno della stessa forza politica, anche se ogni tanto si trovano sponde tra colleghi dei diversi schieramenti sulle problematiche relative alla fauna selvatica. I social network hanno spesso complicato le questioni della gestione della fauna selvatica. Tornando all'argomento, è il momento in cui dobbiamo guardarci indietro, vedere come abbiamo gestito fino adesso la questione della fauna selvatica. ISPRA ci fa un piccolo appunto: ci dice che, in un'area infetta, ci dovrebbe un esemplare per chilometro quadrato. Noi ci troviamo in una situazione in cui ne abbiamo 13 o 14 per chilometro quadrato. Ci troviamo con una popolazione di ungulati, di cinghiali che sfiora i 3 milioni, ma si pensa che, se si facessero nuovi censimenti, il numero potrebbe essere moltiplicato a livello esponenziale, perché c'è la fase della primavera in cui i cinghiali si riproducono, quindi automaticamente avremmo un numero molto maggiore. Avremmo dovuto agire preventivamente, perché il settore dell'agroalimentare è stato massacrato ma, al riguardo, vorrei fare una considerazione. La maggior parte delle persone sostiene tesi assurde e dice: noi paghiamo i nostri agricoltori; diamo loro sovvenzioni. Tanto gli diamo i soldi. No, gli agricoltori vogliono vivere con il sudore della propria fronte, vendendo i propri prodotti, gestendo la propria azienda; non possiamo pensare che il problema della fauna selvatica possa essere risolto con le sovvenzioni agli agricoltori. Questa non è una situazione che ci troviamo ad affrontare ora, perché adesso ne parlo, ma l'abbiamo portata avanti e denunciata per mesi, per anni. Se in passato avessimo gestito meglio la fauna selvatica, anche in favore degli stessi animali selvatici, non ci troveremmo in questo momento a dover rincorrere l'emergenza, ossia una sovrappopolazione di animali che naturalmente rende il contagio molto più veloce. Ricordiamoci che, a causa della peste suina africana, vi è una mortalità del 90-100 per cento e questi animali muoiono in maniera atroce. Quindi, dove risiede il vero ambientalismo? Risiede nel gestire bene l'ambiente, nel restituire un rapporto con l'uomo, nel ritrovare un equilibrio fra uomo e natura, come ci hanno insegnato i nostri vecchi, oppure in una gestione dal salotto di casa, sarà un termine usato magari anche in maniera sbagliata, con l'ambientalismo da salotto? Non ha senso andare avanti così, non possiamo essere schiavi dei social network che ci dicono cosa fare, degli hater che ci massacrano su Internet. Penso che questo sia un punto molto importante. Infatti, abbiamo previsto la revisione della legge n. 157 del 1992 come condizione imprescindibile per l'approvazione di questa mozione, proprio per questo. Dico ciò perché dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, dobbiamo cambiare la gestione della fauna selvatica e la peste suina ci sta spiegando che dobbiamo andare in questa direzione: stare al fianco dei nostri agricoltori, stare al fianco di chi vive il mondo rurale e portare a casa il risultato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Casu, che illustrerà anche la mozione n. 1-00642, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, con questa mozione il Partito Democratico torna a porre l'attenzione del Governo e dei Ministeri competenti sulla peste suina africana, una malattia virale che sta colpendo i suini domestici e quelli selvatici, causando livelli di mortalità elevatissimi che arrivano a sfiorare il 100 per cento. Un vero e proprio flagello, come sanno purtroppo benissimo gli allevatori sardi costretti da anni a fronteggiare questo virus contro cui ogni giorno è chiamato a combattere un numero sempre crescente di allevatrici e allevatori anche nel resto del territorio nazionale. Una malattia non pericolosa per gli esseri umani, ma letale per i suini, in quanto fortemente resistente nell'ambiente e nei prodotti contaminati.

Voglio ringraziare le prime firmatarie della mozione, la capogruppo del Partito Democratico nella Commissione agricoltura, Antonella Incerti, e la capogruppo nella Commissione affari sociali, Elena Carnevali, insieme alle parlamentari e ai parlamentari Avossa, Cappellani, Cenni, Critelli, Frailis, De Filippo, Ianaro, Lepri, Pini, Rizzo Nervo e Siani, per l'impegno sempre profuso su questo tema e per avermi offerto l'occasione di intervenire oggi, in Aula, a pochi giorni dal primo caso di peste suina africana registrato anche a Roma. Questo virus, infatti, si muove con continuità ma è capace di compiere veri e propri balzi e trasferire la malattia anche a centinaia di chilometri, come dimostra il primo caso di peste suina rilevato a Roma, confermato dal commissario straordinario Angelo Ferrari che ha attivato immediatamente - insieme alla regione Lazio, che ringrazio - la task-force di controllo.

Già all'inizio dell'anno 2022, con i primi casi verificatisi in Piemonte e in Liguria e a seguito dell'ordinanza del 13 gennaio, adottata dal Ministero della Salute d'intesa con il Ministero delle Politiche agricole, che disponeva il divieto di attività venatoria all'aperto nelle aree interessate, il Partito Democratico, sia in Commissione sia in quest'Aula, aveva sollecitato misure e interventi urgenti, sia di contenimento sia di sostegno a questo comparto. Un comparto che, sia per il numero di aziende e allevamenti (più di 28 mila, di cui l'80 per cento della produzione nazionale aderenti ai circuiti DOP), sia per fatturato (3 miliardi di euro per la fase agricola e 8 miliardi di euro per quella industriale), rappresenta uno dei volani dell'economia nazionale. Un settore che sta vivendo, peraltro, nella fase complessa che stiamo affrontando, nuove criticità, legate all'aumento dei costi della produzione, delle materie prime e dell'energia. Si aggiunge la preoccupazione che, nonostante le misure di biosicurezza dei nostri allevamenti suinicoli siano molto elevate, un'eventuale espansione dell'epidemia sul territorio nazionale potrebbe avere ripercussioni pesanti sul patrimonio zootecnico suino, con danni ingenti anche sulla salute animale.

