XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 142 di lunedì 9 marzo 2009

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 14,35.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 26 febbraio 2009.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Amico, Renato Farina, Fassino, Fitto, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente (ore 14,40).

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato, con lettera in data 7 marzo 2009, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla XIII Commissione (Agricoltura):
S. 1367 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 febbraio 2009, n. 4, recante misure urgenti in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario» (Approvato dal Senato) (2263) - Parere delle Commissioni I, II, V, VI, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dall'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Modifica del vigente calendario dei lavori della Assemblea e conseguente aggiornamento del programma.

PRESIDENTE. A seguito della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo dello scorso 5 marzo, come già comunicato ai gruppi, nella seduta odierna si procederà alla discussione sulle linee generali della mozione Franceschini ed altri n. 1-00125 concernente misure di sostegno al reddito attraverso l'istituzione di un assegno mensile di disoccupazione e iniziative per un'organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali in luogo delle mozioni Franceschini ed altri n. 1-00123 e Osvaldo Napoli ed altri n. 1-00113 concernenti iniziative in merito alla situazione economico-finanziaria degli enti locali.
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Il seguito dell'esame delle mozioni Casini ed altri n. 1-00093 concernente misure a favore dell'efficienza e della funzionalità delle Forze armate e Franceschini ed altri n. 1-00125 concernente misure di sostegno al reddito attraverso l'istituzione di un assegno mensile di disoccupazione e iniziative per un'organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali avrà luogo dopo gli altri argomenti previsti per la settimana.
Nella giornata di mercoledì 11 marzo, dalle ore 19 alle ore 21, sono previsti l'esame e la votazione delle questioni pregiudiziali presentate al disegno di legge n. 2232 - Conversione in legge del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori (da inviare al Senato - scadenza: 25 aprile 2009) e al disegno di legge n. 1415 e abbinate - Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
L'organizzazione dei tempi relativi all'esame della mozione Franceschini ed altri n. 1-00125 sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
Il programma si intende conseguentemente aggiornato.

Sull'ordine dei lavori (ore 14,45).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, sono io ad aver chiesto la parola.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. In genere chi «rompe le scatole» è sempre l'onorevole Giachetti e quindi è normale che ciò possa accadere. Signor Presidente, oggi «rompo io le scatole» (mi scusi per il linguaggio, ma spero che mi perdonerà).

PRESIDENTE. Lei non «rompe» mai, onorevole Evangelisti. Prego.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, leggo dal resoconto stenografico del 26 febbraio 2009 un intervento dell'onorevole Giorgio Clelio Stracquadanio, il quale afferma di aver letto sul Corriere della sera una mia dichiarazione. Che l'abbia letta è indubbio, ma che l'abbia capita va verificato. Mi chiedo - mi dispiace che in questo momento l'onorevole Stracquadanio non sia in Aula - se l'onorevole Stracquadanio, come dicono a Roma, «ci fa o ci è». Spero che semplicemente ci faccia, perché mi chiedo come abbia potuto interpretare una mia dichiarazione riportata dal Corriere della sera nel senso che immaginavo che un ammorbidimento delle posizioni del Governo sulla stretta imposta alle intercettazioni potesse derivare da una sorta di mercanteggiamento fra il potere giudiziario e il potere esecutivo: tale interpretazione può stare soltanto nella testa dell'onorevole Stracquadanio.
Ripeto: non si tratta soltanto di questo, anche se è stata soltanto un'osservazione e un'analisi politica. Tuttavia, l'onorevole Stracquadanio ha voluto sollevare la questione e addirittura si è azzardato ad entrare nel merito della questione stessa, dicendo che dalla vicenda delle intercettazioni di Napoli a subirne un danno (non solo di immagine) sarebbe stato addirittura il dottor Saccà, il quale avrebbe perduto il posto in RAI per questo motivo. Ma non è così.
Per ricollocare bene la questione ricordiamo che si trattava di telefonate intercettate tra il Presidente del Consiglio Berlusconi e il dottor Saccà, al quale Berlusconi chiedeva favori per alcune «veline» (con tutto il rispetto per le «veline» e per la loro professione) e si impegnava a ringraziarlo in qualche modo quando questi fosse stato un imprenditore privato. Pag. 3Quindi, se vi è stato un danno, è stato d'immagine per le istituzioni di questo Paese e ha rappresentato una brutta pagina. Registriamo che la procura di Roma ha chiesto l'archiviazione e la distruzione di quelle bobine, ma tengo a dire che non ho mai pensato che ci fosse stato un mercanteggiamento, ma soltanto una valutazione politica da parte del Presidente del Consiglio e anche, se mi è concesso, personalmente da parte mia (Applausi di deputati del gruppo Italia dei Valori).

