XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 367 di martedì 14 settembre 2010

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 16.

SILVANA MURA, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'8 settembre 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Barbi, Bergamini, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Bratti, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Gianni Farina, Fava, Fitto, Franceschini, Franzoso, Frattini, Galati, Gelmini, Ghiglia, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lanzarin, Lo Monte, Mantovano, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Migliori, Nucara, Leoluca Orlando, Pecorella, Piffari, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Urso, Vegas, Vito e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni.

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

SILVANA MURA, Segretario, legge:
MARINO SAVINA, da Roma, chiede misure per contrastare il lavoro nero e l'evasione fiscale nell'ambito delle attività di lavoro domestico (1046) - alla XI Commissione (Lavoro);
MATTEO LA CARA, da Vercelli, chiede:
che politici e rappresentanti degli enti locali possano collaborare stabilmente con le Forze dell'ordine nelle indagini contro la corruzione (1047) - alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia);
l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'associazione cosiddetta P3 (1048) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
norme in materia di dimissioni dalle cariche pubbliche per i politici condannati in via definitiva (1049) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
MORENO SGARALLINO, da Terracina (Latina), chiede:
interventi per la tutela dell'acquedotto dell'Appia antica e di altri beni culturali nell'area di Terracina (1050) - alla VII Commissione (Cultura);
misure per evitare che il federalismo fiscale determini un aggravio della pressione tributaria e disparità nella tassazione tra le diverse regioni italiane (1051) - alle Commissioni riunite V (Bilancio) e VI (Finanze); Pag. 2
IVANA MARTIMBIANCO, da Fontanafredda (Pordenone), chiede la soppressione dei limiti di età e di statura ai fini del reclutamento nelle Forze armate (1052) - alla IV Commissione (Difesa);
MIRKO ANTONIO SPAMPINATO, da Motta Sant'Anastasia (Catania), chiede:
l'istituzione dell'albo professionale dei pedagogisti e degli educatori (1053) - alla VII Commissione (Cultura);
disposizioni per l'attuazione dell'articolo 39 della Costituzione, in materia di sindacati dei lavoratori (1054) - alla XI Commissione (Lavoro);
ALDO COPPOLA, da Genova, chiede misure per rendere più veloce ed efficace l'amministrazione della giustizia e l'inasprimento delle pene per i reati di maggiore allarme sociale (1055) - alla II Commissione (Giustizia);
FRANCESCANTONIO CEFALÌ, da Curinga (Catanzaro), chiede:
nuove norme in tema di composizione e funzioni del CNEL (1056) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione per la designazione di cinque deputati e cinque senatori attraverso un concorso pubblico per titoli ed esami (1057) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
misure per la riduzione del debito pubblico e l'istituzione di un apposito Ministero (1058) - alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e V (Bilancio);
modifiche ai codici penale e di procedura penale in materia di misure alternative alla detenzione (1059) - alla II Commissione (Giustizia);
l'attribuzione a cittadini dotati di particolari requisiti di compiti di controllo sul corretto e imparziale funzionamento delle pubbliche amministrazioni (1060) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
VINCENZO FONTANA, da Lama Polesine (Rovigo), chiede di introdurre un tetto ai compensi erogati dalla RAI (1061) - alla VII Commissione (Cultura);
PIETRO LEGOVINI, da Trieste, chiede la modifica dell'articolo 67 della Costituzione, in materia di esercizio della funzione di parlamentare senza vincolo di mandato (1062) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
GIORGIO INNOCENZI, da Roma, chiede nuove norme in materia di diritto di sciopero del personale appartenente ai ruoli della polizia di Stato (1063) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
ANDREA POGGI, da Carmignano (Prato), chiede nuove norme in materia di requisiti di eleggibilità nonché di trattamento giuridico ed economico dei titolari di cariche elettive statali, regionali e locali (1064) - alla I Commissione (Affari costituzionali).

Sull'ordine dei lavori (ore 16,05).

PIER FERDINANDO CASINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, il Parlamento riprende i suoi lavori: purtroppo, ieri è accaduto un fatto molto grave, che è all'ordine del giorno su tutte le televisioni e i giornali - evidentemente non poteva essere diversamente - cioè lo scontro a fuoco, un'azione veramente deprecabile posta in essere da navi della marina libica contro un peschereccio italiano.
Già, francamente, penso che il leader massimo della Libia, venuto qualche giorno fa a Roma, abbia dato prova di uno spettacolo che ha profondamente sconcertato tutti i cittadini italiani. Infatti, è vero che è necessario per un Paese come l'Italia tenere relazioni di buon vicinato con la Libia - cosa che sempre hanno fatto i governanti italiani -, ma niente autorizza Pag. 3chi viene nel nostro Paese a dare vita a sceneggiate squallide che nulla hanno a che fare con il rispetto della dignità nazionale di un Paese in cui si viene in visita di Stato (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori).
Dopo questo danno, ieri è stato il momento delle beffe, perché questo danno in qualche modo - ci è stato spiegato dagli illustri conoscitori di politica estera - doveva essere un prezzo minimo pagato dal nostro Paese per avere il controllo delle frontiere, il controllo del mare e la collaborazione delle autorità libiche.
Ieri si è verificato un episodio gravissimo, un episodio inquietante, anche e soprattutto perché a bordo di quella motovedetta libica c'erano dipendenti dello Stato italiano, militari della Guardia di finanza, e ciò rende l'episodio veramente paradossale: credo che nella storia dei popoli e delle nazioni raramente ci sia stato un episodio di questo tipo. Se qualcuno ha conoscenze maggiori lo dica: non si attenuerebbe il nostro giudizio critico sulla vicenda.
Allora, mi rivolgo alla Presidenza perché si faccia interprete presso il Governo di una necessità che noi abbiamo come gruppo parlamentare, che tra l'altro ha votato contro quel trattato, perché in quel trattato non vedeva la premessa di un momento di collaborazione e di pacificazione, ma vedeva, purtroppo, solo un pericoloso cedimento agli umori di un regime. Ebbene, noi chiediamo che al più presto il Governo venga in Parlamento a riferire su questa vicenda e si stabiliscano e si approfondiscano i contorni di un trattato che, evidentemente, ha maglie molto larghe, se questi episodi sono capitati.
Esprimiamo, infine, la solidarietà ai nostri connazionali che sono travolti da questa vicenda; paradossalmente esprimiamo la nostra solidarietà anche agli uomini della Guardia di finanza, che si saranno trovati in una condizione di grande disagio professionale, personale e umano ed esprimiamo solidarietà a chi è stato bersaglio di questi colpi ad altezza d'uomo, come documentano le immagini televisive, chiedendo ancora e rinnovando alla Presidenza, per la dignità di questo Parlamento, che al più presto si venga qui in un dibattito per chiarire questa pagina buia della nostra politica estera (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico, Italia dei Valori, Futuro e Libertà per l'Italia).

MASSIMO DONADI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, l'incidente accaduto ieri è di una gravità straordinaria ed inaudita anche perché, in qualche modo, rappresenta il paradigma della straordinaria arguzia della diplomazia italiana ai tempi del Governo Berlusconi, per cui veramente quanto è accaduto ieri sembra racchiuderne in modo perfetto la sintesi.
Una motovedetta costruita in Italia, con armi italiane, regalata dall'Italia alla Libia, con a bordo militari italiani, ha sparato ad un peschereccio italiano: credo che in questo stia davvero la summa di questa straordinaria intelligenza politica e diplomatica che ha portato l'Italia ad inchinarsi, anche quasi fisicamente, nel corso della sua recente visita nei confronti del dittatore libico.
Ma in quello che è successo ieri notte vi è molto di più, perché è successo che si sia sparato ripetutamente ad altezza d'uomo verso un peschereccio che si trovava in acque internazionali; è successo che un Ministro della Repubblica, il Ministro Maroni, nel tentativo di giustificare l'accaduto abbia parlato di un incidente; è successo, infine, che il comandante del peschereccio abbia detto: ma quale incidente, prima che iniziassero a sparare, noi abbiamo chiamato via VHF ed abbiamo parlato con la motovedetta libica, dall'altra parte ci ha risposto un italiano - o meglio una persona che parlava perfettamente italiano -, la quale non si è identificata come italiano, ma ha detto che quello era un guardacoste libico, dopodiché ha iniziato a sparare. Il comandante Pag. 4della barca ha specificato che non potevano essere caduti nell'errore, perché si erano qualificati come italiani e come pescatori e la natura e l'attrezzatura della barca rendevano impossibile l'errore.
Ma il Ministro Maroni ha detto di più e di peggio. Ha detto: sì è vero, c'è stato un errore ed hanno sparato, ma è perché pensavano fossero «solo» degli immigrati.
Signor Presidente, allora rivolgo a lei e a quest'Aula due domande: come è possibile che vi siano delle motovedette libiche con a bordo personale e militari italiani che, dopo avere identificato un motopeschereccio come italiano, occupato da pescatori italiani, nonostante ciò non abbiano disposizioni né il potere o l'autorità di impedire ai militari libici di aprire il fuoco contro connazionali italiani?
Come seconda questione, domando - e vorrei che fosse qui presente il Ministro dell'interno a rispondere -, se si rende conto della gravità di quello che dice, nel senso che, se vi fossero stati degli immigrati, sarebbe andato bene sparare ad altezza d'uomo, ucciderli e disperdere i loro corpi in mare! È questa la politica che sta facendo l'Italia? È a questo che servono i militari della Guardia di finanza imbarcati in quelle navi? È questo il senso dell'accordo che abbiamo raggiunto con la Libia? È questo il prezzo che siamo disposti, come Italia, a pagare rispetto al controllo degli sbarchi di clandestini presso le nostre coste, pur sapendo - perché oggi lo sappiamo e non possiamo più fare finta di niente, non possiamo più ignorarlo - come vengono fermati, ossia sparando per uccidere?
Le frasi del Ministro Maroni sono ancora più gravi dell'episodio, perché dimostrano come in questo Governo vi sia un totale disprezzo del valore della vita umana, degli accordi internazionali e delle relazioni tra Paesi.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, chiedo dunque che quanto prima il Ministro Maroni venga in quest'Aula per rispondere sia di quello che non è stato un incidente, sia del ruolo dei militari italiani a bordo di quelle imbarcazioni, sia soprattutto delle sue vergognose affermazioni (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Avverto che su questo argomento è già stata presentata un'interrogazione a risposta immediata rivolta al Ministro degli affari esteri, il cui svolgimento avrà luogo domani nella seduta a ciò dedicata. La Presidenza naturalmente informerà il Governo delle richieste che sono state avanzate in questa sede.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, innanzitutto mi associo alle parole del presidente Casini e alle richieste che sono state avanzate insieme al collega Donadi. Noi siamo firmatari assieme all'onorevole Mecacci di un'interrogazione a risposta immediata che verrà svolta nel question time di domani.
Come sappiamo il question time ha tempi molto brevi, quindi noi ci associamo a questa richiesta affinché ovviamente il Governo, quando verrà in Aula - e speriamo che ritenga di farlo - per una discussione ed un confronto ampio su una questione così delicata, lo faccia non solo, come troppe volte accade, attraverso una sorta di mattinale di quanto è accaduto (perché sappiamo perfettamente, purtroppo, cosa è successo), ma sopratutto per spiegarci come sia potuta accadere una cosa del genere e cosa si intenda fare per evitare che episodi del genere si ripetano.
Signor Presidente, il mio intervento sull'ordine dei lavori riguarda però un altro argomento. Sappiamo che in questo periodo individuare una sintonia tra le istituzioni non è certamente questione semplice, però chiederemmo che almeno sia possibile trovare un'unità di misura per quanto riguarda il tempo che sia coincidente tra le varie istituzioni. Pag. 5
Circa due mesi fa il Presidente del Consiglio aveva annunciato che avrebbe, da lì ad una settimana, nominato il nuovo Ministro dello sviluppo economico, dopo le dimissioni del Ministro Scajola. È passato un mese e mezzo, vi è stato anche un simpatico dibattito estivo su tante questioni, e non abbiamo avuto notizia della nomina di alcun ministro.
Vi è stato poi anche un intervento del Presidente della Repubblica, che insieme a tanti altri, ma con la sua autorevole voce, ha fatto in qualche modo intendere che era necessario che si procedesse con tale nomina: a quel punto il Presidente del Consiglio ha annunciato che dopo un'altra settimana sarebbe stato nominato il nuovo Ministro dello sviluppo economico. È passata ben più di una settimana e ancora non se ne ha notizia.
Signor Presidente, se ciò non crea problemi all'onorevole Casini e ai colleghi del gruppo dell'UdC, vorrei semplicemente ribadire che sarebbe utile che alle parole corrispondessero i fatti, e soprattutto che vi fosse più rispetto nei confronti e tra le istituzioni, particolarmente se si compiono degli annunci scegliendo la platea della televisione e dei mezzi di comunicazione invece che quella del Parlamento. Lo si faccia come lo si vuole, però questo Paese ha bisogno che si nomini il Ministro dello sviluppo economico. Per di più, ora si tratta di un dovere del Governo, a maggior ragione dopo averlo annunciato molte volte - lo ripeto -, anche dopo i richiami più o meno espliciti delle alte cariche dello Stato.
Vorremmo sapere quale sia lo stato dell'arte da questo punto di vista e se dobbiamo tarare i nostri orologi per aspettare magari qualche altro mese che corrisponda ai giorni o alle settimane del Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, la Presidenza riferirà al Governo anche la sua legittima richiesta.

MARIO TASSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, vorrei richiamare l'attenzione, sua e dei colleghi, su alcune dichiarazioni, rese a Gubbio e riportate da il Giornale, ma anche da altri quotidiani, del Ministro Brunetta, il quale fa riferimento...

PRESIDENTE. Questo nuovo gruppo è già... Prego, onorevole Tassone.

MARIO TASSONE. L'onorevole Granata si è espanso anche oltre i propri banchi; possono essere anche i propri, non lo so. La situazione politica è in evoluzione, signor Presidente: non ci meravigliamo di nulla.
Stavo dicendo, signor Presidente, che le dichiarazioni rese dal Ministro Brunetta a Gubbio si riferiscono alla Calabria e alla conurbazione Napoli-Caserta. Egli svolge delle valutazioni pesanti, affermando che, se non vi fossero state la Calabria e la conurbazione Napoli-Caserta, l'Italia sarebbe il primo Paese in Europa; poi si abbandona ad alcune considerazioni sulla società della Calabria e del Mezzogiorno, e quindi delle due realtà di Napoli e Caserta, ed afferma chiaramente che non vi è società, non vi è Stato, non vi è una classe dirigente, anzi le classi dirigenti, se non sono morte, sono tramortite.
Vi sono poi altre valutazioni, su cui bisogna compiere degli approfondimenti; vi è però un atteggiamento che non possiamo accettare: un giudizio generalizzato su tutte le comunità del Mezzogiorno, che fa chiaramente intravedere quale sia l'obiettivo del federalismo secondo l'interpretazione di Brunetta. Egli vuole che alcuni convogli rappresentati dalle regioni meridionali siano sganciati dalla motrice, che dovrebbe essere rappresentata dal nord. Vi è quindi chiaramente un disegno estremamente preoccupante, signor Presidente, anche perché credo che il Ministro Brunetta non abbia ben presente la storia del nostro Paese, del dopoguerra ma anche prima, del Mezzogiorno, dell'intervento straordinario, dell'utilizzazione di alcune risorse dell'intervento straordinario da parte del Mezzogiorno.
Ritengo che vi sia una semplificazione certamente da condannare: esprimiamo Pag. 6quindi solidarietà alle popolazioni calabresi, alle classi dirigenti, anche se ovviamente vi sono da individuare e puntualizzare alcune lacune e disfunzioni che nessuno di noi ha mai nascosto.
Ritengo che anche quando il Ministro Brunetta parla di criminalizzazione - rifacendosi al Ministro dell'interno, lo dicevo l'altro giorno in Aula, proprio l'8 settembre - c'è da parte dello stesso un trionfalismo inaccettabile, non giustificato. Bene, alcuni impegni sono stati mantenuti, alcune azioni sono andate a buon fine, da parte della magistratura e delle forze di polizia in Calabria per quanto riguarda la cattura di pericolosi latitanti, ma c'è una situazione dell'ordine pubblico molto pesante, e la criminalità organizzata ovviamente diventa sempre più spudoratamente arrogante e sempre più dominante in queste aree del Mezzogiorno. Non vorrei - signor Presidente, concludo - che il Ministro Brunetta fosse malato o soffrisse della sindrome di Stoccolma; in altre parole insegue la Lega e va oltre la Lega, diventa più leghista della Lega. Dopo la vicenda di Venezia lui diventa un po' il vessilliforo di una concezione di federalismo che noi avevamo già individuato e puntualizzato tramite gli interventi del presidente Casini e del segretario del mio partito. Se ha questa sindrome di Stoccolma - è una patologia preoccupante e grave - come fa a fare il Ministro? Non lo sappiamo. Non c'è dubbio che vogliamo avere delle risposte. Intanto, innescheremo lo strumento di sindacato ispettivo - presentato dal sottoscritto, dal collega Occhiuto e dagli altri colleghi del mio gruppo - per avere chiarezza. Se questi sono, tra virgolette, i sentimenti, i giudizi, le valutazioni, approssimativi e superficiali, di una grande mediocrità e rozzezza, verso il Mezzogiorno, o verso alcuni territori del Mezzogiorno, la situazione è veramente molto preoccupante, molto difficile da comprendere, e siccome non la comprendiamo la condanniamo con forza e con decisione (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione le parole del collega Casini e dell'onorevole Donadi in ordine alla vicenda della motovedetta libica che ha sparato sul peschereccio italiano. Al netto della scelta e della valutazione dell'UdC sul Trattato italo-libico, che rispetto, ma non condivido essendo un rappresentante di un gruppo che lo ha sostenuto e votato, e al netto anche dell'originalità della personalità del colonnello Gheddafi, ritengo che sia giusto che il Governo riferisca in Parlamento su questa vicenda, prendendo atto per un verso che il Ministro Maroni nella giornata di oggi ha avviato una riunione e un tavolo per verificare i termini effettivi e precisi di quanto è accaduto. Consideriamo inoltre che, a fronte comunque delle scuse ufficiali già pervenute da parte del Governo libico a quello italiano, lo stesso Ministro Frattini, Presidente, oltre a rispondere come Ella ha già sottolineato al question time presentato dal PD per la giornata di domani, ha annunciato, nella sede delle Commissioni affari esteri riunite di Camera e Senato (attualmente in corso), la disponibilità a riferire in Parlamento sull'accaduto. Ritengo quindi che la prontezza con la quale il Governo si sia attivato su questa vicenda testimoni la grande attenzione per un fatto che, nella sua gravità, va valutato con attenzione e va anche compreso nel suo effettivo svolgimento.
Quanto alle considerazioni del collega Tassone in ordine a quanto affermato dall'onorevole professore Ministro Brunetta a Gubbio, credo che in buona fede l'onorevole Tassone sia stato indotto ad una interpretazione diversa, un po' perché i resoconti giornalistici hanno molto enfatizzato queste dichiarazioni, spesso anche rendendole percepibili in maniera forse un po' distorta dal punto di vista del contenuto. Ero presente quando il Ministro Brunetta ha avuto l'occasione di parlare e, pur non stando qui a fare l'esegesi delle parole del Ministro, ritengo di poter valutare che l'onorevole Brunetta abbia Pag. 7fatto una considerazione di carattere principalmente economico. Conosco il Ministro Brunetta quale studioso appassionato del sud e convinto sostenitore del federalismo, e del federalismo fiscale come via di uscita, di crescita e di sviluppo del Meridione stesso.
Ritengo, quindi, che al netto della buona fede, che riconosco all'onorevole Tassone, molto sia stato detto di strumentale sulle parole del Ministro stesso.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Baldelli. Prima di dare la parola all'onorevole Strizzolo per sollecitare la risposta ad uno strumento di sindacato ispettivo, vorrei sottolineare che siamo stati particolarmente generosi in questa prima seduta, ma vale la pena ricordare che, normalmente, questo tipo di interventi devono essere svolti a fine seduta. Ringrazio l'onorevole Baldelli, che ha anticipato le risposte del Governo in maniera altrettanto irrituale.

