XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 158 di lunedì 8 aprile 2019

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA RITA TATEO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 1° aprile 2019.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Battelli, Benvenuto, Berti, Bonafede, Boschi, Braga, Brescia, Buffagni, Businarolo, Carfagna, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Cominardi, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Sabrina De Carlo, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Fassino, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Frusone, Galli, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grillo, Grimoldi, Guerini, Guidesi, Invernizzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Maniero, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Orlando, Alessandro Pagano, Parolo, Patassini, Picchi, Polverini, Rampelli, Ribolla, Rixi, Ruocco, Saltamartini, Scalfarotto, Scerra, Scoma, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Tofalo, Vacca, Valente, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi, Zoffili e Zolezzi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione della mozione Formentini, Sabrina De Carlo, Delmastro Delle Vedove, Quartapelle Procopio, Colucci ed altri n. 1-00139 concernente il riconoscimento del genocidio del popolo armeno (ore 14,03).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Formentini, Sabrina De Carlo, Delmastro Delle Vedove, Quartapelle Procopio, Colucci ed altri n. 1-00139 concernente il riconoscimento del genocidio del popolo armeno (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.

È iscritto a parlare il deputato Giulio Centemero, che illustrerà anche la mozione Formentini, Sabrina De Carlo, Delmastro Delle Vedove, Quartapelle Procopio, Colucci ed altri n. 1-00139, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GIULIO CENTEMERO (LEGA). Signor Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, di recente mi sono interrogato sul concetto di verità, ho quindi ripreso in mano i libri del liceo e, sfogliandoli, non solo mi sono reso conto di non averli studiati come avrei dovuto a suo tempo (signor Presidente, per favore, non diciamolo troppo forte, che i miei genitori potrebbero ascoltare), ma ho anche appreso che nella cultura greca il concetto filosofico di verità inizia a delinearsi nel corso del VI secolo avanti Cristo, negli scritti dei naturalisti, specialmente nel poema di Parmenide, il quale per primo svolge la contrapposizione tra verità e opinione. La concezione parmenidea segna l'inizio di quel paradigma ontologico della verità che tanti influssi eserciterà nella speculazione successiva, fino all'età moderna, attraversando diversi orientamenti filosofici. A Platone risale la prima formulazione della verità quale caratteristica del discorso che “dice gli enti come sono”, cui corrisponde quella del falso come proprietà del discorso “che dice come non sono”, definizione questa che sarà codificata da Aristotele nel celebre luogo della Metafisica, secondo cui “dire di ciò che è che non è, o di ciò che non è che è, è falso; dire di ciò che è che è, o di ciò che non è che non è, è vero”. Insomma, il concetto di verità è di antica definizione, eppure in alcuni casi viene ancora sostituito dal “dire ciò che è che non è”, proprio come avviene da più di un secolo per il genocidio degli armeni, che ebbe inizio il 24 aprile 1915 nel territorio dell'Impero Ottomano.

Il termine “genocidio” è una parola coniata da Raphael Lemkin, giurista polacco di origine ebraica, studioso ed esperto del genocidio armeno, introdotta per la prima volta nel 1944 nel suo libro Axis Rule in Occupied Europe, opera dedicata all'Europa sotto la denominazione delle forze dell'Asse. Il termine viene non a caso coniato in occasione di un testo sull'Asse, perché Adolf Hitler si ispirò proprio al primo genocidio del XX secolo per perpetrare gli innumerevoli ed efferati crimini contro l'umanità che tutti conosciamo, a cominciare dalla Shoah. Si ispirò al genocidio degli armeni ritenendo corta la memoria dell'umanità, come testimoniato dal fatto che, nel 1939, una sua domanda retorica recitava: “chi parla ancora oggi dell'annientamento degli armeni?”, supponendo che il mondo si fosse dimenticato di quell'efferato crimine. Eppure siamo qui, oggi, e commemoriamo il genocidio degli armeni definendolo come tale e non con termini riduttivi quali strage, massacro, eccidio.

Tornando al concetto di verità, ci rendiamo conto che in alcuni parti del mondo è ancora di difficile definizione. Si pensi, ad esempio, al caso di Elif Shafak, scrittrice turca nota, anche in Italia, che vorrei citare per il suo romanzo La bastarda di Istanbul, profondo e a tratti divertente, in cui si racconta di un intreccio familiare tra una famiglia armena residente negli Stati Uniti e una famiglia turca di Istanbul. Nel romanzo si fa cenno, nel sogno di uno dei protagonisti, tra le altre cose come il genocidio iniziò, con l'eliminazione sistematica degli intellettuali armeni in primis da parte del Governo ottomano. Il Governo ottomano passò poi all'eliminazione sistematica di tutte le altre classi della popolazione armena, ma anche delle popolazioni greche e siriache residenti nel territorio dell'attuale Turchia, come ben descritto, per esempio, nella Masseria delle Allodole di Antonia Arslan, ne La marcia senza ritorno di Franca Giansoldati, o nel film La promessa, del regista Terry George, solo per citare alcune opere.

Tornando al romanzo di Elif Shafak, lo stesso inizia con una citazione che mira a una conciliazione tra popoli: “C'era una volta, o forse non c'era, quando le creature di Dio erano numerose come chicchi di grano e parlare troppo era peccato… Inizio di una fiaba turca… e anche di una fiaba armena”. La bastarda di Istanbul ebbe un grande successo in Turchia, suscitando al contempo grandi polemiche e portando l'autrice essere accusata di attacco all'identità turca in base all'articolo 301 del codice penale turco per l'utilizzo del termine “genocidio” da parte di uno dei suoi personaggi. Evidentemente la verità non è uguale per tutti. Nessuno accusa gli attori della moderna Turchia repubblicana di essere autori del genocidio che avvenne nel 1915 nell'Impero Ottomano, tuttavia non si capisce perché il genocidio continui a non essere ufficialmente riconosciuto proprio dalla Turchia. È come se noi oggi in Italia negassimo l'emanazione delle leggi razziali nel 1938 o la strage di Debre Libanos o il nostro ruolo nella Shoah. Guardare in faccia al nostro passato è un processo catartico che ci abilita a vivere il futuro. Chiamare le cose con il proprio nome aiuta a ricucire le ferite. Per questo, con questa mozione chiediamo al nostro Governo di riconoscere il genocidio degli armeni come tale, e ci piacerebbe che altri Governi, compreso quello turco, facessero lo stesso, per dare tutti insieme uno sguardo al futuro.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Federico Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Presidente, la mozione in discussione oggi è una mozione molto importante, perché va a toccare un argomento sensibile, non solo storicamente ma anche politicamente sensibile. L'argomento ovviamente è quello del genocidio degli armeni. Il Parlamento è impegnato a discutere una mozione appunto di riconoscimento del genocidio degli armeni, parentesi tragica della storia spesso dimenticata. È un oblio che non riguarda solo l'aspetto dello spazio pubblico: sui libri di scuola dei miei figli difficilmente è menzionato, più che altro un paio di righe, e perfino l'accademia fatica a comprenderne appieno l'importanza per la storia dell'Occidente. Sul finire della propria esistenza, sfibrato dall'impegno della prima guerra mondiale e sotto le spinte centrifughe di disgregazione dei governatori, l'Impero Ottomano rivolse una spirale di violenza verso le etnie, prima fra tutte la comunità armena. Vennero massacrate o costrette alla deportazione più di un milione e mezzo di persone: questa è la cifra che gli storici che hanno studiato questo grande olocausto ormai hanno accreditato come essere assolutamente reale e verosimile. È stato un processo sistematico, come detto da alcuni storici, iniziato sul termine del XIX secolo e continuato sotto il Governo dei Giovani Turchi.

A Deir el-Zor, in Siria, migliaia di famiglie armene furono lasciate morire di stenti, senza cibo né servizi igienici, abbiamo anche delle testimonianze dirette del tempo. Le deportazioni, annotò in questo periodo il diplomatico tedesco Max Erwin Von Schneuber-Richter - furono giustificate dal Governo turco con la scusa di un necessario spostamento delle comunità armene dalle zone interessate alle operazioni militari, ovvero l'Anatolia orientale e nordorientale. Non escludo che gran parte dei deportati furono massacrati durante la loro marcia. Una volta abbandonati i loro villaggi, le bande curde e i gendarmi turchi si impossessarono di tutte le abitazioni e i beni degli armeni, grazie anche a una legge del 10 giugno 1915 – e altre a seguire – che stabiliva che tutte le proprietà appartenenti agli armeni deportati fossero dichiarate beni abbandonati”, “emvali metruke”, e quindi soggetti alla confisca da parte dello Stato turco. E a testimonianza dei risvolti economici della strage basti pensare che i profitti derivati all'oligarchia dei giovani turchi e ai suoi lacchè dai beni rapinati agli armeni arrivarono a toccare la cifra astronomica di un miliardo di marchi. Gli armeni lo chiamano “Metz Yeghérn”, il grande crimine o grande male. I turchi non hanno mai ammesso le proprie responsabilità storiche, tanto che il sostantivo che indica in lingua turca l'evento aggiunge anche: “cosiddetto” come prevede una legge turca, senza il rispetto della quale si finisce in prigione per tre anni, come è accaduto anche a giornalisti, a intellettuali e a un poeta turco, di recente.

Un monito a chi, soprattutto fra la maggioranza di questo Governo, ha proposto di considerare la Turchia come Paese componente dell'Unione europea. Qualche tempo fa, l'allora Ministro per gli affari europei Paolo Savona rilasciò un documento in cui invitava a Bruxelles a riconsiderare l'adesione turca alla UE. Fratelli d'Italia chiese immediatamente al Governo, in particolare al mondo leghista, di far ritirare subito la relazione e di chiedere un chiarimento politico: “Non si resta al Governo con chi vuole islamizzare l'Europa” come disse, appunto, Giorgia Meloni più volte. Non solo, va riconosciuto che i valori fondanti dell'identità turca sono fondamentalmente incompatibili con quelli occidentali. Il sostanziale rifiuto da parte dell'attuale governo di Ankara di riconoscere le responsabilità storiche della Sublime Porta rappresenta non soltanto un chiaro esempio di negazionismo, ma un chiaro atto politico. L'UE chiese alla Turchia di riconoscere il genocidio armeno come requisito di accesso. Critichiamo questa Europa dei burocrati sempre e in ogni occasione ma in questo caso le riconosciamo una fermezza che, appunto, crediamo sia necessaria. Fratelli d'Italia voterà e sosterrà - e l'abbiamo anche sottoscritta - questa mozione, questo atto. Infatti, la battaglia per il riconoscimento dell'eccidio è storica per la destra italiana.

In una mia recente esperienza amministrativa al governo della capitale d'Italia intitolammo un giardino di Roma al genocidio degli armeni e un toponimo, un giardino scelto appositamente come simbolo di rinascita, per un problema storico e anche di attualità così importante provocò ovviamente la reazione dell'ambasciata turca. È certamente un piccolo gesto, ma la politica è anche un'attività simbolica, così come simbolica è l'approvazione di questa mozione. Negli ultimi mesi l'Italia ha avuto tentennamenti antioccidentali, plaudendo a regimi contrari alla libertà, che contrastano le minoranze. Ogni riferimento agli scroscianti applausi verso il memorandum Italia-Cina non è casuale. I proponenti della mozione di fede grillina battono le mani a Xi Jinping, che discrimina e perseguita gli uiguri e i tibetani, impone politiche repressive della libertà di espressione e di movimento, incarcera i dissidenti. Il memorandum sposta il meridiano attorno al quale la nostra politica estera si è orientata. Esiste una linea di demarcazione. Carl Schmitt diceva che la politica nasce dalla contrapposizione fra un noi e un loro. Noi siamo per l'Occidente; loro per i regimi autoritari in salsa turca o cinese.

Questa mozione, seppure non riguardante nessuna attività commerciale ed economica, è un piccolo passo verso la conferma della collocazione dell'Italia nel campo occidentale, nella difesa della libertà e delle minoranze. La memoria è identità, l'identità è storia, storia viva come quella del fiero popolo armeno. La poetessa Antonia Arslan ha raccontato con vivide immagini letterarie la tragedia: “Volate lontano rondini d'Armenia, noi non possiamo più muoverci”.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Emilio Carelli. Ne ha facoltà.

EMILIO CARELLI (M5S). Signor Presidente, colleghe e colleghi deputati, è soprattutto in fasi movimentate storiche come la nostra, che sono caratterizzate da una ridefinizione di equilibri e assetti del pianeta, che non possiamo smarrire o considerare superflui insegnamenti del passato. Un passato, quello di cui parliamo oggi, che vicino alle porte dell'Europa ha determinato quello che chiamiamo “genocidio degli armeni”. Lo ricordo, perpetrato nel 1915 dall'Impero Ottomano ai danni della popolazione armena, tale genocidio provocò, fra l'altro, lo sradicamento del popolo armeno e una diaspora che si estese a tutti i continenti. Il numero dei morti di questo massacro è controverso ma il bilancio più diffuso, come abbiamo già sentito dai colleghi che hanno parlato prima di me, è di oltre un milione e mezzo di vittime. Centinaia di migliaia morirono durante le marce della morte per fame, malattia e sfinimento, altri furono tristemente massacrati lungo la deportazione. Secondo lo storico polacco Raphael Lemkin, già citato dal collega Centemero, si è trattato del primo episodio in cui uno Stato ha pianificato ed eseguito sistematicamente lo sterminio di un popolo.

La mozione che presentiamo oggi parte dalla premessa che il riconoscimento e la memoria delle persecuzioni e degli orrori occorsi nel Ventesimo secolo deve costituire un monito perenne e auspica che il Parlamento sia per sempre baluardo della libertà umana e della dignità della persona, secondo i principi e le disposizioni della Costituzione della Repubblica. Inoltre - lo ricordo -, impegna il Governo a riconoscere ufficialmente il genocidio armeno e a darne risonanza internazionale. Ricordo che già il Parlamento europeo ha adottato, in sessione plenaria, il 15 aprile 2015, una risoluzione sul centesimo anniversario del genocidio armeno invitando Commissione e Consiglio a unirsi alla commemorazione sulla base di una risoluzione del 1987 dal titolo: “Su una soluzione politica del problema armeno”, risoluzione che ha riconosciuto natura di genocidio ai tragici eventi del 1915. Il Parlamento europeo ha, inoltre, proposto l'istituzione di una Giornata europea del ricordo dei genocidi.

Ebbene, il rifiuto da parte del Governo turco di riconoscere il genocidio commesso dai Giovani Turchi ha rappresentato altresì un ostacolo importante per l'adesione della Turchia alla Comunità europea, segno, questo, dell'importanza che tali decisioni hanno nell'ambito della pace e della cooperazione tra gli Stati membri. L'Europa ha riconosciuto i tragici eventi del 1915 e del 1917 definendoli come genocidio e chiedendo l'adesione a tale riconoscimento da parte degli Stati membri. La richiesta dell'Unione europea alla Turchia di riconoscere il genocidio armeno viene considerata nell'ambito anche di un disegno più ampio e moralmente giusto di riconciliazione e cooperazione costruttiva tra i popoli, per un'autentica normalizzazione delle loro relazioni, ratificando e attuando senza condizioni preliminari i protocolli sull'istituzione di relazioni diplomatiche, aprendo la frontiera e migliorando attivamente le proprie relazioni, con particolare riferimento alla cooperazione transfrontaliera e all'integrazione economica.

Ricordo anche che la Camera dei deputati, con risoluzione n. 6-00148, approvata il 17 novembre 2000, pur richiamando la sopra menzionata risoluzione del Parlamento europeo del 1987 sul riconoscimento del genocidio armeno si limitava a impegnare il Governo ad adoperarsi per il completo superamento di ogni contrapposizione tra popoli e minoranze diverse nell'area. Da qui la necessità, oggi, di presentare una mozione dedicata che riconosca ufficialmente da parte del Parlamento italiano il genocidio armeno.

Nel tempo, si sono espressi a favore di un riconoscimento i Parlamenti di Austria, Argentina, Belgio, Bolivia, Canada, Cile, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Lituania, Libano, Lussemburgo, Paesi Bassi, Paraguay, Polonia, Russia, Slovacchia, Svezia, Svizzera, Uruguay e Venezuela. Ricordo anche che in Italia il genocidio è stato riconosciuto da alcuni consigli comunali: Milano nel 1997, Firenze e Venezia nel 1998, Roma e Belluno nel 2000, Torino nel 2012. Il 16 novembre del 2000 la Camera dei deputati ha approvato una mozione generale in cui, richiamando la risoluzione del Parlamento europeo che incoraggiava il Governo turco ad intensificare gli sforzi di democratizzazione e ad affrontare le questioni relative al popolo armeno, tra cui il riconoscimento del genocidio, impegnava anche il Governo a favorire il superamento delle contrapposizioni nella regione.

Il 23 aprile 2015 la Camera ha tenuto anche una commemorazione del centesimo anniversario del genocidio armeno, durante la quale - lo ricordo - la Presidente Boldrini ha osservato che gli eventi del 1915 costituiscono il primo caso di genocidio del XX secolo, provocando una decisa reazione turca. Ricordo, infine, che il Governo italiano finora non ha riconosciuto il cosiddetto genocidio degli armeni; pur sottolineando la gravità dei fatti decorsi nel 1915, l'Esecutivo, finora, sembra ritenere prematuro qualificarli come genocidio e finora si è sempre appellato all'assenza di adeguati approfondimenti storici e giuridici, mostrandosi, altresì, preoccupato di salvaguardare le relazioni commerciali con la Turchia. Lo scorso anno, in occasione della visita di Stato, il Presidente della Repubblica Mattarella ha visitato, in Armenia, il memoriale in ricordo delle vittime dello sterminio del 1915, dove ha deposto anche una corona di fiori e piantumato un albero affinché dalle sofferenze del passato nasca un avvenire di pace e comprensione tra i popoli e gli Stati.

Molto chiara è stata anche, tra l'altro, la presa di posizione della Santa Sede sulla questione: alla celebrazione liturgica del 12 aprile 2015, alla presenza del Presidente Sarkissian, il Pontefice ha ripreso le parole della dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e del patriarca Karekin del 27 settembre 2001, ricordando che l'evento generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo, formulazione utilizzata dal Pontefice anche nel viaggio apostolico in Armenia nel 2016. Concludo, quindi, il mio intervento ricordando che il voto favorevole in relazione al riconoscimento e alla memoria delle persecuzioni e degli orrori del genocidio armeno è da considerarsi, a mio parere, come espressione del bisogno dello Stato italiano di costituire un monito perenne per il riconoscimento e l'esaltazione della libertà umana, secondo i principi e le disposizioni della Costituzione della Repubblica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea Romano. Ne ha facoltà.

