XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 532 di lunedì 30 novembre 2015

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PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 15.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  RAFFAELLO VIGNALI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 23 novembre 2015.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Bellanova, Bernardo, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sorial, Tabacci, Velo e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

  I deputati in missione sono complessivamente settantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione della mozione Binetti ed altri n. 1-01063 concernente iniziative per la cura dei tumori rari (ore 15,02).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Binetti ed altri n. 1-01063 concernente iniziative per la cura dei tumori rari (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Baroni ed altri n. 1-01073 e Miotto ed altri n. 1-01074 (Vedi l'allegato A – Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

  ROCCO PALESE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

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  ROCCO PALESE. Grazie, signora Presidente, sull'ordine dei lavori per annunciare la sottoscrizione della mozione Binetti ed altri 1-01063 concernente iniziative per la cura dei tumori rari.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritta a parlare la deputata Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01063. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Presidente, sottosegretario, noi stiamo lavorando all'interno della XII Commissione da tempo sul tema delle malattie rare che costituisce per l'Italia una vera e propria eccellenza. Diciamo che la cultura delle malattie rare è nata per un combinato disposto tra l'Istituto superiore di sanità e il Ministero per la sanità e poi tutta una serie di centri che fanno ricerca e fanno ricerca di eccellenza in questo ambito. Da questo punto di vista l'Italia, in più di un'occasione, si è trovata in un certo senso a dettare la linea anche a livello europeo, sia quando si trattava di modelli di assistenza e, quindi, anche dell'elaborazione di linee guida, sia quando si è trattato di elaborare protocolli di ricerca, soprattutto sotto il profilo genetico, sia quando si è trattato di concentrare la propria attenzione sui farmaci – e penso concretamente tuttora a Orfanet direzione italiana –, sia quando poi dopo si è cercato di creare, attraverso le associazioni dei malati, un modello concreto per cui i pazienti vedessero riconosciuto il pieno diritto a sedere ai tavoli in cui si prendono decisioni, non più soltanto in nome loro, ma insieme a loro. La cultura italiana in termini di malattie rare è quindi una cultura che ha tutte le dimensioni possibili e immaginabili, da quella scientifica e tecnologica a quella organizzativa, clinica e umana, per rispondere nel miglior modo possibile a queste esigenze. Questo è stato confermato anche da un'indagine conoscitiva che nella XII Commissione è stata fatta all'inizio di quest'anno e che ha visto poi l'elaborazione di un documento, approvato all'unanimità da tutti i membri della Commissione, da cui poi è scaturita una risoluzione che, nel settembre di quest'anno, è stata presentata al Governo e che il Governo ha accettato e su cui si sta lavorando. È apparso, quindi, naturale che, accanto a questo lavoro fatto per le malattie rare, se ne facesse uno analogo per quello che riguarda i tumori rari. I tumori rari rappresentano un po’ una sorta di terra di mezzo: da un lato condividono alcune prerogative con le malattie rare e dall'altro condividono altre prerogative direttamente con la grande famiglia dei tumori. Proprio per alcuni elementi di specificità, corrono il rischio di rimanere schiacciati da una parte e dall'altra e di non vedere emergere la loro specificità con quella forza che potrebbe poi preludere davvero ad affrontare i problemi in maniera adeguata e a individuarne la rispettiva soluzione.
  D'altra parte, a livello del Ministero, era già stata formata, tempo fa, una commissione proprio attenta ai bisogni dei tumori rari, una commissione che aveva lavorato con grande serietà, con grande rigore e che aveva anche fornito al Ministro alcune linee d'indirizzo, alcune considerazioni che, in qualche modo, avrebbero dovuto contribuire a fare chiarezza su una serie di problemi. Ne cito alcuni: il primo riguarda proprio la diagnosi di tumore raro, quale criterio assumere per poter procedere a una diagnosi che sia chiaramente precisata e che renda, quindi, una diagnosi diversa dall'altra e che, di conseguenza, permetta di scolpire tutte le decisioni che ne derivano; ma, anche, che sia una diagnosi che risponda a criteri che siano facilmente comunicabili e, quindi, in qualche modo, che possano permettere, davvero, in tutta la comunità scientifica, di intendersi su che cosa si intende per una cosa piuttosto che per un'altra.
  Da questo lavoro, fatto proprio sotto il profilo diagnostico, sono emerse dodici famiglie, chiamiamole così, di tumori rari e ognuna di queste famiglie ha al suo Pag. 3interno degli elementi che permettono di connotarne le misure più efficaci per venire incontro ai problemi dei malati. Questo problema di una diagnosi che, in qualche modo, permetta di scolpire situazioni diverse è fondamentale anche nei momenti in cui ci si pone un problema importante come è il problema del registro dei tumori rari. Attualmente in Italia non c’è un registro nazionale dei tumori rari, non c’è nemmeno un registro regionale dei tumori rari; i registri dei tumori rari che sono diffusi in questo momento sono legati, per così dire, alla buona volontà delle associazioni scientifiche, alla buona volontà di quei raggruppamenti che nascono, molto spesso, fortunatamente, nel mondo della clinica, nel mondo dell'assistenza che fa convergere intelligenze, fa convergere anche una comune passione per la ricerca e porta, in qualche modo, a creare delle community scientifiche che, però, hanno tutto il valore di un'operazione di volontariato e non godono di quegli strumenti e, quindi, anche, di quelle risorse di cui potrebbero godere se venissero istituzionalizzate. Quindi, un primo problema emerso è quello che, non essendoci un registro nazionale, diventava difficile ottenere, davvero, una comunicazione tra tutte le persone attivamente presenti sul territorio.
  Tuttavia, il problema non è soltanto quello del registro nazionale, il problema è quello di una comunità scientifica più allargata che, come minimo, includa la comunità scientifica a livello europeo. Questo è un altro degli obiettivi importanti; uno di quegli obiettivi che costituisce uno dei primi passi affinché l'Italia possa presentarsi anche a livello europeo davanti alla prossima sfida degli ERN, per rivendicare una sua presenza significativa anche nel campo dei tumori rari. Il secondo aspetto estremamente importante che emerge, ed è collegato a questo delle diagnosi dei tumori rari, è il fatto che, molto spesso, proprio la rarità del tumore fa sì che la prima diagnosi possa essere una diagnosi errata. È stato dimostrato che circa il 40 per cento delle diagnosi che si fanno nell'ambito dei tumori rari è una diagnosi che risulta, poi, non esatta, non precisa. Diventa, quindi, urgente, quanto più matura, quanto più consapevole, quanto più, anche, eticamente responsabile è la comunità scientifica, il chiedere la seconda diagnosi. Chiedere la seconda diagnosi, però, non può voler dire che per il paziente incomincia una sorta di Via crucis da un centro all'altro per andare a confrontare le opinioni che raccoglie, per poter, poi, dover essere lui a fare una sintesi tra elementi che spesso possono sfuggirgli. Ecco, allora, la necessità che attraverso la Rete dei tumori rari si possa creare una rete che permetta di far viaggiare i dati, permetta di far viaggiare i vetrini, permetta di far viaggiare le immagini, permetta di far viaggiare tutti quei risultati delle analisi che, all'ottenere la seconda diagnosi, il secondo parere, offrono al paziente quella sicurezza e quella certezza del sapere: che cosa ho io. Il sapere che cosa ho è immediatamente in relazione, in collegamento immediato con quello che è: e allora che cosa fare ? Qual è il piano di trattamento preciso che possa, in qualche modo, rispondere meglio ai bisogni di questo paziente ?
  Ma permette, poi, di porre anche la terza domanda, che, molto spesso, è quella che maggiormente sta a cuore ai pazienti e che è quella della prognosi: e, quindi, allora, che cosa succederà ? Storicamente, questo tipo di tumori a quali risultati va incontro ?
  Ecco, quindi, che il collegamento tra i centri permette di rispondere a queste tre domande essenziali del paziente: che cosa ho, che cosa si può fare e che cosa potrà accadere, in un prossimo futuro, di me ? Ragionare sui tumori rari significa ragionare su questo, significa, quindi, anche, davvero, mettere al centro dell'attenzione i bisogni del paziente, le sue domande espresse, ma, anche, quelle domande che, spesso, restano un po’ nell'aria. E permette, anche – attraverso l'eccellenza di alcuni centri che possono vantare una linea di produzione scientifica, ma anche una quantità di casi, che accedono a quel centro, sufficientemente numerosa – non voglio dire per analogia e non voglio Pag. 4nemmeno dire per luce riflessa, ma per quella sorta di sapere traslazionale che è la vera ricchezza del nostro tempo, di far partecipare anche centri piccoli che, quindi, magari, di quel caso ne hanno visto uno solo in tutta la loro vita, di tutto il patrimonio di conoscenze e di tutto il patrimonio di risorse che quel paziente può avere restando nel proprio contesto naturale, quindi, restando nella propria famiglia, restando accanto a quelle che sono le proprie attività. Non c’è dubbio che questa cosa rappresenti un risparmio – un risparmio su costi indiretti che sono, però, costi, invece, estremamente diretti per ogni famiglia – ma gli permetta, soprattutto, di garantire alla propria vita quella capacità di senso, quella capacità di significato che in una cultura più ampia che riguarda tutte le patologie, ma in modo particolare anche il tumore, permette, paradossalmente, di garantire lunga vita, una più lunga vita a questo paziente. Molto spesso la tragedia a cui va incontro il paziente è proprio quella del momento della perdita di senso, della perdita di significato, di quello che gli sta accadendo e di quel senso di solitudine e di abbandono che può sperimentare. Questa rete di servizi può aiutarlo a sentirsi sempre meno solo e sempre più inserito in una comunità scientifica che, in stretta alleanza con la comunità politica, muove e ruota intorno a lui.
  Ecco, allora, che al di là di ogni slogan, al di là delle espressioni facili e delle parole a buon mercato, noi abbiamo veramente messo il paziente al centro di un sistema che ruota intorno a lui. Basta immaginare la differenza che c’è tra l'idea di un paziente che debba prendere la sua cartellina con le sue analisi e spostarsi da un centro all'altro per vedere di che cosa soffre e, invece, l'idea che lui sta fermo, sta fermo nella sua casa, sta fermo al suo posto di lavoro e intorno a lui girano tutte le analisi con tutti i pareri. È evidente che questa risposta significa riconoscere dignità a questo paziente, significa dirgli che, davvero, quel famoso articolo 32 della nostra Costituzione, che fa della sua salute un diritto, per questo stesso motivo, ne fa un dovere per tutti noi e permette di risponde adeguatamente. Da questo punto di vista, quindi, attraverso il dibattito che è stato fatto anche nella nostra Commissione, attraverso una serie di incontri e di convegni che sono stati fatti qui alla Camera e che hanno visto la partecipazione, in fondo, delle più brillanti intelligenze italiane in questo campo, si capisce quali sono le richieste che noi poniamo, che cosa noi chiediamo al Governo e che cosa ci auguriamo, davvero, che il Governo ci dia, non tanto perché lo debba dare a noi, ma perché lo deve dare a persone che già soffrono dell'idea di avere un tumore, che pensano che, per di più, avere un tumore raro significhi consegnarsi all'ignoranza di un sistema o, peggio ancora, all'indifferenza di un sistema. Nel momento in cui si pensa di non avere nulla da fare, perché si pensa che non ci possa essere nulla da fare, in quel momento stesso, subentra una dimensione tristissima per ogni malato, quando, potremmo dire, in poche parole, si sente scaricato, quando il medico comincia a non rispondere più al telefonino, quando non ci sono più linee terapeutiche che vanno oltre quelle che si sono dimostrate, in qualche modo, superate.
  Quindi, che cosa chiediamo ? Chiediamo davvero che la Rete dei tumori rari venga predisposta, venga predisposta presto e venga predisposta secondo quelle linee di specificità e di peculiarità con cui ce lo chiede la comunità scientifica. Chiediamo che si prenda atto di quella che è la linea diagnostica a cui è addivenuta la comunità scientifica, identificando le classi dei tumori rari. Chiediamo che si possa costituire un gruppo di lavoro per l'avanzamento dei progetti della rete dei tumori rari, un gruppo di lavoro al quale, in qualche modo, venga anche demandato il compito di quel famoso secondo parere di cui si diceva. Non c’è dubbio che ci sarà necessità di un luogo a cui possano affluire i vetrini, le immagini, le analisi per poter, poi, dopo, fornire il parere.
  E non c’è dubbio che questo diventa una sorta di contesto professionale di cui bisognerà discutere e definire anche le Pag. 5modalità, le modalità di prestazione del servizio, le modalità di finanziamento del servizio e le risorse di cui potrebbe avere bisogno.
  Abbiamo bisogno davvero che nell'investimento sulla ricerca clinica e la sanità pubblica dei tumori rari si tenga il dovuto conto, perché il tumore raro nel suo apparente – come dire – minore interesse rispetto a un tumore che colpisce una parte maggiore della cittadinanza, in realtà, finisce con l'avere una esemplarità e finisce col dirci in merito al tumore molte più cose di quante, tante volte, non ce ne dicano tumori più diffusi; cioè dal punto di vista del modello di insegnamento, ma anche del modello assistenziale che si può mettere in piedi, i tumori rari sono particolarmente interessanti.
  C’è il riferimento che abbiamo fatto, di cui abbiamo parlato tante volte anche con il sottosegretario, che poi peraltro ha la delega alle malattie rare – ed io non so se la delega alle malattie rare includa anche la delega ai tumori rari –, però in questo momento l'Italia sta combattendo una grossa battaglia a livello europeo. Nasceranno in febbraio i famosi ERN, cioè i centri di eccellenza, i centri di riferimento e questi centri godranno ovviamente di risorse economiche tutt'altro che irrilevanti e godranno di due compiti particolarmente rilevanti, che vengono affidati loro; il primo è quello dell'assistenza, il secondo quello della ricerca; e spero che il primo e il secondo non siano in ordine cronologico ma siano semplicemente due facce di una stessa medaglia perché non ci sarà possibilità di avere progresso nelle prospettive di cura se non ci sarà stato progresso contestualmente nell'attività di ricerca.
  Noi vogliamo essere presenti in quegli ERN. Noi sappiamo che molti dei nostri centri di ricerca che riguardano soprattutto le malattie rare si stanno organizzando sotto forma di consorzi e si stanno organizzando sotto forma intanto di reti italiane per concorrere con le reti europee. Ecco, proprio perché recentemente il direttore scientifico e l'Istituto nazionale dei tumori di Milano è stato proclamato come massimo esperto a livello europeo sarebbe un peccato se proprio noi non gli riconoscessimo questo valore scientifico che già l'Europa gli riconosce, ma riconoscendoglielo sarebbe un peccato che noi non mettessimo tutte le nostre energie a servizio del fatto che l'Europa debba riconoscere all'Italia questo privilegio. Anche perché non ci dimentichiamo che questo, sotto il profilo della medicina transfrontaliera, legge approvata nell'inverno scorso in quest'Aula, significa anche una capacità di attrazione dei pazienti. La capacità di attrazione dei pazienti ha un valore indiretto che in qualche modo permette ai nostri pazienti di convincersi che non hanno bisogno di andare all'estero per ottenere le cure di cui hanno bisogno, permette a questi pazienti di venire e permette a tutta una serie di risorse di essere girate più a favore dei nostri centri, che non a caratterizzare quella sorta di emorragia per la quale le nostre risorse si disperdono a livello europeo.
  Noi vogliamo anche che – ed è una cosa abbastanza importante – in tutti i tavoli in cui si prendono decisioni che riguardano in questo caso specifico i pazienti affetti da tumori rari, in tutti quei tavoli si siedano i rappresentanti dei pazienti. Noi dobbiamo stare attenti a non considerare il volontariato come semplicemente una buona pratica. Tante volte noi diciamo che la cattedra, la vera cattedra di un medico è il letto del malato perché è lì che impara e potremmo dire in questo caso che la vera cattedra per il medico, ma veramente anche la cattedra per il politico e per il decisore amministrativo, è il dialogo con il paziente; è il paziente che ha in mano il bandolo della matassa e ci dice di che cosa ha bisogno. Certamente, noi dobbiamo aiutarlo ad esprimersi, dobbiamo aiutarlo a sviluppare quelle capacità e quelle competenze di comunicazione che ci fanno permettere queste cose e ci fanno andare oltre quello che è il confine individuale di quello che lui sta dicendo per capire in che misura rappresenta un modello che può essere generalizzato. Ma noi vogliamo che questi pazienti e queste associazioni si siedano a Pag. 6tutti i tavoli dove si prendono decisioni, perché è fondamentale. Il contrario sarebbe un residuato di quel paternalismo, per cui io so ciò che tu non sai, per cui io ti dico ciò che tu devi fare, mettiamola così. Tanto è stato sbagliato questo paternalismo che vedeva una sorta di supremazia del medico nei confronti del paziente, quanto personalmente ritengo che altrettanto sbagliato sarebbe un principio di autodeterminazione per cui il malato dicesse al medico: so io di cosa hai bisogno e tu non lo sai.
  È evidente che noi dobbiamo andare verso una sorta di decisione consensuale, verso un riconoscimento dei ruoli e un riconoscimento delle responsabilità. Ma è tanto più importante questo riconoscimento quando parliamo di malattie rare, quando per definizione il malato convive con la sua patologia dalla mattina alla sera, quindi ne fa esperienza – il suo è un sapere esperto –, e il medico invece quel che sa l'ha letto sui libri e – come succede proprio nel caso dei tumori rari – probabilmente non ne ha visto un altro prima di quello.
  Quindi, sarebbe presunzione e supponenza quello che, dall'altra parte, potrebbe essere magari ingenuità. Creare le condizioni attraverso il tavolo dello scambio, del dialogo e dell'integrazione significa dare alla medicina una dimensione umana molto più forte; è il reciproco riconoscimento della dignità del malato e del professionista. Non vogliamo sostituire all'arroganza del medico – chiamiamola così – l'ingenua presunzione del paziente; noi vogliamo sostituire a questo una responsabilità condivisa, un asse forte che fa sì che il tuo obiettivo sia anche il mio obiettivo, esattamente perché anche per il paziente l'obiettivo della ricerca del medico è anche un suo obiettivo; è come dire: «Non vorrei che succedesse ad altri quello che sta succedendo a me. Se il mio dolore, la mia sofferenza e il mio disagio possono servire a qualcun altro, allora ben vengano». Questo ce lo dicono molte volte molti malati, esprimendo in queste affermazioni una solidarietà e una dignità di cui a volte noi, da sani, non siamo altrettanto capaci.
