XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 839 di venerdì 21 luglio 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

La seduta comincia alle 9.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ROBERTO CAPELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Michele Bordo, Damiano, Epifani, Fedriga, Ferranti, Garofani, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Locatelli, Manciulli, Realacci, Rosato, Sani, Tabacci e Simone Valente sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio delle dimissioni di un Ministro senza portafoglio.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha inviato, in data 20 luglio 2017, la seguente lettera:

“Onorevole Presidente, cara Laura

Informo la S.V. che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, ha accettato le dimissioni rassegnate dall'onorevole dottor Enrico Costa dalla carica di Ministro senza portafoglio. Firmato: Paolo Gentiloni Silveri”.

Sul calendario dei lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. PRESIDENTE. Comunico che, a seguito della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo tenutasi nella giornata di ieri, si è convenuto che l'esame del disegno di legge S. 2856 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, recante disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale (scadenza: 6 agosto 2017), la cui discussione sulle linee generali era già prevista per lunedì 24 luglio, avrà luogo nella seduta di mercoledì 26 luglio, a partire dalle ore 16,30, con priorità rispetto agli altri argomenti e con prosecuzione nelle giornate successive fino alla sua conclusione. La votazione finale è prevista per le ore 12 di venerdì 28 luglio, con ripresa televisiva diretta delle dichiarazioni di voto finale dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo misto, che avranno inizio alle ore 10. Nella seduta di venerdì 28 luglio non avrà conseguentemente luogo lo svolgimento delle interpellanze urgenti.

All'ordine del giorno della seduta di martedì 25 luglio (p.m.), con votazioni, saranno iscritti tutti gli argomenti previsti per la settimana in corso e non conclusi, con priorità rispetto agli altri argomenti già previsti dal calendario dei lavori per la prossima settimana. L'esame potrà proseguire anche nella seduta di mercoledì 26 luglio (a.m.).

L'esame del disegno di legge S. 2860 – Conversione in legge del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno (ove trasmesso dal Senato – scadenza: 19 agosto 2017), la cui discussione sulle linee generali era già prevista per giovedì 27 luglio, avrà luogo a partire da lunedì 31 luglio, con prosecuzione nelle giornate successive fino alla sua conclusione. Seguirà il seguito dell'esame del Bilancio interno della Camera.

Si è infine unanimemente convenuto che i lavori dell'Assemblea abbiano termine, per la pausa estiva, entro giovedì 3 agosto.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative di competenza, anche di carattere ispettivo, in relazione alla situazione della procura di Siracusa - n. 2-01879)

PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Zappulla e Laforgia n. 2-01879 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Zappulla se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

GIUSEPPE ZAPPULLA. Sì, Presidente, buongiorno. Mi rivolgo, ovviamente, al Governo e intendo illustrare questa interpellanza, perché mi pare corretto e doveroso inquadrare e spiegare il senso dell'interpellanza, il perché e cos'è che chiedo e chiediamo al Governo.

Vedete, il 19 luglio abbiamo ricordato il barbaro attentato contro Paolo Borsellino e la sua scorta. La memoria, dopo 25 anni, per fortuna, ancora forte e viva, ci ha riportato a quella tristissima e drammatica stagione di attentati, di morti, di magistrati e rappresentanti delle forze dell'ordine e delle istituzioni nel mirino della mafia che con la vita hanno pagato un tributo altissimo alla lotta alla criminalità organizzata, alla illegalità, alla mafia.

Di quella stagione voglio, però, ricordare solo un aspetto, che allora e ancora oggi viene da molti giustamente precisato, sottolineato e denunziato: la solitudine con cui spesso i magistrati operavano in una delicatissima azione di indagine e di accertamento delle responsabilità dei vari rappresentanti delle cosche. Quante volte i magistrati sono stati lasciati soli a combattere battaglie pericolosissime; quante volte l'essere entrati in ambienti, fra virgolette, protetti, l'avere scoperchiato pentole da tempo sigillate, li ha esposti, non solo nei confronti della mafia e dei suoi capi, ma anche degli stessi attacchi di parte della politica, di commentatori più o meno autorevoli, di parte stessa dell'opinione pubblica attraverso vere e proprie campagne mediatiche. La mente va subito a Giovanni Falcone, allo stesso Borsellino, e l'elenco sarebbe, purtroppo, troppo lungo per completarlo. Il pensiero va pure ai tanti veleni dentro gli stessi palazzi di giustizia, ai corvi e, è ormai conclamato, anche a pezzi dell'apparato dello Stato deviati che operavano contro la giustizia e la legge, e non certo a protezione dei magistrati e di quanti la mafia la combattevano davvero.

Presidente e Governo, la mia interpellanza nasce proprio dall'avere vissuto, da siciliano impegnato allora nel sindacato e ora nella politica, quella lunga e drammatica stagione, e di non averne perduto il ricordo e la memoria. Lo ammetto, a Siracusa, con le dovute e chiarissime differenze, quindi non voglio mutuare la stessa condizione, per fortuna, ho visto riaffiorarmi quelle immagini, però, quelle tante parole dette in libertà, quelle tante pagine dei giornali, quegli interventi politici di attacchi alla magistratura, o meglio, di attacchi a singoli magistrati. Non ho gli elementi né mi voglio arrogare il diritto di esprimere giudizi definitivi ed esaustivi, ma non nascondo il mio turbamento e di gran parte dell'opinione pubblica quando ho visto attaccare il procuratore della Repubblica di Siracusa. A farlo esponenti politici, singoli strumenti di informazione, avvocati, addirittura altri magistrati; e mi sono posto la semplice e banale domanda che qualsiasi cittadino si sarebbe posta: ma devono esserci davvero ragioni così gravi e importanti per determinarlo.

L'ho pure sperato, confesso, perché questo avrebbe rassicurato la mia coscienza di uomo impegnato nelle istituzioni parlamentari, ma libero e profondo sostenitore dell'autonomia della magistratura e dello Stato di diritto per ogni cittadino e, ovviamente, per ogni magistrato. Niente sono riuscito a capire e sapere, se non, invece, vicende personali di singoli magistrati utilizzate come alibi e giustificazioni per attaccare il capo della procura di Siracusa. E così ho cominciato a mettere insieme pezzi, ragionamenti, fatti. Certo, ipotesi non suffragate da prove, ma proprio per questo l'interpellanza al Ministro, perché ne ha il titolo, il ruolo, le competenze, il potere. Mi sono chiesto se questi attacchi, portati avanti in modo così dissennato e organico, avessero in qualche modo a che fare con il salto di qualità dell'azione della procura di Siracusa e del suo capo nell'azione contro la criminalità organizzata degli ultimi anni, contro il malaffare, la corruzione, e non ultimo contro le anomalie e le irregolarità nell'azione da parte della pubblica amministrazione e di alcuni comuni in particolare.

Non è un segreto, infatti, che la procura della Repubblica di Siracusa, con il coordinamento del procuratore dottor Paolo Giordano, ha aperto in questi anni diversi fascicoli di indagine nei confronti di singoli consiglieri comunali, di esponenti delle amministrazioni, di singoli assessori e financo di sindaci. Non è un segreto che sono stati aperti più di dodici fascicoli d'indagine su servizi, appalti e delibere direttamente riconducibili all'amministrazione comunale di Siracusa, e, come tutti i fascicoli, alcuni si sono conclusi con la richiesta di archiviazione, altri, invece, con la richiesta di rinvio a giudizio. Mi sono chiesto con crescente preoccupazione, e chiedo, che messaggio può essere quello che si attacca un procuratore come se allo stesso venisse in qualche modo fatto pagare, anche se non esplicitamente, ovviamente, il prezzo di queste indagini; che messaggio può passare nell'opinione pubblica della città e della provincia di Siracusa, se, in qualche modo, appare come una sorta di punizione.

Molti cittadini si chiedono se forse sono stati toccati mausolei che godevano di vera o presunta protezione.

Allora, o si è in presenza di fatti e colpe di cui si è macchiato il procuratore così gravi da giustificare non solo gli attacchi ma anche la richiesta di trasferimento avanzata al CSM o, come ritengo invece, si faccia chiarezza e verità e si eviti l'isolamento del magistrato, restituendo tranquillità a tutti e soprattutto alla provincia e ai suoi cittadini. E se alla vicenda del procuratore della Repubblica aggiungiamo quanto accaduto e denunziato da una consigliera comunale di Siracusa, Simona Princiotta, la mia interpellanza urgente assume davvero il carattere non solo dell'importanza ma, mi sia consentito, anche dell'urgenza. Stiamo parlando di una consigliera comunale “colpevole”, lo dico tra virgolette, di essere troppo battagliera, troppo combattiva, di fare troppe denunzie e di avere presentato troppi esposti alla procura: esposti, interrogazioni e interventi politici tutti volti a denunziare anomalie nella gestione di servizi importanti per la comunità siracusana ed i suoi cittadini, dagli asili nido agli impianti sportivi, dalle consulenze esterne all'acqua e altro ancora. In questi anni, per questa sua azione, ha subìto intimidazioni varie, minacce più o meno velate, gli hanno bruciato la macchina sotto casa e ha subito vere e proprie campagne diffamatorie sulla sua stessa vita privata e familiare. La stessa consigliera comunale ha denunziato in una recente conferenza stampa di avere le prove di essere stata vittima di un complotto finalizzato a delegittimarla e denigrarla attraverso la tristemente famosa macchina del fango: pentiti di mafia, operatori dell'informazione, avvocati, esponenti politici con la copertura financo di qualche magistrato sembrano i protagonisti. Anche qui o le cose che la consigliera ha denunciato pubblicamente, fornendo documenti e prove e quant'altro, sono false e infondate e in tal caso se ne assume per intero la responsabilità o, altrimenti, se davvero sono vere - io temo che lo siano - c'è da essere davvero preoccupati e inquietati. Verrebbe infatti ad avesse violato uno dei principi fondamentali della Costituzione ovvero la libertà di parola, di opinione, l'agibilità democratica a poter esercitare il ruolo di consigliere comunale di una città importante come Siracusa. Mi avvio quindi a concludere l'illustrazione. Ho letto negli ultimi tempi e non nascondo il mio sconcerto di richieste di trasferimento per incompatibilità ambientale per il procuratore della Repubblica di Siracusa. Mantengo grande rispetto per la magistratura e il suo organo di autogoverno ma mi pare davvero incredibile e paradossale che si prenda di mira chi in questi anni ha alzato il livello dell'attenzione della giustizia nella lotta al contrasto alla criminalità e sulle tante vicende legate agli enti locali: l'inchiesta sull'inquinamento ambientale è l'ultima in ordine di tempo ma non certo di importanza. Non vorrei che la città di Siracusa e il suo territorio passasse come quello che ha fatto pagare il prezzo alla procura di chi lo ha rappresentato di aver aperto fascicoli e indagato sulle varie vicende e questioni che, in particolare, riguardano la città di Siracusa e il comune di Siracusa. Ho la sensazione che i tanto declamati poteri forti esistano davvero in quella realtà, nella mia realtà, ma sono quelli che vogliono ammorbidire o, forse peggio, bloccare indagini importanti e delicate. Forse sono stati sfiorati e interessati soggetti che non devono essere toccati. Non sono certo appassionato né mi intriga conoscere i cosiddetti veleni del palazzo ma di sapere o meno l'esistenza di lobby di interesse trasversale, interessate a neutralizzare e delegittimare la procura della Repubblica e chi lo rappresenta questo certamente mi interessa e credo che interessi l'intera opinione pubblica. Al Ministro, quindi, chiedo di attivare tutti gli strumenti in suo possesso per comprendere se le mie preoccupazioni sono fondate - mi auguro di no ma temo che lo siano - e conoscerne le ragioni e i responsabili. Allo stesso modo dalla lettura della documentazione presentata in conferenza stampa, in possesso della magistratura e dello stesso CSM, dalla consigliera Princiotta viene fuori uno scenario davvero gravissimo di intimidazione, di falsi dossier, di costruzione artificiosa di infimi attacchi denigratori e diffamatori: sono stati tirato in ballo financo pentiti che erano credibili quando attaccavano la consigliera comunale e diventavano di colpo miracolosamente inattendibili quando invece attaccavano altri, compreso un parlamentare, anzi una parlamentare. L'accusa - sto finendo, Presidente…

PRESIDENTE. Ho solo urtato la campanella, le chiedo scusa.

GIUSEPPE ZAPPULLA. L'accusa che rivolge a esponenti politici, operatori dell'informazione, avvocati e qualche magistrato di avere in diversi modi e ruoli complottato contro di lei per impedirle di fatto di esercitare la sua attività politica, di consigliere comunale, di denunzia.

Si possono condividere o meno le sue battaglie ma la si combatte sul terreno della dialettica e, se necessario, anche dello scontro politico duro e aspro ma costruire scientemente e dolosamente fatti inesistenti per delegittimarla e infangarla questo non può passare nel silenzio ed essere relegato a mero fatto giudiziario. Quando si impedisce la libera espressione politica di chiunque in discussione ci sono diritti fondamentali, c'è la dignità delle persone e ci sono valori indisponibili della democrazia e della libertà. Quando poi si utilizzano argomenti e questioni legate alla famiglia e al ruolo di donna e madre diventa addirittura incivile. Chiedo, quindi, al Ministro di fare luce e comprendere se le dichiarazioni della Princiotta regolarmente sostenute da documentazione varia sono corrispondenti e, in tal caso mi aspetto, senza guardare in faccia a nessuno, provvedimenti e atti, che si tratti di avvocati, sindaci, parlamentari o magistrati. Su tutto questo - mi rivolgo ovviamente al Governo - chiedo al Ministro che sia fatta verità e giustizia ovviamente per i soggetti interessati; per la procura di Siracusa ma anche per dare tranquillità e un clima di fiducia nei confronti dello Stato e della giustizia a un'intera comunità.

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per la Giustizia, Gennaro Migliore, ha facoltà di rispondere.

GENNARO MIGLIORE, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Grazie, signor Presidente. Mediante l'interpellanza in discussione gli onorevoli Zappulla e Laforgia hanno invitato il Ministro della Giustizia ad avviare con urgenza un'ispezione presso la procura della Repubblica di Siracusa in ragione dello scontro politico e mediatico contro la magistratura, acuitosi nel più recente periodo a seguito del coinvolgimento in inchieste giudiziarie di rilievo tra l'altro di consiglieri e assessori e dello stesso sindaco della città di Siracusa e dei veleni insorti nel palazzo di giustizia. Il riferimento degli interpellanti, in particolare le dichiarazioni rilasciate in sede di conferenza stampa da Simona Princiotta, consigliera comunale di Siracusa, in ordine a presunte pressioni e intimidazioni, tentativi di dossieraggio compiuti al solo scopo di delegittimarla sul terreno politico e personale. Della persecuzione di stampo complottista asseritamente portata avanti nei suoi confronti e, a suo dire, organizzata dagli uomini più vicini al sindaco di Siracusa che avrebbero istigato a dichiarare il falso il pentito di mafia che l'aveva più volte chiamata in causa, in tal modo provocando l'interessamento delle commissioni regionali e nazionale antimafia che avevano richiesto l'audizione della Princiotta, avrebbero fatto parte, oltre ad avvocati, politici e operatori di informazione, anche tre pubblici ministeri di Siracusa contro i quali la Princiotta dichiarava di aver presentato un esposto al CSM avente ad oggetto rapporti dei predetti con taluni avvocati siracusani e documentata l'appartenenza ad una lobby di interessi. Tanto premesso, gli interpellanti evidenziano, invece, che è proprio grazie all'egregio lavoro di diversi magistrati e all'azione rigorosa del procuratore della Repubblica di Siracusa si era portato lustro alle istituzioni e, in particolare, alla magistratura siracusana grazie all'azione di contrasto alla criminalità organizzata e al malaffare che i magistrati stavano portando avanti, manifestando preoccupazione per le indiscrezioni apprese da fonti locali circa la procedura per incompatibilità aperta proprio nei confronti del procuratore della Repubblica di Siracusa e per il timore che le ripetute denunce della Princiotta potessero pregiudicare proprio quei magistrati che, insieme al procuratore Giordano, stavano tentando di far luce e giustizia sulle tante vicende legate alla corruzione, al malaffare e alla criminalità. Dalle informazioni trasmesse dalla competente direzione generale consta che il procuratore generale della Repubblica di Catania ha rappresentato che la prima commissione referente del CSM aveva deliberato di aprire la procedura di trasferimento d'ufficio nei confronti di detto dottor Giordano al fine di valutare l'eventuale sussistenza di una situazione tale da incidere sulla piena indipendenza ed imparzialità nello svolgimento delle funzioni ricoperte dal magistrato interessato. In relazione all'esposto della consigliera Princiotta l'articolazione ministeriale interessata ha rappresentato che sono in corso approfondimenti da parte della procura generale presso la Corte di Cassazione e che non risulta essere stato adottato alcun provvedimento disciplinare né tanto meno cautelare nei confronti dei magistrati citati, che hanno avuto modo peraltro di esporre le loro argomentazioni e di offrire la ricostruzione delle vicende denunciate ai competenti organi requirenti disciplinari.

In relazione agli specifici aspetti considerati nell'interpellanza, ma più in generale sulla complessiva situazione della procura della Repubblica di Siracusa, già portata all'attenzione del Ministero attraverso numerose segnalazioni informative ed esposti, l'ispettorato generale sta svolgendo da tempo una serie di approfondimenti riservando valutazioni conclusive all'esito di più dettagliate informazioni richieste alla procura della Repubblica di Messina, titolare di un procedimento penale che è ancora coperto da segreto investigativo e originato da un esposto a firma di taluni dei magistrati citati nell'interpellanza.

Notizie di carattere più generale sulla situazione della procura della Repubblica di Siracusa sono state richieste dall'Ispettorato anche al procuratore generale della Repubblica di Catania in ordine alla situazione di grave tensione e all'origine dei contrasti esistenti all'interno dell'ufficio. Ne è emerso un quadro di particolare conflittualità connotato dall'esistenza di numerosi esposti indirizzati alle più varie autorità con finalità, spesso, intimidatorie nei confronti della magistratura e della Polizia giudiziaria e, talvolta, funzionali alla presentazione di istanze di ricusazione dei magistrati assegnatari dei procedimenti nell'ambito di una dialettica politica del comune di Siracusa estremamente virulenta, caratterizzata da reciproche denunce che, talvolta, paiono strumentalizzare a fini non istituzionali l'attività giudiziaria.

Tale situazione ha indotto in ripetute occasioni il procuratore generale ad assumere iniziative di carattere organizzativo e di segnalazioni di violazioni, anche aventi rilievo disciplinare, escludendo tuttavia che la violenta contrapposizione esistente tra esponenti politici economici e del Foro possano essere condizionanti per l'operato della procura di Siracusa, che, ad avviso del procuratore, ha mantenuto un encomiabile riserbo e i magistrati si sono sottratti a polemiche pubbliche.

In conclusione, emerge una situazione che appare indubbiamente connotata, nell'attualità, da aspetti di evidente criticità, tanto che, a prescindere dalle iniziative disciplinari già avviate, la Prima Commissione del CSM ha svolto nel maggio scorso un accesso presso l'ufficio. Il Ministero continuerà a riservare la massima attenzione alla procura della Repubblica di Siracusa, riservando la valutazione di eventuali iniziative ispettive all'esito dell'acquisizione degli elementi informativi richiesti alla procura della Repubblica di Messina non appena venuto meno il segreto investigativo, anche al fine di evidenziare interferenze con gli accertamenti in corso.

PRESIDENTE. L'onorevole Zappulla ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

GIUSEPPE ZAPPULLA. La risposta è articolata - di questo ringrazio il sottosegretario, il Ministero e il Governo - e ne ho tratto una serie di considerazioni. La prima, che mi pare molto importante e io la registro positivamente, è che, se ho capito bene, il Governo, il Ministro, esclude che il procuratore della Repubblica di Siracusa sia stato in qualche modo condizionato, e ci sono obiettivamente scontri politici molto forti con denunzie reciproche. Questo lo considero un elemento estremamente positivo, pur avendo compreso che, ovviamente, il Ministro ha tutto il diritto e, aggiungo, il dovere, di approfondire, di valutare, di acquisire tutti gli atti possibili sia dalla procura di Messina che da quella di Catania e, ovviamente, anche da quella di Siracusa.

Per quanto riguarda, invece, la consigliera Princiotta non ho percepito e non ho recepito un messaggio altrettanto chiaro e netto. La consigliera Princiotta è vittima, non è certamente, a mio avviso, ovviamente, la protagonista di attacchi o di avvelenamento: è quella a cui hanno bruciato la macchina a casa, è quella che ha subito intimidazioni di varia natura, anche attraverso - lo voglio dire - attacchi di natura personale, familiare, al ruolo della donna.

Ho avuto modo di dire più volte sul territorio che c'è gente che ha guardato dal buco della serratura per attaccare il ruolo di consigliera comunale, che non è fare il parlamentare: il consigliere comunale è un pubblico ufficiale, il consigliere comunale di una città ha lo stesso diritto di avere l'agibilità e la libertà di potersi esprimere. Quindi, da questo punto di vista, io non ho letto dichiarazioni nella risposta altrettanto chiare e altrettanto nette, purtuttavia, ho compreso anche qui una certa cautela, una certa necessità da parte del Ministro e del Ministero di approfondire e di verificare e state acquisendo tutti gli atti possibili.

Pertanto, il mio giudizio finale, Presidente, è di attesa, di cautela: voglio capire fino in fondo fin dove il Governo e il Ministro vorranno accertare e approfondire questa materia, perché, ripeto e concludo, la questione della giustizia a Siracusa non riguarda soltanto i soggetti di cui abbiamo discusso - i nomi del procuratore, di altri magistrati, di avvocati, della consigliera, del sindaco -, riguarda la presenza dello Stato, riguarda la trasparenza, la legalità, la certezza del diritto per i cittadini, per qualsiasi cittadino, di poter esercitare il proprio ruolo senza essere diffamato né calunniato né intimidito né attaccato sul terreno personale e della propria libertà familiare di uomo e di donna. Quindi, la presenza dello Stato è fondamentale in quel territorio, così come lo è, ripeto, il giudizio sulle persone.