Alcune misure importanti sono arrivate. Il decreto-legge n. 4 del 2022 ha previsto ristori per 50 milioni, introducendo fondi finalizzati a tutelare gli allevamenti suinicoli dal rischio contaminazione da virus e a indennizzare gli operatori della filiera danneggiati dal blocco delle movimentazioni ed esportazioni di prodotti trasformati. Il decreto-legge n. 9 del 2022 ha stabilito ulteriori misure. Grazie ad un nostro emendamento nel “Milleproroghe”, si è estesa l'erogazione di benefici e contributi stanziati nel “decreto Cura Italia” anche alle aziende agricole delle aree colpite dalla peste suina africana. E ancora, vi è stata la conseguente ripartizione, da parte del Ministero delle Politiche agricole, del fondo di parte capitale per gli interventi strutturali e funzionali in materia di biosicurezza per il controllo e la diffusione della peste suina africana, con un finanziamento pari a 15 milioni di euro. Sono misure significative, ma chiediamo che vengano ulteriormente rafforzate, anche con maggiore sinergia tra le parti interessate e i diversi rami dell'amministrazione pubblica a livello nazionale, regionale e locale, sia per rafforzare i meccanismi di controllo e gestione della fauna selvatica sia per integrare le diverse competenze che fanno capo a sanità, agricoltura e ambiente. In particolare, con la nostra mozione chiediamo che si diano nell'immediato più risorse alla filiera suinicola italiana, che siano sostenute le regioni più colpite e le aziende agricole gravate dalle perdite del patrimonio zootecnico e dagli oneri di contenimento fattivo, per aiutarle a fronteggiare i costi derivanti dall'allestimento delle recinzioni necessarie. Inoltre, chiediamo che l'Unione europea intraprenda azioni per cofinanziare l'eradicazione della peste suina africana, che si rafforzi l'attività negoziale per giungere a regole condivise per i Paesi che non riconoscono il principio di regionalizzazione, che ci sia un sostegno per le nostre aziende nell'export, fortemente danneggiato anche dalla concorrenza di altri Paesi produttori e chiediamo infine una politica più stringente e serrata di gestione e controllo della fauna selvatica. Gli strumenti di prevenzione adottati non si stanno rivelando particolarmente efficaci. Dobbiamo dirlo chiaramente anche in quest'Aula: è proprio sulle zampe della fauna selvatica che cammina il virus e arriva a colpire gli allevamenti.

Le immagini dei cinghiali che passeggiano indisturbati fino al cuore delle nostre città, fino al cuore della capitale, sono l'emblema di questo fallimento che non riguarda solo la salute pubblica e il decoro, che non preoccupa solo le famiglie delle nostre città che vedono interi branchi di cinghiali passeggiare indisturbati fin di fronte alle scuole, e che non colpisce solo la nostra agricoltura con la devastazione di campi e raccolti. Con la diffusione incontrollata della peste suina africana si sta infatti attentando, in maniera sempre più incisiva, anche al nostro patrimonio zootecnico, ovvero a un settore fondamentale per la nostra economia, uno dei fiori all'occhiello della produzione agroalimentare italiana. Per questa ragione è necessario un impegno deciso da parte di tutte le istituzioni, per garantire finalmente un'azione decisa e risolutiva che sia in grado di affrontare, gestire e controllare un fenomeno che si è aggravato durante gli anni della lotta che abbiamo combattuto contro il COVID e che dovremo dimostrare di saper risolvere nel mondo, oltre la pandemia. Nella direzione di questi obiettivi va la mozione che presentiamo oggi in discussione generale, insieme all'impegno di tutto il gruppo del Partito Democratico.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Caretta, che illustrerà anche la mozione n. 1-00644, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

MARIA CRISTINA CARETTA (FDI). Grazie, Presidente. Ne abbiamo già parlato durante l'approvazione del decreto-legge sulla PSA, ma credo sia giusto ricordare che la peste suina africana è una malattia virale dei suini e cinghiali selvatici, regolarmente non trasmissibile all'uomo, con un tasso di letalità del 90-100 per cento.

È una malattia estremamente pericolosa per il nostro comparto suinicolo, in quanto può sterminare interi allevamenti in poco più di una settimana e, non essendoci cure o vaccini, in presenza di un capo infetto l'unica soluzione è l'abbattimento. Maiali e cinghiali sani vengono infettati dalla PSA tramite ingestione di carne infetta o a contatto con animali infetti quali, ad esempio, i cinghiali selvatici, che rappresentano il principale vettore di trasmissione epidemico.

Della capacità di diffusione di questo virus abbiamo già ampiamente parlato in sede di discussione generale del decreto-legge sulla PSA. Per chi ancora non avesse chiara l'idea della situazione, siamo alle prese con una malattia in grado di passare dal continente africano o dall'Asia all'Europa continentale in poco tempo, propagandosi con estrema facilità e che rischia in alcuni casi di diventare endemica, come nell'annoso caso della Sardegna che tuttora si vede costretta a rispettare un embargo sulle proprie carni suine.

Come Fratelli d'Italia, abbiamo avuto modo di evidenziare la gravità della PSA, soprattutto in caso di esplosione epidemica in Italia. Già due anni fa, abbiamo presentato una risoluzione in Commissione agricoltura, che nessuno - lo sottolineo: nessuno - si è mai degnato di calendarizzare e discutere.

La storia la conosciamo tutti: a gennaio sono comparsi i primi focolai in Piemonte e in Liguria; un mese dopo, il Governo ha emanato un decreto-legge d'urgenza che, in fase di conversione, abbiamo evidenziato essere deficitario e manchevole. Neanche a dirlo, giusto pochi giorni fa ci siamo ritrovati con delle nuove positività a Roma, dimostrandosi così l'inefficacia dell'azione intrapresa dal Governo.

Errare è umano, perseverare è diabolico. È però con grande amarezza che devo constatare che la politica, una certa politica, ancora una volta, piuttosto che parlare di contenimento dei cinghiali, di modalità di prevenzione ed eradicazione vera della PSA, preferisce non agire, costringendoci, per ben due volte, a distanza di pochi mesi, a parlare di emergenza.

Un Governo normale, non voglio dire un Governo eccezionale, già dopo la prima crisi, avrebbe agito con polso, mentre qui si continua a deambulare con il paraocchi. Ancora una volta, con la peste suina è stato preferito anteporre gli interessi di un coacervo di animalisti da strapazzo alle preoccupazioni di un mondo fatto di cittadini, di imprenditori che probabilmente amano gli animali ben più di chi è capace solo di professarlo sulla carta. La situazione è imbarazzante, perché c'è ben poco di nuovo da aggiungere.

Le evidenze di ISPRA sono sempre le stesse, cioè che l'abbattimento dei cinghiali è l'unica soluzione praticabile, quando ci sono oltre 2 milioni e mezzo di potenziali vettori di PSA in tutta Italia. Certo, il decreto-legge di febbraio scorso ha fatto qualcosina, ma poteva fare molto di più; poteva mettere fine a questa emergenza, invece di metterci solo una pezza. Forse, la cosa più assurda di questa situazione è che, quando abbiamo discusso quell'atto in Aula, abbiamo evidenziato, in ogni sede possibile, che ridurre la dotazione economica del fondo a sostegno della filiera suinicola del “decreto Sostegni-ter” per trovare le risorse con cui alimentare le misure del decreto-legge era una follia. Abbiamo presentato vari emendamenti per fornire coperture alternative e anche un ordine del giorno. Per quale motivo avete rigettato le nostre proposte, se poi ce le avete riproposte, pari pari, in una vostra mozione un mese dopo?

Posso capire tutto, però, credo che alcune forze di maggioranza debbano fare pace con il cervello, perché pochi giorni fa in Consiglio dei Ministri è stato discusso e approvato il decreto-legge con misure di aiuto straordinarie, dove c'è dentro di tutto, ma non quei 10 milioni che erano stati tolti alla filiera suinicola.