Per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo.

IVANO STRIZZOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

IVANO STRIZZOLO. Signor Presidente, grazie per l'opportunità che mi viene data. Volevo segnalare, a lei e all'Assemblea, che nell'ultimo mese, negli ultimi trenta giorni, nel CIE di Gradisca d'Isonzo, in provincia di Gorizia, si sono verificati 4-5 gravi episodi legati alla presenza di immigrati clandestini, ma anche di altre figure e di altri soggetti con profili diversi. Segnalo ciò perché attendiamo - e la prego, signor Presidente, di inoltrare questo sollecito al Governo, in particolare al Ministro dell'interno Maroni -, dal 1o ottobre dell'anno scorso ossia da quando il sottoscritto ed altri colleghi parlamentari abbiamo inoltrato un'interrogazione, presentata a seguito di un altro episodio grave intercorso sempre nel Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo, a cui non è mai stata data risposta. La situazione nei Centri di identificazione ed espulsione è molto seria e preoccupante e non solo a Gradisca d'Isonzo, dove, peraltro, il sindaco, questa settimana, ha convocato una riunione chiamando parlamentari e istituzioni varie. Ripeto che si tratta di una situazione molto seria e preoccupante, anche in altri CIE in giro per l'Italia. Per questo motivo chiedo a lei, signor Presidente, di intercedere presso il Ministro dell'interno affinché dia una risposta all'interrogazione che abbiamo inoltrato l'anno scorso.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Strizzolo, per questa sollecitazione, che verrà sicuramente inoltrata al Governo.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Presidenza dell'Iniziativa centro-europea - InCE - sull'istituzione del Segretariato esecutivo InCE a Trieste, fatto a Vienna il 29 maggio 2009 (A.C. 3625) (ore 16,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Presidenza dell'Iniziativa centro-europea - InCE - sull'istituzione del Segretariato esecutivo InCE a Trieste, fatto a Vienna il 29 maggio 2009.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi di tale disegno di legge è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3625)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la Commissione III (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Antonione, ha facoltà di svolgere la relazione.

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ROBERTO ANTONIONE, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Camera dei deputati è stata chiamata a discutere ed approvare - mi auguro - la ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Presidenza dell'Iniziativa centro-europea sull'istituzione del Segretariato esecutivo dell'InCE. Prima di entrare nella spiegazione più precisa di questo Accordo, voglio spendere alcune considerazioni su quella che è stata, fino ad oggi, l'attività che l'InCE ha svolto. Come tutti sanno, l'Iniziativa centro-europea è nata nel 1989, come quadrangolare in un'epoca, prima ancora della caduta del muro di Berlino, in cui la situazione geo-politica nell'Europa era totalmente diversa. Bisogna riconoscere che l'allora Ministro degli esteri, l'allora Governo italiano, assumendo questa iniziativa, avevano capito quale avrebbe potuto essere l'evoluzione di Paesi che erano molto distanti da noi sia sul piano politico che sociale e culturale e, appunto, dettero vita a questa organizzazione regionale, nella quale erano presenti quattro Paesi: l'Italia, unico membro dell'Unione europea, l'Austria, l'Ungheria e la Jugoslavia; quest'ultima che, come sapete, dal 1991 è andata incontro a quella che viene definita la dissoluzione. Ci si è trovati di fronte, quindi, ad uno scenario totalmente diverso. Qual era lo scopo di quella iniziativa?
Lo scopo era prevalentemente politico e, come ho detto prima, era quello di incaricarsi di trovare un foro di dialogo per consentire a Paesi molto distanti da noi di cominciare a guardare all'Unione europea e a quel percorso di integrazione che era nei sogni di chi, ancora negli anni Cinquanta, aveva dato vita a questa importantissima istituzione. Se guardiamo ai risultati non possiamo che essere soddisfatti di quello che è riuscito a fare l'InCE insieme a tanti altri soggetti. Il contributo dato dall'InCE tuttavia è particolarmente significativo. Si pensi che oggi l'InCE racchiude in sé diciotto Paesi, di questi nove sono membri dell'Unione europea e molti di questi erano addirittura inesistenti all'epoca dell'istituzione dell'InCE stessa. Nove sono membri dell'Unione europea e sei degli altri nove sono Paesi che hanno già iniziato un percorso di integrazione, quindi un percorso importante e che, a diversi livelli, stanno approcciando proprio quello che sarà il loro destino finale cioè diventare membri dell'Unione europea. Solo tre sono Paesi ancora distanti, molto distanti ma sono Paesi che anche per ragioni geopolitiche e non solo geografiche vanno considerati comunque come potenziali Paesi da tenere vicini a questa nostra istituzione e sono sostanzialmente la Bielorussia, l'Ucraina e la Moldavia. Il compito quindi che l'InCE ha svolto fino ad oggi ha ottenuto un successo politicamente molto rilevante. Questa organizzazione tuttavia è oggi chiamata ad assumere un aspetto diverso di fronte a nuove sfide, che non sono soltanto quelle di favorire ancora l'integrazione di quei nove Paesi che fanno parte della sfera che ancora non è compresa all'interno dell'Unione europea, ma sono sfide che si ricollegano anche alla capacità di dare un'azione propulsiva alle organizzazioni internazionali, soprattutto se consideriamo che la Commissione europea sta predisponendo le risorse dei fondi strutturali a partire dal 2014 sulla base proprio di quello che potrà essere un disegno collegato a organizzazioni su aree più ampie e su base regionale. Per questo, e non soltanto per questo, gli Stati membri hanno chiesto ad un gruppo di persone, delle quali io sono stato chiamato a nome dell'Italia a partecipare in qualità di presidente, di costituire un gruppo di lavoro con l'incarico di definire alcune linee di rilancio dell'InCE stessa. Per questo tale gruppo di lavoro che si è riunito da febbraio a giugno di quest'anno ha predisposto un documento che è stato approvato dai Ministri degli esteri nel meeting che si è tenuto a Budva, in Montenegro, nei primi giorni del giugno di quest'anno e che aveva proprio lo scopo di rafforzare questa istituzione per consentire di assumere il ruolo importante di leva, di protagonista all'interno della Commissione proprio in ragione di quelle che saranno le scelte sui prossimi fondi strutturali. Anche per questa ragione ritengo che la ratifica Pag. 9che oggi la Camera è chiamata ad approvare assuma un'importanza non esclusivamente formale e, quindi, in qualche modo di abbellimento, ma sia una ratifica essenziale. Nel nuovo Accordo, oltre al fatto che viene ribadita la sede del segretariato esecutivo a Trieste, ci sono innovazioni che riguardano le figure del direttore generale e del vicedirettore generale, in maniera tale da poter estendere anche a queste figure per l'appunto quelli che sono i privilegi e le immunità equivalenti a quelle del personale diplomatico. In altri termini, si cerca di dare ancora maggiore risalto all'aspetto non solo formale, ma anche all'aspetto sostanziale di queste figure all'interno delle organizzazioni. L'Italia ha portato questo Accordo e queste modifiche e mi auguro che la Camera e il nostro Paese le ratifichino quanto prima.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signora Presidente, intervengo brevissimamente. Vorrei ricordare l'importanza - l'ha sottolineata il relatore - che riveste il provvedimento in esame e che risiede indubbiamente nel significato di un organismo quale è l'InCE (Iniziativa centro-europea) che, come è stato ricordato, nasce con un respiro europeo, se consideriamo l'anno in cui fu realizzato, il 1989, in quale città, a Budapest, al di là di quella che una volta veniva definita la «cortina di ferro», prima del crollo del Muro, prima della messa in discussione di quello che era l'impero sovietico e i suoi alleati.
Quindi, torniamo al punto: nel 1989 si costituisce l'InCE per dare una prima risposta da parte di alcuni Paesi occidentali, quelli che appunto si appoggiavano o stavano vicino o intorno alla «cortina di ferro», alla richiesta di alcuni Paesi dell'area - oggi ex area - di influenza sovietica e permettere loro di interloquire quanto meno, se non proprio di avvicinarsi all'Europa occidentale.
L'InCE ha perseguito questo intento attraverso alcuni strumenti concreti di cooperazione in un'area geograficamente limitata, cioè con l'adozione di un meccanismo in grado di favorire la cooperazione economica, quella tecnica, quella scientifica, per la realizzazione di progetti specifici nei settori dei trasporti, della tutela ambientale, dell'energia, delle comunicazioni, del turismo e con la creazione di una cerniera tra le diverse organizzazioni internazionali a carattere regionale (l'Unione Europea e l'allora esistente EFTA, l'associazione europea di libero scambio), dunque con Unione Europea e EFTA da una parte e Paesi dell'Europa centro-orientale dall'altra.
Nel corso degli anni, come sappiamo, la presenza del nostro Paese si è maggiormente rafforzata in quell'area e da ciò ovviamente è derivato più di un beneficio per quanti operano concretamente ed economicamente in quell'area; è soprattutto il nostro nord-est che ha saputo beneficiarne.
Quindi, per queste considerazioni e per questi motivi non abbiamo difficoltà a sottolineare e a dire che è bene ratificare al più presto questo Accordo e la relativa istituzione di un Segretariato esecutivo con sede a Trieste, per il quale dunque il gruppo dell'Italia dei Valori non farà mancare il proprio voto favorevole.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, innanzitutto vorrei dire che condivido molte delle considerazioni e delle illustrazioni fatte dal relatore, l'onorevole collega Antonione, però vorrei anche esprimere a nome del mio gruppo, il Partito Democratico, alcune riflessioni sulla ratifica al nostro esame, concernente l'Accordo tra la Repubblica italiana e la Presidenza dell'Iniziativa centro-europea - InCE - sull'istituzione del Segretariato esecutivo a Trieste. Io credo che tale istituzione rappresenti in maniera progressiva una tappa importante nelle relazioni tra alcuni Paesi dell'Unione europea, Pag. 10in primis l'Italia, e altri dell'Europa orientale e si inserisca in un quadro di riconoscimento di privilegi e immunità in campo giuridico e fiscale come prassi nei confronti di iniziative di profilo internazionale svolte ed ospitate sul territorio di un determinato Stato.
La legge di ratifica prevede la piena ed intera esecuzione dell'Accordo fatto a Vienna il 29 maggio 2009, la cui ratio consiste nel garantire una maggiore efficienza del Segretariato esecutivo dell'InCE. Infatti, dall'articolato si evince che l'elemento centrale ed innovativo è rappresentato dall'istituzione della posizione di Segretario generale aggiunto presso il Segretario esecutivo InCE di Trieste, al quale, assieme alla figura di Vicesegretario generale, verranno estesi immunità e privilegi previsti per la persona del Segretario generale.
Questo potenziamento, che incontra il parere positivo del nostro gruppo parlamentare e che non comporta oneri aggiuntivi per le casse dello Stato, per quanto concerne il contributo finanziario che l'Italia assicura al Segretariato esecutivo InCE sulla base delle leggi precedenti, potrebbe essere fondamentale per il rilancio dell'attività dell'Iniziativa, secondo quanto disposto durante la riunione dei Paesi membri svoltasi a Sofia nel 2007.
La nuova denominazione di Segretariato esecutivo dell'Iniziativa centro-europea, che sostituisce quella precedente di Centro di documentazione e di informazione, penso che rispecchi meglio gli obiettivi di cooperazione regionale dell'InCE e il ruolo del Segretariato come ridisegnato negli ultimi anni dagli Stati parte.
Oggi l'InCE può costituire un fiore all'occhiello della politica estera europea e italiana, sia per il ruolo che potrà assumere sia per il fatto che è stata una felice intuizione italiana - e credo che questo vada sottolineato - frutto di trasformazioni successive. Infatti, si è passati dalla quadrangolare del 1989 fino all'attuale struttura a 18 Stati.
L'InCE è stata sicuramente un centro di attrazione economica anche in vista dell'Unione europea per i Paesi dell'Europa centro-orientale. Da strumento di cooperazione tra Paesi appartenenti a blocchi economici differenti, liberali e dirigisti, è diventata uno strumento prezioso per l'allargamento dell'Unione europea, contribuendo all'integrazione verso l'ovest delle economie in transizione dell'Europa dell'est, che hanno vissuto un periodo di riorientamento e di profonda crisi nella prospettiva dello sviluppo di un'economia di mercato e della creazione di solide basi per un'economia funzionale e sana oltre che per un'adeguata crescita sociale.
In tale ottica ritengo che un potenziamento della struttura, nei termini che si evincono dall'Accordo in questione, sia strategico per la nostra politica estera e per agevolare la futura integrazione dei Paesi dell'Europa centro-orientale nell'Unione europea. L'Iniziativa, che ha un epicentro danubiano-balcanico, può essere un importante punto di incontro per discutere e definire le strategie di sviluppo di quell'area in rapporto al sud dell'Europa, in particolare in settori come il trasporto multimodale e lo sviluppo dell'imprenditoria e del turismo. L'importanza strategica dell'Ince, dunque, che costituisce la più antica delle iniziative di cooperazione regionale nata in Europa centrale e orientale, con il coinvolgimento di 18 Paesi suddivisi in membri dell'Unione europea, per i quali è prevista una futura adesione, e Paesi rientranti nell'ambito delle politiche di buon vicinato, assume un significato sempre più rilevante nell'ottica degli obiettivi di cooperazione regionale dell'Unione europea.
L'esperienza di precedenti accordi stipulati da Stati membri dell'Unione europea all'esterno del quadro istituzionale unico, come nel caso degli accordi di Schengen, dimostra il carattere preparatorio di simili forme di cooperazione verso obiettivi di integrazione sempre più ambiziosi. Gli accordi di Schengen, come è noto, sono stati in seguito «comunitarizzati» e costituiscono attualmente una forma di cooperazione rafforzata, allargata alla partecipazione di altri Stati dell'Unione. Pag. 11
Nell'attuale contesto internazionale, che vede l'interazione tra organizzazioni internazionali che promuovono una cooperazione multilaterale, quali la BERS e altre istituzioni finanziarie internazionali, e organizzazioni regionali, quali l'Unione europea, per la realizzazione di progetti di cooperazione di interesse comune, specialmente in ambito energetico, infrastrutturale e dei trasporti, la riorganizzazione e il potenziamento di iniziative come l'InCE appare, quindi, di importanza fondamentale. Per l'Italia e per il suo ruolo sulla scena diplomatica internazionale ospitare e sostenere l'InCE è sicuramente motivo di impegno e di soddisfazione oltre che di prestigio.
Per queste ragioni, signor Presidente, i deputati del Partito Democratico voteranno a favore della ratifica di questo Accordo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio il relatore per l'esposizione e i colleghi che sono intervenuti quest'oggi a discutere sulle linee generali del provvedimento di ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la presidenza dell'Iniziativa centro-europea sull'istituzione del Segretariato esecutivo InCE a Trieste. Si tratta di un provvedimento in cui il portato culturale, politico e strategico vede l'Italia protagonista indiscussa.
A tal riguardo è bene ricordare in quest'Aula che l'Iniziativa centro-europea, sorta inizialmente nel 1989 per impulso proprio del nostro Paese, rappresenta il più antico organismo di cooperazione regionale operante in Europa centro-orientale e riunisce attualmente 18 Stati.
Come già ampiamente ricordato, in virtù anche della sua dimensione parlamentare, l'InCE rappresenta lo stimolo istituzionale e politico dell'integrazione regionale, oltre che la base di partenza per il percorso di avvicinamento verso l'Unione europea per quei Paesi che aspirano ad un percorso di adesione.
In quanto membro della delegazione parlamentare italiana presso l'InCE ho avuto modo di essere parte integrante di questo progetto di costante costruzione dell'identità europea attraverso percorsi costruttivi e fattivi di dialogo e di cooperazione con i Paesi che vivono una profonda transizione, oltre che una vera e propria emancipazione culturale prima ancora che politica.
È opportuno ricordare che il nostro Paese resta uno dei protagonisti indiscussi dell'Iniziativa. Infatti, la struttura dell'InCE ha garantito anche un rafforzamento e la presenza italiana a livello regionale sia in termini di dialogo politico, sia sotto il profilo economico, creando un canale preferenziale per il coinvolgimento dei nostri operatori economici nei progetti riguardanti la regione.
L'Accordo in esame rappresenta, a mio avviso, l'espressione più chiara e lampante di evoluzione di un organismo internazionale: in origine (come già ricordato da qualche collega) il suo scopo era quello di dare un primo riscontro a sostegno, da parte di alcuni Paesi occidentali, alla richiesta di alcuni Paesi dell'area sovietica desiderosi di avvicinarsi all'Europa occidentale.
Con il tempo l'Iniziativa è diventata un tassello fondamentale e imprescindibile del percorso di integrazione europea dei Paesi che non ne sono ancora parte. Credo, dunque, che sia un terreno entro il quale diventa possibile l'incontro con le istituzioni dell'Unione europea e la promozione e la collaborazione economica, culturale e politica.
Il nuovo Accordo che ci accingiamo a ratificare interviene sul precedente del 1997 e segna un passo decisivo nel percorso di maggiore operatività dell'Iniziativa, identificando Trieste non più come centro di documentazione e di informazione, ma come vero e proprio Segretariato esecutivo con responsabilità e livelli di operatività maggiori e certamente più strutturati rispetto a quanto previsto nei precedenti provvedimenti citati.
Ritengo che quanto disposto dal presente provvedimento contribuisca in maniera Pag. 12chiara a rilanciare l'Iniziativa centro europea alla luce delle nuove dimensioni regionali e delle prospettive future che la caratterizzano. L'istituzione di un Segretariato esecutivo sul nostro territorio rappresenta quell'input auspicato per far sì che l'Iniziativa centro-europea diventi quel collettore di iniziative politiche virtuose nella regione, così come auspicato di recente dal Ministro Frattini.
Come anticipato dai colleghi, questa ricollocazione istituzionale non comporta alcun tipo di onere aggiuntivo a carico dello Stato; infatti, attualmente l'InCE gode di uno stanziamento obbligatorio a carico del bilancio dello Stato iscritto nello stato di previsione del Ministero degli affari esteri. La nuova configurazione prevista dall'Accordo non comporta, dunque, nessun aggravio rispetto al contributo finanziario già assicurato dal nostro Paese.
In ragione di tali aspetti ritengo che questo provvedimento rappresenti la volontà da parte del nostro Paese di essere ancora e con maggior forza protagonista della crescita di questa regione, una volontà di essere parte integrante del percorso di integrazione europea e di ridare un nome nuovo agli strumenti finora utilizzati per consentire tutto questo.
Sono certo che tutto questo rappresenti per l'Italia un impegno indifferibile, un contributo indispensabile per ridefinire quell'idea di Europa e di europeismo che molto spesso capita di lasciare un po' ai margini delle priorità politiche e istituzionali. Per questi motivi il mio gruppo vuole partecipare in maniera attiva a questa ratifica (Applausi dei deputati dei gruppi Futuro e Libertà per l'Italia e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3625)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, intervengo solo per ringraziare il relatore e tutti gli onorevoli deputati che sono intervenuti e per sottolineare l'importanza politica e strategica dell'Iniziativa centro-europea.
È importante aver ricordato che l'Iniziativa nasce nel 1989 per iniziativa dell'Italia e che l'Italia sta svolgendo un ruolo fondamentale per portarla avanti in concreto e, quindi, sviluppare positivamente la cooperazione.
Credo di non dover aggiungere altro. Il Governo si compiace della ratifica rapida dello stesso nonostante i tempi passati, ma credo che sia importante dare un segnale all'Unione europea del modo con cui l'Italia, il Parlamento italiano, recepisce e approva questo Accordo.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Evangelisti ed altri n. 1-00424, concernente adempimenti ed iniziative dell'Italia nell'ambito degli «obiettivi di sviluppo del Millennio» in vista del vertice delle Nazioni Unite del 20-22 settembre 2010 (ore 16,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Evangelisti ed altri n. 1-00424, concernente adempimenti ed iniziative dell'Italia nell'ambito degli «obiettivi di sviluppo del Millennio» in vista del vertice delle Nazioni Unite del 20-22 settembre 2010 (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Antonione ed altri n. 1-00430, Pezzotta ed altri n. 1-00431, Lo Pag. 13Monte ed altri n. 1-00432 e Tempestini ed altri n. 1-00433 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00424. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, mi rivolgo a lei e agli onorevoli colleghi presenti per cercare di illustrare le ragioni principali della presentazione di questa mozione. Si tratta di ragioni che risiedono soprattutto nella necessità di rafforzare di più l'azione del nostro Governo attraverso gli impegni di cui parlerò più avanti in previsione del vertice delle Nazioni Unite dedicato alla revisione degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Tale vertice si terrà la prossima settimana a New York.
Un altro importante appuntamento, tuttavia, si terrà, con specifico riferimento all'efficacia degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, un po' di tempo dopo, a Seul, alla fine del prossimo anno. Avremo quindi il tempo per riflettere sulla maggiore o minore efficacia delle politiche di aiuti pubblici allo sviluppo dei Paesi emergenti, tenuto conto delle condizioni macro e micro economiche dei Paesi beneficiari, ma anche delle modalità con le quali tali aiuti vengono previsti e somministrati.
Io lo so, e lo sanno i colleghi, che lo scorso 29 luglio in III Commissione (Affari esteri) è stata approvata una risoluzione relativa alla partecipazione dell'Italia al Millennium summit di New York, ma spero venga approvata anche questa mozione per rimarcare le pesanti responsabilità bipartisan e sottolineare i ritardi accumulati dalla metà degli anni Novanta nel nostro Paese e chiedere quindi al Governo di far fronte agli impegni presi anche in occasione del G8 svoltosi a L'Aquila. Tra l'altro, rispetto all'impegno italiano, all'iniziativa del G8 sulla sicurezza alimentare, l'Italia ha stabilito un impegno su tre anni pari a 427 milioni di dollari, il cui primo esborso è stato, nello scorso aprile, pari a 190 milioni di dollari. Tuttavia, tenendo presente che l'impegno annuale del nostro Paese nel settore in questione è mediamente pari a 200 milioni di euro, possiamo affermare che l'Italia non ha ancora contribuito con nessun esborso aggiuntivo all'iniziativa aquilana.
Concordo con i colleghi Pianetta e Tempestini, presentatori di analoghe mozioni, quando sottolineano l'importante impulso a livello europeo dell'istituzione, presso la Commissione di cui facciamo parte, del Comitato permanente sugli obiettivi del millennio e della relativa indagine conoscitiva in funzione di una sensibilizzazione della politica e dell'opinione pubblica su temi e argomenti quali la lotta alla povertà e a favore della cooperazione allo sviluppo.
Il Comitato è considerato, anche dall'Unione interparlamentare, una buona pratica perché consente di creare un luogo istituzionale dedicato ad una componente centrale della politica internazionale e dell'identità del nostro Paese, ma che spesso viene marginalizzata nel dibattito parlamentare.
Il Comitato è riuscito a coinvolgere nel suo lavoro il principale Ministero per dare spessore e concretezza a questa azione. Tuttavia, se l'audizione del Direttore generale del tesoro, Grilli, si può senz'altro ritenere un segnale politico di apertura importante, va evidenziato che da parte del Ministero sono mancate delle risposte che solo la politica e non un alto funzionario della pubblica amministrazione può dare.
Dico questo perché è vero che la grave crisi economica e finanziaria che ha investito anche l'Europa ha determinato misure di contenimento drastico della spesa pubblica, ma è altrettanto vero che altri Stati partner europei, i quali hanno ovviamente affrontato la stessa crisi riducendo Pag. 14le spese a bilancio, hanno operato scelte differenti per la cooperazione allo sviluppo, che è solo uno degli obiettivi del millennio. Infatti, o non hanno tagliato l'aiuto pubblico allo sviluppo (come nel caso della Gran Bretagna) o lo hanno ridotto senza pregiudicare il puntuale raggiungimento degli obiettivi quantitativi previsti per il 2015. Così ha fatto, ad esempio, la Spagna riuscendo così a mantenere un accettabile e recuperabile margine di differenza con la quota intermedia prevista dagli impegni internazionali.
Vorrei brevemente ricordare qui che tre dei cinque Paesi tra i maggiori donatori sono membri dell'Unione europea (la Francia, la Germania e il Regno Unito) e che quattro dei cinque Paesi che hanno superato da tempo l'obiettivo dello 0,7 per cento del PIL devoluto all'aiuto ai Paesi in via di sviluppo sono membri dell'Unione europea (la Danimarca, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Svezia). Tuttavia, l'Unione europea è ancora nel suo insieme lontana dall'obiettivo collettivo dello 0,56 per cento del PIL che si era riproposta per il 2010 e farà mancare 15 miliardi di euro di risorse per la lotta alla povertà. Di questa mancanza una grave responsabilità ricade sul nostro Paese, che anche quest'anno evidenzia una performance particolarmente negativa in tal senso. Ciò, oltre ad allontanarci ulteriormente della media dei nostri partner europei, rende sempre più improbabile il raggiungimento degli obiettivi del Millennio.
Nel 2009 - che, non dimentichiamolo, è stato l'anno della Presidenza italiana del G8 - l'aiuto pubblico ai Paesi in via di sviluppo da parte dell'Italia si è contratto del 31 per cento. Si tratta di una riduzione superiore a quella della Grecia, che noi stessi abbiamo poi aiutato a superare la situazione di default in cui si era trovata, riducendosi allo 0,16 per cento del PIL.
Si tratta del livello più basso dal 2004 che pone il nostro Paese all'ultimo posto nell'Europa dei 15 e tra i suoi pari del G7. È paragonabile, in termini di quantità di aiuto messe a disposizione, a Paesi come Malta e Cipro. E pensare che la dichiarazione del Millennio del 2000 è stata presentata e sottoscritta da 191 Paesi membri dell'ONU per migliorare la vita delle persone più svantaggiate del mondo, e riguarda lo sradicamento della povertà estrema e della fame; è stata presentata anche per garantire l'educazione primaria universale; la promozione della parità dei sessi e l'autonomia delle donne; la riduzione della mortalità infantile; il miglioramento della salute materna; la lotta per la riduzione dell'HIV-AIDS, della malaria e di altre malattie; la sostenibilità ambientale; infine, il rafforzamento di un partenariato mondiale per lo sviluppo.
Su questo importante, ancorché trascurato intento va dato atto pubblicamente del prezioso contributo di alcune ONG e altre organizzazioni della società civile da tempo fortemente impegnate, anche nei nostri confronti in quanto parlamentari, nel sollecitare una maggiore attenzione e un più concreto impegno politico e istituzionale su questi aspetti. A tal proposito ricordo, ad esempio, la classifica sull'impegno dei singoli parlamentari per la cooperazione e lo sviluppo prodotta da Actionaid. Oggi penso soprattutto al più grande raggruppamento di associazioni riunite nella coalizione italiana contro la povertà che, insieme alla campagna delle Nazioni Unite per gli obiettivi del millennio, proprio giovedì prossimo terrà una conferenza stampa sulle priorità dell'Italia per il raggiungimento di tali obiettivi, a cui molti di noi sono stati invitati ad intervenire.
Purtroppo, assistiamo al progressivo allontanamento del conseguimento soprattutto del primo dei millennium goal, quello più drammatico, cioè il dimezzamento della quota di popolazione che soffre la fame nel mondo, mentre i dati FAO parlano di 35 mila persone che, ogni giorno, vanno a letto affamati e di un quarto dei bambini che, nelle aree in via di sviluppo, è sottopeso, senza dimenticare che 1,4 miliardi di persone vivono ancora in condizioni di povertà estrema e non possono più aspettare.
Il 2010 poteva essere ricordato come un anno importante di rilancio della lotta alla povertà per la costruzione di un sistema Pag. 15globale più giusto, stabile e sicuro. In questo senso, infatti, a fine giugno 2010, in Canada il G20 doveva discutere, ad esempio, sulla possibilità di approvare l'istituzione di una tassa internazionale sulle transazioni finanziarie, ma l'Italia, a differenza di altri Paesi (mi viene in mente la Germania di Angela Merkel), ha affermato la sua contrarietà alla proposta, pregiudicando il compromesso tra i Capi di Governo dell'Unione europea faticosamente raggiunto nel corso del Consiglio europeo del 17 giugno, prima quindi dell'incontro di Toronto. Ciò, malgrado anche l'approvazione di tre risoluzioni in Commissione su questo specifico aspetto presentate da chi parla e dai colleghi Barbi e Zacchera la scorsa metà di giugno.
Nel corso del 2010 la posizione dell'Italia all'interno della comunità internazionale si è progressivamente indebolita perché sono state progressivamente certificate le varie inadempienze del nostro Paese nel rispetto degli obiettivi internazionali di lotta alla povertà. Il prossimo vertice delle Nazioni Unite sugli obiettivi del millennio e la Conferenza del Fondo globale, che si terranno il 4 e il 5 ottobre prossimi, rischiano quindi di essere appuntamenti di ulteriore marginalizzazione del nostro Paese. Di qui, la necessità di lanciare, da quest'Aula, un segnale anche alla società civile del nostro Paese, alla comunità internazionale per ristabilire l'affidabilità, la credibilità e la centralità del nostro Paese all'interno dei mutevoli equilibri della governance globale.
A ottobre 2009, circa quasi un anno fa, la Camera approvò con un voto bipartisan due mozioni per il rilancio del peso della cooperazione allo sviluppo nell'azione del nostro Paese e il fatto fu salutato positivamente. Oggi è necessario che il nostro Paese vada oltre e si impegni dunque: a partecipare al prossimo summit delle Nazioni Unite di New York del 20-22 settembre con un alto livello di rappresentanza che, con un mandato forte del Parlamento, garantisca e difenda il ruolo dell'Italia e, fornendo dati finanziari, faccia chiarezza sul peso che il nostro Paese intende avere nella lotta alla povertà; a produrre, entro la fine del 2010, un calendario dei livelli complessivi di aiuto pubblico allo sviluppo che l'Italia si impegna a raggiungere per il 2013; a provvedere al versamento del contributo dovuto al Fondo globale per la lotta all'AIDS, tubercolosi e malaria entro settembre 2010, come annunciato nel corso del G8 de L'Aquila dell'anno scorso; a trasmettere al Parlamento, con la massima celerità, un documento che elenchi tutti gli impegni contratti in termini di cooperazione allo sviluppo con Paesi ed organizzazioni multilaterali e specifichi gli impegni internazionali che potranno essere assolti nel corso del 2011 con le risorse messe a disposizione dalla manovra finanziaria del prossimo anno.
Signora Presidente, questi sono gli elementi essenziali della nostra mozione che spero il Governo possa accettare e che tutta l'Aula possa votare positivamente (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Antonione, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00430. Ne ha facoltà.

