XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 301 di giovedì 18 marzo 2010

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 9,35.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Brambilla, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Caparini, Casero, Casini, Cicchitto, Cirielli, Craxi, Crimi, D'Alema, Donadi, Franceschini, Gibelli, Alberto Giorgetti, La Russa, Lo Monte, Mantovano, Martini, Mazzocchi, Menia, Migliavacca, Molgora, Leoluca Orlando, Pescante, Ravetto, Romani, Sardelli, Scajola, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Urso, Valducci e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative per incrementare le risorse destinate al settore della sicurezza pubblica - n. 2-00645)

PRESIDENTE. L'onorevole Fiano ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00645, concernente iniziative per incrementare le risorse destinate al settore della sicurezza pubblica (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

EMANUELE FIANO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Mantovano, mi fa piacere che sia lui a rispondere, sono certo che la sua sarà una risposta seria. Anche se magari non saremo d'accordo, è sempre bene dialogare tra persone delle quali si stima la serietà.
L'interpellanza che i sottoscrittori pongono al Governo riguarda un tema molto delicato che tutto il Paese sente come proprio, il tema della sicurezza. La sicurezza ha necessità di finanziamenti per le forze dell'ordine e per il comparto più in generale. Noi interpellanti ci siamo rivolti al Governo perché le prove dei tagli sul comparto di spesa sono molto evidenti e ci chiediamo, quindi, quali ricadute questi tagli avranno nella tenuta del sistema, nella qualità del servizio e anche nella qualità della vita dei lavoratori che si occupano del comparto della sicurezza, lavoratori impegnati nell'esercizio e nello svolgimento della difesa dell'ordine pubblico.
Come recita il testo della nostra interpellanza, nel 2010 sono previsti oltre 630 milioni di euro di tagli negli impegni di spesa per le voci «ordine pubblico e sicurezza» e «difesa e sicurezza del territorio»; nel 2011 gli ammanchi previsti sono pari ad oltre 1,1 miliardi di euro.
Con la sottrazione di tali finanziamenti paiono evidenti le difficoltà di garantire il Pag. 2funzionamento dei servizi istituzionali, assicurando nel contempo un costante ed efficace livello di operatività degli agenti.
C'è, inoltre, un tema particolare che noi sottolineiamo nell'interpellanza, quello dell'invecchiamento delle forze di sicurezza che porterà per questioni oggettive al pensionamento di 15 mila agenti di polizia nei prossimi cinque anni, a fronte del quale non risulta allo stato che sia stato previsto alcun piano di assunzioni teso a rafforzare gli organici delle forze dell'ordine.
Faccio una parentesi politica, signor Presidente, signor sottosegretario e colleghi numerosi che assiepate quest'Aula: è ovvio che se, a fonte di questa oggettiva diminuzione del personale impegnato per mancanza di finanziamenti, il Governo dovesse intendere sopperire con altre forme di organizzazione della difesa del territorio - penso alle ronde o anche alla questione dell'impiego di forze dell'esercito nazionale per scopi di polizia - noi ci troveremo di fronte non al tema di questa interpellanza, una critica nel merito alle voci di spesa tagliate in bilancio; ci troveremo, invece, di fronte ad un dibattito che abbiamo già svolto in molte altre sedi di tipo politico che ci trova contrari nel merito, per esempio con la sostituzione dei compiti assegnati alle forze dell'ordine dello Stato con l'impiego di ronde o di gruppi di civili che abbiano scopi quanto meno paragonabili a quelli che dovrebbero avere le istituzioni del nostro Paese.
Quindi, nella nostra interpellanza c'è la necessità di avere risposte, da un lato, sull'entità effettiva di questi tagli e sugli effetti che gli stessi avranno sull'efficienza del sistema e, dall'altro, con riferimento alla parentesi che ho inserito, sull'ipotesi che questi tagli in parte siano sopperiti da altre prospettive di tipo politico, cioè da altre scelte che non riguardano l'impiego di forze di polizia dello Stato o comunque di forze dell'ordine del sistema e del comparto.
Ovviamente nella nostra interpellanza sottolineiamo anche un dato, cioè quello che il quadro economico nella stessa prospettato, caratterizzato dai tagli che abbiamo evidenziato, produce una difficoltà oggettiva per i lavoratori dello Stato che dedicano la loro vita alla difesa dell'ordine e della sicurezza di tutti noi cittadini di questo Paese. Le condizioni economiche difficili riguardano le migliaia di servitori dello Stato e le loro famiglie con le loro difficoltà ad arrivare in alcuni casi anche alla fine del mese.
Nella nostra interpellanza chiediamo quali siano le prospettive che il Governo si pone di fronte; se intenda procedere ad una seria revisione da subito degli investimenti destinati a questo settore e quali iniziative abbia intenzione di adottare per il tema del pensionamento di moltissimi lavoratori nel settore della pubblica sicurezza.
Con riferimento ad una questione specifica chiediamo per quale motivo non si procederà - così è stato annunciato - al pagamento delle prestazioni di lavoro straordinario rese nel 2010.
Infine, rivolgiamo una domanda specifica su quali siano le cifre nette che riguardano gli aumenti destinati ai lavoratori pubblici nel comparto della sicurezza.
Per quel che riguarda l'entità dell'organico - concludo su questo aspetto, signor Presidente e signor sottosegretario - il taglio che noi riscontriamo nei capitoli di spesa nel confronto tra il 2010 e il 2009 (mi riferisco ai capitoli 2501, 2521 e 2522) nelle spese per il personale della Polizia di Stato, è un passaggio da 5.165.708.509 euro a 4.961.218.430 euro per una riduzione, solo in questa parte del comparto, di 204.490.079 euro.
Questo taglio trova giustificazione nella diminuzione del personale per pensionamento senza sostituzione - riteniamo noi - e quindi si stima che l'organico della Polizia di Stato si ridurrà entro il 2010 - almeno noi lo stimiamo - di ulteriori 4 mila unità, e che dunque l'organico complessivo delle forze scenderà a poco più di 92 mila unità.
Ricordo - anche se non lo devo ricordare certo al sottosegretario che lo sa benissimo - che la normativa dell'organico prevede circa 105 mila unità impegnate; Pag. 3che nello scorso febbraio il capo della polizia annunciava che la forza ammontava a circa 97 mila unità.
Nel 2009 si sono registrati circa 2 mila 600 pensionamenti, nel 2010 ci dovrebbe essere l'arruolamento di circa 800 unità provenienti dai concorsi dell'anno scorso con circa, come dicevo, 4 mila pensionamenti nel bilancio di previsione del 2010. Quindi, si tratta di un numero che noi riteniamo che al 31 dicembre 2010 dovrebbe essere di circa 92 mila poliziotti.
Come vede, signor sottosegretario, nella nostra interpellanza abbiamo elencato dati oggettivi che provengono dalle voci di bilancio che ci preoccupano, sia per la questione generale dell'efficienza e della tenuta del comparto che deve garantire sicurezza, serenità e pace ai cittadini italiani, sia anche per le condizioni oggettive difficili di vita dei servitori dello Stato, dei poliziotti, dei lavoratori del comparto che garantiscono la sicurezza al nostro Paese e delle loro famiglie.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Alfredo Mantovano, ha facoltà di rispondere.

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, mi permetterà di ringraziare l'onorevole Fiano per aver concordato il rinvio ad oggi della risposta a questa interpellanza della scorsa settimana, dovuto alla contestualità degli impegni che in questo momento vedono il mio Ministero impegnato su più fronti nel Parlamento.
Vorrei ringraziare l'onorevole Fiano anche perché con la sua interpellanza dà l'occasione per illustrare una serie di dati e per fornire delle precisazioni su una questione che per il Governo è delicata ed ha un'importanza strategica.
Nella risposta vorrei partire dalla situazione che abbiamo trovato nel maggio 2008, allorché la nostra condizione non è stata quella di chi inizia una corsa dal nastro di partenza, ma di chi si ritrova molti metri prima. Abbiamo trovato voci significative, numerosissime, di locazioni che da tempo non venivano pagate, di situazioni debitorie non onorate e di organici delle forze di polizia, sia a livello nazionale sia sul territorio, che registravano una carenza media pari a circa il 10 per cento.
Questa eredità, purtroppo, non si è potuta ricevere con il beneficio di inventario e tutto questo è avvenuto in un quadro di insieme che ha visto le forze di polizia rispetto al momento in cui gli organici sono stati definiti, all'incirca venti anni fa, molto più impegnate.
Venti anni fa non c'era il carico di lavoro che c'è oggi nella prevenzione e nel contrasto all'immigrazione clandestina, non c'era l'aggressione derivante dal terrorismo di matrice islamica, non c'era quella maturazione di servizi e di presenza sul territorio che cade sotto il nome di polizia di prossimità.
Vorrei dire subito che il Governo si sente fortemente impegnato ed è impegnato a ripianare questo deficit. Il punto di partenza è quello di progressive assunzioni a tempo indeterminato, che sono state già avviate: 1.906 unità nel 2008, circa 2.500 nel 2009, altre da quantificare nel 2010. La legge finanziaria per il 2010 ha disposto la copertura per il triennio 2010-2012 del turnover del personale dei corpi di polizia e del corpo nazionale dei vigili del fuoco, con risorse destinate a regime a 600 milioni di euro annui. In particolare, 515 milioni di euro per le forze di polizia e 85 milioni di euro per i vigili del fuoco. Parlo anche dei vigili del fuoco perché riteniamo che nel comparto, nel suo insieme, non possa essere esclusa questa importante componente, che viene in gioco molto spesso, soprattutto in situazioni di crisi e di emergenza.
È la prima volta dopo tanti anni che viene garantito il turnover. Ovviamente il turnover si intende da oggi in avanti: non significa riuscire immediatamente a colmare il deficit maturato negli anni precedenti. È un problema che è all'attenzione e ci auguriamo di poter affrontare, ma intanto credo che non sia da trascurare la garanzia determinata dalla ripresa del turnover. Pag. 4
Vorrei essere molto chiaro sul punto evocato dall'onorevole Fiano nel corso della sua esposizione: il Governo non intende in alcun modo, neanche parzialmente, surrogare o integrare il lavoro delle forze di polizia con il contributo di privati o dei militari.
Il contributo dei militari, del quale il Governo ovviamente è grato, è stabilito dalle norme di legge che sono state approvate dal Parlamento ed è un contributo straordinario, limitato temporalmente e orientato ad alcuni compiti specifici.
Quella delle cosiddette ronde non è stata una trovata surrogatoria, ma una disciplina che, tra norma primaria e decreto di attuazione, ha avuto come primo effetto quello di indurre tanti volontari, che meritoriamente prestano il loro servizio di mera osservazione per la sicurezza, a rivedere l'adeguamento delle loro strutture alle regole che sono state poste.
Quindi, si è andati in una direzione di razionalizzazione e di disciplina, non certo di apertura, e soprattutto di apertura indiscriminata. La stessa regolamentazione ha riguardato, come certamente è noto, coloro che svolgono un contributo molto particolare alla sicurezza all'interno dei locali di intrattenimento attraverso un decreto ministeriale di attuazione, che ha posto fine a una serie di abusi, ma questa è l'ottica degli interventi del Governo e, per la parte di carattere più generale, del Parlamento.
Tornando al discorso delle risorse, non vi è alcun disinvestimento massiccio; da questo punto di vista, mi permetto di invitare a non eseguire raffronti tra poste di bilancio, quando queste ultime contengono dati non omogenei tra di loro. Per esempio, non può essere operata una comparazione tra le previsioni iniziali dell'anno in corso e il bilancio assestato nel 2009, perché quest'ultimo registra, ovviamente, delle variazioni in aumento, che sono intervenute nei diversi settori di spesa.
Ricordo, solo a titolo di esempio, le risorse straordinarie che nel 2009, a seguito dell'approvazione del cosiddetto decreto anticrisi, sono state assegnate per ripianare totalmente situazioni debitorie pregresse, nonché le risorse aggiuntive che, sempre nel corso dell'anno, sono state assegnate come anticipazioni del Fondo unico di giustizia.
Ma la stessa legge di bilancio del 2010 prevede, come cercherò di documentare tra un momento, riduzioni in termini puramente nominali riguardanti solo singole voci di spesa legate alla scadenza di alcune autorizzazioni pluriennali, quali i mutui, che vengono estinti, o le locazioni di immobili cessate. Nel momento in cui la voce locazione di un immobile, che non è più utilizzato, viene meno, viene registrata un'entità in meno nel bilancio, ma questo non significa che il bilancio si riduca. La stessa legge di bilancio prevede, poi, significativi incrementi nelle voci finalizzate proprio ad assicurare un'efficace operatività delle forze di polizia.
Dunque, è vero che le dotazioni di bilancio del 2009 hanno subito gli effetti della manovra di contenimento adottata con il decreto-legge n. 112 del 2008, con il quale sono stati ridotti gli stanziamenti di bilancio di tutte le amministrazioni statali per il triennio 2009-2011 a seguito delle note vicende della crisi finanziaria, ma è altrettanto vero che il bilancio 2009 ha presentato inizialmente risorse superiori del 9,10 per cento rispetto a quelle del 2008.
Tale incremento si è prevalentemente concentrato nell'ambito delle spese obbligatorie, 576 milioni di euro per stipendi e oneri riflessi, in gran parte derivanti dalla cosiddetta coda contrattuale, e per l'istituzione del Fondo per la sicurezza urbana, 100 milioni di euro. Questo fondo è stato destinato alla realizzazione da parte dei comuni di iniziative per il potenziamento della sicurezza urbana e per la tutela dell'ordine pubblico.
Ricordo anche che, dopo il cosiddetto decreto-legge anticrisi, il Ministero dell'economia e delle finanze ha assegnato risorse straordinarie per la copertura dei debiti formatisi per le riduzioni degli stanziamenti effetto dei tagli lineari: si tratta dei debiti maturati negli anni 2007 e 2008 per un importo complessivo di oltre 405 Pag. 5milioni di euro. Si sono totalmente ripianate, in questo modo, le situazioni debitorie, e anche questo è un risultato che è stato raggiunto per la prima volta dopo qualche anno di seria sofferenza.
Sempre per il 2009, sono state assegnate risorse aggiuntive come anticipazioni dal Fondo unico di giustizia, come noto alimentato dal contante e dal monetizzabile derivante dai beni sequestrati e confiscati. Per il Dipartimento di pubblica sicurezza l'assegnazione derivante dal Fondo unico di giustizia per il solo 2009 - adesso apriamo il capitolo del 2010 - è stato pari a 76 milioni di euro, destinati a coprire il fabbisogno di settori di spesa che presentavano un'insufficienza di fondi.
Ribadisco però che, venendo alla legge di bilancio per il 2010, il bilancio va letto (spero mi sia consentita questa precisazione, che è superflua) non arrivando subito alle somme conclusive, altrimenti il prezzo di questa semplificazione è l'incomprensione, ma articolandolo in tutta la sua dinamica. Vi è una riduzione per il 2010 pari a circa il 3,4 per cento rispetto al 2009, ma essa è in termini puramente nominali perché riguarda voci di spesa che sono state diminuite per motivi contingenti. Ad esempio: stipendi ed oneri riflessi, meno 254,8 milioni di euro; tale riduzione non deriva da una riduzione degli stipendi, deriva dalla riduzione del personale in servizio.

EMANUELE FIANO. Lo so!

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Proprio per questo stiamo garantendo il turnover, lo ripeto, per la prima volta. Non è stato ancora rifinanziato il Fondo per la sicurezza urbana, e quindi sono meno 100 milioni di euro rispetto al 2009, ma abbiamo la seria intenzione di farlo con le manovre di assestamento in corso di annualità. Vi è stata la naturale scadenza di alcune rate di mutuo accese ai sensi della legge n. 217 del 1992, per un importo complessivo di 119 milioni di euro, ormai definite, e quindi non dovute e per questo non più appostate in bilancio; ma questa non è una perdita effettiva: è semplicemente un'appostazione nominale.
La somma di tali riduzioni, che potrei definire fisiologiche, ammonta a circa 479 milioni di euro, quindi non circa 630 come è stato detto; ma a fianco di questa vi sono voci di sostanza che hanno ricevuto un significativo incremento: fra esse quelle finalizzate ad assicurare un'efficace azione delle forze di polizia nella prevenzione generale della criminalità. Ad esempio: acquisto di mezzi e di natanti: più 45 milioni di euro, e queste sono spese di investimento, i cui effetti vanno oltre l'attuale annualità; compensi per lavoro straordinario: più 69,1 milioni di euro (si tratta semplicemente dell'aggiunta, dirò poi la somma complessiva); spese per missioni nazionali: più 1,9 milioni di euro; realizzazione banca dati DNA: più 1,8 milioni di euro; adeguamento buoni pasto pubblica sicurezza: più 4,2 milioni di euro; indennità di ordine pubblico: più 35,2 milioni di euro; manutenzione degli automezzi: più 5,4 milioni di euro.
Facendo il calcolo complessivo, alla luce di questi incrementi la diminuzione non è più quella virtuale di 479 milioni di euro, ma è di 264 milioni 515 mila euro; ma se quei 479 milioni di euro erano una diminuzione semplicemente nominale, in realtà arrivando a questa cifra complessiva vi è un di più a disposizione sostanziale.
Ancora, per sopperire ad eventuali deficienze degli stanziamenti iniziali per il 2010 per la copertura dei cosiddetti consumi intermedi sarà possibile ricorrere ai fondi amministrati dal Ministero dell'interno destinati a tale categoria di spesa: per esempio il Fondo consumi intermedi ed il Fondo esigenze correnti. Qualora si manifestassero situazioni contingenti ed imprevedibili, si potrà fare ricorso al Fondo spese impreviste amministrato dal Ministero dell'economia e delle finanze. Per esigenze di prevenzione e di contrasto alla criminalità sono destinati, oltre agli stanziamenti ordinari, anche appositi finanziamenti, tra cui il già menzionato Fondo unico giustizia.
Se l'importo che si è potuto erogare nel 2009 sulla base della prima contabilizzazione Pag. 6è stato, come ricordavo prima, di 76 milioni di euro, la quantificazione delle somme sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata e disponibile, in quanto contante o monetizzabile, alla data del 31 dicembre 2009 è arrivata a 1.592 milioni di euro (tale somma, in questo momento, è ulteriormente cresciuta).
Vi sarà quindi la possibilità di attingere al Fondo unico giustizia (destinato come è noto per metà alle esigenze delle forze di polizia, per metà a quelle dell'amministrazione giudiziaria) in misura certamente più consistente rispetto al 2009.
Rendo ora qualche ulteriore elemento di dettaglio. Nell'ambito delle risorse provenienti dal Fondo per le urgenti necessità di tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, è stato pianificato l'acquisto per il 2010 di 250 autovetture per il controllo del territorio, di 80 autovetture per le esigenze della polizia stradale e di 36 autovetture per quelle della polizia ferroviaria (cui si aggiunge la voce, già prima segnalata, dei 45 milioni di euro aggiuntivi per l'acquisto di mezzi e natanti).
La legge di bilancio ha previsto anche per il 2010 uno stanziamento di 24 milioni di euro, invariato rispetto al 2009, per l'acquisto di vestiario e materiale di equipaggiamento speciale per il personale della Polizia di Stato. Sempre la stessa legge finanziaria ha disposto l'incremento di 100 milioni di euro dei fondi già stanziati per il rinnovo del contratto relativo al biennio 2008-2009, al fine di riconoscere la specificità e la funzione del ruolo del personale appartenente al comparto sicurezza e difesa. Se questo contratto non è ancora sottoscritto è proprio perché è ferma intenzione del Governo andare oltre questa disponibilità di 100 milioni di euro (e ciò è ben noto alle organizzazioni sindacali del settore, con le quali vi è un confronto aperto anche sul punto).
La legge finanziaria ha altresì previsto, sempre al fine di corrispondere adeguamenti economici da corrispondere al personale del comparto sicurezza e difesa, lo stanziamento di ulteriori 79 milioni di euro per il 2010, di 135 milioni per il 2011 e di 214 milioni per il 2012.
Signor Presidente, onorevoli interpellanti, concludo sottolineando che la sicurezza dei cittadini è un obiettivo prioritario dell'azione del Governo: lo confermano i risultati operativi mai registrati in precedenza che sono certamente merito delle forze di polizia e dell'autorità giudiziaria ma, per una certa misura, anche delle iniziative legislative adottate da questo Parlamento (penso, ad esempio, alle norme che in materia di misure di prevenzione e di apprensione dei beni di provenienza illecita sono state introdotte nei vari decreti-legge e disegni di legge del complesso pacchetto sicurezza).
Sentiamo forte l'impegno per assicurare alle forze di polizia i mezzi e gli uomini necessari per svolgere al meglio il loro lavoro. Nella direzione invocata dagli interpellanti si muove il disegno di legge in materia di lavori usuranti, approvato dal Senato il 3 marzo scorso.
Con questa iniziativa legislativa il Governo ha inteso fissare i presupposti per un riconoscimento, in via generale, della specificità del comparto derivante dalle peculiarità dei compiti, degli obblighi e dei requisiti di efficienza operativa richiesti. L'obiettivo è la definitiva affermazione della specialità degli ordinamenti, delle carriere, dei contenuti del rapporto di impiego, nonché della tutela economica, pensionistica e previdenziale delle forze di polizia (è poi aperta la prospettiva del riordino, ed anche questo è oggetto di un confronto con le organizzazioni sindacali e con le rappresentanze dei corpi militari, ma come è noto vi sono somme non irrilevanti già accantonate in questa direzione derivanti addirittura dal 2004).
Come per il 2009, anche nel 2010 sarà possibile un assestamento con l'assegnazione di risorse che integreranno i capitoli di bilancio in corso d'anno, e già entro il prossimo mese di aprile saranno ripartite le somme disponibili del Fondo unico giustizia.
Infine, non è esatto affermare che non si potrà procedere al pagamento dello Pag. 7straordinario reso nell'anno in corso perché è prossima l'autorizzazione, con decreto interministeriale, allo svolgimento di lavoro straordinario alle forze di polizia per l'importo di oltre 900 milioni di euro, superiore di oltre 200 milioni di euro a quello assegnato nel 2009 (siamo quindi ad un più 27 per cento).
Ritengo che le cifre che ho sin qui riferito siano significative della considerazione che il Governo riserva alle forze di polizia anche se vi è la consapevolezza, credo non soltanto del Governo, ma di tutte le istituzioni, che nei confronti di ogni singolo operatore della polizia siamo sempre in debito. Le istituzioni possono lavorare, e mi pare che lo stiano facendo con impegno, per migliorare le loro condizioni di lavoro, ma loro, dallo loro parte, mettono a disposizione di tutti la loro vita ed esistenza.

