XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 25 di lunedì 30 giugno 2008

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 14,35.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 25 giugno 2008.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Barbieri, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cirielli, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Amico, Donadi, Esposito, Fitto, Frattini, Gelmini, Ghiglia, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Libè, Lupi, Mantini, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Migliori, Mussolini, Piffari, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Stradella, Togni, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: S. 585 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 maggio 2008, n. 85, recante disposizioni urgenti per l'adeguamento delle strutture di Governo in applicazione dell'articolo 1, commi 376 e 377, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Approvato dal Senato) (A.C. 1250) (ore 14,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 maggio 2008, n. 85, recante disposizioni urgenti per l'adeguamento delle strutture di Governo in applicazione dell'articolo 1, commi 376 e 377, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1250)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Stracquadanio, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO, Relatore. Signor Presidente, riferisco sul provvedimento anche a nome dell'altro relatore, il collega Mannino, con il quale abbiamo svolto l'esame in Commissione e con cui mi sono sentito prima di arrivare in Aula ricevendo informalmente una delega a rappresentarlo, spero degnamente.Pag. 2
Signor Presidente, il provvedimento in esame è stato approvato dal Senato, è il primo decreto-legge assunto dal Governo dalla sua entrata in carica e possiamo considerarlo anche il suo atto di nascita. Esso disciplina la struttura del Governo e delinea il numero, la denominazione e le deleghe dei Ministeri, stabilendo alcune norme accessorie volte a questo fine.
In realtà il provvedimento, a differenza di altri provvedimenti analoghi che in passato (sia nel 2001 che nel 2006) i Governi appena entrati in carica hanno assunto per ripartire le deleghe tra i Ministri subito dopo il giuramento, non rappresenta la formulazione che il Governo in carica ritiene la migliore per svolgere il suo mandato, bensì rappresenta, più che altro, l'adempimento ad una decisione parlamentare precedente, ovvero l'attuazione dei commi 376 e 377 dell'articolo unico della legge finanziaria per il 2008 approvati nella scorsa legislatura.
Lo ricordo, signor Presidente, perché - l'ho già detto in Commissione e lo ripeto oggi in Aula - la nostra discussione non dovrebbe vertere sul migliore assetto possibile di una compagine di Governo per rispondere ai problemi del Paese (non è questo il tema della discussione), bensì se il provvedimento risponda in modo efficace alle due disposizioni della legge finanziaria cui si è inteso dare attuazione.
A beneficio di tutti i collegi e dell'Aula, ricordo cos'era accaduto. Nella finanziaria approvata nella scorsa legislatura, i due commi precedentemente citati (su cui si era espressa in sede di Commissione una maggioranza più ampia di quella che successivamente si riscontrò al momento del voto in Aula, dato che quella finanziaria fu approvata con un voto di fiducia e, quindi, con una sola votazione sull'intero testo della legge, motivo per il quale i due commi fanno parte di un articolo unico della legge finanziaria) stabilivano il numero complessivo dei componenti della compagine di Governo, fissandolo a sessanta, e il numero dei Ministeri.
Per determinare il numero dei Ministeri, la legge finanziaria per il 2008 adottava una tecnica un po' particolare, ossia, invece di indicarne la cifra, si richiamava alla formulazione originaria del decreto legislativo n. 300 del 1999, di attuazione di una legge delega sull'assetto complessivo del Governo. In questo modo, veniva richiamato indirettamente il numero di dodici, perché il decreto legislativo n. 300 del 1999, sia nel 2001, con la nascita del Governo, sia nel 2006, sempre a inizio legislatura, era stato modificato nella sua parte fondamentale, ossia quella che regolava il numero, le denominazioni e le deleghe dei Ministeri. La legge finanziaria per il 2008 ha richiamato il decreto legislativo originario prevedendo che i Ministeri dovessero essere dodici, ma senza stabilirne né la denominazione, né le deleghe.
Il Governo ha dato attuazione ai commi 376 e 377 della legge finanziaria 2008, senza esserne in qualche misura obbligato - e di questo va dato atto da parte dell'Aula -, perché la cesura elettorale gli consentiva di rivedere questa norma, anche perché i suoi effetti di carattere economico sono poco rilevanti. Questa norma, infatti, nasce nel contesto di una polemica politica sui costi della politica, ma se ne analizziamo con razionalità l'impatto economico sui saldi di bilancio dello Stato, possiamo considerarla, a ogni fine, del tutto irrilevante. Non sono tre o quattro Ministeri in più, derivanti dallo spezzettamento di deleghe, a modificare in modo significativo il bilancio dello Stato, in quanto non si tratta di intere strutture che nascono o che muoiono, ma di accorpamento o disaccorpamento di strutture precedenti. Quindi, il differenziale è dato, al massimo, dalla presenza di un Ministro o di uffici di diretta collaborazione, che, per quanto possano essere ben pagati - e io ritengo che non lo siano, ma questa è una mia considerazione di carattere personale -, non incidono in modo significativo sul bilancio dello Stato.
Il Governo ha inteso, comunque, dare attuazione alla norma, pur potendo prescinderne, perché la cesura elettorale lo metteva in condizioni politiche, legislative e costituzionali di poter disporre diversamente in ordine alla sua organizzazione.Pag. 3
Il Governo lo ha fatto dimostrando rispetto per quel Parlamento che aveva approvato a larga maggioranza quella norma e un'attenzione al tema dei costi della politica, che nei prossimi provvedimenti di natura economica probabilmente si estenderà in maniera più significativa e rilevante. È stato, quindi, stabilito l'accorpamento di Ministeri che erano stati disaggregati all'inizio della legislatura precedente.
Non riferisco in dettaglio gli accorpamenti e le disaggregazioni - facilmente reperibili negli atti preliminari che i servizi della Camera hanno impeccabilmente messo a punto -, ma ciò che importa è la razionalità politica, in base alla quale, stante che il riferimento era al decreto legislativo n. 300 del 1999 nella sua formulazione originaria, il Governo ha inteso riprendere, anche nella qualificazione dei Ministeri, con piccolissime varianti nelle denominazioni e negli accorpamenti, quella formulazione originaria: ossia, poiché quello è il testo e la fonte normativa cui si è richiamato il Parlamento nella formulazione dei due commi citati, in questa fase, per l'attuazione dei suddetti commi, è stato ripreso il provvedimento originario.
Dunque, in Commissione questo è stato prevalentemente l'oggetto della discussione, non tanto se questi Ministeri e questo numero di Ministri sia adeguato a rispondere a tutte le esigenze di governo del Paese, ma se questo provvedimento sia adeguato a rispondere a quella specifica necessità. Nelle more di un periodo di verifica, che il Parlamento può discrezionalmente stabilire, valuteremo la funzionalità di quella scelta e i suoi effetti, anche sul piano degli obiettivi di riduzione dei costi della politica che si intendevano raggiungere. Intendo dire che abbiamo già incontrato nelle Commissioni - i colleghi lo sanno - alcuni problemi di applicazione di questo provvedimento.
Il provvedimento, infatti, fissa in sessanta il numero complessivo dei componenti del Governo ad ogni titolo. In realtà, in parte, ciò è stato già derogato per una posizione, quella della sottosegretario Bertolaso, per una circostanza, limitata, ben delineata, precisa e limitata nel tempo: l'emergenza rifiuti a Napoli (la deroga individua nel capo del dipartimento per la protezione civile il sottosegretario con delega specifica ai rifiuti). Non trattasi, quindi, di un ampliamento del numero in senso proprio, ma di una specifica misura. In questa luce, anche il Capo dello Stato ha firmato quella nomina che trova, anch'essa, la sua forza di legittimazione in un decreto-legge. I due decreti-legge, dunque, seppur in termini strettamente algebrici sembrerebbero contraddirsi, in termini politici non si contraddicono affatto.
Noi già osserviamo - il Ministro per i rapporti con il Parlamento ben lo sa, essendo oggetto di sollecitazioni da parte di entrambi i rami del Parlamento - una difficoltà obiettiva del Governo ad essere presente in Parlamento in tutti i momenti in cui giustamente la Camere lo richiedono, ovvero nel momento legislativo della formazione delle leggi, ma anche, e soprattutto, nel momento del controllo parlamentare, ossia il sindacato ispettivo in Aula o in Commissione.
Dobbiamo, allora, approvare il provvedimento, ma nel contempo controllare e verificare la sua attuazione, essendo ben consapevoli che se il Governo risponderà negativamente alle richieste legittime del Parlamento, non sarà per un atto di cattiva volontà, ma per una inadeguatezza delle forze che il Parlamento stesso avrà voluto. Mi auguro, quindi, che questo provvedimento venga approvato e che si faccia successivamente una riflessione sulla sua adeguatezza alle esigenze del Governo o del Parlamento, ma non ci si lamenti che la coperta è corta se la si è voluta accorciare.
Il dibattito in Commissione, proprio per queste considerazioni, non è entrato nel merito delle attribuzioni, se non marginalmente. Qualche collega ha chiesto conto del motivo per cui una certa competenza sia stata attribuita ad un Ministero o ad un altro, ma l'insieme del provvedimento non è stato oggetto di un'approfondita discussione proprio perché non era la sede istituzionale della discussione generale sugli assetti di Governo.Pag. 4
Qualche risposta a ciò che è stata evidenziata in Commissione volevo, comunque, fornirla, perché sono state avanzate alcune considerazioni. Sulle competenze, ad esempio, il collega Costantini aveva chiesto per quali ragioni le comunicazioni erano comprese nello sviluppo economico invece che nelle infrastrutture. La spiegazione è che il Ministero dello sviluppo economico ha molto a che fare con lo sviluppo delle infrastrutture a rete, come quella elettrica e delle telecomunicazioni. Essendo, quindi, le telecomunicazioni una delle leve dello sviluppo del Paese, forse è meglio guardarla sotto quella luce. Dal collega Bordo è stato chiesto perché la competenza sugli alimenti non è stata posta nella delega del welfare sulla salute. Tale competenza è stata semplicemente spostata dal Ministero dello sviluppo economico, dove si collocava perché in esso erano presenti le competenze relative alla filiera alimentare, al Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali perché lo sviluppo della filiera agroalimentare è un quantum unico.
Un'altra osservazione della collega Lanzillotta ha posto il tema di alcune competenze di natura governativa che vanno incontro alla cosiddetta doppia devoluzione: la devoluzione verso il basso, ossia verso le regioni, e verso l'alto, verso l'Unione europea.
Questo è un tema - secondo me - di grande importanza, la cui natura però dovrebbe riguardare di più il dibattito sulla riforma istituzionale (se mai ne faremo una). È un tema che concerne i compiti di coordinamento che possono rimanere in capo al Governo quando una parte delle competenze per materia è devoluta alle regioni e un'altra parte all'Unione europea, considerato che comunque è indubbia la permanenza del ruolo e del compito di coordinamento in capo all'Esecutivo.
Detto questo - signor Presidente, non so quanto mi residua del tempo di cui dispongo - intendo fare un'ultima considerazione. Nella relazione ho svolto una considerazione di carattere costituzionale sulla necessità di questo provvedimento, perché alcuni colleghi avevano posto delle obiezioni sull'uso dello strumento della decretazione d'urgenza: ebbene, non c'era provvedimento che più di questo avesse l'urgenza di essere immediatamente esecutivo, poiché si doveva procedere immediatamente al conferimento delle deleghe ai Ministri, i quali sono dodici invece che diciotto. In caso contrario, ci saremmo trovati con diciotto Ministri, da ridurre successivamente a dodici in un contesto di confusione che non avrebbe consentito la funzionalità dell'azione del Governo. Quindi, le ragioni di urgenza previste dalla Costituzione per l'emanazione del decreto-legge certamente sussistono.
