XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 240 di lunedì 12 novembre 2007

[frontespizio]
[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
[indice alfabetico]
[indice cronologico]
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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI

La seduta comincia alle 15.

TITTI DE SIMONE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 6 novembre 2007.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Amato, Bersani, Bindi, Boco, Bonino, Capodicasa, Cento, Chiti, Colucci, D'Alema, D'Antoni, Damiano, De Castro, De Piccoli, Di Pietro, Di Salvo, Duilio, Fioroni, Folena, Forgione, Galante, Gentiloni Silveri, Gozi, Landolfi, Lanzillotta, Letta, Levi, Marcenaro, Maroni, Martino, Melandri, Minniti, Morrone, Leoluca Orlando, Parisi, Pecoraro Scanio, Pinotti, Pisicchio, Pollastrini, Prodi, Realacci, Rigoni, Rutelli, Santagata, Sgobio, Soro, Tremonti, Visco ed Elio Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di un'informativa urgente del Governo (ore 15,05).

PRESIDENTE. Comunico che domani alle 10,30 il Ministro dell'interno renderà un'informativa urgente sulla vicenda dell'uccisione di Gabriele Sandri e sugli incidenti che ne sono seguiti.

In ricordo dei caduti di Nassiriya (ore 15,06).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, quattro anni fa, proprio in questo giorno, avveniva un evento tragico, noto ormai presso l'opinione pubblica come la strage di Nassiriya: diciannove nostri connazionali (diciassette militari e due civili), che partecipavano alla missione di pace Nuova Babilonia, sono rimasti uccisi in un grave attentato nella provincia di Nassiriya.
Credo sia opportuno in questa sede, signor Presidente, ricordare questi caduti e la loro memoria per rispetto al loro operato, al loro sacrificio e alle loro famiglie, specie in un Paese che troppo spesso, in alcuni frangenti, vede striscioni e ascolta cori in cui riecheggia questa vicenda in maniera vergognosa e assolutamente priva di rispetto.
Credo che commemorare in quest'Aula i caduti di Nassiriya sia un atto dovuto, un gesto politico e civile, che mi auguro sia condiviso dai rappresentanti degli altri gruppi.

PRESIDENTE. La Presidenza si associa senz'altro al ricordo delle vittime e al rinnovo del cordoglio ai loro familiari.

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Discussione delle mozioni Leone e Garagnani n. 1-00233 e Germontani ed altri n. 1-00227 sulla disciplina fiscale applicabile alle società cooperative, anche in relazione agli effetti prodotti nei mercati di riferimento (ore 15,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Leone e Garagnani n. 1-00233 e Germontani ed altri n. 1-00227 sulla disciplina fiscale applicabile alle società cooperative, anche in relazione agli effetti prodotti nei mercati di riferimento (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che è stata altresì presentata in data odierna la mozione Volontè e Galletti n. 1-00249, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà discussa congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritto a parlare il deputato Garagnani, che illustrerà anche la mozione Leone n. 1-00233, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, illustro la mozione n. 1-00233, presentata dal collega Leone e da chi vi parla. Essa fa riferimento ad una serie di posizioni che il gruppo di Forza Italia ha assunto in questi mesi e in questi anni sul sistema della cooperazione.
Queste posizioni esprimono una preoccupazione particolare, che è emersa negli ultimi mesi: distinguere le finalità della cooperazione, e soprattutto il principio di mutualità, come è configurato dalla legislazione vigente e come si è formato storicamente nel corso del Novecento, riconosciuto e garantito anche dalla Corte costituzionale, che ha dato luogo ad apprezzabili risultati, da una serie di deformazioni che si sono verificate in questi ultimi anni e che molto spesso, in numerose realtà, hanno assunto un rilievo preponderante rispetto alla finalità tradizionale della cooperazione, sorta per aiutare i ceti meno abbienti, i ceti operai, i ceti agricoli, soprattutto in certe zone del nostro Paese, quali l'Emilia-Romagna, la mia regione, la Lombardia, il Veneto, il Nord Italia in genere.
Di fronte a questa mutazione genetica del sistema cooperativo, occorre ripartire dalla modifica del titolo VI del libro V del codice civile operata del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, che ha definito in modo estremamente sintetico ma significativo - e di questo credo di dover dare atto all'allora Ministro Tremonti - la categoria della mutualità prevalente, distinguendola dalla categoria della cooperazione che ha un obiettivo prevalentemente orientato al mercato e alle logiche proprie delle società operanti in quell'ambito.
Alla luce di questa modifica, pure significativa ma non sufficiente, credo che occorra interrogarsi ed intervenire in merito ad alcuni fatti particolarmente significativi che hanno colpito l'opinione pubblica, configurando vere e proprie distorsioni del sistema cooperativo, soprattutto per quanto riguarda la logica imprenditoriale tout court che ha caratterizzato e sta caratterizzando troppo spesso molte cooperative, e la mancanza di attenzione e di rispetto dei diritti dei soci a partecipare alla vita sociale della cooperativa della quale sono membri e ad essere informati sui movimenti economico-finanziari che la caratterizzano.
Emblematico al riguardo - mi rivolgo al rappresentante del Governo - è il fatto che in molte realtà cooperative - mi riferisco alla mia regione, l'Emilia Romagna, che è quella che conosco meglio, ma questa situazione è presente in molte parti d'Italia - il numero dei soci è di gran lunga inferiore al numero dei dipendenti:Pag. 3anche questo è un segno di un cambiamento e di una mutazione genetica del sistema cooperativo e della necessità che vengano aggiornate le norme del codice che lo riguardano. Questa prassi, ormai largamente diffusa, di avere un numero di dipendenti di gran lunga superiori al numero dei soci credo che vada modificata, perché di fatto priva la cooperazione di quella che era la sua finalità tradizionale, imperniata sul principio di mutualità. Di fronte a questo, a mio avviso, occorre interrogarsi sul motivo per cui a tutt'oggi il sistema cooperativo goda di consistenti vantaggi fiscali, operativi e di semplificazione di adempimenti e di strutture. Ove infatti il principio di mutualità manchi, è chiaro che questi vantaggi devono considerarsi illegittimi.