Colleghi della maggioranza, stare al Governo non vuol dire solo fare passerelle politiche: vuol dire, soprattutto, fare. Perché non vi siete fatti portavoce del ristoro nel settore suinicolo in Consiglio dei Ministri? Perché non avete reinserito queste risorse nel primo provvedimento utile? Sia chiaro: personalmente non ho problemi a fare tutte le discussioni generali su mozioni, atti o decreti che volete su questo tema; quello che trovo umiliante per il Paese è che sono 2 anni che evidenziamo la presenza di questo problema e, pochi mesi dopo un decreto-legge straordinario, dove abbiamo evidenziato tutte le varie criticità, siamo ancora qua, punto e a capo, con la diffusione della PSA fino alla capitale.

La debolezza della politica in questa fase sta facendo molto male al nostro tessuto economico e imprenditoriale, perché, da gennaio a oggi, le aziende della filiera zootecnica subiscono danni per 20 milioni di euro a settimana, e di settimane ne sono passate tante; forse, potevamo fare di più, potevamo fare meglio ma, soprattutto, impiegare meno risorse. Lo abbiamo detto allora e lo ripetiamo oggi: sulla peste suina avete fatto troppo poco e lo avete fatto male e troppo tardi. La differenza cruciale, credo, è che cinque mesi fa il problema principale derivava esclusivamente dalla peste suina; adesso a questa si aggiunge un rincaro inaudito dei costi dell'energia e delle materie prime, inclusi, come ben sapete, tutti i prodotti impiegati nella mangimistica.

Quando il decreto-legge sulla PSA è stato emanato, la diffusione dei casi riguardava solamente un'area compresa tra il Piemonte e la Liguria; adesso lo scenario è diverso, perché la diffusione epidemica è arrivata a Roma.

Su questo tema, ci sono due ordini di elementi da tenere in considerazione. Il primo - l'ho già anticipato in un'interrogazione di pochi giorni fa - è capire come la PSA sia arrivata dal Piemonte e dalla Liguria fino a Roma, visto che il passaggio non è proprio banale. Il secondo elemento è capire immediatamente quale sia l'effettivo stato di diffusione del contagio, perché in tutto il Lazio ci sono 12 mila allevamenti e circa 43 mila capi potenzialmente a rischio; nella sola provincia di Roma, sono circa 20 mila i cinghiali pronti a diffondere la PSA in tutto il territorio. Inutile dirvi che un'ulteriore diffusione del contagio in questo caso andrebbe ad intaccare anche aree che ospitano le principali realtà della norcineria italiana e rischierebbe di portare l'intero comparto al fallimento.

Le criticità che ci troviamo di fronte sono abbastanza evidenti. La prima, che ci trasciniamo dal “decreto-legge PSA”, è che non esiste un meccanismo di gestione dell'emergenza che metta al centro l'idea della prevenzione. Le zone rosse epidemiche sono gestite in un modo, ma, se un cinghiale fugge dai perimetri, deve essere trattato in tutt'altra maniera. La seconda è che non c'è la più pallida cognizione di causa di come la PSA si stia diffondendo in Italia, e questo è molto grave, soprattutto dopo che è stato fatto tutto questo lavoro sotto decretazione d'urgenza.

C'è poi un aspetto ulteriore che, in questa situazione di crisi internazionale, assume un'ulteriore gravità: le attività turistiche, ricettive e della ristorazione presenti nelle aree colpite dalla PSA subiscono le conseguenze delle misure di contenimento, e si trovano, quindi, ulteriormente in difficoltà. Questo è il quadro generale della situazione.

Da ultimo, abbiamo anche il tema dell'esportazione: due anni fa, quando la PSA ha trovato ampia diffusione in Germania, numerosi Paesi asiatici hanno bloccato le importazioni di prodotti suinicoli e derivati tedeschi, nonostante l'epidemia fosse stata regionalizzata. Su questo, c'è un rischio che, fuori dai confini europei, altri Paesi internazionali decidano improvvisamente di bloccare le importazioni di tutti i nostri prodotti, e questo non possiamo permettercelo. Con questa nostra mozione, vogliamo proporre al Parlamento punti che, a nostro avviso, possono essere decisivi per il contenimento della PSA, la sua prevenzione, la tutela del comparto suinicolo italiano. Anzitutto, chiediamo espressamente al Governo di accogliere la nostra proposta di reintegrare lo stanziamento di risorse a sostegno del comparto suinicolo nazionale, di cui al “decreto Sostegni-ter”, prevedendo anche un incremento della detrazione inizialmente revocata. Come secondo impegno, chiediamo, anche in questo caso, di recepire una nostra proposta inizialmente bocciata nel “decreto-legge PSA”, cioè di integrare la modalità di gestione dell'emergenza peste suina con meccanismi che permettano una migliore prevenzione, e, dunque, di intervenire anche al di fuori delle cosiddette zone rosse, cioè al di fuori delle aree perimetrate dove è diffuso il contagio. Come terzo impegno, chiediamo uno sforzo di medio-lungo periodo, recuperando l'esperienza normativa che deriva dall'articolo 19 della legge statale n. 157 del 1992, proprio per permettere di disporre in modo sistematico e permanente di modalità di gestione e prevenzione dei cinghiali in tutte le regioni italiane. Come quarto impegno, richiediamo nuove ed immediate misure indennitarie a favore del comparto suinicolo in considerazione della diffusione della PSA e dei danni che questa può avere dal punto di vista non solo di mera perdita di capi, ma anche dell'andamento economico delle attività. Come quinto impegno, chiediamo che siano previsti indennizzi anche per le attività turistiche, ricettive e della ristorazione che sono state colpite dalle misure di contenimento della PSA, che, in determinati territori, hanno segnato una minore presenza turistica che, ora più che mai, è necessaria per alimentare i consumi e la nostra economia. Come sesto impegno, in scia con i precedenti, si chiede un incremento delle misure indennitarie previste, tenendo conto anche dei rincari e dei danni dovuti all'incremento dei costi fissi dell'energia e delle materie prime agricole a seguito della guerra russo-ucraina.

Come settimo impegno - e questo è un impegno di lungo periodo - chiediamo uno stanziamento straordinario di risorse per agevolare l'acquisto e la dotazione di strutture e macchinari che possano garantire la biosicurezza degli allevamenti suinicoli.

Come ottavo impegno chiediamo al Governo di assumersi una responsabilità che il territorio chiede da tempo, ossia di intervenire presso tutti i tavoli europei di competenza e porre finalmente termine all'embargo sulle carni suine che la Sardegna sta subendo ormai del tutto inutilmente.

Tornando, invece, a quanto successo a Roma, che, ribadisco, essere di una gravità inaudita, chiediamo al Governo di attivarsi immediatamente per indagare sulle vere cause dietro la diffusione della PSA nel territorio capitolino e intervenire per evitare che emergano nuovi casi pronti a diffondere a macchia d'olio la peste suina nel territorio.

