XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 45 di mercoledì 30 luglio 2008

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 10,10.

ANGELO SALVATORE LOMBARDO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Aprea, Bonaiuti, Brancher, Brugger, Caparini, Cirielli, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Donadi, Leone, Lo Monte, Melchiorre, Pescante, Roccella, Romani, Rotondi, Soro, Stefani e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Nuova convocazione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi per la sua costituzione.

PRESIDENTE. Comunico che, nella seduta di ieri, la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi non ha potuto procedere alla propria costituzione.
D'intesa con il Presidente del Senato, la predetta Commissione è stata pertanto nuovamente convocata per giovedì 31 luglio 2008, alle ore 14, nella sede di Palazzo del Seminario.

Discussione del disegno di legge: S. 759 - Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007 (Approvato dal Senato) (A.C. 1519) (ore 10,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame di tale disegno di legge è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Ricordo che il termine per la presentazione degli emendamenti è fissato alle ore 12 di oggi.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1519)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il Presidente del gruppo parlamentare della Lega Nord Padania nePag. 2ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto altresì che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole La Malfa, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIORGIO LA MALFA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'esaminare il disegno di legge n. 1519 di ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona, che a sua volta modifica il Trattato dell'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e altri atti connessi, il Parlamento deve tener conto di due esigenze che, in parte, sono fra loro contrastanti. Da un lato, vi è l'esigenza, affermata dal Governo, dalle forze politiche, sottolineata dal Presidente della Commissione Barroso, in occasione della sua visita in Italia e della sua audizione al Parlamento italiano, di procedere molto rapidamente, per dare un segno che l'Italia, concordando con il Trattato che il Governo ha firmato, ne desidera l'entrata in vigore al più presto possibile, superate le difficoltà che nascono dal «no» del referendum irlandese; ma, dall'altro, vi è la necessità, altrettanto importante e sentita, di fare il punto sul problema europeo, sulla crisi in cui il processo di integrazione europea - bisogna riconoscerlo - si dibatte da molti anni.
Il precedente Trattato, il Trattato cosiddetto costituzionale firmato a Roma nel 2004, fu fermato dal «no» referendario della Francia e dell'Olanda; il Trattato di Lisbona, che ne ha preso il posto, è oggi fermato dal «no» referendario dell'Irlanda: c'è quindi un malessere evidente nelle opinioni pubbliche europee; sarebbe un errore grave non esaminare a fondo tale problema.
Nella nostra discussione, quindi, se da un lato, come relatore, auspico che il Parlamento possa rapidamente giungere al voto conclusivo sul provvedimento in esame, dall'altro vorrei che, nel corso della discussione sulle linee generali che si svolgerà in queste ore, vi sia il tempo e il modo per approfondire tutti gli aspetti della vasta crisi europea, che non possiamo sottovalutare nella sua importanza.
Da questo punto di vista, signor Presidente, essendo breve il tempo conferito in Aula al relatore, mi limiterò in questa sede a poche considerazioni, rinviando ad una relazione più lunga e dettagliata della quale chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna. In tale relazione, da un lato, ho ripercorso la storia di questi 20 anni di tentativi di progresso istituzionale europeo, e, dall'altro lato, ho esaminato la struttura del trattato di Lisbona e le sue novità rilevanti, soffermandomi in particolare, come vorrei fare ora, sulla natura del problema politico, della difficoltà che il cammino della integrazione europea incontra, sul modo di farvi fronte e sulla questione del voto irlandese.
È dalla fine degli anni Ottanta che l'Europa è alle prese con il problema del rafforzamento delle istituzioni. Quando nell'aprile 1989, l'allora presidente della Commissione europea Delors presentò il piano per l'Unione monetaria europea - che poi divenne la base per la creazione dell'euro e l'istituzione della Banca centrale europea - fu detto che, parallelamente alla nascita dell'unione monetaria, bisognava accelerare anche la nascita dell'unione politica europea: fu dunque convocata una conferenza intergovernativa, parallela a quella che doveva elaborare - ed elaborò - la parte monetaria del trattato di Maastricht, che doveva puntare al rafforzamento delle istituzioni europee. Mentre però la parte più tecnico-monetaria ebbe pieno successo e fu inserita nel Trattato di Maastricht e poi realizzata puntualmente nel corso degli anni successivi, la parte politica incontrò invece enormi difficoltà e sostanzialmente produsse assai poco.
Immediatamente dopo la caduta del muro di Berlino, quando si pose il problema dell'allargamento dell'Unione europea, scelta giusta ed inevitabile che abbiamo preso credo con il larghissimo accordo di tutte le grandi forze politiche europee, lo stesso presidente Delors dissePag. 3che, parallelamente a tale allargamento, sarebbe stato necessario un approfondimento: e cioè la creazione di istituzioni europee più capaci di decidere prontamente, così da affrontare il governo di una comunità che tendeva ormai a 500 milioni di abitanti, classificandosi così come una delle grandi democrazie del mondo.
Per rispondere a tale esigenza si ricorse in un primo tempo a conferenze intergovernative che portarono all'adozione dei trattati di Amsterdam e poi al trattato di Nizza. Esse portarono però con sé un giudizio complessivamente sempre di insoddisfazione per la modestia dei risultati realizzati in confronto alla necessità di creare un'Europa capace di decidere e quindi di pesare nel mondo in base alla sua grande forza economica e demografica, ma anche ai suoi principi e valori - principi e valori che, lo sappiamo, non solo sono importanti per noi, ma per il mondo intero. Perché l'Europa è già oggi una comunità di valori e ha una sua identità dal punto di vista di ciò che rappresenta: quello che le manca sono gli strumenti per far pesare pienamente questa sua identità.
Dopo la conferenza di Nizza si è seguita un'altra strada, diversa rispetto a quella delle conferenze intergovernative: quella cioè delle convenzioni con il coinvolgimento dei parlamenti nazionali. Ed è questa la strada che ha prodotto il Trattato costituzionale, anche se poi ha portato alla bocciatura francese e olandese.
Ciò che desidero mettere in evidenza, signor Presidente ed onorevoli colleghi, poiché mi pare che sia questo il nodo politico del problema europeo di oggi, è che, mentre da un lato, vi è l'esigenza, profondamente sentita da governi e parlamenti, di rafforzare le istituzioni europee per far corrispondere la forza delle istituzioni europee al ruolo che l'Europa potrebbe e dovrebbe giocare in se stessa e nel mondo, dall'altro lato cresce in modo significativo nell'opinione pubblica un senso di opposizione rispetto all'Europa.
Lo denunciano i sondaggi, così come il fatto che un grande Paese europeo ed europeista, come l'Olanda, ha votato «no» al trattato; lo denuncia, inoltre, il fatto stesso che Paesi europeisti, come è certamente l'Italia, se vi dovesse essere un sondaggio o un referendum, probabilmente esprimerebbe risultati molto diversi, per esempio, da quella unanimità - e ne sono lieto - che si è manifestata qualche giorno fa al Senato in sede di votazione per la ratifica del Trattato (di certo non vi sarebbe un voto referendario all'unanimità, come è accaduto al Senato italiano). Qual è, allora, la natura di questo problema, da che cosa nasce? Se vogliamo riprendere il cammino dell'Europa, dobbiamo infatti affrontare bene tale aspetto. Il problema nasce, a mio avviso, da una contraddizione. Da un lato, siamo tutti consapevoli che servono istituzioni di livello europeo che guidino la politica estera, la politica economica e la politica di difesa; sappiamo, cioè, che è importante avere creato l'euro e la Banca centrale europea che, come ci è stato detto e come è stato affermato, protegge, ad esempio, le economie europee dall'instabilità finanziaria. Ma, nello stesso tempo, vi è nei cittadini una sensazione forte che ha un suo fondamento, e cioè che quelle istituzioni europee - quelle che ci sono o quelle che potrebbero nascere - sono tuttavia lontane da un controllo democratico.
La questione che fu sollevata, ormai trent'anni fa, del deficit democratico dell'Europa è la questione. Se siamo insoddisfatti del Governo del nostro Paese o siamo insoddisfatti del Governo della nostra regione o del nostro comune, sappiamo che, nel giro di qualche anno, vi saranno delle elezioni nelle quali potremo esprimere il nostro desiderio di cambiamento. Ma se siamo insoddisfatti della politica della Commissione europea o delle scelte della Banca centrale europea, se non siamo d'accordo sulla politica estera delineata dal Consiglio europeo, come cittadini dell'Europa e come cittadini italiani che sono soggetti, in larghissima parte della loro vita, al Governo europeo come possiamo o facciamo ad influire su quelle scelte? Possiamo certo votare per un Governo il quale poi nominerà un membro della Commissione o il suo Presidente, maPag. 4quel Presidente della Commissione risponde agli europei? No! E quel Consiglio europeo, nelle sue scelte, risponde ai cittadini europei? Questo è il nodo politico della questione! Abbiamo bisogno - e ne siamo consapevoli - che occorre spostare verso l'Europa poteri e istituzioni che siano dotate di capacità di decisione, ma non sappiamo (o meglio, lo sappiamo e lo temiamo) se, una volta spostati dei poteri verso le istituzioni dell'Europa, saremo in grado, su quei poteri, di esercitare un controllo democratico, un indirizzo. Cosa possiamo dire alla Banca centrale europea? Abbiamo un Ministro del Tesoro europeo che possa, quanto meno dialetticamente rispetto alla Banca centrale europea, rappresentare una posizione? No, quindi questo è il problema.
Ed è questa la ragione per cui gli olandesi, i francesi e gli irlandesi manifestano il loro voto contrario. Ho considerato del tutto sbagliata la posizione che qualche volta sento ripetere nei confronti degli irlandesi: ma come, hanno avuto tanti vantaggi dall'Europa e votano «no»? Ma che razza di ragionamento è questo! Anche l'Italia ha avuto moltissimi vantaggi dall'Europa, ma se volesse giudicare negativamente un trattato e decidesse di non andare avanti, ciò sarebbe nella sua piena legittimità. E non lo farebbe necessariamente perché ha perso spirito europeo, ma forse perché vuole un'Europa che sia controllata dai cittadini europei. Questo è il dilemma davanti al quale si trova l'Europa! Ha bisogno di rafforzare le istituzioni europee, ma ha bisogno anche che quelle istituzioni europee possano essere soggette ad un controllo democratico più pieno e penetrante di quanto non sia possibile fare oggi nei loro confronti. Questo è il dilemma! Avremmo bisogno, in altre parole, di muovere verso un Governo federale vero e proprio dell'Europa come auspicava Spinelli, il quale aveva colto un problema. Quando negli anni lontanissimi del primo Trattato di Roma, nel 1957-58, chiese al movimento federalista di opporsi a quel trattato, egli sosteneva infatti che il passaggio federalistico potesse avvenire soltanto per decisione politica, mentre non sarebbe potuto avvenire passo dopo passo secondo il modello e la speranza di Monnet e della corrente funzionalista.
Ad un certo punto la forza degli Stati nazionali e le loro resistenze alla concessione della sovranità a livello europeo sono talmente forti e radicate e si sono rafforzate con il successo dell'Europa. Si tratta di un altro dei paradossi su cui voglio richiamare l'attenzione. Si sono rafforzati gli Stati nazionali, quegli stessi Stati nazionali che, usciti debolissimi dalla seconda guerra mondiale, dovettero accettate le istituzioni europee come elemento della loro nuova legittimazione.
Tuttavia, gli Stati nazionali che hanno prodotto questo successo che oggi è l'Europa sono molto meno pronti ad accettare un'ulteriore perdita dei loro poteri. Ne volete un esempio? Il fatto che di tutti i campi in cui siamo riusciti ad incidere sul principio dell'unanimità, quello in cui, tuttavia, non ci si è riusciti è la politica estera. In tale ambito è nato il Ministro degli esteri europeo. Esso si chiama Ministro degli esteri ma, in realtà, opera verso l'esterno (questo è ribadito anche nel Trattato di Lisbona) solo nella misura in cui vi è l'unanimità dei Paesi. Gli Stati nazionali rifiutano il principio di delegare la politica estera alle istituzioni europee. Questo è il dilemma davanti al quale si trova l'Europa, signor Presidente, che ha bisogno di andare avanti verso istituzioni sovranazionali, ma, nello stesso tempo, avrebbe la necessità di un sistema democratico pieno, in assenza del quale le resistenze dei cittadini europei all'approvazione di queste norme si stanno manifestando forti e aumenteranno nel corso del tempo.
Evidentemente oggi, nel Parlamento italiano, non possiamo fornire una risposta a questo problema. Tuttavia, dobbiamo analizzarlo nella sua complessità e parlarne approfonditamente. La conclusione è che dobbiamo approvare il Trattato di Lisbona che, come ho cercato di dimostrare nella relazione che ho svolto in Commissione e che, nelle sue linee, vorrei allegare a questa mia più breve relazione, contiene delle novità molto importanti chePag. 5giustificano l'approvazione del Trattato, sia nei confronti di coloro che sono molto favorevoli all'istanza cosiddetta federalistica, sia nei confronti di quelli che guardano l'Europa come un meccanismo di buon funzionamento dei nostri Paesi. Il Trattato di Lisbona si raccomanda alla nostra approvazione e ho la speranza che, in qualche modo, il problema irlandese possa essere risolto. Non so come, ma vorrei evitare di adoperare i toni un po' paternalistici che talvolta vengono usati verso l'Irlanda, come se non avesse capito quello che ha fatto. È necessario maggiore rispetto nei Paesi. Non si deve affermare, come ha fatto qualcuno, che in fondo si tratta di meno dell'1 per cento della popolazione europea. Come possiamo attribuire il diritto di fermare l'Europa all'1 per cento della popolazione? No, l'Irlanda è uno dei grandi Paesi che fa parte dell'Europa e ha diritto di esprimersi e dobbiamo convincerla. Ha il diritto di essere convinta e dobbiamo cercare di convincerla.
In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi, approviamo il Trattato di Lisbona ma non sottovalutiamo il dilemma molto difficile davanti al quale si trova l'Europa, bloccata a mezza strada fra il cammino verso una federazione, che diventa più difficile rispetto a cinquanta anni fa, e l'impossibilità di tornare indietro, perché ciò vorrebbe dire condannare ciascuno dei nostri Paesi, oltre che l'Europa, all'irrilevanza sul piano mondiale. Serve, questa è la mia conclusione, molta pazienza, molta capacità politica e molta capacità di parlare con le opinioni pubbliche e spiegare loro esattamente qual è il senso profondo di ciò che stiamo cercando di fare e che abbiamo compiuto negli ultimi cinquanta anni.
Inoltre, si deve avere fiducia perché il tempo produrrà quello che scrisse Benedetto Croce in una bellissima pagina che conclude la sua Storia d'Europa nel secolo decimonono che uscì negli anni bui della dittatura, nel 1932. Egli diceva di vedere all'orizzonte - in quegli anni così terribili - il nascere di una grande federazione europea, perché così si esprimeva. L'identità europea, spiegava Benedetto Croce, nascerà più che dalle scelte politiche dagli stati d'animo. Inoltre, così come un giorno i cittadini di Napoli, della Sicilia, del Piemonte e della Toscana si scoprirono italiani, senza con questo rinunziare ad essere napoletani, siciliani, piemontesi e toscani, allo stesso modo i tedeschi, gli inglesi, gli italiani e i francesi scopriranno di essere tutti insieme europei, amando, perciò, non meno ma di più la loro patria storica e anche la loro patria che essi hanno costruito.
Credo che ci voglia pazienza, e come diceva Goethe: «Ci vogliono giorni, passano anni». Noi, quindi, dobbiamo sapere che il cammino dell'Europa richiede giorni e, dunque, molti e molti anni, molta fede e pazienza (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, la Presidenza autorizza sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della sua relazione.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Sta bene.
È iscritto a parlare l'onorevole Pili. Ne ha facoltà.

MAURO PILI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con la ratifica del Trattato di Lisbona da parte del Parlamento italiano si avvia a conclusione uno dei processi più complessi e controversi della revisione comunitaria dal Trattato di Roma ad oggi. Si tratta di un Trattato e non di una Costituzione. Non è solo una questione lessicale, ma una sostanziale differenza nell'approccio istituzionale e politico alla nuova Europa. L'entità europea disegnata dalla naufragata proposta di Costituzione non si ferma, ma in molti casi subisce una profonda battuta di arresto. Si ferma - per essere più chiari - l'EuropaPag. 6dei popoli. Rallenta la visione di un'Europa condivisa e condivisibile nella sua unitarietà costituzionale di storia, di cultura e di valori. Con questo Trattato, va invece avanti l'Europa degli Stati chiamati a svolgere quel difficile, ma irrinunciabile, compito di cerniera tra le esigenze sempre più marcate di un'Europa federale e quelle sempre più consistenti dell'Europa dei popoli che si levano con forza in ogni angolo del vecchio Continente.
La relazione del relatore mi fa considerare acquisita la ratifica del Trattato di Lisbona. La storia italiana, il ruolo svolto dal nostro Paese nella nascita della comunità e poi dell'Unione non lasciano margini di manovra. Quindi, approvazione sarà. Ma se è vero - come è vero - che l'Italia è paese fondatore e costituente è altrettanto ineludibile che, proprio per questa ragione, il nostro Parlamento e il Governo del nostro Paese siano chiamati a svolgere un ruolo illuminato e non succube della storia dell'Europa.
Essere padri dell'Europa, non significa assecondare vizi e deformazioni, che pure in questi anni così copiosi si sono rappresentati alle comunità nazionali: da un profondo deficit democratico all'eccessiva burocratizzazione delle istituzioni. Padri responsabili hanno il compito, anzi aggiungerei il dovere, di mediare, di salvare le radici comuni, ma anche e soprattutto quello di rilanciare un progetto costituzionale, capace di affrontare con coraggio e determinazione le nuove sfide sociali, politiche ed economiche del futuro.
È vero che il Trattato di Lisbona è frutto di una complessa mediazione, non affronta il cuore del problema costituente dell'Europa, ma si fa carico di affrontare alcuni nodi vitali e strutturali della nuova visione comunitaria: con questo Trattato l'Europa incrementa il proprio potere decisionale, accresce la partecipazione democratica potenziando in questo caso il potere dei nostri Parlamenti nazionali. Rafforza una coerente azione europea nello scenario internazionale.
È vero che in questo nuovo Trattato non ci sono bandiere, né l'inno, né simboli, ma margini rilevanti ed importanti per rimediare alle deficienze del passato e del presente e rilanciare quella sinergia fondamentale tra la visione unitaria europea e la sussidiarietà tra Stati ed Europa.
Onorevoli colleghi, se oggi tuttavia tentassimo di approvare il Trattato di Lisbona senza porgere alla nostra attenzione quei rilievi franchi e indispensabili sul percorso e sulla sostanza, rischieremo di commettere un errore di presunzione e di superficialità. Per cogliere appieno le potenzialità di questo nuovo Trattato, occorre fino in fondo assumere piena consapevolezza dei suoi limiti.
Per questa ragione mi soffermo su tre questioni che ritengo fondamentali. La prima: la missione alta e lungimirante dell'Europa e le esigenze dei popoli che la formano. La seconda: il rapporto tra i singoli Stati membri e l'Unione europea. Infine, la terza: la valorizzazione delle diversità e delle specificità regionali.
Prima di tutto, colleghi, la grande sfida sino ad oggi rimasta ancorata ad una visione immaginaria dell'Europa: mi riferisco all'esigenza di rendere i popoli dell'Europa protagonisti di un processo non verticistico ma condiviso, positivo e non impositivo. Un'Europa che sa affrontare le questioni preminenti della propria comunità, che parla la stessa lingua del proprio popolo e quindi lingue diverse, ma con un comune sentire; ovvero le aspirazioni sociali ed economiche che emergono in ogni angolo del nostro Continente europeo, che sono aspirazioni sociali, economiche, culturali e politiche di chi oggi vuole partecipare non da emarginato ma da protagonista di questo progetto europeo. Non un'Europa che impone, ma un'Europa che condivide e che sa interpretare l'esigenza di un filo conduttore unitario e autorevole, nel contempo sintesi e valorizzazione delle specificità nazionali. Insomma, non un'Europa da laboratorio, ma un'Europa tra la gente; è questa la sfida che si misura non con i simboli ma con le azioni visibili, tangibili e percettibili dal cittadino europeo. Una missione tutta rivolta alla sfida alta di un Continente capace di giocare daPag. 7protagonista nello scacchiere mondiale, ma anche una missione tutta europea che unisce valorizzando le specificità.
C'è poi la questione del rapporto tra lo Stato membro e l'Unione europea; qui abbiamo un capitolo delicatissimo che riguarda anche il nostro Paese. Occorre un'Europa che non burocratizzi, che snellisca, un'Europa che non cancelli e che non annienti le specificità, ma le valorizzi e le sappia rispettare. Un'Europa che non ordina, ma che sa coordinare. E per questo serve uno Stato autorevole - mi riferisco al nostro Paese - e non uno Stato arrendevole. Una presunta procedura di infrazione non significa acquiescenza succube e subalterna al verbo burocratico, ma semmai opportunità per disegnare e modellare regole più vicine alle esigenze delle comunità nazionali. Un'Europa che deve saper unire sui grandi processi, ma che deve essere capace di rispettare l'articolazione statuale e quindi federale dell'impianto che si è voluto dare al progetto europeo.
L'Europa può perseguire il libero mercato energetico - mi soffermo soltanto su questo tema - ma non deve viverlo come un dogma da perseguire a tutti i costi e sulla testa di tutti, anche se non esistono le condizioni strutturali e infrastrutturali. Occorre la saggezza e il buonsenso di chi persegue l'interesse generale mettendo ogni Stato e ogni realtà nella condizione di partecipare al processo e non di essere esclusi o schiacciati dall'assenza di soluzioni strutturalmente condivisibili e perseguibili. Se in Sardegna - cito un caso regionale - le grandi industrie energivore non possono avere energia a pari costo delle altre realtà europee perché mancano le connessioni infrastrutturali, non bisogna impegnarsi, come fa l'Europa, a chiudere quelle realtà produttive, ma occorre trovare una soluzione utile per tariffe di riequilibrio, operando per la soluzione strutturale e poi consentendo di operare in libero mercato.
Infine c'è la vicenda rilevante, la questione fondamentale della valorizzazione delle diversità e delle specificità regionali. Qui mi sia consentito aprire un capitolo tutto italiano, ma credo che abbia attinenza anche con molti altri Paesi europei. Mi riferisco al riconoscimento delle specialità autonomistiche: in molti casi sono specialità culturali e identitarie, a volte sono più marcate, più strutturali, come nel caso delle regioni ultraperiferiche o insulari. Occorre, mi rivolgo all'autorevole rappresentante del Governo, che il nostro Esecutivo metta in campo azioni per il riconoscimento trilaterale, attraverso patti di governance con l'Europa, lo Stato e le regioni a statuto speciale. Occorre saper mettere come base di convincimento nazionale ed europeo che bisogna misurare il gap, per renderlo fondamento costituzionale delle politiche europee di coesione e di riavvicinamento rispetto ai parametri positivi comunitari. Occorrono misure di riequilibrio e non di vantaggio.
Occorre mettere parametri certi e non burocratici alla base della coesione europea e sul piano di temi rilevanti come la continuità territoriale, i trasporti, l'energia e la fiscalità rispetto ai quali, sino ad oggi, anche il Governo italiano, in questi ultimi decenni, ha posto l'esigenza di acquisire vantaggi e non politiche di riequilibrio. Oggi servono politiche di riequilibrio strutturali che sappiano fornire risposte compiute. Solo in questa direzione si può perseguire poi un'azione di interventi infrastrutturali, tesi ad alleviare o a risolvere i problemi legati al gap infrastrutturale.
Signor Presidente, solo con uno sguardo rivolto alla sfida alta dell'Europa, alla valorizzazione e al rispetto delle specificità statali si potrà far prevalere l'Europa dei popoli rispetto all'Europa dei burocrati, e anche i sardi potranno dire di essere sardi, italiani ed europei.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Dalla Sardegna passiamo alla Calabria! Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, siamo pronti a realizzare una cooperazione rafforzata anche con la Sardegna, tanto per stare nel tema europeo.
Vorrei svolgere alcune brevi e semplificate considerazioni. Il Trattato di Lisbona,Pag. 8lo ricordo, va anche sotto il nome di «Costituzione semplificata» proprio per distinguerlo da quello sottoscritto a Roma nel 2004 che, per le vicende ricordate sia dal relatore sia dall'onorevole Pili, connesse alle ben note posizioni assunte dalla Francia e dall'Olanda, non ha visto la luce e non si è concretizzato.
Ritengo che in questa fase sia necessario svolgere una riflessione, perché noi ci troviamo di fronte all'approvazione di una ratifica di un Trattato del quale la Commissione affari esteri si è interessata e ha discusso, però, il momento in cui questa ratifica giunge all'esame dell'Assemblea non può che essere - come ritengo che sia - anche occasione per una riflessione molto più ampia. Signor Presidente, dico questo perché tutto l'orizzonte nel quale ci muoviamo per quanto riguarda anche la vicenda del Trattato di Lisbona mi sembra limitativo, in quanto questa dovrebbe essere un'occasione per riflettere e rimeditare sul ruolo dell'Europa, con riferimento alle grandi passioni, intuizioni e lungimiranze di chi ha parlato dell'Europa e l'ha varata negli anni del dopoguerra e ai risultati che si sono raggiunti nel corso degli anni.
Ricordo, come tutti, quali sono stati i primi passi dell'Europa: la CECA, l'Euratom, ma soprattutto lo sforzo compiuto dai governanti illuminati del tempo di fare dell'Europa un'area di pace, superando le fasi di grande destabilizzazione internazionale che avevano prodotto le due guerre distruttrici di cui l'Europa fu certamente una protagonista in termini negativi.
Se questo è il dato, signor Presidente, certo la grande ispirazione di allora fu di fare dell'Europa un insieme di Stati federati, tant'è vero che si parlò, e si parla ancora oggi, di una federazione di Stati europei. In fondo, lo scopo di questo Trattato dell'Europa dovrebbe essere quello di far traghettare da una visione confederata ad una federata dell'Europa.
Tuttavia, fino ad oggi non c'è una sufficiente attenzione rispetto a quelli che sono stati i limiti e le difficoltà di questo processo di integrazione europea. Certo, l'Europa ha determinato una lunga fase di stabilità e di pace, ma non sempre vi è stato un coordinamento ed un raccordo anche in materia di politica estera e di sicurezza. Se, infatti, abbiamo ben presente la vicenda dei Balcani, vediamo che l'Europa non si è mossa all'unisono nel portare avanti una politica di grande coerenza e di sintesi, in quanto anche all'interno di essa sono prevalse le posizioni nazionalistiche e, soprattutto particolaristiche, rispetto agli interessi di alcuni Paesi.
È necessario superare tutto ciò e capire se il processo verso l'integrazione politica è agevole o diventa difficoltoso. Pongo questo quesito in termini pleonastici, in quanto dopo la posizione dell'Irlanda noi rischiamo di discutere della ratifica del Trattato senza capire e sapere ciò che accadrà successivamente. Si è fissato un appuntamento per l'ottobre del 2008 al fine di verificare la situazione dell'Irlanda, ma siamo di fronte ad una situazione allo stato non superabile. Si pone, quindi, una questione molto forte, ovvero capire perché dove si svolgono i referendum i popoli si comportano e si esprimono in termini difformi rispetto ai Parlamenti. Non v'è dubbio, dunque, che vi sia qualche dicotomia e un distacco tra l'Europa (o l'organizzazione europea) e i popoli e i loro interessi. Questa è la vera crisi (che esiste) e far finta che oggi ci troviamo di fronte soltanto ad una semplice ratifica di un Trattato con gli inconvenienti che abbiamo ricordato, credo che sia quanto meno un atto di distrazione, una miopia e un non cogliere - come dicevo inizialmente signor Presidente - questa occasione per un approfondimento forte e per capire, per quanto ci riguarda, qual è il ruolo del nostro Paese nella costruzione europea.
Tanti sono i riferimenti ai quali ci agganciamo per dare il senso e il contenuto alle vecchie suggestioni, alle aspirazioni e ai traguardi che certamente dobbiamo raggiungere. Tuttavia, il passaggio dall'Europa economica a quella politica crea anche dei problemi. Allora, l'interrogativo di fondo è se si deve andare verso l'Europa politica o se si deve passare oPag. 9rafforzare l'area economica di mercato europeo, bloccando quelle che possono essere le suggestioni dell'integrazione politica, viste quali sono state e quali sono le difficoltà.
Ritengo che dobbiamo proseguire verso l'integrazione politica dell'Europa, con una politica europea comune in materia di politica estera e di sicurezza e con un'area penale comune in materia di giustizia. Questa è una vecchia aspirazione, tuttavia è necessario mettersi d'accordo se i passaggi sono stati coerenti a questa operazione e, soprattutto, a questo grande progetto. Ritengo che la risposta sia negativa per il modo con cui si è proceduto all'allargamento dell'Europa, ovvero senza consolidare le situazioni pregresse, ma pensando che un allargamento a ventisette Stati europei potesse essere un momento e un motivo di rafforzamento delle aspirazioni, delle suggestioni e dei progetti verso l'integrazione politica dell'Europa.
Credo che ciò sia stato un errore di fondo. Vi è stato, inoltre, un errore del nostro Paese, il quale non si è opposto ad una politica che di fatto è andata contro l'integrazione politica dell'Europa. Infatti, procedere all'allargamento senza avere una visione articolata, certamente ha significato andare contro gli interessi e, soprattutto, contro i progetti politici di integrazione politica dell'Europa. Questo dobbiamo dirlo con molta chiarezza, anche alla luce di ciò che si è verificato nel 2004 dopo Nizza, quando, signor Presidente, lei che è stato un protagonista, si faceva riferimento ad una visione comune dell'Europa, agli agganci ai valori comuni, alla storia e alla tradizione comune, ovvero alla storia e alla tradizione cristiana.
Perché allora ciò non si è voluto? Perché l'Europa non era pronta per questa visione di sintesi e a questa visione comune sui grandi valori, sulle grandi questioni e sui grandi temi e l'allargamento dell'Europa ha certamente dissolto ogni pensiero ed ogni illusione rispetto allo sforzo di dare all'Europa non una caratteristica «religiosa», ma una caratteristica e un'identità culturale che costituisse un punto di riferimento di pace sullo scacchiere internazionale.
Se i temi sono questi, signor Presidente, certo, oggi la sfida diventa molto più impegnativa e forte, perché bisogna comprendere quali sono i futuri passaggi, ovviamente per evitare - come affermava qualche collega - questa burocratizzazione dell'Europa. Non se ne parla mai, ma ritengo necessario parlare dell'Europa, nel cui centro, che va da Bruxelles a Strasburgo a Lussemburgo, si verificano continui movimenti di funzionari e di carte da una parte all'altra: ciò, chiaramente, non conferisce, sul piano politico, un forte appeal all'Europa, che invece viene espropriata della sua dimensione politica. Ciò avviene, a mio avviso, anche per il Parlamento, dove prendono il sopravvento la burocrazia ed una gestione degli interessi forti dell'Europa.
Questo, però, è un discorso che riguarda, certo, la politica internazionale, ma che deve trovare anche riscontro all'interno della nostra politica, che è quella propria di un Paese membro, per capire qual è il funzionamento, l'articolazione e il congegno di questi meccanismi. Certo, non basta affermare che bisogna avere organi istituzionali comuni. Siamo perfettamente d'accordo con le misure che prevedono che il Presidente del Consiglio europeo sia eletto direttamente per due anni e mezzo e possa coincidere con il Presidente della Commissione europea, siamo d'accordo con le misure che prevedono il ruolo del Parlamento rafforzato, che i Governi siano espressione del Parlamento (previsione che ritengo sia il punto di arrivo di un grande processo e, soprattutto, un grande traguardo da raggiungere), che prevedono una politica estera e di sicurezza comune, ma anche una politica energetica, dello spazio, dell'immigrazione comuni, così come una politica per la polizia e per la lotta alla criminalità organizzata e alle mafie comuni.
Tutto ciò è mancato nel tempo, ma, soprattutto, l'Europa ha dimostrato, proprio sul piano culturale, disunità tra nazione e nazione: sono prevalsi gli egoismiPag. 10e soprattutto i nazionalismi, che sono stati sempre più presenti rispetto a una forte azione di consolidamento e di integrazione europea.
Signor Presidente, concludo. Ho ascoltato con molta attenzione la relazione dell'onorevole La Malfa, che ringrazio per la lucidità della relazione stessa e delle considerazioni che ci ha rassegnato in questo momento. Certo, non c'è la bandiera, non c'è l'inno e non c'è un esercito, e anche se più volte si è tentato di costituire brigate di rapido intervento, questo progetto e questi processi sono saltati e si sono dissolti. Vi sono anche problemi riguardanti gli atti giuridici: rimangono ancora il regolamento, la direttiva, le decisioni europee, le raccomandazioni e i pareri e, ovviamente, rimane una visione particolare rispetto alle grandi sfide che abbiamo dinanzi a noi.
Signor Presidente, in queste condizioni ritengo che anche in altre occasioni dovremmo capire qual è il ruolo e soprattutto la posizione dei Governi nazionali. Credo che questo sia l'aspetto più impegnativo sul quale dobbiamo cimentarci. Se nel mese di ottobre 2008 la situazione dell'Irlanda non si sbloccasse, cosa si farebbe? Ripensiamo ad un'altra soluzione? Signor Presidente, ritengo che questo sia l'aspetto sul quale...

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, mi piange il cuore, ma devo invitarla a concludere.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, il cuore piange anche a me: concludo, anche per rispettare i tempi. Ho dovuto fare uno sforzo immane perché i miei colleghi vicini di banco hanno avuto qualche problema questa mattina, che vedremo di risolvere insieme. Siccome non siamo in Europa, infatti, anche a livello di Stato membro e di Parlamento nazionale possiamo risolvere qualche questione anche a livello di gruppo parlamentare (Commenti del deputato Stucchi). Ovviamente si tratta di una battuta di alleggerimento.
Ognuno ha i suoi territori, mio caro amico!

GIACOMO STUCCHI. Solidarietà italiana alla Padania!

MARIO TASSONE. Ognuno di noi pensa al passato ed anche all'integrazione dell'Italia e ciascuno di noi potrebbe passare anche al Regno delle Due Sicilie. Allora, potremmo fare un confronto sul piano politico e culturale, che potrebbe essere agevole per sciogliere nodi e interrogativi che ci poniamo anche con la ratifica di questo Trattato.
Signor Presidente, concludo facendo riferimento ad un ruolo forte del Parlamento. A suo tempo, come Parlamento nazionale, abbiamo reso permanente la Commissione politiche dell'Unione europea. Gli affari europei sono molto filtrati e ci auguriamo che l'attenzione del Parlamento italiano non sia solo in sede di esame della legge comunitaria o della ratifica di questo Trattato, ma anche in altre occasioni.
Signor Presidente, mi consenta di ringraziare il sottosegretario Scotti. Lo vedo veramente con grande piacere e gli faccio gli auguri più affettuosi anche per il suo lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati della Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.

LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, oggi discutiamo del Trattato di Lisbona ed è giusto ricordare alcuni passaggi recenti che hanno riguardato queste politiche. Francesi e olandesi, per quanto riguarda la Costituzione europea, ed ora, sul Trattato di Lisbona, anche gli irlandesi, hanno votato contro l'Unione europea così proposta. Inglesi e danesi, pur aderendo, hanno ottenuto dei distinguo, per quanto riguarda l'utilizzo della loro moneta, ma anche sulle politiche di immigrazione.
Non possiamo certo dire che tutti questi Paesi siano antieuropeisti, anzi forse grazie a loro vi sarà una Costituzione che terrà conto delle esigenze delle varie nazioni e dei vari popoli che costituiscono il continente, che non vogliono farsi uniformarePag. 11dal pensiero unico di chi antepone le esigenze dei banchieri ai valori da conservare. Tutto questo è ciò che trasmette la politica della Lega Nord nel nostro Parlamento, affinché anche il nostro Paese sia protagonista nelle politiche costituenti dell'Unione europea stessa.
Dico questo perché, ad oggi, la Costituzione europea è ancora tutta da costruire, dopo il voto negativo di Francia e Olanda e dopo che anche il Trattato di Lisbona, che doveva essere un temporaneo quadro di intenti di riferimento, non godendo dell'unanimità relativamente all'ultima espressione referendaria tenutasi in Irlanda, sarà un quadro di indirizzi da ridiscutere.
Proprio in questa visione, la Lega Nord voterà a favore, consapevole che molto c'è da fare, da discutere e anche da modificare e, proprio per questo, è opportuno essere presenti in questa fase, perché siamo - ed è giusto ricordarlo a tutti - ancora in piena fase costituente.
Gli errori fatti finora nell'Unione europea sono molteplici e hanno riversato nei territori danni a dir poco clamorosi in alcuni settori. Mi riferisco a scelte politiche fallimentari per quanto riguarda il settore dell'agricoltura. Non da ultimo, vi è il problema, ancora vigente, della chiusura politica di decine di migliaia di stalle o quello di incentivi dati per non coltivare terreni agricoli, per poi accorgersi che abbiamo bisogno di prodotti quali grano e farina, perché ci si accorge in ritardo che, avendo messo a riposo i terreni, ora mancano le materie prime.
Queste sono aspetti innegabili, di cui bisogna discutere. Guai ad accettare a scatola chiusa qualsiasi tipo di proposta che arrivi, perché ciò vorrebbe dire accettare la cecità politica. Ma questo non è l'animo degli uomini della Lega Nord, per quanto attiene all'espressione finale dell'adesione o meno a questa fase costituente.
Ma non vi è solo il tema dell'agricoltura: già nel 2005, venuti meno i contingentamenti di importazione del tessile e della calzatura, avevamo proposto dei dazi a tutela delle nostre attività, ma anche in questo caso l'Unione europea è stata debole e vi è da augurarsi che in futuro non lo sia più e cerchi di analizzare gli eventi che si sono succeduti dopo mancate prese di posizione politiche al riguardo.
Nella mia regione ad esempio, nel Veneto, è giusto ricordare che mancate scelte hanno comportato le seguenti conseguenze: cinque anni fa gli addetti assunti nel settore tessile erano 40.000, mentre ad oggi sono scesi a 17.000, cioè a meno della metà (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Allora, qualcosa che non va c'è ed è insito in scelte politiche che non sono state compiute. Infatti, o vi sono i contingentamenti di importazione o si impongono dazi o altre tasse per salvaguardare chi, nel vecchio Continente, cerca con estrema difficoltà di garantire le conquiste sociali che negli anni siamo riusciti a costruire in termini di pensioni, di assistenza sociale, di scuola, di sicurezza e via dicendo.
Entriamo in collisione con i mercati liberi, che ci mettono in concorrenza con Paesi che schiavizzano il lavoro minorile: se l'Unione europea, se il Trattato di Lisbona, e se anche la prossima Costituzione europea, che deve ancora venire, non porrà dei rimedi, anche noi dovremo rinunciare inevitabilmente a pensioni e a sistemi sociali che avevamo acquisito. Quindi, ciò significa impoverire la società, metterla in mano a chi è interessato più ai flussi bancari che non alla salvaguardia delle conquiste sociali e dei valori storici di appartenenza e di cultura dei nostri popoli.
Riguardo ai valori è giusto ricordare qualcosa e visto che - lo ripeto per la terza volta - questa è una fase costituente, sarà opportuno chiarire fin dall'inizio che nel nostro Paese - almeno questo è il messaggio che la Lega Nord manda non solo alla maggioranza di Governo, ma anche alle opposizioni - dobbiamo investire per dare risposte in primis alla famiglia naturale: dobbiamo garantire case popolari ai nostri giovani che «mettono su famiglia» e in prospettiva vogliono avere dei figli, dobbiamo garantire che le conquistePag. 12sociali e le reversibilità delle pensioni siano atte a portare avanti la nostra storia e la nostra cultura.
Infatti, anche su questi passaggi fondamentali, probabilmente per la ricerca di equilibrio in quel di Bruxelles, si è quanto meno sorvolato: abbiamo visto voli pindarici, ma non vi sono prese di posizione estremamente chiare su questi valori. Allora, è giusto che l'Unione europea, che deve darci un quadro definitivo e per ora utilizza lo strumento del Trattato di Lisbona a tal fine, sia sì aperta, ma non indifesa. Ciò non significa costruire muri e chiudersi rispetto al resto del mondo, ma parametrarsi e organizzarsi, in modo da avere con il resto del mondo interrelazioni che non siano penalizzanti, soprattutto per il vecchio Continente e per il nostro Paese, come emerge dagli esempi prima citati (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
In altre parole: l'agricoltura c'era, ce l'hanno tramandata i nostri padri, i nostri nonni ed è giusto che continui ad esserci, è giusto che le nostre attività imprenditoriali e artigianali, relative anche alla manifattura o alla trasformazione dei prodotti, possano avere un futuro.
È inutile sperare che a difesa dei mercati non controllati positivamente dalla politica, l'Italia possa salvarsi solo sulla «megaricerca» e sulle «megainnovazioni» ed è giusto ricordare che anche noi abbiamo milioni di cittadini italiani, operai, che hanno bisogno di un lavoro da manifattura: non siamo tutti scienziati, non siamo tutti laureati in ingegneria elettronica. Quindi, il tessile, la calzatura e qualsiasi altro prodotto artigianale deve avere ancora un futuro e una prospettiva di crescita, cosa che purtroppo nelle ultime ore non si sta registrando.
Ciò è anche colpa della nostra politica interna ma, soprattutto, delle mancanze che derivano da politiche di ampio respiro (che dovrebbero essere più strategiche), che partono dalla Comunità europea. Abbiamo la possibilità di uscire da questa impasse: è necessario essere chiari e pretendere patti chiari.
Per quanto riguarda i principi fondamentali che la futura Costituzione europea dovrà delineare, ci auguriamo che non siano variabili, in relazione a come ogni quinquennio potranno variare le maggioranze, a seguito delle consultazioni europee. Se i principi fondamentali adottati all'inizio garantiscono ciò che auspichiamo (e che ho appena elencato), è da auspicare, altresì che, magari, fra cinque anni, nella prossima tornata elettorale europea, non ci si trovi con una maggioranza al Parlamento europeo di sinistra (ma potrebbe essere anche di destra) che contrasti clamorosamente i principi fondamentali che nel nostro Paese sono sanciti dalla nostra Carta costituzionale. Altrimenti, tanto vale eliminare le consultazioni elettorali dei Paesi membri e votare solo per il Parlamento europeo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
I patti devono essere chiari fin dall'inizio, perché non si può vivere in Europa ed essere pronti a modificare il proprio tenore e modo di vita, le proprie aspirazioni, le proprie storie e le proprie culture ogni cinque anni. Si potrà discutere su eventuali passaggi ed organizzazioni economiche, ma sui principi fondamentali è necessario essere intransigenti: la storia recente ci insegna che è proprio su questo tema che si fa fatica a costruire la Costituzione europea unica. Se francesi, olandesi, irlandesi, inglesi e danesi hanno presentato alcuni distinguo, significa che su questi aspetti non siamo ancora perfettamente d'accordo. Pertanto, vi è da lavorare, è necessario avere le idee chiare ed essere seri e, una volta trovato l'accordo, lo ripeto, sempre sui principi fondamentali, quelli devono essere.
Un altro auspicio è che non prenda piede un «supertribunale» europeo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania) che, come abbiamo già avuto modo di constatare e contestare anche in qualche passata legislatura, si dirami nei vari Paesi, proponendo (anche se abbiamo subito preso le distanze da ciò) di «sconquassare» codici penali e codici civili di appartenenza dei vari Paesi europei. Già è difficoltoso, non solo in Italia ma anche inPag. 13altre realtà nazionali del continente, far gestire e far funzionare la giustizia interna, mettersi in mano ad un arbitro che si trova a duemila chilometri di distanza e che può interferire sulle nostre vite ci sembra il secondo punto fondamentale ed irrinunciabile da affrontare. È necessario che i principi fondamentali siano chiari e durino nel tempo, ma è necessario anche che la giustizia abbia sì diramazioni e funzioni a livello continentale, ma non entri nel merito della vita delle nazioni e, soprattutto, dei popoli che abitano anche nelle varie realtà (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania), altrimenti, significherebbe arrendersi e consegnarsi ad un destino che non ha confini. Consegnarsi a scatola chiusa a qualcosa che parte da lontano, al sottoscritto, ma anche al resto degli uomini della Lega Nord, non va ed è giusto essere chiari fin dall'inizio.
Un ulteriore auspicio è il seguente. Nel Trattato di Lisbona - questo quadro di riferimenti ancora in essere, che ci porterà alla futura Costituzione europea e sul quale vi sarà il voto favorevole della Lega Nord - vi sono protocolli di indirizzo, ma anche dichiarazioni insite.
Tali dichiarazioni sono state pretese e inserite nel Trattato, come dicevo prima, dal Regno Unito e anche dalla Danimarca. Su alcuni aspetti ricordano al resto dell'Unione di fare attenzione, perché se tali Stati appartengono al nuovo processo politico, per essi sono irrinunciabili alcuni aspetti che determinano e classificano i loro comportamenti all'interno delle rispettive realtà nazionali. Ciò non esclude che anche l'Italia possa pretendere delle dichiarazioni all'interno del Trattato di Lisbona per segnalare le proprie esigenze (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Ricordo - non da ultimo - che anche la Polonia è riuscita a far pubblicare nel Trattato delle dichiarazioni di intenti e di appartenenza. Sarà quindi compito della maggioranza di Governo - ma visto che la fase costituente è prevalentemente indirizzata a prevedere atti fondamentali, ci si augura anche dell'opposizione - fare in modo che ci sia la forza da parte del nostro Paese non dico di imporre, ma di segnalare le nostre esigenze. Dal momento che le esigenze di altri Paesi sono state recepite - perché è nero su bianco sul Trattato di Lisbona quanto sto affermando - nulla osta, anzi è auspicabile, che il resto dei Paesi membri accettino di buon grado un'Italia che entra, però, con la sua dignità (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Tale dignità serve anche a noi per poter frequentare i banchi «di comando», o meglio di Governo, non da umili servitori, ma da protagonisti. Poiché la nostra storia non ha nulla da invidiare alle storie di altri Paesi membri - anzi, potremmo anche dire, con una punta di orgoglio, che potremmo essere delle linee guida per altri Paesi nella costruzione della vita comune - i nostri valori e le nostre ricchezze possiamo portarle avanti.
Concludo aggiungendo che benché stiamo discutendo del nuovo Trattato dell'Unione, la nostra politica non si ferma a tale adesione: ricordo, infatti, che nella risoluzione sul Documento di programmazione economico-finanziaria, approvata poche settimane fa, abbiamo stabilito, dando un indirizzo chiaro al Governo, che entro metà settembre arriveranno alcune proposte di riforma costituzionale anche all'interno dell'Italia stessa. Esse dovranno valorizzare quelle realtà locali che sono studiate oltreoceano per efficienza, dinamismo, coraggio ed intraprendenza, e che devono essere la punta di diamante e la punta di orgoglio che noi portiamo, quale valore aggiunto, in Europa.
Quello che stiamo chiedendo nel nostro intervento è quello che è già successo in Spagna: la Spagna, infatti, per entrare nell'Unione Europea da subito - perché originariamente doveva entrare in seconda battuta - ha dato autonomia alle sue aree più ricche, prosperose e dinamiche (la Catalogna ne è un esempio) per dire: ci siamo, e non siamo un elemento di rottura, ma siamo un elemento di arricchimento.
Con questi intenti la Lega Nord vota a favore del Trattato di Lisbona, consapevole che è un indirizzo per arrivare ad unaPag. 14Costituzione europea, tribolata finora, soprattutto nella ricerca dei principi fondamentali. Siamo, tuttavia, sicuri che anche con il nostro contributo tale ricerca avrà senz'altro un esito positivo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la storia dell'integrazione europea costituisce un processo inarrestabile che, nell'arco di poco più di cinquant'anni, ha cambiato il modo di essere e di rapportarsi di cittadini, popoli ed istituzioni statali, legati ormai da un destino comune di pace - questo bisogna sempre sottolinearlo -, prosperità, sviluppo economico e sociale, promozione di valori comuni e tutela di diritti non più solo economici.
Dall'intuizione geniale di Jean Monnet, che fu all'origine della prima Comunità europea, si è passati poi alla creazione della Comunità economica europea, che si proponeva l'integrazione economica del mercato attraverso l'eliminazione progressiva di una serie di barriere alla libera circolazione di fattori produttivi, merci, servizi, persone e capitali. Alla Comunità economica europea si affiancava la Comunità europea per l'energia atomica, con competenza e finalità più limitate.
Attraverso l'istituzione delle prime tre Comunità - credo che questo sia stato un passaggio fondamentale della storia - formalmente distinte tra loro, prendeva vita un disegno unitario che in un primo momento aveva per obiettivo la realizzazione del mercato comune, seguendo il metodo funzionalista dei padri fondatori, e via via ampliava gli ambiti di intervento e gli strumenti d'azione, sicché si parla ora del superamento della fase funzionalista, avendo la Comunità e l'Unione europea allargato i propri settori di intervento a numerose politiche, le quali comprendono quelle sociali e ambientali, la tutela dei consumatori e molte altre, tra cui la politica economica e monetaria, che trovano fondamento nel Trattato di Maastricht che ha dato vita all'Unione europea, mentre il Trattato di Amsterdam ha «comunitarizzato» la cooperazione in materia civile e di visti, asilo e immigrazione, ponendo le basi di quello che è stato definito lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
A questi sviluppi, che hanno segnato un approfondimento dell'integrazione, sono seguiti adattamenti strutturali volti a rendere più flessibile la partecipazione ai processi decisionali - anche attraverso l'istituto giuridico della cooperazione rafforzata, reso più agile, appunto, dal Trattato di Lisbona - e più funzionale l'assetto istituzionale.
I cambiamenti così tratteggiati hanno segnato il progressivo passaggio da un soggetto a competenze limitate e funzionali ad un soggetto a finalità generali, il quale si avvicina sempre più al modo di essere e di operare degli Stati, pur differenziandosene per molti aspetti. A questi cambiamenti sostanziali, a partire dal Trattato di Amsterdam, ha corrisposto sul piano formale la nuova denominazione di Comunità europea e non più di Comunità economica europea.
Il continuum segnato dal Trattato di Lisbona, che significativamente è chiamato Trattato di riforma, compie un passaggio ulteriore nel senso del superamento del dualismo Comunità europea-Unione europea - che tanti problemi aveva creato anche sul piano della rappresentatività nella politica estera dell'Unione europea, sinora sprovvista di personalità giuridica autonoma - a vantaggio di un unico soggetto, l'Unione europea. Coerentemente con tale passaggio epocale, il Trattato istitutivo della Comunità europea cambia nome e viene intitolato Trattato sul funzionamento dell'Unione. In tal modo, sembra acquistare forza e coerenza il disegno complessivo, voluto dai padri fondatori, di un soggetto che progressivamente evolve, assumendo la conformazione di soggetto politico autonomo in grado di svolgere un ruolo attivo e propositivo sulla scena internazionale.Pag. 15
Particolare importanza riveste, in questo cantiere aperto della costruzione dell'Europa unita, l'istituzione della figura del Presidente stabile del Consiglio europeo, eletto a maggioranza qualificata per un periodo di due anni e mezzo, e la figura dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che riunisce in un'unica persona i due ruoli e le due funzioni oggi attribuiti a due soggetti diversi, l'Alto rappresentante per la PESC ed il Commissario per le relazioni esterne.
Lo strumento giuridico del processo di integrazione, trainato dalla volontà politica dei Governi, è sempre stato quello della revisione dei trattati istitutivi e di quelli ad essi successivi, dall'Atto unico europeo, al Trattato di Maastricht, al Trattato di Amsterdam, a quello di Nizza, fino al Trattato costituzionale e al Trattato di Lisbona che ci apprestiamo a ratificare. Questa tecnica di revisione dei trattati, in conformità con quanto prevede il diritto internazionale per la ratifica dei trattati stessi, ha sempre visto nel nostro ordinamento un ampio coinvolgimento del Parlamento e una partecipazione attiva di tutte le forze politiche.
La mancata ratifica del Trattato costituzionale è dovuta in parte al significato che si è voluto attribuire e riconoscere al termine «Costituzione» in rapporto ad un testo che pure si presentava nella forma di un Trattato, ma che aveva visto, nella sua fase di elaborazione, un'ampia partecipazione di soggetti rappresentativi, nelle diverse componenti dei parlamenti e delle comunità nazionali, a diversi livelli di rappresentanza.
Senza voler formulare giudizi sulle vicende ormai passate, basti evidenziare come l'insuccesso del Trattato costituzionale abbia messo in luce l'esigenza di una maggiore attenzione sul problema del deficit di democraticità dell'Unione europea - così ben evidenziato dal relatore La Malfa - e sulla distanza, avvertita ancora da molti cittadini europei, rispetto alle decisioni che li riguardano da vicino.
Il Trattato di Lisbona, che riproduce numerose disposizioni del Trattato costituzionale, riconosce, tra l'altro, un ruolo più incisivo ai Parlamenti nazionali. Inoltre, sul versante della tutela dei diritti, assume particolare rilevanza l'attribuzione alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza nel 2000 e rivista nel 2007, dello stesso valore giuridico dei Trattati, nonché la previsione dell'adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (articolo 6 del Trattato sull'Unione europea, come modificato).
È possibile prevedere che l'impegno verso una più intensa tutela dei diritti della persona, anche attraverso un'azione coerente ed armoniosa della Corte di giustizia dell'Unione europea e della Corte europea dei diritti dell'uomo, porterà ad una maggiore consapevolezza del ruolo del diritto nella costruzione di una comune appartenenza e di un più maturo senso di cittadinanza.
Nella convinzione che la forza del diritto aiuti i cittadini a percepire la coscienza di un'appartenenza ad un'unica patria giuridica, nella pluralità della patrie politiche, cementando per tale strada il demos europeo, appannato dagli eventi di questi ultimi anni, votiamo, con determinazione e con lo slancio che deriva dall'adesione al progetto originario, la ratifica del Trattato di Lisbona.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FRANCO NARDUCCI. Concludo, signor Presidente. Ratifichiamo il Trattato nella convinzione che siamo marinai che devono costruire la loro nave in mare aperto: essi possono usare il legname della vecchia struttura per modificare lo scheletro ed il fasciame dell'imbarcazione, ma non possono riportarla in bacino per ricostruirla da capo. Siamo chiamati al futuro, forti dei risultati conseguiti, siamo chiamati a costruire un'Europa che sappia essere protagonista sullo scenario internazionale e sappia interpretare le accelerazioni del presente senza vedere il futuro al passato.
Vogliamo, con questo «sì», dare forza ad un'Europa capace di essere un modello che stimola processi di crescita nel quadroPag. 16mondiale che ci chiama tutti a sfide enormi, anche sul piano della democrazia, una democrazia non imposta, ma semplicemente proposta, al mondo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Formichella. Ne ha facoltà.

NICOLA FORMICHELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Trattato di Lisbona, di cui oggi discutiamo e che ci apprestiamo a ratificare, è diventato un passaggio obbligato e scontato perché, sia a livello centrale che a livello locale, non si può più prescindere dall'Europa.
Il Trattato di Lisbona è quindi un nuovo punto di partenza. D'altronde l'Italia, già con De Gasperi, aveva scelto di non tornare indietro sulla strada della costruzione dell'Europa. Questo Trattato è una priorità: come già il Presidente del Consiglio aveva anticipato al Presidente della Commissione Barroso, l'Italia lo approverà entro il mese di agosto, e così sarà. Il Trattato è una priorità perché consente a tutti i cittadini che sono proiettati in Europa di usare al meglio le possibilità che l'Unione europea ci mette a disposizione. D'altra parte, anche il Presidente della Repubblica è stato chiaro in materia ed ha detto che se l'Unione europea mancasse questa nuova occasione per riformare se stessa non perderebbe solo slancio politico, ma anche credibilità agli occhi dei propri cittadini, dei nostri partner e dei nostri competitori mondiali.
Il Trattato è un punto di partenza, come dicevo. In sintesi, come ha ampiamente illustrato il relatore La Malfa, ci porta verso un'Europa più democratica e trasparente, più efficiente, verso un'Europa di diritti e valori di libertà, di solidarietà e di sicurezza, protagonista sulla scena internazionale, con una chiara definizione dei compiti anche in politica estera.
Penso e sono convinto, però, che, per fare tutto questo, per dare attuazione a tutto ciò, bisogna avere qualche consapevolezza in più, bisogna sentirsi più europei; non bisogna pensare che l'Europa sia soltanto burocrazia, siano soltanto leggi, siano soltanto finanziamenti che arrivano o non arrivano. L'Europa deve essere più vicina ai cittadini, e quindi, forse, anche il nostro compito è quello di comunicare a tutti i cittadini il concetto di Europa, per farli sentire veramente europei. Probabilmente, il caso dell'Irlanda è andato in quel modo soltanto perché, forse, non c'è stata una giusta ed adeguata comunicazione agli irlandesi di quello che, in realtà, è l'Europa.
Altro aspetto fondamentale, che voglio qui sottolineare, è che, proprio per dare attuazione a tutto quello che il Trattato di Lisbona ci consente, dobbiamo pensare anche ai giovani, che forse oggi sono coloro che si sentono molto più europei rispetto agli altri, perché hanno accesso a programmi come il programma Erasmus, e quindi si confrontano continuamente con i loro coetanei di tutti quanti i Paesi europei, hanno grande familiarità con gli altri giovani europei e si sentono europei. Bisogna pensare ad un'adeguata formazione, anche scolastica e universitaria, in termini europeisti; bisogna, cioè, abituare i nostri giovani, i nostri bambini, a pensare in termini europei, come d'altronde era già stato lanciato nel 2001, con le famose tre «I» del programma del Governo Berlusconi del 2001. C'era anche l'inglese; quindi, era esattamente quello di cui stiamo parlando.
Bisogna far sentire, come dicevo, l'Europa vicina ai cittadini; non bisogna sentire l'Europa come qualcosa di distante. Per questo, forse, sarebbe utile cominciare ad occuparci anche della legge elettorale per il Parlamento europeo, che lascia ancora alcune regioni senza rappresentanza nel Parlamento stesso.
C'è, però, un'altra riflessione importante che, a mio avviso, bisogna fare: per essere veramente integrati in Europa, per essere forti in Europa, bisogna che siamo, prima di tutto, uniti e consapevoli in Italia che l'Europa non è un'isola felice, dove non bisogna combattere; bisogna combattere e affermare i nostri diritti, e bisogna affermare quello che vogliamo portare avanti. Bisogna essere, però, anche unitiPag. 17nel nostro Paese, perché non possiamo vedere quello che è successo nei giorni scorsi e che è scritto sui giornali di oggi; non possiamo consentire che i nostri cittadini identifichino l'Europa con quello che è accaduto grazie al commissario Hammarberg, che è stato in Italia per 48 ore, ha fatto pochi incontri istituzionali, ha incontrato alcune associazioni abbastanza di parte, è andato a Strasburgo e i suoi funzionari, i suoi collaboratori, che sono stati sempre a Strasburgo, hanno steso una relazione...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

NICOLA FORMICHELLA. ...e hanno reso un'immagine distorta dell'Italia. Se ci impegniamo nel promuovere l'Italia in Europa saremo molto più forti, perché l'Europa è fatta di persone, non di norme e burocrazia.
Diamo gli strumenti ai giovani, e vedremo che l'Europa si farà concretamente e diventerà grande, matura e forte, e non sarà solo un insieme di norme e di trattati, ma sarà un insieme di individui, che compongono un popolo consapevole (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Farinone. Ne ha facoltà.

ENRICO FARINONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è un peccato che il dibattito odierno debba svolgersi in tempi tanto ristretti, perché è un dibattito importantissimo, in quanto riguarda il futuro del nostro continente, il futuro dell'Europa. È fondamentale ancor più, però, il risultato, ovvero la ratifica del Trattato di Lisbona.
Si è dovuto abbandonare il Trattato di Roma del 2004 e la Costituzione europea è stata una sconfitta, bisogna riconoscerlo, per quanti credono nel progetto federalista. Possiamo però affermare che il Trattato di Lisbona, sia pure sovraccaricato di pagine e paragrafi, mantiene la gran parte delle novità istituzionali previste da quello di Roma: dal rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo, che dovrà però essere ben spiegato ai cittadini da qui alle elezioni del 2009, al fine di farne comprende l'importanza effettiva per tutti, e non solo e non tanto per un ceto politico che, specie in Italia, lo considera un'istituzione secondaria, decisamente inferiore per potere e prestigio al Parlamento nazionale; alla maggiore possibilità per questi ultimi di intervenire sulla cosiddetta fase ascendente della legislazione comunitaria, quella di preparazione e costruzione della normativa; dall'allargamento dei casi di possibile maggioranza qualificata, ben sapendo ormai tutti noi che il principio dell'unanimità in un consesso a 27 sancisce di fatto l'immobilismo; alla presenza autorevole nella Commissione dell'Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune. È quindi giusto e opportuno ratificare il Trattato.
Ciò detto e ciò fatto fra poche ore, bisogna però assolutamente riuscire a togliere all'Unione europea e alle sue istituzioni quell'insopportabile patina di «burocratismo direttivistico» che negli anni l'ha resa sempre meno popolare, soprattutto fra i cittadini comuni. Perché se è vero che, laddove le popolazioni hanno bocciato l'Unione attraverso un referendum, si sono utilizzate, da parte dei suoi avversari, argomentazioni ambigue e strumenti di pressione poggianti su un generale sentimento di paura del futuro che rischia di essere la cifra di questi anni di inizio millennio, è anche vera l'immagine di un'Europa dominata da regolamenti cavillosi, da un eccesso di direttiva anche su argomenti minuti, insomma da un troppo di burocrazia che certo non favorisce la sua presa presso l'opinione pubblica. Dobbiamo allora cogliere questa opportunità, che paradossalmente ci è stata fornita dal negativo voto referendario irlandese, per trasformare nella sostanza, oltre che nell'immagine, questa Unione che offre di sé a volte un'idea un po' opaca, attendista, prudente, priva di visione per il futuro. Non sarebbe male, ad esempio, ritornare alle dichiarazioni di Laeken, e a quanto in esse si scriveva all'indomani della tragedia dell'11 settembre, ponendoPag. 18questioni politiche di primario rilievo ai fini dello sviluppo dell'Unione, constatati i successi al tempo conseguiti, dall'Unione monetaria all'allargamento ad est, alla libera circolazione delle merci e delle persone: mi riferisco alla necessità di semplificazione e di migliore ripartizione delle competenze fra Parlamento, Consiglio, Commissione, nonché di una loro maggiore trasparenza. È il tema antico del rapporto con i Parlamenti nazionali, così come allora si poneva il problema di una maggiore leggibilità dei trattati e appunto dell'opportunità di dotarsi di una Costituzione che includesse, oltrepassandola, la Carta dei diritti fondamentali. I passi indietro fatti rispetto a quel documento possono essere recuperati, e il Trattato di Lisbona è il primo segnale forte in questa direzione.
Ma vi è un settore di intervento che prima di ogni altro le popolazioni colgono, nel quale, invece della paura del vicino, si potrebbe incuneare il concetto di aiuto, di aiuto possibile, di cooperazione, di ricerca comune delle soluzioni più adatte: ed è quello economico-sociale. Oggi ciò che appare agli occhi dei più è un direttorio di banchieri e di tecnocrati che vigilano occhiutamente, senz'altro bene dal lato tecnico, ma senza alcuna attenzione agli aspetti sociali, sulla moneta unica e contro i rischi inflattivi; non si vede una guida politica che affronta problemi economici e sociali, che sono simili nei diversi Paesi, i quali vengono affrontati unicamente o quasi in ottica strettamente nazionale. Se non si cambia questo approccio nessuna Europa vera sarà alla lunga possibile. Ecco perché occorre muoversi nella direzione dell'Unione politica, e da questo punto di vista Lisbona è solo un primo passo.
Bisogna, ancora, riprendere e rilanciare con rinnovato vigore la strategia e gli obiettivi di un'altra Lisbona, quella del 2000, che non sono ad oggi stati perseguiti con la determinazione necessaria: obiettivi economici e sociali che sono, come ad esempio la diminuzione del tasso di disoccupazione, o l'incremento di quello dell'occupazione femminile, finalmente, concretamente e facilmente percepibili dall'opinione pubblica meno attenta alle questioni istituzionali, che è poi la larga maggioranza in ogni Paese.
Un ultimo punto desidererei toccare seppur brevemente, signor Presidente, prima di concludere. Dobbiamo lavorare - ho cercato di dirlo sin qui - affinché l'Unione europea e i suoi cittadini si avvicinino, nell'interesse comune.
Ma non dobbiamo per questo sottostimare il ruolo dei parlamenti, il cui voto - in occasioni come queste - è pienamente legittimo e non è contestabile da una logica referendaria che pretenda di sostituire la democrazia rappresentativa. La costruzione dell'Europa in questi cinquant'anni è stata infatti il risultato di votazioni parlamentari nelle quali ciascuno - Governi, maggioranze e opposizioni nei diversi Paesi - si è assunto le proprie responsabilità di fronte alle altre Nazioni e di fronte ai propri concittadini. Il Parlamento è il centro della democrazia rappresentativa: è in questo luogo di dibattito che la demagogia - che spesso si annida in quote di ceto politico volte a sfruttare ai propri fini le inevitabili difficoltà di ogni accordo e di ogni diplomazia - trova maggiori ostacoli, o meglio dovrebbe trovare maggiori ostacoli se ogni parlamentare svolgesse con serietà il proprio dovere. Qui si discute, si analizza e non si «sloganizza» questo o quel problema per farne facile strumento di propaganda, o almeno così dovrebbe essere. Credo che questo sia lo spirito con cui stiamo oggi affrontando questo dibattito.
Il voto di oggi è dunque un grande segnale e un grande impegno che il Parlamento italiano propone e assume per pungolare l'Europa a proseguire sulla strada intrapresa a Lisbona con l'ottimismo di chi sa che si tratta di una strada buona. Come ci ha ricordato nella sua ultima visita in Italia una grande personalità che, purtroppo, ci ha lasciati, Bronislaw Geremek, dobbiamo riconoscere con orgoglio che, cinquant'anni dopo il Trattato di Roma del 1957, l'Unione europea resta il vero successo di questo Continente in un Novecento per il resto lacerato da guerre e totalitarismi. È unaPag. 19buona ragione per non fermarsi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Farinone, anche per averci fatto ascoltare ancora una volta il nome di quel grande europeo che è stato Bronislaw Geremek.
È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, anch'io ritengo che l'occasione di oggi sia particolarmente importante. Molti degli ideali di Alcide De Gasperi si sono concretizzati nella linea precisa dell'europeismo: il fatto che i confini non siano una barriera; il fatto che vi sia una cooperazione internazionale; la scelta prima dell'integrazione fra le forze armate e poi della cooperazione di carattere economico. Ma in De Gasperi vi era anche la profonda consapevolezza che non bastava l'integrazione fra gli strumenti di difesa e che era necessario invece far progredire economicamente i meno provveduti, le aree meno sviluppate dell'Europa: che era necessaria insomma un'Europa politica. Dopo De Gasperi, quest'Aula ha vissuto grandi dibattiti sul Trattato di Roma, con uno straordinario intervento di Ugo La Malfa: e il fatto che oggi sia suo figlio Giorgio a svolgere la relazione introduttiva a questo provvedimento mi pare importante, poiché fissa una linea di continuità. Vi era una grande tensione ideale e politica che su questi temi pervadeva quest'Aula, e le grandi figure politiche del tempo - i grandi europeisti italiani - operarono in condizioni politicamente difficili, con la strenua opposizione comunista che persino sullo SME fece brillare la dialettica parlamentare dell'onorevole Berlinguer, in un contrasto profondo e acuto.
Oggi noi dovremmo dunque richiamare l'Europa dei popoli: ma non credo sia il caso di abbandonarsi eccessivamente alla retorica, poiché in questo momento storico nel vecchio continente prevalgono piuttosto le paure. Siamo consapevoli delle grandi opportunità dell'Europa, così come dei suoi limiti indiscussi. Fra i cittadini europei vi sono infatti profonde diversità di opinioni: permane una concezione diversa fra coloro che si limitano ad una visione intergovernativa e coloro che invece, guardando più avanti, spingono per un'Europa federalista. La tensione fra queste due concezioni ha prodotto un assetto istituzionale complicato e tortuoso: è così nata una complessa rete di istituzioni, talune federali, come la Commissione, e talune intergovernative, come il Consiglio europeo. Si tratta di un disegno istituzionale che manca ancora della necessaria chiarezza, e il risultato è che l'Europa fa troppo in talune aree - agricoltura, politiche sociali, coordinamento delle politiche fiscali - e troppo poco in altre, come la diffusione di un vero mercato comune nei diversi settori dell'economia.
La suddivisione delle competenze tra l'Unione e gli Stati membri dovrebbe seguire il criterio delle economie di scala. Il mercato comune, il commercio estero, la politica estera, la difesa, alcune grandi infrastrutture competono alle istituzioni comunitarie, ma la scuola, la formazione, il welfare e le stesse politiche fiscali possono essere articolate su base nazionale. Perfino negli Stati Uniti, che sono un esempio di federalismo applicato su base statuale, le regole del welfare sono diverse tra Stato e Stato. In economia non si può costruire l'Europa sul protezionismo (ed è questo l'altro elemento di fondo), perché di volta in volta seguire in qualche misura le illusioni ed accorciare le preoccupazioni attraverso una scelta protezionista - ne abbiamo avuto echi anche qui con l'intervento dell'onorevole Luciano Dussin - non credo sia la soluzione più adatta.
Sarebbe sbagliato fare diversamente: se si proteggono i mercati nazionali dalla concorrenza all'interno dell'Unione, non avrebbe senso l'Unione stessa. C'è troppo protezionismo in agricoltura e la politica agricola comune assorbe quasi la metà del budget dell'Unione europea (un settore che rappresenta meno del 2 per cento del PIL comunitario ed il 50 per cento degli atti legislativi di Bruxelles). Dico questo come un cittadino che, pur rivendicando le suePag. 20origini contadine, ritiene di dover aprire gli occhi di fronte alle cose che si debbono fare, alle attività che si debbono svolgere, ai settori che si debbono implementare ed al fatto che vi sono responsabilità di natura internazionale legate al diverso modo con il quale il mondo sta crescendo. Vi sono problemi drammatici, come quelli della fame, che certo non possono lasciare indifferenti i cittadini europei: quando si dice che noi spendiamo due euro al giorno per capo di bestiame, non possiamo dimenticare che nell'Africa subsahariana un cittadino, un uomo, dovrebbe vivere con 0,80 centesimi al giorno.
È chiaro che le cose così rendono più difficile non solo i temi dell'immigrazione, ma anche quelli della lotta al terrorismo, perché si registrano delle congiunzioni e delle connivenze che potrebbero essere molto preoccupanti per la tenuta della realtà europea e, in generale, del mondo occidentale.
Occorre rafforzare la politica comune nel campo della politica estera e della difesa, concentrare gli sforzi sull'estensione e l'apertura del mercato unico nei diversi settori dell'economia, eliminare le barriere interne alla concorrenza, rafforzare il Patto di stabilità e crescita, liberalizzare il settore dei servizi.
Quanto a Giulio Tremonti, alla Lega e alla polemica sull'euro, abbiamo ascoltato diverse volte, negli ultimi tempi, polemiche che ci sono parse del tutto strumentali. Gli attacchi all'euro o quelli alla BCE dal versante italiano che, ovviamente, non può non dimenticare la sua esperienza sulla lira, appaiono del tutto «impreveggenti» e negano una prospettiva realistica.
Come non dimenticare le politiche svalutative che rispondevano, certo, a scelte di quel tempo anche se riproporle oggi apparirebbe profondamente sbagliato? A me sembrano, piuttosto, il tentativo di depistare il dibattito, evitando di vedere quello che davvero non funziona. I conti pubblici italiani sono migliorati unicamente per la scelta di entrare nell'euro e per la radicale discesa dei tassi di interesse tra 1997 ed il 1998: non è stata certo la cosiddetta tassa dell'euro, che fu imposta dal Governo Prodi, a risolvere quel problema specifico della nostra credibilità internazionale ed europea rispetto all'euro. Quella scelta ha determinato una caduta dei tassi, sulla quale è stato poi possibile costruire un percorso più virtuoso dei nostri conti pubblici.
Le attuali difficoltà non nascono dall'euro, ma dalla lentezza della riforma dal lato dell'offerta; l'euro, anziché dare impulso alle riforme, in questi anni è stato accompagnato spesso da un rinnovato protezionismo, ed è questo il limite evidente. L'euro cammina con le gambe del marco, non cammina con le gambe della lira, e ciò richiede quindi di dar vita e corpo ad un'azione di ristrutturazione e di riforme profonde che devono essere messe nella condizione di accelerare il processo di rafforzamento della moneta e la sua più rilevante internazionalizzazione.
Così quando ce la prendiamo con la BCE, dimostriamo di non avere la capacità di affrontare i nostri veri problemi.
Per ultimo, intendo segnalare una questione molto delicata sui poteri della Commissione in materia di disavanzo eccessivo, non perché ritenga tale questione di per sé preoccupante ma perché questa scelta, che è inserita nel Trattato di Lisbona, ha delle conseguenze molto rilevanti sulle responsabilità delle politiche economiche nazionali.
Oggi la Commissione è consapevole del potere che le deriva dall'essere al vertice di singoli settori. Il Trattato sull'Unione europea ha limitato tale potere in materia di disavanzo eccessivo, attribuendo la competenza decisionale finale al Consiglio. Solo il Consiglio ha riconosciuto il potere di trasmettere il parere della Commissione allo Stato. Il ruolo della Commissione si limita alla formulazione di raccomandazioni al Consiglio ed esse non sono vincolanti. Questo è quanto avviene fino ad oggi.
Il Trattato di Lisbona, nel testo dell'articolo 104, introduce poche parole ma fortemente innovative. Esso dispone che: «La Commissione (...) trasmette un parere allo Stato membro interessato e ne informaPag. 21il Consiglio». Su raccomandazione della Commissione, «il Consiglio adotta senza indebito ritardo».
Si tratta di frasi molto semplici e che sembrano anche apparentemente innocue. Tuttavia, con le parole inserite dal Trattato di Lisbona la competenza effettiva viene, invece, sottratta al Consiglio e trasferita alla Commissione. Il primo reale atto sanzionatorio è la trasmissione allo Stato del parere sulla sussistenza del disavanzo eccessivo. Oggi vi deve provvedere il Consiglio. Invece, con il Trattato di Lisbona, la disporrà autonomamente la Commissione.
Nella disciplina tuttora in vigore la Commissione si limita a sottoporre al Consiglio una raccomandazione. Con la modifica introdotta dal Trattato di Lisbona formulerà una proposta che il Consiglio potrà emendare solo all'unanimità. I tempi per l'intervento formale sono attualmente rimessi alla discrezionalità del Consiglio. Secondo il Trattato di Lisbona il Consiglio sarà tenuto a provvedere senza indebito ritardo.
Lo spostamento del ruolo principale dal Consiglio alla Commissione non ha riguardato soltanto la distribuzione delle competenze, ma ha modificato la natura del potere. Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato a livello ministeriale. Ogni Stato membro, a mezzo del suo rappresentante, lecitamente tutela i propri interessi politici. In sede di Consiglio gli interessi politici dello Stato, in conformità alla natura dell'organo, concorrono alle decisioni alla pari di quelle istituzionali dell'Unione. L'Unione si aggiunge agli Stati, non li sopprime. I Ministri considerano le conseguenze che dalle decisioni possono discendere non solo per lo Stato specificatamente coinvolto ma anche per il loro proprio Stato in future occasioni. La comprensione reciproca può aiutare a risolvere problemi propri anche di natura diversa già sul tappeto o prossimi a maturare.
Con il trasferimento del ruolo dominante alla Commissione tutto ciò si riduce. La Commissione è tenuta a perseguire solo gli interessi istituzionali dell'Unione. Potrei aggiungere da quell'anima di profondo federalismo che ritengo di dover applicare per i prossimi decenni all'avvenire dell'Europa che questa possa essere anche una decisione che ha una sua forza. Tuttavia, essa fa derivare delle conseguenze rilevantissime per quegli Stati, come il nostro, che, avendo un debito pubblico molto alto, evidentemente devono fare i conti con il problema del rischio di disavanzo eccessivo. Per uno Stato quale quello italiano che, a causa dell'entità del debito, è naturalmente esposto al pericolo di procedimenti per disavanzo eccessivo - mi avvio a concludere, signor Presidente - è duro rinunciare alla tutela politica insita nella radicazione della competenza nel Consiglio, se non avviando - piuttosto che averne paura - un processo di riforme strutturali che rilancino lo sviluppo, recuperando il differenziale con gli altri Paesi europei.
Per tali ragioni, il mio dissenso è forte rispetto alla posizione della Lega. Non perché non veda le preoccupazioni, ma perché mi rendo conto che le scelte che sono collegate alle decisioni assunte sul Trattato di Lisbona indurranno il nostro Paese a camminare più speditamente, ma soprattutto a camminare con quella coerenza che ci viene imposta dalle regole del gioco (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, il Trattato di Lisbona, la cui ratifica è oggi all'attenzione della Camera, è uno strumento indispensabile per l'Europa e mi pare che su questo siamo tutti d'accordo in quest'Aula, anche chi pronuncia il suo «sì» in modo piuttosto sofferto e pieno di condizioni come la Lega. Ciò mi pare un fatto positivo.
L'Europa a ventisette, con le regole di un'Europa più piccola e con minori differenze interne, è ormai esausta - è sotto gli occhi di tutti - e il Trattato di Lisbona risponde all'esigenza di fornire a questaPag. 22Europa le istituzioni minime di cui ha bisogno per funzionare e per decidere. Questo Trattato, però, lo sappiamo, non è la prima scelta: è stato adottato in alternativa alla Costituzione europea bocciata nel 2005 nei referendum in Francia e in Olanda. Il Trattato di Lisbona è, quindi, insieme il risultato di una volontà comune di riprendere il cammino e di andare avanti, ma anche di una rinuncia, almeno temporanea, a dotare l'Europa di una Carta costituzionale solenne e di una soggettività politica accentuata resa evidente anche da simboli comuni quali l'inno e la bandiera. In realtà, siamo ancora rincorrendo quella unione politica che non riuscimmo a realizzare negli anni Novanta quando nacque l'Unione monetaria e stiamo ancora cercando di recuperare quell'approfondimento delle istituzioni che doveva essere realizzato prima o al più tardi contestualmente dell'allargamento.
Il Trattato di Lisbona si muove nel solco di quella rincorsa. Questo è importante ed è perciò irrinunciabile per l'Europa: mette ordine nelle disposizioni esistenti, riprende i risultati più importanti della Costituzione sul piano dei principi, dei valori, delle istituzioni e delle competenze. L'Unione europea ha finalmente un nome ed uno solo; è un soggetto con personalità giuridica, scompaiono la CE e le Comunità europee; prende forma giuridica il Consiglio europeo con un presidente eletto per due anni e mezzo; c'è un Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza che è anche vicepresidente della Commissione; crescono le funzioni del Parlamento europeo e sono inseriti nel processo legislativo i Parlamenti nazionali. Dunque, nel Trattato di Lisbona (in realtà i Trattati sono due: il Trattato sull'Unione europea e quello sul funzionamento dell'Unione) vi sono molte e importanti novità. Eppure, Lisbona è insufficiente: l'Europa resta in bilico, incerta tra una potenzialità federale e una realtà ibrida, interstatuale e intergovernativa. Credo che il Parlamento italiano debba avere la consapevolezza di questo fatto mentre procede all'atto di ratifica, proprio quando (come oggi) lo stesso Trattato di Lisbona - pur meno ambizioso, come dicevo, della Costituzione - è messo a rischio da una nuova bocciatura, quel referendum irlandese.
L'Europa che serve all'Italia e al mondo ha bisogno di essere ancora più unita e integrata, perché soltanto un'Europa forte, un'Europa soggetto politico ha la possibilità di partecipare in modo influente al Governo del mondo e l'Europa è l'unica entità che avrebbe il peso adeguato per farlo, che ha un patrimonio di valori che è il nostro, che ha una visione del futuro che è l'unica in cui un Paese come l'Italia può e deve riconoscersi.
Sono tempi di preoccupazioni e di ansie per gli italiani così come per gli altri popoli dell'Unione. Tuttavia, scaricare le paure e le preoccupazioni, anche quelle fondate, sull'Europa può essere comodo direi principalmente per i Governi che cercano alibi a politiche difficili o impopolari (è successo e succede fin troppo spesso), ma è controproducente per gli stessi Governi perché mina alla radice la legittimità dell'unico soggetto che può aiutarci ad affrontare i problemi del presente e del futuro.
Certo è che l'Europa deve cambiare passo e deve rafforzare, innanzitutto, gli strumenti di democrazia, anche quelli di democrazia diretta. Se deve esserci un referendum che sia un referendum europeo e non nazionale. L'Europa deve creare uno spazio realmente europeo di dibattito politico, deve regolare con attenzione e rispetto il principio di sussidiarietà e il rapporto con popoli e Stati.
Da questo punto di vista il Trattato di Lisbona rappresenta un passo avanti gigantesco. L'Europa deve assumere un ruolo attivo, propositivo e assertivo nella ridefinizione dei luoghi della governance mondiale, dalle Nazioni Unite alle istituzioni finanziarie e internazionali, le quali hanno bisogno di essere più efficienti e più efficaci nel bloccare le storture di una globalizzazione dei mercati che, priva di guida, finisce per fare soprattutto gli interessi di pochi.
Per ottenere questi risultati abbiamo bisogno di un'Europa nuova che è possibilePag. 23costruire solo con il Trattato di Lisbona, ma oltre il Trattato di Lisbona. Certamente non abbiamo bisogno di un'Europa in stallo e bloccata. Per questo trovo incoraggiante la determinazione con cui il Ministro Frattini ha detto che è ora di cambiare passo, di rovesciare il tavolo, così come apprezzo le proposte ultrafederaliste del Ministro Ronchi per l'elezione diretta del Presidente della Commissione. Al contrario, mi preoccupa il fatto che all'interno dell'attuale maggioranza vi sia anche una forza politica che è piuttosto scettica verso l'Europa - lo abbiamo sentito anche qui - e che ha tirato in ballo l'idea di un referendum nazionale di ratifica, pur apprestandosi a votare a favore della ratifica del Trattato.
Vorremmo, per concludere, che alle parole incoraggianti il Governo facesse seguire fatti, promuovendo in ambito europeo, secondo le previsioni del Trattato, cooperazioni rafforzate in materia di difesa, di ambiente e di energia. Vorremmo anche che agisse per promuovere una più forte integrazione politica, superando il principio dell'unanimità che ancora vale per troppe questioni strategiche. Infine, chiederei al Governo di impegnarsi per superare l'unanimità anche per le procedure di ratifica e di modifica dei trattati, perché l'Unione non può continuare a restare ostaggio di singoli Paesi o di piccoli minoranze.
Quella per l'Unione deve essere una scelta libera ma anche responsabile. È bene che sia una scelta libera: si può dire di «sì», si può anche dire di «no» all'Europa. Non si può continuare - e ciò non va bene - ad essere liberi di dire di «no» senza che questa responsabilità abbia un costo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, l'Italia si accinge a ratificare come ventiquattresimo Paese il Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea. Ma qual è il risultato che rappresenta questo Trattato? È un risultato (per la verità non ancora certo per via dell'Irlanda, della Polonia e della Repubblica Ceca) che non consegue le speranze delle Dichiarazioni di Laeken del 2001 e di Roma del 2003. Si diceva allora di volere un'Europa più coesa e più influente, più trasparente e più democratica, più efficiente e vicina ai cittadini. Ha fatto bene il relatore ad evidenziare questo aspetto, veramente fondamentale, del controllo democratico. A Laeken c'era la speranza e la sfida di un'Europa costituzionale, con l'obiettivo di far nascere un demos europeo. Laeken aveva aperto un dibattito sulla identità europea e tutti abbiamo potuto constatare quanto sia stato complesso questo processo di autodefinizione dell'Unione europea, con la difficoltà di menzionare o meno le radici giudaico-cristiane dell'Europa nel Trattato per una Costituzione europea; noi presenteremo un ordine del giorno su questo argomento.
Tutti abbiamo potuto constatare il confronto tra due visioni differenti: chi vede l'Europa come una costruzione fortemente integrata e chi vuole vedere l'Europa come uno spazio. Queste visioni si sono sviluppate conseguentemente a quanto attiene ai problemi istituzionali: chi vuole un'Europa fortemente strutturata, un'Europa delle istituzioni che in prospettiva abbia un'unità politica seppure articolata, e chi invece vuole un'Europa senza soluzioni strutturate, attenta ad obiettivi concreti, come centro di coordinamento delle politiche nazionali.
Dopo il «no» olandese e francese fu stabilita una pausa di riflessione; di fatto si mise da parte la questione istituzionale e ci si concentrò su un'Europa in grado di puntare su obiettivi comuni, sentita la tecnica dell'armonizzazione politica. Ha prevalso la cultura che vede negli Stati gli attori essenziali anche in questo nostro mondo che viene definito globalizzato.
In un libro che uscirà tra breve, il direttore di Newsweek International, riferendosi alla Europa afferma: L'Europa continuerà ad esistere come formidabile potenza economica, ma l'unità politica ePag. 24militare non avverrà mai, perché gli europei non la vogliono e il risultato sarà una diminuzione di influenza e prestigio a livello mondiale. L'Europa non farà parlare di sé come Continente, ma come Francia, Germania o Inghilterra.
Dunque, a maggior ragione oggi, si deve prendere atto che i fautori di un'Europa profondamente integrata sono culturalmente minoritari, soprattutto dopo la rottura della coesione ideale fra gli Stati fondatori, apertasi con i referendum francese e olandese. Anche noi dobbiamo prenderne atto e operare pragmaticamente, senza illuderci che la tensione verso un'integrazione possa proseguire da sola, senza sforzi e impegno politico. Noi, che anche dal punto di vista della nostra Costituzione siamo preparati ad un'evoluzione della sovranità nazionale perché, di fatto, l'intimo significato di alcuni articoli della nostra Costituzione è proprio il principio federatore di una sovranità nazionale che è pronta a fare anche dei passi indietro, nella prospettiva di organizzazioni internazionali capaci di gestire meglio e più efficacemente i problemi della modernità. Invece a Lisbona è tornato a soffiare un forte vento intergovernativo, in particolare da parte inglese, danese e polacca. Ricordo, ad esempio, i punti sollevati dagli inglesi: «no» al Ministro degli affari esteri, «no» a che la Carta dei diritti fondamentali possa avere un impatto sulla legislazione inglese, «no» al voto a maggioranza in materia fiscale e, quindi, salvaguardia dell'indipendenza del sistema giuridico inglese. Come ha detto Tony Blair, sono state quattro concessioni necessarie per evitare il referendum sul Trattato, e Gordon Brown ha confermato che gli interessi britannici sono stati salvaguardati.
Cosa rappresenta il Trattato di Lisbona? È stato detto molto autorevolmente che è un Trattato meno ambizioso e più complicato di quello firmato a Roma, di cui è stata abbandonata l'ambizione, così come sono stati abbandonati il primato del diritto dell'Unione, i simboli, la bandiera, l'inno, il motto, la giornata europea, nonché il termine «Costituzione» - che è l'elemento principale - e la Carta dei diritti fondamentali non c'è più. È vero: viene confermata la personalità giuridica, ma la politica estera rappresenta un punto dolente, considerato il «no» alla definizione di Ministro degli affari esteri, che è soltanto Alto rappresentante per la politica estera, e che la stragrande maggioranza delle decisioni deve avvenire all'unanimità. Da questo punto di vista le dichiarazioni - è vero - non hanno vincolo giuridico, ma quella n. 13 sottolinea che le disposizioni riguardanti la politica estera e di sicurezza comune, compresa l'istituzione di un Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza e l'istituzione di un servizio per l'azione esterna lasciano impregiudicate le attuali competenze degli Stati. Quindi, siamo ancora lontani dagli obiettivi e la famosa domanda di Kissinger non ha ancora una risposta convincente.
Vi è un rafforzamento del Parlamento europeo, che eleggerà il Presidente della Commissione che sarà indicato dal Consiglio europeo sulla base dei risultati delle elezioni del Parlamento europeo. Mi pare, invece, molto interessante l'innovazione della politica di difesa perché viene ampliato il novero delle missioni nelle quali l'Unione può ricorrere a mezzi militari e civili, ma, soprattutto, si introduce l'innovazione di poter mettere in atto una cooperazione strutturata e permanente. Credo che l'Italia possa aderire a questa modalità con molto convincimento perché ritengo che le cooperazioni rafforzate debbano essere valutate con molta attenzione. Nel corso di un'audizione il Presidente Barroso si è espresso in maniera molto scettica, ma credo che dovremmo valutare fino in fondo questa modalità per dare nuovo impulso all'Unione europea.
Si è vanificata l'ambizione, ma ciò che è più preoccupante è che molti cittadini europei percepiscono le istituzioni come entità burocratiche lontane, in quanto non riescono chiaramente a percepire come l'Unione europea possa svolgere e sviluppare interessi vitali. Anche le recenti rivelazioni dell'Eurobarometro evidenzianoPag. 25quanto sia ampia l'indifferenza e, addirittura, lo scetticismo verso il processo di integrazione europea.
Non è facile animare un ampio dibattito anche con elementi concreti che possano coinvolgere l'opinione pubblica e i referendum che si sono svolti purtroppo lo dimostrano. Tuttavia, se non si riempie con un'anima popolare il cammino, oggi troppo complicato, dell'Unione europea, si vanificherà o si ridurrà lo sforzo e l'impegno che mettiamo in atto anche con la nostra ratifica. Si tratta della grande sfida che, di fatto, la nostra generazione (dopo quella dei grandi padri fondatori europei), piena di paure e di timore, deve lasciare ai giovani europei di domani. Credo che con questa ratifica manteniamo le posizioni, in quanto ormai il nostro grande futuro - come ha detto un collega che mi ha preceduto - è nelle mani dei giovani europei di domani.
Questa è la nostra testimonianza e il nostro impegno. Dobbiamo continuare a lavorare affinché l'Europa continui ad essere una grande area di pace e di sviluppo volta a salvaguardare i grandi principi che l'hanno uniformata e sostenuta nella dimensione mondiale che oggi ci vede in maniera non partecipativa, non attiva e non come soggetto principale. Dunque, dobbiamo avere la speranza e la determinazione di recuperare questa funzione nel mondo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stucchi. Ne ha facoltà.