ROBERTO ANTONIONE. Signor Presidente, la mozione n. 1-00424 che ha come primo firmatario il collega Evangelisti prende spunto, come abbiamo ascoltato, dagli obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, che ovviamente noi condividiamo, e muove una critica alle relazioni italiane proprio con riferimento a quello che è il nostro impegno sotto il profilo quantitativo per destinare risorse a questi settori.
È evidente che, in particolare negli ultimi anni, gli aiuti allo sviluppo forniti al nostro Paese, sia in ambito multilaterale che in ambito bilaterale, si sono ridotti perché la situazione economica generale e, in particolare, le condizioni della nostra finanza pubblica hanno imposto un ridimensionamento degli stanziamenti in molti settori e per molte finalità, anche di grande rilevanza.
La mozione citata sottolinea che altri Paesi europei o non hanno tagliato l'aiuto Pag. 16pubblico allo sviluppo (come la Gran Bretagna), o lo hanno ridotto, senza pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi quantitativi previsti per il 2015 (come la Spagna), e che altri Paesi europei hanno ridotto meno di noi tali aiuti.
Al riguardo, è da osservare che il nostro Paese è gravato da un debito pubblico ben superiore, in rapporto al PIL, a quello medio dei Paesi europei: pertanto, i margini di manovra sulla finanza pubblica sono per noi assai più ristretti e, per tale motivo, il confronto che opera la mozione non è plausibile e questo rilievo critico, a nostro modo di vedere, non è accettabile.
Per quanto riguarda gli impegni sostanziali, a proposito della mozione Evangelisti ed altri n. 1-00424, si deve rilevare che le richieste relative ai livelli di aiuto pubblico allo sviluppo per il corrente anno e fino al 2013 devono essere compatibili con i vincoli generali di finanza pubblica: pertanto, la mozione citata va comunque corretta in tal senso.
Ci si lamenta spesso dell'insufficienza delle risorse, senza però fare un riferimento preciso su dove andare a richiedere sacrifici per trovare stanziamenti in grado di operare questo tipo di impegno.
Per quel che riguarda, viceversa, il nostro atto parlamentare, con riguardo alle questioni di fondo sulle quali ci riconosciamo, credo che la nostra mozione spieghi meglio quale possa essere, da parte del Parlamento, l'impulso da dare al Governo: prendendo atto della situazione generale, chiediamo al Governo di trovare la capacità di riuscire meglio a far fronte ad un impegno morale ed importante per corrispondere ad un'esigenza anche sociale, che noi riteniamo fondamentale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pezzotta, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00431. Ne ha facoltà.