Come decimo, chiediamo, invece, che vengano offerte garanzie sulla tenuta delle esportazioni di carne suina italiana e derivati, in particolar modo nei confronti di tutti quei paesi extraeuropei che potrebbero non tener conto del criterio di contenimento regionalizzato della PSA, andando a bloccare tutte le nostre esportazioni.

Come undicesimo impegno, chiediamo di intervenire per arrestare le tendenze speculative che stanno colpendo il mercato suinicolo.

Con il dodicesimo e ultimo impegno chiediamo di disporre tutte le necessarie iniziative di sostegno alla filiera suinicola e anche a monte della stessa, andando ad intervenire in modo mirato anche sulla mangimistica, sottoposta a insostenibili rincari per le attuali contingenze internazionali. Queste, colleghi, sono le nostre proposte. Questa è la nostra ricetta, che è ormai la stessa da tempo. Su questo chiedo, a nome dei cittadini che rappresentiamo, una sola cortesia: fate presto, perché il vostro ritardo ci costa ogni giorno sempre di più (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Elvira Savino, che illustrerà la mozione n. 1-00646, di cui è cofirmataria.

ELVIRA SAVINO (FI). Grazie, Presidente. Prendo di nuovo la parola per intervenire su un argomento che ha visto Forza Italia costantemente impegnata a fianco dei lavoratori del settore agricolo, i quali da anni, purtroppo invano, hanno chiesto - e noi con loro - misure efficaci per contenere la proliferazione indiscriminata dei cinghiali. Oggi i cinghiali rappresentano un rischio ben maggiore, perché è giunta, come è stato detto, a gennaio in Italia la peste suina africana. Si tratta di una malattia virale altamente contagiosa che colpisce suini e cinghiali, ma fortunatamente non è trasmissibile agli uomini.

Come detto, nel mese di gennaio sono stati diagnosticati i primi casi in Piemonte, Liguria e Val d'Aosta, verificati dal centro di referenza nazionale per lo studio delle malattie da Pestivirus e da Asfivirus dell'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Umbria e delle Marche. È, quindi, partita un'attenta attività di sorveglianza sul territorio, in particolare negli allevamenti suini, compiendo ogni sforzo per rintracciare, censire e testare le carcasse di cinghiali, come previsto dal Piano nazionale di sorveglianza.

La PSA ha un elevato potenziale di diffusione e, se si diffondesse sull'intero territorio nazionale, causerebbe un danno gravissimo al patrimonio zootecnico suino, perché le norme di sicurezza sanitaria impongono l'abbattimento obbligatorio degli animali malati e anche di quelli sospetti tali, evidentemente. La malattia si trasmette attraverso spore assai resistenti che possono essere trasportate da qualsiasi cosa, anche dalle scarpe e dagli abiti degli agricoltori. Per questa malattia non esiste un vaccino, perché gli scienziati non sono ancora riusciti a superare le difficoltà per individuare questo complessissimo DNA del virus che ha circa 170 geni e 80 proteine. Questa peste, tra l'altro, causa emorragie interne e la morte dell'animale e, quindi, è molto aggressiva.

Tutto si origina nel 2014, quando un'epidemia di questo tipo esplode in alcuni Paesi dell'Est Europa. Da allora la malattia si è diffusa in alcuni Stati membri, tra cui il Belgio e la Germania. Ciò ha fatto scattare immediatamente l'allarme tra gli operatori del settore, i quali hanno chiesto insistentemente misure specifiche per contenere la diffusione dei cinghiali e per evitare l'arrivo della PSA in Italia. Però, tutto ciò è stato inutile, perché il 7 gennaio 2022, come si è detto, è stata confermata la positività di un cinghiale trovato morto in Piemonte - si tratta del cosiddetto cinghiale zero - e poi il contagio è stato riscontrato nelle aree tra Piemonte e Liguria.

Con il decreto-legge 17 febbraio 2022 il Governo ha disposto le misure urgenti con le quali arrestare la diffusione della PSA, prevedendo un intervento delle regioni e delle province autonome per effettuare un piano regionale per il controllo e l'eradicazione della peste suina africana, effettuando la ricognizione della consistenza numerica dei cinghiali all'interno del territorio e prevedendo le ulteriori misure necessarie che hanno previsto, però, fondi esigui per aumentare le difese, fondi destinati a recinzioni e strutture temporanee per contenere, appunto, la circolazione di questi cinghiali. La spesa autorizzata è stata pari a solo 10 milioni di euro per l'anno 2022 e tali risorse - va specificato - non sono ulteriori ma provengono dal Fondo di parte corrente per il sostegno alla filiera suinicola, ovvero il medesimo Fondo che dovrebbe garantire i ristori agli operatori danneggiati dalla PSA (quindi, è un po' complesso).

Le reti e gli altri strumenti di recinzione sono, a nostro avviso, lo strumento di contenimento più efficace, perché riescono a proteggere i capi dei suini più a rischio, quelli allevati, appunto, in modo semibrado, che hanno più occasioni di contatto con i cinghiali perché vivono in spazi ampi spesso delimitati soltanto da nastri elettrificati. Quindi, è necessario un investimento del Governo per realizzare recinzioni degli allevamenti all'aperto con protezioni efficaci e con reti elettrosaldate per mettere in sicurezza gli animali nelle aree di pascolo. Le recinzioni sono utili per delimitare le “zone rosse”, ma devono essere tutelati, in forma preventiva, anche gli allevamenti che si trovano fuori dalle “zone rosse”.

Dopo la scoperta, giovedì scorso, di un cinghiale morto a causa della PSA, a Roma la situazione è diventata più preoccupante. Nel Lazio, per impedire ai cinghiali di avvicinarsi ai rifiuti urbani e poi, appunto, trasmettere il virus, si è disposta la recinzione dei cassonetti per gettare l'immondizia, per inibire l'avvicinamento dei cinghiali, che, ovviamente, sono attratti dai cassonetti dell'immondizia, e frenare la diffusione della PSA sul resto del territorio nazionale. Con un'ordinanza della regione sono state adottate le prime misure per il contenimento nel quadrante Nord-Ovest della capitale all'interno del Grande raccordo anulare, definendo la zona infettiva provvisoria.

Forza Italia ha sempre segnalato il problema rappresentato dalla proliferazione indiscriminata della fauna selvatica e dei cinghiali, in particolare. I pericoli sanitari e i danni causati a cittadini, agricoltori e allevatori sono noti e antichi. Ricordo che è in discussione presso la Commissione agricoltura una proposta di legge per il contenimento della fauna selvatica, in particolare dei cinghiali, proposta fatta per prima proprio da Forza Italia (adesso ve ne sono altre e c'è un testo condiviso).