PRESIDENTE. L'onorevole Fiano ha facoltà di replicare.

EMANUELE FIANO. Signor sottosegretario, la ringrazio e desidero, innanzitutto, dirle che noi abbiamo un punto di partenza comune che è quello con il quale ha voluto concludere il suo intervento. Anche noi, la forza che rappresento, il Partito Democratico, sentiamo costantemente il debito nei confronti dei tutori dell'ordine pubblico, perché essi mettono spesso a disposizione della collettività un bene primario qual è quello della vita e garantiscono, quindi, un diritto costituzionale, mettendo in gioco un elemento fondamentale. Anche per questo abbiamo presentato questa interpellanza urgente, perché il nostro partito intende svolgere un lavoro di controllo nei confronti del Governo e di indirizzo costante su questo comparto.
Se posso, signor sottosegretario, per l'insieme delle risposte che lei ha dato nel dettaglio e che ovviamente leggerò con attenzione nel testo scritto, perché non di tutto è facile prendere nota specifica, vorrei dire che mi pare ci sia una cifra che ha caratterizzato la sua risposta ovvero che a fronte di ammanchi o di diminuzioni ordinarie vi è, vi sarà, e c'è già stata, una ricopertura che deriva in parte dagli assestamenti di bilancio e in parte da poste straordinarie che derivano dall'impiego dei fondi confiscati e sequestrati alla criminalità organizzata che per metà servono, per l'appunto, all'impiego in questo comparto.
Lei, circa il pagamento delle prestazioni di lavoro straordinario, ha evidenziato, tra le varie risposte che ha dato, che nel corso dell'anno verranno stanziati circa 900 milioni di euro per la copertura di questo lavoro straordinario che, come sa chi si occupa del comparto, è in realtà l'ordinaria cifra delle forze dell'ordine. Si tratta di un aumento cospicuo e ovviamente quando abbiamo scritto l'interpellanza lo abbiamo fatto sulla base di annunci che vi erano stati (la notizia se così si configura è una notizia positiva, poi verificherò la copertura effettiva che questo comporta).
Non mi pare, signor sottosegretario, che ella abbia dato risposta alla domanda finale dell'interpellanza ovvero quali siano le cifre nette che riguardano gli aumenti destinati (è una questione contrattuale) ai lavoratori. Altresì non ho chiaro, non era nel testo scritto presentato, ma nell'illustrazione dell'interpellanza, se rispondano al vero le deduzioni che abbiamo svolto circa il rapporto tra tagli ed unità della polizia dello Stato che secondo i nostri calcoli vedranno una riduzione del loro numero finale al 31 dicembre di quest'anno di oltre 4 mila unità con un organico complessivo di circa 92 mila unità a fronte di un organico previsto dalla normativa di circa 105 mila unità e se l'argomentazione che ha svolto nel corso della sua risposta circa l'assicurazione del Governo sulla copertura del turnover sanerà il risultato di questo calcolo che presentiamo ovvero che alla fine del 2010 ci troveremo con un organico diminuito rispetto quello del 2009.
Come lei ben intende, spero sempre di sbagliarmi in questa previsioni, perché ovviamente in questo caso l'obiettivo degli interpellanti non è quello di avere ragione dato che noi vorremmo un organico che non diminuisce. Pag. 8
Penso che vi siano ancora delle mancanze nel bilancio. Su parte delle poste mancanti, che noi abbiamo elencato, lei ha fornito una risposta, mentre su altre poste, che noi abbiamo evidenziato, non mi pare ci sia stata una sua risposta. Evidentemente sarà ancora nostro compito ritrovarci, attraverso gli strumenti del sindacato ispettivo, ad interrogare il Governo sulla parte di finanziamento mancante. Questo sia per quello che riguarda i finanziamenti concernenti la strumentazione complessiva e il numero di organico impiegato nel comparto del dipartimento, sia per quello che riguarda le condizioni di vita (mi riferisco alla questione del contratto che riguarda i lavoratori del comparto).
Infine, vengo ad una questione che lei ha citato, una questione che ci interessa, che non è citata nell'interpellanza, quella del riordino del comparto; questione complessa, onerosa e ingente che ha attraversato da più di qualche anno la politica e l'amministrazione di questo Stato. È un argomento fondamentale per il futuro dell'organizzazione di questo comparto, che ci vede interessati. Come opposizione noi svolgeremo il nostro lavoro coerentemente, e se su questo tema il Governo volesse aprire un confronto serio nel merito troverebbe in noi un interlocutore affidabile.

(Misure a favore delle donne detenute, con particolare riferimento a quelle con figli minori - n. 2-00648)

PRESIDENTE. L'onorevole Schirru ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00648, concernente misure a favore delle donne detenute, con particolare riferimento a quelle con figli minori (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, signora sottosegretaria Casellati, l'interpellanza urgente che mi accingo ad illustrarvi oltre alla mia firma porta quella di numerosi colleghi e colleghe che come me hanno particolarmente a cuore la situazione femminile di madri e di donne nelle nostre carceri. Le madri - lo ricordo - in attesa di giudizio o in esecuzione di pena scontano la propria condanna in carcere con i propri bambini. Tale misura vorrebbe evitare il dramma della separazione tra madre detenuta e figlio in tenera età, ma, di fatto, è una norma che crea anche l'aberrante detenzione di piccoli innocenti, costretti a scontare dietro le sbarre una pena non loro, subendone tutte le conseguenze e i traumi che la reclusione inevitabilmente comporta.
La nostra interpellanza nasce quindi a seguito di una visita all'istituto di pena Buoncammino, a Cagliari, nell'ambito di una delle tante iniziative che le istituzioni e le associazioni della vita civile portano avanti nell'intento di dare un supporto a chi è detenuto. Le condizioni delle nostre carceri sono note e periodicamente ritornano anche all'attenzione della stampa e dell'opinione pubblica. Non fa eccezione quella di Buoncammino che permane una struttura con troppi problemi logistici e organizzativi anche per carenza di personale (guardie carcerarie, personale educativo, psicologi), e questo - vorrei sottolinearlo - nonostante il notevole impegno della direzione e del personale penitenziario che con grande fatica e immensa umanità presta il suo servizio affinché le recluse e i loro figli possano vivere la condizione carceraria il più dignitosamente possibile.
A dispetto della risposta alla mia interrogazione n. 5-00837 presentata in Commissione giustizia oltre un anno fa sullo stesso tema, e per un'altra madre con bambino recluso, la situazione dell'istituto Buoncammino non è cambiata. Il Ministero allora si è limitato a studiare il problema, senza intervenire concretamente sulle questioni reali poste già in quella interrogazione.
Il personale penitenziario, come dicevo, è di fatto carente e la struttura sovraffollata, il degrado è percepibile, negli spazi limitati, il disagio è forte. E cresce quando si pensa che molte detenute sono extracomunitarie, nullatenenti e prive di aiuti familiari dall'esterno e dunque anche nell'impossibilità Pag. 9di avere accesso al minimo indispensabile per curare l'igiene quotidiana. Poi ci sono i bambini.
Nell'istituto Buoncammino con la madre c'è Davide, 18 mesi, uno dei tanti piccoli che vivono nelle carceri del nostro Paese. La sua presenza non impensierisce il Governo. Il numero dei bambini reclusi non sembra essere un'emergenza e di fatto quasi non si hanno dati certi. In seguito all'indulto sono diminuiti sappiamo del 45 per cento. Negli ultimi cinque anni la media giornaliera è stata di 60 piccoli ristretti ma - noi lo diciamo con forza - di bambini in carcere non ne vorremmo vedere neppure uno, come è stato dichiarato una volta dal rappresentate del Governo.
Infatti, badate bene, stiamo parlando di piccoli per i quali uscire all'aperto significa fare un'ora d'aria, che non hanno diritto al proprio spazio, che escono soltanto grazie all'aiuto di una suora o di un volontario che li porta all'asilo, che vivono circondati da persone in divisa, che non hanno mai visto il mare, la montagna o una strada affollata di gente, di macchine e di rumori. Bambini che spesso non conoscono altro gioco che le chiavi della propria cella: questo è quello che ho visto e che ho potuto vedere.
Bambini che vivono nel grigio di una struttura inappropriata che costringe il loro sguardo a rimbalzare su pareti e su sbarre, diminuendo la loro creatività in un momento così delicato e formativo della loro esistenza. Bambini che secondo il quinto rapporto dell'osservatorio sulle condizioni di detenzione redatto dall'associazione «Antigone» accusano disturbi dell'umore e ritardo nella parola e per i quali sono preoccupanti e significativi i rischi relativi ad uno sviluppo psico-affettivo e relazionale armonico.
C'è un altro dato da considerare: la qualità della vita dei piccoli detenuti varia a seconda dell'istituto di pena. Mi risulta che a Milano esiste un istituto a custodia attenuata per le madri detenute senza sbarre, con personale specializzato per l'infanzia e agenti della polizia penitenziaria in borghese. A Roma, Genova, Venezia e Torino i bambini possono frequentare l'asilo pubblico; in molti altri istituti, nonostante la costante presenza di bambini, non esiste un nido e mancano le aree verdi. In nessun istituto tuttavia sono state riscontrate iniziative di preparazione al distacco tra madre detenuta e infante che categoricamente avviene al terzo anno. La casa circondariale cagliaritana pur avendo un'apposita sezione nido risulta essere inadeguata per la permanenza di bambini piccoli e ciò è discutibile, oltre al fatto che le strutture ludico-ricreative risultano carenti. Ma quello che mi preoccupa è anche la compresenza con detenute con gravi problemi di salute mentale e di tossicodipendenza.
Vedete la disomogeneità nelle condizioni di detenzione acuisce il problema e si aggiunge alla mancanza di applicazione delle leggi esistenti volte al miglioramento. Mi riferisco qui alla legge n. 40 del 2001 voluta allora dal Ministro per le pari opportunità, Anna Finocchiaro, con la quale il legislatore ha indicato i presupposti sulla base dei quali le donne con figli minori di dieci anni e di conseguenza i bambini sotto i tre anni possono evitare la detenzione in carcere.
Tale normativa prospetta una serie di misure volte ad evitare il carcere alle detenute madri e ai propri bambini ma è stata largamente disapplicata, anche per carenza di strutture alternative presenti nel territorio; è una norma che presenta, comunque, dei limiti nell'accesso ai benefici soprattutto per chi è in attesa di giudizio e, al solito, soprattutto per le mamme straniere che, non avendo una casa dove scontare gli arresti domiciliari, finiscono in carcere con il proprio piccolo e, addirittura, vi finiscono anche quando sono in stato di gravidanza.
Senza entrare nel merito del reato e della condanna, che deve essere scontata, vi invito solo a soffermarvi sul tessuto sociale da cui queste donne provengono. Si tratta, per lo più, di situazioni di povertà estrema, di sfruttamento e di abusi. Tuttavia, queste donne rimangono circondate, anche in carcere, da relazioni e azioni Pag. 10piene di pregiudizi nei loro confronti, come ci hanno riferito in quell'occasione.
Queste, signor sottosegretario, sono le gravi premesse. Gli interpellanti, quindi, chiedono al Governo che si attivi prontamente e non lasci cadere in secondo piano la questione dei bambini reclusi. Si chiede, inoltre, che si avvii la creazione di un Fondo speciale affinché si incentivino le convenzioni con comunità esterne al carcere e si realizzino più strutture di accoglienza per donne e minori, quali case-famiglia protette, nelle quali i bambini possano recuperare un sano e corretto rapporto con la madre e dove il loro sviluppo psicofisico sia garantito dall'assistenza costante di personale adeguatamente preparato, in un ambiente più confortevole del carcere e più idoneo alla loro crescita.
E qui - ne sono convinta - le donne madri detenute potranno scontare la pena e vivere insieme ai figli in condizioni più dignitose per entrambi e soprattutto evitando ai piccoli, ovvero i più deboli e indifesi della nostra società, ulteriori traumi e offrendo, invece, la possibilità e il diritto, sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia, ad un futuro migliore, di salute, di gioco, di vita e di relazione sociale.
A questo proposito, nel caso specifico del piccolo Davide, riteniamo opportuno, in conclusione, chiedere che venga esaminata urgentemente la fattibilità di trasferimento del bambino e della madre a una struttura protetta presente nella città di Olbia; città nella quale risiede, tra l'altro, la sorellina maggiore di Davide, oggi in affidamento ad una famiglia. Si potrebbe, così, auspicare un ricongiungimento, per garantire il diritto a colloqui più stabili tra madre e figlia e, nel limite del possibile, dei due fratellini, nell'ottica di un pronto recupero e del rafforzamento soprattutto della relazione affettiva tra i piccoli e i genitori.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha facoltà di rispondere.

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, in risposta all'interpellanza urgente dell'onorevole Schirru faccio presente, preliminarmente, che alla data del 15 marzo di quest'anno presso la casa circondariale di Cagliari risultano detenuti 500 uomini e 19 donne, per un totale complessivo di 519 reclusi. Posso assicurare che la situazione di sovraffollamento dell'istituto cagliaritano è alla costante attenzione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che periodicamente predispone, di concerto con il locale provveditorato, gli opportuni interventi deflattivi, tesi a distribuire i reclusi negli spazi disponibili tenendo conto, ove possibile, delle legittime aspirazioni dei detenuti, delle loro condizioni di salute e del rispetto del più generale principio della territorialità della pena.
Ciò premesso, si deve rilevare, al riguardo, che la presenza femminile presso l'istituto cagliaritano è leggermente inferiore alla capienza prevista, pari a 21 posti detentivi.
Per quanto riguarda, invece, il versante dell'organico penitenziario, si rappresenta che a fronte di una previsione organica di 267 unità, alla data del 17 marzo risultano presenti presso la casa circondariale di Cagliari, al netto dei distacchi in entrata e in uscita, 205 unità.
Per far fronte alla carenza di personale, è già stato richiesto, nelle opportune sedi, un piano straordinario di assunzioni per consentire al personale penitenziario sia di lavorare in condizioni meno stressanti, sia di adempiere al meglio ai molteplici compiti istituzionali demandati. La legge finanziaria per il 2010, in accoglimento parziale di tale richiesta, ha introdotto un'eccezione al generalizzato blocco del turnover, consentendo, per gli anni 2010, 2011 e 2012, di assumere personale di polizia penitenziaria, nel limite del contingente di quello cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente.
Nelle more di tali assunzioni, la competente direzione generale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha predisposto e messo in atto un piano di Pag. 11mobilità iniziato al termine del 160o corso di formazione per agenti di polizia penitenziaria, che si è concluso a gennaio e che è destinato a proseguire all'esito del 161o corso di formazione per agenti di polizia penitenziaria, previsto per il prossimo luglio.
Il piano di mobilità consentirà l'immissione in servizio di complessive 552 unità. In questa prima fase sono state assegnate alla regione Sardegna 4 unità, mentre, al termine del 161o corso, saranno inviate ulteriori 4 unità, di cui 2 da destinare all'istituto di Cagliari.
Quanto alle condizioni detentive va, poi, rilevato che a tutti i reclusi - sia uomini che donne - che si trovano in una situazione di indigenza perché privi di risorse economiche, il volontariato fornisce prodotti di prima necessità per l'igiene personale ed il vestiario, fermo restando che la direzione del carcere, sulla base dei fondi assegnati, provvede all'elargizione di sussidi.
Sempre con specifico riferimento all'istituto di Cagliari, va segnalato che la sezione femminile del carcere è dotata di una cella attrezzata come asilo nido, dotata, pertanto, di fasciatoio, di un lettino, della cucina, dello scalda biberon, del box, del passeggino, del girello, del seggiolone e di tutto ciò che risulta necessario per le esigenze dei minori.
Giova, comunque, evidenziare che l'istituto penitenziario di Cagliari, oltre ad essere dotato di una sezione dedicata ad ospitare detenute con prole, assicura anche adeguati standard di assistenza sanitaria, essendo sede di centro clinico ove risultano attive, in convenzione, numerose specialità, tra cui quella di ginecologia e pediatria
Come è noto all'interpellante, allo stato, nell'istituto in questione è presente un solo minore, dell'età di 18 mesi, figlio di una detenuta appartenente al circuito alta sicurezza. Al fine di rendere più serena la condizione di vita di un bambino in così tenera età, la direzione dell'istituto si avvale della disponibilità di una religiosa dell'ordine di San Vincenzo e assistente volontaria presso la casa circondariale che, quasi quotidianamente, porta il bambino negli spazi aperti della struttura con il consenso della madre e con una chiara manifestazione di entusiasmo da parte del bambino.
Inoltre, sempre con il consenso della mamma e con l'autorizzazione del tribunale di Cagliari, il bambino è stato inserito presso l'asilo nido gestito dalle suore vincenziane. Tale opportunità consente al piccolo di potersi integrare in un contesto favorevole per il suo sviluppo, con risultati sicuramente positivi sotto il profilo psicologico e relazionale.
Nel contempo, il bambino continua ad avere accanto la madre, che rappresenta il suo principale punto di riferimento, tenuto conto che il distacco da quest'ultima, al momento attuale, potrebbe essere traumatico, come riferito anche dagli operatori che seguono la delicata situazione.
Relativamente, infine, alle iniziative assunte dall'amministrazione per fronteggiare il problema delle detenute madri che hanno al seguito i bambini, è importante ricordare che, grazie alle disposizioni contenute nel nuovo regolamento di esecuzione, sono stati previsti diversi accorgimenti volti sia a mitigare, per quanto possibile, il doloroso impatto e gli effetti negativi che inevitabilmente le mura di un carcere hanno sulla crescita psico-fisica dei bambini in tenera età, sia ad affermare condizioni di vita che possano meglio tutelare il rapporto madre-figlio, allentando quelle situazioni di tensione e di stress che le regole rigide del carcere fatalmente tendono a creare.
Il regolamento di esecuzione ha, infatti, previsto che le camere dove sono ospitati le gestanti e le madri con i figli non debbono essere chiuse, in modo tale da consentire ai minori di potersi liberamente spostare all'interno del reparto, seppure con il limite di non turbare l'ordinato svolgimento della vita detentiva. Ha previsto, inoltre, l'intervento dei servizi pubblici territoriali o del volontariato ai fini dell'accompagnamento dei bambini all'esterno (previo consenso della madre) onde consentire loro la frequenza degli asili nido dei quartieri su cui insiste l'istituto Pag. 12penitenziario, nonché lo svolgimento di attività ricreative e formative proprie della loro età.
L'amministrazione penitenziaria, sensibile al problema, ha pensato anche ad un modello di custodia attenuata per detenute madri (istituti denominati ICAM) creando, in sinergia con tutte le componenti degli enti locali - provincia, regione, comune e distretto scolastico competenti - delle strutture che consentano ai bambini ed alle loro madri sottoposte a procedimenti restrittivi di non varcare la soglia del carcere, ma di trascorrere il periodo della pena in ambienti esterni, organizzati e strutturati sulla falsariga di una casa famiglia, dove non esistono cancelli, né vi è personale in divisa, dove gli arredi sono quelli comuni di una casa, dove c'è possibilità e libertà di movimento, vengono offerte valide e preziose opportunità trattamentali e lavorative a favore delle donne, nonché attività formative e ludiche nei confronti dei bambini. Si tratta di una forma alternativa alla classica detenzione, realizzata in apposite strutture in cui sia possibile dare origine a situazioni che siano favorevoli al recupero della genitorialità, intesa nel senso più vero della parola.
La prima esperienza di tale tipo è stata realizzata a Milano, come ha ricordato l'onorevole Schirru, dove - a seguito di un protocollo d'intesa tra i Ministri della giustizia e della pubblica istruzione, la regione Lombardia e il comune di Milano - la provincia ha messo a disposizione una palazzina per detenute madri con prole fino a tre anni, per allestirvi una casa a custodia attenuata nella quale sperimentare un servizio educativo rivolto alle madri detenute ed ai loro figli. Iniziative di tal genere stanno per essere rese operative anche a Venezia, Firenze, Roma e ad Agrigento.
Con specifico riferimento alla Sardegna ed alla previsione in tale realtà regionale di una struttura di accoglienza alternativa al carcere per le detenute madri, voglio evidenziare che il 26 giugno 2009 il provveditore regionale e l'assessore alle politiche sociali e della famiglia della provincia di Cagliari hanno firmato un protocollo di collaborazione per presentare un progetto integrato per l'inclusione sociale di persone svantaggiate.
Tale protocollo è nato dall'esigenza di sostenere una rete di collaborazione di soggetti privati ed in tale ambito il provveditorato regionale ha assunto un ruolo centrale nell'esecuzione del progetto, perché dovrà gestire la casa a custodia attenuata ICAM, che si intende per l'appunto realizzare, destinata ad accogliere detenute con figli di età inferiore ai tre anni, oltre che ad individuarne l'utenza ed il personale addetto. Nel progetto «ICAM Sardegna» si è ritenuto possano essere coinvolti soggetti pubblici o privati, deputati ad offrire servizi per il benessere delle madri e dei bambini inseriti nella struttura.
In questo contesto, la provincia di Cagliari si è impegnata a richiedere il finanziamento per la realizzazione del progetto ICAM attraverso il bando di avviso pubblico della regione Sardegna «Ad altiora».
In proposito, voglio far presente che il Provveditorato ha individuato come responsabile della casa a custodia attenuata il Direttore della Casa circondariale di Cagliari, impegnandosi a trasferire le madri detenute ed i loro bambini dalle sezioni femminili degli istituti di detenzione regionale alla sezione distaccata della Casa circondariale di Cagliari a custodia attenuata. Nel protocollo è stato inserito anche l'impegno dell'Istituto riunito di ricovero minorile che, attraverso il suo presidente, dovrà individuare e mettere a disposizione una struttura da destinare alla custodia attenuata delle detenute madri.
Nel mese di giugno dell'anno scorso la provincia di Cagliari, come soggetto proponente, ha presentato il formulario del progetto: «Il cammino delle madri detenute, attivazione di un ICAM Bambini senza sbarre in Sardegna» ed il successivo 15 settembre la regione, con delibera n. 585/10102, ha nominato la commissione regionale di valutazione per l'analisi di tutti i progetti presentati. Allo stato, si è in attesa di conoscere, per l'appunto, l'esito della valutazione. Se il progetto Pag. 13verrà ufficialmente finanziato il Provveditorato collaborerà, da subito, sia con la provincia di Cagliari che con gli Istituti riuniti di ricovero minorile per dar corso all'iniziativa.
Voglio, infine, ricordare che nel corso dell'attuale legislatura sono state presentate diverse proposte di legge che mirano a risolvere le problematiche connesse alla permanenza in carcere delle detenute madri. Spetta a questo punto al Parlamento - al cui esame e valutazione sono ora sottoposte le proposte di legge menzionate - decidere in ordine alla loro approvazione, nei termini che scaturiranno dal confronto tra le forze politiche interessate a risolvere tali problemi.