Da parte nostra, insistiamo con particolare vigore sulla netta distinzione fra cooperative che hanno una funzione sociale - ce ne sono tante che sorgono in ogni parte d'Italia, ad esempio per tutelare i portatori di handicap e gli anziani non autosufficienti: si tratta di iniziative di volontariato che meritano il massimo rispetto e che si pongono in un'ottica di autentico spirito solidaristico, interpretando pienamente il principio di sussidiarietà - e le altre. La realtà ci presenta talvolta un quadro economico-finanziario totalmente diverso, soprattutto in presenza di scandali - ne citerò alcuni particolarmente significativi - e di fatti economicamente abnormi che necessitano di un intervento degli organi di Governo, degli organi legislativi e delle autorità di pubblica sicurezza preposte al controllo di questi ambiti.
Ho citato l'Emilia-Romagna perché recentemente alcune vicende, sulle quali ho presentato un'interpellanza, sono balzate con palmare evidenza all'attenzione dell'opinione pubblica: mi riferisco alla Coopservice di Cavriago, che controlla Servizi Italia Spa con sede in Soragna di Parma, ed è stata quotata in borsa. Credo che occorra chiedersi quale affinità abbia la quotazione in borsa con il principio di mutualità.
Quando la preoccupazione prioritaria degli azionisti - che costituiscono una minoranza rispetto ai dipendenti - è quella delle quotazioni in borsa e del loro livello finanziario, sulla base di una pura competizione nel mercato, mi chiedo come questo si possa conciliare con il principio che ho prima enucleato. Ciò produce una serie di deformazioni che il Governo conosce, ma che credo sia opportuno ed importante ribadire in questa sede.
La questione si rivela però ancor più ampia ed incisiva se si considera il monopolio assoluto che è detenuto dalle cooperative in vari settori (abitazione, distribuzione, sanità ed altro). Tale situazione condiziona infatti negativamente il libero mercato, penalizzando di fatto - piaccia o meno - i consumatori, che sono sempre più vittime di abusi di potere da parte di questi colossi, che, ad esempio, per quanto riguarda la grande distribuzione, hanno cancellato il commercio al dettaglio e qualsiasi altra forma di concorrenza, e che conseguentemente continuano a porre (se non hanno già posto) vasti ostacoli alla produzione ed agli accessi al mercato in questo settore (ma non solo).
Peraltro, in qualche caso particolare, come in Emilia-Romagna, essi beneficiano oltretutto di una legge regionale che fornisce un aiuto ad un sistema che, come si sottolinea nel testo della mozione presentata assieme al collega Leone, è già forte per proprio conto. Il paradosso è infatti questo: una legge regionale aiuta il sistema cooperativo, che però, in una regione come quella in cui abito, è già di per sé predominante, esercitando un monopolio assoluto in tutti questi settori.
A ciò si aggiungono poi i collegamenti trasversali - altro fatto che è stato denunziato a più riprese da molti nostri consiglieri comunali, ma è risaputo - con il sistema degli enti locali e con parti dell'imprenditoria. Ciò determina di fatto una gestione del potere ed un monopolio economico e sociale che condiziona lo svolgimento della vita sociale, economica e politica in Emilia-Romagna, e a Bologna nel caso di specie. Del resto, questo è stato sottolineato dalla documentazione presentePag. 4nel libro di Caprotti, titolare del marchio Esselunga, il quale non ha fatto altro che evidenziare la punta dell'iceberg di un disagio che è conosciuto da tutta l'opinione pubblica emiliano-romagnola: lo scambio fra cooperative rosse ed enti locali; la disinvolta partecipazione o il disinvolto passaggio di amministratori delle une nei ruoli degli altri, a livello di sindaci o assessori; gli appalti, che danno adito a qualche dubbio quanto a regolarità; più in generale, un monopolio di potere di fatto per cui spesso questi giganti, nei settori edilizio, distributivo e sanitario fanno la parte del leone, comprimendo la già scarsa autonomia economica dei singoli che è presente nella nostra realtà.
Ho accennato allo scambio anomalo fra dirigenti e funzionari delle suddette coop (o di parte delle medesime) ed amministratori locali: ma anche senza immaginare chissà quali compromessi o aberrazioni giuridiche ed economiche, è di intuitiva evidenza che chi si trova in una condizione di monopolio in questi settori ed ha storicamente un rapporto privilegiato con il centrosinistra - che, in queste regioni, ha vissuto per lungo tempo una storia di scambio continuo con il sistema delle cooperative - godrà di privilegi che è facile prevedere. In proposito, sono state svolte varie indagini che hanno evidenziato scambi, stretti legami e contributi: si tratta di elementi che credo necessitino di un'attenta riflessione da parte di chiunque, al Governo, sia sufficientemente equilibrato da voler tutelare - come spesso viene affermato dagli amici del centrosinistra - un reale pluralismo economico e sociale, contro comportamenti che di tale pluralismo costituiscono la netta antitesi.
Ho citato deliberatamente un distretto cooperativo che è fra i più elevati e qualificati, quello di Imola (ce ne sono altri nella regione).
Esso si distingue per una sua tradizione storico-culturale significativa (che non è mia intenzione negare in questa sede), ma anche per l'industriosità, l'operatività e la ricchezza prodotta (è sufficiente, al riguardo, osservare i fatturati di queste cooperative, che non cito, le quali molto spesso contano più di mille dipendenti ed operano nel mercato internazionale a livello di vere e proprie holding imprenditoriali).
Mi fa piacere che vi siano realtà italiane che operano in tutti i mercati da tali posizioni, ma la realtà - e l'anomalia - risiede nel fatto che queste vere e proprie holding beneficiano di un trattamento fiscale e legislativo di privilegio rispetto ad analoghe holding che non hanno la forma e la struttura cooperativa. Questa è l'anomalia di fondo che - credo - dobbiamo affrontare: essa è già stata affrontata parzialmente ma, a mio giudizio, in modo non sufficientemente garantista, con riferimento a realtà che faticano a decollare in presenza di tali monopoli.