GIACOMO STUCCHI. Signor Presidente, le chiedo di quanto tempo dispongo per svolgere il mio intervento.

PRESIDENTE. Secondo gli accordi, dieci minuti.

GIACOMO STUCCHI. Signor Presidente, oggi ci troviamo a svolgere la discussione sulle linee generali sulla ratifica del Trattato di Lisbona e lo facciamo in un'Aula non molto partecipata (utilizzo un eufemismo), anche se tutti a parole ritengono che questo sia un passo fondamentale per la storia del nostro Paese.
Eppure le critiche che si potrebbero muovere ai contenuti del Trattato sono tante. Anche costituzionalisti di peso, che sono stati ministri come il professor Giuseppe Guarino, non hanno fatto mancare di far sentire la propria voce in difesa del nostro Paese, della nostra Carta costituzionale e dell'interesse anche dei nostri cittadini. Tutti, lo ripeto, a parole ritengono fondamentale questo passaggio e probabilmente i colleghi saranno presenti oggi pomeriggio per votare all'unanimità l'approvazione definitiva del disegno di legge al nostro esame volto a recepire nel nostro ordinamento giuridico il Trattato di Lisbona. Tuttavia, credo che l'interesse sia abbastanza limitato, non sono in Aula, ma anche nei media. Questa mattina ho letto velocemente i maggiori quotidiani del nostro Paese e ho cercato di guardare anche i titoli dei servizi dei telegiornali, ma ho trovato pochissimi riferimenti a quanto la Camera si apprestava a fare. Ciò testimonia come l'Europa in effetti sia lontana come istituzione dalla vita quotidiana di ognuno di noi (caliamoci nei panni del cittadino comune).
Anche qui, signor Presidente, vi sono colleghi che voteranno a favore dell'approvazione del provvedimento, i quali, a parole - in interviste rilasciate alla stampa locale e a quella nazionale - affermeranno che questo è un passaggio storico per il nostro Paese ma che, alla prova dei fatti, non avranno nemmeno letto un articolo del Trattato che ci apprestiamo a votare. Bisogna dire, infatti, che è un passaggio inevitabile e ineludibile, che dobbiamo compiere per rimanere all'interno dell'Europa, ma ben pochi conoscono il provvedimento sul quale si sta per votare, ossia solo chi - per interessi personali, per ruoli ricoperti in passato o perché ha una coscienza - vuole capire effettivamente qual è il contenuto del documento sul quale esprime la sua posizione. Solo chi si trova in questa situazione ha coscienza del provvedimento del quale stiamo discutendo e forse, proprio per questo, puòPag. 26anche permettersi di avanzare critiche, perché le istituzioni europee sono importanti, ma non sono un dogma.
Non possiamo affermare che tutto ciò che fa l'Europa è giusto (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania) e non possiamo accettare la logica che Bruxelles e l'Europa facciano solo cose corrette che vanno nell'interesse di tutti i cittadini dei ventisette Paesi dell'Unione. Non è così e dobbiamo avere la possibilità e arrogarci il diritto di criticare le scelte che causano danni ai nostri cittadini e che effettivamente risultano non essere in linea con le aspettative della nostra gente. Dobbiamo farlo per difendere un interesse che spesso è simile a quello di altre realtà statuali dei Paesi che compongono l'Unione, che però hanno un peso politico-istituzionale e storico inferiore rispetto al nostro, o perché hanno una minore dimensione demografica o perché hanno una storia un po' più recente (perché nati da scissioni o da separazioni di vecchi Stati) o perché non hanno un PIL sufficiente da mettere sul piatto quando si discute.
Sappiamo, purtroppo, quanto conti - tantissimo - l'economia in Europa. Quando l'economia prevale, qualcosa soccombe: soccombono l'anima, i popoli, le aspettative e le identità delle persone che compongono l'Europa, i desiderata della gente che vorrebbe poter vivere in pace - come del resto le istituzioni europee hanno garantito in questi anni, dopo la seconda guerra mondiale e tutti riconoscono loro questo grossissimo merito -, ma anche il desiderio di vivere all'interno del rispetto di una cultura originata da un riferimento religioso giudaico-cristiano che condiziona in modo positivo tutti noi, che spesso noi ignoriamo o di cui, spesso, sottovalutiamo l'importanza.
Eppure, questa civiltà permette a tutti noi di vivere nel rispetto gli uni degli altri: è una civiltà che ci permette di esprimerci liberamente e - come affermava Voltaire - ci consente, pur non condividendo le idee degli altri, di poterci e doverci battere per permettere comunque che le altre persone si esprimano con idee diverse dalle nostre. Questo nostro modo di vivere - occidentale ed europeo -, derivante dalla nostra storia, deve essere rispettato. Sta proprio nell'essenza del rispetto dei popoli la vera grande forza dell'Unione europea.
Sicuramente, con il Trattato di Lisbona è stato compiuto un passo avanti - o meglio, un passo indietro - rispetto al «supercontenuto» della Costituzione europea, approvata dalla Convenzione e poi «abortita». Con il Trattato di Lisbona alcune questioni che riguardano la reale portata democratica delle istituzioni europee devono essere - come si suole dire in quest'Aula - «attenzionate» ai colleghi.
Nel senso che, se guardiamo al potere, seppur ampliato, del Parlamento europeo, previsto dal nuovo Trattato di Lisbona, ci rendiamo conto che, comunque, non è un potere sufficiente.
Un Parlamento europeo che non fa leggi o che partecipa con le procedure di codecisione all'approvazione delle norme europee, che poi devono essere recepite nei singoli ordinamenti nazionali, è un Parlamento dove sono rappresentate in modo democratico le idee dei cittadini europei, attraverso i propri partiti di riferimento o le grandi famiglie politiche europee, ma è comunque uno strumento che non riesce ad esprimersi al pari dei Parlamenti nazionali, nella gestione della «cosa comune» europea.
Parliamo spesso del ruolo dei Parlamenti nazionali all'interno dell'Unione europea, però ci dimentichiamo che, nei singoli Paesi, quello che accade all'interno dei Parlamenti nazionali, proprio perché questi hanno la possibilità di incidere sulla vita quotidiana dei cittadini, va sulle prime pagine dei giornali e nei servizi dei telegiornali quotidianamente, mentre quello che decide il Parlamento europeo, la Commissione europea, o peggio ancora la Banca centrale europea, non va sulle prime pagine dei giornali, non viene riportato.
Ciò perché forse c'è, da una parte, la consapevolezza che il Parlamento non è uno strumento che incide nella nostra vita quotidiana e, dall'altra, invece, la necessitàPag. 27- se vogliamo dirla tutta - di evitare di spiegare determinate logiche che sottendono alle decisioni assunte dalla Banca centrale europea, piuttosto che dalla Commissione europea, per quanto riguarda gli interessi delle grandi lobby che devono essere tutelate.
Di fronte a questo scenario, ci apprestiamo a ratificare il Trattato di Lisbona, sapendo che questo passaggio non dovrà essere salutato con enfasi, perché questo sarà un Trattato che probabilmente necessiterà di un «tagliando». Già lo hanno detto. Signor Presidente, Ministro Buttiglione, ricordo che, quando venne approvata dalla Convenzione europea la Costituzione europea, in un seminario che si svolse a Bruxelles dopo l'esito del referendum francese, che vide la partecipazione di Lech Walesa - concludo con questa citazione -, qualcuno disse che bisognava far ripetere il referendum ai francesi.
Lech Walesa disse una cosa estremamente semplice, ossia che non si poteva tornare, dopo uno, due o tre anni, di fronte agli stessi cittadini, agli stessi acquirenti, per proporre loro di acquistare nuovamente una vettura delle stesse qualità e delle stesse caratteristiche, con due anni di anzianità maggiore, allo stesso prezzo. Non si può pensare, quindi, di tornare di fronte al popolo irlandese tra un anno o due per sottoporre loro nuovamente il testo bocciato poche settimane fa (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Questo è uno dei problemi che dovremo affrontare ed è per questo motivo che dico, pur naturalmente con la volontà di ratificare questo Trattato con la votazione che ci apprestiamo a fare, che saremo costretti a tornare ad apportare migliorie al Trattato di Lisbona, perché non possiamo pretendere che tutti i cittadini europei, anche quelli che hanno già espresso un loro parere negativo, si adeguino, quando si tratta di provvedimenti che prevedono cessioni di sovranità, quando si tratta di provvedimenti come questo, che prevedono anche tante cosa che sono ben tutelate nelle singole Costituzioni.

PRESIDENTE. Onorevole Stucchi, devo invitarla a concludere.

GIACOMO STUCCHI. Mi fermo, perché purtroppo ho solo dieci minuti a disposizione. Credo, però, che questa discussione dovrebbe - questo è il mio augurio finale - trovare spazio all'interno dell'opinione pubblica, perché di cose da dire sull'Europa ce ne sono tante e non sono tutte positive (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gottardo, che è stato anche relatore del provvedimento in Commissione XIV. Ne ha facoltà.

ISIDORO GOTTARDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, consentitemi di iniziare queste mie considerazioni, rendendo omaggio - perché sento la necessità di farlo - e manifestando infinita gratitudine ai padri fondatori dell'Europa: Alcide De Gasperi, Altiero Spinelli.
Potrei citare tutti coloro che hanno contribuito a creare quelle condizioni per cui oggi possiamo avere la certezza di vivere in un contesto in cui vi è pace, vi è possibilità di sviluppo, vi sono garanzie di diritti.
L'Europa è criticabile per molti aspetti, ma la domanda che dobbiamo rivolgerci ogni qual volta esprimiamo tali critiche è la seguente: che cosa sarebbe questo continente, senza l'Europa? Che cosa saremmo noi oggi senza l'Europa? Credo che questa riflessione ci porti inevitabilmente a guardare in positivo e con responsabilità rispetto alla necessità di migliorare.
Ma consentitemi anche - lo faccio ben volentieri - di rivolgere un pensiero grato al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che appartiene ad una storia politica che non è la mia e non è la nostra, una storia politica che non ha condiviso - forse ha osteggiato - la nascita, negli anni del dopoguerra, dell'Unione europea ed il suo rafforzamento. Eppure, proprio perché appartiene a quella storia, ancor più meritorio è stato il suo richiamo convintoPag. 28e convincente a quelli che sono oggi gli obblighi e gli impegni della politica, anche italiana soprattutto, rispetto alla costruzione di un'Europa rivolta alle prossime generazioni e ai nostri figli.
Giorgio Napolitano è stato un ottimo presidente della I Commissione del Parlamento europeo e ha contribuito in maniera molto forte alla stesura di quella Carta costituzionale europea che poi non ha visto la luce, a causa dei referendum che conosciamo.
Sono convinto, proprio alla luce delle considerazioni che qui abbiamo anche ascoltato formulare, che per convincere i popoli e per rassicurarli circa il loro destino, conta più l'autorevolezza di un leader che tanti trattati. Quando ci si lamenta del fatto che la burocrazia la fa da padrona, si ammette che la politica ha abdicato alle proprie prerogative.
Questo è un interrogativo molto forte che dobbiamo porci: non basta limitarci a manifestare un sentimento popolare, ad indicare delle carenze, ma bisogna avere anche il coraggio di riconoscere le carenze che sono proprie di una leadership della politica, che forse è venuta meno rispetto ai suoi padri fondatori (i padri fondatori dell'Europa) e a coloro che, convintamente, l'hanno ancorata a valori e principi fondanti.
L'Europa ha bisogno che forti leadership politiche nazionali sappiano elevarsi a leadership europee, perché l'Europa non può avere un leader: può maturare, grazie al fatto che queste forti leadership nazionali o anche regionali possano e sappiano elevarsi, lo ripeto, a leadership europee.
La pongo come domanda ma lo dobbiamo ammettere: molto spesso leadership locali, forse inadeguate, non hanno forse scaricato sull'Europa colpe che non aveva, per coprire le proprie inadeguatezze?
Devo dire che una differenza con altri Paesi si registra: per esempio, voglio citare la Spagna, che con il referendum sulla Carta costituzionale ratificò, dimostrando una forte convinzione europeista, la gestione delle politiche di coesione e dei fondi strutturali e seppe sempre anteporre, nell'indicazione alla propria popolazione e ai propri cittadini, i meriti di un'Europa che stava intervenendo. Molto spesso ciò non è accaduto in Italia, né per efficacia dell'utilizzo delle politiche di coesione, né tanto meno nel sapere indicare ai cittadini italiani l'Europa come un valore.
Al pari, mi si consenta di indicare, come fattore negativo, la strumentalizzazione delle sedi europee - mi riferisco, per esempio, all'uso del Parlamento di Strasburgo - per fini ben precisi di politica interna. Va ricordata - e lo voglio fare in questa sede - la vicenda emblematica relativa all'interferenza nella questione relativa all'allora Governo austriaco Schussel-Haider, quando soprattutto il gruppo socialista europeo (ma anche parte dell'opinione pubblica europea) paventò la rinascita della minaccia nazista, della xenofobia e di pericoli molto gravi per la democrazia europea. La motivazione consisteva semplicemente nel fatto che, dopo trent'anni, i socialisti in Austria sarebbero finiti all'opposizione ed era scattata quella che ormai conosciamo come la «eurosolidarietà» socialista, che molto spesso utilizza le fonti, gli strumenti e le istituzioni europei per fare politica interna.
Si tratta dello stesso tentativo, percepito più volte nelle sedi europee, di accreditare, per esempio, in Italia, la Lega Nord come un partito xenofobo, ovviamente se governa con il centrodestra. Le interferenze di questi giorni su Roma e clandestini non sono né casuali né del tutto fondate su autentiche preoccupazioni. Bene ha fatto il Presidente Berlusconi a richiamare i commissari europei a non fare un uso politico della loro funzione. Non è attribuita alla Commissione europea alcuna competenza in ordine a interventi preventivi, né con riferimento ai dibattiti nazionali sui provvedimenti da assumere. Vorrei sottolineare ciò, perché non si può scaricare sull'Europa colpe che non appartengono ad essa, ma a responsabilità politiche di chi assume determinati atti (ciò, ovviamente, vale non solo per gli ordinamenti nazionali, ma anche per l'ordinamento europeo).
Bene ha fatto il Governo, nonostante le incertezze, a voler accelerare la ratifica delPag. 29Trattato, impegnandosi a farlo prima della pausa estiva. Se qualcuno ironizza sul distinguo europeista all'interno dell'attuale maggioranza, deve interrogarsi sul perché in precedenza la ratifica non abbia trovato attuazione e se sia più coerente con gli obiettivi dell'Europa questa maggioranza di centrodestra o quella che con la Sinistra l'Arcobaleno caratterizzava il Governo Prodi. Quando l'Europa indica più sussidiarietà; quando mette sullo stesso piano il «pubblico» e il «privato», quando raccomanda più mercato, più concorrenza, anche fra sistemi regionali, e più competizione; quando, con gli obiettivi di Lisbona, essa indica parametri che rilevano l'efficacia del «pubblico» non solo nella ricerca, ma anche nella formazione scolastica; quando, infine, esige ordine nei conti pubblici trova, guardando al caso Alitalia, più garanzie nel programma di questo Governo o del Governo precedente? Si può ironizzare sull'euroscetticismo di un gruppo, come quello della Lega Nord, certo non scevro da forme di populismo, ma è indubbio che le politiche, che in larga parte vengono rivendicate anche all'interno di questo Parlamento, alla fine sono quelle che l'Europa, impegnata a diventare più competitiva, esige. Pertanto, paradossalmente, proprio nel Trattato che si critica si trovano le risposte a quelle esigenze che si vanno ad esprimere.
Le preoccupazioni sono largamente presenti nelle opinioni pubbliche europee, che non vanno rassicurate, ma convinte con politiche autenticamente nuove e più efficaci. Le opinioni pubbliche - vale per il voto irlandese, per quello della Francia e dell'Olanda (ma potrebbe valere per il voto di tantissimi popoli europei, se chiamati ad esprimersi) - sono il frutto di una percezione di poca Europa, laddove ve ne sarebbe più bisogno, e di troppa Europa laddove, invece, l'azione a livello nazionale, regionale o locale sarebbe più adeguata.
Ecco allora che il Trattato di Lisbona è una risposta a questa giusta necessità. Non basta tuttavia ratificarlo, bisogna attuarlo con coerenza. L'Europa è un'unione di minoranze. Nessuno è, con la sua lingua, cultura e forza economica, maggioranza in questa Europa: tale pericolo non c'è. Le regole per rendere questa convivenza virtuosa sono pertanto fondamentali.
La XIV Commissione, con il proprio parere, ha posto un'attenzione particolare agli atti che necessariamente devono essere conseguenti alla ratifica. Mi riferisco alla competenza del Governo, ma ovviamente anche alla competenza della Camera, come lei, signor Presidente, ben sa, anche perché ha avuto modo di rassicurarci al riguardo.
Si tratta, in primo luogo, della necessità di comunicazione, perché serve informazione affinché i cittadini siano resi consapevoli della maturazione del nuovo processo che riguarda, con il Trattato, la nuova fase europea e soprattutto di come essi, protagonisti dentro il Trattato, possono rendersi partecipi della costruzione di una fase nuova. In secondo luogo mi riferisco all'adeguamento del Regolamento della Camera dei deputati, affinché l'Assemblea sia posta nelle condizioni di adempiere alle funzioni che dal Trattato discendono, ossia l'esercizio del controllo di sussidiarietà - che è bene ricordare che dovrà svolgere anche per conto delle regioni e del sistema delle autonomie locali - nonché la partecipazione attiva nella fase ascendente della determinazione delle decisioni che l'Europa va ad assumere, un ruolo che finora è stato molto carente sia da parte della Camera dei Deputati che del Senato della Repubblica italiana. Due soltanto sono infatti i provvedimenti, su 250, che sono stati rivolti all'Europa in proposito, il che la dice lunga sulla partecipazione attiva dell'Italia alla fase ascendente.
Mi riferisco, infine, all'attivazione del cosiddetto «freno di emergenza», che è una garanzia di controllo e di tutela rispetto a materie che riguardano la sicurezza nonché atti che sono regolamentati dalle diverse Costituzioni. Vorrei aggiungere che la Camera dei deputati ha, così come il Senato, nella fase ascendente già un'opportunità molto grande, data dalla discussione sulla nuova politica euro-mediterranea che è al centro dell'attenzione della Presidenza francese in questi mesi.Pag. 30
Su tali questioni è bene richiamare l'attenzione del Governo, della Camera, di tutti i gruppi, credo, e di noi stessi, circa le opportunità che provengono dalla ratifica del Trattato, per rispondere proprio alle condizioni elencate.
Signor Presidente, colleghi, non si costruisce più Europa senza incarnare i valori che l'hanno originata. La si deve vivere e costruire con la coerenza dei valori di chi l'ha ispirata e voluta. Quando si recrimina più Europa dobbiamo chiederci se oggi tutti coloro che ne fanno parte si sentono legati a quella concezione di valori. La battaglia dentro la costruzione di questa Europa non è una battaglia solo di regole ma anche di maturazione, allo scopo di far rivivere e di trasmettere nei nuovi partner dell'Europa dopo l'allargamento, quei valori cui mi sento profondamente legato così come, credo, tantissimi colleghi.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ISIDORO GOTTARDO. Signor Presidente, concludo dicendo che il Partito popolare europeo, al quale apparteniamo con convinzione, mantiene forte la sua coerenza a tali valori e alla volontà che l'Europa sia una garanzia, a partire dalla tutela dell'ambiente, delle fonti non rinnovabili di energia, delle specificità, delle specifiche identità popolari, culturali e linguistiche, che noi del Partito popolare europeo riteniamo un patrimonio e non un limite per l'Europa.
Per tali motivi aderiamo con convinzione alla ratifica del Trattato e alla promozione, con convinzione, di tutte le politiche che consentano all'Italia di rendersi partecipe nella fase ascendente della costruzione della nuova Europa (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Garavini. Ne ha facoltà.

LAURA GARAVINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei iniziare l'intervento con un auspicio, un augurio: ossia che oggi, nel momento in cui ci troveremo a ratificare il Trattato di Lisbona, esprimeremo davvero un voto all'unanimità. Sarebbe un segnale forte e un segnale politico importante, sarebbe la dimostrazione che l'Europa, per tutti noi, per tutta l'Italia, continua ad essere la nostra casa comune, nella quale crediamo e che vogliamo continuare a tutelare e rilanciare.
Il Trattato di Lisbona, infatti, rappresenta un passo decisivo verso più democrazia e più trasparenza. Tanti avrebbero voluto che questo Trattato fosse ancora più audace, in termini di condivisione di diritti e di estensione di benefici. Sappiamo che è un compromesso, ma nonostante lo sia, è un buon compromesso.
Con il Trattato di Lisbona vincono i cittadini, perché per la prima volta, con la cosiddetta iniziativa dei cittadini, questi ultimi hanno la possibilità di partecipare direttamente alla creazione della politica europea e di influire sull'agenda della Commissione europea. Vince anche la società civile, perché nel Trattato viene previsto che Bruxelles si consulti e dialoghi con le associazioni, con la società civile, con le parti sociali. Vincono i Parlamenti come espressione della volontà dei cittadini, sia il Parlamento europeo che i Parlamenti nazionali, perché nelle decisioni europee il loro ruolo viene rafforzato. Vincono, infine, anche le comunità locali e le regioni, perché nel Trattato viene esplicitamente affermato il principio di sussidiarietà. Con questo Trattato, insomma, non solo vince l'Europa, ma vinciamo tutti noi.
Con il Trattato di Lisbona dotiamo l'Europa di uno strumento al passo con i tempi, che tiene conto del fatto che l'Unione europea nel giro di pochi anni ha quasi raddoppiato il numero dei suoi Stati membri. Già con 15 Paesi, con storie e tradizioni diverse, era un'impresa portare avanti politiche comuni. Oggi più che mai, con 27 componenti, è quanto mai necessario ed urgente che l'Europa si dia uno strumento di gestione comune, democratico ed efficace. In questo senso il Trattato di Lisbona forse non ha raggiunto il massimo possibile, ma rappresenta comunquePag. 31un grande passo nella giusta direzione per snellire, razionalizzare e rendere più trasparente la politica dell'Unione europea. Questo rende particolarmente contenti tutti quegli italiani che già adesso vivono ogni giorno l'Europa.
Io stessa sono uno di quei milioni di italiani che risiedono in Europa, ci lavorano, ci studiano, ci vivono. Ci confrontiamo quotidianamente con le realtà e con le difficoltà, ma anche con i vantaggi di una grande Unione europea. Siamo una sorta di pionieri dell'Europa. Con il nostro pendolarismo e il vivere tra due o più culture, con il fatto che ci confrontiamo ogni giorno con tradizioni e costumi diversi, pur rendendoci conto allo stesso tempo della comune base di valori, siamo per antonomasia gli interpreti ideali di quanto sia positivo e proficuo vivere l'Europa. Proprio per questo da noi italiani in Europa arriva un «sì» ancora più convinto, un «sì» ancora più forte al Trattato di Lisbona.
A titolo personale sono contenta che ci apprestiamo a compiere, con la ratifica del Trattato, questo grande passo, ma dico anche, cari colleghi e colleghe, che non ci possiamo fermare qua: bisogna creare l'Europa non solo sulla carta, bisogna crearla soprattutto nei cuori delle donne e degli uomini che vivono in Europa. Abbiamo bisogno di entusiasmare di nuovo i cittadini per l'Europa. La politica europea e la politica italiana in primo luogo devono trovare risposte concrete che facciano sì che i cittadini tornino a credere nell'Europa e tornino ad entusiasmarsi per un progetto che, nel recente e nel lontano passato, ha raccolto straordinari consensi.
Creare più entusiasmo significa, innanzitutto, riconoscere all'Europa i meriti che ha. Soprattutto qui da noi, in Italia, vi è una bruttissima e frequente abitudine della politica nazionale di attribuire a sé i meriti e addossare all'Europa tutte le responsabilità e tutte le colpe per i problemi che si devono affrontare. Per far vincere l'Europa anche nei cuori degli europei e nei cuori degli italiani, dobbiamo invece spiegare di più ai cittadini quali grandi meriti ha l'Europa per l'Italia e per gli italiani. Proprio in Italia, soprattutto nell'Italia del sud, ma non solo, sono infatti state realizzate numerose infrastrutture e numerosi progetti anche importanti, che sono stati resi possibili solo grazie agli interventi europei. Credo che sia importante che tutti noi la smettiamo di usare l'Europa come facile capro espiatorio. La gente dirà «sì» all'Europa in modo più convinto se sente dire, anche a noi politici, la verità: e cioè che l'Italia, grazie all'Europa, vince già adesso.
Non è soltanto una questione di comunicazione, dobbiamo anche sviluppare la politica europea in un'altra direzione, in una giusta direzione. Purtroppo è un dato di fatto che i cittadini in Europa stanno perdendo fiducia nell'Unione europea: il «no» al referendum in Irlanda è un segnale politico che ci deve fare riflettere, così come pure i precedenti «no» in Francia ed in Olanda.
È vero che per tanti l'Europa è un qualcosa che viene visto con diffidenza, non come amico al proprio fianco, ma come potenziale pericolo. Uno dei motivi principali è che l'Unione europea, secondo me, viene interpretata soprattutto come unione monetaria, commerciale, economica e finanziaria: manca in modo preoccupante la dimensione sociale. Per tale motivo l'Europa è per molti un qualcosa di distante, di burocratico, un qualcosa che mette a rischio e non protegge.
Il Trattato di Lisbona, anche in questo senso, può gettare le basi per una politica diversa, una politica che faccia diventare l'Europa anche e soprattutto un'Europa sociale. Il Trattato rafforza, infatti, la dimensione sociale dell'Europa, affermando che il sistema della libera concorrenza non è un qualcosa di autoreferenziale, a sé stante, al contrario è uno strumento per raggiungere non soltanto più produttività, ma anche più occupazione, più progresso sociale e più stabilità; è la base per fare dell'unione economica anche un'unione sociale.
Ecco perché credo che sia importante seguire con attenzione quanto viene discusso in altri Paesi, vale a dire la possibilità di creare un patto sociale condivisoPag. 32che serva da nuova base per il rilancio dell'Europa, così che quest'ultima non venga vista solo come minaccia che mette a rischio i diritti acquisiti, e in questo senso mi riferisco anche a quanto diceva prima il collega Luciano Dussin della Lega Nord. L'Europa, al contrario, deve diventare il luogo in cui si spinge a migliorare i sistemi sociali dei singoli Paesi, l'Europa deve applicare il sistema, per così dire, del benchmarking anche nel sociale. Essa, cioè, non deve favorire la corsa al ribasso nella tutela dei diritti sociali, al contrario deve far sì che il miglior sistema sociale diventi per tutti l'esempio da seguire e da imitare.
Una politica di questo tipo andrà così a vantaggio di tutti noi e farà sì che la gente riacquisti fiducia nell'Europa. Ecco perché il mio appello è quello a dire «sì» in modo convinto al Trattato di Lisbona.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LAURA GARAVINI. Diciamo «sì» all'unanimità - questo è il mio augurio - non soltanto perché ci dà un'Europa più democratica, più trasparente ed efficiente, ma anche perché getta le basi giuste per allargare gli orizzonti politici dell'Europa, creando un'Unione europea più sociale, un'Unione europea più vicina alla gente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nastri. Ne ha facoltà.

GAETANO NASTRI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, la Camera oggi è chiamata ad esprimersi su uno dei passaggi cruciali dell'Europa unita. Presi dai problemi della quotidianità, dalle questioni contingenti, per quanto di grande rilievo, che hanno contraddistinto la vita di questa legislatura, dalla sicurezza alla finanza pubblica, dalla giustizia al rilancio dell'economia, non dobbiamo tuttavia commettere l'errore di sottovalutare quegli aspetti delle iniziative di un Parlamento che sono destinate a incidere per lunghi anni sulle opportunità di sviluppo sociale, culturale, economico del nostro Paese e dei partner europei a cui ci lega, ormai, un filo ininterrotto lungo oltre mezzo secolo.
La ratifica del Trattato di Lisbona, nuovo patto costituzionale tra 27 Paesi aderenti all'Europa, è appunto uno di questi momenti, anzi, a maggior ragione, dopo la rinuncia ad un più ampio disegno che avrebbe dovuto prendere le forme ambiziose di una vera e propria Costituzione europea, il Trattato di Lisbona si presenta non già come una soluzione di compromesso, ma come una tappa intermedia, eppure valida in sé, significativa nei propri contenuti per determinare un'Europa possibile nei prossimi anni e forse nei prossimi decenni.
È apparso chiaro a quanti si sono trovati in questi anni a lavorare alla costruzione delle regole di convivenza europea che l'allargamento dei confini dell'Unione è stato tanto necessario quanto improvviso e gravido di rischi. Il crollo del sistema sovietico e dei Paesi satellite del socialismo reale, di cui ricorre tra un anno il ventesimo anniversario, ha determinato la necessità impellente per i Paesi dell'Europa che avevano gradualmente, nell'arco di decenni, costruito l'identità comune, di allargare la partecipazione a Paesi confratelli del blocco ex comunista che erano altrimenti destinati ad una deriva i cui esiti e le cui conseguenze sarebbero stati imprevedibili.
Questi Paesi richiedevano, cioè, una sorta di aiuto, di indirizzo, nonché solidarietà, perché nel loro cammino verso l'autentica democrazia potessero beneficiare di un supporto e di un sostegno indispensabili per superare periodi necessariamente difficili, non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale, nella transizione dall'economia di Stato a quella di mercato.
In questo frangente, l'Unione europea, che aveva intanto messo in cantiere e concretamente attivato quella che sarà forse ricordata come la più imponente rivoluzione monetaria della storia, l'avvento della moneta unica, ha dovuto immaginare una casa in grado di accoglierePag. 33un numero di Paesi che ha portato a quasi il doppio dei Paesi associati nell'arco di pochissimi anni.
È un processo che è ancora in fase di completamento, ma che ha avuto finora esiti positivi.
Da questa situazione non si poteva che uscire con nuove regole comuni. Il disegno di tracciare le linee per una vera Costituzione, che affrontasse non solo il nodo delle regole democratiche, ma anche delle basi ideali e valoriali di un'Unione più profonda di una confederazione, è parso, per ora, troppo ambizioso.
Giustamente, il realismo dei leader europei ha dunque puntato su un nuovo Trattato, che in questi mesi prende forma. Il Trattato di Lisbona rafforza la capacità dell'Unione europea di agire, aumenta le materie in cui il Consiglio dei ministri decide a maggioranza, rende possibile intervenire in aree delicate come l'immigrazione, l'energia, la sicurezza e la crescita economica, garantendo procedure più democratiche e, soprattutto, più trasparenti. Infatti, i Parlamenti nazionali potranno contribuire attivamente al buon funzionamento dell'Unione e, soprattutto, far conoscere il proprio parere alla Commissione europea fin dal primo momento di formazione degli atti.
Sulla strada del nuovo Trattato si è, purtroppo, verificato l'ostacolo imprevisto, e in qualche misura accidentale, del voto contrario espresso dagli elettori irlandesi nel referendum confermativo. Le ragioni in base alle quali i concittadini irlandesi hanno detto la loro, peraltro netta, contrarietà al Trattato appaiono incomprensibili, se valutate sotto la lente della ragione. È stato, infatti, detto da più parti che il voto irlandese, al netto delle motivazioni contingenti legate a una fase economica calante e alle paure e preoccupazioni che sempre evidenziano queste congiunture, esprime anche un elemento di rigetto verso l'unificazione europea definita a tavolino, ovvero oggetto degli interessi e delle evoluzioni, spesso bizantine e incomprensibili, dell'euroburocrazia.
Il Trattato di Lisbona è, appunto, un tentativo, non disprezzabile, di porre un limite fermo e preciso a questo stato di cose, denunciate da un malessere evidente dell'opinione pubblica. Non si tratta soltanto di definire regole condivise, che consentano di snellire il governo dell'Europa a 27, oggi impossibile con tutti i lacci e gli ingessamenti presenti nell'attuale Trattato. Si tratta, soprattutto, di rendere l'Unione davvero in grado di trasformare sul piano politico le proprie potenzialità economiche, di superare, cioè, le difficoltà che non hanno fatto sì che l'Europa sia, in effetti, un gigante economico in grado di competere, su questo piano, con USA e Cina.
Il Trattato di Lisbona cerca di porre rimedio a questo problema con l'individuazione della figura di un vero e proprio Ministro degli esteri dell'Europa, che sappia superare la frammentazione e gli egoismi nazionali in favore di una posizione unitaria.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GAETANO NASTRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi. I problemi del «no» irlandese sono certamente enormi, ma non insuperabili di fronte alla forte e determinata volontà di 27 Paesi, meno uno, di andare avanti con decisione sulla strada dell'integrazione, in primo luogo consolidando quello che è stato attuato in oltre mezzo secolo di politiche comuni.
Per questo, è importante che il «sì» italiano sia netto ed espresso con la serenità e l'ampiezza che le circostanze richiedono, in modo da dare una risposta decisiva all'euroscetticismo e dimostrare, ancora una volta, che si può procedere su questo cammino di democratizzazione, che ha finora dato il periodo più lungo di pace e prosperità mai conosciuto dall'Europa nella sua lunga storia e al nostro Paese una prospettiva di crescita e di graduale superamento dei propri atavici mali, che, senza l'ausilio e la disciplina imposta dalla partnership europea, avrebbero richiesto un cammino sicuramente più difficile e controverso, forse dall'esito non scontato (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedi. Ne ha facoltà.

MARCO FEDI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, l'Unione europea, l'Unione dei cittadini e delle nazioni ha oggi bisogno di ritrovarsi attorno ad un'idea forte di cittadinanza, di appartenenza, di impegno comune.
La ratifica del Trattato di Lisbona non è solamente un passaggio intermedio dopo il tentativo di approdare ad una Costituzione europea, dopo il tentativo di approvare un singolo atto costitutivo che disegnasse in maniera inequivocabile chi siamo e dove andiamo come cittadini dell'Unione. La ratifica del Trattato di Lisbona non è solo un compromesso, possibile dopo bocciature referendarie, una presa d'atto delle nostre paure, dei nostri dubbi, delle nostre ritrosie nazionalistiche, localistiche e protezionistiche. Il Trattato di Lisbona è una nuova opportunità di crescita per tutti i Paesi dell'Unione, per Paesi che possono ritrovarsi in un ambizioso progetto costituente, nonostante il momento di incertezze e nonostante le tante paure; paesi che possono evitare il rischio di chiudersi ed allo stesso tempo essere più che sole regole comuni, essere più che la somma dei singoli Paesi. Il Trattato di Lisbona recepisce lo spirito e talvolta la lettera dei precedenti trattati istitutivi dell'unificazione europea e della stessa Costituzione; rappresenta una seconda via verso il completamento del percorso di unificazione, non meno impervia dopo l'Irlanda, ma ancora foriera di positivi sviluppi e di nuove opportunità. Tutto ciò, nonostante sia stato tolto ogni riferimento esplicito alla natura costituzionale nel testo e siano stati eliminati i simboli europei, e si sia tornati a parlare di regolamenti e direttive per gli atti dell'Unione. Non esisterà un solo trattato, come nel caso della Costituzione europea, ma saranno riformati i vecchi trattati: il trattato di riforma modificherà quindi il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, che diventerà il trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Ad essi vanno aggiunti la Carta dei diritti fondamentali e il Trattato Euratom; con un preambolo, che si ispira alle eredità, culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili, dei diritti della persona, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e dello Stato di diritto.
I diritti inalienabili della persona sono anche i diritti di chi arriva sulle nostre sponde, o di coloro che hanno bisogno di essere salvati dal mare, o di chi ogni giorno ci chiede speranza, o di chi ogni giorno ci chiede di essere protetti e tutelati, anche quando non sono cittadini comunitari. E la risposta dell'Unione europea, anche quando potrebbe essere unitaria, e spesso purtroppo non lo è - e noi dobbiamo continuare a lavorare affinché lo sia sempre di più - non può comunque mai venir meno ai principi che torniamo ad affermare con nettezza nel Trattato di Lisbona. L'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali, cui il trattato rinvia, recita: «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale»; ed esprime in questo modo, più che un semplice orientamento, un forte impianto etico, che ci impegna ad affermare sempre i valori dell'uguaglianza: anche quando si tratta di questioni legate alla sicurezza, anche quando vogliamo catalogare le persone.
L'articolo 167 del trattato prescrive: «L'unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri, nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune»; si evidenzia il comune retaggio e si valorizzano le diversità, con un progetto di integrazione culturale che è sempre più necessario anche per favorire l'integrazione di altre culture.
Si tratta di un trattato che, respingendo il concetto di «fortezza Europa», apre inPag. 35sempre più ampia misura l'Unione al mondo e propone la figura di un Ministro degli esteri, che avrà il titolo di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune e sarà anche Vicepresidente della Commissione: una politica estera multilaterale ed una politica internazionale aperta, rafforzate nel ruolo importante assegnato in seno alla Commissione.
Ecco, il Trattato di Lisbona riprende e rafforza tutti i principi e le funzioni dell'Unione europea adattandoli alla dinamicità dei tempi, senza con ciò mortificare le identità nazionali, ma anzi lasciando maggiori spazi alle iniziative dei Parlamenti nazionali sui meccanismi decisionali comunitari. Esso contempla diritti civili, politici, economici e sociali, mantenendo quelli esistenti e introducendone di nuovi. In particolare, garantisce le libertà e i principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali, rendendoli giuridicamente vincolanti: il Trattato, infatti, oltre a prevedere nuovi meccanismi di solidarietà e garantire una migliore protezione dei cittadini europei, integra tale Carta nel diritto primario europeo.
Ancora, vengono meglio definite le competenze dell'Unione e degli Stati membri, esplicitando che il travaso di sovranità può avvenire nei due sensi: quindi, maggiore democrazia e maggiore partecipazione dei cittadini.
Infine, viene introdotto il metodo decisionale della doppia maggioranza, che andrà a pieno regime dal 2017, e vengono aumentati i poteri dei Parlamenti nazionali, che avranno più tempo per esaminare le direttive e rinviarle alla Commissione; per non parlare delle questioni ambientali e di quelle relative all'immigrazione.
Il voto di ratifica del Parlamento italiano deve essere un autentico atto politico che vuole affermare, in ogni momento, la nostra passione per un'Unione europea impegnata ad integrare i propri popoli e a tutelare i diritti civili e politici. Essa rappresenta un'opportunità di crescita politica ed economica e sarebbe dunque necessario credervi sempre, anche recependone le direttive e dimostrando serietà rispetto ai rischi di attivazione di procedure di infrazione. Su questi temi, il Governo deve essere convincente e coerente. Questo Parlamento lo sarà: misureremo l'azione dell'Esecutivo nei prossimi mesi, lavoreremo affinché si possa insieme brindare all'adozione piena del Trattato di Lisbona (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, desidero comunicarvi come la Presidenza intende proseguire con lo svolgimento dei lavori. Darò la parola all'onorevole Ciccanti, all'onorevole Bellotti e all'onorevole Rigoni: poi, poco dopo le ore 13,30, sospenderemo i lavori, che riprenderemo alle ore 15 con lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata; a seguire, riprenderemo l'esame di questo provvedimento. Se non vi sono obiezioni, procediamo in questo modo.
È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, cinquant'anni fa, nel 1957, nascevano a Roma la CEE e l'Euratom; nel 1991, con il Trattato di Maastricht, nasceva l'Unione europea e si stabilivano i fondamentali per la moneta unica, l'euro; nel 2000, il 7 dicembre, a Nizza veniva proclamata con valore di principio la Carta dei diritti fondamentali; il 1o maggio 2004, l'Europa passava da 15 Stati a 25, per giungere poi a 27 nel 2007 con l'ingresso di Romania e Bulgaria.
Ho voluto ricordare queste quattro tappe fondamentali che faticosamente, passo dopo passo, hanno permesso di passare da un'Europa di Stati ad un'Europa dei popoli. In questo cammino vi sono state soste e accelerazioni, ma la strada fatta è molta e diversi sono i risultati, anche decisivi.
Cinquant'anni fa, De Gasperi, Adenauer, Schumann, tutti e tre non a caso di fede cristiana, pensarono al trattato di Roma più per consolidare la pace fra Francia e Germania che per costruire un nuovo soggetto politico che fosse protagonista della nuova scena mondiale.Pag. 36
Negli anni, l'Europa è cresciuta e si è consolidata e rafforzata di pari passo con l'evoluzione geopolitica mondiale, ed oggi è matura per far fronte alle sfide del ventunesimo secolo: è in grado di definire una politica energetica comune per far fronte al monopolio predatorio della Russia; è in grado, oggi più di ieri, di affrontare l'emergenza immigrazione e la salvaguardia della propria identità culturale, in una logica di coesione sociale.
È impegnata a combattere e a sconfiggere il terrorismo fondamentalista con l'affermazione del multilateralismo; è nella condizione, con la propria moneta, di diventare forte nel mondo più del dollaro e di dominare economicamente, tecnologicamente e commercialmente il secolo che ci si apre davanti, potendo sfidare l'America di Bush, la Russia di Putin e la Cina di Hu Jintao. Quelle che oggi sono per l'Europa preoccupazioni dettate dalla crisi energetica, dalla crisi finanziaria americana, dai cambiamenti climatici e dalla nascita dei giganti asiatici, per un'Italia senza Europa sarebbero state rassegnazioni e sconfitte, perché da soli mai avremmo avuto la forza di fronteggiare crisi di portata mondiale.
I meriti dell'Europa sono molto superiori ai demeriti, e se non l'avessimo avuta l'avremmo desiderata anche così com'è. Credo che, nonostante tutto, a questa Europa toccherà ancora una volta ereditare il mondo, se è vero che esso è tornato a restringersi ancora una volta nel Mediterraneo.
Non credo che la bocciatura irlandese di questo nuovo Trattato, faticosamente rinato dalle ceneri della vecchia Convenzione, fermerà il cammino per la definizione di nuove regole che consentano quella capacità di decisione che manca all'Europa. Un'Europa senza una efficace governance è percepita come un peso dagli europei e perciò è rifiutata. L'Italia, su questo punto, è tra i Paesi più convinti: quando nel dicembre del 2000 a Nizza si decise l'allargamento anche ai Paesi dell'ex blocco sovietico, chiese che prima si procedesse alle necessarie modifiche dei trattati, nella ferma convinzione che non sarebbe stato possibile gestire un'Europa a ventisette con regole concepite per un gruppo più ristretto (a dodici o a quindici membri).
Purtroppo le cose andarono diversamente, anche a causa della partecipazione alle decisioni degli aspiranti nuovi membri. Accadde così che la Polonia potesse allearsi con la Spagna per pretendere che la riforma di voto cedesse agli interessi del diritto di veto dei due Paesi. Non so se quel fallimento di Nizza porti con sé il narcisismo nazionalista di Chirac di vedersi riconoscere nel suo Paese una tappa storica dell'allargamento dell'Europa, oppure le furbizie del Regno Unito di vedere un'Europa debole e ingovernabile (come è sempre stato nelle sue aspirazioni), oppure ancora la convinzione di Prodi che, senza Nizza, avremmo riconsegnato alcuni Paesi dell'est all'orbita della Russia di Putin.
Probabilmente, vi è un po' di tutto, nella convinzione che, a volte, un passo indietro serve a farne due avanti, quando l'obiettivo è ambizioso. Questa logica, del resto, è una costante nella storia di questa nuova Europa: è la logica prudente degli «eurorealisti», della dottrina funzionalista, del pensiero di Monnet che delude gli «euroentusiasti» degli Stati uniti d'Europa, ma sconfigge gli euroscettici che vorrebbero tornare all'Europa degli stati nazionali.
Dopo il «sì» unanime del Senato - che spero si ripeta alla Camera - l'Italia è il ventiquattresimo Paese dei ventisette che ratifica il Trattato firmato a Lisbona il 13 dicembre del 2007. Dopo il «no» irlandese, si attende l'esito della firma del Presidente polacco Kaczynski che oppone il suo rifiuto nonostante l'approvazione del Parlamento polacco, e la decisione della Repubblica Ceca, che attende la decisione della Corte costituzionale per superare le perplessità euroscettiche del Presidente della Repubblica Václav Klaus. Di questi problemi quello che più mi preoccupa è il superamento del voto irlandese che non ha ratificato il Trattato: un solo Paese dei ventisette che non ratifica fa saltare il Trattato.Pag. 37
Guardiamo con fiducia all'iniziativa del Presidente di turno dell'Unione europea, Sarkozy, di riassorbire il voto negativo, proponendo e favorendo un altro referendum in Irlanda. Nello scorso febbraio, 499 deputati europei hanno votato una mozione che prometteva di tener conto del referendum irlandese, senza che esso esplichi gli effetti inibitori che giuridicamente avrebbero nel rispetto dei precedenti trattati.
Il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha invitato ad andare avanti nel processo di ratifica. Vi è chi vuole negoziare con l'Irlanda deroghe su certi punti, come accadde nel 1992 con la Danimarca che aveva respinto il Trattato di Maastricht.
Sta di fatto che un piccolo Stato di quattro milioni di persone su 500 milioni di europei, meno dell'1 per cento, rischia di bloccare un motore indispensabile alla regolazione di una globalizzazione con poche regole che opera in un mondo multipolare.
L'Europa non può caratterizzarsi ancora come zona di libero scambio allineata con gli Stati Uniti d'America, perché ci renderebbe merci. Ha bisogno di una propria sovranità politica, economica e militare. Con il Trattato in esame, che ci accingiamo a ratificare, decade il principio della rotazione semestrale dei Presidenti dell'Unione europea. Ne avremo uno biennale che ci rappresenterà sulla scena mondiale insieme ad un unico Ministro degli esteri europeo. Il Parlamento europeo avrà più poteri e una maggiore legittimazione democratica. L'Unione europea conferma la propria personalità giuridica. Il voto sarà a maggioranza qualificata in Consiglio e riguarderà anche materie come la cooperazione giudiziaria e di polizia, anche se la sicurezza nazionale rimane una prerogativa degli Stati membri.
Dal 2014 la maggioranza sarà binaria: 55 per cento degli Stati e 65 per cento della popolazione. È vero che non ci saranno più articoli che riguardano un'idea di Stato federale come la bandiera, l'inno, il motto, la moneta e la giornata dell'Europa, ma sedici Stati membri, tra cui l'Italia, hanno firmato una dichiarazione allegata all'atto finale della Conferenza intergovernativa che riconosce il valore dei simboli dell'Unione. Questa è una situazione che, di per sé, potrebbe essere derubricata come secondaria, ma fa parte di quell'acquis communautaire che è lo spirito che deve incarnarsi nei popoli dell'esperienza europea e che forse in questi ultimi anni si è appannato.
Siamo anche soddisfatti del riconoscimento della cogenza della Carta dei diritti fondamentali e della norma che riconosce i valori della dignità umana ossia libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto, diritti umani e diritti delle minoranze.
L'Unione di Centro, che ha con il proprio capogruppo Casini la presidenza dell'Internazionale dei democratici cristiani, esprimerà voto favorevole alla ratifica in continuità con la DC di De Gasperi, sapendo che su di noi pesa la responsabilità, rispetto ad altri, di essere gli eredi dei fondatori dell'Europa unita (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bellotti. Ne ha facoltà.

LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il Trattato di Lisbona rappresenta un passo ambizioso, seppure ridimensionato, rispetto alla Costituzione per l'Europa firmata a Roma nel 2004 dai Paesi membri. Per comprenderlo a pieno dobbiamo pensare a ciò che era l'Europa all'inizio del secolo scorso: fame, miseria, lotte di classe, guerre e conflitti.
Dobbiamo ringraziare chi in Europa - Adenauer, Schuman e De Gasperi nel nostro Paese - hanno, con un'intuizione straordinaria, gettato le basi per questo percorso di integrazione nel segno della convivenza pacifica, dello sviluppo e dell'integrazione.
Vale la pena ricordare le origini dell'Unione. La Comunità europea nacque il 1o gennaio del 1958 con l'entrata in vigore dei Trattati di Roma firmati dai sei Paesi fondatori: Italia, Germania, Francia, Lussemburgo, Belgio e Paesi Bassi. Già, comunque,Pag. 38nel 1951 si era costituita una comunità embrionale denominata CECA, limitata al commercio del carbone e dell'acciaio per risolvere i conflitti derivanti dalla gestione delle risorse naturali delle terre di confine che videro contrapposte, a più riprese, Francia e Germania.
L'integrazione europea nasce, quindi, per evitare nuovi scontri sul continente, per creare nuove opportunità tra i popoli in un clima di fraterna collaborazione. Si è trattato di un processo lungo, non sempre in discesa, ma oggi l'Unione dei sei Paesi fondatori è passata a 27 Stati membri.
È ora necessario guardare al futuro. In realtà oggi con il Trattato che andremo a votare ci troviamo di fronte ad un vero e proprio atto costitutivo di un nuovo soggetto istituzionale, che cambia forma e funzioni della comunità, che assume rispetto al passato una nuova e più ampia dimensione, che entra nella vita di ogni italiano e di ogni europeo. Votiamo un'adesione che, per certi aspetti, porta le nostre istituzioni da ambiti di sovranità ad ambiti di rappresentanza. Questo Parlamento dovrà occuparsi sempre di più d'Europa. Pertanto, è indispensabile comprenderne la sua creazione, gli organi istitutivi, spiegarlo agli italiani, per evitare anche in questo Parlamento un voto quasi fosse una certificazione, un atto dovuto, una adesione per gravità.
Oggi non votiamo l'adesione di un Governo, oggi votiamo ed impegniamo il futuro del nostro Paese in un contesto nazionale ed europeo che vogliamo più ampio, più libero, con maggiori opportunità per le nostre genti e per i nostri popoli. È per questo che vogliamo soffermarci sul concetto di adesione. Si aderisce oltre che per vissuto territoriale, per valori comuni e condivisi, per interessi sociali, culturali ed economici sempre più legati ed interconnessi, sempre più integrati. Pensiamo alle grandi vie di comunicazione europee e alle infrastrutture, alla ricerca scientifica ed è per questo che in tale Trattato intendiamo rilevare gli elementi di rafforzamento.
Il primo riguarda l'ambito valoriale. È vero che all'interno del documento firmato a Lisbona vengono precisati i valori dell'Unione, ma resta un punto scoperto riguardo alle radici europee. Le radici giudaico-cristiane del nostro Continente sono, infatti, un dato ineliminabile del processo culturale che ha portato alla formazione di una vera e propria civiltà europea. Se nell'attuale Europa vi è un tratto distintivo, esso è certamente ricollegabile alle fondamenta religiose, ma pure storiche e sociali che per molti secoli forgiarono l'identità europea. Il diritto e l'amministrazione romana, il cristianesimo e le sue origini giudaiche hanno dato forma a questa nostra Europa, costituendone i presupposti di una comunanza di ideali e di percorsi. In questo, il nostro Paese deve, per la sua storia, essere il nucleo aggregante di tale sentimento.
Il secondo aspetto riguarda gli interessi e i fini sociali che stanno alla base del processo di integrazione europea. Di fronte ad un mondo sempre più complesso e alle sfide della globalizzazione è necessario - per competere con gli altri attori sullo scenario internazionale - creare una massa critica, che possa meglio rispondere alle necessità dei cittadini italiani ed europei. Non siamo più il motore economico del mondo, abbiamo un'economia stagnante, la globalizzazione in molti settori ci ha trovato impreparati. Sempre più negli accordi internazionali di libero scambio si tratta e si ragiona non tanto per Paesi, ma per Continenti. È in questo ambito che nasce la necessità e la convinzione che l'Europa - non il singolo - deve avere una comune strategia. In ambiti come questi, gli Stati non possono fare abbastanza, se sono lasciati soli. D'altra parte, la competizione avviene con attori che, per dimensioni (pensiamo all'India o alla Cina) o per influenza (pensiamo al Giappone e agli Stati Uniti), già riescono a costituire dei blocchi regionali con cui una singola entità statuale non può competere.
Oltre all'ambito internazionale, nello stesso bacino europeo è ormai convinzione comune che sia indispensabile avere una comune strategia. Pensiamo ai temi dell'energia:Pag. 39il problema della sicurezza di una centrale nucleare non può essere quella di un singolo Stato di appartenenza, ma riguarda tutti. Sull'immigrazione, non è con norme più o meno restrittive che un Paese da solo può farvi fronte. Sul lavoro, non possiamo avere norme dissimili. Sull'economia, non è un dazio che salva il bilancio di uno Stato. Sulla sicurezza e la lotta al terrorismo internazionale non si fa da soli.
Molti sono i motivi per comprendere non l'utilità, ma la necessità di più Europa. Ma accanto a questo, proprio perché crediamo nel Trattato e vogliamo rafforzarlo, non possiamo nascondere le aree deboli. Penso ad un esempio concreto in agricoltura: lo zucchero geneticamente modificato ha portato alla chiusura di molti zuccherifici nel nostro Paese. Un'importante fonte di reddito per gli agricoltori è stata chiusa e, quindi, è difficile spiegare ai nostri cittadini italiani l'utilità di tale manovra.
Di fronte a casi come questi è evidente che varrebbe la pena interrogarsi sui limiti che devono ricercarsi nell'azione dell'Unione. L'agricoltura, d'altra parte, ha giocato un ruolo fondamentale in questo assetto e lo gioca tuttora. La politica agricola comune, la PAC, è una delle politiche comunitarie di maggiore importanza, impegnando circa il 44 per cento del bilancio dell'Unione europea; è prevista dal Trattato istitutivo delle Comunità. Anche in questo campo sarebbe bene a volte adottare politiche più morbide e vicine alle necessità dei territori.
Più che focalizzare tuttavia l'attenzione su queste singole criticità che nascono dall'applicazione dei Trattati e non dalla loro semplice esistenza, vorrei soffermarmi sulla lezione che possiamo trarre dal cammino percorso finora: a fronte dei poteri sovranazionali devono necessariamente contrapporsi delle precise responsabilità e, conseguentemente, dei limiti. Senza questo tipo di riflessione di fondo l'Unione europea e ogni step verso un suo progressivo rafforzamento verrebbero percepiti dai cittadini (come talora è successo, vedi in Irlanda il referendum che ha bocciato il Trattato o le precedenti consultazioni in Francia e in Olanda che hanno minato la stessa Costituzione europea) come un abuso, come la vittoria della burocrazia, come una costruzione calata dall'alto, senza reali miglioramenti per la vita dei singoli individui. Pertanto è indispensabile focalizzare l'attenzione su quelle che vengono percepite come delle vere e proprie ingerenze da parte dell'Unione e che nascono dallo stesso concetto di Stato federale. In Italia ne abbiamo avuto l'esempio con la riforma in senso federalista nel 2001: i conflitti di competenza tra enti territoriali e Stato centrale, sono gravati anche da quelli che subentrano tra Unione europea, Stato, regione, provincia e comuni. Sebbene il Trattato di Lisbona, come si rivendica in più parti, chiarisca l'ambito delle competenze è evidente come un Trattato non possa rispondere a tutte le problematiche che vengono via via formandosi su questa questione.
Vi è poi una carenza di attenzione verso l'interesse nazionale che, con l'estensione del voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio e con la possibilità che una nazione non sia neppure rappresentata all'interno della Commissione europea, potrebbe venire fortemente frustrato. Inoltre, la stessa natura del Trattato pone degli interrogativi circa una sua possibile natura flessibile, così com'è evidente che sono solo gli organi dell'Unione a determinare l'interpretazione e a precisarne i contenuti; anche in questo caso, le decisioni sembreranno lontane dai cittadini.
Questo aspetto potrebbe essere particolarmente problematico specie per l'ambito etico. Soprattutto in questo campo la decisione politica, che deriva direttamente dalla volontà degli elettori dei singoli Stati membri, potrebbe venir sovrastata da decisioni della Commissione europea, non lasciando margini sufficienti alle diverse sensibilità nei territori. Penso a questioni come la famiglia, ordinamento irrinunciabile e insostituibile della nostra struttura sociale, o a certi temi che riguardano la bioetica. Di fronte a tutti questi fattori non va dimenticato l'estremo dinamismo dellePag. 40fughe che sono allo stesso tempo centripete e centrifughe, e che perciò vedono accostate al fenomeno della globalizzazione anche quello della localizzazione. Pensiamo al caso del Belgio che potrebbe vedere esplodere germi simili a quelli che portarono alla spaccatura di Repubblica Ceca e Slovacca più di quindici anni fa.
Di fronte a tutto questo, avanzo una proposta che spero il Governo recepirà e potrà rappresentare come esigenza nelle sedi opportune: quella di pensare, per l'evoluzione del Trattato dell'integrazione europea, ad un Trattato flessibile che venga accompagnato da un tavolo di confronto continuo anche nel nostro Paese, che adegui i contenuti dei diritti e dei doveri derivanti da un'adesione all'Unione europea alle mutevoli esigenze dello scenario continentale e mondiale. Flessibilità e sussidiarietà: non è pensabile che un Trattato che fissa paletti fin troppo dettagliati possa essere indifferentemente adeguato per diversi momenti storici, soprattutto in considerazione della continua evoluzione degli scenari. Una Costituzione flessibile potrebbe essere invece uno strumento che si adegua, che si evolve, un vero e proprio essere vivente che respira secondo le necessità dell'Unione che sovrintende.
Essa lascerebbe posto e ruolo, ove questo sia necessario, ai popoli che la compongono e che la vivono, facendoli sentire come parti attive e costitutive di un soggetto che essi contribuiscono a plasmare giorno dopo giorno.
La concorrenza in campo mondiale ci insegna ogni giorno che non è chi arriva un attimo prima a vincere le sfide che la globalizzazione ci pone di fronte; in questo modo si vincono le singole battaglie, ma nel lungo periodo questo non basta a restare competitivi. Vince, al contrario, chi riesce a costruire solide reti di integrazione tra soggetti diversi, chi riesce a nutrire delle relazioni di cooperazione tra Stati, mondo economico e società civile, un progresso di squadra in uno spirito collaborativo.
Per questa ragione, auspicando un'integrazione sempre più reale e avanzata, esprimo il mio convinto sostegno ad un Trattato che, però, non deve essere l'atto finale di un percorso, ma l'inizio di una fase, di un processo di costituzione che produca meno esclusione sociale e più cittadinanza europea (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rigoni. Ne ha facoltà.

ANDREA RIGONI. Signor Presidente, intendo svolgere alcune brevi considerazioni sulla valenza politica della ratifica del Trattato di Lisbona, sul rilancio del processo di integrazione europea e sulle prospettive di ampio respiro, necessarie affinché tale processo si compia su basi democratiche moderne.
Lisbona ha un duplice significato. Da un lato, ricorda la mancata adozione della Costituzione europea, bocciata con referendum dall'Olanda prima, e dalla Francia poi, che era il frutto di un processo nel quale l'Italia, il nostro Paese, aveva riposto grande fiducia e per il quale sono state spese energie e coltivate aspettative; dall'altro, suscita la speranza che il nuovo testo del Trattato possa realmente rappresentare un nuovo impegno, coraggioso e lungimirante, delle classi dirigenti degli Stati membri dell'Unione europea.
A questo proposito, non possiamo nascondere la delusione per il ritardo con cui stiamo procedendo alla ratifica del Trattato, tra l'altro in maniera alquanto frettolosa e nell'indifferenza dei più. Ricordo che su ventisette Stati membri dell'Unione europea noi siamo i ventiquattresimi a ratificarla, e solo dopo il ruvido intervento di Barroso, il Presidente della Commissione europea.
Dobbiamo purtroppo constatare che il nostro Paese ha rinunciato al tradizionale ruolo di capofila nella storia del processo di integrazione europea e non possiamo fare a meno di esternare il nostro disappunto per l'inerzia di questi primi mesi del Governo Berlusconi rispetto ad un tema di tale rilevanza, dovuta, evidentemente, a contrarietà presenti nella sua maggioranza. La Lega, questa mattina ci haPag. 41spiegato, infatti, che il suo voto sarà favorevole solo perché vi è stato il «no» irlandese che, di fatto, boccia il Trattato; ma questa inerzia è dovuta anche a settori del PdL poco sensibili, e qualche volta anche indifferenti, all'idea di un'Europa politica.
La differenza con la precedente azione di Governo è evidente e in questo senso voglio ricordare l'impegno profuso da Romano Prodi, prima come Presidente della Commissione europea, poi come Premier, che aveva portato l'Italia ad essere uno degli Stati più attivi e ricettivi nel processo e nel progetto di ammodernamento del quadro europeista. Il dato ancora più evidente e mortificante ai fini della nostra immagine fuori dai confini nazionali, è la percezione che siano ben altre le priorità di questo Governo, che hanno un sapore di tipo personalistico, riferendosi agli interessi di uno solo: il Premier, e che, di fatto, ci hanno relegato al ruolo di fanalino di coda nell'assunzione di responsabilità riguardo al futuro dell'Europa.
Il Trattato di Lisbona - lo dico da federalista europeo - non può certamente considerarsi esaustivo rispetto alle sfide che intende affrontare, potremmo considerarlo un risultato appena sufficiente. Di certo, avremmo potuto ottenere molto di più se le trattative intergovernative fossero state meno controverse e maggiormente improntate allo spirito di unità e coesione. È innegabile, però, che il clima degli ultimi anni che vede taluni Stati europei più incerti e timorosi, e i grandi problemi mondiali, quali i processi di globalizzazione delle economie, i conflitti, il terrorismo, l'immigrazione, nonché i rapporti commerciali con le aree più dinamiche dell'Oriente, sembrano spingere alcuni Governi a ricercare soluzioni nazionali in un contesto globale che continua, invece, a mostrare la sempre maggiore inadeguatezza dei singoli Stati di fronte alle sfide del futuro.
I Governi tendono ad attribuire alle istituzioni europee la paternità e la responsabilità di scelte politiche ed economiche dolorose come l'introduzione dell'euro, la politica dei tassi crescenti della BCE e il riaccendersi dell'inflazione. Si tratta di scelte rese necessarie soprattutto dall'incapacità degli Stati di affrontare adeguatamente e risolvere in maniera soddisfacente i problemi che essi stessi hanno determinato. Per non andare troppo lontano si pensi al nostro Paese - chissà perché mi viene in mente il Ministro dell'economia e delle finanze, «Robin Hood» - dove una parte della classe politica ha l'incorreggibile tendenza a riversare nelle istituzioni comunitarie la responsabilità delle misure economiche dure e rigorose che, invece, sono rese necessarie dagli errore di politica economica e dalla «finanza allegra» dei decenni precedenti.
È chiaro che le pubbliche opinioni vengono spaventate da chi ha interesse a ingenerare nei cittadini la convinzione che i problemi, le crisi e le difficoltà siano ascrivibili alla responsabilità di altri. L'esito negativo del referendum irlandese è un segnale di malessere da non trascurare a questo riguardo. È possibile constatare che la percezione distorta dello strapotere delle istituzioni e della cosiddetta eurocrazia, dirigista e centralista, su tematiche come la fiscalità, la politica sociale, l'immigrazione, l'ambiente e l'energia, sono un ostacolo da superare per continuare nel cammino europeo. Oggi abbiamo l'obbligo di non rallentare. Lisbona non è un rattoppo, ma un concreto passo in avanti sul piano politico. Penso, pertanto, che per riavvicinare i cittadini all'Europa non esiste altra via che riaffermare le radici e i valori comuni, costruendo obiettivi che le popolazioni del vecchio Continente possono sentire come propri.
Come si può evincere dal testo adottato a Lisbona, lo sforzo maggiore è stato compiuto nella struttura istituzionale dell'Unione, ritenuta inadeguata per un'Europa a ventisette. Altri Paesi stanno entrando come la Croazia, la Macedonia e - perché no? - la Turchia. A tale riguardo voglio dire che è miope l'atteggiamento di chiusura nei confronti della Turchia che, dato il suo tasso di sviluppo economico, non darà luogo ad ondate migratorie, ma che può rappresentare un ponte strategicoPag. 42per instaurare un dialogo con il mondo islamico. Sarebbe illusorio immaginare una nuova politica del Mediterraneo senza la Turchia, in quanto sarebbe soltanto una politica «mezza mediterranea», come ha efficacemente evidenziato il presidente Marini nel suo intervento al Senato.
Si registrano importanti novità; infatti, il Trattato cerca di rafforzare la capacità operativa dell'Unione, consentendo di adottare decisioni in modo più veloce, trasparente e garantendo un maggior coinvolgimento dei cittadini nella vita comunitaria. Inoltre, ho osservato che il Trattato prevede che i Parlamenti nazionali vengono considerati parte integrante nella vita democratica dell'Unione europea. Fungeranno, infatti, da custodia del principio di sussidiarietà e avranno il potere di intervenire nella fase iniziale dell'iter legislativo europeo e ciò, a mio avviso, è molto significativo.
Si tratta certo di passi in avanti che consentiranno il superamento del tanto lamentato deficit democratico che da anni affligge le istituzioni europee. Il testo sottoposto alla nostra approvazione segna, quindi, le linee di sviluppo dell'integrazione europea, contribuendo ad esaltare la fiducia e lo spirito di identificazione dei cittadini nelle istituzioni comunitarie, contribuendo così a costruire la coscienza collettiva di un vero popolo europeo.
In conclusione, signor Presidente, colleghi, sento il dovere di rimarcare l'importanza dell'attivismo dell'Italia in ambito europeo, che ultimamente sembra sopito in modo preoccupante e che, invece, dovrebbe, a mio avviso, proseguire nel cammino tracciato dall'operato di uomini politici del calibro di Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli, i quali insieme a personalità europee come Schumann, Monnet e Adenauer hanno continuamente e coraggiosamente avviato quel processo che, uno dei più grandi spiriti europei,...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ANDREA RIGONI. Giovanni Paolo II, il grande Papa Wojtyla, ha definito «la casa comune dall'Atlantico agli Urali».
Penso, signor Presidente, che è lo spirito di solidarietà che deve crescere nel mondo e in Europa per vincere l'egoismo delle persone e delle nazioni. La nascita di una comunità politica sovranazionale di cittadini e di Stati è il vero contributo dell'Europa alla civiltà. Nulla cambia nella storia senza atti simbolici e senza gesti cui le generazioni future guarderanno per sostenere le loro ambizioni. Per rispondere a queste sfide, occorre, dunque, un'Europa forte con istituzioni solide e capace di colmare le storiche lacune in materia di difesa e di politica estera.
Anche grazie a questa, se pur ritardata approvazione del Trattato di Lisbona, che tale casa comune europea potrà essere portata a compimento come unico esempio riuscito nel panorama mondiale di governance dei processi di globalizzazione, fondata sui principi del rispetto delle libertà e della democrazia rappresentativa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato al prosieguo della seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 13,32).

MARIO CAVALLARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIO CAVALLARO. Signor Presidente, intervengo brevemente per presentare alla Presidenza un annuncio di una certa urgenza, con preghiera di informarne il Governo.
Nella giornata di ieri un incendio di vaste proporzioni ha praticamente distrutto il teatro Nicola Vaccaj di Tolentino, uno dei più bei teatri storici delle Marche, inaugurato nel 1797, che, considerata l'epoca, era un teatro ligneo di grande pregio artistico, progettato dall'architetto Lucatelli, con affreschi anche dell'artista Francesco Fontana.
Il teatro era molto grande e conteneva quattrocento posti a sedere. Purtroppo, loPag. 43stesso comandante dei carabinieri del posto - che a suo tempo si trovava in Puglia per altre ragioni - ha ricordato, considerata la devastazione, l'incendio del teatro Petruzzelli ed altri hanno equiparato l'incendio a quello del teatro La Fenice.
Poiché, ovviamente, è ancora in corso la stima prioritaria e preventiva dei danni (che ammontano sicuramente a decine di milioni di euro), vorrei che la Presidenza informasse il Governo - e soprattutto il Ministro per i beni e le attività culturali - affinché, essendo stato disposto, nel frattempo, il sequestro di quel che rimane dello stabile, vengano assunte subito misure sia cognitive sia, ovviamente, riparatorie, per cercare di porre rimedio a questo evento che, grazie a Dio, è tragico non per le persone, ma per il nostro patrimonio culturale.

PRESIDENTE. Onorevole Cavallaro, la Presidenza si associa allo sgomento della popolazione marchigiana. Le Marche hanno numerosi teatri, ingiustamente considerati minori, che invece hanno un ruolo importante nella storia della lirica e nella crescita della cultura musicale del Paese.
Ci auguriamo che presto Tolentino torni ad avere il suo teatro. La Presidenza si impegna, comunque, ad informare il Governo, affinché esso assuma le misure opportune.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15.

La seduta, sospesa alle 13,40, è ripresa alle 15.

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministro per i rapporti con il Parlamento ed il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali.

(Iniziative per un piano straordinario di interventi di programmazione del piano irriguo nazionale e per la manutenzione e l'ammodernamento della rete di distribuzione, con particolare riferimento al Mezzogiorno ed alla Sicilia - n. 3-00102)

PRESIDENTE. L'onorevole Ruvolo ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00102, concernente iniziative per un piano straordinario di interventi di programmazione del piano irriguo nazionale e per la manutenzione e l'ammodernamento della rete di distribuzione, con particolare riferimento al Mezzogiorno ed alla Sicilia (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), per un minuto.

GIUSEPPE RUVOLO. Signor Presidente, signor Ministro, abbiamo voluto sottoporre a lei questa interrogazione a risposta immediata per la ragione semplicissima che istituti internazionali di ricerca ormai disegnano un quadro davvero straordinario, per quanto attiene al problema dell'acqua e, in particolare, della siccità.
Le previsioni sono davvero drammatiche: le piogge diminuiscono dal 30 al 40 per cento, la portata dei fiumi diminuisce addirittura dell'80 per cento. È uno scenario davvero drammatico.
Allora, la questione che noi poniamo concerne prevalentemente, oltre ovviamente agli usi civici e potabili dell'acqua, l'utilizzo dell'acqua per l'agricoltura, perché se vogliamo fare prodotti di qualità, senza l'acqua non si va da nessuna parte.
Interroghiamo il Ministro per sapere se è nei programmi del Governo l'attivazione di un piano irriguo straordinario, oltre al piano irriguo nazionale, perché si tratta di un'emergenza straordinaria. Il Ministro De Castro, suo predecessore, aveva...

PRESIDENTE. Onorevole Ruvolo, devo pregarla di concludere. Lei ha a sua disposizione un minuto ed è già ad un minuto e trenta secondi.

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GIUSEPPE RUVOLO. Concludo in un attimo, per dire che il Ministro De Castro aveva recuperato un miliardo di euro.
Allora, tenuto conto che per realizzare un'opera - gli uffici potranno confortarla su questo - occorrono almeno quattro o cinque anni, quale risposta dà il Governo in questo senso al mondo dell'agricoltura, in questo stato drammatico?

PRESIDENTE. Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Luca Zaia, ha facoltà di rispondere, per tre minuti.

LUCA ZAIA, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Ruvolo e gli altri colleghi che hanno presentato questa interrogazione. Debbo dire che il problema dei cambiamenti climatici e di tutto ciò che ne consegue è di odierna amministrazione e discussione. Prova ne sia che e in sede di Consiglio dei ministri d'Europa e alla FAO si parla in continuazione di cambiamenti climatici, di questa fascia di paesaggio naturale che avanza verso nord e di tutti rischi che ne conseguono.
Penso, ad esempio, al cuneo salino e ai problemi relativi non solo all'agricoltura e al contesto agricolo, ma anche a quello climatico, e ai problemi della sicurezza ambientale.
Come lei ben ricorda, c'è questa disponibilità di un miliardo e mezzo di euro. Questo rientra nel piano irriguo nazionale. Sono disponibilità che noi abbiamo per un triennio, dal 2010 al 2012. Le annuncio già che, rispetto a queste progettualità, abbiamo intenzione di presentare, in sede di esame della legge finanziaria, un emendamento in base al quale vogliamo anticipare, appunto direttamente in finanziaria, la disponibilità di questo miliardo e mezzo di euro a partire dal 2009 e istituire, con la stessa finanziaria, un fondo di rotazione per la progettazione degli interventi, perché avere una disponibilità di un miliardo e mezzo di euro e non avere le risorse per la progettazione significherebbe non far mai decollare il piano irriguo. Sotto altro profilo, intendiamo avviare un monitoraggio di tutte le iniziative rispetto a regioni e province autonome e accedere, in seguito, anche ai fondi comunitari disponibili per il periodo dal 2007 al 2013.
Sostanzialmente, stiamo lavorando su queste ipotesi. Avrà modo poi di fare le dovute verifiche in sede di legge finanziaria. Il problema, comunque, ci tocca da vicino. Prova ne sia che, comunque, anche rispetto alle normali pratiche agronomiche, gli stessi agricoltori e gli imprenditori devono mutare le loro tradizionali lavorazioni dei terreni.
Abbiamo poi la necessità di dare una risposta sul versante dell'infrastrutturazione del sistema idrico e idraulico del Paese che oggi è obsoleta e in alcuni casi non riesce a garantire la risorsa idrica.

PRESIDENTE. L'onorevole Ruvolo ha facoltà di replicare, per due minuti.

GIUSEPPE RUVOLO. Signor Presidente, signor Ministro le sue parole ci confortano certamente e abbiamo la speranza che divengano fatti concreti perché non è più possibile trascinarci ancora da un'emergenza all'altra. Un fatto è comunque certo: costituire il fondo di rotazione è estremamente importante per dare la possibilità agli enti preposti di realizzare progetti perché questo è il grande deficit della pubblica amministrazione.
Vorrei, però, ricordare un evento straordinario e particolare: in Sicilia avanza il deserto e la desertificazione è già una realtà, come lei ha modo di poter verificare con gli uffici. Si tratta di un grido di allarme che la Sicilia sta lanciando proprio oggi per far sì che il Governo, con un piano straordinario, con priorità assoluta, possa guardare con un forte interesse a quell'area. Le faccio vedere solo un articolo di un quotidiano importantissimo di qualche giorno fa (Mostra una copia del quotidiano la Repubblica edizione di Palermo): ecco, a Licata, in provincia di Agrigento, ormai c'è il deserto. Queste sono le tragedie che stiamo vivendo. Se le risposte saranno concrete, questo Governo fornirà sicuramente una risposta a chi in effetti in questo momento sta soffrendo.

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(Ipotesi di realizzazione di una discarica nel comune di Andretta - località Pero Spaccone (Formicoso) - in provincia di Avellino - n. 3-00104)

PRESIDENTE. L'onorevole Iannaccone ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00104, concernente ipotesi di realizzazione di una discarica nel comune di Andretta - località Pero Spaccone (Formicoso) - in provincia di Avellino (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), per un minuto.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, signori Ministro, alcuni giorni fa gli amministratori del comune di Andretta, provincia di Avellino, sono stati convocati dal vice commissario all'emergenza rifiuti in Campania, il generale Giannini, che ha comunicato che sarebbero stati notificati i decreti di esproprio ai proprietari di alcuni terreni del comune di Andretta per avviare la realizzazione di una discarica e sarebbe la seconda discarica realizzata in provincia di Avellino in poche settimane. Mentre, però, la provincia di Avellino è la più piccola della regione, produce solo il 5 per cento dei rifiuti e ha raggiunto il 42 per cento di raccolta differenziata, registriamo un'assoluta inerzia nella realizzazione di altre discariche. Le chiedo di sapere, per un criterio di equità e giustizia, se il Governo non intenda procrastinare come sarebbe giusto la realizzazione di quella discarica in attesa di avviare il ciclo integrato dei rifiuti e di realizzare il principio della provincializzazione.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere per tre minuti.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, in merito a quanto richiesto ed esposto poco fa dall'onorevole Iannaccone il Governo fa presente che il sito da destinare a discarica presso il comune di Andretta (Avellino) in località Pero Spaccone (Formicoso) fa parte effettivamente di un insieme di siti già individuati nel recente decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, convertiti con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, insieme a quelli di Sant'Arcangelo Trimonte in provincia di Benevento, di Savignano Irpino in provincia di Avellino, di Serre in provincia di Salerno, di Terzigno in provincia di Napoli, di Chiaiano in provincia di Napoli, di Caserta e di Santa Maria la Fossa in provincia di Caserta. Quindi, come vede, onorevole Iannaccone, si tratta di un complesso di siti per discariche che riguardano equamente tutte le province della regione Campania: due a Napoli, due a Caserta, due ad Avellino, due a Salerno e uno a Benevento. L'emanazione del provvedimento e l'individuazione delle discariche, come è noto, si è reso indispensabile per fronteggiare l'emergenza del territorio campano che ha avuto gravi ricadute sotto il profilo ambientale, produttivo, sanitario, economico, sociale e turistico.
La crisi dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania è giunta al culmine nei mesi scorsi e, grazie ai provvedimenti varati dal Governo e approvati dal Parlamento, anche superando la cronica mancanza di un numero adeguato di discariche per smaltire i rifiuti, è stata avviata a soluzione. I siti di discarica, previsti dal decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, sono stati individuati tenendo in considerazione le indicazioni fornite dagli enti locali, da una parte, e dal precedente commissario delegato, dall'altra. L'analisi del territorio, compreso quello del comune di Andretta, è stata condotta esaminando gli elementi raccolti nel corso del tempo, soprattutto quelli inseriti nella banca dati, estremamente completa e dettagliata, costituita da archivi informatici disponibili presso le amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, della regione e delle province della Campania. Peraltro, i criteri di scelta dei siti determinati in accordo con i soggetti territoriali coinvolti e con la regione Campania, sono stati definiti ricercando soluzioni che prevedessero il minore impatto possibile sia sull'ambiente sia sul territorio, integrati nel sistema informativo geografico predisposto dal dipartimentoPag. 46della protezione civile per il supporto all'emergenza rifiuti nella regione Campania.
In particolare, per quanto concerne il sito di Andretta, richiamato dall'onorevole Iannaccone, si rappresenta che l'indicazione, formalizzata anche dalla provincia di Avellino, è stata definita ottimale sotto il profilo della sicurezza dall'inquinamento e che la natura argillosa dell'area assicura una completa tenuta anche in caso di eventuali perdite della discarica.
Del resto, anche i corsi d'acqua che incidono nelle vicinanze, non sono esposti a rischio di inquinamento in relazione alle previste tecnologie di tenuta che verranno impiegate nella realizzazione della discarica medesima.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Vito.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Naturalmente abbiamo preso atto delle osservazioni compiute dall'onorevole Iannaccone sull'esigenza di avviarsi verso un regime più ampio di superamento dell'emergenza nella regione Campania. Sicuramente si potrà accedere a questo regime ma dopo che saranno stati attuati i provvedimenti varati dal Governo e recentemente approvati dal Parlamento.

PRESIDENTE. L'onorevole Iannaccone ha facoltà di replicare per due minuti.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, signor Ministro, conosco il provvedimento che questo Parlamento ha approvato ed effettivamente tra i dieci siti individuati è compreso quello di Andretta. Conosco anche quali sono i livelli di responsabilità che hanno condotto alla drammatica emergenza che la Campania ha vissuto per troppo tempo. Vi è stata l'inerzia del governo della regione, attraverso il commissario individuato all'epoca, Bassolino, e vi sono i meriti del Governo Berlusconi che, in questo momento, ha consentito alla Campania di non avere più i rifiuti per strada. Il decreto-legge prevede un ciclo integrato, un potenziamento della raccolta differenziata e le discariche.
Dal momento che questo Parlamento ha approvato un ordine del giorno da me presentato sulla provincializzazione del ciclo dei rifiuti, in base al quale ogni provincia è responsabile dello smaltimento dei rifiuti che produce, intendo sottolineare ancora una volta a lei affinché il Governo ne faccia tesoro, che la provincia di Avellino produce solo il 5 per cento dei rifiuti dell'intera regione. Pertanto, a poche settimane dalla realizzazione della discarica di Savignano, realizzare un secondo sito sarebbe un grave colpo inferto ad una provincia che rappresenta un'entità ambientale unica in Italia, che ha un bacino idrografico unico in Europa, oltre tremila sorgenti d'acqua, e che fornisce acqua - abbiamo sentito parlare prima della drammatica emergenza in Sicilia - a cinque milioni di abitanti.
Il Governo rifletta bene sui provvedimenti che intende assumere. La mia richiesta è che il sito della discarica di Andretta, se dovesse essere necessario, venga realizzato per ultimo.

(Misure di sostegno a favore della produzione e del consumo della mozzarella di bufala, in relazione all'emergenza diossina - n. 3-00103)

PRESIDENTE. Devo scusarmi con l'onorevole Cicchitto e i suoi colleghi perché, non per un maneggio politico ma per un errore materiale, lo svolgimento dell'interrogazione n. 3-00103 da loro presentata, anche se previsto prima dell'interrogazione Iannaccone n. 3-00104, è stato posticipato.
L'onorevole Di Caterina ha facoltà di illustrare l'interrogazione Cicchitto n. 3-00103, concernente misure di sostegno a favore della produzione e del consumo della mozzarella di bufala, in relazione all'emergenza diossina (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

MARCELLO DI CATERINA. Signor Presidente, signori Ministri, signor Ministro delle politiche agricole e forestali,Pag. 47l'emergenza diossina ha duramente colpito il settore bufalino ed ha portato un calo delle vendite di mozzarella di bufala campana davvero drammatica.
L'industria di trasformazione, che ha collaborato attivamente alla gestione della crisi, si è impegnata a ritirare il latte anche nei momenti di massima emergenza e durante il blocco delle lavorazioni imposto dalla Commissione europea.
Tra l'altro, il latte che presentava contenuti di diossina superiori ai limiti di legge non è entrato nella catena alimentare, anche se, effettuando le analisi di rito, è stato dimostrato che nella maggior parte dei casi la materia prima impiegata era perfettamente a norma e che a norma erano i prodotti finiti.
L'intero comparto, non solo in Campania ma anche in altre regioni (cito per esempio la Lombardia) ha subito ingenti danni economici, ma sta cercando di uscire dall'emergenza.
Chiedo e chiediamo di sapere dal Ministro Zaia quali azioni si stanno mettendo in campo, sia per rilanciare i consumi, assicurando il mondo dei consumatori, sia per risolvere l'enorme problema del latte stoccato durante i mesi di crisi che, visto che sono migliaia e migliaia le tonnellate che sono state congelate, non sono più utilizzabili per la produzione di mozzarella e rischiano di arrivare sul mercato a prezzi relativamente bassi, mettendo in crisi l'intera filiera.

PRESIDENTE. Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Luca Zaia, ha facoltà di rispondere, per tre minuti.

LUCA ZAIA, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, rispetto all'interrogazione a risposta immediata in esame vorrei ricordare che la questione ivi affrontata ha rappresentato per me la prima uscita ufficiale in quel di Caserta.
Ricordo che alcuni mesi fa, più in particolare da gennaio fino ad aprile-maggio, si pose questo problema, un problema grave e molto importante, relativo al crollo verticale del prezzo della mozzarella di bufala.
Ricordiamo che vi fu un crollo dell'80 per cento delle quotazioni sul mercato, quindi di conseguenza anche dei consumi, come lei ben ricordava, che trascinò comunque, inevitabilmente, anche un altro prodotto simile che riveste importanza nella nostra economia, quello della mozzarella di latte vaccino.
Quindi, il problema della bufala, ma anche il problema del latte vaccino hanno coinvolto tutta Italia.
La volontà nostra è stata quella di intervenire subito.
Dobbiamo anche riconoscere che nei piani di monitoraggio che si fecero, in collaborazione con l'assessorato alla sanità della regione Campania, con il Ministero della salute e ovviamente il Ministero delle politiche agricole e forestali, si manifestò la necessità di intervenire anche in maniera molto drastica.
Prova ne sia che mai si è conosciuto caso nella storia in cui vi sia stato un tale controllo a tappeto: in quindici giorni furono controllate tutte le aziende agricole coinvolte dallo scandalo della mozzarella alla diossina.
Risultò comunque che le pochissime aziende che effettivamente presentavano valori positivi - e questi sono dati dell'Ispettorato centrale per il controllo della qualità - furono chiuse e le loro produzioni furono interdette ai mercati.
Ne consegue, come lei ha evidenziato, che oggi abbiamo stoccato molto latte congelato.
È una riflessione che stiamo facendo - ma è qualcosa di più di una riflessione - quella di pensare di poter elargire degli indennizzi direttamente per le giornate di sospensione alla commercializzazione: questo in teoria lo si potrebbe fare.
Vi è una necessità, che è quella di poter parlare anche di disastri ambientali: vi è un fondo di rotazione presso il Ministero dell'ambiente, al quale vorremmo poter accedere.
Rispetto alle campagne di promozione, vi ricordo che ad agosto saranno già dieci giorni che ho presentato lo spot promozionale:Pag. 48andrà in onda su spazi dedicati della Presidenza del Consiglio dei Ministri proprio una campagna promozionale per il sostegno del consumo della mozzarella di bufala.
Sosterremo a livello comunitario - ne abbiamo già parlato con il consorzio e con i produttori - un altro piano pluriennale di promozione.
Infine, voglio anche ricordare un accordo che si è concluso con Alitalia, quindi Freccia Alata, per portare la mozzarella di bufala e altri prodotti tutelati, ovviamente DOP o IGP, come nel caso della mozzarella campana di bufala, nei voli intercontinentali, nelle salette vip e nelle salette d'attesa.
Questo è quanto riusciamo a fare.
Vi è sicuramente la necessità di effettuare un ragionamento rispetto ai terreni.
Ricordo che è stato aperto un tavolo tra il Ministero dell'ambiente, ovviamente quello della salute ed il nostro Ministero, per parlare di bonifiche di terreni e della necessità di dare anche tranquillità per le produzioni future.