PRESIDENTE. L'onorevole Ferranti, cofirmataria dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, ringrazio la sottosegretaria per la risposta che ha potuto dare ma, nonostante gli sforzi per cercare di dare un'organicità alla risposta, si rivela come tutto sia rimesso in futuro, anche in Sardegna, alle iniziative anche degli enti locali: tutto è ancora sulla carta.
Vorrei partire proprio dall'ultimo accenno che ha fatto la sottosegretaria, che so peraltro essere particolarmente sensibile alla problematica, non solo come donna ma anche per il suo ruolo. Vorrei che in proposito la maggioranza e il Governo assumessero un impegno sulle proposte di legge che sono in Parlamento a cui la sottosegretaria ha fatto riferimento. Io sono la prima firmataria di una delle proposte di legge che tenta di rivedere la disciplina riguardante le detenute madri, sia in fase di misura cautelare, sia in fase di esecuzione della pena, al fine di accentuare il riferimento alla necessità che la mamma sia vicina al bambino non solo fino ai tre anni, ma anche fino ai dieci. Tra l'altro si impone un obbligo allo Stato, quindi non ci si riferisce solo al volontariato e agli enti locali, per creare una disciplina che consenta di realizzare quel principio che peraltro ho sentito anche nelle prime dichiarazioni del Ministro della giustizia appena insediato quando è venuto in Commissione giustizia: «mai più bambini in carcere». Tuttavia, a due anni di distanza da questo insediamento, i bambini in carcere ci sono ancora.
Il primo impegno che noi vorremmo riguarda la calendarizzazione di queste proposte di legge. Infatti la discussione di certe proposte di legge che sono in priorità per l'opposizione, sono state inserite in priorità per il Partito Democratico, non si è potuta calendarizzare perché - voi lo sapete meglio di me - la priorità nella trattazione all'ordine del giorno della Commissione giustizia è distribuita per quota in proporzione ai partiti di maggioranza e di opposizione. Poiché si tratta di proposte di legge che, a prescindere dalla soluzione definitiva del testo, hanno una condivisione di base, ci appelliamo alla maggioranza affinché questa problematica sia nella quota di priorità anche della maggioranza.
Finora non siamo riusciti a vedere questa biunivocità non solo formale ma anche sostanziale, perché la stessa la troviamo solo nelle dichiarazioni pubbliche, ma mai in Commissione giustizia, perché ogni volta in Commissione ci viene detto che questa non è una priorità per il PdL né per la Lega. Quindi, noi ci appelliamo alla carica di Governo della sottosegretaria, alla sua sensibilità per fare in modo che queste proposte di legge diventino una priorità comune, così che si possa definire in maniera adeguata la problematica, facendo quindi un passo avanti rispetto alla cosiddetta legge Finocchiaro che segnò un avanzamento importantissimo, ma che risale ormai al 2001, e dunque è necessario compiere un ulteriore passo in avanti.
Occorre fare in modo che ciò che accade nelle strutture, diciamo virtuose, che troviamo a Milano, dove tutto l'apparato carcerario ha una realizzazione virtuosa, si realizzi nell'intero territorio italiano mediante delle convenzioni che passano, in primo luogo, attraverso la disciplina normativa che deve evidenziare i casi in cui la madre che ha un bambino con età fino a tre anni o fino a dieci anni possa Pag. 14usufruire di questo regime di non detenzione dentro le mura carcerarie e, anche nel caso in cui vi sia una pericolosità sociale particolare, che sia ristretta in queste strutture che consentano di tenere presente l'esigenza di sicurezza e di contemperarla con quella legata allo sviluppo del minore, perché sono due beni di pari importanza, costituzionalmente garantiti, che lo Stato ha il dovere di tutelare.
In Sardegna abbiamo una situazione particolarissima; ci troviamo di fronte a degli enti locali che sicuramente si sono fatti promotori di iniziative meritorie, che però, proprio perché non sono imposte, non sono prescritte dalla legge come dovute, sono rimesse a degli iter lentissimi, lunghissimi. Quindi, nel frattempo, il bambino che è nel carcere con la madre e che adesso ha 18 mesi raggiungerà i tre anni. Io sono sicura di questo, perché i tempi sono gli stessi di quelli relativi alla costruzione delle nuove carceri in Sardegna - mi riferisco ad una nostra precedente interpellanza che ha riguardato Sassari, Cagliari, Tempio Pausania e Oristano -, infatti dal 2005 stiamo ancora aspettando che ciò avvenga; siamo nel 2010 e quelle carceri date in appalto per la costruzione nel 2005 (all'epoca c'era il Ministro Castelli) devono ancora essere completate. Questi non sono passaggi che una maggioranza può tollerare, ma che tanto meno possono essere tollerati da un'opposizione.
Dunque ritengo che sotto il profilo dei diritti delle detenute madri si possa dare concreto avvio a quelle proposte che consentono di considerare come eccezionale la misura della detenzione in carcere per la madre, intendo il carcere come restrizione, ma laddove sia necessario prevedere una misura di restrizione perché la pericolosità del reato lo impone, in questo caso, anche se si tratta di madri che hanno problemi in quanto sono emigrate, non hanno un domicilio certo, e quindi non possono usufruire anche di quelle misure alternative che ora sono previste dalla legge, ci devono essere delle alternative stabilite dal nostro ordinamento che non devono essere rimesse ad una discrezionalità dovuta al fatto che su quel territorio sia stata attivata o meno la casa-famiglia, l'ICAM.
Non possiamo nell'ambito della sicurezza e, quindi, anche negli istituti carcerari, fare in modo che l'applicazione di un trattamento minimale di dignità della persona detenuta (e tanto più del bambino che ha avuto la sfortuna di avere una mamma in carcere) sia rimessa ad un fatto del tutto casuale e fortuito. Sicuramente il problema delle carceri e del sovraffollamento andrà risolto con una politica coerente e non schizofrenica che, da un lato, aumenta indiscriminatamente le pene e dà la facciata di sicurezza attraverso la carcerazione; dall'altro però si trova a non essere in grado di far fronte a queste problematiche.
L'altro problema strettamente connesso si ha quando, nella risposta, la sottosegretaria ci dice che si è ottenuto che il volontariato (ad esempio una suora) accompagni il bambino e che quest'ultimo venga portato all'asilo nido. Ciò fa sempre parte di un problema che non può essere rimesso al volontariato. È necessario, infatti, che il trattamento penitenziario preveda un percorso non solo di restrizione, in quanto c'è anche un problema di rieducazione della mamma e, in questo caso, anche di affiancamento per tutte le sue esigenze connesse al bambino.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DONATELLA FERRANTI. Questo problema deve essere risolto con un adeguato ingresso di personale che non può essere solo quello della polizia penitenziaria che già è in sotto organico spaventoso, ma deve essere risolto con un adeguamento di personale con un profilo volto alla rieducazione. Abbiamo piante organiche risibili di educatori e, tra l'altro, non riusciamo a far assumere nemmeno gli psicologi vincitori di concorso: è un problema gravissimo. Abbiamo, infatti, trentanove vincitori di concorso e, tra l'altro, c'è stata adesso la sentenza del Consiglio di Stato che ha dichiarato il diritto di questi psicologici ad essere assunti attraverso una pronuncia di Pag. 15illegittimità riferita al trasferimento delle funzioni alle aziende sanitarie. Quindi, spero che anche su questo aspetto vi sia un impegno effettivo, non solo sulla carta, del Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

(Iniziative in materia di adozioni internazionali, con particolare riferimento alla riduzione dei tempi delle procedure e al sostegno delle coppie che intendono adottare un minore straniero - n. 2-00638)

PRESIDENTE. L'onorevole Bellotti ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00638, concernente iniziative in materia di adozioni internazionali, con particolare riferimento alla riduzione dei tempi delle procedure e al sostegno delle coppie che intendono adottare un minore straniero (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, è un argomento delicato in quanto parliamo d'infanzia e di adozioni internazionali. Sono aspetti messi in evidenza nella loro drammaticità anche recentemente, in quanto i fatti del terremoto di Haiti hanno fatto riflettere sul futuro di quei bambini e anche sulle possibilità date dall'adozione. Per ritornare al nostro Paese, con questa interpellanza vogliamo ancora una volta fare un focus sull'aspetto che deve essere sempre tenuto sotto osservazione e che deve tentare di dare una risposta più rapida possibile a un problema serio, ovvero la velocizzazione delle normative e delle pratiche burocratiche nei confronti dell'adozione. Infatti, garantire una famiglia a un bambino e dare un futuro a un minore abbandonato che ne è privo sono gesti di grande umanità che, nel contempo, permettono al minore di crescere in un ambiente protetto sia dal punto di vista affettivo sia economico, e a una coppia di realizzare il proprio desiderio di genitorialità. La disciplina dell'adozione e dell'affidamento sono basate sulla ratifica, anche da parte del Governo italiano, della Convenzione dell'Aja, mentre la normativa in vigore - che nel rispetto del diritto internazionale mantiene la preferenza per la famiglia naturale - ha consentito a molte coppie di adottare bambini stranieri soli o abbandonati, garantendo loro l'opportunità di crescere nel nostro Paese con un reale miglioramento delle condizioni di vita.
Vanno, altresì, rilevate alcune evidenti criticità, che rendono tutt'altro che agevole l'iter dell'adozione. È un fatto noto che l'adozione per le coppie e i minori non è spesso di facile accesso, specie per le famiglie a basso reddito: i tempi e i costi richiesti per l'adozione internazionale di un minore sono proibitivi per tutti coloro che, pur nelle condizioni di poter mantenere un figlio, non sono nella possibilità di organizzare lunghe trasferte all'estero o di poter sostenere lungaggini burocratiche che portano a dover sacrificare l'attività lavorativa.
Indipendentemente dal sacrificio economico, bastano anche soltanto i tempi molto dilatati a scoraggiare alcune coppie, dato che dall'inizio della dichiarazione di disponibilità alla conclusione dell'iter di adozione varie scadenze non sono esattamente quantificabili e comunque, nel migliore dei casi, comportano attese di almeno anni.
È assolutamente spropositata la serie di adempimenti che due coniugi sono chiamati a rispettare per le pratiche di adozione, dalla dichiarazione di disponibilità alla sottoposizione a un'indagine dei servizi territoriali, dal decreto di idoneità alla ricerca del minore tramite associazione, dall'incontro all'estero con il minore individuato alla trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile.
Se, per certi versi, è inevitabile la previsione di un lasso temporale significativo, specie a fronte degli obblighi imposti dal diritto internazionale, la prassi suggerirebbe uno snellimento degli oneri, almeno per quanto attiene agli adempimenti imposti dalle autorità italiane.
Anche se lo sforzo è volto a garantire l'individuazione di cadenze certe nell'iterPag. 16dell'adozione per ciò che attiene al disbrigo delle procedure compiute sul suolo nazionale, andrebbero soppesati con attenzione due interessi che nell'adozione sono in gioco: quello di garantire al minore una famiglia e quello di accertare la presenza di requisiti minimi che la coppia deve soddisfare.
È imprescindibile la necessità di una piena idoneità della coppia a crescere e mantenere un figlio, ma la dilatazione delle tempistiche per effettuare i necessari accertamenti appare eccessiva, non potendo, peraltro, rimuovere totalmente i dubbi circa l'adeguatezza al ruolo genitoriale.
Va, inoltre, considerato che sono presenti nell'ordinamento istituti di garanzia per il minore che sono attivabili ex post rispetto all'avvenuta adozione e che consentono una continua tutela atta a correggere eventuali errori di valutazione, che, per quanto sia approfondito l'esame preliminare, sono pur sempre nel novero delle possibilità.
In base a quanto sopra esposto, interpelliamo il Governo affinché possa accorciare i tempi, snellendo le procedure cui i coniugi devono sottostare per ottenere l'adozione. Questo è l'argomento in merito al quale chiediamo al sottosegretario di poterci fornire una risposta.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Carlo Giovanardi, ha facoltà di rispondere.