Potrei citare tutta una serie di disfunzioni che la stampa - non solo quella di centrodestra - ha evidenziato ad ogni piè sospinto, ma tutte queste disfunzioni ed anomalie fanno riferimento all'ibrida commistione tra il principio di mutualità e quello del vantaggio economico e della libera iniziativa privata, il quale è pienamente legittimo ma non si confà alla struttura, alla natura giuridica e, soprattutto, agli obiettivi e agli scopi della cooperazione tout court, determinando squilibri evidenti a tutti.
Di fronte a tale situazione veramente grave - al limite dell'ingiustizia ma anche della vergogna - occorre intervenire. Quando si assiste ad un privilegio, che è consacrato anche da provvedimenti di legge, senza che nessuno intervenga per porre rimedio alle ingiustizie commesse in nome di tale principio, credo infatti che si ponga chiaramente un problema morale, che tanto un'Assemblea legislativa quanto un Governo debbono affrontare con esatta cognizione di causa, senza fare di ogni erba un fascio, distinguendo tra cooperativa e cooperativa e, come dicevo prima, tra finalità puramente sociali (che tutti riconosciamo ed auspichiamo) e obiettivi puramente economici (che debbono essere riconosciuti come tali e sanciti dal punto di vista della legge come per le altre imprese).Pag. 5
Di fronte a ciò occorre, ripeto, un intervento. Da ciò deriva la ragione della mozione in esame, che abbiamo presentato, a nome del gruppo di Forza Italia, consapevoli di farci carico di un bisogno largamente diffuso in tutte le realtà d'Italia, soprattutto in alcune del Centro nord, e della necessità di porre rimedio ad un'ingiustizia.
Ho fatto riferimento anche al sistema sanitario e a quello edilizio. Ma come e da chi viene posta in essere la calmierazione dei prezzi di tanti immobili, oggi che si registra il problema drammatico della casa, considerato che questi colossi sono gli unici che determinano i prezzi sul mercato e sono in grado di condizionare i piccoli e medi operatori economici, magari associandoli alle loro realtà (come succede nella mia città, Bologna, e in tutta l'Emilia-Romagna) e determinando, di fatto, un monopolio con l'ausilio di coloro che sono obbligati, volenti o nolenti, a stare in quel sistema?
Ma ciò non è giusto e non può durare, in nome di tali principi. Questa è solo una parte del problema, ma tutti potremmo verificare molto attentamente, nel settore edilizio, la gestione degli appalti e il rapporto tra gli enti pubblici che commissionano gli appalti e alcune grosse cooperative edilizie ed alcuni grossi comparti che si sono sviluppati ultimamente un po' in tutta Italia. Credo che sarebbe opportuno ed interessante andare oltre la pura enunciazione di principi. Noi abbiamo fatto denunce clamorose, che non intendo ripetere in questa sede. Mi limito solamente a citare i titoli di alcuni quotidiani come il Giornale, il Corriere della sera e la Repubblica, secondo i quali in Emilia-Romagna le coop rosse vincono un appalto su quattro in un determinato settore, due su tre in quello sanitario.
Ci troviamo, dunque, di fronte ad intrecci inspiegabili, da un lato, e troppo spiegabili, dall'altro, nel senso che essi richiedono una visione appropriata, ma soprattutto la percezione che queste iniziative economiche, se continuano a svilupparsi in questo modo, determinano di fatto una turbativa del mercato e del pluralismo economico e penalizzano il cittadino, soprattutto, il cittadino-consumatore.
Anche alla luce dell'impossibilità o dell'incapacità dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato di valutare, con gli scarsi strumenti giuridici ed operativi a sua disposizione, se il diverso trattamento amministrativo e fiscale di cui godono le cooperative non comporti distorsioni ed alterazioni del mercato, noi riteniamo opportuno, a fronte di tale situazione, l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema cooperativo; essa, alla luce di quanto denunciato, si giustificherebbe ampiamente in presenza di una serie di indicatori economici e sociali che reclamano un'iniziativa che sia al di sopra o collaterale rispetto a quella dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Si tratterebbe di un atto di giustizia che il Parlamento può e deve compiere, non, sia ben chiaro, per penalizzare qualcuno in particolare - anche se è evidente che istituendo tale Commissione si mira a porre rimedio a determinate ingiustizie - ma soprattutto per verificare il funzionamento anomalo del sistema, proprio al fine di consentirne il funzionamento, per restituire sia una dignità cooperativa e mutualistica a chi la merita, sia una dignità imprenditoriale tout court e con strumenti legislativi ad hoc a chi svolge un'attività imprenditoriale che non ha i caratteri della mutualità.
Ritengo che non sia un atteggiamento punitivo; si tratta di ripristinare uno status giuridico che si è alterato nel corso del tempo determinando disfunzioni, distorsioni e vere e proprie violazioni della legge, cui in precedenza mi riferivo. In tale senso, un utilizzo non punitivo della Guardia di finanza - che auspico, visto che viene utilizzata in altri sensi - per verificare se vi siano state violazioni della normativa vigente in materia di mutualità prevalente e di diritti economici e sociali spettanti ai soci, con riguardo alle cooperative che operano con contratti particolari con le pubbliche amministrazioni, si impone. Inoltre, credo che non sia da sottovalutare il diritto dei soci sia adPag. 6essere informati, sia ad essere soggetti di una promozione economica e di un'iniziativa economica della cooperativa. Tuttavia, i soci, come ho affermato all'inizio del mio intervento, sono una minoranza rispetto ai dipendenti mentre in realtà tutti dovrebbero essere soci. Non si può assistere, come succede in alcune grandissime cooperative presenti in Emilia Romagna, a fenomeni in cui a fronte di migliaia di dipendenti - mille, 1.200, 1.300 (mi riferivo in precedenza al distretto di Imola, ma Modena e Reggio Emilia sono un altro esempio) - vi sono solo duecento o cento soci. È evidente che qualcosa non quadra. Dobbiamo intervenire su tale punto, perché siamo di fronte ad una palese violazione dei principi sanciti dalla legge.
In questo senso, in conclusione, credo che occorra continuare nell'indirizzo già attuato dal Governo precedente a quello attuale che con la riforma del titolo VI del libro V del codice civile ha definito, in termini diversi rispetto alle fasi precedenti della vita del nostro Paese, il concetto di mutualità prevalente.