SAVINO PEZZOTTA. Signor Presidente, il tema che oggi, attraverso le mozioni presentate, è oggetto della nostra discussione, a mio parere, avrebbe meritato un'attenzione maggiore e, sicuramente, la presenza del Ministro degli affari esteri.
Ho l'impressione che questioni che riguardano la cooperazione - soprattutto quella internazionale e l'aiuto ai Paesi poveri - siano comunque considerate problemi marginali, da lasciare a qualche persona di buona volontà. Predomina l'idea che la politica internazionale sia altro e che non riguardi le nostre azioni, ma sempre più, man mano che passa il tempo, si evidenzia invece che, nella nuova fase della globalizzazione, le questioni finanziarie ed economiche e le questioni riguardanti la sicurezza si intrecciano in profondità con quelle della solidarietà.
Noi non possiamo pensare che, per riportare un clima sereno nel mondo, bastino le guerre preventive o gli interventi militari. Questi, perché possano raggiungere gli obiettivi, devono essere accompagnati da interventi di solidarietà e di aiuto, altrimenti il rancore continuerà ad alimentare il terrorismo più di quanto noi non pensiamo. Per questo motivo, ritengo che continuare a dire: «non abbiamo risorse» o «la situazione economica non ci consente di...» sia sicuramente un errore concettuale.
Fortunatamente, stando a quanto abbiamo avuto la fortuna di sentire questa mattina da parte della Federazione organismi cristiani di servizio internazionale volontario, che ha presentato un rapporto dal titolo significativo: «Il barometro della solidarietà internazionale degli italiani», i nostri concittadini, nonostante la crisi, la crescita della disoccupazione e il restringimento dei redditi, restano convinti che la lotta alla fame, ossia l'obiettivo uno degli obiettivi del millennio, dovrebbe essere elemento importante e primario nell'agenda della nostra politica economica.
È un risultato significativo di questa indagine e dovrebbe farci riflettere tutti perché evidenzia una dicotomia, una separazione tra ciò che pensa la nostra gente, il nostro popolo e quello che le istituzioni e soprattutto il Governo stanno facendo.
Mancano cinque anni alla scadenza degli obiettivi di sviluppo del millennio, vi sono ancora due miliardi di persone che continuano a vivere con circa due euro al Pag. 17giorno, circa un miliardo di persone soffre la fame. Sono certamente, in parte, diminuite le persone che hanno fame ma non tanto perché abbiamo affrontato alcune questioni, quanto per la crescita di un Paese come quello cinese. Un miliardo e mezzo di persone non ha accesso all'acqua potabile: si tratta di un dramma umano e civile che non possiamo valutare solo partendo dalle difficoltà economiche del nostro Paese.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, in questi ultimi giorni, presentando il rapporto del 2010 sugli obiettivi, ha detto, con molta chiarezza, che la mancata attuazione degli obiettivi del millennio non dipende dal fatto che sono irraggiungibili o dalla carenza di tempo, ma dagli impegni non attuati, dall'inadeguatezza dei governi dei Paesi più ricchi. Credo che ci venga rivolta una domanda forte e insistente. Se ancora oggi ci sono persone che muoiono di fame, donne che muoiono mettendo al mondo dei bambini, persone che vivono nella miseria estrema è anche colpa dei Paesi più ricchi che, su questi obiettivi, che con tanta enfasi hanno proclamato, hanno ritirato la loro capacità di incidenza.
Diventa sempre più difficile pensare che, nei cinque anni che mancano, riusciremo a raggiungere quegli obiettivi che, con tanta decisione e speranza, il mondo ci aveva richiesto.
I Paesi ricchi non hanno mantenuto gli impegni, l'Italia meno di altri perché entro il 2010 avrebbe dovuto devolvere lo 0,51 per cento del PIL, mentre attualmente, secondo quanto riporta la campagna dell'ONU sul millennio, dona solo lo 0,1 per cento, nonostante le promesse fatte ai G8 di Genova e de L'Aquila. Tante sono state le promesse, pochi e deboli i fatti.
Intanto le persone continuano a morire di fame. Mentre noi al mattino ci alziamo, facciamo la doccia, ascoltiamo le ultime rassegne stampa, magari canticchiamo qualche canzone, non pensiamo che in quella giornata ci saranno 26 mila bambini entro i cinque anni che moriranno per fame e donne che moriranno per mettere al mondo il proprio figlio, non avendo assistenza medica e quello che dovrebbe essere un giorno di vita diventa giorno di morte.
Bisogna andare oltre le cifre, calarsi nella sofferenza, nella dimensione della vita di queste persone e tremare, far vibrare il cuore, più che pensare ai conti. Infatti, il mondo non uscirà dalla sua situazione di difficoltà se i problemi della fame, della miseria, se gli obiettivi del millennio non saranno raggiunti. Noi rischiamo tanto, tantissimo; rischiamo che il risentimento ed il rancore aumentino e che nel mondo si diffonda la violenza.
Dobbiamo, infatti, pensare che l'intervento per una pacificazione delle realtà passa attraverso questi obiettivi, attraverso questa strada.
Noi continuiamo a credere, proprio come persone e come forze politiche, che vi siano principi non negoziabili. Pensiamo che questi principi non negoziabili si incardinino anche in questi elementi, soprattutto perché i suddetti sono attaccati alla vita di milioni di persone. Non bisogna fare tanti discorsi. Noi siamo lì fermi a richiamare noi stessi e il nostro Governo alla situazione. Nel Barometro della solidarietà degli italiani, presentato questa mattina, c'è un'altra notazione interessante che dovremmo cogliere. Si rileva che gli italiani sono propensi a ridurre le spese militari. Mi domando che senso abbia apprestarci ad acquistare i cacciabombardieri, gli F35, che inoltre non servono e sono inutili in una situazione di questo genere, mentre riduciamo gli aiuti sugli obiettivi del millennio. Credo che vi debba essere una certa coerenza. Certamente, abbiamo espresso solidarietà ai nostri militari, ma se non accompagniamo la loro azione militare con azioni di solidarietà, di sviluppo e di crescita, si rischia che quell'azione, che richiede ed ha richiesto sacrifici di vita, alla fine diventi inutile. Non c'è solo l'esercito, c'è qualcosa che lo deve accompagnare: è l'idea di un Paese come il nostro che deve rappresentarsi. Quante volte abbiamo detto che crediamo nei valori della civiltà cristiana, della civiltà occidentale. Ma quale civiltà è quella che ignora, che fa finta di non vedere le Pag. 18migliaia di persone che muoiono di fame e di sete, i bambini che non riescono ad avere un'istruzione, le donne che non riescono a partorire in modo normale e tranquillo e rischiano la vita? Che civiltà è quella che ignora tutto ciò? Ecco perché ci interroghiamo e ci domandiamo questo: come si presenterà l'Italia, che si vanta di appartenere giustamente a queste radici e a questa tradizione, al summit dell'ONU del 22 e del 23 settembre? Noi vorremmo che a quella riunione partecipasse una rappresentanza forte e pesante del nostro Governo. Ma non solo: vorremmo che l'Italia fosse colei che guida un nuovo slancio su questo terreno. Certo dobbiamo ritagliare delle risorse, dobbiamo ridurre alcune cose. Facciamolo! Se è vero ciò che hanno rilevato le organizzazioni cristiane del volontariato nel rapporto presentato questa mattina, ossia che gli italiani sono propensi e attenti, perché il Governo non dà una risposta alla gente, al popolo e alle persone che chiedono questo? Intanto, chiediamo un intervento veramente deciso, forte e sicuro. Chiediamo che il Governo si impegni di più su questo terreno. Deve impegnarsi a dare seguito all'impegno di giustizia e di equità, che ha assunto in occasione della sottoscrizione della dichiarazione del millennio, attraverso un aumento delle risorse destinate all'aiuto pubblico e allo sviluppo. Noi intendiamo impegnare il Governo sotto il profilo di politiche più ambiziose da parte dei Paesi donatori dell'Unione europea, che puntino a fissare i criteri vincolanti per raggiungere l'obiettivo dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo per l'aiuto allo sviluppo, a stabilire nuove scadenze per andare oltre gli obiettivi del 2015 ed eliminare completamente la fame e la povertà, ad allocare il 20 per cento degli aiuti allo sviluppo alla salute di base e all'educazione, ad attribuire la giusta importanza alle questioni di genere e di salute riproduttiva, nel rivedere i programmi del Paese, a documentare la coerenza tra politiche di sviluppo, quelle migratorie, commerciali, finanziarie, ambientali e di sicurezza. Perché questi problemi ci sono. Ormai il mondo è diventato troppo piccolo perché noi lo possiamo ignorare, perché noi possiamo pensare di risolvere i nostri problemi. Noi risolveremo i nostri problemi se aiuteremo anche gli altri a risolverli, soprattutto i Paesi più deboli, soprattutto quelli in via di sviluppo.
Dobbiamo lavorare per sviluppare nei Paesi dell'OCSE le istituzioni finanziarie internazionali, partner, nuove modalità finanziarie; vigilare - lo dico perché nel rapporto di questa mattina è uscito con forza - perché sia curata una maggiore trasparenza degli aiuti; sollecitare l'adozione di meccanismi di finanziamento innovativi e fondi per combattere i cambiamenti climatici, addizionali alle risorse già stanziate per gli impegni verso l'aiuto pubblico allo sviluppo già esistenti; prestare attenzione affinché sia data una particolare priorità ai progetti e agli interventi riguardanti le zone rurali e l'agricoltura.
Solo l'altro giorno la Conferenza episcopale italiana ha richiamato tutti a un'attenzione maggiore rispetto ai problemi dell'agricoltura e all'eticità del lavoro agricolo, soprattutto nei Paesi più deboli, dove il tema della fame e della sopravvivenza è impellente.
Ma noi vogliamo anche che il Governo si impegni a considerare come preminenti i progetti volti a dare alle donne un migliore accesso alla terra e al credito e a promuovere la parità tra i sessi, al fine di contribuire, anche qui, a un'effettiva parità, alla possibilità delle madri di veder nascere i loro figli, di poterli accompagnare nella loro crescita, di fare in modo che possano istruirsi, e pertanto partecipare alla crescita del mondo.
Chiediamo questo: non è utopia, ma è inseguire il sogno di Giorgio La Pira, di Raoul Follereau, che, in tempi forse più complicati dei nostri, con meno risorse, auspicavano veramente che l'impegno della pace passasse attraverso lo sviluppo dei popoli, attraverso un gesto di solidarietà. Chiediamo che il nostro Governo, proprio per fare fronte agli impegni che ha assunto, si impegni su questo terreno con chiarezza e con determinazione. Pag. 19
Noi continueremo a vigilare, a denunciare e a verificare se questi impegni vengono assunti (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi, che illustrerà la mozione Tempestini ed altri n. 1-00433, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, la settimana prossima, a New York, come è stato detto, su invito del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, si svolgerà il summit mondiale sugli «obiettivi di sviluppo del millennio».
In questi obiettivi si riassume l'impegno dell'ONU, vale a dire dell'intera comunità internazionale, a compiere progressi significativi verso un mondo in cui tutti gli esseri umani, senza distinzioni di razza o di genere, possano vivere in condizioni dignitose, senza essere afflitti dalla fame, dalla povertà e dalle malattie.
Questo impegno non è uno fra i tanti delle Nazione Unite; in esso è piuttosto racchiuso il senso e la ragione di essere più profonda della comunità internazionale e dell'organizzazione internazionale. «Gli obiettivi di sviluppo del millennio - cito dal rapporto ONU preparato da Ban Ki-Moon per il vertice della settimana prossima - hanno mobilitato il più grande sforzo di cooperazione nella storia del mondo per combattere la povertà, la fame e le malattie». Si tratta di uno sforzo per adempiere ad una promessa formulata dieci anni fa a valle della dichiarazione del millennio; una promessa che il vertice della settimana prossima è chiamato a confermare e a mantenere e che consisteva nell'impegno a dimezzare la povertà estrema nel mondo entro il 2015, perseguendo a questo fine otto obiettivi definiti e misurabili.
Si tratta di otto obiettivi in cui si sostanzia, come si legge nel rapporto «Keeping the promise», che ho già citato, «il diritto allo sviluppo in aggiunta agli altri diritti economici, sociali e culturali contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo».
Il vertice del 20-22 settembre e gli obiettivi del millennio sono il tema delle mozioni al nostro esame. L'impegno politico che la mozione del Partito Democratico chiede al Governo di assumere - e che vorrei sin d'ora sottolineare - è che il nostro Paese appoggi, senza incertezze e senza riserve, facendo poi fronte agli impegni conseguenti, la proposta del Segretario generale dell'ONU di - cito nuovamente - «un nuovo patto fra tutti i soggetti coinvolti per accelerare i progressi volti al raggiungimento degli obiettivi nei prossimi anni con l'impegno verso uno sviluppo equo e sostenibile per tutti».
Quegli obiettivi possono essere raggiunti - ci dice Ban Ki-Moon - a condizione che le promesse fatte vengano mantenute, e comunque mancarli sarebbe - uso l'espressione del Segretario generale - un «inaccettabile fallimento» e porterebbe - cito ancora - «al moltiplicarsi delle minacce nel mondo: instabilità, violenza, epidemie, degrado ambientale e aumento delle popolazioni in fuga».
Nella Commissione affari esteri tali questioni sono state seguite e approfondite in modo costante, anche grazie al Comitato permanente sugli obiettivi di sviluppo del millennio, istituito nell'ambito della Commissione, che ha svolto un'opera continua di monitoraggio e di assunzione di informazioni e valutazioni su un tema che riguarda, per quanto attiene il nostro Paese, l'intero ambito della cooperazione, a livello bilaterale e multilaterale, e quindi le scelte e le decisioni del Governo in tale ambito. È stata un'opera, quella del Comitato - lo riconosco volentieri - non solo utile, ma anche assai apprezzata nel rapporto intrattenuto con organizzazioni internazionali e con altri parlamenti.
A fine luglio, come è stato ricordato, la Commissione affari esteri ha approvato una risoluzione sulla partecipazione italiana al Millennium Summit delle Nazioni Unite. La risoluzione è stata approvata, se ricordo bene, senza distinzioni di parte. Il fatto che l'argomento ora sia portato all'attenzione di tutta la Camera, lungi dall'essere superfluo, è assolutamente positivo perché ci consente di far uscire la discussione Pag. 20da un ambito ristretto, o specialistico, e quindi di accrescere la consapevolezza del Parlamento e, per il suo tramite, dell'intera opinione pubblica circa l'importanza degli obiettivi del Millennio, nonché sulle implicazioni che essi hanno per il nostro Paese, che è chiamato a rispettare gli impegni assunti in passato con la comunità internazionale e a interrogarsi su quanto finora ha fatto e non ha fatto.
Gli obiettivi di sviluppo del Millennio collegano i concetti di sviluppo e di umanità, affermando l'idea che la crescita economica debba andare di pari passo con quella sociale e che i diritti umani non possano trovare pratica attuazione se non vincendo la povertà e la malattie, la discriminazione e l'esclusione sociale, l'ignoranza e l'oppressione.
L'idea di sviluppo umano, che ha preso forma e si è affermata in questo decennio anche grazie a questa piattaforma di obiettivi da tutti condivisi, diventando un alfabeto comune per popoli e culture lontani e diversi, rappresenta già di per sé un successo e un risultato politico di grande rilievo. Ma naturalmente è sui risultati raggiunti e su quelli mancati che va fatto un bilancio concreto e indicata una prospettiva.
Dal 2000 ad oggi sono successe molte cose. La storia non procede in modo lineare. All'ottimismo del cambio di millennio, con globalizzazione e new economy marcianti, sono subentrati risvegli bruschi che ci hanno richiamato alla tortuosità delle vicende umane. L'11 settembre, il terrorismo internazionale di matrice fondamentalista e poi i conflitti e le guerre che ne sono seguite contro il terrorismo, contro il fondamentalismo, contro l'intolleranza e che non sono state ancora vinte. Poi di nuovo la crescita impetuosa dei Paesi emergenti dell'Asia e dell'America Latina fino all'esplosione della crisi economica e finanziaria degli ultimi tre anni e alla nascita e almeno al tentativo di fare nascere nuovi strumenti di guerra mondiale. Dal G8 al G20 e il ritorno della prima potenza mondiale al multilateralismo.
Nuovi rischi e nuove minacce, ma anche una sempre più vivida coscienza che viviamo in un mondo del tutto interdipendente, un mondo interdipendente in cui alla lunga la prosperità e l'insicurezza sono indivisibili.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 17,30)