Io ribadisco quanto ho già detto e quanto abbiamo già detto nel contenuto dell'interpellanza. Non mi fermerò certamente qui: il Governo e il Ministro Orlando dovrà sapere che troverò altri modi e altri strumenti, naturalmente nell'ambito di quelle che sono le prerogative per un parlamentare, per chiedere ulteriori interventi, ulteriori notizie, ulteriori approfondimenti in questa direzione.

(Elementi ed iniziative in merito al cosiddetto braccialetto elettronico - n. 2-01883)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Laboccetta ed altri n. 2-01883 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Laboccetta se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

AMEDEO LABOCCETTA. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, il sistema delle misure cautelari personali previsto dal nostro codice di procedura penale, da sempre oggetto di critiche e più volte oggetto di interventi da parte del legislatore che lo ha rimaneggiato, troppo spesso per rispondere a contingenti situazioni sotto la spinta dell'allarmismo indotto nell'opinione pubblica, prevede, tra le altre misure custodiali, quella degli arresti domiciliari e della custodia in carcere. A queste misure si ricorre, ripeto, forse, con eccessiva frequenza, da parte dei giudici sul presupposto più o meno fondato che esse garantirebbero il più elevato livello di tutela delle esigenze cautelari.

Gli arresti domiciliari sono relativamente recenti, essendo stati originariamente introdotti nel nostro ordinamento con la legge del 5 agosto 1988, n. 330. Gli arresti domiciliari, nella prassi giudiziaria, trovano larga applicazione sia in sede di prima emissione di ordinanze cautelari che in seguito al successivo affievolimento dell'esigenza cautelare in caso di precedente irrogazione della custodia in carcere. A volte, essi sono accompagnati da obblighi e divieti vari, come quelli di incontro o di comunicazione con particolari categorie di soggetti per tutelare, in particolare, l'esigenza cautelare di non inquinamento delle fonti probatorie.

La misura degli arresti domiciliari ha il pregio - se posso permettermi il termine, trattandosi di misura che restringe la libertà personale - di non gravare sul bilancio dello Stato, non essendo previsto che possano essere poste a carico dell'Amministrazione penitenziaria le spese di mantenimento dell'arrestato domiciliare. Sanno tutti, invece, che quelle per il mantenimento del detenuto in carcere sono anticipate dall'Amministrazione e sono solo di rado recuperate dall'erario nei confronti dei condannati. Ma questo è un altro tema sul quale in futuro presenterò altri atti di sindacato ispettivo.

L'articolo 275-bis del codice di procedura penale, inserito dall'articolo 16, comma 2, del decreto-legge n. 341 del 2000, convertito dalla legge del 19 gennaio 2001, prevede che il giudice nel disporre la misura degli arresti domiciliari, anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, salvo che li ritenga non necessari in relazione alla natura e al grado dell'esigenza cautelare da soddisfare nel caso concreto, prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della Polizia giudiziaria.

Con questa norma, anch'essa introdotta sulla base di una spinta emotiva, venne ribaltato l'originario impianto, che prevedeva che il cosiddetto braccialetto fosse prescritto quando ricorrevano particolari circostanze, cioè in via di eccezione; oggi, invece, come si è visto, costituisce la regola. È successo, però - e vengo al merito dell'interpellanza - che, troppo frequentemente, il dispositivo di controllo non sia disponibile ovvero non possa essere installato nelle abitazioni designate.

In questi casi, e dopo l'intervento della Corte di Cassazione a Sezioni unite, al giudice, che è investito di una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con il cosiddetto braccialetto elettronico o di sostituzione della custodia in carcere con la predetta misura, escluso ogni automatismo nei criteri di scelta delle misure, qualora abbia accertato l'indisponibilità del suddetto dispositivo elettronico, non rimane che valutare, ai fini dell'applicazione o della sostituzione della misura coercitiva, la specifica idoneità, adeguatezza e proporzionalità di ciascuna di esse, in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto. Cioè, il giudice deve operare una nuova ed eventuale diversa valutazione e nel caso ritenga che l'imputato non offra sufficienti garanzie di affidabilità, in relazione al rispetto delle prescrizioni connesse agli arresti domiciliari, tenuta in considerazione l'indisponibilità di attivazione del braccialetto elettronico, allora, potrà disporre o mantenere la misura cautelare della custodia in carcere, in quanto l'assenza dello strumento tecnico costituisce una constatazione rafforzativa dell'inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari semplici.

Si arriva, così, a quello che, personalmente, considero un paradosso: nel caso di indisponibilità del braccialetto elettronico, non si dà esecuzione alle ordinanze di applicazione della misura degli arresti domiciliari, nei confronti di quanti, detenuti in carcere, abbiano visto accolte le loro richieste di attenuazione dello stato custodiale e che, quindi, rimangono ospiti, si fa per dire, dell'amministrazione penitenziaria. Tutti quanti, in quest'Aula, ci rendiamo conto che siamo di fronte a un'oggettiva ingiustizia, sul piano materiale, perpetrata ai danni di tali soggetti che, in certi casi, dopo mesi di custodia in carcere, non possono accedere al regime attenuato a causa della indisponibilità di un dispositivo elettronico. I casi di Alfredo Romeo, Giandomenico Monorchio, Domenico Diele che si sono trovati a vivere questa ulteriore e dura esperienza, sono solo la punta dell'iceberg del fenomeno. Io, qui, intendo fare riferimento a tante altre persone: i Gennaro Esposito e i Mario Rossi di questo Paese, quelli che paiono essere migliaia in lista di attesa, la cui condizione detentiva in carcere appare ingiusta e odiosa, perché collegata a una disfunzione organizzativa e scollegata dalle vicende processuale.

Quello che, poi, ci deve far riflettere è che sembra che il numero esatto di queste persone sia un dato ignoto anche ai Ministeri della giustizia e dell'interno. La stampa ha riferito che si tratterebbe di migliaia di persone e che l'attesa stimata sarebbe di circa un mese e mezzo. Addirittura, la stampa ha scritto che sia la Telecom, a cui fu affidato a suo tempo l'appalto, appalto senza gara, a gestire una lista cronologica sulla base delle richieste del GIP e che sia dunque una compagnia telefonica ad avere in mano la libertà di qualche centinaio di persone. Sono a conoscenza, ovviamente, che è stato emanato il bando di gara per la fornitura di nuovi apparecchi, che prevedeva l'attivazione mensile di 1.000 apparecchi, con un surplus possibile del 20 per cento, a partire dal giugno 2017; giugno è, ormai, passato e, a tutt'oggi, la situazione non sembra essersi risolta, con i recenti casi innanzi esposti che, anzi, confermano l'urgenza di un intervento.

C'è da approfondire, poi, la ragione per la quale i costi dei dispositivi ammonterebbero a euro 115 al giorno, cadauno, mentre il costo per simili apparecchiature nel Regno Unito è pari a solo 7 euro. Si tratta di una vicenda pesantemente opaca, mi permetto di dire, signor sottosegretario, colleghi e signor Presidente. A questi costi così elevati non corrisponderebbero, nemmeno, benefici tecnologici, in quanto solo pochissimi degli strumenti utilizzati sarebbero dotati di GPS, e pertanto utilizzabili solo da chi sarebbe sottoposto a misura cautelare in un unico luogo. In questo caso, non ci sarebbe possibilità di utilizzo da parte di persone sottoposte agli arresti domiciliari autorizzate ad allontanarsi da casa, per svolgere attività lavorativa.

Abbiamo letto che alcuni rappresentanti di categoria della polizia penitenziaria, che fanno un lavoro straordinario, hanno dichiarato che il costo, fino a oggi, sarebbe stato di 175 milioni di euro, di cui 110 milioni spesi negli ultimi dieci anni, per un numero esiguo di dispositivi. La gara, lo ripeto, indetta dal Ministero dalla giustizia, nel dicembre scorso, prevede la fornitura di 12.000 nuovi apparecchi, per un valore di 45 milioni di euro e i tempi previsti per la conclusione della gara avrebbero consentito di avere la disponibilità degli apparecchi entro giugno scorso, come ho detto in precedenza.

In una sua dichiarazione recente, il Ministro Orlando ha affermato che per un supposto errore del legislatore la competenza dell'acquisto sarebbe stata affidata al Ministro dell'interno e che ciò avrebbe ritardato la consegna. Ma vi rendete conto, signori del Governo, che ritardando la consegna dei cosiddetti braccialetti - l'uno o l'altro dei ministeri competenti, a noi poco importa -, si frustrano le legittime aspettative dei tanti detenuti che attendono di potere lasciare le carceri nelle quali sono ristretti?

E potete immaginare che cosa accadrebbe in caso di ricorsi e interventi della Corte europea dei diritti dell'uomo, alla quale ben potrebbero rivolgersi coloro i quali - per quella che, a mio parere, a nostro giudizio, è una grave carenza di organizzazione del sistema penitenziario - subiscono un'ingiustificata restrizione della libertà personale, in quanto ristretti in carcere, anziché agli arresti domiciliari: altre condanne per l'Italia, per la nostra nazione, altri pagamenti in favore di chi ha subito un'ingiustificata restrizione della propria libertà. Non mi pare un argomento di poco conto; pensiamo che, ormai, sia arrivato il tempo di adottare, in tempi rapidissimi, incisive ed efficaci misure, per porre rimedio alla situazione che mi sono permesso di descrivere ed illustrare, utili a salvaguardare un principio cardine dello Stato di diritto. Mi pare che l'Italia sia ancora uno Stato di diritto.

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per la Giustizia, Gennaro Migliore, ha facoltà di rispondere.

GENNARO MIGLIORE, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Signor Presidente, l'atto ispettivo in esame affronta la questione della limitata utilizzazione, per ragioni tecniche e organizzative, dei dispositivi di controllo elettronico, disciplinati dall'articolo 275-bis del codice di procedura penale, che dovrebbero agevolare l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, in luogo della residuale custodia in carcere. Gli onorevoli interpellanti, nell'individuare tra le cause della limitata applicazione dell'istituto il numero esiguo dei dispositivi elettronici, chiedono di intervenire tempestivamente per la rimozione degli ostacoli che impediscono piena attuazione del sistema, anche in vista dei benefici effetti di riduzione della popolazione detenuta.

Quanto al tema della custodia cautelare in carcere, si osserva che, in questi anni, le iniziative assunte sono state numerose e incisive. Sul tema specifico, incide, in particolare, la riforma attuata con la legge 16 aprile 2015, n. 47. Nel solco di una rivisitazione complessiva del tema della custodia in carcere, istituto cui ricorrere solo ove ogni altra misura sia in concreto inidonea, si colloca proprio l'intervento sugli articoli 275 e 275-bis del codice di procedura penale, con il quale si tende a rafforzare l'efficacia dei controlli e a incentivare misure differenti dalla custodia in carcere, per la cui applicazione il giudice dovrà, specificamente, indicare le ragioni in forza delle quali ritenga inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con dispositivi di controllo elettronico.

L'impegno a livello normativo, volto a contrastare il sovraffollamento all'interno degli istituti penitenziari e a limitare ai soli casi effettivamente indispensabili il ricorso alla custodia in carcere, non esaurisce, tuttavia, il tema posto dall'atto ispettivo in discussione, che, in questo quadro, fa specifico riferimento alla difettosa attuazione dell'istituto dei dispositivi elettronici di controllo. Come è noto, le modalità e l'uso del braccialetto elettronico sono stati disciplinati dal decreto del Ministro dell'interno del 2 febbraio 2001, emanato di concerto con il Ministro della giustizia. Con tale provvedimento, la gestione operativa degli strumenti elettronici è stata affidata alle forze di polizia che ne verificano l'effettiva disponibilità, curano le fasi di installazione del braccialetto, in raccordo con gli operatori, e effettuano il controllo sull'osservanza delle prescrizioni. Una volta adottato il provvedimento giurisdizionale, dunque, le procedure operative di attivazione del dispositivo elettronico di controllo sono eseguite direttamente dalla Polizia giudiziaria, in collaborazione con l'operatore che interloquisce in merito esclusivamente con il Ministero dell'interno. Secondo i dati statistici acquisiti al 31 maggio 2017, le ordinanze adottate dalla magistratura comportanti richieste di attivazione del dispositivo raggiungevano un totale di 12.539 dal 1° gennaio 2014; alla stessa data, erano stati attivati complessivamente 10.170 dispositivi. Al 31 maggio 2017 risultavano contemporaneamente attivi 2.000 dispositivi, cui vanno aggiunti 30 in attivazione pianificata e 121 in lista di attesa.

Come ricordato, per la gestione tecnica degli strumenti elettronici, il Ministero dell'interno ha stipulato una convenzione quadro con Telecom Italia, attualmente vigente e in scadenza il 31 dicembre 2018.

Il Ministro dell'Interno ha comunicato che, a seguito della stesura di apposito capitolato tecnico da parte del Dipartimento della pubblica sicurezza, redatto anche sulla base di valutazioni svolte in sede interforze e dei contributi forniti dal Ministero della giustizia, è stato pubblicato, il 6 dicembre 2016, il bando di gara con una procedura di appalto a normativa europea, con aggiudicazione sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, per un importo complessivo a base di gara pari a 45.280.300 euro, finalizzato alla fornitura di installazione e attivazione mensile di un numero di mille dispositivi elettronici, fino a un surplus del 20 per cento con connessi servizi di assistenza e manutenzione per un arco temporale di 27 mesi.

Come comunicato dal Ministero dell'interno, sono pervenute tre offerte da parte delle aziende interessate. Le offerte sono state valutate dalla commissione di gara e ai fini dell'aggiudicazione sarà valutata la documentazione, depositata entro il termine del 14 luglio, comprovante il possesso dei requisiti di partecipazione e i giustificativi dei costi unitari che hanno concorso a determinare il prezzo complessivo offerto.

Secondo la previsione formulata dal Ministero dell'interno, il contratto sarà definitivamente stipulato entro il corrente anno. Lo svolgimento e la conclusione della procedura di gara potrà certamente contribuire a garantire la sempre più ampia applicazione pratica dell'articolo 275-bis del codice procedura penale, affinché sia evitata la permanenza nel circuito penitenziario di detenuti che non possono accedere agli arresti domiciliari o a misure alternative alla detenzione a causa della indisponibilità dei dispositivi elettronici di controllo, come è avvenuto nei casi citati nell'interpellanza e in relazione ai quali sono stati acquisiti elementi di conoscenza dagli uffici giudiziari competenti.

La procura della Repubblica presso il tribunale di Salerno ha comunicato che, in data 26 giugno 2017, il giudice per le indagini preliminari ha applicato a Domenico Diele la misura degli arresti domiciliari, subordinandone l'esecuzione alla disponibilità dei mezzi elettronici di controllo. Anche grazie a un atto di sollecito inviato dal giudice, la disponibilità del braccialetto elettronico è stata ottenuta il 6 luglio 2017, data in cui la persona sottoposta alle indagini è stata trasferita presso l'abitazione.

La procura della Repubblica di Roma, quanto al caso di Alfredo Romeo, ha comunicato che l'ordinanza applicativa della misura degli arresti domiciliari, con espressa subordinazione alla disponibilità del braccialetto elettronico, è stata adottata il 4 luglio 2017 e, ottenuta la disponibilità del dispositivo, è stata eseguita il 14 luglio scorso.

Per quanto ha detto riguarda il caso di Giandomenico Monorchio, il medesimo ufficio romano ha evidenziato che l'ordinanza del giudice adottata il 21 dicembre 2016, con la previsione del braccialetto elettronico, è stata sostituita in data 11 gennaio 2017 con provvedimento di applicazione degli arresti domiciliari senza braccialetto, con il parere favorevole del Pubblico Ministero, in considerazione della perdurante indisponibilità di dispositivi.

Più in generale, la sempre più ampia applicazione da parte della magistratura degli istituti di recente introduzione rappresenta uno stimolo affinché sia soddisfatta, anche nei fatti, con azioni amministrative efficaci, l'esigenza di riduzione dello strumento carcerario ai soli casi effettivamente indispensabili nel solco delle riflessioni offerte dagli Stati generali dell'esecuzione penale e in coerenza con le politiche legislative realizzate, da ultimo, con l'approvazione della riforma penale e dell'ordinamento penitenziario.

PRESIDENTE. L'onorevole Laboccetta ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

AMEDEO LABOCCETTA. Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, non sono soddisfatto: lo dico con garbo e a tono basso. Mi sembra di aver ricevuto una risposta, come dire, meramente burocratica, tra l'altro un palleggiamento tra Ministero dalla giustizia e Ministero dell'interno rispetto a una delicatissima materia in questione, che noi abbiamo sollevato. Non ho sostanzialmente ricevuto effettive rassicurazioni su questa vicenda che abbiamo posto all'attenzione del Governo e dell'Aula, ma, ripeto, siamo sostanzialmente insoddisfatti.

Mi sia consentito dire che è inaccettabile effettuare un'attività di business sulla pelle dei detenuti. Ho fatto un richiamo alle operazioni economiche che si muovono dietro a questa attività e su questo non mi è sembrato di ascoltare una risposta, o forse sarà un mio problema di udito, non lo so. A mio parere, Telecom non può gestire questa attività. È un'iniziativa poco chiara, per non dire assolutamente opaca.

Signor sottosegretario, se ho sentito bene, il 14 luglio è passato. Il contratto, se ho ben capito, si concluderà entro la fine dell'anno, quando questa vicenda - era stato anticipato - doveva concludersi entro il 30 di giugno.

Ella ha ricordato i personaggi, come dire, noti, che sono stati oggetto di questa attività negli ultimi tempi, anche da noi indicati nella interpellanza, ma nulla mi ha detto dei tantissimi altri casi, dei vari Gennaro Esposito sparsi per l'Italia. Noi vorremmo sapere - e su questo ci torneremo - quanti sono effettivamente i casi in lista di attesa, dove sono collocati, non vogliamo certamente sapere i nomi, ma vogliamo certamente sapere, nell'arco delle carceri italiane, quanti sono, allo stato, i detenuti che ancora soffrono una doppia pena, perché solo chi ha attraversato questo percorso può capire che cosa significa, per un detenuto che ottiene gli arresti domiciliari, rimanere in custodia cautelare per una disfunzione organizzativa, per ritardi della pubblica amministrazione. C'è un gap psicologico, una caduta delle difese immunitarie, perché ogni giorno quell'attesa diventa quadruplicata e forse non esagero, anzi sicuramente vado a ridurre, ma la questione è sensibile perché stiamo parlando della libertà degli individui, a prescindere dalle eventuali colpe e responsabilità.

Quindi, nel ringraziarla per avermi risposto, mi dichiaro, ripeto, insoddisfatto, ma su questo argomento torneremo pesantemente e probabilmente con maggiore precisione.

(Elementi ed iniziative in merito alla gestione della casa di reclusione di Padova - n. 2-01891)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Zan ed altri n. 2-01891 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Zan se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ALESSANDRO ZAN. Grazie, Presidente. L'interpellanza in oggetto riguarda la campagna mediatica e politica che si è sviluppata in questi mesi contro il carcere “Due Palazzi” di Padova, in particolare sia contro la Cooperativa “Giotto”, una realtà quasi trentennale che dà lavoro a centinaia di detenuti in svariati settori professionali, e anche contro l'associazione “Granello di senape”, che, attraverso il lavoro di una redazione, pubblica la rivista Ristretti Orizzonti e gestisce un importante centro di documentazione.

Per comprendere pienamente il valore di queste due realtà all'interno del carcere di Padova, è utile partire da alcuni dati nazionali e confrontarli, poi, con quelli della realtà padovana. Nel 2016, solo un anno fa, in Italia erano detenuti nelle carceri più di 50 mila individui e il tasso di recidiva, ovvero quando i detenuti una volta scontata la pena tornano a commettere ancora reati, era stimato attorno al 68 per cento: una percentuale altissima, che in termini di costi per le casse dello Stato si traduce circa tra i 3 e i 4 miliardi di euro annui. Oggi solo il 30 per cento dei detenuti lavora in carcere e tra questi solo il 5 per cento ha un lavoro che prepara seriamente ed efficacemente alla vita esterna, al ritorno in società dopo il periodo detentivo.

Per questo voglio portare l'esempio del carcere di Padova, considerato un modello in termini di riabilitazione dei detenuti, perché lì sono detenute circa 600 persone, di cui 140 operanti nella Cooperativa “Giotto” con un lavoro stabile. Basta questo dato per comprendere l'altissimo valore sociale di questa cooperativa. Il tasso di recidiva di questi lavoratori è bassissimo ed è compreso tra il 2 e il 3 per cento, contro una media nazionale del 68 per cento. Si stima, inoltre, che ogni punto di recidiva in meno posso far risparmiare allo Stato 40 milioni di euro l'anno. Questo significa che quando i detenuti imparano e praticano un lavoro in carcere, poi, quando usciranno, una volta scontata la pena, difficilmente torneranno a delinquere di nuovo e questo va a vantaggio dell'intera società.

Ristretti Orizzonti , invece, è un progetto che vede coinvolte decine di detenuti, alcuni che partecipano attivamente alla redazione del giornale, interna al carcere di Padova, altri che frequentano i laboratori di scrittura. Non è una semplice testata giornalistica carceraria, ma è una fonte preziosa di informazioni sulla vita dei detenuti in carcere. Senza Ristretti Orizzonti si conoscerebbe molto meno di quel che accade nelle carceri italiane, nelle scuole non si parlerebbe di carcere, oggi 8 mila studenti all'anno non incontrerebbero i detenuti avviando così uno scambio prezioso, non si organizzerebbero percorsi di dialogo tra le vittime, i loro familiari e gli autori di reato: elementi, questi, fondamentali per attivare nei detenuti una riflessione sulla propria condotta e contribuire ad abbattere la recidiva.

Tuttavia, queste attività formative, lavorative e intellettuali importantissime, sia per i detenuti sia per la collettività, nelle ultime settimane sono state attaccate violentemente da organi di stampa locali e nazionali: una campagna diffamatoria ampiamente descritta nel testo dell'interpellanza. Attacchi poi strumentalizzati politicamente anche in questo Parlamento per opposizione alla riforma penale, poco fa votata da questa Camera.