Discussione della mozione Mecacci e altri n. 1-00089 concernente iniziative per il rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche in Tibet (ore 14,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Mecacci e altri n. 1-00089 concernente iniziative per il rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche in Tibet (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Mecacci e altri n. 1-00089, il cui testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritto a parlare l'onorevole Mecacci, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00089 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, credo che questa discussione sia molto importante per il nostro Parlamento e in particolare per la Camera dei deputati, in quanto è anche il frutto di un lavoro portato avanti in questi mesi da molti deputati che appartengono a tutti i gruppi politici e che fanno parte dell'intergruppo parlamentare per il Tibet.
Il tentativo che abbiamo fatto e che abbiamo cercato di sintetizzare anche in questa mozione è di riportare al centro dell'attenzione della nostra politica estera - e innanzitutto di questa Camera - la situazione dei diritti umani in Tibet e in più generale la questione sino-tibetana. Questi giorni sono particolarmente significativi per questo tipo di discussione, in quanto pochi giorni fa per la prima volta vi è stata una richiesta da parte del Dalai Lama (la massima autorità spirituale del Tibet) ai propri concittadini di non celebrare il capodanno tibetano previsto il 25 febbraio, bensì di commemorare le vittime e i martiri (come li chiamano loro), caduti in particolare nel corso di quest'ultimo anno.
Proprio un anno fa, a partire dalle celebrazioni per il quarantanovesimo anniversario dell'insurrezione di Lhasa e dell'inizio dell'esilio del Dalai Lama, in Tibet vi sono state delle manifestazioni con scontri che hanno portato alla morte di centinaia e centinaia di persone, a migliaia e migliaia di feriti e tuttora a migliaia di arrestati della cui sorte spesso non sappiamo niente.
L'anno che si è appena chiuso, il 2008, era stato un anno anche di grande speranza che la comunità internazionale aveva riposto nel Governo cinese in quanto, in vista dell'organizzazione dei giochi olimpici del 2008, quest'ultimo aveva promesso (in particolare al Comitato olimpico internazionale) di garantire la libertà di circolazione e di espressione, ovvero libertà fondamentali ai cittadini cinesi e in particolare anche a quelli tibetani.
Nel corso dei mesi scorsi sicuramente vi è stata una reazione immediata della comunità internazionale rispetto a quanto stava avvenendo e vi sono stati appelli di organizzazioni internazionali, del Parlamento europeo, di numerose organizzazioni come Amnesty international, Human rights watch e tanti altri che hanno cercato di gettare luce su un Paese e su una Pag. 4regione come il Tibet. In quest'ultimo, infatti, è stata imposta la legge marziale e vi è stata finora l'impossibilità di accedervi per le organizzazioni che si occupano del monitoraggio internazionale, organizzazioni che anche la Cina (facendo parte delle Nazioni Unite) sarebbe obbligata ad ascoltare e a fare entrare nel proprio territorio.
Con questo lavoro, nel corso di questi mesi, abbiamo prima lavorato per avere una discussione sui giochi olimpici di Pechino, con una risoluzione, approvata in Commissione affari esteri, che chiedeva al nostro Governo di non partecipare a quella cerimonia di apertura; si trattava di una cerimonia politica, con la quale il Governo cinese cercava di avere legittimazione internazionale.
Il Presidente del Consiglio non si recò a Pechino, ma ci andò, purtroppo, il Ministro degli affari esteri; da allora, abbiamo continuato a cercare di sensibilizzare tutti sulla necessità di avere una discussione in Aula su questo tema, perché è un tema sicuramente importante per le relazioni tra il nostro Paese e la Cina e, più in generale, tra l'Europa e la Cina.
Non è un caso che proprio oggi, qui alla Camera, sia presente l'ultimo premio Nobel per la pace, Martti Ahtisaari, che partecipa ad un convegno organizzato proprio dal Presidente della Camera sulle relazioni tra Europa e Cina.
Il mio ringraziamento va a tutti quei deputati che hanno sottoscritto la richiesta di inserire all'ordine del giorno la discussione di questa mozione, in particolare anche in seno alla Conferenza dei presidenti di gruppo, che ha accettato di prevederne la discussione e poi la votazione nella giornata di domani; si tratta, tra l'altro, di una giornata particolarmente importante, perché è il cinquantesimo anniversario dell'insurrezione di Lhasa contro l'occupazione maoista del Tibet da parte della Cina ed è anche il cinquantesimo anniversario della dipartita del Dalai Lama e del suo esilio, che da allora continua.
Per quanto riguarda il contenuto di questa mozione, con essa si prende atto di una realtà: le violenze accadute, le repressioni, gli arresti, le persone scomparse. È notizia proprio di queste ore, proveniente da un rapporto che è stato pubblicato dall'International Campaign for Tibet, che vi sono ancora 600 tibetani di cui non si conoscono le sorti da ormai oltre un anno, cioè dai giorni successivi alla celebrazione del 10 marzo dell'anno scorso che hanno visto portare all'arresto e alla sparizione di tante e tante persone.
Ma le notizie preoccupanti sono anche quelle che ci giungono in questi ultimi giorni: è notizia di questa mattina di primi scontri che vi sono stati in una regione del Tibet, con alcuni manifestanti che avrebbero tirato delle molotov ad alcune auto della polizia (per fortuna, per il momento non vi sarebbero morti).
Ma è dei giorni scorsi anche la notizia di un monaco tibetano che, di fronte ad un tempio innalzato alla fotografia del Dalai Lama, ha iniziato a citare degli slogan per la libertà del Tibet e poi si è immolato e si è dato fuoco con una manifestazione di dissenso tragica, che abbiamo conosciuto, in particolare, con i bonzi e i buddisti vietnamiti, nel corso della guerra in Vietnam, e che rischia, purtroppo, di estendersi anche al Tibet.
Questo rischio sarà ancora maggiore quanto più silenti saranno i Parlamenti ed i Governi dei Paesi liberi, i quali hanno sancito nelle carte internazionali il rispetto di questi valori fondamentali, punto di riferimento per tutte le persone private della libertà, che aspettano, ormai da decenni, dei segnali concreti e di poter far rivivere la speranza che li anima nel cercare di ottenere il rispetto di alcuni valori fondamentali, come la possibilità di parlare la propria lingua, di seguire le proprie tradizioni culturali o di professare liberamente e senza l'influenza dello Stato la religione buddista.
La nostra iniziativa è tesa certo a sensibilizzare il Parlamento e tutte le forze politiche, ma si rivolge in particolare al Governo, che è naturalmente il titolare della politica estera del nostro Paese e che sicuramente avrà - lo speriamo - l'opportunità di cogliere anche questa occasione Pag. 5per esplicitare la sua visione dei rapporti con un Paese importante, sempre più importante a livello internazionale, come la Cina.
Si tratta, però, di un Paese a cui non può essere consentito, assumendo questo ruolo e queste responsabilità sempre maggiori all'interno delle organizzazioni internazionali, di ignorare alcuni dei valori fondanti delle nostre società, come il rispetto di alcune libertà fondamentali in Tibet.
Con la mozione in esame, quindi, si reiterano alcune richieste provenienti già dallo scorso anno dal Parlamento europeo, con il sostegno praticamente unanime di tutti i gruppi; vi è innanzitutto la richiesta di un intervento a difesa dei più deboli, di coloro che rischiano di essere colpiti, arrestati lontano dai media e dagli occhi della comunità internazionale e la cui sorte non sappiamo quale possa essere. Si richiede, quindi, una collaborazione con gli istituti e gli organismi delle Nazioni Unite, che hanno il compito di monitorare il rispetto dei diritti umani, aperture ai media internazionali, ai rappresentanti diplomatici, a partire da quelli dell'Unione europea e di quella regione; e sappiamo che proprio in queste ore, in vista delle commemorazioni di domani, cioè del 10 marzo 1959, quando cinquant'anni fa vi fu l'insurrezione del popolo tibetano contro l'occupazione cinese, la Cina ha chiuso tutta la regione, ha imposto la legge marziale, e vi è il pericolo, se non purtroppo la certezza, che già nelle prossime ore e nei prossimi giorni vi saranno nuovamente degli scontri.
Credo che in questo caso, di fronte purtroppo alla certezza dell'impotenza della politica internazionale a spingere la Cina ad un comportamento migliore, sia essenziale anche un pronunciamento del nostro Parlamento, e in particolare del nostro Governo affinché chieda con tutta l'Unione europea alla Cina di aprire quella regione alla possibilità di essere monitorata per verificare quello che accade.
Il secondo punto del dispositivo, anche questo molto importante, riguarda quali debbano e possano essere le prospettive di una soluzione politica alla questione sino-tibetana. Essa va avanti ormai da oltre cinquant'anni; vi sono stati tentativi ripetuti, in particolare nell'ultimo decennio, di avere dei colloqui per trovare una soluzione politica tra le autorità cinesi e i rappresentanti del Dalai Lama, secondo quella che ormai da oltre vent'anni è un'impostazione consolidata delle autorità tibetane: ottenere l'autonomia, e quindi la possibilità della tutela culturale delle tradizioni, della lingua e della religione tibetana all'interno della Repubblica popolare cinese. Non quindi una prospettiva di creazione di uno Stato indipendente e della secessione, ma la costruzione di una prospettiva federale e federalista anche della Repubblica popolare cinese, in cui quelle che nella Costituzione cinese sono definite le nazionalità minori abbiano possibilità concrete di tutela. Sappiamo che il dialogo bilaterale che vi è stato nel corso dell'ultimo decennio non ha portato alcun tipo di frutto. Lo scorso ottobre, dopo che le autorità tibetane avevano proposto un memorandum nel quale definivano nei dettagli i caratteri di tale autonomia all'interno della Repubblica Popolare Cinese, le autorità cinesi lo hanno respinto, continuando ad accusare il Dalai Lama di avere un'agenda nascosta per condurre alla secessione. Credo che sia dovere del nostro Governo e del nostro Parlamento accertare la verità su quello che è stato proposto e su quali siano le posizioni in campo, e soprattutto ribadire alle autorità cinesi che non ci può essere soluzione politica alla questione tibetana se non si riconosce la legittimità e la rappresentatività delle autorità politiche che i tibetani, a partire da quelli che sono in esilio, hanno riconosciuto e scelto, e cioè quella del Dalai Lama e del Governo tibetano in esilio.
Questi sono elementi fondamentali: qualsiasi crisi internazionale che veda coinvolte due entità e due parti ha come presupposto il riconoscimento reciproco della legittimità. Il fatto che il Governo cinese abbia ormai imposto, anche a livello internazionale, una sorta di boicottaggio a qualsiasi contatto politico che il Dalai Pag. 6Lama e le autorità del Governo tibetano in esilio possono avere con i Governi di altri Paesi o con le istituzioni internazionali, è qualcosa che ogni giorno aggrava la situazione; e ciò è dimostrato anche da quanto sta accadendo ed accadrà purtroppo nelle prossime ore con tutta probabilità in Tibet, perché non si offre alcuna prospettiva di soluzione politica ad un conflitto che è nelle cose, che va avanti da decenni e che non può essere risolto con il pugno di ferro.
La mia speranza è quindi che, con la discussione e con le prese di posizione che verranno assunte con il sostegno - spero - di tutti i gruppi politici ed anche del Governo, nella giornata del 10 marzo, il cinquantesimo anniversario dell'insurrezione di Lhasa, possa venire un messaggio di pace e di rispetto dei diritti umani ma anche, e soprattutto, un'iniziativa internazionale che possa favorire la ricerca di una soluzione politica a questo conflitto che si trascina purtroppo da decenni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, prima di entrare nel merito della mozione così bene illustrata dal collega Mecacci, vorrei approfittare della sua attenzione e di quella del rappresentante del Governo per vedere se riusciamo, a partire da oggi e a partire dall'ultimo dibattito che abbiamo sviluppato intorno alla mozione sulla Birmania, a fare un salto di qualità come Paese, come Parlamento nel suo insieme, ad di là di quelli che sono gli schieramenti.
La sensazione che si ha, infatti, è che noi ci si stia, in qualche modo, marginalizzando. I segnali delle ultime settimane e degli ultimi mesi non sono i più incoraggianti per quanto riguarda la politica estera. Lo dico sommessamente, con un invito alla riflessione. La telefonata del Presidente Obama al Presidente Berlusconi è arrivata nella seconda metà di febbraio, mentre vi erano anni in cui passavano pochi giorni perché dal Presidente eletto negli Stati Uniti nel primo martedì di novembre arrivasse la telefonata al Primo Ministro italiano. Vi sono altri segnali ancora preoccupanti: è stato annunciato in queste ultime ore il prossimo viaggio in Europa del Presidente Obama, ma nelle sue varie tappe Roma non è prevista. È un segnale preoccupante della marginalizzazione sempre più evidente del nostro Paese rispetto alla quale, al di là delle dispute e delle polemiche che possiamo fare in quest'Aula, dobbiamo trovare il modo di compiere un salto di qualità, perché siamo o marginali o al traino.
Nelle scorse settimane, dopo aver rifiutato risolutamente come Governo italiano qualsiasi contatto con l'Iran di Ahmadinejad, è bastato che il nuovo Presidente Obama ed il segretario di Stato (che vorrei chiamare Radham invece che Clinton) avessero accenti nuovi nei confronti dell'Iran perché subito, appunto, il nostro Governo si accodasse; però un conto è quando siamo i primi o fra i primi, un conto è quando siamo in scia.
Allo stesso modo, non abbiamo avuto un'iniziativa politica autonoma e coraggiosa a ridosso del Natale quando si è verificata la gravissima crisi di Gaza: siamo stati spettatori mentre, ad esempio, il nostro amico (o almeno quello che è stato presentato come amico dell'Italia quando la scorsa settimana è venuto a rifilarci quattro centrali nucleari), il Presidente Sarkozy, ha avuto un'iniziativa ed ha iniziative di carattere internazionale. Ed ancora: ne parleremo meglio mercoledì, ma abbiamo rinunciato ad essere alla Conferenza di Ginevra «Durban 2» ed abbiamo detto che erano con noi sia la Francia sia lo Stato del Vaticano, mentre poi ci ritroviamo ad essere, forse, i soli a disertare quell'appuntamento. E ricordo, ancora, le difficoltà in cui si dibatte la nostra diplomazia per i tagli che sono stati apportati al Ministero degli affari esteri, nonché i tagli apportati alla cooperazione.
Insomma, ritengo davvero che dobbiamo compiere uno sforzo unitario: fatelo come maggioranza, prendetevi tutti i meriti, Pag. 7ma fate in modo che l'Italia possa tornare a svolgere un ruolo positivo e propositivo sullo scenario internazionale. In questo senso, credo che anche la discussione di oggi ed il voto che domani, 10 marzo, daremo su questa mozione - voglio sperare all'unanimità o comunque a larghissima maggioranza - abbiano un valore ed un significato.
Perché, come è già stato ricordato, ciò è significativo? Perché cinquant'anni fa il movimento di resistenza tibetano, ormai esteso a tutto il Paese, culminò con una sollevazione contro i cinesi che fu repressa con il dispiegamento da parte del Governo di Pechino di 150 mila uomini e con un bilancio tragico: migliaia di uomini, donne e bambini, massacrati nelle strade di Lhasa e in altri luoghi. A seguito di ciò - l'ha ricordato l'onorevole Mecacci - il 17 marzo 1959 il Dalai Lama fu costretto ad abbandonare Lhasa e a cercare asilo politico in India.
Ma il 10 marzo è anche l'anniversario delle manifestazioni che lo scorso anno hanno coinvolto i monaci, le suore, i cittadini tibetani, nella lotta contro la repressione cinese. Manifestazioni che, come ricordiamo tutti, sono state duramente represse nel sangue: soltanto 20 morti secondo fonti cinesi (se sono pochi 20 morti!), almeno 200 secondo le fonti del dissenso in esilio, più un numero consistente fra feriti ed arrestati.
Alle autorità cinesi, naturalmente, non è sfuggito, e non sfugge, che quest'anno la ricorrenza del 10 marzo possa avere, e avrà, un valore educativo più forte. Infatti, per due mesi, marzo ed aprile, le frontiere saranno chiuse a chiunque, perché vi è la paura di rivolte, e in questo senso sono state dispiegate truppe di rinforzo ai passaggi di frontiera e sulle strade principali. Da un articolo apparso la scorsa settimana su L'espresso, a firma di Raimondo Bultrini, inviato del settimanale a Lhasa, ed esperto di questione asiatiche e cinesi, si apprende addirittura che chi era già lì, come lui stesso, per seguire le feste del capodanno lunare, il Losar, si è visto scadere senza preavviso il permesso turistico precedentemente ottenuto e che è forte l'irritazione delle autorità cinesi per la decisione dei tibetani di celebrare il Losar in memoria delle vittime della repressione, e di farne un momento di lutto e di preghiera, in luogo dei consueti festeggiamenti fatti di gioia, canti e balli.
Dallo stesso articolo si apprende che nel mese di gennaio di quest'anno sono stati eseguiti arresti preventivi e dato avvio alla cosiddetta campagna di controllo unificata per colpire duro (già il titolo rende perfettamente l'idea di cosa stiamo parlando). In base a questa decisione, infatti, risultano essere già state fermate e interrogate quasi 6 mila persone, con controlli a tappeto nelle abitazioni, negli alberghi, negli Internet caffè e nei ristoranti. Dalle ultime notizie di agenzia si apprende della sparizione di oltre 1.200 tibetani (secondo fonti dell'opposizione in esilio), portati via in piena notte nell'ambito della sedicente campagna di controllo, che ho citato, con vaghe accuse di separatismo.
Dico questo, signor Presidente, cari colleghi, perché a maggior ragione come gruppo apprezziamo il fatto che su questa vicenda, come già accaduto per la mozione unitaria sui diritti umani violati in Birmania, abbiamo trovato un comune sentire. A nessuno, però, può sfuggire che una mozione, ancorché approvata probabilmente all'unanimità, altro potere non abbia che quello di continuare a stimolare, a tenere vivi l'attenzione e l'impegno, in questo caso del Governo italiano, su una questione che ancora, purtroppo, per molto tempo si trascinerà tra repressione e normalizzazione. Basti vedere come la grande occasione per aprirsi al mondo che aveva la Cina con l'organizzazione delle Olimpiadi dell'estate scorsa a Pechino sia stata sostanzialmente sprecata da un punto di vista della concessione di maggiori libertà, ma ampiamente sfruttata dal punto di vista degli affari con l'Occidente.
La mozione al nostro esame chiede al Governo di impegnarsi in azioni che nulla hanno a che vedere con sanzioni, ritorsioni, pressioni e ricatti economici nei confronti della Cina, in funzione della concessione di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani nel Tibet. Né tanto Pag. 8meno si chiede la sua indipendenza nazionale, e quindi la secessione, che ormai, del resto, non chiedono più nemmeno i diretti interessati, sebbene il Dalai Lama venga reiteratamente accusato di attività separatista, tanto che in nome di questa accusa è stato intimato ai Paesi stranieri che hanno relazioni con la Cina di non consentire al capo spirituale tibetano di fare loro visita: si tratta di un fatto inaccettabile, su cui ci permettiamo di chiedere un chiarimento e una rassicurazione al nostro Ministero degli affari esteri.
Nella nostra mozione viene chiesto, invece, come del resto auspicato da uno dei dispositivi della risoluzione del Parlamento europeo del 10 aprile 2008, che venga consentito ad organismi delle Nazioni Unite di poter accertare ciò che è realmente accaduto un anno fa a Lhasa, ma anche di aprire stabilmente il Tibet ai rappresentanti dell'Unione europea e agli stranieri in generale.
La risoluzione del Parlamento europeo per la verità presentava molti più indirizzi di azione e inviti rivolti alle autorità cinesi, ma occorre anche saper restare su un piano di realtà e far leva su un principio di realtà, per cui quelli che ci auguriamo verranno assunti, oggi o domani in questa sede, come impegni forti e decisi dovranno puntare a favorire soprattutto una soluzione politica, rispettosa e garante dell'autonomia culturale, politica e religiosa dei tibetani, attraverso segnali politici chiari da parte del nostro Governo alle autorità cinesi.
Su questo però consentitemi di muovere un appunto. Lo scorso 9 febbraio è giunto a Roma il Dalai Lama per ricevere dalle mani del sindaco Gianni Alemanno la cittadinanza onoraria di Roma. È vero, in quell'occasione erano presenti anche rappresentanti del Governo, ma come non evidenziare l'errore, e come non evidenziare il pessimo segnale che si è dato nel non aver programmato incontri ufficiali con il capo spirituale dei tibetani a livello governativo? In altre stagioni politiche si sono sempre manifestate una sensibilità e un'attenzione maggiori verso una situazione oggi definita da più parti preoccupante quale è quella della repressione cinese in Tibet.
Non vorrei e non vorremmo, come gruppo parlamentare, che questo silenzio possa aver significato una sorta di delegittimazione o marginalizzazione del ruolo del Dalai Lama, percepito infine come una fastidiosa incombenza. Sottolineo questo, e ci tengo a farlo, perché invece - ripeto - il nostro amico, il nostro cugino, quello d'oltralpe, il Presidente Sarkozy, con determinazione e noncurante delle risposte che sarebbero poi arrivate dalla Cina, aveva annunciato alla fine dello scorso novembre che avrebbe incontrato il Dalai Lama, e lo ha incontrato poi davvero, a Danzica, il 6 dicembre a margine di un incontro con gli altri premi Nobel nel venticinquesimo anniversario di quello dato a Lech Walesa. A questo annuncio è stato puntualmente fatto seguire l'annullamento del vertice Unione europea-Cina, previsto per il 1o dicembre a Lione, e - come se non bastasse - è apparsa sulla stampa cinese (governativa, ovviamente) la notizia che Sarkozy avrebbe pagato un alto prezzo per aver incontrato il Dalai Lama. Ma il Presidente francese ha comunque rimarcato in quella occasione (leggo testualmente dalle agenzie di stampa): in quanto Presidente di turno dell'Unione europea porto dei valori e delle convinzioni, è mio dovere farlo e lo faccio ben volentieri; bisogna vedere le cose tranquillamente e seriamente, il mondo ha bisogno di una Cina aperta che partecipa alla governance mondiale, la Cina ha bisogno di un'Europa potente, abbiamo il dovere e il diritto di lavorare insieme. Naturalmente da noi tutti in quest'Aula non può che giungere un'espressione di solidarietà ad un Presidente dell'Unione europea (seppur per soli sei mesi) minacciato con tanta arroganza, addirittura al punto di doverla pagare cara, ma - come già detto - il Ministro degli esteri cinese Jiang Yu ha inaccettabilmente allargato il fronte delle minacce.
Auspichiamo, quindi, che il nostro Governo garantisca un impegno diretto, in prima persona, se si potesse usare questa Pag. 9espressione, con più autonomia politica, a maggior ragione oggi in qualità di Presidente di turno del G8, che potrebbe allargarsi ad altri soggetti, su una questione come quella tibetana che è l'emblema della violazione dei diritti umani. Quello che più ci si deve augurare è che ancora una volta, in nome degli affari, non si rinunzi volentieri ad avanzare richieste che possano risultare troppo vincolanti in materia di diritti umani. Infatti, in questo senso il nostro Paese ha già mostrato una certa disinvoltura, quando ad esempio si è trattato di sottoscrivere un accordo di cooperazione e partenariato, votato soltanto poche settimane fa, con la Libia, e abbiamo avuto una certa elasticità anche con l'Iraq: in altre parole, solidarietà e diritti umani, siamo d'accordo, ma non sempre e non a tutti i costi (questa sembra essere la posizione del Governo).
Noi, invece, vorremmo che si potesse mettere in campo un'equilibrata equazione e proporzione tra i costi, i benefici e, ovviamente, la tutela dei diritti umani, che, costituendo un'affermazione di principio, non ha prezzo. Concludo preannunciando, quindi, il voto favorevole del gruppo dell'Italia dei Valori sulla mozione in esame, auspicando che sia un voto largamente positivo e largamente unitario (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori e di deputati del Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, anzitutto vorrei ringraziare il collega Matteo Mecacci per questa mozione e per la disponibilità ad un dialogo proficuo con il Governo che ha mostrato non solo nella sua qualità di presidente dell'Intergruppo per il Tibet, ma anche come estensore della mozione stessa. Quindi, sono certo che il sottosegretario Scotti potrà esprimere un parere positivo e che si possa arrivare ad un voto unanime o ampiamente condiviso, come prima diceva il collega Evangelisti, il quale, peraltro, ha espresso una serie di considerazioni che meriterebbero qualche replica ma, forse, in altra sede.
È accaduto più volte che il Parlamento italiano abbia espresso indirizzi molto precisi di attenzione e di responsabilità nei confronti della questione tibetana. Ricordo nella legislatura precedente che praticamente la maggioranza dei deputati chiese al Presidente Bertinotti che il Dalai Lama, in occasione di una visita nell'inverno del 2007, potesse parlare a Montecitorio, e allora il Dalai Lama prese la parola solennemente alla Camera nella Sala della lupa.
La questione tibetana rappresenta, tanto agli occhi del mondo quanto rispetto agli equilibri interni della Cina, un'esemplare cartina di tornasole dei rischi, delle possibilità e delle contraddizioni connesse all'evoluzione politica e civile del regime di Pechino. Anche in questa occasione, di fronte a quest'atto sostenuto dall'intero Parlamento italiano, ritengo che valga la pena di ribadire che l'attenzione alle richieste di autonomia culturale e religiosa della popolazione tibetana ed il sostegno all'azione del Dalai Lama hanno un segno politico inequivoco, nel senso che non dimostrano e non vogliono dimostrare ostilità nei confronti della Cina né appoggio a rivendicazioni indipendentiste che peraltro, come si ricava dalla mozione, non ci sono e non vengono certamente dal Dalai Lama e dal suo Governo in esilio.
Pertanto, l'obiettivo di questa mozione è sostenere il Dalai Lama e il Governo in esilio nel loro tentativo di dialogo con il Governo di Pechino, dialogo sinora vanificato. Se tale dialogo viene vanificato, ritengo che dobbiamo aver ben presente lo scenario - lo delineava l'onorevole Mecacci in precedenza - che si configurerà nel momento in cui ogni speranza di dialogo, di confronto e di avanzamento nelle relazioni dovesse svanire. Lo scenario che abbiamo di fronte è, nella migliore delle ipotesi, il moltiplicarsi degli episodi, come quelli richiamati, riguardanti i bonzi, e, nella peggiore ma probabile ipotesi, che la vanificazione di decenni di dialogo non violento potrebbe aprire la Pag. 10porta a rivendicazioni condotte con metodi violenti, con la violenza, a quel punto, della disperazione.
Credo che abbiamo ben presente, soprattutto in una temperie come quella attuale, che la partnership euroatlantica e cinese sia obbligata, sia dalla natura della crisi economica e sia dalla necessità di far convergere gli sforzi. Tuttavia, questa interrelazione obbligata dovrebbe anche far perdere qualche prudenza o titubanza di troppo a chi magari ritiene che una politica della «schiena dritta» nei confronti della Cina per quanto riguarda i diritti umani, a partire dalla questione tibetana, possa provocare ritorsioni. In realtà proprio in questo momento di massima interdipendenza, dimostrata anche di recente, la possibilità di un dialogo franco aumenta e non diminuisce: la Cina, infatti, mai come in questi mesi, non può tornare ad una situazione di isolamento né cercare l'autoisolamento.
La competizione strategica della Cina, che è alla ricerca di aree di influenza autonome e del consolidamento di un proprio sistema di alleanze internazionali (pensiamo a quanto sta succedendo in Africa) costituisce un rischio evidente nel momento in cui questa proiezione esterna della Cina ricalca il meccanismo interno dal punto di vista politico e della negazione delle libertà fondamentali. Questo è un tema che ci deve interrogare per le proiezioni che può avere in futuro.
Il pericolo viene non tanto dal fatto che la Cina possa costituire una polarità destinata a rompere il monopolio della presenza americana nel mondo, ma dalle caratteristiche di questa proiezione internazionale: è con quelle che dobbiamo fare i conti, a partire da quanto avviene all'interno della Cina.
Non so se e come il sistema cinese, con le sue rigidità, potrà reggere all'espansione economica, alla crescita del reddito, alla crescita di opportunità che si stanno verificando. Penso - e come me molti - che proprio la via dell'apertura politica e della modernizzazione politica interna sia anche per la Cina l'unica vera chance di reggere questa crescita tumultuosa senza la disgregazione, senza il moltiplicarsi dei focolai non solo di tensione ma anche di rivolta e di violenza. Anche da questo punto di vista bisogna lavorare per favorire la transizione del sistema politico cinese, il che significa muoversi in una logica che non vuole essere e che non è anticinese.
Per tornare alle specifico della questione tibetana, non è anticinese riconoscere, insieme con generosità e realismo politico, che solo il Dalai Lama e la sua piattaforma non violenta possono impedire che in Tibet - privato com'è di una reale autonomia civile - divampi la rivolta, dopo svariati decenni di persecuzione etnico-religiosa.
Pochi giorni fa - è stato richiamato - il Governo italiano ha annunciato l'indisponibilità a legittimare una conferenza mondiale contro la discriminazione razziale, la xenofobia e l'intolleranza (la cosiddetta Durban 2) che si trasformi in un processo razzistico ed in una tribuna di diffamazione politica nei confronti dello Stato di Israele.
Per ragioni non troppo dissimili, credo che il Governo italiano debba tenere il punto sul fatto che il Dalai Lama non possa essere a sua volta diffamato e demonizzato dal punto di vista politico, e non solo, e che invece egli va considerato innanzitutto da noi e quindi dal regime cinese l'interlocutore rispetto alla vicenda tibetana. È un interlocutore imprescindibile. Se mai qualcuno, anche a Pechino, contasse sul fattore tempo - cioè sul fatto che prima o poi il Dalai Lama lascerà inevitabilmente la scena - e pensasse che in quel momento la questione si può risolvere in qualche modo, magari con un interlocutore creato ad hoc, credo che commetterebbe un grave errore.
Penso, invece, che se non si riuscirà ad affrontare la questione con il Dalai Lama, probabilmente, non si riuscirà ad affrontarla in modo pacifico e non violento con il suo successore, o con quello che sarà del popolo tibetano e del Governo tibetano, quando verrà a mancare la loro guida.
All'isolamento politico del Dalai Lama corrisponde sempre più l'isolamento fisico della regione autonoma del Tibet: questo Pag. 11aspetto esiste ed è un punto qualificante della mozione in discussione. Tale isolamento impedisce di verificare le effettive responsabilità delle violenze che hanno seguito le manifestazioni di massa tenutesi nel marzo scorso e, più in generale, impedisce alle organizzazioni internazionali, a partire da quelle delle Nazioni Unite, di monitorare il rispetto dei diritti umani.
Quando si sono svolte le Olimpiadi, fummo in molti a sostenere che, più che boicottarle, bisognasse «occupare» le Olimpiadi con la questione tibetana e dell'apertura politica in Cina e che quella dovesse essere un'occasione per parlare della Cina. Non so se qualcuno abbia mai fatto un bilancio: sicuramente le Olimpiadi hanno rappresentato una straordinaria vetrina per la Cina, ma è stato, comunque, un momento in cui la comunità internazionale e milioni di persone si sono interrogate sullo stato della libertà, dei diritti umani e dei diritti religiosi, di tutte le religioni, in quel Paese, tanto rilevante già oggi e che sarà sempre più rilevante per il futuro del mondo. Anche da questo punto di vista, lavorare per favorire la transizione del sistema politico cinese non significa muoversi in una logica anticinese (ed è stato così per le Olimpiadi).
Per tornare alla questione che stiamo sollevando e che è presentata nella mozione in discussione, credo sia necessario dare il sostegno alla causa tibetana e all'azione del Dalai Lama con massima prudenza e massima chiarezza. La prudenza di chi sa che iniziative velleitarie o puramente declamatorie non contribuiscono a rafforzare, ma a indebolire la causa tibetana; la chiarezza di chi non può fingere di ignorare una situazione insostenibile dal punto di vista politico e civile, che fa temere per la stessa sopravvivenza della cultura tibetana nella sua originalità storica e religiosa.
Quindi, credo che non sia più il tempo - se mai lo sia stato - di creare un trade off tra aperture ed interrelazioni economiche con la Cina e una voce forte e potente da parte della comunità internazionale occidentale sui diritti umani. È sempre stata - ma lo è a maggior ragione oggi - una falsa alternativa. Con riferimento alla prosecuzione e all'intensificazione delle relazioni economiche e, quindi, dell'interrelazione economica e finanziaria con il regime di Pechino, dal nostro punto di vista e dal punto di vista dell'interesse strategico, non solo immediato, delle comunità e delle democrazie occidentali, credo sia assolutamente necessario non togliere la pressione su una questione che per noi deve essere strategica, come quella dell'apertura politica del regime cinese.
Quindi, da questo punto di vista, sono certo che rispetto a questa mozione, che - lo ripeto - è una mozione prudente, non velleitaria, ma che segna alcuni punti irrinunciabili, l'atteggiamento del Governo sarà positivo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli deputati, il Governo concorda con l'iniziativa assunta dal Parlamento.
Fin dal riacutizzarsi della crisi tibetana con gli incidenti del marzo 2008, l'Italia e l'Unione europea hanno chiesto al Governo cinese il riavvio del dialogo con i rappresentanti del Dalai Lama e la fine degli atti repressivi; tale è il senso delle dichiarazioni della Presidenza dell'Unione europea del 18 marzo e dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 29 marzo.
A seguito delle pressioni e in concomitanza con la visita in Cina del Presidente della Commissione europea Barroso, a fine aprile 2008, Pechino annunciò la disponibilità a riprendere il dialogo con i rappresentanti del leader religioso tibetano. L'incontro ha avuto luogo il 4 maggio a Pag. 12Shenzhen ed è stato seguito da nuove sessioni il 2 e il 3 luglio a Pechino e dal 31 ottobre al 5 novembre nuovamente a Pechino.
Anche quest'ultima tornata di colloqui si è però chiusa, come le precedenti, con un nulla di fatto e senza che sia stata fissata una data per ulteriori incontri. Se da parte tibetana si attribuisce l'assenza di passi in avanti alla rigidità e alla chiusura di Pechino, la Cina ascrive il fallimento dei colloqui di novembre alla presentazione, da parte degli emissari del Dalai Lama, di un memorandum con cui veniva invocata una genuina autonomia e dietro cui si celerebbero - a detta dei cinesi - aspirazioni indipendentiste.
L'epilogo di quest'ultima tornata negoziale confermerebbe l'indisponibilità di Pechino a concedere spiragli negoziali che alterino in maniera concreta lo status quo in Tibet. Sullo sfondo dello stallo dei colloqui, il 17 novembre 2008 si è tenuto a Dharamsala, nell'India settentrionale, il vertice dei tibetani in esilio che, pur in presenza di una cospicua opposizione radicale, ha confermato l'indirizzo moderato e non violento finora ispirato dal Dalai Lama.
Il 26 novembre 2008 le autorità cinesi hanno comunicato la decisione del Premier Wen Jiabao di rinviare la sua visita in Francia e la partecipazione al vertice di Lione tra Unione europea e Cina fissato per il 1o dicembre a seguito della decisione del Presidente francese Sarkozy di incontrare a Danzica il Dalai Lama.
In risposta l'Unione europea ha emesso un comunicato con cui, nell'esprimere rammarico per la decisione cinese, si è dichiarata tuttavia intenzionata a proseguire il partenariato strategico con la Cina. L'Unione europea ha anche operato da subito per l'identificazione di una nuova data per il rinviato vertice, che appare ora indicata nel mese di maggio.
Il Primo Ministro cinese, a capo di una delegazione governativa, ha effettuato una visita a Bruxelles il 30 gennaio in occasione della quale, d'intesa con il Presidente europeo di turno e con il Presidente della Commissione Barroso, è stato concordato di tenere il vertice durante la Presidenza ceca e di farlo seguire, come previsto, da un altro vertice a Pechino entro la fine dell'anno.
Il Governo italiano in ogni occasione utile, nel ribadire l'adesione al principio di una sola Cina, ha continuato ad evocare con le autorità di Pechino l'importanza che il dialogo con i rappresentanti del Dalai Lama possa proseguire dell'interesse anche della Cina. Tale aspetto è stato fortemente sottolineato dal nostro ambasciatore in Cina anche in occasione di una sua visita lo scorso ottobre in Tibet e di colloqui con le autorità della regione autonoma del Tibet.
Anche nell'ambito del dialogo sui diritti umani fra Unione europea e Cina, il Governo italiano ha dato il proprio appoggio al rafforzamento del capitolo dedicato al Tibet. Nell'ultima tornata del dialogo sui diritti umani svoltasi a Pechino lo scorso novembre 2008, i rappresentanti dell'Unione europea hanno colto l'opportunità per reiterare al Governo cinese l'importanza per le delegazioni diplomatiche di potersi recare liberamente in Tibet al fine di constatare l'effettiva situazione in loco.
L'Italia ha altresì ribadito, il mese scorso, tali preoccupazioni in sede di esame periodico universale della Cina in Consiglio dei diritti umani. Tra le questioni poste a Pechino, il nostro Paese ha infatti raccomandato alle autorità cinesi di rispondere positivamente alle richieste di visita nel territorio cinese avanzate dai meccanismi ONU di monitoraggio della situazione dei diritti umani e di considerare la possibilità di rivolgere loro un invito permanente (standing invitation).
Un risultato immediato e tangibile nei contatti tra Pechino e i rappresentanti tibetani nel breve termine appare improbabile, anche in considerazione delle possibili tensioni legate alla ricorrenza del cinquantesimo anniversario della rivolta di Lhasa, tensioni che hanno portato a nuove limitazioni all'accesso degli stranieri in alcune zone della regione autonoma e delle province limitrofe. Pag. 13
Tuttavia, il risultato stesso della riapertura di un canale negoziale diretto con gli emissari del Dalai Lama è da considerare un progresso importante, tanto più se visto quale risposta - seppure timida e limitata - della dirigenza cinese alle pressioni internazionali. Pechino, infatti, considera tradizionalmente la situazione in Tibet come una questione di sovranità territoriale e non come un problema riguardante la tutela dei diritti umani - così come noi sottolineiamo - e tende, pertanto, a giudicare qualsiasi iniziativa internazionale come un'ingiustificata ingerenza negli affari domestici. Nonostante lo stallo dei colloqui, le autorità cinesi hanno comunque ribadito che la porta rimane aperta al dialogo.
Tenendo presenti le sensibilità cinesi sulla questione tibetana, il Governo italiano, insieme ai partner europei, continuerà quindi a forzare presso le autorità di Pechino, sottolineando l'importanza e la necessità del dialogo con i rappresentanti del Dalai Lama, soprattutto perché possa proseguire e produrre dei risultati che sono, a nostro avviso, nell'interesse stesso della Cina e della sua immagine internazionale.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Casini ed altri n. 1-00093 e Cirielli ed altri n. 1-00126 concernenti misure a favore dell'efficienza e della funzionalità delle Forze armate (ore 15,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Casini ed altri n. 1-00093 (Nuova formulazione) e Cirielli ed altri n. 1-00126, concernenti misure a favore dell'efficienza e della funzionalità delle Forze armate (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Donadi ed altri n. 1-00127 e Fava ed altri n. 1-00128 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritto a parlare l'onorevole Bosi, che illustrerà anche la mozione Casini ed altri n. 1-00093, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, avrei gradito fosse presente il Ministro o un sottosegretario al Ministero della difesa, visto e considerato che parliamo di Forze armate. Non so se è annunciata questa presenza ed eventualmente sarei disponibile a rinviare di qualche minuto l'illustrazione della mozione.

PRESIDENTE. Onorevole Bosi, due sottosegretari alla difesa sono risultati indisponibili ed il Governo sceglie chi vuole per farsi rappresentare. Tuttavia, non mi sfuggono il senso e la portata delle sue osservazioni e provvederò a rappresentarle sia al Presidente della Camera sia al Ministro della difesa.

FRANCESCO BOSI. Anche tenendo conto, signor Presidente...

PRESIDENTE. Non vorrei sembrare inurbano, ma visto che abbiamo soltanto un sottosegretario di altro Dicastero gradirei che egli ascoltasse le parole che gli vengono rivolte. So che la colpa non è sua, però tutti i parlamentari dovrebbero sapere che, se vogliono parlare con i sottosegretari ed i Ministri, devono andare a trovarli al Ministero.