  È evidente che in tutto questo – ed è parte di questa mozione – c’è un obiettivo anche di formazione, un obiettivo di formazione che deve raggiungere per esempio i pediatri di base, che deve raggiungere i medici di medicina generale, i quali davanti al non noto, quindi al raro e al non conosciuto non possono reagire dicendo: «se non lo conosco, allora non esiste», ma devono in qualche modo sentirsi interpellati, ancora una volta, dalla voce del paziente e dalla voce dei familiari, quando si tratta di bambini, che li sollecitano ad andare avanti, ad approfondire e a scoprire che cosa c’è. Ed è quindi anche questa dimensione della formazione verso medici di base e pediatri di base che rappresenta una sfida.
  Mi sembra di aver detto le cose più importanti e io mi auguro che il Governo ci prenda sul serio e prenda sul serio l'impegno che tutti noi, a nostra volta, abbiamo assunto con le associazioni, con le associazioni scientifiche e con le associazioni dei malati, dicendo: questo Parlamento e questo Governo non sono estranei ai vostri problemi.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Massimo Enrico Baroni, che illustrerà anche la sua mozione 1-01073. Ne ha facoltà.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Grazie, Presidente. Premettiamo che i tumori rari sono neoplasie che possono svilupparsi in diverse parti dell'organismo e avere quindi caratteristiche molto differenti. La scarsa diffusione è l'unico elemento che accomuna tutti i tumori classificati come rari e che rappresentano una famiglia estremamente eterogenea di patologie.
  Al momento, non ci sono forme attendibili per stabilire in materia di tumori rari quanto siano realmente diffusi poiché non esiste una definizione univoca sui numeri che caratterizzano questa rarità.
  Una delle questioni principali da dirimere è la definizione di «tumore raro», Pag. 7ovvero quando è così poco comune da poter essere definito raro. La Rete tumori rari è una collaborazione tra centri oncologici italiani per migliorare l'assistenza ai pazienti con tumori rari ed utilizza la soglia di incidenza, ovvero il numero di nuovi casi in un anno inferiore o uguale a 5 casi su 100.000, ma altre organizzazioni utilizzano soglie diverse e ciò complica il calcolo della diffusione di queste patologie.
  I tumori rari rappresentano oltre il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati ogni anno in Unione Europea e riguardano nel territorio europeo oltre quattro milioni di persone. In Italia, secondo i dati dello studio RITA, dedicato proprio ai tumori rari, ogni anno sono circa sessanta mila le nuove diagnosi di tumore raro. Un tumore che sia raro non significa che sia incurabile o che le possibilità di guarigione siano più limitate rispetto a quelle di un tumore più comune. Alcune neoplasie rare hanno infatti percentuali di guarigione o di controllo della malattia superiori a tumori molto più diffusi.
  I tumori rari sono una famiglia di neoplasie molto eterogenee; ne esistono infatti molte tipologie che possono interessare ogni parte dell'organismo. I ricercatori del RARE-CARE (Surveillance of rare cancers in Europe), un progetto europeo che si occupa di tumori rari, ne hanno individuate oltre 250.
  Tra i tumori rari più noti vi sono anche alcune forme di leucemie e linfomi, tumori pediatrici, come il retinoblastoma, o tumori solidi dell'adulto, come il tumore stromale gastrointestinale e i tumori neuroendocrini (PPNET).
  Non è possibile definire fattori di rischio comuni per tutti i tumori rari, perché queste patologie sono molte numerose e molto diverse tra loro, come abbiamo detto, ma anche perché le informazioni e gli studi clinici ed epidemiologici su un tumore raro sono spesso limitati, proprio a causa della difficoltà di reperire una quantità sufficiente di dati sui quali basare la diagnosi.
  La diagnosi è un momento fondamentale nel percorso di una persona che si confronta con il tumore. Una diagnosi precoce e precisa consente di affrontare la malattia con gli strumenti più adatti a sconfiggerla o a tenerla sotto controllo. Nel caso dei tumori rari, la diagnosi oggi spesso arriva in ritardo, dopo che il paziente si è sottoposto a diverse visite o esami clinici, come diceva la mia collega Binetti prima (parlavamo di oltre un 40 per cento di mistake know in sede di prima diagnosi).
  La ragione principale di questo ritardo è la difficoltà che incontrano i medici a riconoscere una patologia rara, con la quale hanno a che fare raramente nel corso della loro carriera di tipo professionale. Per diagnosticare una malattia rara, sia tumorale sia di altra natura, servono, infatti, competenze particolari che solo un esperto del settore può garantire; servono, inoltre, esami specifici per rendere la diagnosi veramente completa e affidabile. Potrebbe, quindi, essere necessario inviare i campioni prelevati in altri laboratori per effettuare tali esami, allungando ulteriormente il tempo necessario per giungere poi alla diagnosi finale.
  Nel 1997, ad esempio, ha preso il via, presso l'Istituto nazionale tumori di Milano, la rete tumori rari, un progetto nato con lo scopo di migliorare l'assistenza alle persone affette da tumore raro con particolare attenzione a quelli che vengono definiti i tumori solidi dell'adulto (non si occupa, infatti, di tumori del sangue o tumori pediatrici). Si tratta di una collaborazione coordinata dall'INT, alla quale hanno aderito circa 200 centri oncologici in tutta Italia. Dal 2001 esiste, inoltre, una rete nazionale delle malattie rare, istituita dalla Conferenza Stato-regioni a cui fa capo anche quella di tipo oncologico.
  Gli obiettivi della rete tumori rari sono: creare collaborazione permanente fra strutture sanitarie, con lo scopo di migliorare la qualità di cura dei pazienti con tumore raro; che la diagnosi e il trattamento nei centri partecipanti avvengano secondo criteri comuni; condividere a distanza casi clinici fra i centri partecipanti, in modo proprio da migliorare le capacità di cura dei medici aumentando il numero dei casi che si trovano Pag. 8a fronteggiare; promuovere un accesso razionale a centri di diagnosi e cura, limitando al minimo indispensabile gli spostamenti dei pazienti; contribuire alla ricerca clinica sui tumori rari; contribuire alla diffusione della conoscenza sui tumori rari; diventare un modello, sia dal punto di vista dei metodi utilizzati sia da quello delle tecnologie, per ulteriori collaborazioni nell'ambito oncologico.
  I tumori rari in Italia, contrariamente a quanto previsto in Europa, non sono ricompresi nell'elenco delle malattie rare, che ha un proprio registro nazionale presso l'Istituto superiore di sanità e che è stato istituito con il decreto n. 279 del 2001. Quindi, i pazienti non possono beneficiare dei vantaggi, anche se insufficienti, riconosciuti alle persone affette da una patologia rara. Si riscontrano e vengono denunciate dalle associazioni che si occupano di persone con tumore raro difficoltà e disparità di accesso ai trattamenti innovativi, a volte uniche terapie efficaci contro queste gravi forme di tumore. Nel 2013 in Italia i pazienti affetti dalla sola leucemia mieloide cronica erano 7.881, con un'incidenza annuale stimata in aumento del 12 per cento, ovvero 930 nuovi casi di persone nuove ogni anno.
  È necessario utilizzare e rendere accessibili le migliori terapie disponibili quando il paziente è ancora in fase cronica, per evitare il passaggio alle fasi avanzate della malattia. È estremamente importante, in un terreno orfano di terapia diagnostiche specifiche, un efficace coordinamento dei centri specializzati che operano sul campo ed appare necessario ottimizzare le risorse e promuovere le eccellenze che non mancano, evitando in tal modo i cosiddetti «viaggi della speranza». Non si può fare una programmazione delle strutture sul territorio in materia oncologica se non si ha una base di conoscenza reale e attendibile dell'incidenza di questa malattia sul territorio a livello epidemiologico. Senza queste informazioni il rischio elevato è di sovrastimare o sottostimare le strutture operanti nel campo, danneggiando comunque il paziente in termini economici oppure di assistenza medica. L'obiettivo da perseguire è investire sulle terapie più innovative, sulla diagnostica delle cronicità, ma anche sulla prevenzione e sul contrasto alle cattive abitudini che alimentano la diffusione delle patologie neoplastiche.
  Il decreto-legge n. 158 del 2012, il «decreto Balduzzi», impone la registrazione dei farmaci orfani entro 100 giorni a partire dall'avvio della procedura nazionale. Per queste ragioni noi chiediamo, al fine di assicurare specifiche forme di tutela ai soggetti affetti dai tumori rari, i seguenti impegni al Governo: di implementare e dare continuità alla rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle malattie rare, inserendo in tali ambiti i tumori rari; la definizione, in maniera chiara e condivisa, dei tumori che devono essere riconosciuti come rari; di individuare i centri di eccellenza per la prevenzione, diagnosi, cura e terapia dei tumori rari, con particolare riferimento alla loro presenza uniforme sul territorio nazionale; a predisporre l'elenco dei tumori rari nell'ambito dell'elenco delle malattie rare; a prevedere che l'elenco dei tumori rari sia una lista dinamica, ovvero in grado di accogliere e aggiornare l'elenco via via che siano diagnosticate anche le nuove patologie definite come rare, ai fini delle opportune tutele per i pazienti di tumori rari; a sviluppare la capacità di ricerca in tale ambito, anche destinando ad esso specifiche linee di finanziamento e prevedendo di adeguare la formazione per chi opera in tali centri attraverso la partecipazione a progetti di ricerca scientifici di livello nazionale ed europeo, dedicati ai tumori rari, sia sotto il profilo diagnostico-assistenziale sia sotto quello dell'organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti di tipo individuale e familiare.
  Chiediamo anche di promuovere la defiscalizzazione delle spese sostenute in Italia per la ricerca clinica e preclinica relative ai farmaci orfani per i tumori rari con particolare attenzione e che progetti di ricerca in tale ambito siano rivolti anche al territorio delle regioni con disavanzo Pag. 9e sottoposte ai piani di rientro; a garantire e favorire l'utilizzo dei farmaci off-label per la cura dei tumori rari, di cui è accertata l'efficacia sulle base di evidenze scientifiche, al fine del loro inserimento nella lista del decreto-legge n. 536 del 1996, convertito, poi, nella legge n. 648 del 1996, favorendo lo sviluppo, da parte dell'Agenzia italiana del farmaco, di un'attenzione particolare verso i tumori rari, così come previsto per le malattie rare; ad aggiornare i dati relativi all'incidenza, sopravvivenza e prevalenza di ciascun tumore raro, tenuto conto dei dati relativi ai registri tumori AIRTUM; a verificare la possibilità di integrazione e validazione reciproca dei dati della rete tumori rari e dei dati dei registri tumori AIRTUM; a prevedere la diffusione di informazioni sui tumori rari attraverso la collaborazione con le associazioni dei pazienti, coinvolgendo gli esperti, i ricercatori medici e le associazioni di pazienti nel progetto di tipo informativo.
  Inoltre, chiediamo di promuovere e di favorire, anche attraverso apposite iniziative normative, l'istituzione di un registro nazionale dei tumori, che comprenda obbligatoriamente i dati epidemiologici relativi ai tumori rari in riferimento agli elenchi citati in premessa. C’è da sottolineare, tuttavia, che questo ramo del Parlamento ha già iniziato una procedura per l'obbligatorietà del registro nazionale tumori. Inoltre, chiediamo di assumere iniziative per le attività di raccolta e di analisi dei dati da parte dei distretti e delle aziende sanitarie locali relativi all'eziologia multifattoriale, all'eziologia genetica e anche di tipo incerto, in modo che possono essere attività correlate e connesse a quelle relative ai tumori rari; a intraprendere ogni iniziativa per il potenziamento della prevenzione primaria, da considerarsi attività di informazione e diffusione rispetto ai fattori di rischio, attraverso il coinvolgimento delle scuole e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, relativamente alle abitudini e ad un corretto stile di vita associato alla maggiore incidenza di patologie tumorali, con particolare riferimento proprio ai tumori rari. Noi chiediamo che, nell'ambito dell'attività di ricerca dell'Istituto superiore di sanità, sia garantito un finanziamento totalmente pubblico relativamente alla ricerca sulla prevenzione primaria, secondaria e terziaria dei tumori rari.
  Un particolare ringraziamento va alla presidente dell'intergruppo parlamentare sulle malattie rare, la dottoressa Binetti, che, grazie al suo lavoro, ha permesso a un altro gruppo politico, ovvero il MoVimento 5 Stelle, di essere aggiornato e di avere approfondimenti relativamente a questa battaglia sacrosanta che noi intendiamo abbracciare in tutti i modi e a cui abbiamo aggiunto alcuni impegni che riteniamo possano essere accettabili per il Governo.
  Riteniamo che questa debba essere una delle battaglie che non risulti, come spesso troppe volte succede, una «battaglia Cenerentola», proprio per i numeri esigui delle persone coinvolte in ogni singola malattia rara, in ogni singolo tumore raro. Abbiamo visto che oltre il 20 per cento, cumulativamente, sono considerati tumori rari e, quindi, è necessario attivare un tipo di iniziativa, probabilmente anche a livello legislativo, che possa obbligare gli enti pubblici preposti alla cura e alla colleganza di tipo professionale a mettere in comune tutti i loro dati, proprio per garantire un registro tumori, anche dei tumori rari.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Caterina Bini, che illustrerà anche la mozione Miotto ed altri n. 1-01074, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  CATERINA BINI. Grazie, Presidente, i tumori rari sono neoplasie che si sviluppano in un numero ristretto di persone, perciò talvolta vengono impropriamente associati alle malattie rare; unica differenza con tutti i tumori è la scarsa diffusione, anche se superano il 20 per cento del totale. Nonostante non sia semplice riscontrare una definizione univoca, viene utilizzata la prevalenza, che la rete tumori rari indica come soglia di incidenza, numero di nuovi casi in un anno, in 6 casi su centomila persone. Il numero totale Pag. 10delle persone affette da tumore raro è molto elevato, perché sono circa 200 i tumori rari. In Italia si stimano in circa 60 mila le nuove diagnosi di tumore ogni anno. La rarità incide sulla difficoltà di effettuare la diagnosi perché non sempre si incrocia il medico veramente esperto nella scelta e nella gestione della terapia, atteso che non è facile condurre studi clinici su numeri di pazienti contenuti. Ciò impone una particolare attenzione nella programmazione di azioni efficaci per consentire a tutte le persone malate di accedere alle cure appropriate.
  In occasione della conclusione di un'indagine conoscitiva condotta nella XII Commissione della Camera sulle malattie rare, nel luglio scorso, è stato affermato, «per quanto concerne specificatamente la rete dei tumori rari essa funziona dal 1997 come collaborazione permanente tra centri oncologici distribuiti sul territorio nazionale. Nel 2012 la linea progettuale n.4 degli obiettivi del Piano sanitario nazionale intendeva istituzionalizzare la rete come risorsa permanente. Gli obiettivi di piano del 2013 hanno ribadito il progetto dell'anno precedente, prevedendo un finanziamento globale di 55 milioni di euro per la rete tumori rari e rete malattie rare». Dal 2014 nel riparto del fondo sanitario è venuto meno lo stanziamento dedicato e vincolato con il rischio di indebolire la rete che faticosamente era stata creata anche alla luce di quanto prevede il piano nazionale sulle malattie rare 2013-2016 che al punto 2.2 afferma: «Al momento i tumori rari sono in gran parte esclusi dall'elenco delle malattie rare allegato al decreto ministeriale n. 279 del 2001, tuttavia è necessario rivalutare tale situazione anche alla luce dei risultati delle sperimentazioni in corso, al fine di integrare modelli organizzativi e processi assistenziali tra le reti esistenti in analogia a quanto avviene negli altri Paesi europei». In verità, l'Italia partecipa a progetti europei significativi come ricorda Airtum, Associazione italiana registri tumori, indicando nel Progetto R.I.T.A., sorveglianza sui tumori rari, una linea di ricerca importante per conoscere l'impatto dei tumori rari in Italia. I registri tumori sono uno strumento importante per conoscere la frequenza e la sopravvivenza della patologia tumorale, tuttavia per i tumori rari la qualità dell'informazione non è mai stata studiata sistematicamente. Il progetto ha avuto lo scopo di migliorare la raccolta delle informazioni ed è stato integrato con il progetto europeo RARE-CARE, concluso nel 2010, che ha prolungato e ha approfondito la ricerca con il progetto R.I.T.A. 2 che consente di affermare che sono circa 200 i tumori rari e superano il 20 per cento dei nuovi casi di tumore maligno in Italia. Siamo inoltre alle porte di un nuovo importante appuntamento europeo, nel 2016 nasceranno le reti europee di centri di eccellenza (ERN) che saranno le sedi ove si forniranno input per la formulazione delle linee guida, nonché dei criteri per l'accreditamento per la ricerca, la prevenzione e la cura delle malattie rare. È interesse dei pazienti del nostro sistema sanitario fare in modo che ci siano centri italiani in grado di ottenere il riconoscimento di due unità per l'ammissione ad ERN. Si potranno così far circolare le informazioni e le competenze, evitando l'emigrazione ai pazienti. Le regioni hanno presentato il 20 ottobre scorso una proposta operativa al Ministero della salute che individua i criteri per selezionare i presidi e le modalità per costituire i consorzi, quali soggetti giuridici che parteciperanno a ERN.
  È un impegno che riteniamo strategico per l'intera rete dei servizi impegnati nell'oncologia italiana e nelle malattie rare. Infine, occorre ricordare che l'intergruppo parlamentare sulle malattie rare ha recentemente prodotto un documento che sottopone al Ministro alcune linee prioritarie di azione che sono largamente condivise anche dalle società scientifiche e dalle associazioni di volontariato.
  Ciò premesso, riteniamo dover impegnare il Governo con la mozione che abbiamo depositato sulle seguenti questioni prioritarie: è necessario assicurare la partecipazione italiana al massimo livello alla rete ERN; è necessario rivedere i registri tumori affinché siano evidenziate Pag. 11le informazioni sui tumori rari; è necessario garantire continuità alla rete tumori rari, coinvolgendo le associazioni dei malati e dei volontari che operano nel settore; è necessario inserire negli obiettivi di piano il finanziamento degli interventi per i tumori rari; è necessario dare attuazione alle conclusioni cui è pervenuto il gruppo di lavoro istituito dal Ministero della salute il 14 febbraio 2013, consegnato nel maggio 2015, ed in particolare potenziare la ricerca e facilitare l'accesso ai farmaci.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Occhiuto. Ne ha facoltà.