CARLO GIOVANARDI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, mi rivolgo all'onorevole Bellotti e agli altri interpellanti in merito a questa complessa e difficile materia delle adozioni internazionali.
Naturalmente, bisogna anticipare che per inquadrare correttamente il fenomeno delle adozioni internazionali bisogna partire da quanto stabilito dalla Convenzione de L'Aja del 1993, di cui l'Italia è firmataria, che impone ai Paesi firmatari l'impegno di presentare ai Paesi di origine i futuri genitori qualificati e idonei per l'adozione, adeguatamente assistiti con i necessari consigli. Si tratta di procedure che sono state identificate in Italia con la legge n. 184 del 1983 e la legge n. 476 del 1998.
La tempistica fissata dalla normativa italiana è tesa ad espletare le indagini mediche, socio-ambientali e psicologiche necessarie per informare, preparare e valutare le coppie aspiranti all'adozione internazionale. Bisogna tenere presente che anche un singolo fallimento adottivo è traumatico e distruttivo per la coppia e per i minori coinvolti, i quali sono sempre reduci da esperienze personali e familiari destabilizzanti e devono essere messi in condizione di essere preservati da ulteriori traumi.
La vicenda ultima e dolorosa del bambino del Burkina Faso che è stato maltrattato e picchiato dalla madre, italiana ma di origine africana, ha avuto un grandissimo rilievo, purtroppo anche all'estero, perché anche un singolo caso di adozione mal riuscita rischia di pregiudicare i rapporti con gli Stati terzi, perché bisogna tenere presente che nelle adozioni internazionali sono gli Stati di origine dei bambini a richiedere, con sempre maggiore fermezza, professionalità e rigore, indagini accurate e approfondite sui soggetti aspiranti all'adozione.
Abbiamo avuto modo di appurarlo anche in Burkina Faso a dicembre in un convegno internazionale organizzato dall'Italia con il Burkina Faso, cui hanno partecipato venti Paesi africani, disponibili alle adozioni purché ci sia un grande rigore delle procedure.
Quindi, bisogna prendere atto che nel mondo c'è una diffusa e crescente consapevolezza dei diritti e dei bisogni dei minori. Tale consapevolezza è tanto più intensa in quanto ormai da anni tutti i Paesi di origine perseguono politiche sociali di forte incoraggiamento delle adozioni nazionali, non di quelle internazionali, che consentono di trattenere nei Paesi di origine soprattutto i bambini piccoli e sani, mentre alle adozioni internazionali sono destinati i minori più problematici, perché sono già grandi o perché Pag. 17hanno problemi di salute, oppure sono gruppi consistenti di fratelli, per i quali all'interno del Paese d'origine non ci sono per ora coppie disponibili.
Quindi, il sistema italiano è caratterizzato da norme, prassi e comportamenti che ci hanno consentito di consolidare in tutti i Paesi di origine, più di sessanta, fiducia e apprezzamento. La disponibilità e la preparazione delle coppie italiane viene ricorrentemente citata a livello internazionale come esempio da seguire anche da altri Paesi.
Questo fa sì - veniamo alla sostanza - che l'Italia sia leader nel mondo per le adozioni. Noi adottiamo - vedrete dopo i dati - circa quattromila bambini all'anno, siamo secondi al mondo soltanto agli Stati Uniti, che però hanno 300 milioni di abitanti, e siamo il primo Paese di accoglienza per molti Paesi di origine che sono particolarmente esigenti, per esempio quelli dell'America del sud o dell'Europa dell'est.
L'abbiamo visto quando siamo andati a Mosca: la Federazione russa ha firmato un'intesa internazionale soltanto con l'Italia. Abbiamo visto l'attenzione con la quale la Duma ha seguito il dibattito e ci sono state anche opposizioni al suo interno per la firma di questo accordo internazionale con l'Italia, perché, lì come in altri Paesi, ci sono orientamenti a non dare più in assoluto bambini in adozione all'estero.
Quindi, tutto quanto vi ho esposto consente di affermare che l'accelerazione o la semplificazione delle procedure di valutazione delle coppie aspiranti rischierebbe di essere totalmente controproducente, cioè di metterci in condizione di adottare molti meno bambini di quanti ne adottiamo oggi e di incrinare un sistema operativo complessivamente positivo e funzionante.
Si rischierebbe, infatti, di presentare ai Paesi di origine coppie in realtà non adeguatamente preparate e valutate, di ottenere semplicemente l'effetto di differire gli approfondimenti, che verrebbero sicuramente chiesti dalle autorità dei Paesi di origine, che prevedibilmente rimarrebbero insoddisfatti da relazioni lacunose rispetto ai loro desiderata (già al presente, malgrado le nostre procedure, spesso chiedono e sollecitano approfondimenti specifici sulle singole coppie), di minare la credibilità del nostro Paese, di cui ho già detto prima, e di conseguenza far diminuire le adozioni.
Il problema, infatti, è di non allungare ancora la fila, che è lunghissima. I tempi di attesa dipendono dai Paesi d'origine e dalle aspettative delle coppie aspiranti all'adozione. Per questo dico che il problema è così complesso e articolato.
Avviare una pratica adottiva in Ungheria richiede tempi diversi dalla Cina, che ricordo ha aperto all'Italia ma richiede: coppie regolarmente sposate, reddito medio alto ed entrambi i genitori non obesi. Se un genitore è in sovrappeso non gli danno il bambino, perché temono il rischio di infarto da parte della coppia.
Diversi ancora sono il Brasile, la Colombia, l'Ungheria, la Lituania piuttosto che il Perù e l'Etiopia. Sono tempi che dipendono esclusivamente dai Paesi di origine. Ricordo, per esempio, che la Romania ha traumaticamente chiuso le adozioni, ha 80 mila bambini negli orfanotrofi, ma dal momento in cui è entrata in Europa ha detto stop alle adozioni.
C'è tutta un'attività diplomatica in corso per tentare di convincere il Governo rumeno a riaprire alle adozioni: le condizioni dei bambini negli orfanotrofi rumeni non sono le migliori del mondo, ma finora tutti i tentativi diplomatici, nostri, della Commissione per le adozioni internazionali e del Ministero degli affari esteri, non hanno avuto esito.
Non parliamo della Bielorussia, dove, come sapete, vi sono situazioni drammatiche di centinaia di famiglie, malgrado l'intervento del cardinale Bertone e del Presidente del Consiglio in un recente incontro con il leader della Bielorussia. Delle cinquecento coppie da anni in attesa, sembra che, con il contagocce, ventiquattro siano state autorizzate da quel Paese a ricevere bambini in adozione. Per le altre tutto dipende ancora dalla volontà di quel Governo, come recentemente abbiamo Pag. 18avuto modo di vedere qui alla Camera nell'incontro del gruppo di amicizia parlamentare della Camera con i bielorussi.
Poi non c'è solo il problema delle normative dei Paesi di origine. Essere disponibile ad accogliere un bambino non oltre i tre anni, un bambino piccolo, richiede tempi molto più lunghi (a volte è addirittura impossibile in determinati Paesi) dei tempi che sono prevedibili per chi è disponibile ad adottare bambini di 8 anni o due o tre fratelli o bambini con problemi di salute.
La disponibilità dei coniugi è una variabile di estrema importanza: la rigidità o la flessibilità del progetto adottivo fanno la differenza. L'Italia è un Paese di grande generosità: vi sono coppie, diversamente da altre parti del mondo, che accettano anche di adottare bambini che hanno problemi fisici o psichici, ed è chiaro che, se una coppia accetta di adottare un bambino in quelle condizioni, l'iter adottivo è molto più rapido.
Va, infine, segnalato che la Commissione per le adozioni internazionali, nell'ambito delle rilevazioni statistiche, che sono un altro fiore all'occhiello del nostro sistema, anche questo spesso citato dalle organizzazioni internazionali per la sua completezza, trasparenza e tempestività, dispone di dati precisi in merito all'effettiva consistenza dei tempi di attesa delle coppie aspiranti all'adozione. Ebbene, il tempo medio di attesa dal momento del conferimento dell'incarico ad un ente autorizzato fino all'entrata in Italia del minore adottato è stato di 23 mesi nel 2006, di 24 mesi nel 2007, di 27 mesi nel 2008 e di 26 mesi nel 2009.
Per citare qualche esempio, negli ultimi giorni è stato autorizzato l'ingresso in Italia di bambini adottati in Colombia da una coppia. Dal conferimento dell'incarico sono passati solo nove mesi, però si tratta di tre fratellini di 9, 5 e 4 anni. Lo stesso giorno è stato autorizzato l'ingresso di un altro bambino, sempre proveniente dalla Colombia, che ha tre anni appena compiuti, ma la coppia, per avere un bambino piccolo, ha dovuto aspettare cinque anni rispetto ai nove mesi dell'altra coppia per una situazione riguardante tre fratellini.
C'è anche da ricordare, per esempio - veniamo ai costi - che le permanenze sono rese obbligatorie da quei Paesi, che dicono: se vuoi un bambino del nostro Paese, devi stare qui un mese, lo devi affiancare e devi vivere con lui qui, altrimenti il bambino in adozione non te lo diamo.
Ripeto, essendo decine e decine i Paesi con cui l'Italia ha relazioni, devo anche elogiare la dottoressa Bacchetta e la dottoressa Vinci, che non solo hanno tenuto qui, anche l'anno scorso, decine di incontri con delegazioni che vengono da tutto il mondo, ma sono andate personalmente in Vietnam, Cambogia, America Latina e nei Paesi africani per alimentare rapporti bilaterali anche in loco e per verificare situazioni - è stata citata Haiti - di particolare delicatezza.
Infatti, sapete che in alcuni Paesi del mondo ci vuole grande attenzione, perché il bambino adottato, nell'interesse superiore del bambino, deve essere un bambino senza famiglia o comunque senza alcun appoggio, non un bambino venduto. Purtroppo, vi sono Paesi del mondo in cui le organizzazioni internazionali denunciano traffici di bambini e certamente l'Italia, con la credibilità internazionale che ha, non può mettersi in situazioni a rischio ed essere coinvolta in vicende poco chiare, nel momento in cui, nel rapporto con l'autorità centrale di quel Paese, i nostri enti vanno ad adottare dei bambini.
Per quanto riguarda, invece, le misure per sostenere le coppie che intendono adottare minori stranieri, ricordo, anche qui - qualche volta lo dobbiamo dire, anche in Parlamento - che l'Italia è l'unico Paese al mondo che sostiene le coppie che adottano all'estero.
Nessun Paese al mondo dà un euro, una lira o un dollaro a chi adotta bambini all'estero. L'Italia sì, perché, fin dalla legge finanziaria del 2005, è stato istituito il Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali, finalizzato al rimborso delle spese sostenute dai genitori per l'espletamento delle procedure di adozione. Con la Pag. 19legge finanziaria del 2006 il Fondo è stato rifinanziato per il 2006, il 2007 e il 2008 con una dotazione di 10 milioni in ragione d'anno. A partire dal 2009, la provvista del Fondo è assicurata mediante risorse del Fondo per le politiche della famiglia.
In particolare, a favore delle coppie adottive è previsto il rimborso di una quota parte delle spese sostenute (con esclusione del 50 per cento delle spese sostenute e portate in deduzione) pari al 50 per cento e fino a un limite massimo di 6 mila euro per i genitori adottivi con un reddito complessivo inferiore ai 35 mila euro e al 30 per cento fino a un limite massimo di 4 mila euro per i genitori adottivi che abbiano un reddito complessivo compreso tra i 35 mila e i 70 mila euro.
Inoltre è prevista la deducibilità dal reddito complessivo del 50 per cento delle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento delle procedure di adozione.
Per avere un quadro chiaro della situazione, di un'evidenza cristallina, vi riassumo i dati per il 2006-2007-2008. Nel 2006 abbiamo concluso 2.534 adozioni, per un numero di minori adottati pari a 3.188, sono pervenute 1.420 domande di rimborso, e quindi è stato dato un contributo medio di circa 5.534 euro per i redditi inferiori al 35 mila euro ed un contributo medio di 3.700 euro per i redditi superiori ai 35 mila euro; ricordo che le spese di adozione sono di circa 9 -10 mila euro, quindi 5.534 euro equivalgono sostanzialmente alla copertura di metà delle spese sostenute. Nel 2007 siamo arrivati a 3.420 bambini adottati; nel 2008 siamo arrivati a 3.978, quasi 4 mila bambini adottati; il dato dello scorso anno si è stabilizzato a circa 4 mila, e quindi vi è un trend di aumento delle adozioni.
Concludo chiedendo anche agli onorevoli interpellanti, naturalmente con la massima disponibilità di un lavoro in collaborazione con il Parlamento, di farsi carico della complessità dell'argomento, e anche delle ondate emotive che qualche volta rischiano di complicare la situazione: dopo il terremoto di Haiti ci è stata chiesta da tantissime coppie la possibilità di adottare, e noi abbiamo detto, in sintonia con tutte le organizzazioni internazionali, che ci saremmo apprestati (e siamo infatti pronti) ad accogliere i bambini. Abbiamo già l'elenco delle coppie italiane che sono in lista d'attesa per altri Paesi pronti ad adottare bambini haitiani; ma più che sollecitare, attraverso il Ministero degli affari esteri e attraverso il nostro ambasciatore, il Governo haitiano affinché ci dia l'elenco dei bambini adottabili non possiamo fare. Se, infatti, il Governo haitiano non ci comunica quali sono i bambini in condizione di essere adottati, noi non possiamo andare, come hanno fatto quei missionari americani, a rubare dei bambini, per evidenti ragioni di serietà, di responsabilità e di immagine che l'Italia ha nel mondo.
Abbiamo quindi sollecitato più volte, e continuiamo a farlo, il Governo haitiano a muoversi in quella direzione; però, bisogna sapere che Haiti vuole coppie sposate da almeno dieci anni, concede bambini in adozione soltanto se la coppia che li adotta non ha né figli biologici né altri bambini adottati, e quindi pone una serie di vincoli che noi siamo tenuti a rispettare.
D'altro canto, vi ho già ricordato che mentre tutta la stampa nazionale, dopo il terremoto di Haiti, sollecitava flessibilità e procedure straordinarie, a seguito del caso doloroso del bambino del Burkina Faso picchiato dalla madre (ciò si evince leggendo alcuni articoli sui nostri quotidiani) è stata innestata la marcia esattamente contraria: si è detto che bisognava rendere ancora più rigorose le procedure della fase precedente all'adozione, dell'adozione e della fase successiva; cosa che si sta già facendo: ho ricordato che, purtroppo, può capitare un caso doloroso di una coppia che maltratta il figlio adottivo, ma purtroppo in Italia vi sono anche madri che in un raptus ammazzano il loro figlio.
Siamo nell'imponderabile, e qualunque procedura si segua, psicologica, psichiatrica, dei tribunali, è chiaro che vi sono situazioni nelle quali l'adozione non va a buon fine; anche se devo dire che la percentuale dei fallimenti riguardanti le Pag. 20adozioni internazionali in Italia - possiamo dirlo con grande soddisfazione - è particolarmente bassa.
La mia considerazione finale, dunque, è che naturalmente se vi sono cose da migliorare, da affinare nelle procedure, ben vengano e si possono fare; però l'impianto complessivo della normativa e la sua gestione ci hanno permesso di essere leader nel mondo. Possiamo continuare ad esserlo ed anche migliorare le nostre prestazioni, purché siamo fermi nell'ottica di avere credibilità sempre maggiore verso tutti i Paesi che ancora ci affidano quello che per loro è il bene più prezioso, il futuro dei loro figli.

PRESIDENTE. L'onorevole Bellotti ha facoltà di replicare.

LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, credo che sia assolutamente importante, anche in questa occasione, cogliere la possibilità di ringraziare tutte le coppie italiane che hanno adottato un figlio, e ringraziare anche di questo straordinario atto d'amore tutte le coppie italiane che sono nelle liste d'attesa per poterne adottare uno, quindi per poter dare una famiglia a quelli con cui la vita purtroppo non è stata generosa.
Aggiungo un principio, un'osservazione che credo possa corrispondere anche alla volontà del sottosegretario: ritengo che a volte sia meglio rischiare di avere una famiglia, che non avere una famiglia. La vicenda del ragazzino del Burkina Faso (del quale purtroppo la cronaca ha riportato, nella sua drammaticità, un episodio per certi aspetti sconvolgente) credo che faccia parte del rischio della vita: anche nelle famiglie normali purtroppo avvengono dei fatti di cronaca, quindi credo che vada sempre privilegiato il fatto di poter veramente fare tutto ciò che è possibile per accelerare, per poter dare una famiglia e serenità a bambini che purtroppo la serenità non l'hanno mai vista (basta visitare gli orfanotrofi, non solo quelli all'estero ma anche quelli nella nostra nazione, per capire e vedere di che cosa stiamo parlando e di quanto dolore sia presente in quei luoghi).
Signor sottosegretario, su alcune questioni che lei ha illustrato con dovizia di particolari nonché con particolare passione vorrei fissare alcuni punti, che sono osservazioni che accetto come proposta di poter collaborare con questo Governo che sta facendo molto in questa direzione.
Sicuramente una delle osservazioni importanti riguarda i tempi da ridurre, quelli che passano tra il decreto di idoneità e l'abbinamento del minore (e non la parte che riguarda la valutazione del tribunale).
Inoltre, ritengo che siano necessari controlli più stringenti sulla serietà degli enti preposti all'accompagnamento delle adozioni, perché per un'adozione in uno stesso Paese abbiamo associazioni accreditate che possono impiegare sei mesi ed altre che invece possono impiegare anni. Nel Paese straniero, poi, spesso i nostri connazionali, che vanno lì per poter adottare un bambino, incontrano alcuni problemi, i soliti (come, magari, la mancanza di organizzazione): a tale proposito segnalo il ruolo dei consolati, la funzione che questi punti di riferimento del nostro Paese all'estero possono svolgere per accompagnare e seguire le famiglie, per supportarle ed evitare problemi di percorso.
Inoltre, credo sia veramente indispensabile creare una normativa fiscale più favorevole per le coppie che adottano, specie per quelle a basso reddito, perché sul fondo delle adozioni, cui lei faceva riferimento parlando di politica delle famiglie, abbiamo dati che a volte forse non coincidono. La mia esperienza personale mi porta a dire che ultimamente ho visto miei amici iniziare un percorso di adozione in Paesi stranieri (amici, impiegati, gente normale) con costi, signor sottosegretario, che si avvicinavano ai 30, ai 40 mila euro (se non anche di più). Vi sono quindi famiglie che esprimono una volontà di adozione, ma che non si trovano nella condizione economico-finanziaria per poter sostenere i costi (né vi è la possibilità di poter accedere a mutui in questa direzione).
Pertanto, suggerisco qualche ulteriore approfondimento, che non vuole avere Pag. 21assolutamente una funzione polemica, bensì rappresentare un'integrazione ed un contributo al Governo che si è dichiarato e si è reso sensibile, attraverso le sue parole e la sua testimonianza, oggi in Aula, circa la necessità di affrontare un problema serio ed assolutamente importante.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 11,20)

LUCA BELLOTTI. Al di là di tutte le eccellenze italiane che lei ricordava, essendo il nostro il secondo Paese a livello internazionale sulla questione delle adozioni, credo che ciò sia uno straordinario biglietto da visita del nostro Paese e delle nostre famiglie, perché dimostriamo in questo modo una grande sensibilità ed una grande umanità. Pertanto, mi dichiaro soddisfatto del contributo che questa mattina lei ha dato sull'argomento (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

(Elementi in merito alla vicenda di un dattiloscritto inedito di Pier Paolo Pasolini - n. 2-00652)

PRESIDENTE. L'onorevole Veltroni ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00652, concernente elementi in merito alla vicenda di un dattiloscritto inedito di Pier Paolo Pasolini (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

WALTER VELTRONI. Signor Presidente, per prima cosa vorrei ringraziare il Ministro Bondi per la sensibilità che lo ha portato ad essere personalmente qui per questa risposta. Stiamo parlando del volume Petrolio di Pierpaolo Pasolini, che è l'ultimo volume al quale ha lavorato nei tre anni che hanno preceduto la sua morte. Si tratta di un volume incompiuto dedicato ad una complessa storia immersa nelle vicende italiane degli anni Sessanta e Settanta, uscito con alcune parti incomplete, in particolare con un capitolo che, siccome il libro è strutturato per appunti, è l'appunto 21, del quale esiste il titolo che, nell'edizione pubblicata da Einaudi, (edizione curata filologicamente in maniera molto attenta dal professore Roncaglia), è intitolato «Lampi sull'ENI». È un appunto in bianco perché non risulta da nessuna parte che sia stato autenticamente scritto. Vi è un richiamo nel capitolo successivo all'appunto 21, ma da molte parti si lascia intendere, o si interpreta, questo richiamo come un richiamo a qualcosa di cui si aveva in testa la struttura, ma che sarebbe stato successivamente scritto. Sia come sia, non risulta né nella disponibilità della famiglia, né nella edizione pubblicata da Einaudi, l'esistenza di questo capitolo, peraltro, evidentemente, importante - se non altro per il titolo - nella struttura dell'opera e, essendo l'ultima opera di uno dei più grandi intellettuali italiani, per la cultura del nostro Paese.
Questo è il tema del quale stiamo parlando perché qualche settimana fa, tra il 3 e 4 marzo, questo capitolo è salito alla ribalta della cronaca allorché un senatore della Repubblica, il senatore Dell'Utri, ha annunciato di esserne in possesso. Faccio riferimento a frasi tra virgolette citate da giornali assolutamente non sospettabili di malizia che in questo caso sarebbe, peraltro, culturalmente non giustificabile in quanto parliamo di una cosa che o c'è o non c'è.
Mi riferisco ad un'intervista rilasciata a Il Tempo dal senatore Dell'Utri il giorno 3 marzo: «Sono quindici pagine inquietanti. Con feroci accuse a Cefis. Se avrò la conferma dell'autenticità allora ci troviamo di fronte ad un materiale che scotta... - Perché usa il condizionale? - Perché sono in possesso di un dattiloscritto di una quindicina di pagine che non è l'originale, si tratta di una sorta di sunto dei 78 fogli che componevano il capitolo scomparso. Come se qualcuno li avesse letti e condensati...». «Ha letto quelle pagine?» gli domanda la giornalista; risposta: «Parlano dell'ENI dell'epoca, di loschi intrecci, di particolari sulla morte di Enrico Mattei. Contengono feroci accuse a Cefis». Chiede la giornalista. «Insomma, Pag. 22un tuffo in uno dei gialli irrisolti di questo Paese?». «In più di un giallo - dice Dell'Utri - perché si collega ad altri enigmi. La morte di Mauro De Mauro quella dello stesso Pasolini». Sono frasi di un senatore della Repubblica.
Su Libero, sempre Dell'Utri afferma: «Si pensa che in queste pagine l'autore abbia indirettamente parlato di molti aspetti oscuri della storia dell'ENI come lo stesso attentato a Mattei. Io le ho lette e le ho trovato inquietanti». Già qui non si capisce se abbia letto il sunto o il testo integrale. Qualcosa, però si è lasciato sfuggire su Il Giornale Alessandro Noceti, il curatore dell'iniziativa presso la quale il senatore Dell'Utri ha annunciato che sarebbe stata esposta questa parte mancante del romanzo Petrolio. Cito testualmente: «Si tratta di un testo di 120 pagine - siamo passati da 78 a 120 - inedite ritrovate pochi giorni fa. Le pagine erano all'interno di una cassa. La cassa apparteneva ad un istituto che ne è anche il proprietario».
Sul Corriere della Sera del 12 marzo, dopo che il senatore Dell'Utri aveva smentito che sarebbero stati pubblicati questi fogli perché ha sostenuto che chi li aveva era improvvisamente sparito, c'è scritto: «La persona che me le ha promesse è scomparsa». Domanda: «Ma lei le ha viste?». Risposta: «Li ho avuti tra le mani per qualche minuto, sperando di poter leggere con calma dopo».
Invece, come abbiamo visto, nelle altre interviste sosteneva di averli letti, esaminati e persino ne descriveva il contenuto in una forma assolutamente inquietante, cioè come pagine che avrebbero consentito all'Italia di sapere delle verità sulla morte di Mattei, di Mauro De Mauro, e sulla morte dello stesso Pier Paolo Pasolini.
Domanda di Paolo Di Stefano del Corriere della sera: «Che fisionomia avevano?». Risposta: «Una settantina di veline dattiloscritte con qualche appunto a mano»; poi preciserà che sono esattamente 78 di un totale di circa 200. Inoltre, sono sempre parole di Dell'Utri riportate da la Repubblica: «C'è un giallo perché credo che questo capitolo sia stato rubato dallo studio di Pasolini; è un capitolo inquietante per l'ENI, di grande interesse, perché si lega alla storia del Paese, a Eugenio Cefis, alla morte misteriosa di Enrico Mattei e di Pasolini».
Ne Il Messaggero del 9 marzo c'è un'intervista al senatore Dell'Utri: «Ma quindi lei il capitolo non ce l'ha? No, non ce l'ho. Ma l'ha visto? Si, me lo hanno mostrato. E poi? E poi chi me lo ha proposto è sparito». Sempre su Il Messaggero, stavolta del 12 marzo: «Io so chi è il proprietario, lo conosco, ma sono giorni che lo cerco e non si fa trovare; evidentemente si è spaventato per il clamore che avete suscitato voi giornalisti». I giornalisti si sono limitati a riportare delle frasi il cui carattere evidentemente rilevante è palese. Ancora su La Stampa del 3 marzo: «C'è un giallo. Credo sia stato rubato dallo studio di Pasolini».
Che cosa possiamo decriptare da queste dichiarazioni tra loro separate, confuse e contraddittorie? Stiamo parlando di un testo che, se esiste, ha un'importanza che il senatore Dell'Utri ha sintetizzato molto efficacemente, e cioè, se esiste, avremmo a disposizione un materiale che ci consentirebbe di fare luce su questi momenti della storia.
Pier Paolo Pasolini stava scrivendo questo romanzo, per cui si era documentato particolarmente; presso il Gabinetto Vieusseux, che conserva le carte di Pier Paolo Pasolini, esistono ampi materiali di quello che Pasolini aveva raccolto per scrivere queste pagine. Il senatore Dell'Utri dice che le ha lette, o ne ha letto un sunto. Non si capisce bene se e perché questo sunto di quindici pagine non gli sarebbe stato consegnato, non essendo l'originale di 78, o come dice l'altra persona di 200, di proprietà di un istituto. Insomma c'è una grande confusione e un grande mistero attorno alla vicenda di questo capitolo.
Se questo capitolo esiste come è arrivato nelle mani di qualcuno? Questo capitolo, se esiste, doveva essere a casa di Pier Paolo Pasolini. Chi lo ha portato via dalla casa? Chi lo ha consegnato a mani diverse da quelle della famiglia e dei curatori della sua opera? Come è arrivato Pag. 23a questo fantomatico interlocutore che si sarebbe rivolto al senatore Dell'Utri, mostrandogli o facendogli leggere l'integrale o un sunto, il cui contenuto il senatore Dell'Utri evidentemente conosce bene, perché ne parla nei termini drammatici nei quali ne ha parlato? Questa è un'ipotesi, cioè l'ipotesi che Pier Paolo Pasolini abbia veramente scritto questo capitolo e che questo capitolo dunque sia stato trafugato da qualcuno e messo nelle mani di altri che non avevano titolo per averlo.
È evidente che in questo caso si tratterebbe di qualcosa di illegale, e come tale dovrebbe essere affrontato e perseguito. Ma dobbiamo fare anche altre ipotesi, cioè che questo capitolo non esiste (come dice la sua famiglia). Ma se questo capitolo non esiste, se questo capitolo Pier Paolo Pasolini non l'ha mai scritto (nonostante avesse raccolto molto materiale e tra questo materiale, e nella misteriosissima vicenda attorno a questa storia, c'è come base di riferimento un testo che fu pubblicato nel 1972 e fatto sparire nel giro di poche ore dal mercato, libro che Pasolini aveva avuto da qualcuno, e c'è anche il riferimento degli storici che si sono occupati di questa vicenda su chi lo avrebbe consegnato a Pasolini; si tratta, lo ripeto, di un testo di base, di un libro contro Cefis che fu pubblicato nel 1972), di cosa stiamo parlando? Perché il senatore Dell'Utri annuncia all'opinione pubblica, al mondo culturale di questo Paese, di avere avuto a disposizione un sunto o l'integrale di un testo, e dice - avendolo letto - che questo testo consentirebbe di sapere di più su misteri come il caso Mattei, la sparizione di Mauro De Mauro e la morte dello stesso Pier Paolo Pasolini?
Questa è la ragione, signor Ministro, per la quale mi sono permesso di disturbarla: chiedere che cosa il Governo intende fare per chiarire questa vicenda. Non stiamo parlando di una vicenda che attiene esclusivamente ad una discussione di carattere letterario e intellettuale che, peraltro, sarebbe comunque importante nell'ambito delle responsabilità del Ministero. Qui stiamo parlando di qualcosa di più importante che ha a che vedere con la storia e la parte più dura e più oscura della storia italiana.
Personalmente sono tra coloro - questa è una mia opinione personale - che ritengono che sulla morte di Pier Paolo Pasolini debba essere fatta luce. Lo penso da anni e ne sono ancora convinto. Sono state emanate sentenze, peraltro, contraddittorie nei tre gradi di giudizio, ma comunque alla fine è stata emanata una sentenza che ha stabilito una verità processuale della quale bisogna prendere atto.
Dal punto di vista storico rimangono in me moltissimi dubbi e sono dubbi accompagnati da una parte consistente dell'opinione pubblica, ma in questo momento non c'entrano. In questo momento ciò su cui mi permetto di richiamare l'attenzione del Governo è sapere che cosa il Governo intende fare per dire una parola di verità su questa vicenda. Si tratta di un senatore della Repubblica che ha reso dichiarazioni pubbliche e che afferma di aver avuto a disposizione un testo, di averlo consultato e letto. Riporta i contenuti di questo testo e, dunque, dobbiamo essere messi nella condizione di sapere se questo testo esista o non esista.
Ritengo che il Governo abbia gli strumenti o comunque il dovere di intervenire per chiarire quello che rischia, altrimenti, di essere uno dei tanti misteri, anche con tutti i rischi che possa essere inteso come un gioco di segnali o di altre cose che non è bene che in un momento così avvelenato della vita del nostro Paese possano essere messi in circolo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Il Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, ha facoltà di rispondere.