FRANCESCO BOSI. Grazie, signor Presidente, e ringrazio anche l'onorevole Pag. 14Scotti. Darò inizio all'illustrazione della mozione presentata non per polemizzare con il Governo, né con il Ministro della difesa, ma nella consapevolezza che le Forze armate rappresentano non solo ritualmente il simbolo dell'Unità nazionale ma sono, per definizione, l'immagine, l'espressione dell'Italia e sono fortemente collegate con la nostra politica estera.
Credo di non esagerare se dico che la politica estera italiana non ci sarebbe o, comunque, non sarebbe la stessa se non ci fossero le Forze armate. Quando parliamo delle nostre Forze armate, e capita spesso nel dibattito quotidiano, lo facciamo non senza una legittima venatura di orgoglio per quello che i rappresentanti di esse, i nostri militari, fanno nel mondo e nelle zone più martoriate, nelle aree di crisi, di rischio. I teatri delle nostre missioni sono cruciali per gli equilibri e la stabilità del mondo e sono cruciali anche per la sicurezza internazionale ed interna, ivi compresa quella del nostro Paese.
Certo è che le nostre Forze armate sono non solo l'emblema, un simbolo dell'unità nazionale, ma sono anche lo strumento essenziale tramite il quale nostro Paese è presente nel sistema delle alleanze internazionali, negli organismi come l'Alleanza atlantica e l'Unione europea, e sono anche elemento di pacificazione e di solidarietà internazionale.
Le nostre Forze armate, dunque, non sono e non debbono essere oggetto di questioni di parte, di strumentalizzazioni. Noi non vogliamo (e il testo di questa mozione credo sia in questo senso eloquente) utilizzare le nostre Forze armate per una polemica di parte, ma semplicemente vogliamo porre una questione essenziale, come dicevo, per il nostro Paese e vogliamo sottoporla con molta serietà al Governo. Ciò anche riprendendo le stesse parole e le stesse frasi che in alcuni documenti ufficiali pervenuti al Parlamento lo stesso Ministro e lo stesso Capo di Stato maggiore della difesa hanno usato negli incontri avvenuti e nelle sedi istituzionali, dall'Aula del Parlamento alle Commissioni difesa ed affari esteri.
Insomma, vogliamo capire se questo impegno qualitativo e quantitativo del nostro strumento militare nazionale è così insostituibile come presidio di sicurezza ed irrinunciabile condizione per la stabilità e vogliamo capire come, rispetto a queste enunciazioni che ci trovano tutti d'accordo, si possano legare, saldare le questioni dei tagli al bilancio.
Le Forze armate sono un potente strumento organizzativo, hanno necessità, sono composte di personale, di strutture logistiche e di armamenti. Quando questo mix di elementi comincia a declinare e ad entrare in crisi, ciò, evidentemente, non solo può, ma deve preoccupare il Parlamento nazionale e deve farci interrogare su cosa fare e sul modo in cui muoverci.
D'altro canto, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, credo che garantire la capacità di corrispondere a queste esigenze di difesa, di stabilità e di sicurezza non solo sia stato più volte conclamato, ma sia una questione davvero cruciale e fondamentale per il Paese ed anche per il consesso dei Paesi nei quali ci ritroviamo, per alleanze liberamente sottoscritte.
Poco fa parlavo del bilancio, che sicuramente è lo strumento in cui la volontà politica (o meglio, la volontà socio-politica) e le capacità militari devono trovare una realizzazione coerente con gli impegni che sono stati assunti e con le esigenze del nostro Paese.
La legge n. 331 del 2000 - che non è una delibera, né un ordine del giorno, ma una legge - prevedeva che le nostre Forze armate fossero composte da 190 mila unità e prevedeva anche i modi con i quali tali unità dovessero strutturarsi, organizzarsi ed essere presenti sul territorio. Quando abbiamo letto i documenti di bilancio, abbiamo constatato che per il finanziamento della sola voce «personale» - già oggi calato di circa 5 mila unità rispetto alle 190 mila previste - si prevede un taglio di 9,7 miliardi (ossia quasi dieci miliardi): ciò pone tutta una serie di questioni, perché non si rifinanziano esodi e nemmeno razionalizzazioni (vale a dire non si favorisce la fuoriuscita di personale Pag. 15anziano per nuovi reclutamenti), ma addirittura si tagliano 10 mila nuovi posti per il reclutamento. Si tagliano anche di 3,4 miliardi le spese di esercizio (per chi non lo sapesse, nelle spese di esercizio si devono intendere compresi anche l'addestramento, il funzionamento della macchina organizzativa, le scorte e la logistica). Con le spese di esercizio, quindi, si taglia proprio l'addestramento. Siamo in una fase in cui, rispetto a qualche anno fa, vi sono Forze armate più vecchie e meno addestrate.
Ma non solo: si tagliano anche gli investimenti, i mezzi e i sistemi d'arma, nonché le risorse connesse alle esigenze di ammodernamento e di adeguamento degli armamenti in condizioni di operatività che diventano sempre più difficili, soprattutto nei teatri internazionali che le nostre Forze armate possono essere costrette a fronteggiare. Quindi, con una parola sola, si diminuisce anche la sicurezza del personale militare impegnato nelle missioni all'estero e sul territorio nazionale.
La funzione difesa complessivamente subisce un taglio del 6,9 per cento sul 2008 per questo anno 2009, ma non solo. Si prevede, infatti, che il personale, che con questo taglio subisce una diminuzione del 6,9 nel 2008, debba addirittura calare del 40 per cento nel 2010.
Sorge, allora, spontanea e logica una domanda: se vengono introdotti questi tagli così forti, cosa si pensa di poter fare delle nostre Forze armate dal momento che non è pervenuta al Parlamento una modifica della legge n. 331 del 2000, e quindi si accetta, in una fase di stand by, un deterioramento dell'efficienza dello strumento militare senza aver programmato altre scelte?
Si pensi che l'Italia ha un rapporto tra spese per la difesa e PIL che è già allo 0,84 per cento, che è molto più basso della media europea che si attesta sull'1,42 del PIL, con punte esemplificative come quella della Gran Bretagna del 2,3 e della Francia dell'1,73. Noi con lo 0,84 per cento siamo precipitati rispetto al 2004 in cui superavamo l'1 per cento del PIL.
Questo stato di degrado della struttura militare non è uno stato che denunciamo noi come osservatori esterni, ma è stato denunciato dallo stesso Ministro della difesa che, nel documento di accompagnamento alla legge finanziaria che è stato presentato, ha usato parole molto forti. Egli ha, infatti, affermato che nell'ambito del settore del personale i vincoli posti dal decreto-legge n. 112 del 2008, che oggi stabilisce una riduzione del 7 per cento nel 2009 e del 40 per cento a decorrere dall'anno 2010 delle risorse a suo tempo destinate alla professionalizzazione del personale, modificano sostanzialmente i parametri del modello professionale; infatti, a fronte di un previsto modello a 190 mila unità di personale per le tre Forze armate si potrebbe arrivare, in assenza di interventi correttivi sul 2012 (anno di piena entrata in vigore del decreto-legge n. 112), ad una consistenza complessiva di 141 mila unità.
Ci chiediamo, dunque, se questa decisione così drastica, così importante e forte, che fa saltare anche i livelli e gli standard di partecipazione del nostro Paese alle alleanze internazionali, che fa calare così drasticamente anche lo scopo per cui le Forze armate esistono, ossia garantire la sicurezza interna ed internazionale, possa avvenire di risulta. Si badi bene a questa frase: «si potrebbe arrivare al modello a 140 mila unità». Noi crediamo che questo non possa essere frutto di un destino cinico e baro.
Portare improvvisamente a 140 mila unità, con questo letterale sconvolgimento, il modello appena approvato delle 190 mila unità (che doveva entrare in vigore in modo completo già nel 2010), significa far saltare tutti gli accordi internazionali che il nostro Paese ha liberamente sottoscritto, per non parlare degli accordi bilaterali che l'Italia sottoscrive in chiave di cooperazione e di assistenza con tanti Paesi. Si pensi al Kosovo, al Corno d'Africa e a tante altre realtà nelle quali le nostre Forze armate svolgono funzioni addestrative, di supporto e altre funzioni fondamentali nel contesto delle relazioni internazionali degli altri Paesi. Pag. 16
Tuttavia, mi chiedo se l'Italia può fare ciò, ovvero se può ridursi a 140 mila unità nella propria ambizione nazionale nei confronti dei partner e delle alleanze. Mi chiedo, infatti, che Forze armate sarebbero e quale scopo dovrebbero perseguire. Visto che perlomeno è presente il sottosegretario per gli affari esteri, mi chiedo quali sarebbero le ripercussioni della nostra politica estera in ambito internazionale.
Signor Presidente e signor rappresentante del Governo, noi abbiamo posto questi aspetti in termini problematici e di interesse, come compete a tutti gli italiani, i quali non possono mettersi la mano sul cuore, cantare l'inno nazionale e partecipare alle cerimonie militari solo come fatto coreografico, se ciò non li coinvolge e non ci coinvolge anche come italiani, come cittadini e come membri del Parlamento nazionale, per invocare una risposta e un chiarimento. Mi chiedo cosa si voglia fare. Non solo per rispetto a chi vi opera, ma anche per la plausibilità di questo strumento militare, mi chiedo se si possa rimanere in questa situazione.
Immaginate cosa voglia dire bloccare (come è accaduto) il reclutamento di diecimila nuove unità, nonché l'addestramento. In Italia, infatti, sono stati chiusi quasi tutti i reparti di addestramento e sono state fortemente ridotte le partecipazioni alle accademie militari.
Tempo fa ero a Livorno al giuramento degli allievi quasi dimezzati dell'accademia. Poiché parliamo di un'organizzazione, mi chiedo come faranno i nuovi ufficiali a prendere il comando delle unità navali, ovvero a svolgere il loro percorso di esperienze e di carriera senza un numero sufficiente, adeguato alle strutture che servono non solo per addestrare, ma anche a riaddestrare coloro che devono essere efficienti, pronti e all'altezza della situazione.
Ci preoccupa questa indefinitezza, questo dire che, sebbene di risulta, si arriverà a ciò. Vi è l'obbligo di rispettare le leggi e il Governo non può non rispettarle: quindi, o le leggi si cambiano e si affronta il problema in Parlamento, come già fu affrontato nel 2000 quando fu stabilito il modello di difesa e se ne produce un altro, oppure si rispetti quello che c'è!
Signor Presidente e signor rappresentante del Governo, potrei dire mille altre cose e potrei citare frasi per un certo verso molto significative e anche drammatiche dei responsabili dello Stato maggiore della difesa. Il Ministro non è mai venuto qui a parlare delle Forze armate, ma potrei citare dei documenti a firma del Ministro La Russa.
Potrei parlarne e dire che siamo in uno stato di dissociazione fra quello che si dichiara dover essere assicurato e garantito rispetto a quello che, invece, si alimenta e si garantisce e di fronte a questa dissociazione, vi sarebbe da dire molto. Voglio citare solo una frase del generale Camporini, Capo di stato maggiore della difesa, nell'audizione di luglio presso la Commissione difesa, quando, citando le previsioni del decreto-legge n. 112 del 2008, ha affermato: se così fosse, verrebbe pregiudicata l'efficacia operativa del nostro strumento militare. Signori, un militare, investito di queste responsabilità, cos'altro può dire?
Concludo facendo un appello, come credo di avere già in parte sicuramente svolto, a tutte le forze politiche del Parlamento, della maggioranza e dell'opposizione.
Non andiamo alla ricerca di gloria (si vede che trattiamo questi argomenti quasi di nascosto), però vorremmo che tutto il Parlamento, in tutte le sue espressioni, si trovasse compatto e unito nel dire che, anche in un momento così difficile, pur consapevoli che certe razionalizzazioni, anche dure e difficili, si debbano compiere, che occorra individuare se vi sono sacche di spreco e colpirle, se vi sono duplicazioni di funzioni e ruoli ed eliminarle, bisogna intendersi chiaramente su quello che deve e debba essere lo strumento Forze armate per il nostro Paese.
Credo che da qui non si debba derogare: se tutti siamo d'accordo che le Forze armate nel nostro Paese debbano garantire le cose che garantiscono e che hanno garantito fino ad oggi, dovremmo essere Pag. 17tutti concordi nel chiedere che su queste cose non si facciano «giochi e giochetti» di bilancio e di prestigio, ma si dica chiaramente che questo è un Paese conscio del proprio ruolo internazionale, delle proprie esigenze interne, e che su questo strumento non si gioca al «tanto peggio, tanto meglio».
Non si può, infatti, un anno togliere e un anno rimettere, perché questo significa, già di per sé, destrutturare. Vogliamo che siano garantite le risorse per poter mettere al riparo dalle congiunture economiche lo strumento fondamentale della difesa e della sicurezza, perché questi tagli riguardano anche il comparto della sicurezza interna, non solo quella internazionale.
Credo che questa per il Governo debba essere un'occasione unica e irripetibile: quali sono, infatti, gli altri settori della vita sociale nei quali si può trovare l'unanimità del Parlamento? Se tutte le forze politiche, se tutto il Parlamento è concorde, il Governo può andare avanti.
Certo, sappiamo che ci aspettano mesi ed anni difficili e duri, però vi sono alcuni valori fondamentali ed essenziali, come quello del quale stiamo parlando, che non possono essere soggetti, a fasi alterne, a momenti di destrutturazione. Preserviamo l'integrità, l'efficienza e la funzionalità delle nostre Forze armate.
Preserviamo l'efficienza e la funzionalità del nostro comparto sicurezza, che sappiamo quanto può costare in termini di bilancio: anche se parliamo di incidenze sul PIL molto più basse di tutti gli altri più importanti partner europei, non sappiamo, signor Presidente, quanto costerebbe non avere la sicurezza, quanto costerebbe non avere questi strumenti fondamentali per un Paese che vuol comunque uscire dalla crisi, che vuol crescere, che vuole svolgere un ruolo sul proscenio internazionale. Questo noi chiediamo. E auspichiamo che si esca dalle nebbie, da questa indefinita situazione per la quale lentamente si consuma un disastro: vogliamo che tutto questo, cosa si vuol fare, venga dichiarato in Aula. Ci venga finalmente detto, non fra le righe di documenti, che cosa si vuol fare. Credo che questo non sia un diritto solo nostro, ma sia un dovere sacrosanto dell'Esecutivo, al quale noi rivolgiamo questo appello, nel mentre dichiariamo, fin da ora, che siamo disposti ad appoggiare i sacrifici che dovessero essere fatti e a dare il nostro aiuto, il nostro apporto, come sempre abbiamo fatto, quando si è parlato di un bene di tutta l'Italia quali sono le Forze armate.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Moles, che illustrerà anche la mozione Cirielli ed altri n. 1-00126, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE MOLES. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, abbiamo ritenuto opportuno presentare la mozione in esame del PdL sulle Forze armate non solo per esprimere l'apprezzamento e la condivisione per gli sforzi che, pur con risorse finanziarie limitate, il Governo e la difesa stanno producendo per mantenere l'efficienza dello strumento militare, ma anche per richiamare l'attenzione del Governo sulla necessità di un rinnovato impegno nei confronti delle Forze armate, impegno che garantisca un quadro stabile di risorse finanziarie idoneo ad assicurare certezza ai programmi di investimento, adeguati standard di funzionalità compatibili con i crescenti ritmi di impiego e adeguati livelli di formazione e addestramento del personale militare.
Le Forze armate italiane rappresentano, in Italia e nel mondo, motivo di orgoglio per il nostro Paese, avendo infatti dato dimostrazione, anche nelle circostanze più difficili, di livelli altissimi di professionalità, di profonda umanità e totale abnegazione allo spirito di servizio. Nel corso degli anni la presenza militare sullo scacchiere internazionale ha infatti garantito condizioni accettabili di sicurezza in molti Paesi, entro cui sia gli stessi contingenti militari sia le organizzazioni internazionali hanno potuto muoversi portando sollievo alle popolazioni delle aree che sono state oggetto di crisi. Questo contributo al mantenimento della pace e della sicurezza nel contesto mondiale è di Pag. 18fatto divenuto prioritario per la comunità internazionale, e quindi anche per l'Italia, che nell'ultimo decennio non ha potuto né voluto sottrarsi dal recitare un ruolo adeguato al suo rango politico, storico ed economico.
È evidente che in termini finanziari la situazione internazionale appare molto difficile, ma non di meno continua ad essere complessa ed incombente la minaccia alla libertà, alla sicurezza ed alla democrazia in diverse parti del mondo. Le Forze armate italiane costituiscono oggi una componente essenziale per il controllo della conflittualità, il mantenimento della sicurezza e il rispetto della legge, dovunque ciò impegni la comunità internazionale. La presenza italiana nelle missioni multinazionali è inoltre fondamentale garanzia della credibilità internazionale del nostro Paese, come anche strumento prezioso al servizio della politica estera italiana.
In tale contesto le Forze armate devono essere considerate in una nuova ottica in cui la mera difesa del territorio nazionale entro i suoi confini perde di significato, mentre le operazioni internazionali assumono la caratteristica di compito istituzionale prioritario e insostituibile sia ai fini della difesa nazionale per così dire a lungo raggio, sia per il concreto sostegno delle scelte di politica estera del Paese approvate dal Parlamento e intraprese dal Governo.
Nel corso degli ultimi anni, la partecipazione delle Forze armate italiane a missioni militari all'estero ha assunto una rilevante importanza sia in considerazione del notevole incremento delle operazioni che hanno visto impegnati contingenti militari italiani, sia sotto il profilo del maggiore impiego di uomini e di mezzi connesso alla più complessa articolazione degli interventi ai quali l'Italia ha partecipato.
Dal secondo dopoguerra ad oggi l'Italia ha partecipato a 119 missioni militari fuori dai confini nazionali e, di queste, 35 sono tuttora in corso. In questo momento più di 9.000 uomini e donne in divisa (soldati, marinai, avieri, carabinieri, finanzieri) operano al di fuori del territorio nazionale in teatri di crisi che vanno dai Balcani al Mediterraneo, all'Afghanistan.
Il loro impegno - e quello di tutte le Forze armate che li sostengono - si caratterizza per la professionalità, la dedizione, l'attaccamento ai valori nazionali che dimostrano nell'assolvimento dei compiti loro affidati.
In tutti questi contesti operativi è, inoltre, particolarmente apprezzata anche l'umanità che i nostri militari sanno esprimere a contatto con le popolazioni civili vittime dei conflitti, garantendo loro un quadro di sicurezza e riaccendendo la speranza di una vita normale e di un futuro dignitoso (ciò, ovviamente, è in consonanza con la politica estera del Governo italiano in tema di sicurezza, che comprende la legittimità e l'opportunità di interventi militari a sostegno della pace condotti in sinergia con le attività di assistenza alle popolazioni finalizzate alla ricostruzione istituzionale, sociale ed economica delle aree di crisi).
Il nostro Paese ha un ruolo importante nello scenario internazionale e svolge ad ogni livello compiti di primo piano, raccogliendo un ampio riconoscimento sia sull'impegno sia sulla professionalità del personale impiegato.
Non possiamo, inoltre, non ricordare in questa occasione anche il meritorio lavoro svolto dai militari delle Forze armate che dal mese di agosto affiancano le forze di polizia nel controllo del territorio nelle principali città italiane, a garanzia dell'ordine pubblico e della sicurezza: Esercito, Marina, Aeronautica militare, Arma dei carabinieri presidiano il territorio nazionale e vigilano su siti istituzionali e obiettivi sensibili.
Come ho ricordato all'inizio del mio intervento, con la mozione in esame intendiamo richiamare l'attenzione del Governo sulla necessità di una politica di rinnovato impegno nei confronti delle Forze armate. A questo proposito intendiamo fornire all'Esecutivo utili indirizzi su talune iniziative che consideriamo sia opportuno intraprendere per rispondere Pag. 19alle richieste pressanti che ci vengono dai nostri militari impegnati in patria e all'estero.
Gli impegni sono, con ogni evidenza, molto gravosi per le nostre Forze armate e per gli uomini e le donne che vi operano e che vi fanno fronte con grande dedizione ed elevata professionalità, guadagnandosi il plauso di tutti. Ben venga allora anche un'attenta rivalutazione degli impegni internazionali per verificare l'importanza di ogni singola presenza in un determinato teatro e per razionalizzare le missioni laddove è possibile; però, quando si prende la decisione di mantenere un nostro contingente in un'area, occorre fornire tutto il supporto politico ed economico necessario ai nostri militari.
Le Forze armate hanno sinora assicurato con grande spirito di adattamento il regolare svolgimento dei loro compiti nonostante i ricorrenti tagli al bilancio della difesa, nell'intento di preservare comunque l'efficacia del sistema militare.
Riteniamo quindi che il modo migliore per rendere merito a quei cittadini che hanno fatto la scelta di servire con la divisa il nostro Paese, ponendo anche a rischio la loro vita, sia quello di garantirne, anche attraverso la sicurezza del loro trattamento, la dignità, l'apprezzamento del loro operato ed il riconoscimento univoco delle funzioni che sono chiamati a svolgere.
Oggi la situazione di bilancio delle nostre Forze armate si è fatta particolarmente critica per poter garantire la continuità operativa: questo deve indurre a riconsiderare il volume delle risorse disponibili per il settore della difesa, anche se mi rendo conto di quanto ciò sia difficile dato lo stato dei conti pubblici e considerando anche il particolare momento negativo che investe l'economia mondiale.
Ma agli uomini e alle donne, in divisa, e alle loro famiglie, devono essere comunque assicurate serenità e condizioni di vita adeguate, pur nella piena consapevolezza delle limitate risorse disponibili. In più, vi è la necessità di dare una risposta alle richieste improrogabili di stabilizzazione che giungono dai tanti giovani volontari in ferma breve e dagli ufficiali in ferma prefissata. A questo proposito, riteniamo opportuno che quanto prima si provveda a individuare concretamente i provvedimenti di razionalizzazione delle Forze armate nei settori del personale, dell'esercizio, e dell'investimento, volti a qualificare la spesa, e a realizzare ulteriori recuperi di efficienza. Riteniamo altrettanto necessario garantire al personale, nella quotidianità del servizio prestato, i livelli di formazione e addestramento necessari a svolgere le impegnative attività operative a loro affidate sia in Italia, sia nell'ambito delle missioni internazionali.
Da ultimo, non possiamo non sottolineare quanto sia importante pervenire, quanto prima, al completo ed effettivo riconoscimento della professionalità e specificità del personale delle Forze armate e delle forze di polizia.
A tale proposito, ricordo che nel corso dell'esame alla Camera del disegno di legge collegato alla manovra finanziaria è stato approvato un emendamento secondo il quale, ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti, nel rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle forze di polizia e dei vigili del fuoco. L'approvazione da parte della Camera della norma sulla specificità delle forze dell'ordine, delle Forze armate, e dei vigili del fuoco, oltre a rappresentare uno straordinario successo per chi, da anni, segue con attenzione le vicende del personale delle Forze armate costituisce, altresì, un risultato importantissimo per il Governo stesso.
Siamo consapevoli che il riconoscimento della specificità richiede l'adozione di misure concrete volte a dare effettività, e contenuti operativi, a tale principio (con particolare riferimento alla definizione degli ordinamenti delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego, nonché della tutela economica e pensionistica sul ruolo delle Forze armate e di polizia), ma siamo, altresì, fiduciosi che il Governo, pur con le ridotte risorse finanziarie a disposizione, Pag. 20procederà con speditezza su questa importante materia, come del resto ha già dimostrato di voler fare.
Concludo con un auspicio che su questi argomenti si possa continuare a registrare una totale convergenza di posizioni ed un consenso generale, perché è dovere di tutti coloro che hanno vivo il senso dello Stato - e la difesa è lo Stato - di dare prova di unità nell'affrontare i temi che riguardano la funzionalità e l'efficienza delle nostre Forze armate e di tutto il personale che vi appartiene, unità che è indispensabile per far bene operare le donne e gli uomini in divisa.
Alla difesa va il merito di aver saputo rispondere, nel corso degli anni, alla sfida del mutamento di strategie, di cultura militare, di criteri operativi, di infrastrutture, di mezzi e materiali; le Forze armate sono cambiate in meglio rispetto agli anni passati. La prima essenziale fase di risposta alla sfida apertasi negli anni Novanta è stata superata e ciò con il sostegno costante di Governo e Parlamento. Ma il tempo non si ferma, ed il nodo della spesa militare resta comunque una spada di Damocle sul futuro, fortunatamente in scenari senza più tabù, pregiudizi ideologici e zone d'ombra.
Grazie alle proprie Forze armate, l'Italia ha mostrato al mondo interno compattezza, determinazione e coraggio, elevata capacità d'integrazione multinazionale e interforze. Stiamo difendendo la pace e la sicurezza con i fatti veri, reali e tangibili. Tutto questo è un patrimonio per l'Italia intera, ed è bello vedere che finalmente, in tanti, pur da diversi punti di vista, la pensano così (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la mozione Donadi ed altri n. 1-00127 di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, sarò breve, preciso, e conciso, come racconta la mia storia di amministratore, di consigliere regionale, e le tante cose concrete realizzate in un recente passato.
Taccio sulla non presenza del Ministro e del sottosegretario competenti, le cui assenze ritengo siano assolutamente desolanti. Infatti ho riscontrato le stesse assenze durante i lavori in Commissione, e ora le ritrovo in Aula, che pensavo fosse ben altra sede rispetto agli interessi di carattere generale, considerato che il tema in esame è oggi più che mai delicato e rappresenta la cifra di una nazione evoluta, in grado di rispondere concretamente ai bisogni. Quando sento determinate affermazioni e poi vedo i fatti, mi accorgo che forse qualcuno si trova in un'altra dimensione, mentre dall'altra parte c'è un Paese che va alla deriva ed il Parlamento sta lì in mezzo e non riesce a fare granché perché il Governo continua a fare degli annunci che poi non corrispondono al vero.
Passo alla mozione. Negli ultimi anni il sistema della difesa nel suo complesso ha subito una serie di profonde e storiche trasformazioni, passando da un sistema di leva obbligatoria ad uno volontario, nell'ottica di un progetto di progressiva e generale professionalizzazione delle Forze armate. Il cosiddetto modello professionale prevedeva una prima fase transitoria, un sistema misto per poi approdare ad un sistema totalmente professionale nel 2007; tale obiettivo è stato raggiunto con due anni di anticipo. Il processo di trasformazione ha riguardato per l'Esercito 165 provvedimenti di soppressione e 165 di riorganizzazione, per la Marina 40 di soppressione e 58 di riorganizzazione, per l'Aeronautica 81 di soppressione e 68 di riorganizzazione, per un totale di 580 provvedimenti in meno di dieci anni.
Questo processo si è sviluppato in una fase storica nella quale nelle relazioni internazionali, con riguardo alle Forze armate e più in generale alla politica militare, si è passati dal concetto di difesa classico, inteso come difesa contro un nemico esterno, a quello di sicurezza. All'esigenza di preservare e garantire un adeguato grado di sicurezza sociale all'interno del proprio territorio, con riferimento Pag. 21ancora al proprio Stato nazionale, si è affiancata l'esigenza di intervenire a livello internazionale in continue e ripetute missioni di pace.
Negli ultimi anni si è dunque assistito ad una progressiva professionalizzazione delle Forze armate, ad una costante riduzione del loro numero e, nel contempo, ad una profonda diversificazione ed articolazione dei loro compiti tradizionali, con un impegno crescente soprattutto sul piano internazionale.
A fronte di questa qualificante evoluzione professionale delle carriere militari appare necessario riflettere su alcune possibili conseguenze e su alcuni necessari sviluppi. In particolare, appare evidente come si riproponga con maggiore forza l'opportunità di estendere ai professionisti militari tutte quelle garanzie riconosciute dalla nostra Costituzione ai cittadini ed ai lavoratori.
Pur comprendendo le particolarità che contraddistinguono la condizione militare, la sua affermata professionalizzazione impone l'obbligo di estendere anche a questi, pur peculiari, lavoratori della pubblica amministrazione, la possibilità di costituire associazioni a tutela dei propri diritti e delle proprie rivendicazioni, secondo quanto sancito dall'articolo 39 della Costituzione. La possibilità di costituire associazioni a tutela dei propri diritti deve essere calibrata tenendo ovviamente presenti i vincoli e le particolarità delle professioni militari.
A fronte delle evidenti esigenze del settore difesa si sono verificate costanti riduzioni di spesa nel settore della difesa, da ultimo quelle intervenute con il decreto-legge n. 112 del 2008. In questi ultimi anni le Forze armate hanno continuato ad assolvere ai loro crescenti compiti ed impegni nonostante i continui trasferimenti di personale ed anche la soppressione di diverse unità radicate sul territorio.
Le Forze armate rappresentano una potenzialità di sviluppo strategico per il Paese, vanno valorizzate ed utilizzate in maniera attenta e mirata. I nostri militari rappresentano un patrimonio di civiltà e progresso per molti cittadini di Stati esteri, nei quali hanno contribuito e contribuiscono ad affermare e garantire condizioni di pace e di sviluppo.
Per questi motivi, la nostra mozione impegna concretamente, fortemente e senza rinvii, il Governo, in virtù dei profondi cambiamenti intervenuti su scala mondiale, a rivedere l'impiego delle Forze armate nel senso di svilupparne le potenzialità e l'impiego in termini di sicurezza internazionale oltre che di semplice difesa, nonché a sviluppare politiche di integrazione crescente, nelle missioni internazionali, tra l'intervento militare e quello della cooperazione, intendendo il secondo come organico al primo ed entrambi strumenti di rafforzamento della politica internazionale.
Si impegna altresì il Governo: a destinare le risorse disponibili in primo luogo ai settori del reclutamento e dell'addestramento ai fini di una sempre maggiore professionalizzazione; a rimodulare gli investimenti in relazione agli obiettivi da raggiungere sia a livello nazionale che internazionale, in considerazione delle risorse attualmente disponibili e in particolare dei compiti attualmente svolti e garantiti dalle Forze armate, prevedendo espressamente un aumento graduale delle risorse economiche assegnato al comparto della difesa; a prevedere - da ultimo ma non per ultimo - per il personale del settore difesa la possibilità in un primo tempo di dare vita ad organismi di rappresentanza rafforzati rispetto a quelli attuali sia per autonomia che per competenza e per funzioni, e in una fase successiva, a forme di rappresentanza associativa collettiva secondo il modello di riferimento già acquisito e sperimentato per i corpi di polizia non militari.
Per tali ragioni chiediamo un intervento serio, concreto e urgente del Governo non più rinviabile se teniamo conto del fatto che, il 17 luglio 2008, il Capo di Stato maggiore ha già segnalato una serie di disfunzioni e di inadeguatezze di questo Governo al quale chiediamo un impegno concreto e non solo annunci.
Concludendo vorrei ricordare un aspetto: noi parliamo di Forze armate ma, Pag. 22sulla scorta di ciò che afferma costantemente il Ministro della difesa, dobbiamo invece dire che queste ormai sono forze disarmate nella dignità, nelle risorse, nella professionalità e nell'autonomia e noi vorremmo restituire tutti questi valori alle Forze armate e vorremmo restituire un ruolo importante e significativo al Parlamento nel quale siedo insieme a voi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gidoni, che illustrerà anche la mozione Fava ed altri n. 1-00128, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FRANCO GIDONI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Scotti per essere qui con noi questo pomeriggio e mi associo a quanto detto dal collega Bosi riguardo al fatto che, forse, avrei preferito un rappresentante del Governo un po' più vicino al Ministero della difesa; in ogni modo confido nella sua capacità di riferire ai colleghi.
È certamente da salutare con favore la circostanza che oggi l'Assemblea della Camera discuta dei problemi delle Forze armate italiane. Allo strumento militare nazionale, infatti, il Governo e il Parlamento stanno chiedendo molto e da diverso tempo. Le Forze armate sono state in questi anni un elemento fondamentale della politica estera italiana, di cui hanno esaltato la vocazione alla pace e alla ricerca della stabilità.
Proprio mentre parliamo quasi novemila soldati italiani - è stato ricordato - sono impegnati in missioni internazionali di vario tipo in corso in Asia centrale, in Medio Oriente e nei Balcani ed è probabile che questa soglia si mantenga inalterata anche nel prossimo futuro. È evidente a tutti, però, che l'aumento degli impegni operativi oltre mare sia stato accompagnato da una onerosa trasformazione della componente organica delle Forze armate. È noto che si è abbandonata la coscrizione obbligatoria e si è adottato il modello dello strumento militare integralmente composto da volontari, come prima di noi avevano fatto gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia, accrescendo sensibilmente i costi da sostenere per il personale in divisa, che ora deve essere remunerato - se mi si consente l'espressione - a prezzo di mercato e non più con il vecchio soldo. Tutto questo ha comportato per le Forze armate una sensibile lievitazione delle spese, anche se ha garantito un indubbio incremento delle capacità operative.
Si pone, tuttavia, adesso la questione della sostenibilità finanziaria complessiva del modello che è stato prescelto. Non sempre - occorre riconoscerlo - la difesa ha avuto risorse adeguate alle ambizioni politiche generali del Paese. Anzi, in media è stato vero piuttosto il contrario e lo è anche oggi. Il dibattito odierno trae infatti la sua ragion d'essere proprio dagli effetti che i più recenti tagli apportati al bilancio dell'amministrazione della difesa rischiano di provocare sull'efficienza ed efficacia delle Forze armate nel nostro Paese.
Certo è che negli ultimi dieci anni non vi è stato un solo Ministro della difesa - fosse di centrodestra o centrosinistra - che non si sia dato come obiettivo quello di riportare le risorse stanziate per la cosiddetta funzione difesa all'1,5 per cento del prodotto interno lordo. Malgrado la loro determinazione, tuttavia, siamo ancora al di sotto della soglia dell'1 per cento ed è chiaro che la crisi finanziaria internazionale non contribuirà certamente a migliorare la situazione.
Ciò preoccupa, perché non possiamo dimenticare che la recente approvazione del rifinanziamento delle missioni all'estero ha evidenziato che, nei primi sei mesi del 2009, verrà impiegato circa il 70 per cento dei fondi previsti nella legge finanziaria e sorge dunque spontanea la preoccupazione per quello che accadrà nel secondo semestre. Inoltre, nelle stesse Commissioni difesa dei due rami del Parlamento è recentemente finita sotto accusa la scelta del Governo di applicare anche alle Forze armate i tagli lineari ai consumi intermedi imposti a tutta la pubblica amministrazione per evitare che la pubblica spesa sfuggisse di mano. Tali decurtazioni si sono tradotte soprattutto in drastiche riduzioni alle attività addestrative e alla manutenzione dei mezzi in dotazione alle Pag. 23Forze armate, non potendosi comprimere le retribuzioni destinate ai militari ed essendosi comunque deciso di confermare gli investimenti nei programmi multinazionali di acquisizione degli argomenti più importanti.
Occorre però ammettere che anche questa scelta sta implicando dei costi, seppure difficilmente quantificabili. Sono state infatti poste in pericolo le capacità operative future dello strumento militare nazionale, accrescendo altresì i rischi che i nostri soldati correranno sui teatri operativi.
Per non compromettere del tutto lo strumento, si sono già ipotizzate massicce riduzioni della forza alle armi, il cui effetto più immediato e vistoso sarebbe tuttavia l'inadempienza da parte dello Stato agli impegni presi, con i suoi volontari in grigio-verde, ormai alle prese anche loro con la realtà del precariato.
Noi condividiamo quindi molte preoccupazioni rilevate nelle altre mozioni oggi in discussione, al punto di averle fatte nostre, inserendole nel documento di indirizzo proposto dalla Lega Nord.
Vi è comunque dell'altro su cui vorremmo si riflettesse ed in questo precisamente risiede la peculiarità del nostro atto di indirizzo. Secondo noi il Governo e il Parlamento dovrebbero chiarire una volta per tutte di quali Forze armate ha bisogno il nostro Paese e se siamo in grado di sostenere le ambizioni emerse in questi anni. La nostra convinzione che si debba pervenire ad un ripensamento del nostro modello di difesa, che tenga conto dei nostri limiti attuali e che in qualche modo condizioni anche le scelte che vengono fatte quando si assumono degli impegni sulla scelta internazionale: o si espandono le risorse per la difesa e la politica estera ad alto profilo - ma queste risorse apparentemente non ci sono - oppure, come ha sottolineato più volte nelle Commissioni l'attuale Capo di Stato maggiore della difesa, riduciamo le ambizioni, smettendo di chiedere allo strumento militare cose che non può dare senza avere più fondi.
Noi riteniamo che vi sia bisogno di realismo e siamo favorevoli ad una revisione del modello di difesa in cui si ridefiniscano in senso restrittivo le missioni necessarie e sostenibili finanziariamente dalle nostre Forze armate, con un occhio a quanto accade nel mondo e al nostro posizionamento internazionale - certamente -, ma soprattutto tenendo conto delle necessità più immediate di casa nostra.
Ci interessa avere uno strumento militare in grado di concorrere efficacemente al mantenimento dell'ordine pubblico quando le forze di polizia non ce la fanno; vogliamo Forze armate in grado di difendere i nostri confini, anche quelli marittimi, da ogni genere di minaccia vecchia e nuova, inclusi i flussi migratori clandestini; desideriamo uno strumento militare che valorizzi i suoi legami con il territorio, salvaguardando le specialità che meglio hanno saputo interpretare questo rapporto, come il Corpo degli alpini, che si sta invece snaturando ed è scomparso da alcune regioni dell'arco alpino, come la Lombardia. Guardiamo ad esempio ai reggimenti inglesi, unità che uniscono all'indubbia capacità operativa il valore aggiunto del senso dell'appartenenza anche territoriale, senza che ciò faccia temere chissà quali pericoli per la democrazia del Paese. Soprattutto, chiediamo agli altri settori della pubblica amministrazione una fattiva collaborazione.
Oggi non è ancora risolto il problema degli esuberi di ufficiali e sottufficiali, non riuscendo ad attivare il meccanismo previsto per transitare tali professionalità in altri settori dello Stato. Ciò è negativo soprattutto per il futuro delle nostre Forze armate, che dovranno garantire a quanti oggi prestano servizio militare, una volta terminate le missioni di pace e una volta che non saranno più utili per l'età avanzata al servizio militare, un altro impiego, sempre nel campo dei servizi dello Stato.
Pensiamo anche che esistano tuttora sacche di inefficienza su cui poter intervenire per recuperare risorse. Pensiamo, ad esempio, a certi elementi «decotti» Pag. 24della cosiddetta area tecnico-industriale della difesa, ma anche alla sanità militare, finora rimasta impermeabile a qualsiasi ipotesi di riordino in senso interforze.
Che dire poi della duplicazione delle competenze?
Abbiamo per mare navi della Marina, della guardia costiera, dei carabinieri e della guardia di finanza e oggi ci dicono che anche la guardia forestale si doterà di un servizio marittimo. Per non pensare ai cieli, dove abbiamo elicotteri di tutti i tipi e generi, ognuno facente capo ad un'arma del nostro Esercito. Abbiamo elicotteri dei carabinieri, dell'Aeronautica e della guardia di finanza, ognuno con i suoi centri d'acquisto, con i suoi centri di manutenzione e con il suo personale. Quindi, anche in questi settori, pensiamo che sia possibile certamente razionalizzare.
Per quanto riguarda la politica dei tagli, infine, riteniamo condivisibile quanto è stato affermato nelle Commissioni difesa dei due rami del Parlamento in occasione della scorsa sessione di bilancio e della discussione del decreto-legge n. 112 lo scorso anno. Ferme restando le esigenze complessive della finanza pubblica - perché ogni amministrazione è stata chiamata a fare dei sacrifici per evitare guai peggiori -, sarebbe a nostro avviso opportuno aumentare la flessibilità nella gestione delle riduzioni, evitando, in futuro, le contrazioni uniformi lineari, restituendo alle tecnostrutture operative ed amministrative della difesa il potere di intervenire dove esiste la ragionevole certezza di far meno danno. Si tratterà di attribuire al dicastero della difesa un risultato gestionale da ottenere, rimettendosi alle sue determinazioni sul come concretamente raggiungerlo. Queste sono le linee guida della mozione presentata dalla Lega Nord, che sosterremo con il nostro voto favorevole, invitando tutti a fare altrettanto. Le nostre Forze armate sono un patrimonio prezioso che merita di essere tutelato al meglio, senza esercizi retorici e, meno che mai, invocando risorse che in questo momento è impossibile reperire, ma attribuendo al nostro strumento militare obiettivi meno costosi da raggiungere (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Garofani. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, purtroppo non sono presenti né il Ministro, né i sottosegretari del dicastero interessato: abbiamo segnalato e osservato criticamente questo aspetto e mi unisco alla protesta dei colleghi che sono già intervenuti.
Ci troviamo oggi a discutere atti di indirizzo che riguardano le Forze armate a seguito di una politica di bilancio che, attraverso i tagli massicci operati dal Governo, non solo incide pesantemente sull'efficienza operativa dello strumento, ma finisce per mettere in discussione la sostenibilità del modello militare a 190 mila uomini, così come disegnato nel momento in cui si è deciso di passare dalla leva obbligatoria al modello professionale. I numeri parlano chiaro e alcuni stati ricordati dai colleghi che mi hanno preceduto: le risorse assegnate alla funzione difesa rappresentano lo 0,85 per cento circa del PIL, vale a dire il punto più basso della storia repubblicana.
Con riferimento alla situazione straordinaria che oggi ci conduce a svolgere questa discussione, è utile richiamare qualche cifra per inquadrare meglio la drammaticità della realtà nella quale siamo chiamati a confrontarci, oggi qui e successivamente nelle Commissioni. La manovra finanziaria approvata con il famigerato decreto-legge n. 112 del 2008 prefigura un andamento degli stanziamenti, a legislazione vigente, in progressivo decremento (da circa 20,3 miliardi di euro per il 2009, a poco più di 18,9 miliardi per l'anno 2011) e ripropone consistenti tagli sull'esercizio, che rappresenta uno dei capitoli più dolorosi. La differenza tra input finanziario e output richiesto allo strumento militare rischia di compromettere irrimediabilmente le capacità produttive nell'organizzazione della difesa. Pag. 25