ANDREA ROMANO (PD). Grazie, Presidente. Come hanno ricordato i colleghi prima di me, sui fatti concreti che videro realizzarsi la strage di oltre un milione di armeni nella Turchia del 1915-1917 non vi sono dubbi, né, d'altra parte, possono esistere dubbi, perché su quei fatti esiste ormai un largo consenso storiografico, costruito attraverso molti anni di studi, ricerche, confronti scientifici tra storici, tra l'altro, di diversa estrazione culturale e politica. Quei fatti ci dicono, per l'appunto, per ricordarli brevemente, che molte centinaia di migliaia di civili inermi e innocenti, all'incirca un milione e mezzo, furono deportati e massacrati nel corso di pochi mesi ad opera di una vasta serie di operazioni progettate e realizzate dal potere politico e militare della Turchia di quegli anni, dal cosiddetto Governo dei Giovani Turchi.

Come ha scritto Marcello Flores, che è lo storico italiano che con più impegno si è occupato di questi temi e i cui lavori mi permetto di suggerire ai colleghi, ma anche a chiunque, fuori da quest'Aula, avesse intenzione di approfondire l'argomento, il genocidio degli armeni è ormai entrato a pieno titolo nella storia del Novecento, perché quello che la comunità degli armeni nel mondo ricorda appunto come il grande male, come è stato detto poco fa, fu effettivamente un genocidio, e non una semplice strage degli innocenti. Questo perché le azioni di sterminio furono intenzionali, pianificate, rivolte esplicitamente contro un determinato gruppo etnico e religioso, anzi meglio, contro una determinata minoranza etnica e religiosa, perché tale era la comunità degli armeni, allora, nell'Impero ottomano. Fu, contro questa determinata minoranza etnica e religiosa, messa in atto un'operazione che aveva l'obiettivo di cancellarla dalla mappa umana, culturale, politica, e quindi nazionale, della Turchia di quegli anni. Fu, dunque, un genocidio; secondo le Nazioni Unite, il primo genocidio del XX secolo, e comunque uno dei numerosi genocidi che hanno costellato il XX secolo e che, nella loro differenza, anche notevole, hanno sempre avuto un tratto comune, quello di essere stati rivolti - lo ripeto ancora una volta - contro minoranze etniche e religiose.

Perché parliamo di questi fatti in quest'Aula parlamentare? Perché il popolo della Repubblica italiana, che noi qui rappresentiamo democraticamente, discute? Ha già discusso, in realtà, ma senza arrivare ad una soluzione così incisiva come quella che noi oggi ci prefiggiamo. Perché discutiamo di fatti avvenuti ormai oltre un secolo fa in un Paese lontano dal nostro?

Perché la memoria pubblica del genocidio armeno, e dunque il suo riconoscimento come genocidio, e non come effetto causale e non intenzionale, e quindi la sua commemorazione, il suo ricordo istituzionale, il suo posto nella consapevolezza pubblica della comunità internazionale di cui fa parte il nostro Paese e di cui fa parte anche la Turchia, tutto questo rappresenta, da decenni, lo sappiamo, un tema divisivo e conflittuale tra la gran parte dei Paesi dell'Unione europea e la Turchia. Già nella scorsa legislatura, voglio ricordare, il Partito Democratico sottopose all'attenzione del Parlamento una mozione rivolta a riconoscere ufficialmente il genocidio degli armeni.

Lo stesso intendiamo fare in questa legislatura, insieme agli altri gruppi che presentano questa mozione, convinti come siamo che il riconoscimento e la commemorazione di quella tragedia siano un passo necessario e indispensabile sul cammino di avvicinamento della Turchia all'Unione Europea. Questo cammino di avvicinamento, lo sappiamo, può conoscere in questa fase storica un periodo di rallentamento, così come effettivamente conosce; un rallentamento dovuto a fatti politici interni da una parte all'Unione Europea e dall'altra alla Turchia. Ma resta vero che, per quanto distante o perfino impossibile possa apparirci talvolta il traguardo di una piena e formale adesione della Turchia all'Unione europea, vi debba essere chiarezza, anche ufficiale, sulle basi ufficiali di questa collaborazione, nel segno del pieno rispetto della diversità etnica e religiosa e nel segno del rifiuto della violenza e della sopraffazione come strumenti di risoluzione dei conflitti interni agli Stati.

D'altra parte, voglio sottolinearlo, non è in discussione, neanche in questa sede, l'amicizia nostra, di questo Parlamento e della Repubblica italiana nei confronti della Turchia. La Turchia è un grande Paese che, nel corso dei decenni, per esempio, della guerra fredda ha assunto su di sé un'enorme responsabilità strategica a difesa dell'alleanza occidentale e la cui società civile manifesta anche oggi una grande articolazione politica e culturale insieme ad una tenace vitalità, di cui fanno fede, tra l'altro, le recenti elezioni municipali che si sono svolte in quel Paese. E all'attenzione dei rappresentanti ufficiali della Turchia ci permettiamo di sottolineare questo punto: sarebbe un errore leggere il formale riconoscimento del genocidio degli armeni da parte di questo Parlamento come un atto ostile verso la Turchia, perché la storia del Novecento, tra l'altro, è ricca di esempi che ci raccontano di come grandi Paesi europei, e non europei, abbiano saputo affrontare a viso aperto la responsabilità di spaventosi atti di barbarie compiuti da Governi precedenti di quegli stessi Paesi. Una responsabilità che si iscrive appieno nella storia nazionale di quei Paesi anche quando i Governi che ne sono stati protagonisti sono caduti o sono stati sostituiti da Governi di altro colore politico o di più ampia legittimazione democratica, senza per questo rendere quelle storie, quella storia nazionale meno onorevole, perché, d'altra parte, ogni storia nazionale è fatta di ombre e spesso di ingiustizie scritte con il linguaggio della violenza e del sangue, senza per questo rendere quella storia nazionale meno autentica e meno onorevole. Al contrario, l'assunzione piena e trasparente della responsabilità delle tragedie del passato rappresenta un passaggio, per così dire, di liberazione della memoria pubblica, indispensabile a stabilire un rapporto finalmente risolto con la propria storia nazionale. Si pensi, per esempio, alla Germania, naturalmente, ma anche e soprattutto al nostro Paese, l'Italia, laddove l'Italia democratica e repubblicana nata dalla Resistenza antifascista ha saputo affrontare il grande e doloroso tema delle responsabilità che un numero molto ampio di italiani ha portato su di sé per gli spaventosi crimini etnici e politici compiuti nel corso degli anni del regime fascista ad opera dei Governi di Benito Mussolini.

C'è però un altro aspetto, in conclusione, colleghi, che oggi ci spinge a ricordare e a discutere il genocidio degli armeni proprio in quest'Aula, perché sarebbe inutile ricordare quella tragedia senza ricordare, allo stesso tempo, le ragioni politiche e culturali che condussero a quei fatti tanto tragici; sarebbe inutile e, aggiungo, persino ipocrita, soprattutto in un Parlamento democratico come il nostro. Perché sarebbe inutile e ipocrita? Perché tacere sulle ragioni di quella tragedia sarebbe inutile soprattutto di fronte a una mozione trasversale come quella che noi oggi discutiamo, una mozione trasversale a gruppi di opposizione e di maggioranza, perché in questa trasversalità io credo che ci sia l'occasione per condividere, anche tra gruppi politici diversi, la consapevolezza dei rischi e delle conseguenze di fattori storici, come quelli che furono alla base del genocidio degli armeni.

Come ogni evento storico, d'altra parte, anche il genocidio degli armeni non può essere davvero compreso riconducendo ad una sola causa le ragioni che condussero a quei fatti. Il genocidio degli armeni fu l'esito di una storia precedente, fatta di conflitti e intolleranza, così come fu l'esito di una congiuntura storica nella quale agirono fattori internazionali, attori interni, insieme alla grande, nefasta, occasione della grande guerra; anche in quel caso, lo ricordo, la guerra fu occasione per uno sterminio di massa, come sarebbe accaduto quasi trent'anni dopo nella Germania nazista e come spesso è accaduto in altri scenari di massacri etnici e religiosi.

Ma sullo sfondo di questa complessità di contesto, di fattori e di nessi causali, c'è certamente un fattore che più di altri può essere riconosciuto come fondamentale, in quanto motore di quel genocidio: quel fattore fu la pretesa di rendere la Turchia di quegli anni una nazione omogenea dal punto di vista etnico e religioso. Il massacro degli armeni fu soprattutto l'esito di una vasta operazione politica, militare e criminale - perché furono utilizzati anche gruppi di criminali - realizzata in base al principio dell'etnonazionalismo, ovvero in base alla pretesa di espellere dalla comunità nazionale turca una minoranza etnica e religiosa che il potere politico di quegli anni considerava estranea e pericolosa per la sua stessa natura etnica e religiosa.

Perché questo fattore ci riguarda, cari colleghi? Non si tratta forse di fatti tragici avvenuti più di un secolo fa, in un Paese lontano da noi? Non è così, perché quel fattore, quel fattore causale - l'etnonazionalismo - ci riguarda in quanto la politica italiana di questo preciso periodo storico (il periodo che noi tutti stiamo vivendo, anche in questo Parlamento), ha visto il potente ritorno dell'etnonazionalismo come strumento di lotta politica interna e internazionale. Allora, è nostro dovere, mentre discutiamo insieme, trasversalmente, la tragedia del genocidio degli armeni, ricordare i rischi dell'etnonazionalismo, ovvero i pericoli che derivano non solo dalla pretesa di porre un gruppo etnico e religioso sopra altri gruppi etnici e religiosi, ma soprattutto i pericoli che derivano dall'obiettivo dell'omogeneità etnica e religiosa, laddove esistono minoranze, perché quell'obiettivo - l'obiettivo dell'omogeneità, l'obiettivo etnonazionalistico - non può che essere raggiunto attraverso gradi diversi di intolleranza, sopraffazione e, spesso, violenza. Allora, dobbiamo ricordare che il genocidio degli armeni fu condotto al grido di qualcosa che potremmo tradurre, nel linguaggio dell'Italia del 2019, con la frase: “prima i turchi”, ovvero, prima un'etnia e un gruppo religioso, e poi tutti gli altri.

La discussione - mi avvio alla conclusione - che stiamo iniziando qui oggi, la discussione che auspicabilmente condurrà alla votazione, che realizzeremo in questi giorni in modo trasversale tra i gruppi politici, di questa mozione è dunque un'occasione perché ognuno di noi sia ammonito sui rischi dell'etnonazionalismo, sui pericoli di una retorica del primato nazionale, etnico e religioso. È vero che niente nella storia si ripresenta nelle stesse identiche fattezze - per carità -, ma quello che rimane in filigrana è spesso che la storia si ripresenta con un identico motore, soprattutto con un identico motore di fenomeni come il genocidio. Quel motore si chiama intolleranza, pregiudizio, razzismo, aspirazione all'omogeneità etnica, persecuzione su basi etniche, religiose o culturali. Se è vero che nessun fenomeno storico è uguale a se stesso, è altrettanto vero che quella retorica del primato cova dentro di sé l'intolleranza e la violenza che noi oggi vogliamo ricordare e commemorare ricordando il genocidio degli armeni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente?

VINCENZO SANTANGELO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, signora Presidente. L'Italia ritiene che la questione dei massacri perpetrati in Anatolia nel 1915 debba essere affrontata mediante un dialogo costruttivo fra le parti, scevro da pregiudizi e preconcetti. È infatti essenziale preservare la memoria delle tragedie passate e onorare le vittime di tali atrocità. Non dobbiamo dimenticare simili avvenimenti, anche come monito per il futuro. Al contempo, è importante guardare avanti e lavorare alla graduale normalizzazione dei rapporti fra i popoli armeno e turco; ciò getterà le basi per lo sviluppo e l'ulteriore stabilizzazione della regione del Caucaso.

Riteniamo che una cooperazione costruttiva fra i due Paesi sia essenziale per evitare che simili atrocità si ripetano e che altri individui ne siano vittime. Il Governo italiano, quindi, sostiene e incoraggia pienamente il percorso di riconciliazione tra il popolo armeno e il popolo turco, ritenendo che la strada maestra per affrontare una questione tanto controversa risieda nel dialogo tra le parti e nell'approfondimento senza pregiudizi e precondizioni della ricerca storiografica, in linea con quello che è lo spirito dei protocolli volti alla normalizzazione dei rapporti tra la Repubblica di Turchia e la Repubblica Armena, sottoscritti a Zurigo il 10 ottobre del 2009. Tali protocolli, la cui ratifica a seguito dalla firma ha incontrato una serie di difficoltà su entrambi i lati, contemplano, infatti, misure volte a pervenire a una lettura quanto più possibile condivisa degli eventi della Prima Guerra mondiale nell'Impero ottomano. Dialogo tra le parti e approfondimento storico rappresentano il percorso per giungere a una conclusione che non sia divisiva e a una verità storica condivisa, dalla quale trarre una lezione per tutti i popoli.

Incoraggiamo, pertanto, la Turchia e l'Armenia a intensificare e portare avanti gli sforzi volti a venire a patti con il passato, aprendo così la strada a un'autentica riconciliazione tra i due popoli. Auspichiamo, infine, che la decisione che questo Parlamento sovrano è chiamato ad adottare possa porsi in linea con quella che è la strada che è stata la tradizione del Governo italiano e che il voto che sarete chiamati ad esprimere possa rappresentare un passaggio importante per favorire un percorso di pace e di riconciliazione su un tema fondamentale come il ricordo delle tragedie avvenute nel secolo scorso.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Meloni ed altri n. 1-00163 concernente iniziative a favore della famiglia e per l'incremento della natalità (ore 14,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Meloni ed altri n. 1-00163 concernente iniziative a favore della famiglia e per l'incremento della natalità (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 4 aprile 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 4 aprile 2019).

Avverto, altresì, che sono state presentate le mozioni Lupi ed altri n. 1-00166, Panizzut, Mammì ed altri n. 1-00167 e Lorenzin ed altri n. 1-00168 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine de giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritta a parlare la deputata Maria Teresa Bellucci, che illustrerà la mozione n. 1-00163, di cui è cofirmataria.

MARIA TERESA BELLUCCI (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, Fratelli d'Italia con questa mozione ha voluto porre al centro dell'attenzione della politica della Camera dei deputati la famiglia, la natalità e le politiche di promozione della famiglia e della natalità, semplicemente con l'obiettivo di dare piena attuazione a quello che l'articolo 31 della Costituzione sancisce. Quello che dice l'articolo 31 è che la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia, in particolare delle famiglie numerose; e dice anche, all'articolo 29, che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, un matrimonio tra un uomo e una donna. Ebbene, noi, quando andiamo un po' a guardare la situazione della nostra Italia, quello che possiamo osservare è che quell'articolo, proprio l'articolo 31, è assolutamente inattuato. Non è un'opinione soggettiva e di parte, ma sono proprio i dati a dirlo.

Ieri, tutti i telegiornali hanno sottolineato come, il prossimo anno, ci saranno 70 mila studenti in meno nelle nostre scuole e hanno anche sottolineato come tutto questo è correlato alla denatalità. Si parla di desertificazione, desertificazione della nostra Italia, perché in Italia non nascono più bambini: lo vediamo nelle nostre scuole, lo vediamo nei reparti di maternità, lo vediamo in tutte le famiglie e in quei giovani che decidono di unirsi, ma che poi non riescono a fare dei figli.

Se osserviamo i dati dello scorso anno, del 2018, vediamo che sono nati 449 mila bambini, e vediamo che c'è un minimo storico rispetto all'Unità d'Italia, perché sono nati 9 mila bambini in meno. Addirittura, se osserviamo il tasso di sostituzione, abbiamo un tasso di sostituzione negativo, ovvero in parole semplici i bambini che nascono non sono sufficienti a coprire le morti, e quindi a far sì che la nostra Italia non solo possa continuare ad essere fatta di 60 milioni di abitanti, ma che possa anche magari ambire a crescere.

È stato verificato che, in cento anni, da 60 milioni arriveremo a 16 milioni di italiani; e tutto questo è drammatico, perché una nazione che non fa figli è una nazione destinata a morire, è una nazione destinata a crollare, a crollare ed a trovarsi nell'assoluta situazione di una grande distruzione della propria esistenza.

In tutto questo, vediamo che il tasso di fertilità della nostra Italia è tra i più bassi in Europa: in Italia ogni donna fa 1,34 bambini. Sappiamo tutti bene che il tasso di fertilità dovrebbe essere pari al 2,1, cioè ogni donna dovrebbe dare alla luce due bambini e qualcosa di più per garantire che ci sia un'esistenza ancora della nostra Italia; ma così non è. E, purtroppo, la situazione più drammatica la vedono le nostre italiane, cioè le donne italiane, perché quell'1,34 scende a 1,26 figli a donna: perché noi raggiungiamo l'1,34 grazie ai cittadini stranieri, che invece hanno un tasso di fertilità di 1,97. E per questo una parte politica, per esempio la sinistra, il centrosinistra, aveva immaginato che la risposta alla denatalità in Italia fosse quella di poter accogliere più immigrati, più cittadini stranieri, magari anche clandestini, per far sì che allora si innalzasse quel tasso di fertilità.

Ebbene, noi l'abbiamo detto forte e chiaro: noi non ci arrendiamo, non ci arrendiamo a credere che le donne italiane possano continuare a partorire, possano essere aiutate a partorire quei figli che desiderano. Perché non è che le italiane non desiderano partorire, non è che non desiderano avere figli: è che sono nell'impossibilità di farli, a fronte di una politica che non attua l'articolo 31 della Costituzione e non offre quelle misure che possano incentivare la natalità, cioè che possano sostenere il diritto di ogni donna e di ogni uomo ad ambire ad avere della prole, ad avere dei figli. Perché oggi è diventato un lusso, per pochi e non per tutti: per ricchi, per chi se lo può permettere; e questo è davvero vergognoso.

Noi crediamo semplicemente in una politica che ponga la natalità e la famiglia come priorità tra le priorità. Non può essere un punto succedaneo, successivo ad altri, o magari qualcosa a cui dare risposte nella prossima legge di bilancio, perché non può essere un bene, un diritto secondario da difendere, e non è con il senno del poi che viene difeso. È per questo che non ci arrendiamo a questa idea: non ci arrendiamo a questa idea, che è una problematica non soltanto italiana, è una problematica europea. Se guardiamo i dati in Europa troviamo la stessa situazione: l'Europa è il continente con il più basso tasso di natalità, il più basso tasso di fertilità.