MARIO BARBI. È un mondo dunque che corre nuovi rischi, attraversato da nuove linee di distinzione, ma anche con le sue diverse parti sempre più legate le une alle altre, un mondo nel quale si conferma la lungimiranza degli obiettivi di sviluppo del millennio e l'importanza del loro raggiungimento.
In questo programma la cosa centrale è la coralità, la solidarietà tra Paesi ricchi e Paesi poveri, tra Paesi sviluppati, in via di sviluppo e meno sviluppati. Per quanto attiene l'aiuto allo sviluppo, ci sono Paesi donatori e Paesi che ricevono; ci sono Paesi donatori storici, quelli del primo mondo, come l'Italia, e ci sono nuovi donatori, che sono le economie emergenti come la Cina. Nessuno ce la farà da solo per quanto sia grande e potente.
Quando parliamo di «obiettivi di sviluppo del millennio» e degli impegni dei Paesi donatori, la cosa più immediata è pensare alla dimensione quantitativa della quota del PIL da destinare agli aiuti (lo 0,56 per cento entro il 2010 per arrivare fino allo 0,7 per cento nel 2015). I Paesi donatori sono complessivamente lontani dal mantenimento di questa promessa e l'Italia - purtroppo - più di altri (anzi l'Italia sta andando indietro). La crisi globale viene spesso addotta a giustificazione di questa retromarcia ma l'Italia deve invertire la rotta: chiediamo quindi al Governo di impegnarsi, coerentemente con il piano in dodici punti proposto dalla Commissione europea in una recente comunicazione, ad adottare un programma realistico inteso al mantenimento progressivo e graduale degli impegni che, pure a parole, anche dal Governo vengono sempre ribaditi e confermati. Pag. 21
Ban Ki-moon nel suo rapporto ci ricorda che al traguardo di 154 miliardi di dollari di aiuti promessi per il 2010 ne mancano all'appello 35: non è poco. Sempre più spesso si fa riferimento a fonti di finanziamento innovative: si pensa al settore privato ma non solo. L'idea di assoggettare ad una minima imposizione le transazioni finanziarie internazionali a carattere speculativo (cioè a brevissimo termine) non è più considerata solo la bizzarria di qualche eccentrico. Sarebbe bene che il nostro Governo, anziché frenare, si facesse promotore di un consenso mondiale a favore di questa misura che, ovviamente, ha senso solo se adottata a livello internazionale.
Ora, se non si fa uno sforzo nelle direzioni indicate, come chiede Ban Ki-moon, dovremo rassegnarci a parecchi insuccessi e delusioni. A grandi linee, il quadro attuale e prospettico per i principali obiettivi del millennio - faccio riferimento a dati presentati in una recente audizione presso il comitato da un rappresentante della Banca mondiale - risulta il seguente. In primo luogo occorre sradicare la povertà estrema: in tal senso sono stati fatti progressi importanti, essa è diminuita dal 41,7 per cento nel 1990 al 27 per cento nel 2005 e dovrebbe raggiungere il 15 per cento nel 2015.
Il secondo obiettivo è una istruzione primaria per tutti: secondo le proiezioni attuali l'obiettivo verrà mancato di poco (le aree critiche sono in Africa e nel sud dell'Asia).
Il terzo obiettivo sono le pari opportunità tra i sessi: differenze di istruzione tra ragazze e ragazzi restano elevate nei Paesi più poveri dell'Africa sub-sahariana, in Oceania e in Asia occidentale.
Il quarto obiettivo è ridurre la mortalità infantile: essa è diminuita del 28 per cento ma siamo lontani dal traguardo della riduzione dei due terzi.
Il quinto obiettivo è migliorare la salute materna riducendo di tre quarti la mortalità rispetto al 1990: questo obiettivo non verrà raggiunto nei Paesi più poveri (nell'Africa meridionale la situazione è anzi peggiorata).
Il sesto obiettivo è combattere le pandemie. A tale riguardo si registrano luci ed ombre: i nuovi casi di AIDS sono quasi dimezzati ma la situazione resta critica in Africa, la malaria continua a essere un flagello in molte zone e la tubercolosi uccide 2 milioni di persone all'anno (e siamo lontani dal raggiungere l'obiettivo di assicurare l'accesso universale alle cure contro l'AIDS).
Il settimo obiettivo riguarda la sostenibilità ambientale: vi sono progressi verso l'obiettivo - mi limito ad indicare questo - di dimezzare la popolazione che non ha accesso all'acqua potabile, traguardo che sarà raggiunto da 76 Paesi in via di sviluppo e mancato da altri 28. Critica, di nuovo, è la situazione dell'Africa sub-sahariana, dove 300 milioni di persone non hanno accesso all'acqua potabile e 450 milioni ai servizi igienici.
L'ottavo obiettivo è quello di sviluppare un'alleanza globale per lo sviluppo (su quest'ultimo obiettivo intendo soffermarmi in modo specifico). Questo non è un obiettivo facilmente misurabile, infatti mantenere gli impegni quantitativi di aiuto è fondamentale ma non è sufficiente. Anzi, nulla sarebbe più sbagliato che credere che il trasferimento di una certa quota di risorse dai Paesi più ricchi ai Paesi più poveri sia di per sé sufficiente a sradicare in modo duraturo e stabile la povertà e i flagelli sociali e umani che la accompagnano.
Gli aiuti, in particolare per le popolazioni più in difficoltà che, come abbiamo appena visto, si concentrano - non solo, ma prevalentemente - nell'Africa sub-sahariana, sono indispensabili ma non sono sufficienti. Altrettanto importante, se non più importante, per il raggiungimento degli obiettivi del millennio, è il realizzarsi di due condizioni di contesto. In primo luogo, è necessario il progresso di quella che viene definita «partnership globale» o «alleanza globale per lo sviluppo»; in secondo luogo, in tale quadro occorre un rapporto corretto con le leadership dei Paesi che ricevono gli aiuti e che devono essere responsabilizzate, in grado cioè di indicare le priorità e di guidare i programmi Pag. 22di intervento, facendoli e sentendoli propri (in questo senso, si parla di ownership).
Senza progressi nella «partnership globale», cioè senza un sistema di regole finanziarie, fiscali e commerciali che aiuti e favorisca la messa in moto di un volano di sviluppo interno dei Paesi meno favoriti, il risultato degli aiuti - e non mi riferisco agli aiuti di emergenza, su cui andrebbe fatto un discorso a parte - rischierà di essere sempre effimero. Insomma, non si può dire di volere davvero un mondo solidale e di volere aiutare il decollo economico di Paesi poveri, che potrebbero magari cercare di esportare prodotti agricoli, e poi mantenere nei Paesi ricchi alti dazi sugli stessi prodotti. Dunque, un contesto favorevole di «partnership globale» è davvero fondamentale.
Progressi sono stati compiuti su tutti gli obiettivi e sono stati anche importanti, ma in nessun caso si può dire che l'obiettivo sia stato definitivamente raggiunto o che i progressi compiuti non siano a rischio. La crisi globale ha provocato arretramenti, le zone di crisi o a rischio di esplosione di conflitti rendono ogni successo precario.
L'altra condizione - dicevo - che occorre assicurare è quella della responsabilizzazione dei Paesi che ricevono gli aiuti, a partire dai Governi e dalle istituzioni per arrivare fino agli interlocutori della società civile. Senza valorizzare tale rapporto, che riconosce negli interlocutori locali i registi e le guide necessarie a definire i progetti e gli obiettivi degli interventi, si moltiplicano i rischi di dispersione, frammentazione e, in una parola, di spreco e di inefficacia degli interventi.
Va riconosciuto che l'efficacia degli aiuti, di cui corequisiti sono la prevedibilità e la trasparenza, dipende dalla capacità degli interlocutori locali di gestirli e che, se questi interlocutori non hanno tale capacità, la prima cosa da fare è lavorare per crearla. Si tratta di portare avanti un intervento complesso e multidimensionale, condizionato e controllato, dove, spesso, dare un contributo alla costruzione di un sistema di riscossione fiscale minimamente efficiente, che doti il Paese di risorse proprie, emancipandone tendenzialmente il bilancio pubblico dalle iniezioni di liquidità che vengono dall'estero, non è meno importante che costruire generatori di energia elettrica che consentano di conservare alla temperatura richiesta farmaci indispensabili ad una rete di elementari presidi sanitari.
Se non si riconosce tale complessità, si corre il rischio di fare cose che non lasciano il segno, oppure che tornano utili più al donatore piuttosto che a chi riceve l'aiuto. Per questo si richiede un approccio integrato da parte dei donatori, una visione unitaria dei problemi del Paese nel quale si interviene. Ciò non è sempre avvenuto, anzi.
Occorre pertanto un superamento tendenziale dell'approccio bilaterale dell'aiuto allo sviluppo, nel senso che occorre che i Paesi donatori almeno si specializzino ed uniscano e coordinino le risorse tra loro così da poterle impiegare in modo efficiente e non dispersivo. Le proposte della Commissione europea, contenute nel Piano di azione in dodici punti citato più sopra, vanno in tale direzione: il nostro Governo dovrebbe impegnarsi a sostenere quel piano.
Ci vuole quindi, anche da parte del nostro Paese, che non ha davvero in bilancio molte risorse in questo momento, la capacità di scegliere aree di intervento, confermando e potenziando i campi della sicurezza alimentare e della salute; la volontà di coordinarsi con altri Paesi donatori; la determinazione di definire i Paesi cui dare priorità nell'intervento; e occorre slegare l'intervento di aiuto dalle commesse industriali e commerciali.
Insomma, se vogliamo esserci e muoverci in modo utile, dovremo anche mettere in conto un aggiornamento culturale delle politiche di cooperazione e non pensare che l'aiuto allo sviluppo abbia come fine la proiezione economica del nostro Paese nel mondo: il fine è lo sviluppo umano del Paese che beneficia del nostro aiuto e non il nostro immediato tornaconto. Il ritorno non è immediato, non sarà immediato, ma vi sarà e sarà tanto Pag. 23maggiore in termini di sicurezza, di riconoscenza e prestigio, e alla fine anche di interscambio, quanto più nitida sarà la distinzione tra l'aiuto finalizzato a far progredire l'umanità e le politiche commerciali e di cooperazione economica legittimamente guidate dal nostro interesse.
È anche questa la sfida degli «obiettivi di sviluppo del millennio», è questo il senso della mozione che abbiamo presentato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sarubbi. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, vorrei partire da quanto è accaduto stamattina, a pochi metri dall'Aula: in un albergo di Piazza Montecitorio la FOCSIV, la Federazione Organismi Cristiani di Servizio Internazionale e Volontario, ha presentato il Barometro 2010 della solidarietà internazionale degli italiani.
È uno studio - commissionato ad un'agenzia demoscopica piuttosto nota - che in seconda di copertina (lo saprà certamente il sottosegretario Scotti) porta anche il marchio del Governo: è stato realizzato, infatti, con il contributo del Ministero degli affari esteri, ed in particolare della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. Visto che il Ministero ha contribuito a realizzarlo, sarebbe il caso che qualcuno del Governo lo leggesse pure: imparerebbe, per esempio, che gli italiani sono ancora sensibili a questi temi, nonostante il tentativo di lasciarli sullo sfondo e nonostante l'alibi della crisi economica. Presidente, io parlo di alibi volutamente, non perché mi sia sfuggita una parola: è vero che la crisi esiste - l'unico che l'ha negata finora è stato proprio il Presidente del Consiglio, quando l'anno scorso, da Mosca, la definì psicologica - ma esiste per tutti. Esiste anche per quei Paesi che, a differenza nostra, hanno rispettato gli impegni assunti in sede internazionale, davanti all'ONU. Penso alla Svezia, all'Olanda, alla Danimarca, al Lussemburgo, che hanno già superato quota 0,7 per cento del PIL, ma anche a quelli - come Spagna, Belgio, Regno Unito, Finlandia, Irlanda - che sono sulla strada giusta e probabilmente ce la faranno entro il limite fissato dall'ONU, quello del 2015. Non parliamo di Paesi che stanno su Marte, ma in Europa, come noi. Solo che - a differenza nostra, ripeto - loro danno ancora un valore alle carte firmate, forse perché sono meno bravi di noi nella politica del cucù o forse perché, a differenza nostra, ritengono che la credibilità di uno Stato si misuri in base alla propria capacità di mantenere ciò che ha promesso agli altri. Non voglio investire tutto il tempo a disposizione nel ricordare le promesse di Silvio Berlusconi su questo argomento, ma farei un torto alla memoria se non ne citassi almeno una: quella di saldare i nostri debiti - 130 milioni di dollari - con il Fondo globale per la lotta all'AIDS, tubercolosi e malaria. Lo disse alla conferenza stampa conclusiva del G8 de L'Aquila, promettendo che sarebbe stato fatto entro agosto - agosto scorso, mentre siamo a settembre 2010 - e poi - in un impeto di generosità - aggiunse che il Governo - bontà sua - avrebbe aggiunto altri 30 milioni di dollari per farsi perdonare il ritardo. Ora, è vero che contiamo poco, ma qui in Parlamento non abbiamo visto nulla. Nulla. Magari si sono persi per strada nel tragitto dalla Farnesina al Ministero dell'economia e delle finanze. Non lo so, ma chi lo sa parli, ed abbia il coraggio di dirlo a tutte quelle organizzazioni non governative che ogni giorno dovremmo ringraziare per come tengono alto il nome del nostro Paese, organizzazioni non governative che gli stessi italiani ritengono degne di fiducia: secondo il Barometro - questo Barometro di cui parlavo prima - il 73 per cento degli intervistati le colloca al primo posto nella graduatoria dell'affidabilità (il Governo, lo sottolineo per la cronaca, è al 49 per cento: 24 punti sotto). Invece no: con l'alibi della crisi - dicevo poco fa - le lasciate con il piattino in mano, ad aspettare gli spiccioli. Con la formuletta magica che vi siete inventati da due anni e mezzo «compatibilmente con i vincoli di bilancio» e che magicamente ritroviamo anche Pag. 24nella mozione del PdL - l'ho cercata e l'ho trovata, dove mi pare si dica appunto «compatibilmente con i vincoli di risanamento della finanza pubblica», che è un modo poi per dire tutto e non fare nulla - state facendo carta straccia degli impegni assunti e ci esponete al pubblico ludibrio. Tanto da far dire, non molto tempo fa, alla fondazione presieduta da Bill Gates - autore, tra l'altro, di un appello pubblico al Capo del nostro Governo, rimbalzato su tutta la stampa internazionale - che esiste una lista della vergogna, sul fronte degli aiuti allo sviluppo, ma in questa lista c'è un Paese solo: l'Italia. Un bel primato, davvero, un altro record del Presidente del Consiglio. Se fosse solo un problema di immagine, comunque, sarebbe il minimo.
La realtà è che - come spiega bene Famiglia Cristiana, che nel numero di oggi pubblica un dossier proprio su questo tema - dietro ai numeri, cito testualmente, ci sono uomini e donne in condizioni disumane. Spiega ancora Famiglia Cristiana che le promesse mancate dei Paesi ricchi hanno conseguenze drammatiche sulle vite dei più poveri. Progetti che si chiudono per mancanza di soldi, interventi semplici che non si riescono a fare, e d'altra parte, laddove gli aiuti sono arrivati, i risultati si sono visti. La vecchia scusa del malgoverno - che se la cavava così: noi mandiamo i soldi, ma poi spariscono nel nulla - non regge di fatto di fronte ai dati della stessa ONU: tanto è vero che, grazie a quei Paesi che hanno mantenuto i propri impegni, ci sono oggi un po' meno poveri, vanno a scuola un po' più di bambini, la mortalità infantile si è un po' ridotta, le persone senza acqua potabile sono un po' meno. Tutto un po', insomma, ma gli obiettivi presi nel 2000 - e non erano obiettivi folli, ma ragionevoli - sono ancora lontanissimi.
E su ogni centimetro di lontananza, su ogni povero in più, su ogni bambino a scuola in meno, c'è anche la nostra firma. Una firma ingloriosa e indegna di un Paese come il nostro, dove, nonostante la crisi - ci dice ancora il Barometro della solidarietà presentato oggi -, il 40 per cento degli italiani, nell'ultimo anno, ha messo mano al proprio portafoglio per effettuare almeno una donazione a favore di una causa di solidarietà.
La società civile, insomma, non ci manca. Quello che ci manca è la politica, è il coraggio di chi ci governa, il coraggio di definire priorità irremovibili - come chiede la Campagna italiana dell'ONU per gli obiettivi del millennio -, anche quelle misure che non portano voti immediatamente. Ecco allora il senso di queste mozioni, che oggi discutiamo e domani voteremo e che, dopodomani, come temo, avranno già fatto la fine di tutti gli altri atti parlamentari su questo tema, perdute in qualche cassetto di Palazzo Chigi o di Via XX settembre. Il Presidente del Consiglio ci dimostri, una volta tanto, che sa alzare lo sguardo, che sa guardare più in là delle prossime elezioni, che non sprecherà tutte le proprie energie nello sforzo di restare dove si trova ora, perché lì fuori c'è un mondo, se non ve ne siete accorti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, le mozioni oggi all'esame di quest'Aula riguardano aspetti cruciali dell'impegno italiano per lo sviluppo e vengono opportunamente discusse nella fase di preparazione del vertice degli obiettivi del millennio. Essi hanno uno spettro così ampio da coprire l'intero scenario mondiale dello sviluppo; sarebbe meglio dire l'intero scenario della povertà e delle gravissime ingiustizie sociali che le recenti crisi di varia natura hanno aggravato, in particolare dei Paesi più indietro rispetto ai millennium goal. Pag. 25 È proprio su queste aree geografiche che occorre adesso concentrare gli sforzi in via prioritaria. Siamo consapevoli della necessità di accelerare l'avvicinamento agli obiettivi. È un impegno della comunità internazionale che deve raccogliere l'appello del Segretario generale dell'ONU - proprio in queste ore, a New York, si è raggiunta un'intesa tra tutti sul testo della risoluzione finale dell'evento -, ma è anche la maniera più lungimirante per fronteggiare le minacce che dalle forti sperequazioni globali possono derivare per la stabilità internazionale e domestica degli stessi Paesi avanzati. Occorre uno sforzo collettivo e condiviso che deve basarsi su una responsabilità di tutti gli attori, statali e non, pubblici e privati, del nord e del sud, perché i benefici della sconfitta di una piaga globale, la povertà, non potranno che essere anch'essi globali. La Farnesina ha fissato gli obiettivi prioritari della cooperazione italiana, con riferimento anche alle complesse difficoltà finanziarie che stiamo fronteggiando. Obiettivi geografici e settoriali che stiamo per aggiornare per la seconda volta nella prospettiva del nuovo triennio di programma 2011-2013. Il Ministro degli affari esteri, come ha riconosciuto il Comitato assistenza allo sviluppo dell'OCSE, nella revisione dello scorso anno, ha anche scelto con impegno la strada di migliorare l'efficacia dell'aiuto. Con il piano programmatico del 2009, che investe tutti gli aspetti della cooperazione, stiamo lavorando all'attuazione degli impegni che la comunità internazionale ha assunto in materia di efficacia degli aiuti, con tutta la difficoltà, che non si può negare, di operare in un contesto normativo ed amministrativo che va modernizzato. Tutto questo per progredire meglio verso gli obiettivi del millennio che costituiscono il riferimento obbligato, con i rispettivi target, di ogni intervento che la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo presenta al Comitato direzionale.
Sarà il Ministro Frattini a rappresentare l'Italia al vertice di New York sugli obiettivi del millennio per portare autorevolmente il contributo italiano all'auspicato successo di questo importante appuntamento internazionale. È un obiettivo da noi perseguito in piena sintonia con la posizione dell'Unione europea, che abbiamo concorso a formare. Come è anche sintetizzato nelle conclusioni del Consiglio sviluppo del 17 giugno scorso, l'Europa oltre a focalizzarsi sul raggiungimento di alcuni obiettivi, soprattutto nei Paesi più arretrati rimasti fuori percorso, pone l'accento sull'importanza della coerenza delle politiche per lo sviluppo, sul ruolo delle fonti normative per il finanziamento, sulla governance democratica e, punto inserito su nostra specifica proposta, sul cosiddetto rights-based approach, cioè la considerazione dello sviluppo come un diritto di ogni persona.
L'Unione europea intende lanciare a New York un duplice messaggio: continuità rispetto agli impegni presi, ma anche innovazione. Cogliere l'opportunità per dar vita ad un nuovo contratto globale tra donatori e partner. Siamo consapevoli, come è stato ampiamente constatato dalle ricerche e dalle analisi sui risultati raggiunti dall'aiuto, che occorre operare una coerenza tra gli aiuti allo sviluppo e le politiche economiche, finanziarie e commerciali dei Paesi più ricchi proprio in coerenza con l'obiettivo e gli obiettivi fissati dal Millennio.
Lavoriamo dunque perché il vertice possa imprimere una spinta decisiva verso una nuova agenda internazionale che metta in relazione la pace e la sicurezza dei diritti umani con lo sviluppo ecosostenibile e autosufficiente dei nostri partner meno avanzati. Il rafforzamento delle loro aziende micro, piccole e medie, così come di un contesto favorevole allo sviluppo sono, in questa prospettiva, fattori determinanti.
Occorre, più in generale, una visione integrata dello sviluppo, che non può essere delegato al rapporto donatore e ricevente, ormai superata per la sua impronta assistenzialistica. Occorre affermare definitivamente e attuare concretamente politiche di sviluppo basate sulla responsabilità reciproca di tutti gli attori. Ciò deve avvenire nei Paesi più ricchi per la coerenza Pag. 26delle loro politiche interne, specie in questo tempo, delle politiche adottate per una ripresa dello sviluppo al proprio interno. Ma riguarda anche la responsabilità degli stessi Paesi in via di sviluppo, della loro governance interna più efficace e trasparente e della mobilitazione delle loro risorse anche attraverso migliori sistemi tributari: un'analisi attenta degli effetti dell'aiuto allo sviluppo in questi anni ha dimostrato quanto sia importante avere queste precondizioni all'interno dei Paesi che devono crescere parallelamente alla loro economia. Nei diversi contesti internazionali rilevanti - Unione europea, G8, G20, OCSE e ONU - l'Italia si adopera per una rinnovata governance economica e finanziaria più trasparente e inclusiva, meglio regolata e più efficace per concorrere a quel contesto favorevole allo sviluppo di cui si avverte l'esigenza. È una linea coerente e complementare con quella che conduciamo nella sfera politica per la riforma del Consiglio di sicurezza. È stato qui ricordato che la dimensione finanziaria dell'impegno italiano per lo sviluppo nei diversi scenari e rispetto ai diversi impegni che sono stati assunti nel corso degli anni fa purtroppo oggi i conti con la pesantissima situazione del nostro debito pubblico, che tutti conosciamo e con i vincoli del Patto di stabilità che abbiamo parimenti sottoscritto. Del resto, il concetto stesso di sviluppo sta evolvendo ed è ormai caratterizzato da un approccio onnicomprensivo, più equilibrato rispetto all'apporto di tutte le componenti e di tutti gli attori coinvolti. Su questi temi il Ministero degli affari esteri è attivamente impegnato, come dimostra anche l'iniziativa innovatrice lanciata insieme al Ministero dell'economia e delle finanze a fine giugno del tavolo interistituzionale della cooperazione allo sviluppo, che ha visto per la prima volta riuniti alla Farnesina ministri e organizzazioni non governative, Confindustria e Lega cooperative, università e fondazioni bancarie, regioni, province e comuni, Croce rossa e Protezione civile.
Vogliamo avviare concretamente il sistema Italia della cooperazione, che nelle linee guida triennali abbiamo fissato tra le nostre massime priorità. Vogliamo farlo con una visione condivisa da riprendere in un documento di ipotesi generale, attento anche alle indicazioni del Parlamento, con progetti pilota integrati e con un crescente coordinamento delle azioni, una logica scontata ma non sempre attuata in passato.
Siamo altresì impegnati a comunicare e sottolineare meglio quanto le tematiche dello sviluppo siano importanti per un Paese a fortissima vocazione internazionale e così diffusamente generoso verso chi soffre, come l'Italia. È stato ricordato il sostegno del Ministero degli affari esteri proprio alla realizzazione di quel rapporto sulla solidarietà nel nostro Paese.
Vado a concludere: il vertice di New York è stato oggetto di ampio dibattito con la nostra società civile e in Parlamento; con la nostra società civile si sono svolte nei mesi scorsi due riunioni di consultazione, una allargata e una più ristretta, con i rappresentanti della sezione italiana della coalizione globale contro la povertà, della campagna per il millennio e delle principali federazioni e associazioni ONG. Sono state messe a fuoco le principali priorità italiane e le ONG hanno chiesto una più forte assunzione di responsabilità in materia di coerenza delle politiche per lo sviluppo di aiuto pubblico e di rilancio in generale delle nostre politiche di cooperazione.
Il Governo spera che le condizioni finanziarie possano evolvere positivamente e si possa dar attuazione a quella risoluzione proposta dagli onorevoli Pianetta e Tempestini e accolta a fine giugno dal Governo. Si tratta di un impegno di tutti, prima di tutto del Governo. Il succedersi di atti parlamentari sui temi della cooperazione, spesso di tenore analogo da parte di forze di maggioranza e di opposizione, e l'attività seria e competente, oltre che fattivamente bipartisan, svolta dal comitato Obiettivi di sviluppo del Millennio indicano chiaramente l'attenzione del Parlamento per questo importante settore e la necessità di un rafforzamento della nostra azione. Per contribuire con efficacia agli Pag. 27obiettivi del millennio, oltre ad un graduale reinvestimento nella cooperazione compatibile con i vincoli di bilancio, è necessario proseguire con determinazione sulla strada dell'ammodernamento e semplificazione delle regole e del rafforzamento e aggiornamento delle risorse umane. Questo è quanto l'OCSE ci ha raccomandato, è questo quello che noi sosterremo nel vertice di New York, soprattutto chiedendo a tutti coerenza nelle politiche economiche globali per rendere compatibili queste con gli obiettivi del millennio.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Cicchitto, Franceschini, Reguzzoni, Casini, Bocchino, Donadi ed altri n. 1-00423, concernente iniziative per l'istituzione di una Conferenza interparlamentare per la politica estera, di difesa e sicurezza europea (ore 18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Cicchitto, Franceschini, Reguzzoni, Casini, Bocchino, Donadi ed altri n. 1-00423, concernente iniziative per l'istituzione di una Conferenza interparlamentare per la politica estera, di difesa e sicurezza europea.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che in data odierna la mozione Cicchitto, Franceschini, Reguzzoni, Casini, Bocchino, Donadi ed altri n. 1-00423 è stata riformulata dai presentatori ed il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritto a parlare l'onorevole Fassino, che illustrerà anche la mozione Cicchitto, Franceschini, Reguzzoni, Casini, Bocchino, Donadi ed altri n. 1-00423 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