PRESIDENTE. L'onorevole Di Caterina ha facoltà di replicare, per due minuti.

MARCELLO DI CATERINA. Signor Presidente, signori Ministri, signor Ministro Zaia, mi ritengo assolutamente soddisfatto per le osservazioni e le puntualizzazioni sul tema. Chiaramente speriamo che a breve, per quanto riguarda il latte stoccato, si possano mettere in campo azioni penetrative del mercato che consentano ai produttori di risolvere in tempi brevissimi, come lei ha detto poco fa, il problema della mozzarella. In modo particolare, al di là della promozione e dell'intervento relativo al marketing, auspicabile per la crescita dei consumi, è assolutamente importante essere tempestivi per quanto riguarda il latte stoccato.
Mi ritengo comunque soddisfatto, ringrazio lei e l'Aula tutta (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

(Interventi per la difesa del suolo, la messa in sicurezza ed il riassetto idrogeologico del territorio della Valtellina e delle zone adiacenti - n. 3-00105)

PRESIDENTE. L'onorevole Crosio ha facoltà di illustrare l'interrogazione Cota n. 3-00105, concernente interventi per la difesa del suolo, la messa in sicurezza ed il riassetto idrogeologico del territorio della Valtellina e delle zone adiacenti (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

JONNY CROSIO. Signor Presidente, a seguito delle eccezionali avversità atmosferiche che hanno colpito il territorio della regione Lombardia nei giorni tra l'11 e il 13 luglio 2008, il territorio della Valtellina e delle zone adiacenti, nelle province di Sondrio, Lecco, Como e Bergamo, è di nuovo in emergenza. Le persistenti precipitazioni hanno causato ingenti danni sul territorio per decine di milioni di euro, la fuoriuscita del lago a Como per mezzo metro oltre la soglia di esondazione, la chiusura delle strade e della ferrovia, l'evacuazione di oltre 600 persone. La regione Lombardia ha così chiesto ed ottenuto dal Governo la dichiarazione dello stato di emergenza.
I cittadini hanno comunque avuto la paura del ripetersi della tragedia della grande alluvione della Valtellina del luglio del 1987. Tuttavia, nonostante la gravità della situazione e i considerevoli disagi, questa volta, grazie al grande lavoro dei vigili del fuoco e dei volontari di protezione civile, la situazione è tornata brevemente sotto controllo e, almeno per questa volta, la Valtellina e il resto del territorio lombardo non hanno avuto morti, anche se alcune famiglie risultano ancora fuori casa.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

JONNY CROSIO. In questi anni abbiamo dimostrato la validità della legge per la Valtellina, ma essa ormai ha esaurito i propri fondi, mentre continuano i problemi persistenti sul territorio, dovuti a smottamenti, esondazioni e frane.Pag. 49
Occorre un monitoraggio continuo delle zone ai fini della verifica delle condizioni generali di stabilità e dell'individuazione delle opere necessarie per la sistemazione dei versanti, allo scopo di pervenire ad un nuovo programma per la messa in sicurezza del territorio.
Concludo chiedendo, signor Ministro, quali impegni intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, per la difesa del suolo, per il finanziamento, in collaborazione con la regione Lombardia, di un nuovo programma per la messa in sicurezza e il riassetto idrogeologico del territorio della Valtellina e delle zone adiacenti, nelle province di Sondrio, Lecco, Como e Bergamo, proseguendo il positivo percorso della legge 2 maggio 1990, n. 102.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, in merito a quanto indicato nell'interrogazione presentata dall'onorevole Cota, presidente del gruppo parlamentare della Lega Nord Padania, dagli altri colleghi della Lega ed illustrata dall'onorevole Crosio, il Governo fa presente quanto segue. Il Governo è fortemente impegnato nel fronteggiare le situazioni di emergenza derivanti, tra l'altro, dai dissesti idrogeologici che colpiscono periodicamente il nostro suolo.
In particolare, si evidenzia che una grande attenzione è sempre stata mostrata nei confronti dei territori della Valtellina, così come risulta anche dall'attività di protezione civile posta in essere in occasione dei recenti eventi alluvionali che hanno colpito di nuovo tale territorio e per i quali il Governo ha già riferito in sede parlamentare presso la competente Commissione ambiente, in una recente seduta.
L'azione del Governo però, evidentemente, non può essere indirizzata esclusivamente alla gestione delle emergenze e alle pur dovute dichiarazioni dello stato di calamità nazionale, ma deve essere mirata sempre più verso la prevenzione.
A tal fine, l'impossibilità fisica di eliminare il rischio, anche a fronte di misure e finanziamenti eccezionali rende oggi necessario attuare una diversa politica per la difesa del suolo, in grado di integrare differenti interventi di settore (agricoltura, industria, biodiversità), differenziando le fonti di finanziamento pubblico e privato e attivando tutte le possibili sinergie con gli enti locali.
È questo l'impegno che il Governo si sente di assumere in questa sede.
Nonostante permangano importanti elementi di fragilità territoriale, da affrontare adeguatamente, è possibile puntare ad ottenere significativi margini di miglioramento dell'azione pubblica, come richiesto dagli interroganti.
In particolare, si fa presente che il piano Valtellina, al quale è stato fatto riferimento con la legge n. 102 del 1990, era articolato in tre fasi, avviate rispettivamente nel 1991, nel 2001 e nel 2003, in coerenza con i tempi con i quali sono state rese disponibili le risorse finanziarie.
Ora il Governo è in grado di assumere un ulteriore impegno da parte anche del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, oltre che del Ministero dell'economia e delle finanze, volto a velocizzare le procedure per l'autorizzazione alla riprogrammazione e al riutilizzo delle economie accertate a conclusione degli interventi previsti dal piano di difesa del suolo ai sensi della legge n. 102 del 1990, nonché a completare tempestivamente l'iter di valutazione dei progetti regionali di difesa del suolo, oggetto di valutazione di impatto ambientale nazionale, come, ad esempio, quello relativo agli interventi di stabilizzazione del torrente Torreggio.
Solo una volta che sarà conclusa e completata l'opera di attuazione della legge n. 102 del 1990, sarà possibile valutare quali ulteriori pianificazioni sarà necessario prevedere, con particolare riferimento ai territori richiamati dall'onorevole interrogante.

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PRESIDENTE. L'onorevole Crosio ha facoltà di replicare.

JONNY CROSIO. Signor Ministro, le sue parole mi rassicurano, però mi permetta, da valtellinese, di fare alcune puntualizzazioni.
Anche durante gli ultimi eventi calamitosi, abbiamo potuto appurare come le opere di difesa del suolo realizzate in Valtellina e in tutta la Lombardia, grazie alla legge n. 102 del 1990, la cosiddetta legge Valtellina, hanno fatto sì che, dove siamo intervenuti, non è successo nulla; ma, purtroppo, abbiamo anche constatato che c'è ancora tanto da fare.
Per tale ragione - lo diciamo nella nostra interrogazione, e mi confortano le sue parole - dobbiamo continuare con questa azione, anche perché mi permetta di considerare che, grazie alla legge Valtellina, che dalla sua entrata in vigore al suo compimento ha consentito l'erogazione di quasi 2 mila miliardi delle vecchie lire che sono stati spesi sul territorio con un primato tutto lombardo e molto valtellinese, le opere sono state progettate, realizzate e collaudate, in controtendenza con quel che avviene ancora, purtroppo, nel nostro Paese.
Per questo motivo, concludo riallacciandomi alle parole che scrisse Montanelli in un suo editoriale del 22 luglio 1987; egli disse molto chiaramente che era opportuno porre in essere azioni immediate da parte del Governo ed erogare fondi, poiché servivano fondi per la messa in sicurezza del territorio, dandoli alle regioni e alle province, che sanno come usarli, come è successo, appunto, in Lombardia.
Ricordo che Montanelli disse anche, in modo provocatorio, ma molto chiaro: diamo i soldi ai valtellinesi, come a suo tempo li abbiamo dati ai friulani, perché offrono la garanzia di realizzare le opere sul proprio territorio e offrono, in modo particolare, la garanzia di non rubarli (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

(Iniziative per evitare un ingiustificato peggioramento dei diritti dei lavoratori, in relazione a recenti modifiche della disciplina in materia di lavoro e di sicurezza dei lavoratori - n. 3-00106)

PRESIDENTE. L'onorevole Damiano ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00106, concernente iniziative per evitare un ingiustificato peggioramento dei diritti dei lavoratori, in relazione a recenti modifiche della disciplina in materia di lavoro e di sicurezza dei lavoratori (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, signor Ministro, sin dai primi atti del Governo si registra la presenza di un complesso ventaglio di norme in materia di disciplina del lavoro, che hanno prodotto la manomissione della disciplina del lavoro e della tutela della sicurezza dei lavoratori.
Basti pensare al tentativo di cancellare la norma che obbliga alla denuncia preventiva dell'inizio del rapporto di lavoro o, ancora, a quelle finalizzate a determinare proroghe all'entrata in vigore di disposizioni legislative in materia di sicurezza del lavoro.
Del resto, anche sul piano dei diritti sociali, con un'altra misura venutasi a definire in maniera estemporanea, si è determinato il rischio di una paradossale penalizzazione delle fasce più deboli della popolazione, mettendo in forse l'assegno sociale per centinaia di migliaia di anziani, casalinghe e religiosi.
In particolare, desta preoccupazione il grave peggioramento della disciplina dei contratti a tempo determinato, che prevede che, in caso di violazione delle clausole legittimanti, non potrà più essere riconosciuto il diritto alla trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ma si produrrà il solo diritto ad un limitato indennizzo monetario.
Tale ultima previsione desta non poche e fondate riserve di costituzionalità, in quanto sembra applicabile ai soli procedimentiPag. 51in corso; questa normativa andrebbe pertanto abrogata.
Chiediamo quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere al fine di evitare un ingiustificato peggioramento dei diritti di tanti lavoratori che hanno già subito il torto di un'applicazione impropria della disciplina in materia di contratti a tempo determinato, con effetti che rischiano di produrre incertezza giuridica, a causa della farraginosità della previsione, e, laddove confermati i rilievi di costituzionalità, un incremento del contenzioso giurisdizionale.

PRESIDENTE. Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha facoltà di rispondere.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Signor Presidente, non posso seguire l'onorevole Damiano nel suo giudizio complessivo sull'attività di Governo, che ci vorrebbe impegnati a ridurre le tutele dei lavoratori.
Per quanto riguarda le specifiche osservazioni, ricordo che sarebbe stato utile anche un impegno dell'opposizione per cercare di contenere gli abusi relativi alla fruizione dell'assegno sociale da parte di molti ricongiungimenti discutibili, motivati soltanto da questa prospettiva. La norma in ogni caso viene corretta, come è noto, limitando ai soli dieci anni di residenza il requisito per l'accesso allo stesso assegno sociale.
Per quanto riguarda, invece, più in generale la disciplina dei contratti a tempo determinato, ricordo che la norma introdotta dal Parlamento e ora in corso di correzione ha un campo di applicazione molto limitato: i contratti a termine non sono due milioni e 300 mila come si è detto, ma, depurati dalle collaborazioni coordinate e continuative, dai contratti di apprendistato e anche da quei contratti a termine che non ci interessano a questo proposito, perché riguardano i dirigenti o i lavoratori a termine della pubblica amministrazione ai quali non si applica la sanzione dell'assunzione a tempo indeterminato oppure altre categorie particolari, sono al massimo circa il 7-8 per cento dei contratti di lavoro.
In particolare, il contenzioso si è tutto concentrato nel corso di questi anni sulla società Poste Italiane: circa 44 mila ricorsi nel complesso, in parte anche composti o in corso di composizione. Ci sembra opportuna, per il contenzioso in atto nel momento della definitiva approvazione della legge e solo per questo, una sanatoria che consenta un'agevole e rapida composizione della controversia, anche sulla base degli accordi collettivi che la società Poste Italiane ha anche nei giorni scorsi raggiunto con le controparti sindacali; invece abbiamo operato per correggere quella norma per quanto riguarda la disciplina generale dei contratti a termine, che si è rivelata ben funzionante tranne il caso delle Poste Italiane, cioè senza un significativo contenzioso. Ci siamo, quindi, posti l'obiettivo di eliminare da quell'emendamento una causale troppo generica, che avrebbe sollecitato ulteriore contenzioso e probabilmente anche l'introduzione di rigidità attraverso i contratti collettivi...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. ...ed una norma che rendeva nulli i contratti viziati con conseguenti incertezze per i diritti dei lavoratori e per i doveri dei datori di lavoro. Ci sembra in questo modo di aver dato luogo ad una disciplina transitoria, che si esaurisce nel momento stesso in cui la legge viene approvata, confermando la disciplina generale dei contratti a termine, frutto di un accordo fra CISL, UIL e Confindustria recepito dal Governo Berlusconi nell'anno 2001 sulla base di una direttiva europea.

PRESIDENTE. L'onorevole Damiano ha facoltà di replicare, per due minuti.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, non sono assolutamente soddisfatto della risposta del Ministro. Per quanto riguarda l'assegno sociale, un conto è un abuso, che tutti quanti noi vogliamo combattere, unPag. 52conto è dimenticare che questo Governo, per iniziativa di propri parlamentari, del resto recepita da esponenti del Governo, i sottosegretari, ha corso il rischio di introdurre una normativa che avrebbe cancellato per tutti i cosiddetti poveri, gli indigenti, il beneficio dell'assegno sociale.
Adesso si corre ai ripari, ma bisogna ricordare che, nonostante questa correzione sicuramente positiva frutto della nostra opposizione, se la normativa rimarrà com'è, si colpiranno comunque i nostri immigranti e i neo-comunitari: non so se il Governo abbia pensato a questo problema.
Per quanto riguarda la norma relativa ai contratti a termine, ribadisco che - come il Ministro ben sa - essa presenta un profilo di illegittimità: è, infatti, vero che fa salvi coloro che hanno visto le loro richieste già passate in giudicato e coloro che avanzeranno richieste nel futuro e le vedranno accolte dai giudici, ma è anche vero che non fa salvo chi ha contenziosi in corso.
Si fa, inoltre, riferimento al caso delle Poste Italiane: desidero però ricordare che il problema non è ascrivibile soltanto a quella fattispecie, ma riguarda tutti coloro che avessero contenziosi in corso in qualsiasi azienda.
Quando, infine, si afferma che possono comunque intervenire gli accordi sindacali, ricordo al Ministro che vi è una disciplina derogatoria che avete previsto per quanto riguarda il termine dei 36 mesi e che dunque, in alternativa, si potrebbe ricorrere ad essa piuttosto che a questa norma transitoria.
Ribadiamo, dunque, la necessità dell'abrogazione di queste due norme per la gravità che esse rappresentano in termini di abbassamento delle tutele sociali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

(Iniziative normative per la tutela dei consumatori con riguardo ai rischi per la salute derivanti dall'utilizzo di contenitori di plastica per alimenti e bevande - n. 3-00107)

PRESIDENTE. L'onorevole Scilipoti ha facoltà di illustrare l'interrogazione Donadi n. 3-00107, concernente iniziative normative per la tutela dei consumatori con riguardo ai rischi per la salute derivanti dall'utilizzo di contenitori di plastica per alimenti e bevande (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, come lei sa meglio di me, gli alimenti sono importanti per la nostra crescita e per la nostra vita: presentiamo, dunque, questa interrogazione nell'interesse della collettività, ma in primo luogo in difesa della vita. Gli alimenti contengono sostanze, gli additivi alimentari, talune delle quali sono altamente tossiche e cancerogene, ma vengono adoperate normalmente senza alcuna preoccupazione.
In aggiunta, vi è il problema dei contenitori alimentari - piatti di plastica, bicchieri di plastica eccetera - che sono derivati del pvc (cloruro di polivinile), una sostanza altamente tossica e cancerogena, che viene utilizzata normalmente da quasi l'80 per cento della popolazione italiana.
Chiedo dunque al signor Ministro e ai suoi uffici e collaboratori di prestare particolare attenzione a questa problematica, poiché la vita umana è la cosa più sacra che vi sia, e dunque non è ammissibile che i cittadini la mettano a rischio quotidianamente sulla propria tavola per via dell'utilizzo di piatti o bicchieri di plastica, che contengono sostanze come gli ftalati, altamente cancerogene e causa in particolare di tumori alla laringe.

PRESIDENTE. Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha facoltà di rispondere.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Signor Presidente, muoviamo ovviamente tutti dal medesimo presupposto: la doverosa tutela dei consumatori. Devo, però, precisare che i materiali cui si fa riferimento nell'interrogazione sono da anni disciplinati in modo rigoroso a livello tanto comunitario quanto nazionale.Pag. 53
In particolare, i contenitori in contatto con gli alimenti sono soggetti sia a normative di carattere generale, sia a disposizioni specifiche: queste, in costante attuazione delle direttive europee, stabiliscono le liste dei monomeri e degli additivi che possono essere adoperati nella preparazione di articoli o materiali di plastica, precisando i controlli obbligatori per le imprese.
Questi materiali e oggetti debbono, inoltre, essere sempre accompagnati, nelle diverse fasi fino alla vendita al consumatore finale, da una dichiarazione scritta rilasciata dal produttore attestante la conformità alle norme vigenti. Nell'ambito dei controlli ufficiali, l'effettuazione delle analisi su questi materiali ed oggetti è affidata ai laboratori pubblici.
L'uso di cloruro di polivinile è strettamente regolamentato per i livelli sia di cloruro di vinile monomero, sia di additivi plastificanti, per i quali esistono liste di componenti autorizzati sia a livello nazionale, sia a livello europeo, con limiti di migrazione negli alimenti fissati in base a valutazioni tossicologiche. Allo stato attuale, nell'ambito delle attività di controllo effettuate dalle autorità competenti, non è pervenuta al Ministero nessuna segnalazione circa la non congruità sanitaria dell'uso di contenitori in polivinilcloruro.
Per quanto riguarda le sostanze aggiuntive, esse sono riportate nell'elenco dei coloranti ammessi nell'Unione europea, in quanto sono possibili nei soli prodotti alimentari indicati ed alle dosi prefissate. Gli additivi alimentari, ivi compresi i coloranti, devono essere esplicitamente autorizzati a livello europeo prima di poter essere utilizzati negli alimenti. Per ottenere l'autorizzazione comunitaria, gli additivi vengono sottoposti ad una valutazione di sicurezza dell'impiego a cura dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare. Il Ministero effettua direttamente la vigilanza sugli alimenti e sui mangimi all'importazione attraverso i propri uffici periferici, in collaborazione con le regioni ed avvalendosi dei NAS. Annualmente, inoltre, viene inviata al Parlamento la relazione sulla vigilanza e il controllo degli alimenti e delle bevande.

PRESIDENTE. L'onorevole Scilipoti ha facoltà di replicare, per due minuti.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Ministro, la ringrazio della sua risposta, ma il mio impegno all'interno di questo Parlamento - e prima ancora di giungere all'interno del Parlamento - è quello di tutelare tutti i cittadini, a prescindere dal colore, dalla razza e dall'appartenenza politica. Mi permetto di sottolineare che l'E124 e l'E127 sono due sostanze altamente tossiche che in Inghilterra sono state eliminate dalla circolazione. Mi permetto di sottolineare, inoltre, che l'Istituto di oncologia di Napoli ha definito la sostanza che lei definisce pvc - volgarmente chiamata plastica - altamente cancerogena (queste non sono dunque cose che dico io).
Lei sta affermando che la quantità all'interno di una bevanda, per quanto riguarda gli additivi, o di un additivo all'interno del piatto di plastica da sole, ad un determinato quantitativo, non possono determinare alcuna patologia. Ma esiste il bioaccumulo, vale a dire la sostanza tossica all'interno di un piatto di plastica più un additivo o un colorante che si trovino all'interno di una bevanda, più un'altra sostanza tossica che si riscontri in un bicchierino di plastica a contatto con una bevanda calda. Si chiama bioaccumulo la sommatoria di tutte queste sostanze, le quali determineranno l'alterazione cellulare che formerà la prima cellula cancerogena e complessivamente il tumore nell'individuo umano.
Questa da parte mia, signor Ministro, non è polemica o un voler prendere una posizione di contrasto rispetto al Governo o a lei, ma è soltanto richiamare l'attenzione del Governo a verificare che esistono sostanze altamente tossiche che vengono somministrate giornalmente ai bambini nelle mense scolastiche, vale a dire nei catering.

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PRESIDENTE. Onorevole Scilipoti, la invito a concludere.

DOMENICO SCILIPOTI. Lei mi insegna infatti, signor Ministro, che il pvc - ed insieme al pvc, un plastificante che si chiama ftalato - che è contenuto nel piatto di plastica si rilascia lentamente in tutto ciò che si chiama cibo caldo, cibo alcolico o cibo oleoso. Questa sostanza tossica si deposita, cioè, all'interno del cibo e il bambino nella scuola o l'adulto non fanno altro che ingerirla. L'ingestione di questa sostanza tossica provocherà l'alterazione di membrana cellulare con conseguente formazione di neoplasia.

PRESIDENTE. Onorevole Scilipoti, deve concludere.

DOMENICO SCILIPOTI. Al riguardo vi sono studi - e non sono studi miei - condotti dal professor Latini e da moltissimi personaggi di grande cultura nell'interesse e nella tutela della vita umana, che è al di sopra di qualsiasi tipo di atteggiamento e di sponsorizzazione politica. Perciò, noi tutti dovremmo collaborare per prendere visione, stare attenti e cercare di eliminare tutte quelle sostanze cancerogene che determinano la morte e non la vita (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata. Sospendo brevemente la seduta, che riprenderà con il seguito dell'esame del disegno di legge di ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona.

La seduta, sospesa alle 15,45, è ripresa alle 16,10.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gregorio Fontana e Molgora sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1519)

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, signor sottosegretario, come ebbe a dire Robert Schuman, l'Europa non verrà creata tutta in una volta e secondo un unico progetto generale, ma sarà costruita attraverso realizzazioni concrete, dirette a creare solidarietà reali.
La considerazione, quasi una profezia, di uno dei padri fondatori della Comunità si è rivelata giusta. Se l'Europa dell'integrazione economica è ormai una realtà affermata, l'Europa politica riceverà un'importante accelerazione con innovazioni significative sul piano della governance con la ratifica del Trattato. È la dimensione sociale, signor Presidente, a camminare adagio, costretta a muoversi negli spazi piuttosto angusti che gli Stati nazionali sono disposti a cedere in questa delicata materia. In sostanza, è proprio l'accanimento degli Stati a voler difendere le proprie prerogative in materia di diritti sociali e del lavoro a togliere quel respiro di prospettiva che le riforme dovrebbero avere e a consegnare, come è accaduto da ultimo in Irlanda, i singoli Governi nelle mani di opinioni pubbliche orientate, per tanti motivi, alla conservazione della realtà esistente piuttosto che alla ricerca dell'innovazione. Ecco perché l'affermazione compiuta di una dimensione sociale comunitaria non passa attraverso la difesa della sovranità degli Stati nazionali inPag. 55materia di diritti sociali e del lavoro, ma dalla conquista e dall'affermazione di una migliore capacità di intervento e di direzione dell'Europa.
Occorre, innanzitutto, riordinare attraverso le riforme quel modello sociale europeo che è divenuto insostenibile nel nuovo contesto della globalizzazione, tanto che proprio negli ultimi giorni l'Unione europea ha tenuto, nell'indifferenza generale, una linea di condotta sostanzialmente conservatrice nel negoziato del WTO, col pretesto di difendere i propri assetti produttivi e sociali contro l'incalzare della concorrenza dei Paesi in via di sviluppo.
Ecco perché, il disincantato realismo di Lisbona 2 è preferibile, signor Presidente, all'utopia programmatica di Lisbona 2000 con la proclamazione solenne di trasformare l'Europa, entro il 2010, nell'economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economica durevole accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell'impiego e di una maggior coesione sociale nel rispetto della sostenibilità ambientale. Ho citato, tutti sono in grado di capirlo, il preambolo, l'obiettivo di Lisbona 2000. Un obiettivo, questo, che è solo un groviglio di contraddizioni e che spiega la crescita modesta dell'Unione nel suo insieme, perché non saremo mai in grado di trasformare la principale causa del nostro declino, il modello sociale europeo appunto, in una leva per lo sviluppo.
Sulla stessa linea di Lisbona 2000 si era mosso anche il rapporto Kok. Orgogliosamente e incautamente il rapporto prendeva le distanze dal modello americano, affermando che la strategia di Lisbona non era un tentativo di imitare gli Stati Uniti ma puntava a realizzare «la visione che l'Europa ha di ciò che essa vuole essere e di ciò che vuole conservare», tenuto conto del rafforzamento della concorrenza mondiale, dell'invecchiamento della popolazione e dell'allargamento dell'Unione europea a venticinque e poi a ventisette Paesi.
L'Europa è altrettanto consapevole di dover affrontare, nel contesto della concorrenza internazionale, la duplice sfida lanciata da un lato dall'Asia (dall'India e dalla Cina in particolare) e dagli Stati Uniti d'America dall'altro.
Persino gli Stati dell'allargamento, osservati con sospetto per l'incombente minaccia di dumping sociale, inducono visibili e ingiustificate preoccupazioni. È stata la minaccia dell'idraulico polacco a far fallire in Francia il referendum sulla Costituzione europea.
Eppure, signor Presidente, signor sottosegretario, se l'Unione ha un motore, occorre cercarlo nei nuovi Paesi entrati, non certamente nell'Europa benestante dei quindici Paesi. Si osserva, infatti, che la crescita della produzione e della produttività nei dieci nuovi Paesi entrati è stata superiore, negli ultimi cinque anni, a quella degli Stati Uniti d'America, così rimpiazzando tecnologie divenute obsolete. Questi Paesi si apprestano al salto di una generazione sul piano delle capacità tecnologiche.
Nello stesso tempo, la loro fiscalità vantaggiosa e i loro salari poco elevati continueranno ad attirare gli investimenti provenienti dal resto dell'Europa e del mondo e sarà un bene, perché soltanto in questo modo il vecchio Continente potrà essere competitivo nel mondo dell'economia globale. Che fare allora? È ormai inadeguato il metodo del coordinamento aperto, che pure ha consentito di allargare il campo dell'intervento dell'Unione.
Nelle economie sviluppate la difesa delle prerogative acquisite non passa soltanto dalle norme e dagli ordinamenti, ma anche e soprattutto dalla capacità di assicurare un contesto di crescita e di sviluppo che sappia conciliare le esigenze di competizione con l'intelaiatura di un qualificato standard di diritti. È una ricerca, questa, che si muove lungo un crinale angusto, sospeso tra il declino e il progresso.
La domanda inquietante che assilla noi europei, e alla quale continuiamo a dare risposte più improntate all'ottimismo della volontà che al pessimismo dell'intelligenza, è sempre la stessa: il modello sociale europeo è una malattia cronica, con la quale è necessario convivere contenendonePag. 56il più possibile gli effetti invalidanti, oppure è una risorsa, un punto di forza da far valere nella battaglia della globalizzazione? La risposta, signor Presidente, a mio avviso, è una sola: non è possibile che abbiano un futuro solido Paesi le cui strutture pubbliche drenano ed impiegano la metà del prodotto.
L'Europa non è in grado di cambiare radicalmente i propri standard di vita, ma non è neppure in grado di continuare a vivere al di sopra delle possibilità consentite, come accade ora. È nostro compito trovare un equilibrio possibile mediante le riforme sociali e del lavoro, con un occhio attento all'allocazione delle risorse. Ecco perché sarebbe sbagliato un allentamento dei vincoli del Patto di stabilità. Se il Trattato di Maastricht non ci fosse stato, se non fossimo entrati nella moneta unica, il Paese, senza le coordinate dei vincoli esterni, non avrebbe mai superato da solo le crisi degli ultimi anni.
Va rimosso, invece, il limite strutturale del Patto; è necessario andare oltre il principio della sussidiarietà e l'elemento del coordinamento aperto. L'Unione deve acquisire poteri decisionali anche materia di riforme, estendendo ad essi la logica del Trattato di Maastricht, con obiettivi da conseguire e sanzioni da erogare in caso di violazione degli stessi. In questo senso abbiamo bisogno di più Europa, ovvero di un processo più intenso di integrazione economica e finanziaria in grado di scandire le prospettive dell'Europa.
Il vecchio Continente deve lasciarsi alle spalle la percezione di sé descritta in questo brano di Mario Draghi: «l'Europa», scriveva il Governatore, «è vista come un'area di stabilità e di ricchezza dove la gente è pagata per non lavorare, dove la produttività è bassa e le tasse sono alte, dove le opportunità della rivoluzione tecnologica degli anni Novanta non sono state utilizzate appieno, dove la presenza dello Stato come proprietario dei mezzi di produzione e regolatore di quelli che non possiede è rilevante, dove il sistema finanziario è prevalentemente fondato sull'intermediazione di un mercato bancario oligopolistico e generalmente inefficiente, dove si riscontra un'incapacità da parte di tutti di superare con decisione le barriere nazionali, di sfruttare appieno la maggior scala che l'integrazione europea permetterebbe di conseguire».
Concludendo, signor Presidente, è così che si spiega perché, al di là dei best seller di successo di qualche ministro, al di là di qualche eccesso verbale in direzione delle burocrazie di Bruxelles, al di là della tardiva difesa di un apparato produttivo italiano, che ha già dimostrato da sé di saper affrontare sul piano della qualità la concorrenza dei Paesi di recente sviluppo, il Governo ha compiuto la scelta essenziale con l'impostazione triennale della manovra anticipata, a conclusione della quale stanno il conseguimento del pareggio di bilancio e la riduzione del debito, come l'Unione europea richiede.
Tuttavia, resta ancora tanto da fare, signor Presidente, signor sottosegretario, a partire dall'unificazione del mercato dei servizi, dopo la purtroppo sostanziale battuta d'arresto della direttiva ex Bolkestein (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Touadi. Ne ha facoltà.

JEAN LEONARD TOUADI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la discussione sulla ratifica del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, ci consente di mettere in luce alcuni aspetti di carattere generale contenuti all'interno del Trattato stesso. L'Europa, ma più in generale i paesi postindustriali, stanno attraversando una fase di profonda riflessione sul rapporto tra autorità e sovranità popolare, rapporto fondativo degli Stati democratici. Vi è in atto, non solo in sede accademica, ma anche nelle aule parlamentari e nelle opinioni pubbliche nazionali, una discussione circa una nuova dimensione della cittadinanza, che rischia di scontrarsi con i modelli classici di organizzazione statale.
Ciò è dovuto alla sempre più crescente affermazione di entità sopranazionali,Pag. 57come l'Unione europea, ma al tempo stesso con l'aumento esponenziale dei flussi di informazioni che consentono ai cittadini di avere maggiore cognizione e consapevolezza delle cose che accadono non solo sul proprio territorio, ma più in generale sull'intero pianeta. Credo che la nostra discussione vada inserita in questo quadro generale, proprio per evitare il rischio di cadere in facili critiche o retoriche conclusioni di chi addebita ad un trattato le colpe della rappresentanza, che attualmente interessa le istituzioni europee latamente intese.
I detrattori del Trattato muovono principalmente due critiche. In primo luogo, sostengono che sia un Trattato senz'anima, senza identità, anzi colpevole di mettere in discussione le identità culturali dell'Europa. La seconda critica più ricorrente è che, trovando la sua ratifica in quasi tutti i paesi per via parlamentare, il Trattato sottrarrebbe sovranità ai cittadini delle nazioni singolarmente considerate.
Con riferimento alla prima critica, ritengo che ogni processo politico che tende ad integrare inevitabilmente porta con sé il rischio di una contaminazione delle identità culturali e sociali. Bisogna, quindi, diffidare delle società chiuse, dei paesi e dei sistemi chiusi, che non conoscono o rifiutano la novità dell'innesto. Ovviamente, i processi d'integrazione non debbono provocare una perdita di identità. Piuttosto, occorre trovare la via per affermare la specificità di ogni singola identità, ma anche far incontrare le identità. Inoltre, trattandosi di un documento giuridico oltre che politico, occorre identificare interpretazioni capaci di rispondere a precise esigenze di chiarezza ed efficacia delle norme inserite.
Personalmente ritengo che il Trattato di Lisbona porti dentro di sé tutte le matrici e identità culturali dell'Europa. In particolare, vorrei sviluppare questa affermazione partendo da un principio cardine contenuto nel Trattato, ossia il principio di sussidiarietà. Tale principio - più di tanti altri - riesce ad esprimere tre identità culturali fondative della grande identità europea. In dottrina si ritiene che il principio di sussidiarietà abbia tre matrici eterogenee che lo identificano e lo definiscono.
Dapprima vi è la dottrina sociale della Chiesa che mette al centro l'uomo, partendo dal pensiero di Aristotele e di Tommaso d'Aquino, passando per il vescovo von Ketteler, per Toniolo, per poi approdare alla Rerum novarum di Leone XIII e, in particolare, all'enciclica Quadragesimo anno del 1931, nella quale si afferma: «siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare».
In secondo luogo vi è il pensiero liberale, che mette al centro di ogni riflessione la libertà individuale, partendo dalle celebri parole di Thomas Jefferson scritte nel 1816, nelle quali si delinea un modello organizzativo che dalla fattoria arriva alla grande Repubblica nazionale, passando attraverso le singole istanze intermedie, che si cementano tra loro in forza del principio che vede l'istanza superiore intervenire solo qualora il livello inferiore non sia in grado di provvedere autonomamente.
Infine vi è il pensiero federalista, che prendendo le mosse dal pensiero del filosofo Pradeau identifica nella forma di Stato federale il sistema che più di ogni altro riesce a dare pienezza di rappresentanza e partecipazione dei cittadini, consentendo loro di esercitare con più incisività il ruolo di controllori su coloro che ricoprono funzioni pubbliche.
Insomma, quello della sussidiarietà è un principio che da solo mette insieme tre identità ben precise e distinte, capaci di trovare una sintesi nella comune ricerca della felicità e del bene comune.
Quanto alla seconda critica che viene mossa al Trattato di Lisbona, che può essere sintetizzata dall'accusa di essere un documento octroyée, cioè concesso, o peggio ancora imposto dall'alto, mi sembra non pertinente, perché stiamo parlando di un Trattato che va a innovare precedenti Trattati, ma in generale va a intervenire sulla struttura di un ente sovranazionalePag. 58che è ormai dentro il DNA delle nazioni che compongono l'Europa stessa. Sento, però, il dovere di lanciare un appello a tutti i componenti del Parlamento, indistintamente a tutte le forze politiche: in questo scenario globale così difficile la dimensione europea rappresenta l'unica via per continuare ad offrire un futuro di pace alle generazioni che verranno. Allo stesso tempo, però, dobbiamo rifuggire da una visione retorica dell'Europa, per tornare a darle una dimensione concreta e popolare, affinché le istituzioni europee, ma più in generale la percezione dell'Europa come grande orizzonte futuro, tornino a godere della piena fiducia dei cittadini. Più che di Europa dei popoli, sarebbe molto più affascinante e forse anche entusiasmante parlare di Europa dei cittadini, di quella cittadinanza allargata che vede la persona al centro, portatrice di diritti inalienabili che non sono la gentile concessione di nessuno, ma che sono connaturati alla persona stessa.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

JEAN LEONARD TOUADI. Signor Presidente, mi permetterà di concludere con una piccola nota biografica. È emozionante per me parlare di Trattato europeo in questo Parlamento; sono il figlio di questa nuova Europa: nato in Congo, cresciuto in Francia sotto i valori della Repubblica, da trent'anni vivo in Italia. Mi sento cittadino di questa nuova Europa che si fa fiero e ricco delle sue particolarità, delle sue ricchezze, ma anche dei nuovi innesti che la arricchiscono (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Renato Farina. Ne ha facoltà.

RENATO FARINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il contesto in cui si colloca oggi il dibattito sul Trattato di Lisbona è di totale ignoranza su che cosa siano l'Europa e le sue istituzioni. Non si capisce bene di che cosa si stia parlando.
Di norma si attribuisce volentieri una certa ignoranza del tema al popolo bue, considerato euroscettico perché bue: il popolo contrapposto ad un'élite colta e capace di intendere i valori e, dunque, europeista. Poi accade che nel Corriere della sera di oggi, il quotidiano dell'establishment europeista e dell'editorialista Mario Monti, come lo è stato Padoa Schioppa, vi è il titolo: «Italia-UE, scontro sui rom», «Il Consiglio d'Europa accusa: diritti umani violati». Sul quotidiano che è considerato espressione massima della cultura europeista naturalmente si confonde il Consiglio d'Europa con l'Unione europea. Mi chiedo se ciò accade per ignoranza o per un altro motivo.
Dico solo: andiamoci piano. Cosa mostra questo errore? Mostra che l'adesione all'Europa è un'adesione aprioristica, qualsiasi cosa venga da Bruxelles, è puramente ideologica e non è basata sulla conoscenza ma sul pregiudizio. Quindi, coloro, tra cui il povero sottoscritto, dato che tra poco porrò molti distinguo su questa Europa e sul Trattato di Lisbona, che pongono questi distinguo sono immediatamente catalogati come chi non sa e come chi è consegnato alla pattumiera dell'ignoranza.
Forse è vero, ma a quanto pare il Corriere della sera e tanti altri europeisti lo sono molto di più. Chiamerei questo tipo di vulgata l'europeismo della non identità, ovvero gli europeisti che sono europeisti per sfuggire al problema della loro identità. Questo è il punto. L'Europa è certo una grande cosa, come ha affermato l'onorevole Touadi prima di me, sottolineando con forza il principio di sussidiarietà, che è uno degli aspetti positivi del Trattato di Lisbona. L'Europa è stata ed è una straordinaria intuizione ideale e pratica nata per dare la pace al nostro continente. So bene che il teorico della storia dell'Europa unita è proprio il Presidente Buttiglione. Tuttavia, il problema è se Lisbona è all'altezza dell'intuizione dei padri, ovvero se è all'altezza dell'Europa, della nostra Europa.

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 16,30)

RENATO FARINA. Il testo di Lisbona nella sua parte fondante e, in particolare, nel preambolo è puramente tautologico. Nel testo si trova la parola «valori», ma non si capisce su quale fondamento essi siano ritenuti tali. Il Trattato elenca nei suoi primi articoli l'eredità culturale, religiosa, umanistica e quant'altro, come se esistesse un punto di vista culturale e religioso più alto ed elitario, che alla fine si è emancipato dai legami con il passato e permette di guardare alle culture storiche dell'Europa come un fatto transeunte.
Insomma, l'identità non detta del Trattato di Lisbona, così come interpretato dai suoi avventurosi sostenitori, è l'identità del «nessuna identità, per favore», perché l'identità è intesa come un martello picchiato sulla testa del prossimo. Si dice che siamo superiori a queste vecchie cose e che siamo quelli dei diritti umani e quant'altro. Ma i diritti umani su che cosa si fondano, su quale esperienza reale di umanità si fondano? Ciò non viene detto, ed è sciolto genericamente in formule che hanno paura persino a pronunciare il nome di questa origine storica.
Così l'Europa, oltre a essere l'identità della non identità, è anche il luogo del non luogo, tanto è vero che può far parte dell'Europa chi non è geograficamente europeo. Ciò può accadere, ma non è un caso che l'Europa si esprima sempre in questo modo, ovvero dichiarando il suo non essere e il suo essere perennemente altro. Così l'affermazione della pace, collocata immediatamente dopo l'affermazione dei valori, che rappresenta la motivazione della nascita dell'Europa: così come viene espressa nel testo del Trattato, e così come si è espressa storicamente in questi anni, è la pace dell'appeasement, la pace di Clemenceau, la pace che lascia spazio ai nemici della pace.
Ritengo che ciò sia assolutamente da rimarcare, non nel senso che si debba rifiutare il Trattato di Lisbona, perché per fortuna il soggetto del Trattato di Lisbona non è il Trattato stesso e i suoi autori, ma i popoli che lo giudicano. Per questo motivo, ho visto con soddisfazione l'espressione del popolo irlandese, non perché sia contento che abbia detto di «no», ma perché, attraverso questo «no» ha affermato l'esistenza di qualcosa che viene prima del Trattato e degli intellettuali che pretendono di definire l'identità dell'Europa senza viverla.
Ritengo che tutto questo nasca dal rifiuto degli estensori di considerare le radici cristiane dell'Europa. La rinuncia a questo e la lamentela perché questo non c'è non è un fatto di galateo o una questione di dispiacere fatto al Vaticano e ai cattolici, ma è il significativo rifiuto di ciò che è la realtà dell'Europa. Un grande costituzionalista ebreo americano, John Weiler, lo ha affermato esplicitamente: è impossibile ed è ridicolo parlare di Costituzione dell'Europa senza riconoscere ciò che la sostanzia. È ridicolo condurre una conversazione sul Trattato europeo...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

Testo sostituito con errata corrige volante RENATO FARINA. ...senza riconoscere la centralità del cristianesimo. Ciò non significa dichiararsi per forza cristiani, ma significa fare i conti con ciò che fonda persino il nostro diritto di dire: non sono cristiano. RENATO FARINA. ...senza riconoscere la centralità del cristianesimo. Ciò non significa dichiararsi per forza cristiani, ma significa fare i conti con ciò che fonda persino il nostro diritto di dire: non sono cristiano (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zampa, alla quale ricordo che ha otto minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

SANDRA ZAMPA. Signor Presidente, colleghe, colleghi, nel momento in cui ci accingiamo ad esprimerci sul Trattato di Lisbona, dopo che già 21 Paesi lo hanno ratificato - ultima, nei giorni scorsi, la Spagna -, sento la necessità di richiamare, in quest'Aula, all'attenzione di noi tutti e, per tramite nostro, a quella di tutti gli italiani, le parole del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, pronunciate di recente in un incontro internazionale sull'Europa che si è tenuto a Lione, parole pronunciate all'indomani del voto negativoPag. 60dell'Irlanda sul Trattato, con le quali si sottolineava che quella vicenda pone più che mai drasticamente il grande problema del rapporto tra governanti e governati nell'Europa unita e della partecipazione e del consenso dei cittadini.
L'Europa - come ci ha ricordato il Presidente Napolitano - non potrà aumentare la sua efficacia senza riforme, senza mezzi adeguati e senza un nuovo slancio democratico. Troppi Governi hanno ritenuto di poter gestire in solitudine gli affari europei, preoccupandosi poco di coinvolgere sistematicamente le rispettive opinioni pubbliche, e perfino i rispettivi Parlamenti, nella discussione e nelle scelte. Anzi, hanno dissimulato le posizioni da essi sostenute in sede europea, chiamando in causa l'Europa e, in particolare, la Commissione europea (spregiativamente definita «la burocrazia di Bruxelles») come capro espiatorio per coprire loro responsabilità e loro insufficienze.
In questo contesto, così ben richiamato dal nostro Presidente, il Trattato di Lisbona, che recupera valori della sfortunata Costituzione europea, ci offre la possibilità di trovare, ancorché in forme, modi e ragioni rinnovati, quel nuovo slancio democratico auspicato da Napolitano, quello stesso slancio che ispirò De Gasperi e Spinelli all'indomani della Seconda guerra mondiale.
Ciò richiede, però, almeno due condizioni: in primo luogo, la coerenza e la fermezza di noi tutti che qui rappresentiamo gli interessi degli italiani, ma, soprattutto, del Governo, che è alla guida del Paese e che ha l'onore di dar voce all'Italia, uno dei Paesi fondatori dell'Europa, proprio in Europa.
Difficilmente potremmo lamentarci o stupirci della scarsa attenzione dei nostri concittadini all'Europa, se un Ministro dichiara, come ha fatto Calderoli, il 13 giugno scorso, il proprio grazie all'Irlanda per il suo «no» al Trattato o se chi siede qui, a rappresentare gli interessi degli italiani, invoca, esclusivamente per ragioni di parte, un referendum sul Trattato, facendo finta di ignorare, quasi che l'interesse dei cittadini fosse distante e contrapposto alla sua approvazione, che l'Irlanda è stato obbligata al referendum dalla propria Costituzione.
Come si fa a dire che l'Europa non funziona ancora bene perché manca l'Europa politica e minarla politicamente nella sua possibilità di crescita? Non è così! Noi sappiamo che l'Europa a 27 è probabilmente la dimensione minima per rispondere ai problemi che sono in cima alle preoccupazioni dei nostri concittadini, la sicurezza e lo sviluppo economico.
Ma ho parlato di due condizioni, se quella della coerenza politica era la prima, la seconda ha certamente a che fare con la partecipazione popolare. Difficilmente ci si può stupire della distanza dei cittadini verso le istituzioni, se non li mettiamo davvero in grado di partecipare. Proprio al tema della partecipazione il Trattato riserva importanti passaggi, laddove introduce disposizioni volte a promuovere un dialogo aperto, trasparente e regolare tra le istituzioni dell'Unione europea e i cittadini e le associazioni rappresentative e ampie consultazioni delle parti sociali e laddove contiene la previsione dell'iniziativa legislativa popolare.
Ma di grande rilievo - lo voglio ricordare - è anche la possibilità per i Parlamenti nazionali di far pervenire osservazioni su provvedimenti normativi che la Commissione sta assumendo. Su questo aspetto il Presidente Barroso ci ha richiamato, in occasione della sua visita, poiché soltanto due pareri sono arrivati dal Parlamento italiano. È inutile lamentarsi, magari pubblicamente sulla stampa, e non partecipare istituzionalmente alle cose. Ma per chiedere e ottenere partecipazione, bisogna assicurare conoscenza e corretta informazione. Per questa ragione, dobbiamo davvero chiedere un impegno straordinario sul versante dell'informazione e della comunicazione, un impegno volto a diffondere una più approfondita conoscenza del fenomeno comunitario a tutti i livelli, a cominciare dalla scuola, al quale non può sottrarsi la comunicazione pubblica istituzionale, che fa capo al Governo centrale e locale, ma anche il servizioPag. 61pubblico radiotelevisivo, che deve trovare modalità di informazione non burocratiche, e soprattutto far comprendere le ragioni di quel grande progetto al quale l'Italia ha tanto concorso.
Perché non pensare alla produzione di fiction sulle biografie dei padri fondatori o sulle grandi tappe della costruzione dell'Europa? Perché non fare scoprire ai nostri giovani, che dell'Europa si sentono cittadini, fin dalla loro nascita, la fatica e il contributo che i loro padri o i loro nonni hanno messo in quella realizzazione? Perché non fare conoscere agli italiani che cos'è il Trattato di Lisbona, magari grazie all'organizzazione di eventi che chiamino in causa l'associazionismo, il mondo della cultura, le organizzazioni sindacali? Un senatore a vita che ha contribuito in prima persona all'Europa...