Il Governo deve sostenere l'azione parlamentare per novellare e attualizzare le disposizioni vigenti. Dobbiamo assolutamente limitare la proliferazione dei cinghiali, sia per i danni che arrecano ordinariamente sia per la capacità di trasmettere malattie. Il lavoro svolto ci pare un importante contributo che ha fornito il Parlamento e il Governo lo dovrebbe considerare per l'emanazione di ulteriori norme necessarie a fronteggiare questa situazione ancora grave e urgente e per dare una soluzione, non provvisoria ma strutturale, a questo grave problema.

La scoperta della PSA nella capitale rende ancora più necessaria l'adozione di misure di contenimento sanitario e soprattutto di ristoro per tutti i protagonisti della filiera. Si consideri, infatti, che i danneggiati per il momento non sono stati adeguatamente sostenuti o, meglio, sino ad ora gli interventi dedicati a risarcire i danni sono stati limitati alle misure contenute nella legge di conversione del “decreto Sostegni-ter”, con cui sono stati stanziati 35 milioni per riconoscere indennizzi agli allevatori della filiera suinicola.

Servono, quindi, sostegni maggiori destinati all'intera filiera produttiva, ulteriori mezzi per eradicare la PSA e affrontare in modo strutturale la proliferazione di questi cinghiali, per scongiurare che questo virus si propaghi ancora negli allevamenti suinicoli e, soprattutto, nelle regioni che ancora fortunatamente sono immuni, poiché anche la sola presenza di animali infetti selvatici comporta conseguenze dannose per il settore interessato. Serve, quindi, erigere un sistema di protezione dei nostri allevamenti all'aperto, che sono circa 500 in Italia, per impedire che ciò avvenga.

Il Governo, in questo senso, ha già preso un impegno, dando parere favorevole su un nostro ordine del giorno, circa un mese fa, con il quale, appunto, il Governo si impegnava a realizzare le recinzioni e le altre strutture temporanee non solo nelle zone in cui la PSA è stata già individuata, ma in tutto il territorio nazionale o, almeno, nelle regioni limitrofe a quelle dove i focolai sono stati individuati, estendendo anche agli imprenditori zootecnici la possibilità di utilizzare gli stessi mezzi di contenimento.

Dobbiamo fermare i cinghiali, perché se la zona infetta dovesse estendersi fino ai territori a maggiore vocazione salumiera, come l'Emilia Romagna, la Lombardia, il Veneto, il Friuli, la Toscana e l'Umbria, che rappresentano complessivamente il 75 per cento dei suini allevati in Italia, il danno sarebbe davvero consistente, con una perdita pari a 60 milioni di euro al mese per mancato export. Verrebbe messa a rischio la continuità della produzione delle nostre principali DOP della salumeria nazionale, che non potrebbero utilizzare i suini provenienti da questa area per realizzare i loro prodotti di eccellenza e anche l'esportazione delle nostre DOP subirebbe un danno stimato del 25 per cento del fatturato. In un momento così complesso, non mi sembra davvero opportuno correre questo rischio.

Sono poi necessarie delle azioni diplomatiche internazionali mirate, perché, dopo i fatti di Roma, la produzione suinicola nazionale potrebbe subire una battuta d'arresto, a causa anche della paura che viene ingenerata dalla PSA, in ragione dei timori che abbiamo sviluppato in seguito alla pandemia da Coronavirus, sebbene, come è stato chiarito, questa infezione non è in alcun modo trasmissibile all'uomo. Ci vorrebbe anche una campagna di informazione alla cittadinanza, che ribadisca l'innocuità della PSA per l'uomo, per non diffondere paura ulteriore oltre a quella che abbiamo già vissuto. Un provvedimento utile sarebbe sostenere la vendita nel mercato nazionale e UE di questi nostri prodotti di eccellenza.

Concludo, ribadendo ancora una volta l'importanza di prevedere misure efficaci per il contenimento del movimento di questi cinghiali. In questa fase, eccezionale per la situazione che viviamo, occorre prevedere risorse a sostegni, come sono sicuramente necessari nuovi stanziamenti da rivolgere agli allevamenti potenzialmente interessati. Si tratta delle aziende che si occupano di questo tipo di prodotti, sono circa 28.000, di cui quelle aderenti ai circuiti DOP, che rappresentano l'80 per cento della produzione nazionale, sono circa 3.600. Le aziende che allevano suini all'aperto, quelle più preziose, perché conservano il patrimonio di biodiversità delle razze suine autoctone, sono circa 500. Vista l'importanza strategica della messa in sicurezza degli allevamenti italiani, appare necessario siano messi a disposizione con urgenza risorse finanziarie, sufficienti per permettere la realizzazione di idonee recinzioni in tutte le aziende che hanno allevamenti all'aperto, adottare ulteriori misure di biosicurezza degli allevamenti e, soprattutto, garantire indennizzi effettivi e tempestivi a chi abbia subìto dei danni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Cillis. Ne ha facoltà.

LUCIANO CILLIS (M5S). Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretario, la zootecnia in Italia rappresenta una delle più importanti voci economiche della produzione economica dell'intera Nazione, un fiore all'occhiello e, in particolare, nella zootecnia, la suinicoltura.

L'intera filiera è fondamentale per riuscire a mantenere, oltre che occupazione sul territorio, marchi importanti per il nostro made in Italy, anche per una forte spinta nell'export, perché i nostri prodotti di norcineria sono famosissimi ovunque. I nostri allevatori, che sono il cuore di questa produzione, sono forse un vanto a livello internazionale per gli alti standard di sicurezza, in termini di gestione di benessere animale e di sicurezza sanitaria. Questi standard, purtroppo, possono essere messi in discussione da questa malattia, da questo virus della PSA (peste suina africana).

Il territorio nazionale conosce purtroppo già da lungo tempo questa malattia, anche se la diffusione era limitata e circoscritta all'isola sarda. Fin dal 1978 questo virus aveva colpito l'isola, bloccando le esportazioni di ottimi prodotti. Il ceppo che si sta diffondendo ultimamente in Italia è partito dalla zona della Liguria e del Piemonte e, purtroppo, ultimamente è arrivato fino alle porte di Roma. È un ceppo di natura differente, che viene dall'Est Europa ed è forse il frutto di una cattiva gestione anche degli altri Stati. Sappiamo che per eziologia il cinghiale è un animale estremamente nomade e riesce a percorrere migliaia di chilometri nell'arco dell'anno per espletare le sue funzioni fisiologiche. È questo quello che ha portato all'esplosione della malattia anche sul nostro territorio.

I danni che la PSA comporta a livello economico sulla nostra industria sono di circa 20 milioni di euro a settimana, ma non è questo soltanto il nocciolo importante. I territori che vengono colpiti da questa pestilenza hanno difficoltà anche a livello turistico e di attività legate al territorio, perché, come sappiamo, per norma di gestione sanitaria, devono essere bloccate tutte le attività connesse e interconnesse con le aree in cui la malattia si diffonde, con il blocco quindi di altri comparti e imponendo difficoltà differenti.