SANDRO BONDI, Ministro per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, sono lieto di rispondere personalmente all'interpellanza urgente dell'onorevole Veltroni e dell'onorevole Ventura perché anch'io sono sinceramente interessato a capire e a far luce, se sarà possibile, sulla vita drammatica di uno dei più grandi Pag. 24intellettuali e scrittori del nostro Paese, e su alcuni aspetti ancora oscuri della storia del nostro Paese. Ciò mi permette in primo luogo di precisare che il Ministero per i beni e le attività culturali non ha mai avuto notizie formali dirette della possibile esistenza di un dattiloscritto contenente un capitolo del romanzo postumo Petrolio di Pier Paolo Pasolini.
Al riguardo proprio a seguito della interpellanza sua, onorevole Veltroni, e dell'onorevole Ventura, ho ritenuto opportuno e necessario prendere contatti diretti con il senatore Marcello Dell'Utri, il quale mi ha confermato quanto lui stesso ha comunicato nelle scorse settimane ad alcuni organi di informazione nel corso di interviste e dialoghi che lei stesso questa mattina ha citato ampiamente, tratti da diversi quotidiani e da diverse riviste anche di carattere culturale.
Il senatore Dell'Utri mi ha confermato quanto ha comunicato agli organi di informazione e cioè che, effettivamente, avrebbe preso visione e letto un manoscritto di circa settanta pagine di carta velina che avrebbe dovuto costituire proprio un capitolo del romanzo di Pier Paolo Pasolini. Il senatore Dell'Utri sarebbe stato contattato qualche tempo fa da una persona che gli avrebbe mostrato questo manoscritto e lo stesso senatore Dell'Utri aveva la speranza di poterlo esporre nel corso della «Mostra del libro antico» di Milano, come lui stesso ha detto alla stampa.
Dopo la risonanza che questa notizia ha avuto sulla stampa, come lei ha ricordato, questa persona non avrebbe più preso contatti con il senatore Dell'Utri, facendo cadere, quindi, la possibilità di esporre questo manoscritto alla «Mostra del libro antico» di Milano, presumibilmente - e cito le parole dello stesso senatore Dell'Utri - intimorita dall'eco che tale notizia aveva nel frattempo suscitato.
Personalmente non so niente di più di quello che in questo momento ho riferito. Era doveroso, da parte mia e da parte del Ministero, rispondere immediatamente alla sua interpellanza urgente, considerata l'importanza che questa vicenda può avere non solo per la storia della nostra letteratura, naturalmente, ma anche - lo ripeto - per fare piena luce sulla vita di Pier Paolo Pasolini e su alcune vicende ancora misteriose della nostra storia nazionale visto che, come lei ha ricordato, in questo manoscritto vi sarebbero riferimenti, appunto, ad aspetti, momenti e vicende della nostra storia, come gli avvenimenti dell'ENI, del Cefis e altri temi sui quali ancora sarebbe necessario fare piena luce.
In conclusione, mi riservo di svolgere, per quanto di mia competenza e di mia responsabilità, a seguito della sua interpellanza urgente, degli ulteriori accertamenti anche attraverso il Comando generale dei carabinieri per la difesa del patrimonio culturale del nostro Paese e nel caso in cui avrò ulteriori notizie - ma anche nel caso in cui non ne avrò - informerò immediatamente il Parlamento, così come ho fatto questa mattina.

PRESIDENTE. L'onorevole Veltroni ha facoltà di replicare.

WALTER VELTRONI. Signor Presidente, signor Ministro, la voglio veramente ringraziare per la sensibilità e anche per avere preso subito contatto, allo scopo di fornire a questa Camera una risposta che fosse non solo legata agli ambiti di conoscenza direttamente disponibili al Ministero per i beni culturali e le attività culturali.
Tuttavia, signor Ministro, credo che lei si renda benissimo conto di quello che ha detto, cioè che un senatore della Repubblica ha avuto tra le mani e ha letto, come lei ha riferito, 70 pagine. Dunque, non il sunto, del quale parla il senatore Dell'Utri nell'intervista, ma il testo integrale. Questo testo integrale da dove viene? Può venire solo da una sottrazione indebita avvenuta al patrimonio di Pier Paolo Pasolini e, dunque, il senatore Dell'Utri si è trovato di fronte a qualcuno che gli ha proposto del materiale sottratto illegalmente alla famiglia Pasolini.
La prima cosa che il senatore Dell'Utri aveva il dovere di fare era rivolgersi all'autorità giudiziaria ed è quello che io la Pag. 25prego di fare. La prego di attivare l'Arma dei carabinieri e, in particolare, il Comando per la tutela del patrimonio culturale, affinché si accerti chi ha proposto e fatto leggere al senatore Dell'Utri quelle pagine e chi ha, evidentemente, immaginato di ottenere dei proventi da questa vicenda. Questa vicenda non può restare sospesa, tanto più dopo la sua risposta - della quale la ringrazio - ma che considero molto rilevante nella discussione che stiamo facendo.
Lei ha confermato, nell'Aula del Parlamento, che il senatore Dell'Utri ha letto queste pagine e, dopo averle lette, ha detto quello che ha detto: caso De Mauro, morte di Mattei, morte di Pier Paolo Pasolini. Se questo manoscritto esiste, è illegale che qualcuno lo abbia e che questo qualcuno non sia la famiglia Pasolini. Dunque, stiamo parlando di qualcosa che si configura come una fattispecie che non rientra dentro le dinamiche naturali del mercato dei prodotti della vita culturale o dei mercati letterari. Stiamo parlando di un testo che, se esiste, è stato sottratto e se è stato sottratto e proposto a qualcuno, questo qualcuno ha il dovere di rivolgersi all'autorità giudiziaria.
Pertanto, la invito veramente, signor Ministro, ad attivarsi immediatamente perché stiamo parlando di qualcosa che ha questo profilo, sia per le sue conseguenze, sia per i contenuti di questo testo e sia per stabilire se esso è vero. Altrimenti, se qualcuno è andato dal senatore Dell'Utri e gli ha proposto un falso, dovrà rispondere anche di questo perché, comunque, si tratta di qualcosa di illegale. Produrre il falso sull'opera di una persona morta 35 anni fa è, comunque, un reato.
In ogni caso ci troviamo di fronte ad una fattispecie di reato. Dopo la sua risposta questa deve diventare immediatamente, credo, un'azione da parte delle forze dell'ordine per recuperare questo testo, se esiste, se è vero, cosa sulla quale la famiglia, come è scritto sui giornali, nutre moltissimi dubbi e anche per acquisire eventualmente il suo contenuto (e questa, sì, diventa questione che riguarda il Ministro dei beni culturali, perché stiamo parlando di uno dei più grandi intellettuali del dopoguerra).
Mentre lei parlava mi veniva in mente il modo in cui si chiude Petrolio. Si chiude con una lettera che Pier Paolo mandò ad Alberto Moravia che si concludeva così: «Questo romanzo non serve più molto alla mia vita (come sono i romanzi o le poesie che si scrivono da giovani), non è un proclama, ehi, uomini! io esisto, ma il preambolo di un testamento (...)».
Non vorrei che queste parole di Pier Paolo Pasolini fossero profetiche, per cui veramente, signor Ministro, la prego, uscito da qui, alla luce delle dichiarazioni che lei ha fatto, di attivare come lei ha giustamente e correttamente detto - di questo ancora la ringrazio - le forze dell'ordine affinché questo mistero della vita culturale, politica e istituzionale del nostro Paese venga chiarito (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

(Iniziative per una imparziale valutazione delle candidature delle città italiane per i Giochi olimpici e paralimpici del 2020 - n. 2-00632)

PRESIDENTE. L'onorevole Gava ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00632, concernente iniziative per una imparziale valutazione delle candidature delle città italiane per i Giochi olimpici e paralimpici del 2020 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

FABIO GAVA. Signor Presidente, intervengo molto brevemente. L'interpellanza in esame, che è stata sottoscritta da esponenti di tutti i gruppi parlamentari della Camera, è molto semplice e fa riferimento a un dato che è stato pubblicato sulla stampa e che riguarda la scelta di esponenti importanti di aziende partecipate dal Ministero dell'economia e, in particolare, Trenitalia, Lottomatica e la stessa Alitalia (anche se Alitalia poi è stata, come è noto, privatizzata, ma comunque è un'azienda Pag. 26di rilievo nazionale) di aderire al comitato di sostegno per la candidatura olimpica di Roma.
Come è noto sono state presentate il giorno 5 marzo al CONI italiano due candidature (quella appunto di Roma e quella di Venezia) che dovranno essere valutate nei prossimi mesi per decidere quale sarà la candidatura italiana che concorrerà alla scelta che il Comitato olimpico internazionale farà entro l'estate del 2013.
Gli interpellanti ritengono che l'adesione al comitato di sostegno degli amministratori delegati e dei responsabili di queste aziende sia stata improvvida in questa fase, nel senso che stiamo parlando di una scelta fra due candidature italiane ed essendo queste aziende, in alcuni casi pubbliche ma di rilevanza nazionale, avrebbero dovuto o aderire al comitato di sostegno di entrambe le candidature, o aspettare la scelta del CONI per sostenere poi la candidatura italiana. Rilevo che anche se, come qualcuno sostiene, queste partecipazioni fossero state fatte esclusivamente a livello personale, quindi senza impegnare le società rappresentate, sarebbero comunque inopportune.
Questo contesto ha determinato nei firmatari di questa interpellanza la preoccupazione che l'andamento relativo alla decisione che il CONI dovrà effettuare nei prossimi mesi sia non condizionato, ma un po' strabico, con una attenzione eccessivamente rivolta ovviamente alla candidatura importante di Roma, senza una adeguata valutazione del progetto Venezia che, a mio avviso, ma non solo, è comunque interessante e innovativo che, come tale, dovrebbe essere valutato con adeguata attenzione.
Ovviamente auspichiamo che la valutazione sia fatta in modo trasparente ed equo e tenendo conto delle effettive caratteristiche dei due progetti. Chiediamo al Governo, da una parte, una valutazione sul comportamento e sulle scelte dei rappresentanti di queste aziende.
Dall'altra chiediamo se, con l'autorevolezza che il Governo ha, anche se il CONI è ovviamente un ente assolutamente autonomo, possa tranquillizzare e garantire che le valutazioni saranno fatte in perfetta tranquillità e senza condizionamenti di sorta.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Rocco Crimi, ha facoltà di rispondere.

ROCCO CRIMI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, con riferimento all'interpellanza urgente proposta dagli onorevoli Gava ed altri, concernente la presentazione delle candidature ai XXXII Giochi olimpici e paralimpici del 2020, sono stati richiesti elementi informativi al CONI, ente vigilato del settore sportivo.
L'ente ha in proposito rappresentato che i criteri e le modalità per la valutazione delle candidature delle città italiane ad ospitare i Giochi olimpici e paralimpici del 2020 sono stati approvati dalla giunta e dal consiglio nazionale del CONI nella riunione del 15 dicembre 2009, in piena conformità alle regole fissate dal Comitato olimpico internazionale, riassunte in un decalogo, che richiama le norme della Carta olimpica che afferiscono alla materia.
In tale decalogo, risulta disciplinato il procedimento di proposizione della candidatura da parte del Comitato olimpico nazionale al CIO, cui è rimessa la decisione ultima in ordine alla città ospitante. È chiarito che, nel caso in cui ci siano più potenziali città richiedenti nello stesso Paese, solo una città possa essere proposta, così come deciso dal rispettivo Comitato olimpico nazionale competente, il quale è responsabile dell'osservanza e del rispetto della Carta olimpica nel proprio Paese.
A tal fine, la giunta nazionale di tale Comitato, in caso di pluralità di presentazione di richieste, seguirà una analoga procedura secondo quanto avviene in ambito CIO, ovvero farà precedere la fase di scelta definitiva del consiglio nazionale da una fase di minuziosa preselezione. Per assolvere a tale compito, la giunta nazionale Pag. 27del CONI, in conformità a quanto previsto nel decalogo richiamato, ha nominato un comitato ristretto, composto dal presidente, dai vicepresidenti e dal segretario generale del CONI, dai membri italiani del CIO e da un rappresentante degli atleti, che dovrà procedere alla valutazione delle proposte presentate.
In tale fase di preselezione, la giunta nazionale dovrà conformarsi ai criteri tecnici generali e ai tempi individuati dal consiglio nazionale, in ossequio alle norme ed alla prassi adottate al riguardo dal CIO. Sulla base del rapporto di valutazione del comitato ristretto, la giunta proporrà alla sessione del consiglio nazionale del CONI il nominativo o i nominativi delle città che avranno superato la preselezione.
Il procedimento descritto, cui parteciperanno le due città (Roma e Venezia), che hanno presentato il 5 marzo il dossier di candidatura, appare in grado di garantire l'imparziale, autonoma e trasparente valutazione della candidatura che dovrà rappresentare il nostro Paese ai Giochi del 2020, in quanto improntato al rispetto dei principi della Carta olimpica ed ancorato a criteri tecnici oggettivi in grado di assicurare la scelta più idonea a tutelare il prestigio e la credibilità di cui il nostro Paese gode quale organizzatore di eventi sportivi di rilevanza mondiale.
In ordine alla affermata partecipazione di aziende pubbliche di rilevanza nazionale al comitato costituitosi a sostegno della candidatura della città di Roma, si fa presente che, con specifico riguardo alla RAI, il Ministero dello sviluppo economico ha precisato che la medesima non ha aderito né formalmente, né informalmente al comitato promotore di Roma 2020 per l'assegnazione dei Giochi olimpici, ma in quanto azienda di servizio pubblico sarà comunque a fianco del CONI nel sostenere la candidatura italiana.
Sul tema della asserita partecipazione di società pubbliche al comitato in favore della città di Roma, il Ministero dell'economia e delle finanze ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, interpellati al riguardo, hanno comunicato di non avere, per quanto di competenza, specifici elementi informativi da fornire. Voglio assicurare, da ultimo, che il Governo garantisce il massimo sostegno alle candidature proposte poiché è interesse primario che i XXXII Giochi Olimpici e Paralimpici del 2020 possano svolgersi nel nostro Paese.

PRESIDENTE. L'onorevole Gava ha facoltà di replicare.

FABIO GAVA. Signor Presidente, ovviamente mi dichiaro soddisfatto della risposta del sottosegretario Crimi. È evidente che l'interesse primario per il nostro Paese è quello di avere una candidatura forte che possa consentire la scelta della sede italiana per le Olimpiadi del 2020. Tuttavia per raggiungere questo obiettivo è bene che tutto avvenga secondo le procedure e che il Paese non si senta, su alcune scelte che possono essere discutibili, penalizzato.
Siamo convinti che questa interpellanza sia comunque servita a portare all'attenzione di tutto il Parlamento, o almeno di una sua parte, questa vicenda. È evidente che la valutazione nell'ambito della preselezione deve essere tale da consentire effettivamente che il CONI si possa esprimere in maniera ampia sulle due proposte, qualora ovviamente la preselezione confermi che entrambe le proposte abbiano i parametri richiesti dal Comitato internazionale olimpico; cosa di cui sono certo per quanto riguarda Venezia, conoscendo il progetto nel dettaglio, e immagino che sia così anche per quanto riguarda il progetto di Roma.
Confermo la soddisfazione e ovviamente riconfermo l'attenzione di tutti i firmatari di questa interpellanza rispetto alle procedure che adesso dovranno essere attuate per arrivare alla scelta definitiva.