PRESIDENTE. Onorevole Zampa, la prego di concludere.

SANDRA ZAMPA. ...Emilio Colombo, ci ha ricordato l'altro ieri che, dopo la prima stagione dell'Europa, come progetto di pace, dopo la seconda stagione, come progetto di libertà, vi è una terza stagione che dobbiamo inaugurare, quella di una grande Europa, che sappia declinare lo sviluppo come nuovo nome della pace, come lo definì un grande Pontefice. Il Trattato di Lisbona ci offre l'opportunità di cominciare a farlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo si possa dire con sufficiente realismo che il Trattato è uno strumento utile per affrontare la fase per molti versi nuova, dai confini incerti e tutti da esplorare, che l'Europa ha di fronte. L'Europa, nata nel contesto del mondo diviso, ha saputo assolvere alla sua missione pacificatrice, ma non ha saputo cogliere l'ammonimento di Jacques Delors, secondo cui l'allargamento avrebbe dovuto accompagnarsi a dei veri progressi dell'unione politica. L'Europa senza approfondimenti istituzionali ha accentuato le caratteristiche tecnocratiche ed è così venuto impallidendo il disegno complessivo. Ad un certo punto è circolata troppa «euroretorica», spia di un divario di compressione che, lungi dal colmarsi, si allargava. Il fatto è - molto semplicemente - che in quegli anni si era messo in moto con la globalizzazione un movimento dagli effetti epocali che ci ha consegnato, come dice bene oggi il titolo di un articolo de Il Sole 24 Ore dedicato alla crisi del WTO: «Un mondo nuovo ma ancora senza guida».
Le prime avvisaglie le abbiamo avute con l'«idraulico polacco», cominciarono a farsi sentire nell'Europa del welfare ben regolato i primi contraccolpi di spinte che venivano da molto più lontano che da Danzica o da Cracovia. La risposta comprensibile, ma certo non lungimirante, è stata la chiusura nazionalista che scaricava sull'Europa le difficoltà che gli Stati trovavano nel risolvere i problemi nella dimensione nazionale. Il momento più basso lo abbiamo registrato a Nizza con il recupero della dimensione intergovernativa, certo la meno democratica di tutte le possibili e che meno risponde a quelle esigenze di governance trasparente che vengono dai cittadini europei. Insomma, si sono sommate due debolezze: l'insufficiente responsabilità europea e la debolezza oggettiva delle risposte nazionali. Ma oggi - questo è il punto -, oggi che si delineano meglio i confini e le caratteristiche della globalizzazione, appare evidente come si riveli del tutto insufficiente tanto quella risposta che si chiude nella dimensione intergovernativa, quanto la risposta euroscettica fondata sul rifiuto dell'Europa nel nome del localismo. Nei nuovi scenari geopolitici indotti da una globalizzazione che ha ormai nomi e cognomi precisi e interessi spesso aggressivi ben identificati, che stanno rimettendo letteralmente in discussione la centralità dell'Occidente, quei localismi, che hanno per tanti versi giustamente sottolineato la debolezza delle dimensione statale, possono trovare una tutela solo in un rafforzamentoPag. 62della dimensione europea. Su tale aspetto si fonda il nostro dissenso con la Lega: affinché l'Europa sia quello strumento che valorizzi e non deprima le differenze, non sia solo l'Europa della grande finanza ma valorizzi le autonomie, non bisogna avere paura di fornire più potere all' Europa; occorre, semmai, più unità politica, occorre più Europa. Ecco perché ratificare ed applicare il Trattato di Lisbona, pur con tutti i suoi limiti, significa riprendere il cammino dell'integrazione e bisogna farlo senza far finta di niente, senza nascondersi i nuovi problemi che sono nati, ma sapendo che si tratta di un passo nella direzione volta a sostenere le nuove sfide attraverso le varie articolazioni della sovranità europea. Noi oggi approviamo il Trattato di Lisbona e alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva affronteremo il tema del federalismo che è la risposta vera alla domanda di modernizzazione del Paese e a quella dell'efficienza e trasparenza della spesa pubblica, ma il federalismo non avrebbe senso e sbocco se non si collocasse nella dimensione europea. La riforma federalista ha bisogno dell'Europa e l'Europa ha bisogno di un'evoluzione in chiave federalista dello Stato nazionale, aprendo spazi ad una vera sussidiarietà.
In questo senso il federalismo e l'Europa sono il modo moderno per affrontare la crisi dello Stato con le sue patologie, particolarmente evidenti nel caso italiano. Quindi, applichiamo il Trattato e puntiamo su tutte le potenzialità che esso offre. Porto un solo esempio: l'Europa sinora ha sofferto della dimensione asfittica dell'europarlamento. Esso dal Trattato di Lisbona riceve una spinta ad essere, più di oggi, luogo della responsabilità politica.
Quindi, facciamo la nostra parte varando una legge elettorale per le elezioni europee che riduca la frantumazione ed avvicini i cittadini ad un'istituzione che deve essere sempre più centrale nelle dinamiche europee. Dopo il voto sarebbe auspicabile che in quest'Assemblea si aprisse un grande dibattito sull'Europa e sulla questione della crescita. Non può esserci antinomia tra stabilità e crescita, tra unione monetaria ed unione politica.
L'Europa era nata sentendosi un'isola in un mercato dai confini definiti e regolati. La filosofia liberale di Maastricht si fondava sulla fiducia in quel mercato, fiducia nei risultati che comportamenti virtuosi, in primo luogo la disciplina di bilancio, avrebbero determinato in termini di crescita e di sviluppo. La questione con la quale ci dobbiamo misurare oggi è come, senza smentire questa impostazione liberale, si possono far fare passi in avanti alla dimensione politica europea, nella prospettiva di una vera prospettiva di bilancio europea. Utopie? Ritengo che proprio i nuovi scenari geopolitici e macroeconomici spingano in questa direzione. Se l'Europa deve riuscire ad avere una sola voce nei Doha round, se è obbligata ad avere un'identità nella grande partita degli scambi commerciali, deve necessariamente portare progressivamente a unità le politiche dello sviluppo e della crescita. Su questo punto vorremmo che le acute analisi del Ministro Tremonti andassero oltre il teorizzare la faccia feroce del protezionismo.
Naturalmente, per chiedere più unione politica, dobbiamo avere le carte in regola per farlo e dobbiamo mettere in campo le riforme strutturali che ci consentano di riprendere la via dell'ammodernamento dei nostri apparati pubblici. Ciò che sta divenendo sempre più chiaro, colleghi, è che nessuno, in questo mondo nuovo, può raggiungere i propri obiettivi senza il concorso degli altri. Solo un'azione comune può aumentare il peso comune.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Tempestivi.

FRANCESCO TEMPESTINI. Occorre per questo più Europa. Approvando il Trattato, questo possiamo continuare ad affermarlo con più fiducia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.

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LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, porto la posizione dell'Italia dei Valori, ma porto anche il risultato del confronto e del dibattito tenutosi in Commissione affari esteri - che si è avvalso del contributo del presidente e del relatore, onorevole La Malfa - per affermare, avendo il consenso dell'intera Commissione espressasi sul punto, che ancora una volta abbiamo bisogno di parlare di Europa, ma che si parla ancora troppo poco di Europa nelle aule parlamentari.
È necessario, cioè, far crescere il livello di attenzione rispetto a questo tema, se è vero com'è vero, che l'Europa, nell'intuizione di coloro che la vollero fondare, è stata una grande profezia intenzionata a sfidare la regola tradizionale che vuole esservi una maggioranza che rispetta o mortifica una minoranza: così all'interno di uno Stato e tra le organizzazioni internazionali.
Per la prima volta, nella storia dell'umanità, si è pensato di potersi liberare dallo schema secondo cui una maggioranza rispetta o mortifica le minoranze, ma si è pensato di costruire un soggetto organizzato, l'Europa, come unione di minoranze, dove ciascuno è minoranza, dove sono minoranza i tedeschi come i francesi, i cristiani come i musulmani, quanti credono come quanti non credono. L'unione di minoranze è una sorta di profezia istituzionale e una sfida. Per tale ragione, la convinzione che noi abbiamo è che o l'Europa è visione o non ha motivo di esistere.
Quello che dobbiamo registrare è che oggi, nonostante l'intenzione dei padri fondatori, gli unici profeti sono rimasti i banchieri, coloro che sono riusciti, grazie alla introduzione della moneta unica europea, a realizzare una profezia.
Pur non sottovalutando l'importanza del sistema bancario, la mia formazione mi impedisce di considerare un fatto positivo quello di vivere in un'unione internazionale dove gli unici profeti siano i banchieri: vorrei che ci fossero anche altri profeti, con riferimento ad altri aspetti della vita civile, sociale ed economica di una realtà importante come l'Europa.
Però il trattato che siamo chiamati a ratificare, che ratificheremo e sul quale convintamente voteremo a favore, reca, sì, indubbiamente alcuni tratti distintivi di concretezza sulla strada della realizzazione della profezia, ma sembra quasi essere stato costretto - di fatto è stato costretto - a rinunciare a tutto quello che potesse andare al di là dell'organizzazione dell'esistente, con la conseguenza che il testo del trattato in esame è assolutamente accettabile per quello che c'è ed è assolutamente criticabile per quello che non c'è, per quello che manca.
Da tale punto di vista, credo di non dover ripetere, elencare e riassumere gli aspetti innovativi del trattato sottoposto alla nostra attenzione: sono nella relazione agli atti, nelle posizioni già assunte e nella relazione svolta dal relatore che, lucidamente, ha espresso esattamente luci ed ombre di questa procedura.
Invece, sono qui per cercare in qualche modo di richiamare l'attenzione su quanto non c'è, cioè su quanto avrebbe potuto esserci e non c'è, cioè sui tratti profetici, i tratti distintivi, che in qualche modo spiegano l'espressione del Ministro Frattini, che all'inizio di questa legislatura ha detto, con riferimento all'Europa: «Bisogna rovesciare il tavolo». Come a dire: occorre un nuovo entusiasmo e un nuovo atteggiamento, come ha ribadito ancora stamani nel corso di un'interessante audizione informale presso la III Commissione della Camera dei deputati il professor Giuliano Amato, il quale ci ha ricordato che il film che stiamo proiettando è una pellicola in bianco e nero e che invece vorrebbe che fosse una pellicola a colori. E ha aggiunto però - credo con sano realismo, che non è disgiunto da un invito a fare di più e meglio - che vorrebbe che vi fossero i colori in questo film, ma ci invita a non chiedere ad un trattato di pretendere di porre o di imporre i colori.
Ha fatto riferimento alla politica: quello che manca oggi nella dimensione europea è una dimensione politica europea.Pag. 64
Abbiamo un trattato che, in qualche misura, è un film in bianco e nero: mancano i colori della passione, della politica, della partecipazione dei cittadini.
La conseguenza è che vi è una differenza molto forte (veniva notata stamani in Commissione affari esteri: voglio ricordare il contributo di tale Commissione, perché è lì che si è costruito il percorso che oggi giunge in quest'Aula), la differenza che esiste tra una Costituzione americana - che in fondo all'inizio metteva insieme tredici Stati e che riuscì ad essere una Costituzione che iniziava recitando: «we, the people» (noi, il popolo) - e invece questo trattato, che non possiamo più chiamare Costituzione dopo la «bocciatura» francese ed olandese e che dobbiamo chiamare «trattato» per non urtare sensibilità e non rievocare elementi di contrasto.
Con questo trattato, sostanzialmente, abbiamo registrato ancora una volta che bisogna iniziare dicendo «we, the States» (noi, gli Stati), non «noi, il popolo»: fa una bella differenza.
Fa una bella differenza costruire una Costituzione partendo dalla consapevolezza che si è già un popolo o costruire un trattato che non si può chiamare Costituzione - già questo è un limite - e che è un trattato che comunque ha come soggetti protagonisti gli Stati.
Allora, credo che di ciò occorra tener conto, così come occorre - lo ricordava stamani l'onorevole Fassino, nel corso della ricordata audizione presso la III Commissione - che si passi da un'integrazione di Stati a un'integrazione che faccia i conti con la globalizzazione.
La globalizzazione ha profondamente scardinato il percorso dell'Unione europea, se è vero come è vero che oggi non basta limitare all'interno degli Stati dati regole che riguardano l'economia, il lavoro, i diritti, i commerci e le attività, se poi dopo, nella dimensione globale, abbiamo altri luoghi e altre sedi di decisione - è cronaca di questi giorni: il riferimento è al WTO - che propendono a comportarsi e ad atteggiarsi diversamente.
Credo sia necessario - questo è il senso del mio intervento a commento del voto positivo del gruppo dell'Italia dei valori - procedere ad una più forte europeizzazione della politica e del sindacato e dei soggetti di riferimento, perché, diversamente, saremo costretti a vivere con il patema d'animo la frettolosa approvazione da parte di un Parlamento e invece la «bocciatura» a mezzo di un referendum, con una stranissima condizione: tutti i Parlamenti approverebbero sicuramente il Trattato, mentre non sono certo che tutti i popoli lo approverebbero. Non sono certo, ma a me basta l'uno per cento dell'Irlanda, che è troppo poco, ma è abbastanza, per ricordare che non è detto che quello che un Parlamento a maggioranza vuole, poi i popoli lo vogliano. Probabilmente non ci si è occupati di promuovere la dimensione europea della politica. È per questo che insieme ad altri colleghi ho anch'io firmato un ordine del giorno che mira essenzialmente a garantire una maggiore presenza dei sistemi di comunicazione radiotelevisivi, con riferimento ai temi, ai contenuti e all'oggetto del Trattato di Lisbona, allo scopo di dare quei colori, di rovesciare quel tavolo e per cercare di portare la politica in un sistema, in un Trattato, che rischia di essere solo ed esclusivamente tecnico.
Questo è il senso del voto favorevole dell'Italia dei Valori, che tiene conto certamente di tanti aspetti validi presenti nel Trattato. Non c'è dubbio che un aspetto positivo è la circostanza che siamo di fronte ad un tentativo di rafforzare il ruolo del Parlamento, siamo di fronte a un tentativo di razionalizzare, attraverso una Presidenza della durata di due anni e mezzo, il ruolo del Presidente del Consiglio, siamo di fronte alla introduzione della responsabilità, di fronte al Parlamento europeo, degli organi di Governo europeo. Siamo di fronte, quindi, ad alcuni elementi che lasciano pensare che non si tratta di un passo indietro o di star fermi, si tratta di fare un passo in avanti, benché sia un passo in avanti in bianco e nero. Credo che, anche da questo punto di vista, tutti noi avremmo voluto che ilPag. 65dibattito in corso fosse più partecipato e che durasse più a lungo. Non si tratta tuttavia di una giustificazione perché possa prendermi tutto il tempo disponibile: rinuncerò infatti a una parte di esso, perché non è la lunghezza del mio discorso che dà colore a una realtà che ha il colore e il contributo di tutti, né certamente il numero di parole che vengono da me proferite in quest'aula.
Per questi motivi, ritenendo sia importante mandare un messaggio, abbiamo presentato delle proposte emendative che però la Presidenza ha giudicato inammissibili. Avevamo presentato tali emendamenti, signor Presidente, non certamente per bloccare l'iter di questa procedura né per far ritornare al Senato l'eventuale testo, ma per richiamare l'attenzione sul contenuto degli ordini del giorno, i quali ne riproducono esattamente il contenuto. La protesta che io elevo nei confronti dell'inammissibilità è che presento un ordine del giorno. Prendo atto dell'inammissibilità e invito a seguire con attenzione, il Governo in particolare, il contenuto degli ordini del giorno, che sono riferiti all'esigenza di garantire la massima qualificazione professionale nella scelta dei giudici della Corte di giustizia europea. Riteniamo che nella scelta di tali giudici bisogna fare ricorso a livelli alti di professionalità. Perciò abbiamo fatto riferimento agli ex giudici della Corte costituzionale, abbiamo fatto riferimento, come indicazione, ai Presidenti emeriti della Corte di Cassazione, ai procuratori generali emeriti della Corte di Cassazione, abbiamo fatto riferimento poi evidentemente ai magistrati, invitando il Governo, che negozierà queste scelte, a fare scelte che siano di alta qualità.
Siamo infatti convinti che la costruzione di un'Europa diversa e migliore passi attraverso due principi fondamentali: professionalità e amore. La professionalità senza amore, riferita all'Europa, rischia di essere sterile, burocratica e tecnocratica. L'amore senza professionalità rischia di essere velleitarismo. Crediamo che, nella scelta di chi rappresenta il nostro Paese in seno alla Corte di giustizia europea, mettere insieme professionalità e amore possa essere utile.
Con tali considerazioni preannuncio il voto favorevole dell'Italia dei valori sul disegno di legge di ratifica del trattato di Lisbona (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Onorevole Orlando, le chiedo se, in base a quanto ha detto sugli emendamenti, gli stessi vengano ritirati.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, se lei dichiara che sono ritenuti inammissibili, per opportunità...

PRESIDENTE. Lo faremo al momento in cui passeremo all'esame degli articoli.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, lei già sa cosa dirò, se dichiarerà che sono inammissibili.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sisto. Ne ha facoltà.

FRANCESCO PAOLO SISTO. Signor Presidente, gentili e illustri colleghe e colleghi, mi sono chiesto, esaminando per quella che è la mia competenza strettamente tecnico-giuridica le parti del Trattato che si occupano della cooperazione fra gli Stati sotto il profilo tecnico-giuridico, quale potesse essere la ratio e il significato di questo Trattato.
Indubbiamente, il significato cruciale, il focus del Trattato è quello di un'occasione di dialogo sulle regole di massima, sui paletti per una sorta di linguaggio comune, che scandisca un percorso assolutamente minimalista.
Se non fossimo convinti di questo, non potremmo comprendere esattamente perché siamo di fronte ad alcune statuizioni, che potrebbero lasciare perplessi per la loro indeterminatezza. In qualche modo, troviamo la risposta a questa valutazione, ripeto, minimalista, proprio nelle terapie che il Trattato adotta con riferimento alla cooperazione penale.Pag. 66
L'articolo 61, in particolare, fa riferimento alla necessità che siano rispettate le tradizioni giuridiche di ciascun Paese. Il solo dato di rispettare le tradizioni giuridiche comporta delle indubbie difficoltà nell'accorpamento di quella che può essere un'esperienza normativa diversa.
Ma se volessimo ulteriormente trovare riscontri a questa lettura di percorso minimalista, teso, comunque, ad individuare delle possibilità di simbiosi, dovremmo andare a leggere l'articolo 69 A, laddove si fa riferimento al riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni e al ravvicinamento delle disposizioni legislative.
Mentre il diritto civile è richiamato nell'articolo 61, nella parte generale, perché è ritenuto più semplice nella sua cogestione, il diritto penale, facendo riferimento a tradizioni giuridiche certamente diversificate, trova una sua regolamentazione specifica negli articoli 69 e seguenti.
Parlavo del riconoscimento delle sentenze e delle decisioni e del ravvicinamento delle disposizione legislative. Come? Con un'ammissibilità reciproca delle prove. Il processo penale, quindi, diventa un modo per poter avere un comune terreno di raggiungimento della prova.
È poi prevista la tutela dei diritti delle persone nella procedura penale; con quest'ultima, opportunamente, si identifica un concetto ampio di regola del processo e del procedimento penale. Infine, sono previste la tutela delle vittime ed altri elementi.
Ecco qui l'incompletezza, che trova una sua conferma nell'articolo 69 B, secondo comma, laddove, quando vengono individuati dei terreni di comune confronto (il riciclaggio, il terrorismo, la tutela della libertà sessuale), certamente siamo di fronte ad un elenco incompleto.
Il riferimento e il rinvio ad altri beni, ad altre situazioni, ad altre realtà, ha indubbiamente un suo significato. Chiediamoci insieme, a fronte di queste regole, che sembrano imperfette, ma che io ritengo volutamente imperfette (perché certamente non si può pretendere che in un Trattato si vadano a regolamentare distintamente, soprattutto tenendo conto dell'articolo 61, tradizioni giuridiche diverse), se questa metodologia di percorso minimalista, aperto, di progetto, di studio, abbia un significato o sia soltanto uno sforzo inutile verso un'inutile cooperazione.
La mia impressione - uso un termine eufemistico sul piano del convincimento - è che questo sia il vero significato del Trattato; quest'ultimo, cioè, non può cercare un risultato o il risultato.
Esso assume un valore perché quello che conta è lavorare insieme affinché ci sia un risultato; una sorta di sinergia, culturalmente orientata, che nella fatica tendente al risultato ha certamente il suo contenuto primario.
In altri termini, non si può cercare, in un Trattato di cooperazione, un'identità comune, né una perdita di identità in favore di un'identità comune, ma bisogna certamente privilegiare la necessità di lavorare insieme per un risultato comune.
Questa è la cultura del Trattato, questa è la cultura europea, che, nella regolamentazione della cooperazione in materia penale, credo che trovi una cartina di tornasole davvero importante (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mazzuca. Ne ha facoltà, per cinque minuti.

GIANCARLO MAZZUCA. Signor Presidente, signor sottosegretario, se nel dicembre 2005 Giorgio Napolitano, non ancora Presidente della Repubblica (e qui mi riallaccio all'intervento precedente della collega Zampa), sosteneva che la pausa di riflessione sull'Europa sembrava più orientata sul versante dell'attesa che su quello della cogitazione, a neppure tre anni di distanza quella lunga attesa sul futuro del Vecchio Continente sembra ora superata dalla ratifica del Trattato di Lisbona che dipinge nuovi scenari per i partner dell'Unione.
È vero che, per molti versi, l'ideale europeo ha perso in questi anni slancio, per i contraccolpi legati al varo dellaPag. 67moneta unica e per la perdita di leadership dell'Europa nei confronti degli altri due grandi blocchi, americano e asiatico; ma la costruzione dell'Unione può ora ritrovare nuovo slancio, anche se tutte le preoccupazioni restano in piedi.
Paradossalmente, dopo il «no» dell'Irlanda alla ratifica del Trattato, la ventata antieuropea ha ripreso forza e vigore, alimentata anche dalla crisi economica; ma Lisbona favorisce e non attenua le prerogative nazionali nei confronti delle decisioni di Bruxelles.
L'Unione si impegna, infatti, a rispettare l'identità delle autonomie regionali e degli Stati membri legata alla sua struttura fondamentale, compreso il sistema delle autonomie locali e le funzioni essenziali dello Stato; la sicurezza nazionale rimane poi di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro. Non solo: l'Unione interviene nei settori che non sono di sua pertinenza, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri, sia a livello centrale che regionale o locale.
La ripartizione delle competenze tra Unione europea e Stati membri si fonda sul principio di attribuzione, per il quale l'Unione agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite dagli Stati membri nei Trattati: qualsiasi competenza non assegnata all'Unione appartiene, quindi, agli Stati nazionali. In questo senso, il primato del diritto dell'Unione europea non è più esplicitamente affermato nel testo del Trattato come in precedenza, ma trasferito in una dichiarazione che si richiama alla giurisprudenza della Corte di giustizia in merito alla prevalenza del diritto adottato dall'Unione europea sul diritto degli Stati nazionali.
Particolare rilevanza viene attribuita ai valori su cui si fonda l'Unione: rispetto della dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto, diritti umani, diritti delle minoranze. Tali valori sono indicati come patrimonio comune in una società caratterizzata da pluralismo, non discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà e parità tra uomini e donne.
È vero che il Trattato continua a non sottolineare le radici cristiane dell'Europa, ma il preambolo del Trattato costituzionale fa riferimento esplicito alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della democrazia, dell'uguaglianza, della libertà e dello Stato di diritto.
Oltre a garantire e a consolidare le prerogative nazionali, il Trattato di Lisbona apre, infine, anche alla partecipazione dei cittadini. È, infatti, prevista l'iniziativa legislativa popolare: un milione di cittadini europei provenienti da un rilevante numero di Stati membri possono invitare la Commissione a presentare una proposta legislativa. È un'ulteriore apertura, signor Presidente, che dovrebbe convincere anche gli euroscettici (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Volpi. Ne ha facoltà, per cinque minuti.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, ci troviamo a dibattere sull'approvazione della ratifica del Trattato di Lisbona. Noi voteremo, come già è stato detto dai miei colleghi, ed esprimeremo un voto favorevole, semplicemente perché riteniamo che a questo punto il processo di ratifica anche negli altri Paesi non possa che essere ritenuto un momento di fase costituente.
Anche perché è chiaro che non vi è un'unità consolidata né vi è la volontà di portare fuori da queste mura i veri temi dell'Europa, ma si parla solo di tecnicismi e di politiche che capiamo forse tutti solamente qui dentro. Dovremmo, invece, essere consapevoli che la necessità sarebbe quella di parlare all'esterno con la gente.
Devo dire che sono rimasto stupito poiché sembrava che solo la Lega fosse critica nei confronti di questo provvedimento, e invece nel corso del dibattito ho ascoltato molte critiche al Trattato e a quella che vogliamo chiamare per ora «unità europea». Talune critiche sonoPag. 68peraltro venute anche da persone che non mi aspettavo le facessero: ma allora, dov'è tutto l'entusiasmo di questo Parlamento così europeista? Dove sono i toni di cui si è parlato? Naturalmente, vi sono state comunque anche scuse molto spesso banali e retoriche al solo fine di giustificare un voto che è in realtà eterodiretto.
Dobbiamo, invece, ricordare che questo modo di fare l'Europa non ha più nulla a che vedere con lo spirito dei padri fondatori. Mi permetto di fare una citazione: «affermo che all'origine di questa civiltà europea si trova il cristianesimo, non intendo con ciò introdurre alcun criterio confessionale esclusivo nell'apprezzamento della nostra storia. Soltanto voglio parlare del retaggio europeo comune, di quella morale unitaria che esalta la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, col suo culto del diritto ereditato degli antichi, col suo culto della bellezza affinatasi attraverso i secoli, con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un'esperienza millenaria» (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Queste non sono le parole del deputato Raffaele Volpi della XVI legislatura: sono le parole di quello che tutti voi dovreste riconoscere come un padre fondatore dell'Europa, Alcide De Gasperi (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). E mi dispiace che chi ha radici politiche di un certo tipo non sia qui a confortare questa tesi in maniera forte e determinata.
Vi sono cose che debbono essere dette. Nessuno di voi, probabilmente, come in tutta Europa, vuole il tipo di Europa che era prevista dai padri fondatori: vuole piuttosto l'Europa delle cancellerie, quella della politica dei nuovi blocchi all'interno delle strategie geopolitiche di un mondo che è cambiato, quella che ha la necessità di essere asettica e senza carattere poiché dentro vi si deve poter trovare tutto, quella per cui l'importante è fare la grande politica che interessa non i popoli, ma solo alcuni governanti!
Non voglio dilungarmi, perché credo che questi argomenti siano centrali, anche se qualcuno non ne vuole parlare e finge di non ascoltarli. Ma la responsabilità che abbiamo come Parlamento non è solamente quella di alzare una mano: è anche quella di dire alla gente quello che dovremo fare veramente per giungere ad un'Europa dei popoli!
Chiudo allora questo breve intervento dicendo che sono rimasto scandalizzato nell'ascoltare interventi che hanno parlato dell'egoismo del piccolo popolo dell'Irlanda. C'è una disputa: noi potremo anche essere euroscettici, ma in questo Parlamento ci sono troppi «eurocinici» (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Torazzi. Ne ha facoltà.

ALBERTO TORAZZI. Signor Presidente, dico subito che le dichiarazioni svolte dai miei colleghi sono da me completamente sottoscritte, anche perché sappiamo che ci troviamo in una fase costituente e che quindi questo è soltanto un inizio e restano ancora molte cose da discutere e da trattare.
Desidero segnalarvene qualcuna. Leggo anzitutto il comma 3 dell'articolo 10 del Trattato sull'Unione europea come risulterebbe modificato dal provvedimento al nostro esame: «Ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell'Unione. Le decisioni sono prese nella maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini». Bello! Peccato però che la Commissione europea abbia spinto perché questo Trattato venisse ratificato in qualsivoglia maniera e non tramite referendum! Peccato che ci abbia chiesto di votare nonostante il «no» già espresso dall'Irlanda!
Faccio un altro passo. All'articolo 11, comma 4 - lo citava prima un collega - è stabilito che i cittadini dell'Unione, in numero di almeno un milione, possono prendere l'iniziativa di invitare la Commissione europea, nell'ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie di sua competenza (ma i cittadini debbono appartenere a più Paesi). Poi, però, si opera un rinvio all'articoloPag. 6924, in base al quale anche il singolo cittadino può far presente le sue esigenze. Peccato che, se votano 4 milioni e 200 mila irlandesi, ci tiriamo una riga sopra perché hanno votato male, hanno sbagliato a votare!
In tutto questo Trattato, che mi sono preso la briga di leggere, si vede la volontà di annientare i Parlamenti nazionali, e noi siamo uno di questi. Ci dovremmo interrogare sul perché: siamo forse dei banditi, dei delinquenti, non rappresentiamo la sovranità popolare?
Ma vengo ad un altro passaggio, la parte che riguarda i diritti e le discriminazioni. L'Europa è servita in tutto questo periodo per garantire la pace, e questo lo ha fatto. Adesso però, invece di interessarsi della pace e del progresso, si interessa di diritti e di discriminazioni, li descrive e poi enuncia i principi secondo i quali dovrebbe vegliare, indirizzare e perseguire con la sua bella magistratura. Mi dico allora: ma l'Europa è un Paese composito e le differenze rappresentano una ricchezza di questo continente! Abbiamo un sud d'Europa che è cattolico ed un nord d'Europa che ha accettato la riforma luterana, un sud d'Europa che comunque - a qualcuno può non piacere - ha ricevuto una forte influenza dal marxismo, mentre nel nord d'Europa ci sono la socialdemocrazia e le democrazie anglosassoni, c'è l'est e c'è l'ovest. È chiaro che qualcuno verrà censurato e che le libertà verranno diminuite: perché non demandare ai Parlamenti nazionali, che rappresentano la sovranità popolare, questi principi?
Di questa censura ne abbiamo già avuto una prova, perché delle nostre radici giudaico-cristiane non c'è traccia! Qui c'è un gruppo di massoni - sembrerebbe - o di «magliari» che vuole appropriarsi di un continente.
Tocco un altro punto, la sussidiarietà: qui siamo arrivati, purtroppo, al livello di commedia. La sussidiarietà, secondo questo Trattato, costituirebbe infatti un valore, ed i Parlamenti nazionali sono chiamati a vegliare. Abbiamo otto settimane, da quando sono inviati gli atti, per esaminare e dare un parere dettagliato su quanto ci hanno proposto come procedimento legislativo. Peccato che poi, quando si parla di sussidiarietà, si rimanda al Protocollo nel quale si legge tranquillamente che si decide a maggioranza. Ma non basta la maggioranza semplice, ci vuole il 55 per cento, e comunque la Commissione può continuare e può poi appellarsi alla Corte di giustizia europea, che ha tutto un percorso di nomina che ve lo raccomando!
La domanda allora è: ma la sussidiarietà non è quel principio per il quale se un compito è mio lo faccio io e non lo fai tu? Qui, invece, la sussidiarietà è intesa come un qualcosa per cui l'Unione europea può interessarsi di tutto e fare quello che vuole con la Commissione.
E adesso arriviamo alla ciliegina sulla torta: questa Commissione ha una serie di poteri incredibili, tra gli altri quello praticamente del veto, perché i procedimenti legislativi - recita sempre il Trattato - possono essere portati avanti su proposta della Commissione (per cui non importa quanti Governi o quanti cittadini vogliono una legge, perché se loro non la mandano avanti questa legge non si fa). Ebbene, la Commissione - ed io non riesco più a capire se è composta di demiurghi o cos'altro - viene posta in carica con il voto del Parlamento europeo con il 50 per cento più uno dei suffragi; se però dovesse tradire le aspettative, essere fonte di grande scandalo o compromettere la nostra politica economica con i trattati internazionali, e qualche buontempone si mettesse in mente di sfiduciarla, credendo che basti il 50 per cento più uno dei voti, sbaglia! Ci vuole una maggioranza dei due terzi! Chiedo allora anche ai colleghi dell'opposizione, che sono entusiasti: ma non facevamo prima a eleggere un Kaiser europeo, che una volta eletto decidesse e facesse ciò che gli pareva abolendo la democrazia?
Un collega prima ha affermato di fare più Europa. Più Europa di così! Facevamo un Benito Mussolini di Bruxelles. Questa è la realtà. Vi rendete conto dell'impatto sul nostro Parlamento se la legge prevedessePag. 70che il Governo ha bisogno, per entrare in carica, del 50 per cento più un voto, mentre per essere sfiduciato, invece, occorrono i due terzi dei voti, come per cambiare una Costituzione? Questa è l'Europa! Ci dobbiamo interessare, allargare il dibattito (come diceva il collega Volpi) e approfondirlo perché, se noi non decidiamo, lo faranno i signori che hanno scritto il Trattato e se avrete la pena di leggerlo, vedrete in quanto poco conto tengono i Parlamenti nazionali. Ogni riga sembra una tonnara. Si va avanti, si perde potere e non si può più fare niente.
Vi ripeto. Il Trattato trasforma la Commissione europea nel Kaiser europeo. Pertanto, vi invito in futuro - dopo che avremo espresso il nostro voto favorevole perché l'Europa ha anche delle valenze positive - a rivedere bene tutto l'argomento e fare presente le priorità del nostro Paese come hanno già fatto altri Paesi di più grande tradizione democratica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà, per sette minuti.