Nel settore dell'esercizio, come detto, vi è un decremento, rispetto al 2008, di 775 milioni di euro (circa il 29 per cento) e volumi finanziari che risultano assolutamente insufficienti per assicurare, sia pure al minimo livello di adeguatezza, le attività di addestramento e di formazione, le attività manutentive e le scorte di materiali per uno strumento che sia davvero adeguato non solo agli impegni nazionali, ma anche a quelli internazionali assunti nell'ambito della NATO, dell'Unione europea e delle Nazioni Unite.
Nel settore del personale incidono pesantemente i tagli sui fondi destinati al reclutamento dei volontari, per un valore pari al 7 per cento per l'anno 2009 e, addirittura, al 40 per cento a decorrere dall'anno 2010.
Non occorre fare grandi sforzi e grandi esercizi di memoria per rilevare le gravi contraddizioni tra questa realtà e le affermazioni enfatiche di inizio legislatura pronunciate dal Ministro La Russa circa la volontà di investire (a parole) nuove risorse sulle Forze armate, così come la distanza che corre tra le ripetute e condivisibili dichiarazioni sull'importanza dello strumento militare come parte essenziale della politica estera del nostro Paese, chiamato a fornire il suo contributo nella costruzione della pace e della sicurezza globali, e le scelte politiche del Governo che, invece, rendono più difficile e rischioso questo impegno.
In questi mesi la politica del Governo sulla difesa e sulla sicurezza è stata al limite della provocazione. Mentre si tagliavano risorse in modo indiscriminato si è continuato a chiedere ai militari impegni sempre più vasti e gravosi: quelli imposti dallo scenario internazionale, segnato dal moltiplicarsi e dall'inasprirsi di diversi punti di crisi, da Gaza all'Afghanistan, che hanno richiesto e richiederanno un ulteriore impiego di uomini, e quelli sollecitati dalle esigenze interne, per cui i nostri soldati sono stati impegnati in operazioni - per così dire - straordinarie, dall'emergenza rifiuti in Campania fino all'impiego per le cosiddette strade sicure.
Questa dilatazione - per molti aspetti discutibile, talvolta propagandistica - dell'impiego delle nostre Forze armate ha prodotto, peraltro, come ricorderete, un singolare encomio da parte del Presidente del Consiglio Berlusconi: il 25 gennaio scorso, durante la sua personalissima campagna elettorale in Sardegna, egli ha avuto modo di affermare, testualmente: «aumentare la presenza dei militari per la sicurezza può essere un modo di dare ai militari stessi un sentimento di utilità affinché non si sentano solo dei guardiani nel deserto dei Tartari». La risposta del generale Bertolini, capo di Stato maggiore della missione ISAF in Afghanistan, merita di essere citata in questa sede, perché probabilmente si tratta del commento più congruo. Il generale Bertolini dichiara: «l'affermazione attribuita al Presidente del Consiglio secondo cui l'esercito farebbe la guardia al deserto dei Tartari avvilisce i soldati che, come me, operano fuori area, nonché quanti in patria, senza munizioni, senza carburante e senza parti di ricambio per i mezzi si preparano a sostituirci. Le scrivo, amareggiato, dall'avamposto della Fortezza Bastiani in Afghanistan».
Sono parole inequivocabili che si aggiungono a quelle altrettanto forti, ricordate dal collega Bosi poco fa, con le quali il capo di Stato maggiore della difesa, generale Camporini, ha denunciato nella sede parlamentare il rischio di un progressivo decadimento operativo dello strumento militare a seguito di una riduzione prossima all'azzeramento delle esercitazioni, delle ore di moto e di volo delle varie componenti e della sensibile riduzione delle attività manutentive sui sistemi d'arma, con conseguente diretto impatto sia sull'efficienza operativa delle capacità disponibili, sia, in termini patrimoniali, su una situazione di irreversibilità nel settore delle scorte cooperative e strategiche e in quello delle infrastrutture.
Siamo di fronte, dunque, ad una situazione di estrema gravità che impone una precisa assunzione di responsabilità da parte della politica; non a caso, il tema è stato oggetto di discussione nelle ultime due riunioni del Consiglio supremo di Pag. 26difesa. Occorre coniugare l'esigenza di una razionalizzazione e qualificazione della spesa con la necessità ineludibile di mantenere capacità di intervento adeguate alle esigenze di sicurezza internazionali corrispondenti agli interessi del Paese.
Da parte nostra, sia in ragione della sostanziale condivisione di molti argomenti portati in quest'Aula - in particolare dal collega Bosi, ma non solo -, sia per ciò che riguarderà la discussione che dovremo svolgere sul modello di difesa siamo disponibili, senza pregiudizi, a valutare tutti gli elementi di una possibile razionalizzazione, di recupero di risorse e di risparmi di spesa nel miglior rapporto possibile fra costi ed efficacia, tutto questo all'interno di due punti che riteniamo assolutamente imprescindibili: il pieno rispetto del dettato costituzionale e l'assoluta centralità del Parlamento, unico soggetto titolato a scelte tanto impegnative. Poiché, infatti, una forza di opposizione riformista non può in alcun caso limitarsi a denunciare le inadempienze e le contraddizioni dell'azione del Governo - che pure in materia di difesa e sicurezza vi sono state e che restano gravi - consideriamo che la odierna discussione parlamentare rappresenti il primo passo concreto di un confronto nel quale tutti siamo chiamati a una chiara assunzione di responsabilità.
La posta in gioco è alta e riguarda il patrimonio di credibilità, autorevolezza, ma direi anche di umanità che le nostre Forze armate hanno guadagnato non a questo o a quel Governo ma a tutta l'Italia, a livello internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Franceschini ed altri n. 1-00125 concernente misure di sostegno al reddito attraverso l'istituzione di un assegno mensile di disoccupazione e iniziative per un'organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali (ore 16,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Franceschini ed altri n. 1-00125, concernente misure di sostegno al reddito attraverso l'istituzione di un assegno mensile di disoccupazione e iniziative per un'organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempia riservati alla discussione è in distribuzione e sarà pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
Avverto che sono state presentate le mozioni Donadi ed altri n. 1-00129, Vietti ed altri n. 1-00130 e Cicchitto, Cota, Lo Monte ed altri n. 1-00131 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Letta, che illustrerà anche la mozione Franceschini ed altri n. 1-00125, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ENRICO LETTA. Signor Presidente, rappresentante del Governo, la crisi internazionale che, sotto gli occhi di tutti, sta mettendo in grave difficoltà anche l'economia del nostro Paese, ha obbligato il nostro gruppo parlamentare a porre grande attenzione al tema delle ricadute legate agli effetti sulla disoccupazione e sulla coesione sociale che, nell'ambito del Pag. 27mondo del lavoro, il nostro Paese sta subendo a partire dalle vicende della crisi.
La crisi - non è questa l'occasione per affrontarne le cause - deriva da motivi in gran parte esterni al nostro Paese e tutti ci aspettiamo che alcune risposte in grado di far ripartire l'economia nazionale arrivino da scelte sovranazionali e, sulla base di queste, da politiche industriali a livello europeo e da politiche di sorveglianza e di vigilanza sui mercati finanziari, anch'esse a livello comunitario.
Si tratta di temi sui quali noi, in altra sede, stimoliamo e impegniamo il Governo del nostro Paese a muoversi con coerenza a favore di una maggiore sovranazionalità - quindi di più Europa - e di una maggiore attenzione all'economia reale rispetto a quanto accaduto in questi mesi.
La crisi, tuttavia, impatta negativamente - a nostro avviso - su alcune specificità tipiche del nostro Paese che la rendono peggiore per noi rispetto ad altri. Qualcuno, scherzando - ma è uno scherzo che in questo caso vale poco - ha detto che, tutto sommato, la crisi a noi fa meno danni perché nel nostro Paese si conosce l'inglese meno che altrove e, poiché la crisi deriva dalla finanza anglosassone, siamo più immuni.
In verità, il nostro Paese ha alcune caratteristiche e desidero citarne due. Di esse, la seconda è direttamente collegata alla mozione n. 1-00125, il cui primo firmatario è il segretario del Partito Democratico, Dario Franceschini. Due specificità fanno soffrire noi italiani in modo particolare: la prima è che, in questo momento, le piccole e medie imprese del nostro Paese vantano tra i 50 e i 70 miliardi di euro di crediti nei confronti della pubblica amministrazione.
Quest'ultima sia nazionale che periferica è stata oggetto di tagli ripetuti a livello nazionale e finisce per scaricare questi tagli sui pagamenti, che vengono ritardati nei confronti di tante imprese che oggi sono a rischio fallimento per colpa dello Stato pagatore, dello Stato imprenditore.
La nostra proposta in questo settore è stata messa in campo molto chiaramente ed è quella di chiedere alla Cassa depositi e prestiti di anticipare questi pagamenti, evitando il fallimento di tante imprese del nostro Paese ed evitando soprattutto tanta nuova disoccupazione. Ciò come è noto a tutti, è un tema solo italiano: negli altri Paesi europei i ritardi della pubblica amministrazione nei pagamenti non esistono.
Vi è, però, un secondo grande tema italiano, un grande tema italiano che ci rende diversi e peggiori rispetto al resto d'Europa e quindi ci rende più vulnerabili alla crisi: mi riferisco allo stato sociale ed in particolare al capitolo degli ammortizzatori sociali.
Abbiamo letto questo week end sul Corriere della sera un'intervista al Ministro per la pubblica amministrazione che teorizzava che il sistema dello stato sociale italiano funziona e quello degli ammortizzatori sociali è un mondo praticamente perfetto, polemizzando con chi ritiene, e noi siamo tra quelli, che invece il nostro Paese ha uno stato sociale profondamente ingiusto e un sistema di ammortizzatori sociali che non funziona.
Il nostro sistema di welfare è ingiusto, lo diceva prima di noi Marco Biagi e lo dicono tanti altri. Basta rileggersi il rapporto della Commissione Onofri del 1998, da allora ad oggi poco è cambiato: sono passati 11 anni, ma la profonda ingiustizia è rimasta purtroppo tale. Il nostro sistema è ingiusto per la composizione della spesa sociale italiana: soltanto il 13 per cento della spesa sociale del nostro Paese è destinata a quelle voci di bilancio che negli altri Paesi vedono una destinazione di circa il 30 per cento complessivo.
Se mettiamo insieme la protezione sociale per i lavoratori che perdono il posto di lavoro, la lotta alla non autosufficienza, la lotta di contrasto alla povertà; se mettiamo insieme gli aiuti alla famiglia, gli aiuti ai figli che nascono; se mettiamo insieme tutto ciò che ha a che vedere con il superamento delle non pari opportunità tra uomo e donna, insomma se mettiamo insieme tutte queste voci di bilancio, esse ammontano ad un totale di risorse di spesa che è inferiore di meno della metà rispetto a quello degli altri Paesi europei. Pag. 28
È evidente che gran parte delle storture nascono da questo perché vuol dire che per quei problemi così importanti e gravi che ho citato poco fa - dalla disabilità alla non autosufficienza, al tema delle pari opportunità - nel nostro Paese non si destinano risorse sufficienti. Di conseguenza tutti questi problemi gravano in gran parte sulle spalle delle famiglie con l'ovvia ed evidente difficoltà della condizione di reddito (che fa la differenza nel riuscire ad affrontare, ad esempio, il problema della perdita del lavoro o quello della gestione della persona non autosufficiente), e gravano soprattutto sulle spalle della donna.
Dico ciò perché nei giornali di oggi abbiamo letto tante cose riguardo la giornata di ieri, 8 marzo, e credo che gran parte di questa retorica debba essere legata a fatti molto concreti. O ci sono misure vere che rendono il nostro sistema di Stato sociale in grado di supportare le reali pari opportunità laddove la discriminazione nasce (nel mondo del lavoro, nel mondo dell'assistenza in famiglia, nel mondo dei servizi alla persona, nel sistema degli asili nido) oppure è soltanto retorica.
In particolare, sul tema degli ammortizzatori sociali crediamo si giochi la partita più importante.
Il nostro mercato del lavoro, infatti, in questi quindici anni ha vissuto una discrasia profonda tra tutti coloro che hanno potuto lavorare con il contratto a tempo indeterminato e la nascita crescente di un mondo di lavoro flessibile che ha utilizzato i tanti strumenti, che pian piano sono cresciuti e hanno consentito sì di lavorare, ma in forme di lavoro parasubordinato di vario genere prive, alla fine, di quegli strumenti di protezione sociale che, insieme all'assenza di reali contributi per costruirsi una previdenza futura, hanno fatto del mercato del lavoro italiano un mercato a doppio binario. Infatti, da un lato, vi sono i garantiti, i protetti, dall'altro, c'è tutto un mondo che tante, troppe volte, svolge una funzione professionale nella sostanza pari a chi ha un contratto a tempo indeterminato, ma si trova invece in condizioni di grande fragilità.
La crisi occupazionale in corso, crisi che non raccontiamo né noi né i «corvi di Confindustria» - cito le parole del Presidente del Consiglio e del Ministro dell'economia - dividerà il mondo del lavoro in due in questo 2009. Tutti coloro che hanno il contratto di lavoro a tempo indeterminato e lo mantengono avranno un 2009 che sarà probabilmente migliore dell'anno precedente perché i mutui sulle case sono scesi, le tariffe di luce e gas sono scese e l'inflazione è al livello più basso di sempre in un Paese abituato all'inflazione alta come l'Italia; quindi, le condizioni di vita concrete di chi ha un contratto di lavoro e lo mantiene saranno migliori.
Il problema nasce per tutta quella fascia di popolazione italiana (si calcola tra le 500 e le 700 mila persone) che questo contratto di lavoro lo perderà oppure non vedrà il rinnovo di un contratto a tempo determinato o in forme di parasubordinato: ecco il motivo della proposta dell'assegno di disoccupazione.
Si tratta di una proposta semplice e comprensibile, tanto che le notizie che sono apparse in questi giorni sui giornali e gli stessi sondaggi di opinioni dimostrano che gli italiani l'hanno capita benissimo perché è un tema che tutti vivono sulla loro pelle. Nelle famiglie italiane tutti conoscono la distinzione di questo doppio binario di mercato del lavoro e sanno che in una crisi così profonda chi perde il posto di lavoro ed è privo di contratto a tempo indeterminato entra in una dinamica rispetto alla quale è intollerabile che dalle voci più autorevoli del Governo siano uscite parole che considerano quel 10 per cento una tantum dell'ultima retribuzione come un ammortizzatore sociale per i titolari di alcune di queste forme contrattuali. Stiamo parlando di una mancia, niente di più, che nulla a che fare con la filosofia degli ammortizzatori sociali che noi vogliamo riformare.
Noi al Governo diciamo: oggi si faccia la riforma degli ammortizzatori sociali, non domani, non quando la crisi sperabilmente sarà passata, perché soltanto oggi possono esserci le condizioni sociali, politiche e di consenso nell'opinione pubblica Pag. 29per uscire da un sistema di welfare che nel caso degli ammortizzatori sociali è legato alla fabbrica fordista degli anni Sessanta e Settanta e che non è attento alle nuove esigenze dei lavoratori, alla centralità del lavoro. Dalla crisi si esce se il lavoro ritorna centrale, se il lavoro sostituisce la rendita finanziaria, se attorno al lavoro ruota la scommessa di un Paese come il nostro che può essere carica di strumenti concreti.
L'assegno di disoccupazione vuol dire estendere anche a tutti questi lavoratori parasubordinati quei livelli di garanzia che il contratto a tempo indeterminato offre: parliamo del 60 per cento delle ultime retribuzioni e di uno strumento i cui costi per l'anno 2009, che è di eccezionale crisi e gravità, possono essere finanziati - nella nostra mozione sono indicati alcuni possibili finanziamenti - sapendo, peraltro, che uno strumento come questo è talmente prioritario che, a nostro avviso, basterebbe veramente poco da parte del Governo per impegnarsi e fornire una soluzione che dia un senso di attenzione e di futuro ai lavoratori che rischiano di entrare nella disperazione. Ciò vorrebbe dire soprattutto dare un segnale forte al nostro sistema, che noi siamo impegnati come sistema Paese a evitare la deindustrializzazione, l'arretramento di un sistema produttivo che da questa crisi rischia seriamente di essere messo in discussione.
Abbiamo voluto portare in Parlamento questa discussione perché è il Parlamento la sede e il luogo nel quale il Governo dovrà dire «si», «no» o dovrà mettere in campo altre proposte. La discussione per battute, sulle televisioni e sui giornali, non è all'altezza della gravità della crisi che centinaia di migliaia di persone stanno vivendo in questo momento.
Non poniamo condizioni politiche. Se volete, chiamate questo provvedimento «legge Brunetta», «legge Tremonti» o «legge Sacconi». Chiamatela come volete. Varatela in forma di decreto-legge e noi, in ogni caso, voteremo a favore. Ci interessa, in questo momento, che quelle centinaia di migliaia di persone abbiano una risposta e non si sentano sole in un momento di difficoltà. Naturalmente questo non è l'unico strumento che va messo in campo ma, a nostro avviso, è lo strumento dal quale partire perché quei lavoratori sono quelli a cui abbiamo chiesto tanto in questi anni e a cui abbiamo dato poco e dobbiamo, in questo momento, dare loro una certezza per il futuro (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi, che illustrerà la mozione Donadi e altri n. 1-00129, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, intervenni l'11 novembre 2008 a seguito dell'intervento del Ministro dell'economia e delle finanze, Tremonti. Ora è qui giustamente presente un rappresentante del Ministero per il lavoro, la salute e le politiche sociali (il sottosegretario) e forse, data l'importanza dell'argomento, se fosse stato presente il Ministro sarebbe stato meglio. Tuttavia, è evidente che il tema in realtà più che il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali interessa e colpisce direttamente il Ministro dell'economia e delle finanze, Tremonti che, come è noto, viene piuttosto raramente.
Come dicevo, in quella occasione, replicando a quanto aveva detto il Ministro Tremonti in quella seduta di inizio novembre affermai: «Signor Ministro, ho trovato il suo intervento reticente ed evasivo. Ciò dimostra come in realtà il Governo sia in ritardo nell'affrontare questo problema e lo stia facendo con idee non chiare, forse perché ancora non concordate all'interno della maggioranza, e senza il coraggio necessario ad affrontare la situazione attuale. Lei dice ed ha continuato a dire, come risulterà dal resoconto del suo intervento, stiamo studiando, stiamo facendo, faremo tutto il possibile nel modo giusto e troverà che lei ha quasi sempre parlato al futuro». Continuai sostenendo che un Governo, in queste condizioni, non può parlare al futuro ma che Pag. 30questo deve essere il momento in cui parli al passato per dire «abbiamo fatto» o al massimo al presente per dire «facciamo», perché la realtà che dobbiamo affrontare non è dietro l'angolo, non è futura, ma è già in essere ed è difficilissima e pesantissima. Ciò avveniva all'inizio di novembre e sono trascorsi altri tre mesi. La situazione è estremamente grave e, tuttavia, abbiamo un Governo che ancora una volta continua a pensare a cosa farà e parla al futuro.
In questi mesi ogni volta che si è verificato un intervento concernente le problematiche dell'economia abbiamo presentato un pacchetto di proposte e di soluzioni perché abbiamo detto, appunto, che non si può, di fronte ad una crisi di questa gravità, intervenire in modo episodico, senza un quadro complessivo né un disegno complessivo. Dicemmo, fin da subito, che le risorse minime necessarie per fronteggiare una situazione di crisi di tale gravità dovevano essere almeno una ventina di miliardi di euro e indicammo, fin da subito, una per una, le fonti attraverso le quali approvvigionarsi di risorse per 20 miliardi di euro. Cosa abbiamo di fronte a noi? Che le risorse realmente aggiuntive al quadro economico esistente finora sono state 5 miliardi.
Infatti, tutto il resto ha rappresentato semplicemente un «gioco delle tavolette», per cui si sono presi i soldi dove c'erano (quasi sempre al FAS, diventato il «bancomat» del Governo) per coprire un buco e poi cercare di ritamponarlo in un altro modo. Tuttavia, a parte i 5 miliardi di euro, ad oggi non vi sono state risorse aggiuntive, in quanto neppure i 18 miliardi di euro delle infrastrutture rappresentano somme aggiuntive. Si tratta di somme già stanziate dal Governo precedente, rimodulate in modo da fare più danni che vantaggi. Di quei 18 miliardi di euro, inoltre, per l'anno 2009 forse vi sono circa 500 milioni di euro, perché di tutto ciò che era disponibile per l'anno 2009, un miliardo e mezzo di euro è andato alle Ferrovie dello Stato. Ciò significa che non vi sarà nulla (se non spiccioli) per far partire entro sei mesi le grandi opere, come ha detto il Presente del Consiglio. Di qua e di là, dall'Unione europea, si sono raggranellate non somme aggiuntive, ma somme che comunque erano destinate alle regioni e noi ci troviamo ad affrontare una questione che ogni giorno riveste una situazione ancora più grave.
Quindi, dico subito che appoggeremo la mozione Franceschini ed altri n. 1-00123 illustrata testè dall'onorevole Letta. Tuttavia, abbiamo voluto presentare una nostra mozione con cui facciamo una proposta nella stessa direzione, ma leggermente diversa e forse a nostro giudizio (è una nostra opinione) praticabile in termini più rapidi rispetto alla proposta dell'onorevole Franceschini. Si tratta di una modalità di intervento sostanzialmente simile a quella che viene proposta in Germania dalla Cancelliera Merkel, che mira a permettere la continuazione dell'attività da parte delle imprese (sia pure ad orario ridotto) senza far perdere ai lavoratori i redditi percepiti prima dell'inizio della crisi e che, quindi, sostiene i redditi delle famiglie.
Mi si lasci dire che noi ci troviamo realmente in una situazione ulteriormente aggravata, benché il Presidente del Consiglio abbia cercato a lungo di nasconderla e continua a farlo parlando di ottimismo, il quale certamente deriva da sue condizioni ben diverse da quelle dei lavoratori, soprattutto di quelli che hanno perso il posto di lavoro. Ormai tutti gli indicatori sono chiari: nel 2009 il PIL cadrà del 2,5 per cento; la disoccupazione salirà oltre all'8 per cento; a febbraio la cassa integrazione è aumentata del 200 per cento, quella ordinaria è aumentata del 553 per cento, mentre quella straordinaria del 44 per cento e vi è un calo dei consumi che ormai è del 5 per cento.
È evidente che abbiamo attivato degli ammortizzatori sociali che lasciano scoperte molte imprese: tutto l'artigianato è senza protezioni, per gli apprendisti anche non artigiani non vi è uno strumento di protezione sociale, così come per i contratti a termine e per quelli di collaborazione. È noto che le piccole imprese sono quelle più colpite da questa crisi, perché costituiscono l'80 per cento del totale delle Pag. 31imprese, coprono il 90 per cento dell'occupazione ed è proprio da lì che sono iniziati i licenziamenti e le cessazioni di attività. Sappiamo già che questa situazione peggiorerà negli anni 2009 e 2010 e che, probabilmente, più di un milione di lavoratori perderà il posto di lavoro.
C'è, inoltre, un ridimensionamento produttivo molto forte anche in imprese medio grandi in tutte le aree del Paese, ma in particolare al nord ed è inutile che citi le aziende andate in crisi.
Entro la fine di luglio di quest'anno scadranno un milione di contratti di lavoro a termine e nel secondo semestre un altro milione e mezzo circa. Siamo, cioè, di fronte al vero nodo di questa crisi: i lavoratori precari, con tutte le loro articolazioni, oggi sono una categoria in crescita. Essi rappresentano il 12 per cento dell'occupazione complessiva e l'80 per cento dell'occupazione più recente, segno che quella era, in effetti, negli ultimi anni l'indicazione di modalità di assunzione.
A fine settembre parliamo di circa tre milioni di lavoratori precari e questo per noi è un fenomeno relativamente recente, iniziato con il cosiddetto «pacchetto Treu» del 1997 e poi con parte della legge Biagi (in sé misure giuste, perché noi dell'Italia dei Valori crediamo nella libera impresa e crediamo che l'impresa, in un'economia di mercato, si possa fare solo a condizione che vi sia anche flessibilità del lavoro, ma la realtà è che la flessibilità è stata sostituita oggi dalla precarietà, concetto ben diverso), ed è la prima volta che affrontiamo una crisi di questo tipo con un mercato del lavoro all'interno del quale vi è una quota di lavoro precario così forte ed elevata.
Questo è anche dovuto al fatto che quella flessibilità che aveva una sua ragione ed un suo significato, quando è stata utilizzata (e spesso lo è stata) in modo distorto, ha portato in molti casi, in realtà, ad un impoverimento dei lavoratori, ha reso precario il reddito e ha determinato anche una situazione di difficoltà oggettiva di precari che non sono soltanto giovani in cerca di occupazione, ma, in molti casi, persone con figli e con famiglia.
Si è creato, quindi, in qualche modo, un circolo brutto e vizioso, con un passaggio da lavoratori flessibili a lavoratori precari e da lavoratori precari a disoccupati, che è il vero nodo di questa crisi. Nel mondo si parla di flexecurity, ma, di fatto, da noi questo meccanismo non esiste. Vorrei ricordare che la legge Biagi non riguardava solo gli interventi sulla flessibilità, ma prevedeva anche la modifica degli ammortizzatori sociali, che non è mai stata attuata.
Ecco, quindi, che ci troviamo di fronte ad una situazione nella quale molti lavoratori che perderanno il posto di lavoro non hanno alcuna tutela ed alcun paracadute, mentre, invece, un'indennità di disoccupazione dovrebbe essere ispirata al principio per cui il mantenimento del reddito in caso di perdita o assenza del lavoro dovrebbe essere un diritto di tutti, e non il risultato di qualcosa di particolare, rimesso, come accade in questo momento, alla contrattazione tra Governo e parti sociali, in settori, magari, particolarmente forti, e non in settori deboli.
D'altronde, il potere contrattuale di un lavoratore precario è molto limitato; vi sono anche quelli, soprattutto i lavoratori parasubordinati, che hanno tutele previdenziali, che in questo momento sono molto appetibili, perché permettono di finanziare gli altri lavoratori, i pensionati, ma prima che scatti per loro un meccanismo di copertura pensionistica devono passare molti anni.
Nel frattempo, la crisi è avanzata: si parla, nell'area torinese, piemontese, di una perdita di 21 mila posti di lavoro; nel Lazio i contratti che rischiano di non essere rinnovati sarebbero 184 mila, in Toscana 56 mila, in Lombardia 188 mila, in Campania quasi 45 mila.
Com'è noto, a dicembre 2007 sono scaduti 300 mila contratti a termine e soltanto un terzo di questi lavoratori ha potuto avere qualche tutela. Il mondo del precariato è in crescita, anche perché ai lavoratori a tempo determinato si affiancano quelli con contratti di somministrazione, Pag. 32i vecchi lavoratori interinali e tutti i lavoratori parasubordinati con le varie tipologie contrattuali.
Le misure attivate ad oggi dal Governo sono state inefficaci: noi abbiamo già detto che a nostro giudizio bisognava prevedere più risorse, abbiamo indicato dove trovarle, abbiamo parlato di 20 miliardi di euro dicendo dove reperirli. Siamo invece di fronte ad interventi minimalisti, e addirittura in qualche caso, com'è noto, sono stati bloccati i processi di stabilizzazione del personale precario che il Governo Prodi aveva avviato: questo ad esempio nella pubblica amministrazione e nella scuola avrà un impatto immediato su oltre 160 mila lavoratori, ai quali non sarà rinnovato il contratto.
Si tratta di un meccanismo che genera, piano piano, una ricaduta sui consumi: i consumi continuano a calare e caleranno ulteriormente, perché l'unico modo per contrastare questo effetto è aumentare il potere di acquisto delle famiglie. Dobbiamo salvare almeno il mercato interno, posto che su quello internazionale le capacità di controllo sono molto relative, dipendendo dalle condizioni della concorrenza internazionale; il mercato interno diventa l'ancora di salvataggio, a condizione che però riusciamo a sostenere i redditi e noi pensiamo che sia interesse del Paese che, anche in una fase di ristrutturazione, come questa, dell'intera economia reale, ci sia una copertura, e soprattutto si cerchi di mantenere il più possibile in attività i lavoratori.
La cassa integrazione, soprattutto quando è a zero ore e soprattutto quando porta i lavoratori a restare fuori dal processo produttivo, a restare a casa, ha effetti gravissimi non solo sul piano psicologico, perché di fatto per molti lavoratori rappresenta l'anticamera del licenziamento, l'anticamera di una situazione nella quale, soprattutto quando non sono più giovani e hanno una determinata età, diventa difficilissimo ragionare in termini di prospettiva.
Ecco che noi abbiamo pensato, e questa è stata la nostra riflessione, che gli interventi dovrebbero avere soprattutto l'obiettivo di mantenere in azienda la gran parte dei dipendenti, adeguando gli orari di lavoro ad un livello produttivo che non può essere più quello di prima. In questo modo si dovrebbe stabilizzare il monte delle retribuzioni, e in sostanza una riduzione dei compensi erogati dal datore di lavoro al lavoratore per la diminuita attività lavorativa sarebbe compensata attraverso gli ammortizzatori sociali; ma questo vuol dire che quei lavoratori continuerebbero a restare in azienda, continuerebbero a mantenere la loro professionalità, e quindi si troverebbero pronti, nel giorno in cui ciò sarebbe possibile (speriamo non lontano ma comunque superiore da qui ad un anno, un anno e mezzo), in condizione di riprendere con tutta la loro professionalità e non da una situazione di inattività, nella quale non c'è solo una depressione di natura psicologica ma anche un blocco della capacità e delle abilità professionali.
Abbiamo pensato che in un intervento di questo tipo, sul modello di quello realizzato in Germania, i sostegni dovrebbero ovviamente andare a quelle imprese che rinunciano al ricorso alla cassa integrazione e che sottoscrivano un impegno a non diminuire i dipendenti. Si tratta di un intervento temporaneo: noi chiediamo una durata di 24 mesi, quindi non un intervento strutturale, in modo che le imprese garantiscano per 24 mesi di mantenere i livelli occupazionali, di ridurre a livello meramente fisiologico un'eventuale esternalizzazione all'estero della produzione, e di essere ovviamente in regola anche con gli obblighi fiscali.
Ne dovrebbero poter fruire tutti i lavoratori dipendenti e parasubordinati nelle loro varie fattispecie contrattuali, ma anche tutti quei lavoratori precari in regime di monocommittenza, cioè le partite IVA, che di fatto sono dei lavoratori parasubordinati; e questo indipendentemente dalla dimensione delle imprese e del settore di attività. Come ho spiegato, sarebbe un qualcosa di analogo ad un istituto che è stato utilizzato nel passato e che si chiamava «contratto di solidarietà», ma in una veste rinnovata, perché sarebbe assistito da un'integrazione del reddito da Pag. 33parte dello Stato, utilizzando le somme che, altrimenti, sarebbero utilizzate per la cassa integrazione, nel caso specifico di quell'impresa.
Dovrebbe valere non solo - ripeto - per tutti i contratti a tempo indeterminato, ma anche per i lavoratori parasubordinati.
Mi avvio alla conclusione, sebbene vi sarebbero altri ragionamenti da fare perché vogliamo dire anche dove possiamo reperire le risorse. Come abbiamo già illustrato, pensiamo al buco enorme di 5 miliardi di euro non incassati dal condono del 2002: non è possibile fare finta di niente, non è possibile non prevedere un intervento immediato ed esecutivo per recuperare questi 5 miliardi di euro! Anche su questo aspetto esistono delle perplessità già rilevate dalla Corte dei conti. Peraltro si evidenzia un modo di governare, perché nel provvedimento milleproroghe è stato aggiunto un «articoletto» che permette di fatto di ottenere lo stesso risultato, per cui non conviene neppure fare il ravvedimento operoso, ma evadere ed aspettare che qualcuno mi chieda i soldi perché alla fine pago di meno, rateizzo, pago una rata e poi, se non pago più, devo aspettare qualche intervento di natura coattiva che lo Stato fatica a fare (tutto ciò senza neppure far decadere chi si è comportato in questo modo dai benefici del provvedimento, cosa che secondo me è a dir poco scandalosa).
Concludo, anche perché la mia voce sta per esaurirsi: in sostanza chiediamo al Governo di impegnarsi a realizzare una riforma organica degli ammortizzatori sociali, ma anche a disporre per i prossimi ventiquattro mesi di questa forma particolare di contratto che potremmo definire «di solidarietà», con un intervento del Governo volto ad aumentare e riportare alla normalità il reddito dei lavoratori che lavorerebbero a tempo ridotto, nonché a prevedere ovviamente una serie di strumenti di garanzia affinché, anche attraverso specifici controlli, qualcuno non approfitti evidentemente di un provvedimento di questo tipo.
Per tali interventi è possibile reperire i soldi da quei 5 miliardi di euro del condono di cui ho parlato; ma voglio anche ricordare - fatto che credo sia assolutamente evidente a tutti - che per la riduzione dei tassi ci saranno non meno di 5 miliardi di euro di minori oneri finanziari rispetto a quanto previsto nel bilancio dello Stato.
Inoltre, immediatamente e con alcune misure che reintroducano, ad esempio, la tracciabilità dei pagamenti e che escludano appunto quei vantaggi, di cui dicevo prima, dei condoni più o meno mascherati, anche dalla lotta all'evasione fiscale può ricavarsi qualche miliardo. Ciò consentirebbe di dare luogo ad un intervento che - lo ripeto - permetterebbe ai lavoratori di lavorare sia pure ad orario ridotto, di mantenere la professionalità e di non perdere il reddito, che costituisce il volano per il nostro mercato interno.
Chiediamo pertanto all'Aula di valutare questa nostra proposta ed ovviamente anche di approvarla. Come ho già detto, il nostro gruppo voterà a favore anche della mozione Franceschini ed altri n. 1-00125.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova, che illustrerà anche la mozione Cicchitto, Cota, Lo Monte ed altri n. 1-00131, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, l'onorevole Letta, in un intervento che, quantomeno nella parte di analisi, è largamente condivisibile e da me condiviso, ha evidenziato un problema, una questione annosa della spesa sociale italiana, cioè uno sbilanciamento sul fronte della spesa previdenziale a cui necessariamente corrispondono una scarsa presenza ed uno scarso finanziamento di istituti legati al sostegno del reddito dei disoccupati, alla famiglia e via dicendo.
Senza alcun intento polemico, siccome la questione è annosa, ricordo all'onorevole Letta che, poco più di un anno fa, il Parlamento fu impegnato nell'approvazione di un provvedimento del Governo (di cui il l'onorevole Letta faceva parte), che intervenne proprio sul protocollo del welfare, prevedendo nei dieci anni (questo è il primo) un aumento di spesa previdenziale Pag. 34pari - sono le stime, ma sarà sicuramente di più - a 10 miliardi di euro per continuare a consentire ai cinquantottenni e ai cinquantanovenni di andare in pensione (di anzianità), cancellando la riforma che era stata realizzata dal precedente Governo Berlusconi.
Lo dico senza polemica, ma siccome stiamo parlando di quello che è successo negli ultimi decenni e negli ultimi anni, non possiamo dimenticare che l'allora maggioranza che sosteneva il Governo Prodi - non dieci anni fa, ma poco più di un anno fa - realizzò questo intervento. Probabilmente se oggi, sul fronte previdenziale, fosse operante la riforma Maroni-Tremonti-Berlusconi, quanto meno avremmo delle risorse in più da mettere a disposizione della spesa sociale sul fronte occupazionale. Questo è un nodo - l'onorevole Letta lo ha affrontato senza reticenze - che viene affrontato dalla mozione Vietti n. 1-00130, che individua in un riequilibrio tra spesa previdenziale e in generale spesa per il welfare uno strumento di intervento per reperire le risorse.
Nell'affrontare questa crisi credo che il Governo abbia dimostrato dal punto di vista politico un merito che nel corso degli anni sarà sempre più considerato importante: non aver cavalcato l'onda emotiva della crisi. Sono d'accordo con l'onorevole Letta, non ho dubbi alcuno che i sondaggi - li abbiamo letti - evidenzino un favore della pubblica opinione italiana per l'introduzione del «sussidio Franceschini»; lo do per acquisito. Ritengo, tuttavia, che un merito del Governo sia quello di non cavalcare la paura e l'onda emotiva per realizzare un'ingiustificata espansione del settore pubblico nell'economia, della spesa pubblica e anche di quella sociale, se non attraverso un riequilibrio al proprio interno. Da un punto di vista finanziario, reputo che la prudenza, che non deve diventare paralisi, sia una dote quanto mai preziosa. Quanto sta succedendo in giro per il mondo, a partire dagli Stati Uniti, evidenzia come la prudenza di chi non sta scaricando sul deficit pubblico misure temporanee di intervento per fronteggiare le crisi, sia un bene prezioso che vada, con senso comune di responsabilità, salvaguardato.
Personalmente considero la questione sollevata sui pagamenti della pubblica amministrazione un tema molto importante da sottoporre all'attenzione del Governo e che può essere affrontato con degli strumenti tecnicamente propri e specifici.
L'atteggiamento del Governo è prezioso non solo perché esiste il vincolo del debito pubblico, ma anche perché dobbiamo avere contezza del fatto che, se la crisi è internazionale, dobbiamo contribuire, per la rilevanza che il Paese e l'economia italiana hanno, a cercare di realizzare degli interventi pubblici che agevolino l'uscita dalla crisi, e dobbiamo conservare uno sguardo rivolto in avanti nel tempo evitando di creare, nella concitazione, nell'emotività e nella paura, le condizioni peggiori per l'economia italiana nel momento in cui le cose dovessero cambiare e penso che cambieranno.
Non possiamo dimenticarci che l'Italia ha un carico fiscale sul reddito e sul lavoro che è una vera palla al piede. Dobbiamo continuare a pensare che la diminuzione di quel carico fiscale sul reddito, sulle imprese e sul lavoro debba essere un obiettivo strategico e dobbiamo stare attenti a creare misure - poi tornerò sul punto - che, per affrontare l'emergenza, determinino non una prospettiva di diminuzione ma addirittura un aggravio di quel carico così pesante. Infatti, non dobbiamo dimenticare che l'Italia arriva ad una crisi forse più tutelata sotto il profilo delle istituzioni finanziarie del Paese, ma anche con un'economia e con un'occupazione stressate da un decennio quanto meno di crescita inferiore alla media dei Paesi europei (non dico inferiore al benchmark europeo), spesso la metà dei Paesi europei. Questo è un dato che non dobbiamo dimenticare e che dobbiamo avere presente.
I margini per reperire le risorse per interventi straordinari, i cui effetti devono essere assolutamente tempestivi affinché possano avere efficacia, erano e sono molto ridotti. Credo che il Governo abbia Pag. 35agito entro questi margini ristretti, attingendo al bilancio dello Stato, a quello delle regioni e delle province, ai fondi europei e ai fondi interprofessionali per la formazione continua.
A fonti straordinarie di finanziamento degli interventi di spesa sociale corrisponde una straordinaria destinazione, cioè gli ammortizzatori in deroga: in una crisi di cui non conosciamo ancora la portata e la durata, il Governo ha scelto di estendere gli strumenti che già ci sono per interventi puntuali e immediatamente realizzabili. Poi possiamo discutere dei mali - come è stato fatto - del mercato del lavoro in Italia, ma allora discutiamo anche delle responsabilità e delle riforme che nei lustri passati sono state tentate e sono state bocciate. Chiediamoci da chi sono state tentate e da chi sono state bocciate le riforme volte ad un mercato del lavoro più uniforme, in cui - come si dice - non vi siano figli e figliastri. Chiediamoci perché, più che nel resto d'Europa, il mercato del lavoro italiano è fatto da ipergarantiti e da precari senza nessun tipo di sostegno.
Si può ironizzare sull'intervento del Governo che ha stabilito la titolarità di un assegno di disoccupazione anche per i Cocopro e si può ironizzare sull'entità di questa misura. Premesso che il Governo (nell'ultima seduta del Consiglio dei ministri) sta facendo uno sforzo per rimpolpare quel tipo di assegno, ricordiamoci che è la prima volta che in Italia si interviene anche nella direzione dei più precari tra i precari in termini di sostegno alla reddito nella disoccupazione. Poi si può fare sempre di più e meglio - è scontato -, però è un po' paradossale che si ironizzi su una misura chiedendo che si faccia ben altro, quando questa misura è una novità.
La nostra mozione contiene una serie di elementi che sono riecheggiati nella discussione di oggi pomeriggio - mi riferisco anche alla valutazione del collega dell'Italia dei Valori rispetto a certi meccanismi tedeschi di salvaguardia dei livelli occupazionali -, quali i contratti di solidarietà, la rotazione, le settimane corte (sul modello tedesco per capirci). Ma in questa mozione è contenuto un impegno al Governo ad una riforma organica e universalistica degli ammortizzatori sociali, che però non può avere come orizzonte temporale la crisi dei prossimi mesi, ma chiaramente deve essere legata ad una prospettiva di maggiore respiro.
Una riforma organica degli ammortizzatori sociali su basi universalistiche in qualche modo potrebbe supplire alla riforma del mercato del lavoro, perché a tutti noi evidentemente fa specie il tempo lungo, lunghissimo, infinito di sostegno al reddito dei disoccupati Alitalia e invece gli interventi troppo limitati per i Cocopro. Ma questa è l'eredità che tutti noi abbiamo acquisito perché è ciò che è accaduto per Alitalia e per Fiat nelle legislatura precedente.
Per una riforma di questa natura è opportuno tenere conto di tre paletti. L'istituzione di un sistema universalistico di ammortizzatori sociali e di politiche per il lavoro va realizzato attraverso una riduzione del peso della previdenza sul complesso della spesa sociale. Infatti, non si possono caricare gli ammortizzatori sociali sulla fiscalità generale (e tornerò sul tema per esprimere una mia valutazione rispetto alla proposta Franceschini).
Inoltre, è fondamentale il disegno di un sistema che non spinga i disoccupati verso forme croniche di assistenzialismo. Nella nostra mozione si impegna, anche nell'immediatezza, il Governo a considerare elementi che rendano cogenti i meccanismi di welfare to work anche a legislazione vigente e con gli istituti vigenti. Pertanto, anche nell'ambito della cassa integrazione, probabilmente il rifiuto di una possibilità occupazionale che risponda a determinati criteri dovrebbe far perdere la titolarità persino del diritto alla cassa integrazione, se vogliamo affrontare la questione con un approccio di carattere generale e di respiro.
Infine una riforma degli ammortizzatori sociali non può non accompagnarsi al superamento delle rigidità del mercato del lavoro affinché i sistemi del welfare non si trovino a dover pagare i costi del mantenimento Pag. 36delle eccessive garanzie riconosciute ad una quota di lavoratori stabili a discapito dei precari.
A mio avviso, proprio rispetto a questi tre paletti, questi tre fondamenti che - oserei dire - sono quasi universalmente riconosciuti sicuramente in modo trasversale tra gli schieramenti (non sto a citare in modo strumentale esponenti del centrosinistra, che pure vi sono, che hanno una visione riformista di questo tipo), rispetto a queste condizioni, la proposta Franceschini, invece, rappresenta una scelta di «irresponsabilità»: anzitutto perché slegherebbe l'indennità di disoccupazione dal sistema contributivo, cioè per come è congegnata porterebbe al finanziamento strutturale degli ammortizzatori sociali attraverso la fiscalità generale, non solo ad ipotizzarlo. Possiamo discutere di recupero dell'evasione fiscale. Lo abbiamo fatto per tanti anni...