Ritengo che occorra intervenire ulteriormente, definendo tale istituto in modo più approfondito, talora accentuando il livello di pressione fiscale e talora invece esentando gli enti dalla stessa; nella fattispecie, comunque, si deve accentuare la pressione fiscale perché alcune di queste cooperative beneficiano di privilegi fiscali dei quali non godono imprese che hanno lo stesso titolo, lo stesso obiettivo e gli stessi parametri economici ma che sono identificabili come imprese tout court. Credo che tale intervento sia indispensabile per quel principio di equità che ogni italiano invoca in presenza, peraltro, non solo di disfunzioni ma di vere e proprie alterazioni dei normali principi giuridici ed economici che hanno caratterizzato il nostro Paese.
Concludo il mio intervento, pur avvertendo che potrei svilupparlo ulteriormente perché ho un lungo cahier de doléance, signor sottosegretario, in ordine alla cattiva applicazione della normativa in vigore e a una serie di violazioni e di rapporti anomali tra enti locali e cooperative.
In questa sede ci basta illustrare il principio, chiedere un intervento dell'Assemblea e, soprattutto, individuare alcuni strumenti operativi - la Commissione di indagine parlamentare, a mio modo di vedere, senza però avere finalità punitive, potrebbe essere uno strumento idoneo in questa ottica - che consentano di uscire da una situazione che, così com'è, non può più essere accettata e tollerata in nome di quei principi di libertà, di rispetto della concorrenza e di garanzia del pluralismo economico che, a parole, tutti diciamo di voler salvaguardare (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Germontani, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00227. Ne ha facoltà.

MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, signor sottosegretario, intervengo anch'io per illustrare la mozione presentata da me e da numerosi altri parlamentari del gruppo di Alleanza Nazionale che chiede una riflessione parlamentare su una questione importante relativa alle cooperative ed alle facilitazioni fiscali concesse a queste ultime.
La questione è stata sollevata recentemente da Bernardo Caprotti, presidente di Esselunga, con il suo libro Falce e carrello, ma in realtà oggi vogliamo portare all'attenzione di questo ramo del Parlamento il tema in generale.
Credo che si debba inquadrare storicamente la nascita delle cooperative perché troppo spesso ce ne dimentichiamo e perdiamo il ricordo degli scopi per i quali sono nate. Circa a metà dell'Ottocento, in Inghilterra, lo scopo della società dei «Probi Pionieri di Rochdale» era adottare provvedimenti per assicurare il benessere materiale e migliorare le condizioni familiari e sociali dei soci.
Tale iniziativa, a differenza di altre tentate in precedenza, ebbe un grande successo dovuto soprattutto all'idea di fidelizzare i soci attraverso il meccanismo della ripartizione di utili in proporzione agli acquisti, ossia al numero delle operazioni effettuate con la società.Pag. 7
Questa esperienza si è diffusa nel resto d'Europa, rispetto alla quale in Italia è arrivata abbastanza tardi. Le prime cooperative nascono, infatti, in Italia per dare una risposta sulla base del principio di solidarietà a problemi immeditati e particolari come la disoccupazione ed il costo della vita. Cooperazione di consumo e cooperazione di lavoro sono i due filoni del movimento cooperativo che compaiono in Italia quasi contemporaneamente. Le prime cooperative nascono direttamente sui posti di lavoro e si distinguono per il mestiere esercitato dai soci.
Accanto agli scopi iniziali, soprattutto di previdenza sociale, prendono corpo iniziative collaterali nel campo del consumo come la realizzazione di spacci alimentari nei quali vengono venduti, a prezzo di costo, generi di prima necessità con lo scopo evidente di difendere il potere di acquisto del salario dalla speculazione commerciale.
La diffusione della cooperativa trova sostegno da parte di esponenti prestigiosi quali Giuseppe Mazzini, un esponente del nascente socialismo come Andrea Costa, un liberale giolittiano come Luigi Luzzati e lo stesso Cavour, che favoriscono lo sviluppo dell'associazionismo operaio e artigiano.
Nell'autunno del 1886, a Milano, si riunivano in congresso cento delegati in rappresentanza - anche questi dati sono importanti da ricordare nel momento presente - di 248 società e di settantamila soci, dando vita ad una struttura organizzativa che assicurasse lo sviluppo e il coordinamento di un movimento cooperativo molto variegato. Nasce così la Federazione nazionale delle cooperative che, alla fine dell'Ottocento, si trasforma in Lega delle cooperative.
Già dalle primordiali organizzazioni cooperative emerge quindi il tratto peculiare di tali strutture: lo scopo mutualistico che consiste nel favorire un risparmio per i soci aderenti.
Le cooperative hanno rappresentato, dunque, un'importante spinta sia economica, sia sociale per il nostro Paese. Tale importanza è stata riconosciuta dall'articolo 45 della Costituzione che «(...) riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata». La legislazione italiana stabilisce parametri ben precisi per la tutela dell'interesse mutualistico nella sua interezza.
È sancito, infatti, il divieto di distribuire ai soci utili superiori alla relativa quota, l'obbligo di accantonamento a riserva non distribuibile degli utili realizzati e il loro investimento nella società o la devoluzione ad altre finalità mutualistiche. L'articolo 14 della legge 17 febbraio 1971, n. 127 stabilisce che «Le società cooperative non possano essere trasformate in società ordinarie, anche se tale trasformazione sia deliberata all'unanimità». Inoltre, il secondo comma dell'articolo 2515 del codice civile stabilisce: «L'indicazione di cooperativa non può essere usata da società che non hanno scopo mutualistico».
La cooperativa, quindi, è stata concepita e studiata correttamente, affinché venga garantito uno scopo mutualistico, che è in primis l'obiettivo cardine che nel recente contesto economico rappresenta una garanzia per la stessa cooperativa rispetto alla capacità di poter competere sotto ogni punto di vista.
Ho fatto questa lunga premessa per sottolineare che la cooperazione ha rappresentato e rappresenta tutt'oggi un fondamentale strumento economico e sociale, che ha contribuito e contribuisce alla crescita e allo sviluppo del nostro Paese. In alcuni casi, però, le cooperative hanno perso questo originario carattere mutualistico, diventando vere e proprie holding.