  ROBERTO OCCHIUTO. Grazie Presidente, oggi discutiamo di un tema molto delicato, quello contenuto nella mozione dell'onorevole Binetti, perché è un tema che riguarda la salute, e quindi la vita, dei cittadini, che riguarda non solo la vita dei pazienti, ma anche la vita delle famiglie dei pazienti che quando si trovano a dover combattere con un tumore viene completamente stravolta. Ogni anno, lo ricordava qualche collega che è intervenuto, in Italia si diagnosticano circa 250 nuovi tumori e il 20-23 per cento, dipende dagli studi a cui si fa riferimento, sono tumori cosiddetti rari, che poi in realtà rari non sono, perché se solo si parametra questo dato al complesso dei tumori diagnosticati ci si rende conto di quanti siano i cittadini che ogni anno si ammalano di tumori cosiddetti rari. Si tratta, lo diceva bene chi è intervenuto prima di me, la collega Binetti innanzitutto, di tumori pediatrici, quindi tumori che riguardano i bambini, di molti tumori ematologici, e di dieci famiglie di tumori solidi dell'adulto. In questi casi accade che il paziente rischi di non ricevere una diagnosi appropriata, magari ne riceve due o tre diverse prima che si stabilisca la natura del tumore che ha contratto e di non ricevere poi neanche una terapia e una prognosi appropriate. Per i pazienti che si ammalano di tumori rari l'effetto è quello di dar luogo ad una migrazione sanitaria che a volte riguarda anche la loro famiglia e l'effetto per il Sistema sanitario è un aumento dei costi per prestazioni inappropriate. È evidente, l'esperienza che ciascuno di noi ha lo testimonia, che quando cominciano queste migrazioni ci si sposta da un centro all'altro, da un ospedale all'altro, magari ripetendo esami diagnostici che dovrebbero essere utili ad avere una diagnosi definitiva e che poi, invece, sono spesso ripetuti in cerca della diagnosi definitiva, generando, queste diagnosi inappropriate, costi ulteriori per il Sistema sanitario. Non si tratta di poca cosa, perché ogni anno si ammalano di tumori cosiddetti rari 80 mila cittadini e si calcola che siano circa 600 mila i pazienti che oggi devono fronteggiare un tumore raro. Investire nella direzione auspicata dalle mozioni presentate, investire in sanità in quella direzione, significa fare risparmiare risorse al Sistema sanitario.
  Quando si investe bene in sanità, riducendo appunto lo spazio per le prestazioni inappropriate, alla fine si risparmiano risorse, non se ne spendono di più. La soluzione per farlo è quella prospettata nella mozione dell'onorevole Binetti, quella cioè di sviluppare reti dedicate, ovvero reti oncologiche, che attualmente sono organizzate su base volontaria per il pregevole ed encomiabile contributo che a questa opera danno le società scientifiche o le associazioni.
  Ora però – è stato evidenziato da chi già è intervenuto – il nostro Paese si trova davanti ad uno snodo cruciale. L'anno prossimo in Europa saranno definiti questi 21 ERN e si chiede giustamente che il Governo nazionale si impegni in Europa affinché, tra questi 21 ERN, vengano individuate dodici reti europee che siano specificamente orientate allo studio dei tumori rari. Questo servirebbe per evitare, appunto, la migrazione sanitaria che oggi invece registriamo, per favorire l'accesso ai fondi europei che l'Europa ha deciso di stanziare sulle malattie rare – quindi sarebbe un investimento ulteriore per il nostro sistema sanitario – e per ottimizzare l'organizzazione delle attuali reti oncologiche nazionali.
  Un'altra soluzione è quella di rafforzare la rete nazionale delle malattie rare. Pag. 12La Rete nazionale delle malattie rare, che è stata istituita in Italia nel 2001, prevedeva già da allora il Registro nazionale delle malattie rare e regolamentava l'esenzione da una serie di costi per le patologie inserite in una determinata lista, stabilita dal decreto ministeriale n. 279 del 2001. La lista, da allora, non è stata più aggiornata. Dopo l'istituzione della rete nazionale hanno fatto seguito due importanti accordi Stato-regioni, dopo i quali si è purtroppo assistito ad un progressivo e preoccupante rallentamento delle iniziative in favore dei malati considerati rari.
  Vorrei anticipare già qui – e poi lo diremo in fase di dichiarazione di voto – che con ogni probabilità noi voteremo a favore della mozione proposta dall'onorevole Binetti, alla quale va riconosciuto uno sforzo encomiabile nella sua attività di parlamentare, ma anche di presidente dell'intergruppo sulle malattie rare. Siamo d'accordo con gli impegni proposti nella sua mozione, ma abbiamo la preoccupazione che anche questi rimangano, purtroppo, soltanto delle parole. Come si ricordava prima, su questo tema c’è stata una risoluzione della Commissione affari sociali, c’è stata un'indagine conoscitiva e si sono svolti convegni anche qui alla Camera per sollecitare la discussione sui tumori rari. E, tuttavia, nonostante questo, si è assistito ad un progressivo rallentamento delle iniziative in favore dei malati considerati gravi, né è stato aggiornato il registro delle malattie rare, per inserirvi all'interno, appunto, i tumori rari. Ora è apprezzabile che ci sia questo sforzo cui si invita l'Aula, questo sforzo di approfondimento, però noi vorremmo che l'occasione fosse utile anche perché il Governo si assumesse realmente degli impegni e ci dicesse come vuole rapportarsi in Europa rispetto alla definizione degli ERN, ma soprattutto ci dicesse quali iniziative vuole mettere in campo per finanziare e sostenere le reti oncologiche sui tumori rari, che già sono esistenti nel nostro Paese e che meritano un sostegno ulteriore, e ci dicesse come vuole interloquire con i sistemi sanitari regionali, che non sempre su questo tema hanno degli obiettivi di sanità ben definiti.
  Poi vorrei ricordare che nelle scorse settimane è stata incardinata in Commissione affari sociali una proposta di legge per promuovere l'istituzione e la disciplina del registro nazionale e dei registri regionali dei tumori.
  In Italia i registri tumori sono nati su base volontaristica per iniziative spontanee di singoli clinici, patologi e operatori della sanità pubblica, che hanno inizialmente portato alla costituzione di nuclei di sorveglianza di dimensioni medio-piccole. L'attività dei registri tumori ha dimostrato in maniera diffusa l'utilità di un sistema di sorveglianza delle patologie oncologiche. Infatti i registri tumori raccolgono, valutano, organizzano e archiviano – e lo fanno in modo continuativo e sistematico – le informazioni più importanti su tutti i casi di tumore e le relative variazioni territoriali e temporali, attraverso misure di incidenza e sopravvivenza, per i diversi casi, e di mortalità, fornendo così un indicatore fondamentale della qualità dei servizi diagnostici e della qualità dei servizi terapeutici nei diversi settori. I registri tumori sono strumenti fondamentali, dunque, per l'organizzazione e la valutazione dell'efficacia degli interventi anche di prevenzione in aree o per popolazioni ad alto rischio.
  La discussione in ordine alla proposta di legge in tema di registro nazionale dei tumori potrebbe sicuramente rappresentare l'occasione ad hoc per fare una riflessione di più ampio respiro, includendo anche la patologia dei tumori rari. Su questo tema è nostro auspicio che si possano fare sì delle discussioni, come oggi si fanno, ma il nostro auspicio è soprattutto quello che ci sia un intervento più concreto da parte del Governo e che queste discussioni, come questa che oggi impegna la Camera dei deputati, possano fornire l'occasione per fare impegnare ulteriormente il Governo su un tema, sul quale Governo e regioni credo debbano fare e possono fare molto di più.