PIERO FASSINO. Signor Presidente, io ho il compito di illustrare a nome di tutti i firmatari - e già questo credo sia un elemento di valutazione politica significativo - la mozione che è all'esame dell'Aula. Si tratta di una mozione, come reca il titolo, che propone l'istituzione di una Conferenza interparlamentare per la politica estera, di difesa e di sicurezza europea. Perché questa iniziativa? Con il Trattato di Lisbona sappiamo tutti che l'Unione europea si è posta l'obiettivo di porre in essere un salto in avanti nel processo di integrazione europea.
La globalizzazione spinge sempre di più l'Unione europea ad essere un attore capace di parlare con una voce sola, agire con una sola mano ed essere un attore globale riconosciuto nella vicenda mondiale. Al tempo stesso sappiamo anche come in questi anni l'Unione europea, nel vivo di una crisi economica che ha prodotto conseguenze negative concrete sulla vita di milioni di persone, è stata spesso soggetta ad una crisi di fiducia da parte delle opinioni pubbliche del continente e spesso si è rovesciata sull'Unione europea la responsabilità di dinamiche e processi che, in realtà, hanno altre ragioni e altre cause ma che, in ogni caso, consigliano e spingono l'Unione europea a darsi una veste politica, istituzionale, economica e sociale in grado di recuperare quella fiducia e quel consenso dei cittadini europei che è condizione determinante perché l'Unione possa assolvere compiutamente ai suoi obiettivi.
Il Trattato di Lisbona corrisponde, dunque, a questi due obiettivi: mettere l'Unione europea nelle condizioni di essere un soggetto attivo e protagonista della globalizzazione e creare le condizioni per una rinnovata fiducia e un rinnovato consenso Pag. 28delle opinioni pubbliche europee intorno agli obiettivi e alle finalità dell'Unione stessa.
Nel perseguire questo duplice obiettivo con il Trattato di Lisbona l'Unione europea ha anche compiuto scelte che vanno nella direzione di accrescere la sua soggettività politico-istituzionale. Sappiamo che spesso si è guardato all'Unione europea come ad un gigante economico ma fragile dal punto di vista politico e istituzionale e sappiamo anche come questa fragilità politica e istituzionale, se non superata, riduce anche le potenzialità che pure sul terreno economico l'Unione europea esprime.
Da queste considerazioni sono partiti i Governi europei nel definire, nel Trattato di Lisbona, scelte che vanno nella direzione di dotare l'Unione di strumenti e di istituzioni politiche più forti. In particolare, si è stabilita la nomina di un Presidente del Consiglio europeo non più a rotazione ma permanente, per dare visibilità e soggettività forte all'Unione europea. Inoltre, si è effettuata la scelta di compiere un salto in avanti nella definizione di una politica estera e di sicurezza comune, attraverso la nomina di un Ministro degli esteri europeo nella figura dell'Alto rappresentante, dotato di un servizio diplomatico europeo. Ricordo, inoltre, la scelta di avviare politiche europee anche nel campo della difesa e della sicurezza che sono temi particolarmente cruciali e sensibili per la stabilità del mondo; un mondo nel quale sempre di più il tema della sicurezza e della stabilità è precondizione per realizzare politiche di sviluppo, di cooperazione e di equità sociale.
Quella della difesa e della sicurezza è una materia, come è noto, su cui le prerogative degli Stati nazionali sono particolarmente forti. Mi sembra che questo debba essere ricordato per dare il senso anche dell'ambizione che l'Unione europea si è data nel momento in cui alla politica estera comune intende affiancare anche una politica comune in materia di difesa e di sicurezza. Infatti, si tratta di una materia che sempre di più è cruciale nei nostri tempi. Giustamente è stato ricordato che mentre nell'epoca bipolare la sicurezza e la stabilità del mondo erano appaltate all'equilibrio bipolare e al ruolo che svolgevano le grandi potenze nucleari, segnatamente gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, dopo la caduta del muro di Berlino la sicurezza e la stabilità del mondo è una responsabilità in solido e collettiva dell'intera comunità internazionale e ogni nazione deve percepire ed essere consapevole che se ieri era consumatrice di sicurezza prodotta da altri, oggi, invece, tutti hanno la responsabilità di essere coproduttori della sicurezza comune.
Questo vale non soltanto per le responsabilità di ogni nazione ma anche per quelle dell'Unione europea. Dunque, la scelta dell'Unione europea di perseguire l'obiettivo di darsi una politica estera, di sicurezza e di difesa comune va esattamente nella direzione di rendere l'Unione europea sempre più corresponsabile delle grandi scelte strategiche che attengono alla stabilità, alla pace e alla sicurezza del pianeta.
La materia della politica estera, della difesa e della sicurezza continua ad essere in gran parte incardinata oggi sulla sovranità delle nazioni.
La scelta dell'Unione europea di mettere in comune la politica estera, di sicurezza e di difesa non fa venir meno la responsabilità delle nazioni e, dunque, dobbiamo essere consapevoli che il percorso che sta davanti a noi è quello di una progressiva comunitarizzazione di queste politiche a partire però dal ruolo che oggi esercitano i Governi e dalla sua dimensione quindi intergovernativa.
Richiamo questo aspetto perché l'intergovernatività come condizione oggi prevalente, e che naturalmente va gradualmente superata verso la comunitarizzazione anche di questa materia, sollecita anche a definire le forme del controllo parlamentare sulla politica estera, di sicurezza e di difesa.
Proprio perché quella della politica estera, di sicurezza e di difesa è materia sensibile e strategica per la vita delle Pag. 29nazioni non soltanto c'è una prerogativa dei Governi, ma c'è una prerogativa dei Parlamenti nazionali che oggi non può essere elusa.
Ho fatto questa considerazione perché è proprio a partire da questo insieme di valutazioni che muove la mozione che presentiamo. Nel momento in cui l'Europa decide di dotarsi in modo sempre più assertivo di una politica estera, di sicurezza e di difesa comune si pone anche il problema di quale sia la sede dell'indirizzo e del controllo parlamentare su questa politica.
Oggi questa funzione di indirizzo e controllo parlamentare è esercitata dai Parlamenti nazionali e in sede europea è stata fin qui esercitata principalmente dall'Assemblea parlamentare dell'Unione europea occidentale, istituzione comune europea di difesa istituita con il Trattato di Bruxelles del 1948 e successive modificazioni.
Nel corso del tempo l'Unione europea occidentale, la struttura militare e di difesa dell'Unione europea, si è sempre più integrata in una logica di complementarietà con la NATO e sempre di più l'Unione europea occidentale è divenuta struttura militare e di difesa dipendente dall'Unione europea fino all'assunzione, con i recenti Trattati, di questa materia nelle responsabilità dell'Unione.
Tuttavia, nel momento in cui l'Unione ha assunto pienamente la responsabilità anche della funzione e delle finalità dell'Unione europea occidentale non è stata definita quale sia la sede di controllo parlamentare sulla politica estera, di sicurezza e di difesa. Gli Stati che hanno dato vita nel 1948 al Trattato istitutivo dell'Unione europea occidentale hanno deciso, in funzione di questa evoluzione e dell'assunzione della politica estera, di sicurezza e di difesa nelle prerogative dell'Unione, di denunciare il Trattato.
In virtù di questa denuncia il Trattato istitutivo dell'Unione europea occidentale cesserà la sua vigenza entro la primavera del 2011 e con la cessazione del Trattato cesserà anche, nella primavera del 2011, di esistere l'Assemblea parlamentare dell'Unione europea occidentale. Viene meno, così, l'unica sede attualmente esistente di indirizzo e di controllo interparlamentare sulla politica estera, di sicurezza e di difesa. Si pone dunque il problema di individuare una sede che la sostituisca e che sia coerente con il percorso e il processo che l'Unione europea ha attivato in questi anni e che il Trattato di Lisbona ha ulteriormente consolidato.
Nasce da qui la proposta che la mozione contiene dell'istituzione di una Conferenza interparlamentare per la politica estera, di sicurezza e di difesa europea che sia fondata sulla partecipazione di delegazioni parlamentari dei Parlamenti dei Paesi membri e candidati dell'Unione europea e contemporaneamente della Commissione esteri del Parlamento europeo.
Risulta sempre più evidente che questo processo di realizzazione di una politica estera, di sicurezza e di difesa comune, che oggi è incardinata essenzialmente in una dimensione intergovernativa e che gradualmente dovrà evolvere verso una dimensione comunitaria, richiede l'associazione a una comune responsabilità sia dei Parlamenti nazionali che del Parlamento europeo.
Di qui la proposta che abbiamo avanzato: una Conferenza composta dalle delegazioni parlamentari dei Paesi dell'Unione europea membri e candidati. Includendo anche i Paesi candidati possiamo così avere anche dentro questa Conferenza i rappresentanti di Paesi di più recente acquisizione europeista dalla Croazia, all'Albania, alla Turchia e ad altri che sono Paesi cruciali ed essenziali per la sicurezza e la stabilità dell'Europa.
A questa Conferenza si propone che partecipi il Parlamento europeo attraverso la sua Commissione esteri.
Inoltre, per dare visibilità a questa interazione della presenza dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo si propone che la Conferenza sia copresieduta dal presidente della Commissione esteri del Parlamento europeo e, a turno, da uno dei presidenti delle Commissioni esteri dei Parlamenti nazionali che compongono la Conferenza. Pag. 30
La Conferenza dovrebbe essere la sede di indirizzo e di controllo di tutto ciò che attiene la politica estera, di difesa e di sicurezza; in questa chiave dovrebbe quindi sostituire i tanti fori, informali o formali, di carattere settoriale che sono venuti accumulandosi in questi anni: dalle riunioni che la COSAC ha dedicato alla politica estera, alle riunioni periodiche dei presidenti delle Commissioni esteri dei Paesi membri dell'Unione, alle riunioni periodiche dei presidenti delle Commissioni difesa dei Paesi membri dell'Unione. Si tratta di una pluralità di sedi che in realtà non garantiva e non garantisce uniformità e unitarietà di indirizzi che invece può garantire una Conferenza per la politica estera, di sicurezza e di difesa che unifichi le attività di indirizzo e di controllo.
Si propone che questa Conferenza si riunisca ordinariamente almeno due volte all'anno, salvo potersi riunire ogni qual volta lo richiedano le emergenze o impegnative decisioni del Consiglio europeo in questa materia, e che abbia sede a Bruxelles, mentre attualmente l'Assemblea parlamentare dell'Unione europea occidentale era ubicata a Parigi, a conferma della necessità di incardinare questa Conferenza nelle istituzioni, nelle strutture europee.
Intorno a questa proposta si è concretizzato - vado a chiudere - il consenso di tutti i gruppi parlamentari di questo nostro Parlamento. Credo che ciò sia molto importante perché nella discussione che si è avviata in tutti i Paesi europei intorno a questo tema il fatto che un Parlamento possa avanzare una proposta che sia sostenuta dal consenso di tutti i gruppi politici ci consente di svolgere un ruolo pilota nella costruzione di una soluzione idonea al tema in oggetto.
Siamo il primo Parlamento che avanza unitariamente, con il concorso di tutte le forze politiche, una proposta; questo tema si sta discutendo analogamente in altri Parlamenti di altre nazioni. Credo che la nostra proposta possa diventare un utile punto di riferimento per il dibattito anche negli altri Parlamenti e possa concorrere utilmente alla proposta finale che la presidenza belga dell'Unione europea occidentale ha l'incarico di avanzare entro aprile 2011.
Queste sono le ragioni e i caratteri della proposta che abbiamo avanzato. Credo che tutti possano avvertire l'importanza di una proposta che va nella direzione di sostenere e rafforzare la dimensione politica e istituzionale dell'Unione europea e mi pare che tutto ciò che accade intorno a noi dica che se vogliamo che l'Europa abbia voce autorevole e forte nel consesso mondiale ha bisogno di fare scelte coraggiose e ambiziose, di dotarsi degli strumenti necessari.
La mozione che presentiamo va nella direzione di concorrere alla definizione di uno strumento per la politica estera, di sicurezza e di difesa che possa accrescere l'efficacia e la coesione dell'Unione europea nell'essere un soggetto protagonista della vita politica mondiale (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Antonione. Ne ha facoltà.