(Modalità di utilizzo delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate - n. 2-00650)

PRESIDENTE. L'onorevole Scilipoti ha facoltà di illustrare l'interpellanza Leoluca Pag. 28Orlando n. 2-00650, concernente modalità di utilizzo delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti), di cui è cofirmatario.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, queste interpellanze le facciamo per effettuare una riflessione reciproca che dovrebbe portarci ad analizzare attentamente ciò che sta succedendo e quali potrebbero essere le soluzioni praticabili dal Parlamento e consequenzialmente dal Governo, ma in questo caso in prima battuta dal Governo.
Il Fondo per le aree sottoutilizzate, il FAS, era stato istituito il 27 dicembre 2002 e poi modificato il 27 dicembre 2006. Si tratta di uno strumento di finanziamento per tutte quelle aree sottoutilizzate del Paese, in modo particolare - per farci capire meglio anche da chi ci ascolta - per quelle popolazioni e per quelle regioni che avevano delle difficoltà o erano in condizioni di difficoltà.
Cosa è successo? È successo che il Governo, con il comma 3 dell'articolo 18 del decreto-legge n. 185 del 2008, ha ribadito che questi fondi devono essere ripartiti per l'85 per cento alle regioni del Mezzogiorno e per il 15 per cento alle regioni del Centro nord. Tuttavia, subito dopo si è fatto in modo che quelle somme, che venivano date per l'85 per cento alle regioni del Mezzogiorno, fossero stornate utilizzandole per interventi che venivano definiti d'emergenza, o meglio, primari. Successivamente venivano utilizzate anche per far fronte alla crisi che investiva il Paese.
Venivano stornati circa 8 miliardi di euro per utilizzarli in questi tipi di interventi, ma, guarda caso, questi interventi non venivano realizzati nelle aree del Mezzogiorno, bensì a trecentosessanta gradi su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, alcuni parlamentari si sono lamentati e il Governo ha svolto una riflessione a seguito della quale ha detto che era opportuno riconsiderare la sua posizione e in un particolare momento, il 31 luglio 2009, venivano stanziati a favore della regione Sicilia 4 miliardi di euro per il 2011, cioè nell'arco di tempo che comprendeva il 2009, il 2010 e il 2011.
Questi soldi stanziati a favore della regione siciliana dovevano essere utilizzati in un modo adeguato, ma, tuttavia, ciò non è accaduto, perché sono stati spesi per determinate strutture che non sono state mai completate e sono stati investiti anche in altre strutture che non erano, e che non sono, di prima necessità: guarda caso, una fra queste è il Ponte sullo stretto di Messina. Questa non è una riflessione che vuole essere di pignoleria o volta a creare confusione per dire il Ponte «sì» o il Ponte «no»; è una riflessione di un parlamentare siciliano che conosce la realtà siciliana e, guarda caso, oggi a rispondere c'è un rappresentante del Governo anch'egli siciliano.
La riflessione che mi permetto di svolgere e che lei, signor sottosegretario, conosce perfettamente è che gli investimenti che dovevano essere fatti, e che dovrebbero essere effettuati in questo preciso momento e per il futuro, non devono avere ad oggetto il Ponte sullo stretto di Messina o altre strutture che potrebbero essere definite non prioritarie. Infatti, come lei ben sa, sottosegretario, essendo anche lei di Messina, nella nostra città abbiamo ancora le baracche del 1908; riguardo a questo non voglio attribuire responsabilità a Governi passati o attuali o futuri, ma voglio fare una fotografia della situazione attuale della Sicilia e della città di Messina. Come si può, in una città come Messina, avere ancora delle baracche che risalgono al 1908, mentre il Governo spende e investe denaro per opere che sono faraoniche e non risolve i problemi che stanno alla base di questa realtà che sono urgentissimi? Ma non è finita.
Noi abbiamo dichiarato che la provincia di Messina, come tutte le altre province della Sicilia e anche del resto del meridione, compresa la Calabria, la Puglia e le altre regioni, presenta situazioni di dissesto idrogeologico che sono veramente a rischio. Ne abbiamo parlato all'interno di quest'Aula due anni fa, in seguito l'abbiamo Pag. 29ribadito, ma non siamo stati ascoltati; siamo stati presi un po' in considerazione nel momento in cui si è verificato il disastro di Messina. Ma non è finita qui, perché a seguire, dopo il disastro di Messina, si è verificato anche il disastro dei Nebrodi, nonché quello della provincia del trapanese.
Allora questo cosa significa? Significa che molte volte quando il Governo storna dei finanziamenti non lo fa nella logica e nel rispetto delle buone norme del lavoro e dell'interesse della collettività, del Paese e del cittadino, ma li storna solo ed esclusivamente negli interessi di qualche lobby. Dicendo questo mi assumo anche la responsabilità di quello che sto affermando all'interno di quest'Aula, certamente mi assumo la responsabilità di dire delle cose chiare e mi aspetterei che il rappresentate del Governo mi fornisse una risposta altrettanto chiara.
Guarda caso, con parte di questi 4 miliardi si sono realizzate alcune opere che vengono gestite in Sicilia da persone che, da quello che riportano la trasmissione Report e i giornali, sono in odore di mafia, ma non basta. Guarda caso, per molti di questi progetti non soltanto la progettazione, ma anche il collaudo e la realizzazione viene affidata sempre alla stessa persona per svariati, svariati e ancora svariati milioni di euro. Ci sarà qualcosa che non funziona.
Questo popolo siciliano non solo è martellato e martoriato da una classe di dirigenti del passato e in parte attuali che sono maldestri, ma viene martellato anche da un altro dramma per cui nel subconscio di ogni siciliano si pone la domanda: forse siamo anche degli stupidi, perché non riusciamo ad uscire fuori da un dramma così serio e così forte. Non solo abbiamo avuto la disgrazia di avere in precedenza degli amministratori e dei rappresentanti del Governo che hanno fatto e disfatto non ad uso e consumo dell'interesse della collettività, ma ad uso e consumo dell'interesse proprio di quel politico che in quel momento era il gestore. Oggi, infatti, c'è anche un'altra beffa secondo cui si ridanno una parte dei fondi FAS in Sicilia, però si gestiscono in modo tale da restare all'interno di una lobby che è al di sopra di tutto e che continua a gestire e a manomettere.
Signor rappresentante del Governo, quando poco fa facevo la riflessione del Ponte sullo stretto di Messina, che potrebbe essere un'opera per il futuro, la facevo perché vivo giornalmente in quella realtà dove non si può camminare perché la viabilità non esiste. Lei sa bene e meglio di me che l'autostrada inaugurata è stata completata tre anni fa e guarda caso, si tratta dello stesso ingegnere e delle stesse ditte intervenuti a portarla avanti dopo trent'anni. Oggi l'autostrada è impraticabile e non si può percorrere perché in alcuni tratti ci sono gli avvallamenti, la doppia corsia non esiste e ci sono situazioni veramente drammatiche. Non abbiamo finito, in quanto non è soltanto un problema di viabilità della Messina-Palermo, ma è un problema di viabilità che non esiste tra Palermo e Agrigento. C'è un problema di invivibilità nelle zone del Priolo e del siracusano e, guarda caso, il Ministro competente per l'ambiente e per altri argomenti inerenti all'ambiente si chiama Prestigiacomo e vive in quella zona. La nostra riflessione è che, in primo luogo, ci avete tolto i FAS (il fondo per le aree sottoutilizzate) e li avete ridotti abbondantemente. In parte con un decreto avete cercato di dare qualcosa (guarda caso in Sicilia), ma una parte del fondo è stata utilizzata per pagare i debiti di una città come Catania che aveva distrutto e sperperato denaro pubblico. Quei soldi che dovevano servire a rilanciare l'economia di un territorio sono serviti, invece, a pagare i debiti che qualcuno aveva contratto non nell'interesse della collettività, ma nell'interesse singolo ed esclusivo di alcuni gruppi. Non abbiamo finito, in quanto quei soldi, in parte tornati, dove sono stati utilizzati? Una parte per questo, ma guarda caso ritorna il discorso del Ponte sullo stretto di Messina. Avete dato dei soldi per realizzare delle bretelle senza nessun significato a Reggio Calabria, ma avete detto che erano delle bretelle importantissime che dovevano partire per Pag. 30dare la possibilità dell'avvio di questo progetto faraonico, ovvero il Ponte sullo stretto di Messina. Non abbiamo finito, in quanto alcuni soldi che dovevano essere dati e che potevano essere spesi per queste regioni, sono stati spesi a Como o in altre regioni d'Italia. Qualcuno dice che, è vero che sono stati tolti fondi FAS, però tutto sommato si è cercato di dare qualcosa. Ma cosa avete dato? Questa è la domanda che pongo a lei e al Governo, il quale molte volte afferma che si sta contribuendo a migliorare quel territorio che è massacrato, che ha difficoltà di sviluppo, di emergere e di partire. Gli state regalando delle cose bellissime, ovvero una lobby che gestiva nel passato e continua a gestire ora. Lei lo sa meglio di me, ma quando mi riferisco alla lobby, forse impropriamente utilizzo questo termine. Si potrebbe utilizzare, virgolettando la parola, il termine - le chiedo scusa - mafia, nel suo senso generale. Quando si parla di mafia molte volte pensiamo a Riina e a Provenzano.
Ma la mafia in Sicilia è rappresentata da Riina o Provenzano o è quella lobby che gestisce, attraverso gli appalti e la progettazione, in nome e per conto di una politica che non è seria e costruttiva nell'interesse del Paese?
Non voglio essere frainteso, ma riporto le parole de la Repubblica e di Report, che parlano di un certo ingegnere Antonio Bevilacqua, punto di riferimento di qualcuno o di qualcosa. Mi auguro che questo ingegnere Antonio Bevilacqua non sia punto di riferimento di qualcuno o di qualcosa. Da più di vent'anni egli è progettista incaricato in tutto e per tutto.
Quando parlo di lobby, la riflessione può riguardare gruppi che gestiscono tutti gli appalti sul territorio: guarda caso, uno degli ultimi appalti, che non è solo, ma è interconnesso e interdipendente con altri appalti sul territorio locale e nazionale, è affidato alla famiglia Ercolano, che viene definita come punto di riferimento della delinquenza e della mafia. Il Governo non si pone il problema di dire: «Ma cosa sta succedendo?» Quando il Governo afferma che vuole far uscire la Sicilia e il Meridione da quella cappa rappresentata dalla delinquenza e dalla mafia, vuole intendere che dobbiamo criminalizzare e puntare tutti su Riina o su Provenzano o vuole intendere che dobbiamo puntare su Riina, Provenzano e coloro i quali sono politici connessi e conniventi con la mafia su quel territorio?
Allora, si può combattere una delinquenza se si permette che gli appalti pubblici vengano gestiti da coloro i quali sono in odore di mafia? È mai possibile rilanciare un territorio come quello siciliano e meridionale, quando gli incarichi si danno sempre allo stesso progettista per vent'anni? La riflessione che volevo svolgere è questa: all'interno di quest'Aula discutiamo le interrogazioni e le interpellanze e svolgiamo tutte quelle attività che vengono chiamate di sindacato ispettivo, non per farci conoscere o per farci una chiacchierata (perché non sappiamo cosa fare in questa giornata), ma per avere risposte chiare e concrete e per cercare di eliminare quello squilibrio e quella mortificazione che esistono nei confronti del popolo siciliano: continuando così, non si compie la mortificazione del popolo siciliano e meridionale, ma la mortificazione della politica e anche del cittadino italiano.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e gli insegnanti dell'istituto tecnico commerciale Leonardo da Vinci di Foggia e gli studenti e gli insegnanti della scuola media statale di Villa del Conte (Padova), che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Rocco Crimi, ha facoltà di rispondere.

ROCCO CRIMI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, con riferimento all'atto di sindacato ispettivo presentato dalla signoria vostra, si fa presente che per le parti di rispettiva competenza i Ministeri interpellati hanno fornito gli elementi di risposta che qui di seguito si riportano.
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha fatto conoscere quanto segue. Pag. 31Il rispetto delle condizioni, imposte per legge, di ripartizione di risorse di origine FAS per l'85 per cento ed il 15 per cento di destinazione al Mezzogiorno e al Centro-nord, è stato perseguito, in ogni singola delibera adottata dal CIPE, nell'ambito dell'utilizzo del Fondo infrastrutture.
Infatti, le delibere CIPE programmatiche n. 51/2009 e n. 52/2009, di finalizzazione delle risorse FAS al quadro dei finanziamenti infrastrutturali, rispettano pienamente le condizioni di investimento nelle diverse aree sottoutilizzate del Paese che, sfortunatamente, non sono concentrate solo in quell'area che geograficamente intendiamo con il termine Mezzogiorno.
Il Governo, quindi, è non solo consapevole delle modalità di impiego rispettose della legge, ma riconosce valenza strategica all'utilizzo territorializzato delle risorse FAS.
Relativamente al Ministero dello sviluppo economico, si fa presente che la programmazione delle risorse aggiuntive nazionali del Fondo aree sottoutilizzate (63.273 milioni di euro nella legge finanziaria per il 2007) è stata interessata nel biennio 2008-2009 da numerosi interventi legislativi, per lo più a carattere d'urgenza, ispirati ai principi di concentrazione delle risorse disponibili su taluni obiettivi ritenuti prioritari per il rilancio dell'economia italiana, quali le infrastrutture strategiche (con particolare enfasi alle reti per la mobilità ed al sostegno delle attività produttive) e l'emergenza occupazionale.
Accanto alla nuova strategia, di concentrazione delle risorse nazionali aggiuntive verso grandi progetti di investimento nelle infrastrutture materiali e immateriali, nelle telecomunicazioni, nell'ambiente e nell'energia, le esigenze di bilancio hanno reso necessari, tuttavia, tagli a carico del Fondo aree sottoutilizzate. Alcune riduzioni al Fondo sono state previste dalla legge finanziaria per il 2008, altre disposte da una serie di provvedimenti legislativi d'urgenza varati nel corso dell'anno, che hanno ridotto di 13.257,61 milioni di euro la dotazione del Fondo esistente al momento dell'avvio della programmazione 2007-2013.
Tuttavia, solo una parte di tali riduzioni, pari a 10.786,20 milioni di euro, sono a valere sulle assegnazioni del Fondo aree sottoutilizzate (FAS) per il periodo 2007-2013, la cui dotazione è passata, quindi, da 63.273 milioni di euro a 52.486 milioni di euro.
In pratica, le delibere CIPE n. 112/2008 e n. 1/2009, aggiornando la dotazione del FAS, prevista dalla delibera CIPE n. 166/2007, hanno così ripartito tale ridotta dotazione del FAS 2007-2013: 27.027 milioni di euro a favore dei ventuno programmi strategici di interesse regionale, dei due programmi interregionali e del progetto per il conseguimento dell'iniziativa «Obiettivi di servizio»; 25.459 milioni di euro per le amministrazioni centrali e le preallocazioni di legge. In particolare, la quota del FAS destinata alle amministrazioni regionali comprende le seguenti assegnazioni: programma delle regioni e province autonome, 22.344,00 milioni di euro; programmi interregionali (energie rinnovabili ed attrattori culturali), 1.671,00 milioni di euro; obiettivi di servizio, 3.012,00 milioni di euro, per un totale di 27.027,00 milioni di euro. Al netto dell'iniziativa «Obiettivi di servizio» e dei due programmi interregionali (energie rinnovabili e attrattori culturali), le risorse regionali sono state programmate attraverso la predisposizione di ventuno programmi attuativi regionali.
La complessiva rivisitazione del quadro strategico nazionale ha avuto come effetto anche un rallentamento nella definizione dei programmi attuativi regionali, per i quali il CIPE ha provveduto a ridurre del 5,5 per cento le assegnazioni delle somme impegnabili. Dei ventuno programmi attuativi delle regioni e province autonome, dieci hanno già conseguito la prevista «presa d'atto» del CIPE, ulteriori otto - a conclusione dell'istruttoria del Ministero dello sviluppo economico - sono stati inviati al CIPE. Tre programmi sono ancora in fase istruttoria presso il detto Ministero. Per tutte le Regioni dell'obiettivo Pag. 32convergenza, ad eccezione della Sicilia, deve ancora essere concluso l'iter di approvazione dei programmi.
Per quanto riguarda il programma attuativo regionale della Sicilia, in particolare, a fronte di interventi programmati per 4.313,50 milioni di euro (importo originario previsto dalla delibera CIPE n. 166/2007), le risorse FAS assegnate al programma ai sensi delle delibere CIPE n. 1/2009 e n. 66/2009 ammontano a 4.093,80 milioni di euro. Dal sistema di monitoraggio ufficiale risulta che l'autostrada Catania-Siracusa, sebbene ricompresa nell'Accordo di programma quadro per il trasporto stradale stipulato con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con la regione siciliana e con l'ANAS nel 2001 (successivamente confluito nel testo coordinato e integrato del 2006), non risulta finanziata con risorse FAS.
L'opera risulta costituita da un unico intervento denominato: SS 114 «Orientale Sicula». Completamento del tratto stradale Catania-Siracusa con caratteristiche autostradali, compreso tra la località Passo Martino, lungo l'asse dei servizi della città di Catania ed il km 130+400 della statale 114.
La copertura finanziaria rispecchia la specifica previsione della delibera CIPE n. 55 del 25 luglio 2003. Secondo l'ultimo monitoraggio disponibile al 30 giugno 2009, infatti, il valore dell'opera ammonta a 804 milioni di euro, così ripartiti: euro 517.976.000 per il contratto di programma ANAS 2003-2005; euro 96.264.000 per la legge n. 388 del 2000 (finanziaria 2001); euro 9 milioni per la legge n. 166 del 2002, recante disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti (risorse destinate all'attuazione della «legge obiettivo»); euro 180.760.000 per il P.O.N. Trasporti 2000/2006 (fondi strutturali comunitari).
In ordine alle iniziative finalizzate a ripristinare la dotazione originaria del FAS, in coerenza con l'accordo stipulato da Stato e regioni il 12 febbraio 2009, occorrerà verificare con il Ministero dell'economia e delle finanze, in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità per il 2011, la possibilità, in relazione alle condizioni della finanza pubblica, di procedere al ripristino della dotazione originaria del FAS.
Il Ministero dell'interno ha riferito sull'esito degli accertamenti disposti dalla prefettura di Catania. Da tali accertamenti risulta che l'Impresa Pizzarotti Spa, aggiudicataria, nella qualità di contraente generale, della gara d'appalto relativa alla realizzazione del 1o macro-lotto dei lavori di adeguamento e ammodernamento del tratto stradale Catania-Siracusa, ha sottoscritto un protocollo d'intesa con le prefetture di Catania e Siracusa, finalizzato ai controlli sulle società e imprese esecutrici dei lavori.
In applicazione del citato protocollo sono state effettuate 3.300 verifiche antimafia, che hanno interessato circa 12.000 soggetti; il 70 per cento di tali verifiche si è svolta tra giugno 2005 e giugno 2006. Da tale attività sono complessivamente scaturiti circa 100 provvedimenti con effetto interdittivo, dei quali 3 successivamente alla stipula del contratto.
Le risultanze degli accertamenti relativi alla COP.P. Srl, nella qualità di impresa fornitrice della UNICAL Calcestruzzi, a sua volta sub-appaltatrice della Pizzarotti Spa, sono pervenuti alla prefettura di Catania il 5 aprile 2006 e contestualmente trasmessi alla Società Pizzarotti, che ha immediatamente interrotto il rapporto contrattuale.
Per quanto riguarda la circostanza che la COSAP, nuova fornitrice di materiale inerte per la UNICAL Calcestruzzi, a sua volta si sarebbe rifornita presso la COP.P., si fa presente che il protocollo d'intesa non prevede alcuna verifica nei confronti dei «sub-sub-fornitori». Nessuna comunicazione relativa alla COSAP era pervenuta alla prefettura di Catania.
Un chiarimento a parte merita la questione della gestione dei flussi in entrata e in uscita dal porto di Catania. A tale riguardo, si precisa che l'affermazione riferita dagli interpellanti è stata resa dal giornalista della trasmissione Report e che il viceprefetto dottor Angelo Sinesio ha confermato soltanto l'attuale ruolo di presidente Pag. 33provinciale della Federazione Autotrasportatori Italiani (F.A.I.) rivestito dal signor Angelo Ercolano.
Venendo ora allo specifico quesito sollevato dagli onorevoli interpellanti, si evidenzia che il contrasto alle infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti pubblici rappresenta uno dei capisaldi dell'intero pacchetto di misure adottato dal Governo con il piano straordinario contro le mafie approvato nel Consiglio dei ministri dello scorso 28 gennaio.
In particolare, nell'ambito di tali misure, è stata conferita al Governo una specifica delega diretta ad ottimizzare la disciplina della certificazione antimafia, secondo principi e criteri direttivi che prevedono, da una parte, una maggiore semplificazione delle procedure, dall'altra, un rafforzamento delle cautele antimafia, con estensione degli effetti interdittivi anche alla fase successiva alla stipula dei contratti pubblici.
Inoltre, è prevista l'individuazione delle diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa, per le quali, indipendentemente dal valore del contratto, è sempre prescritta l'acquisizione della suddetta documentazione. È stabilita, altresì, l'obbligatorietà dell'informazione antimafia per i contratti stipulati da enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose, per un periodo di cinque anni successivi allo scioglimento.
Sempre con riguardo al delicato settore degli appalti pubblici, sono stati, poi, previsti un inasprimento del trattamento sanzionatorio per il reato di turbata libertà degli incanti (reclusione da 6 mesi a 4 anni anziché reclusione fino a 2 anni); la promozione, in ambito regionale, del ricorso a una o più stazioni uniche appaltanti, allo scopo di assicurare la trasparenza e la regolarità nella gestione dei contratti pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose.
Una delle innovazioni più importanti, infine, riguarda la tracciabilità dei flussi finanziari relativi ai contratti pubblici, in merito alla quale viene esteso a tutto il territorio nazionale quanto già previsto per la ricostruzione in Abruzzo e per i lavori dell'Expo 2015 di Milano introducendo, a regime, la regola dell'obbligatorietà dell'utilizzo di conti dedicati e di bonifici bancari o postali per tutti i contratti pubblici, e la white list che individua le aziende pulite che possono accedere al settore degli appalti pubblici.
L'idea della white list è ripresa da una norma inserita nel disegno di legge «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», licenziato lo scorso 1o marzo dal Consiglio dei ministri. È, infatti, prevista la facoltà per gli esecutori dei lavori, servizi e forniture di scegliere i fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di tentativi di infiltrazione mafiosa, attingendo da un elenco istituito presso le prefetture.
Tutte le misure descritte completano il quadro degli interventi varati dal Governo in materia di appalti, che con la legge n. 94 del 2009 ha tra l'altro istituzionalizzato il sistema dei controlli sui cantieri delle imprese interessate all'esecuzione dei lavori pubblici, conferendo ai prefetti specifici poteri di accesso e di accertamento.
Il Governo, in questo modo, ha messo a regime la preziosa esperienza sviluppata dalla Direzione investigativa antimafia e dai gruppi interforze istituiti presso le prefetture nel settore degli appalti riguardanti le grandi opere.