Pag. 13

  PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Franco Bordo ed altri n. 1-01068 e Dorina Bianchi e Garofalo n. 1-01070 concernenti l'annunciato processo di privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane Spa (ore 15,53).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Franco Bordo ed altri n. 1-01068 e Dorina Bianchi e Garofalo n. 1-01070, concernenti l'annunciato processo di privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane Spa (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state altresì presentate le mozioni De Lorenzis ed altri n. 1-01071 e Mazziotti Di Celso ed altri n. 1-01072 (Vedi l'allegato A – Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Zaratti, che illustrerà anche la mozione Franco Bordo ed altri n. 1-01068, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  FILIBERTO ZARATTI. Signora Presidente, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, ha annunciato recentissimamente che sarà avviata la procedura di privatizzazione delle Ferrovie dello Stato.
  Vorrei ricordare qualche dato. Secondo i dati Mediobanca, nel 2015, il gruppo Ferrovie dello Stato italiane è la seconda azienda italiana per investimenti, quinta per dipendenti, decima per redditività e tredicesima per fatturato. Quindi è una delle più grandi ed importanti aziende nel nostro Paese, sicuramente uno degli asset di proprietà pubblica più significativi. Il gruppo, infatti, conta circa 70 mila dipendenti e la linea ferroviaria è lunga 16.726 chilometri, di cui circa mille chilometri di alta velocità. Quindi, in relazione alla privatizzazione delle Ferrovie dello Stato, parliamo di una delle questioni più importanti in questo momento.
  Per quanto riguarda la privatizzazione, in questi anni si è parlato della possibilità di privatizzare utilizzando due strategie. La prima, che viene battezzata quella del «carciofo da sfogliare», è caratterizzata da una vendita di pezzi del gruppo delle Ferrovie dello Stato italiane, in prospettiva lasciando in mano pubblica solo la rete ferroviaria d'importanza strategica per il Paese e bisognosa di forti investimenti, per collocare subito sul mercato alta velocità e trasporto merci servizi già redditizi o potenzialmente tali. La seconda consiste nella vendita secca di una quota di minoranza della holding che controlla il gruppo, riportando direttamente allo Stato la rete ferroviaria o, comunque, regolandone la gestione da parte di Rete ferroviaria italiana, in modo da garantire l'accesso paritario agli operatori.
  Bisogna riflettere sul fatto che qualunque disegno di privatizzazione che coinvolga il gruppo Ferrovie dello Stato appare molto delicato in questo momento e destinato a suscitare tante preoccupazioni, anche e soprattutto per il valore patrimoniale degli asset di cui dispone e anche per la redditività economica della gestione industriale. Si tratta, infatti, di una società dal voluminoso valore patrimoniale, che viene da una storia secolare e che resta fondamentale per la mobilità integrata del Pag. 14Paese. Noi pensiamo che bisognerebbe fugare i timori che con questa privatizzazione si voglia privatizzare la parte redditizia e produttiva delle ferrovie e lasciare indietro, invece, quello che maggiormente serve al Paese, cioè un forte investimento per quanto riguarda le reti locali e regionali, che sono quelle che vengono utilizzate quotidianamente da milioni di pendolari nel nostro Paesi, i quali, la mattina, per recarsi al lavoro e per recarsi a scuola, utilizzano i treni del nostro Paese e tante volte si trovano a vivere situazioni che poco hanno a che fare con la dignità di un Paese civile. Quindi, noi pensiamo che sia questa la vocazione delle ferrovie dello Stato e ci preoccupiamo significativamente che un operatore privato possa continuare a sostenere i rami fiorenti di questa azienda e invece abbandonare quei rami che vengono ritenuti secchi. Ci troviamo in una situazione paradossale – lo dico alla sottosegretaria Sesa Amici – per cui negli ultimi anni abbiamo visto calare drasticamente il numero dei passeggeri sui treni locali e regionali. Il numero dei pendolari che prende i nostri treni è diminuito significativamente in questi anni. Tutto ciò ha del paradosso: proprio in queste ore si sta discutendo a Parigi dei mutamenti climatici; la Cop 21 è stata inaugurata con tanti Capi di Stato – in questa città, peraltro, colpita così duramente dal terrorismo nei giorni passati – e uno dei punti fondamentali è quello di diminuire il traffico privato su gomma e spostare il traffico su ferro. Questo diminuirebbe le emissioni di CO2, diminuirebbe l'inquinamento delle grandi città e tutelerebbe maggiormente la salute. In questo Paese, dove tanto si è parlato e si parla di ambiente, non ultimo il Ministro Galletti qualche giorno fa, invece di puntare fortemente ad aumentare i pendolari che prendono il treno, constatiamo amaramente una diminuzione così drastica di queste persone che utilizzano il mezzo su ferro. Questo paradosso va risolto, va risolto necessariamente, e pensiamo che la strada della privatizzazione sia proprio quella peggiore che il Governo possa indicare. Chi mai andrà ad investire su quelle reti e su quei rami che servono quelle città che sembrano poco produttive, che raggiungono quei comuni che sono invece necessari da raggiungere dalle aree metropolitane e che sono poco produttive per il guadagno immediato ? Certo non il privato. Noi pensiamo che Ferrovie dello Stato, se ben organizzata, se ben gestita, possa utilizzare i rami produttivi per accumulare quei guadagni necessari da investire nel potenziamento delle reti locali. Insomma, tutto ciò è contraddittorio, anche rispetto a quello che sta accadendo in Europa, come in Francia e in Germania, che stanno facendo il processo opposto, ossia quello di avere una maggiore presenza dello Stato nella gestione delle ferrovie dello Stato e dei mezzi di trasporto. Ci troviamo nella situazione per cui nuove ferrovie non si costruiscono. Anche nell'ultima legge di stabilità, nello «Sblocca Italia», si investono miliardi e miliardi di euro per realizzare nuove autostrade che spesso, ahimè, sono assolutamente inutili.
  Ormai si assiste alla pubblicità alla rovescia: ci sono operatori che fanno pubblicità per incentivare il fatto che i cittadini possono prendere l'autostrada con quell'automobile. È veramente paradossale ! Noi pensiamo che la strada sia diversa e che il percorso debba essere necessariamente un altro. Dobbiamo anche pensare che questa è un'azienda che ha 70 mila lavoratori (una delle più grandi aziende italiane) e diffusi in tutto il territorio nazionale; lavoratori che si sono qualificati in quel lavoro in questi anni. Il Governo, prima di decidere cosa fare di questa azienda così importante, sentirà il dovere di venire in Aula, di spiegare al Parlamento perché intende cedere una struttura e un'azienda così importante, che, peraltro, ha accumulato anche guadagni in questi anni ? Non sentirà la necessità e il dovere di venire qui a dirci quali sono le ricadute in termini occupazionali, in termini economici, in termini sociali, di un'operazione di questo genere ? Ma poi, sottosegretario Sesa Amici, come si fa a pensare che guadagnare qualche miliardo di euro oggi, che risolve ahimè pochi dei problemi che abbiamo di fronte, Pag. 15possa essere migliore, invece, di avere un'azienda produttiva come Ferrovie dello Stato, che ogni anno riversa nelle casse dello Stato ingenti e importanti proventi ? Io penso che nessun buon padre di famiglia alienerebbe una struttura produttiva per pochi spiccioli; nessun buon padre di famiglia penserebbe di eliminare quella parte che gli dà reddito tutti gli anni per poi guadagnare pochi soldi immediatamente. Quindi, ci sono motivi di sostanza, motivi di metodo, motivi di contenuto e motivi che riguardano davvero il futuro del Paese, perché parlando di Ferrovie dello Stato parliamo del futuro del Paese, parliamo del futuro del trasporto pubblico del Paese. Noi abbiamo immaginato e sogniamo un Paese che cammini sempre di più sul ferro; abbiamo immaginato e sogniamo un Paese dove appunto il materiale rotabile sia costantemente rinnovato e ampliato, in modo tale che le persone possano viaggiare con velocità, con comodità, con dignità, nei lunghi e nei brevi percorsi. In questi anni si è investito soltanto sull'alta velocità e si sono abbandonati completamente i treni regionali. Si sono abbandonate completamente le regioni, verso le quali i trasferimenti per il trasporto pubblico sono diminuiti in modo drastico, di oltre il 25-30 per cento in questi anni, con buona pace delle dichiarazioni di buona volontà che quotidianamente dalle televisioni e dai giornali, qualche volta dai banchi del Governo, i signori Ministri ci vengono a dire. C’è uno iato incredibile tra quello che questo Governo afferma pubblicamente e quello che realizza e quello che fa nei provvedimenti concreti. Io penso che, se il Governo dovesse continuare ad andare avanti su questa strada, farebbe un gravissimo danno al Paese, farebbe un gravissimo danno al trasporto pubblico, farebbe un gravissimo danno a quei milioni di pendolari che ancora prendono il treno e a quei milioni di pendolari che lo dovranno prendere. L'obiettivo nostro non dovrebbe essere quello di privatizzare ma quello, almeno in due anni, di portare a 5 milioni le persone che prendono il treno quotidianamente. Dobbiamo utilizzare quella vecchia legge dell'economia che dice che è l'offerta che crea la domanda. Se noi offriamo più treni, se offriamo più servizi, se offriamo più qualità, avremo tante persone che lasciano a casa l'automobile e che possono prendere il treno. Penso che, da questo punto di vista, avremo anche un rafforzamento dell'occupazione nel settore del trasporto pubblico. Abbiamo bisogno di maggiore competenza, di maggiore qualità, e per dare maggiore qualità al nostro servizio abbiamo necessità di investimenti: investire sulla rete, investire su materiale rotabile, investire sui servizi ai cittadini, investire sui servizi dei consumatori e degli utenti.
  Ci sono quindi molti obiettivi che noi vogliamo raggiungere, ma tutto passa prima di tutto in un rapporto chiaro tra Parlamento e Governo. Il Governo non si può permettere di annunciare pubblicamente una cosa così importante, senza farne oggetto di una vera significativa discussione in Parlamento. Noi abbiamo delle proposte, che vorremmo avere la possibilità di raccontare ai nostri cittadini, delle proposte che vorremmo presentare al Governo.
  La prima: promuovere finalmente scelte coraggiose e mirate in termini di mobilità urbana, a partire dallo stanziamento di maggiori risorse per arrivare appunto a 5 milioni di cittadini trasportati ogni giorno nel 2020, portando il trasporto ferroviario agli stessi standard qualitativi europei. Garantire il diritto alla mobilità, con collegamenti ferroviari efficienti al nord come al sud tra i principali capoluoghi integrati con il sistema di porti e aeroporti.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  FILIBERTO ZARATTI. Vado a concludere. Ci sono altre questioni che noi vogliamo affrontare: nel merito, collega Sesa Amici, nel merito ! Vogliamo stare nel merito, però il Governo ci deve consentire di fare questa discussione. Ne va della valenza importante del ruolo del Parlamento, ma soprattutto del fatto che è interesse dei cittadini mantenere una proprietà Pag. 16pubblica così importante, è interesse dei cittadini avere un'azienda pubblica che possa curare il trasporto nei prossimi anni su ferro.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Dorina Bianchi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01070. Ne ha facoltà.