Mi riferisco, in particolare, alla grande distribuzione commerciale di cui oggi la Lega delle cooperative è leader assoluta con 1.331 punti di vendita tra supermercati ed altri locali pubblici, realizzando nel 2006 ricavi da vendita al dettaglio per un totale di 11,8 miliardi di euro, che rappresentano il 3 per cento del prodotto interno lordo italiano. L'associazione di consumatori Altroconsumo ha diffuso uno studio dal quale risulta che i prezzi di Ipercoop e Coop vengono stimati in mediaPag. 8più alti rispetto, ad esempio, all'Esselunga, rispettivamente del 5 e del 10 per cento.
Inoltre, dallo studio di Altroconsumo emerge che, nelle regioni in cui è subentrato un competitor privato, i prezzi si sono notevolmente abbassati. Se ne deduce che è l'azienda privata - e non la cooperativa - a calmierare i prezzi. I soci delle nove maggiori cooperative di consumo sono ormai milioni e partecipano in modo fatalmente ridotto alla governance e ricevono in cambio - sotto forma di agevolazione sugli acquisti e ritorni dell'utile - una cifra non molto diversa da quanto ricevono i clienti fidelizzati della grande distribuzione privata.
Oggi le cooperative aderenti alla Legacoop sono attive - spesso in posizione di eccellenza - in numerosi settori dell'economia del Paese. In particolar modo, la base sociale delle cooperative aderenti alla Legacoop continua a crescere a ritmi sostenuti. Infatti, nel 2004 grazie ad un incremento del 7,8 per cento viene superata la soglia dei 7 milioni di soci e il totale dei cittadini che aderiscono ad una cooperativa raggiunge così 7.354.724 unità. La finalità dell'esercizio dell'attività economica non si traduce per la cooperativa nella più alta remunerazione del capitale investito, come per le altre società, ma nel maggior guadagno o nel risparmio di spesa. Grazie alle agevolazioni fiscali previste per la cooperativa a parità di utile lordo, l'incidenza dell'imposta di registro per le imprese collettive risulta del 17 per cento contro il 43 per cento delle società commerciali.
Un altro grande vantaggio riguarda l'IRAP, del quale beneficia la gestione finanziaria. Le cooperative, in effetti, si comportano come una banca vera e propria, dato che possono sollecitare il pubblico risparmio dei soci, senza però essere sottoposte agli stringenti controlli della Banca d'Italia. Alla fine dello scorso anno, i soci delle cooperative di consumo avevano versato 11,4 miliardi di euro (300 milioni in più rispetto al 2005), che, insieme a quelli prodotti dalla cassa ordinaria, sono stati investiti in strumenti finanziari. Nel 2006, tali investimenti hanno prodotto un rendimento di 283 milioni di euro. In banca tale attività rientra nella gestione ordinaria e, quindi, l'IRAP si paga per intero, al contrario di quanto avviene nelle aziende con posizione finanziaria positiva, come nel caso delle coop. Così le coop hanno ottenuto un risparmio fiscale di oltre 12 milioni di euro.
Un altro importante vantaggio riguarda il diritto del lavoro. Nel 2001, sotto il Governo Amato, è stata approvata una legge, la n. 142, che permette di non applicare ai soci lavoratori delle cooperative il famoso articolo 18, tanto strenuamente difeso dalle forze sindacali e dalla sinistra: non applicare l'articolo 18 significa che i soci lavoratori delle cooperative possono essere licenziati anche senza giusta causa. C'è poi da dire che i lavoratori a tempo determinato assunti nelle cooperative spesso superano la quota del 15 per cento, quota prevista dal contratto nazionale di distribuzione cooperativa, un limite facilmente aggirabile anche grazie a numerose deroghe. Il modo più spesso usato per superare il tetto, prima che fossero emanate diverse sentenze della Corte di giustizia europea, erano i cosiddetti contratti di sostituzione: si assumeva a tempo determinato una persona che ne sostituiva un'altra, ma nel contratto non veniva indicato chi veniva sostituito e così si poteva superare surrettiziamente il limite.
Un'altra deroga che i sindacati confederali hanno accettato riguarda i negozi di nuova apertura che possono essere gestiti da una quantità di precari superiore ai limiti fissati dal contratto, per un periodo che può arrivare fino a ventiquattro mesi. L'assurdo è che da nessuna parte è scritto di quanto si possa eccedere. Ciò significa che, in teoria, possono essere precari anche tutti i dipendenti. Un'altra pratica utilizzata dalle coop è quella di assumere con contratti part-time e, contemporaneamente, far firmare al lavoratore il cosiddetto «patto modificativo» che consente all'azienda di cambiare unilateralmente, con brevissimo preavviso, l'orario di lavoro.Pag. 9
Questi sono solo alcuni esempi che evidenziano come quello che dovrebbe essere il regno della mutualità, della solidarietà e del rispetto del lavoro e dei lavoratori non sia molto diverso dall'impresa privata. Ci si trova, quindi, nella assurda situazione in cui due società, che non si differenziano molto in termini di vantaggi per il socio cliente, hanno regimi fiscali diversificati. Il risultato è naturalmente - noi riteniamo - una distorsione del mercato e della concorrenza, a danno delle imprese che possiamo definire «normali» che devono fare i conti non solo con una tassazione più alta ma anche, come sostiene Caprotti nel suo libro, con ingerenze da parte di compiacenti amministrazioni locali.
Ho appreso con favore che lo scorso 10 ottobre è stato siglato dal Ministro del lavoro Damiano, dal sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico Stradiotto, dai rappresentanti di AGCI, Confcooperative, Legacoop, CGIL, CISL e UIL, l'intesa di attuazione del protocollo welfare del 23 luglio per promuovere l'azione di contrasto al fenomeno delle cooperative spurie che non perseguano lo scopo mutualistico. Come vede, signor sottosegretario, abbiamo fatto un esame approfondito della questione. Il protocollo avvia la costituzione di osservatori che sono composti dai rappresentanti delle parti sociali firmatarie e dai rappresentanti di INPS e INAIL per le attività di controllo e repressione dei comportamenti che violano la normativa sui rapporti di lavoro. Il protocollo prevede, inoltre, il varo di iniziative per favorire l'adozione di trattamenti economici complessivi da parte delle cooperative e per assicurare l'istituto della revisione cooperativa ai fini dell'aggiudicazione degli appalti pubblici.