ROBERTO GIACHETTI. Lo abbiamo fatto!

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Si dice di qualsiasi cosa: la copriamo con l'evasione fiscale. Su ciò che sta accadendo sul fronte dell'evasione fiscale, non negli ultimi tre mesi, ma negli ultimi sei anni possiamo anche discutere prendendo in considerazione Governi di centrodestra e Governo di centrosinistra, ma il principio di scaricare sulla fiscalità generale il finanziamento di strumenti come gli ammortizzatori sociali è destinato inevitabilmente a scardinare la tenuta della spesa sociale e, quindi, per questa via la tenuta dei conti pubblici.
Quel tipo di assegno non è un sussidio di disoccupazione, non è un intervento di welfare to work; semmai prefigura una sorta di reddito di cittadinanza che non ha a che fare con il tema di cui stiamo discutendo e che non ha a che vedere con il mercato del lavoro.
Ritengo, quindi, non per il gusto di fare polemica, che anche da un punto di vista del metodo, la proposta di istituire nell'immediatezza un generalizzato sussidio di disoccupazione pari al 60 per cento del reddito finanziato attraverso la fiscalità generale risponde ad un criterio di «non prudenza», prudenza che ritengo, invece, il Governo abbia molto correttamente voluto mantenere.
In questi giorni si è molto discusso dell'innalzamento dell'età delle pensioni, in particolare dell'equiparazione tra donne e uomini nel pubblico impiego: abbiamo visto che sorta di dibattito ne è nato. Non è questo il momento per affrontare tale questione, però insisto sul fatto che questo tema era presente in un intervento che anche lo stesso onorevole Letta fece sulla stampa qualche tempo fa e che io trovavo, pur disegnando un intervento straordinario, molto più coerente con alcuni principi generali dai quali non possiamo derogare. Infatti, anche l'onorevole Letta disse: Finanziamo interventi straordinari recuperando le risorse nel sistema previdenziale, e vi sarebbero tutti i margini.
Comprendo e tutto sommato condivido la prudenza del Governo, perché è chiaro che questa, nella fase attuale, non potrebbe che essere una misura ampiamente condivisa innanzitutto dalle forze politiche e poi dalle forze sociali. Se, invece, scatta un meccanismo di conservazione su quel fronte, diventa difficile però imputare una sorta di assenza di coraggio sul fronte degli ammortizzatori sociali, perché si sa che la quadratura del cerchio è un'opera particolarmente impegnativa.
Quindi, noi continueremo ad essere il Paese in cui si va in pensione a 58 anni e in cui, per alcune categorie di lavoratori, non vi sono strumenti di sostegno al reddito nel momento in cui si perde il lavoro, tenendo presente - e ci tengo a ribadirlo - che su questo il Governo ha fatto e sta facendo qualche sforzo. E siccome prima non si era mai parlato di questo tipo di interventi, ripeto che forse si può chiedere un sforzo per una dotazione finanziaria maggiore (sforzo che in parte il Governo sta compiendo), ma diventa difficile poi che si usino toni in qualche modo ironici su quanto si sta cercando di fare per i Cocopro (sapendo benissimo che quella fascia debole del Pag. 37mercato del lavoro è debole perché vi sono alcune fasce troppo forti, ma questo è un altro discorso).
Insieme al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga la nostra mozione, a prima firma Cicchitto, sollecita il Governo ad attuare quanto prima una serie di misure fondamentali in materia di riforma del pubblico impiego, di individuazione dei lavori usuranti ed a varare in tempi rapidi il libro bianco sul welfare.
Investire sulla crisi non vuol dire farsi governare dalla contingenza e dall'emotività, ma creare in qualche modo con tutti gli attori coinvolti - e mi auguro anche con l'opposizione - un clima repubblicano favorevole ad una stagione di riforme.
L'unica cosa di cui l'Italia e la sua economia non hanno bisogno, invece, sarebbe una stagione di contrapposizione, di evocazione - com'è successo in passato, nemmeno troppi anni fa, quando per tempo si cercava di affrontare questi temi, perché i temi sono sempre quelli - di «massacri sociali», quando si cercava di intervenire con riforme strutturali che sicuramente avrebbero creato, in termini di mercato del lavoro e di istituti di welfare, un sistema meno iniquo. Allora si parlava di «massacri sociali».
Nella mozione che abbiamo presentato vi sono una serie di elementi e vi è anche un richiamo al Governo affinché si faccia parte attiva, anche attraverso protocolli di intesa con il sistema bancario, per una particolare attenzione nell'ambito dei mutui sulla prima casa per coloro che perdono il lavoro.
Vi è una serie di altre indicazioni. In precedenza, ho citato gli interventi per garantire, nel modo più ampio, la base occupazionale, distribuendo su molti lavoratori il minor monte di ore lavorate (quello che, appunto, era richiamato precedentemente); si parla di formazione e - lo ribadisco - di sanzioni da applicare a coloro che rifiutano un'offerta di lavoro congrua; inoltre, si parla del riordino, ma nella direzione che citavo prima, cioè di un sistema di ammortizzatori sociali su basi universalistiche.
Non dobbiamo dimenticare che gli ammortizzatori sociali rappresentano una parte del problema, che è reale ed immediato. Tuttavia, la soluzione deve essere quella di creare le condizioni affinché l'emorragia occupazionale sia ridotta il più possibile in questo contesto e affinché, nel momento in cui si creassero le condizioni - e lo ripeto, si creeranno - per cui l'economia internazionale ripartirà e lo farà nella competizione che conosciamo, per le aziende italiane vi siano le possibilità di tornare ad investire e a dare occupazione.
Il piano anticrisi che il Governo italiano ha messo a punto prevede il rilancio delle opere pubbliche, la conferma per il 2009 delle misure di incentivo alla produttività e all'efficienza, un piano di messa in sicurezza del sistema finanziario che non pesi sul futuro del Paese in termini di debito pubblico, il rilancio delle politiche di efficienza energetica. Credo che questi siano elementi dai quali non si possa prescindere, perché, lo ripeto, non è possibile isolare la questione degli ammortizzatori sociali. Scaricare ogni intervento sulla finanza pubblica è una soluzione comprensibile per chi si trova all'opposizione, ma è un po' semplicistica.
Credo che il Governo abbia ben presente che una crisi che si è determinata nel mercato ha bisogno di trovare innanzitutto nel mercato le leve per il rilancio e che non può vedere, come ipotesi di soluzione, l'espansione irresponsabile del debito pubblico e della domanda di assistenzialismo. Se oggi rispondessimo con l'assistenzialismo e con il debito pubblico futuro, probabilmente, come si diceva prima, potremmo vedere anche qualche battito di mani in più rispetto a quelli che vi sono oggi.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Tuttavia - e concludo signor Presidente - credo che farsi guidare, in questa fase, dalla prudenza, dalla manutenzione dell'esistente, dal tentativo costante di dotare di nuove risorse gli strumenti che abbiamo a Pag. 38disposizione e di preparare riforme che abbiano davanti un tempo lungo e che non contemplino, invece, gli errori di una visione emergenzialista, sia quanto è contenuto in questa mozione.
Credo che su questo il Parlamento sarà chiamato a discutere e a votare nei prossimi giorni.
Credo, altresì, che le altre mozioni, che pure contengono alcuni elementi positivi (in particolare, la mozione a prima firma dell'onorevole Franceschini) ci portino, invece, sicuramente con le migliori intenzioni, in una direzione che è bene non prendere (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gatti. Ne ha facoltà.