La nostra stessa Europa è nella stessa condizione dell'Italia, seppur la media è un po' più alta: non 1,34 ma 1,60; comunque, non raggiunge il 2,1 e, quindi, quel tasso di sostituzione e di fertilità che potrebbe garantire la continua esistenza della nostra Europa e dei nostri cittadini europei.

La situazione più drammatica è al Sud nella nostra Italia, perché noi abbiamo tassi più alti a Bolzano, a Trento, in Lombardia, ma invece troviamo che la situazione che viene a presentarsi in Basilicata, in Molise e Sardegna è drammatica, con una media intorno all'1,29, e in Sardegna arriva addirittura all'1,06: una situazione, quindi, che certamente vede il Mezzogiorno come l'ultimo tra gli ultimi, anche in questo è abbandonato. Oltre alle giuste risorse per gli investimenti, per le infrastrutture, troviamo anche che la famiglia e la natalità non vengono sostenute, e quindi che anche le famiglie nel Mezzogiorno si trovano a non poter procreare e fare figli.

Tutto questo non è un caso: anche l'ONU ci dice che gli ultrasessantenni stanno aumentando sempre di più. Abbiamo attualmente il 25 per cento della popolazione che ha più di 65 anni, e in una proiezione al 2050 arriverà al 35 per cento la popolazione ultrasessantacinquenne.

Non è allora soltanto una questione etica, valoriale, ma è anche una questione economica: come fa uno Stato a reggersi quando non ci sono più figli e, quindi, non ci saranno più lavoratori, non ci sarà più chi contribuirà al welfare della nostra nazione? Investire in natalità significa investire e lavorare per l'economia, significa investire e lavorare per rendere questa nostra Italia sostenibile; e se non mettiamo questo come priorità, in realtà costruiremo la nostra distruzione ed il nostro fallimento.

E anche questo non è un caso: non è un caso se noi vediamo la legge di bilancio del 2019, per esempio. Perché la legge di bilancio per il 2019, cioè l'ultima che abbiamo approvato, in realtà sì, vede per la famiglia qualche misura, ci vogliono dire che sono misure interessanti, ma in realtà non lo sono: lo dico forte e chiaro, perché non è con la logica e con la politica dei bonus che vengono date risposte alle famiglie. Ce l'ha detto il Forum per le famiglie, ce lo dicono le associazioni del terzo settore, ce lo dicono le diverse agenzie che si occupano di monitorare la famiglia e la natalità: non è con i bonus che si dà una risposta. Non è con i bonus natalità, non è con i bonus asili nido: sono dei contentini, che vedono in quella tematica soltanto un'attenzione limitata e secondaria. E non è di certo neanche con la flessibilità di fruizione del congedo per la maternità che è stata inserita, con cui si dà la possibilità alle donne di lavorare fino al nono mese: non è questa la misura che mette al centro la famiglia e la natalità; anzi, magari nasconde pure dei rischi, che sono abbastanza ovvi.

Quando si mettono in atto quindi questo tipo di politiche e si immaginano da parte di questo Governo, Lega e MoVimento 5 Stelle, in realtà si sottolinea quanto non ci sia stato sufficiente interesse per poter sostenere la famiglia. Non crediamo assolutamente che questo tipo di misure, quindi i bonus, possano essere e possano continuare ad essere la risposta alla problematica della natalità.

Noi immaginiamo qualcosa di diverso, l'abbiamo sempre detto. L'abbiamo sempre detto perché, se guardiamo anche la disoccupazione femminile, vediamo che, su 100 donne, soltanto 43 possono mantenere il proprio lavoro; e, quindi, anche qui vediamo che la conciliazione dei tempi di lavoro e dei tempi di vita non è garantita né è rispettata, e anche su questo non ci sono assolutamente risposte.

Come non vi sono risposte rispetto ad un obiettivo che abbiamo bucato da tempo, perché l'Europa, con l'obiettivo di Lisbona, ci diceva che dovevamo raggiungere il 33 per cento nella nostra Italia per l'offerta degli asili nido, dei servizi educativi, per permettere a quelle mamme, sì, di lavorare, ma anche di offrire le giuste cure ai propri piccoli. Beh, in Italia oggi, nel 2019, siamo ad una media, a livello nazionale, del 20 per cento, addirittura in alcune regioni, purtroppo in diverse regioni, raggiungiamo il 13 per cento. E queste regioni sono sempre quelle del Mezzogiorno, perché il Mezzogiorno in questo non deve avere risposte evidentemente. Dopo nove anni, ancora non abbiamo raggiunto quell'obiettivo: anche qui, abbiamo una risposta su come mai la denatalità sia una realtà nella nostra Italia e, anche qui, non abbiamo avuto delle misure imponenti, di sistema, non degli aiutini di Stato che non raggiungono nulla.

Allora, su questo, noi l'abbiamo detto sin dalla campagna elettorale cosa immaginavamo, ministro Fontana: noi immaginavamo che un Governo dovesse varare un imponente piano per la natalità come primo obiettivo italiano da dover raggiungere, perché non ci sono altre cose da fare, perché se io non garantisco, se noi non garantiamo la nascita di altri bambini, la nascita di altri italiani, tutto il resto che riguarderà il nostro intervento, le nostre azioni, la nostra politica cadrà nel vuoto; avremo uno Stato con confini nazionali, ma senza abitanti, senza persone a cui dare delle risposte, e la nostra politica, che è una politica per il bene comune, è una politica per il bene delle persone: le persone prima di tutto. E, allora, prima di tutto, il loro diritto a nascere e il loro diritto a vivere.

È per questo che non abbiamo mai creduto nel reddito di cittadinanza, perché, ancor prima, il reddito d'infanzia è la possibilità di far nascere, ancor prima anche per quella sostenibilità economica della nostra Italia, perché se non nascono italiani, come si possono immaginare delle politiche di welfare? Come si possono immaginare delle politiche che possono supportare chi non ce la fa, i più fragili, quindi i bambini, i disabili, Ministro Fontana, gli anziani? Come si può, se non nascono bambini?

Allora, noi crediamo che sia un problema rimandare questi obiettivi alla prossima finanziaria, che lo sia oggi un problema. Per questo credevamo che un imponente piano per la natalità dovesse essere varato e che all'interno di quell'imponente piano per la natalità vi dovesse essere il reddito d'infanzia - 400 euro a bambino -, vi dovesse essere un'offerta generale di asili nido gratuiti, vi dovesse essere la promozione di un'offerta pubblico-privato di asili nido, vi dovessero essere delle politiche per il lavoro che incentivassero la natalità e incentivassero quelle mamme che vogliono continuare a lavorare, a poter lavorare, con una politica più flessibile anche del part-time, con un sostegno alle imprese, che oggi non si vedono sostenute, neanche laddove devono, ovviamente, inserire un'altra donna a fronte della maternità e devono continuare a pagare i contributi. Immaginavamo un'esenzione dei contributi, immaginavamo un incentivo per le imprese che volessero assumere delle mamme oppure delle donne fertili. Semplici misure, certo, ma da mettere al centro e da mettere come priorità.

È ovvio, servono delle economie, ma qui è la politica che deve scegliere, deve scegliere dove destinare le economie. Allora, non è che non si può fare: si può fare, ma dipende da ciò che viene posto come priorità nella propria agenda politica nelle risposte che devono essere date agli italiani. È per questo che credevamo che il reddito d'infanzia dovesse venire prima del reddito di cittadinanza, ma, invece, siamo stati delusi: abbiamo provato a starvi vicino, ad incentivarvi, a sottolineare, a farvi comprendere quanto era importante. E non ci stiamo arrendendo, perché oggi, con questa mozione, vogliamo continuare ad essere un pungolo per una buona politica, una politica che metta realmente al centro la famiglia e la natalità. Non ci stancheremo di dirvelo, e non ci stancheremo di dirvelo per i 60 milioni di italiani che ci stanno guardando, perché non ci arrendiamo all'idea che, nei prossimi anni, nei prossimi cento anni, arriveremo a 16 milioni, non ci arrendiamo a questo, non ci arrenderemo mai: continueremo a lottare per far sì che ogni mamma possa avere tutti i figli che vuole, possa arrivare non soltanto a farne 1,34, ma almeno quel 2,1 che è il tasso di fertilità e di sostituzione imprescindibile. Questo la politica dovrebbe fare, questo noi dovremmo fare in questo Parlamento: lottare perché il diritto alla vita e all'esistenza venga difeso in ogni momento. Oggi lo facciamo con questa mozione, speriamo di poter vedere l'adesione di tutte le forze politiche a quello che dovrebbe essere un valore condiviso, un valore da difendere tutti insieme, uniti, prendendoci per mano.

Quindi, mi auguro che, in questa mozione, si possa trovare la sintesi per una buona politica, per far sì che, quando guarderemo negli occhi una donna e un uomo che decidono oggi di fare questa scommessa, questo atto di coraggio in solitudine rispetto ad uno Stato distratto e ad un Governo che, fino adesso lo è stato troppo, quando guarderemo loro negli occhi, si potrà essere convinti di aver fatto ciò che è giusto, ossia di averli aiutati in quel percorso di bellezza che è la procreazione e la nascita di un piccolo, aver avuto lo Stato a fianco, aver avuto una politica amica, anzi una politica genitrice che accompagna i suoi figli, che fa sì che possano diventare adulti e che possano, a loro volta, accompagnare le nuove generazioni.

Noi, Ministro Fontana, saremo qui, Fratelli d'Italia sarà qui per potervi aiutare a fare questa politica: saremo al vostro fianco se voi vorrete farlo, saremo, invece, i vostri avversari più agguerriti se questi non saranno i passi che voi intraprenderete, perché, prima di tutto e prima di ogni cosa, c'è il popolo italiano e il diritto alla sua esistenza e alla sua vita.

PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Calabria ed altri n. 1-00169, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

È iscritto a parlare il deputato Panizzut, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00167. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO PANIZZUT (LEGA). Presidente, colleghi, Ministro, l'Italia è afflitta, ormai da diversi anni, da un'allarmante e strutturale crisi demografica dovuta anche e, soprattutto, ad una mancata visione a lungo termine da parte dei precedenti Governi dei processi di trasformazione socio-economica che si sono manifestati negli ultimi decenni. È palese che, in questi anni, la popolazione italiana ha conosciuto radicali cambiamenti che ne hanno modificato la struttura e la composizione. La natalità è a livelli tra i più bassi del mondo, accompagnata da una significativa evoluzione del ruolo della donna nella società, da nuovi modelli e tempistiche di formazione delle famiglie e da un aumento della longevità e dell'invecchiamento della popolazione.

L'immagine di un'Italia costituita in maggioranza da famiglie numerose appartiene ormai a un remoto passato. Negli ultimi tre anni, la popolazione complessiva si è ridotta di ben 300 mila persone e il trend è destinato tristemente a continuare anche in futuro. Secondo il Rapporto sul futuro demografico del Paese recentemente pubblicato dall'ISTAT, avremo uno scenario non troppo ottimistico e le future nascite non saranno sufficienti a compensare i futuri decessi. I dati italiani su natalità mostrano, peraltro, come nel nostro Paese solo una parte delle donne scelga volutamente di non fare figli o di fermarsi al primo; per le altre, invece, si tratta di necessità correlata ad una serie di fattori, quali la paura della perdita del posto di lavoro, le proprie possibilità economiche rispetto ai costi che un figlio comporta e la mancanza di un sostegno strutturale al lavoro femminile. Senza contare che, ad oggi, la maternità di una lavoratrice rappresenta, soprattutto per le piccole e medie imprese, purtroppo, un costo aggiuntivo.

Il tema del superamento di questo inverno demografico è una questione di interesse nazionale, che deve essere posta al centro dell'agenda politica. L'attenzione dell'attuale Governo in questa direzione è testimoniata dall'istituzione di un Ministro con delega alle politiche per la famiglia, fortemente voluto dalla Lega, e dalle prime misure adottate, tra cui cito: la nuova disciplina del Fondo per le politiche della famiglia, lo stanziamento di un contributo per ogni figlio successivo al primo, l'incremento dell'assegno destinato al pagamento delle rette di asili nido e per le forme di assistenza presso la propria abitazione nelle famiglie con bambini affetti da gravi patologie croniche, le nuove modalità del congedo di maternità, la proroga e l'ampliamento della durata sino a sei giorni del congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente, la ridefinizione e il finanziamento della Carta della famiglia. Questi interventi costituiscono solo il primo passo di un disegno complessivo, diretto a ricondurre ad unità politiche pubbliche oggi ancora troppo frammentate, disordinate e disomogenee. L'investimento del capitale umano e sociale delle famiglie è un investimento ad alto valore aggiunto, che, al pari di quelli produttivi, rappresenta un effetto moltiplicatore, sia in termini di rilancio della crescita, sia in termini di salvaguardia della sostenibilità del nostro sistema di welfare.

Detto ciò, la Lega invita il Governo ed il Parlamento tutto, per le parti di sua competenza, ad attivarsi per intraprendere atti concreti che possano dare svolta alla sopra citata situazione, uscendo da schemi politici, ma avendo davvero a cuore la problematica.

In particolare, si chiederà di adoperarsi in sede di Unione europea affinché, nell'ambito di una riforma del Patto di stabilità e crescita, si trovino spazi di flessibilità di bilancio, da destinare ad interventi di riforma rivolti ad elevare il tasso di natalità; a predisporre un progetto di riforma strutturale del welfare familiare, con l'obiettivo di pervenire ad un sistema organico più semplice e coordinato delle diverse misure di sostegno di natura assistenziale e fiscale; ad adoperarsi con ogni iniziativa e mezzo per conseguire l'obiettivo di copertura in tutto il territorio nazionale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia; a prevedere più ampi congedi parentali soprattutto per i padri e non solo nei primi anni di vita del bambino; a prevedere specifiche iniziative di conciliazione in favore delle madri lavoratrici autonome; ad adottare le opportune iniziative per riqualificare e potenziare le attività dei consultori familiari e dei centri per la famiglia quali luoghi privilegiati per il sostegno alla maternità, alla paternità e alle responsabilità genitoriali; ad attivare un piano di rilancio e recupero dell'edilizia residenziale pubblica, finalizzato a contrastare il disagio abitativo, in particolare per le giovani famiglie, nonché a potenziare le misure di sostegno per l'accesso alla prima casa; ad adottare le opportune iniziative per il riconoscimento sul piano previdenziale del valore dei carichi di cura, con particolare riferimento alla cura dei figli e dei familiari in condizione di disabilità.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Beatrice Lorenzin, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00168. Ne ha facoltà.

BEATRICE LORENZIN (MISTO-CP-A-PS-A). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, quando parliamo di famiglia nel nostro Paese, ci troviamo sempre di fronte ad una spinosissima questione: l'Italia è il Paese della famiglia, così almeno nella nostra retorica nazionale. Tutti i partiti politici, ad ogni appuntamento elettorale, si impegnano a sostenere la famiglia nelle sue varie articolazioni, nel territorio, nelle questioni sociali; poi, all'appuntamento con i fatti, che è quello della legge di bilancio, sistematicamente, questa famiglia, che è il grande ammortizzatore sociale italiano, finisce nel fanalino di coda della legge di bilancio, sempre preceduta da altre priorità contingenti e cogenti. E quindi, in una drammatica guerra tra poveri, finisce sempre che quello che è il luogo in cui si esercita la nostra vita relazionale, il luogo in cui veniamo protetti quando siamo nati e poi ci ritroviamo e ci rifuggiamo da anziani, il luogo che, durante le crisi è lì, pronto a sostenerci, come è stato per i giovani italiani in questi lunghissimi dieci anni di crisi economica in cui uno è entrato che era ancora adolescente e ne è uscito che era ormai un uomo o una donna fatti, ebbene, questo luogo viene lasciato a se stesso, pensando che in qualche modo la famiglia alla fine ce la fa.

La notizia è drammatica ed è nella nostra realtà quotidiana: la famiglia non ce la fa più e non ce la potrà fare più, perché, accanto al tema della sostenibilità economica delle famiglie, si affianca un tema che è matematica, ed è l'appuntamento con la demografia. Noi abbiamo un appuntamento, tutti, per il 2050, con due questioni possiamo dire di natura e di portata globale: una riguarda i cambiamenti climatici, di cui oggi cominciamo a vedere gli effetti e di cui gli scienziati ci stanno illustrando il potenziale danno che avremo nei nostri territori e nelle nostre economie, e abbiamo fatto proprio pochi giorni fa prima della chiusura per il weekend un dibattito molto serio e articolato su questo; l'altro appuntamento è con la demografia e con il tasso di denatalità del nostro Paese, con la differenza che sulla demografia non c'è proprio niente da immaginare o da simulare, perché quanti bambini sono nati in questi anni, quante persone anziane ci sono e ci saranno nei prossimi trent'anni lo sappiamo già, e purtroppo il tasso è drammatico.

Se voi fate i conti, perché 1,39 per cento di tasso di fecondità sembra quasi una cosa ridicola, cioè non riusciamo a comprenderlo, ma vuol dire che, quando sono nata io, in quell'anno nacque più di un milione di bambini, quest'anno circa 400 mila; vuol dire che, fra diciotto anni, tutti i diciottenni d'Italia potranno stare in un forum, in una piazza grande, ad un grande concerto, dove speriamo ci sia ancora Vasco Rossi che possa riempire le piazze, però è questo: tutti i diciottenni del Paese saranno dentro una grande, grande piazza, per un concerto. Voi immaginatevi che cosa significa. Ed un tasso di anziani, di persone anziane, che saranno tre volte quelle di oggi, cioè la piramide produttiva del nostro Paese sarà totalmente rovesciata. Mano a mano, già sappiamo quello che avverrà nel 2025, nel 2030 e nel 2050.

Allora, noi possiamo pensare di andare avanti così, noi stiamo parlando, per esempio, di quota 100, di estendere la pensione anticipata di tre anni, noi avremo il tema fra qualche anno di come garantire la pensione a chi oggi ha 18 anni, che avrà sulle spalle i propri genitori, i propri nonni e i propri bisnonni, un bambino solo! Il Sistema sanitario nazionale, con una domanda che è di 2 per cento in più ogni anno di assistenza socio-assistenziale e sanitaria, non può reggere. Ecco perché sarebbe stata veramente l'ora di una grande politica, di una visione completa del sistema di welfare, previdenza, salute, donne, famiglia, un nuovo welfare per gli anziani, e questo partiva da una grande campagna e da una grande mobilitazione di politiche attive, non a silos, ma trasversali, sulla sanità.