Riconosciamo che si tratta sicuramente di un primo passo nella direzione auspicata da me e dal mio partito, Alleanza Nazionale. Infatti, il nostro non vuole essere un attacco al sistema cooperativo, ci tengo a precisarlo, ma una richiesta di chiarezza e di trasparenza, una volta tanto in questo Parlamento, affinché possano accedere ai benefici previsti per legge solo aziende che ne abbiano veramente i requisiti. Perché oggi ci dobbiamo occupare, infatti, delle coop e anche del libro denuncia di Caprotti? A mio giudizio, al di là delle polemiche più o meno strumentali, il vero motivo del nostro dibattito è racchiuso in un quesito, ad un tempo economico e giuridico, che riguarda il rispetto della libera concorrenza. Caprotti è stato davvero penalizzato dalle coop? Secondo quanto afferma il presidente di Esselunga, la Lega delle cooperative, di fatto, è oggi un «pachiderma» economico-finanziario che si regge su impensabili protezioni, privilegi fiscali inauditi e un monolitico sistema burocratico-amministrativo. In altre termini, le odierne coop «rosse» hanno tradito l'originaria finalità mutualistica - quella di cui parlavo all'inizio del mio intervento - trasformandosi in vere e proprie holding?
I diritti dei consumatori sono, ancora oggi, veramente tutelati? L'intera vicenda illustrata nel libro Falce e carrello poteva essere evitata? Quali sono stati gli opportuni controlli? Si potrebbe continuare all'infinito e potremmo disquisire sui terreni propri dell'autorità giudiziaria o dell'Authority a tutela della libera concorrenza.
Da parte mia e del gruppo di Alleanza Nazionale desidero rivolgere un solo quesito al Governo oggi presente. L'articolo 45 della Costituzione stabilisce - lo voglio ripetere - che: «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità». Pertanto, è lecito, oggi, pretendere in sede parlamentare che la nostra Costituzione sia rispettata da tutti, anche dalle Coop rosse.
Concludo, svolgendo un richiamo alla libertà e alla democrazia. Il nostro è un Paese moderno, democratico e liberale e, quindi, vi è il diritto e il dovere di attivarsi quando, anche solo da parte di alcuni, sorge un dubbio su una questione poco chiara. Un Paese moderno, democratico e liberale quale è il nostro, ripeto, ha ilPag. 10dovere di indagare e di sapere se, a discapito di molti che realmente perseguono fini solidaristici e mutualistici, esistono delle storture create da lobby che operano in modo non sempre trasparente. Chiediamo, oggi, al Governo e all'Assemblea questa trasparenza e questa chiarezza, anche con il voto sulla mia mozione e sulle altre.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mungo. Ne ha facoltà.

DONATELLA MUNGO. Signor Presidente, in primo luogo mi sento quasi di ringraziare i colleghi intervenuti precedentemente, poiché probabilmente, stretti come siamo da altre contingenze, urgenza e priorità, non avremmo affrontato spontaneamente (mi riferisco alla maggioranza) il dibattito sulla cooperazione in Italia. Sarebbe un peccato, in quanto si tratta di un settore di grande interesse che rappresenta il 7 per cento del PIL del Paese e che assorbe moltissimi lavoratori. La cooperazione, inoltre, opera - come ricordava precedentemente la collega Germontani - nel settore del consumo, della distribuzione, della produzione del lavoro e nel settore sociale. Quindi, si tratta di un tema di grandissimo interesse.
Auspicherei che su tale tema si discutesse senza strumentalizzazioni e senza pregiudizi ideologici. Ad esempio, provo un certo fastidio nell'ascoltare spesso l'espressione Coop rosse, in quanto non si tratta dell'unica fonte di cooperazione nel Paese. Vorrei ricordare, ad esempio, che nella regione da cui provengo - la stessa da cui proviene lei, signor Presidente, e il collega Garagnani - vi è una rete fittissima di negozi che operano nel settore della media distribuzione (più che in quello della grande distribuzione). Tali negozi si chiamano Conad; hanno un'altra provenienza e sono assolutamente presenti in modo capillare sul territorio. Non mi risulta che ciò abbia provocato sconcerto, se non, anzi, la possibilità di avere una certa qualità rispetto ai negozi medio-grandi, prima che si sviluppasse la grande distribuzione, ed ora proseguono la loro attività nonostante vi siano i colossi della distribuzione. Infatti, il collega Garagnani sa benissimo, essendo bolognese, che sul territorio di Bologna insistono i colossi della distribuzione, i quali fanno legittima concorrenza rispetto alle cooperative di consumo.
Affermo ciò, in quanto non vorrei affrontare il tema sotto il profilo ideologico; vorrei, infatti, affrontare, da una parte, la reale potenzialità e la ricchezza che il settore cooperativo ci offre e, d'altra, i problemi che ci pone davanti. È evidente, infatti, che la tutela (garanzia prevista dall'articolo 45 della Costituzione alla cooperazione e al principio di mutualità) deve essere accompagnata da una funzione sociale. Su tale aspetto non vi è alcun dubbio. Tutto ciò deve essere rapportato, soprattutto, alla base sociale ed al reinvestimento degli utili, in quanto non si perseguono profitti, ma ricchezza distribuita e diffusa.
Da questo punto di vista ritengo che, per parlare del settore cooperativo, non si possa partire dalle distorsioni: sarebbe come se, per parlare delle banche, affrontassimo le distorsioni (ben grandi, evidenti e, ahimè, ormai quasi quotidiane) del sistema bancario. È chiaro che vi sono fenomeni patologici che, come tali, vanno stigmatizzati. Mi riferisco, ad esempio, al caso di Coopservice, citato dal collega Garagnani, in cui è evidente che non vi è più l'intento mutualistico e che la partecipazione azionaria non rispetta più quei principi: la lega delle cooperative e la cooperazione reggiana e nazionale hanno stigmatizzato quanto avvenuto, non riscontrando più i principi della cooperazione e, anzi, ponendo l'accento e l'attenzione su possibili distrazioni del patrimonio aziendale.