MARIA GRAZIA GATTI. Signor Presidente, intervengo a sostegno della mozione illustrata dall'onorevole Letta, sottolineando, però, come per poter discutere in quest'Aula di misure anticrisi e per poter presentare le proposte dell'opposizione, siamo costretti ad utilizzare lo strumento della mozione.
Tutti i provvedimenti che il Governo ha presentato e che sono stati assunti finora - i provvedimenti cosiddetti anticrisi, che abbiamo giudicato sempre e comunque in ritardo, parziali, insufficienti e, soprattutto, non in grado di indicare un modo di uscita dalla crisi, che dia prospettive al nostro Paese - sono stati votati con la posizione della questione di fiducia. Si tratta di un metodo che ha vanificato e compresso il lavoro delle Commissioni e che ha impedito la discussione in Aula degli emendamenti dell'opposizione, che pure delineavano un organico progetto di intervento.
Ricordo, ad esempio, che una serie di proposte emendative presentate dall'opposizione al decreto-legge n. 185 del 2008 sono state illustrate in quest'Aula solo grazie al ricorso al lodo Iotti, proprio perché il Governo aveva posto la questione di fiducia.
Questo modo di operare avviene in una situazione molto grave che avrebbe bisogno, invece, di interventi frutto della coesione e del lavoro comune delle forze sociali, da una parte, e di questo Parlamento, dall'altra.
Pochi giorni fa abbiamo presentato una mozione, eppure i dati che abbiamo riportato nella prima parte vanno già aggiornati e vanno aggiornati in peggio. Avevamo riportato i dati della cassa integrazione ordinaria per l'industria che relativamente al mese di dicembre presentavano un aumento del 526 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Ebbene, nei primi giorni di marzo sono stati resi noti i dati relativi al mese di febbraio e la cassa integrazione ordinaria registra un aumento pari al 553,1 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno precedente e anche la cassa integrazione straordinaria, quella a cui si ricorre per ristrutturazioni o per cercare di evitare i rischi di cessazione di attività, è aumentata del 44,8 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno precedente.
Signor Presidente, desidero essere chiara: stiamo parlando di due strumenti, il primo è quello della cassa integrazione ordinaria che si usa in situazioni di sospensione di attività dovuta a cali negli ordinativi, quindi a interruzioni temporanee che prevedono una ripresa sicura della produzione, e l'altro è quello della cassa integrazione straordinaria, che invece consegue a ristrutturazioni o a situazioni di crisi tali da provare a cercare ancora una possibilità prima di giungere al fallimento dell'impresa. Questi due ammortizzatori sociali ricevono un finanziamento preciso derivante dai contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori, pertanto influenzano la fiscalità generale in maniera estremamente relativa.
Accanto a questi strumenti se ne aggiunge un terzo, quello della cassa integrazione in deroga, consistente nel sostegno al reddito durante le sospensioni produttive a favore di lavoratori impiegati in aziende per le quali non esistano versamenti INPS per la cassa integrazione, ma per i quali esistano specifici accordi a livello regionale, accordi che prevedono la presenza di un fondo incrementato e gestito Pag. 39annualmente dal Governo. Si tratta dello stesso fondo al quale in questi ultimi giorni il Governo ha assegnato 151 milioni; le regioni ci informano, però, che i fondi appena distribuiti risultano già esauriti, perché le sospensioni già avvenute erano state fatte in credito.
Questa è la situazione in atto laddove esistono degli strumenti, ma in questo quadro esistono lavoratori che sono tuttora esclusi da qualsiasi forma di sostegno al reddito in caso di perdita del lavoro. Si tratta dei lavoratori a tempo determinato e indeterminato appartenenti ai settori e alle imprese che non risultano destinatari di alcun trattamento di integrazione salariale; dei lavoratori impiegati nelle piccole industrie di cui ho parlato poc'anzi, che però non hanno stipulato gli specifici accordi per la cassa in deroga; dei lavoratori impiegati in attività commerciali sotto i 50 dipendenti; altre serie di lavoratori sono i dipendenti delle imprese artigiane, gli apprendisti, i titolari di partita IVA a regime di monocommittenza e, infine, ci sono quei lavoratori che vengono di solito classificati come «iscritti alla gestione separata INPS di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995», che sono essenzialmente i lavoratori a progetto, i collaboratori e gli associati in compartecipazione.
In effetti, per alcune di queste ultime categorie il decreto-legge n. 185 del 2008, il provvedimento approvato da quest'Assemblea qualche settimana fa, ha previsto alcune misure; esse non sono ancora operative, ma a noi sembrano totalmente insufficienti, perché si stima che coprano solo il 10 per cento del totale dei lavoratori precari a serio rischio di disoccupazione di lunga durata. Inoltre, sono misure inadeguate: prendiamo, ad esempio, i collaboratori di cui parlava poco fa il collega che mi ha preceduto.
Si tratta, per questi lavoratori, di pensare ad un sussidio simbolico pari al 10 per cento della retribuzione percepita nell'ultimo anno, insieme ad un'altra serie di condizioni che vengono poste. Questo significa, signor Presidente, che per un collaboratore - e noi sappiamo quali siano le cifre che questi lavoratori ricevono in un anno - si può pensare ad una cifra attorno agli 800 o 1000 euro, che dovrebbe essere sufficiente per sostenere questo lavoratore a fronte di una crisi della quale è difficile prevedere la durata e la profondità. È per questo che abbiamo presentato questa mozione nella quale impegniamo il Governo a tre interventi precisi.
Il primo è quello di istituire, entro il 31 marzo, un assegno mensile di disoccupazione, pari ad almeno il 60 per cento della retribuzione mensile percepita nell'ultimo anno, per quei lavoratori esclusi dal sistema degli ammortizzatori sociali che hanno perso il posto di lavoro dal 1o settembre 2008, a valere per tutto il 2009. È questo il primo punto e il nucleo fondamentale della proposta che presentiamo che ha, però, delle caratteristiche precise di emergenza e temporaneità. Vorrei, infatti, sottolineare i tempi della proposta. È un provvedimento urgente perché già ora ci sono lavoratori espulsi dal sistema produttivo senza nessun sostegno al reddito e con pochissime speranze di rientrare al lavoro in tempi ragionevoli. Alcune stime ci dicono che al 31 dicembre 2008 sono già scaduti 305 mila contratti. È questo che pone l'urgenza, che definisce tuttavia anche la temporaneità dell'intervento e richiede uno sforzo collettivo di tutto il Paese per recuperare un ritardo gravissimo che abbiamo in questo settore.
Il secondo intervento prevede l'estensione a tutti i lavoratori della cassa integrazione prevista nei casi di crisi temporanea e di sospensione del lavoro. Si tratta del caso di cui parlavo prima: in un'azienda ci sono problemi di carattere produttivo, di ordini e allora interviene una sospensione temporanea, con una prospettiva di ripresa del lavoro concreta e reale. Ebbene, oggi cosa succede? Ci sono casi di questo tipo nei quali alcuni lavoratori, per il periodo di sospensione dal lavoro, godono del sostegno al reddito mentre altri lavoratori vanno semplicemente a casa, non solo senza indennità, ma senza che resti nessun legame con l'azienda dalla quale provengono. Questo implica una perdita di professionalità da Pag. 40parte dei lavoratori, ma anche una perdita di competenza da parte delle aziende che, quando riprenderanno il lavoro, non sanno se ritroveranno lo stesso lavoratore che hanno già formato.
Questo secondo punto risponde oltre che ad una precisa necessità di reddito dei lavoratori coinvolti, alla necessità di conferire dignità a certe forme contrattuali e a sanare una situazione che viene vissuta come una grande ingiustizia e una grande discriminazione, perché in effetti lo è.
Arriviamo al terzo punto, che è quello più di prospettiva.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIA GRAZIA GATTI. Procedo in fretta. Il testo prevede l'emanazione di un provvedimento, frutto anche del coinvolgimento delle parti sociali, che renda il sistema degli ammortizzatori sociali più semplice, inclusivo e moderno e che, a fronte di difficoltà, sia capace di sostenere il reddito di chi perde il lavoro e di accompagnarlo nella ricerca di un nuovo lavoro, impegnandolo in processi di riqualificazione e di acquisizione di nuove competenze. Su quest'ultimo punto spero non venga disperso il lavoro svolto dal precedente Governo che aveva previsto, a tale scopo, ai commi 28 e 29 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247, una delega le cui linee guida erano state concordate tra Governo e parti sociali.
Quando Dario Franceschini ha presentato questa proposta si è sollevato un grande dibattito specie in relazione ai problemi di copertura degli interventi. La mozione mi sembra risponda alle varie perplessità sollevate. Mi sembra, tuttavia, importante sottolineare la qualità degli interventi che si propongono in vista di recuperare risorse per la copertura. Mi rendo conto che si tratta di una copertura per una situazione di emergenza, temporanea. Da una parte, per quanto concerne l'avvio delle politiche antievasione, l'ISTAT ci dice che lo smantellamento di tali politiche ha portato in via potenziale, al netto della crisi economica, una perdita di gettito pari a 7 miliardi di euro. Quindi, si tratta di misure che hanno funzionato e che contengono elementi di giustizia contributiva e di lotta all'alterazione della concorrenza tra le aziende, che mi sembra vadano rivendicati da parte di tutti.
Il punto è questo, signor Presidente: se il Paese che uscirà dalla crisi sarà sicuramente diverso da quello che abbiamo ora, mi piacerebbe che uscisse da questa tempesta con un apparato produttivo di qualità in piedi, sostenuto da regole condivise e da legalità di comportamenti.
Nella copertura si prevedono anche misure legate al risparmio e alla buona amministrazione: una è la centrale unica degli acquisti nelle pubbliche amministrazioni centrali e regionali ed a questo proposito potrei citare l'esperienza molto positiva dei risparmi che ci sono stati nella sanità nella regione Toscana con l'introduzione della centralizzazione degli acquisti; l'altra è la procedura di individuazione della spesa da riorganizzare e da eliminare in alternativa agli iniqui ed inefficienti tagli lineari che sono stati al centro della manovra varata dal Governo.
Un'ultima osservazione, signor Presidente: negli ultimissimi giorni il Presidente del Consiglio ci ha detto che il provvedimento previsto al primo punto, l'assegno di disoccupazione a chi perde il lavoro e non è già coperto da altri ammortizzatori, potrebbe spingere i datori di lavoro a licenziare i lavoratori per riassumerli in nero. A parte le battute che si potrebbero fare sulla qualità dell'imprenditoria italiana che prefigura il Presidente del Consiglio, penso che queste parole vadano prese molto sul serio per il rischio che, non in relazione all'assegno di disoccupazione, ma in relazione alla crisi, molte aziende in difficoltà possano scegliere di immergersi nel nero per sopravvivere.
Proprio per questo non capisco, di fronte a questo rischio - perché considero un rischio il lavoro nero e non un'opportunità - le linee proposte dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali nel documento di programmazione dell'attività di vigilanza del 2009. In esso si Pag. 41invitano gli ispettori a fare visite brevi per non disturbare troppo la produzione in momenti di crisi.
So che molte aziende lamentano controlli lunghi ed effettuati in sequenza dai diversi enti di controllo, ma qui si tratta di coordinare gli interventi, non di programmare visite brevi. Tra l'altro si ipotizza un'attività ispettiva ridotta del 24 per cento rispetto all'anno precedente con punte del 50 per cento in meno nelle regioni meridionali, attività programmate a livello territoriale sulla base delle direttive del Ministero.
Allora, alle preoccupazioni del Presidente del Consiglio non si risponde con una sorta di diminuzione generale e programmata della funzione di ispezione: abbiamo bisogno, proprio in tempi di crisi, di verificare il rispetto degli standard di sicurezza per evitare, in situazioni difficili, la crescita degli infortuni e delle morti sul lavoro, da una parte, e, dall'altra, di poter recuperare attraverso i controlli, base imponibile che è sfuggita al fisco.
La deregolazione ci ha portato a questa crisi e penso che l'assunzione collettiva di responsabilità ed il rispetto delle regole siano la via maestra per uscirne. Non si tratta di tollerare comportamenti impropri delle aziende per dare loro una mano: per riuscire veramente a dare loro una mano bisogna non lasciarle sole, individuare forme per sostenerle, facilitare il loro rapporto con le banche, risolvere i debiti che la pubblica amministrazione ha nei loro confronti. Bisognerebbe riuscire ad intervenire nei diversi territori con opere pubbliche immediatamente cantierabili, magari rendendo flessibile il patto di stabilità, e magari, nelle situazioni di più grave difficoltà, garantendo un sostegno al reddito al lavoratore licenziato per mantenere un legame con l'azienda di provenienza ed avere un minimo di reddito disponibile per sostenere consumi e domanda (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, se non si fosse tenuta la Conferenza dei presidenti di gruppo la settimana scorsa, giovedì scorso, oggi probabilmente saremmo qui a discutere della mozione a prima firma dell'onorevole Dario Franceschini sulle deroghe al patto di stabilità per gli enti locali.
Siamo invece oggi a discutere del sostegno al reddito per i disoccupati (con le coperture che l'opposizione, in particolare, ha individuato e di cui poi discuteremo) grazie al fatto che, in seguito ad una lettera inviata dal Partito Democratico ai Presidenti delle due Camere, il Presidente Fini da un lato e la maggioranza dall'altro hanno scelto di non sottrarsi al confronto politico serio e concreto su una proposta che legittimamente l'opposizione ha scelto di avanzare.
In particolare l'onorevole Franceschini, il 28 febbraio scorso, ha tirato fuori dal cilindro questa proposta e oggi, più o meno dieci giorni dopo quella proposta, siamo in Aula a discuterla e prevedibilmente, nell'arco di questa settimana, giungeremo ad un pronunciamento di questa Assemblea su tale proposta.
Non ci sottraiamo al confronto per alcune ragioni di merito, ma anche per poter replicare ad alcune ragioni di metodo. Quella sugli ammortizzatori sociali è una discussione antica che, come spiegava con grande pacatezza e anche competenza l'onorevole Letta, dai tempi della Commissione Onofri interessa una serie di settori politici, economici e sociali del nostro Paese.
Personalmente ritengo che gli ammortizzatori sociali siano stati il secondo appuntamento incompiuto che doveva seguire alla grande riforma Biagi del lavoro e credo che sia legittimo discuterne. Ritengo, altresì, importante l'accordo che si è realizzato il 17 febbraio scorso tra Stato e regioni che vede, per il primo biennio, l'appostamento di risorse pari a 8 miliardi di euro su questo terreno. Si tratta sostanzialmente di una moltiplicazione per dieci delle risorse che erano state appostate nello stesso settore per il 2008 ed è evidente che riteniamo non secondario un Pag. 42ampliamento della platea dei beneficiari di questi provvedimenti, oltre che assolutamente rilevante, e in qualche modo cogente, l'elemento che sottende all'erogazione di codesti ammortizzatori sociali.
Mi riferisco al principio del welfare to work, del rendere effettivo l'impegno alla formazione, del legare i fondi europei per la formazione, ai quali attingono anche le regioni e a cui le stesse partecipano con loro fondi, a un meccanismo di assistenza, tra virgolette, attiva del lavoratore che rimane nel mercato del lavoro, si riqualifica e si prepara a rientrare. Quindi non si tratta di una formula di assistenza tout court che noi riteniamo assolutamente negativa in un sistema che, indipendentemente dal fatto che vi sia la crisi finanziaria, deve puntare al rilancio.
Tuttavia, da questo punto di vista abbiamo necessità di svolgere alcune considerazioni. Anche in quest'Aula l'onorevole Benedetto Della Vedova ricordava la manovra di abolizione del cosiddetto scalone previdenziale della riforma Maroni, che il precedente Governo Prodi ha portato all'esame di questa Assemblea la scorsa legislatura. Ricordiamo che si è trattato di un provvedimento da 10 miliardi di euro di cui 3,6 miliardi - ci tengo a sottolinearlo - sono stati presi per la copertura dalla gestione separata dell'INPS, vale a dire dai contributi dei cosiddetti precari per i quali oggi si reclamano assistenza, welfare e ammortizzatori sociali. Per fare andare in pensione un anno prima una certa quantità di lavoratori si sono andati a prendere i soldi dei cosiddetti precari: questa è la filosofia che ha ispirato il cosiddetto Protocollo del luglio 2007 e con questa filosofia ci si trova oggi a dover anche immaginare una raccolta di risorse per un welfare diffuso, credibilmente con criteri assistenziali, così come è nella vaghezza di questa proposta.
Credo che ci sia una differenza di fondo, di impostazione culturale, politica e riformista da un lato, meno riformista o non riformista dall'altro, nell'approccio a questi problemi. Noi dobbiamo scegliere se prendere il toro per la coda o per le corna. Tutte le attività e le iniziative messe in campo dal Governo, dal saldo di finanza pubblica agli interventi sul sistema creditizio, all'ultimo intervento sugli ammortizzatori sociali, ai Tremonti bond, al sostegno al fondo di credito per le piccole e medie imprese, sono tutti provvedimenti che vanno nella direzione non di occuparci ex post della crisi, ma di impedire alle imprese di licenziare.
Parallelamente si amplia la platea di coloro che beneficiano degli ammortizzatori sociali e si cercano risorse. Siamo anche disponibili a un confronto sugli ammortizzatori sociali in generale, ma il metodo utilizzato ci è sembrato poco opportuno e tornerò su questo punto in seguito.
Vi è un'altra parentesi che voglio affrontare perché questo è ciò che è accaduto sul privato. Sul pubblico ascolto cifre sparate un po' così, forse senza neanche avere una grande consapevolezza delle quantità e delle dimensioni dei problemi o dei presunti problemi. Sento parlare di licenziamento di 100 mila precari del pubblico impiego. Voglio sottolineare, in questa Assemblea e in questo dibattito, che allo stato attuale non sappiamo quale sia la quantificazione realistica della platea dei cosiddetti precari del pubblico impiego. So solo che il Ministro Brunetta da domani avvierà, per fortuna, un monitoraggio presso le regioni, gli enti e le amministrazioni locali e finalmente si cercherà di avere un quadro completo di quanti essi siano. Abbiamo sentito sparare nel corso degli anni cifre anche abbastanza inquietanti da questo punto di vista.
Mi permetto di ricordare che quello che fu un vanto del Governo Prodi, cioè avere avviato le stabilizzazioni, fu una montagna che partorì un topolino di circa 10.900 stabilizzazioni, con uno stanziamento - se non ricordo male - di 50 milioni di euro. Pertanto, stiamo parlando di cifre assolutamente ridicole, che però hanno innescato una quantità importante di aspettative, da un lato, e di delusioni, dall'altro, in tanti dipendenti pubblici con contratti a tempo determinato. Pag. 43
Abbiamo dinanzi una questione che va affrontata a partire da un presupposto: dobbiamo chiudere il rubinetto del cosiddetto precariato nel pubblico impiego, per non trovarci in maniera ciclica - crisi o meno che sia - a dover affrontare questo problema in quest'Aula del Parlamento.
Inoltre, mi permetto di aggiungere come promemoria per il mio amico Ministro Brunetta, l'invito a volgere un occhio nei confronti di coloro i quali, pur avendo vinto un concorso - sono decine di migliaia oggi -, si trovano in una situazione di precariato. Tale condizione forse è ancora più grave di coloro che percepiscono uno stipendio e rischiano che il loro contratto non venga rinnovato. Infatti, i primi hanno vinto un concorso, sono stati chiamati dal sistema pubblico a prepararsi, hanno dimostrato merito e capacità, eppure non sono stati mai assunti dalle pubbliche amministrazioni che a queste prove li avevano chiamati e pertanto, hanno subito una doppia penalizzazione e un doppio smacco.
È assodato - e ci tengo a ribadirlo - che non crediamo che la pubblica amministrazione debba o possa mai essere un ammortizzatore sociale e che addirittura provvedimenti che sbloccano l'efficienza della pubblica amministrazione e la sua velocizzazione e che innescano meritocrazia possano contribuire a liberare quei 100 miliardi di euro che vengono giudicati come pegno all'inefficienza della pubblica amministrazione che questo sistema Paese paga ogni volta.
Abbiamo lavorato con ciò che era possibile sul terreno degli ammortizzatori sociali e con disponibilità a fare ancora di più insieme, se possibile, alle parti sociali e anche con il contributo dell'opposizione, perché no. Credo nel dialogo quando è costruttivo e quando viene impostato con i toni che l'onorevole Letta (ma anche l'onorevole Gatti e, mi auguro, anche coloro che seguiranno in questo dibattito) hanno voluto usare. Francamente credo meno nei toni che ha utilizzato l'onorevole Franceschini; trovo singolare l'estemporaneità di alcune proposte, nel senso che si tira fuori da un cilindro, magari vecchio e polveroso, una proposta come lo stipendio di Stato per tutti i disoccupati. Una simile proposta sottintende una logica forse un po' improvvisata «dell'aggiungi un posto a tavola».
Inoltre, credo che dovremmo svolgere una riflessione un po' più attenta sulla riforma degli ammortizzatori sociali. Ho ascoltato parole molto più serie da molti esponenti sindacali e da esponenti dello stesso Partito Democratico, che hanno aperto un altro discorso sulle coperture finanziarie, su alcune gestioni attive dell'INPS, sul riequilibrio del baricentro della spesa previdenziale in Italia, sulla questione generazionale, che pure conosco bene da vicino, essendo stato forse il primo responsabile di un movimento giovanile, in questo Paese, a fare della questione generazionale, in particolar modo dell'aspetto previdenziale, un elemento di lotta e di confronto politico.
Credo che questo sia logico, ma francamente vi è un Partito Democratico che si candida ad essere alternativa di Governo e che ritira fuori una vecchia formula che il mio amico Augusto Rocchi, nella scorsa legislatura, da responsabile del lavoro di Rifondazione comunista avrà proposto decine di volte in Commissione lavoro. Chi ha frequentato quella Commissione nella scorsa legislatura sa bene che la proposta del reddito minimo garantito per tutti con la copertura individuata nella lotta all'evasione fiscale era il classico programma di Rifondazione comunista o dei Comunisti italiani, i quali in questo momento non sono in questo Parlamento, e non per loro scelta, ma per scelta degli elettori e dei cittadini.
Se si vuole recuperare quella battaglia lo si dica, in quanto noi siamo disposti a confrontarci convinti delle nostre ragioni con tutte queste battaglie. Tuttavia, crediamo francamente che un Partito Democratico che voglia essere alternativa di Governo non possa ispirarsi al programma di Rifondazione comunista della scorsa legislatura per essere alternativa di Governo in questo Paese in un momento di crisi in cui è necessario guardare al futuro. Pag. 44
Credo che in quest'Aula si debba sottolineare anche un'altra questione di metodo. Non è come dice l'onorevole Franceschini per cui, chi dimostra perplessità nei confronti del reddito da disoccupazione (il 60 per cento rispetto all'ultima retribuzione) è contro i lavoratori o i disoccupati, perché ciò significa fare terrorismo psicologico e politico sulla pelle di coloro che perdono il lavoro, pensando magari di guadagnare qualche voto in più alle elezioni. Non è così, non è serio e non è corretto. Sarebbe come se noi vi dicessimo che, siccome avete votato contro il decreto-legge che prevedeva la social card, o il bonus famiglia o l'ampliamento degli assegni familiari, voi siete contro i poveri, contro la famiglia e contro certe forme di assistenza. Ritengo che sarebbe quanto meno di cattivo gusto da parte della maggioranza accusare l'opposizione di essere contro i poveri e contro i deboli e credo che sia altrettanto di cattivo gusto da parte dell'opposizione pronunciarsi con questi termini nei confronti della maggioranza.
All'obiezione sollevata dal Presidente del Consiglio, l'onorevole Gatti poco fa finiva di svolgere una riflessione di grande onestà intellettuale non dicendo quello che ha detto l'onorevole Franceschini, ovvero che il Presidente del Consiglio considera imbroglioni gli artigiani. Il Presidente del Consiglio conosce questo Paese perlomeno quanto noi e forse anche di più e in un Paese in cui non è un segreto che vi sia stato lo scandalo dei falsi invalidi, credo che si possa verificare anche lo scandalo dei falsi disoccupati. Da un momento all'altro un provvedimento del genere, innescato d'emblèe nel sistema sociale di questo Paese, può dare l'alibi a molti imprenditori di ristrutturare in maniera anche fittizia il proprio ambito di risorse umane.
Quindi, credo che questi provvedimenti - che sono bandiere utilizzate dall'opposizione per dimostrare di esistere, per voler rappresentare un'alternativa e per dire qualcosa - debbano essere utilizzati con grande attenzione. Con grande attenzione, infatti, bisogna muoversi quando si tratta della vita e del reddito di persone, famiglie e imprese. Con grande attenzione, inoltre, bisogna confrontarsi con le proposte della maggioranza e dell'opposizione senza lasciare spazio al livore, alla voglia di riscatto forse personale o a interessi più elettorali che sociali ed economici del Paese.
Da quando è stato indicato alla guida del Partito Democratico l'onorevole Franceschini, abbiamo creduto di doverci confrontare nel merito dei problemi, ma abbiamo ricevuto in cambio una grande sfilza di «no» e molto livore (francamente credo ingiustificato). Se anche noi avessimo dovuto comportarci in questa maniera, oggi non saremmo a discutere la mozione Franceschini sulla disoccupazione, sui disoccupati, sul welfare e sugli ammortizzatori sociali e non sarebbe stata convocata la Conferenza dei Presidenti di gruppo. Al contrario, parleremmo della mozione che Franceschini aveva chiesto di porre all'ordine del giorno in precedenza (quella sugli enti locali) e questo dibattito non avrebbe avuto l'eco che, forse, avrà con il pronunciamento di quest'Aula giovedì.
Questo perché crediamo che il confronto di merito sia la soluzione migliore, anche per aggiustare posizioni come quelle del Governo, che non sono perfette, perché nessuno lo è, perché il dibattito democratico è figlio della nostra cultura, della nostra tradizione e della nostra storia e perché il confronto è, ancora una volta, il sale della democrazia, se lo si fa con responsabilità e con serietà.
Certo, la presenza in quest'Aula, in questo momento, lascia a desiderare, ma ci auguriamo che, nella fase successiva della discussione di queste mozioni, vi sia una partecipazione importante, perché crediamo che questi siano momenti di confronto importanti, anche se manteniamo le nostre posizioni sul piano politico, rivendicando con orgoglio le iniziative che il Governo ha portato avanti.
Crediamo che, dai saldi di finanza pubblica alle iniziative che, volta per volta, il Governo ha posto in campo, si stia facendo molto: sarebbe bene, ogni tanto, Pag. 45che, insieme alla sfilza di «no», l'opposizione anche questo lo sapesse riconoscere.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Madia. Ne ha facoltà.