Inoltre, mi permetto di svolgere in questa sede una considerazione di carattere personale che già avevo fatto e che non impegna né il Governo (non lo può fare) né la maggioranza, di cui comunque faccio parte, in relazione alla riserva di legge prevista dalla Costituzione in ordine alla formazione della struttura del Governo, cioè alla creazione di nuovi o diversi Ministeri e all'accorpamento o al disaccorpamento di deleghe. Avevo proposto in Commissione un tema che interesserebbe una riforma costituzionale, estraneo alla materia di cui stiamo trattando, e mai mi sarei permesso di proporlo attraverso delle misure da far approvare in questa sede, considerato che al riguardo volevo solo cogliere l'opportunità per fare una riflessione di ordine costituzionale. A mio avviso, infatti, per l'organizzazione del Governo e per la sua formazione, in un contesto in cui si passa da un sistema di centralità del Parlamento a un sistema di dualismo di poteri con pesi e contrappesi e con la funzione di controllo del Parlamento sull'azione dell'Esecutivo, sarebbe meglio disporre di strumenti di natura normativa attenuati rispetto alla legge (ad esempio, dei regolamenti emanati dal Governo stesso sottoposti al parere parlamentare). Si tratta di strumenti che esistono anche in altre forme di legislazione. Tuttavia, tale proposta aveva un forte carattere futuribile e poteva riguardare una discussione futura; volevo dunque rassicurare i colleghi intervenuti, come la Pag. 5collega Lo Moro e altri, sul fatto che non è intenzione del relatore né della maggioranza, tanto meno del Governo, proporre in qualche forma una norma di revisione costituzionale in questa sede, perché essa sarebbe la meno appropriata di tutte.
Infine, in Commissione sono stati presentati degli emendamenti, sia da parte dei colleghi sia da parte del Governo, che successivamente sono stati ritirati rimettendo a questa discussione la valutazione se sia il caso di procedere ad un'approvazione «tal quale» del provvedimento (ossia come ci è giunto dal Senato dove, rispetto alla formulazione originaria, il documento ha subito solo alcune leggere modifiche di carattere tecnico) o se sia necessario un approfondimento maggiore con eventuali successive modifiche. Su questo aspetto mi riservo di pronunciare il giudizio nel momento in cui i gruppi si saranno espressi, sia durante la discussione sulle linee generali sia nelle fasi successive dell'esame del provvedimento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, il Governo si rimette all'esauriente relazione dell'onorevole Stracquadanio e si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, l'intervento del relatore, svolto anche a nome del relatore assente, pone in evidenza il fatto che rispetto alla conversione del decreto-legge 16 maggio 2008, n. 85, il primo decreto-legge adottato dal Governo appena insediato, ricorrono tutte le caratteristiche di necessità e urgenza stabilite dalla Costituzione, perché il decreto-legge di fatto legittima il Governo stesso. Quindi al riguardo non vi è nulla da dire. Vi è qualcosa da dire solo sul fatto che l'Assemblea dovrebbe limitarsi a discutere solo alcuni aspetti, e non il problema generale: vorrei, invece, intervenire allargando un po' l'orizzonte. Noto, ad esempio - senza assolutamente avere idea di polemizzare con alcuno - che ad ogni legislatura e ad ogni cambio di Governo - spesso cambia anche il colore della legislatura - cambiano i Ministeri (oltre al fatto che cambiano anche riforme fondamentali, come la scuola e l'università), tant'è che i cittadini, i lavoratori, i funzionari di questi Ministeri alla fine non sanno nemmeno a quale Ministero appartengono e come si chiami il Ministero stesso, perché cambiano anche le denominazioni.
Italia dei Valori e io personalmente siamo favorevoli alla riduzione dei Ministeri: non vi è dubbio che abbiamo sempre appoggiato la riduzione del numero dei Ministeri, anche perché alcune competenze sono state attribuite all'Unione europea, come faceva notare il relatore, e altre sono state decentrate alle regioni. Ma, giustamente, si faceva osservare che tale riduzione dei Ministeri non diminuisce i costi della politica, o li diminuisce in modo molto esiguo. A mio avviso da parte di tutti non si è pensato - per questo ritengo opportuno un momento di autocritica del Parlamento e anche dei Governi - che, con la riduzione del numero dei Ministeri, erano ridotte le competenze e che, quindi, bisognava anche ridurre drasticamente l'amministrazione, la parte burocratica.
Porto un esempio molto stringente: sono stati unificati il Ministero delle infrastrutture e quello dei trasporti. Credo che anche l'ambiente dovrebbe far parte di questo stesso Ministero. Una volta che ci mettiamo a restringere, sarebbe opportuno intervenire anche su questa materia, e magari rendere autonomo il Ministero della salute, che riveste una funzione estremamente più importante e coinvolge in modo molto più rilevante i cittadini, ma anche il bilancio dello Stato, e non può essere nascosto in un altro Ministero. È, infatti, come un topolino che ingoia un elefante: mi sembra una cosa strana; bisognerebbe, invece, renderlo autonomo.
I Ministeri che hanno decentrato quasi tutte le competenze, invece di diminuire le direzioni generali, le hanno, tutti e tre, Pag. 6aumentate: prima ve ne erano 17 in tutto, adesso ve ne sono 30. Mi sapete dire perché le direzioni generali non si spostano nelle regioni, dove, soprattutto in alcune, vi è grande bisogno? Per quale motivo funzionari esperti, che provengono da una scuola di pubblica amministrazione, con il consenso dello Stato non si spostano verso le istituzioni, per così dire, di livello inferiore (utilizzo una parola che non si può usare, perché, dopo la riforma del Titolo V, siamo tutti «orizzontali», e quindi non è bene esprimersi così)? Perché, dunque, non si trasferiscono nelle regioni, nelle province e nei grandi comuni, in modo da amministrare bene anche i bilanci?
Ritengo che se in luogo di 30 direzioni generali ve ne fossero tre - una dei trasporti, una dei lavori pubblici e una dell'ambiente - si potrebbe opportunamente risparmiare di sicuro il 50 per cento delle spese, che spesso divengono inutili, e rafforzare anche le strutture decentrate, che adesso sono anemiche e non hanno una tradizione di scuola della pubblica amministrazione, come la hanno, ad esempio, la Francia e la Germania.
Quindi, il cittadino si domanda perché questi nomi cambiano sempre. Probabilmente si è pensato di cambiare - per esempio è stato fatto qualcosa del genere per la Commissione VIA, riducendone da 60 a 50 i componenti - così si cambia tutto. Forse è per questo? Per lo spoil system? Ridiscuto pure la questione dello spoil system, perché l'articolo 97 della Costituzione stabilisce chiaramente anche la continuità della pubblica amministrazione, ma soprattutto l'imparzialità; quindi, la corrispondenza agli intendimenti dei partiti al Governo, qualunque essi siano, non è un'esigenza costituzionale, è un'esigenza inventata dopo, senza cambiare la Costituzione.
Dunque, ritengo che la garanzia della continuità e dell'imparzialità debba essere data dalla pubblica amministrazione, e dunque il fatto di cambiare credo sia un errore, che non commette questo Governo, ma in generale commette la politica (l'hanno commesso prima, figuriamoci, allargando: è anche peggio, se si allargano i numeri). Ma anche in questo caso è necessario stare attenti nel restringimento, perché vi è tale problema. Se si vuole andare verso un restringimento, si dovrebbe procedere sempre pensando allo scopo e agli obiettivi di quel Ministero, ai suoi compiti veri, e non ad una suddivisione che magari corrisponde al personale politico, a chi deve occupare posti di sottosegretario oppure di Ministro.
Se non si può o non si vuole cambiare il provvedimento in esame, perlomeno si tenga conto delle nostre proposte. Non so poi se il Governo presenterà gli emendamenti preannunciati, nonché emendamenti ulteriori rispetto a quelli preannunciati: se presenterà emendamenti che sconvolgeranno il testo, ci riserveremo di intervenire. Altrimenti, qualche suggerimento voglio darlo: il primo è quello della trasformazione del Ministero della salute da settore del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, a un Ministero autonomo; l'altro è quello della cancellazione del Ministero dell'ambiente. Quindi, i Ministeri rimarrebbero sempre dodici.
Ma voglio anche fare qualche riferimento a come è stato scritto il provvedimento in esame: credo che il Governo forse proporrà dei cambiamenti, perché il testo, secondo me, è stato scritto un po' in fretta. Mi riferisco, ad esempio, all'articolo 1, comma 1, che reca l'elenco dei Ministeri. Richiamo l'attenzione su due casi. Nel comma 1 vengono stabiliti i nomi dei Ministeri. Alcuni dei nomi di questi Ministeri sono nuovi, pur in alcuni casi riprendendo vecchie dizioni.
Mi soffermo sul Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al di là di ciò che prima affermavo sulla questione dell'ambiente. Quello nuovo è il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Allora perché, al comma 3 dell'articolo 1, si prevede che «Al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono trasferite, con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, le funzioni attribuite al Ministero dei trasporti», senza aggiungere altro? E quello delle infrastrutture? Che né è? Pag. 7Non esiste più? In un emendamento suggerisco di aggiungere: «e al Ministero delle infrastrutture».
Ora esistono due Ministeri (o meglio, sono esistiti): quello delle infrastrutture e quello dei trasporti. Se inserite soltanto le risorse e il personale dei trasporti nel nuovo Ministero, perché il Ministero delle infrastrutture non deve essere trasferito all'interno? Perché lo considerate come se fosse il Ministero già corrispondente alla nuova denominazione, e quindi assorbe l'altro?
È un errore, e non si tratta solo di una questione formale, ma anche sostanziale. Chi ha scritto il decreto-legge ha commesso lo stesso errore con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca: anche in questo caso, infatti, nel nuovo Ministero, denominato con la dizione formata da tutte e tre le voci - si parla, cioè, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - sono state inserite solo le funzioni e le risorse del Ministero dell'università e della ricerca. E quelle dell'istruzione dove sono? Pertanto, credo che, anche in questo caso, sia necessario cambiare. È un fatto di logica: si tratta di un nuovo contenitore, ve ne sono due, è necessario stabilire che tutti e due vadano a finire nel contenitore nuovo. A mio avviso, tali disposizioni sono state scritte da persone che, in genere, non sono abituate a conoscere di questioni ministeriali. Non è una critica politica, ma il fatto che tali aspetti passino sotto silenzio e siano inosservati dallo stesso Senato, come anche dalle Commissioni, mi preoccupa, perché evidentemente la questione dello Stato non è presente sui tavoli delle discussioni di fondo, tanto è vero che alla conversione di questo decreto viene data scarsa importanza dallo stesso Parlamento, vista la presenza in Aula.
Questi sono alcuni dei cambiamenti che è necessario apportare e che non è possibile non fare, ma vi è dell'altro. In passato, abbiamo espresso numerose riserve su alcuni di questi accorpamenti: non è certamente responsabilità dell'attuale maggioranza e dell'attuale Governo, ma sarebbe utile approfittare di tali modifiche per migliorare la situazione. Ad esempio, non capisco perché sia necessario affrontare una questione molto importante e discussa - ma anche condivisa in modo bipartisan - oggetto di una riforma recente, come quella relativa ai servizi segreti, ed inserire nel provvedimento in oggetto, con il comma 21, modifiche che riguardino questo settore. Che bisogno vi era? A mio avviso, se era necessario apportare modifiche, tale questione andava trattata separatamente, perché non può cambiare tutti i giorni. Già non ricordo più le sigle dei servizi segreti: una volta si sapevano, erano due, più una struttura che coordinava, adesso vi sono sigle di tutti i generi e di tutti i tipi. Inoltre, vi è la questione relativa alle deleghe: se si debbano dare o meno e a chi. Ritengo che sia necessario porre tali questioni in altra sede.