Come vediamo, vi è - e vi deve essere - una capacità sempre maggiore di vigilanza interna ed esterna: cosa che, ad esempio, è stata attuata, con riferimento a quella esterna, nella scorsa legislatura, con il provvedimento al quale prima si accennava. Tali eventi gravemente distorsivi, a mio avviso, hanno reso consapevoli le centrali cooperative e quelle aderenti sottoPag. 11il profilo di un rispetto maggiore, di una capacità di controllare e di farsi controllare, al fine di evitare che, da uno o più episodi distorsivi, si ricavi l'interpretazione sulla normalità.
Su alcune questioni riguardanti il mondo del lavoro, invece, sono d'accordo con la collega Germontani: non siamo, infatti, nel campo delle agevolazioni fiscali, che sono fissate e previste, non sono scandalose e non sono legate alla dimensione della cooperativa stessa. Non è scritto che la cooperativa debba essere piccola per essere aiutata: la sua dimensione dipende dalla sua capacità di reinvestire, di essere presente nei settori in cui opera, di essere efficace ed efficiente in ordine alla penetrazione nel mercato, e così via. I benefici fiscali sono conferiti per la funzione sociale svolta, ma la Costituzione non prevede alcuna differenza riguardante i diritti dei lavoratori, né, naturalmente, potrebbe farlo.
Il Protocollo al quale prima si accennava prende avvio da quello sul welfare più generale siglato il 23 luglio scorso; mi riferisco al capitolo sulla cooperazione che si sostanzia nelle tre pagine siglate il 10 ottobre, in cui il Governo e le parti sociali assumono determinati impegni. In questa sede chiediamo al Governo che siano rispettati gli impegni assunti in quel Protocollo, ossia quello di agire efficacemente sulle cosiddette cooperative «spurie» e contro il dumping contrattuale: questo, sì, infatti, altera la concorrenza, e soprattutto non concede ai lavoratori delle cooperative le stesse opportunità attribuite ai lavoratori impiegati in imprese private non cooperative.
A nome del gruppo Rifondazione comunista mi sento di affermare che dovremmo modificare le norme previste con riferimento alla figura del socio cooperatore, tornando al regime previgente. È evidente che, se tale figura viene utilizzata per aggirare l'applicazione del contratto, non possiamo essere d'accordo: a nostro avviso, il socio lavoratore deve essere trattato principalmente come un lavoratore, con un contratto distinto rispetto alla sua funzione associata.
Si può, quindi, parlare di miglioramento e di attenzione anche interna al mondo cooperativo, con la consapevolezza che la cooperazione rappresenta un grande valore per il nostro Paese, ovviamente non solo in termini economici. La cooperazione nel corso degli anni ha svolto - e può continuare a svolgere - tale funzione che muta al modificarsi delle condizioni: non si può pensare che la cooperazione di oggi sia quella dell'Ottocento, quando essa è nata.
Ringrazio la collega Germontani per la storia sulla cooperazione che ha riportato: visto che ho meno tempo di lei, la evito. La collega ha correttamente riportato un percorso che però non ci induce ad affermare che attualmente la cooperazione funziona solo se è piccola e sociale, ma che essa funziona solo se rispetta il rapporto con la base sociale e il principio del reinvestimento degli utili per il benessere collettivo.
Entro solo brevemente nella polemica con il signor Caprotti, perché, a mio avviso, non si tratta di un argomento che debba riguardare quest'Aula. Se il signor Caprotti ritiene che vi siano state alcune violazioni, come segnala, rispetto all'assegnazione di aree non dovute, a collusioni con enti locali o con la sovrintendenza, ricordo che per condotte di questo genere esiste la procura della Repubblica. Laddove sussistessero fatti di questo tipo, invito chiunque - non solo il signor Caprotti - a farsi portavoce presso la procura della Repubblica per segnalare eventuali reati.
Io mi riferisco, invece, alla questione politica più in generale: è o meno alterato il principio della concorrenza, come affermato prima dalla collega Germontani? È questo aspetto che va valutato, ossia se dietro la cooperazione si possa mascherare un'impresa vera e propria con tutte le caratteristiche di mercato. A mio avviso questo è il tema fondamentale e ritengo che ciò non valga per maggior parte delle cooperative del nostro Paese.
Pertanto, soltanto nei casi di cui parlavamo prima, ossia di quelle cooperative che o non sono tali, perché sono false o hanno smarrito per strada il loro intentoPag. 12mutualistico, compiendo atti concreti, come nel citato caso della Coopservice, o hanno, in qualche modo, scavalcato o coartato la volontà dei propri soci, come nel caso Unipol, credo che occorra intervenire per salvaguardare il principio della concorrenza, colpendo o intervenendo dal punto di vista legislativo per migliorare la governance, per esercitare un controllo interno non solo delle centrali cooperative sui loro associati, ma anche interno alla cooperativa stessa. Da questo punto di vista, penso che dobbiamo migliorare la legislazione attuale e che, pertanto, occorra evitare una discussione strumentale o ideologica, una divisione tra destra e sinistra, tra cooperative buone - quelle di un certo settore o di una certa provenienza politica - e cooperative cattive.
Credo che vadano valutati lo scopo e la funzione, come prevede la nostra Costituzione. Dunque, se questa discussione darà origine ad un dibattito serio e approfondito, cui il mio partito intende partecipare con proposte concrete, che facciano del settore della cooperazione una priorità di intervento per il Governo - che, come gruppo politico, sosteniamo - essa sarà stata utile per il bene del nostro Paese.
Dobbiamo ancora ascoltare le posizioni del Governo e degli altri gruppi, ma mi auguro che da questo dibattito possa scaturire un intervento più incisivo. Mi richiamo ai contenuti del protocollo sopra citato e mi auguro che il Governo voglia dar seguito, ai sensi dei punti c) e d) del protocollo stesso, agli impegni che ha assunto con atti amministrativi o provvedimenti di carattere normativo, che intervenga sull'applicazione dei contratti e sul rispetto delle norme nei confronti dei lavoratori, così come sulla revisione cooperativa degli appalti. Su questo punto vi è un impegno scritto che deve essere seguito da atti. Pertanto, attendiamo l'intervento del Governo al riguardo, con l'auspicio che si mantenga un rapporto fecondo con le parti sociali, affinché dalle stesse, dalle centrali cooperative e dai sindacati possano provenire suggerimenti e miglioramenti sul piano della vigilanza e il monitoraggio previsto dai punti a) e b) del protocollo produca a breve qualcosa su cui ragionare concretamente per comprendere dove e come è meglio agire.