PRESIDENTE. L'onorevole Scilipoti ha facoltà di replicare.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, sono insoddisfatto della risposta, ma vorrei precisare innanzitutto che ringrazio il sottosegretario, che so essere una persona per bene e che stimo. Mi dispiace che oggi è venuto a svolgere una relazione preparata da altri, e molte cose non corrispondono perfettamente alla realtà.
Vi è un passaggio da sottolineare (ecco perché poi diventa anche difficile credere da parte dei cittadini alla politica, e ad una parte della politica): chi ha preparato queste paginette da portare in Aula si è scordato di parlare di un personaggio chiave ed importante, che abbiamo citato, Pag. 34l'ingegner Bevilacqua. Che cosa significa ciò? Significa che i cittadini, non solo siciliani e meridionali, hanno capito che il problema è che non si ha, oggi come oggi, un comportamento chiaro nei confronti di qualcuno da parte dell'altro (che si chiama Governo o si chiama in altro modo), bensì un comportamento velato, un comportamento non chiaro per far sì che si continui a gestire il territorio, e in modo particolare quel territorio martoriato del Meridione e della Sicilia, con gli stessi sistemi con cui veniva gestito 50 anni fa, 60 anni fa o 100 anni fa.
Lei, sottosegretario, svolge una relazione e si scorda che l'ingegnere in causa, l'ingegner Bevilacqua, ha avuto l'incarico per nove lotti della Palermo-Messina, per altri due lotti della Siracusa-Gela, è stato progettista della realizzazione del collegamento Agrigento-Caltanissetta, della Ragusa-Catania-Comiso, della Circumetnea, del mai realizzato aeroporto di Agrigento, del maxilotto Quadrilatero delle Marche, del ponte di Ortigia a Siracusa, della tratta ferroviaria Palermo-Agrigento, è stato direttore dei lavori della Catania-Siracusa, di due macrolotti della Ionica, la statale 106, di altri due sulla Salerno-Reggio Calabria, di un lotto del Raccordo anulare di Roma, del Passante ferroviario di Palermo, e via dicendo. Questo che cosa significa?
Significa che c'è sicuramente qualcosa che non va: se diamo credito a quanto riportano i giornali e a quanto riporta Report circa il fatto che lui è il punto di riferimento di un gruppo che fa politica attiva in questo preciso momento e che si comporta in modo non corretto e leale nei confronti del territorio, ciò significa che qualche riflessione la dovremmo fare e che chi scriveva e ha scritto quelle pagine doveva dare almeno un minimo di risposta a quanto era stato detto, non solo dentro quest'Aula ma anche da parte dei giornali e delle televisioni.
Ma non abbiamo finito. Lei dice che i fondi FAS sono stati utilizzati nelle regioni del Meridione per le problematiche inerenti al settore occupazionale: ma di che cosa stiamo parlando quando evochiamo il settore occupazionale? Stiamo parlando dei progetti di lavoro che vengono realizzati in Calabria e in Sicilia (in modo particolare in Sicilia), che esistono sulla carta ma che non vengono mai realizzati? Ma guarda caso, i punti di riferimento politici sono gli stessi di coloro, i quali hanno sostenuto e sostengono questo studio di ingegneristica e l'ingegnere di cui stiamo discutendo!
Di che cosa stiamo parlando? Parliamo dei corsi professionali o parliamo dei soldi che sono stati investiti, ossia riportati in Sicilia, che dovevano essere assegnati per dare forza ai comuni mentre sono stati utilizzati a Catania per realizzare quella struttura che si chiama Circumetnea? Quest'ultima è un trenino che non funziona, che non cammina ed è privo dei servizi di controllo ma per il quale il presidente della regione Sicilia, in combutta con un gruppo di parlamentari, ha fatto un bando per assumere, guarda caso, chi? L'autista, la segretaria e il figlio di qualche politico direttamente, senza passare per alcun bando di concorso! Allora, di che cosa stiamo parlando? Che risposte vogliamo dare? Le nostre interpellanze vengono presentate per sollecitare una riflessione da parte sia della minoranza sia della maggioranza, per trovare soluzioni volte a riscattare questo Sud e questo Meridione, per riscattare tutti i cittadini italiani che ancora credono nelle istituzioni; ma con questo tipo di comportamento non possono più crederci e non potete raccontare loro la favola che la delinquenza nel Meridione si chiama Riina. La delinquenza nel Meridione non si chiama Riina, non si chiama Provenzano, si chiama politica nel senso non nobile della parola, nel senso più offensivo che possa esistere, perché viene rappresentata trasversalmente da coloro, i quali hanno mangiato, hanno mortificato e continuano a mortificare il popolo meridionale ed il popolo italiano! Questa è la riflessione che dobbiamo porci. Quando poniamo un problema serio e diciamo che le opere pubbliche sul territorio italiano - e in modo particolare nel Meridione - vengono gestite sempre e solo da parte di alcuni personaggi, allora qualcosa ci sarà Pag. 35che non funziona, ci sarà un nesso, ci sarà qualche cosa che non combacia perfettamente! Noi denunciamo all'interno di quest'Aula che i fondi FAS, che sono stati stornati in Sicilia per quelli che lei chiamava scopi occupazionali, vengono utilizzati per i corsi di formazione, ma questi corsi di formazione non esistono, sono fantasmi, però, guarda caso, chi li gestisce è sempre il punto di riferimento della stessa squadra! Allora, che cosa vogliamo fare? Vogliamo dire ai meridionali che hanno avuto la sfortuna di essere collocati in basso? E contestualmente cos'altro gli vogliamo dire? Gli vogliamo dire che sono stati collocati in basso dall'Italia ma che hanno avuto anche un'altra disgrazia, quella per cui li consideriamo stupidi e non persone, ma persone non pensanti? Quando facciamo questa riflessione e veniamo all'interno dell'Aula ma da parte degli uffici viene predisposta una relazione che omette la parte principale della discussione, allora veramente dobbiamo capire che c'è qualcosa che non quadra, qualcosa che effettivamente non collima. Ciò vuol dire che - e virgoletto il passaggio che, signor sottosegretario, non è rivolto a lei - anche da parte degli uffici qualche volta vi è la responsabilità non di scrivere con grande serenità, ma di scrivere dietro dettatura.
Allora, dobbiamo capire chi è che detta. Chi è il professore che fa il dettato? Chi è che scrive? Perché omettere alcuni passaggi che sono fondamentali per capire e per riscattare quel territorio? Non parlarne significa rendere difficile la comprensione della questione sia a me, come parlamentare, sia al cittadino.
Altri passaggi importanti sono stati rappresentati. Mi permetto di dire che gli uffici hanno preparato una relazione, perché un argomento importante che abbiamo esposto all'interno di quest'Aula non è stato discusso, non è stato preso in considerazione. Parliamo di argomenti che sono la triste realtà di un popolo che soffre giornalmente e che facciamo finta di non vedere.
Mi sono permesso di ricordarle, signor sottosegretario, una realtà ancora oggi presente nel messinese. Mi vergogno quasi a sostenerlo all'interno di quest'Aula, divento ridicolo a ridirlo in quest'Aula, ma non è concepibile che in una città come Messina, o in altre città, esistano le baracche con il tetto di amianto! E guarda caso i punti di riferimento politici della città di Messina, e a livello regionale, sono gli stessi che ha oggi la maggioranza in questo Parlamento.
Allora è questo che attira la nostra attenzione e ci porta a svolgere una discussione all'interno di quest'Aula come parlamentari. Che cosa ci aspetteremmo? Ci aspetteremmo che dall'altra parte vi sia una discussione costruttiva e che si prenda, non conoscenza dei problemi, perché si conoscono, ma che si incominci a capire che è arrivato il momento di invertire la marcia, di fare una politica diversa, cominciando a dire che la responsabilità dell'amministratore deve essere diretta e che deve mettersi le mani in tasca quando sbaglia; e non - mi ripeto su quest'altro concetto - come è successo a Catania, dove si sono sperperati 140 milioni di euro e il Governo nazionale ha messo le mani in tasca ai cittadini per ripianarli!

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DOMENICO SCILIPOTI. Questo è il dramma che stiamo vivendo. Mi aspettavo che attraverso questa interpellanza si potesse prendere profondamente non conoscenza ma coscienza di ciò che è la realtà meridionale e che da oggi cominciasse una nuova visione della politica nell'interesse non delle lobby e della politica marcia, ma nell'interesse della politica buona, che lei rappresenta, e di coloro che sono cittadini onesti che credono ancora in uno Stato forte che dovrebbe garantirli (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

(Iniziative in merito alla situazione di inquinamento ambientale del territorio di Taranto e provincia - n. 2-00633)

PRESIDENTE. L'onorevole Patarino ha facoltà di illustrare la sua interpellanza Pag. 36n. 2-00633, concernente iniziative in merito alla situazione di inquinamento ambientale del territorio di Taranto e provincia (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

CARMINE SANTO PATARINO. Signor Presidente, chi dovesse per la prima volta venire a Taranto, in quella che un tempo fu la capitale della Magna Grecia, culla della cultura e della civiltà di gran parte dell'Occidente, città tanto cara ai filosofi e ai poeti della latinità, che oggi con le sue bellezze naturali, con i suoi due mari, con la presenza della flotta della nostra Marina e del suo glorioso Arsenale, con il suo porto dalle immense potenzialità strategiche, che potrebbe essere centro di grande sviluppo economico e di enormi opportunità occupazionali nei settori dei beni culturali, della marina, della nautica, del turismo, dell'agricoltura, della pesca e dell'industria del mare, scoprirebbe immediatamente, oserei dire ad occhio e a naso, che non c'è alcun bisogno di ricorrere a misurazioni scientifiche per verificare lo stato di inquinamento dell'aria che non riguarda solo il capoluogo, ma buona parte dell'arco jonico.
Si osserva un'enorme nuvola nera che incombe ininterrottamente sulla città e sui suoi dintorni, inondando l'una e gli altri di polveri venefiche. Tale situazione non è addebitabile soltanto al gigante siderurgico che dà lavoro, con l'indotto, ad oltre 20 mila cittadini, ma rinviene dalla concentrazione massiccia di insediamenti industriali pesanti che vanno dalla raffineria ENI alla Cementir.
Lo dicono oggi gli ultimi dati Eurispes che collocano Taranto tra le quattordici aree ad alto rischio ambientale. Lo dice la procura della Repubblica di Taranto secondo la quale i danni ambientali a Taranto risalgono addirittura agli anni Ottanta, quando l'ILVA si chiamava Italsider ed era di proprietà dello Stato. Lo dicevano molti giornali nazionali nei primi anni Novanta riferendosi all'aumento della mortalità a Taranto per patologie neoplastiche. Lo diceva nel 1993 l'allora USL Taranto 4, che pubblicava lo studio effettuato da un gruppo appositamente costituito nel 1991. Lo dice l'ARPA in un recentissimo rapporto nel quale viene certificato che nel popoloso quartiere Tamburi di Taranto, quando il vento spira dall'area industriale, il picco del benzopirene arriva a 3,8 nanogrammi per metro cubo d'aria, contro un nanogrammo, così come è previsto dalle normative italiana ed europea. Lo hanno detto nel novembre dell'anno scorso circa trentamila persone, tra cui moltissimi giovani, che hanno sfilato in corteo per le strade della città di Taranto contro i veleni dell'area industriale.
Sono dati allarmanti che avrebbero dovuto già da molto tempo preoccupare, inducendo a prendere immediatamente dovuti e appropriati provvedimenti a tutela della salute dei cittadini. Il tasso d'incidenza per le mortalità neoplastiche a carico dell'apparato respiratorio e per malattie cardiocircolatorie nella popolazione di Taranto, che nel 1971 era ben al di sotto della media nazionale, dopo venti anni di industrializzazione di quel tipo si raddoppiava confinando quindi la città tra le aree a maggiore rischio ambientale. Invece non si fece nulla. Ci fu una generale colpevole indifferenza.
Per decenni la questione ambientale di Taranto è stata sottovalutata se non addirittura ignorata. Basti pensare che le amministrazioni di sinistra, che si sono a lungo succedute alla guida del comune di Taranto, e che con l'Italsider avevano un collegamento strettissimo anche attraverso la cinghia di trasmissione del sindacato, avevano pensato bene di aggirare tale questione facendosi versare 2 miliardi di vecchie lire l'anno, mentre perfino i nostri terreni si riempivano di diossina al punto di determinare - come è accaduto recentemente - l'abbattimento di migliaia di capi di bestiame. Tutto ciò va detto non per alimentare polemiche, delle quali la gente è stanca e a cui non vuole dedicare alcuna attenzione, ma proprio per evitare che qualcuno dopo tanta latitanza e a sfregio di ogni verità storica cerchi oggi di imbrogliare le carte presentandosi come l'eroico crociato che si batte per la difesa Pag. 37del sacrosanto ambiente, e vada a caccia di presunti responsabili o di capri espiatori che, comunque, non si trovano affatto nell'area del centrodestra.
Anzi le prime amministrazioni che si sono dedicate seriamente al grave stato di inquinamento del territorio tarantino sono state quelle guidate dal centrodestra, e fu proprio per iniziativa di quelle amministrazioni, in particolare di quella comunale, che fu ordinata per la prima volta la chiusura delle cokerie dalle quali all'epoca si reputava venisse il contributo più pesante all'inquinamento stesso. Dopo quel provvedimento del 2003 fu siglato dal Governo nazionale, dalle amministrazioni locali, dalle forze sociali (CGIL compresa) e dall'ILVA un accordo di programma che prevedeva forti investimenti in nuove tecnologie da parte dell'azienda e un intervento pubblico di 56 milioni di euro immediatamente disponibili per un progetto di risanamento delle aree colpite.
Il cambio politico di tutte le amministrazioni locali provocò l'irresponsabile blocco di tale progetto, le cui risorse a lungo inutilizzate sono state poi dirottate dal governo Vendola, con la complicità degli attuali amministratori di sinistra della provincia e del comune, verso altri lidi comunque lontani dall'area tarantina.
Mentre l'azienda effettuava i primi investimenti di sua competenza, ritenuti peraltro congrui e in perfetta regola con le normative vigenti sia dall'assessore regionale al ramo sia dall'ARPA Puglia, la legge regionale n. 414 del 19 dicembre 2008, che fissava i valori limite in atmosfera di PCDD e PCDF nei fumi emessi dagli impianti, eccedeva inutilmente e andava oltre.
Mentre allora la trattativa con l'ILVA, che in seguito ha mantenuto la sua parola e, poiché non è stata mantenuta la parola delle istituzioni, ha minacciato di togliere il cantiere da Taranto e di cancellare addirittura l'acciaio da tutto il territorio nazionale, ci ha fatto preoccupare e ci fa preoccupare. Ci preoccupiamo dell'ambiente e chiaramente ci preoccupiamo anche della situazione occupazionale. Circa un anno fa, precisamente il 19 febbraio 2009, è stato stipulato un accordo tra il Governo, l'ILVA e le organizzazioni sindacali che il direttore generale dell'ARPA, professor Assennato, definì frutto di una impareggiabile regia del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, dottor Giovanni Letta, che fu in grado prima di creare un clima sereno, serio e responsabile e poi di perfezionare con abili interventi lessicali - sono parole del professore Assennato - il testo dell'intesa, anche attraverso minime pressione sull'azienda.
Quell'accordo, onorevole sottosegretario, signor Presidente - ora possiamo dirlo anche in quest'Aula - raccoglie, come si vede, il consenso anche attraverso una corposa corrispondenza epistolare e un trattamento speciale che era stato dedicato dalla stampa. Non si può dire tuttavia che tutto sia stato risolto e che ogni problema sia stato superato. Occorre ancora fare molto e molto si attende la comunità ionica dallo Stato e non può essere delusa. Per tali ragioni, circa un anno fa, io e altri colleghi presentammo una mozione, avendo visto che nel giro di un anno quella mozione non era stata presentata in Aula, malgrado i miei solleciti fatti anche qui in Aula, ho ritenuto assieme agli stessi colleghi di presentare questa interpellanza urgente, che ovviamente sostituisce del tutto la mozione che, signor Presidente, può ritenersi ritirata perché il Governo assuma gli impegni che noi ci aspettiamo come collettività ionica.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Roberto Menia, ha facoltà di rispondere.

ROBERTO MENIA, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Patarino e spero di venire incontro a quanto da lui richiesto. In premessa devo dire che la complessa realtà industriale dello stabilimento siderurgico ILVA di Taranto è, in realtà, da anni oggetto di una serie di attività svolte dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in particolare, ma Pag. 38comunque in coordinamento con le amministrazioni locali, e finalizzate in sostanza a favorire comunque l'attuazione di interventi di miglioramento ambientale.
Data la particolare condizione dell'area tarantina, dichiarata ad elevato rischio di crisi ambientale con deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990, e rientrante all'interno di un sito di interesse nazionale (SIN), già in data 15 novembre 2005 è stata istituita, con provvedimento del Ministro di allora, un'apposita segreteria tecnica per l'esame delle azioni intraprese dall'ILVA per l'adeguamento degli impianti alle migliori tecniche disponibili le cosiddette BAT, best available technology, in adempimento degli impegni assunti in precedenti atti di intesa sottoscritti con le amministrazioni locali. I lavori della segreteria tecnica erano anche finalizzati ad indirizzare la società alla presentazione della domanda di autorizzazione integrata ambientale (AIA).
L'acciaieria ILVA di Taranto rientra nel campo di applicazione del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, recante attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento (IPPC). In particolare, lo stabilimento, in quanto rientrante nella categoria di impianti di cui al punto 3 dell'Allegato V al decreto legislativo n. 59 appena citato, risulta soggetto ad AIA di competenza statale, da rilasciarsi con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a seguito di istruttoria tecnica condotta dalla commissione istruttoria per l'autorizzazione integrata ambientale - IPPC e all'esito della conferenza dei servizi di cui all'articolo 5, comma 10, del citato decreto.
La domanda di AIA è stata presentata al Ministero nel rispetto dei termini di cui al calendario adottato con decreto ministeriale del 19 aprile 2006 e l'avvio del procedimento è stato comunicato al gestore con nota del 20 giugno 2007. La commissione IPPC, con nota del 29 ottobre 2009, ha provveduto a trasmettere il parere istruttorio conclusivo relativo allo stabilimento.
In vista della convocazione della conferenza di servizi, data la complessità dell'impianto industriale, la direzione ha inoltrato il suddetto parere istruttorio alle amministrazioni partecipanti alla conferenza e al gestore per acquisirne le osservazioni, in considerazione delle quali è in corso il riesame del parere da parte della commissione IPPC.
Si rammenta, peraltro, che nell'ambito del provvedimento di AIA saranno fissati, tra l'altro, i limiti di emissione per i diversi inquinanti in base alle valutazioni effettuate, in fase istruttoria, dalla commissione IPPC in ordine agli inquinanti proposti dal gestore. Tali valutazioni tengono conto dei valori, associati alle migliori tecniche disponibili, di cui dicevo poc'anzi, riportati nei documenti di riferimento nazionali e comunitari, oltre che delle particolari esigenze derivanti dall'accertamento di specifiche criticità ambientali dell'area, nel rispetto delle vigenti normative.
Si evidenzia, quindi, che le migliori tecniche disponibili sono quelle che permettono di ottenere un elevato livello di protezione dell'ambiente nel suo complesso, tra quelle economicamente applicabili nelle specifiche condizioni del settore produttivo, sotto i diversi profili impiantistico, gestionale, territoriale e ambientale.
Tenuto conto della criticità dell'intera area industriale che, come dicevo, è compresa all'interno di un SIN (sito di interesse nazionale), il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Regione Puglia hanno ritenuto necessario procedere alla definizione di un accordo di programma, ai sensi dell'articolo 5, comma 20, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, per il rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali agli impianti insediati o coinsediati nella zona industriale di Taranto e Statte (ILVA Spa, Edison Spa, Enipower SpA, ENI Spa, Cementir Italia Srl, Sanac Spa e AMIU).
In data 11 aprile 2008 è stato, quindi, sottoscritto a Bari, presso la sede della Regione Puglia, un accordo di programma tra il Ministro dell'ambiente e della tutela Pag. 39del territorio e del mare e il presidente della Regione Puglia, previsto ai sensi dell'articolo 5, comma 20, già citato del decreto legislativo «in considerazione del particolare e rilevante impatto ambientale, della complessità del preminente interesse nazionale degli impianti coinsediati nell'area industriale di Taranto e Statte, al fine di garantire, in conformità con gli interessi fondamentali della collettività, l'armonizzazione tra lo sviluppo del sistema produttivo nazionale, le politiche del territorio e le strategie aziendali».
L'accordo è stato anche sottoscritto dal Ministero dell'interno, dal Ministero dello sviluppo economico, dal Ministero della salute, dalla Provincia di Taranto, dal Comune di Taranto, dal Comune di Statte, dall'APAT (ora ISPRA), dall'ARPA della Puglia e da diversi gestori insediati nell'area industriale di Taranto e Statte sottoposti alla procedura di autorizzazione integrata ambientale (l'AIA di cui dicevamo). Si tratta degli stessi soggetti appena citati (ILVA, Edison, Enipower, ENI, Sanac, AMIU e Cementir), al fine di garantire una valutazione unitaria e integrata per il rilascio delle relative autorizzazioni.
Le azioni avviate nell'ambito dell'accordo di programma e, in particolare, l'implementazione da parte dell'ILVA delle prime misure per la riduzione delle emissioni di diossine e di furani dall'impianto di agglomerazione dello stabilimento siderurgico, hanno portato alla sottoscrizione, in data 19 febbraio 2009, di un protocollo integrativo dell'accordo, con cui la regione Puglia si è impegnata a definire strumenti interpretativi della normativa regionale, emanata con la legge n. 44 del 2008, per la fissazione dei valori limite e le modalità di controllo delle emissioni in atmosfera di diossine e furani.
Con la legge regionale della regione Puglia n. 8 del 2009 sono stati poi forniti i chiarimenti sopra richiamati e, in particolare, sono state indicate le modalità per calcolare il valore di emissioni da confrontare con i valori limite al fine della verifica di conformità.
L'ILVA, da parte sua, oltre all'implementazione del cosiddetto «impianto urea», entrato a regime a luglio 2009 (lo scorso anno), grazie al quale è riuscita ad abbattere comunque le emissioni di diossine in maniera significativa ed, in particolare, secondo quanto testato, a raggiungere il limite regionale di 2,5 nanogrammi per normal metro cubo in tossicità equivalente, si è impegnata a presentare ed ha trasmesso, in data 21 dicembre 2009 (quindi tre mesi fa), uno studio di fattibilità per l'adeguamento dell'impianto di agglomerazione ai valori limite previsti dalla normativa regionale a partire dal 31 dicembre 2010, pari a 0,4 nanogrammi per normal metro cubo in tossicità equivalente.
Con riferimento all'articolo 2 del citato protocollo integrativo, sono state avviate e sono tutt'ora in corso le previste attività di monitoraggio delle emissioni di diossine per verificare l'efficienza dei nuovi sistemi di abbattimento delle diossine (impianto urea, a regime dal luglio dello scorso anno, come abbiamo già detto), nonché per approfondire e sperimentare, con lo stesso gestore, nuove soluzioni tecnologiche proposte per l'ulteriore abbattimento e per l'adeguamento alla citata normativa regionale.
Dai primi risultati disponibili, l'ISPRA (che come dicevo è quella che sostituisce l'APAT, che coordinerà le ARPA) ha dichiarato, con nota del 19 febbraio 2010, di condividere con l'ARPA della Puglia «l'impressione preliminare, conformabile solo con la formalizzazione dei risultati di tutte le campagne, che si possa confidare sull'efficacia del sistema urea al fine del conseguimento del limite» prescritto dalla citata normativa regionale.
Con la stessa nota si segnala inoltre, riguardo agli ulteriori sistemi di abbattimento di cui lo studio di fattibilità sopra citato in corso di valutazione, che ISPRA e ARPA hanno maturato il convincimento (lo cito testualmente) che «la tecnica di assorbimento con carboni attivi proposta da ILVA rientri nel novero delle combinazioni oggi considerate migliori tecniche disponibili, ma che sia necessaria la conduzione della sperimentazione, che lo stesso gestore propone, sia al fine di avere Pag. 40certezza sulla possibilità di conseguire il limite di 0,4 nanogrammi per normal metro cubo in tossicità equivalente al 31 dicembre del corrente anno, sia al fine di valutare alcuni aspetti di criticità connessi».
Da ultimo, devo dire che dalle attività in corso non risulterebbero, quindi, contestazioni da parte di ILVA circa la concreta praticabilità della legge regionale n. 44 del 2008, così come è stata integrata dalla già citata legge regionale n. 8 del 2009, e questo con particolare riferimento al raggiungimento degli obiettivi temporali di abbattimento delle emissioni di diossina.