Vorrei che il provvedimento in discussione fosse approvato il più presto possibile, perché il Governo si deve adoperare per risolvere i problemi della gente, e non per cercare il modo per sistemare una direzione generale piuttosto che un'altra. Pertanto, ritengo che il citato comma 21 intervenga su una questione molto discussa - su cui si è intervenuti con il consenso più ampio del Parlamento nella scorsa legislatura - e che non sia questo il luogo in cui discutere ed approfondire al riguardo, in quanto ciò richiede una lunga discussione, mentre credo che sul decreto-legge in esame non sia necessario svolgere lunghe discussioni.
Questo significa che evidentemente ci dobbiamo trattenere qui, come al solito? No, io ritengo che, se fosse possibile, si potrebbero raggiungere gli stessi obiettivi discutendone in una legge apposita. In questo caso, si novella una legge recentissima. Pertanto, su questo punto, presenteremo un emendamento soppressivo. Penso che sarebbe il caso di prenderlo in considerazione, come pure sarebbe opportuno prendere in considerazione la questione del Ministero della salute. Ritengo, infatti, che debba essere perlomeno un impegno del Governo: auspico dunque che anche questa Camera, così come ha fatto Pag. 8il Senato con un apposito ordine del giorno, impegni il Governo a rivedere la questione relativa al Ministero della salute, che è un aspetto fondamentale.
Per quanto riguarda la questione dei servizi segreti, credo che sia assolutamente necessario evitare una discussione che porterà via molto tempo, visto e considerato che su questo provvedimento - spero - non porrete la questione fiducia. Se discutiamo sui servizi segreti, potremmo discutere per settimane su ognuna delle virgole. Credo che sia giusto inserire tale questione in un provvedimento ad hoc. Non è che vi sia da criticare a fondo quello che c'è scritto, può darsi pure che alla fine sarà la via giusta da seguire, ma vorrei che fosse un po' condivisa dal Parlamento, perché si tratta di servizi essenziali della vita italiana.
Quello che, invece, non riesco a comprendere è il comma 21-bis, che riguarda, di fatto, il riordino della sezione speciale della Corte dei conti che si occupa dei servizi segreti: si pensa di risparmiare tempo? Insomma, qual è l'obiettivo? Si è varata una riforma della Corte dei conti - che è recente - e - per ragioni che, ovviamente, il Parlamento avrà condiviso - si è dato molto spazio alle decisioni collegiali. La Corte dei conti è, per antonomasia, un collegio. È formata sempre da collegi e, quindi, il giudizio non è mai personale e singolo. Al contrario, in questo caso, praticamente si mette in grande rilievo che tutte le decisioni, più o meno, saranno assunte da una persona sola. Ma per risparmiare tempo o per avere, poi, discussioni successive? Una persona può sbagliare. Non credo che vi sia un problema di tempi, perché la Corte dei conti - anche con una persona sola - impiega parecchio tempo.
Pertanto, il comma 21-bis è un'altra cosa, che, evidentemente, è stata inserita, certamente per qualche ragione, ma la ragione di tale modifica non è chiara. Essa è stata inserita durante la discussione al Senato e introduce, quindi, una puntuale modalità di organizzazione di un ufficio della Corte dei conti. Non vorrei che questo preludesse ad una riforma, ossia ad un ritorno indietro, dell'organizzazione della Corte dei conti in generale (sperimentiamo questa modifica, e poi vediamo se è il caso di tornare alla legge vigente prima del 1988!).
Quindi, a mio avviso, si tratta di un decreto-legge necessario e urgente, e nessuno lo discute.
È vero che con tale decreto-legge poteva essere modificato il contenuto dei commi 376 e 377 dell'articolo unico della legge finanziaria 24 dicembre 2007, n. 244, ma è anche vero che una volta accolto il riferimento al decreto legislativo n. 300 del 1999, sarebbe stato utile (speriamo che lo facciate con il prossimo provvedimento), da una parte, migliorare e rendere definitive le denominazioni dei Ministeri, cosicché il funzionario di un Ministero possa sapere, tra due, tre o cinque anni, di appartenere a quel determinato Ministero, e non ad altro che cambia denominazione durante o alla fine della legislatura e ogni volta che cambia la maggioranza e il Governo; dall'altra, sarebbe stato utile andare a fondo, approfittando della riduzione dai diciotto Ministeri con portafoglio del vecchio schema (che io considero errato e verso cui esprimo un giudizio negativo) agli attuali dodici Ministeri con portafoglio, per far sì che vi fossero veramente un risparmio dei fondi pubblici e una riduzione delle spese della politica, e che vi fossero, altresì, una maggiore possibilità per gli enti, regioni, province e comuni, di utilizzare le grandi professionalità che sono presenti all'interno dei Ministeri, riducendo drasticamente le direzioni generali e le altre strutture dei Ministeri stessi, altrimenti la loro riduzione non ha alcun senso: avreste potuto farne 50, sarebbero cambiate soltanto alcune macchine blu, qualche ufficio di pertinenza del Ministro e nient'altro. Invece, si dovrebbe entrare nel merito e cercare di andare in direzione del decentramento verso le regioni, le province e i comuni anche delle risorse ministeriali che non hanno nulla da fare. Molti impiegati ministeriali si girano i pollici, perché le competenze sono collocate all'esterno. Questa poteva essere l'occasione per ridurre Pag. 9i costi della politica e potrebbe esserlo ancora, se vi fossero altri provvedimenti su cui insistere. In tal modo verrebbero ridotti gli sprechi, se non i costi della politica globalmente, ma almeno, potrebbero essere bene investiti in altre situazioni i fondi necessari per alimentare delle strutture che spesso non hanno competenze o ne hanno scarsissime.
A nome del gruppo dell'Italia dei Valori credo di poter dire in quest'Aula che collaboreremo, anche in sede di esame degli emendamenti, per cercare di apportare delle modifiche, a parte le questioni che segnalavo all'inizio su cui, probabilmente, interverrà lo stesso Governo (e se non lo farà subito, interverrà in seguito, quando si renderà conto che è giusto farlo).
Noi cercheremo di collaborare affinché il testo definitivo possa essere sfrondato e integrato di quegli elementi che possano portare rapidamente all'approvazione di un provvedimento che sia necessario e urgente per la gestione delle questioni italiane di cui il Paese ha bisogno.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lo Moro. Ne ha facoltà.

DORIS LO MORO. Signor Presidente, signor Ministro, prendo la parola, a nome del Partito Democratico, partendo dalla relazione che ci è stata presentata, per affermare che essa sicuramente ha ricostruito in termini corretti quanto si è verificato in Commissione, ma anche l'iter del decreto-legge di cui oggi stiamo discutendo. Intendo, però, partire dalla relazione e dal suo contenuto non per mettere in discussione i principi che sono stati introdotti, ma per sottolineare alcuni aspetti che mi stanno a cuore e che sono stati richiamati nella parte conclusiva della relazione, quando il collega riprendeva l'interlocuzione avvenuta in Commissione sulla riserva di legge.
In questa sede, non lo richiamo in termini dialettici, tanto meno polemici, ma per sottolineare l'importanza di questa discussione e della normativa che oggi dobbiamo affrontare e portare a termine.
Siamo in una democrazia parlamentare; dobbiamo mantenere saldi questi principi e dobbiamo sempre sapere, quando ci comportiamo in un certo modo, quando governiamo ed emaniamo atti di legislazione, quali ne sono non solo i presupposti, ma i principi fondamentali da tenere in considerazione.
Vorrei richiamare, proprio per l'importanza che riveste, non soltanto l'articolo 95 della Costituzione, che contiene, al terzo comma, la riserva di legge richiamata dal collega («La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri»), ma anche l'articolo 117, che, al secondo comma, laddove elenca le materie di esclusiva competenza dello Stato, al punto g), richiama l'ordinamento e l'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali.
Ben due norme, pertanto, sostengono e legittimano la normativa di cui stiamo discutendo. Lo sottolineo perché penso e pensiamo che un Governo, quale che sia e quale che sia la maggioranza, abbia il diritto di organizzarsi in relazione agli obiettivi programmatici che si prefigge (il compito dell'opposizione non è tanto quello di entrare nel merito del tipo di organizzazione e di discutere sulle singole materie, se non in termini politici e di dialettica politica), ma lo deve fare, sapendo che il confronto sugli obiettivi di efficacia della sua azione deve avvenire nell'Aula parlamentare.
Diamo, quindi, grande e fondamentale importanza a questo dibattito e ai due articoli della Costituzione che ho richiamato, ma vorrei fare riferimento, per concludere la citazione di articoli della Costituzione che questa normativa sottende, anche all'articolo 51, che è espressamente richiamato dal comma 376 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2008. Anche questo è un principio che deve essere tenuto presente, chiunque governi, quale che sia il Governo, quale che sia la maggioranza; deve essere tenuto sempre di più in considerazione, anche Pag. 10molto di più di quanto è avvenuto nella formazione del Governo oggi in carica.
Un'altra sottolineatura che volevo fare è sui costi della politica. Vi è sempre un momento in cui in una discussione, che, evidentemente, non si svolge soltanto nelle aule parlamentari, ma nel Paese, si arriva anche a modifiche di comportamenti o, comunque, anche di norme di legge, fornendo una risposta ad una richiesta che proviene dal Paese, prima ancora che dalla politica: la contrazione dei costi della politica.
Penso, però, che l'argomento sia di tale rilevanza e importanza che, al di là del momento genetico di questo tipo di riforme, non sono soltanto i costi della politica a doverci orientare.
Credo che il discorso sui costi della politica abbia fondamento quando vi sono sprechi, quando cioè, per esempio, in un'organizzazione di un Governo, al quale, evidentemente, si fa riferimento, si coglie non l'obiettivo di razionalità e di efficacia, che deve sottendere all'organizzazione del Governo e dello Stato, ma un altro tipo di obiettivo: trovare una collocazione, anche forzando la normativa in maniera irragionevole, dilatando la compagine governativa, rispetto ad aspettative che, da questo punto di vista, storicamente, sono sempre state in esubero rispetto alle necessità di chi governa.
Ribadisco quindi la necessità di mantenere tale orientamento che oramai il Paese richiede: esso deve continuare ad essere un riferimento, sapendo che poi il legislatore, ma anche la politica e più in generale i cittadini sono capaci di distinguere quando si opera una forzatura, come è avvenuto nel caso del sottosegretario Bertolaso o se si risponde o meno ad un'esigenza reale. In questo caso, non è nemmeno una forzatura, trattandosi effettivamente di un'emergenza reale: si risponde all'eccezionalità del momento.
Sull'organizzazione, pertanto, entrando nel merito di quanto viene prospettato, vorrei fare un'annotazione, per coerenza col discorso che stavo svolgendo: vi sono dei momenti in cui nell'articolato si coglie una qualche irragionevolezza, o comunque l'esigenza di trovare collocazione e di attribuire competenze a persone che sono già predeterminate, anziché pensare ad un'organizzazione oggettiva e funzionale del Governo. Ne abbiamo parlato anche in Commissione. Non è polemica, ma è solo per dire che la linea di tendenza dovrebbe essere quella di pensare ad un'organizzazione del Governo, a prescindere dai singoli sottosegretari, viceministri o ministri. Mi riferisco, ad esempio, alla materia che viene attribuita ad un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ossia il contrasto degli stupefacenti; e ciò dovrebbe avvenire quale che sia il Governo, lo ribadisco, perché non è che affermarlo in questo contesto significa escludere che per altre singole materie si sia già fatto: non è questo il punto, e non mi sembra questo un argomento che ci debba orientare. Penso che, in forza anche della mia specifica esperienza (ho fatto a lungo l'assessore della sanità in una regione difficile come la Calabria), in materie di questo genere, al di là dell'aspetto repressivo, per quanto riguarda invece l'aspetto che ha a che fare con la salute e con le politiche sociali, l'organizzazione del Governo andava predisposta in maniera completamente diversa. E non lo dico per contrastare il tipo di organizzazione che è stata data, cioè entrando nel merito, perché altrimenti dovremmo entrare nel merito di tutte le singole disposizioni: lo dico perché segnali di questo genere possono portare le forze politiche, e poi di riflesso, la cittadinanza, a pensare a forzature, che in provvedimenti di questo genere invece non ci dovrebbero essere.