Sono stati descritti decine di articoli, infangando l'azione di cooperativa Giotto e di Ristretti Orizzonti, parole che hanno dato spunto, poi, per associare queste realtà perfino alla criminalità organizzata, poiché tra i detenuti lavoratori vi sono anche individui condannati per reati di tipo associativo, anche se nel pieno di un percorso rieducativo. Pure in questo caso, la drammatica tendenza alla creazione di fake news ha prodotto i suoi danni. Dall'indagine che vede coinvolto l'ex direttore Pirruccio del Due Palazzi, si è cercato di demolire l'operato di queste due realtà, accusate di avere esercitato forti pressioni sul direttore del carcere, per il declassamento di detenuti da alta sicurezza a media sicurezza, tutte falsità, dato che nessun direttore può avere questa prerogativa di declassamento, di esclusiva competenza del DAP, cioè il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.

Dunque, questi attacchi mediatici sono stati un efficiente carburante per alimentare una lotta politica delle opposizioni anche contro l'operato del Governo, in tema di riforma della giustizia e, in particolare, del processo penale. È stato strumentalizzato e attaccato l'unico sistema virtuoso, che in questi decenni ha saputo dimostrare di abbattere veramente la recidiva, contribuendo alla sicurezza collettiva e al risparmio di ingenti risorse statali.

Il Ministero della giustizia ha da sempre riconosciuto il grande valore di queste realtà, per usare le parole del direttore Piscitello dell'ottobre scorso, numero uno della direzione generale del DAP, che dice: ci provano fino allo stremo delle forze, a rieducare i detenuti al valore del lavoro e della legalità.

Tuttavia, in queste settimane non è stato prodotto, anche da parte del Ministero, alcun comunicato né è stata presa alcuna posizione ufficiale, a difesa della cooperativa Giotto e di Ristretti Orizzonti. Silenzio che rischia di svilire ancora di più la loro azione meritoria, già pesantemente vittima di un'insensata gogna mediatica.

Quest'interpellanza intende chiedere la posizione del Ministero su questi fatti e fugare ogni ambiguità istituzionale nei confronti delle cooperative e delle associazioni, che contribuiscono quotidianamente alla rieducazione dei detenuti, alla loro riabilitazione in società e, di conseguenza, alla sicurezza di tutti i cittadini.

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per la Giustizia, Gennaro Migliore, ha facoltà di rispondere.

GENNARO MIGLIORE, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Grazie, signor Presidente. Con l'interpellanza in discussione, sono stati richiesti chiarimenti sull'opera svolta all'interno dell'istituto penitenziario di Padova da associazioni di volontariato e cooperative sociali, nonché sulla responsabilità della direzione dell'istituto, ipotizzata da alcuni organi di stampa, in ordine alla declassificazione da alta sicurezza a media sicurezza del circuito di appartenenza di alcuni detenuti.

La casa di reclusione di Padova, nell'ambito del piano di rivisitazione dei circuiti penitenziari, è stata destinata dal 2015 alla gestione di detenuti di media sicurezza e il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha, conseguentemente, richiesto alla direzione dell'istituto dettagliate informazioni sui percorsi trattamentali avviati dai detenuti di alta sicurezza, fino a quel momento presenti presso il carcere padovano.

L'articolazione ministeriale ha comunicato che tale richiesta di parere costituisce solo uno dei passaggi procedimentali, in cui si articola l'istruttoria volta all'assunzione del provvedimento di declassificazione, di esclusiva competenza del DAP (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria).

La procedura di declassificazione dei detenuti appartenenti ai circuiti di alta sorveglianza, attivabile d'ufficio o su istanza di parte, procede con l'acquisizione del parere del gruppo di osservazione e trattamento, per quanto attiene al percorso trattamentale, e prosegue con l'acquisizione dei pareri delle competenti direzioni distrettuali antimafia e degli altri organi investigativi interessati, per quanto riguarda l'attività del collegamento del detenuto con l'ambiente criminale di provenienza.

L'amministrazione penitenziaria, infatti, deve procedere alla decisione sulla declassificazione, solo una volta acquisiti tutti gli elementi necessari e utili alla valutazione sull'opportunità o meno della permanenza nel circuito di alta sicurezza della persona detenuta.

Il procedimento, descritto nelle sue linee generali, ha assunto caratteristiche di particolare complessità, per quanto attiene la valutazione dei detenuti presso la casa di reclusione di Padova.

È stato, di fatti, necessario vagliare ben 117 posizioni, dovendosi procedere a rivalutazione, in quanto pareri favorevoli già espressi dalla direzione dell'istituto sono risultati non conformi alle vigenti disposizioni, come emerso dagli esiti della visita ispettiva svolta presso l'istituto penitenziario. Gli accertamenti, che sul punto sono stati avviati, hanno peraltro portato all'apertura di un procedimento penale, attualmente pendente presso la procura della Repubblica, presso il tribunale di Padova.

La declassificazione, disposta dal competente Dipartimento, ha portato alla dismissione di uno dei riparti per detenuti di alta sicurezza, mentre altra sezione è ancora in funzione, in attesa del trasferimento dei detenuti verso altre idonee strutture.

Per quanto concerne le attività trattamentali assicurate presso l'istituto penitenziario, l'offerta è articolata e di alto livello, sia per quanto riguarda l'istruzione scolastica e la formazione professionale, sia per quanto concerne le attività gestite dalle cooperative sociali. Quanto all'offerta didattica, si osserva che i corsi di alfabetizzazione di scuola secondaria e di primo grado coinvolgono attualmente circa 70 persone, mentre il corso di scuola secondaria superiore, gestito dall'Istituto tecnico settore economico, ha circa 50 iscritti.

All'interno della casa di reclusione di Padova è inoltre presente un polo universitario, che garantisce corsi di Giurisprudenza, Scienze politiche, Lettere, Scienze dell'educazione, Ingegneria informatica, Psicologia e Agraria. Al dicembre 2016 risultano iscritti 37 detenuti studenti.

Riguardo alle attività lavorative, sono impiegati alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria 115 detenuti. Un considerevole numero di detenuti lavorano, altresì, presso diverse cooperative sociali, che da anni operano presso l'istituto in questione. La cooperativa Giotto, nel primo semestre del 2017, ha assunto 85 detenuti, impiegati nel call center e nell'assemblaggio delle biciclette. La cooperativa Work Crossing gestisce il laboratorio di pasticceria e, nel medesimo periodo, ha assunto complessivamente 39 detenuti. La cooperativa Altra Città gestisce la lavorazione di legatoria e cartotecnica e ha assunto, nello stesso periodo, 28 detenuti.

All'interno della struttura penitenziaria è attiva, infine, da anni, nell'ambito delle associazioni di volontariato, l'associazione “Granello di senape”, che ha promosso l'attività redazionale del periodico Ristretti Orizzonti e altre attività ad essa connesse, quali uno sportello giuridico, corsi di scrittura e altro.

L'esperienza maturata e le riflessioni, sviluppate nell'ambito degli stati generali dell'esecuzione penale, fanno ritenere che la collaborazione con le istituzioni scolastiche e con il mondo della cooperazione del volontariato appare indispensabile per la realizzazione dei processi trattamentali, funzionali all'effettiva risocializzazione delle persone detenute.

Per quanto attiene specificamente alla casa di reclusione di Padova, l'importanza di tale esperienze appare evidente e, anche alla luce dei risultati della visita ispettiva, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria dovrà adoperarsi, affinché tali attività siano coordinate al meglio.

PRESIDENTE. L'onorevole Zan ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

ALESSANDRO ZAN. Sì, grazie Presidente, mi ritengo soddisfatto e ringrazio molto il Governo e il sottosegretario Migliore per le risposte fornite e penso a una tutela anche istituzionale di queste realtà - nel caso particolare di Padova, ma parliamo di tante cooperative e associazioni che lavorano nelle realtà carcerarie di tutta Italia -, che, se difese e sostenute, possono dare veramente degli ottimi risultati, proprio per quel principio dell'articolo 27 della Costituzione, secondo cui i detenuti devono essere riabilitati e devono essere reintegrati nella società, proprio per una sicurezza della collettività. Laddove i detenuti imparano un lavoro e migliorano il proprio profilo scolastico, questi detenuti, una volta usciti, possono meglio inserirsi nella società e, dunque, rendere forte il principio presente, appunto, nell'articolo 27 della Costituzione.

Per questo motivo, oltre che con un supporto di tipo istituzionale mediatico, è fondamentale sostenere queste realtà in tutto il territorio nazionale, anche in termini economici e finanziari.

Per questo ho presentato un'interrogazione al Governo, firmata peraltro da più di 40 colleghi deputati, per chiedere un rifinanziamento della legge Smuraglia, dopo che in questi anni questa legge ha visto drastici e costanti tagli, e dunque, per invertire la tendenza rispetto a questo, proprio per aumentare in tutto il Paese e in tutte le nostre case di reclusione l'attività di queste cooperative e di queste associazioni che hanno lo scopo di riabilitare e reinserire i detenuti, poi, alla vita sociale.

(Problematiche relative a gare indette dal dipartimento per l'informazione e l'editoria in materia di servizi giornalistici e informativi - n. 2-01894)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Pizzolante e Bosco n. 2-01894 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Pizzolante se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

SERGIO PIZZOLANTE. Sì, grazie, Presidente. Nel 2014 il Governo, direttamente il Presidente del Consiglio, rispose ad una mia interrogazione che era tesa ad intervenire sulla semplificazione e sulla riduzione dei costi per quanto riguarda il finanziamento dell'attività delle agenzie di informazione primaria. L'interrogazione era rivolta al Presidente del Consiglio, che rispose qui in Aula, a seguito della manifestata intenzione, anzi, della decisione da parte del Governo di ridurre le agenzie di stampa, magari favorendo accorpamenti, e anche di ridurre il costo dei contratti del Governo verso le agenzie di stampa. Nel 2016 sono entrati in vigore i nuovi requisiti, molto più restrittivi rispetto a quelli precedenti.

La medesima direttiva è stata impugnata innanzi al tribunale amministrativo ed, essendo stata sospesa, si è proceduto con proroghe semestrali. In data 6 febbraio 2017, il TAR si è espresso e ha messo in evidenza come: la motivazione centrale dell'atto - cioè della riforma, sostanzialmente, della definizione dei nuovi requisiti - sia costituita da una contrazione dei fondi disponibili, ragione che, tuttavia, è espressa in maniera estremamente generica - dice il TAR - e non è in alcun modo collegata, in termine di apprezzabile necessità, con l'individuazione dei nuovi criteri. Per poi aggiungere come tale finalità, cioè la riduzione dei costi, avrebbe potuto essere raggiunta anche a mezzo di diverse e meno restrittive previsioni - che, magari, colpiscono il pluralismo - quali, ad esempio, il taglio proporzionale dei compensi alle diverse agenzie.

La medesima sentenza ha, altresì, aggiunto come nel testo della delibera resti oscuro il profilo centrale del modo in cui i nuovi criteri si conciliano con il rispetto del pluralismo. La stessa direttiva è stata quindi annullata dal TAR. Successivamente è stato indetto il bando. L'ipotesi di far ricorso ad una gara nel comparto delle agenzie di stampa viene ricondotta anche ad una delibera dell'Autorità nazionale anticorruzione, che, tuttavia, metteva in evidenzia: «valuti codesta amministrazione il ricorrere dei presupposti per fare luogo a procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara, lasciando dunque aperto il ricorso ad altre soluzioni».

Tutto ciò detto, noi chiediamo al Governo di appurare se il predetto bando sia stato impugnato dinanzi al TAR competente e dinanzi alla Commissione europea e i motivi oggetto del ricorso; se il bando di gara sia stato oggetto anche di un esposto all'Anac; esprimere le sue valutazioni sull'eventualità che, per come è stata concepita la formulazione del bando di gara per l'affidamento dei servizi giornalistici ed informativi per gli organi centrali e periferici delle amministrazioni dello Stato, nonostante esso avesse come scopo principale la razionalizzazione della spesa pubblica, la procedura possa comportare, invece, un impegno economico per lo Stato superiore rispetto a quello previsto per l'annualità 2014. Cioè, per come è stato predisposto il bando, è nostra valutazione molto probabile che, rispetto all'obiettivo di riduzione dei costi, si provochi un aumento dei costi. Chiediamo di chiarire se i contratti stipulati con le agenzie saranno previsti su base semestrale, con conseguenti difficoltà di pianificazione da parte delle agenzie di stampa; precisare come mai, nonostante la dichiarata intenzione di razionalizzare il settore (anche sotto il profilo quantitativo) delle agenzie di stampa, la formulazione del bando ha provocato, di fatto, un aumento delle agenzie stesse; specificare come mai la formulazione del bando di gara non preveda alcuna specializzazione per le agenzie di stampa; chiarire, infine, se non vi sia, ai sensi del disposto di cui all'articolo 77 del nuovo codice degli appalti, una sovrapposizione di cariche in capo al responsabile del dipartimento/ufficio autonomo per la programmazione ed il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il responsabile, infatti, ha competenza di proposta, ma ha anche la competenza, poi, di valutare le proposte. Ci sembra un conflitto e, anche su questo, chiediamo un chiarimento.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Domenico Manzione, ha facoltà di rispondere.

DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. L'interpellanza degli onorevoli Pizzolante e Bosco ha ad oggetto l'acquisto dei servizi giornalistici e informativi e pone tutta una serie di quesiti che, del resto, sono stati ora bene illustrati da parte dello stesso interpellante. Prima di dare una risposta articolata ai singoli interrogativi, conviene chiarire il quadro giuridico che ha portato alla decisione di acquisire i servizi oggetto dell'interpellanza mediante procedura di gara europea suddivisa in lotti. Come ricordato dagli interpellanti, fino a oggi i servizi di agenzia di stampa venivano garantiti mediante la sottoscrizione di contratti preceduti da una procedura negoziata senza bando. Ciò avveniva perché la legge n. 449 del 1997 aveva previsto espressamente che tali contratti erano da ricomprendersi tra quelli sottratti alle regole di gara per ragioni attinenti alla tutela dei diritti esclusivi - l'espressione può essere virgolettata, perché è esattamente quella contenuta nella norma -, e quindi andavano affidati a trattativa privata. Tanto risultava dall'articolo 7, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n. 157 del 1995.

Stante la sostanziale identità del testo successivo, che è quello relativo al decreto legislativo n. 163 del 2006, primo codice dei contratti pubblici, i successivi affidamenti sono avvenuti mediante la medesima tipologia di procedura. Per tutelare il pluralismo dell'informazione ed evitare, cioè, che i servizi di agenzia di stampa fossero forniti da un solo operatore, il Dipartimento ha sempre stipulato contratti con più agenzie di stampa. Entrato in vigore il nuovo codice dei contratti pubblici, decreto legislativo n. 50 del 2016, il Dipartimento si è posto il problema della perdurante possibilità di fare ricorso alla procedura negoziata senza bando e ha posto un quesito all'Anac. In questo parere, che consta di passaggi molto articolati e, ovviamente, non solo della frase riportata nell'interpellanza che abbiamo sentito illustrata dianzi, l'Anac afferma una serie di principi.

Tra questi che l'eccezione alla regola della gara pubblica è limitata alle ipotesi tassative previste dal codice, da interpretare in senso restrittivo. In particolare, il ricorso alla procedura negoziata è previsto per quelle prestazioni coperte da diritti esclusivi, ma limitatamente al caso in cui esista un solo operatore economico in grado di fornire la prestazione, cosiddetta prestazione infungibile. Nel caso in esame, questa situazione non ricorre perché esistono più operatori economici in grado di fornire la prestazione. Per garantire il pluralismo è poi possibile stipulare contratti con più di un'agenzia di stampa. Questi contratti possono essere stipulati dal Dipartimento ed essere erogati a tutte le altre amministrazioni; il Dipartimento, quindi, si pone come centrale di committenza rispetto alle altre amministrazioni, e quindi come amministrazione capofila.

In concreto, la gara potrà essere strutturata prevedendo più lotti. I requisiti di partecipazione devono essere proporzionati e i criteri di aggiudicazione devono consentire la valutazione dell'offerta. Appare conclusivamente evidente che il parere reso dall'Anac, diversamente da quanto suggerisce l'interpellanza, che cita un solo passaggio, decontestualizzato peraltro, ha chiarito in modo non equivoco che la procedura negoziata senza bando non è praticabile quando esistono più operatori economici in grado di fornire la prestazione richiesta.

Alla luce del parere dell'Anac il Dipartimento ha avviato la predisposizione della gara. A ragione della complessità e della novità della stessa ha sottoscritto un protocollo di vigilanza collaborativa con l'Anac stessa in base al quale l'Autorità anticorruzione è chiamata a fornire il proprio parere su tutti gli atti e i provvedimenti di gara. Gli atti di gara (bando, capitolato, disciplinare) sono stati quindi predisposti dal Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri nell'ambito della separazione vigente tra indirizzo politico e atti di gestione e successivamente approvati da Anac prima della pubblicazione. In particolare, il Dipartimento ha previsto di suddividere l'appalto in dieci lotti differenti sia per tipologia di notizie (lotti generalisti, lotti specialistici) sia per dimensione (numero di notizie e frequenza di notiziario). La suddivisione si è resa necessaria sia per garantire il pluralismo dell'informazione sia per garantire la possibilità di partecipare alle piccole e medie imprese rispettando un ulteriore obbligo previsto e imposto dal nuovo codice degli appalti. Per garantire il perseguimento di questi due obiettivi si è posto un vincolo di partecipazione, ciascun concorrente poteva presentare offerte per massimo due lotti, e di aggiudicazione, ciascun concorrente poteva risultare aggiudicatarie di un solo lotto. Questi vincoli sono espressamente previsti dal codice dei contratti pubblici e il Dipartimento ha motivato sulle ragioni della loro introduzione: il criterio di selezione della migliore offerta è quello del miglior rapporto qualità-prezzo.

La gara avviata il 2 maggio è già giunta all'aggiudicazione. La decisione di procedere all'affidamento del servizio per mezzo di una gara pubblica garantisce la massima apertura possibile al mercato e l'affidamento al concorrente che ha presentato l'offerta più vantaggiosa per l'amministrazione. È quindi difficile comprendere una sorta di rimpianto per il vecchio sistema che si intravede in alcuni passaggi dell'interpellanza urgente.

Per venire poi ai singoli quesiti di cui parlavamo all'esordio, il bando risulta impugnato? Ci sono al momento vari ricorsi sia contro il bando sia contro i provvedimenti di esclusione adottati nei confronti di alcune agenzie. Tanto il TAR quanto il Consiglio di Stato hanno rigettato le varie domande cautelari formulate e l'udienza di merito per una parte dei giudizi è fissata al 26 settembre 2017. Su questo punto peraltro si può formulare un'osservazione: è la prima volta che viene fatta una gara in questo settore; non esistono precedenti; grazie anche all'apporto di Anac c'è da credere di non aver commesso errori almeno fino a questo momento e soprattutto si sia agito ovviamente in termini di massima trasparenza.

Il secondo quesito riguardava i chiarimenti sulla posizione del responsabile del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio. Vi è un esposto all'Anac da questo punto di vista. L'articolo 77 del codice dei contratti pubblici è in realtà perfettamente rispettato: il dirigente in questione non ha svolto alcuna funzione o incarico relativamente al contratto del cui affidamento si tratta poiché i compiti della citata commissione con il compito di formulare specifiche proposte per la definizione dei principi e delle linee direttive, cui la Presidenza del Consiglio dei ministri deve attenersi per la stipula degli atti contrattuali con l'agenzia di stampa e di informazione, si sono esauriti nell'esame delle caratteristiche delle due distinte procedure di acquisizione di servizi, procedura negoziata e gara europea, senza entrare in alcun modo negli aspetti tecnici del disciplinare di gara come ampiamente dimostrato dalla relazione finale della commissione stessa che è agli atti del Dipartimento, relazione che peraltro è stata consegnata il 15 dicembre 2016 e dunque molto prima della sottoscrizione del protocollo con l'Anac e della pubblicazione del bando.

Sì, vi è un esposto all'Anac sulla medesima questione ma aggiungo anche che il decreto di nomina della commissione di valutazione delle offerte della gara ha ricevuto il parere favorevole dell'Anac nell'ambito del citato protocollo di vigilanza collaborativa.

Altro quesito è il seguente: la procedura comporterà un aumento della spesa? Anche su questo punto è relativamente agevole rispondere: la procedura ha previsto un valore totale dell'importo a base d'asta superiore al passato a fronte di un maggior numero di servizi meglio qualificati e più rispondenti al fabbisogno espresso dalle amministrazioni utilizzatrici. Il confronto operativo ha portato, oggi, alla selezione di offerte che garantiscono un significativo risparmio, a qualità superiore.

Questa evidentemente è la conferma che la gara, sviluppando un confronto competitivo, produce effetti positivi per l'Amministrazione anche sotto il profilo dei costi e della qualità dei servizi. Altro quesito: i contratti avranno durata semestrale? Sì, i contratti avranno durata semestrale perché la durata è allineata alle reali disponibilità di bilancio della Presidenza del Consiglio. Sono però rinnovabili fino a trenta mesi e tale opzione, a meno dell'indisponibilità di risorse, sarà esercitata garantendo quindi continuità ai contratti. Non è agevole comprendere in che modo ciò possa costituire un pericolo per le agenzie; infatti, tra i requisiti di partecipazione è stata richiesta la prova della presenza in organico di un numero di giornalisti sufficiente alla prestazione del servizio, nonché la dimostrazione di aver svolto servizi analoghi. Tutti gli aggiudicatari, quindi, sono in grado di adempiere alle prestazioni, senza necessità di fare particolari investimenti. Inoltre stiamo comunque parlando di una durata contrattuale che, da un lato, non è particolarmente breve e, dall'altro, è tipica per questa tipologia di prestazioni. Aggiungo infine che una specifica clausola contrattuale impone alla agenzie di mantenere invariato il gruppo di lavoro per tutta la durata del contratto con effetti positivi sulla stabilità occupazionale del settore. Il quesito ulteriore è il seguente: come mai il bando ha provocato un aumento delle agenzie? E qui francamente si fa fatica a comprendere la domanda: un bando non può evidentemente provocare dal punto di vista ontologico l'aumento degli operatori economici. Infatti le gare si rivolgono agli operatori che già esistono; servono, come detto, requisiti di esperienza pregressa per partecipare. Quindi il bando non ha provocato un aumento delle agenzie. Se invece si vuole intendere perché il bando ha provocato l'aumento delle agenzie che sottoscriveranno un contratto per la fornitura del servizio, allora posso evidenziare che il numero dei lotti previsti, cioè dieci, porterà alla sottoscrizione dei contratti con un numero di agenzie pari a quello delle stesse agenzie che hanno fornito servizi fino a oggi; che la suddivisione dell'appalto in lotti di varia dimensione e specializzazioni, peraltro richiesto dal codice dei contratti, ha favorito la partecipazione alla gara delle piccole e medie imprese; che la necessità di avere più agenzie che forniscano il servizio è indispensabile per garantire il pluralismo. Per quanto riguarda l'ultimo quesito il bando, come ho già rammentato, prevede lotti specialistici.