  DORINA BIANCHI. Presidente, la mozione che è stata presentata dal gruppo di Area Popolare (NCD-UDC) intende sostenere la privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane, richiamando però il Governo a rispettare impegni precisi per la correttezza ed il successo delle relative procedure. Ricordiamo che Ferrovie Italiane è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70 mila dipendenti che gestiscono 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate l'anno di merci, ed un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria.
  La società Ferrovie dello Stato ha svolto in questi anni un grande lavoro di razionalizzazione, e anche di risanamento, attraverso un complesso piano di ristrutturazione e consistenti operazioni di investimento e di sviluppo. La dirigenza di Ferrovie dello Stato ha poi operato attraverso una complessa serie di interventi per rendere più efficiente e produttiva l'azienda, ottenendo sicuramente dei risultati che possiamo riconoscere come positivi. Oggi infatti il gruppo rappresenta una realtà che è sicuramente una realtà riconosciuta come affidabile.
  In tale contesto il Governo ha approvato un documento del Presidente del Consiglio dei ministri, predisposto appunto dal Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, relativo alla cessione di non oltre il 40 per cento delle quote di società Ferrovie dello Stato. Con questo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri viene regolamentata l'alienazione di una quota partecipata della società, cioè non maggiore del 40 per cento, e si dispone che tale cessione potrà essere effettuata anche in più fasi. La parte alienabile peraltro andrà ad un azionariato diffuso e ad investitori istituzionali.
  Noi sosteniamo senza dubbio il processo di privatizzazione di Ferrovie dello Stato Spa, ma riteniamo indispensabile che siano previsti dei criteri nel corso del progetto di privatizzazione stesso. Mentre assicuriamo il nostro sostegno all'opera di privatizzazione già avviata, riteniamo necessario vengano fornite ampie assicurazioni sul fatto che la proprietà delle reti resti pubblica, in modo da garantire a tutti l'accesso in maniera paritaria e allo stesso tempo assicurare gli obblighi del servizio pubblico: noi siamo sicuri che la rete debba rimanere nelle mani dello Stato per consentire anche ad altri vettori di poter partecipare in maniera paritaria al servizio trasporti del nostro Paese.
  È indispensabile offrire, quindi, ai cittadini servizi che per quantità e qualità rispondono alle esigenze sociali ed economiche di un Paese moderno. Si deve promuovere e rendere operante su tutto il territorio nazionale il diritto della persona alla mobilità, rilevando come l'esigibilità del diritto alla stessa debba essere sicuramente rispettato nel corso delle operazioni poste in essere per favorire la crescita, anche economica, nel nostro Paese.
  Noi siamo da sempre favorevoli alle privatizzazioni: le privatizzazioni costituiscono l'elemento fondamentale della politica economica del nostro Paese, stimolano l'efficienza e la competitività dell'economia e promuovono lo sviluppo dei mercati. Ma teniamo anche al rispetto di precise regole esistenti, che ne accompagnano il percorso e assicurano la correttezza delle procedure, elementi essenziali per pervenire al successo di tali operazioni.
  Dobbiamo tra l'altro ricordare che un ampio programma di privatizzazioni è già stato posto in essere nel nostro Paese, devo dire non sempre con risultati eccezionali, ma sicuramente è indispensabile continuare su questa strada anche per l'esigenza di ridurre in modo consistente il debito pubblico. E, quindi, le decisioni da assumere in tema di privatizzazioni non Pag. 17possono limitarsi all'acquisizione di nuove entrate per l'erario, ma devono anche garantire un'adeguata tutela dell'utenza e favorire la realizzazione di politiche industriali per il rafforzamento del sistema produttivo.
  In questo senso, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha recentemente riferito che l'operazione di privatizzazione di Ferrovie dovrà tenere presenti alcune questioni fondamentali, che noi sinceramente condividiamo: proprietà dell'infrastruttura, che dovrà quindi rimanere pubblica; garanzia di accesso a tutti in maniera uguale; indipendenza completa del gestore della rete; garanzia degli obblighi del servizio pubblico e maggioranza piena dell'azionariato allo Stato. Indicazioni che, come dicevo prima, fanno parte dell'impianto anche della nostra mozione e indicazioni che noi stessi abbiamo sottoscritto in più circostanze. Ed è anche per assicurare trasparenza, correttezza, valutazione chiara delle varie operazioni che la nostra mozione impegna il Governo a informare il Parlamento sui dati finanziari e industriali derivanti dall'opera di privatizzazione, proprio perché vogliamo che sia sempre più chiaro e più trasparente al Parlamento, ma anche ai cittadini, quello che il Governo e lo Stato fanno in relazione alla privatizzazione e ad una concorrenza maggiore, che migliori quelle che sono le prospettive e i servizi che lo Stato e i privati danno ai cittadini. E noi, con la nostra mozione, crediamo di aver indicato al Governo degli impegni chiari perché tutto questo si verifichi.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Diego De Lorenzis, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01071. Ne ha facoltà.