Vorrei fare un'altra annotazione che riguarda questa normativa, ma più in generale il nostro modo di portare avanti i progetti di legge: faccio parte del Comitato per la legislazione, e ho potuto notare, già dall'inizio della legislatura, quanto è delicato e importante il ruolo di questo organo che valuta i decreti-legge in prima battuta; quindi, anche sotto il profilo degli errori materiali o degli errori di tecnica di legislativa, di quelli più immediati, è il primo a segnalare alle Commissioni le sviste, che non sono sempre imputabili a Pag. 11responsabilità politiche, anzi molto spesso si tratta soprattutto di responsabilità non politiche. Però poi dovremmo dare seguito a tali segnalazioni, perché anche in questo caso sono stati segnalati riferimenti a norme non più in vigore, che sono poi rimasti nel testo per la necessità di non intervenire. Da questo punto di vista, quindi, mi sembra che in qualche modo si svuoti e si riduca la nostra capacità di arrivare (come era, come tanti dicono che fosse in altri tempi, e i testi legislativi ce lo fanno pensare) ad una tecnica legislativa di maggiore qualità. Un Comitato per la legislazione serve, quando riesce a dare al legislatore, alle Commissioni e all'Aula indicazioni su come procedere.
Un'ultima considerazione, e concludo: ringrazio il relatore per il riferimento alle osservazioni della collega Lanzillotta, che, come sapete, ha una competenza specifica e consolidata, anche per il ruolo che ha svolto nel passato Governo. Volevo però aggiungere altre considerazioni per quanto riguarda le materie di competenza concorrente con le regioni: tra esse ce n'è una in particolare, quella della tutela della salute, che è una materia su cui la nostra attenzione, non la nostra di parte, ma come Parlamento, deve essere molto alta, perché incide sulla qualità della vita della popolazione, della cittadinanza italiana.
Su questo penso che dovremmo essere molto cauti, perché è vero che si tratta di una materia di legislazione concorrente e che pertanto forse l'organizzazione attuale è faraonica, nel senso che il dipartimento potrebbe essere snellito e che si potrebbe pervenire ad una semplificazione anche dell'attività ministeriale dell'ex Ministero della tutela della salute. Tuttavia, l'importanza dell'argomento e del tema, nonché l'impatto economico e sociale di questioni di questo genere, mi spingono però a svolgere una considerazione: molto spesso - facciamo bene a non sopravvalutarlo - il fatto che non sia necessaria una grande struttura non significa che non sia poi necessaria un'organizzazione funzionale autonoma intorno a materie che incidono particolarmente sulla vita dei cittadini.
Non abbiamo presentato emendamenti e non stiamo chiedendo un Ministero per la tutela della salute, segnaliamo però un problema che è stato già segnalato al Senato e che non potrei omettere di segnalare, anche proprio in ragione della mia esperienza specifica, che ho già richiamato. Non posso pertanto non richiamare l'attenzione del Parlamento sull'importanza che hanno i livelli essenziali di assistenza e il controllo sugli stessi, il quale deve avvenire a livello nazionale, dal momento che dobbiamo garantire ai cittadini del nord, del sud e di tutte le regioni del Paese di avere le stesse risposte.
Le osservazioni svolte infine dal collega dell'Italia dei Valori sulle materie e sugli articoli che sono stati aggiunti in Senato meriterebbero una qualche risposta. Così come si presenta la normativa, in realtà sembra trattarsi più di esigenze tecniche che di esigenze politiche, probabilmente anche perché non sempre dietro una norma vi sono esigenze politiche straordinarie (del resto governate solo da due mesi, e quindi propenderei per questa ipotesi).
È vero però che se questa materia incidentalmente, proprio per le competenze della Presidenza del Consiglio dei ministri e degli altri Ministeri, interferisce con questa materia probabilmente una disciplina in luogo diverso ne avrebbe consentito una lettura più razionale.
In conclusione, guardiamo con attenzione alla discussione e allo stato non abbiamo presentato, come era stato richiesto dal Governo, emendamenti; inoltre, siamo attenti a quello che succederà nell'Aula, ma riconosciamo il diritto e il dovere della maggioranza di darsi una organizzazione su obiettivi che sono, appunto, quelli che presenta al Parlamento (oltre che fuori del Parlamento). Da questo punto di vista quindi, proprio in ragione di tali motivazioni, preannunzio che il nostro atteggiamento per quanto riguarda il voto sarà di astensione, una rispettosa astensione in attesa di verificare anche quanto succederà in Aula.

Pag. 12

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1250)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Stracquadanio.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO, Relatore. Signor Presidente, sarò brevissimo. Poiché è ancora presente il collega Misiti, vorrei ringraziarlo, e fuor di ironia regalerò al leader del suo partito il resoconto stenografico del suo intervento di oggi, perché, oggi, prendiamo atto che l'Italia dei Valori era contraria al Governo a diciotto Ministri e questa, come dire, è una notizia politicamente rilevante (il collega Buttiglione sa che nell'Aula del Senato le cose sono andate un po' diversamente nella scorsa legislatura).
Al di là delle battute, collega Misiti, sono personalmente dell'opinione che sui temi dei costi della politica bisogna essere rigorosi e che quindi non possiamo prendere ogni volta posizioni di natura ideologica, perché alzare bandiere, dicendo che si è meglio degli altri è, in democrazia, un pericolo di comportamento, poiché induce nei protagonisti che si dicono meglio degli altri una |gu|gb|gr|gi|gs che non fa bene alla discussione democratica (e lo dico, con una digressione che mi permetto sul piano politico, anche con riferimento a quanto sta accadendo fuori dell'Aula in questi giorni).
Pertanto, al di là della battuta, ho apprezzato le considerazioni che ha svolto e, anzi, lo ringrazio per avermi dato l'opportunità di integrare la mia relazione. Avevo trascurato di fornire un dettaglio sulla questione relativa alla delega sui servizi segreti. La legge di riforma dei servizi aveva individuato il titolare di quell'unica delega nell'ambito della compagine governativa, ma ciò avveniva in un momento precedente alla fissazione da parte del Parlamento di un numero predeterminato di membri del Governo.
Con ciò intendo dire che se un Governo può arrivare a 102 membri, come accaduto in passato, è ragionevole prevedere che chi ha la delega dei servizi abbia soltanto quella. Invece, se un Governo è ristretto a 60, non si può avere un membro delegato soltanto a questo.
Pertanto il Governo, nel decreto-legge, ha tentato di combinare l'esigenza di forte responsabilizzazione politica del delegato con quella di riduzione del numero dei componenti del Governo, individuando il delegato non in un sottosegretario o in un Ministro qualunque, ma nel sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, segretario del Consiglio dei ministri. Trattandosi di una figura istituzionalmente chiave nella struttura del Governo e che costituisce il punto di raccordo immediatamente inferiore al Presidente del Consiglio, è come se la delega fosse nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri e questa è stata la ratio del provvedimento.
Quanto alla sezione della Corte distaccata presso i servizi il punto è uno solo e lo aveva ben spiegato il Governo in Commissione in sede di replica. La modifica normativa prevede che tale sezione possa dotarsi di un proprio regolamento per l'attuazione del proprio compito. È tutto qui. Non si tratta di un passo indietro rispetto alla riforma e alle regole di funzionamento della Corte dei conti.
Un'ultima considerazione è rivolta, invece, alla collega Lo Moro, che ringrazio soprattutto per quello che ha detto sul mio lavoro di relatore - le sono veramente grato -, ed è relativa alla delega che il Governo ha ritenuto di introdurre in materia di contrasto alla droga.
Il Governo non ha individuato prima un delegato e poi gli ha costruito intorno una delega. Come molti sanno, ho molti punti di dissenso rispetto alla posizione del collega Giovanardi che è responsabile di questo ambito, ma siccome la materia tocca diverse discipline è stata fatta una scelta di unitarietà d'azione, che non rimandi soltanto ad una competenza del Ministro del welfare o del Ministro dell'interno, che spesso tendono a collidere in termini di politiche, ma affidi tale competenza Pag. 13a qualcuno capace di fare raccordo e che, pertanto, non poteva che collocarsi in capo alla Presidenza e in un'unica figura.
Peraltro, aggiungo una considerazione di carattere personale: a mio avviso non è sbagliato in politica, nel momento in cui si afferma un'emergenza e qualcuno è capace di farla affermare, individuare in quella persona il soggetto più adatto a risolverla. In democrazia se qualcuno solleva un problema e propone soluzioni, perché non può essere indicato come il responsabile dell'attuazione delle soluzioni che ha proposto? Ciò riguarda anche le scelte delle persone che possono aiutare a risolvere i problemi ed impegnano la responsabilità dei Governi che, attraverso una simile scelta, si espongono anche in qualche misura. Non siamo in un ambito che si potrebbe definire di «lottizzazione politica» (uso io il termine che la collega Lo Moro non ha utilizzato).
Per il resto, annuncio, in relazione agli emendamenti, che presenterò - non l'avevo detto - un emendamento di natura tecnica che ha lo scopo di favorire la costituzione dei gabinetti dei Ministri in tempi più rapidi di quanto non si sia verificato. Credo sia una dimenticanza del Governo, cui voglio supplire con un emendamento che avevo già presentato in Commissione, ma avevo ritirato con l'accordo di tutti. Ringrazio gli intervenuti, il Presidente ed il Ministro.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, ringrazio i colleghi intervenuti e, naturalmente, il relatore. Credo che si tratti di una discussione che potremo successivamente riprendere in altra sede e in altri momenti. Infatti, è molto interessante discutere dell'organizzazione delle strutture di Governo e del contenimento dei costi della politica. Peraltro, tali questioni sono solo marginalmente toccate da questo decreto-legge, che non ha voluto fare altro che adeguare la struttura del Governo Berlusconi alle disposizioni dei commi 376 e 377 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2008. A quei commi si è strettamente attenuto.
Sarebbe stato sicuramente possibile, interessante - e, secondo alcuni, anche dovuto - rivedere anche in questa occasione la struttura del Governo, così come è stato fatto nelle ultime due legislature con i decreti-legge emanati rispettivamente nel 2001 e nel 2006, in occasione della costituzione del Governo Berlusconi II e Prodi II. Tuttavia, in questo caso si è ritenuto di volersi rimettere alla recente volontà del Parlamento, che aveva già deliberato una struttura di Governo. Naturalmente, quelle deliberazioni adottate con le succitate norme della legge finanziaria per il 2008 erano troppo generiche per non necessitare una puntuale definizione.
In merito alle osservazioni dell'onorevole Misiti sulla dizione e sulla composizione dei Ministeri, rispondo che esse non sono sbagliate nel prospetto presentato dall'attuale decreto-legge, ma si tratta del riferimento alle dizioni dei Ministeri del decreto legislativo n. 300 del 1999 (cosiddetto «Bassanini»). Inoltre, vengono attribuite ad essi le funzioni dei Ministeri costituiti dal Governo Prodi II, che oggi vengono soppressi. Pertanto, le funzioni dell'ex Ministero dell'università e della ricerca sono attribuite al Ministero dell'istruzione, università e ricerca. Naturalmente le funzioni del Ministero dell'istruzione facevano già parte di quel dicastero. Così anche per le altre dizioni cui si è fatto riferimento.