PRESIDENTE. L'onorevole Pizzolante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

SERGIO PIZZOLANTE. Sono totalmente insoddisfatto e noto nelle parole del sottosegretario, oltre che elementi di spiegazione, anche elementi di ingiustificata irritazione. Io ero in questa Aula quando ho interrogato il Presidente del Consiglio Renzi e mi ricordo - cose che Renzi ha detto in quest'Aula ma poi ha detto anche fuori di quest'Aula - che il motivo principale per l'intervento di revisione delle regole era la riduzione dei costi perché Renzi disse che era inaccettabile che il Governo abbia questi costi che sono molto superiori ai costi che hanno altri Governi europei rispetto ai servizi delle agenzie di stampa. E qui, al di là degli elementi di irritazione, non è stato smentito il fatto che i costi non saranno inferiori rispetto a quelli del 2014. L'altro argomento usato dall'allora Presidente del Consiglio era che era inaccettabile che il Governo avesse una quantità così rilevante di rapporti contrattuali con un numero esorbitante di agenzie. E Renzi disse anche uno degli obiettivi, se non l'obiettivo principale, era anche di favorire accorpamenti e processi di accorpamento per semplificare il quadro. Qui il sottosegretario conferma quelli che sono i nostri come dire dubbi, anche qui con un elemento ingiustificato di insofferenza, dicendo che di fatto si andrà verso un ampliamento delle agenzie aprendo alle piccole e medie imprese.

Quindi, alla fine, rispetto all'obiettivo dichiarato nel 2014 di ridurre i costi, semplificare, favorire l'accorpamento, in qualche modo, bonificare, fra virgolette - mi ricordo che il Presidente Renzi faceva riferimento a quello che succedeva in Inghilterra, per esempio, o in altri Paesi -, dopo due anni e dopo ricorsi vari, avremo dei bandi e delle procedure che, di fatto, aumenteranno i costi e aumenteranno il numero delle agenzie. Non ha semplificato nulla, non ha favorito nessun accorpamento: l'esatto contrario di quelli che erano gli obiettivi dichiarati.

Quindi, anche qui, il sottosegretario poteva risparmiarsi il giudizio sulla mia volontà di guardare al passato: noi abbiamo soltanto detto che l'Anac naturalmente, come è giusto che sia, è favorevole ai bandi, ma, nello stesso tempo, dice che si potevano e si possono fare scelte diverse e che, magari, facendo queste scelte diverse, non ci troveremmo di fronte ad un risultato che è l'esatto opposto di quello che era l'obiettivo del 2014 e, cioè, l'aumento dei costi e l'aumento del numero delle agenzie. Magari attraverso un'altra procedura avremmo potuto raggiungere questo risultato: attraverso questa procedura ne raggiungeremo un altro.

Dice l'Anac che si potevano trovare anche altre strade. E non è che l'Anac sia un istituto di un altro Paese che non conosce quello che succede in Italia: l'Anac sa benissimo che in Italia non esiste una sola agenzia, ma ce ne sono un numero superiore ad uno. Quindi, non ha dato un giudizio su un'informazione sbagliata: l'Anac è assolutamente consapevole che in Italia non esiste soltanto un'agenzia e che ne esiste più di una e, nonostante questo, dice che il Governo poteva adottare altre procedure rispetto a quelle che ha adottato. Quindi, confermo la mia totale insoddisfazione.

(Elementi ed iniziative in merito alla gestione dell'ordine pubblico a Torino in relazione all'applicazione dell'ordinanza che sospende l'attività di vendita di bevande alcoliche in alcune zone della città - n. 2-01876)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Fregolent ed altri n. 2-01876 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Fregolent se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

SILVIA FREGOLENT. Grazie, signor Presidente. L'interpellanza riguarda i fatti noti - perché sono stati riportati da tutti i quotidiani - avvenuti nella mia città il 21 giugno scorso relativi all'applicazione dell'ordinanza anti-alcol voluta dalla sindaca Appendino.

Facciamo un passo indietro. Anche la mia città, come molte città italiane, conosce il fenomeno della movida, termine spagnolo che viene utilizzato per raccontare la vita notturna che si svolge nelle città e che vede come protagonisti i giovani. A mio parere, l'esistenza della movida anche a Torino ha permesso la riqualificazione di molti quartieri - San Salvario, Quadrilatero romano -, che hanno visto la nascita di locali dove si vendono anche sostanze alcoliche e dove i giovani stazionano per parecchie ore della notte. Questo ha determinato una difficile convivenza con i cittadini che abitano in quei quartieri, che vedono il rumore aumentare, soprattutto, durante la settimana e, quindi, hanno organizzato associazioni contro la movida.

Dopo i fatti del 3 giugno - lei mi aveva risposto nella stessa Aula -, probabilmente, la sindaca, facendosi prendere un po' da una volontà di controllare tutto, ha predisposto un'ordinanza anti-alcol giustificata con le seguenti motivazioni: di ordine pubblico per l'elevato consumo di alcol; di decoro urbano, perché le bottiglie e le lattine vengono lasciate nelle vie; di salute pubblica, per l'inquinamento del rumore; di circolazione stradale, in quanto spesso queste zone sono interessate da automobilisti che non sono disciplinati e, quindi, parcheggiano male le auto; di carattere giudiziario, in quanto i comitati di quartiere, come dicevo, hanno presentato esposti.

Io non sono mai per le ordinanze, penso sempre che ci debba essere un'interlocuzione tra i proprietari dei locali, coloro che vanno nei locali e i cittadini che abitano, perché le ordinanze e i divieti non hanno mai portato bene nella storia, almeno per quello che mi ricordo, ma probabilmente siamo in un'altra epoca.

I primi controlli effettuati effettivamente non hanno portato molto bene: le forze dell'ordine sono state anche allontanate con modi abbastanza bruschi dagli avventori dei locali. Allora ci siamo rifatti e, il 21 giugno di quest'anno, la polizia si è presentata in alcune zone vestita da antisommossa per cercare di applicare questa ordinanza. Ovviamente, ci sono stati degli scontri con i centri sociali, che non vedevano l'ora di poter creare zizzania nella città e a farne le spese sono stati gli avventori dei poveri locali, che si sono visti arrivare l'onda dei centri sociali, da una parte, e della polizia antisommossa, dall'altra, e loro si sono trovati in mezzo.

Il giorno dopo, ovviamente, abbiamo avuto, come sempre quando capitano queste cose ormai nella mia città, la sindaca che ha ringraziato le forze dell'ordine e il MoVimento 5 Stelle, la maggioranza che la sostiene, che ha criticato le forze dell'ordine: al poliziotto buono e al poliziotto cattivo, ormai, ci siamo abituati da un anno nella mia città, però sottolinea che c'è un problema di ordine pubblico, che le forze non si parlano e che c'è qualcosa che non va nell'organizzazione della pubblica sicurezza della mia città, perché non posso pensare che questore e prefetto abbiano fatto queste cose di loro spontanea volontà.

Quindi, evidentemente, c'è un corto circuito di comunicazione tra sindaco, prefetto e questore, tanto è vero che il G7 che si doveva tenere a settembre sul lavoro e l'economia a Torino è stato spostata a Venaria: vicino di casa, perché è a pochi chilometri, però, evidentemente, ciò con riferimento alla sicurezza della mia città, per non avere un evento internazionale, pur avendo vissuto di eventi internazionali fino all'altro giorno, evidentemente rassicura la sindaca di evitare incidenti ulteriori.

Io interpello il Ministero per capire che cosa è successo veramente quella sera, posto che, ancora una volta, non abbiamo avuto risposte dall'autorità comunale, se non balbettanti scusanti, e per capire se effettivamente c'è un problema di ordine pubblico nella mia città, visto che gli incidenti, dal 3 giugno ad oggi, continuano ad avvenire.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'Interno, Domenico Manzione, ha facoltà di rispondere.

DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. L'onorevole Fregolent, unitamente ad altri deputati, chiede al Ministro dell'interno di fornire la ricostruzione degli scontri avvenuti nella serata dello scorso 21 giugno a Torino tra un gruppo di giovani, alcuni dei quali appartenenti ai centri sociali, e le forze di polizia, accertando eventuali responsabilità di queste ultime e adottando per il futuro le misure necessarie alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica.

Ovviamente va premesso che, ogni anno, con l'arrivo della stagione estiva - ma lo rammentava già l'onorevole Fregolent - vengono intensificati i controlli del territorio nelle aree di Torino caratterizzate dall'alta concentrazione di locali pubblici, ai quali affluiscono numerosi avventori nelle ore serali e notturne dando vita alla cosiddetta movida. I controlli delle forze di polizia sono finalizzati alla prevenzione e alla repressione dei fenomeni di illegalità diffusa che, solitamente, caratterizzano le aree in questione. In tale contesto, vengono intensificati anche i controlli amministrativi nei locali pubblici.

Venendo più specificamente ai fatti oggetto dell'interpellanza, posso riferire quanto segue. Il 9 giugno scorso è entrata in vigore l'ordinanza contingibile e urgente con la quale il sindaco di Torino ha disposto la sospensione, a partire dalle 20, della vendita per asporto di bevande alcoliche e superalcoliche nelle aree della movida, cioè San Salvario, piazza Vittorio Veneto, Vanchiglia.

Il provvedimento è stato fieramente avversato dal centro sociale Askatasuna, che ha avviato una campagna mediatica contro la sua applicazione con il chiaro intento di mobilitare i giovani frequentatori dei locali della movida. In tale contesto, il 14 giugno scorso, in piazza Santa Giulia, e il 17 giugno in Lungo Po Murazzi, simpatizzanti aderenti ai centri sociali hanno inscenato contestazioni nei confronti del personale delle forze di polizia impegnato nelle normali attività di controllo amministrativo.

Il successivo 20 giugno, uno dei tanti servizi di controllo straordinario del territorio che vengono programmati settimanalmente, anche in esecuzione delle determinazioni assunte in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ha interessato l'area della predetta piazza Santa Giulia, del popolare quartiere Vanchiglia, a poca distanza dalla sede del centro sociale Askatasuna.

Nella circostanza, circa centocinquanta militanti del centro sociale hanno immediatamente improvvisato due presidi a ridosso degli operatori impegnati nei controlli, scandendo slogan contro le forze di polizia. L'iniziativa, tuttavia, non ha impedito la regolare conclusione dell'attività di controllo amministrativo dei locali avvenuta alle ore 22 circa del medesimo giorno, ovviamente.

Iniziato il deflusso del personale in uniforme, gli ultimi ad allontanarsi dalla piazza sono stati gli operatori in abiti civili del commissariato di pubblica sicurezza di Dora-Vanchiglia, tra i quali il dirigente, che sono stati accerchiati e aggrediti da decine di giovani, riportando lesioni di varia entità. In particolare, uno degli operatori ha subito la frattura di una costola, successivamente refertata presso l'ospedale cittadino, con 30 giorni di prognosi. L'ordine pubblico è stato ristabilito grazie all'immediato intervento dei reparti inquadrati della polizia di Stato, che sono stati bersagliati, anch'essi, dal lancio di corpi contundenti, quali bottiglie di vetro, bicchieri, sedie e tavolini prelevati dai dehors dei locali.

Questi i fatti sui quali è in corso una specifica attività di indagine da parte della DIGOS della questura, coordinata dalla locale procura della Repubblica, volta all'identificazione dei responsabili e al loro deferimento all'autorità giudiziaria. Ovviamente, io posso assicurare che la situazione dell'ordine pubblico a Torino è sostanzialmente sotto controllo, essa è oggetto di costante attenzione da parte delle autorità provinciali di pubblica sicurezza e delle forze di polizia e, più in generale, da parte del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica; in particolare, per quanto riguarda quest'ultimo organismo, di cui, ovviamente, è componente anche il sindaco di Torino, si realizza un raccordo fra tutte le istituzioni preposte a vario titolo alla tutela della legalità e dell'ordinata e civile convivenza della comunità torinese, in una logica di partnership, volta a prevenire le tensioni e i conflitti sociali che possono determinare turbative dell'ordine o della sicurezza pubblica in ambito comunale.

PRESIDENTE. L'onorevole Fregolent ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

SILVIA FREGOLENT. Grazie, sottosegretario; ovviamente, a nome del Partito Democratico sottolineo la solidarietà alle forze dell'ordine che si sono, ancora una volta, trovate accerchiate dai centri sociali; cosa che non è nuova nella mia città e loro, insomma, dai no TAV in avanti, penso che non ci sia stata occasione che non abbiano subìto questo trattamento. La risposta, però, non va a individuare, effettivamente, cosa sia successo, veramente, quel 21 giugno, nel senso che, vede, il fatto che nelle precedenti occasioni di controllo c'erano state delle intemperanze da parte di alcuni nei confronti della polizia, sicuramente, determinava la presenza di maggiori forze dell'ordine in quella circostanza; che ci fosse un pretesto, ovviamente, per i centri sociali per fare disordine e rumore e sperare nel caos per poter essere protagonisti. Tant'è vero che, poi, il giorno successivo al 21 giugno sono andati a fare festa in piazza Santa Giulia, perché avevano ottenuto, evidentemente, lo scopo, cioè quello di far spaventare le persone normali che erano sedute in quei tavoli. Oggi, forse, le interpellanze urgenti dovrebbero essere lasciate su alcuni argomenti, perché abbiamo degli strumenti, purtroppo, i telefonini, con delle videocamere, che hanno ripreso non i poliziotti che picchiavano le persone comuni, ma, il fatto che i centri sociali fossero in mezzo ai tavolini dove c'erano le famiglie normali che stavano finendo le loro cene e consumando una giornata tranquilla, ha fatto sì che anche le persone comuni che non c'entravano niente con i centri sociali siano state coinvolte in questa baraonda, in queste violenze, che non hanno come responsabili - e voglio sottolinearlo - le forze dell'ordine, ma, a mio avviso, un'ordinanza che, così rigida come è stata pensata, non sta portando molto bene alla città.

Lo sanno gli operatori economici che sono molto preoccupati, perché questo non determina un minor consumo di alcol, anzi, non lo determina nei posti dove dovrebbe essere venduto in maniera legale, ma attraverso altri modi illegali di poterselo procurare, o attraverso il supermercato in maniera autonoma, ma non è venuto meno l'uso dell'alcol e della movida rumorosa solo a causa dell'ordinanza.

Ecco, io, attraverso di lei, mi faccio promotrice di una richiesta, proprio perché l'ordine pubblico deve essere garantito, però non ci devono essere eventi come questo, nella saggezza del prefetto e del questore, affinché al tavolo della sicurezza, possano dare dei saggi consigli ai giovani amministratori che stanno cercando di governare la mia città, per rendere la mia città che è diventata famosa, anche, per un certo stile di vita, di non distruggerlo in un anno di loro Governo e di continuare a permettere ai commercianti di poter fare i commercianti, ai giovani di divertirsi in maniera legale e ai cittadini di poter tranquillamente riposare.

(Elementi ed iniziative in relazione alla segnalazione di fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dell'estrazione del porfido in provincia di Trento- n. 2-01855)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Turco ed altri n. 2-01855 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Artini se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario o se si riservi di intervenire in sede di replica.

MASSIMO ARTINI. Grazie, Presidente. Questa interpellanza nasce da un fatto pubblicato il 17 marzo di quest'anno da l'Adige. Più in generale, nasce da tutto un insieme di interpellanze e da un lavoro abbastanza ampio che come Alternativa Libera stiamo facendo. L'articolo titolava: «Porfido: scontro duro sulla gestione», e riportava stralci di una dettagliatissima relazione del marzo 2017, redatta dal segretario comunale, dottor Marco Galvagni, in cui si evidenziavano fenomeni di infiltrazione della 'ndrangheta calabrese nel settore estrattivo del porfido, nella provincia di Trento; tale relazione era stata preventivamente inviata il 6 marzo ai sindaci dei quattro comuni interessati, Lona Lases, Albiano, Segonzano e Sover, e all'Autorità nazionale anticorruzione.

In particolare, nella relazione, si puntualizzava il fallimento dell'azienda estrattiva Marmirolo Porfidi Srl, già segnalata all'autorità giudiziaria, e di alcuni personaggi politici della zona. Tra le persone richiamate nella predetta relazione risulta, tra gli altri, il signor Michele Pugliese, nato a Crotone nel 1976 e condannato a Bologna nel settembre 2016 - nel processo “Zarina Aurora” - alla pena detentiva di sette anni e otto mesi di reclusione, in quanto membro della cosca Arena-Nicosia. Nella medesima relazione, figura il signor Antonio Muto, già arrestato a Trento con l'accusa di bancarotta fraudolenta e che, comunque, tra i soci dell'immobiliare San Francisco srl, assieme a Pugliese, Giulio Giglio e Salvatore Grande Aracri, era nel mondo del porfido trentino, nell'agosto 2014, interessato, tra l'altro, da indagini internazionali sul traffico internazionale di droga. Nei carichi era plausibile che ci potessero essere cose diverse dal porfido con peso completamente diverso.

La nostra interpellanza, è relativa al fatto che il testo unico delle leggi regionali sull'ordinamento dei comuni della regione autonoma Trentino-Alto Adige pone in capo al presidente della giunta provinciale di Trento poteri di ispezione, ma anche a fronte della relazione fatta, questi sembrano, ad oggi, non essere stati attivati. La provincia autonoma di Trento aveva precedentemente nominato un commissario straordinario al comune di Lona Lases, il commercialista Mauro Dallapiccola, che risultava avere svolto una attività per alcune delle ditte di porfido richiamate nella relazione. Quindi, pare evidente che questi elementi, già di per sé, sono gravi e tali da ritenere necessaria una tutela, anche, del segretario comunale che, peraltro, sembra essere stato rimosso dall'incarico ricoperto, così come risulta, successivamente, da un articolo di l'Adige di 10 giorni dopo, il 27 marzo.

Quindi, la nostra domanda è relativa a quali elementi si dispongano sulle vicende sopra richiamate, anche per il tramite del commissario del Governo, in particolare in ordine al mancato esercizio dei poteri ispettivi di cui in premessa e quali eventuali iniziative di competenza si intendano adottare al riguardo.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'Interno, Domenico Manzione, ha facoltà di rispondere.

DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. Gli interpellanti chiedono notizie sui fatti esposti in un articolo pubblicato lo scorso 17 marzo sul quotidiano l'Adige di Trento che ha riportato stralci di una relazione redatta e inviata dal segretario comunale, dottor Marco Galvagni, ai sindaci di Lona Lases, Albiano, Segonzano e Sover e al presidente dell'ANAC, con cui si evidenziavano infiltrazioni della 'ndrangheta nell'attività estrattiva del porfido in provincia di Trento. Del resto abbiamo sentito bene illustrata la posizione dell'interpellante.

Al riguardo il commissario del Governo di Trento ha riferito che, nel corso del 2009, la Guardia di finanza ha avviato accertamenti preliminari nei confronti di alcuni soggetti di origine calabrese, residenti in provincia di Reggio Emilia, sospettati di essere contigui alla 'ndrangheta ed ai quali erano riconducibili alcune azienda all'epoca attive in Trentino.

Nell'ambito di tali accertamenti è emersa l'ipotesi che il signor Antonio Muto, residente a Reggio Emilia, amministratore unico della società Marmirolo Porfidi Srl, costituita nel 2004 e attiva nel settore della lavorazione e del trattamento dei porfidi, marmi e materiali inerti, fosse coinvolto, insieme ad altri soggetti, in un tentativo di infiltrazione della criminalità organizzata nella provincia di Trento attraverso l'acquisizione della citata società.

Nello stesso contesto investigativo, si è evidenziata la figura, anch'essa citata nell'interpellanza, del signor Michele Pugliese, quale socio, insieme al signor Muto ed altri, dell'immobiliare San Francisco Srl, con sede in Reggio Emilia, nonché socio di un'azienda di ristorazione operante nel Trentino, ora inattiva e in fase di scioglimento.

In relazione a tali indagini, la Guardia di finanza ha interessato la competente Direzione distrettuale antimafia, essendo emersa tra le ipotesi di reato quella prevista dall'articolo 416-bis del codice penale.

L'attività investigativa condotta in Trentino non ha fatto emergere nei confronti del signor Muto elementi di conferma per le ipotesi formulate nell'originaria notizia di reato dalla Guardia di finanza, tanto che il relativo procedimento penale è stato archiviato, salvo lo stralcio di alcune posizioni per delitti non riconducibili all'associazione a delinquere di stampo mafioso. Nei suoi confronti, infatti, si è proceduto per bancarotta fraudolenta, per aver tentato, in qualità di amministratore unico della Marmirolo Porfidi Srl, di depredare l'azienda trentina dei suoi beni, portandola al fallimento. Per tale delitto, il Muto è stato condannato alla pena di due anni di reclusione.

A seguito del fallimento della citata società Marmirolo, nel 2011 è stato nominato un curatore fallimentare, mentre amministratore unico è divenuto uno dei soci, a carico del quale non sono emersi collegamenti con la criminalità organizzata.

Dall'epoca dei fatti sopra esposti, il Muto non risulta aver ricoperto incarichi in aziende trentine.

Per completezza, informo che il predetto è stato coinvolto in vicende giudiziarie in altre province, tra le quali quelle relative alla cosiddetta ‘operazione Aemilia'.

Quanto, invece, alla posizione del signor Pugliese, il Ministero della Giustizia ha riferito che il predetto è stato condannato, con sentenza del tribunale di Bologna del 15 settembre 2016, in quanto ritenuto responsabile di varie ipotesi di reato, previste all'articolo 12-quinquies del decreto-legge n. 306 del 1992, relative, prevalentemente, a quote di capitale sociale e beni aziendali di imprese operanti prevalentemente nel settore del trasporto per conto terzi, con sede nelle province di Bologna e Reggio Emilia.