  DIEGO DE LORENZIS. Presidente, colleghi deputati, ancora una volta ci troviamo in quest'Aula a discutere di privatizzazioni. Questa volta il Consiglio dei ministri dello scorso 23 novembre ha avviato il processo di privatizzazione approvando un decreto proposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, per la vendita parziale delle quote detenute appunto dal Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale di Ferrovie dello Stato Italiane Spa, con il quale si cederà il 40 per cento di tali quote a soggetti privati.
  Ferrovie dello Stato: uno penserebbe che appunto l'utilità e l'intenzione del Governo sia quella di tutelare i propri asset. E invece no: Ferrovie dello Stato rappresenta una delle più grandi realtà industriali del Paese, con un personale di circa 70 mila unità, chiamate a gestire oltre 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate merci all'anno, su una rete di oltre 16 mila chilometri.
  Nel primo semestre del 2015, il risultato netto di periodo conseguito dal gruppo si è attestato su 292 milioni di euro, segnando un incremento rispetto al medesimo periodo dell'esercizio precedente del 2,5 per cento, pari quindi a 7 milioni di euro. I ricavi da mercato inerenti i prodotti del traffico viaggiatori sono aumentati, sempre nel primo semestre del 2015, di 74 milioni rispetto al primo semestre del 2014. Particolarmente produttivo è stato il settore della media e lunga percorrenza, che ha chiuso il periodo con un incremento netto totale di 20 milioni di euro. A differenza dei ricavi dal contratto di servizio, che hanno chiuso il periodo con una flessione di 9 milioni di euro, a determinare il raggiungimento del risultato positivo hanno contribuito anche i ricavi da servizi di infrastrutture, che hanno registrato una variazione positiva pari a 6 milioni di euro, rispetto allo stesso periodo del 2014, grazie soprattutto all'aumento dei ricavi da vendita di trazione elettrica.
  Presidente, perché cito questi dati ? Io non sono un fine economista, certamente neanche lo faccio per ripetere quello che è noto ormai ed è di dominio pubblico, soprattutto in questi giorni. Questi dati sintetici, però, mi permettono di sventare possibili alibi che fautori di questa vendita potrebbero propinare agli italiani. Le ragioni, infatti, che potrebbero venire in Pag. 18mente sono quelle che, per anni, politici di professione hanno gridato ai quattro venti, e cioè che le società pubbliche sono degli enormi centri inefficienti, non sono competitive, causano perdite economiche ingenti e non riescono a stare sul mercato, non hanno risorse per fare investimenti.
  Ecco, evidentemente, ammettendo per assurdo che questo sia sempre stato vero in passato (e non lo è – Telecom, per esempio, era un'eccellenza mondiale), questa affermazione non può essere vera a maggior ragione per il gruppo Ferrovie dello Stato, essendo un ente che ha ampia disponibilità di risorse. Dopotutto appunto è controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, fa investimenti miliardari, a volte, anzi spesso, forse troppo spesso, inutili, come la linea Alta velocità Torino-Lione, il terzo valico dei Giovi; sta sul mercato e investe in ricerca e sviluppo, producendo appunto dei prodotti di assoluta eccellenza, come il nuovo Freccia 1000. Quindi, tutti i presupposti per quegli alibi crollano. Ovviamente questo non vuol dire che non abbia dei margini di miglioramento come ente pubblico. Per esempio, a nostro parere, come illustrerò più avanti, è troppo in balia delle correnti politiche, quindi non ha la capacità di esercizio in autonomia.
  In definitiva, allora, qual è la motivazione che muove questo Governo in una politica dissennata ? Sebbene il Ministro, o il sottosegretario, non risponda, le ragioni sono facili da intuire. Evidentemente non è una politica industriale seria e lungimirante, dato che da anni i Governi italiani hanno rinunciato a pianificare, attuare e comunicare i loro intendimenti su tale tema agli italiani, preferendo invece prendere decisioni a porte chiuse. Neanche i partiti, di cui i governi sono espressione, hanno mai inserito nel programma elettorale tale progetto e chiesto il mandato appunto agli italiani per realizzarlo, preferendo un bel più comodo contratto in bianco, da riempire a piacimento secondo le esigenze del momento. Qualcuno potrebbe pensare: evidentemente ce lo chiede l'Europa, intendendo un vincolo dovuto a qualche direttiva o regolamento comunitario. Ma anche questo è falso.
  Quindi, questo piano di privatizzazioni attuato dall'Esecutivo, che ha ultimamente portato in borsa Poste Italiane, previsto la quotazione dell'Ente nazionale assistenza al volo, portato in fase di avanzamento il processo di cessione delle partecipazioni statali, per esempio, appunto, come Poste Italiane, ENAV, ma anche STM Electronics o Ferrovie dello Stato, con riferimento alle società partecipate Grandi Stazioni e Centostazioni, a quali logiche corrisponde, ci chiediamo. Dicevo che la risposta è molto semplice: alla svendita di sovranità del nostro Paese. Non è un solito refrain da dire quando non si hanno altre argomentazioni. È la dimostrazione della mancanza di credibilità in sede internazionale della nostra classe dirigente, della ricerca del facile consenso elettorale e di una visione mediocre di brevissimo periodo, che consente di rimanere in sella su qualche poltrona senza neanche manifestare alcuna competenza. Perché, Presidente, dico questo ? Non certo per lanciare accuse infondate.
  Il progetto del Governo e dei Governi negli ultimi vent'anni prevede questo: vendere una parte importante delle quote di queste società pubbliche, rinunciando quindi non solo nell'immediato, ma anche nel futuro, agli utili che esse generano per le casse dei ministeri. Io ricordo che Poste italiane, ma anche l'Ente nazionale assistenza al volo sono società pubbliche in utile. Con questi spiccioli si fanno marchette elettorali, per esempio gli 80 euro ai dipendenti pubblici, una piccola mancia ai diciottenni, oppure si buttano dalla finestra, mettendoli per la riduzione del debito pubblico, in modo da poter dire al Fondo monetario internazionale, alla Commissione europea, che abbiamo agganciato la ripresa, che stiamo facendo le riforme necessarie. Insomma, invece di consegnare la nostra casa a un liquidatore, la regaliamo direttamente a una banca. Con questa manovra il nostro Governo e i partiti si assicurano anche fonti di finanziamento ingenti, dato che fanno l'ennesimo Pag. 19regalo a banche, assicurazioni, gruppi di poteri finanziari, gruppi imprenditoriali degli altri Paesi, perché queste persone, questi soggetti, entreranno nell'azionariato di Trenitalia del gruppo FS.
  Per questo diciamo che si tratta dell'ennesima svendita del patrimonio pubblico e questo avviene, purtroppo, senza alcuna riflessione partecipata, senza alcun dibattito pubblico, senza nemmeno un approfondimento tecnico sugli impatti che queste scelte generano nel nostro Paese, anche soltanto meramente delle conseguenze economiche.
  Presidente, mi consenta anche un'altra riflessione su questo aspetto: con quale legittimità il terzo Presidente del Consiglio, mai eletto dagli italiani, svende il patrimonio pubblico costruito con il sudore, con il lavoro e le risorse di generazioni di italiani, consentendo di mettere nelle mani dei privati beni pubblici ? Sembra di risentire i medesimi propositi governativi della vecchia politica, quella della Prima Repubblica, sottosegretario – si ricorda ? – delle vecchie privatizzazioni che si volevano giustificare con le difficoltà economiche e finanziarie dello Stato e la necessità di aumentare l'efficienza dell'azienda, ma che non hanno portato a null'altro se non a fallimenti, mancanza di trasparenza e controllo, opacità di gestione, corruzione.
  Il processo avviato e i proclami sbandierati mancano, infatti, di ogni credibilità, perché sbagliati sono nel merito e nel metodo. La privatizzazione che si propone è, infatti, pensata ai soli fini della liquidità finanziaria, non essendo collegata ad un piano strategico del sistema dei trasporti. Manca una seria programmazione istituzionale generale e locale, mancano gli investimenti, specie per i pendolari e il trasporto regionale, che versano in condizioni disastrose. Mancano politiche di sostegno e di indirizzo per la realizzazione di necessarie infrastrutture, in un'ottica di sistema in cui aumentare la capacità della rete, gli spostamenti urbani, la velocità commerciale e l'accessibilità territoriale soprattutto al Sud.
  L'operazione prevista da questo Esecutivo manca, quindi, di un modello di trasporti generale. Il processo avviato non considera, tra l'altro, neanche i rischi conseguenti all'ingresso dei privati: aumento delle tariffe di viaggio, dismissione dei servizi a bassa domanda di trasporto universale e dei pendolari, in quanto non profittevoli, tagli al costo del lavoro, indietreggiamento delle condizioni generali di sicurezza, di esercizio e di prevenzione della salute dei lavoratori. Insomma, al solito, la politica industriale degli ultimi decenni: privatizzare gli utili, a beneficio di pochi, e socializzare le perdite, a danno di tutti i cittadini italiani.
  In questo senso dovrebbero fare da monito le scandalose vicende che hanno tristemente segnato le recenti privatizzazioni. Altro che campioni nazionali, sottosegretario ! La vicenda della privatizzazione di Telecom, come ricordavo, ci dovrebbe insegnare che, alla prima difficoltà, i campioni abbandonano la nave con le tasche piene, lasciando affondare un'impresa che, quando era pubblica, produceva utili e ora si ritrova con un patrimonio dilapidato, che è diventato un cattivo affare per lo Stato, un danno per l'economia italiana e una perdita di opportunità di sviluppo, senza alcun miglioramento per la concorrenza né per la qualità dei servizi per gli utenti.
  Gli italiani non tollerano le svendite dei nostri gioielli per fare cassa. Continuando a procedere come sta facendo questo Governo, si modifica molto negativamente il quadro economico nazionale e si peggiorano fondamentalmente le condizioni dei cittadini italiani.
  Anche su Grandi Stazioni si sta dando un'accelerazione. Coerentemente con quanto indicato nel Documento di economia e finanza, l'operazione di privatizzazione prevede, innanzitutto, la scissione, deliberata negli scorsi mesi dal consiglio di amministrazione di Grandi Stazioni, in tre aziende: Grandi stazioni Rail, Grandi Stazioni Immobiliare, Grandi Stazioni Retail, che costituisce la parte commerciale del gruppo.Pag. 20
  Per quest'ultima si è dato il via alla prevista vendita dell'insieme di gallerie commerciali con le relative concessioni nei quattordici scali nazionali più importanti, passando così dal controllo pubblico a quello privato con la pubblicazione di un bando internazionale per la vendita del 100 per cento di Grandi Stazioni Retail, valutata in circa un miliardo. La società è considerata un asset unico, cioè una risorsa fondamentalmente, in base al piano fino al 2020 disegnato dall'amministratore delegato, che punta a raddoppiare la superficie a reddito con un investimento di 160 milioni, di cui 100 a carico appunto degli acquirenti, oltre agli investimenti in opere esterne, per i quali sono stati allocati 330 milioni dal CIPE. Come dicevo prima, quando servono soldi pubblici, le casse dello Stato si aprono ed elargiscono favori. È previsto tempo fino al 14 dicembre (quindi ancora un paio di settimane) per la manifestazione di interesse, con una prima selezione entro Natale, anche sulla base di un patrimonio netto di 400 milioni e 500 milioni di ricavi, e prevedendo da gennaio la preparazione di offerte non vincolanti dei candidati, cui seguiranno quelle impegnative per procedere alla vendita totale entro aprile 2016.
  Tale percorso è inaccettabile per il MoVimento 5 Stelle, che aveva già fatto notare come non fossero chiare le procedure che avrebbero dovuto guidare queste delicate operazioni di alienazione, né tanto meno i reali benefici in termini economici potenziali derivanti.
  Relativamente all'operazione di privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato, era stata inoltre evidenziata mesi fa l'antitetica posizione, tutt'oggi irrisolta, dell'ex a questo punto amministratore delegato uscente di Ferrovie dello Stato, Michele Elia, favorevole alla cessione di una quota della holding Ferrovie dello Stato italiano rispetto a quella dell'uscente presidente, Marcello Messori, incline a lasciare la rete ferroviaria in mano pubblica, privatizzando solo alcune attività come il trasporto merci e l'Alta velocità; contrasti che sembrano riguardare, oltre il dimissionario amministratore delegato, anche l'attuale Ministro delle infrastrutture, che avrebbe infatti assunto posizioni diverse in occasione del meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, svoltosi l'agosto scorso, confermando, il primo, la volontà di mantenere uniti la rete RFI (sto parlando di Elia) e i servizi di trasporto di Trenitalia, collocando quindi in blocco in borsa il 40 per cento delle azioni del gruppo, mentre il secondo, invece, quindi il nostro Ministro Delrio, paventava la possibilità di mantenere la rete ferroviaria come patrimonio pubblico, scorporandola da Trenitalia (almeno una semplice idea di buonsenso). Lo stesso Messori, in una recente intervista, avrebbe affermato che privatizzare le Ferrovie così come sono rischia di tradursi in una svendita del gruppo FS, quindi 3 miliardi e mezzo, 4 miliardi, per il 40 per cento delle quote proprietarie, che porterebbe incassi pubblici pari alla metà o un terzo di quelli promessi dalle privatizzazioni a stadi; quindi, chi meglio di chi, in qualche modo, era Presidente, fino a qualche giorno fa, del gruppo può dirci una strada migliore forse di quella attuale per poter privatizzare la società del gruppo FS ? La scissione, come è noto, ha portato alle dimissioni di tutto il consiglio di amministrazione, aumentando di fatto il clima di incertezza che sta caratterizzando la procedura di privatizzazione. Il Presidente del Consiglio, mai eletto da nessuno, sembra abbia vissuto questo dissidio interno al consiglio di amministrazione con grande distacco e senza la reale intenzione di trovare un accordo e mediare tra le diverse istanze, forse aspettando il momento migliore per designare il nuovo consiglio di amministrazione piuttosto che cercare di programmare le fasi di privatizzazione, avvalendosi magari di esperti o avviando un dibattito pubblico sul tema.
  Noi avremmo preferito, avremmo preteso trasparenza, pubblicità e partecipazioni in queste decisioni, invece il nostro Premier, il nostro Presidente del Consiglio, continua con la lottizzazione degli enti e delle società pubbliche, con la spartizione delle poltrone da parte della politica, come da migliore tradizione del manuale Cencelli. Pag. 21Ricordo che quello che sta avvenendo in Ferrovie dello Stato sta avvenendo anche in altre società detenute dal Ministero dei trasporti, come per esempio Ferrovie Sud-Est in Puglia, in cui il Presidente Renzi ed il Ministro Graziano Delrio semplicemente piazzano uomini della corrente renziana.
  Il Presidente del Consiglio ha ufficialmente designato quindi anche per il gruppo Ferrovie dello Stato uno dei suoi, il dottor Mazzoncini, come presidente del gruppo, attualmente amministratore delegato della controllata del Gruppo Ferrovie dello Stato, Busitalia, che nel 2012 fece l'accordo con l'allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, per la privatizzazione dell'azienda tranviaria fiorentina; quindi ha ripetuto semplicemente, in ambito nazionale, quello, come dicevo prima, che Renzi fa e ha fatto anche in ambito locale. La privatizzazione, quindi, ricalca questo stesso modello fallimentare e poco risolutivo per le casse pubbliche, come dimostra anche il caso dell'azienda fiorentina.
  Sempre relativamente al dottor Mazzoncini, si segnala inoltre come lo stesso sarebbe stato, secondo indiscrezioni di stampa, già proposto dal Presidente del Consiglio poco dopo che lo stesso diventò Presidente del Consiglio, quando si parlava della successione di Moretti al gruppo, e quest'operazione non è riuscita perché, all'epoca, evidentemente l'amministratore uscente fece un endorsement nei confronti dell'ingegnere Elia.
  Si dovrebbe quindi riflettere sull'evoluzione delle performances operative e finanziarie delle società per verificare la percorribilità di nuove privatizzazioni, invece di pensare a batter cassa e questo l'ha detto anche la Corte dei conti; oggi è necessario muovere passi e assumere decisioni politiche sulla base di un resoconto obiettivo, ancorandosi ad un'analisi dei risultati finora conseguiti con il processo di privatizzazioni nel nostro Paese per imparare dall'esperienza almeno qualche lezione.
  L'esperienza infatti insegna che, sul versante industriale, le privatizzazioni non hanno condotto ad alcuna riconversione né modernizzazione dell'economia italiana, legata ad industrie pesanti ed aiuti statali, con troppi posti di lavoro persi, anche nella misura dei prepensionamenti cui i privati sono ricorsi per liberarsi di ciò che evidentemente hanno considerato solo una zavorra.
  Presidente, qualcuno pensa che noi grillini, come ci definisce la stampa, siamo bravi solo a criticare, ma noi sinceramente vorremmo non stare in queste Aule, perché vorremmo avere un Governo degno di questo nome e di un Paese civile; tuttavia non notiamo questa propensione a fare le scelte giuste per gli italiani.
  Allora qualcuno ci chiede ogni tanto: ma cosa avremmo fatto, cosa faremmo se fossimo noi al Governo ? Bene, lo ricordavo anche nell'intervento precedente, bisogna pensare alle infrastrutture dei trasporti che siano utili ai territori e sicuramente l'alta velocità Torino-Lione non è tra questi, come non sono tra questi interventi il Terzo valico dei Giovi o tante altre infrastrutture in cui il Ministero, soprattutto in legge di stabilità, stanzia miliardi di euro quando poi agli italiani dice che in verità le risorse non ci sono.
  Avremmo investito, investiremmo molto di più nello sviluppo equo del Paese; sono vent'anni che non si investe in infrastrutture nel sud Italia e quello che succede in Calabria, in Sicilia, in Puglia, in Campania, in Basilicata è esattamente la dimostrazione di quello che sto dicendo. Avremmo investito nel trasporto dei pendolari, nel trasporto pubblico locale, il 70 per cento della mobilità in Europa avviene in ambito urbano; aspettiamo da due anni la famosa riforma del trasporto pubblico locale annunciata più volte dal Governo in Commissione. Avremmo puntato a una maggiore efficienza dell'economia del servizio pubblico, dicevo, quindi anche su una riorganizzazione in chiave intermodale della mobilità.
  Quindi, Presidente, in assenza di una politica seria di lungo periodo che miri all'abbattimento del debito pubblico, tali interventi della cosiddetta privatizzazione rischiano di non essere risolutivi ed essere Pag. 22piuttosto controproducenti raggiungendo risultati effimeri e assolutamente limitati in quantità e anche nel tempo.
  Per questo con la mozione in discussione intendiamo impegnare il Governo a sospendere l'attuale procedura di privatizzazione in corso e garantire che quei pochi ancora non regalati asset importantissimi per il nostro Paese, rimangano totalmente pubblici.
  Le privatizzazioni non servono a promuovere la competitività, occorre invece una riflessione partecipata, incentrata su una politica dei trasporti efficace, iniziando proprio dalla trasparenza.
  Per questo con la mozione in discussione si chiede, alla luce delle dimissioni rassegnate dei componenti del consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato, di conferire i suddetti incarichi almeno a persone che abbiano esperienza nel settore; e per esperienza nel settore, Presidente, non intendo dire esperienza nel regalare i nostri gioielli ai privati. Vorremmo che queste nomine non fossero frutto dell'appartenenza politica, che nei criteri di nomina si operasse in maniera pubblica, trasparente, con una selezione pubblica dei curriculum in modo che gli italiani possano capire che cosa sta avvenendo e magari la prossima volta, in campagna elettorale, dirlo agli italiani che si intende dare questi patrimoni agli amici degli amici.
  Insomma, Presidente, è giunto il tempo di pensare ad elaborare una nuova, più seria e lungimirante politica di abbattimento del debito pubblico.
  Faccio notare che ancora in questo Paese non abbiamo una legge sul conflitto di interessi degna di questo nome, non abbiamo una politica degna di questo nome che combatta la corruzione, a proposito di trovare denari pubblici, evitando, visto che gli ambiti di intervento su cui si può agire sono tanti e sono diversi, dicevo evitando l'alienazione di un patrimonio pubblico che risulta essere, invece, dannosa e controproducente sul lungo termine e non risolve i problemi che questa maggioranza incostituzionale sta cercando di affrontare.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea Mazziotti Di Celso, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01072. Ne ha facoltà.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la decisione del Governo di procedere con la privatizzazione di Ferrovie dello Stato è sicuramente positiva e trova il nostro consenso perché Scelta Civica è stata sempre contro l'abnorme presenza dello Stato nella nostra economia che si manifesta in molte forme, alcune sono partecipazioni statali altre sono – e abbiamo combattuto a lungo su questo tema – le partecipate degli enti locali, delle quali anche si dovrà parlare in termini di privatizzazione, quando non di chiusura.
  E, purtroppo, esistono ancora forze – abbiamo sentito parlare oggi i colleghi di SEL e ora il collega del MoVimento 5 Stelle – che invece hanno una visione totalmente statalista e che descrivono queste società, incluse le Ferrovie dello Stato, prescindendo da alcuni fatti oggettivi, che sono, in alcuni casi, l'assenza di concorrenza, in altri, anche a fronte di miglioramenti dell'efficienza, gli enormi costi per lo Stato, e danno una prospettiva completamente errata.
  Nella mozione di SEL, ad esempio, si dice: «Da dove prenderemo i dividendi» ? Ora, l'infrastruttura pubblica non dovrebbe servire a generare dividendi, che poi vuol dire prezzi più alti e tasse sui cittadini – perché questa è la traduzione – e sul costo di Ferrovie dello Stato esiste uno studio dell'Università di Milano del 2014 che riporta dei dati interessanti che indicano che il sussidio che in Italia è andato dallo Stato alle Ferrovie negli ultimi anni è pari al doppio di quello degli altri Paesi europei ed è stato pari al triplo fino al 2012, per un costo complessivo per il nostro Paese di circa 260 miliardi di euro; questo vorrebbe dire diciassette punti del rapporto debito-PIL di quest'anno. Questo è il gioiello che ci hanno regalato anni e anni di statalismo in questo Paese.Pag. 23
  Questo non vuol dire che le cose non siano migliorate; sono sicuramente migliorate, ma è altrettanto vero che, nonostante questo miglioramento, si può migliorare ancora, si deve migliorare e si deve migliorare andando avanti con la privatizzazione, per il semplice fatto che privatizzazione non è sinonimo di peggioramento della qualità; è sinonimo di peggioramento della qualità quando non c’è il controllo, quando non si stabilisce un servizio universale secondo criteri adeguati e quando le autorità non controllano. Certamente, in quel caso non funziona, però non è che il passaggio dal pubblico al privato abbia necessariamente conseguenze negative, tutt'altro.
  Io ho sentito parlare dell'aumento dei costi. Ebbene, la privatizzazione di Telecom è stata fatta con modalità che si possono sicuramente criticare, sono stati fatti degli errori, però basta andare a vedere quali erano i prezzi dei servizi telefonici prima e dopo la privatizzazione per dare un'idea di che cosa è successo. Per cui, questa descrizione che viene spesso data, per la quale il passaggio dal pubblico al privato implica necessariamente un peggioramento della qualità e un aumento dei costi è semplicemente falsa e presuppone una resa dello Stato che preferisce tenersi le cose, piuttosto che controllare che i servizi vengano resi bene.
  Per cui, da questo punto di vista, noi siamo totalmente favorevoli alla privatizzazione. Va detto però che la privatizzazione deve appunto – e qui andiamo ad alcuni dei problemi che hanno caratterizzato altre privatizzazioni – sempre essere fatta con modalità che consentano di aprire il mercato, di liberalizzarlo, ed è evidente che, in una situazione come quella delle Ferrovie, ci si trova di fronte a un'infrastruttura la cui gestione dà a chi la gestisce un monopolio, un monopolio naturale. Per questo, noi pensiamo che la modalità per procedere a questa privatizzazione dovrebbe essere quella di separare nettamente la rete e la sua gestione dall'erogazione del servizio.
  Oggi, è uscito uno studio, uno studio che fa tutti gli anni l'Istituto Bruno Leoni sull'indice di liberalizzazione nel nostro Paese. In campo ferroviario, l'Italia ha un indice – l'indice che viene utilizzato si basa sulle autorità di settore, la loro indipendenza e sull'apertura dei mercati ed è un indice da uno a cento – nel quale è indicata a un livello di 53. Penso che avremmo bisogno di ben altro livello di liberalizzazione. Per arrivare a questo è importante che ci siano condizioni di parità di accesso di tutti gli operatori. Quelle condizioni si possono ottenere soltanto se si separa l'interesse economico che controlla la rete dall'interesse economico che controlla i servizi.
  Per questo, pensiamo che la privatizzazione della holding sia meno preferibile rispetto a una privatizzazione delle società che svolgono i servizi ferroviari, mantenendo in mano pubblica la gestione – almeno per il momento sicuramente – della rete e separando nettamente le attività di fornitura dei servizi. Questo è uno schema che è stato già utilizzato – sto pensando a Terna, ad esempio – e ci sono dei meccanismi di separazione che possono essere molto efficaci e consentono soprattutto di abbassare i costi degli operatori. Parlando di Terna, ad esempio, esiste una polemica sul costo dell'uso dell'infrastruttura di Terna da parte degli operatori.
  Infatti, quando l'infrastruttura costa troppo agli operatori, la conseguenza è che l'aumento dei prezzi per i cittadini è, diciamo, eccessivo e paradossalmente si arriva alla situazione assurda che è stata descritta e cioè che fa gli utili lo Stato sull'utilizzo di un'infrastruttura in monopolio. Non è quello il modo in cui si aprono i mercati.
  Per questo, Scelta Civica ritiene che si debba andare avanti con la privatizzazione. Noi siamo il partito della libera concorrenza, del mercato e insistiamo sempre e comunque su questo aspetto, perché ogni volta che sentiamo descrizioni come quelle che abbiamo sentito oggi manca un passaggio, quello dei numeri e dei costi per la collettività e i cittadini. Si ha sempre in bocca il servizio e ci si dimentica che tutti questi servizi costano Pag. 24un'enormità in tasse ai contribuenti. Noi pensiamo che si possa migliorare moltissimo il livello di concorrenza, il livello di qualità, il livello di controllo anche sulla qualità, nel momento in cui lo Stato si separa dalla proprietà delle società che forniscono i servizi, per questo pensiamo che la privatizzazione oggi è del 40 per cento, ma si debba pensare a una privatizzazione più ampia delle società di servizi, perché non esiste motivo per non avere una netta separazione tra Stato e privati in questo settore o per avere soltanto dei privati. Ci sono mercati e Paesi nei quali esiste una qualità altissima del servizio, anche con servizi privatizzati, ma basta controllare, basta avere delle norme sul servizio universale che impongano ai privati di fornire quei servizi, consentano loro di fornirli dando una remunerazione adeguata. È ovvio che da solo il privato non fornisce tutti e non fornisce tutti bene, ma per questo esiste il servizio universale: esiste nelle telecomunicazioni, esiste nelle Poste, esiste in tutti i servizi pubblici e si può introdurre e applicare – come già oggi è applicato – anche nelle Ferrovie. Purtroppo, oggi è applicato con – come abbiamo detto prima – dei sussidi giganteschi che vanno dallo Stato alle Ferrovie e che finiscono poi dispersi in un gruppo che fa anche tutt'altro, con un livello di trasparenza purtroppo insufficiente.
  Per cui, il nostro invito al Governo è di andare avanti con la privatizzazione, di andare avanti con decisione, ma di farlo con modalità tali che consentano una vera concorrenza sul mercato, un vero accesso di tutti a condizioni di parità al mercato e anche un controllo dello Stato adeguato, un incentivo al servizio universale adeguato, che consenta soprattutto di migliorare anche la qualità e di ammodernare quelle tratte che oggi sono un po'abbandonate in questi ultimi anni perché ci si è concentrati moltissimo e giustamente, a nostro giudizio, sull'Alta velocità, ma è evidente che il sistema non è stato in grado di portare avanti un adeguato ammodernamento e sviluppo della rete locale.
  Per questo, la nostra mozione invita il Governo a procedere con la privatizzazione, ma a favorire la modalità di privatizzazione che prevede una vera separazione tra proprietà e gestione della rete e dei servizi e, per il resto, a procedere con modalità che assicurino anche un vero ammodernamento, sviluppo e innovazione della rete locale.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Maino Marchi. Ne ha facoltà.