PRESIDENTE. L'onorevole Patarino ha facoltà di replicare.

CARMINE SANTO PATARINO. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole sottosegretario per la sua relazione, che ha il merito dell'approfondimento e della correttezza dell'indagine storica e per le preziose informazioni che ha fornito in risposta alla mia interpellanza e alle preoccupazioni avanzate da me e dagli altri colleghi in quell'atto di sindacato ispettivo.
Pertanto, posso ritenermi moderatamente soddisfatto. Dico moderatamente perché, se devo avanzare una piccola riserva, lo faccio soltanto in ordine ad una questione che riguarda forse una piccola trascuratezza che non è certamente dovuta al sottosegretario, la cui sensibilità è stata già sperimentata riguardo all'ambiente e alle preoccupazioni che noi di terra ionica abbiamo, ma semmai forse gli uffici che hanno soltanto sfiorato o trattato appena l'argomento relativo ad altri centri industriali.
Infatti, le preoccupazioni di Taranto e del mondo della nostra realtà jonica non sono dovute soltanto alla presenza dell'ILVA, dell'ex Italsider, ma sono dovute anche, come dicevo prima, alla presenza dell'ENI, dell'Edison e della Cementir, che rappresentano fonti e problemi di inquinamento tanto quanto l'ILVA e qualche volta anche di più.
A dare conferma a queste mie preoccupazioni - signor sottosegretario io non potevo saperlo, altrimenti lo avrei trattato nell'interpellanza - è il fatto che è accaduto uno spaventoso incendio sviluppatosi nella notte di venerdì scorso nella raffineria ENI, che rende la situazione ancora più esplosiva e sempre più motivati i timori e la rabbia non solo dei cittadini che abitano nella zona di Statte (Taranto), ma anche di coloro che abitano entro 20 chilometri di raggio dall'insediamento industriale.
Una pioggia nera - dice la stampa di questi giorni - si è abbattuta a lungo su tutta la zona adiacente all'area industriale, lasciando per le strade, sulle auto e sui balconi delle case spaventose macchie di un liquido viscido e maleodorante: un altro attacco, come si capisce, alla salute, è stato detto dagli organi di stampa, che continua a seminare tra la gente dubbi, interrogativi e timori. Come sia potuto succedere un così grave incidente e quali possano essere per l'immediato e per il futuro le conseguenze sulla salute della gente, quali siano i rimedi o le precauzioni da assumere per evitare o limitare non è dato sapere perché, signor sottosegretario, a quei danni si è aggiunta la beffa. Non solo, infatti, le istituzioni che avrebbero dovuto dare almeno le informazioni alla gente preoccupata hanno taciuto finora e non hanno ancora aperto bocca al riguardo, ma chi si è fatto sentire - cioè l'azienda - lo ha fatto con sei righe in un laconico comunicato in cui ha parlato di un incendio che si è sviluppato senza spiegarne le ragioni, senza assicurare la gente dei rischi che sta correndo.
Alla luce di quanto accaduto oltre quello di cui ci preoccupiamo ormai da decenni, noi non possiamo essere sereni, per cui non posso concludere senza richiamare la sua attenzione e, suo tramite, quella del Governo su un altro e non ultimo in ordine di tempo grido di allarme lanciato dalle associazioni ambientaliste tramite i propri organi di stampa sulla gravissima situazione che si determina anche per quanto riguarda l'allevamento del bestiame. La regione Puglia ha ordinato che vengano abbattuti i capi di bestiame che si trovano in quella zona con Pag. 41forti danni di natura ambientale ed economica soprattutto per quegli operatori che lì da anni vivono una situazione difficile, ma che devono mantenere le proprie famiglie attraverso questa attività.
Pertanto, la preghiera che rivolgo, signor sottosegretario, è che diventa sempre più pressante la richiesta di urgenti provvedimenti di bonifica, di risanamento ambientale e di adozione di misure e di sistemi tecnologicamente più avanzati e più efficaci in grado di prevenire gli incidenti come quello di venerdì scorso e di dare maggiore serenità alla nostra gente.

(Compatibilità ambientale del progetto denominato «Iniziativa Sealine tirrenica», relativo alla costruzione di un metanodotto nella provincia di Messina - n. 2-00644)

PRESIDENTE. L'onorevole Lo Monte ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00644, riguardante la compatibilità ambientale del progetto denominato «Iniziativa Sealine tirrenica», relativo alla costruzione di un metanodotto nella provincia di Messina (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

CARMELO LO MONTE. Signor Presidente, signor sottosegretario, le sottoponiamo oggi, a nome di larga parte dei cittadini e del territorio della provincia di Messina, un interrogativo che ha bisogno di ottenere una risposta chiara e definita. Può essere compatibile un'opera che incontra il parere negativo delle popolazioni e degli enti locali del territorio e che, al contempo, non rispetta alcun parametro di tipo ambientale, di sicurezza del territorio, persino nessun parametro urbanistico? Può esserlo soltanto perché è proposta da un'impresa di rilievo nazionale in grado di esercitare una forte pressione? Noi crediamo di no, e riteniamo che questo Governo non vorrà farsi condizionare ed esprimerà, quindi, un parere consono a quello degli enti locali e alle deduzioni tecniche che questi hanno sollevato rispetto al progetto in questione.
Non siamo certo contro l'industrializzazione e, tanto meno, siamo contrari ai progetti che garantiscono le necessità energetiche del nostro Paese.
Quando questi però penalizzano fortemente quello delle aree territoriali coinvolte ci troviamo di fronte ad una contraddizione che non può essere certo risolta con le imposizioni. Stiamo parlando del progetto di metanodotto denominato «Iniziativa Sealine tirrenica», proposto dalla società Snam rete gas Spa riguardante i collegamenti tramite tubazione tra il comune di San Pier Niceto, in provincia di Messina, e quello di Policastro Bussentino, in provincia di Salerno; nonché una centrale di compressione e di spinta a Monforte Marina, atta a garantire il flusso del gas proveniente dall'Algeria, dalla Sicilia alle coste della Campania.
La società proponente, ai fini dell'ottenimento della pronuncia di compatibilità ambientale del progetto, ha presentato istanza corredata dallo studio di impatto ambientale al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, depositando la stessa documentazione anche presso gli enti territoriali interessati a vario titolo dal procedimento. Nell'ambito del citato procedimento il comune di Monforte San Giorgio e gli altri comuni del comprensorio tirrenico, le associazioni di tutela ambientale e i comitati spontanei dei cittadini della zona, hanno sempre espresso la propria ferma contrarietà sulla localizzazione del sito per la realizzazione della centrale di compressione di Monforte Marina, anche presentando formali eccezioni ed osservazioni allo studio d'impatto ambientale.
In particolare il comune di Monforte San Giorgio, con propria deliberazione consiliare, ha reso parere motivato sulla non conformità urbanistica dell'opera. L'opera in argomento non può peraltro ritenersi coerente con il piano energetico ambientale della regione Sicilia, approvato con delibera della giunta regionale del 3 febbraio 2009. La centrale di compressione di Monforte Marina è incoerente ed in contrasto con gli strumenti di pianificazione locale vigenti, in particolar modo Pag. 42con le previsioni del piano regolatore generale consortile dell'area di sviluppo industriale di Messina. La suddetta centrale sopprime una struttura sportiva polifunzionale importante per il territorio. Il territorio coinvolto dall'insediamento della sola centrale di compressione comprende 25 ettari, in contrasto totale e assoluto con la programmazione degli strumenti urbanistici generali, territoriali e di settore del territorio in cui ricade l'area d'intervento, compromettendo lo sviluppo economico-sociale e spogliando gli enti interessati dell'autonomia di programmazione.
La localizzazione delle opere interessa un'area geografica particolarmente sensibile dal punto di vista ambientale. I piani d'assetto idrogeologico vigenti sul territorio evidenziano rischi correlati all'erosione, classificando l'area interessata dalle condotte a terra di partenza a «pericolosità molto elevata» e a «rischio molto elevato», con magnitudo M4, pericolosità P4, elemento a rischio E3 e rischio R4. A questi vanno aggiunti i rischi correlati a una possibile esondazione della Fiumara Niceto considerato che la centrale, a causa della sua localizzazione, potrebbe costituire un ostacolo e determinare quindi una deviazione delle acque in caso di fuoruscita dall'alveo, con potenziale rischio d'inondazione dell'abitato della frazione Marina che è situata nelle immediate vicinanze.
Va aggiunto che il territorio della provincia di Messina, in particolare le zone dei Nebrodi e dei Peloritani, già particolarmente soggetto a rischi e dissesti idrogeologici, è stato colpito da eccezionali eventi che hanno provocato immensi disastri, come sappiamo, anche con perdite di vite umane, proprio nelle immediate vicinanze delle fiumare, la cui portata torrenziale forse, e non soltanto, è stata fino ad oggi troppo spesso sottovalutata.
Crediamo che l'elencazione delle controindicazioni che abbiamo presentato, ancorché non esaustiva, costituisca di per sé ottima motivazione per concordare con il parere negativo delle amministrazioni locali e delle popolazioni interessate. Non si tratta della nota sindrome denominata «non nel cortile di casa mia», le motivazioni sono ben definite e non lasciano spazio di incertezza.
A questo, signor sottosegretario, mi permetta di aggiungere che l'opera in questione andrebbe ad insediarsi in un territorio contiguo a quello di un'area ad alto rischio di crisi ambientale, parliamo, infatti, di un territorio vicino a Milazzo.
Termino la mia illustrazione evidenziando che quelle zone hanno una formidabile vocazione turistica che andrebbe favorita e che, invece, risulterebbe compromessa dalla realizzazione dell'opera in questione. La popolazione messinese, le amministrazioni locali si aspettano molto da questo Governo; si aspettano, prima di tutto, che il proprio parere sia considerato come un elemento basilare per la scelta da compiere; si aspettano un giusto parere negativo motivato dalla incompatibilità tra la peculiarità del territorio ed un progetto dalle caratteristiche così fortemente invasive.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Roberto Menia, ha facoltà di rispondere.

ROBERTO MENIA, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, risponderò con puntualità e spero di venire incontro in qualche modo anche alle domande e alle istanze poste dall'onorevole Lo Monte. Parto prima da una serie di dati tecnici, comunque utili anche ad inquadrare meglio la vicenda.
Ci sono criticità oggettive in ordine alla realizzazione di un nuovo tratto di rete di trasporto gas-metano che sono appunto quelle evidenziate nel progetto della cosiddetta «Iniziativa Sealine tirrenica» che è stato presentato dalla società Snam rete gas. Il progetto è costituito da una condotta denominata San Pier Niceto-Monforte San Giorgio del diametro di 1200 millimetri e lunghezza di circa 3,4 chilometri, dalla centrale di compressione di Monforte San Giorgio (potenza installata di 60 megawatt), ubicate nella regione Pag. 43Sicilia, nel tratto di mare denominato «Sealine Monforte San Giorgio-Policastro Bussentino», che sarebbe costituito da due condotte del diametro di 800 millimetri e lunghezza di circa 245 chilometri, e da un ulteriore tratto di metanodotto che attraversa l'entroterra campano, denominato «Policastro Bussentino-Montesano sulla Marcellana», del diametro di 1200 millimetri e lunghezza di circa 45 chilometri.
L'opera consentirà, anzi consentirebbe, il trasporto del gas naturale proveniente dal Nord Africa, dal punto di origine dell'infrastruttura, ubicato nel comune di San Pier Niceto, in provincia di Messina, al punto di arrivo, posto in corrispondenza dell'esistente centrale di compressione del gas di Montesano sulla Marcellana, in provincia di Salerno. A tal fine, nel comune di Monforte San Giorgio è stata individuata un'area di circa 25 ettari necessaria per la realizzazione della centrale di compressione gas di Monforte San Giorgio, che consentirebbe di comprimere il gas assicurandone il trasporto dalla costa siciliana al punto terminale.
La società Snam rete gas, il 21 luglio 2009, ha presentato al Ministero dello sviluppo economico la documentazione progettuale per il rilascio dell'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio (in base all'articolo 52-quinquies del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001 e successive modifiche) dell'Iniziativa Sealine Tirrenica. Il progetto presentato tiene conto delle varianti apportate allo studio di impatto ambientale.
La competente Direzione generale del suddetto Ministero dello sviluppo economico, che è quindi stato il primo a recepire il progetto, il successivo 30 settembre, ha trasmesso a tutti gli enti interessati dalla realizzazione dell'opera, vale a dire, in questo caso, anche il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero della difesa, nonché le regioni Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania, le Autorità competenti di bacino, le province, i comuni, le comunità montane, i consorzi, gestori di infrastrutture e servizi, quali ENEL, Terna, Anas, Rete Ferroviaria italiana ed altri soggetti, la documentazione di progetto, chiedendo a ciascuno, per quanto di competenza, il parere circa la realizzazione dell'opera, in previsione della convocazione della relativa Conferenza di servizi che dovrà esprimersi sia sulla conformità urbanistica dell'opera, sia sulla volontà delle regioni interessate di esprimere la prevista intesa Stato-regioni.
Intanto, la società Snam Rete Gas aveva presentato il 1o luglio 2008 al Ministero dell'ambiente l'istanza di verifica di compatibilità ambientale per il progetto denominato: Iniziativa sealine tirrenica nelle regioni Sicilia e Campania. L'istruttoria svolta dalla Commissione tecnica per le valutazioni dell'impatto ambientale VIA-VAS è, allo stato, ancora in corso.
In particolare, con riferimento all'individuazione del sito per la collocazione della centrale di compressione nel territorio del Comune di Monforte Marina noi rileviamo che viene espressa viva contrarietà nelle osservazioni ad oggi pervenute, sia da parte del comune stesso, sia da parte di associazioni e comitati ambientalisti e quant'altro.
Anche la regione siciliana, in particolare l'assessorato al territorio e ambiente, condividendo le perplessità espresse, in particolare, nelle osservazioni dei comitati TAT e Uniti contro la Snam, con nota del 28 luglio 2009, ha chiesto comunque l'approfondimento delle indagini finalizzate alla ricerca di siti idonei, in modo da superare le osservazioni sollevate e rendere sostenibile l'intervento proposto nel suo sistema articolato di «centrale di compressione-condotte».
Tale nota e tutte le osservazioni pervenute, anche oltre il termine stabilito dalla legge, sono state inviate alla Commissione tecnica VIA-VAS per le valutazioni del caso e di esse verrà tenuto senz'altro conto nella predisposizione del parere di detta Commissione.
Ad ogni buon fine si rappresenta, comunque, che nella nota di richiesta di documentazione integrativa del 5 ottobre 2009, e su specifica indicazione della Commissione Pag. 44VIA-VAS, la Direzione generale competente del Ministero dell'ambiente ha richiesto alla Società Snam Rete Gas di: «'analizzare e confrontare siti alternativi effettivamente fattibili per la centrale di compressione di Monforte San Giorgio oltre all'alternativa B considerata nel SIA».
Da ultimo, si rappresenta che il Ministero delle infrastrutture e trasporti ci ha comunicato che, ad oggi, la società Rete Snam non ha ancora presentato l'istanza intesa ad ottenere la concessione delle aree demaniali e degli specchi acquei interessati dalla realizzazione del metanodotto in oggetto.

PRESIDENTE. L'onorevole Lo Monte ha facoltà di replicare.

CARMELO LO MONTE. Signor Presidente, voglio subito manifestare piena e ampia soddisfazione a quanto riferito dal sottosegretario, però nello stesso tempo, signor sottosegretario, siamo in itinere. Voglio rassegnarle altre considerazioni che possono, secondo me, far prendere più a cuore questo problema che investe sicuramente tanti cittadini che, per lungo tempo, hanno subito scelte provenienti da lontano. Qualche considerazione che andrò a fare probabilmente è anche un po' inquietante. Ad esempio, nemmeno nell'interpellanza trova spazio la notizia circa il fatto che nel progetto originario la Snam aveva previsto un'altra allocazione per quanto riguarda questa centrale. Probabilmente non nel cortile di casa mia, ma qualche sindaco è stato più furbo e più collegato a questi studi professionistici che sono lontanissimi dal territorio e che non ascoltano il territorio da anni luce. Probabilmente qualche sindaco è riuscito a far spostare questa centrale in altro comune. Svolgo un'ultima considerazione, poi la soddisfazione complessivamente sarà ampia. Quello stesso territorio con a capo proprio il comune di Monforte San Giorgio circa dieci anni fa si intestò la progettazione dello svincolo autostradale su Monforte San Giorgio, area contigua a quella di Milazzo ma che ha una necessità immensa di avere questo svincolo.
Siccome da oltre dieci anni aspettiamo le autorizzazioni dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non vorremmo assistere al «via libera» ad una centrale che sicuramente sconvolge la pianificazione e la programmazione nel territorio, mentre dovremmo ancora aspettare non so quanto tempo per avere il «via libera» su uno svincolo autostradale che ha la copertura finanziaria e le autorizzazioni della regione e che aspetta soltanto il «via» dal Ministero dell'ambiente.

(Rinvio dell'interpellanza urgente Arturo Mario Luigi Parisi n. 2-00639)

PRESIDENTE. Dovremmo ora passare all'interpellanza urgente Arturo Mario Luigi Parisi n. 2-00639, riguardante chiarimenti in merito a quanto recentemente dichiarato da Gino Strada circa l'attività delle forze ISAF in Afghanistan. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente è rinviato ad altra seduta.
È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze all'ordine del giorno.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza la senatrice Maria Alessandra Gallone, in sostituzione della senatrice Ombretta Colli, dimissionaria.

In morte dell'onorevole Giuseppe Bufardeci.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Giuseppe Bufardeci, già membro della Camera dei deputati dalla seconda alla terza legislatura. Pag. 45
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 30 marzo 2010, alle 10:

1. - Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
S. 2007 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 febbraio 2010, n. 10, recante disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale (Approvato dal Senato) (C. 3322).
- Relatore: Costa.

2. - Discussione delle mozioni Lo Monte ed altri n. 1-00319 e Leoluca Orlando ed altri n. 1-00292 concernenti il rilancio dello stabilimento Fiat di Termini Imerese (per la discussione sulle linee generali).
(ore 15)

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 2007 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 febbraio 2010, n. 10, recante disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale (Approvato dal Senato) (C. 3322).
- Relatore: Costa.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Lo Monte ed altri n. 1-00319 e Leoluca Orlando ed altri n. 1-00292 concernenti il rilancio dello stabilimento Fiat di Termini Imerese.

La seduta termina alle 13,15.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 17 marzo 2010, a pagina 73, seconda colonna, decima riga, il numero «1-00345» si intende sostituito dal seguente: «1-00346».