MARIA ANNA MADIA. Signor Presidente, vorrei partire anzitutto da tre punti, rispondendo all'onorevole Baldelli. Il primo è che ho notato nel suo intervento una grande strumentalità politica, perché ho ascoltato, come lui, con attenzione gli interventi dell'onorevole Letta e dell'onorevole Gatti, che hanno illustrato punto per punto la mozione a prima firma dell'onorevole Franceschini: le differenze che sottolineava l'onorevole Baldelli sono assolutamente inesistenti.
Secondo punto: mi auguro, proprio per questo, che almeno stralci della discussione che sta avvenendo oggi in quest'Aula vengano portati all'esterno, anche dai media, affinché gli italiani, che sono molto attenti al tema che stiamo discutendo oggi, si possano rendere conto di «chi dice cosa».
Il terzo punto è ripartire dal tema della mozione con cui chiediamo interventi emergenziali a sostegno del cosiddetto lavoro atipico. Si è spesso dibattuto di cosa sia il lavoro atipico; sicuramente, ve ne è stata una straordinaria diffusione nel nostro Paese, e non solo, perché non dobbiamo andare molto lontano: basta arrivare in Spagna, dove un lavoratore su tre è un lavoratore atipico.
Il CNEL li definisce quegli impieghi che offrono garanzie limitate in termini di accesso alla copertura previdenziale, di durata del rapporto di lavoro e di ammortizzatori sociali. Ritenevo che non fosse questa la sede, oggi - proprio perché parliamo di interventi emergenziali - per richiamare le responsabilità passate, ma, dato che l'onorevole Della Vedova prima e poi l'onorevole Baldelli le hanno richiamate, credo che, detto velocemente, la legge n. 30 sia impropriamente chiamata legge Biagi, perché ha applicato il Libro bianco di Biagi soltanto nella parte a costo zero, lasciando assolutamente non attuata tutta la parte sugli ammortizzatori sociali.
In tutti i casi, oggi parliamo di interventi emergenziali per una vastissima platea di persone: per tutte quelle persone che non hanno altro di cui vivere se non il loro lavoro e per tutte quelle persone che, oltre al loro lavoro, non hanno alcuna rete di protezione.
Ripartirei, anche qui, da qualche numero, per capire quanto sia vasta questa popolazione di «senza rete» (potremmo chiamarla così): i dati del 2006 ci dicono che sono due milioni i dipendenti temporanei e arriviamo a tre milioni con i collaboratori, quindi il 13 per cento della forza lavoro. Credo che anche la maggioranza non possa non condividere che, di fronte a una percentuale come questa, cioè un lavoratore su otto, non si possano sottovalutare gli equilibri sociali del Paese, messi in discussione, lasciando tutti questi lavoratori da soli davanti alla crisi.
Se oggi diciamo «no» a questo assegno, lasciamo un lavoratore su otto nel nostro Paese da solo di fronte alla crisi. Vorrei richiamare le parole del professor Ichino, senatore del Partito Democratico: lasceremmo persone da sole davanti alla crisi senza un giorno di preavviso e senza un euro di indennità di disoccupazione.
È di queste persone che oggi ci stiamo occupando; ed è interessante anche capire chi sono queste persone: in Italia oggi l'occupato senza garanzie è per la maggior parte un giovane (ha meno di 35 anni), è per la maggior parte una persona con un titolo di studio medio-alto, è per la maggior parte dei casi donna e residente nelle regioni del sud. Non stiamo, cioè, parlando di fasce marginali, ma di coloro che in tutti i discorsi pubblici consideriamo in gran parte quelli che dovrebbero essere e costituire il futuro del nostro Paese. E quando penso al futuro penso a quanti giovani coppie oggi posticipano la nascita di un figlio proprio perché non sanno se il contratto di lavoro verrà rinnovato. È una dolorosa dinamica che può essere invertita solo attraverso un'adeguata rete di protezioni sociali che noi in Italia, per un lavoratore su otto (lo voglio ribadire) non abbiamo. Pag. 46
Sul lato buono della flessibilità siamo tutti d'accordo, condividiamo tutti perfino le parole del Ministro Brunetta, quando dice che la flessibilità ha favorito il lavoro buono facendolo uscire dall'illegalità; ma questa flessibilità non può e non deve essere lasciata senza sicurezze, e quindi va integrata con forme di tutela pubblica e universale, ed anche - e questa è la ragione della mozione in esame - con un sostegno nella dolorosa ricerca di un nuovo posto di lavoro quando si perde il vecchio lavoro.
Quando dico dolorosa vorrei evidenziare che, nel dibattito che si è sviluppato intorno alla mozione in discussione, mi ha colpito la convinzione di molti esponenti autorevoli del Governo nel considerare gli italiani dei furbi e degli irresponsabili, nel considerare gli italiani delle persone che non vedono l'ora di avere questo assegno per poter truffare lo Stato, cioè licenziare per poi far percepire l'assegno e riassumere in nero. Da chi governa il mio Paese avrei sperato un'opinione migliore e una maggiore considerazione della dignità del lavoro del mio Paese: vi assicuro che i lavoratori licenziati non sarebbero contenti di vivere con l'assegno, che sarebbe solo un punto di partenza, ma almeno un punto di partenza dignitoso per ricostruire una nuova vita lavorativa.
È presente il sottosegretario Roccella, e quindi mi rivolgo a lei per chiedere al Governo: non mi è chiaro il perché di questo «no» secco alla proposta della mozione da noi presentata quando è stata illustrata dal nostro segretario Dario Franceschini nei giorni scorsi, e invece il «sì» al bonus precari che è stato introdotto nel decreto-legge anticrisi di qualche mese fa.
Signor sottosegretario, delle due l'una: o anche il bonus precari del decreto-legge anticrisi è uno stimolo all'assistenzialismo e al lavoro nero, motivazioni che avete portato per contestare il contenuto della mozione sull'assegno, oppure voi implicitamente state ammettendo che quel bonus (lo ricordo, il 10 per cento di un'annualità) era talmente irrilevante che non presentava neanche questo rischio. Vorrei, però, ricordare che, a suo tempo, lo avete presentato come la prima grande misura di garanzia per i lavoratori atipici, e voi stessi oggi state, mi pare, facendo marcia indietro.
Insomma, credo che oggi il Governo e la maggioranza abbiano una grande opportunità, a maggior ragione perché siamo nel mezzo di una crisi spaventosa; come ha giustamente detto l'onorevole Letta, chiamatelo come vi pare: se vi dà fastidio che lo si chiami assegno chiamatelo voucher, reddito integrativo, ammortizzatore, chiamatelo pure Sacconi, Brunetta, Tremonti, non credo che Franceschini si offenderà, purché però si faccia.
Non è un problema di copertura: di coperture da scegliere penso che per una priorità come questa ve ne siano fin troppe, perché non si può non fare; e se lo farete il Partito Democratico applaudirà la vostra lungimiranza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pier Paolo Baretta. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO BARETTA. Signor Presidente, signor sottosegretario, c'è qualcosa che non va in questo Parlamento se da una settimana tutto il Paese discute di questo argomento e il Parlamento è vuoto quando viene il suo turno.
Nei giorni scorsi il sindaco di Asolo, uno dei comuni più belli ed agiati del ricco nordest, mi raccontava che ormai, ogni giorno, sono almeno tre o quattro le persone che si recano in comune a chiedere sussidi, aiuti, solidarietà concreta. Sono molti i sindaci che confermano questo crescendo di difficoltà ed evidenziano come i portatori del disagio chiedano quasi sempre di parlare direttamente ed esclusivamente con il primo cittadino, a riprova della delicatezza e della gravità della loro situazione privata, ma anche dell'imbarazzo che l'accompagna.
Questo stato di cose viene addirittura amplificato se parliamo con i parroci o con gli operatori delle associazioni di assistenza sociale. Peraltro sappiamo che gli imprenditori denunciano una caduta drastica Pag. 47degli ordini nella misura del 40 per cento, accompagnata da una restrizione del credito da parte delle banche.
Sappiamo anche che l'area produttiva cui ho fatto riferimento, il Veneto per continuare nell'esempio (ma più in generale il nord e molta altra parte dell'Italia produttiva centro-meridionale), è costituita prevalentemente da microimprese e cooperative rette da soci lavoratori, tutte fortemente inserite nel territorio.
In questa situazione, anche laddove l'industria è all'avanguardia per capacità produttiva e penetrazione internazionale e i servizi sociali sono diffusi e di qualità, il rapporto tra crisi produttiva e crisi sociale è diretto ed immediato, e le ricadute sulle persone, le famiglie e le comunità non hanno filtri temporali apprezzabili.
Si tratta di un tessuto produttivo che in molti casi è costituito dall'indotto di quelle microimprese dei grandi settori (penso all'elettrodomestico, all'auto): ebbene, l'aggravante è che nei provvedimenti di sostegno a questi settori l'indotto non è ricompreso!
Vorrei citare un solo caso emblematico di quanto sta succedendo attorno a noi, il caso di un'azienda metalmeccanica, la Plastal di Oderzo. È uno stabilimento che negli anni Settanta fu riconvertito dalla Zoppas e diventò della Zanussi Electrolux; specializzata in componenti plastiche, fornendo non solo la Zanussi, ma la FIAT, la Volvo, la BMW, l'Iveco, si trasformò da terzista a leader mondiale indipendente, superando indenne le altre crisi cicliche degli anni scorsi nei settori. Dall'Electrolux è poi passata al gruppo svedese Plastal: insomma, signor Presidente, il classico miracolo economico italiano fatto di laboriosità, ingegno, dedizione ed inventiva imprenditoriale. Ebbene, questa azienda ora sta per chiudere nonostante la qualità dei prodotti, perché la proprietà svedese ha semplicemente dichiarato bancarotta (probabilmente a seguito di operazioni finanziarie che non conosciamo): in queste ore si sta decidendo tra fallimento e commissariamento straordinario. Questa azienda occupa 649 dipendenti e dà lavoro nel territorio ad altre centinaia di persone occupate in piccole aziende e cooperative. È un solo esempio, ma significativo: siamo nel nordest, siamo a Treviso, terra di ministri in carica.
Ho fatto cenno alla situazione presente nella parte del Paese che ha il tasso di occupazione più alto per testimoniare la gravità della situazione. L'elenco dei casi si allunga e bisogna reagire: la politica, il Parlamento, il Governo, le istituzioni hanno il dovere di dare un segnale preciso, chiaro, semplice, comprensibile ai lavoratori, agli imprenditori e ai cittadini.
Servono misure concrete immediatamente operative perché, signor Presidente, quando, come capita ormai quotidianamente ai sindaci ed ai parroci, ci si trova di fronte a quel dramma sociale o familiare, allora ci vuole sensibilità, discrezione, discernimento; ma quando, come capita a noi legislatori ed al Governo nazionale, ci troviamo ad affrontare il problema generale della crisi e siamo chiamati a contrastarne la sua evoluzione, quando siamo cioè di fronte alla responsabilità di rispondere ai grandi numeri che ci provengono dalle statistiche, ci vuole coraggio, determinazione, lungimiranza, ma soprattutto rapidità di intervento.
Quando si tratta di assumere le scelte politiche necessarie ad evitare il rischio di uno smottamento degli argini sociali e produttivi, non c'è tempo da perdere: e il nostro Paese, purtroppo, ne ha perso anche troppo di tempo ed oggi, con il vostro «no» alla nostra mozione, si continua a perdere tempo.
Non convincono gli argomenti contrari. Ho sentito il Presidente del Consiglio dire che la proposta dell'assegno per chi perde il lavoro, ovvero un'indennità per i licenziati che non abbiano altre protezioni, non poteva essere accolta perché non c'erano i soldi, ma dopo poche ore ho ascoltato stupefatto che c'è addirittura un «tesoretto».
Ho sentito ancora che l'assegno siffatto, come ricordava poco fa l'onorevole Madia, incentiverebbe il licenziamento ed il lavoro nero. È un tema serio, che non sottovaluto, perché mette in evidenza il rischio di abusi, ma non è un buon argomento Pag. 48quello che, per paura che rubino il salvagente, si lascia annegare il nuotatore.
Ho ascoltato l'onorevole Della Vedova che ha criticato la mozione perché l'ha considerata disancorata dalla riforma del mercato del lavoro e del welfare. L'onorevole Della Vedova - mi dispiace che non sia in Aula - ha svolto un intervento molto interessante che merita un interlocuzione, ma che è - quello sì - completamente disancorato dallo scenario che il Governo prospetta, in quanto di riforme non se ne parla (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
È stato ricordato dall'onorevole Baldelli che il Governo nei giorni scorsi ha recuperato 9 miliardi di euro (di cui 8 miliardi di euro dalle regioni) per un intervento sugli ammortizzatori sociali. Bene, non vi è ancora alcuna proposta di riforma degli ammortizzatori sociali; il Libro verde sta per diventare bianco e ci auguriamo che arrivi presto al dibattito in Parlamento. Non vorrei, che si avveri il rischio che, a causa o degli argomenti un po' grossolani del Presidente del Consiglio o dei raffinati argomenti dell'onorevole Della Vedova, il risultato sia che non se ne fa niente e che si pensi che la crisi si risolva da sé.
Mi riferisco anche ad ulteriori politiche di risanamento che, in un'ottica di collaborazione reciproca, potrebbero essere individuate. A tale proposito, l'onorevole Della Vedova ha citato le pensioni, che rappresentano un tema. Vorrei ricordare, tuttavia, che quando si parla dell'accordo per il superamento dello scalone, è giusto dire che questo costa, vanno ben precisate le cifre, ma va anche ricordato che il risultato di quell'accordo è che a regime l'età pensionabile aumenta oltre quanto era previsto dallo scalone.
Voglio aggiungere, inoltre, che sul tema previdenziale si converrà che i risparmi previdenziali, a meno che non si chiudano le finestre di uscita, daranno dei risultati finanziari solo dopo che il ponte di Messina sarà stato inaugurato. Nel frattempo bisogna anche riconoscere che il problema dell'aumento dell'età pensionabile - problema molto serio tenendo conto degli incrementi demografici fortunati che abbiamo nel mondo - non può essere affrontato in un regime contributivo come quello che stiamo attivando con la secca obbligatorietà dell'aumento dell'età, ma con un andamento di flessibilità all'uscita; fatevelo spiegare dall'onorevole Cazzola.
Insomma, in sostanza tutto questo sta dimostrando, fuori delle polemiche, - mi sia consentito - che quello che ci preoccupa è l'atteggiamento che avete. Anche il dibattito di oggi continua a dimostrare che avete un atteggiamento da ordinaria amministrazione. Questo ci preoccupa - ed uso appositamente il termine «preoccupazione» -, perché la battaglia politica non mi fa e non ci fa dimenticare che qui ed ora vi è un interesse che viene prima di quelli di parte, ed è l'interesse del nostro Paese e di chi vi lavora.
La coscienza della gravità della situazione e della sua non breve durata deve far prevalere in noi il senso di responsabilità. Non ignoriamo che questa crisi trae origini lontane dal nostro Paese e che, quindi, non può essere addebitata per la parte internazionale al vostro Governo e, in generale, ai Governi nazionali.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