  MAINO MARCHI. Grazie, Presidente. Le mozioni che sono state presentate – ne presenteremo anche una nei prossimi giorni come Partito Democratico – riguardano alcune linee fondamentali della politica economica e di finanza pubblica del Governo, cioè il tema delle privatizzazioni, anche se si fa riferimento ad una specifica.
  Credo che la sede più opportuna di discussione sarebbe quella del DEF o della legge di stabilità anche con ordini del giorno specifici. Comprendo la rilevanza della questione – il sistema ferroviario nazionale è un elemento centrale per la mobilità e quando parlo di sistema ferroviario nazionale intendo anche la rete regionale e quindi tutte le problematiche relative ai pendolari – e il fatto che parliamo di un'azienda di cui si è sottolineata la rilevanza e aggiungo che è la seconda azienda italiana per investimenti, la quinta per dipendenti, la decima per redditività, la tredicesima per fatturato, quindi comprendo che tutti questi elementi spingano anche a mozioni specifiche sulla questione.
  Però, credo che non possiamo non fare riferimento a un quadro più generale, dove le privatizzazioni sono uno degli aspetti per tenere in equilibrio i conti pubblici e per ridurre il debito pubblico. Mi sembra che il collega del MoVimento 5 Stelle ritenga che con una legge sul conflitto di interessi si possa ridurre il debito pubblico. Credo che sia importante fare quella legge, ma non credo che ci possa permettere di raggiungere questo obiettivo e occorre fare questo mentre si utilizzano tutte le leve della flessibilità, relativamente Pag. 25alle regole europee. Dunque, si fanno le riforme strutturali con l'obiettivo della crescita del lavoro e dell'occupazione.
  Detto questo, però ritengo opportuna la richiesta di fondo del dispositivo della mozione Franco Bordo ed altri n. 1-01068 e riproposta anche nella mozione Dorina Bianchi e Garofalo n. 1-01070 e, cioè, una discussione parlamentare specifica – immagino in modo particolare nelle Commissioni bilancio e trasporti, magari in sede congiunta – prima di procedere ulteriormente con gli atti. D'altra parte, lo prevede anche già la legge n. 481 del 1995, al secondo comma dell'articolo 1. È opportuna perché diverse possono essere le modalità con cui si può procedere ed è giusto che il Parlamento discuta e dia indirizzi al riguardo.
  Dopodiché, io auspico una discussione dove gli elementi ideologici non la facciano da padrone, del tipo che solo con tutto pubblico si possono raggiungere determinati obiettivi. Tra l'altro, riscontro che c’è anche spesso una contraddizione: da una parte, si esaltano i dati positivi di Ferrovie dello Stato come azienda e poi, comunque, si dice che per quanto riguarda il sistema ferroviario i risultati per la mobilità non sono soddisfacenti.
  Il Ministro Delrio, che ha il diritto, credo, di parlare al Paese e, quindi, di dire quali sono le opinioni del Governo, ha già detto che l'infrastruttura, cioè la rete ferroviaria, deve rimanere pubblica. Questo io credo che sia l'aspetto fondamentale, perché è con la rete che si fa la parte più importante delle politiche di mobilità ferroviaria. Ciò vale per le nuove, che sono ancora da realizzare, che sono negli obiettivi di investimento del Governo, ma vale anche per il mantenimento funzionale delle reti esistenti.
  Per la gestione occorre avere una presenza mista perché la concorrenza può fare bene a tutti. Il monopolio fa sedere i gruppi dirigenti e dare risposte meno positive alle esigenze dei cittadini. Voglio fare un esempio relativo alla stazione alta velocità «Mediopadana» di Reggio Emilia. C’è stato un convegno, la settimana scorsa, con la presenza del Ministro Delrio e dell'ex Premier Prodi. È stato un convegno per parlare di un'infrastruttura, che è già un successo, smentendo tutti gli scetticismi presenti fino a poco tempo fa, e confermando le motivazioni che spinsero a quella scelta il primo Governo Prodi. Ebbene, in quella sede l'operatore privato – perché siamo riusciti comunque in questi anni a permettere anche ad operatori privati di andare sulla rete – non solo ha annunciato il raddoppio dei treni ma anche la predisposizione di un servizio bus dalle stazioni vicine dell'area di riferimento. Si tratta di un servizio integrato bus-treno e, quindi, gomma-ferro. È, per certi versi, una novità, a dimostrazione che la concorrenza può portare ad offrire più servizi per gli utenti.
  Quindi, discutiamo in Parlamento, ma con lo spirito aperto alla ricerca delle soluzioni migliori e più vantaggiose per il Paese per quanto riguarda gli investimenti e gli obiettivi per l'alta velocità, che è una delle cose più importanti che sono state realizzate in questo Paese negli ultimi anni. Dunque, bisogna continuare a perseguire e a realizzare altre infrastrutture di questo genere e credo che, anche quando parliamo di Torino-Lione, dovremmo smetterla di parlare solo di Torino-Lione, perché quello è un pezzo di una linea europea ben più ampia e, quindi, discutere solo di Torino-Lione è una discussione molto parziale. Inoltre, occorre individuare le scelte più vantaggiose per quanto riguarda il trasporto ferroviario locale.
  Le vendite di quote credo che possano permettere di mantenere una presenza pubblica rilevante in settori strategici per il futuro di questo Paese e anche per la competitività complessiva del sistema Paese e di ottenere anche risorse per altre necessità pubbliche.
  Infine, una battuta sulla legittimità del Presidente del Consiglio di questo Governo. Il MoVimento 5 Stelle non può dire di difendere la Costituzione, opponendosi a qualunque modifica, e poi ritenere illegittimo quanto la Costituzione stessa prevede, cioè che il Presidente del Consiglio è nominato dal Presidente della Repubblica Pag. 26e deve avere la fiducia del Parlamento, perché siamo in una Repubblica parlamentare e non c’è l'elezione diretta. Questa è la situazione del Governo Renzi. Pertanto, questo Governo e il suo Presidente del Consiglio sono pienamente legittimati a governare a 360 gradi e, quindi, anche ad affrontare una questione importante e rilevante come quella delle privatizzazioni.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Santelli. Ne ha facoltà.