ROBERTO ANTONIONE. Signor Presidente, colleghi, la decisione annunciata il 31 marzo da parte dei Paesi aderenti di denunciare il Trattato di Bruxelles istitutivo dell'Unione europea occidentale determinerà - come è già stato ricordato bene dal collega che mi ha preceduto - fra pochi mesi la fine del periodo transitorio e quindi la scomparsa dell'Assemblea parlamentare dell'Unione europea occidentale che ha fortemente contribuito allo sviluppo di una cultura europea per la difesa e la sicurezza che obiettivamente non è molto radicata in alcuni Paesi dell'Unione.
Va ricordato che tale Assemblea parlamentare è l'unica sede che riunisce i rappresentanti e i parlamentari dell'Unione europea, dei Paesi candidati all'adesione all'Unione stessa e dei Paesi europei NATO non aderenti all'Unione europea. Di particolare importanza politica e strategica è anche la partecipazione come osservatori dei rappresentanti dei Parlamenti della Russia e dei Balcani occidentali; ciò è di importanza fondamentale Pag. 31ai fini della garanzia della sicurezza europea: la Russia perché tuttora è una superpotenza con cui dobbiamo avere buoni rapporti di vicinato, i Balcani occidentali perché sono un'area in cui sono tuttora presenti residue tensioni derivanti dalla dissoluzione della Repubblica federativa jugoslava.
Risulta chiara, quindi, la necessità di colmare questa lacuna: proprio per tale scopo è stata presentata questa mozione sottoscritta da tutti i gruppi, che è stata illustrata dettagliatamente dall'onorevole Fassino con il quale mi trovo in perfetta sintonia riguardo quello che ha detto, e che reca la firma di tutti, compreso l'onorevole Cicchitto, il presidente del mio gruppo, il Popolo della Libertà.
In concreto, ribadisco che questa mozione auspica che venga costituita una Conferenza interparlamentare per la politica estera, di difesa e di sicurezza europea composta da una delegazione del Parlamento europeo, dei Parlamenti dei Paesi dell'Unione europea, dei Paesi candidati all'adesione all'Unione europea, dei Paesi europei NATO non membri dell'Unione europea occidentale e di altri Paesi interessati. Questo perché i vari organismi interparlamentari previsti dall'ordinamento europeo attualmente esistenti per composizione e modi di funzionamento rischiano di avere una visione solo settoriale dei problemi di politica estera e di difesa e, quindi, di non garantire un controllo complessivo sulla politica estera, di sicurezza e di difesa europea. Si tratta di una circostanza, quindi, molto negativa vista la complessità delle sfide in questi temi con cui l'Europa deve confrontarsi.
Tale Conferenza, quindi, dovrà disporre di strutture operative che organizzino la propria attività. Dovrà riunirsi almeno tre volte l'anno, costituendo in questo modo uno strumento fondamentale per definire la partecipazione del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali alla politica estera europea, in particolare per quel che riguarda i risvolti inerenti la difesa e la sicurezza. Nell'attuale situazione internazionale è, quindi, di fondamentale importanza che l'Unione europea occidentale rafforzi la propria coesione su questi temi, in quanto i protagonisti dello scenario politico e strategico mondiale sono ormai da tempo rimasti praticamente solo gli Stati Uniti, solo gli Stati di dimensione continentale. Quindi, l'Europa, per poter essere realmente protagonista delle relazioni internazionali, non può più procedere, come purtroppo fatto fino ad oggi, in ordine sparso dove ogni Stato nazionale portava avanti un suo specifico interesse.
L'Europa, se riuscirà a darsi quindi questa dimensione unitaria nella politica estera e di sicurezza, potrà finalmente contare di più ed essere protagonista sullo scenario internazionale e, quindi, non essere in qualche modo costretta a subire iniziative di altri. L'Europa, pertanto, per non essere più oggetto della politica estera e di sicurezza altrui deve poter operare secondo una voce sempre più unitaria e far valere fino in fondo il suo peso politico ed economico.
Auspichiamo, quindi, che con questa mozione il Governo operi con determinazione per ricercare con gli altri Governi europei un'intesa al fine di costituire in tempi brevi - e comunque prima che sia definitivamente chiuso lo scenario sull'Assemblea parlamentare dell'Unione europea occidentale - la Conferenza interparlamentare per la politica estera, di difesa e di sicurezza (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intervengo molto brevemente solo per sottolineare l'importanza che riveste questa nostra discussione. Si tratta di un'importanza che risiede indubbiamente nel significato che dobbiamo dare alla concezione di difesa in Europa. I colleghi che mi hanno preceduto hanno già sottolineato l'importanza di approvare la mozione sottoscritta in maniera unitaria da tutti i gruppi presenti nell'Assemblea.
Oltre a confermare il sostegno del gruppo dell'Italia dei Valori a questo documento, Pag. 32vorrei Raggiungere solo poche considerazioni. Come è noto, l'Unione europea occidentale è un'organizzazione internazionale regionale di sicurezza militare e cooperazione politica nata con il Trattato di Bruxelles del 1948. Successivamente, ha avuto successive modificazioni, a partire da quella del 1954. Ha avuto inizialmente dieci Stati membri, poi sei membri associati, cinque Paesi osservatori, sette partner associati, tra l'altro con attenzione anche ai potenziali nemici: penso alla Russia, all'Ucraina, alla Moldavia, ai Paesi dei Balcani in certi momenti.
Tuttavia, la UEO ha giocato anche un ruolo nell'integrazione della Germania ovest nell'Alleanza atlantica, nel ritorno alla fiducia reciproca tra gli Stati dell'Europa occidentale attraverso il mutuo controllo degli armamenti, nella risoluzione del problema della Saar, nella consultazione tra i membri fondatori dell'Unione europea e il Regno Unito; insomma, più in generale, la UEO ha contribuito in questi anni allo sviluppo di una cultura europea della sicurezza e della difesa, come è stato ampiamente riconosciuto da tutti gli Stati membri.
In seguito all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, come hanno ricordato altri colleghi e soprattutto l'onorevole Fassino, si prevede un rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali e si rappresenta un nuovo tassello importante per la costruzione di un nuovo assetto istituzionale. Quindi è un passo avanti nel processo di parlamentarizzazione dell'Unione europea per cui i Parlamenti nazionali vedono maggiormente riconosciuto un ruolo specifico a fianco di quello europeo, soprattutto nel controllo di organismi come Eurojust, Europol e anche nel presidio del principio di sussidiarietà attraverso la possibilità di intervenire nella procedura legislativa comunitaria nella fase ascendente.
Dopo il Trattato di Lisbona si è anche molto discusso su cosa fare dell'Unione dell'Europa occidentale, contemplando, fra le varie ipotesi, anche la più radicale, ossia il suo smantellamento. Il 30 marzo di quest'anno, in una nota scritta, il Ministro per gli affari europei inglese, Chris Bryant, aveva dichiarato che il Regno Unito intendeva ritirarsi dall'UEO entro un anno, mentre il giorno successivo il Ministro degli esteri tedesco annunciava l'intenzione della Germania di recedere dalla stessa. Lo stesso giorno, la presidenza spagnola dell'UEO, a nome degli Strati membri, proclamava la decisione collettiva di terminare il Trattato, causandone così la dissoluzione entro la fine di giugno 2011.
Insomma, le residue attività dell'organizzazione hanno finito di cessare, di fatto, in quell'occasione e quindi saranno trasferite presto all'Unione europea al termine del periodo transitorio di dodici mesi. Naturalmente il nostro Parlamento dovrà al più presto attrezzarsi e conformarsi alle novità del Trattato e dei relativi Protocolli laddove viene prevista l'organizzazione di una cogente e regolare cooperazione interparlamentare e la possibilità che la Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari, la COSAC, diventi il luogo deputato ad approfondire temi specifici e allo scambio di informazioni tra i vari Parlamenti nazionali e quello europeo.
È questa l'opportunità per ricordare anche che il nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, europeista convinto, da presidente della Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo dal giugno del 1999 al giugno 2004, già auspicava una più stretta cooperazione fra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali da realizzare, appunto, attraverso accordi interistituzionali. Occorrerà certamente puntare ad una razionalizzazione di tale tipo di cooperazione nella direzione di uno sfoltimento delle sedi di incontro: infatti, oltre alla riunione semestrale della citata COSAC e a quella annuale dei presidenti dei Parlamenti dell'Unione europea, ogni semestre a Bruxelles si tengono anche altre riunioni su svariati temi organizzate dal Parlamento europeo unitamente a quello che fa capo al Paese che in quel momento ha la Presidenza di turno, nonché riunioni della Conferenza Pag. 33dei presidenti delle Commissioni affari esteri dei Paesi dell'Unione e fra membri di Commissioni omologhe.
Pertanto, crediamo che la cooperazione debba e possa rafforzarsi soprattutto nel campo della politica estera e di difesa che con il Trattato ha anche mutato il proprio acronimo: da PESD, ossia «Politica europea di sicurezza e di difesa» a PSDC, ossia «Politica di sicurezza e difesa comune», in considerazione appunto dell'entrata in vigore della clausola di assistenza reciproca in caso di aggressione armata. Da qui è derivata l'adesione ai motivi che hanno determinato la presentazione della mozione e anche l'apposizione della firma da parte del presidente del gruppo dell'Italia dei Valori a questa stessa mozione che concretizza una proposta che ci sentiamo di sostenere in maniera convinta (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rugghia. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, siamo molto soddisfatti della larga adesione che la mozione in esame ha ottenuto, attraverso la sottoscrizione di deputati di tutti i gruppi, che hanno concordato sull'esigenza di istituire una Conferenza interparlamentare per la politica estera, di difesa e sicurezza europea. Nella mozione, illustrata dall'onorevole Piero Fassino con molta efficacia, vengono indicati gli obiettivi da raggiungere attraverso questa nuova istituzione, obiettivi che naturalmente dovranno essere condivisi dal Parlamento europeo e dai Paesi che partecipano all'Unione.
Dopo la decisione del 31 marzo 2010 - che, come è stato ricordato, ha portato alla denuncia del Trattato di Bruxelles, che ha istituito l'organizzazione dell'Unione europea occidentale e che comporterà, a conclusione del periodo transitorio di dodici mesi, la scomparsa dell'Assemblea parlamentare dell'organizzazione -, riteniamo necessario affidare alla Conferenza interparlamentare, la cui istituzione viene proposta attraverso la mozione, la funzione di rafforzamento del dialogo, di indirizzo e controllo della politica estera, di difesa e sicurezza, necessaria all'Europa e adeguata agli scenari della situazione internazionale.
L'UEO, l'organizzazione internazionale di sicurezza militare e cooperazione politica dei Paesi dell'Europa occidentale, nata con il Trattato di Bruxelles richiamato, originariamente formata da Gran Bretagna, Francia e Stati del Benelux e successivamente allargata, nel 1954, all'Italia e alla Repubblica federale tedesca, ha svolto un ruolo significativo per il processo di costruzione dell'Europa al fine di promuovere e successivamente rafforzare la cooperazione e la partnership fra i Paesi europei e la NATO.
Dai primi tentativi, avviati negli anni Cinquanta, di istituire una politica europea di sicurezza e difesa all'adozione, nel 1952, dei compiti di Petersberg attraverso l'UEO, ha preso forma, anche se tra mille contraddizioni, la politica europea di sicurezza e difesa: sotto l'egida dell'UEO, che non aveva un suo esercito, ma dipendeva dalla cooperazione dei suoi membri, sono state condotte missioni umanitarie, di protezione civile, di peacekeeping e missioni militari per la gestione delle crisi e la soluzione dei conflitti, soprattutto nell'area dei Balcani.
Attraverso il lavoro svolto dall'Unione europea occidentale durante i profondi cambiamenti a cui abbiamo assistito sulla scena mondiale e nel nostro continente, è stato possibile sviluppare un'identità di sicurezza e difesa europea nell'ambito della NATO ed avviare la costruzione del pilastro europeo della difesa.
L'azione dell'organizzazione dell'Unione dei Paesi dell'Europa occidentale è stata decisiva per affrontare e dirimere i conflitti esplosi nei Balcani, nell'ex Jugoslavia, per allargare le forme di collaborazione e cooperazione della Comunità europea ai Paesi dell'est del continente.
Non è un caso che l'Assemblea parlamentare dell'UEO è stata finora, come è stato ricordato dall'onorevole Fassino, l'unica sede di confronto fra i rappresentanti dei Paesi dell'Unione e dei Paesi candidati, dei Paesi NATO non Unione Pag. 34europea e, in qualità di osservatori, rappresentanti della Russia, dei Paesi dei Balcani e della regione caucasica.
L'azione dell'UEO ha consentito prima di sperimentare e poi di sviluppare la politica europea di sicurezza e difesa quale parte distinta ma ricompresa nella politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea.
Il trasferimento della capacità operativa dall'Unione europea occidentale all'Unione europea, indubbiamente, va considerato un passo avanti decisivo nel processo di integrazione europea.
La fase di transizione, avviata nel 2001, di trasferimento all'Unione europea di compiti e funzioni dell'UEO, è ormai conclusa ed è stata regolamentata definitivamente con il Trattato di Lisbona, in vigore dal 1o dicembre 2009.
Il Trattato di Lisbona dota l'Unione del quadro giuridico e degli strumenti necessari per far fronte alle sfide del futuro e per rispondere alle aspirazioni dei cittadini, potenzia il ruolo dell'Europa come protagonista della scena internazionale e rafforza la capacità d'azione dell'Unione per rendere più incisiva la lotta al terrorismo e per far fronte alle minacce per la pace e per la sicurezza dei popoli.
Il Trattato di Lisbona, che modifica il Trattato sull'Unione europea e quello che istituisce le Comunità europee, prevede di rendere più efficiente l'azione dell'Europa, intervenendo sul quadro istituzionale, sul processo decisionale, sulla ripartizione di compiti e funzioni nei rapporti tra Stati membri ed Unione.
Il Trattato si propone anche di rendere l'Europa più democratica e trasparente, rafforzando il ruolo del Parlamento di Strasburgo e, nel contempo, quello dei Parlamenti nazionali e chiarendo le diverse attribuzioni a livello europeo e dei singoli Paesi.
È in questo contesto che la mozione, sulla quale stiamo discutendo, va considerata e valorizzata. Come giustamente è stato ricordato nel testo, con il Trattato si afferma che i Parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento dell'Unione, attraverso la cooperazione e il dialogo interparlamentare tra i Parlamenti nazionali e quello europeo.
La cooperazione interparlamentare deve essere esercitata in maniera stabile e continuativa, soprattutto, nelle materie della sicurezza e della difesa comune, come previsto dalla mozione, attraverso l'istituzione della Conferenza, altamente rappresentativa, che prevede la partecipazione dei membri delle Commissioni affari esteri del Parlamento europeo e di delegazioni nazionali, contenute nella dimensione, composte da parlamentari di maggioranza e opposizione, di norma membri delle Commissioni affari esteri, difesa e affari europei.
Inoltre, la previsione di riunire la Conferenza due volte l'anno e, straordinariamente, nei casi di necessità e urgenza, garantisce la continuità della collaborazione nell'azione di controllo, di proposta, di indirizzo, che sono proprie della Conferenza.
Riteniamo assolutamente qualificante la scelta contenuta nella mozione, volta ad incoraggiare il confronto e lo scambio interparlamentare in materia di sicurezza e difesa comune, prevedendo, tra l'altro, il diritto di partecipazione ai lavori della Conferenza oltre che per le delegazioni dei Paesi membri anche per quelle dei Paesi candidati all'ingresso nell'Unione europea ed estendendo l'invito alle delegazioni parlamentari di altri Paesi interessati.
Questa formulazione è, peraltro, del tutto in linea con la dichiarazione del Consiglio europeo del 31 marzo 2010.
Il progetto di costruzione dell'Europa che con il Trattato di Lisbona avanza, seppur più lentamente di quanto avremmo voluto, non potrà completarsi senza un'ulteriore cessione di sovranità degli Stati nazionali all'Unione europea, sia per quanto attiene alla politica estera e di sicurezza comune, che con riferimento alla politica europea di sicurezza e difesa. È evidente che, per avere un'Europa sicura in un mondo globalizzato e minacciato dagli estremismi di matrice nazionalistica e religiosa, dal terrorismo internazionale, dai traffici illegali di armi e droga delle organizzazioni criminali, è necessario ampliare Pag. 35la cooperazione tra le singole nazioni e l'Unione europea e tra l'Europa e il resto della comunità internazionale, in un mondo che non è più quello del XX secolo e che continua a caratterizzarsi con un cambiamento che sembra inarrestabile.
Nessun Paese è in grado, da solo, di affrontare i problemi complessi di oggi. Ciò è scritto nel documento che traccia le linee guida delle strategie per la sicurezza internazionale dell'Unione europea, approvato dal Consiglio europeo, ma soprattutto ciò è scritto nella realtà di questo mondo. Anche se con ritardi e contraddizioni, pertanto, il processo di costruzione europea ha determinato fatti nuovi.
Oggi il Consiglio dell'Unione è formalmente competente nella politica di sicurezza e difesa. È stato istituito l'Alto rappresentante della politica estera comune, che sovrintende anche alla politica di sicurezza e difesa, il quale è assistito da strutture di supporto come il Comitato politico di sicurezza, il Comitato militare dell'Unione europea, lo Stato maggiore dell'Unione europea. L'Europa dispone, inoltre, di agenzie ereditate dall'UEO: l'istituto dell'Unione europea per gli studi sulla sicurezza, il centro satellitare dell'Unione europea, la nuova Agenzia europea di difesa.
L'Europa, in quanto tale, è impegnata in numerose missioni militari e di polizia internazionale svolte direttamente e attraverso la cooperazione con la NATO.
Vi sono tutte le condizioni per rendere più efficace la politica europea di sicurezza e difesa e con essa la capacità dell'Unione europea di prevenire e gestire le situazioni di crisi o di conflittualità, dentro e al di fuori dei suoi confini.
Fare ciò significherebbe rafforzare l'Unione come entità politica, evitare duplicazioni e sprechi nella gestione delle crisi, potenziare l'industria e la ricerca e, soprattutto, contribuire a rendere il mondo più sicuro. Signor Presidente, approfitto del dibattito su questa mozione per chiedere al Governo più convinzione, più determinazione e maggiore impegno nel processo di costruzione della difesa europea. Lo dico perché, tra l'altro, il Ministro La Russa, nelle Commissioni difesa riunite di Camera e Senato, del 20 gennaio 2010, ha affermato, con un certo fatalismo, una certa rassegnazione e - non vorremmo - con un certo compiacimento, che realisticamente, per i prossimi 10 o 15 anni, non ci sarà una difesa europea. Noi riteniamo, invece, che ci siano le condizioni per dare maggiore impulso a questo processo, che ormai è avviato e che ha determinato risultati importanti. Riteniamo che ciò corrisponda ai nostri interessi nazionali e all'interesse della pace. Il processo di costruzione dell'Europa e della politica di difesa e sicurezza europea va costruito ogni giorno, passo dopo passo. Questa mozione va in questa direzione e, per questo motivo, la condividiamo e la voteremo in Aula con grande convinzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ruben. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO RUBEN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l'Unione europea ha compiuto una scelta irreversibile verso il rafforzamento della politica estera e di sicurezza comune. La scelta è stata confermata dalla nomina dell'Alto rappresentante, la baronessa Ashton, e dall'istituzione del Servizio europeo per l'azione esterna. Si sono concentrate in tal modo in un'unica struttura le competenze in materia di politica internazionale e di difesa. L'Italia è sempre stata in prima fila nel sostenere l'esigenza del potenziamento della dimensione comunitaria della politica estera e di difesa. Gli scenari internazionali ogni giorno di più rafforzano tale convinzione strategica. Le missioni militari e civili dell'Unione, ormai ben venticinque, hanno dimostrato in Europa e fuori d'Europa l'efficacia della cooperazione ed anche la possibilità dell'integrazione con la NATO. Le nostre Forze armate si sono impegnate con grande successo in questo ambito ed hanno riscosso universale apprezzamento. Si sono gettate le premesse per realizzare il sogno dei Pag. 36padri fondatori dell'Europa che, dopo il secondo conflitto mondiale, avevano progettato la Comunità europea di difesa (CED). Le resistenze degli Stati nazionali, che allora bloccarono il processo di integrazione in questo settore e portarono all'istituzione dell'UEO (Unione dell'Europa occidentale), sono oggi in larga parte superate, ma c'è ancora molta strada da fare. Il Trattato di Lisbona ha infatti rinviato ad una deliberazione successiva del Consiglio europeo la decisione di una politica di difesa comune. Non basta aver dichiarato conclusa l'esperienza dell'UEO con la denuncia del Trattato istitutivo avvenuta a fine marzo. Occorre allora accompagnare politicamente questo processo, garantendo la partecipazione dei Parlamenti nazionali all'indirizzo ed al controllo dell'azione europea nella politica estera e di sicurezza comune. La mozione che oggi discutiamo si pone questo problema ed avanza un'interessante ipotesi di soluzione nell'istituzione di una conferenza interparlamentare ad hoc intesa non come un nuovo - l'ennesimo! - organismo assembleare, ma come un «braccio» di raccordo tra i Parlamenti nazionali degli Stati membri ed il Parlamento europeo. La Conferenza potrà altresì avvalersi dell'esperienza maturata dall'Assemblea parlamentare dell'UEO che aveva già assunto il nome di Assemblea europea per la sicurezza e la difesa, ma che è destinata a venire meno per l'esaurimento della stessa UEO. Questa struttura leggera di cooperazione interparlamentare potrà contribuire a razionalizzare le numerose occasioni di incontro oggi esistenti, che risultano talora piuttosto ridondanti e non hanno un carattere di continuità e quindi di incisività. L'istituenda Conferenza sembra anche la soluzione più opportuna per valorizzare il ruolo delle Commissioni competenti presso ciascuna Assemblea, da cui dovrebbero esserne tratti i membri. Le Commissioni esteri e difesa avrebbero in tal modo un canale privilegiato di raccordo e di interlocuzione a livello europeo, con il coinvolgimento sia dei gruppi di maggioranza che dei gruppi di opposizione. Non può sfuggire a nessuno che la materia della politica estera, della sicurezza e della difesa è sempre più seguita dai popoli europei, che sanno quanta parte del loro futuro dipenda dalla capacità dell'Unione di giocare sulla scena mondiale un ruolo adeguato. I Parlamenti nazionali non possono pertanto abdicare alla loro funzione di indirizzo e controllo, né possono esercitarla soltanto nei confronti dei rispettivi Governi, perché mancherebbe il respiro necessario per il confronto politico e per l'approfondimento dei contenuti strategici. Questa visione è stata chiaramente sostenuta dal Presidente Fini in occasione dell'ultima riunione della Conferenza dei presidenti dei Parlamenti dell'UE, tenutasi a Stoccolma lo scorso 15 maggio.
Sarebbe paradossale che ad un ampliamento delle competenze dell'Unione in questo campo facesse riscontro un indebolimento del controllo parlamentare. Né convince l'alternativa che il Parlamento europeo possa da solo assolvere a tale funzione, stante l'attuale equilibrio istituzionale.
Del resto, la logica del Trattato di Lisbona dovrebbe indurre a superare una volta per tutte ogni ipotesi di concorrenzialità tra il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali. Abbiamo tutti lo stesso interesse, se abbiamo tutti a cuore il rafforzamento della democrazia in seno all'UE ed il suo avvicinamento ai cittadini: creare un sistema parlamentare europeo a rete in cui Bruxelles e le ventisette capitali siano sempre in stretto contatto.
Mi preme sottolineare un altro aspetto importante della mozione, cioè l'apertura della Conferenza non solo agli Stati membri dell'Unione, non solo agli Stati candidati all'adesione, ma anche agli altri Stati interessati. La sicurezza europea è infatti un bene indivisibile, per cui, ferma restando l'autonomia decisionale della stessa Unione, non si potrebbe certo prescindere dall'apporto di Paesi come la Russia e la Turchia.
Il gruppo che rappresento sostiene, quindi, con piena convinzione la mozione in discussione e ringrazia i presentatori, ed in particolare i colleghi - mi spiace che Pag. 37non ci sia il presidente Fassino - della delegazione presso l'Assemblea UEO, che se ne sono fatti promotori.
È anche significativo che un testo analogo sia stato presentato presso l'altro ramo del Parlamento. Un'univoca deliberazione delle due Camere italiane rappresenterebbe un indubbio segnale politico, che sarebbe altamente auspicabile in questa fase di riordino delle competenze istituzionali dell'UE e potrebbe orientare positivamente il dibattito in corso sia nel Parlamento europeo sia negli altri Parlamenti nazionali (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Ruben, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Dozzo. Ne ha facoltà.

GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente - la rivedo con piacere -, onorevoli colleghi, la politica estera e di sicurezza comune, la famosa PESC, è una prerogativa degli Stati membri dell'Unione europea, da decidere a livello intergovernativo, e non una politica di tipo sovranazionale.
Ho voluto iniziare il mio intervento con questo passaggio perché lo ritengo fondamentale. È sempre stato così, signor Presidente, sin dall'istituzione del Trattato, prima di Maastricht e di Amsterdam, e fino al Trattato di Lisbona, che, entrato in vigore lo scorso dicembre, ha riaffermato decisamente il carattere intergovernativo della PESC, comprendendo, ovviamente, tutte le questioni riguardanti la sicurezza e la difesa.
Una politica di tipo intergovernativo di questo genere, stante le complessità e le sensibilità delle tematiche trattate, richiede un serio e accurato controllo di tipo parlamentare da parte dei rappresentanti dei Parlamenti, che hanno la piena competenza per attuare tali controlli; in altre parole, i Parlamenti nazionali degli Stati membri dell'Unione europea. Qui si apre una parentesi, signor Presidente, come dirò successivamente, per quanto riguarda il Parlamento europeo.
I Parlamenti nazionali, come è noto a tutti noi presenti in quest'Aula, votano e approvano i bilanci per la difesa e decidono, spesso dando vita ad un duro, ma necessario, dibattito politico, il dispiegamento di truppe all'estero. Benché il Trattato di Lisbona abbia posto delle modifiche e delle innovazioni importanti nell'ambito della PESC - cito solo, come esempio, il ruolo dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la sicurezza comune e l'istituzione di un Servizio europeo per l'azione esterna, che lo assiste nell'esercizio delle sue funzioni - il Parlamento europeo non risulta avere alcuna competenza fondamentale in questo settore.
Il Trattato impone sì all'Alto rappresentante il dovere di informare e consultare il Parlamento europeo sui principali sviluppi in materia di politica estera e di sicurezza comune, ma nonostante la Commissione esteri e lo stesso Parlamento europeo abbia istituito al suo interno una sottocommissione specifica per le questioni di sicurezza e difesa - tengo a ribadirlo, signor Presidente - il controllo parlamentare di tale politica è di esclusiva competenza dei Parlamenti nazionali.
Il 21 marzo scorso, durante la riunione a Bruxelles del Consiglio permanente dell'Unione europea occidentale (UEO), i dieci rappresentanti dei Paesi firmatari del Trattato di Bruxelles del 1949, che è stato poi modificato, come ricordato da altri, con gli Accordi di Parigi del 1954, hanno di fatto sancito la fine della UEO.
Con la presentazione da parte della Presidenza di turno spagnola di una dichiarazione a nome di tutte le parti contraenti si è espresso che, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l'Unione europea occidentale ha realizzato il suo ruolo storico. Si è quindi deciso di porre fine al trattato e di conseguenza di chiudere e sopprimere l'organizzazione (il Pag. 38Consiglio permanente è stato incaricato di provvedere in tal senso preferibilmente entro la fine di giugno 2011).
Con le sue commissioni, i gruppi politici transnazionali, le missioni conoscitive, i gruppi di lavoro ad hoc, le raccomandazioni politiche e le relazioni parlamentari, nel corso degli anni l'Assemblea dell'Unione europea occidentale ha dimostrato la sua importanza nel controllo interparlamentare della politica europea di sicurezza e di difesa.
Eliminare completamente l'esperienza di un consesso, in cui i rappresentanti de Parlamenti nazionali possono dibattere insieme in modo sistematico e organizzato dei temi della difesa comune, sarebbe un grave errore.
Del resto, attualmente, ai lavori dell'Assemblea, oltre ai 27 membri dell'Unione europea, hanno il diritto di partecipare con prerogative diverse i rappresentanti di Paesi fondamentali nello scacchiere geostrategico internazionale. Non è banale ricordare in questa sede che oltre a Islanda, Norvegia e Turchia, dall'aprile 2008 anche l'Albania e la Croazia fanno parte della NATO, e che, oltre a tutti questi Paesi, partecipano all'Assemblea UEO, in un contesto naturalmente di osservatori, la Federazione Russa, l'Ucraina, i Paesi della ex-Jugoslavia e come membri partner, con lo status di osservatori, l'Armenia, l'Azerbaijan e la Georgia.
Quindi, signor Presidente, piuttosto che eliminare completamente l'esperienza di questa Assemblea o delegare ad organismi, già esistenti in ambito Unione europea con attribuzioni diverse, tali prerogative, sarebbe più corretto e opportuno partire da queste basi e da questi presupposti, che hanno contribuito a pacificare il nostro continente, per creare una struttura più moderna, leggera ed agile, capace di garantire anche ai Paesi candidati o ai membri NATO, che non fanno parte dell'Unione europea, e ai Paesi del nostro vicinato di partecipare, seppur con status diversi, ai lavori e al dialogo interparlamentare nel campo della sicurezza e della difesa.
Ed è per questo che, in vista della prossima sessione dell'Assemblea, che si terrà a fine novembre, e della Presidenza italiana, che guarda caso comincia dal 1o gennaio 2011 - quindi saremo noi italiani a chiudere l'UEO -, è importante che il nostro Parlamento, con la mozione che abbiamo presentato oggi a firma di tutti i gruppi politici, abbia raggiunto una vasta intesa. Si tratta di un'intesa sulla creazione di un organo permanente, dotato di strutture fisse e che permetta di promuovere un modello credibile di controllo su queste tematiche, di crescente importanza per la sicurezza del nostro Paese e dei nostri concittadini.
A questo punto, signor Presidente, concludendo il mio intervento, come Presidente della delegazione italiana presso la UEO, vorrei ringraziare tutti i membri della delegazione, in maniera particolare il parlamentare Fassino che tanto si è dato da fare, dando vita a questa mozione che sarà dibattuta anche nell'altro ramo del Parlamento, al Senato.
Spero quindi che domani sia espresso su tale mozione un voto favorevole da parte di tutti i membri di quest'Aula. La ringrazio, signor Presidente, ed auguro un buon proseguimento dei lavori (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Enzo Scotti.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, l'importanza e la tempestività di questa mozione mi spingono ad alcune brevi considerazioni.
L'Unione europea occidentale, nata nel 1954 sulla base del Trattato di Bruxelles Pag. 39del 1948, ha svolto un ruolo pilota nel promuovere la collaborazione europea nel campo della sicurezza collettiva.
Negli ultimi dieci anni la vicenda istituzionale dell'UEO si è intrecciata strettamente con l'evoluzione e il consolidamento delle istituzioni dell'Unione europea, in particolare della sua politica europea di sicurezza e difesa (PESD), che dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha assunto la denominazione di politica di sicurezza e difesa comune, per sottolineare l'accresciuta solidarietà ed integrazione europea nel campo della difesa.
Con il Trattato di Amsterdam del 1997 la UEO viene definita parte integrante dello sviluppo dell'Unione europea; all'Unione europea vengono progressivamente trasferite le attività operative dell'Unione europea occidentale nel campo della difesa, identificate con i cosiddetti compiti di Petersberg esplicitati nell'articolo 43 del Trattato dell'Unione europea.
L'Alto Rappresentante - allora Solana - assume le funzioni di Segretario generale della UEO, le strutture della UEO (l'istituto per gli studi sulla sicurezza e il centro satellitare) vengono trasferiti all'Unione europea nel 2001. Il successivo Trattato di Nizza elimina dal Trattato sull'Unione europea quasi tutti i riferimenti alle relazioni con la UEO in quanto il processo di integrazione si è ormai sostanzialmente compiuto.
Il processo di assimilazione di funzionari e strutture della UEO nell'Unione europea è stato quindi completato con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, laddove l'articolo 42 punto 7 del Trattato sull'Unione europea ha incorporato il principio di assistenza reciproca in caso di aggressione armata contenuto all'articolo 5 del Trattato di Bruxelles modificato.
Questa disposizione introduce una novità di grande significato nella prospettiva della creazione di un'autentica dimensione europea di difesa: essa è compatibile con il quadro ONU e con l'appartenenza alla NATO, che resta per gli Stati come l'Italia che ne sono membri il fondamento della loro difesa collettiva.
In seguito ad un approfondito dibattito tra i dieci Paesi del Trattato di Bruxelles modificato e ad un consenso raggiunto sulle prospettive dell'organizzazione del Trattato costitutivo della UE, la Presidenza spagnola della UEO ha manifestato con una dichiarazione del 31 marzo scorso a nome dei dieci membri la volontà dei Paesi di porre fine all'attività dell'organizzazione e della sua Assemblea parlamentare entro il 30 giugno 2011.
Pur riconoscendo dunque che la UEO ha ormai assolto la sua funzione politica ed operativa, un aspetto merita di essere approfondito in questa sede: si tratta del ruolo dell'Assemblea dell'Unione dell'Europa occidentale che si è concretizzato, in questi ultimi anni, in un prezioso contributo di riflessione sui temi della PESD.
Esso è destinato ad essere assunto nell'alveo che più gli è congeniale, cioè il Parlamento europeo, che da tempo ormai si adopera affinché gli vengano riconosciuti specifici e più pregnanti poteri anche in questo campo.
In materia di politica di sicurezza e difesa comune i Parlamenti nazionali conservano frattanto un ruolo primario di controllo e di garanzia in conformità con il carattere intergovernativo dei processi decisionali in questo settore.
Il processo che condurrà alla chiusura definitiva della UEO dovrà quindi dare impulso ad una nuova riflessione sul rafforzamento della collaborazione e ad un periodo di raccordo tra i Parlamenti nazionali e fra questi e il Parlamento europeo.
È opportuno continuare ad assicurare il ruolo che spetta ai Parlamenti nazionali in materia di sicurezza e difesa europea, ma anche associarvi i Paesi candidati all'adesione che già contribuiscono generosamente alle operazioni dell'Unione europea di sostegno alla pace e gestione delle crisi e i cui parlamentari già partecipano ai lavori dell'Assemblea della UEO, così come i rappresentanti del Parlamento europeo, seguendo l'esempio offerto dalla Conferenza degli organi specializzati in affari comunitari ed europei dei Paesi dell'Unione europea (la COSAC). Pag. 40
Nelle conclusioni del 26 aprile scorso il Consiglio dell'Unione europea, nel riconoscere il contributo rilevante della UEO allo sviluppo dell'architettura di sicurezza e di difesa europea, ha incoraggiato il rafforzamento del dialogo parlamentare su tematiche di politica estera e di sicurezza. Comunque, lungo le linee sopra citate, il Governo favorisce ogni iniziativa di dialogo che vada in questo senso.
Per queste ragioni esprimo il pieno consenso del Governo allo spirito della mozione e ne sottolineo la sua importanza nella riflessione che si sta svolgendo a livello di tutti i Paesi dell'Unione europea.
Rivolgo un ringraziamento per l'impegno all'onorevole Fassino e a tutti i capigruppo di questa Camera, nonché a colui che fino al prossimo anno rappresenterà ancora la delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare della UEO.
Sullo specifico impegno riguardante l'Esecutivo, peraltro correttamente formulato, è opportuno sottolineare che l'azione dei Governi si svolge lungo le linee delle conclusioni adottate dal Consiglio affari esteri dell'Unione europea lo scorso 26 aprile; e, come è naturale, il Governo non può che lasciare al Parlamento europeo ed ai Parlamenti nazionali la definizione, in coerenza con i principi generali approvati, di modalità e strumenti operativi più idonei per la ricerca di soluzioni in tema di dialogo parlamentare.
Credo che il Parlamento italiano abbia fatto bene a formulare la mozione in esame, e a dare indicazioni utili al dibattito negli altri Parlamenti europei e nello stesso Parlamento europeo.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Proposta di trasferimento a Commissione in sede legislativa di una proposta di legge (18,58).

PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, della seguente proposta di legge, della quale la sotto indicata Commissione, cui era stata assegnata in sede referente, ha chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che propongo alla Camera a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento:
alla XI Commissione (Lavoro):
PIANETTA e PICCHI: «Disposizioni concernenti la definizione della funzione pubblica internazionale e la tutela dei funzionari italiani dipendenti da organizzazioni internazionali» (3241).

Sull'ordine dei lavori (ore 19).

CALOGERO MANNINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALOGERO MANNINO. Signor Presidente, desidero comunicare al Presidente e all'Assemblea di aver inviato una lettera all'onorevole Giuseppe Pisanu, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, che leggerò.
«Illustre presidente, premetto di essere stato molto favorevolmente impressionato dalla lettura del testo delle sue comunicazioni il 30 giugno 2010 alla Commissione che presiede, sui grandi delitti e le stragi di mafia 1992-93. È un testo inusuale nella stessa tradizione dell'attività a cui è preposta la Commissione, di grande lucidità ed utilità politica. Nel più attento rispetto dei delicati confini che l'argomento, o meglio gli argomenti che intessono la comunicazione stessa, intrecciano con le indagini giudiziarie e processi in corso, ella si sforza di identificare delle linee a logiche unitarie, per giungere a valutazioni pertinenti sui fatti indicati nel titolo.
Ho trovato opportuno, anche ai fini delle indagini in corso e senza la pretesa di darne linee esterne, e anche molto utile, il quadro sinottico degli avvenimenti determinanti, distinguendoli in eventi delittuosi ed eventi politici. Però ritengo che sia Pag. 41opportuno integrare il quadro delle correlazioni con avvenimenti che vengono invece ignorati. Credo, e l'indicherò subito, che meritino un'attenta considerazione, e quindi un'adeguata evidenziazione.
Giugno 1989, vengono indicati due avvenimenti importanti: il 19, attentato all'Addaura al dottor Falcone; nomina a procuratore aggiunto dello stesso. Vi sono due episodi di grande rilievo che si svolgono in quel contesto temporale: in primo luogo, la diffusione di uno scritto anonimo, chiamato «del Corvo numero 1», in cui si espone il caso della presenza autorizzata dalle competenti autorità nel territorio di Palermo del collaboratore Salvatore Contorno, presenza che si accompagna ad alcuni misfatti criminosi dallo stesso perpetrati. Addirittura, lo ripeto, lo scritto anonimo ipotizza che il Contorno potesse averli compiuti con la piena scienza delle autorità, che avevano autorizzato e permesso la sua presenza a Palermo.
Di questo anonimo, che diede luogo ad una vicenda giudiziaria rivelatasi priva di fondamento, venne data una lettura politica: rappresentava un attacco alla gestione dei pentiti, in quel tempo non disciplinata ancora in modo preciso da leggi dello Stato. Il dottor Giovanni Falcone, dopo aver sottoposto ad interrogatori ed accertamenti articolati e precisi (secondo motivo che intendo rilevare) incriminò per falsa testimonianza e calunnia tale Pellegriti Giuseppe, rivelatosi un falso pentito pilotato in quelle circostanze. L'episodio venne letto come un attacco strumentale a Falcone, nella forma della provocazione a duplice alternativo effetto.
Quel che è certo è che l'episodio dimostrò che i collaboranti di giustizia potevano essere fallaci e falsi, e soprattutto eterogestiti. I tre episodi vanno collegati come punti di una stessa strategia di attacco al dottor Falcone e al suo lavoro investigativo giudiziario che aveva riportato, proprio in quel tempo, grandi risultati compendiati dal maxiprocesso allora in via di definizione. Terzo episodio che intendo segnalare: quando il dottor Falcone viene nominato Direttore generale degli affari penali e, per la sua iniziativa, il Governo Andreotti adotta alcuni provvedimenti, puntualmente indicati nella colonna degli eventi politici, presso le procure di Trapani e Marsala esplode il caso Spatola. Ricordo brevemente: vengono pubblicate su un periodico alcune dichiarazioni verbali che il collaborante Spatola avrebbe fatto ad un magistrato sostituto della procura di Trapani. Ma il collaborante Spatola in verità era stato a lungo compulsato ed interrogato dal dottor Borsellino, procuratore di Marsala. Al dottor Borsellino Rosario Spatola non aveva fatto le dichiarazioni che invece poi risulterebbero nel verbale stilato da questo sostituto della procura di Trapani. Questo fatto era come dimostrare che un collaborante poteva dichiarare una cosa ad un magistrato e non averla dichiarata ad un altro. In questo caso si sarebbe evidenziato il comportamento di Borsellino (che reagì molto energicamente anche con interviste, compresa una su l'Unità), che si voleva colpire in modo preciso. Ma vi fu anche la reazione del dottor Falcone su quest'episodio, ed è testimoniata da un articolo che lo stesso pubblicò sulle colonne del quotidiano La Stampa di Torino, articolo che metteva in evidenza, cioè sventava, il tentativo di ledere la condotta del procuratore Paolo Borsellino come mezzo al fine, cioè per colpire Falcone stesso.
In termini semplici appare evidente che Cosa Nostra dal 1989 sviluppa una strategia criminale rivolta a mettere in discussione la possibilità di utilizzare i pentiti, e soprattutto ad evitare che la gestione degli stessi possa essere assegnata a Falcone (in quel tempo si preparava poi l'istituzione della Procura nazionale antimafia, per la quale era annunciata già la candidatura dello stesso), o ad altri magistrati dei quali Falcone aveva grande considerazione professionale e stima (come Paolo Borsellino). In quel tempo la gestione dei collaboranti di giustizia non era disciplinata - ripeto - da leggi ed era sostanzialmente affidata alle cure di un organismo amministrativo, poi soppresso. Al centro allora di ogni possibile trattativa (che è un tema adombrato nelle comunicazioni del presidente Pag. 42Pisanu), se mai vi è stata (ed in quali termini e in quali tempi non è precisato), mi sembra allora ovvio dedurre che il tema gestione dei pentiti era importante ed era centrale nelle preoccupazioni e nelle manovre intriganti di Cosa Nostra. Nessun «papello» ne parla, ma ne parlano i fatti così come vengono rassegnati nella logica della relazione da lei svolta e del quadro sinottico di confronto che la integra.
Infine vi è un episodio che ritengo ancora al centro di indagini giudiziarie ed è quello relativo allo scritto dell'anonimo del «corvo» numero 2. Analogamente al primo, traccia uno scenario che intende intercettare ed orientare in modo diversivo le indagini giudiziarie. Appena qualche giorno prima della strage di via D'Amelio il dottor Borsellino si era preoccupato di questo scritto anonimo. Ne fa fede la dichiarazione rilasciata dallo stesso Paolo Borsellino ai quotidiani di quei giorni. Non ritiene, illustre presidente, di prendere in considerazione queste suggestioni? Il mio proponimento è quello di concorrere, sul piano della memoria politica, alla ricerca della verità. È mio dovere rassegnarle queste opinioni, anche nella forma della comunicazione parlamentare che - grazie alla Presidenza - ho potuto leggere.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 15 settembre 2010, alle 11:

(ore 11 e al termine del punto 6)

1. - Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge C. 3241.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Presidenza dell'Iniziativa centro-europea - InCE - sull'istituzione del Segretariato esecutivo InCE a Trieste, fatto a Vienna il 29 maggio 2009 (C. 3625).
- Relatore: Antonione.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Evangelisti ed altri n. 1-00424, Antonione ed altri n. 1-00430, Pezzotta ed altri n. 1-00431, Lo Monte ed altri n. 1-00432 e Tempestini ed altri n. 1-00433 concernenti adempimenti ed iniziative dell'Italia nell'ambito degli «obiettivi di sviluppo del millennio» in vista del vertice delle Nazioni Unite del 20-22 settembre 2010.

4. - Seguito della discussione della mozione Cicchitto, Franceschini, Reguzzoni, Casini, Bocchino, Donadi ed altri n. 1-00423 concernente iniziative per l'istituzione di una Conferenza interparlamentare per la politica estera, di difesa e sicurezza europea.

(ore 15)

5. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

(ore 16)

6. - Informativa urgente del Governo sull'assassinio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo.

PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla XI Commissione (Lavoro):
PIANETTA e PICCHI: «Disposizioni concernenti la definizione della funzione pubblica internazionale e la tutela dei funzionari italiani dipendenti da organizzazioni internazionali» (C. 3241).

(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

La seduta termina alle 19,10.

Pag. 43

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO ALESSANDRO RUBEN IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE PER L'ISTITUZIONE DI UNA CONFERENZA INTERPARLAMENTARE PER LA POLITICA ESTERA, DI DIFESA E SICUREZZA EUROPEA

ALESSANDRO RUBEN. Onorevoli colleghi, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l'Unione europea ha compiuto una scelta irreversibile verso il rafforzamento della politica estera e di sicurezza comune.
La scelta è stata confermata dalla nomina dell'Alto Rappresentante, la baronessa Ashton, e dall'istituzione del Servizio europeo per l'azione esterna. Si sono concentrate in tal modo in un'unica struttura le competenze in materia di politica internazionale e di difesa.
Del resto, il Trattato sull'Unione europea recita oggi, all'articolo 28A, che «la politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune».
L'Italia è sempre stata in prima fila nel sostenere l'esigenza del potenziamento della dimensione comunitaria della politica estera e di difesa. Gli scenari internazionali ogni giorno di più rafforzano tale convinzione strategica. Le missioni militari e civili dell'Unione, ormai ben 25, hanno dimostrato in Europa e fuori d'Europa l'efficacia della cooperazione ed anche la possibilità dell'integrazione con la NATO. Le nostre forze armate si sono impegnate con grande successo in questo ambito ed hanno riscosso universale apprezzamento.
Si sono gettate le premesse per realizzare il sogno dei padri fondatori dell'Europa che, dopo il secondo conflitto mondiale, avevano progettato la Comunità europea di difesa (CED).
Le resistenze degli Stati nazionali, che allora bloccarono il processo di integrazione in questo settore e portarono all'istituzione dell'UEO (Unione per l'Europa occidentale), sono oggi in larga parte superate, ma c'è ancora molta strada da fare. Il Trattato di Lisbona ha infatti rinviato ad una deliberazione successiva del Consiglio europeo la decisione di una politica di difesa comune.
Non basta aver dichiarato conclusa l'esperienza dell'UEO con la denuncia del trattato istitutivo avvenuta a fine marzo. Occorre allora accompagnare politicamente questo processo, garantendo la partecipazione dei Parlamenti nazionali all'indirizzo ed al controllo dell'azione europea nella politica estera e di sicurezza comune.
La mozione che oggi discutiamo si pone questo problema ed avanza un'interessante ipotesi di soluzione nell'istituzione di una Conferenza interparlamentare ad hoc intesa non come un nuovo - l'ennesimo! - organismo assembleare, ma come un «braccio» di raccordo tra i Parlamenti nazionali degli Stati membri ed il Parlamento europeo.
La Conferenza potrà altresì avvalersi dell'esperienza maturata dall'Assemblea parlamentare dell'UEO che aveva già assunto il nome di «Assemblea europea per la sicurezza e la difesa», ma che è destinata a venire meno per l'esaurimento della stessa UEO.
Questa struttura leggera di cooperazione interparlamentare potrebbe contribuire a razionalizzare le numerose occasioni di incontro oggi esistenti, che risultano talora piuttosto ridondanti e non hanno un carattere di continuità e quindi di incisività.
L'istituenda Conferenza sembra anche la soluzione più opportuna per valorizzare il ruolo delle Commissioni competenti presso ciascuna Assemblea, da cui dovrebbero esserne tratti i membri. Le Commissioni esteri e difesa avrebbero in tal modo un canale privilegiato di raccordo e di interlocuzione a livello europeo, con il coinvolgimento sia dei gruppi di maggioranza che dei gruppi di opposizione.
Non può sfuggire a nessuno che la materia della politica estera, della sicurezza e della difesa è sempre più seguita dai popoli europei che sanno quanta parte Pag. 44del loro futuro dipenda dalla capacità dell'Unione di giocare sulla scena mondiale un ruolo adeguato.
I Parlamenti nazionali non possono pertanto abdicare alla loro funzione di indirizzo e controllo, né possono esercitarla soltanto nei confronti dei rispettivi governi, perché mancherebbe il respiro necessario per il confronto politico e per l'approfondimento dei contenuti strategici.
Questa visione è stata chiaramente sostenuta dal Presidente Fini in occasione dell'ultima riunione della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell'UE tenutasi a Stoccolma lo scorso 15 maggio.
Sarebbe paradossale che ad un ampliamento delle competenze dell'Unione in questo campo facesse riscontro un indebolimento del controllo parlamentare. Né convince l'alternativa che il Parlamento europeo possa da solo assolvere a tale funzione, stante l'attuale equilibrio istituzionale.
Del resto, la logica del Trattato di Lisbona dovrebbe indurre a superare una volta per tutte ogni ipotesi di concorrenzialità tra il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali. Abbiamo tutti lo stesso interesse se abbiamo tutti a cuore il rafforzamento della democrazia in seno all'UE ed il suo avvicinamento ai cittadini: creare un sistema parlamentare europeo a rete in cui Bruxelles e le ventisette capitali siano sempre in stretto contatto.
Mi preme sottolineare un altro aspetto importante della mozione, e cioè l'apertura della Conferenza non solo agli Stati membri dell'Unione, non solo agli Stati candidati all'adesione, ma anche agli altri Stati interessati. La sicurezza europea è infatti un bene indivisibile per cui, ferma restando l'autonomia decisionale della stessa Unione, non si potrebbe certo prescindere dall'apporto di paesi come la Russia e la Turchia.
Il gruppo che rappresento sostiene quindi con piena convinzione la mozione in discussione e ringrazia i presentatori ed in particolare i colleghi della delegazione presso l'Assemblea UEO che se ne sono fatti promotori.
È anche significativo che un testo analogo sia stato presentato presso l'altro ramo del Parlamento. Un'univoca deliberazione delle due Camere italiane rappresenterebbe un indubbio segnale politico che sarebbe altamente auspicabile in questa fase di riordino delle competenze istituzionali dell'UE e potrebbe orientare positivamente il dibattito in corso sia nel Parlamento europeo che negli altri Parlamenti nazionali.