Eviterei di riprendere in questa sede una discussione che può essere anche troppo personale e spiacevole su alcune competenze che sono rimaste alla Presidenza del Consiglio. Queste non hanno nulla a che vedere con la nomina dei sottosegretari, che è stata successiva. Il Governo ha ritenuto semplicemente che alcune funzioni (quelle del Centro nazionale antidroga e del Servizio civile) dovessero restare alla Presidenza del Consiglio. Ciò non c'entra nulla con i sottosegretari successivamente nominati, anche perché lo stesso sottosegretario poteva essere altrimenti Pag. 14nominato con le stesse funzioni al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
Viceversa, assicurare alla Presidenza del Consiglio queste funzioni, è stata una scelta politica del Governo. Per quanto concerne i commi 21 e 21-bis (introdotto al Senato e votato all'unanimità), nel primo caso, vi ha già fatto riferimento il relatore, ma io sarei ancora più esplicito in quanto vi è stato un consenso nell'altro ramo del Parlamento. Nonostante la riduzione del numero dei componenti del Governo, che pure avrebbe potuto motivare un diverso operato dell'Esecutivo, non è stata nei fatti modificata la legge istitutiva dei servizi di informazione e sicurezza, che prevedeva l'esclusività della delega all'Autorità vigilante di controllo sull'attività dei servizi di informazione e sicurezza. Ciò nonostante, si è ritenuto di abrogare quel comma, perché l'Autorità vigilante ricopre in questa fase anche l'incarico di segretario della Presidenza del Consiglio.
Quindi, per evitare difficoltà interpretative o che potessero sorgere delle complicazioni si è preferito, contemporaneamente all'affidare la delega al sottosegretario Letta, anche togliere quel riferimento dalla legge. Tuttavia, nei fatti, lo spirito della legge istitutiva è stato mantenuto. Infatti, lo ripeto, non vi è stata duplicazione di incarichi che pure sarebbe stata possibile, vista la riduzione del numero dei sottosegretari.
Infine, rispetto alle osservazioni svolte dall'onorevole Lo Moro, il Governo si rimette anche in questo caso alle osservazioni fatte in Commissione. Non è intendimento del Governo modificare la riserva di legge, che attualmente presiede alla composizione del Governo stesso. Naturalmente il relatore ha fatto correttamente riferimento ad un dibattito che in futuro potrà interessare il Parlamento, nell'ambito di un quadro di riforme istituzionali più ampio e generale.
In alcuni interventi in Commissione, e in Assemblea, è stata prospettata l'esigenza di dover in futuro modificare l'attuale struttura di Governo, aumentando il numero dei componenti del Governo. Come per il caso del sottosegretario all'emergenza dei rifiuti, sarà l'esperienza del Governo a dimostrare se occorreranno nuovi provvedimenti, se il Parlamento li riterrà opportuni, per far fronte delle mutate esigenze.
Allo stato, con questo provvedimento si è ritenuto di non modificare la composizione prevista dalla legge finanziaria e di non istituire nemmeno quel Ministero della salute che è stato da più parti sollecitato. È stato accolto al riguardo, come si è detto, un ordine del giorno al Senato; se saranno presentati analoghi strumenti qui alla Camera naturalmente il Governo li recepirà. Anche in questo caso tuttavia, riteniamo di dover attendere l'esperienza concreta delle prossime settimane e dei prossimi mesi per dire se la scelta dell'impianto originario voluto dal decreto legislativo n. 300, che non è mai stato messo in pratica nella realtà, fosse giusta o meno.
Concludo con un auspicio. Ho sentito il riferimento all'emendamento che presenterà il relatore, e ritengo che sia corretto; il Governo ha presentato altri emendamenti di carattere esclusivamente tecnico e, qualora la Commissione lo ritenga, accoglierà l'emendamento che fa riferimento ad un'osservazione del Comitato per la legislazione alla quale si è richiamato l'onorevole Zaccaria in Commissione, sul comma 14, lettera e), dell'articolo 1. Ciò comporterà un breve passaggio al Senato, ma trattandosi di modifiche di carattere tecnico non ci saranno impedimenti.
Piuttosto preoccuperebbe il Governo - lo dico all'onorevole Lo Moro e all'onorevole Misiti - un cambiamento di atteggiamento in questo ramo del Parlamento rispetto all'altro, perché ho sentito preannunciare un voto di astensione: al Senato il decreto-legge è stato votato all'unanimità, anche con il consenso dei gruppi d'opposizione, proprio perché è stato rivendicato il carattere meramente attuativo di norme votate nella scorsa legge finanziaria anche dalla maggioranza precedente, non volendo modificare quella struttura di Governo che si era allora stabilita.Pag. 15
Per il resto il Governo si riserva di intervenire in sede di esame degli emendamenti.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Evangelisti ed altri n. 1-00001 e Biancofiore ed altri n. 1-00017 sulle iniziative per la liberazione di Ingrid Betancourt e degli altri ostaggi sequestrati dalle Farc (ore 15,51).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Evangelisti ed altri n. 1-00001 e Biancofiore ed altri n. 1-00017 sulle iniziative per la liberazione di Ingrid Betancourt e degli altri ostaggi sequestrati dalle Farc (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al resoconto della seduta del 26 giugno 2008.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00001. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, mi sia permesso di illustrare prima di tutto la storia della senatrice Ingrid Betancourt Pulecio, che dal febbraio del 2000 è ostaggio delle forze armate rivoluzionarie della Colombia.
Ingrid Betancourt, figlia dell'ex ministro e diplomatico Gabriel Betancourt e della senatrice Iolanda Pulecio, viene eletta alla Camera dei rappresentanti nel 1994 e lancia un proprio partito politico, il Partido Verde Oxígeno. Da subito impegnata contro il narcotraffico e la corruzione che dilaga a tutti livelli di quel Paese, si impegna nell'amministrazione politica colombiana. Si candida senatrice alle elezioni del 1998 e in quella tornata elettorale raccoglie un numero di voti di preferenza superiore ad ogni altro candidato. Riceve minacce di morte che la spingono, attraverso anche l'aiuto di amici e familiari, a mandare i figli a vivere in Nuova Zelanda.
Dopo le elezioni del 1998, Ingrid scrive un libro di memorie che viene subito pubblicato in Francia con il titolo La rabbia nel cuore, successivamente in Spagna, e solo quattro anni dopo in Colombia e nel mondo latino americano. In Italia, nello stesso 2002, le memorie di Ingrid vengono pubblicate con il titolo Forse mi uccideranno domani.
Durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2002, Ingrid decide di andare nella zona smilitarizzata di San Vicente del Caguàn per incontrarsi con le FARC, una no man's land creata dal Governo su richiesta delle FARC, come punto di partenza per i negoziati tra i guerriglieri e l'amministrazione. Tuttavia, a tre anni di distanza dalla creazione di questa zona smilitarizzata - quella che normalmente viene definita una terra di nessuno - e dall'avvio delle trattative, i colloqui di pace tra FARC e Governo giungono ad un punto di stallo.
Sin dall'inizio, infatti le FARC si rifiutano di concedere una tregua durante gli stessi negoziati e di concedere ispezioni da parte di rappresentanti della comunità internazionale, trasformando la zona di San Vicente in una vera e propria area di sicurezza per le FARC che, in breve, hanno potuto imporvi il proprio sistema socioeconomico di matrice rivoluzionario comunista.
Nel febbraio del 2002, un aereo in volo da Florencia a Bogotà viene dirottato da membri delle FARC e costretto ad atterrare vicino alla cittadina di Neiva. Molti dei passeggeri vengono sequestrati, tra cui un membro del Congresso. A fronte del rapimento, il Presidente Pastrana pone fine alle trattative con i guerriglieri e revoca la zona smilitarizzata accusando le FARC di avere rotto i termini dei negoziati.
Nel 2002 Ingrid Betancourt, candidata alle elezioni presidenziali della Columbia Pag. 16insieme ad un altro candidato, decide di visitare la zona smilitarizzata nonostante l'interruzione delle trattative, chiedendo di esservi portata da un aereo militare. Nonostante il parere negativo del Governo e del Presidente, Ingrid decide di recarsi nella zona smilitarizzata via terra insieme alla sua candidata vicepresidente Clara Rojas e ad un altro gruppo di persone facenti parte del suo staff.
Il 23 febbraio del 2002, entrata nella zona di San Vicente del Caguàn, Ingrid Betancourt viene presa in ostaggio dai guerriglieri delle FARC. Da allora, per circa due anni, il neonato Governo guidato da Alvaro Uribe Vèrez ha accarezzato l'ipotesi di un blitz armato per liberare gli ostaggi, ma esperienze precedenti terminate tragicamente dopo le incursioni delle Forze armate hanno spinto i parenti degli ostaggi a bloccare i piani del Governo.
Nel 2004 di fronte al montare delle proteste dei parenti dei sequestrati, degli ex Presidenti liberali Alfonso Lopez Michelsen ed Ernesto Samper Pizano e dell'opinione pubblica sempre più convinta dell'opportunità e della validità umanitaria dello scambio dei prigionieri, nel mese di luglio, il Governo Uribe annuncia di voler proporre alle FARC la liberazione di 50-60 prigionieri in cambio degli ostaggi politici e militari. La proposta trova nel Governo svizzero e in quello francese un importante sostegno.
Nel settembre successivo, la stampa colombiana pubblica una controproposta delle FARC, che chiedono al Governo di individuare una zona franca per settantadue ore di tregua in cui i negoziatori governativi e gli ufficiali delle FARC avrebbero potuto incontrarsi faccia a faccia per discutere lo scambio dei prigionieri. La proposta dei guerriglieri fu vista positivamente dalla madre di Ingrid, la senatrice Yolanda Pulecio, secondo la quale esattamente come il Governo può incontrare le forze paramilitari (di estrema destra) può anche incontrare coloro che, al di là delle ideologie di appartenenza, allo stesso modo sono terroristi.
Nel 2006 il Governo francese lancia un doppio appello: al Governo colombiano per accettare uno scambio di prigionieri approvato da Bogotà e ai leader delle FARC di dimostrare la serietà delle loro intenzioni per il rilascio dell'ex candidata alle presidenziali Ingrid Betancourt e degli altri detenuti. Nel frattempo, da uno dei capi dei guerriglieri, giunge la notizia che Ingrid è in buone condizioni di salute, relativamente alla propria situazione.
È evidente che la situazione, già di per sé delicata, viene resa ancora più drammatica della crisi istituzionale che sta squassando l'amministrazione Uribe, anche perché - come riporta Maurizio Chierici sul quotidiano l'Unità di oggi - il suo Governo non sopporta la libertà di un'idealista mentre gli scandali stravolgono i vertici dello Stato. In questa Colombia nel caos, il rischio per Ingrid e per gli altri ostaggi di restare isolati e di essere vittime dell'abbandono istituzionale è sempre più grande. La Corte suprema ha già trasmesso la decisione di destituire Uribe che, a sua volta, reagisce accusando le toghe di essere asservite al terrorismo comunista e ai narcos che mettono in ginocchio il Paese da decenni. È in atto un braccio di ferro, insomma, tra il Governo e la magistratura che rischia di lasciare Ingrid per sempre in quel bunker verde che la vede prigioniera.
Per troppo tempo (e sono più di sei anni) la Betancourt è in mano alle FARC. Le trattative hanno subito l'imprudenza e la miopia di arroccamenti ideologici, di impasse imbarazzanti e di diplomazie troppo attente agli equilibri e ai giochi di potere di Bogotà.