Nella mozione ne troverete alcune. Alcune sono state una mia bandiera, dagli asili nido gratuiti (è evidente che se le donne non lavorano non possono fare figli), ai sistemi di incentivi fiscali; non andiamo a scomodare i francesi (dopo il terzo figlio non paghi più le tasse), ma almeno scarichiamo e riconosciamo il peso contributivo delle famiglie che hanno figli e che devono spendere quei soldi per dare loro da mangiare. Non lo vogliamo chiamare bonus bebè? Chiamiamolo in un altro modo, ma diamo delle risorse alle famiglie che non riescono a sostenere la spesa di un figlio. Parliamo di chi ha un handicap, che non è soltanto l'handicap dal punto di vista della salute, ma comprende anche tutte le misure di accompagnamento necessarie per una famiglia che ha un bambino malato a casa o una persona anziana. Riconosciamo il lavoro di caregiver delle donne, le donne hanno un carico usurante. Tra pochi giorni sarà la Giornata della salute della donna, una giornata fortemente voluta, ebbene, dovremmo ricordarci tutti che, se le donne vivono di più in questo Paese, invecchiano malissimo per il carico che hanno.

PRESIDENTE. Deve concludere.

BEATRICE LORENZIN (MISTO-CP-A-PS-A). Ecco, possiamo leggere nella mozione tutta una serie di misure assolutamente concrete, che riproponiamo all'Aula e che spero il Governo possa fare proprie in una visione complessiva della famiglia e della natalità. E mi permetta, Ministro, non è con il campo agricolo al terzo figlio che rispondiamo al problema della denatalità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), perché io ho due gemelli, se faccio un terzo bambino io di un campo agricolo non so che farmene, a meno che non mi volete alle quattro del mattino a fare la contadina nei campi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Patrizia Marrocco, che illustrerà anche la mozione Calabria n. 1-00169, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

PATRIZIA MARROCCO (FI). Grazie Presidente, grazie onorevoli colleghi, la famiglia è la cellula su cui si fonda e cresce l'intera società. Lo Stato ne riconosce la funzione sociale all'articolo 29 della Costituzione, che individua, infatti, la famiglia come società naturale e all'articolo 31 stabilisce che “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose (…)”. In Italia il sistema fiscale interviene come se la capacità contributiva delle famiglie non fosse condizionata dalla presenza di figli e dell'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli.

Investire nelle politiche familiari significa pertanto investire sulla qualità stessa della struttura sociale e, in definitiva, sullo stesso futuro della società. Se in questi ambiti fossero introdotte maggiori agevolazioni, si tornerebbe a ragionare di famiglia in un'ottica di investimento sul futuro, generando un nuovo progetto virtuoso per la natalità e la crescita economica e sociale del Paese. In Italia la spesa per la famiglia è la voce meno consistente, ed è la più bassa rispetto alla media europea. L'assenza di efficaci politiche per l'infanzia e la carenza di strutture e di servizi socio-educativi per l'infanzia continuano a rappresentare uno dei problemi cronici del nostro Paese. I pesanti e costanti tagli agli enti territoriali imposti in questi ultimi anni hanno contribuito a peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità dei suddetti servizi che dei costi. Tra il 2004 e il 2012 i comuni titolari dell'offerta sul territorio avevano molto investito sui servizi per la prima infanzia, con risorse passate dall'1,1 a 1,6 miliardi di euro (più 47 per cento), poi è iniziato il calo di risorse, con una contrazione della spesa. È evidente lo scarto ancora esistente tra le reali esigenze delle famiglie nel poter disporre di strutture e di servizi socioeducativi per l'infanzia e la concreta possibilità di soddisfare queste esigenze. Poche le regioni che possono vantarsi di aver raggiunto il traguardo del 33 per cento fissato dall'Unione europea. Il Consiglio europeo, nel 2002, a Barcellona, ha posto come traguardo per gli Stati membri che i posti disponibili nei servizi per la prima infanzia avrebbero dovuto coprire, entro il 2010, almeno un terzo della domanda potenziale, cioè il 33 per cento dei bambini sotto i tre anni, obiettivo recepito anche dal decreto legislativo n. 65 del 2017, che ha ribadito questo impegno, ma che finora è rimasto sulla carta: non c'è stato alcun aumento delle risorse, con riferimento all'offerta di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia. Il comunicato dell'Istat del 21 marzo scorso indica come i posti disponibili coprano il 24 per cento del potenziale bacino di utenza: bambini residenti sotto i tre anni. Tale dotazione è ancora sotto al citato parametro del 33 per cento fissato per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. La diffusione dei servizi risulta molto differenziata sul territorio: i posti variano da un minimo del 7,6 per cento dei potenziali utenti in Campania a un massimo del 44,7 per cento in Valle d'Aosta. L'offerta comunale degli asili nido e altri servizi socio-educativi mostra fortissimi squilibri regionali: la spesa media dei comuni, a livello regionale, varia da un minimo di 88 euro all'anno per bambino residente in Calabria a un massimo di 2.209 euro all'anno nella provincia autonoma di Trento.

Come rilevato anche dall'OCSE, esiste un nesso causale immediato e diretto fra la scarsa disponibilità dei servizi pubblici per l'infanzia e la disoccupazione femminile. È di tutta evidenza, infatti, che le donne madri che non possono affidare il bambino ad alcuni componenti nel nucleo familiare o sostenere il costo dei servizi di asili nido privati o baby-sitting non abbiano altra scelta che sacrificare in tutto o in parte il proprio lavoro. Diversi sono gli ambiti sui quali è indispensabile agire per favorire la famiglia e la natalità: oltre ai citati servizi per l'infanzia, è necessario intervenire sulla disoccupazione, in particolare quella giovanile, su una reale politica di riconciliazione della vita familiare e lavorativa e sulla povertà minorile, tutti aspetti che scoraggiano le coppie più giovani a costruire una famiglia. Ad aggravare fortemente la situazione delle famiglie italiane contribuisce in maniera determinante anche la recessione economica a cui ci ha condotto questo Governo. Gli ultimi dati dell'Istat certificano che il reddito disponibile delle famiglie consumatrici nel quarto trimestre 2018 è diminuito dello 0,2 per cento in termini nominali e dello 0,5 per cento in termini reali, rispetto ai tre mesi precedenti; se a questo aggiungiamo la recente analisi dell'OCSE, tutti i dati confermano come le condizioni di vita nel nostro Paese siano le stesse di inizio millennio. È in aumento il numero di coloro che non si sentono in grado di dare le giuste garanzie alla propria famiglia con il proprio lavoro, persiste il preoccupante costante calo della natalità, che affligge da troppi anni il nostro Paese, conseguenza, oltre che della carenza dei servizi per l'infanzia a supporto delle famiglie, della sostanziale assenza di specifici ed efficaci aiuti finanziari a favore della famiglia, nonché la carenza di politiche volte a favorire le pari opportunità tra uomini e donne.

L'Istat ci ricorda che nel nostro Paese nel 2018 si contano 449 mila nascite, ossia 9 mila in meno del precedente minimo, registrato nel 2017. Rispetto al 2008 risultano 128 mila nati in meno. Il saldo naturale nel 2018 è negativo: meno 187 mila. Gli effetti di un così basso tasso di natalità sono economicamente e socialmente pericolosi. Ciò risulta tanto più grave se si considera che negli ultimi 10-15 anni i giovani hanno sempre più posticipato la decisione di sposarsi ed avere dei figli. Non c'è alcuna iniziativa strutturale volta a sostenere quei giovani, che, senza aiuti da parte dello Stato, mettono al mondo dei figli compiendo sul fronte personale un gesto tanto naturale quanto coraggioso, con pochissimo sostegno da parte delle istituzioni. Mancano efficaci misure a sostegno della famiglia, laddove sarebbero necessarie anche politiche, soprattutto fiscali, dedicate e più mirate, tra le quali l'introduzione del quoziente familiare, in grado di favorire la creazione di nuovi nuclei familiari con riguardo a quelli più numerosi e di sostenere quelli esistenti. Particolarmente penalizzati sono poi i nuclei familiari più numerosi. Giova infatti ricordare che il rischio di povertà cresce all'aumentare dei figli minori presenti in famiglia: l'incidenza si attesta al 10,5 per cento tra le famiglie con almeno un figlio e raggiunge il 20,9 per cento tra quelle con tre o più figli. Tra gli individui più a rischio anche le donne, stimate in 2.472.000; i giovani tra i 18 e i 34 anni sarebbero, invece, 1.112.000, il 10,4 per cento, il valore più elevato dal 2005.

Sotto questo aspetto, il Governo, con le misure finora a proposte in questa legislatura, non ha previsto nulla, e poco o nulla c'è nella legge di bilancio approvata nel dicembre scorso. Peraltro, con specifico riguardo alle famiglie, in particolare a quelle più numerose, lo stesso reddito di cittadinanza, pensato da questo Governo e da poco approvato dal Parlamento e che dovrebbe sostenere le famiglie in situazioni di estrema necessità, finisce per essere fortemente iniquo nei confronti dei nuclei familiari più numerosi e dove è presente una persona disabile. Infatti, il contributo all'affitto non aumenta all'aumentare dei componenti della famiglia, la scala di equivalenza, per come è stata concepita, penalizza le famiglie numerose rispetto ai singoli individui; nuclei familiari con lo stesso ISEE sono inclusi o esclusi dall'erogazione del beneficio sulla base della numerosità dei componenti. È chiaro quindi come il reddito di cittadinanza finisca per essere molto più generoso nei confronti dei nuclei familiari composti da una sola persona e molto meno generoso per quanto riguarda le famiglie numerose. Per questa misura è ancora più penalizzante laddove all'interno del nucleo familiare vi sia una persona con disabilità, così come nulla si sta facendo e poco è stato fatto in questi ultimi anni in materia di politica di conciliazione della vita familiare e lavorativa: nonostante il generale miglioramento di questi anni del tasso di occupazione femminile, permangono profonde differenze sul territorio riguardo alla partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. Il divario retributivo di genere che caratterizza il nostro Paese è altresì un tema centrale, attraverso il quale devono passare necessariamente lo sviluppo e la crescita economica, sociale e culturale dell'Italia. Ormai da anni il World Economic Forum redige il Global gender gap report, attraverso cui si classificano i Paesi sulla scorta degli indici di gender pay gap, cioè la differenza in termini di opportunità, status e attitudini tra i due sessi. Nonostante il report 2018 ci offra un'immagine dell'Italia lievemente migliore rispetto a quella del report 2017 (siamo passati dall'82° posto al 70° su 149 Paesi, dopo però essere calati tra il 2016 e il 2017 di ben 32 posizioni), il divario tra uomini e donne sul piano della retribuzione e delle opportunità appare, evidentemente, allarmante. Nella classifica globale pubblicata a fine 2018, l'Italia si attesta al 118° posto per opportunità e partecipazione alla vita economica e lavorativa femminile; siamo, infine, quartultimi tra i Paesi dell'Europa occidentale.

Vale la pena in questa sede ricordare che con il “codice delle pari opportunità” il legislatore ha introdotto nell'ordinamento previsioni normative indirizzate specificatamente alla parità di genere nel mondo del lavoro, previsioni che, ci accorgiamo, non sono sufficienti a tutelare la donna lavoratrice.

È necessario implementare sensibilmente le misure a sostegno della partecipazione delle donne al mercato del lavoro adottando un approccio che parta dalla domanda e dalla necessità delle donne madri e lavoratrici attraverso maggiori incentivi e sgravi fiscali all'assunzione, favorendo le misure di conciliazione tra carichi familiari e lavoro nonché, come abbiamo visto, un intervento massiccio per il rafforzamento delle reti per l'infanzia. Questo avrebbe ritorni importanti sia sotto il profilo della crescita demografica e della natalità sia sotto il profilo della formazione del ruolo della donna lavoratrice nella nostra società.

Nell'ultima legge di bilancio nessuna misura, al di là di qualche proroga di norma già vigente, è stata proposta e approvata dal Governo. Il risultato è che una delle poche iniziative legislative con le quali si è contraddistinto il Governo è stata la mancata proroga di un'importante misura introdotta nel 2012 in via sperimentale ma che era sempre stata prorogata negli anni, ossia il beneficio per il servizio di baby-sitting per le mamme che rinunciavano al congedo parentale. Questa norma consentiva alle mamme di scambiare il congedo parentale con un bonus fino a 600 euro mensili per un massimo di sei mesi, quelli previsti per il congedo parentale facoltativo, per pagare la baby-sitter o l'asilo nido. Pertanto, dal 1° gennaio 2019 le madri lavoratrici non possono più presentare domanda per l'accesso al beneficio. Nel corso dell'esame parlamentare della legge di bilancio 2019 Forza Italia ha presentato molte proposte emendative con misure a sostegno della famiglia e della genitorialità, ma non accolte dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene.

Forza Italia crede in una politica che ponga la priorità alla famiglia. Pertanto, si chiede: di prevedere l'implementazione di misure volte a favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, anche prevedendo sgravi fiscali per le aziende che assumono neomamme e donne in età fertile, e l'esenzione contributiva per le assunzioni effettuate in sostituzione di donne in congedo di maternità; ad aumentare le iniziative legislative e le risorse destinate alla conciliazione tra vita professionale e vita privata, anche incrementando il Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello di cui alla legge n. 247 del 2007, garantendo, comunque, che un'organizzazione aziendale che incentivi la suddetta conciliazione non finisca per favorire l'allontanamento della donna dalle relazioni di lavoro e dall'opportunità di formazione e carriera; a valutare l'opportunità di introdurre una normativa pensionistica agevolata per le lavoratrici madri che possano vedersi scontato fino a tre anni di periodo contributivo necessario per andare in pensione in base al numero dei figli; a prevedere un aumento di 10 giorni e la sua messa a regime del congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente da fruire entro i cinque mesi dalla nascita del figlio; a introdurre e promuovere, attraverso accordi tra datori e lavoratori, misure di monitoraggio e valutazione delle condizioni di lavoro e retribuzione tra generi, misure volte a prevenire e a contrastare eventuali disparità e discriminazioni; ad adottare iniziative normative finalizzate alla promozione dell'imprenditoria femminile con particolare riguardo alle aree più svantaggiate del Paese attraverso specifici benefici e misure fiscali di favore; a prevedere un incremento della quota di investimento pubblico nel welfare destinato alle famiglie, rispettando in tal modo il dettato costituzionale; a implementare le misure di sostegno alla paternità e alla maternità con particolare riguardo alla necessità di avviare un piano pluriennale di investimenti finalizzato a incrementare gli asili nido e i servizi socioeducativi per l'infanzia, riducendo le forti disomogeneità esistenti sul territorio nazionale nell'offerta di detti servizi e per garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti in ambito dell'Unione europea; a prendere le opportune iniziative di concerto con gli enti locali, al fine di garantire un orario prolungato degli asili nido e l'apertura anche estiva delle medesime strutture; a prendere le opportune iniziative legislative volte a introdurre l'istituto del quoziente familiare individuando, quindi, il nucleo familiare e non il singolo contribuente quale soggetto passivo dell'Irpef, con conseguenti ed evidenti benefici per le famiglie più numerose; a predisporre ulteriori opportuni benefici e un incremento delle attuali agevolazioni fiscali per le famiglie al fine di favorire la genitorialità e la formazione di nuovi nuclei familiari, prevedendo, tra l'altro, di mettere a regime e di aumentare l'attuale assegno di natalità, di reintrodurre il beneficio per il servizio di baby-sitting per le mamme che rinunciano al congedo parentale, di aumentare le detrazioni per ciascun figlio e quelle incrementali previste per ogni figlio portatore di handicap, di aumentare l'importo massimo entro il quale è possibile beneficiare delle detrazioni per le spese sostenute per gli addetti all'assistenza personale nei casi di non autosufficienza, di riformare il sistema delle adozioni snellendo il procedimento burocratico e incrementare le risorse a favore del Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali. Infine, di incrementare le risorse a favore del Fondo di garanzia per la prima casa istituito, con priorità all'accesso al credito da parte di giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Stefano Lepri. Ne ha facoltà.

STEFANO LEPRI (PD). Grazie, Presidente. Il Partito Democratico sta per depositare una mozione sul tema oggetto del dibattito parlamentare che adesso illustro per sommi capi. Anzitutto, partiamo da alcune premesse che sono note e che i colleghi hanno già molto chiaramente illustrato su cui, quindi, mi soffermo solo citando i concetti fondamentali. Anzitutto, in Italia facciamo pochi figli, davvero molto pochi: 1,32 figli per donna. Siamo il Paese che fa meno figli anche tra i diversi Paesi europei, sapendo che l'Europa è il continente dove si mettono al mondo meno figli a confronto con gli altri continenti. Il dato del 2016 ci dice che in Italia nel 2016 abbiamo registrato 7,8 nati ogni mille abitanti, quando la media dell'Unione europea è di 10 per mille abitanti. All'interno di questo inverno demografico le regioni del Sud, le regioni del Mezzogiorno, sono quelle dove è ancora più basso il tasso di natalità.

Un'altra premessa è che, paradossalmente rispetto a questo dato, la Costituzione italiana riconosce il valore della famiglia e il valore della natalità, riconosce la stabilità affettiva e genitoriale come un valore e, tuttavia, proprio questi dati ci fanno riflettere sull'assenza di un quadro legislativo coerente con il dettato costituzionale e, al di là delle scelte affettive e genitoriali legittimamente diverse da parte di ciascuno, credo che tutte le parti politiche e tutte le posizioni su questi temi concordano su un fatto molto evidente: la natalità va sostenuta e la genitorialità va sostenuta più di quanto oggi si faccia e tra l'altro - ora ci tornerò - non è che non si faccia nulla: si fa, ma si fa in modo molto confuso e in modo tale per cui questa azione non produce effetti come questi dati dimostrano in modo inequivocabile.