  JOLE SANTELLI. Grazie, Presidente. Ci troviamo dinanzi a una questione abbastanza complessa, da un lato, per il tema trattato; dall'altro lato, è una questione di una incomprensibile superficialità nei termini in cui essa stessa è trattato. Mi spiego meglio: oggi ci troveremmo, di fatto, a parlare in termini astratti della possibilità di una privatizzazione o meno di Ferrovie dello Stato. Dovendo parlare in termini generali e astratti, ovviamente non possiamo non essere d'accordo a un'ipotesi di privatizzazione. Il tema è che generalmente in queste cose sono i particolari a fare la differenza (è il progetto a fare la differenza). Comprendere realmente quali sono le intenzioni di chi tratta questo tema e capire cosa vuole chi tratta questo tema fa la differenza nel giudizio.
  Ora, il primo problema, in questo caso, è capire realmente che cosa vuole questo Governo. Personalmente non l'ho compreso. Il Ministro Delrio ha parlato e nelle volte in cui si è espresso non si è espresso, collega, a nome del Governo, ma si è espresso come Ministro di settore, tant’è vero che ha detto che egli personalmente gradirebbe lo scorporo della rete, ma aggiungendo che all'interno dell'esame del Consiglio dei Ministri il tema è in discussione.
  Il Ministro Padoan, dalla sua parte, guardando il portafoglio preferisce la privatizzazione dell'intera holding. Non sappiamo cosa pensa il Presidente del Consiglio, oltre a cambiare i vertici e a sistemare qualcuno sulle poltrone; sappiamo, però, che ha messo una persona al momento, come presidente di Ferrovie dello Stato, che sembrerebbe interessata più verso un'impostazione di accelerare la privatizzazione, a cui il Presidente del Consiglio è soprattutto interessato per fare cassa.
  Questo è il pasticcio all'interno del Governo, un pasticcio che si è riversato immediatamente all'interno delle stesse Ferrovie dello Stato, dove abbiamo assistito non dico a confusione, perché quella che c’è stata in questi giorni, in questi mesi, è stata una discussione importante tra l'amministratore delegato e il Presidente pro tempore di Ferrovie dello Stato. Il presidente Messori aveva iniziato l’audit interna per capire come rendere trasparente una società che doveva andare sul mercato. Aveva detto espressamente di non essere d'accordo con una cessione dell’holding, ma con il mantenimento in capo allo Stato di RFI tramite lo scorporo. Diversa impostazione è quella dell'amministratore delegato. Non è con il taglio delle teste che si può risolvere un conflitto del genere, specialmente se poi non abbiamo, di fatto, una soluzione in atto.
  Quindi, per determinati aspetti potremmo essere d'accordo sulla privatizzazione. Ma privatizzazione cosa significa ? Significa ridisegnare il perimetro dello Stato. Qual è l'intervento dello Stato in materia ? Ha le idee chiare questo Governo ? Se non sa neanche se scorporare o meno la rete, vuol dire che non ha le idee chiare. È evidente e palese che nel momento in cui si dice: «Noi privatizziamo non oltre il 40 per cento» non si parla di privatizzazione, ma si parla di una dismissione a privati di una somma minoritaria del servizio. Questo vuol dire che stiamo facendo cassa, ma anche che questa nuova società vivrà, solo ed esclusivamente, di sussidi pubblici.
  Quindi, l'interesse del privato ad entrare sarà direttamente collegato all'intenzione del Governo di dare sussidi alla nuova società. Detto ciò, non sappiamo qual è l'intervento dello Stato, non sappiamo quale può essere l'attrazione verso patrimoni diversi, ma sappiamo già che sono stati indicati degli enti istituzionali. Pag. 27Visto l'interesse solito di questi tempi potremmo immaginare che entreranno le banche a fare una cortesia e a dare qualche soldo al Governo italiano. Quindi, alla fine, questa privatizzazione a cosa serve ? Non al servizio, non alla macchina dello Stato, serve a far prendere qualche voto in più in pagella in Europa. Serve affinché questo Governo, che si presenta in Europa chiedendo degli accorgimenti sui propri conti e una linea di attenzione, venga in qualche modo accontentato, portando alla Commissione europea un risultato rispetto a quello che la Commissione europea molte volte sottolinea come compito: quello di privatizzare i servizi. Ma stiamo privatizzando che cosa ? Alla fine noi che cosa otterremo, di fatto, in Italia ? Io ho sentito molti colleghi prima parlare del servizio pubblico ferroviario, io lo uso abitualmente, e devo dire che li ho abbastanza invidiati, perché dal loro accento conosco qual è la situazione da Roma in su di Ferrovie dello Stato. Conosco la differenza tra chi può oggi giovare dell'Alta velocità e chi no. Conosco già la differenza rispetto ad una società che ha operato tramite standard di privatizzazione, come quella di FS sotto Moretti, tagliando i servizi al Meridione, tagliando tutti i servizi al Meridione. Noi siamo senza treni e i treni che ci vengono relegati sono quelli dismessi dal Nord. Mi chiedo, signora rappresentante del Governo, signora Presidente, e che cosa succederà dopo ? Perché se questo è così oggi, dobbiamo soltanto portare dei conti da privatizzati, più o meno in attivo, e che cosa arriverà quando arriverà direttamente il privato e in questo momento arriva senza alcuna garanzia ? Quindi, nessun problema in relazione a un'ipotesi generale di privatizzazione, però affrontarla in questi termini, scusate, ricorda troppo, troppo, da vicino il pasticcio Telecom. Sembra che non abbiamo imparato nulla dalla nostra drammatica esperienza finita oggi in altre mani. Io capisco bene che possono esserci Paesi stranieri che hanno tutto l'interesse a chiedere privatizzazioni, poi inserendosi negli asset essenziali di questo Stato. Quindi, facciamolo pure, ma facciamolo quando abbiamo noi le idee chiare. Quando non siamo presi per il collo, ma soprattutto facciamolo con un'idea effettiva di quello che vogliamo. Stiamo sacrificando un settore strategico e non possiamo farlo esclusivamente per recuperare pochissimi soldi (probabilmente pochissimi stando a come stanno le cose), per avere un minimo di elasticità in più magari per qualche legge di stabilità di tipo elettoralistico che proverrebbe in questo momento dal Presidente Renzi. Mi dispiace ma, anche in questo caso, si vede facilmente l'incapacità di questo Governo di guardare un momento più in là. Siamo colpiti da uno strabismo politico veramente impressionante (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente) !

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Annunzio della formazione di una componente politica nell'ambito del gruppo parlamentare Misto e modifica nella composizione dell'ufficio di presidenza del medesimo gruppo parlamentare (ore 16,58).

  PRESIDENTE. Comunico che, a seguito della richiesta pervenuta in data 24 novembre 2015, è stata autorizzata, ai sensi dell'articolo 14, comma 5, del Regolamento, la formazione della componente politica denominata «USEI, (Unione Sudamericana Emigrati Italiani)», nell'ambito del gruppo parlamentare Misto, cui aderiscono i deputati Renata Bueno, Aniello Formisano e Guglielmo Vaccaro. La deputata Renata Bueno è stata designata quale rappresentante della nuova componente. Comunico, altresì, che il presidente del gruppo parlamentare Misto ha reso noto che la deputata Renata Bueno è Pag. 28stata nominata vicepresidente del gruppo in rappresentanza della componente politica USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani).

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì, 1o dicembre 2015, alle 9,30:

  1. – Svolgimento di una interpellanza e una interrogazione.

   (ore 10,30 e al termine della riunione del Parlamento in seduta comune)

  2. – Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio (C. 3446).

  3. – Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale:
   S. 1429-B – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera e nuovamente modificato, in prima deliberazione, dal Senato) (C. 2613-B).
  — Relatori: Fiano, per la maggioranza; Toninelli, Quaranta, Invernizzi e La Russa, di minoranza.

  4. – Seguito della discussione delle mozioni Binetti ed altri n. 1-01063, Baroni ed altri n. 1-01073 e Miotto ed altri n. 1-01074 concernenti iniziative per la cura dei tumori rari.

  5. – Seguito della discussione delle mozioni Franco Bordo ed altri n. 1-01068, Dorina Bianchi e Garofalo n. 1-01070, De Lorenzis ed altri n. 1-01071 e Mazziotti Di Celso ed altri n. 1-01072 concernenti l'annunciato processo di privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane S.p.a.

  La seduta termina alle 17.