Allora, come già accaduto in altre parti dell'America latina, ma anche qui in Italia, le istituzioni e gli uomini di Governo rischiano di rendersi complici di una prigionia strettamente politica. Una prigionia in Colombia dalle tinte fosche, che lascia perplessi di fronte alla decisione di ricorrere indiscriminatamente ai blitz delle teste di cuoio, come in Russia, o di chiudere i canali di comunicazione con i ribelli. Una prigionia che sembra quasi strumentale a chi, senza il puntello di esponenti come Ingrid Betancourt, non potrebbe perseguire i propri interessi.Pag. 17
È in casi come questi, quindi, che si rende necessario uno sforzo civile, solidale e umanitario. C'è un impegno dei parenti degli ostaggi, ad esempio, che da anni cercano di risvegliare l'interesse e l'attenzione del proprio Governo e della comunità internazionale. C'è poi l'impegno della società civile colombiana e dell'associazionismo globale, l'azione combinata, forte e decisa dei Governi esteri, delle diplomazie, che portano alto il nome della democrazia e della tutela dei diritti, degli esponenti politici, che hanno il dovere di intervenire con tutti i mezzi possibili in questioni di carattere principalmente umanitario.
Per questo, quindi, anche in seguito ad un incontro personalmente avuto con Astrid Betancourt, la sorella di Ingrid, ho ritenuto opportuno avviare questa azione, proporre questa mozione, per la quale ringrazio gli oltre duecento colleghi che hanno inteso sottoscriverla, per impegnare il nostro Parlamento e il nostro Governo a farsi carico di questo drammatico problema.
L'impegno francese ha dimostrato che esiste una via alternativa all'uso della forza armata, che può esistere una via diplomatica che preveda canali di comunicazione e trattative pacifiche, anche in vista di una normalizzazione del sistema socio-politico colombiano, vittima del narcotraffico e della corruzione, che mina qualsiasi processo democratico.
La Francia insegna che l'ingerenza umanitaria non ha ostacoli, che l'interessamento da parte di un Paese esterno può davvero contribuire ad un miglioramento delle condizioni negoziali. Il nostro invito e appello è per un impegno concreto ed efficace a favore della liberazione di Ingrid Betancourt e degli altri ostaggi delle FARC. Questo appello ha raccolto larghi consensi in questo ramo del Parlamento, ma mi risulta che analoga iniziativa sia in corso anche, con una raccolta di firme, al Senato della Repubblica, a dimostrazione della trasversalità politica che caratterizza e deve caratterizzare questa iniziativa.
La libertà, infatti, non ha e non deve avere politiche, non può e non deve indossare casacche, non può riconoscere alcuna appartenenza politica e meno ancora partitica o nazionale di natura esclusiva. È quindi nostro dovere dimostrarlo, per quanti, come Ingrid Betancourt, ma anche come Aung San Suu Kyi e altri, soffrono ingiustamente la privazione della propria libertà.
Questa è un'iniziativa partita all'immediato avvio dell'attività di questa legislatura, il 28-29 aprile scorso, che ha visto parallelamente svilupparsi un ulteriore percorso a favore di Ingrid. Mi riferisco alla proposta di assegnarle il Nobel per la pace, al fine di riportare la sua condizione e più in generale le ambiguità che avvolgono la politica del Governo di Bogotà agli occhi di tutta la comunità internazionale, così come fu per la guatemalteca Rigoberta Menchú e per l'esponente dei diritti umani in Birmania, o Myanmar, San Suu Kyi. Una leva, insomma, che, in nome della pace, possa aiutare la donna simbolo dei diritti, della libertà e della pace, che ha fatto di questo le fondamenta del proprio impegno politico, tanto da rischiare la vita, perché il suo esempio potesse rappresentare il primo passo per la pacificazione dei rapporti tra FARC e Governo colombiano.
Il premio Nobel, o meglio la candidatura al Nobel, sarebbe uno strumento che potrebbe gettare luce anche sulle condizioni di disagio e di instabilità socio-politica che la Colombia vive tuttora, stretta tra la morsa dei narcos, dei paramilitari e dei guerriglieri. La società colombiana soffre di un grave depauperamento e di un progressivo svuotamento dei diritti e delle libertà civili, garantiti dalla vasta corruzione politica ed amministrativa. Ingrid aveva cercato, insieme ad altri esponenti politici, di stravolgere questo circolo vizioso, di arricchire il Paese di una nuova prassi democratica, orientata allo sviluppo e al rispetto dei diritti, concentrando sulla reale sovranità popolare, sull'onestà politica e sulla trasparenza amministrativa un processo di normalizzazione e di pacificazione del Paese.
Assegniamo il premio Nobel a Ingrid affinché questo premio possa offrire di nuovo a tutti noi la possibilità di sentirci davvero rappresentati da chi, come lei e altri prima di lei, si sono battuti per la Pag. 18causa della pace, della solidarietà e della fraternità, assicurando un impegno che arriva al punto di sacrificare il bene più prezioso che ciascuno di noi possiede: la libertà. Restituiamole, quindi, la libertà, restituiamole la possibilità di proseguire il suo impegno per una Colombia più libera, equa e giusta, e restituiamo all'America latina l'opportunità di una svolta epocale dopo i lutti, le tragedie, le manipolazioni, i genocidi e i silenzi che hanno fatto per troppi anni di questa splendida terra un luogo di dolore. Non lasciamo sola Ingrid. Facciamolo adesso: restituiamo la libertà a lei e a noi la dignità (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Biancofiore, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00017. Ne ha facoltà.

MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, come è noto, anche se forse non ancora abbastanza, e come raccontato poc'anzi anche dal collega Evangelisti con dovizia di particolari, Ingrid Betancourt, senatrice candidata alle presidenziali colombiane nel 2002, è ostaggio ormai da sei anni delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), una forza paramilitare terroristica la cui guerriglia si ispira ancora all'utopia marxista-leninista. Lo scopo di questa organizzazione militare è sovvertire l'ordinamento democratico colombiano per instaurare un regime comunista e per perseguire tale scopo si autofinanzia attraverso il narcotraffico e si contraddistingue per crimini efferati, quali assassinio di civili, attentati, sabotaggi e rapimenti. Qualcuno, irresponsabilmente, anche in Italia, ha la sconsiderata tentazione di interpretarla come una falange di legittima resistenza colombiana. Viceversa, noi ci auguriamo, come riportato nel testo della mozione che sto illustrando, che si addivenga a un concreto isolamento politico delle FARC che, peraltro dopo la morte del leader storico Marulanda Vélez, conosciuto col sinistro norme di battaglia Tirofijo (colpo sicuro), sono allo sbando. Come ha sostenuto Pablo Casas, del think tank di Bogotà, Sicurezza e democrazia, sono un gigante morente e per loro è l'inizio della fine.
Di un rapimento, appunto, dobbiamo oggi parlare, sperando che non rimangano solo parole. Un rapimento eccellente per le FARC che sta portando alla morte l'eroina di origine francese Ingrid Betancourt, sempre più debilitata nel fisico, anche a causa di una epatite B, nel morale e soggetta a torture fra le quali il costante incatenamento. Per lei ha pregato e invocato il rilascio immediato il Santo Padre Benedetto XVI nel corso dell'incontro avuto con la madre della Betancourt, Yolanda Pulecio, all'indomani del ricevimento di una lettera della figlia che tutti i governi democratici, tutti i parlamentari e l'opinione pubblica dovrebbero conoscere. La lettera di Ingrid Betancourt alla madre sembra essere scritta dall'inferno e con questo titolo è stata pubblicata, infatti, da un nota casa editrice. Si pensi, per capire lo stato d'animo dei protagonisti di questa vicenda - che dovremmo fare nostro - che prima di ricevere quella lettera, nel 2007, la famiglia dal 2003 non aveva notizie né prove della sua esistenza in vita. Ingrid scrive alla madre: «Mamita, sono stanca, stanca di soffrire». Basterebbe questa frase affinché i Governi democratici si mobilitassero concretamente per liberarla. La lettera prosegue ancora: «qui la vita non è vita, è solo un lugubre spreco di tempo. Vivo e sopravvivo su una amaca tesa tra due pali, ricoperta da una zanzariera e da una tenda che fa da tetto e che mi lascia pensare che ho una casa. Ho una tavoletta dove metto le mie cose, cioè il mio zaino e la mia Bibbia; è il mio unico lusso. All'improvviso vogliono le prove della mia esistenza e così ti scrivo. La mia anima è sospesa su questo foglio. Fisicamente sto male, non mangio più, mi manca l'appetito, perdo molti capelli e non ho voglia di niente. Credo che l'unica cosa positiva sia questa: non aver voglia di niente, perché qui, in questa giungla, l'unica risposta è no. Allora, è meglio non desiderare nulla per restare almeno libera dai desideri».Pag. 19
Queste parole hanno lasciato sgomenta me, come credo stiano lasciando sgomenti tutti i colleghi in questa Aula, per l'annientamento della persona che se ne evince. È pertanto il minimo auspicabile che il Parlamento affronti l'argomento e solleciti il Governo a porre in essere ogni azione volta non solo alla assegnazione del premio Nobel a Ingrid Betancourt, per aver scelto di lottare con coraggio e determinazione contro la corruzione e la violenza che dilaga nel suo Paese, ma soprattutto alla sua liberazione.
Ingrid Betancourt sta diventando sempre di più un simbolo per tutti coloro che sono contro la violenza, la corruzione e l'ipocrisia, contro la negazione dei diritti fondamentali dell'uomo e l'imbavagliamento della verità. Il precedente Governo si è caratterizzato per vari colloqui, e dichiarazioni di solidarietà e vicinanza, senza però mai esporsi per concretizzare forme di pressione politica indispensabile; non è mai stato in prima linea nei diversi tentativi di mediazione compiuti anche da organizzazioni internazionali, Stati europei e non. Questa mancanza di coraggio, o, più facilmente, d'interesse per una causa che sembra lontana e che invece è assai significativa per l'umanità intera, era intuibile da spiegare con la scarsità di investimenti nostrani di carattere economico e politico nel Paese, ma anche e soprattutto con una sconsiderata mancanza di intraprendenza della classe politica che ci ha preceduto.
Ora noi, signor sottosegretario, dobbiamo segnare il passo. Il nostro Governo deve distinguersi per il coraggio dell'azione e non è sufficiente chiedere il Nobel per la pace per Ingrid Betancourt, bisogna che la diplomazia cerchi e trovi una soluzione, che i media informino, che l'intero arco parlamentare si impegni, che l'opinione pubblica ne parli, che non si dimentichi che una donna, un simbolo della democrazia, è stata imprigionata e lotta tra la vita e la morte per aver creduto e propagato i valori della democrazia e della pace. Non può essere il tornaconto il fulcro di un'azione politica, ma viceversa la battaglia contro ogni relativismo dei valori. Il premio Nobel per la pace è certamente un modo per tenere in vita Ingrid Betancourt, come lo è stato per Aung San Suu Kyi, prigioniera nella sua casa in Birmania, ma l'unico vero modo per tenerla in vita è riportarla alla vita e restituirla alla speranza della gente.