Testo sostituito con errata corrige volante SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, abbiamo ascoltato oggi, nella discussione sulle linee generali sul disegno di legge di ratifica del Trattato di Lisbona, riflessioni importanti e approfondite, a partire dal relatore fino a molti colleghi che sono intervenuti in ordine ad una materia che ha sollevato un dibattito politico non solo a livello nazionale ma anche europeo.
Sarebbe falso nascondersi che vi è un problema di percezione dell'Europa da parte dei cittadini. Vi sono state battute d'arresto nel processo costituente che pongono all'attenzione delle istituzioni europee la questione della partecipazione dei cittadini alle decisioni e alla vita delle istituzioni europee. È evidente che esiste un simile problema, che esso deve essere affrontato e che il Parlamento, che ratifica un Trattato così importante, debba farlo nella consapevolezza della responsabilità che ciò comporta e anche con l'impegno, non scritto, ad essere testimonianza del Trattato che si accinge a ratificare.
Certamente, la battuta d'arresto ha comportato una riflessione anche a livello europeo. Si è trattato di una riflessione importante, seria e profonda che ha fatto sì che il Trattato prendesse atto di alcune realtà, che sono state manifestate a seguito anche di consultazioni referendarie in alcuni Paesi dell'Unione europea, che hanno dato segnali importanti in tale senso.
Da un lato la modifica del Trattato che istituisce la Comunità europea, che ora diventa il Trattato del funzionamento dell'Unione europea, e dall'altro un nuovo intervento sul Trattato sull'Unione europea delineano e disegnano, evidentemente, un quadro istituzionale un poco diverso da quello che si era stabilito nella Costituzione europea. L'assenza del richiamo all'inno, alla bandiera e alla supremazia della legislazione comunitaria sono elementi che, forse, sono andati effettivamente incontro alle esigenze che si sono manifestate nel corso del lungo e serrato dibattito su questo momento costituente.
Riteniamo che vi sia stata un'attenzione particolare sulla sovranità dei Parlamenti nazionali e sulle autonomie regionali e locali. Riteniamo, insomma, che alcuni degli elementi che sono emersi negli ultimi anni siano stati recepiti, in qualche modo, dal legislatore. Tuttavia, rimangono ancora alcune questioni da risolvere.
È vero, sono stati unificati i tre pilastri ma non si ha ancora una politica estera europea. Non si è realizzata la costituzione di un Ministero degli esteri europeo ma solo di un Alto rappresentante per gli affari comunitari, per la politica estera e per le politiche di sicurezza, insomma per gli affari esteri e per la politica di sicurezza.
Crediamo che si debba con grande calma, ma anche con determinazione, portare avanti questo processo cercando di essere noi elemento di testimonianza di una convinzione profonda che riguarda le radici dell'Europa, il suo obiettivo originario di pacificazione, il suo obiettivo di natura economica e politica che rappresenta nel mondo un ideale di civiltà.
Crediamo che questa Europa, l'Europa popolare - per quanto ci riguarda - ePag. 71quella tradizione debbano essere manifestate e recepite in una convinzione profonda nell'istituzione europea e in quello che l'Europa può rappresentare - ne ha fatto riferimento qualche collega oggi - per le nuove generazioni.
Nel corso di un congresso del Partito Popolare fu Helmut Kohl a ricordare come, in un'Europa che si andava costituendo non soltanto nella sua fase economica, ma anche in quella politica, le nuove generazioni, i giovani di quegli anni - mi riferisco a pochi anni fa - fossero già giovani profondamente europei, giovani che attraverso strumenti messi a loro disposizione dalle università e delle loro famiglie giravano l'Europa, conoscevano le capitali europee, conoscevano l'inglese e avevano la possibilità di percepire il senso comune di appartenenza a qualcosa di più di un continente, di una Comunità europea che fosse una comunità e che sia una comunità davvero.
A fronte di questo, credo che per le nuove generazioni dare speranza all'Europa, dare noi testimonianza di questa speranza, dei valori e delle esigenze che sono stati alla base della fondazione della Comunità europea, prima, e dell'Unione europea, poi, sia un segnale di grande responsabilità che, oggi, prendiamo verso noi stessi, verso il nostro Paese, nel rispetto delle nostre tradizioni, nel rispetto della nostra autonomia, ma anche di un grande progetto che i nostri padri fondatori dell'Italia e dell'Europa hanno voluto prima di noi e che lasceremo alle nuove generazioni, affinché lo interpretino a testa alta e con la consapevolezza che si tratta di un grande progetto di pace, di serenità economica e di possibilità di guardare al futuro finalmente con serenità (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Testo sostituito con errata corrige volante SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, abbiamo ascoltato oggi, nella discussione sulle linee generali sul disegno di legge di ratifica del Trattato di Lisbona, riflessioni importanti e approfondite, a partire dal relatore fino a molti colleghi che sono intervenuti in ordine ad una materia che ha sollevato un dibattito politico non solo a livello nazionale ma anche europeo.
Sarebbe falso nascondersi che vi è un problema di percezione dell'Europa da parte dei cittadini. Vi sono state battute d'arresto nel processo costituente che pongono all'attenzione delle istituzioni europee la questione della partecipazione dei cittadini alle decisioni e alla vita delle istituzioni europee. È evidente che esiste un simile problema, che esso deve essere affrontato e che il Parlamento, che ratifica un Trattato così importante, debba farlo nella consapevolezza della responsabilità che ciò comporta e anche con l'impegno, non scritto, ad essere testimonianza del Trattato che si accinge a ratificare.
Certamente, la battuta d'arresto ha comportato una riflessione anche a livello europeo. Si è trattato di una riflessione importante, seria e profonda che ha fatto sì che il Trattato prendesse atto di alcune realtà, che sono state manifestate a seguito anche di consultazioni referendarie in alcuni Paesi dell'Unione europea, che hanno dato segnali importanti in tale senso.
Da un lato la modifica del Trattato che istituisce la Comunità europea, che ora diventa il Trattato del funzionamento dell'Unione europea, e dall'altro un nuovo intervento sul Trattato sull'Unione europea delineano e disegnano, evidentemente, un quadro istituzionale un poco diverso da quello che si era stabilito nella Costituzione europea. L'assenza del richiamo all'inno, alla bandiera e alla supremazia della legislazione comunitaria sono elementi che, forse, sono andati effettivamente incontro alle esigenze che si sono manifestate nel corso del lungo e serrato dibattito su questo momento costituente.
Riteniamo che vi sia stata un'attenzione particolare sulla sovranità dei Parlamenti nazionali e sulle autonomie regionali e locali. Riteniamo, insomma, che alcuni degli elementi che sono emersi negli ultimi anni siano stati recepiti, in qualche modo, dal legislatore. Tuttavia, rimangono ancora alcune questioni da risolvere.
È vero, sono stati unificati i tre pilastri ma non si ha ancora una politica estera europea. Non si è realizzata la costituzione di un Ministero degli esteri europeo ma solo di un Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Crediamo che si debba con grande calma, ma anche con determinazione, portare avanti questo processo cercando di essere noi elemento di testimonianza di una convinzione profonda che riguarda le radici dell'Europa, il suo obiettivo originario di pacificazione, il suo obiettivo di natura economica e politica che rappresenta nel mondo un ideale di civiltà.
Crediamo che questa Europa, l'Europa popolare - per quanto ci riguarda - ePag. 71quella tradizione debbano essere manifestate e recepite in una convinzione profonda nell'istituzione europea e in quello che l'Europa può rappresentare - ne ha fatto riferimento qualche collega oggi - per le nuove generazioni.
Nel corso di un congresso del Partito Popolare fu Helmut Kohl a ricordare come, in un'Europa che si andava costituendo non soltanto nella sua fase economica, ma anche in quella politica, le nuove generazioni, i giovani di quegli anni - mi riferisco a pochi anni fa - fossero già giovani profondamente europei, giovani che attraverso strumenti messi a loro disposizione dalle università e delle loro famiglie giravano l'Europa, conoscevano le capitali europee, conoscevano l'inglese e avevano la possibilità di percepire il senso comune di appartenenza a qualcosa di più di un continente, di una Comunità europea che fosse una comunità e che sia una comunità davvero.
A fronte di questo, credo che per le nuove generazioni dare speranza all'Europa, dare noi testimonianza di questa speranza, dei valori e delle esigenze che sono stati alla base della fondazione della Comunità europea, prima, e dell'Unione europea, poi, sia un segnale di grande responsabilità che, oggi, prendiamo verso noi stessi, verso il nostro Paese, nel rispetto delle nostre tradizioni, nel rispetto della nostra autonomia, ma anche di un grande progetto che i nostri padri fondatori dell'Italia e dell'Europa hanno voluto prima di noi e che lasceremo alle nuove generazioni, affinché lo interpretino a testa alta e con la consapevolezza che si tratta di un grande progetto di pace, di serenità economica e di possibilità di guardare al futuro finalmente con serenità (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, abbiamo ascoltato oggi, nella discussione sulle linee generali sul disegno di legge di ratifica del Trattato di Lisbona, riflessioni importanti e approfondite, a partire dal relatore fino a molti colleghi che sono intervenuti in ordine ad una materia che ha sollevato un dibattito politico non solo a livello nazionale ma anche europeo.
Sarebbe falso nascondersi che vi è un problema di percezione dell'Europa da parte dei cittadini. Vi sono state battute d'arresto nel processo costituente che pongono all'attenzione delle istituzioni europee la questione della partecipazione dei cittadini alle decisioni e alla vita delle istituzioni europee. È evidente che esiste un simile problema, che esso deve essere affrontato e che il Parlamento, che ratifica un Trattato così importante, debba farlo nella consapevolezza della responsabilità che ciò comporta e anche con l'impegno, non scritto, ad essere testimonianza del Trattato che si accinge a ratificare.
Certamente, la battuta d'arresto ha comportato una riflessione anche a livello europeo. Si è trattato di una riflessione importante, seria e profonda che ha fatto sì che il Trattato prendesse atto di alcune realtà, che sono state manifestate a seguito anche di consultazioni referendarie in alcuni Paesi dell'Unione europea, che hanno dato segnali importanti in tale senso.
Da un lato la modifica del Trattato che istituisce la Comunità europea, che ora diventa il Trattato del funzionamento dell'Unione europea, e dall'altro un nuovo intervento sul Trattato sull'Unione europea delineano e disegnano, evidentemente, un quadro istituzionale un poco diverso da quello che si era stabilito nella Costituzione europea. L'assenza del richiamo all'inno, alla bandiera e alla supremazia della legislazione comunitaria sono elementi che, forse, sono andati effettivamente incontro alle esigenze che si sono manifestate nel corso del lungo e serrato dibattito su questo momento costituente.
Riteniamo che vi sia stata un'attenzione particolare sulla sovranità dei Parlamenti nazionali e sulle autonomie regionali e locali. Riteniamo, insomma, che alcuni degli elementi che sono emersi negli ultimi anni siano stati recepiti, in qualche modo, dal legislatore. Tuttavia, rimangono ancora alcune questioni da risolvere.
È vero, sono stati unificati i tre pilastri ma non si ha ancora una politica estera europea. Non si è realizzata la costituzione di un Ministero degli esteri europeo ma solo di un Alto rappresentante per gli affari comunitari, per la politica estera e per le politiche di sicurezza, insomma per gli affari esteri e per la politica di sicurezza.
Crediamo che si debba con grande calma, ma anche con determinazione, portare avanti questo processo cercando di essere noi elemento di testimonianza di una convinzione profonda che riguarda le radici dell'Europa, il suo obiettivo originario di pacificazione, il suo obiettivo di natura economica e politica che rappresenta nel mondo un ideale di civiltà.
Crediamo che questa Europa, l'Europa popolare - per quanto ci riguarda - ePag. 71quella tradizione debbano essere manifestate e recepite in una convinzione profonda nell'istituzione europea e in quello che l'Europa può rappresentare - ne ha fatto riferimento qualche collega oggi - per le nuove generazioni.
Nel corso di un congresso del Partito Popolare fu Helmut Kohl a ricordare come, in un'Europa che si andava costituendo non soltanto nella sua fase economica, ma anche in quella politica, le nuove generazioni, i giovani di quegli anni - mi riferisco a pochi anni fa - fossero già giovani profondamente europei, giovani che attraverso strumenti messi a loro disposizione dalle università e delle loro famiglie giravano l'Europa, conoscevano le capitali europee, conoscevano l'inglese e avevano la possibilità di percepire il senso comune di appartenenza a qualcosa di più di un continente, di una Comunità europea che fosse davvero una comunità.
A fronte di questo, credo che per le nuove generazioni dare speranza all'Europa, dare noi testimonianza di questa speranza, dei valori e delle esigenze che sono stati alla base della fondazione della Comunità europea, prima, e dell'Unione europea, poi, sia un segnale di grande responsabilità che, oggi, prendiamo verso noi stessi, verso il nostro Paese, nel rispetto delle nostre tradizioni, nel rispetto della nostra autonomia, ma anche di un grande progetto che i nostri padri fondatori dell'Italia e dell'Europa hanno voluto prima di noi e che noi stessi lasceremo alle nuove generazioni, affinché lo interpretino a testa alta e con la consapevolezza che si tratta di un grande percorso di pace, di serenità economica e di possibilità di guardare al futuro finalmente con serenità (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 17,33).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1519)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole La Malfa.

GIORGIO LA MALFA, Relatore. Signor Presidente, il dibattito ha messo in evidenza che, pur con sfumature ed accenti diversi, tutti i gruppi parlamentari di questa Camera si apprestano a votare a favore del disegno di legge del quale sono stato relatore. Ne prendo atto, ringrazio i colleghi per i loro interventi e concludo qui la mia replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero innanzitutto esprimere un sincero ringraziamento al relatore, al presidente della Commissione affari esteri e a tutti gli onorevoli deputati intervenuti nel corso di questa giornata. È stato un dibattito che, sia pur nella sua brevità ed essenzialità, ha mostrato grande consapevolezza delle difficoltà che l'Unione europea ha incontrato ed incontra nell'adeguare la sua architettura istituzionale.
È stato un dibattito che ha mostrato consapevolezza dei pericoli di una non ratifica di questo Trattato, dopo che quello dell'Unione non era stato ratificato a seguito dei referendum francese e olandese. È stato un dibattito, onorevoli colleghi, consapevole degli umori e degli orientamentiPag. 72dei cittadini nei confronti della costruzione europea e del suo grande sogno e dei suoi obiettivi concreti. È stato un dibattito consapevole soprattutto dei molti elementi positivi che, pur nella complessità e difficoltà di lettura da parte dei cittadini, questo Trattato pur contiene offrendo alla politica strumenti nuovi.
Ma è stato un dibattito anche consapevole dei limiti del compromesso di Lisbona e quindi della necessità di un grande e nuovo impegno politico per non lasciare intristire un grande progetto divenuto oggi ancora più essenziale in un mondo globalizzato.
È un mondo nel quale l'umanesimo europeo, cristiano, ebraico e laico deve giocare non solo un ruolo sul terreno della crescita economica, ma una grande missione politica, culturale ed umana. In tutti gli interventi vi è stata una consapevolezza di dover continuare a lavorare per ridurre il deficit democratico degli istituti europei. Nella temperie dei nuovi equilibri geoeconomici e geopolitici non possiamo desistere dal costruire una voce comune dell'Europa sulle grandi questioni della politica, della pace e della sicurezza. Una voce unica dell'Europa non può essere estranea al dibattito e ai tentativi di riforma della governance politica, economica e finanziaria del mondo. Penso all'ONU, al Consiglio di sicurezza, alle grandi istituzioni economiche e finanziarie di difesa, nate a Bretton Woods e nel 1949. Sulla maggior parte di tali questioni non vi è unità oggi nell'Europa. Per questo, la discussione in quest'Assemblea, pur con le sue diverse preoccupazioni e, a volte, timori, ha colto il senso degli sviluppi attuali della politica europea, evidenziando le difficoltà di fronte alle quali si trova, ma anche indicando strade per superarle.
Il messaggio che bisogna trarre da questa discussione è che occorre tornare a valorizzare lo spirito originario del processo di integrazione. Quando i padri fondatori hanno avviato la straordinaria avventura politica e intellettuale dell'integrazione, si sono fatti guidare da una visione chiara degli obiettivi da perseguire: il raggiungimento della pace sul continente, il passaggio da una logica di competizione fra Stati ad una logica di collaborazione, il perseguimento della prosperità economica tramite la creazione di maggiori opportunità per tutti. Erano ideali chiari, che i cittadini europei potevano comprende agevolmente e che hanno consentito di creare un duraturo consenso attorno ad un progetto di integrazione continentale.
Se si trascurano tali principi guida, si rischia di perdere il senso dello stare insieme in Europa. Si corre il rischio di vedere soltanto gli alberi delle singole procedure decisionali e dei complessi meccanismi istituzionali, perdendo di vista la foresta del progetto politico. Per evitare tale rischio occorre ricordare costantemente che l'Europa è un progetto al servizio dei cittadini, che non è e non deve essere una costruzione autoreferenziale, una macchina burocratica fine a se stessa, ma un meccanismo pulsante e reattivo, che deve trovare delle risposte ai bisogni reali dei cittadini, di quei milioni di uomini e di donne che all'Europa chiedono messaggi chiari e comprensibili, soluzioni ai problemi di ogni giorno, momenti di confronto e di riflessione che consentano di costruire assieme un futuro migliore.
È compito della politica - se mi consentite la formula - riscoprire la semplicità, ritrovare il senso del progetto europeo, far sì che i cittadini tornino a sentirlo come qualcosa che appartiene loro. Basta il Trattato di Lisbona a far sì che ciò avvenga? No, da solo non basta. Infatti, qualsiasi trattato che stabilisca le regole di funzionamento dell'Unione, non può da solo colmare un vuoto di politica. Il Trattato di Lisbona mette però al servizio delle classi dirigenti europee una serie di strumenti che, se adeguatamente utilizzati, consentiranno di colmare tale vuoto di politica e di rilanciare la progettualità della costruzione europea.
Il Trattato di Lisbona consentirà in primo luogo alla politica di decidere e di farlo in fretta. Questo è il senso del superamento del diritto di veto in molte materie. Nell'Unione a ventisette Stati membri non è più realistico pensare chePag. 73un singolo Stato membro possa bloccare tutti gli altri ed è fondamentale che il ricorso all'unanimità sia limitato alle materie più sensibili, per evitare che i meccanismi decisionali siano di fatto paralizzati.
In secondo luogo, il Trattato di Lisbona pone le premesse per una maggiore presenza dell'Unione sulla scena internazionale. Tale presenza può essere assicurata soltanto nella misura in cui l'Unione sia in grado di esprimere una posizione unitaria e di parlare con una sola voce sulle grandi questioni internazionali. È una lezione triste, che dovremo tenere ben presente, quella delle tante occasioni in cui l'Unione non è riuscita ad esprimere una linea unitaria su alcune grandi crisi interregionali, relegandosi con le proprie mani a svolgere un ruolo marginale.
Al tempo stesso, il Trattato di Lisbona offre gli strumenti per rafforzare la strategia europea di difesa e di sicurezza e per adeguarla alle nuove minacce. La Presidenza francese ha deciso di fare della difesa uno dei temi prioritari del proprio semestre, ma per dotare l'Europa di strumenti adeguati in questo settore, per far sì che il nostro continente divenga produttore e non solo consumatore di sicurezza, saranno fondamentali le nuove disposizioni del Trattato di Lisbona.
Oltre alla sicurezza esterna, il Trattato in discussione consentirà anche di rafforzare la sicurezza interna dell'Unione, con il rafforzamento degli strumenti nel campo della lotta contro l'immigrazione illegale, della protezione delle frontiere, della cooperazione giudiziaria e di polizia.
Al contempo, il Trattato di Lisbona consentirà di compiere un grande passo in avanti nella difesa e nella promozione dei diritti della persona, con l'inserimento della Carta dei diritti nel sistema dei trattati, sia pure attraverso il rinvio contenuto in una delle disposizioni. Nel pieno rispetto della specificità degli ordinamenti nazionali, soprattutto in materie quali il diritto di famiglia ed alcuni aspetti dei diritti sociali, la Carta consentirà di mettere l'individuo, e non più soltanto i popoli, al centro del sistema europeo. Ecco perché quello che proviene dal voto di questa sera è un messaggio importante, non perché questo Trattato sostituisca la politica o rappresenti di per sé una politica piuttosto che un'altra, ma perché offre alcuni nuovi strumenti alla politica. Alle forze politiche, alle classi dirigenti, a tutte le istituzioni nazionali ed europee spetterà poi di riempire di contenuti i nuovi spazi creati da Lisbona, nonché di realizzare e far evolvere le politiche europee in un'Europa politica.
Non tutte le politiche di Bruxelles sono a priori buone, ma anzi noi, con forte capacità di iniziativa politica, dobbiamo contare di più e influenzare le scelte comuni nella direzione giusta sia per l'Europa sia per il nostro Paese. Nel corso della discussione è stata evocata una metafora scritta per descrivere il destino degli scienziati contemporanei: siamo nel pieno di una bufera e dobbiamo cambiare forma alla barca nella quale stiamo navigando per renderla capace di affrontare la bufera, dobbiamo farlo senza portare a secco la barca e utilizzando il vecchio legno oltre a quello nuovo. Lo possiamo fare solo se ritorneremo alla grande politica, ai grandi ideali e ai valori che possono consentire di vincere le sfide del tempo presente; questo è il nostro destino politico.
Tuttavia, il nodo più difficile, onorevoli deputati, è quello del rapporto tra la politica e i cittadini. Oggi i cittadini chiedono a noi di rispondere alle grandi questioni della pace, della sicurezza, dell'immigrazione, dell'energia, delle materie prime alimentari, dell'ambiente e del clima, tutte questioni che richiedono sempre più poteri sovranazionali, più cooperazione internazionale e, quindi, cessione di sovranità. Oggi, non riusciamo a trasmettere questo messaggio semplice ed essenziale ai cittadini, lo potremo fare solo costruendo un'Europa autorevole ed efficiente, che fornisca risposte concrete e percepibili dai cittadini. Dobbiamo convincere i cittadini non con le parole, ma con i fatti concreti e con le politiche europee all'altezza della sfida.
Vorrei a tutti noi ricordare che quando abbiamo dato vita al processo di costruzionePag. 74dell'Europa vi erano forti differenze e preoccupazioni. Ricordo le resistenze degli operatori imprenditoriali del nostro Paese ed anche le ostilità politiche che rischiavano di non farci osare; eppure, i padri fondatori dell'Europa affrontarono la sfida ed ebbero coraggio e lungimiranza e pian piano, con i fatti, convinsero i cittadini e le forze politiche. Oggi, il Parlamento italiano è unito nella scelta europea e tocca oggi alle forze politiche far sì che con una buona politica europea, con quei cambiamenti urgenti e necessari della stessa, si possano avere risultati che convincano i cittadini della bontà europea.
Sta alle forze politiche, quindi, trasmettere soprattutto ai giovani quella passione per i grandi ideali europei che furono alla base della scelta dei padri fondatori (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

(Esame degli articoli - A.C. 1519)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del disegno di legge di ratifica.
Avverto che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri (Vedi l'allegato A - A.C. 1519).
Avverto che con riferimento all'esame in Assemblea sono state presentate tre proposte emendative. Al riguardo faccio presente, in primo luogo, che esse, sotto il profilo procedurale, ai sensi dell'articolo 86, comma 1, del Regolamento, secondo la costante prassi applicativa, non si riferiscono ad argomenti già considerati nel testo del disegno di legge o negli emendamenti presentati e giudicati ammissibili in Commissione (in tale sede, peraltro, non sono stati presentati emendamenti) e, come tali, non possono essere considerati ammissibili ai fini dell'esame in Assemblea.
Va rilevato, peraltro, come gli stessi presentano ulteriori profili di inammissibilità anche con riferimento al loro contenuto. Essi, infatti, con riferimento all'eventuale fase di segnalazione dei nominandi a giudici della Corte di giustizia - fase non disciplinata né dal Trattato, né, più in generale, nell'ordinamento europeo - prescrivono per il Governo italiano specifici criteri aggiuntivi rispetto a quelli già previsti dai Trattati per la scelta di tali giudici. Al riguardo osservo che, in base all'articolo 9F del Trattato, i predetti giudici sono nominati «di comune accordo dai Governi degli Stati membri» e che il Trattato stesso prevede, all'articolo 224-bis, l'istituzione di un nuovo organo, denominato Comitato, con l'incarico di fornire un parere sull'adeguatezza dei candidati all'esercizio della funzione di giudice della Corte di giustizia.
La previsione di ulteriori criteri per la nomina dei giudici, peraltro solo a carico del Governo italiano, non inserendosi in una specifica procedura prevista dal Trattato o comunque dall'ordinamento comunitario, finisce, inevitabilmente, per riverberarsi sul contenuto del Trattato stesso, condizionandone sostanzialmente l'applicazione.
Come precisato dalla Presidenza in numerose circostanze, la definizione del contenuto del Trattato attiene ad una fase precedente - quella della negoziazione in sede internazionale - di competenza esclusiva del Governo. Ogni limitazione o specificazione che ponga in questione l'attuazione o anche l'interpretazione di una parte del Trattato nel momento dell'autorizzazione alla ratifica, salvo ovviamente che ciò sia espressamente consentito dallo stesso accordo internazionale oggetto di ratifica, non potrebbe che riverberarsi sullo stesso contenuto dell'accordo, condizionandone, limitandone o comunque modificandone l'applicazione.
La decisione assunta dalla Presidenza è, quindi, del tutto coerente con la prassi interpretativa consolidata in materia di ammissibilità degli emendamenti ai disegni di legge di ratifica e di esecuzione dei trattati internazionali, secondo la quale sono inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che implichino una modifica degli strumenti pattizi sottostanti ai progetti di legge di ratifica o contrastino con essi.

Pag. 75

LEOLUCA ORLANDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, in riferimento alla dichiarazione di inammissibilità degli emendamenti, noi ci rendiamo conto che in effetti è prassi e consuetudine da parte della Camera di evitare di introdurre emendamenti che possono in qualche modo dare la percezione della modifica del contenuto del Trattato. Devo specificare, però, che gli emendamenti in effetti non hanno tale finalità, perché mirano a disciplinare i comportamenti del nostro Stato e delle nostre istituzioni e non a modificare le norme del Trattato, ancorché qualche dubbio possa esserci in riferimento agli articoli 223, 224 e 224-bis. Questa è la ragione per la quale gli stessi presentatori degli emendamenti hanno presentato degli ordini del giorno che, essendo inviti al Governo, non si prestano alla possibile censura di intendere di modificare le regole del Trattato.
Ci auguriamo che il Governo voglia esaminare con attenzione i nostri ordini del giorno cogliendo la sensibilità dei presentatori, i quali non obiettano nei confronti di un'inammissibilità che è più frutto di una consuetudine che non strettamente fondata dal punto di vista giuridico. Non chiediamo su questo aspetto un pronunciamento del Presidente, in quanto ci atteniamo a tale interpretazione, senza chiedere se la Presidenza conferma o meno la nostra interpretazione.

(Esame dell'articolo 1 - A.C. 1519)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 1519), al quale non sono state presentate proposte emendative dichiarate ammissibili.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Dal Lago. Ne ha facoltà.

MANUELA DAL LAGO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo oggi impegnati a discutere un documento che, nonostante la nostra ratifica, non sappiamo se entrerà in vigore o no ed eventualmente con quale legittimità, a fronte del referendum irlandese. Molti osservatori sono rimasti sorpresi dall'esito referendario, perché l'Irlanda è fra i Paesi che hanno maggiormente beneficiato, dal punto di vista economico, dei fondi europei. Noi della Lega, invece, non ne siamo rimasti sorpresi, perché l'economia, i fondi comunitari non possono comprare le tradizioni di un popolo, la loro storia e la loro libertà e gli irlandesi, in questo senso, ce lo hanno fatto capire molto bene.
Il Trattato di Lisbona condizionerà molto il futuro del nostro Paese e il Parlamento italiano sarà spogliato di molte delle sue competenze a legiferare, a tutto vantaggio delle istituzioni europee. Ci sorprende, perciò, che gli onorevoli Casini e Veltroni, che solo qualche giorno fa lamentavano in quest'Aula un esproprio delle prerogative del Parlamento (perché, a loro dire, i tempi per la discussione dei provvedimenti sarebbero troppo ristretti), oggi, invece, stiano zitti davanti a quello che consideriamo il vero esproprio dell'Italia da parte dell'Europa.
D'altro canto, però, siamo soddisfatti del fatto - e ci auguriamo che ciò avvenga - che, con il Trattato, sia stato assegnato ai nostri Parlamenti il ruolo di controllori sulla sussidiarietà: noi come Lega saremo vigili affinché questa funzione venga esercitata pienamente e in maniera precisa e completa.
Avremmo voluto che anche in Italia si celebrasse un referendum, affinché fosse direttamente il popolo a decidere se ratificare o meno il Trattato. Non è stato possibile farlo. In Italia abbiamo avuto referendum praticamente su tutto, ma non è consentito chiedere ai cittadini cosa ne pensino di questa Unione europea. C'è disaffezione, da parte dei cittadini europei, nei confronti dell'Europa in generale, di questa Europa. I popoli europei non si riconoscono nelle istituzioni comunitarie, perché esse sono, a tutt'oggi, troppo burocratiche e troppo poco democratiche. Questa Europa è un'Europa di imposizionePag. 76e non di unione, nella quale i cittadini italiani si sono trovati costretti a rispettare norme che sono state decise a Bruxelles, senza che essi ne sapessero nulla. Spesso queste norme non hanno aiutato il nostro Paese e la nostra economia: si pensi, ad esempio (se ne è parlato stamattina) al settore della moda, a quello agroalimentare e ad altri.
Noi della Lega, signor Presidente, abbiamo un'altra idea di Europa: un'Europa politica e non solo economica, che sappia rispettare le diversità di ciascuna delle nazioni che la compongono e che tenga conto delle specificità regionali; un'Europa in cui i popoli non si sentano umiliati, bensì vengano esaltati. Ci sembra, invece, che l'Europa stia procedendo - mi si permetta di affermarlo - come ha proceduto il Piemonte ai tempi dell'unificazione dell'Italia, ossia mettendo insieme cose troppo diverse tra loro e uccidendo o cercando di uccidere le peculiarità di ciascuno dei territori o dei popoli che la compongono.
Secondo noi, occorre porre un freno a questo modo di procedere. Ecco perché, ad esempio, la Lega ha espresso da sempre la sua contrarietà all'ingresso della Turchia nell'Unione europea, perché essa segnerebbe, secondo noi, il tramonto della storia e dell'identità europea (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Ha fatto bene il Presidente Sarkozy a far approvare in Francia una riforma per la quale si obbliga il Governo ad indire un referendum per i futuri allargamenti dell'Unione europea. Ci auguriamo che la stessa misura venga predisposta in Italia anche dal nostro Governo.
Signor Presidente, noi voteremo a favore dell'articolo 1 del disegno di legge di ratifica, anche perché siamo ancora in una fase costituente.
Chiediamo, però, che il Governo abbia il coraggio di impegnarsi, affinché siano valorizzate la nostra storia, la nostra specificità e la nostra diversità. Vogliamo cioè essere in un'Europa libera, in uno Stato libero, in un'Europa federale, che ci faccia sentire in un Paese condiviso e non in un Paese dove siamo oppressi e dobbiamo soltanto subire (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

Modifica nella composizione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione.

PRESIDENTE. Comunico che, in data odierna, il Presidente del Senato ha chiamato a far parte del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione il senatore Carlo Pegorer, in sostituzione del senatore Gianrico Carofiglio, dimissionario.

Si riprende la discussione.

(Ripresa esame articolo 1 - A.C. 1519).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 17,55)

ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, colleghi, devo dire che, ascoltando alcuni degli interventi, come quest'ultimo, viene da chiedersi se le ragioni poco fa illustrate dal sottosegretario Scotti e qualche settimana fa dal Ministro Frattini alle Commissioni affari esteri riunite di Camera e Senato siano davvero condivise fino in fondo dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene.
A meno che non si considerino le posizioni espresse da una parte della maggioranza solo un'espressione di quello che Riccardo Perisic ha chiamato il complesso di Calimero, quel sistematico vittimismo, un misto di complesso di inferiorità, diPag. 77autocompiacimento, di passione e di cinismo, che ha afflitto il nostro Paese in tutta la sua avventura europea, al quale però vale la pena di accennare, poiché è sempre accompagnato - è questo il punto - dalla sfiducia nel poter affrontare con successo, come collettività nazionale, la sfida di modernità che viene dall'Europa.
Gli ultimi anni hanno dimostrato che il vero cuore dell'euroscetticismo di casa nostra non ha niente a che vedere con i liberisti anglofili e le critiche populiste all'euroburocrazia. È un altro paio di maniche. La difficoltà a gestire un'economia strutturalmente debole, in una fase di privatizzazioni e liberalizzazioni, ha fatto riemergere tutti i nostalgici del vecchio statalismo e nuove correnti protezionistiche.
L'Europa, in questo contesto, viene additata come complice del capitalismo internazionale. È lo strumento usato per privare il Paese del suo patrimonio e del controllo sulla sua economia, con il contorno di oscure congiure tra potentati italiani e internazionali sul panfilo della Regina d'Inghilterra. L'euroscetticismo di casa nostra è perciò molto diverso da quello di altri Paesi, non si nutre di una particolare visione dell'Europa, ma è piuttosto il prodotto della necessità, ormai imprescindibile, di colmare il divario tra la retorica europeista e le scelte concrete di politica interna.
Se una critica si può fare agli alfieri dell'europeismo è quella di non aver rivolto la stessa capacità ed energia a riformare il Paese per adattarlo all'Europa, forse nella speranza fatalista che il Paese si sarebbe adattato da sé, cosa che in parte è avvenuta. Erano rare le voci autorevoli - tra queste ricordo quella di Ugo La Malfa - che sposavano l'impegno europeista con un costante appello alla necessità di riforme interne, perché bisogna riuscire a chiudere la forbice tra l'adesione ideale, puramente politica, all'integrazione europea e la necessità che il Paese diventi europeo anche nei fatti.
Per poter essere protagonisti dell'Europa, bisogna poter essere protagonisti di noi stessi, perché la maggior parte dei nostri problemi, checché ne dica il Ministro Tremonti, sono interni e vengono da lontano, visto che, tanto per fare un esempio, il declino del nostro sistema educativo e la stagnazione degli investimenti non nascono certo oggi. Se la nostra classe dirigente cercherà di cavalcare facili capri espiatori, si comporterà come quei genitori che, per quieto vivere, danno ragione ai figli che imputano la colpa dei loro brutti voti ai professori, come se poi i nodi non venissero al pettine al momento dell'ingresso nel mondo del lavoro.
È bene che i processi di ratifica siano completati rapidamente, per confermare gli impegni assunti a Lisbona e per porre le premesse per una nuova consultazione in Irlanda, mettendo i Paesi mancanti di fronte a un quadro che renda chiaro che tutti gli altri Paesi sono determinati ad andare avanti. Che il processo di ratifica sia completato vale in particolare per il nostro Paese. Il nostro non è soltanto uno dei Paesi fondatori, ma è anche uno dei Paesi per il quale il complesso gioco dell'integrazione è stato più chiaramente a somma globalmente positiva.
I Trattati comunitari hanno garantito, come ricordava Guido Carli, l'ancoraggio al libero mercato nel periodo in cui da noi prevalevano le sirene del collettivismo e i fautori di politiche finanziarie irresponsabili, delle quali paghiamo ancora oggi gli ingenti costi.
I Trattati e l'opera delle istituzioni comuni hanno promosso la trasformazione della struttura economica italiana, la moneta unica ha attutito le conseguenze delle crisi finanziarie internazionali, ed è dunque non solo opportuno ma necessario che la ratifica del Trattato di Lisbona sia effettuata speditamente. Ciò consentirebbe, inoltre, all'Italia di porsi in prima linea tra i Paesi disposti a formare coese avanguardie che, come accadde mezzo secolo fa, perseguano l'obiettivo di una più stretta integrazione in settori strategici. Ha scritto Fernando Gentilini, un nostro acuto diplomatico per anni nei Balcani: «quando gli amici balcanici mi hanno chiesto, in tutti questi anni, di spiegare in una frase che cosa fa l'Europa, ho rispostoPag. 78che essa essenzialmente serve a far funzionare meglio i Paesi che ne fanno parte». A questo servono l'euro, il mercato unico, la cooperazione contro il terrorismo, la politica estera di sicurezza comune e, più in generale, le politiche europee. L'Europa, insomma, lungi dal volersi sostituire - come si sostiene - agli Stati trova in questi ultimi la propria ragion d'essere e la propria legittimità. Non vi è, infatti, un solo processo comunitario, incluso quello normativo, in cui l'ultima parola non spetti agli Stati.
Non sarebbe male, inoltre, ricordare che l'estensione all'Europa centro-orientale di uno spazio di pace, di diritto e di democrazia è un altro fatto senza precedenti che fa dell'Europa a 27 il più grande agglomerato al mondo di uomini liberi e benestanti. Si tratta di un successo storico innegabile, tanto più che per realizzarlo è bastata la sola forza di attrazione del modello europeo, la sua capacità di creare un cambiamento. Questo modello deve servire ai Paesi europei per promuovere i propri valori anche fuori dall'Europa. Le guerre dell'ex Jugoslavia, la crisi dell'Iraq, dimostrano l'irrilevanza di un'Europa divisa. La democratizzazione dei Paesi dell'ex Patto di Varsavia, l'istituzione della Corte penale internazionale, la missione di pace Unifil nel Libano riesploso nell'estate del 2006, sono esempi di quello che può fare un'Europa che unisce e si unisce.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI (ore 18)

ALESSANDRO MARAN. È un peccato che leader nazionali irresponsabili, che tentano di addossare ad altri le proprie responsabilità, sottovalutino tutto questo e preferiscano puntare il dito contro l'Europa, ed è paradossale che lo facciano per questioni di cui l'Europa non si occupa, perché se ne occupano gli Stati. Per questo bisogna ripartire da qui, spiegando che cosa è e cosa fa l'Europa e cosa non è e non fa. Il passo successivo è far capire che anche se ancora non si occupa compiutamente di economia, di scuola, di ordine pubblico, di sanità e di welfare, l'Europa è fondamentale per la nostre esistenze. Per uno Stato in quanto tale e per i suoi cittadini il fatto di vivere isolati o all'interno di organizzazioni, oggi ma più che mai, fa la differenza, e oggi è l'occasione per ricordarlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 517
Maggioranza 259
Hanno votato
515
Hanno votato
no 2).

Prendo atto che i deputati Agostini, Monai, Zazzera, Palagiano, Aniello Formisano, Rossomando e De Torre hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole e che i deputati Rainieri e Fogliato hanno segnalato di aver erroneamente espresso voto contrario mentre avrebbero voluto esprimerne uno favorevole.

(Esame dell'articolo 2 - A.C. 1519)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 1519), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, l'Europa è la difesa di un modello di società - non è solo un mercato e una moneta - che però è entrato in tensionePag. 79nell'epoca della globalizzazione. Il «no» irlandese non è quindi un incidente di percorso: l'Europa vive una crisi di crescita. Passare da 15 a 27 Paesi è stata ed è una grande sfida. L'unificazione continentale ha dato all'Unione il peso necessario per contare nel mondo, ma ha reso ancora più urgente risolvere alcune nodi essenziali.
Le difficoltà dell'Europa sono poi il riflesso di una crisi più ampia della legittimità della politica, che risulta da una nuova tensione tra locale e globale vissuta dai cittadini. Se l'Europa non riesce a mobilitare i popoli è perché è ancora una democrazia limitata e incompiuta, rallentata dall'unanimità e troppo spesso paralizzata dai veti nazionali. L'incompiutezza democratica dell'Europa oggi è un grande freno e crescono le forze che utilizzano tale freno per bloccare la costruzione europea. Si tratta di un paradosso che va superato completando l'Europa politica e democratica, altrimenti l'Europa rimarrà una sorta di Gulliver incatenato e non sarà in grado di rispondere alle nuove sfide globali. La distanza tra gli ambiziosi annunci dei Capi di stato e di Governo europei e le realizzazioni al di sotto delle attese porterebbero ad una disaffezione ancora più forte dell'opinione pubblica. Come è stato scritto di recente, nulla di quanto potrebbe succedere è inevitabile così come nulla di quanto è avvenuto è completamente irreversibile.
Del resto, la contrapposizione tra rafforzamento dell'Unione e perdita di sovranità nazionale è una falsa contrapposizione. L'Europa è l'unico modo per i nostri Stati di recuperare peso reale e capacità di azione. Senza Europa, la sovranità è solo formale, una finzione: da soli i nostri Stati sono in balia degli eventi globali. Il Trattato di Lisbona va, quindi, nella giusta direzione, ma l'esperienza irlandese indica con forza anche la necessità di costruire un'Europa meno uniforme e più flessibile. Dobbiamo, cioè, trovare soluzioni politiche per poter avanzare anche a grandi maggioranze sulla via dell'integrazione.
Non sono solo coloro che vogliono avanzare più rapidamente a dover sempre aspettare i più lenti. I più veloci dovranno poter procedere comunque. In futuro dovremmo negoziare accordi speciali con i Paesi che, per ragioni certo legittime, non ritengono di voler avanzare di più sulla via dell'integrazione e dovremmo anche sdrammatizzare le ipotesi di recesso, come ora sarà previsto dall'articolo 50 del Trattato di Lisbona.
Dopo Lisbona, poi, occorre proseguire sulla via di una vera governance economica e sociale, la grande questione irrisolta in Europa. Alcune disfunzioni politiche dell'Unione derivano, infatti, anche dal rifiuto dei Governi nazionali di tirare tutte le conseguenze politiche dall'euro. Dobbiamo correggere la simmetria tra una politica monetaria federale e le politiche nazionali insufficientemente coordinate. Occorre, cioè, un vero Governo economico e sociale dell'eurozona e una sua rappresentanza unificata sulla scena internazionale. Come affermato da Jacques Delors, ciò che può venire fatto in una grande regione del mondo può contribuire all'introduzione di regole destinate a rendere il nostro pianeta più visibile, più pacifico e a rendere il suo sviluppo più sostenibile. Un'Europa più forte può essere così protagonista di una più ampia e urgente riforma della governance mondiale. Signor Presidente, è venuto il tempo della democrazia reale su scala continentale, il tempo dei referendum europei e non nazionali sull'Europa.
Gli affari europei non sono più affari esteri ma affari interni. Tuttavia non abbiamo fatto abbastanza per coinvolgere i cittadini. Le riflessioni e i dibattiti si sono concentrati sull'efficienza, sui numeri, mentre oggi dobbiamo affrontare la questione della legittimità. Come ha affermato un grande maestro e un amico come Bronislaw Geremek, adesso occorre rivolgersi direttamente ai cittadini, superando i club dei politici e degli intellettuali. Quello di cui l'Europa ha bisogno è un più grande dibattito dei cittadini sul futuro che li attende.Pag. 80
Per questa finalità, un'ottima occasione saranno le elezioni del 2009 che devono diventare un grande momento di dibattito pubblico e democratico sull'Europa. Superiamo la distanza tra competizioni partitiche organizzate unicamente in chiave nazionale e problemi la cui dimensione è europea e globale. Dobbiamo ripartire dal basso senza facili demagogie ma consapevoli che, se non possiamo dare l'Europa per scontata, è scontato che il nostro futuro sarà europeo o non sarà. Per noi membri del Parlamento, signor Presidente, si tratta di adattare con urgenza il Regolamento della Camera per approfittare pienamente di tutte le possibilità che il Trattato di Lisbona offre ai Parlamenti nazionali. A mio parere sarebbe tempo anche di pensare ad una clausola di revisione automatica del Regolamento o, almeno, di verifica dell'adeguatezza del nostro Regolamento ad ogni futura modifica dei Trattati.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, parliamo spesso dei padri fondatori dell'Europa, riaffermare il primato della politica deve essere la missione dei figli fondatori, determinati a proseguire sulla via tracciata dai nostri predecessori ma consapevoli che per questo occorre inventare nuove vie e nuovi mezzi. Non è celebrando in modo rituale i meriti dei padri fondatori, che rendiamo loro omaggio ma tornando alle fonti della loro ambizione e del loro genio politico. Se vogliamo seguire un insegnamento dei protagonisti degli anni Cinquanta, dobbiamo riprendere la loro capacità di visione, per applicarla ad un'Europa più forte, più politica e più democratica. Se sapremo pienamente utilizzare il Trattato di Lisbona, se le leadership europee avranno più coraggio, avremmo un'Europa che accetta una vocazione globale e che si offre ai propri cittadini come un ponte verso il resto del mondo. Avremmo in sostanza l'Europa che ci serve: unita negli obiettivi, ferma nei suoi valori, differenziata al suo interno, flessibile, efficace e creativa nei suoi rapporti con i vicini e, proprio per questo, credibile sulla scena globale.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Gozi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lussana. Ne ha facoltà.

CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, la Lega Nord ha avuto modo, in numerosi interventi, di sottolineare come per un progetto di costruzione europea avremmo voluto e vorremmo un percorso diverso dal Trattato di Lisbona.
Il Trattato di Lisbona - vale la pena di ribadirlo - nasce come ripiego, dopo che il progetto di una Costituzione per l'Europa si è infranto sugli scogli dei referendum popolari in Francia e in Olanda, nel 2005.
Allora, per non riconoscere, per non affrontare il diffuso malcontento popolare su tutto il territorio europeo e per non soffermarsi sul perché di così tante sonore bocciature, si è aggirato il problema, abbandonando l'idea altisonante di una Costituzione europea e derubricandola ad un semplice restyling delle principali istituzioni europee.
Quindi, abbandonata del tutto la dimensione simbolica e valoriale (l'inno, la bandiera, la giornata dell'Unione europea, il richiamo alle radici giudaico-cristiane, i valori fondanti della Costituzione), si fanno progressi per quanto riguarda l'integrazione, ma in modo freddo, asettico, senza slancio e senza pathos.
Poi, magari, si pretende che i cittadini siano compartecipi, quando si adotta un metodo che è quello di trattare la politica europea come un affare «di palazzo», con un grande deficit democratico.
Ma esaminiamo alcuni di questi progressi che vengono portati avanti con il Trattato di Lisbona: vi sono alcuni aspetti, a nostro giudizio molto delicati, che riguardano da vicino i cittadini e che sonoPag. 81stati sottovalutati, presi in considerazione marginalmente.
Mi riferisco, in modo particolare, alle materie legate alla giustizia, dove il Trattato, ripartendo dalla fallita Costituzione, porta avanti un'innovazione molto importante, alla quale non ritengo sia stato dato sufficiente rilievo.
L'Unione acquisisce personalità giuridica unica: non vi sarà più, quindi, una sovrapposizione fra Unione europea e Comunità europea.
È abolita la struttura per pilastri, che fino ad oggi garantiva che le materie della giustizia e della cooperazione giudiziaria non fossero sottoposte, a livello europeo, al metodo comunitario, ma a quello intergovernativo.
Ciò significa che nelle materie rientranti nel settore della giustizia gli Stati conservavano, fino ad oggi, fino al Trattato di Lisbona, piena sovranità e potevano solo essere adottate all'unanimità decisioni comuni, sottoposte poi alla procedura di ratifica prevista da ogni singolo ordinamento.
Invece, dopo il trattato di Lisbona, al cosiddetto «spazio di libertà, sicurezza e giustizia» sarà applicata la procedura legislativa ordinaria e si procederà con votazioni a maggioranza qualificata, tranne alcune eccezioni, comunque passibili di revisione.
Vorrei ricordare all'Assemblea il percorso travagliato che due legislature fa riguardò il mandato di cattura europeo quando vi fu lo sforzo di adeguare quello strumento di cooperazione giuridica internazionale alle norme della nostra Costituzione, o meglio di renderlo compatibile con le norme della nostra Carta.
Se il Trattato di Lisbona fosse stato in vigore allora, quell'istituto, che poteva essere recepito come una direttiva, anche attraverso lo strumento della legge comunitaria, avrebbe potuto prevalere, senza che noi potessimo dire nulla, sul nostro diritto interno, su norme previste dalla nostra Costituzione, sulle nostre garanzie costituzionali, su un aspetto fondamentale come quello della libertà delle persone (perché questo è ciò che concerneva il mandato di cattura europeo).
Non siamo pregiudizialmente contrari a questo metodo, ma dobbiamo essere consapevoli dei rischi.
Vogliamo che questi rischi restino agli atti, anche perché dobbiamo tener presente che esistono differenze profonde nel modo di intendere la funzione penale tra i diversi Paesi europei e anche diverse ponderazioni della gravità, anche morale, delle fattispecie di reato.
E giungo ad un altro punto delicato: il Trattato di Lisbona riconosce alle istituzioni comunitarie la possibilità di emanare norme minime, relative alla definizione dei reati e delle sanzioni, in sfere di criminalità particolarmente gravi, che presentano una dimensione transnazionale (quindi terrorismo, traffico di droga e via dicendo), dando vita quindi al primo abbozzo di un diritto penale comune dell'Unione europea.
Anche questa può essere sicuramente un'opportunità, ma bisognerà fare attenzione ai rischi. Occorrerà richiamare e pungolare le delegazioni governative, i rappresentanti del Governo e anche i nostri europarlamentari, perché ci sia una vigilanza costante ed un impegno affinché venga preservato l'impianto del nostro ordinamento giuridico e penale e affinché non prevalgono modelli riconosciuti in altri Paesi membri, per noi inaccettabili. Magari qualcuno in Europa si potrebbe svegliare la mattina e dire che non è più reato lo spaccio di droga, magari si potrebbe conservare il reato di droga per le fattispecie più gravi e non sanzionare penalmente la dose minima di consumo. Tutto questo potrebbe essere un problema. Potrebbe esserci qualcuno, in Europa, che fa, ad esempio, una crociata contro i reati di opinione: per noi, per il nostro ordinamento democratico e per la nostra libertà di pensiero, ciò sarebbe inaccettabile. Ricordiamo quello che sta accadendo in Europa, dove si portano avanti pseudo-crociate per quanto riguarda il contrasto alla xenofobia e al razzismo e qualcuno, nella medesima sede, ha condannato inPag. 82modo inaccettabile la direttiva Maroni sulle impronte digitali. Tale direttiva è stata bollata come un atto di discriminazione (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania) mentre è un atto di tutela, soprattutto nei confronti dei minori, come è stato ribadito dal Ministro Maroni.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CAROLINA LUSSANA. Concludo dicendo che il diritto familiare non è entrato nel diritto europeo. Tale Trattato, tuttavia, dà valore giuridico alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che, all'articolo 9, riconosce separatamente il diritto di sposarsi ed il diritto di formare una famiglia. La formulazione è poco chiara e lascia spazio ad interpretazioni che potrebbero portare al riconoscimento di forme alternative di famiglia rispetto a quelle previste dalla nostra Costituzione.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CAROLINA LUSSANA. Per via europea si vuole fare rientrare quello che questo Parlamento vuole escludere e ciò per noi sarebbe inaccettabile (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 527
Maggioranza 264
Hanno votato
527).