Avverso la sentenza il pubblico ministero ha proposto appello, avendo il tribunale di Bologna escluso l'aggravante di cui all'articolo 7 della legge n. 203 del 1991 - quella della del metodo mafioso, tanto per intenderci -, per aver favorito l'attività della cosca di 'ndrangheta “Arena-Nicoscia”, egemone nel territorio di Isola Capo Rizzuto, ma con già accertate proiezioni in varie province del nord Italia. L'udienza per la trattazione del giudizio di appello è fissata per il prossimo 27 settembre.

Su un piano più generale, gli onorevoli interpellanti chiedono notizie anche sulla posizione del segretario comunale Marco Galvagni, che, a loro dire, sarebbe stato inspiegabilmente rimosso dall'incarico ricoperto.

Chiedono, altresì, di conoscere quali iniziative si intendano adottare, anche attraverso il commissario di Governo di Trento, in ordine al mancato esercizio, da parte del presidente della giunta provinciale, dei poteri ispettivi conferitigli dal Testo unico delle leggi regionali sull'ordinamento dei comuni della regione autonoma Trentino-Alto Adige.

Su quest'ultimo aspetto, giova ricordare che, al di fuori delle ipotesi tassativamente tipizzate dalla legge, i prefetti territorialmente competenti e l'amministrazione dell'interno non dispongono di poteri di controllo sulla legittimità degli atti degli enti locali, né di poteri ispettivi o sostitutivi nei confronti dei medesimi. Ciò vale, ovviamente, a maggior ragione, nel caso degli enti locali, a cui costituzionalmente si è riconosciuta una autonomia speciale, come, nel caso di specie, la provincia di Trento.

Tanto premesso, si rileva che i poteri ispettivi attribuiti alla provincia di Trento comprendono anche i controlli finalizzati a verificare il rispetto delle norme in materia mineraria. Tali controlli, secondo quanto riferito dalla provincia medesima, sono regolarmente effettuati dal personale specificamente preposto alla sorveglianza.

Per quel che attiene, infine, alla vicenda relativa al dottor Galvagni, la provincia di Trento, competente alla gestione degli incarichi attribuiti ai segretari comunali, ha comunicato quanto segue.

La legge provinciale n. 3 del 2006 ha reso obbligatoria la costituzione di gestioni associate per i servizi comunali per tutti i comuni della provincia di Trento con popolazione fino a 5 mila abitanti. Sulla base di tale previsione, la provincia ha dato avvio alle gestioni associate in 36 ambiti territoriali, fra cui quello comprendente i comuni di Segonzano, Sover, Lona Lases e Albiano.

In particolare, per il servizio di segreteria in gestione associata, l'articolo 59 del Testo unico dell'ordinamento del personale dei comuni della regione Trentino-Alto Adige prevede che la titolarità della funzione di segretario comunale spetti, tra i segretari dei comuni in gestione associata, a quello avente la qualifica funzionale di classe superiore. In caso di parità di classe, la titolarità della funzione spetta temporaneamente al segretario con maggiore anzianità di servizio nella qualifica, fino all'espletamento di apposita selezione che individui in via definitiva il titolare del servizio. I segretari non individuati come titolari conservano, comunque, la qualifica professionale e il trattamento economico in godimento.

Ciò è quanto è accaduto per il dottor Galvagni, segretario di Lona Lases, che, come previsto dalla norma regionale, è stato inquadrato come vicesegretario, conservando la qualifica professionale e il trattamento economico in godimento; mentre per la gestione associata obbligatoria di segreteria dei comuni di Segonzano, Sover, Lona Lases e Albiano, l'incarico di segretario titolare è stata affidata a quello con maggiore anzianità di servizio, in attesa dell'espletamento della procedura selettiva.

Venendo, infine, alla posizione del dottor Dallapiccola, sempre la provincia autonoma di Trento, ha riferito che la sua nomina all'incarico di commissario straordinario presso il comune di Lona Lases è stata disposta con decreto del presidente della provincia del 28 luglio 2015, su conforme deliberazione della giunta provinciale, a causa dello scioglimento del consiglio comunale determinata dalle dimissioni della metà più uno dei consiglieri comunali. Il dottor Dallapiccola è rimasto in carica fino all'elezione dei nuovi organi, avvenuta il 15 novembre 2015. La nomina è stata effettuata nel rispetto delle disposizioni in materia di candidabilità, eleggibilità e compatibilità, previste dalla specifica normativa provinciale nazionale. Sulla base di tali disposizioni, il commissario straordinario ha rilasciato la prevista dichiarazione della insussistenza di cause di incompatibilità.

PRESIDENTE. L'onorevole Artini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Turco e altri n. 2-01855, di cui è cofirmatario.

MASSIMO ARTINI. Grazie, Presidente. Devo ringraziare il sottosegretario Manzione perché indubbiamente - penso sia una delle poche volte - ha dato seguito a tutti i punti e alle domande che erano in interpellanza, con effettivamente una quantità di informazioni che mi risulta difficile poter verificare e poter dare dettaglio in questa parte.

Devo ammettere che tutta la parte che riguarda la spiegazione sul segretario Galvagni, effettivamente è ineccepibile, volevo verificare quali fossero i termini in cui era stata, come dire, approvata la legge provinciale, a cui poi è stato dato seguito direttamente in quei particolari giorni. Mi rallegra il fatto che ne sia, comunque, vicesegretario, in quella gestione associata da parte dei comuni.

Devo anche essere parzialmente soddisfatto del fatto che la descrizione riguardo la parte più di merito, relativamente ai fatti citati in premessa, nel dettaglio è comunque seguita e, quindi, devo rilevare che, come materiale per eventuali successive interpellanze o interrogazioni, anche relativamente a tutta la situazione che in Trentino sta segnalando tutta una serie di reali infiltrazioni da parte della 'ndrangheta in quell'area, è un punto che, effettivamente, a mio modo di vedere, in questa risposta ha alcuni valori da poter riutilizzare in successivi passaggi.

(Elementi ed iniziative di competenza per il contrasto del fenomeno dei roghi tossici e degli incendi boschivi, anche con riferimento a situazioni di connivenza tra organi di vigilanza e criminalità ambientale denunciate dalla Direzione investigativa antimafia - n. 2-01895)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Luigi Gallo ed altri n. 2-01895 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Cozzolino se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario o se si riservi di intervenire in sede di replica.

EMANUELE COZZOLINO. Grazie Presidente. Tra i servizi che noi vediamo come indispensabili per la collettività, non possono mancare quelli di emergenza. Forze di polizia e pronto soccorso sono quelli che vengono immediatamente evocati, nel momento in cui pensiamo a un'emergenza, e che riteniamo fondamentali. Nell'elenco, purtroppo, spesso ci si dimentica dei vigili del fuoco, che svolgono un ruolo fondamentale a presidio del cittadino, specie per ciò che riguarda la difesa e il primo intervento in caso di calamità, rischi derivanti da incendi e tanti altri incidenti. Ci se ne dimentica, salvo poi ricordarli quando accadono i disastri, come quello che sta colpendo l'Italia in quest'estate.

Va detto, però, che questo tipo di dimenticanza, non si limita soltanto al dibattito politico e pubblico, ma purtroppo si traduce in una disattenzione normativa, cui il MoVimento 5 Stelle ha più volte tentato di porre rimedio. Con questo non voglio dire che in Italia non esistano, specie nel settore pubblico, delle categorie particolarmente coccolate da questo Governo. Va ammesso, però, che dei vigili del fuoco ci si ricorda solo quando capita qualche tragedia.

Per questa ragione vorrei cogliere quest'occasione, per rendere loro doverosamente il merito che dobbiamo, per i tanti interventi silenziosi per la loro generosità, abnegazione nei momenti in cui la tragedia colpisce parti del territorio. Non c'è terremoto, inondazione, incendio, in cui, nelle foto dei giornali, manchi l'elmetto e il giubbotto di un vigile del fuoco. Sono protagonisti della solidarietà e del sacrificio, li trattiamo invece da comparse.

Per quanto mi riguarda, in questo mandato parlamentare ho ascoltato i vigili del fuoco, cercando di comprendere i loro problemi e di capire meglio ciò che facevano. Mi hanno riportato una situazione che dimostra come manchi un'interlocuzione, che eviti delle criticità, e che si trasforma inevitabilmente in disservizio. E, quando si tratta di emergenze, il disservizio può tradursi in perdita di vite umane e anche di cose.

I problemi che abbiamo cercato di mettere sul tavolo su quest'interpellanza sono svariati e sono fondamentalmente di due ordini. Il primo è relativo alla gestione degli incendi boschivi e del deficit di uomini e mezzi impegnati a lottare contro questa problematica. Il secondo tocca le conseguenze ambientali, derivanti da roghi tossici prodotti dalla criminalità. Sono due aspetti apparentemente diversi ma, a mio modo di vedere, si risolvono nello stesso modo: attribuendo le giuste risorse per affrontarli e organizzandoli in modo più adeguato, da una parte sulla prevenzione e dall'altra sul contrasto.

Mentre sul lato della prevenzione le cose da dire sarebbero molte e i soggetti coinvolti diversi, dalla magistratura alle forze polizia, sul lato del contrasto il problema si gestisce in un unico modo, ossia gli incendi si spengono se diamo possibilità ai nostri vigili del fuoco di farlo.

Come è noto, a seguito dell'approvazione della legge 7 agosto 2015, n. 124 e dei successivi decreti di attuazione, il Corpo forestale è stato sciolto e la lotta agli incendi boschivi, che spetta alle regioni, è un compito a cui concorrono i vigili del fuoco, che l'hanno in parte ricompresa, senza però disporre di un numero sufficiente di uomini e mezzi.

Questo tipo di riforma al momento non ha funzionato. Non l'ha fatto né in termini di riduzione di risorse né dell'efficienza del servizio, anzi, ha peggiorato i problemi che avrebbero dovuto risolversi, anche perché le competenze sono passate tra vigili del fuoco e carabinieri. E non è un segreto che molti, tra coloro che si occupano davvero di questa materia, abbiano espresso un giudizio negativo sulla stessa.

Il primo problema è relativo ai numeri. Oggi partiamo da una carenza riconosciuta di pompieri, che mette in crisi l'intero sistema di spegnimento, tanto a livello aereo quanto a terra, dal momento che l'Italia registra un rapporto tra vigili e abitanti molto al di sotto della media europea, mentre l'età media degli appartenenti al corpo è intorno ai cinquant'anni.

Su quanto sia profonda questa carenza mi limiterò a riferire una cifra minima, che è stata fatta, nero su bianco, dal partito di maggioranza relativa, dal Partito Democratico. In una recente risoluzione infatti, presentata dalla collega Fabbri, si parla di almeno 569 unità. La realtà è che i vigili del fuoco si trovano oggi a dovere contrastare incendi boschivi con 390 uomini in più rispetto al pre-riforma, mentre il Corpo forestale ne impiegava 8 mila.

Per compensare il problema ci sono tre dossier da risolvere: il primo è relativo ai cosiddetti discontinui; il secondo riguarda gli idonei del concorso a 814 posti nella qualifica dei vigili del fuoco, bandito con il decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008; il terzo tocca i nuovi concorsi. Su questo è fondamentale trovare un equilibrio, che non possa frustrare le aspettative di alcuno, oltre che rispettare gli impegni votati dal Parlamento nell'ultimo anno.

Anche sul fronte dei mezzi, la carenza degli stessi porta un'inadeguata capacità di risposta dei vigili del fuoco rispetto al rischio incendi. A mancare sarebbero autopompe, serbatoi, autoscale e autobotti, molte delle quali fuori servizio e, dunque, inutilizzabili. Ma c'è senz'altro pure il problema dei mezzi aerei. Per compensare le carenze ci sarebbero stati i mezzi del Corpo forestale dello Stato, peccato che essi siano transitati soltanto in minima parte nei vigili del fuoco. Uno degli aspetti problematici della riforma è, infatti, relativo alla ripartizione e all'utilizzo degli spazi e degli elicotteri.

Per fare un esempio, all'aeroporto Ciuffelli presso Rieti, dopo l'incredibile situazione che ha visto, durante l'emergenza terremoto, elicotteri inutilizzabili a seguito della mancata assegnazione, ora si riscontra che la totalità dei quattro hangar precedentemente in uso al Corpo forestale sono interamente nelle mani dei carabinieri, anche se due hangar avevano all'interno materiale dei vigili del fuoco. Al momento non sarebbe presente nessun elicottero, nonostante ci troviamo in campagna antincendio boschivo, mentre il fuoco negli ultimi giorni sta martoriando anche il Lazio. Tali problemi sono diffusi in tutta Italia, dal nord, al centro, al sud, fino alle isole.

Infatti, in metà degli interventi in caso di spegnimento dei fuochi, ci si rivolgerebbe a soggetti esterni, come la multinazionale Babcock, per l'impiego di elicotteri e canadair, mezzi che si pagano all'ora e che rischiano di costarci molto più dei 30 milioni all'anno, derivanti dalla soppressione del Corpo forestale.

Lo scorso martedì ero al Ministero, insieme a piloti dei vigili del fuoco, e mi hanno fatto vedere foto in cui gli spegnimenti privati non sono efficaci, proprio perché vengono pagati ad ore. Quindi, non c'è interesse a spegnere l'incendio nel minor tempo possibile. Poi arriva l'elicottero o l'aereo dei vigili del fuoco e in due ore quell'incendio viene spento.

Ma, al di là di questioni connesse a problematiche materiali, che si traducono inevitabilmente in questioni economiche, vi sono delle difficoltà anche a livello organizzativo e giuridico. Pensiamo alla questione della mancanza di coordinamento, tra personale di terra e in volo, o ai ritardi delle regioni nella firma delle convenzioni per servizio boschivo, coordinamento che prima spettava al Corpo forestale dello Stato e adesso non si sa a chi. Dovrebbe spettare ai vigili del fuoco, ma non hanno il personale addestrato.

Ieri il Ministro dell'interno ha ricordato come il dipartimento dei vigili del fuoco si sia fatto promotore della sottoscrizione di un accordo quadro tra Governo e regioni, sancito lo scorso 4 maggio, nell'ambito della Conferenza Stato-regioni. Ad oggi sono già stati sottoscritti, o sono in fase conclusiva, tredici atti convenzionali con le regioni, che hanno manifestato interesse in tal senso. Sarebbe, inoltre, in corso un'interlocuzione per la definizione di ulteriori due. Ricordiamo che queste convenzioni, prima della soppressione del Corpo forestale, erano fatte, appunto, col Corpo forestale dello Stato e, quindi, ci siamo trovati così quest'anno, lo potevamo sapere, potevamo partire prima.

Le parole, che ho ripreso fedelmente, sono - ripeto - del 19 luglio. Tradotte ad oggi, non sono ancora state portate a termine le convenzioni (mi riferisco all'informativa di ieri). Nel frattempo l'Italia brucia. Solo ieri sono stati richiesti 26 interventi aerei al centro operativo aereo unificato del Dipartimento della Protezione civile. Tra questi, nove nel Lazio (caserma Ciuffelli), sei in Calabria, cinque in Campania e due ciascuno in Abruzzo, Basilicata e Toscana. In totale sono stati 1.130 gli interventi richiesti ai vigili del fuoco, prevalentemente in Campania, Lazio, Toscana e Sicilia. Ricordiamoci che anche la Sardegna molte volte non viene citata, ma anche lì ci sono incendi. Sono giornate simili a quelle che l'hanno preceduta e a quelle che seguiranno.

Ma questa recrudescenza dei roghi non era un fatto imprevisto. A giugno la Coldiretti rilevava che il rischio incendi è particolarmente elevato nel nostro Paese, per effetto del caldo e della prolungata siccità, con una primavera climatologica che è stata la seconda più calda dal 1800 ad oggi con un'anomalia di più 1,9 gradi e la terza più asciutta, con deficit di quasi il 50 per cento, dopo che anche l'inverno si era classificato al terzo posto tra i più asciutti, con il 48 per cento di precipitazioni in meno, con valori di temperatura superiori di 0,49 gradi alla media di riferimento del CNR.

Bisogna ridurre gli sprechi, le spese inutili - e quella relativa all'affitto dei mezzi e di aerei senz'altro lo è - e investire soprattutto nel personale. Purtroppo, devo rilevare che lo si sta facendo solo in minima parte, ma non possiamo più derogare all'assunzione di forze fresche, che possano occuparsi almeno dei servizi più urgenti per i cittadini, come quello dei vigili del fuoco. E occorre farlo puntando sui giovani, ma anche motivando gli anziani, specie a fronte di disparità, che sono emerse nel trattamento stipendiale dei vigili del fuoco, rispetto ai nuovi arrivati dall'ex Corpo forestale.

In più bisogna riaprire con coraggio la fase di nuove assunzioni. Le prime limitazioni al turn over, che hanno determinato la carenza organica, risalgono al 2012, quando il Governo decise che, ogni dieci vigili del fuoco che andavano in pensione, ne potevano essere assunti solo due. Più recentemente si è passati a 5 ogni 10, fino ormai a ridurre a zero il turn over (quindi un vigile del fuoco esce e un vigile del fuoco entra.

Tenendo conto anche di queste carenze che si sono prodotte, ho prima citato i numeri del Partito Democratico e, a nostro avviso, mancano almeno 3 mila vigili del fuoco operativi, su un totale di circa 30 mila (circa il 10 per cento). Ai 3 mila che mancano vanno aggiunti circa 700 vigili del fuoco che, a causa di vari infortuni e malattie - proprio perché sovrasfruttati, essendo in carenza di numero - sovente per causa di servizio sono esonerati dai servizi operativi.

Le previsioni per futuro, inoltre, non sono affatto ottimistiche, perché con i prossimi pensionamenti nel prossimo anno la situazione è destinata a peggiorare ancora. Contando poi i passaggi di qualifica dei capisquadra e capireparto, circa 1.200 unità, la mancanza di vigili rischia di diventare un'emergenza.

Sul fronte del contrasto degli incendi il MoVimento 5 Stelle ha sempre dimostrato la sua disponibilità a dialogare (la risoluzione approvata a gennaio scorso in Commissione è un esempio). Purtroppo, grazie al Governo questo dialogo si è trasformato in una conversazione tra sordi, perché, se ritenete di aver fatto tutto ciò che si poteva fare e di averlo fatto nel migliore dei modi, è la realtà stessa, quella che vediamo ogni giorno, a travolgere boschi, campi, beni, anche incendi nella città e purtroppo vite, e che dimostra che avete torto. Speriamo che l'Esecutivo attuale, o meglio un altro Governo possa presto riconosce gli errori e partire dalle macerie che avete lasciato, per ricostruire prima che sia troppo tardi.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'Interno, Domenico Manzione, ha facoltà di rispondere.

DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'Interno. Grazie Presidente. Intanto preliminarmente vorrei manifestare l'apprezzamento del Governo per le parole di solidarietà che l'onorevole Cozzolino, nell'illustrare l'interpellanza urgente, ha avuto nei confronti del Corpo dei Vigili del fuoco, che, ovviamente, ci vede non solo nella veste di chi apprezza la manifestazione, ma anche di chi è nella stessa posizione di manifestare la solidarietà a un Corpo per l'opera che svolge quotidianamente, che, non a caso, lo mette in testa all'apprezzamento a livello nazionale tra i Corpi operanti sul nostro territorio. Per venire, poi, specificamente all'oggetto dell'interpellanza che è stata appena illustrata dall'onorevole Cozzolino, posso riferire, Presidente, quanto segue. Come è noto, la competenza primaria in materia di lotta attiva agli incendi boschivi spetta alle regioni; è invece riservato allo Stato solo il concorso nell'attività di spegnimento. In tale quadro, il Corpo nazionale, su richiesta delle regioni, può concorrere alle attività di lotta attiva agli incendi boschivi sulla base di specifici accordi stipulati con le regioni medesime.

Per rilanciare questi strumenti pattizi, il Dipartimento dei vigili del fuoco si è fatto promotore della sottoscrizione di un apposito accordo quadro tra il Governo e le regioni, era quello del 4 maggio scorso, a cui già faceva riferimento l'onorevole Cozzolino, nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni. Anche grazie a tale iniziativa, ad oggi sono stati già sottoscritti o sono nella fase conclusiva 13 atti convenzionali con le regioni che hanno manifestato interesse in tal senso. Sono, inoltre, in corso interlocuzioni per la definizione di ulteriori due strumenti pattizi. Tali strumenti consentono di rafforzare i dispositivi di lotta a terra degli incendi boschivi grazie alla previsione di squadre aggiuntive del Corpo nazionale destinate allo specifico settore.

Venendo alla campagna antincendi boschivi in corso, rilevo come essa si stia caratterizzando per una particolare gravità degli eventi, che risultano in notevole aumento rispetto ai trend degli ultimi anni. Basti pensare che il solo Corpo nazionale, dal 15 giugno fino al 18 di luglio, ha effettuato circa 27.500 interventi a terra, più di 2.900 ore di volo, a fronte delle 733 dello scorso anno, e più di 15.800 lanci d'acqua a fronte dei circa 3.600 dello stesso periodo del 2016. Inoltre, nel medesimo periodo, il Centro operativo aereo unificato, COAU, del Dipartimento della protezione civile ha attivato ben 694 interventi dei mezzi aerei della flotta statale su richiesta delle regioni di volta in volta interessate.

Ricordo che tale flotta comprende anche vari aeromobili del Corpo nazionale, cioè sedici Canadair e 15 elicotteri. A proposito dei Canadair, preciso che essi sono attualmente dislocati: a Genova un velivolo, a Roma sette, a Olbia due, a Lamezia Terme tre e, infine, a Trapani tre. La flotta dei Canadair continua a essere gestita operativamente, compreso il personale di volo, dal raggruppamento di imprese Inaer Aviation Italia Spa e Inaer Aviones Anfibios Sau, sulla base di un contratto stipulato nel 2012 dal Dipartimento di protezione civile. Dal 1° marzo 2017 è avvenuta la variazione sociale da Inaer Aviation Italia a Babcock Mission Critical Services Italia Spa, a seguito dell'integrazione della società nel Gruppo Babcock, giustappunto, che ho appena rammentato. La scadenza prevista dal citato contratto è il 9 febbraio 2018.