Dal nostro Governo ci aspettiamo che rompa il silenzio che uccide ogni ideale e concretizzi, insieme alla Francia del Presidente Sarkozy e alla comunità internazionale, la liberazione di Ingrid e degli altri 3 mila sequestrati, e che ponga in essere insieme al Governo colombiano ogni azione politica ed economica per la lotta alla corruzione e al narcotraffico che alimenta l'organizzazione terroristica delle FARC, e ogni azione anche di prevenzione, che troppo spesso si dimentica, una prevenzione internazionale affinché nessun essere umano debba più essere soggetto a tale barbarie (Applausi del deputato Evangelisti).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Biasi. Ne ha facoltà.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, riteniamo particolarmente appropriate le mozioni, e gli impegni che in esse vengono presi, per la liberazione di Ingrid Betancourt, e auspico subito che al riguardo vi sia un lavoro comune, cioè che non prevalga - come succede sempre, purtroppo, in questo Parlamento - su una materia così drammatica come quella dei diritti umani, ciò che ci divide ma ciò che ci unisce.
Amartya Sen nel suo bellissimo libro «La democrazia degli altri» mette in evidenza esattamente questo: oggi ragionare di democrazia e di diritti significa cercare ciò che ci unisce e non ciò che ci divide. Lo dico in particolare perché la liberazione di Ingrid Betancourt, che sta a cuore a tutti noi davvero in modo profondo, richiede unità di intenti, determinazione nelle azioni concrete da intraprendere e capacità comune di questo Parlamento di sollecitare l'opinione pubblica per una vasta mobilitazione (per vasta mobilitazione non intendo naturalmente solo le Pag. 20manifestazioni, ma intendo davvero quello spostamento di coscienze di cui abbiamo bisogno e di cui ha bisogno Ingrid Betancourt per la sua libertà). Ingrid è una donna che lotta per la democrazia nel suo Paese, una donna che non ha esitato a mettere a rischio la sua vita e ad accettare una solitudine, forse senza fine, per difendere i suoi ideali e per consegnare al mondo una nuova Colombia; è un simbolo - lo hanno detto già i miei colleghi - come Benazir Bhutto, Aung San Suu Kyi e Rigoberta Menchú, dell'abnegazione delle donne nella lotta per il riconoscimento dei diritti umani, della libertà e della giustizia sociale; è un simbolo che parla però - lo voglio dire - anche a nome delle donne senza nome, di tutte quelle donne che ogni giorno muoiono per le guerre, e che sono dunque vittime di guerre, di soprusi, di torture, di povertà, di malattie, di autoritarismi e fondamentalismi, donne senza nome che, come Ingrid, sono tenaci nel loro impegno per la libertà e la democrazia.
Scrive Ingrid Betancourt: da dieci anni mi batto per il mio popolo, è pericoloso, i miei figli sono stati minacciati, per due volte hanno tentato di uccidermi, sono consapevole del pericolo, ma non mi faranno indietreggiare perché la speranza è là, davanti a me.
Sei anni di prigionia, naturalmente, minano le convinzioni più profonde e i fisici più forti, ma ritengo che tutti noi abbiamo ancora nel cuore e negli occhi le immagini malinconiche e terribili della prigionia di Ingrid Betancourt e penso che abbia ragione il Presidente Sarkozy quando ha dichiarato che l'obiettivo non è avere la prova che sia viva ma è liberarla. Ritengo anche che, oggi, la comunità internazionale sia quella speranza a cui si richiama Ingrid Betancourt e vada fatto tutto il possibile per giungere ad una soluzione positiva: unire gli sforzi italiani, francesi ed europei in generale per favorire una soluzione umanitaria e negoziata della guerra che tiene prigioniera la Colombia e Ingrid Betancourt.
Da tempo il nostro Paese è attento e partecipe: ne sono prova le mobilitazioni di tante città e consigli comunali, di associazioni, di gruppi di donne, di istituzioni e dei Governi che a diverso livello si sono succeduti e hanno assunto diversi impegni. Non vorrei che noi trasformassimo in una propaganda senza valori ciò che, invece, è una grandissima battaglia. Ad esempio, nella scorsa legislatura si sono avuti diversi incontri con le associazioni italiane impegnate a favorire il processo di pacificazione in Colombia: penso alla Comunità di Sant'Egidio, al Comune di Narni, all'associazione Libera di padre Antonio Dall'Olio, a Cittadinanzattiva, a tante ONG italiane impegnate in Colombia. Si sono individuati concreti interventi mirati a sostenere una possibile apertura di negoziati di pace: dall'aiuto agli sfollati interni, di cui la Colombia detiene il triste primato mondiale, all'offerta di collaborare allo sminamento che, come sappiamo, è un dramma che lascia il segno indelebile su intere generazioni.
Occorre, inoltre, incentivare il lavoro del Governo affinché in Colombia si accenda la speranza di un percorso di pace, cessino le violenze e i sequestri e si possano ricongiungere le famiglie ma, per fare questo, è necessaria una lotta senza quartiere al narcotraffico, che non si diriga solo alla coltivazione ma anche al traffico e al consumo: ci tengo particolarmente a segnalarlo. Ritengo, dunque, che dovremmo lavorare e contribuire per avere presto libere Ingrid Betancourt e le altre vittime e per vedere finalmente voltata la pagina in quel Paese, una pagina di violenza che ha causato moltissimi lutti tra contadini, sindacalisti, difensori dei diritti umani, militari, religiosi, semplici cittadini.
È chiaro che oggi la soluzione dei problemi internazionali, delle guerre, del terrorismo è tutt'uno con l'impegno incessante per la giustizia sociale, l'uguaglianza e l'affermazione dei diritti umani.
La mamma di Ingrid Betancourt, Yolanda Pulecio, dopo il suo viaggio in Italia, ha scritto rispondendo a Walter Veltroni: «Si è detto che Ingrid si è trasformata in un simbolo che ha permesso al mondo intero di conoscere la tragedia che vive la Colombia. Il mio impegno per la sua Pag. 21liberazione e quella di tutti sequestrati è una lotta per i diritti di tutti e per un mondo più giusto. L'Italia, che rappresenta così tanto per la sua storia, per le sue tradizioni culturali di civiltà e anche per le dolorose tragedie che ha vissuto, può fare molto adesso e quando Ingrid recupererà la sua libertà. Lo spero moltissimo.». Sono parole che suonano per noi, davvero, come un imperativo categorico, al quale non possiamo sottrarci perché l'indifferenza sarebbe la peggiore delle soluzioni per un Paese civile, che ha sempre avuto a cuore i diritti umani. Come ho detto, si possono intraprendere molte azioni diplomatiche verso la Colombia, ma di diplomazia si può anche morire.
Occorre accompagnare le scelte istituzionali ad una campagna nel Paese e nel mondo raccogliendo e facendo proprie alcune proposte, come quella, assai importante, dell'assegnazione del premio Nobel ad Ingrid Betancourt, come possibilità di affrettare la sua liberazione: una campagna importante sostenuta dai quotidiani come l'Unità che, a mio avviso, il Parlamento dovrebbe fare propria. I diritti umani sono nel nostro mondo contemporaneo il nuovo codice dell'umanità. Ragione di Stato, scelta economica, relativismo etico non possono che fare un passo indietro di fronte all'affermazione della dignità della persona, all'universalismo della libertà umana, alla consapevolezza del comune destino che ci lega. Infatti, finché Ingrid Betancourt non sarà libera neanche noi lo saremo.
Antonio Cassese, nel suo bellissimo libro sui diritti umani, a proposito dell'utilità dei libri, cita una frase assai pertinente, presa da quello che lui chiama uno scrittore praghese dei primi del Novecento, auspicando che i libri siano come una scure piantata nel mare di ghiaccio che è dentro di noi.
Se il nostro Paese e se il Parlamento riusciranno a dare una mano a liberare Ingrid Betancourt, non saranno le pagine di un libro, ma il nostro amore per la libertà e la democrazia a sciogliere quel mare di ghiaccio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mecacci. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, intervengo a nome della delegazione radicale eletta nel Partito Democratico e, essendo anche il mio primo intervento in Assemblea, colgo l'occasione per farle i complimenti per l'elezione e i miei migliori auguri per lo svolgimento del suo mandato.

PRESIDENTE. Grazie e molte congratulazioni e auguri per questo primo discorso e per i tanti ancora che, sono sicuro, daranno un grande contributo in quest'Aula nei prossimi anni.

MATTEO MECACCI. La ringrazio, signor Presidente.
Oggi ci troviamo a discutere di un tema e di una vicenda umana e politica che è di grande importanza e che merita un dibattito in un Parlamento - anche se è vuoto, purtroppo -, un coinvolgimento pieno del Governo e speriamo anche - sappiamo che non è scontato - dei cittadini e dell'opinione pubblica del nostro Paese.
La storia di Ingrid Betancourt - è stata ricordata dal collega Evangelisti e anche dalla collega Biancofiore - merita davvero di essere ricordata e onorata: è quella di una donna coraggiosa, che si è battuta a lungo e spesso da sola per la difesa della democrazia, dei diritti umani e contro la corruzione in un Paese, come la Colombia, che - lo ricordiamo - da oltre quarant'anni vive terribili conflitti armati, che sono alimentati sì dà contrapposizioni ideologiche, ma anche e soprattutto dal commercio illegale di droga, sulle cui cause profonde però cercherò di soffermarmi brevemente più avanti, con la speranza, non so quanto fondata, che si possa aprire anche nel Parlamento e nell'attuale legislatura una riflessione sui fallimenti di questa guerra di tipo diverso, che si combatte non solo in Colombia, ma anche in altri Paesi del mondo, e che è stata condotta dal nostro Paese, dall'Europa e dagli Stati Uniti nel corso degli ultimi decenni.
Ma, tornando ad Ingrid Betancourt, tengo a sottolineare come sia stata proprio Pag. 22la sua lotta contro la violenza e contro la corruzione a tutto campo, quindi senza distinzioni ideologiche e per il rispetto dei diritti umani, ad averla resa vittima di un rapimento che ormai dura da troppo tempo e che ne sta mettendo davvero a rischio la salute e la stessa sopravvivenza.
Si tratta di rapimenti che sappiamo che in Colombia hanno colpito centinaia e centinaia di persone negli ultimi anni e sono stati realizzati da gruppi armati sia dell'estrema sinistra, sia dell'estrema destra.
Credo che la mozione presentata dal collega Evangelisti ed altri abbia il merito di cercare di affrontare e provare a risolvere questa vicenda attraverso il coinvolgimento della comunità internazionale, a partire dai tentativi che sono in corso e che in parte sono falliti (anche se, ad esempio, nessuno deve rimpiangere il coinvolgimento pieno in tale vicenda, come mediatore, del Presidente venezuelano Chavez, perché mediatore non è, viste anche le indagini che sono emerse in questi giorni e nelle settimane scorse su possibili coinvolgimenti di una sua strategia con le FARC). È importante sottolineare il coinvolgimento, accanto a un Paese come la Francia, di un Paese importante per quella regione, come il Brasile, che recentemente si è reso disponibile a guidare una sorta di gruppo di contatto di Paesi che possono creare un dialogo con le FARC.
Si auspica un dialogo che possa portare alla liberazione non solo di Ingrid Betancourt, ma anche di tutti gli altri prigionieri detenuti dalle FARC, tra cui vi sono - ricordiamolo - anche altri esponenti politici colombiani, prevedendo anche la possibilità di scambio di prigionieri (come è stato ricordato, ciò è avvenuto anche in altri Paesi e avviene ancora: nella giornata di ieri abbiamo saputo che è avvenuto di nuovo in Israele).
Questo approccio credo che miri ad ampliare il coinvolgimento della comunità internazionale nella vicenda e mi pare tanto più convincente, in un momento in cui in Colombia rischia di aprirsi una grave crisi istituzionale.
Infatti, è stata annunciata pochi giorni fa, appena tre, dal Presidente colombiano Uribe, la richiesta al Parlamento del varo di una legge che consenta l'espletamento di un nuovo referendum sulla ripetizione o meno delle elezioni presidenziali del 2006.