Il MoVimento 5 Stelle, intravedendo l'importanza del contenimento della diffusione della malattia, è stato il primo a volere una figura di un commissario ad hoc per la gestione della malattia e il dottor Ferrari si sta dimostrando all'altezza del compito. Nel “Sostegni-ter” siamo riusciti a dare anche una forza economica alla figura del commissario, perché senza gli strumenti è difficile combattere con forza un nemico così subdolo e invisibile. Questo Governo ha dato, 15 milioni per la biosicurezza e la bio-sorveglianza, 25 milioni per la tutela del rischio e per gli indennizzi e 10 milioni al commissario. Quest'ultima voce di spesa è quella meno importante, ma è quella che, forse, va sostenuta per dare ulteriormente forza e motivo, per riuscire a dare degli strumenti economici tali e validi per contenere ulteriormente e riuscire a debellare questa malattia. L'obiettivo da raggiungere, tuttavia, con il solo contenimento, non è possibile da traguardare. Per fare ciò è indispensabile una reale e forte collaborazione tra istituzioni e organizzazioni professionali e interprofessionali. Bisogna mettere sul campo tutte le skill esistenti per riuscire ad avere un supporto scientifico, affinché questa malattia possa essere domata e annullata. Non esistono soluzioni facili per problemi complessi, quali ad esempio questo della peste suina. Abbiamo bisogno di mettere in campo tutte le competenze che abbiamo a disposizione, perché l'abbattimento di per sé non è sufficiente. La fisiologia di questa specie, del cinghiale, ci dimostra che l'abbattimento potrebbe essere addirittura deleterio. Vanno messe insieme una serie di azioni che, in maniera coincisa e interdipendente, possano ottenere il risultato. Questo riguarda l'aspetto puramente tecnico della gestione dell'emergenza. Ciò che a noi preme possa cogliere il Governo è che non si ripetano nuovamente gli errori fatti con la Xylella, perché, come già ripetuto, il non porre le proprie basi sulla scientificità potrebbe riportare a soluzioni poco piacevoli per l'intero comparto.

È fondamentale, inoltre, riuscire a sostenere anche la politica dei rapporti con gli Stati che hanno sempre visto nella nostra produzione di materie prime alimentari quella sicurezza e quella specificità che solo l'Italia, con il suo saper fare, ha saputo dare.

È per questo che la diplomazia deve essere anche uno degli strumenti a supporto di questo settore, tra i più importanti. Perché? Perché quello che potrebbe accadere è che dei nostri partner commerciali importanti chiudano dall'oggi al domani le porte dell'importazione, mettendo ulteriormente in ginocchio questo settore, che, come in una tempesta perfetta, si trova ad affrontare gli effetti di un'inflazione post-COVID che sono evidenti agli occhi di tutti, a cui si stanno sommando anche gli effetti derivanti dall'aumento delle materie prime a causa dell'invasione russa in Ucraina.

I colleghi che mi hanno preceduto hanno esposto anche altre parti importanti e mi soffermo, solamente per dare un'idea, sull'importanza della comunicazione. È indispensabile far capire che non siamo di fronte a una zoonosi: per “zoonosi” si intendono le malattie che sono trasmissibili dai capi animali all'uomo. È fondamentale far passare questo messaggio affinché fake news, come quelle riguardanti, ad esempio, la diffusione del Coronavirus, non abbiano ulteriori modi per esprimersi e per esplodere, in un contesto già marcatamente toccato da queste caratteristiche ascientifiche.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta. Ha chiesto di parlare la collega Flati. Ne ha facoltà.

FRANCESCA FLATI (M5S). Grazie, Presidente. Intervengo in quest'Aula perché non possiamo più voltare la testa dall'altra parte. Da tempo il canile del comune di Roma versa in una situazione davvero fuori controllo e non si può non denunciare la responsabilità regionale e l'inerzia dell'attuale amministrazione capitolina.

In pochi mesi siamo tornati nuovamente indietro. Di recente, siamo venuti a sapere che, addirittura, è stata interrotta la terapia agli animali colpiti da epilessia - una terapia salvavita, Presidente - ed è un fatto assolutamente inaccettabile. Insieme al consigliere comunale Daniele Diaco e alle associazioni di riferimento, ci stiamo mobilitando affinché vengano ripristinate subito le cure ai cani epilettici, evitando, inoltre, che questi cani, che già sono profondamente provati dalla loro patologia, vengano spostati, perché ogni spostamento non farebbe che aggravare le loro sofferenze.

Solo durante l'amministrazione a guida 5 Stelle si è scelto di intervenire con forza, mettendo mano a una situazione di abbandono durata decenni e, purtroppo, l'inerzia dell'ASL regionale di competenza non ha permesso di trovare una soluzione strutturale. Ora si aggiunge anche il totale abbandono da parte dell'attuale guida del comune di Roma ed è una situazione incommentabile, che mette gravemente a rischio la salute e il benessere degli animali. Il risultato è un canile che versa in condizioni critiche, in cui gli animali più fragili sono in pericolo. Chiediamo, quindi, al sindaco Gualtieri di non continuare ad ignorare questa situazione.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 10 maggio 2022 - Ore 11:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 15)

2. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:

MELONI ed altri: Modifiche alla parte II della Costituzione concernenti l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. (C. 716-A​)

Relatori: BRESCIA, per la maggioranza; PRISCO, di minoranza.

3. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:

FORNARO ed altri: Modifica all'articolo 57 della Costituzione, in materia di base territoriale per l'elezione del Senato della Repubblica. (C. 2238-A​)

Relatore: FORNARO.

4. Seguito della discussione della proposta di legge:

MELILLI ed altri: Modifiche all'articolo 7 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, in materia di termini per la presentazione della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza e del disegno di legge del bilancio dello Stato alle Camere. (C. 3437-A​)

Relatore: MELILLI.

5. Seguito della discussione delle mozioni Cillis ed altri n. 1-00609, Incerti ed altri n. 1-00627, Meloni ed altri n. 1-00629, Viviani ed altri n. 1-00630, Spena ed altri n. 1-00631 e Ripani ed altri n. 1-00634 concernenti iniziative a sostegno del settore agroalimentare in relazione alla crisi ucraina .

6. Seguito della discussione delle mozioni Lupi e Schullian n. 1-00540, Vianello ed altri n. 1-00545, Masi ed altri n. 1-00614, Binelli ed altri n. 1-00628 e Foti ed altri n. 1-00641 concernenti iniziative in materia di energia nucleare di nuova generazione .

7. Seguito della discussione della proposta di legge:

SIANI ed altri: Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e alla legge 21 aprile 2011, n. 62, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori. (C. 2298-A​)

e delle abbinate proposte di legge: CIRIELLI ed altri; BELLUCCI ed altri. (C. 1780​-3129​)

Relatore: VERINI.