Gli onorevoli interpellanti sottolineano la circostanza che la recente riforma della pubblica amministrazione, per ciò che riguarda le disposizioni dell'assorbimento del Corpo forestale dello Stato, avrebbe indebolito il dispositivo di prevenzione e contrasto, con relativa carenza di operatività dovuta alla dispersione di risorse appositamente formate. In realtà, dai dati disponibili relativi alle recenti attività della flotta aerea statale, dati che ho appena citato, risulta con evidenza che la citata riforma non ha inciso sulla funzionalità e sull'efficacia degli interventi antincendio, né, tanto meno, sulla disponibilità dei mezzi. È un fatto che il COAU vanti, in questa campagna antincendi, una delle maggiori flotte di cui abbia potuto disporre nell'ultimo decennio.

Quanto all'asserita carenza della figura del direttore delle operazioni di spegnimento, rappresento che il Corpo nazionale ha provveduto a formare quasi 800 unità di personale per l'esercizio della funzione. Tale numero verrà ulteriormente ampliato, essendo stato già programmato lo svolgimento di altri corsi di formazione.

Quanto alle iniziative volte a rafforzare i presidi normativi preposti al contrasto degli incendi boschivi, informo che, nell'ambito dei lavori parlamentari di conversione del cosiddetto decreto-legge “Mezzogiorno”, il Governo ha presentato nei giorni scorsi una proposta emendativa che prevede l'inasprimento dell'apparato sanzionatorio attraverso opportune modifiche del codice penale e della legge n. 353 del 2000, normativa di riferimento in tema di incendi boschivi. Per quanto concerne l'impiego di droni, posso riferire che sono attualmente in corso sperimentazioni da parte della Polizia di Stato nell'ambito dei servizi di controllo del territorio e di ordine pubblico, congiuntamente con l'Arma dei Carabinieri e la Guardia di finanza. Tali sperimentazioni non riguardano al momento il settore della prevenzione degli incendi boschivi. Analoga sperimentazione è in corso da parte dei vigili del fuoco nell'ambito di un progetto finalizzato all'implementazione delle attività di prevenzione, individuazione e smaltimento dei cumuli di rifiuti, nonché al monitoraggio della radioattività.

L'interesse delle forze di Polizia verso l'utilizzo di questa moderna tecnologia è dimostrato proprio dal protocollo tra la regione Campania e l'Arma dei Carabinieri a cui si fa riferimento nell'interpellanza. Sul versante, invece, del contrasto all'illegalità ambientale, trova ampio riscontro negli atti processuali la circostanza che si tratti di uno dei comparti privilegiati dalle organizzazioni criminali interessate a reinvestire i capitali di provenienza illecita e ad intercettare considerevoli flussi di risorse finanziarie, nonché a svolgere attività strettamente correlate, quali quelle di bonifica e di risanamento ambientale. In tale ambito, i clan malavitosi, prima dediti a una mera attività volta a favorire l'allestimento di siti clandestini dove occultare abusivamente i rifiuti, hanno poi perfezionato le proprie capacità di infiltrazione nei settori dell'allocazione di sostanze pericolose, come, per esempio, nella “Terra dei fuochi”, e delle emergenze determinate dall'esaurimento delle discariche legali.

D'altra parte, le attività illecite nel settore ambientale non sono ascrivibili solo alle associazioni mafiose, essendo stata rilevata la presenza di “interessi” - uso l'espressione tra virgolette - collaterali attestati sempre più frequentemente presso segmenti di imprenditoria deviata che, secondo quanto affermato nella relazione 2017 della Direzione nazionale antimafia, risulterebbe, in alcuni casi, essere in rapporti di connivenza con organi preposti alla vigilanza. In relazione a questo scenario, posso assicurare che le forze di Polizia dedicano alla tematica la massima attenzione, in particolare attraverso unità investigative specialistiche dislocate sul territorio, operanti in sinergia con gli organismi centrali deputati alle attività di coordinamento.

Quanto all'ultimo quesito posto nell'interpellanza, rappresento che, a partire dal 2016, il turnover del personale è stato ripristinato integralmente. Evidenzio, poi, l'importanza del concorso pubblico a 250 posti di vigile del fuoco, indetto a distanza di otto anni dal concorso precedente e attualmente in corso di svolgimento. Tali misure consentiranno, tra l'altro, di incidere sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sul piano sia organizzativo che funzionale, come del resto già rilevava l'onorevole Cozzolino. Giova ricordare anche che in questa legislatura l'organico teorico dei vigili del fuoco è stato incrementato di 2.430 unità grazie a tre successivi interventi legislativi fortemente sostenuti dai Governi pro tempore. Tale misura, unitamente allo sblocco totale del turnover, ha consentito di immettere nei ruoli operativi, negli ultimi mesi del 2016, altre 848 unità di personale, di cui circa la metà assegnata alle sedi di servizio il 5 giugno scorso. La restante metà sta concludendo il corso di formazione.

Aggiungo che, nell'ambito dell'operazione di assorbimento del Corpo forestale dello Stato, 390 unità del relativo personale sono transitate nei ruoli dei vigili del Fuoco per l'assolvimento dei compiti in materia di spegnimento degli incendi boschivi. Informo, inoltre, che entro il 15 dicembre è prevista, a copertura del turnover 2016, l'assunzione di ulteriori 301 vigili del fuoco. Ulteriori assunzioni saranno ovviamente possibili, facendo leva sulle risorse del Fondo per il pubblico impiego di cui alla legge di bilancio del 2017. Per quanto riguarda, infine, il potenziamento del parco macchine, nell'ultimo quadriennio è stata avviata una fase di interventi normativi miranti all'ammodernamento delle risorse strumentali del Corpo nazionale. Mi limito a menzionare i provvedimenti più recenti, e cioè il decreto-legge n. 113 del 2016, che ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2018; il decreto-legge n. 189 del medesimo anno, che ha autorizzato la spesa di 5 milioni di euro per il 2016 e di 45 milioni per l'anno corrente; e, infine, la legge di bilancio 2017, che ha stanziato 70 milioni di euro per l'anno in corso e 180 milioni di euro annui per il periodo 2018-2030, da ripartire tra le forze di Polizia e il Corpo nazionale.

Tali provvedimenti legislativi potranno consentire - e in parte hanno già consentito - di ridurre le lamentate carenze del parco automezzi del Corpo nazionale.

Da ultimo - credo che sia un'informazione che forse può interessare gli interpellanti - è in corso l'istruttoria per l'eventuale dichiarazione dello stato di calamità con riferimento agli ultimi eventi che si stanno verificando.

PRESIDENTE. L'onorevole Luigi Gallo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

LUIGI GALLO. Grazie, Presidente. Dopo la risposta del sottosegretario, non riesco ancora a comprendere se il Governo è incapace o complice di tale gestione perché è questa la domanda che da giorni mi ronza nella testa e sono sicuro che è questa la domanda che si fanno anche molti italiani assediati dagli incendi in questi giorni, dai roghi tossici, dalle plastiche bruciate, dalle ceneri nell'aria e nelle case, dai fumi irrespirabili che inutilmente ti costringono a barricarti in casa. È la domanda che si fanno gli italiani quando vedono le fiamme giganti davanti ai loro occhi: siete complici o incapaci? Se dovessi vedere come i vostri sindaci e i vostri governatori di regione gestiscono la prevenzione e l'emergenza, penserei subito che siete incapaci. I piani comunali di protezione civile spesso non sono emanati; il catasto con le aree incendiate, come previsto dalla legge n. 353 del 2000, non è operativo e non è consultabile on line in tutti i comuni; il piano comunale e intercomunale di emergenza, come previsto dalle leggi regionali, non esiste; non si partecipa ai bandi europei per predisporre, applicare e diffondere i piani di protezione civile dei comuni; i piani di prevenzione per la messa in sicurezza e il dissesto idrogeologico non ci sono. E sa cosa significa? Significa che tra qualche settimana, sottosegretario, magari ad agosto, alla prima pioggia, noi vedremo città allagate, fango per le strade e ceneri che sommergono la città e la colpa di chi sarà? Di un dio oscuro o dell'assenza di programmazione e prevenzione? Sottosegretario, siete al governo del Paese, non potete non prendere la responsabilità di quello che sta accadendo. Sapete perché? Perché i 50.000 ettari bruciati non appartengono al paesino della Campania, alla città della Toscana o alle campagne della Sicilia. Quell'ossigeno scompare per tutti i cittadini italiani; quell'aria che diventa irrespirabile lo diventa per tutti i cittadini italiani; l'inquinamento che viene trasportato dal vento è l'inquinamento del Paese che colpisce tutti i cittadini italiani. Voi non comprendete che viviamo in un momento storico unico: c'è un attacco alle risorse che garantiscono la vita; c'è un attacco all'aria che respiriamo; all'acqua che beviamo; al cibo che mangiamo. Questo noi l'abbiamo definito terrorismo ambientale: è il peggiore terrorismo che può esistere perché attaccano le risorse che abbiamo per vivere. Ci sono cellule in tutto il Paese con interessi che si sovrappongono, con fini economici e criminali e voi ancora dovete decidere lo stato di emergenza. Il Ministro dell'Ambiente, della tutela del territorio e del mare ieri ha parlato di piromani e cerca di smentire i disegni criminali. Dunque la domanda ritorna: siete incapaci o complici? Siete incapaci perché i vostri sindaci e governatori di regione, come De Luca in Campania e Crocetta in Sicilia, non applicano o varano in forte ritardo i piani di prevenzione e programmazione o siete complici perché per sindaci e governatori di regione non prevedete alcuno strumento sanzionatorio come richiesto da una legge del MoVimento Cinque Stelle a prima firma Patrizia Terzoni e come richiesto dalla presente interpellanza urgente? Se la direzione investigativa antimafia e di antiterrorismo nella relazione annuale del 2017 certifica la perdurante commistione di attività legali e illegali nella gestione dei rifiuti perché, quando ho invitato il Ministro dell'ambiente a fare ispezioni nelle discariche legali ed illegali del Parco nazionale del Vesuvio dal 2013, non ho mai avuto risposta? Nella relazione dell'antimafia e antiterrorismo viene specificato che i criminali ambientali oggi dispongono direttamente di discariche legali dove operare illegalmente, come ha ricordato anche il sottosegretario. Quando il Governo e la maggioranza bocciano in Aula la proposta del MoVimento 5 Stelle di controlli e bonifiche nelle discariche legali del Parco nazionale del Vesuvio e della regione Campania sono complici o incapaci? Quando il Governo Renzi smantella, con la riforma del Ministro Madia, il Corpo forestale dello Stato, invece di smantellare le organizzazioni criminali, è complice o incapace? Quando i direttori delle operazioni di spegnimento, operatori territoriali che coordinavano l'attività di spegnimento per gli incendi che conoscono bene l'area boschiva, si dimezzano per effetto del decreto Madia e dello smantellamento della guardia forestale perché questo è stato detto nella Commissione ambiente al Senato nelle audizioni - in Campania sono passati da 100 direttori a 50 - allora in questo caso il Governo è complice o è incapace? Quando fate un decreto della Terra dei fuochi sotto la spinta popolare del MoVimento 5 Stelle e poi create una bella confezione vuota che non fa scomparire neanche un rogo tossico, siete incapaci o complici? Infatti sotto la regione Campania, dove c'è un presidio permanente per dire stop ai roghi tossici, se lo stanno chiedendo. Sottosegretario, noi stiamo parlando nell'Aula del Parlamento italiano di un dramma dalle dimensioni epocali. Venticinque anni fa c'è stato il primo summit della terra a Rio de Janeiro, la prima conferenza mondiale dei Capi di Stato sull'ambiente. Venticinque anni fa lo straordinario risultato di quella conferenza fu l'Accordo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Venticinque anni fa un Ministro come Galletti, un Governo come quello di Gentiloni forse potevano essere considerati normali. Venticinque anni dopo vediamo quello che sappiamo da tempo: la morte e la desolazione ha raggiunto la nostra terra e voi non avete fatto nulla per fermarle. La morte non è più nascosta sottoterra con i rifiuti: è davanti ai nostri occhi con il luccichio delle fiamme. Le discariche legali e illegali autorizzate da tutti i Governi sono diventati bombe tossiche; l'Ilside di Bellona, in provincia di Caserta, è una discarica di materiali tossici che va in fiamme da giorni dopo che è stata messa sotto sequestro giudiziario. La morte annunciata è ora la morte negli occhi, nella gola e nel naso. Venticinque anni dopo il fuoco avanza: siamo soli, disperati, stiamo proteggendo le nostre vite a mani nude. Venticinque anni dopo un Ministro come Galletti deve essere sfiduciato nell'Aula del Parlamento italiano se vogliamo ancora rappresentare la dignità dei cittadini italiani che oggi non vedono più lo Stato al loro fianco. Abbiamo chiesto lo stato di emergenza nazionale dieci giorni fa e ancora oggi state riflettendo. Mentre voi riflettete i cittadini si sono fatti Stato da soli e, con poche squadre di volontari, hanno domato le fiamme per intere giornate, hanno lottato contro il fuoco, arginato con trincee e con i denti hanno dovuto strappare dal fuoco le proprie case, proteggerle centimetro dopo centimetro, armate di pale, vanghe e rastrelli. Hanno scavato trincee tagliafuoco. Domenica ero a mani nude insieme ai volontari del mio territorio. Le forze in campo stanno dando il massimo: l'abbiamo detto tutti. I vigili del fuoco hanno raddoppiato i turni e le squadre si trattengono oltre le 12 ore di intervento: stanno dando l'anima per salvare tutti e per proteggere il territorio. Squadre di protezione civile e volontari sono andate in soccorso alla zona ma le continue emergenze le costringono a girare come trottole impazzite. A seconda del vento e a seconda della vegetazione le emergenze scoppiano di minuto in minuto: un asilo in pericolo, poi un ristorante, poi le abitazioni in centro città. È una guerra contro i terroristi ambientali; è una guerra che richiede mezzi, uomini, capacità di indagini investigative speciali come quella che è attribuita alla direzione ambientale nell'ambito delle forze pubbliche di sicurezza prevista dal disegno di legge n. 1514 recante il Sistema nazionale di controllo ambientale, presentato al Senato dalla senatrice Paola Nugnes e ignorato dalla maggioranza. È una guerra e, come ogni guerra, ci sono caduti: due morti in Calabria, un morto in Campania. Morti dimenticati anche dalla Presidenza Boldrini che non ha fatto stranamente alcuna commemorazione. La filiera dell'illegalità e criminalità sta vincendo e la vita, il bosco, la vegetazione stanno perdendo. È per questo che l'Italia brucia e se vogliamo ricostruire la filiera delle responsabilità non è per distribuire colpe ma per correggere i clamorosi errori che state commettendo; è per chiedervi un cambio di rotta a nome del popolo italiano. Queste cose non possono ripetersi più. È per questo che il MoVimento 5 Stelle vi chiede di aprile un tavolo permanente e itinerante tra i vari comuni italiani, aperto a tutte le associazioni, i cittadini, i comitati, i sindaci, gli enti che vogliono dire basta a tale gestione del territorio trasformato in discarica, in rifiuti, in business. Vogliamo denunciare le illegalità, i ritardi e tutte le incapacità degli enti istituzionali. Vogliamo fare un'azione di controllo e proposta per attuare tutte le norme già vigenti che ci garantiscono la soluzione e la prevenzione. Dunque basta approssimazione e incapacità: proviamo ad amministrare con programmazione e normalità.

(Dati e iniziative in merito al meccanismo di adeguamento all'età pensionabile previsto a decorrere dal gennaio 2017, in relazione ad alcune dichiarazioni rilasciate dal presidente dell'INPS - n. 2-01892)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Martelli ed altri n. 2-01892 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Zappulla se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario o se si riservi di intervenire in sede di replica.

GIUSEPPE ZAPPULLA. Grazie, Presidente. Rappresentante del Governo, preliminarmente, ritengo opportuno sottolineare quanto il tema delle pensioni, in generale, insieme a quello del lavoro, rappresenti uno dei punti più sensibili e segni tratti distintivi, purtroppo, di politiche fallimentari, oserei dire, almeno dell'ultimo decennio.

La necessità - e mi riferisco esplicitamente alla cosiddetta legge Fornero - di rendere compatibile e sostenibile economicamente il sistema pensionistico con i conti pubblici, ahimè, si è scaricato di fatto sulle persone, sui loro diritti, sulle attese e aspettative di lavoro e di pensione.

La legge Fornero - è inutile addolcire la realtà - ha letteralmente devastato la vita di milioni di persone, a partire dagli esodati, innestando un sistema di automatismi e di lievitazione dell'aspettativa di vita ai fini dell'individuazione dell'età anagrafica per andare in pensione che è quanto di peggio esiste in Europa. Oggi si va in pensione a 66 anni e sette mesi e, se non si blocca il meccanismo, dal 1° gennaio 2019 diventeranno 67. Così facendo e continuando, si mettono in crisi centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori, le loro aspettative, le loro famiglie costrette, in tal caso, a vedere allontanare sempre di più l'orizzonte della pensione e ad operare e lavorare in condizioni sempre più difficili e pesanti.

Un sistema simile sta producendo, ed è bene dirlo con la giusta nettezza, almeno altri due danni e guasti, ovvero la difficoltà per molte imprese a poter innervare di nuova linfa e forze fresche il proprio patrimonio umano di professionalità e competenze e, al contempo, un brutale blocco del turnover, di fatto, affermato e realizzato contro i giovani. I risparmi ingentissimi, peraltro, determinati da questo sistema pensionistico, non hanno significato un ritorno per i giovani né in termini di percorsi lavorativi né, tanto meno, previdenziali. Insomma, un disastro e, come molti sostengono, purtroppo, una vera e propria macelleria sociale.

Rivedere radicalmente, quindi, la riforma Fornero non è questione ideologica o di pura battaglia politica, ma è una necessità dell'intero sistema Paese per affermare equilibrio sociale, giustizia attraverso una nuova e imponente redistribuzione della ricchezza prodotta dall'intera nazione.

Le stesse domande presentate per l'APE sociale e per i lavoratori precoci testimoniano quante necessità e bisogni esistono nel mondo del lavoro: devo dire che è davvero indispensabile apportare alcune modifiche ai criteri e ai parametri per accedervi. Allo stato, si presenta davvero come una sorta di corsa ad ostacoli, eccessivamente penalizzate intere fasce di lavoratori, davvero insostenibile anche per categorie più precarie (e penso ai lavoratori edili, a quelli delle costruzioni, al settore dell'agroalimentare).

Ciò detto, torno al tema più direttamente in questione nell'interpellanza: impedire che dal 1° gennaio 2019 scatti l'ulteriore spostamento in avanti fino ai 67 anni. Nel sistema previdenziale italiano è stato introdotto un meccanismo permanente di adeguamento dei requisiti pensionistici, agganciando il requisito anagrafico all'incremento della speranza di vita accertato dall'INPS e con il decreto n. 201 del 2011 si è radicalmente e drasticamente modificato il sistema previdenziale.

In applicazione della normativa vigente sono stati operati già due adeguamenti dell'età pensionabile, rispettivamente, con decorrenza dal 1° gennaio 2013 e dal 1° gennaio 2016, che hanno prodotto in totale un elevamento di sette mesi dell'età anagrafica per accedere alla pensione. Con questo sistema, dal 1° gennaio 2019, il nuovo adeguamento si sposterà a 67 anni per accedere alla pensione e, in base alle norme vigenti, è previsto un decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del Lavoro, da adottare entro il prossimo 31 dicembre.

Alle valutazioni già fatte è opportuno aggiungere che, se si effettua un'analisi comparata dell'età pensionabile tra l'Italia e gli altri Paesi europei, emerge che in Italia vige già l'età più alta e, se si aggiunge un meccanismo di calcolo delle pensioni fondato esclusivamente sui contributi versati, il risultato è un sistema penalizzante per molte fasce di lavoratori e particolarmente insidioso per le lavoratrici che, avendo in media carriere contributive che non superano i 25 anni, hanno come unica via di accesso alla pensione l'opzione della pensione di vecchiaia.

Si pone, quindi, l'esigenza di neutralizzare questo ennesimo scatto dell'età pensionabile e, al contempo, di una rivisitazione complessiva, armonizzando il nostro sistema con quello europeo. Non esiste tema e argomento, infatti, con cui ci si appoggia spesso come alibi per giustificare provvedimenti pesanti e, talvolta, impopolari che vengono assunti in Italia ed è veramente incredibile che proprio su un tema così importante e decisivo per la vita delle persone questa armonizzazione non si intende realizzare.

A fronte della richiesta avanzata da più parti politiche, nonché dalle stesse organizzazioni sindacali, di non procedere all'adeguamento dell'età pensionabile è circolata una notizia: che il mancato adeguamento dell'età pensionabile per il 2019 comporterebbe un costo di circa 1,2 miliardi di euro. Il 16 luglio scorso, il presidente dell'INPS, Tito Boeri, ha rilasciato un'intervista a Il Sole 24 Ore, nella quale, in sostanza, si dichiarava contrario al blocco. Lo stesso Boeri, da un lato, dichiarava infondata la cifra circolata nei giorni precedenti, che appunto individuava in 1,2 miliardi il costo del congelamento dell'età pensionabile, dall'altro, ha però dato notizia che un blocco totale del meccanismo di adeguamento previsto per l'accesso alla pensione alla speranza di vita fino al 2035 produrrebbe un costo di 141 miliardi.

Ovviamente, quanto dichiarato dal presidente dell'INPS è cosa profondamente diversa dal blocco dello scatto dal 1° gennaio 2019 ed è servito, purtroppo, a creare un allarmismo sulla tenuta dei conti pubblici davvero grave e pesante. Noi riteniamo che il Presidente dell'INPS non ha di certo contribuito in tal modo a fare chiarezza su un tema così importante e rilevante per milioni di cittadini. Dall'INPS e dal suo presidente ci si attende - mi sia consentito, forse, è giusto dire: si pretende - di avere dati certi e risposte precise.

Ciò detto, la nostra interpellanza è per chiedere al Governo - e concludo - quali misure il Governo intende adottare per bloccare l'adeguamento dell'età pensionabile, che porterà, altrimenti, l'innalzamento della stessa, dal 1° gennaio 2019, a 67 anni; comprendere se il Governo è in grado di quantificare il costo reale di una simile operazione e quali misure intende porre in essere per rendere meno punitivo l'attuale sistema pensionistico armonizzandolo con quello europeo.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'Interno, Domenico Manzione, ha facoltà di rispondere.

DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. L'onorevole Martelli con il presente atto parlamentare richiama l'attenzione sugli effetti del meccanismo di adeguamento delle pensioni all'aspettativa di vita.

Al riguardo, faccio presente che l'adeguamento dei requisiti d'accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita costituisce un meccanismo in forza del quale i requisiti richiesti per il diritto a pensione vengono aumentati periodicamente sulla base degli incrementi della speranza di vita accertati dall'Istat.

Questo meccanismo, originariamente introdotto dal quarto Governo Berlusconi con una disposizione del 2009, che prevedeva che l'adeguamento decorresse dal 1° gennaio 2015, è stato modificato dal medesimo Governo con una disposizione del 2010, che ha fissato la cadenza triennale, anziché quinquennale, per l'adeguamento secondo le rilevazioni effettuate dall'Istat.

La normativa in questione è stata ancora modificata dallo stesso Governo con il decreto-legge n. 98 del 2011, che ha anticipato al 2013 l'entrata in vigore del meccanismo di adeguamento. Successivamente, il cosiddetto decreto-legge Monti-Fornero, il decreto-legge n. 201 del 2011, ha esteso tale meccanismo anche ai requisiti contributivi per l'accesso alla pensione anticipata, stabilendo altresì che, a decorrere dal 2019, l'aggiornamento dei requisiti sarebbe dovuto avvenire con cadenza biennale anziché triennale.

La normativa vigente prevede che l'eventuale revisione dei requisiti con effetto dal 2019 debba essere effettuata entro il 31 dicembre 2017 con decreto direttoriale del Ministero dell'Economia e del Ministero del Lavoro sulla base dei dati forniti dall'Istat che, secondo le informazioni avute, saranno disponibili non prima del prossimo autunno. Ad oggi, quindi, non è possibile avanzare ipotesi rispetto a questa procedura.

Segnalo, inoltre, che, ai sensi dell'articolo 12, comma 12-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, la mancata emanazione del predetto decreto direttoriale comporta responsabilità erariale e, pertanto, in assenza di una modifica delle disposizioni vigenti, vi è un obbligo normativamente imposto e, quindi, non derogabile di procedere ad adottare il decreto direttoriale necessario all'adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita.

Voglio, peraltro, sottolineare che sul tema è stata introdotta, di recente, un'importante novità: nella legge di bilancio del 2017, infatti, è contenuta una specifica disposizione, in base alla quale i futuri quattro adeguamenti alla speranza di vita, intendo riferirmi al 2019, al 2021, al 2023 e al 2025, non troveranno applicazione nei confronti dei lavori usuranti.

Per quanto riguarda specificamente le donne, il Governo è sempre stato impegnato nell'adottare interventi organici e incisivi di stimolo del mercato del lavoro in termini di incentivazione della partecipazione femminile e interventi sulle pensioni che consentano la flessibilità nell'accesso al pensionamento. Pertanto, la questione è oggetto di un'attenta analisi e riflessione da parte del Ministero del lavoro, nella consapevolezza che la questione riveste un'estrema delicatezza.

Da ultimo, relativamente al quesito posto dagli onorevoli interroganti, concernente una stima dei costi prodotti da un mancato adeguamento dell'età pensionabile, è in corso un'interlocuzione con l'INPS, espressamente interpellato al riguardo, ma, al momento, non ci sono dati disponibili.

PRESIDENTE. L'onorevole Zappulla ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Martelli n. 2-01892, di cui è cofirmatario.

GIUSEPPE ZAPPULLA. Grazie, Presidente; considero sinceramente, senza alcuna ironia, apprezzabili le acrobazie dialettiche che ho percepito nella risposta, con qualche riferimento tecnico e legislativo importante, ma, mi dispiace dirlo, la risposta non è per niente soddisfacente, perché abbiamo chiesto l'impegno a bloccare l'automatismo e neutralizzare quello del 1° gennaio 2019, e non mi pare che ci sia stata risposta, se non spostare in autunno l'eventuale verifica; abbiamo chiesto l'impegno a rivedere l'intero sistema, armonizzando l'età pensionabile con i modelli europei, e anche su questo completamente nessuna risposta; abbiamo chiesto di sapere il reale costo, l'eventuale costo, per il blocco dell'automatismo testé indicato, e ci si dice che è in corso un'interlocuzione con l'INPS, la cosa strana è che a noi, anzi, al Parlamento, non si danno notizie, ma sulla stampa circolano invece numeri, peraltro, alcuni molto fantasiosi; ciò, non da parte del Governo, ma da parte del presidente dell'INPS.

Quindi, risposte evasive e, mi sia consentito, anche un po' troppo burocratiche; non abbiamo percepito qual è la reale volontà e posizione del Governo e, quindi, mi dichiaro insoddisfatto. La nostra battaglia, pertanto, continua e troveremo tempi e modi per accentuarla e renderla ancora più incisiva.

(Chiarimenti e iniziative in merito all'iter di realizzazione della pista ciclabile lungo la strada statale 36 tra Lecco e Abbadia Lariana, anche a fini di sicurezza stradale - n. 2-01875)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Tentori ed altri n. 2-01875 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Tentori se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

VERONICA TENTORI. Grazie, Presidente; signor sottosegretario, la questione che vorrei porre, oggi, alla sua attenzione, in quest'Aula, riguarda la realizzazione della passerella ciclopedonale che andrebbe a collegare, lungo la strada statale 36 del lago di Como e dello Spluga, il centro abitato di Abbadia Lariana con la città capoluogo di Lecco. Questo è il quinto atto di sindacato ispettivo che io presento al Governo su questa triste vicenda; vale, credo, la pena, ripercorrere, brevemente, la cronistoria di quest'opera, un'opera incompiuta che, purtroppo, ancora oggi, ha davanti a sé un futuro del tutto incerto. Dobbiamo andare indietro nel tempo di diciotto anni se vogliamo arrivare a quando gli enti locali, in particolare il comune di Abbadia Lariana, hanno cominciato ad evidenziare la criticità legata al tratto stradale in questione.

Era l'anno 1999 e, proprio ad Abbadia, si evidenziava come la strada provinciale 72 che percorre il litorale orientale, appunto, del lago, e tutto il suo traffico si interrompano proprio nel centro abitato di Abbadia Lariana e fanno sì che tutto il traffico, compreso quello ciclabile e quello pedonale, confluiscano nell'arteria stradale della strada tatale 36 che, come è noto, è caratterizzata da un'altissima percorrenza e da volumi di traffico molto elevati.

Fin da subito, quindi, viene rilevata l'importanza strategica di questa infrastruttura per il territorio lariano, per la messa in sicurezza della strada statale 36, perché viene considerata, appunto, la pericolosa promiscuità del traffico ciclabile, pedonale e veicolare e l'assoluta mancanza di strade alternative, in grado di congiungere tutto il versante del Lario orientale con la città capoluogo di Lecco. Nel 2001, ANAS presenta un disegno di massima relativo alla fattibilità dell'opera, ne seguono diversi incontri di approfondimento con, anche, gli enti locali coinvolti e, nel 2003, la direzione generale di ANAS comunica che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha inserito, nella propria programmazione, l'intervento di realizzazione della passerella ciclopedonale in questione.

Nell'ottobre 2003 viene approvato il progetto preliminare; nel dicembre dello stesso anno il progetto definitivo e, nel giugno 2004, il progetto esecutivo dell'opera. Comincia, da qui, un periodo iniziale di stallo; l'iter sembra arrestarsi tanto che, addirittura, nel 2007, la Corte dei conti si mobilita per chiedere ragguagli sulla vicenda, prefigurando, in caso di mancata realizzazione di quest'opera, un grave dispendio di denaro pubblico, relativo a tutte le fasi precedenti. Finché, nel dicembre del 2007, ANAS comunica che la pista ciclopedonale è stata inserita negli interventi appaltabili, appunto, per quel biennio, 2007-2008, e comunica, anche, l'avvenuto finanziamento dell'opera. Sono stati destinati ben 12 milioni di euro a questa opera strategica. Successivamente, il progetto viene verificato, viene validato, si susseguono tutte le necessarie procedure, finalizzate alla pubblicazione del bando di gara per l'appalto, e, finalmente, nel maggio del 2009, viene pubblicato, appunto, il bando di gara per l'appalto sulla Gazzetta Ufficiale.

A questo punto, vorrei sottolineare che sono già passati dieci anni, da quando si cominciò a parlare della rilevanza strategica di quest'opera e sembra potersi vedere, concretamente, per i cittadini, la possibilità di fruirne. Si stima che le opere di realizzazione sarebbero dovute, appunto, concludersi nel settembre del 2013, dopodiché, incomincia una fase in cui si susseguono contenziosi, nuove aggiudicazioni, ricorsi, il cantiere viene continuamente interrotto, le opere proseguono a singhiozzo, vi sono lunghi periodi di fermo, lo stato di abbandono del cantiere risulta evidente e anche la parte di opere che vengono realizzate è del tutto risibile, in confronto a quello che era il progetto originario. Infatti, si può apprezzare solamente, appunto, una separazione tra la pista ciclabile e le corsie della vecchia superstrada nel tratto tra la località Pradello e la località Caviate di Lecco, mentre nel tratto verso Abbadia Lariana sono iniziate solamente le palificazioni e, poi, tutto si è arrestato. Nel giugno del 2014, interrogai il Governo, a proposito delle cause di questi clamorosi ritardi e mi fu risposto che l'esecuzione dell'opera sarebbe ripresa, solamente, a seguito dell'esito dei giudizi pendenti, che, a quell'epoca, erano appunto in corso. Concluse le vicende giudiziarie, tutti abbiamo pensato che le opere potessero riprendere. Si è, infatti, visto un inizio di ripresa dei lavori, si è riaccesa, in tutti i cittadini e gli enti locali del territorio, la speranza di vedere conclusa quest'opera, una speranza che, purtroppo, presto si è trasformata, nuovamente, in sconforto.

Oggi, dopo diciotto anni da quando si è iniziato a parlare dell'opera e dopo otto anni dalla prima aggiudicazione, quindi, dall'inizio, appunto dei lavori, il cantiere è nuovamente fermo, versa in condizioni di abbandono e di degrado.

Lungo il tracciato del cantiere si riscontrano, anche, situazioni di potenziale rischio per l'incolumità e la sicurezza dei cittadini che, nonostante, la segnaletica percorrono il tratto, appunto, tra la località Pradello e la località Caviate di Lecco dove è avvenuta, già, la separazione delle corsie, per cui io, pochi mesi fa, a marzo 2017, ho ripresentato nuovamente un'interrogazione al Governo sulla questione e mi è stato risposto che la società ANAS aveva riferito che la regione Lombardia, nel novembre 2016, aveva stabilito l'esigenza di provvedere alla variazione del piano delle fondazioni della passerella ciclopedonale e che, quindi, si rendeva necessario realizzare una variante nel progetto esecutivo per ridurre significativamente i punti di appoggio dei piloni sulla costa e che questa rivisitazione progettuale avrebbe influito sulla tempistica e sulle modalità di realizzazione dell'opera. Ora, ultima novità delle ultime settimane, apprendo dagli organi di stampa che, col provvedimento dell'8 giugno 2017, ANAS ha disposto la risoluzione contrattuale con l'impresa esecutrice, che, vorrei ricordare, è la terza che si sussegue, per il grave ritardo nell'esecuzione dei lavori di realizzazione. È stato eseguito soltanto il 2 per cento dell'importo contrattuale dei lavori. A seguito di questo provvedimento sono state avviate le procedure per il riappalto. Il programma prevede ora la redazione dello stato finale e l'accertamento tecnico e contabile da parte del collaudatore, il collaudo delle opere eseguite, l'aggiornamento del progetto esecutivo da porre nuovamente a base di gara e, dopo queste notizie, purtroppo, non ho potuto apprendere da nessuna parte indicazioni o previsioni circa i tempi di realizzazione. È tutto da rifare e io ritengo che siano necessarie almeno delle rassicurazioni sul fatto che l'opera di questa ciclabile tra Lecco ed Abbadia, già finanziata ma della quale non abbiamo mai potuto apprezzare rilevanti passi avanti, possa arrivare al suo completamento in tempi certi.

Mi preme sottolineare che l'infrastruttura in questione è fondamentale per lo sviluppo cicloturistico del territorio rivierasco, per la fruizione delle sponde del lago e assume, quindi, anche una rilevanza importante di natura economica, tanto che rappresenta un tassello importante inserito nell'ambito dell'itinerario cicloturistico dell'Adda, che congiunge la Valtellina fino al fiume Po, e si unisce al progetto della pista cicloturistica VENTO. Abbiamo, da questo punto di vista, già perso anche il treno di Expo, che nel 2015 ha visto arrivare una consistente affluenza di turisti nella zona del lago, la quale non ha potuto sfruttare la grande potenzialità di questa infrastruttura.

Sottosegretario, il territorio lecchese è esasperato da questa vicenda. Non solo c'è la rabbia di non poter vedere realizzata un'opera per la quale le risorse sono già state stanziate, ma anche la preoccupazione per il rischio che le conseguenze negative sul piano della sicurezza e sul piano dello sviluppo economico del territorio continuino a crescere. Il permanere di questa situazione è insostenibile e, quindi, dopo diciotto anni che se ne parla e otto anni dall'inizio dei lavori, sono di nuovo a chiedere certezze sui tempi e garanzie sulla realizzazione, nonché chiarimenti circa la variante di progetto, la quale, secondo quanto comunicato nell'ultima interrogazione che avevo rivolto al Governo, influirà sulle tempistiche e le modalità di completamento dell'opera.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Domenico Manzione, ha facoltà di rispondere.

DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. Nel merito metto ogni considerazione, perché tutto è stato già abbondantemente riassunto nella illustrazione dell'onorevole Tentori alla sua interpellanza. Mi limito, quindi, a fornire le notizie che sono pervenute da parte dell'ANAS al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

In merito, come già rammentava la stessa onorevole Tentori, in effetti, l'ANAS riferisce che l'8 giugno scorso ha disposto la risoluzione del contratto per grave inadempimento, ex articolo 136 del decreto legislativo n. 163 del 2006, con l'impresa esecutrice dei lavori relativi alla realizzazione della passerella ciclopedonale lungo la strada statale n. 36 del lago di Como e dello Spluga. Il successivo 11 luglio, così come previsto dalla normativa vigente, è stata convocata ufficialmente la ditta per redigere in contraddittorio lo stato di consistenza dei lavori eseguiti quale atto propedeutico alla riconsegna delle aree di cantiere in capo ad ANAS. Le opere realizzate dovranno essere, quindi, sottoposte all'esame del collaudatore, al fine di procedere alla riprogettazione di quelle ancora necessarie.

Di seguito, si provvederà a indire con sollecitudine una nuova gara di appalto sulle opere di completamento. Nelle more è allo studio, in collaborazione con gli enti locali, l'individuazione di una possibile soluzione da adottare durante la fase transitoria, fermo restando, ovviamente, il sollecito espletamento della nuova gara di appalto.

PRESIDENTE. L'onorevole Tentori ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

VERONICA TENTORI. Grazie, Presidente. Io ringrazio il sottosegretario per la risposta, anche se, logicamente, non posso dichiararmi soddisfatta in quanto le informazioni che mi sono state riferite erano quelle che già avevamo appreso anche dagli organi di stampa. L'unica indicazione che ho percepito riguarda i tempi di realizzazione e che verrà indetta una nuova gara con sollecitudine, però, diciamo che a questo punto noi avremmo bisogno di certezze riguardo i tempi di realizzazione dell'opera e di garanzie riguardo al fatto che l'opera venga realizzata.

Sottolineo solamente, brevemente, alcune questioni, che rappresentano l'importanza e la rilevanza strategica di quest'opera.

La prima - l'ho accennata anche nella premessa - riguarda il fatto che stiamo parlando di un progetto che è inserito nella ciclovia dell'Adda, quindi un progetto strategico per il territorio; tra l'altro, il Governo in questi anni ha anche stanziato ingenti risorse per lo sviluppo del cicloturismo, perché è considerato strategico per diversificare e ampliare l'offerta turistica del nostro Paese e so che ha sempre dimostrato molta sensibilità su questo tema, tanto che, proprio sulla pista ciclopedonale dell'Adda, nella quale è inserito anche questo tratto, è stato accolto un ordine del giorno che impegna il Governo a valutare l'inserimento nel sistema nazionale delle ciclovie turistiche. Quindi, proprio conoscendo la sensibilità del Governo su questa materia, non posso dichiararmi soddisfatta della risposta, perché io credo che si possa fare di più e insistere maggiormente affinché quest'opera strategica, anche per il territorio a livello economico e turistico, venga realizzata nel più breve tempo possibile.

Il secondo tema è il problema relativo alla sicurezza: oggi i pedoni e i ciclisti non hanno alternative, devono passare necessariamente sulla strada statale per attraversare il tratto tra Lecco ed Abbadia Lariana, che è una strada tra le più trafficate e pericolose d'Italia. I dati dell'Osservatorio del traffico di ANAS di giugno parlano chiaro da questo punto di vista: nel mese di giugno la strada statale n. 36 si colloca sul podio nazionale al terzo posto per volumi di traffico, quindi non stiamo parlando di una strada a bassa percorrenza; e qui c'è una promiscuità nel passaggio tra traffico veicolare e traffico ciclabile, che è notoriamente pericoloso. C'è poi un problema di sicurezza anche legato al tratto già percorribile, come ho detto precedentemente, che, nonostante la segnaletica, viene comunque percorso dai cittadini e qui credo che sarebbe opportuno pianificare il rapido completamento e la messa in sicurezza almeno di questo tratto, che, ribadisco, è già percorribile e viene percorso, nonostante tutto, dai cittadini, con tutti i problemi conseguenti. Poi c'è un problema di degrado relativo alle aree del cantiere dismesso, ci sono ferri scoperti, ci sono tratti che vengono utilizzati come discarica, magari da questo punto di vista sarebbe opportuno programmare un sopralluogo da parte degli enti competenti, di ANAS, per verificarne le condizioni e pianificare la messa in sicurezza delle eventuali situazioni di pericolo e l'eliminazione delle situazioni di degrado.

L'opera in questione - e termino - è già finanziata, non vorremmo che col passare del tempo questi stanziamenti andassero a coprire qualche altro capitolo di spesa, mandando definitivamente in soffitta la realizzazione della pista ciclopedonale e lasciando, poi, in eredità al territorio un cantiere dismesso. Quindi, auspico che a breve potremo vedere evoluzioni tangibili di questa vicenda e conseguentemente il completamento di quest'opera ritenuta strategica, sia per la viabilità, sia per la sicurezza stradale, sia per lo sviluppo turistico dell'intero territorio.

Spero che lei possa farsi portavoce presso il Ministero di competenza di queste criticità che ho sottolineato. Per quanto mi riguarda, continuerò a monitorare la situazione e proseguirò, se necessario, a presentare interpellanze o interrogazioni, fin quando non mi riterrò soddisfatta ovvero fin quando non sapremo la data di conclusione di questi lavori. Infatti, credo che il territorio lecchese meriti, dopo diciotto anni, di conoscere dei tempi certi. Non è possibile continuare a singhiozzo la realizzazione di un'opera pubblica, che è bloccata e che avrebbe invece già dovuto essere fruibile per i cittadini già da molto tempo.

(Iniziative di competenza, anche di carattere normativo, al fine di assicurare che le nomine dirigenziali presso le strutture del Servizio sanitario nazionale tengano conto dei risultati ottenuti con riguardo all'efficienza dei servizi e al rispetto degli obiettivi stabiliti a garanzia dei LEA - n. 2-01880)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Lorefice ed altri n. 2-01880 (Vedi l'allegato A). Do la parola all'onorevole Lorefice per illustrare la sua interpellanza.

MARIALUCIA LOREFICE. Grazie Presidente, grazie sottosegretario. Allora, sottosegretario Manzione, oggi è importante per me portare alla sua attenzione una delle problematiche che sta affliggendo il libero consorzio comunale di Ragusa e, in modo particolare, la sanità dell'ex provincia di Ragusa. Ed è importante rappresentarle quello che si sta verificando, soprattutto in queste settimane, che purtroppo è rimbalzato anche agli onori della cronaca nazionale. Il manager dell'ASP 7 di Ragusa, poche settimane prima della scadenza del suo mandato, che era prevista per il 30 giugno scorso, ha deciso di avviare lo spostamento dei reparti dell'ospedale Civile di Ragusa, presso il nuovo ospedale di Ragusa “Giovanni Paolo II”.

Premetto - perché questa è una premessa molto importante anche per il territorio - che l'apertura del nuovo ospedale si deve fare. È necessaria ed è importante per tutta la comunità, tuttavia, sarebbe stato importante che questa avvenisse nel rispetto delle regole e nel rispetto dei tempi, concertata con i medici e realizzata con un programma che limitasse al massimo gli eventuali disservizi. Purtroppo, questo non è avvenuto.

Il cronoprogramma che è stato trasmesso anche alla stampa prevedeva lo spostamento di 3-4 reparti al giorno, il tutto in cinque giorni. In pratica, in una sola settimana, era previsto che si spostassero i reparti, che venisse chiuso l'ospedale Civile e che venisse aperto il “Giovanni Paolo II”. Il cronoprogramma era irrealizzabile, come i fatti purtroppo hanno dimostrato, perché i disservizi ci sono stati e sono stati anche notevoli. Il personale medico e sanitario ha dovuto lavorare in condizioni di pesante stress, cercando di garantire naturalmente il massimo delle cure nel migliore dei modi, nonostante le condizioni nelle quali si trovavano a dover lavorare erano avverse e i cittadini erano disorientati, perché risultava anche impossibile capire, in questa confusione, presso quale ospedale recarsi per ricevere le cure necessarie.

Naturalmente questa grave emergenza sanitaria che si è innescata, non ha investito solo la città di Ragusa, ma tutta la provincia e, quindi, tutti i presidi che sono dislocati nella provincia di Ragusa, con reparti stracolmi, con pronto soccorsi ingolfati, con sovraccarico di lavoro per il personale, che purtroppo è già esiguo, perché i concorsi non vengono sbloccati.