Allora, quali sono, al di là dei dati, le cause e le situazioni collegate a questo fenomeno? Ce ne sono tante e non ce n'è una in particolare e, vorrei dire, non sono neanche tutte attribuibili alle scelte della politica. Infatti, molte decisioni in termini di genitorialità e natalità sono squisitamente personali, attengono alla cultura, attengono all'idea di tenore di vita che le famiglie e i singoli ritengono di avere e anche, di conseguenza, la disponibilità di risorse da dedicare ai figli. Però, ci sono certamente delle ragioni attribuibili alla politica che qui sommariamente ricordiamo (non in ordine di importanza ma certamente tutte concorrono). Una prima ragione, è il fatto che vi è indubitabilmente una discriminazione, un quadro magari inconsapevolmente discriminatorio nei confronti delle donne lavoratrici che mettono al mondo dei figli, soprattutto se ne mettono al mondo più di uno. Un dato per tutti che citiamo nella nostra mozione: se prima della gravidanza lavorano 59 donne su cento dopo il parto continuano a lavorare solo 43. Quindi, il fatto di avere messo al mondo il primo figlio porta le donne ad abbandonare in non pochi casi il lavoro e, tra queste, che abbandonano il lavoro nel 90 per cento dei casi la causa della motivazione è proprio legata alla necessità di doversi, più che potersi, dedicare alla cura dei figli in assenza di altri servizi o, comunque, è una scelta sicuramente non presa a cuor leggero.

Infatti, in non pochi casi sappiamo come si sia di fronte a fenomeni striscianti di mobbing che costringono in qualche modo le donne ad abbandonare il lavoro. Una seconda ragione è l'assenza, proprio correlato a ciò che ho detto prima, di un sistema di sostegno alle famiglie e alle donne in particolare nei primi anni di vita del bambino. Noi abbiamo, soprattutto nel caso degli asili nido, dei servizi per la prima infanzia, una carenza abbastanza evidente, molto evidente di nuovo, soprattutto e purtroppo, nelle regioni meridionali, ma l'obiettivo è di arrivare al 33 per cento di bambini che possano beneficiare dei servizi per la prima infanzia. È ancora un obiettivo molto di là da venire, nonostante che cresca indubitabilmente nel nostro Paese, seppur molto lentamente, questa percentuale. Un'altra ragione della difficoltà a mettere al mondo figli, e soprattutto più figli, è la disponibilità abitativa, cioè, nella misura in cui i figli sono due o più di due, gli spazi non ci sono, e quindi la limitata disponibilità di abitazioni soprattutto adeguate a poter ospitare famiglie numerose può essere sicuramente un elemento che frena soprattutto la messa al mondo di più figli nello stesso nucleo familiare.

A queste cause vanno affiancati dei fenomeni che non sono cause, ma che vanno comunque evidenziati proprio per tener conto del fatto che non solo è importante favorire la natalità, ma anche aiutare le famiglie e i figli che vivono condizioni di particolare disagio quando messi al mondo. Pensiamo alle difficoltà di tanti bambini di famiglie povere: Save the children ci ricorda che oggi in Italia abbiamo un milione e 300 mila tra bambini e ragazzi, cioè sostanzialmente un bambino su dieci, un adolescente su dieci, che non raggiunge una condizione di vita accettabile e non riesce ad emanciparsi dal disagio familiare in cui si trova. Un altro fenomeno che meriterebbe e che merita sicuramente un'attenzione particolare, nella misura in cui ci occupiamo di genitorialità in particolare, non solo di natalità, è la questione che riguarda la povertà educativa, e quindi le condizioni di abbandono e di grave trascuratezza dei minori.

Noi abbiamo una rete straordinaria di famiglie affidatarie e adottive in Italia, che, però, occorre valorizzare e sostenere meglio, perché noi sappiamo che occorre dare casa e affetti a tanti minori sia in stato di abbandono morale e materiale, e qui evidentemente attraverso procedure adottive, ma anche, comunque, in condizioni di disagio, e quindi attraverso le soluzioni diverse che le famiglie affidatarie e i servizi sociali, con una straordinaria rete, oggi in Italia riescono ad assicurare. Bisogna fare, da questo punto di vista, molto di più. Noi, però, come dicevo prima, non partiamo dall'anno zero, perché - anche qui, talvolta siamo anche eccessivamente autolesionisti - quello che possiamo dire, in sostanza, è che le misure ci sono, anche se complessivamente il monte di risorse che destiniamo è inferiore a quello degli altri Paesi europei, almeno di quelli con cui possiamo fare un confronto significativo in quanto economie avanzate, ma che spendiamo in modo molto frammentato. Questo è davvero il limite più grande delle misure oggi in campo, perché, se noi facciamo il conto di quante misure oggi abbiamo a favore della natalità, non parlo della genitorialità, se mettiamo anche quelle a favore della genitorialità andiamo ancora più su, abbiamo una decina di misure, dodici, se teniamo conto anche di quelle che riguardano, in modo particolare, la genitorialità.

Misure in denaro e in servizi che, in qualche modo, costituiscono una sorta di giungla; queste misure sono state pensate e poi approvate come una sorta di stratificazione successiva, per cui il legislatore si è sempre ben guardato dal razionalizzare queste misure, così che oggi noi abbiamo, ripeto, una somma di misure tra loro anche in parte contraddittorie rispetto ai criteri di accesso e alle forme di contribuzione. Noi abbiamo, come centrosinistra, nella scorsa legislatura aumentato le risorse allo scopo di sostenere natalità e genitorialità, penso al bonus bebè, al bonus mamma, al bonus nido, al bonus baby-sitter, ma anche a misure che sostengono la donna lavoratrice, l'estensione dell'indennità di maternità alle lavoratrici iscritte alla gestione separata dell'INPS, l'aumento dei giorni di congedo obbligatorio per i padri, l'emanazione del decreto legislativo per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e altri. Quindi, ci sono stati sforzi importanti in questa direzione, la tutela delle atlete non professioniste per garantire anche per loro la copertura della maternità. Bene, queste misure sono tutte importanti, ma almeno alcune, quelle di tipo economico e relative all'incentivo per la fruizione di servizi, dovrebbero essere, a nostro parere, oggetto di una profonda rivisitazione, e ora ci arriverò, non prima di avere evidenziato cosa ha fatto in quest'anno il Governo Lega-5 Stelle.

Noi non possiamo che prendere atto - ma, ripeto, in questo caso non c'è nessuna polemica - di come al momento - ma ci auguriamo, e nella conclusione lo dirò, che questo momento possa essere superato - si tratti di misure di poco significato, sostanzialmente di conferma di ciò che finora era stato fatto anche nella scorsa legislatura. Tra le cose che vogliamo sottolineare, in difformità dagli annunci roboanti che sia il Vicepremier Salvini sia il Vicepremier Di Maio avevano annunciato, perché l'uno aveva detto “riempiremo le culle”, l'altro aveva detto “introdurremo il quoziente familiare”, eccetera, eccetera, ma sappiamo che, in campagna elettorale, chi ne ha di sparate più ne mette, al di là delle promesse, ripeto, noi abbiamo visto molto poco. Non sono state ridotte le risorse, ma non sono certamente state aggiunte e, soprattutto, abbiamo anche visto una certa insensibilità su alcuni provvedimenti.

Tra tutti, il provvedimento più importante che avete approvato è il reddito di cittadinanza e lì dentro vi è una misura paradossale, ossia la scala di equivalenza, che misura il grado di sensibilità del Governo e del Parlamento in riferimento alle famiglie numerose, addirittura si ferma laddove un nucleo familiare abbia tre figli; se ne ha quattro, cinque o sei la cifra è la stessa. Questo la dice lunga, secondo noi, finora - ripeto, saremo ben contenti di essere smentiti - sulla sensibilità che questo Governo e questa maggioranza hanno dedicato al tema. E, allora, arriviamo alle nostre proposte: ce n'è una, in particolare, che abbiamo depositato a luglio dello scorso anno, firmata alla Camera e al Senato in un testo identico dalla gran parte dei colleghi, che propone l'istituzione dell'assegno unico e della dote unica per i figli.

Questa proposta parte dalla consapevolezza che prima ho illustrato: vi sono troppe misure, non solo quelle introdotte nell'ultima legislatura, ma quelle più significative anche dal punto di vista delle dotazioni, assegni familiari, detrazioni per figli a carico, assegni per il terzo figlio in particolare. Sono misure, almeno le prime due, che determinano un effetto paradossalmente orientato a favorire chi sta meglio e a penalizzare chi sta peggio; quindi, un effetto non progressivo, ma esattamente al contrario, regressivo, che va a danno dei nuclei poveri, perché noi sappiamo che i nuclei familiari poveri spesso non arrivano ad avere le detrazioni per figli a carico e, se ottengono redditi diversi dal lavoro dipendente, non hanno neanche la possibilità di avere l'assegno familiare.

Vi sono tante altre contraddizioni, ma bastano queste due contraddizioni per rendersi conto di quanto sia assurdo il sistema oggi messo in campo e di come sia necessario mettervi mano. Un altro limite assolutamente evidente è il fatto che non vi è una continuità nell'erogazione di queste misure, che possono essere perse se, per esempio, si perde il lavoro o si ha una caduta nel reddito che poi viene dichiarato. Per cui, una famiglia che vuole mettere al mondo più figli o, magari, anche una madre che si domanda rispetto a una maternità indesiderata certamente non è incentivata dal fatto che non possa contare su una continuità nell'erogazione di sostegni da parte dello Stato.

Ecco, allora, che occorre – questa è la proposta – una misura in denaro e una in servizi che, almeno quella in denaro, abbia tre caratteristiche: quella della semplicità e che quindi assorba tutte le misure oggi in campo e comunichi una cifra, che naturalmente dovrà essere ridotta nel caso di redditi alti in particolare, ma che abbia il pregio appunto della semplicità, una cifra uguale per ogni figlio, con un importo certo che venga dato ogni mese; una seconda caratteristica è quella dell'equità, per cui non potranno più esservi, come oggi, situazioni paradossali, dove chi è più povero beneficia di meno risorse rispetto a chi, invece, sta meglio e, quindi, la stessa cifra per tutti, salvo quelli che stanno molto bene e che possono anche farne a meno; il terzo principio è quello della continuità, una misura che possa essere data con continuità dalla nascita, noi diciamo dal settimo mese di gravidanza, fino alla maggiore età e, poi, una cifra inferiore qualora ancora il figlio sia a carico fino ai 26 anni.

La dote unica ha la stessa caratteristica, cioè l'assorbimento delle tante misure oggi in campo per nidi, piuttosto che per baby-sitter, che possa consentire, soprattutto nel periodo 0-3 anni di avere una disponibilità certa su carta servizi da poter spendere o per l'acquisto di servizi o per servizi offerti sul territorio, oppure offerti al domicilio, con un meccanismo di controllo e anche di emersione del tanto nero che in queste attività, in questo settore viene ancora, purtroppo, registrato.

Ecco, quindi, questo è il nostro impegno più importante, che consegniamo al Parlamento e consegniamo al Ministro, che ringrazio per l'attenzione che vuole dedicare, che vorrà dedicare alla nostra proposta, ma ci sono almeno altri quattro assi su cui dobbiamo lavorare. C'è l'asse del potenziamento dei servizi per la prima infanzia e per l'infanzia, perché anche i servizi per l'infanzia, purtroppo, pur essendo un diritto per tutti i bambini, non sempre onestamente sono garantiti o sono garantiti soprattutto con una continuità che, invece, è necessaria, con continuità e anche con equità, penso alle polemiche, assurde, che sono state fatte con riferimento al diritto di tutti i bambini di poter fruire della mensa presso le scuole materne. Quindi, occorre garantire l'accesso alle mense scolastiche a tutti i bambini e rafforzare la lotta alla povertà educativa; e questo è il secondo asse su cui occorre lavorare; naturalmente, la dote unica per servizi, di cui prima vi ho parlato, darebbe un contributo fondamentale per lo sviluppo di questa rete. Un terzo asse di azione riguarda l'occupazione femminile; ci sono molte misure, che prima ho citato, che vanno esattamente in questa direzione, ma c'è da lavorare soprattutto, l'ho già detto, sulle sfide che riguardano le donne che mettono al mondo un figlio e che vogliono tornare a lavorare; occorre quindi, in modo particolare, garantire che, dopo il congedo di maternità, vi siano misure, pensiamo a detassazioni, per sostenere il reddito delle donne al rientro dopo il congedo parentale o incentivi fiscali, perché le imprese, come purtroppo talvolta succede, non adottino uno strisciante atteggiamento di mobbing verso le donne. Una quarta misura riguarda le politiche per la casa, perché queste debbono tener conto dei carichi familiari e, quindi, è una sfida tutta nuova quella che abbiamo di fronte: politiche per la casa, fatte anche in modo diverso, ma con questo sguardo particolare ai nuclei familiari e ai carichi familiari numerosi. E una quinta misura, non meno importante, riguarda la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, perché sia il padre che la madre possano, più di quanto oggi sia possibile, e non solo nei primi anni di vita, poter tenere insieme le esigenze professionali con quelle di cura e di educazione dei figli.

Ecco, concludo con un appello, perché al di là delle posizioni diverse che su molte questioni, in questo Parlamento, registriamo, noi pensiamo che ci possa essere un unanime e corale sforzo per fare in modo che questa sfida della natalità possa unire il Parlamento, possa unire le forze politiche, perché questo è un tema prioritario, ed è un tema condiviso. Facciamo in modo che, almeno su questo tema, ci sia una responsabilità comune (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Stefania Mammì. Ne ha facoltà.

STEFANIA MAMMI' (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, il tema che oggi affrontiamo è un tema molto importante e trasversale che, con questa mozione, vogliamo portare finalmente all'attenzione di tutte le forze politiche, non perché il Governo non stia già promuovendo azioni mirate, ma perché la famiglia e la natalità devono essere poste al centro della discussione politica del nostro Paese. Riteniamo sia necessario continuare a lavorare per attivare azioni concrete per migliorare la vita delle persone e, quindi, dare una spinta ad un trend di nascite che, a oggi, risulta tristemente negativo. Oggi, parliamo di famiglia, parliamo delle difficoltà di chi decide di costruirne una e degli ostacoli che quotidianamente affrontano milioni di persone nel nostro Paese. Ed è da qui che vorrei partire, da una fotografia del nostro tempo che ci racconti del processo di trasformazione che le famiglie in Italia hanno vissuto nel tempo. Vorrei partire dai dati, che ci parlano chiaro e che chiedono di rimettere, in maniera decisa, la famiglia al centro dell'agenda politica del Paese.

Il processo di trasformazione delle strutture familiari che ha interessato l'Italia negli ultimi decenni continua a far registrare una crescita del numero di famiglie, che negli ultimi vent'anni sono passate da 21 a 25 milioni, alla quale corrisponde, però, una progressiva riduzione della dimensione familiare, un aumento delle famiglie unipersonali e, conseguentemente, una contrazione di quelle numerose. È un processo che investe tutto il territorio, senza distinzioni, e colpisce anche quelle regioni che un tempo si caratterizzavano per una composizione numerosa del nucleo familiare. Dai dati Istat emerge preoccupazione; ci troviamo di fronte a un Paese afflitto dal grave problema della bassa natalità. Il tasso di fecondità scende ancora, posizionando l'Italia, insieme alla Spagna, al primo posto tra i Paesi con la più bassa fecondità dell'Unione Europea, mentre la Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico negativo, grazie a interventi mirati a considerare la famiglia parte integrante dello Stato, è il Paese più prolifico.

Il continuo aumento dell'età più avanzata e il costante calo della natalità contraddistinguono l'Italia come uno dei Paesi più vecchi al mondo. Di fronte a questa situazione non possiamo non chiederci quali siano le cause di un calo delle nascite così forte e per darci una risposta dobbiamo necessariamente considerare le condizioni in cui vivono i giovani e le famiglie. Anche in questo caso, ci aiutano i dati a comprendere meglio e in maniera efficace che cosa accade nel nostro Paese: l'Italia è anche un Paese povero; nel 2017 si stimano 1 milione 778 mila famiglie in condizioni di povertà assoluta. La diminuzione del numero dei bambini iscritti agli asili nido è correlabile non solo a un calo delle nascite, ma anche alla mancanza di risorse adeguate per sostenere le rette. I genitori molto spesso non hanno un parente a cui affidare il bambino, si lamentano degli elevati costi del nido e delle baby-sitter e molti di loro si dimettono dal lavoro per mancata concessione del part time. Tutta questa situazione, spesso, rischia di gravare sulle spalle delle donne, ancora penalizzate sul lavoro e, in alcuni casi, possiamo parlare di una vera e propria discriminazione. Si stima, infatti, che quasi una madre su quattro, a distanza di due anni dalla nascita del figlio, non abbia un lavoro, e questo è gravissimo. Ne consegue che ci sono sempre più donne che rinunciano al lavoro per la maternità o che rinunciano alla maternità per il lavoro; nessuna donna deve essere costretta – e, ripeto, costretta – a scegliere tra carriera, lavoro e famiglia e nessun uomo o donna deve pensare di non poter avere un figlio perché mancano servizi fondamentali.

Questi elementi fotografano l'urgenza di risposte rapide e concrete, molte delle quali sono già state date da questo Governo, perché il principio che vogliamo portare avanti in questa, come in altre battaglie, è che lo Stato c'è, esiste ed è per tutti i cittadini, non ti abbandona se perdi il lavoro, se sei disabile e neanche se decidi di mettere su famiglia, anzi, non ti lascia solo in nessun caso.

Abbiamo il dovere di dare delle risposte ai cittadini; il nostro gruppo è accanto alle famiglie e vuole incentivare la natalità sia attraverso aiuti economici, sia attraverso agevolazioni fiscali. I servizi rivolti alla prima infanzia rappresentano una misura di sostegno fondamentale e dovrebbero essere garantiti a tutte le famiglie per almeno cinque giorni alla settimana e almeno sei ore al giorno, per un periodo di almeno dieci mesi l'anno.

Si registra anche una sensibile diminuzione dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari per l'assistenza ai minori, ai disabili, agli anziani, ai cittadini in situazioni di indigenza, disagio o abbandono. I dati statistici confermano che il calo demografico e la difficoltà nel costruire nuclei familiari siano correlabili principalmente alla carenza di adeguate risorse economiche, di idonei servizi all'infanzia ed a supporto delle famiglie, nonché di politiche efficaci per le pari opportunità tra uomini e donne. Abbiamo constatato che l'aumento dell'occupazione nel 2017 ha riguardato in maggior misura le donne, ma il tasso di disoccupazione femminile resta sempre più elevato rispetto agli uomini. La carenza di lavoro stabile, in particolare per le donne a causa di pregiudizi e discriminazioni di genere, ed il tardivo inserimento nel mondo del lavoro, sono tutte cause del procrastinarsi della maternità.