Ciò è avvenuto perché la Corte suprema, proprio nei giorni scorsi, ha messo in discussione la legittimità della riforma costituzionale che è stata realizzata prima delle elezioni del 2006 e che aveva consentito la rielezione del Presidente colombiano Uribe (infatti, prima di tale modifica non era possibile la rielezione e la ripetizione di un mandato presidenziale).
Questa crisi istituzionale è esplosa, perché la Corte Suprema ha verificato che sono fondate le accuse di corruzione e di voto di scambio nei confronti di un ex parlamentare, Yidis Medina, che avrebbe, appunto, ricevuto soldi da esponenti governativi, in cambio del suo voto a favore della citata riforma costituzionale. Siamo di fronte, quindi, alla possibilità di una crisi istituzionale in Colombia e credo che, in questo momento, anche alla luce dell'esperienza degli ultimi anni, sarebbe un grave errore fidarsi esclusivamente dell'opera del Governo colombiano come mezzo per riuscire a risolvere anche la questione di Ingrid Betancourt. Ritengo che ciò rappresenti un limite della mozione n. 1-00017 presentata dalla collega Biancofiore.
Affermo ciò, anche perché la strategia e l'ideologia di una soluzione militare finale di una guerra senza quartiere, di una guerra alla droga portata avanti in modo ideologico in questi anni da parte del Governo colombiano, non siano state, purtroppo, parte della soluzione, bensì una parte integrante del problema. Sono, infatti, note le accuse da parte di organizzazioni umanitarie relative alle violazioni dei diritti umani che avvengono, in questo conflitto armato, anche da parte governativa. Sia il Plan Colombia (finanziato dagli Stati Uniti), sia le politiche dell'Unione europea, tra cui spiccano anche quelle del nostro Paese, continuano ad ignorare il fatto che l'unico modo per tagliare davvero i fondi e le risorse a questi gruppi armati - siano essi in Colombia oppure in Afghanistan - è quello Pag. 23di provare a passare ad un mercato regolato - quindi non libero - lo ripeto, un mercato regolato anche degli stupefacenti. Ritengo che il nostro Paese, che svolge un ruolo di guida dell'Agenzia delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, con sede a Vienna, dovrebbe interrogarsi anche su questo tema.
Per concludere, la delegazione radicale eletta nel Partito Democratico ribadisce il proprio sostegno a tutte le iniziative volte sostenere la liberazione di Ingrid Betancourt. Per questo motivo, sosteniamo a fondo l'internazionalizzazione del dialogo tra le parti, per trovare una soluzione che sia, in primo luogo, di carattere umanitario; una soluzione che, attraverso Ingrid Betancourt riunita con la propria famiglia - a tale riguardo vorrei ricordare che nei giorni scorsi era presente in Italia per ricevere un'importante premio per la pace, il premio Galileo 2000 a Firenze, la figlia di Ingrid Betancourt - possa anche servire ad immaginare soluzioni nuove per un conflitto che dura da decenni, che non ha una soluzione militare finale a portata di mano. Tale soluzione, insieme alla fine di questo conflitto armato, dovrebbe essere tale da iniziare a porre fine anche a quella che riteniamo essere una fallimentare guerra ideologica alla droga, che alimenta violenza e sofferenze non solo in Colombia, ma anche in altri - e tanti - Paesi del mondo (Applausi del deputato Evangelisti).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, onorevole Scotti.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei innanzitutto sottolineare che, rispetto al tema dei diritti umani, il Governo auspica il più ampio consenso in Parlamento e nel Paese, affinché l'Italia possa svolgere quel ruolo che ha sempre cercato di esercitare in questo campo, basti ricordare la mozione presentata l'anno scorso alle Nazioni Unite in tema di moratoria sulla pena di morte. Inoltre, poche settimane fa, l'Italia è stata co-promotrice, in seno al Consiglio di sicurezza dell'ONU, della risoluzione in ordine alla violenza sessuale sulle donne come strumento di guerra.
Si tratta di questioni di drammatica attualità e di dimensioni spesso sconosciute all'opinione pubblica del nostro Paese. Per questo motivo, l'Italia segue con attenzione gli sviluppi interni della Colombia, anche nel contesto delle ripercussioni che il conflitto interno sta avendo sull'intera area regionale.
L'Italia è presente e attiva a livello bilaterale, ma partecipiamo attivamente assieme ai nostri partner alla definizione delle iniziative europee in materia. Ne è una dimostrazione il fatto che l'Italia è stata tra i promotori e tra i più attivi sostenitori di diverse non solo dichiarazioni, ma prese di posizione dell'Unione europea.
La situazione, come gli onorevoli firmatari ben sanno, è complessa e delicata. L'attuale Governo è particolarmente sensibile ai risvolti umanitari della vicenda. L'Italia ha più volte, anche con il precedente Governo, testimoniato la nostra vicinanza nei confronti della famiglia Betancourt, anche direttamente alla signora Yolanda Pulecio, madre della senatrice franco-colombiana.
La signora Pulecio sarà nuovamente in Italia nelle prossime settimane ed incontrerà, a Roma, tra gli altri, il Presidente di questo Parlamento e, due giorni dopo, si incontrerà alla Farnesina con i responsabili della politica estera del nostro Paese.
Devo, tuttavia, sottolineare come il Governo colombiano consideri la questione della liberazione degli ostaggi e dei negoziati con le FARC come un affare essenzialmente interno. Il Presidente Uribe, infatti, dopo aver posto termine all'incarico di mediazione del Presidente Chavez per il rilascio degli ostaggi (21 novembre 2007), Pag. 24ha deciso di affidare le trattative per la definizione di una zona d'incontro per lo scambio umanitario alla sola chiesa cattolica colombiana, agevolata dal gruppo dei tre Paesi cosiddetti «facilitatori»: la Francia, la Spagna e la Svizzera.
Nel contempo, i vari tentativi di mediazione internazionale non hanno avuto finora successo, anche a causa dell'inaccettabilità - tanto per il Governo, quanto per le FARC - delle precondizioni poste dall'altra parte per l'avvio di negoziati: da un lato, la richiesta da parte delle FARC di smilitarizzazione di un'area di mille chilometri quadrati, a circa cento chilometri da Cali, come sede di negoziati, dall'altro lato, l'impegno richiesto dal Governo ai guerriglieri detenuti a non riprendere le armi dopo l'eventuale liberazione.
Il quadro è complicato dalla richiesta delle FARC di inserire, tra i guerriglieri da liberare, anche due importanti capi: Sonia e Simon Trinidad, che la Colombia ha estradato negli Stati Uniti ove sono reclusi con la principale accusa di narcotraffico.
Nella sua azione a sostegno delle iniziative internazionali volte a favorire la liberazione degli ostaggi e l'avvio del processo di pace in Colombia, l'Italia ha mantenuto stretti e costanti contatti con la Francia, oltre che con gli altri. Ciò è dimostrato, tra l'altro, dalle formali consultazioni bilaterali a livello dei direttori generali dei Paesi delle Americhe e dei rispettivi ministeri degli Affari esteri che hanno avuto anche recentemente luogo a Parigi.
In effetti, fin dai mesi successivi al sequestro, la Francia ha mostrato un comprensibile dinamismo. Dopo la sua elezione, il Presidente Sarkozy ha più volte discusso l'argomento con il suo omologo Uribe. La liberazione, nel giugno 2007, di un importante guerrigliero - Rodrigo Granda - aveva acceso le speranze, dimostratesi vane, che ciò potesse facilitare la gestione dell'accordo umanitario. Non si può comunque ignorare che la campagna francese per la liberazione di Ingrid Betancourt ha avuto il merito di porre l'accento anche sulle migliaia di sequestrati in Colombia, di cui la Betancourt rappresenterebbe solo - e lo rappresenta - il simbolo più visibile.
Sia in Francia che in Italia ha suscitato grande commozione nell'opinione pubblica la diffusione, il 30 novembre 2007, delle prove di sopravvivenza di un gruppo di sequestrati delle FARC, tra cui quelle relative ad Ingrid Betancourt: un video ed una lettera che ha trascritto alla madre e che sono stati poc'anzi ricordati.
Da tutto questo abbiamo avuto la testimonianza di un precario stato di salute della Betancourt. All'inizio del gennaio del 2008 è stata liberata Clara Rojas, assistente personale di Ingrid, che era stata sequestrata con la senatrice.
Noi ci proponiamo di mantenere nell'immediato futuro uno stretto coordinamento con Parigi, come con gli altri partner europei e con gli altri Paesi più direttamente interessati alla vicenda. Nel far ciò, posso fin d'ora assicurare che accentueremo il nostro impegno verso tutte quelle iniziative che riterremo possano favorire la liberazione di Ingrid Betancourt e degli altri ostaggi, valutandole di volta in volta nel merito.
Tuttavia, la condanna del Governo nei confronti dei metodi che hanno portato alla prigionia di Ingrid Betancourt e degli altri ostaggi è inequivoca. L'Italia ha sempre affermato che il terrorismo non può essere utilizzato come strumento di lotta politica e non ha mancato di condannare l'operato delle FARC. D'intesa con i partner europei l'Italia ritiene, perciò, che il nome delle FARC debba rimanere iscritto nella lista dell'Unione europea delle organizzazioni terroristiche. Per questo motivo non sostenne nel gennaio 2008 la proposta avanzata dal Presidente Chavez, che più recentemente ha, tuttavia, riconsiderato la sua posizione di riconoscere le FARC come gruppo combattente e di cancellarle, di conseguenza, dalla lista dei gruppi terroristici.
L'ultima questione è la lotta al narcotraffico, che è stata sollevata dall'onorevole Evangelisti, ma che è stata ripresa anche dagli altri colleghi. Questo resta uno Pag. 25degli assi della politica estera italiana nei confronti dell'America latina, e quindi anche della Colombia.
Insieme all'azione svolta dal Ministero degli interni italiano e dalla magistratura italiana per quello che riguarda i riflessi all'interno del nostro Paese è importante l'azione internazionale. Presso l'ambasciata d'Italia a Bogotà abbiamo la presenza della Guardia di finanza in qualità di addetta antidroga, stessa figura professionale presente anche presso altre nostre sedi in America latina.
Siamo, però, consapevoli che la battaglia va sviluppata in tutte le direzioni (dalla produzione al traffico e al consumo), come pure siamo consapevoli del fatto che nella lotta contro la coltivazione, il consumo e il traffico di stupefacenti occorre affiancare alla necessaria repressione altri strumenti, come quelli della cooperazione allo sviluppo.
Per questo, l'Italia contribuisce attivamente alle attività in Colombia dell'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine; siamo uno dei principali finanziatori e sosteniamo alcuni progetti della FAO per lo sviluppo di colture alternative alla foglia di coca.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro, pardon, signor sottosegretario (è un augurio o una memoria, o ambedue).
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 1o luglio 2008, alle 15:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, recante disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie (1185-A).
- Relatori: Ravetto, per la V Commissione e Fugatti, per la VI Commissione.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 30 maggio 2008, n. 95, recante disposizioni urgenti relative al termine per il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria (1212-A).
- Relatore: Vitali.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 585 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 maggio 2008, n. 85, recante disposizioni urgenti per l'adeguamento delle strutture di Governo in applicazione dell'articolo 1, commi 376 e 377, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Approvato dal Senato) (1250).
- Relatori: Mannino e Stracquadanio.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Evangelisti ed altri n. 1-00001 e Biancofiore ed altri n. 1-00017 sulle iniziative per la liberazione di Ingrid Betancourt e degli altri ostaggi sequestrati dalle Farc.

La seduta termina alle 16,40.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 26 giugno 2008, a pagina 104, seconda colonna, riga ventiquattresima, dopo le parole: «dal Senato» inserire le seguenti: «e concluso dalla Commissione».