Io ho contattato personalmente il manager Aricò, per condividere con lui la preoccupazione mia e quella di tantissimi cittadini, per chiedergli spiegazioni, spiegazioni riguardo il cronoprogramma, perché l'avesse previsto in tempi così ristretti, chiedendo spiegazioni riguardo i disagi, se gli esami, le cure e le visite erano garantite con regolarità e quali criticità stessero emergendo e, soprattutto, come facesse fronte poi a queste criticità.

Da lui ho ricevuto delle rassicurazioni. La realtà, però, era tutt'altro che rassicurante. Negli stessi giorni cosa succedeva? Succedeva che veniva avviata un'indagine della procura di Ragusa sugli impianti del nuovo ospedale, venivano iscritti nel registro degli indagati sette persone, tra dirigenti e tecnici, che erano stati preposti al collaudo degli impianti. Sono stati sequestrati anche dei documenti, anche alcune aree del nuovo ospedale di Ragusa e, solo in quel momento, il manager capisce che probabilmente c'è qualcosa che non va e, quindi, comincia il dietrofront.

I reparti che erano stati spostati nel nuovo ospedale vengono riportati nel vecchio ospedale, vengono riportate all'ospedale Civile e al Maria Paternò Arezzo. A questo punto vengono inviati gli ispettori della regione siciliana e si costituisce anche una sottocommissione sanità all'ARS, l'Assemblea regionale siciliana.

In seguito a ciò, naturalmente, la domanda che ci si pone è: ma il manager, che comunque è responsabile dell'azienda ospedaliera, è stato revocato? Certo che no! È stato previsto, invece, il suo trasferimento alla Villa Sofia-Cervello di Palermo. Però - notizie di queste ore -, sembra che al momento i trasferimenti commissariali siano stati bloccati a causa, purtroppo, di problemi interni alla maggioranza in regione siciliana, la maggioranza PD, perché sappiamo benissimo che i manager sono di nomina politica. Chi verrà dopo di lui si troverà a gestire una situazione che è sicuramente caotica, che è preoccupante, confusa e precaria. Quindi, mi auguro che, chi verrà dopo di lui, sia comunque all'altezza di affrontare questa situazione.

Io credo, sottosegretario, che non possiamo assolutamente permettere che scelte personalistiche, piuttosto che politiche, ledano il diritto alla salute dei cittadini. Quindi, io mi auguro che le strutture ministeriali siano a conoscenza delle criticità che ho appena descritto e mi auguro che sia stato anche predisposto un monitoraggio della situazione e che vengano prese delle precauzioni o, comunque, si intervenga per quanto di competenza naturalmente, perché è necessario ripristinare immediatamente una situazione di normalità.

Inoltre non posso - ripeto - non denunciare le responsabilità della politica, perché è la politica, come dicevo poco fa, ad affidare gli incarichi dirigenziali nelle strutture del Servizio sanitario nazionale. Per cui, io le chiedo se non pensa sia arrivato finalmente il momento di intervenire sul piano normativo - cosa che il MoVimento 5 Stelle ha proposto più di una volta - e far sì che i manager vengano scelti esclusivamente sulla base delle competenze e della capacità di raggiungere gli obiettivi di salute, di funzionamento dei servizi, dell'efficacia, dell'efficienza, sulla base della capacità di garantire sicurezza, sia per gli operatori che per i cittadini, e sulla base della capacità di garantire i livelli essenziali di assistenza. Perché, vede, vicende come questa, che ho appena illustrato, sono la chiara dimostrazione che, finora, la scelta politica dei manager si è rivelata un fallimento. E il costo di questo fallimento non lo possono pagare i cittadini.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Domenico Manzione, ha facoltà di rispondere.

DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'Interno. Grazie Presidente. Con riferimento all'interpellanza in esame, preliminarmente vanno fatte alcune precisazioni sulla vicenda del nuovo ospedale di Ragusa, sulla base peraltro di informazioni, che sono state acquisite dalla regione Sicilia e dalla prefettura di Ragusa, con la quale il Ministro della salute è in stretto contatto, fin dall'inizio della vicenda, segnalata dagli onorevoli interpellanti e testé illustrata dall'onorevole Lorefice.

Innanzitutto si deve ricordare che il tribunale di Ragusa, con provvedimento dello scorso 10 luglio, non ha convalidato il precedente decreto di sequestro preventivo del nuovo ospedale “Giovanni Paolo II”. A seguito di ciò, il direttore generale dell'ASP di Ragusa, in regime di prorogatio, ha riferito che proseguirà il percorso di completa riattivazione della funzionalità dei presidi “Civile” ed “Arezzo”, cautelativamente avviata a seguito del sequestro, e si è impegnato ad inviare con sollecitudine alla regione il cronoprogramma, inerente il riavvio delle attività sospese, presso i due presidi ospedalieri e quello relativo al trasferimento della nuova struttura.

In precedenza, in ogni caso in occasione, delle prime criticità, citate dall'atto ispettivo in esame, la prefettura di Ragusa aveva convocato con urgenza, lo scorso 28 giugno, un apposito incontro con tutte le amministrazioni coinvolte, per un esame congiunto della situazione. In detto incontro, pur prendendosi atto dell'impossibilità di prevedere tempi certi per il trasferimento - attesa l'accertata assenza della Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), indispensabile per l'attivazione della struttura -, si era comunque raggiunta la consapevolezza della possibilità di prevedere il superamento delle anomalie che sono state oggetto di rilievo, grazie ad accorgimenti di immediata fattibilità.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 12)

DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'Interno. In particolare, in tale sede, era stata già acquisita la possibilità di proseguire nel cronoprogramma inizialmente predisposto, una volta completate tutte le operazioni previste, da adottarsi in ogni caso con assoluto rigore, al fine di avere una struttura pienamente operativa, con particolare riguardo ai servizi in reparti di emergenza, quali il pronto soccorso, la rianimazione, la terapia intensiva e le sale operatorie.

Su tale profilo posso pertanto dare assicurazione agli onorevoli interpellanti che il Ministro della salute, che, come detto, ha già seguito di persona, con attenzione, l'evolversi della vicenda, continuerà a monitorare, insieme all'assessore regionale alla salute, le attività finalizzate ad assicurare la piena garanzia del diritto alla salute per i cittadini di Ragusa.

Fatta questa premessa e passando al merito dei quesiti posti dagli onorevoli interpellanti, ritengo necessario rammentare che il ruolo del Ministero della salute, per quanto concerne i piani di rientro, è quello di affiancare le regioni nella predisposizione di atti programmatori di competenza regionale, in adempimento alle disposizioni normative vigenti. L'affiancamento intende rispondere alle esigenze di supporto alle attività di programmazione, gestione e valutazione dei servizi sanitari regionali delle regioni che hanno stipulato l'accordo di cui all'articolo 1 della legge n. 311 del 2004, comprensivo di piano di rientro dai disavanzi.

Più nello specifico, il Ministero della salute accerta che le scelte adottate dalle regioni siano coerenti con le indicazioni nazionali a tutela della sicurezza dei pazienti e della qualità delle cure. Continuano a rientrare nelle competenze regionali, dunque, l'organizzazione dei servizi sanitari, l'allocazione dei punti di erogazione e la connotazione degli stessi in considerazione delle specificità dei territori, sulla base dei relativi criteri epidemiologici e di accessibilità. Tra i principali compiti del Ministero della salute deve, invece, rientrare l'obiettivo, correttamente indicato dagli onorevoli interpellanti, di assicurare il massimo grado di trasparenza e meritocrazia nelle procedure di nomina, valutazione e decadenza della dirigenza sanitaria.

Ebbene, desidero ricordare che tale obiettivo è stato significativamente e vigorosamente portato avanti dal Governo, il quale, proprio come richiesto nell'atto ispettivo in esame, ha già intrapreso significative iniziative normative per tramutare i predetti princìpi in disposizioni valide su tutto il territorio nazionale. Mi riferisco, ovviamente, al decreto legislativo n. 171 del 2016, con il quale si è inteso intervenire per riequilibrare i rapporti tra il vertice politico regionale e le apicalità direzionali delle aziende sanitarie, al fine di slegare la nomina dei direttori generali dalla “fiducia politica” - uso l'espressione tra virgolette - per agganciarla a una valutazione di profilo tecnico, finalizzata alla selezione delle professionalità ritenute maggiormente competenti ed adeguate a ricoprire l'incarico.

Tale intervento è stato originato, pertanto, dalla piena consapevolezza che una quota rilevante dell'inefficienza organizzativa che ha caratterizzato la conduzione del servizio sanitario in molte realtà regionali trova una delle sue cause proprio nelle distorsioni che hanno caratterizzato la selezione e la scelta sia dei direttori generali che dei dirigenti sanitari delle ASL e delle aziende ospedaliere. È a tutti noto come tale intervento normativo, per quanto non direttamente inciso dalla sentenza n. 251 del 2016 della Corte costituzionale, abbia richiesto un provvedimento correttivo, peraltro già previsto nell'ambito dell'originale delega, che ha acquisito la prescritta intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni e il parere in sede di Conferenza unificata. A tale riguardo, sono lieto di poter anticipare in questa sede, cogliendo la perfetta coincidenza determinata dalla discussione di questo atto ispettivo, che l'ulteriore decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, sarà esaminato proprio nella seduta del Consiglio dei ministri prevista in data odierna.

Dopo tale approvazione, si renderà pertanto possibile introdurre le rilevanti novità indicate dal citato decreto legislativo, su tutte l'istituzione di un elenco degli idonei alla nomina, che sarà unico e nazionale rispetto ai diversi elenchi regionali del modello attualmente vigente. La natura nazionale dell'elenco comporterà, infatti, che la selezione della persona cui affidare l'incarico di direzione aziendale dovrà avvenire nell'ambito di una rosa di candidati costituita da coloro che, iscritti nell'elenco nazionale, manifestano l'interesse all'incarico da ricoprire. Ma, soprattutto, tale selezione dovrà essere effettuata da un'unica commissione nazionale, peraltro già istituita.

L'elenco unico e nazionale va, dunque, nella direzione di rafforzare la posizione dei candidati, sottraendo la procedura selettiva a possibili ingerenze da parte della politica regionale e uniformando le modalità di selezione. Da altro punto di vista, il provvedimento tiene opportunamente conto dell'esigenza di dare maggiore attenzione alla individuazione di modalità di valutazione dell'operato dei direttori. Non vi è dubbio, infatti, che, accanto ai criteri per l'individuazione del soggetto al quale affidare l'incarico, una coerente disciplina delle ipotesi di decadenza e di revoca dello stesso sia fondamentale per assicurare una maggiore resistenza della procedura di selezione alla penetrazione di interessi e logiche diversi da quelli dell'imparzialità e del buon andamento dell'attività di servizio. Sulla scorta di tale consapevolezza, il provvedimento citato prevede che non possano essere reinseriti nell'elenco nazionale coloro che siano stati dichiarati decaduti dal precedente incarico di direttore generale per violazione degli obblighi di trasparenza previsti dalla legislazione vigente.

Per quanto concerne la valutazione dell'attività dei direttori generali, il decreto prevede inoltre che si debba necessariamente tener conto del raggiungimento di obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi, con particolare riferimento all'efficienza, all'efficacia, alla sicurezza, all'ottimizzazione dei servizi sanitari e al rispetto degli obiettivi economico-finanziari e di bilancio, oltre che della garanzia dei livelli essenziali di assistenza anche attraverso la riduzione delle liste di attesa. Desidero, inoltre, ricordare che tra tali criteri pari rilievo viene riconosciuto al rispetto degli obblighi in materia di trasparenza, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale.

È stata infine integrata, attraverso la previsione della previa contestazione e del rispetto del principio del contraddittorio, la previgente disciplina in materia di risoluzione del contratto, con l'immediata decadenza dei direttori generali per gravi e comprovati motivi o gravi disavanzi o manifesta violazione di legge o di regolamento o del principio di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione, nonché di violazione degli obblighi in materia di trasparenza previsti dalle disposizioni vigenti. Concludo, pertanto, dando la più ferma assicurazione circa la volontà del Governo di dare piena attuazione alle disposizioni che ho illustrato brevemente, le quali ritengo vadano nella direzione delle giuste esigenze rappresentate dall'interpellanza in esame.

PRESIDENTE. La deputata Lorefice ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

MARIALUCIA LOREFICE. Grazie, Presidente. Sicuramente è apprezzabile il fatto, e di questo ce ne ricorderemo, che c'è la volontà da parte del Governo di voler rivedere la normativa che riguarda la nomina dei manager, che, ripeto, è una proposta che abbiamo portato spesso avanti anche con proposte di legge, così come in emendamenti vari nei vari provvedimenti dov'era possibile avanzare queste proposte; all'epoca non abbiamo mai visto questa particolare predisposizione da parte dei rappresentanti del Governo a modificare questo tipo di normativa.

Ricordo anche che qualche mese fa abbiamo presentato un'interpellanza proprio riguardo alla parte della delega Madia che riguarda la nomina dei manager, evidenziando che purtroppo ci sono degli aspetti che andrebbero migliorati, ma sui quali bisognerebbe intervenire dal punto di vista normativo; e all'epoca, invece, la risposta che ci fu data dal sottosegretario fu che in realtà esistono le linee guida dell'Anac, che basta applicare per far sì che la nomina del manager avvenga secondo criteri di trasparenza e, soprattutto, nel rispetto naturalmente dell'anticorruzione.

Ora, noi in quel caso abbiamo fatto presente che le linee guida non sono sicuramente una legge, e quindi è importante mettere mano alla legge. Quindi, il fatto che da parte del Governo ci sia questa apertura è sicuramente una cosa molto importante. Detto ciò, sono anche felice che il Ministro sia a conoscenza della situazione che sta vivendo la sanità in provincia di Ragusa in questo momento, anche se sarebbe stato importante che lo stesso Ministro della salute, piuttosto che il sottosegretario Faraone, rispondessero anche alle sollecitazioni e alle lettere che gli abbiamo mandato, perché, naturalmente, prima di questa interpellanza ho avuto modo di scrivere ad entrambi, quindi sia al Ministro sia al sottosegretario Faraone, per esattezza il 5 luglio, quindi ben sedici giorni fa, e a questa lettera, purtroppo, non hanno risposto.

Ed era invece importante rispondere, e farlo anche con una certa velocità, proprio perché la situazione che stiamo vivendo in questo momento non può assolutamente attendere. Naturalmente, un deputato non si alza la mattina e decide di scrivere al sottosegretario di turno, piuttosto che al Ministro di turno, solo perché vuole rompere le scatole; lo fa perché, naturalmente, ha bisogno di alcune risposte. Quindi, forse sarebbe importante che chi oggi è al Governo, chi svolge degli incarichi così importanti e deve delle risposte ai cittadini, sicuramente è importante che si renda conto che quello che loro fanno non è esercizio di potere, ma è servizio verso la comunità, e, poiché è un servizio verso la comunità, è importante che diano anche delle risposte a chi quella comunità la rappresenta.

In quella lettera, ripeto, ancor prima di questa interpellanza, descrivevo la situazione della quale abbiamo avuto modo di discutere anche oggi in quest'Aula.

Mi permetto di dire che questa vicenda, secondo me, è una storia, una tipica storia di uomo solo al comando, di un uomo che, senza un confronto preventivo, ripeto, con i medici e con gli infermieri che operano nelle corsie, ha deciso di avviare lo spostamento di questi reparti in tempi record, lasciando in realtà tutti basiti perché sapevamo benissimo delle difficoltà di poter realizzare quel cronoprogramma e della difficoltà di poter garantire i servizi. Lo sapevamo tutti: non serve né una laurea in Medicina né una laurea in ingegneria; serve solamente un minimo di buonsenso e probabilmente l'unico che non l'aveva capito o forse si ostinava a non volerlo capire, perché c'erano state sollecitazioni da parte della deputazione e anche da parte dei cittadini stessi, era esclusivamente il manager.

Ritengo, ripeto, che un manager che gestisce un'azienda ospedaliera debba rispondere a tre requisiti fondamentali: la competenza, la trasparenza e la professionalità. Pertanto mi chiedo se possa essere considerata tale una persona che ha deciso di mettere in atto un programma del genere; se si è mai fermato a pensare a quali rischi potevano correre i medici, gli infermieri e i pazienti e mi chiedo come sia possibile immaginare di aprire un nuovo ospedale in mancanza di quella che anche lei ha detto essere la SCIA, cioè la segnalazione certificata di inizio attività. Ho fatto poi riferimento naturalmente alle indagini che sono in corso, al sequestro e al dissequestro e via dicendo. Naturalmente su questo, ripeto, oggi non c'è molto da dire se non rimanere semplicemente senza parole.

Tuttavia voglio dirle una cosa: le voglio trasmettere la preoccupazione che c'è in quel territorio, la preoccupazione che si può percepire nelle corsie, che si può percepire nei reparti, nei pronto soccorso che sono al collasso; le posso dire che c'è un personale che è stremato e che lavora incessantemente ogni giorno anche senza i mezzi necessari, in mezzo alla polvere di un trasloco, in mezzo ai farmaci che sono accatastati in attesa di essere trasferiti; posso dirle che c'è gente preoccupata. Posso raccontarle queste cose non solo perché ce le hanno raccontate ma perché abbiamo visto quello che accade negli ospedali, perché sono stata in quegli ospedali. Pertanto invito il Ministro e invito anche il sottosegretario Faraone a farsi un bel giro perché mi risulta tra l'altro - lo dico sinceramente e senza ironia - che il sottosegretario Faraone stesso in questi giorni è in giro anche per la Sicilia al motto “si va casa per casa”. Ora vorrei tanto che il sottosegretario Faraone, sottosegretario del Ministero della salute, piuttosto che andare casa per casa andasse ospedale per ospedale per vedere quello che sta accadendo perché vedere con i suoi occhi serve sicuramente ad avere contezza maggiore rispetto a quello che poi viene raccontato. Quanto è accaduto è il frutto di un'operazione di propaganda che purtroppo ci è costata cara. Probabilmente lei penserà che adesso il mio obiettivo è cercare un capro espiatorio: non è assolutamente così. Noi la revoca l'abbiamo chiesta perché, secondo noi, è giusto che un manager che non ha saputo amministrare l'azienda ospedaliera debba essere revocato; ma il mio obiettivo è un altro: trovare una soluzione a questo caos; pretendere soluzioni immediate; il ripristino dei servizi; l'apertura dell'ospedale Giovanni Paolo II in tempi celeri ma stavolta in modo serio, pianificato e soprattutto quando tutto sarà completamente in regola. Questa volta sarebbe importante che il cronoprogramma venisse concertato naturalmente con chi lavora nei reparti e che venga rispettato il diritto alla salute e quindi io oggi a lei e al suo Governo chiedo proprio di prendere tale impegno, quindi di formare la normativa riguardo alla nomina dei manager ma, allo stesso tempo, prendere un impegno concreto per far sì che la sanità in provincia di Ragusa oggi torni a funzionare perché questo non è un gioco. Quindi pretendo di dare risposte alla comunità che si torni alla normalità, che si lavori in sicurezza, che tutti possano accedere ai servizi e pretendo che la politica, che nomina i manager, si prenda le sue responsabilità perché, ripeto, questa è una delle storie che accadono proprio perché i manager vengono nominati dalla politica che oggi paradossalmente si erge a paladina perché istituisce commissioni ad hoc, perché promette soluzioni, però allo stesso tempo non ha il coraggio di revocare quel manager ma decide di trasferirlo o, meglio, si decide prima di trasferirlo, poi rimane, poi di nuovo si trasferisce.

Al momento sembra che rimanga comunque a Ragusa per problemi sicuramente, ripeto, interni tutti al PD in Regione Siciliana anche perché si avvicinano, come lei saprà bene, anche le elezioni in Regione Siciliana e quindi diciamo che c'è questa lotta interna tra le due fazioni, tra i renziani da una parte e i non renziani dall'altra parte. Quindi alla fine dobbiamo capire chi dei due avrà la meglio.

Naturalmente a me di questa lotta politica - fatta soprattutto sulla pelle dei cittadini - non interessa assolutamente niente. Voglio solamente che venga garantito il diritto alla salute dei cittadini e mi piacerebbe infine - mi avvio alla conclusione - che il manager di Ragusa che, secondo me, ha peccato di presunzione, che non ha mai fatto un giro per i reparti, che non ha ascoltato chi aveva qualcosa da dirgli, che non ha mai ammesso gli errori fatti, chieda scusa, cosa che non ha mai fatto: non ha mai chiesto scusa per gli errori dei quali anche lui è responsabile. Forse è chiedere troppo perché un buon manager non è chi pensa all'affermazione personale ma colui che ha come unico obiettivo il benessere dell'azienda ospedaliera. Questo fa un buon manager per cui oggi mi aspetto dal Governo nazionale per quanto di competenza e da quello regionale che si facciano carico di questa situazione e risolvano nell'immediato le criticità perché non possiamo aspettare, perché abbiamo già pagato e rischiato troppo e perché è arrivato il momento di cambiare pagina ma questa volta in meglio.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 20 luglio 2017, il deputato Maurizio Bernardo, già iscritto al gruppo parlamentare Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD, ha dichiarato di aderire al gruppo Partito Democratico. La presidenza di tale gruppo con lettera pervenuta in pari data ha comunicato che ha raccolto la richiesta.

Organizzazione dei tempi di esame di una proposta di legge.

PRESIDENTE. Avverto che nell'allegato A del resoconto stenografico della seduta odierna sarà pubblicato lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale della proposta di legge in materia di frode patrimoniale in danno di soggetti vulnerabili e di circonvenzione di persone incapaci.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 24 luglio 2017, alle 12:

1.  Discussione congiunta sulle linee generali dei documenti:

Conto consuntivo della Camera dei deputati per l'anno finanziario 2016. (Doc. VIII, n. 9)

Progetto di bilancio della Camera dei deputati per l'anno finanziario 2017. (Doc. VIII, n. 10)

2.  Discussione sulle linee generali della mozione Basilio ed altri n. 1-01081 concernente iniziative in materia di dislocazione, trasporto e acquisizione di armi nucleari in Italia.

3.  Discussione sulle linee generali della proposta di legge:

ERMINI ed altri: Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, concernenti i delitti di frode patrimoniale in danno di soggetti vulnerabili e di circonvenzione di persona incapace. (C. 4130-A)

e delle abbinate proposte di legge: CIRIELLI; FUCCI; CAPARINI ed altri; FERRARESI ed altri. (C. 40-257-407-4362)

Relatore: ERMINI.

La seduta termina alle 12,20.