Nel nostro Paese il lavoro, non solo nel privato ma anche nel settore della pubblica amministrazione, è strutturato in un modo che non tiene conto delle esigenze familiari: la crisi economica senza dubbio mette a dura prova le famiglie italiane e scoraggia i giovani che vorrebbero mettere su famiglia. Dei passi importanti sono già stati fatti: abbiamo iniziato ad implementare delle misure a sostegno delle persone in difficoltà, come il reddito e la pensione di cittadinanza, che rappresentano un sostegno concreto alle famiglie più fragili, che finalmente possono vivere dignitosamente la loro dimensione relazionale, sociale e culturale.

Con questa mozione impegniamo il Governo a proseguire nella difficile opera di promozione e adozione di misure idonee al sostegno delle famiglie e della natalità; chiediamo di promuovere politiche di sostegno alla genitorialità, ad esempio attraverso il supporto ai servizi integrativi ed innovativi: come il nido di famiglia gestito dalla mamma di giorno, che accudisce ed educa presso la propria abitazione bambini dai 0 ai 6 anni. Questo anche al fine di valorizzare il contributo delle donne alla vita economica e sociale del Paese, promuovendo l'autoimprenditorialità in quei soggetti che, proprio in virtù di quella scelta di diventare madri, verrebbero emarginati dal mondo del lavoro. Riteniamo sia davvero importante assumere iniziative per uniformare la disciplina relativa alla tutela della genitorialità per le lavoratrici ed i lavoratori autonomi che non risultino iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria, nonché per le lavoratrici iscritte ad una gestione INPS prevista per i lavoratori autonomi. Dobbiamo obbligatoriamente risolvere il problema dell'occupazione femminile e, per farlo, occorre concentrare l'attenzione sul tema della conciliazione tra famiglia e lavoro, per agevolare e favorire l'ingresso delle donne in ogni settore ed auspicare una piena affermazione del ruolo che esse possono svolgere.

L'industria 4.0 e la digitalizzazione sono occasioni per superare la disparità di genere nel mondo del lavoro, perché offrono un'opportunità di flessibilità permettendo di redistribuire e conciliare meglio i tempi di vita, carriera e lavoro. Sarebbe necessario prevedere incentivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato le donne, nonché incentivi fiscali per aumentare l'occupazione delle donne dopo la maternità e politiche di detassazione per sostenere il reddito dei genitori al rientro dopo il congedo di maternità o paternità. Chiediamo al Governo di intervenire sul congedo parentale al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una maggiore condivisione dei compiti di cura all'interno della coppia e della famiglia. La mozione impone una riflessione sul ruolo dei consultori familiari, luoghi privilegiati per il sostegno della paternità e della maternità, delle responsabilità genitoriali e per l'assistenza alle famiglie fragili: secondo noi un loro potenziamento appare necessario al fine di assicurare in tutto il territorio nazionale presidi di sostegno e tutela alle famiglie. Sosteniamo la necessità di promuovere all'interno dei consultori familiari ogni iniziativa, anche di sostegno psicologico, in grado di aiutare la coppia e le mamme sin dai primi momenti del concepimento.

Concludo, Presidente, ma volevo specificare che noi sappiamo che si può e si deve fare di più per sostenere le famiglie, le coppie, le donne e la natalità, ma sono convinta che il Governo ha intrapreso la giusta direzione per arrivare al traguardo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Michela Rostan. Ne ha facoltà.

MICHELA ROSTAN (LEU). Presidente, la nostra Carta costituzionale dedica alla famiglia tre articoli, 29, 30 e 31; essi però, come tutte le disposizioni della Costituzione, vanno letti dentro il disegno unico ed unitario che ha la nostra Carta fondamentale. Non esiste lettura e non esiste interpretazione di questi articoli senza un'adeguata correlazione degli stessi con l'articolo 2, per esempio, che riconosce i diritti inviolabili della persona, da sola e nelle formazioni sociali in cui si aggrega; e con gli articoli sull'uguaglianza e sull'autonomia. L'idea di società che disegna la nostra Costituzione è indubbiamente centrata sulla persona, sui suoi diritti, sui suoi doveri, sulle sue libertà e sulla sua dignità sociale: questo è un punto che va chiarito, quando si partecipa oggi ad una discussione sulla famiglia, con tutto quello che ormai questa parola apre in termini di interpretazione e di visioni politiche.

L'articolo 29 ci parla di riconoscimento dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio: il riferimento al matrimonio come vincolo su cui si fonda la famiglia è chiaro, ma sull'aggettivo “naturale” si discute ad esempio spesso. È naturale il desiderio di due persone che si cercano e si uniscono per amore e decidono di condividere la vita? La Costituzione sembra dirci di sì, c'è un elemento naturale, primordiale negli esseri umani che li spinge a cercarsi e ad unirsi: naturale quindi come istinto della persona. In nessuna parte si intende, nella Carta costituzionale, il riferimento a “naturale” come all'unione di un uomo e di una donna, che, per alcuni invece, andando contro non solo alla modernità ma perfino all'antichità, è l'unico modello possibile. Il vincolo naturale dunque è quello delle persone che si scelgono e costruiscono una società affettiva, che poi altro non è che la proiezione, in chiave privata, del bisogno dell'uomo di costruire comunità, di aggregarsi ad altre persone.

All'articolo 30 la Costituzione fissa poi i diritti e i doveri dei genitori, quindi delinea un quadro di principi che va oltre l'incontro fra due persone, le quali formano un nucleo familiare anche senza i figli. Quello che conta tuttavia è notare la trasformazione, la dinamica: il che vuol dire che si assume come naturale la ricerca di comunità, di unione, ma il modello nel quale inserirla sente il mutamento dei tempi, apre i suoi spazi, si adatta anche alle conquiste di civiltà. La famiglia come luogo della relazione, come base della formazione, come naturale sviluppo della persona negli affetti e nella solidarietà.

Le polemiche attuali sulla famiglia non sono una novità di questo momento politico: è un tema storico che viene dal passato, anche nel linguaggio, anche nella durezza della contrapposizione. Sarebbe istruttivo ed utile per tutti andare a rileggere, magari a ripubblicare i verbali della Costituente: ci accorgeremmo che, anche dentro il pensiero cattolico, anche dentro la DC convivevano almeno tre ispirazioni differenti. Quella dell'onorevole La Pira, per esempio, diversa da quella dell'onorevole Dossetti, a loro volta entrambe differenti dalle posizioni di Aldo Moro; e parliamo di tre cattolici di straordinaria caratura intellettuale e rigore morale, tre studiosi, tre esempi anche nelle loro vite personali: cioè gente che predicava bene e razzolava bene, a differenza di molti politici di tempi più recenti. La formulazione della Costituzione è dunque evidentemente frutto di una mediazione, e quindi tende a tenere dentro anche punti di vista non proprio omogenei, dentro quella faticosa intesa fra culture differenti che non sempre è stata agevole. Ma l'impianto mette alla base di tutto due elementi, che sono la persona e la reciprocità; e fissa la parità dei diritti, guarda all'articolo 2 sulla persona, all'articolo 3 sull'uguaglianza, e carica sulla Repubblica compiti significativi di presa in carico.

L'articolo 31 infatti è probabilmente quello più importante, lo si è ricordato anche negli interventi precedenti; ed è anche quello che ci chiama in causa, che chiama in causa le istituzioni e la politica: spetta alla Repubblica il compito di provvedere alla tutela della famiglia sotto il profilo economico. Il riferimento alle misure economiche e ad altre provvidenze è esplicito: non è un'adozione morale, non è il compito di indicare come si è famiglia, ma il compito di agevolarla economicamente, nelle difficoltà, proteggendo così in modo particolare i figli, cioè infanzia e gioventù che sono il cuore del futuro dell'umanità.

Il punto dei figli mi sembra cruciale: giustamente la Carta costituzionale se ne fa carico come sguardo sul futuro, come visione di società.

Noi sappiamo di avere come Paese, ma anche come Occidente, una grande questione sulla natalità: la popolazione italiana continua ad invecchiare, le nascite sono sempre di meno, al 1° gennaio 2019 sono 60 milioni 391 mila i residenti in Italia, sono quasi 100 mila in meno rispetto all'anno precedente; nel 2018, sono state appena 449 mila le nascite, 9 mila in meno del 2017, che aveva rappresentato già un minimo storico. Negli ultimi dieci anni c'è stata una flessione di 128 mila nascite: un processo lungo nel tempo, radicato, che riguarda anche una tendenza alla maternità che viene spostata sempre più in avanti come età anagrafica: l'età media del primo parto tocca per la prima volta la soglia dei 32 anni. Cala anche la fecondità misurata: le donne nate nel 1940 facevano, mediamente, 2,16 figli ciascuna, quelle nate nel 1968, 1,53 figli, attualmente la media è 1,32. Non bisogna certamente essere esperti di matematica per capire che queste percentuali ci destinano alla scomparsa; sono numeri molto importanti: gli esperti parlano di inverno demografico.

L'azione politica interpella tutto il sistema Paese: non bastano certamente campagne di sensibilizzazione o stupide crociate antistoriche; è una questione strutturale del Paese, che chiede di essere messa al centro di molte scelte, scelte dell'economia, del lavoro, della previdenza, dei tempi di vita, del welfare, dei servizi. Secondo i dati Eurostat, l'Unione europea ha contato poco più di 5 milioni di nuovi nati nel 2016, a fronte dei circa 7 milioni del 1970. Nessuno degli Stati dell'Unione europea sembra in grado di rimpiazzare la sua popolazione nel saldo fra nati e deceduti: tutti i tassi sono al di sotto della quota di 2 figli per donna; il tasso medio europeo è di 1,60.

Meno nati, età media che si allunga, popolazioni meno numerose: un destino di invecchiamento e spopolamento a cui dobbiamo immaginare rimedi e politiche dedicate. “La popolazione” - dice il professore Alessandro Rosina - “è come un organismo che per crescere ha bisogno di essere alimentato. A sostenerla sono le nascite e gli arrivi dall'estero”. È sciocco mettere in contrapposizione le une e le altre, è necessario spingere sulla natalità, ma anche sulle politiche di accoglienza. Sono due pilastri del mondo moderno, dei Paesi occidentali, che vanno, ovviamente, gestiti con politiche mirate. È evidente che in un Paese che non fa figli c'è una crisi di fiducia nel futuro: non si scommette sul domani, si ha paura, si ha timore, tant'è vero che alla bassa natalità dei giovani italiani si abbina anche l'emigrazione degli stessi verso altri Paesi, verso altre destinazioni. Non facciamo figli, i giovani se ne vanno, non sappiamo integrare gli immigrati.

La natalità, anche nell'ottica dell'articolo 31 della Costituzione, si sostiene se si recupera nelle persone e, mi permetto di dire, nelle donne in modo particolare, la fiducia nel futuro, la sensazione di potercela fare, la certezza di non dover rinunciare alla propria realizzazione personale, di non perdere il lavoro dopo un figlio, per esempio, come accade ancora a cinquantasette donne su cento o a non subire tagli al salario dopo un parto, come avviene a due donne su dieci. L'Istat ci dice che, nell'anno scolastico 2016-2017, sono stati censiti sul territorio nazionale 13.147 servizi socio-educativi per l'infanzia. I posti autorizzati al funzionamento sono circa 354 mila, sono pubblici in poco più della metà dei casi, e i posti disponibili, complessivamente, coprono solo il 24 per cento del potenziale bacino di utenza, bambini residenti sotto i tre anni: significa che tre quarti dei bambini sono senza servizi per l'infanzia. L'Unione Europea aveva fissato tale parametro al 33 per cento. Non solo questo dato sconfortante, ma anche l'estrema frammentazione sul territorio nazionale conta, incide: in Valle d'Aosta si copre quasi il 50 per cento dell'utenza, in Campania il 7.

Ma non sono solo i servizi l'unico problema: a volte, dove questi non arrivano e dove non ci sono, esistono i sostegni economici, ad esempio. Il database dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ci dice che i Paesi occidentali spendono il 2,55 per cento del PIL in aiuti alle famiglie. L'Italia, anche qui, è sotto la media: non arriva neppure al 2 per cento. Anche il sistema dei congedi parentali ci trova profondamente penalizzati nel confronto con l'estero: nei Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico le madri possono godere di 54,1 settimane tra congedo di maternità obbligatorio e congedo parentale facoltativo, a fronte delle 47,7 italiane. La distanza si allarga se si considera il congedo riservato ai padri degli altri Paesi, vero cardine della parità: in Italia, un massimo di tre giorni, contro le 8,2 settimane della media. E allora, quello che ci preme sottolineare è che la cura della famiglia non è compito esclusivo della madre, non può essere un compito esclusivo della madre, ma non finisce qui. Laddove in Italia il welfare alternativo sono i nonni, in gran parte dei Paesi occidentali funzionano gli asili nido, i servizi per l'infanzia, l'accesso alla formazione prescolastica. Dal Governo in carica, spiace dirlo, non è arrivato nulla su questi temi, anzi, alcune misure comunque parziali, insufficienti, come il voucher di 600 euro mensili per sei mesi per servizi di baby-sitting alle mamme che rinunciavano ad una parte del congedo non è stato rinnovato dall'ultima legge di bilancio. Altre misure restano, come il “bonus nido” e il “bonus bebè”, ma, come detto, si inseriscono nel quadro di un'assenza totale di politiche mirate: sono aiuti scollegati da una visione, da una strategia e vengono, come detto, anche cancellati.

Noi pensiamo che serva tutt'altro: un vero piano di welfare per la persona, per la sua dignità, per la famiglia, per la natalità. Liberi e Uguali, a questo proposito, con la prima firma di Laura Boldrini, porta all'attenzione della Camera un'articolata ed esaustiva proposta di legge: il titolo è: “Misure per il sostegno della genitorialità, dell'occupazione e dell'imprenditoria femminile” e contiene anche una stringente delega al Governo per il coordinamento delle disposizioni in materia di tutela della maternità e della paternità. Un piano complessivo di servizi, di incentivi, di contributi, di interventi normativi sull'occupazione femminile, sui congedi parentali, in particolare, quelli di paternità, per il riequilibrio della cura fra i genitori. Un investimento serio e capillare sul territorio nazionale per i servizi all'infanzia, in modo da arrivare almeno a quella quota del 33 per cento fissata come obiettivo dall'Unione europea. Elementi, dunque, di un piano tutto nuovo da cui il Parlamento può partire, deve partire e che mette al centro il futuro e dia, soprattutto, elementi di speranza e progetto alle nuove generazioni.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Pini. Ne ha facoltà.

GIUDITTA PINI (PD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, oggi siamo qui a parlare di mozioni in favore della famiglia. In queste settimane si è fatto un gran parlare di famiglia e, se ci pensate, la retorica è davvero un'arma formidabile, perché addirittura, in queste mozioni, mi rivolgo soprattutto alla prima, quella a prima firma Meloni, si parla di famiglia naturale, come se fosse una cosa naturale, come se in natura esistesse, quando, ovviamente, è una cosa più complessa. Addirittura, ieri il Vicepresidente del Consiglio, durante un'intervista in televisione, ha spiegato che la famiglia naturale è mamma, papà e figlio, ma, ovviamente, non è così, la situazione è molto più complessa di così, perché se noi pensiamo a una madre single non è forse una famiglia? Un padre single non è forse una famiglia? E i genitori anziani che vivono con i figli non sono una famiglia? I single che hanno in affido dei ragazzi non sono una famiglia? Le coppie che hanno in affido qualcuno non sono una famiglia? E le coppie single non sono una famiglia? Le donne che decidono di non avere figli, eppure si sposano, non sono una famiglia? E, anche se qualcuno fa finta di non vederle, le “famiglie arcobaleno” non sono famiglie? No, le famiglie esistono, sono tante, sono diverse ed è sempre stato così, è normale che sia così.

Allora, se noi vediamo le politiche in sostegno delle famiglie, avremmo dovuto vedere qualcosa di più che non fosse solo il focus sulla denatalità: per esempio, il diritto alla casa. Siamo un Paese in cui continua a diminuire la popolazione, ce lo diciamo in ogni forma e in ogni modo, eppure continua a esserci un'enorme boom speculativo per cui è quasi impossibile avere i soldi necessari per acquistare una casa e trovare un affitto – se, poi, parliamo di Roma lasciamo perdere –; gli affitti hanno degli standard e dei livelli altissimi, nonostante, teoricamente, le case vuote continuino ad aumentare. Allora, forse, occorrerebbe seriamente interrogarsi su come fare a trovare un vero piano per le politiche abitative.

Quello che trattano soprattutto queste mozioni è la questione della denatalità, che in questo Paese è una questione molto seria: c'è in tutta Europa, nel nostro Paese particolarmente, siamo il secondo Paese più anziano del mondo e, quindi, la soffriamo ancora di più. È inutile citare il “piano Kalergi” o la cosiddetta sostituzione, perché, per chi non lo sapesse, immagino che in Aula lo sappiano tutti, è un'invenzione del 1922 di un teorico negazionista che è stata, poi, usata anche dai nazisti.

Insomma, io non lo utilizzerei: non è una questione di sostituzione etnica, è una questione un pochino più complessa. La cosa più interessante di queste mozioni sono i dati che ci sono all'inizio. I dati che ci sono all'inizio ci spiegano già dove possiamo iniziare a intuire le soluzioni. Se noi vediamo, nel nostro Paese, le regioni e i luoghi in cui si fanno più figli, sono le regioni e i luoghi in cui le donne lavorano di più, in cui c'è più accesso ai servizi e in cui sono più riconosciuti i diritti. Quindi, la teoria secondo la quale per avere una famiglia più felice, un popolo italico più sano, è necessario rinunciare e stritolare i diritti di alcuni, è semplicemente falsa e, per fortuna, non lo dico io ma lo dicono i dati.

Allora, capiamo un attimo insieme come fare per fare in modo che quelli che adesso hanno la mia età, che sono più giovani o un pochino più anziani, possano avere la possibilità, se vogliono, di fare figli; questo non è un dovere che lo Stato può imporre, ovviamente, bensì una scelta delle famiglie. Vedo che oggi in Aula il Governo è composto solo da uomini, ma si sa che se sei una donna - chiunque di noi ha fatto un colloquio di lavoro - una delle prime cose che chiedono è se si ha intenzione di sposarsi o di rimanere incinta; questo, ovviamente, non è perché si vuole fare un complimento o si vuol fare un augurio di una vita felice alla donna, ma perché in quel caso, spesso e volentieri, la domanda viene accantonata. Immaginiamoci, quindi, se passasse la teoria del bonus per le donne fertili nelle aziende: non ci voglio nemmeno pensare.