(Esame dell'articolo 3 - A.C. 1519)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 3 (Vedi l'allegato A - A.C. 1519), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Merloni: non è in Aula.
Ha chiesto di parlare per dichiarazioni di voto l'onorevole Bitonci. Ne ha facoltà.

MASSIMO BITONCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 2009 rappresenta una data di svolta, perché il prossimo anno avranno luogo le prime elezioni per il Parlamento europeo, si eleggeranno deputati in ventisette Paesi e sarà rinnovata la Commissione europea. Approviamo un Trattato che sappiamo che non potrà essere in vigore il primo gennaio, come previsto, in seguito alla «bocciatura» irlandese e non è ancora chiaro come si procederà per tenere nella dovuta considerazione l'opinione popolare e allo stesso tempo non paralizzare le istituzioni comunitarie.
Per quanto riguarda le disposizioni relative alla politica economica e monetaria, a mio giudizio, è stata persa una buona occasione, in questo contesto, per riflettere anche sul ruolo e sugli obiettivi della Banca centrale europea, il cui operato, strettamente orientato all'obiettivo della stabilità dei prezzi, si è rivelato non sempre adeguato ad un sistema economico, come quello europeo, che avrebbe avuto bisogno di immissione di liquidità, allo scopo di favorire la ripresa economica. Oltretutto, sono stati avanzati anche molti dubbi sull'efficacia dell'attività della BCE, anche al fine stesso della stabilità dei prezzi, elemento su cui incidono ormai fattori esogeni alla Comunità europea e non governabili dalla Banca. In una situazione come quella odierna, di mercati finanziari che sono sostanzialmente globalizzati, è legittimo chiedersi se, così com'è stata fin qui concepita, la BCE, abbia la forza, l'autorità e la credibilità per svolgere un ruolo da attore protagonista sulla scena mondiale. L'euro è oggi una moneta fortissima, ma forse non ha raggiunto la credibilità necessaria per essere la moneta di riferimento per le quotazioni internazionali dei beni e delle materie prime.
Al di là di tali questioni, strettamente finanziarie e di bilancio, tuttavia, è inevitabilePag. 83sottolineare come il Trattato, a fronte di innovazioni importanti sul piano delle istituzioni e dell'impostazione delle politiche, con il superamento della struttura per pilastri, sconti gravi mancanze nell'affrontare, invece, alcuni temi di grande attualità economica, sui quali, nel corso degli anni, le politiche comunitarie si sono dimostrate inadeguate o, addirittura, controproducenti.
In campo energetico, ad esempio, ritengo che sarebbe opportuno affrontare il tema a livello continentale, ma, al di là delle generiche dichiarazioni di intenti contenute nei trattati, non è chiaro se esista e quale sia un orientamento comune sul quale debba fondarsi l'organizzazione degli approvvigionamenti e come esso si colleghi e si intrinsechi con le strategie di vicinato e, più in generale, con la politica estera e commerciale.
Più evidente ancora è la mancanza di una gestione europea efficace nella tutela di alcuni comparti produttivi, che si sono rivelati particolarmente fragili a causa dell'esposizione alla concorrenza internazionale.
Colgo l'occasione dello svolgimento, proprio in questi giorni, a Ginevra, di una nuova tornata negoziale dei Doha Round in ambito WTO per sollecitare ancora il Governo italiano, e attraverso di esso le istituzioni comunitarie, a farsi portavoce, in queste sedi, dell'esigenza di liberalizzare il commercio solo laddove ci siano garanzie e non solo promesse di tutela della proprietà intellettuale, dell'attuazione di normative di tutela dell'ambiente e dei lavoratori e dei consumatori dello stesso livello di quelle europee.
In caso contrario, l'utilizzo delle barriere doganali non è certo un ritorno al passato, ma una tutela necessaria delle aziende, e anche del valore delle stesse normative.
Intendo dire che, se il processo produttivo in Europa è aggravato dalla volontà di produrre in modo sostenibile e le aziende si accollano i costi dei maggiori controlli e del rispetto delle procedure, questo deve essere parimenti sostenuto, penalizzando o estromettendo i produttori extraeuropei che non fanno altrettanto, perché le tutele siano un aspetto qualificante e non una zavorra della via europea del fare impresa.
Questo vale soprattutto nei settori in cui il metodo produttivo rappresenta un fattore di eccellenza, e nel caso italiano, soprattutto, il sinonimo del made in Italy, come quelli tessili, il manifatturiero, ma anche l'agroalimentare, che investe, di riflesso, tutto il comparto dell'agricoltura e della pesca.
La tutela delle produzioni come elemento di eccellenza significa non ripetere più in futuro i gravissimi errori che sono stati concepiti a livello comunitario, ad esempio nei campi della filiera lattiero-casearia, con la scellerata politica delle quote latte, che ha messo in ginocchio il comparto, senza migliorare il mercato e l'offerta ai consumatori.
Manca ancora, dal nostro punto di vista - con questo Trattato non registriamo passi avanti significativi - la definizione di una strategia davvero europea nel contrasto all'immigrazione clandestina.
Se delle politiche sono state poste in essere, non hanno raggiunto criteri apprezzabili di efficacia e organicità. Il programma europeo Frontex, che ha avuto successo e ha portato in Spagna uomini e mezzi ingenti, non è stato portato avanti in termini analoghi nel nostro Paese, che sotto certi punti di vista è ben più esposto.
Purtroppo, verso l'Italia, permane la fastidiosa tendenza dell'Unione ad essere solerte solo quando si tratta di fare richiami sulle responsabilità e sulle iniziative del Governo, rifiutando di capire che la nostra posizione nel Mediterraneo ci porta a subire i disagi più grossi di un fenomeno che, però, è diretto a tutto il continente e, come tale, deve essere considerato un problema europeo e non un problema italiano (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
È arrivato il momento che l'Europa finanzi le politiche di controllo delle coste e delle frontiere con i Paesi terzi. Il Trattato che ci avviamo ad approvare si dimostra piuttosto insufficiente e auspichiamo che venga notevolmente migliorato nel prosieguo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

Pag. 84

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 3.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 536
Votanti 535
Astenuti 1
Maggioranza 268
Hanno votato
535).

Prendo atto che il deputato Mannino ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.

Sull'ordine dei lavori (ore 18,26).

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Signor Presidente, prendo la parola soltanto per segnalare ai colleghi che durante tutta la giornata si sono rincorse notizie di stampa relative alla vicenda Alitalia, anticipando notizie di commissariamenti poi smentite dal Governo, modifiche della legge Marzano, costituzione di nuove società con ingresso di nuovi variopinti soci, annunci di esuberi per migliaia e migliaia di persone.
Stiamo parlando evidentemente di una cosa seria, che credo debba interessare anche la Camera dei deputati, e che credo non possa essere lasciata al chiacchiericcio giornalistico: parliamo della nostra compagnia di bandiera, parliamo di un asset patrimoniale importante per il patrimonio pubblico, parliamo dell'occupazione di decine di migliaia di persone, parliamo di una società a cui, con un decreto-legge di questo Parlamento, abbiamo conferito 300 milioni di euro che non sappiamo che fine hanno fatto.
Capisco che sulla vicenda la maggioranza e il Governo devono pagare una cambiale rilasciata in campagna elettorale; tuttavia, sarebbe bene nell'interesse di tutti, ma anzitutto del Parlamento, che il Governo venisse in Aula a spiegarci cosa intende fare (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico), anche perché non sfugge a nessuno che stiamo parlando di una società quotata in borsa per cui, già nel recente passato, le notizie di stampa e le fughe giornalistiche hanno determinato fluttuazioni sospette, su cui si è accentrata anche l'attenzione della magistratura.
Allora la prego, signor Presidente, di invitare il Governo a venire tempestivamente a riferire in quest'Aula in ordine alle decisioni che finalmente si intendono adottare sull'Alitalia. Credo che sia interesse non solo dell'opposizione, ma anche della maggioranza, del Governo e delle nostre istituzioni repubblicane (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Onorevole Vietti, sarà premura della Presidenza pregare il Governo di considerare le sue richieste e di riferire all'Aula.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Il seguito dell'esame del provvedimento, a cominciare dall'esame degli ordini del giorno, è rinviato alla seduta di domani.
Avverto che per le dichiarazioni di voto finali dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo misto è stata disposta la ripresa televisiva diretta, a partire dalle ore 11,30.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Prima di dare lettura dell'ordine del giorno della seduta di domani, avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per l'esame dei disegni di legge di ratifica nn. 1557 edPag. 85abbinata, 1558 e 1559 sarà pubblicato in calce al resoconto della seduta odierna. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Giovedì 31 luglio 2008, alle 10:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 759 - Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007 (Approvato dal Senato) (1519).
- Relatore: La Malfa.

2. - Discussione dei progetti di legge (ove conclusi dalla Commissione):
S. 857 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica francese relativo all'attuazione di una gestione unificata del tunnel di Tenda e alla costruzione di un nuovo tunnel, fatto a Parigi il 12 marzo 2007 (Approvato dal Senato) (1557).

e dell'abbinata proposta di legge: DELFINO (932).

S. 858 - Ratifica ed esecuzione del secondo Protocollo alla Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari stabilito in base all'articolo K3 del Trattato sull'Unione europea del 26 luglio 1995, fatto a Bruxelles il 19 giugno 1997 (Approvato dal Senato) (1558).

S. 937 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica islandese per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma il 10 settembre 2002 (Approvato dal Senato) (1559).

3. - Deliberazione per l'elevazione di un conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale nei confronti della Corte di cassazione e della Corte di Appello di Milano.

4. - Svolgimento di interpellanze urgenti.

La seduta termina alle 18,30.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GIORGIO LA MALFA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 1519

GIORGIO LA MALFA, Relatore. Onorevoli colleghi, il tempo limitato previsto per la relazione in Aula sul disegno di legge di ratifica del Trattato di Lisbona non consentirebbe una esposizione approfondita delle molte questioni sulle quali mi sembra necessario soffermarci. Consegno quindi come allegato alla mia esposizione orale il testo che segue.
Nell'impostare l'esame del disegno di legge di ratifica del Trattato europeo di Lisbona bisogna tener conto di due esigenze in parte contrastanti fra loro. Da un lato vi è la necessità di procedere molto rapidamente all'esame ed all'approvazione del disegno di legge, anche per tener conto delle sollecitazioni che ci provengono dalla Commissione europea e di cui si è fatto interprete il Presidente Barroso nella sua recente audizione alla Camera. Dall'altro vi sarebbe, anzi vi è, la necessità di procedere ad una discussione ampia ed approfondita del Trattato e, partendo da esso, della situazione attuale dell'Unione europea e delle prospettive dell'integrazione europea. L'occasione offerta dalla discussione del Trattato, infatti, ha una tale importanza, sia per il merito sia per le condizioni di incertezza che si colgono nelle opinioni pubbliche europee, da rendere opportuna una disanima attenta di tutti gli aspetti di questa problematica. Da questo punto di vista un esame affrettato sarebbe controproducente anche se, comePag. 86è emerso dall'esame del Senato conclusosi nei giorni scorsi, vi è una larga condivisione, anzi una vera e propria unanimità, dei gruppi politici sulla ratifica del Trattato. Per tener conto di queste due esigenze contrastanti, vorrei, pur sollecitando un iter rapido del disegno di legge, cercare di mettere a fuoco il problema europeo in tutti i suoi principali aspetti in maniera da sollecitare una discussione approfondita in seno al Parlamento.
Dividerei in tre parti questa relazione: le vicende che hanno preceduto e accompagnato la firma del Trattato di Lisbona; l'illustrazione dei contenuti principali del Trattato, o meglio dei due Trattati negoziati e sottoscritti a Lisbona nei quali sarà articolata la vita dell'Unione europea; l'analisi politica della situazione europea e delle sue prospettive all'indomani del voto negativo dell'Irlanda nel referendum sul Trattato.
Cominciamo con le vicende che hanno preceduto e accompagnato la firma del Trattato di Lisbona. Da circa venti anni si pone il problema di una diversa configurazione delle istituzioni europee nelle due esigenze per certi versi contrastanti fra loro di un funzionamento che sia insieme più efficiente e più democratico. È facile percepire infatti l'esigenza sia di rafforzare le istituzioni europee sia di controllarne meglio il funzionamento in modo da attenuare quel senso crescente di lontananza dei cittadini europei dalle istituzioni europee che concorre a spiegare gli esiti negativi di alcuni dei referendum degli ultimi anni. La mia tesi di fondo è che il problema della maggiore democraticità spiega molto del malessere che circonda il cammino dell'Europa.
Il problema del rafforzamento delle istituzioni si è sempre posto nel corso della storia dell'integrazione europea, ma si è posto con forza particolare alla fine degli anni Ottanta quando emerse l'idea dell'unione monetaria. Nel 1989 quando il Comitato Delors licenziò il suo Rapporto, che prefigurava l'unione monetaria e descriveva compiti e funzioni della Banca centrale europea, lo stesso Delors sostenne che il rafforzamento dell'unione monetaria presupponeva un rafforzamento dell'unione politica, sia per ciò che riguardava l'accompagnamento della politica monetaria con la politica economica, sia per il rafforzamento dell'unione politica in quanto tale. In coerenza con questa impostazione, quando venne approvato il progetto Delors, si decise di istituire due conferenze intergovernative, una sull'unione monetaria l'altra sull'unione politica, i cui risultati sarebbero stati travasati nel Trattato di Maastricht del 1992. Avvenne però che, mentre la conferenza intergovernativa sull'unione monetaria, avendo alle spalle il lavoro molto preciso e dettagliato del comitato Delors, trovò la strada relativamente spianata e poté stendere un testo che fu praticamente travasato nel testo del Trattato di Maastricht, la parallela conferenza intergovernativa, che aveva per oggetto il rafforzamento dell'unione politica, ebbe invece un andamento molto meno soddisfacente e i risultati furono molto modesti. In sostanza in quel momento nacque il problema della differente velocità dell'integrazione monetaria rispetto all'integrazione politica.
Questo problema ebbe un ulteriore sviluppo quando, con la caduta del muro di Berlino nel 1989, si pose il problema dell'allargamento dell'Unione europea alle nuove democrazie dell'Europa centro-orientale. Lo stesso Delors, che fu fautore di questo allargamento, affermò in quella circostanza che il processo di allargamento presupponeva un processo di approfondimento e cioè che se si voleva governare un'Europa non più a quindici ma a venti-venticinque, o magari trenta paesi con una popolazione che si avvicina a cinquecento milioni di abitanti, sarebbe stato necessario dotare l'Europa di istituzioni capaci di funzionare in maniera efficiente: dunque restringere il numero delle aree nelle quali vige il principio dell'unanimità, adottare meccanismi di voto che rendessero più difficile il veto nelle decisioni, rafforzare i poteri di controllo del Parlamento europeo, definire meglio i rapporti tra gli Stati membri, laPag. 87Commissione e il Consiglio europeo, insomma tutte le questioni che sono sul tavolo dagli anni Novanta.
Nel corso degli anni Novanta, dopo l'insuccesso sul terreno politico che aveva caratterizzato il Trattato di Maastricht, la strada del rafforzamento istituzionale fu tentata per due volte attraverso lo strumento delle conferenze intergovernative. Una prima conferenza diede luogo al Trattato di Amsterdam, che contiene minori modificazioni per quanto riguarda la questione cruciale delle istituzioni; la seconda diede invece luogo al Trattato di Nizza, nel 2000, convenuto in una condizione difficile di scontro in seno al Consiglio europeo allora presieduto dalla Francia, con il rischio del fallimento e l'impressione che la strada delle conferenze intergovernative fosse ormai stata esplorata senza successo, con la conseguente necessità di cambiare strategia.
A seguito del fallimento di Nizza, Romano Prodi, da poco Presidente della Commissione, ma anche l'allora Presidente francese, Jacques Chirac, avanzarono la proposta che apparve suggestiva di abbandonare la strada delle conferenze intergovernative e di coinvolgere nell'elaborazione dei passi successivi del processo di integrazione europea e nella redazione dei trattati forze diverse dalle burocrazie ministeriali, coinvolgendo in primo luogo i parlamenti nazionali. Nacque così l'idea della Convenzione europea, formalmente lanciata dal Consiglio di Laeken, che ha svolto i suoi lavori dal 2001 e che ha avuto come presidente Giscard D'Estaing e come uno dei due vicepresidenti il nostro Giuliano Amato. La Convenzione europea lavorò con grande impegno ed al termine dei suoi lavori presentò come prodotto di essi il testo del Trattato costituzionale europeo, che fu poi adottato a Roma nell'ottobre del 2004 e a cui fu dato il nome di Trattato (di Roma) «che istituisce una Costituzione per l'Europa».
Ma anche questa strada si è rivelata più un miraggio che un percorso concreto, sia per quanto riguarda i contenuti del nuovo Trattato, sia per quanto riguarda le procedure della sua approvazione. Circa i contenuti, il problema è che la Convenzione ha rappresentato una rivoluzione a metà. Non era infatti previsto che essa producesse un testo definitivo pronto per la ratifica da parte dei Parlamenti degli Stati membri; essa doveva invece produrre un testo base per una conferenza intergovernativa dalla quale sarebbe scaturito il nuovo Trattato. È avvenuto così che buona parte delle novità si sono perse per strada: in parte la Convenzione stessa è stata più prudente del necessario per cercare di produrre un testo che la conferenza intergovernativa potesse fare proprio; in parte la conferenza intergovernativa ha limato ulteriormente il testo ricevuto per mostrare di avere un ruolo ed una responsabilità sua propria. Alla fine, probabilmente per compensare la scarsità dei risultati concreti, la Convenzione ha ritenuto opportuno assegnare al Trattato che essa aveva elaborato il nome roboante di Costituzione, finendo per offrire un bersaglio semplice e conveniente a quella parte delle opinioni pubbliche che manifesta preoccupazioni per gli eccessi di potere delle istituzioni europee.
In sostanza, il contributo più innovativo dell'idea della Convenzione - quello di attenuare il peso dei governi nei negoziati europei, attraverso la presenza diretta dei rappresentanti dei parlamenti nazionali - è stato in larga parte vanificato dall'aver previsto che il lavoro della Convenzione affluisse a una conferenza intergovernativa svolta in un ambiente chiuso e non aperto come quello dei lavori della Convenzione, e dove i problemi di veto e di unanimità rischiavano di attenuarne la forza, prima di essere firmato dai governi e successivamente proposto per la ratifica secondo le diverse procedure parlamentari o referendarie previste dai vari ordinamenti nazionali. In realtà, una volta avanzata la proposta di scegliere la via della Convenzione, si sarebbe dovuto ragionare fino in fondo su questo problema e superare decisamente il meccanismo delle conferenze intergovernative. Naturalmente, poiché il meccanismo delle conferenze intergovernative è previsto dai trattati, una procedura innovativa che prevedesse diPag. 88saltare questa fase, avrebbe richiesto la modifica dei trattati con il rischio di non avere l'unanimità necessaria. È difficile dire se nel 2000-2001 una proposta di un breve trattato che sancisse regole diverse per l'elaborazione dei Trattati europei avrebbe avuto una qualche possibilità di successo. Ma nessuno sembra avere pensato a questa ipotesi. Ed ora è forse troppo tardi per avanzare con qualche probabilità di successo questa proposta.
Il testo del Trattato costituzionale, sottoposto alla ratifica degli Stati contraenti, è stato, come è noto, bocciato dai due referendum tenuti in Francia e in Olanda a metà del 2005. Ritengo che l'uso della parola «Costituzione,» che aveva un'ambizione troppo grande rispetto allo stato delle pubbliche opinioni europee del momento, sia stato un fattore non marginale nel contribuire all'insuccesso. Ho l'impressione che se il Trattato di Roma fosse stato presentato, come oggi viene presentato il Trattato di Lisbona, e cioè come un trattato che modificava i trattati esistenti ma non era la Costituzione dell'Europa, forse le pubbliche opinioni lo avrebbero considerato con minore ostilità di come poi è avvenuto.
Comunque la bocciatura francese, la bocciatura olandese e la recente bocciatura irlandese debbono essere prese molto sul serio. Non condivido l'atteggiamento minimalista che anche il Presidente della Commissione europea, Manuel Barroso, ha avuto nell'audizione davanti al nostro Parlamento, quando ha sostenuto che ci sono motivi particolari che spiegano il «no» irlandese ed ha aggiunto che l'Irlanda in realtà ha avuto tali vantaggi dall'Europa che si può dire che gli irlandesi si sono sbagliati a votare così come hanno votato. Credo invece che ci sia un problema di insoddisfazione nei confronti della costruzione europea che circola nel corpo dei cittadini europei e che si manifesta nei referendum. È chiaro che quando sono i Parlamenti a ratificare i trattati, la discussione si svolge ad un livello di maggiore sofisticazione che non quando si è di fronte a un referendum popolare. In una discussione parlamentare si possono evidenziare e pesare vantaggi e svantaggi. Quando a giudicare sono i cittadini attraverso i referendum emergono giudizi più semplificati, stati d'animo o addirittura sensazioni che possono influire sul voto più delle considerazioni economiche relative ai vantaggi ed agli svantaggi dell'integrazione europea. Questo però non vuol dire che si possa pensare che sia giusto escludere la ratifica attraverso i referendum, ipotesi che qualcuno in queste settimane ha avanzato, perché non si può rifiutare il giudizio diretto dei cittadini se esso è previsto dalle leggi o se sia ritenuto comunque opportuno. Bisogna invece domandarsi per quale motivo i cittadini, posti di fronte a qualcosa che rappresenta la storia del nostro continente in questi ultimi cinquant'anni, che è una storia di pace e di sviluppo economico, dicono «no». Bisogna capire le radici di questo «no» e cercare di fare un passo avanti.
Questo è il quadro nel quale si è consumata la bocciatura del Trattato Costituzionale. Dopo una pausa di riflessione, il Consiglio europeo ha deciso che la via di uscita dall'impasse della bocciatura del Trattato costituzionale fosse quella di travasare il maggior numero possibile dei suoi contenuti in un nuovo contenitore, presentato in termini meno iperbolici, senza riferimento alla Costituzione, da sottoporre alla necessaria procedura di ratifica. A dimostrazione dei limiti insuperabili della procedura delle conferenze intergovernative, il Consiglio europeo di Berlino del giugno 2007, nel lanciare la conferenza intergovernativa che è poi sfociata nel Trattato di Lisbona, ne ha fissato rigidamente i contenuti, quasi prefigurandone il testo. Il Trattato di Lisbona è il risultato di questa lunga storia di progressi, ma anche di insuccessi.
Per quanto riguarda i contenuti principali del Trattato o dei due trattati in cui si articolerà la vita dell'Unione europea, il Trattato di Roma, cioè il Trattato costituzionale, incorporava nel nuovo testo tutto il sistema giuridico comunitario, il vecchio e il nuovo. Nel Trattato di Lisbona si è scelto di procedere per emendamenti dei testi esistenti, con una novità importantePag. 89che, secondo me, sarà significativa nel futuro dell'Europa: si è deciso di riunire tutta la materia europea in due diversi trattati. Al primo è stato dato il nome di Trattato dell'Unione europea. Esso contiene i principi fondamentali che ispirano l'Unione europea e le regole del funzionamento delle istituzioni; in buona sostanza il Trattato dell'Unione europea rappresenta (senza dirlo) la Costituzione europea. Essa ha una struttura simile a quella della Costituzione italiana con la prima parte che riguarda i diritti e la seconda che concerne invece il funzionamento delle istituzioni. Il secondo è il Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea che riunisce in un solo corpus giuridico la materia riguardante le politiche dell'Unione europea.
In sé il trattato di Lisbona, di cui oggi dobbiamo autorizzare la ratifica, è composto di sette articoli. Il primo contiene le modifiche ai trattati esistenti che danno luogo, una volta integrate, al Trattato dell'Unione europea. L'articolo 2, a sua volta, contiene le modifiche a tutto il resto dei trattati europei che messi insieme costituiscono il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Gli articoli successivi contengono le norme transitorie e finali che servono a mettere in funzione i due trattati.
A mio giudizio, per effetto di questa impostazione, il Trattato di Lisbona opera un'importante chiarificazione della complicata struttura della legislazione europea, cresciuta progressivamente nell'arco di ben cinquant'anni. È un miglioramento concettuale rispetto al Trattato di Roma che metteva insieme, sotto il nome di Costituzione, un insieme di norme che avevano in parte un carattere fondamentale e che dunque potevano ben dirsi costituzionali, con altre norme che riguardavano invece i campi di attività delle istituzioni europee. Una Costituzione di quattrocento articoli - avevano buon giuoco a dire gli oppositori - era un unicum inaccettabile.
Il Trattato dell'Unione europea comprende in tutto 55 articoli ed ha non solo la struttura, ma anche la dimensione di un documento costituzionale; il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea comprende circa 350 articoli. Con questa distinzione abbiamo oggi una parte maneggevole dove sono indicati i principi fondamentali e le istituzioni fondamentali dell'Unione, e un secondo trattato, il Trattato sul funzionamento, che è il corpus delle politiche specifiche dell'Unione europea.
Il Trattato dell'Unione europea è diviso in sei titoli: le disposizioni comuni; i principi democratici; le disposizioni sulle istituzioni; le disposizioni sulle cooperazioni rafforzate; le disposizioni sulla politica estera dell'Unione; le disposizioni finali. Nel preambolo si trova risolta, in maniera che può essere giudicata positivamente o negativamente a seconda del punto di vista delle varie parti politiche, la famosa e vexata questione dell'identità dell'Europa. La formula dice: «Ispirandosi alle eredità culturali religiose e umanistiche dell'Europa da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e dello stato di diritto». Questo è il modo in cui il Trattato di Lisbona formula la questione che turbò, troppo a mio parere, la Comunità europea sul fatto che si dovessero citare le «radici» della storia europea; qui si citano i valori religiosi e non religiosi in un modo nel complesso a mio avviso equilibrato. Cosa c'è e cosa non c'è nel Trattato sull'Unione europea rispetto al Trattato di Roma? Comincio con il dire ciò che non c'è più. È caduta la parola «Costituzione». Anche se il Trattato assomiglia molto a una Costituzione, più ancora del precedente sull'Unione europea che era troppo lungo e complesso, la parola «Costituzione» non c'è più. Sono scomparsi gli inni e la bandiera europea. È scomparsa un'esplicita statuizione che indicava la supremazia del diritto comunitario, che era esplicitamente citata nel trattato costituzionale, è che stata abolita. C'è da dire che essa rimane nella sostanza non solo perché le Corti europee l'hanno affermata ma anche perché vi è un riferimento indiretto alla supremazia del dirittoPag. 90comunitario in altre parti del Trattato. Questa è stata la giurisprudenza stabile della Corte europea, sotto l'influenza importante - vale la pena di ricordare - di un giurista italiano, il professor Mancini, tra i più incisivi tra quelli che hanno portato ad affermare questo principio.
È scomparsa la modificazione lessicale importante che aveva previsto di chiamare «leggi» europee le direttive. È scomparsa la Carta dei diritti che faceva parte integrante del Trattato di Roma. Anche in questo caso non è più parte integrante ma vi si fa riferimento vincolante e c'è un protocollo che ne limita l'applicazione solo alla Polonia e all'Inghilterra.
Cosa c'è di nuovo dal punto di vista istituzionale? Le novità sono molte e nel complesso positive. All'articolo 13 il Trattato stabilisce con chiarezza tre principi di funzionamento del federalismo. Il primo è il principio di attribuzione: l'Unione agisce nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. Questo dovrebbe tranquillizzare le opinioni pubbliche nazionali preoccupate per un eccessivo passaggio di poteri all'Europa. In secondo luogo vengono chiariti gli altri due principi importanti e cioè quello di sussidiarietà, che afferma che l'Unione interviene nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, solo nella misura in cui gli obiettivi non possono essere raggiunti dagli Stati membri, e il principio di proporzionalità che dice che non si può andare al di là degli strumenti necessari per realizzare gli obiettivi dell'attività delle istituzioni europee.
Secondo punto importante è il ruolo dei parlamenti nazionali. Finalmente è prevista una possibilità di intervento diretto dei parlamenti nazionali nel processo legislativo. Barroso ha dichiarato che la Commissione ha già reso operativa questa parte del Trattato prima della sua statuizione, ovvero manda gli atti legislativi in preparazione ai parlamenti nazionali e essi possono reagire. Barroso ci ha anche informato che a fronte di circa duecentocinquanta atti ricevuti dagli Stati membri solo due risultano formulati dall'Italia. Si deve cominciare a ragionare dunque, non so se in questa Commissione parlamentare o in un'altra, sul fatto che i parlamenti nazionali ora hanno un ruolo nel modificare o fermare le legislazioni in fieri. Questo elemento risponde in modo diretto alla questione del deficit democratico che è uno dei grandi problemi aperti nello stato d'animo dei popoli europei in questo momento. Terza considerazione importante sul Trattato è il fatto che esso preveda la facoltà di recesso dall'Unione da parte dei Paesi membri. Non so se questa facoltà verrà mai utilizzata e, ovviamente, mi auguro che non lo sia, ma in precedenza essa non esisteva ed è bene che invece essa sia prevista. Ovviamente non esiste la possibilità di esclusione di Paesi membri da parte dell'Unione.
Vengo ora alle principali novità istituzionali. Esse sono le seguenti. Viene mantenuta l'idea di creare un Presidente stabile del Consiglio e viene distinto per la prima volta il Consiglio europeo dal Consiglio. Il Consiglio europeo è composto dai Capi di Stato di Governo e diventa un organo separato che ha compiti diversi dai compiti legislativi del Consiglio. Il Consiglio europeo ha il presidente stabile eletto per due anni e mezzo. Personalmente ho sempre avuto dubbi su questa innovazione; ho sempre pensato che nella mia visione l'organo di governo dovrebbe essere la Commissione, elemento stabile che assicura la continuità della vita europea. Il Consiglio europeo, che rappresenta una difesa degli Stati nazionali, è un limite nei confronti del governo europeo perché sposta il baricentro politico dalla Commissione verso i Governi. Il trattato non esclude che , in un domani, venga nominato Presidente del Consiglio europeo il Presidente della Commissione. Sarebbe questa una soluzione altamente auspicabile, ma non credo che essa abbia molte probabilità di realizzarsi: dubito che i Governi accetterebbero di accentrare questiPag. 91due poteri in una sola figura presidenziale e dare alla Commissione un ruolo che sovrasti quello del Consiglio.
Secondo: nasce il Ministro degli esteri. Faccio notare che la materia della politica estera è l'unica sulla quale è rimasto integralmente il principio dell'unanimità. Il Ministro degli esteri dunque ha potere di rappresentanza nella misura in cui tutti i Paesi sono unanimi e questo non rende particolarmente incisivo il suo ruolo.
Terzo: è cambiato il sistema di voto essendo stato introdotto il principio della doppia maggioranza. Con questo sistema una decisione è approvata quando si esprimano favorevolmente un numero di Paesi non inferiore al 55 per cento che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione, in modo che le minoranze di blocco risultino meno forti.
Importante è anche l'accenno alla funzione dei partiti. Se si vuole passare da un sistema confederale a un sistema federale dovremmo sapere che cos'è la democrazia europea, cioè avremmo bisogno che questo Presidente del Consiglio europeo non fosse indicato dal consiglio ma eletto, o che fosse eletto il Presidente della Commissione, cioè ci vorrebbe qualcosa che rendesse i cittadini dell'Unione partecipi del governo europeo.
Interessante è lo sforzo che c'è nel trattato all'articolo 2-b di elencare con chiarezza i compiti dove l'Unione europea ha competenze esclusive, quelli dove c'è una competenza concorrente con gli Stati nazionali e quello dove c'è un compito di coordinamento. Questo è un elemento di chiarezza che non era presente nei trattati precedenti.
In sostanza, le modificazioni e le novità istituzionali sono molte e nel complesso positive - una ragione in più per augurarsi l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. È ovviamente difficile, dopo il «no» irlandese, che ciò possa avvenire alla data originariamente prevista del primo gennaio 2009. Ma sarebbe contrario all'interesse per il buon funzionamento dell'Europa se si dovesse, ancora una volta, ricominciare da capo.
Per quanto riguarda le considerazioni politiche all'indomani del voto negativo dell'Irlanda, desidero fare una considerazione politica di fondo. La crisi dell'Europa, nella quale oggettivamente ci troviamo, consiste nel fatto che i cittadini dei nostri Paesi sentono che enormi poteri sono nelle mani di Bruxelles e di Francoforte (Commissione europea, Banca centrale europea). Non hanno però la sensazione di potere controllare queste istituzioni ed esercitare su di esse lo stesso potere di cambiamento che essi hanno nei confronti dei Governi nazionali e locali dei propri paesi. Essi hanno la percezione di poter influire sul governo nazionale e locale, perché ciclicamente si va a votare e si può votare lo schieramento che si preferisce. Così non avviene per il governo europeo. Infatti se noi oggi siamo scontenti del Presidente della Commissione europea non possiamo incidere attraverso un voto diretto e il modo indiretto di intervenire, attraverso il voto ai nostri governi nazionali, non assicura affatto la nostra influenza. Questa è, a mio giudizio, la crisi dell'Europa. È una crisi molto profonda che imporrà di muovere dalla condizione in cui siamo oggi. Ma muovere in quale direzione? Si può risolvere la crisi riducendo i poteri dell'Europa? O si deve creare una base democratica a questi organismi europei? Ci sono le condizioni che prevedano la nascita di un sistema europeo con Partiti che votino per il Presidente della Commissione europea o per il presidente del Consiglio europeo? Oggi tutto questo appare assai difficile. In questo si riassume la crisi dell'Europa.
Quanto alle conclusioni più pratiche: che succede del Trattato di Lisbona? Dobbiamo sicuramente approvarlo. Primo perché fa un passo in avanti anche se forse non sufficiente. Le riserve possono riguardare ciò che non c'è ma non ciò che c'è. La situazione si può sbloccare? Personalmente non vedo facile il ritorno alle urne degli irlandesi. Bisognerà avere molta pazienza e aspettare un po' di tempo. Il fatto che non si introducano subito queste novità non è una tragedia; l'Unione europea funziona oggi con le regole vecchie e nonPag. 92mi risulta che nessuna grande questione non sia stata affrontata perché le regole sono così come sono. Preoccupazione legittima è invece quella di cercare di farlo entrare in vigore con la Repubblica Ceca, la Polonia e l'Irlanda a completare il processo di ratifica senza nessuna forzatura che potrebbe peggiorare le cose.

TESTO INTEGRALE DELLA DICHIARAZIONE DI VOTO DEL DEPUTATO SANDRO GOZI SULL'ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 1519

SANDRO GOZI. L'Europa è la difesa di un modello di società, non è solo un mercato o una moneta. Quel modello però è entrato in tensione nell'epoca della globalizzazione. L'Europa non è nata per promuovere la globalizzazione tra gli europei ma per difendere il modello ed i valori europei dagli effetti negativi della globalizzazione. È l'unica risposta che abbiamo alla globalizzazione, l'unica che abbiamo, basata sulla concorrenza, che stimola, sulla cooperazione, che rafforza e sulla solidarietà, che unisce.
Il «no» irlandese non è quindi un incidente di percorso. L'Europa vive una crisi di crescita: passare da quindici a ventisette Paesi è una grande sfida. L'unificazione continentale ha dato all'Unione il peso necessario per contare nel mondo ma ha reso ancora più urgente risolvere alcuni nodi essenziali.
Le difficoltà dell'Europa sono poi il riflesso di una crisi più ampia della legittimità della politica, che risulta da una nuova tensione tra locale e globale vissuta dal cittadino. Se l'Europa non riesce a mobilitare è perché è ancora una democrazia limitata e incompiuta: rallentata dall'unanimità, troppo spesso paralizzata dai veti nazionali.
L'incompiutezza democratica dell'Europa oggi è un grande freno e crescono le forze che utilizzano tale freno per bloccare la costruzione europea. Un paradosso che va superato completando l'Europa politica e democratica. Altrimenti, l'Europa rimarrà una sorta di Gulliver incatenato e non sarà in grado di rispondere alle nuove sfide globali: la distanza tra gli ambiziosi annunci dei Capi di Stato e di Governo europei e le realizzazioni al di sotto delle attese porterebbe ad una disaffezione ancora più forte dell'opinione pubblica.
Come è stato scritto di recente «nulla di quanto potrebbe succedere è inevitabile, così come nulla di quanto è avvenuto è completamente irreversibile».
Del resto la contrapposizione tra rafforzamento dell'Unione e perdita di sovranità nazionale è una falsa contrapposizione. L'Europa è l'unico modo per i nostri Stati di recuperare peso reale e capacità di azione: senza Europa, la sovranità è solo formale, una finzione. Da soli, i nostri Stati sono in balìa degli eventi globali.
Il Trattato di Lisbona va nella giusta direzione: rafforza la democrazia europea, favorisce più dialogo e più partecipazione; aumenta il ruolo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali, permette iniziative legislative dei cittadini europei, difende con forza giuridica i diritti fondamentali, tutela le identità nazionali e regionali, pone le basi per un nuovo dialogo con la società civile, la Chiesa e le comunità religiose. Ma l'esperienza irlandese indica con forza anche la necessità di costruire un'Europa più flessibile. Dobbiamo cioè trovare soluzioni politiche per poter avanzare anche a maggioranza sulla via dell'integrazione.
Non sono solo coloro che vogliono avanzare più rapidamente a dover sempre aspettare i più lenti. I più veloci dovranno poter procedere comunque. In futuro, dovremo negoziare accordi speciali con i paesi che, per ragioni certo legittime, non ritengono di voler avanzare di più sulla via dell'integrazione e dovremo anche sdrammatizzare l'ipotesi di recesso, come ora previsto dall'articolo 50 del Trattato di Lisbona.
Dopo Lisbona, poi, occorre proseguire sulla via di una vera governance economica e sociale, la grande questione irrisolta in Europa. Alcune disfunzioni politiche dell'Unione europea derivano infattiPag. 93anche dal rifiuto dei governi nazionali di tirare tutte le conseguenze politiche dell'euro. Dobbiamo correggere le asimmetrie tra una politica monetaria federale e delle politiche nazionali insufficientemente coordinate. Occorre cioè un vero governo economico e sociale attorno alla zona euro e una rappresentanza unificata dell'euro sulla scena internazionale. Un'Europa più forte potrà essere così protagonista di una più ampia - e urgente - riforma della governance mondiale.
Presidente, è venuto il tempo della democrazia reale, su scala continentale: il tempo dei referendum europei - e non nazionali - sull'Europa. Gli affari europei non sono più affari esteri ma affari interni: tuttavia, non abbiamo fatto abbastanza per coinvolgere i cittadini. Le riflessioni ed i dibattiti si sono concentrati sull'efficienza e sui numeri, mentre è la questione della legittimità che oggi dobbiamo affrontare. Le cancellerie, dopo l'allargamento, innanzi alle nuove sfide hanno praticato la matematica e l'architettura, mentre dobbiamo concentrarci sulla sociologia: misurando infatti la necessità di riconciliare l'Unione con i suoi popoli, possiamo darle un legame civico all'altezza delle nuove ambizioni.
Come ha affermato un grande maestro e un amico come Bronislaw Geremek, «Adesso occorre rivolgersi direttamente ai cittadini, superando i club dei politici e degli intellettuali. Quello di cui l'Europa ha bisogno è un più grande dibattito dei cittadini sul futuro che li attende».
Per questo, un'ottima occasione saranno le elezioni del 2009, che devono diventare un grande appuntamento democratico europeo.
In Europa occorre una competizione politica maggiore: questo promuoverebbe più innovazione politica, coalizioni più coese, incentivi ai media a seguire l'attualità europea e consentirebbe ai cittadini di capire chiaramente chi fa cosa nell'Unione europea e chi si schiera nei dibattiti europei.
Dobbiamo ripartire dal basso, senza facili demagogie ma consapevoli che - se non possiamo dare l'Europa per scontata - è scontato che il nostro futuro sarà europeo o non sarà.
Per noi in Parlamento, con la ratifica del Trattato di Lisbona si apre una fase delicata in cui occorrerà attuare le nuove disposizioni relative ai nuovi poteri dei Parlamenti nazionali. Occorre adeguare il Regolamento della Camera e prevedere anche una clausola di revisione automatica in relazione ad ogni futura modifica dei Trattati.
Ai Parlamenti nazionali vengono attribuiti poteri di controllo e di intervento diretto nel processo decisionale europeo. Attualmente manca la possibilità di adottare atti parlamentari direttamente nei confronti delle istituzioni europee e di instaurare un vero dialogo politico diretto con Bruxelles. Non a caso la Camera, come il Senato, ha in circa due anni inoltrato alla Commissione due soli pareri sui duecentocinquanta inviati dagli altri Parlamenti a Bruxelles dal 2006 ad oggi.
Con il Trattato di Lisbona sarà necessaria una profonda revisione del nostro Regolamento sull'esempio di altri Paesi. Occorre poi evitare che, adeguato il nostro Regolamento al Trattato di Lisbona, ridiventi presto obsoleto rispetto all'evoluzione dell'Unione europea. A tal fine si potrebbe inserire una clausola di revisione automatica del Regolamento della Camera in relazione ad ogni futura modifica dei Trattati.
Presidente, onorevoli colleghi, parliamo spesso dei padri fondatori dell'Europa. Riaffermare il primato della politica deve essere la missione dei figli fondatori: determinati a proseguire sulla via tracciata dai nostri predecessori ma consapevoli che per questo occorre inventare nuove vie e nuovi mezzi. Non è celebrando in modo rituale i meriti dei padri fondatori che gli rendiamo omaggio: è ritornando alle fonti della loro ambizione e del loro genio politico. Se vogliamo seguire un insegnamento dei protagonisti degli anni Cinquanta, dobbiamo riprendere la loro capacità di visione, per applicarla ad un'Europa più forte, più politica e più democratica.Pag. 94
Se sapremo pienamente utilizzare Lisbona, se le leadership europee dimostreranno più coraggio avremo un'Europa che accetta una vocazione globale e che si offre ai propri cittadini come un ponte verso il resto del mondo. Avremo, in sostanza, l'Europa che ci serve: unita negli obiettivi, ferma nei suoi valori, differenziata al suo interno, flessibile, efficace e creativa nei suoi rapporti con i vicini e, proprio per questo, credibile sulla scena globale.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEI DISEGNI DI LEGGE DI RATIFICA
NN. 1557 ED ABBINATA, 1558 E 1559

Tempo complessivo: 2 ore per ciascun disegno di legge di ratifica.

Relatore 5 minuti
Governo 5 minuti
Richiami al regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 10 minuti (con il limite massimo di 3 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 1 ora e 30 minuti
Popolo della Libertà 25 minuti
Partito Democratico 25 minuti
Lega Nord Padania 13 minuti
Unione di Centro 11 minuti
Italia dei Valori 10 minuti
Misto: 6 minuti
Movimento per l'Autonomia 2 minuti
Minoranze linguistiche 2 minuti
Liberal Democratici - Repubblicani 2 minuti

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 3
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Ddl 1519 - articolo 1 517 517 259 515 2 50 Appr.
2 Nom. articolo 2 527 527 264 527 49 Appr.
3 Nom. articolo 3 536 535 1 268 535 49 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.