PIER PAOLO BARETTA. Allora, è proprio per questo che è incomprensibile che non vi apriate al dialogo, alla collaborazione, alla ricerca di soluzioni, ma vi chiudiate, invece, in una sorta di autosufficienza ed autoreferenzialità che nemmeno il consenso elettorale e politico di cui disponete giustifica.
Avete fatto lo stesso errore dopo la crisi del settembre 2001 e ne avete pagato le conseguenze alla scadenza della legislatura. Il nostro dovere è dire la verità ai cittadini. La fiducia di cui il Presidente del Consiglio è giustamente fautore non risolve le difficoltà attuali che prefigurano uno stato di emergenza solo con un astratto richiamo alla speranza, o con una pur doverosa pacca sulla spalla, dicendo: vedrete che ce la faremo. Non possono rispondere così quei sindaci, quei parroci, quegli operatori sociali; noi non possiamo rispondere così. Pag. 49
Allora in conclusione questa mozione, per il suo contenuto e il profilo con cui è stata presentata, rappresenta un'occasione per il Governo e per la maggioranza, ma - signor Presidente, cari colleghi - se il Governo continuasse a rifiutarla, ostinato, questa sarà anche un'occasione per il Parlamento. Il Parlamento italiano dia, in questo frangente, una prova di compattezza, di sensibilità e di responsabilità, approvando una proposta che darà a milioni di cittadini una risposta concreta ai loro bisogni ma anche il senso di una vicinanza tra loro e le istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare, e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

EUGENIA MARIA ROCCELLA, Sottosegretario di Stato per il lavoro, la salute e le politiche sociali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori e per un richiamo al Regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, interverrò contestualmente sull'ordine dei lavori e in modo specifico per un richiamo all'articolo 24 del Regolamento (le rubo pochissimi minuti). In quest'aula e al di fuori della stessa l'onorevole Baldelli e i suoi colleghi di partito hanno ripetutamente sostenuto che il dibattito che stiamo svolgendo è una gentile concessione da parte della maggioranza. Vorrei dirle signor Presidente, avendo avuto l'onore di partecipare per la prima volta ad una Conferenza dei presidenti di gruppo nell'occasione in cui è stata presa questa decisione, che la deliberazione di inserire la mozione firmata dal collega Franceschini all'ordine del giorno della seduta odierna e poi dei lavori della Camera nei prossimi giorni non è una gentile concessione, né della maggioranza né del Governo, ma rappresenta l'esercizio di un diritto dell'opposizione.
Infatti l'opposizione, rivolgendosi al Presidente della Camera, ha comunicato che intendeva sostituire la mozione all'ordine del giorno per questa settimana con una che riteneva più urgente, anche per il dibattito politico che aveva aperto nel Paese. Ne è seguito che la mozione sugli enti locali, all'ordine del giorno per questa settimana, è stata rinviata alla prossima settimana, essendo peraltro interna al dibattito sul federalismo che sicuramente impegnerà la Camera in una sorta di sessione la prossima settimana.
Qualcuno ha sostenuto che ciò rappresenta un eccesso di disponibilità nei confronti dell'opposizione, la quale ha diritto - come lei sa, signor Presidente - al 25 per cento delle proposte in esame nel calendario. Ho ricordato al Governo, nella persona del Ministro Vito, e anche ai colleghi della maggioranza, che ciò rappresenta un ritorno. Infatti, basta volgere lo sguardo ai resoconti stenografici dei periodi di esame della finanziaria e di provvedimenti economici che avevano urgenza, e si riscontra che in più di un'occasione l'opposizione non ha potuto esercitare il suo diritto del 25 per cento, perché vi erano delle oggettive urgenze sulla base delle quali occorreva concludere i lavori in quei giorni senza considerare le proposte dell'opposizione. Lo dico semplicemente perché, ogni tanto, ci vorrebbe una sorta di maggiore onestà intellettuale soprattutto tra di noi.
Allo stesso modo - mi riferisco alle parole dell'onorevole Baldelli che è andato via, e non voglio «impiccare» l'onorevole Roccella ad un determinato ruolo, seguendo i resoconti stenografici - trovo che in un confronto anche aspro occorra mantenere un minimo di onestà intellettuale oltre che di bon ton, considerato che, quando vi sono colleghi che rimangono in Aula, un rappresentante della maggioranza normalmente potrebbe rimanere ad Pag. 50ascoltare quello che si dice. Ciò comporta un riconoscimento dell'avversario, criticandolo se si è in grado di criticarlo sulle proposte dall'inizio alla fine (lo ripeto, ammesso che si sia in grado di criticarlo). Oggi abbiamo sentito il collega Baldelli sostenere che qui si è parlato sostanzialmente di «aria fritta» quando, invece, tutti gli interventi sono stati nel merito. Lo dico per difendere il lavoro dei colleghi del Partito Democratico i quali, dal primo all'ultimo, sono intervenuti - lo ripeto - punto per punto, per spiegare una proposta organica sulla quale palesemente il Governo si trova a rincorrere.
Non a caso è stata poi presentata una mozione il cui primo firmatario non è neanche in grado di venire ad illustrarla. Io immagino, considerata l'eleganza del collega, che l'onorevole Cazzola casualmente non fosse in Aula a illustrare la mozione a sua prima firma, forse perché ha avuto un rigurgito di dignità. Prima che qualcuno sostenga che si sta parlando di «aria fritta» e considerato che una mozione della maggioranza è stata accodata solo in quanto noi ne abbiamo posta una al dibattito politico prima ancora che al Parlamento, credo che ciò rappresenti il sintomo del fatto che, quando si parla di confronto e di rispetto, ne basterebbe molto poco. Mi riferisco al rispetto prima umano che politico nei confronti di altre persone che si possono criticare, ma non si può sostenere l'insostenibile, ovverosia che noi oggi abbiamo parlato di nulla, che abbiamo fatto soltanto discorsi demagogici. Chiunque oggi abbia avuto la possibilità di ascoltare gli interventi del gruppo del Partito Democratico ha potuto apprezzare un serio approfondimento del merito delle questioni e non certo semplicemente un dibattito demagogico.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, non sono del tutto sicuro che la seconda parte del suo intervento fosse sull'ordine dei lavori, ma usiamo un margine di elasticità.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 10 marzo 2009, alle 10,30:

1. - Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali e il seguito dell'esame, con prosecuzione dopo il punto 2 con votazioni):
S. 1341 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 gennaio 2009, n. 3, recante disposizioni urgenti per lo svolgimento nell'anno 2009 delle consultazioni elettorali e referendarie (Approvato dal Senato) (2227-A).
- Relatore: Lorenzin.

(ore 18, con votazioni)

2. - Seguito della discussione della mozione Mecacci ed altri n. 1-00089 concernente iniziative per il rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche in Tibet.

La seduta termina alle 18,50.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DELLA MOZIONE N. 1-00125

Mozione n. 1-00125 - Assegno mensile di disoccupazione

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 1 minuto (con il limite massimo di 7 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore 19 minuti
Popolo della Libertà 1 ora e 19 minuti
Partito Democratico 1 ora e 8 minuti
Lega Nord Padania 36 minuti
Unione di Centro 31 minuti
Italia dei Valori 30 minuti
Misto: 15 minuti
Movimento per l'Autonomia 8 minuti
Liberal Democratici - Repubblicani 4 minuti
Minoranze linguistiche 3 minuti

(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione della mozione.