Allora, per esempio, uno dei problemi che c'è in questo Paese, più che in altri Paesi d'Europa, è il gender pay gap, che tradotto in italiano significa semplicemente che le donne vengono pagate in media il 20 per cento in meno degli uomini, a parità di mansione. Questo accade non perché c'è stato un qualcosa di terribile, un piano Kalergi, la sostituzione o l'Europa: no. È solo una scelta degli imprenditori e delle aziende italiane, che scelgono di far scontare sullo stipendio della donna il fatto che può darsi che vada in maternità. Quindi, una delle cose da fare è subito iniziare a discutere per capire come fare per abbattere quel gender pay gap.

Vediamo che siamo uno dei Paesi più anziani del mondo, vediamo che siamo uno dei Paesi che fanno meno figli al mondo, ma vediamo che a pagina 23 del famoso - anzi direi famigerato - contratto di Governo c'era la proposta, anzi l'impegno solenne davanti a questo contratto, di mettere gli asili nido gratis. Guardiamo, allora, a ciò che è stato fatto in questa finanziaria, cioè sono stati raccolti tutti i soldi - laddove c'erano - e sono stati messi, per esempio, 4 miliardi per fare andare in pensione della gente prima: per carità, ci mancherebbe altro, ma quei 4 miliardi sono stati scelti per fare quella cosa.

Con riferimento, poi, ai soldi per aumentare o per dare un incentivo alle donne per la natalità, per esempio, una delle grandi proposte che sono state approvate è stata quella che, dal terzo figlio - udite udite - vi potrà essere dato un terreno demaniale dismesso nel Meridione d'Italia in omaggio. Allora, io vi propongo qui - non so se c'è nella mozione del Partito Democratico - chiederò che venga aggiunto un passaggio ulteriore: al quarto figlio, almeno dateci anche un trattore così riusciamo a coltivarlo questo campo!

Andiamo avanti e vediamo un pochino che cosa si può fare. Che cosa si può fare - lo ripeto - ce lo dicono i dati: lo dicono i dati dell'INPS, lo dicono i dati dell'INAIL, lo dicono i dati dell'ISTAT. Quello che dobbiamo fare è cercare di fare in modo che le persone non abbiano uno stipendio per il fatto che fanno figli; quello che dobbiamo fare è che le persone abbiano il diritto di potersi creare una famiglia e un futuro con chi vogliono e avere la serenità di poter decidere di fare dei figli. Quindi, una proposta che, se venisse introdotta, sicuramente ci vedrebbe assolutamente favorevoli è quella di aumentare i soldi a disposizione delle regioni e dei comuni per gli asili nido, per fare in modo che le rette siano meno care, se non addirittura - perché no - gratuite; d'altronde, abbiamo trovato 4 miliardi per quota 100 e credo che qualche soldo per gli asili nido si possa trovare.

Dobbiamo fare in modo, come abbiamo iniziato a fare nella scorsa legislatura, che i diritti, per esempio il diritto alla maternità, possano essere estesi anche ai lavoratori con partita Iva e ai lavoratori autonomi; abbiamo cercato di inserirli, non è stato facile, ma è una cosa che diciamo va sicuramente fatta.

Un'altra cosa che possiamo fare, per esempio, è applicare per una volta quello che ci dice l'Europa, cioè il famoso congedo di paternità, che non deve essere solo di cinque giorni da usare nei cinque mesi successivi, ma deve essere - come l'Europa ci propone - di quattro mesi. Dico di più: questi quattro mesi devono essere un momento che deve seguire subito dopo il parto, oppure, se è d'accordo la madre, i quattro mesi successivi al parto, perché è importante che anche i padri abbiano gli stessi doveri, oltre che i diritti, delle madri. Questo, forse, aiuterebbe – speriamo - a non avere quella fastidiosissima domanda durante i colloqui di lavoro. Speriamo che, qualora inserissimo questo congedo di paternità, non ci sia la cosa automatica che calano del 20 per cento gli stipendi anche agli uomini. Infatti, uno degli altri problemi che abbiamo in questo Paese è che i salari sono fermi da dieci anni e non è colpa di un Governo piuttosto che di un altro, ma è un problema - anche questo - strutturale del Paese. Se uno non ha i soldi per potersi pagare l'affitto o per poter fare un progetto per il futuro, non è facile pensare di fare addirittura una famiglia.

Poi, un'altra cosa che è importante - perché, come dicevamo prima, la famiglia naturale non esiste e noi stiamo per la famiglia più frizzante - è il fatto di avere anche un sostegno più strutturale, per esempio come avevamo iniziato a fare nella scorsa legislatura, laddove non è stato fatto abbastanza, quindi mettiamoci insieme e facciamo di più - per tutto quello che è il caregiver. Il lavoro che spesso c'è in casa - per esempio, se pensiamo a persone anziane, a persone malate, figli disabili, insomma, a tutto quello che è una famiglia, che è una cosa molto più complessa e molto più grande che “mamma, papà e bambino” - è una cosa che nel nostro Paese pesa molto. Dicevamo prima - e chiudo su questo - che l'Italia è il secondo Paese al mondo per anzianità e siamo, nonostante questo, il Paese al mondo che ha meno anziani in casa di cura: perché? Perché i nostri anziani stanno a casa con qualcuno: o qualche parente che li accudisce, o una badante che pensa a loro, tra l'altro non sempre con contratto regolare.

Allora, noi dobbiamo pensare anche a questo, perché anche ciò è famiglia e anche quella è una cosa importante, in quanto su tutto questo si basa anche il futuro delle prossime generazioni. Sapere che lo Stato può dare una mano alle famiglie che hanno necessità è una cosa che sicuramente aiuterà anche chi adesso ha più paura di fare un figlio a farlo in futuro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente?

LORENZO FONTANA, Ministro per la Famiglia e le disabilità. Giusto un minuto per ringraziare l'Aula per le varie mozioni. Io ancora non le ho tutte, ma ho potuto dare una lettura - ovviamente superficiale - e devo dire che ci sono molti spunti interessanti.

Io sono anche convinto, vista la sensibilità che c'è su alcune tematiche - che mi sembra ci sia da parte di tutti i gruppi politici - che si possa fare un lavoro unitario. Ribadisco quello che è stato detto in alcuni degli interventi, sia da parte della maggioranza, sia da parte dell'opposizione. Purtroppo, il calo demografico è una cosa che andrà comunque ad incidere sul futuro di questo Paese, che andrà ad incidere su tutto il sistema sociale, che andrà ad incidere sulla struttura del Paese, che se non riuscirà a mettere mano a delle politiche affinché vi siano dei nuovi nati, affinché vi siano delle famiglie che possano comunque avere un aumento di quella che è la natalità, si troverà veramente di fronte a seri problemi, non solo da un punto di vista generazionale ma anche da un punto di vista economico.

Quindi, credo che, comunque, sia stato importante questo dibattito e credo anche che sia importante la collaborazione da parte dei vari gruppi politici per tentare di venire fuori da uno dei problemi che, a mio modo di vedere, sarà uno dei problemi fondamentali per il futuro di questo Paese. Quindi, vi ringrazio degli spunti di queste mozioni e, a mio modo di vedere, dobbiamo cercare di lavorare assieme per vedere se intanto si riesce a fare già una cosa unica, ma, al di là di questo, se non si riuscisse a fare una cosa unica, lavorare assieme perché penso che sia una tematica delle più importanti che dovremo affrontare nel prossimo futuro. Quindi, grazie all'Aula.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica (ore 16,23).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 1468-A, 1469, 1638 e 1681.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per l'esame del disegno di legge n. 1469 è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi Calendario), mentre per i disegni di legge nn. 1468-A, 1638 e 1681 è pubblicato in allegato al resoconto stenografico della seduta del 4 aprile 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 4 aprile 2019).

Discussione del disegno di legge di ratifica: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione in materia di difesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Niger, fatto a Roma il 26 settembre 2017 (A.C. 1468-A) (ore 16,24).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1486-A: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione in materia di difesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Niger, fatto a Roma il 26 settembre 2017.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1468-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Santi Cappellani.

SANTI CAPPELLANI, Relatore. Presidente, l'Accordo in esame delinea la cornice giuridica per la disciplina di forme strutturate di cooperazione tra Italia e Niger nel settore della difesa, per il consolidamento di complessive capacità difensive rispetto a sfide di interesse comune nella regione del Sahel, in riferimento innanzitutto al terrorismo di matrice jihadista, a traffici illegali e, in particolare, al traffico di esseri umani. Come è noto, in Niger, dopo un periodo di instabilità e fragilità istituzionale, a partire dalle elezioni presidenziali del 2011 ha avuto inizio un processo di stabilizzazione e di democratizzazione, che si è consolidato con le elezioni generali, presidenziali e legislative, del 2016. Il Niger, Paese in cui l'Italia ha di recente aperto una nuova ambasciata, rappresenta oggi un interlocutore riconosciuto e affidabile per l'intera comunità internazionale. È di tutta evidenza, pertanto, l'alta valenza strategica del provvedimento in esame per il nostro Paese, dimostrata anche dalla visita del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che è stata effettuata in Niger il 15 gennaio, e della stessa Ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, nel mese di febbraio. Occorre dunque rafforzare la presenza anche italiana nella regione, affiancando al sostegno economico, dunque al piano di investimenti europeo, che è pari a 8 miliardi di euro, e all'aiuto allo sviluppo, la cooperazione su un piano militare, al fine di prevenire rischi di ulteriori destabilizzazioni. Vale la pena di richiamare, come d'altronde pare pure emerso nel corso dell'esame presso la III Commissione, che il negoziato sull'Accordo fu avviato nel 2007 dal Ministro della difesa pro tempore Arturo Parisi, e firmato nel 2017 dall'allora Ministra della difesa Roberta Pinotti. Tale circostanza evidenzia in buona sostanza la linea di continuità politica che sostiene il consolidamento della cooperazione militare con il Niger.

Venendo sinteticamente ai contenuti dell'Accordo, la responsabilità dell'elaborazione dei piani annuali e pluriennali e dell'organizzazione delle attività delle cooperazioni negli ambiti della difesa, che avverrà secondo modalità già adottate in analoghi precedenti accordi, viene attribuita ai Ministeri della difesa di Italia e Niger. Lo sviluppo delle attività di cooperazione è subordinato alla disponibilità finanziaria delle parti, che sosterranno ciascuna le spese di propria competenza. Alla luce di quanto fin qui esposto, auspico una valutazione favorevole sul provvedimento da parte dell'Aula e una conseguente rapida approvazione.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo che si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

È iscritto a parlare il deputato Salvatore Deidda. Ne ha facoltà.

SALVATORE DEIDDA (FDI). Presidente, intervengo brevemente, perché noi abbiamo votato anche favorevolmente alle missioni internazionali, al decreto, però per lamentare, per esempio, che non è ancora giunto alla nostra attenzione il decreto sul rifinanziamento delle missioni all'estero dei nostri militari, e siamo in attesa di capire se ci saranno cambiamenti o no del contingente dei nostri soldati, dei nostri militari per questa missione e per le altre, anche perché è abbastanza importante avere la nostra presenza in Africa.

Son contento che è stato denunciato più volte, da più movimenti, quello che Giorgia Meloni ha denunciato, cioè che ci sono Paesi europei che sfruttano l'Africa, che hanno delle politiche di sovranità e speculazione monetaria che impoveriscono quei Paesi, quindi c'è bisogno che le nostre missioni e questi trattati siano accompagnati da una politica seria di investimenti, di cooperazione e di una presenza forte italiana che liberi dalla schiavitù queste popolazioni, ma che soprattutto renda anche sicuro quel continente. Concludo dicendo appunto che c'è bisogno di più finanziamenti per le Forze armate, perché se mandiamo il nostro contingente in aree dove ci sono problemi di stabilizzazione, ci sono problemi di mantenimento della pace, dobbiamo avere delle Forze armate efficienti, dobbiamo avere delle Forze armate pronte ad intervenire; e tra queste aree c'è una nazione come il Niger, dove ci sono molti problemi.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1468-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Santi Cappellani: prendo atto che rinuncia ad intervenire.

Immagino che il rappresentante del Governo non abbia intenzione di replicare, quindi il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge di ratifica: Ratifica ed esecuzione dello Scambio di Note per la proroga dell'Accordo di cooperazione nel settore della difesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Libano del 21 giugno 2004, fatto a Beirut il 25 luglio e il 16 settembre 2016 (A.C. 1469) (ore 16,28).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1469: Ratifica ed esecuzione dello Scambio di Note per la proroga dell'Accordo di cooperazione nel settore della difesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Libano del 21 giugno 2004, fatto a Beirut il 25 luglio e il 16 settembre 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1469)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Simone Billi.

SIMONE BILLI, Relatore. Illustre Presidente, colleghi deputati, l'intesa al nostro esame ha lo scopo di promulgare per ulteriori cinque anni la vigenza dell'Accordo di cooperazione con il governo libanese nel settore della difesa sottoscritto il 21 giugno del 2004, ratificato con la legge n. 126 del 2006 ed entrato in vigore, per la durata di 10 anni, a partire dal 16 settembre dello stesso anno. Il Libano, gentili signori, cari colleghi, occupa, come voi ben sapete, un'area di assoluto rilievo strategico nel cuore del Medio Oriente. I suoi equilibri politici sono spesso stati condizionati dalla conflittualità e dagli interessi geopolitici dei diversi attori dell'intera regione mediorientale. La presenza inoltre di un numero particolarmente elevato di rifugiati nel suo territorio, stimato dalle organizzazioni internazionali in oltre 1 milione, costituisce un ulteriore elemento di grande fragilità interna. Mi preme sottolineare che il nostro Paese è presente in Libano da molti anni, non solo attraverso il personale dei vari organismi della cooperazione allo sviluppo, ma anche nel quadro della missione internazionale UNIFIL, ed ha saputo guadagnarsi con la sua azione la stima ed il rispetto di tutti gli attori regionali. In particolare, l'Italia partecipa alla missione UNIFIL con un contingente di circa 1.100 militari, stanziato presso la base Millevoi, in Shama, mentre le unità di manovra e i supporti sono distaccati tra le basi di Al Mansouri e di Shama, e le basi operative avanzate lungo la zona cuscinetto israelo-libanese denominata “Linea Blu”. Dall'agosto dello scorso anno, per la quarta volta, un alto ufficiale italiano, il generale Stefano Del Col, è a capo dell'intera missione UNIFIL, nella quale operano unità di numerosi Paesi (Armenia, Brunei, Estonia, Finlandia, Ghana, Georgia, Irlanda, Malesia, Repubblica di Corea, Serbia, Slovenia e Tanzania). L'Italia è inoltre parte del gruppo internazionale di sostegno al Libano, voluto nel 2013 dal Segretario generale delle Nazioni Unite, finalizzato a consolidare la presenza nazionale nell'area al fine di capitalizzare l'impegno del nostro Paese sul fronte mediorientale incentrato nell'operazione UNIFIL, nonché di rafforzare la già proficua collaborazione nel settore addestrativo con le Forze armate libanesi, anche nell'ottica di futura acquisizione di materiali ed equipaggiamenti. Inoltre ricordo che la cooperazione nel settore della difesa e della sicurezza con il Libano, definita dall'Accordo del 2004, concerne le questioni legate al peacekeeping ed alle operazioni umanitarie in ambito ONU, l'industria per la difesa e la politica degli approvvigionamenti, l'interscambio ed il transito di materiali d'armamento, ed è finalizzata al miglioramento delle reciproche capacità militari nel campo addestrativo e tecnologico.

Venendo sinteticamente contenuti dell'intesa, essa è formata dalla Nota verbale della nostra ambasciata a Beirut, la numero 1331, che è del 25 luglio 2016, e dal riscontro positivo del Ministro degli esteri e degli immigrati della Repubblica del Libano, che è del 16 settembre 2016.

Tale strumento diplomatico prevede il rinnovo della vigenza dell'accordo del 2004 per un ulteriore periodo di cinque anni, cioè fino al 16 settembre 2021.

Inoltre, attesa la menzionata presenza significativa di militari italiani in Libano, assicura l'applicazione provvisoria, da parte libanese, di tutte le previsioni ivi inserite, in attesa del perfezionamento delle procedure di ratifica italiana.

Da ultimo, signor Presidente, è opportuno segnalare che l'attestazione dello scambio, che non comporta nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, dal momento che la legge n. 126 del 2006, che ha autorizzato la ratifica dell'Accordo originario, ha già previsto la copertura finanziaria della spesa di 12.500 euro annui, ad anni alterni, a decorrere dall'anno 2006.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che vi rinuncia.

È iscritto a parlare il deputato Salvatore Deidda. Ne ha facoltà.

SALVATORE DEIDDA (FDI). Grazie, Presidente. Intervengo con piacere perché ci lega un rapporto di amicizia con il Libano e con l'ambasciatrice, sua Eccellenza Mira Daher, e poi è un vanto per noi quanto si siano fatti apprezzare i nostri militari nelle missioni, così come ha detto il relatore, con grande apprezzamento della popolazione. Voglio ricordare che il Libano è un Paese modello, dove c'è un perfetto equilibrio tra fedi religiose e fra varie etnie e, nonostante quello che è sempre accaduto e quello che è accaduto nei Paesi circostanti, ha mantenuto una pace e un Governo di convivenza perfetta. Devo aggiungere che c'è stata una crescita democratica, nonostante l'ondata di profughi perché loro ospitano milioni di profughi palestinesi, hanno dovuto ospitare milioni di profughi siriani e si trovano in una forte difficoltà. Adesso per fortuna i profughi siriani pian piano stanno ritornando nelle loro case e stanno cercando di ritornare nelle loro case, ma il Libano ha bisogno ancora di una mano.

Oltre a questo Trattato, sarebbe auspicabile pensare a maggiori contatti, dai trasporti al commercio a tutto quello che è l'artigianato e anche l'agricoltura, per cercare uno scambio commerciale che permetta al Libano di crescere e conoscere anche l'Italia da un punto di vista non solo militare, di umanità e di capacità militari, ma anche per le nostre grandi tradizioni. Vorrei anche ricordare che il Libano è una nazione che tiene molto alle rovine romane e alla storia romana. I principali siti turistici che vengono propagandati sono di ispirazione dell'Impero romano e loro ci chiedono maggiori rapporti.