8. Seguito della discussione delle mozioni Nappi ed altri n. 1-00618, Carnevali ed altri n. 1-00643, Gemmato ed altri n. 1-00645 e Mandelli ed altri n. 1-00647 concernenti iniziative per la riorganizzazione dell'assistenza sanitaria territoriale .

9. Seguito della discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00639, Incerti ed altri n. 1-00642, Lollobrigida ed altri n. 1-00644 e Nevi ed altri n. 1-00646 concernenti iniziative volte ad incrementare le misure per il contrasto della peste suina africana e per il sostegno della filiera suinicola .

10. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

FIANO ed altri; PEREGO DI CREMNAGO ed altri: Misure per la prevenzione dei fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, inclusi i fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista. (C. 243​-3357-A​)

Relatore: FIANO.

11. Seguito della discussione della proposta di legge:

GALLINELLA ed altri: Norme per la valorizzazione e la promozione dei prodotti agricoli e alimentari a chilometro zero e di quelli provenienti da filiera corta (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato). (C. 183-B​)

Relatore: PARENTELA.

12. Seguito della discussione delle mozioni Scerra ed altri n. 1-00586, Valentini ed altri n. 1-00610, Raduzzi ed altri n. 1-00620 e Lollobrigida ed altri n. 1-00632 concernenti iniziative in materia di disciplina di bilancio e governance economica dell'Unione europea .

13. Seguito della discussione delle mozioni Biancofiore ed altri n. 1-00557, Maria Tripodi ed altri n. 1-00626 e Lollobrigida ed altri n. 1-00635 concernenti iniziative normative volte al ripristino della festività nazionale del 4 novembre per la celebrazione della Giornata dell'Unità nazionale e delle Forze armate .

14. Seguito della discussione della proposta di legge:

FOTI ed altri: Modifica all'articolo 71 del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, in materia di compatibilità urbanistica dell'uso delle sedi e dei locali impiegati dalle associazioni di promozione sociale per le loro attività. (C. 1059-A/R​)

Relatori: DEIANA, per la maggioranza; FOTI, di minoranza.

La seduta termina alle 17,05.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: WALTER VERINI (A.C. 2298-A​ E ABB.)

WALTER VERINI, Relatore. (Relazione – A.C. 2298-A​ e abb.). Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame della proposta di legge Siani C. 2298-A​., recante modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e alla legge 21 aprile 2011. n. 62, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori. La proposta di legge è stata assegnata in sede referente alla Commissione Giustizia, che ne ha avviato l'esame il 23 febbraio 2021. Nel corso dell'esame sono state abbinate le proposte di legge Cirielli C. 1780​ e Bellucci C. 3129​.

L'obiettivo dell'intervento è quello di eliminare i profili problematici emersi in sede di applicazione della legge 21 aprile 2011, n. 62, al fine di ridurre ulteriormente la possibilità che bambini piccoli si trovino a vivere la realtà carceraria al seguito di madri recluse.

Segnalo a tale proposito che, in base alle più recenti statistiche del Ministero della giustizia, al 31 dicembre 2020 erano presenti negli istituti penitenziari italiani 18 detenute madri con 20 bambini al seguito e negli istituti a custodia attenuata per detenute madri (ICAM) 12 detenute con 13 figli al seguito. Non sono invece disponibili statistiche ufficiali sul numero di donne detenute, con figli al seguito, presenti nelle case famiglia protette che, peraltro, risultano al momento essere soltanto 2 in tutta Italia (Roma e Milano).

Con riguardo all'iter del provvedimento, faccio presente che esso è stato oggetto, in seno alla Commissione Giustizia, di un breve ciclo di audizioni informali, che ha coinvolto rappresentanti di associazioni che si occupano dell'assistenza di detenute madri, esponenti dell'avvocatura oltre al direttore generale della direzione generale dei detenuti e del trattamento presso il Ministero della giustizia e al garante dei detenuti della Regione Piemonte. A conclusione della fase istruttoria, fissato al 24 maggio 2021 il termine per la presentazione delle proposte emendative, l'esame della proposta di legge è ripreso il 16 marzo scorso. In quell'occasione, alla luce dei mesi trascorsi dall'avvio dell'iter del provvedimento e in considerazione delle proficue interlocuzioni intervenute nel frattempo tra il relatore e i vari gruppi, si è convenuto che fosse opportuna una breve riapertura del termine per la presentazione di ulteriori proposte emendative.

Nel corso dell'esame delle proposte emendative presentate, il testo è stato modificato in maniera significativa e si compone attualmente di 4 articoli.

Passando ad illustrarne il contenuto, evidenzio che l'articolo 1 apporta alcune modifiche al codice di procedura penale. ln particolare, il comma 1 - modificando il quarto comma dell'articolo 275 - incide sul divieto di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per donna incinta o madre di prole di età non superiore a 6 anni con lei convivente (ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole). Nella formulazione vigente della disposizione, tale divieto non ha natura assoluta, in quanto può venire meno a fronte della sussistenza di "esigenze cautelari di eccezionale rilevanza". La modifica apportata dalla proposta in esame è volta a escludere sempre la custodia cautelare in carcere della donna incinta o della madre di prole di età inferiore a 6 anni con lei convivente (ovvero del padre, qualora sia deceduta o impossibilitata ad assistere la prole). ln questi casi, infatti, se sussistono esigenze cautelari di eccezionali rilevanza, la custodia cautelare deve essere obbligatoriamente disposta presso un ICAM (comma l, lettera a)).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la ratio del divieto legislativo di applicazione della misura cautelare carceraria in presenza di minori di età inferiore ai sei anni, risiede nella necessità di salvaguardare la loro integrità psicofisica, dando prevalenza alle esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari (entro i limiti precisati), garantendo così ai figli l'assistenza della madre, in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro crescita e formazione. ln ordine alla vigente nozione delle esigenze cautelari "di eccezionale rilevanza" idonee, dunque, a superare la cogenza del divieto di disporre o di mantenere la custodia cautelare in carcere, secondo l'interpretazione giurisprudenziale esse si distinguono dalle normali esigenze cautelari per l'intensità delle stesse, che deve essere tale da far ritenere insostituibile la misura carceraria, attesa l'esistenza di puntuali e specifici elementi dai quali emerga un "non comune, spiccato, allarmante rilievo" dei pericoli di fuga e di reiterazione del reato nonché per l'acquisizione e la genuinità della prova, di cui all'articolo 274 del codice di procedura penale.

Inoltre, sulla base della ulteriore modifica introdotta al medesimo comma 4 dell'articolo 275 del codice di procedura penale, quando l'imputato sia l'unico genitore di una persona affetta da disabilità grave (ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del 1991) con lui convivente, ovvero quando l'altro genitore sia impossibilitato a dare assistenza al figlio e non vi siano parenti idonei a farlo entro il quarto grado, la custodia cautelare in carcere è consentita solo se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (situazione equiparata a quella dell'imputato ultrasettantenne) (comma l, lettera b)).