Per questo sicuramente voteremo a favore e continueremo il discorso durante le dichiarazioni di voto, ma è un rapporto che dobbiamo continuare a far crescere, perché la comunità libanese, anche di immigrati che sono venuti qui, si è bene integrata ed è un esempio di amicizia fra Italia e Libano.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1469)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, deputato Simone Billi, e il rappresentante del Governo rinunciano alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge di ratifica: S. 773 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla manipolazione di competizioni sportive, fatta a Magglingen il 18 settembre 2014 (Approvato dal Senato) (A.C. 1638) (ore 16,36).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1638: Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla manipolazione di competizioni sportive, fatta a Magglingen il 18 settembre 2014.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1638)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che le Commissioni II (Giustizia) e III (Affari esteri) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la II Commissione (Giustizia), deputato Roberto Turri.

ROBERTO TURRI, Relatore per la II Commissione. Grazie, Presidente. Io mi soffermerò sui contenuti del disegno di legge di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione della Convenzione, che si compone di sette articoli. In particolare, segnalo che gli articoli 1 e 2 del disegno di legge prevedono rispettivamente l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla manipolazione di competizioni sportive. In particolare, per quanto riguarda l'esecuzione, l'obbligo scatta a partire dalla data di entrata in vigore della Convenzione stessa, previsto nell'articolo 32, paragrafo 4, decorsi tre mesi dalla ratifica dei cinque Stati firmatari, dei quali tre membri del Consiglio d'Europa.

Gli articoli da 3 a 5 introducono disposizioni di adeguamento dell'ordinamento nazionale alle previsioni della Convenzione. Si tratta di limitati interventi relativi a: individuazione dell'autorità nazionale competente per la regolamentazione delle scommesse sportive, in attuazione dell'articolo 9 della Convenzione; la previsione della confisca penale obbligatoria, anche per equivalente, dei beni che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo di delitti di frode in competizioni sportive e/o di esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa, in attuazione dell'articolo 25 della Convenzione; la previsione della responsabilità amministrativa degli enti in caso tali reati siano commessi a loro vantaggio, in attuazione degli articoli 18 e 23 della Convenzione. Le restanti parti della Convenzione si ritiene non necessitano di adeguamento in quanto il nostro ordinamento prevede già misure di prevenzione delle frodi sportive e forme di cooperazione tra le società sportive e le autorità pubbliche e di regolamentazione e persegue penalmente le condotte di frode nelle competizioni sportive attraverso le fattispecie di reato previste dalla legge n. 401 del 1989.

Per i profili che necessitano di adeguamento, l'articolo 3 del disegno di legge dà attuazione nel nostro ordinamento all'articolo 9 della Convenzione, che invita gli Stati a identificare un'autorità responsabile per la regolamentazione delle scommesse sportive e per l'applicazione di misure di contrasto alle manipolazioni delle competizioni. L'autorità competente viene individuata, dal legislatore, nell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Si ricorda, infatti, che l'Agenzia, in veste di amministrazione dei monopoli, è garante della legalità e della sicurezza in materia di gioco e svolge funzioni di controllo sulla produzione e vendita di tabacchi, al fine di assicurare il regolare afflusso delle imposte. In particolare, nel comparto dei giochi l'Agenzia provvede alla verifica della regolarità del comportamento degli operatori e al contrasto dei fenomeni di gioco illegale.

L'articolo 4 dà, invece, attuazione all'articolo 25 della Convenzione che richiede agli Stati Parte di adottare le misure legislative necessarie a consentire il sequestro e la confisca di beni, dei documenti e degli strumenti utilizzati per commettere reati o dei profili dei reati, anche attraverso l'aggressione a beni di valore equivalente a tali profitti. A tal fine, il disegno di legge disciplina la confisca, anche per equivalente, dei beni che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato, con l'inserimento nella legge n. 401 del 1989 di un nuovo articolo 5-bis. Il provvedimento prevede che in caso di condanna o patteggiamento per uno dei delitti previsti dalla legge il giudice debba ordinare la confisca penale e, se questa non è possibile, ordinare la confisca di beni di valore equivalente a quelli che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato e di cui il reo ha la disponibilità, anche indirettamente o per interposta persona.

L'articolo 5 introduce nel decreto legislativo n. 231 del 2001 la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per reati di frode in competizioni sportive e di esercizio abusivo di giochi e scommesse, dando così attuazione all'articolo 23 della Convenzione. In particolare, il disegno di legge inserisce un nuovo articolo, 25-quaterdecies, nel catalogo di reati che costituiscono il presupposto della responsabilità amministrativa degli enti, prevedendo specifiche sanzioni pecuniarie per la commissione dei reati di frode nelle competizioni sportive e di scommesse illecite. Inoltre, il comma 2 dell'articolo 5 prevede, per la sola condanna relativa a delitti, l'applicazione delle sanzioni interdittive per l'ente, previste dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 231 del 2001.

L'articolo 6 del disegno di legge prevede che si dia attuazione alle disposizioni della legge di ratifica con le risorse disponibili a legislazione vigente, senza nuovi oneri per la finanza pubblica.

L'articolo 7, infine, prevede l'entrata in vigore della legge il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la III Commissione (Affari esteri), deputato Paolo Formentini.

PAOLO FORMENTINI, Relatore per la III Commissione. Grazie, Presidente. Colleghi, la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla manipolazione di competizioni sportive, fatta a Magglingen, nel Cantone Berna il 18 settembre 2014, in occasione della XIII Conferenza dei Ministri dello sport degli Stati membri del Consiglio d'Europa, è intesa a prevenire, individuare e combattere le partite truccate e la manipolazione delle competizioni sportive. L'espressione “manipolazioni di competizioni sportive” fa riferimento non soltanto agli incontri e alle competizioni in cui si confrontano due atleti o due squadre, né alla sola manipolazione del risultato finale di una competizione sportiva ma, più in generale, a tutte le possibili modifiche intenzionali e irregolari dello svolgimento del risultato di una competizione sportiva volte a interferire, in tutto o in parte, con il carattere imprevedibile della competizione stessa, per ottenere un indebito vantaggio personale o in favore di terzi.

L'accresciuta commercializzazione degli eventi sportivi e la loro esposizione mediatica hanno favorito, specie a partire dagli anni Duemila, un consistente incremento degli interessi economici legati ad alcuni risultati sportivi e incentivato lo sviluppo di nuove attività lecite e anche illecite. In questo contesto generale si segnalano due fenomeni peculiari: in primo luogo, il moltiplicarsi delle tipologie di scommesse offerte a volte in assenza di un controllo efficace da parte delle autorità competenti, così da favorire la diffusione di scommesse più facili da influenzare e di forme di manipolazione più difficili da scoprire; in secondo luogo, lo sviluppo di un consistente mercato illegale che offre agli utenti margini di rendimento particolarmente elevati, in grado di attirare le organizzazioni criminali interessate alla manipolazione delle competizioni sportive su cui sono effettuate le scommesse, al fine di ricavare profitti grazie ad esse, riciclando in tal modo denaro di provenienza illecita.

Occorre rilevare che alcuni rilevanti profili del fenomeno corruttivo in ambito sportivo sono già oggetto di convenzioni sulla criminalità organizzata e sulla corruzione, rispettivamente la Convenzione delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata transnazionale e la Convenzione delle Nazioni unite contro la corruzione. Tali Convenzioni, tuttavia, non considerano espressamente i casi di manipolazione delle competizioni sportive che esulano dal contesto della criminalità transnazionale o dalla nozione di corruzione in senso proprio. La manipolazione delle competizioni sportive, inoltre, può essere attuata attraverso pratiche non riconducibili alla Convenzione penale sulla corruzione del 1999 del Consiglio d'Europa, così come le scommesse illegali e i profitti che derivano dalla manipolazione dei risultati sportivi non necessariamente rientrano nell'ambito di applicazione della Convenzione sul riciclaggio del 2005.

La Convenzione in esame, quindi, associa, sul piano del contenuto, tutti i potenziali soggetti che operano nella lotta alle manipolazioni de quibus, cioè autorità pubbliche, organizzazioni sportive e operatori di scommesse. In tal senso, i Governi sono sollecitati ad adottare misure idonee, anche di natura legislativa, per indurre, ad esempio, le autorità di controllo sulle scommesse sportive a contrastare le frodi anche limitando e sospendendo la possibilità di effettuare scommesse o limitando, in caso di necessità, l'accesso agli operatori coinvolti e il blocco dei flussi finanziari tra questi ultimi e i consumatori. Le organizzazioni sportive sono, invece, invitate a dotarsi di regole più stringenti contro la corruzione, nonché a prevedere sanzioni e misure disciplinari per i casi di violazione, oltre a principi di buona governance. La Convenzione in esame rappresenta uno strumento ad hoc in grado di riunire tutte le misure preventive e repressive per un'efficace lotta alla manipolazione delle competizioni sportive, potenziando, nel contempo, il profilo della cooperazione internazionale. Quanto al contenuto, il testo convenzionale si compone di un preambolo e 41 articoli, suddivisi in nove capi dedicati a scopo, principi guida e definizioni, prevenzione, cooperazione e altre misure, scambio di informazioni, diritto penale sostanziale, cooperazione in materia di applicazione della normativa, giurisdizione, procedura penale, misure di applicazione della normativa, sanzioni e misure, cooperazione internazionale giudiziaria in altri ambiti, verifica dell'attuazione e disposizioni finali.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia ad intervenire.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge di ratifica: S. 997 - Ratifica ed esecuzione del Protocollo aggiuntivo (n. 3) all'Accordo sulla sede tra il Governo della Repubblica italiana e l'Istituto universitario europeo, con allegati, fatto a Firenze il 19 ottobre 2018 (Approvato dal Senato) (A.C. 1681) (ore 16,46).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1681: Ratifica ed esecuzione del Protocollo aggiuntivo (n. 3) all'Accordo sulla sede tra il Governo della Repubblica italiana e l'Istituto universitario europeo, con allegati, fatto a Firenze il 19 ottobre 2018.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1681)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Yana Chiara Ehm.

YANA CHIARA EHM, Relatrice. Presidente, deputate e deputati, mi riservo di depositare il testo riguardante la ratifica del Protocollo aggiuntivo (n. 3) all'Accordo sulla sede tra l'Italia e l'Istituto universitario europeo, sottoscritto nell'ottobre 2018, già approvato dal Senato il 7 marzo scorso.

PRESIDENTE. Ovviamente, la Presidenza autorizza.

Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia ad intervenire.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cabras. Ne ha facoltà.

PINO CABRAS (M5S). Grazie, Presidente. Settecento lavoratori rischiano concretamente il licenziamento dal prossimo 30 aprile, fra tre settimane; lavorano al porto canale di Cagliari, il terminal contenitori che sta per essere escluso dalle sue rotte dalla Hapag Lloyd, la principale compagnia navale che opera sul porto. E, assieme ai posti di lavoro, sono a rischio immediato le linee con il Canada, con il Golfo del Messico, con gli Stati Uniti occidentali, con il Mediterraneo orientale e l'Egitto: è come se, d'improvviso, si decidesse di tagliar fuori la Sardegna e tutta la sua economia dal mondo. Dopo anni di buoni profitti, seguiti da anni di trascuratezza rispetto a quelle infrastrutture portuali, la scelta non può essere l'abbandono.

È stata aperta una sede di discussione permanente con soggetti istituzionali e sindacali: non saranno soli e seguiremo da vicino gli sviluppi. Come MoVimento 5 Stelle, siamo sempre particolarmente sensibili all'idea che occorra invertire la direzione delle fughe di impresa; perciò non assisteremo passivamente a una così peculiare forma di delocalizzazione come quella che si tenta a carico della Sardegna.

Investire sulle infrastrutture e sui possibili vantaggi fiscali si può, le Vie della Seta e le altre rotte commerciali sono un'occasione di rilancio che vogliamo favorire, specie in una realtà geograficamente ideale per i traffici di mezzo mondo.

Sui lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Avverto che, nella seduta di giovedì 11 aprile, alle ore 15, avrà luogo lo svolgimento di un'informativa urgente del Presidente del Consiglio dei ministri sui recenti sviluppi della situazione in Libia.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 9 aprile 2019 - Ore 11:

1. Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni .

(ore 14)

2. Seguito della discussione delle mozioni Mandelli ed altri n. 1-00085, Lollobrigida ed altri n. 1-00156, Molinari e D'Uva n. 1-00157 e De Luca ed altri n. 1-00159 concernenti iniziative volte a sostenere la candidatura di Milano a sede di sezione specializzata del Tribunale unificato dei brevetti .

3. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 920 - Interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell'assenteismo (Approvato dal Senato). (C. 1433-A)

e dell'abbinata proposta di legge: RAVETTO. (C. 781)

Relatori: FRANCESCO SILVESTRI (per la I Commissione) e CAPARVI (per la XI Commissione), per la maggioranza; VISCOMI, di minoranza.

4. Seguito della discussione della mozione Formentini, Sabrina De Carlo, Delmastro Delle Vedove, Quartapelle Procopio, Colucci ed altri n. 1-00139 concernente il riconoscimento del genocidio del popolo armeno .

5. Seguito della discussione delle mozioni Meloni ed altri n. 1-00163, Lupi ed altri n. 1-00166, Panizzut, Mammì ed altri n. 1-00167, Lorenzin ed altri n. 1-00168, Calabria ed altri n. 1-00169, Delrio ed altri n. 100170 e Rostan ed altri n. 1-00171 concernenti iniziative a favore della famiglia e per l'incremento della natalità

6. Seguito della discussione dei disegni di legge di ratifica:

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione in materia di difesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Niger, fatto a Roma il 26 settembre 2017. (C. 1468-A)

Relatore: CAPPELLANI.

Ratifica ed esecuzione dello Scambio di Note per la proroga dell'Accordo di cooperazione nel settore della difesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Libano del 21 giugno 2004, fatto a Beirut il 25 luglio e il 16 settembre 2016. (C. 1469)

Relatore: BILLI.

S. 773 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla manipolazione di competizioni sportive, fatta a Magglingen il 18 settembre 2014 (Approvato dal Senato). (C. 1638)

Relatori: TURRI, per la II Commissione; FORMENTINI, per la III Commissione.

S. 997 - Ratifica ed esecuzione del Protocollo aggiuntivo (n. 3) all'Accordo sulla sede tra il Governo della Repubblica italiana e l'Istituto universitario europeo, con allegati, fatto a Firenze il 19 ottobre 2018 (Approvato dal Senato). (C. 1681)

Relatrice: EHM.

La seduta termina alle 16,50.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: YANA CHIARA EHM (A.C. 1681)

YANA CHIARA EHM, Relatrice. (Relazione – A.C. 1681). Illustre Presidente, colleghi deputati, il provvedimento in esame reca la ratifica del Protocollo aggiuntivo n. 3 all'Accordo sulla sede tra l'Italia e l'Istituto universitario europeo, sottoscritto nell'ottobre 2018, già approvato dal Senato il 7 marzo scorso.

Ricordo che l'Istituto universitario europeo (IUE) è un'istituzione accademica di assoluta eccellenza, fondata nel 1972 dagli Stati membri dell'allora Comunità europea, la cui missione principale è quella di promuovere la ricerca e gli studi dottorali e post-dottorali nell'ambito delle scienze umane.

Ad oggi ne fanno parte 23 Stati membri dell'Unione europea, cui si aggiungono Svizzera e Norvegia che hanno siglato con la struttura accordi di associazione.

A seguito della conclusione, nel luglio del 1975, di un apposito Accordo con l'Italia, l'Istituto ha stabilito la propria sede presso la Badia Fiesolana di San Domenico di Fiesole, a pochi chilometri dal centro di Firenze.

Nella scorsa legislatura, proprio in ragione del prestigio derivante per il nostro Paese dalla presenza dello IUE sul suo territorio, con la ratifica del Protocollo aggiuntivo n. 2 all'Accordo sulla sede, autorizzata dalla legge n. 182 del 2014, le disposizioni già previste per la sede principale dell'Istituto sono state estese anche ad altre strutture limitrofe, come Villa Schifanoia e Villa Salviati.

Il Protocollo aggiuntivo n. 3, oggetto del presente disegno di legge di ratifica, ha l'obiettivo di favorire l'avvio, nell'ambito dell'offerta formativa dello IUE, della Scuola delle politiche pubbliche transnazionali: si tratta di una struttura di formazione avanzata sui grandi temi strategici dei futuri scenari internazionali - tra cui libertà, democrazia e diritti; regolazione di finanza, commercio e mercati; cambiamenti climatici e sostenibilità ambientale; diplomazia culturale - a beneficio di studenti, ricercatori, studiosi e operatori pubblici e privati destinati a esercitare responsabilità decisionali e a formulare politiche statuali e sovranazionali.

Stante il prestigio ulteriore che la nuova Scuola apporterà all'Istituto, l'Italia ha offerto la concessione di un altro edificio, identificato nel Palazzo Buontalenti, nel cuore di Firenze, già sede della Corte d'appello fino al 2012 e attualmente inutilizzato.

Il Protocollo, composto di 8 articoli, oltre a mettere a disposizione dell'Istituto universitario europeo l'edificio, prevede una razionalizzazione delle dotazioni immobiliari che l'Italia assicura allo IUE, oltre al versamento da parte del nostro Paese di un contributo annuale forfettario per far fronte alle spese di manutenzione ordinaria. Il testo consente altresì eventuali successive intese fra le parti per la concessione di altri immobili finalizzati a un più razionale funzionamento dell'Istituto.

Gli oneri economici del disegno di legge - ascrivibili essenzialmente alle spese di ristrutturazione e manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici demaniali concessi in uso all'Istituto - sono valutati complessivamente in 3,75 milioni di euro per il 2018, in 7,55 milioni di euro per il 2019, in 8,75 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021, in 28,75 milioni di euro per l'anno 2022, in 850.000 euro per ciascuno degli anni dal 2023 al 2026, e in 1,05 milioni di euro a decorrere dal 2027.

Sono certa che anche questo ramo del Parlamento saprà concludere rapidamente e positivamente l'iter di approvazione di questo disegno di legge, passaggio essenziale per l'attivazione di un'innovativa struttura di formazione dell'Istituto universitario europeo, specializzata negli studi sulle politiche pubbliche transnazionali, la cui conoscenza appare decisiva se vogliamo favorire un'effettiva democratizzazione delle scelte pubbliche internazionali e sovranazionali nell'epoca della globalizzazione.