Per coordinamento con la modifica introdotta all'articolo 275 del codice di procedura penale, il comma 2 dell'articolo 1 della proposta di legge abroga l'articolo 285-bis del codice di procedura penale, che oggi consente al giudice di disporre l'applicazione della misura cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri (ICAM). La novella all'articolo 275 ha infatti imposto al giudice - in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza - di disporre la custodia in ICAM, non potendo ricorrere alla custodia in carcere.

Il comma 3 interviene sull'articolo 293 del codice di rito, che disciplina le modalità esecutive delle misure cautelari, inserendovi i due nuovi commi 1-quater e 1-quinquies. In particolare, il provvedimento:

- introduce l'obbligo per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria incaricati di eseguire la misura cautelare, i quali rilevino la sussistenza di una delle ipotesi di divieto di applicazione della custodia in carcere di cui all'articolo 275, comma 4, di darne atto nel verbale di arresto unitamente ad ogni indicazione fornita dal destinatario della misura in ordine alla sussistenza dei suddetti presupposti. Il verbale dovrà essere trasmesso al giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo prima del trasferimento della persona indagata nell'istituto di pena (comma 1-quater);

- prevede, nei predetti casi, la possibilità per il giudice di disporre la sostituzione della misura cautelare con altra meno grave o la sua esecuzione con modalità meno gravose anche prima dell'ingresso dell'indagato nell'istituto di pena (comma l-quinquies).

Il comma 4 modificato nel corso dell'esame in sede referente - interviene sull'articolo 656 del codice di procedura penale, il quale disciplina l'esecuzione delle condanne definitive, aggiungendovi il nuovo comma 4-quinquies. Al riguardo si prescrive che:

- l'autorità che cura l'esecuzione della sentenza debba immediatamente avvisare il magistrato di sorveglianza della sussistenza di ipotesi di possibile rinvio obbligatorio della pena ex articolo 146 del codice penale (sul quale interviene il successivo articolo 2 della proposta);

- il magistrato di sorveglianza, verificata la sussistenza dei presupposti del rinvio della pena, possa ordinare il differimento dell'esecuzione o, se la protrazione della detenzione può cagionare grave pregiudizio al condannato, la liberazione del detenuto, fino alla decisione del tribunale, al quale trasmette immediatamente gli atti (secondo quanto previsto dall'articolo 684, comma 2, del codice di procedura penale).

L'articolo 2 modifica il codice penale con riguardo alla disciplina dei casi di differimento obbligatorio e facoltativo della pena (articoli 146 e 147 del codice penale) nei confronti di condannate madri.

In particolare il comma 1 interviene sull'articolo 146 del codice penale:

- consentendo il rinvio obbligatorio della pena in caso di prole di età inferiore a un anno anche al condannato padre, qualora la madre del bambino sia deceduta o comunque impossibilitata a prendersene cura e non vi siano parenti idonei entro il quarto grado;

- aggiungendo il rinvio obbligatorio della pena quando il figlio abbia meno di 3 anni di età e sia affetto da disabilità grave. In tale ipotesi il rinvio opera nei confronti della condannata madre nonché del condannato padre, qualora la madre del bambino sia deceduta o comunque impossibilitata a prendersene cura e non vi siano parenti idonei entro il quarto grado;

- coordinando la disposizione che esclude il differimento quando il genitore (non più solo la madre ma, eventualmente, anche il padre) sia dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale.

Il comma 2 interviene sull'articolo 147 del codice penale in merito al rinvio facoltativo della pena, estendendo l'istituto attualmente previsto per la madre di prole di età inferiore a 3 anni anche al padre qualora la madre del bambino sia deceduta o comunque impossibilitata a prendersene cura e non vi siano parenti idonei entro il quarto grado.

L'articolo 3 interviene sull'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975. n. 354) con riguardo all'istituto della detenzione domiciliare di cui all'articolo 47-ter e della detenzione domiciliare speciale di cui all'articolo 47-quinquies. In particolare, la proposta (lettera a) del comma 1 interviene sulla disposizione dell'articolo 47-ter, che consente che la pena della reclusione non superiore a 4 anni (anche se costituente parte residua di maggior pena) possa essere espiata:

- presso il domicilio ovvero in case famiglia protette dalla condannata incinta o madre di prole di età inferiore a 10 anni con lei convivente;

- presso il domicilio dal condannato padre di prole di età inferiore a 10 anni, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli.

La proposta, in tali ipotesi, inserendo un ulteriore comma al citato articolo 47-ter, restringe la discrezionalità del giudice imponendo la detenzione domiciliare a meno che non sussista il concreto pericolo della commissione di ulteriori delitti; anche in tal caso, l'alternativa alla detenzione domiciliare non sarà il carcere, ma l'istituto a custodia attenuata.

Inoltre, la proposta di legge in esame (comma 1, lettera b)) interviene sull'istituto della detenzione domiciliare speciale (articolo 47-quinquies dell'ordinamento penitenziario) che attualmente consente, anche al di fuori dei limiti di pena di cui all'articolo 47-ter, la detenzione domiciliare alla madre di prole di età inferiore a 10 anni (alla quale è equiparato il padre, in assenza della madre), quando non sussiste il concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e il condannato abbia già scontato un terzo della pena ovvero 15 anni in caso di ergastolo. Anche in questo caso, la riforma esclude il carcere prevedendo per il condannato la detenzione domiciliare oppure - in caso di concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – l'istituto a custodia attenuata.

L'articolo 4 interviene sulla citata legge n. 62 del 2011. ln particolare il comma 1 incide sulla disciplina dell'individuazione delle case famiglia protette, sostituendo il comma 2 dell'articolo 4 della citata legge con due nuovi commi volti a prevedere:

- l'obbligo (e non più la facoltà) per il Ministro della giustizia di stipulare con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture idonee a essere utilizzate come case famiglia protette; a tal fine i comuni devono riconvertire e utilizzare prioritariamente immobili di proprietà comunale purché idonei, utilizzando i fondi disponibili;

- l'obbligo per i comuni ove siano presenti case famiglie protette di adottare i necessari interventi per consentire il reinserimento sociale delle donne una volta espiata la pena detentiva, avvalendosi a tal fine dei propri servizi sociali.

Il comma 2 dell'articolo 4, aggiungendo il nuovo comma 1-bis all'articolo 5 della legge n. 62 del 2011, prevede che alla copertura degli oneri derivanti dalla realizzazione delle case famiglia protette, si provveda a valere sulle disponibilità della cassa delle ammende (articolo 4 della legge 9 maggio 1932, n. 547).

Ricordo inoltre che l'articolo l, comma 322, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021) ha istituito nello stato di previsione del Ministero della giustizia, un apposito fondo, dotato di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio (2021-2023), al fine di garantire il finanziamento dell'accoglienza di genitori detenuti con bambini al seguito in case-famiglia protette ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 62 del 2011, ed in case-alloggio per l'accoglienza residenziale dei nuclei mamma-bambino.