Concludo per il momento e mi riservo di ascoltare gli interventi degli altri deputati e del Governo, per comprendere quale possa essere l'impegno che il Governo intende assumere in quest'aula.

PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Donadi ed altri n. 1-00250, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni in esame, verrà discussa congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
È iscritto a parlare l'onorevole D'Ulizia, che illustrerà anche la mozione Donadi 1-00250, di cui è cofirmatario.

LUCIANO D'ULIZIA. Signor Presidente, è inutile negare la situazione. Le mozioni sottoscritte da esponenti della maggioranza all'esame dell'Assemblea sono state presentate perché vi è stato uno stimolo - parlo in termini metaforici - da parte delle minoranze che hanno presentato due mozioni; pertanto, abbiamo ritenuto che fosse bene rispondere alle medesime con altrettanti documenti che comunque riportassero alla realtà e alla verità la situazione della cooperazione nel nostro Paese, anche facendo qualche riferimento alla cooperazione più vasta, ovverosia a quella europea.
D'altronde, viviamo in un contesto molto più ampio e dobbiamo abituarci a ragionare in termini europei e globalizzati; quindi, è giusto fare riferimenti che non siano solo domestici ma che tengano conto di un contesto più ampio, quello europeo e quello mondiale. In altre parole, occorre far riferimento - non vogliamo, infatti, sottrarci a tale argomento - al mercato globalizzato in tutte le sue accezioni.
La mozione di cui sono cofirmatario, presentata da esponenti del gruppo Italia dei Valori che ho l'onore di rappresentare in questa sede, ha anche un risvolto che invade la sfera dell'economia politica. Nel nostro Paese e in Europa, purtroppo, ragioniamo secondo una visione «unifocale», quella dell'economia neocapitalistica.Pag. 13Tutto viene riportato a parametri macro e microeconomici che fanno riferimento ad un'economia che sostanzialmente ha fallito; questo tipo di economia, la neocapitalistica, infatti, lascia a casa milioni di lavoratori e produce fasce di povertà. Basti citare l'esempio di un grande Paese e di una grande democrazia come quella degli Stati Uniti d'America, in cui i poveri ormai sfiorano e superano i cinquanta milioni di abitanti. I poveri americani sono diversi, per fortuna, da quelli italiani. I poveri americani muoiono addirittura sulle strade; non hanno assistenza sanitaria e, per sopravvivere, devono ricorrere ad istituzioni caritative. Nel nostro paese i poveri, se non altro, hanno diritto all'assistenza sanitaria, nonché ad un minimo di sostegno sociale da parte dello Stato. So che non è sufficiente e che rimangono sette milioni di persone sotto la soglia di povertà, ma so pure che la nostra è una democrazia economica più valida perché è più attenta alla persona.
Quindi - come prima affermavo - la mozione che abbiamo presentato ha anche l'ambizione di disegnare un quadro che non è solo quello neocapitalistico; in altre parole, diamo la possibilità ai lavoratori e a chi vuole aderire ad un indirizzo diverso da quella del neocapitalismo di percorrere la strada della mutualità, della solidarietà e dell'economia sociale. Ritengo che molti guasti, che stiamo avvertendo nella nostra cultura sociale ed economica, siano dovuti a questa «unifocalità».
Si parla solo di neocapitalismo, di profitto e di competitività in termini economici, ma questo tipo di approccio non si coniuga mai ai costi sociali. I nostri milletrecento morti, ogni anno, per gli infortuni rappresentano costi che dobbiamo pagare alla modernità industriale.
Noi riteniamo invece che quelli siano costi insopportabili che non possono essere pagati da una democrazia economica e da una democrazia politica che sia degna di questo nome.
La cooperazione, il movimento cooperativo rappresentano un'alternativa, soprattutto culturale e, quindi, un progetto per fornire risposte concrete a chi ha un bisogno. Ad esempio, signor Presidente, con la cooperazione è stato possibile dare la casa al 50 per cento degli italiani che oggi sono proprietari della propria abitazione. È necessario, tuttavia, considerare che quando si parla del cosiddetto «piano casa», non si tiene conto di questa capacità che le imprese e il movimento cooperativo hanno di fornire risposte concrete e immediate.
Pertanto, noi abbiamo da lamentare anche qualche disattenzione da parte del Governo. Sono consapevole, signor Presidente, che oggi parlare di cooperazione non è facile: siamo nell'occhio del ciclone, è inutile nascondersi. Il cosiddetto affare Unipol-BNL sicuramente non ha dato un'immagine positiva alla cooperazione italiana. Stiamo scontando colpe che non abbiamo e, in qualche modo, stiamo ricevendo colpi che non meritiamo.
Pensate alla cooperazione e alle imprese cooperative sociali, che oggi sono presenti soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia e danno lavoro - pensate! - a 260 mila donne (secondo i dati dell'Istat). Queste persone e imprese non hanno fini di lucro, ma la volontà di servire il Paese, i meno abbienti, i più umili, i più abbandonati e coloro che sentono di non avere una dignità perché non possono lavorare, mentre noi li facciamo lavorare nelle nostre cooperative sociali!
Pensate a come si possono sentire le imprese e quelle 260 mila donne impegnate nelle nostre cooperative sociali, quando sentono dileggiare il movimento e le imprese cooperative, quando persone che fanno sacrifici enormi, perché animate da un principio di solidarietà e di serietà, sentono vezzeggiata e maltrattata l'impresa cooperativa come se fosse un'impresa di speculazione.
Come possono svolgere il proprio lavoro? Come si possono sentire, quando il loro afflato verso gli altri è un afflato di solidarietà, di fraternità e di calore umano. Invece, in questo Parlamento si deve sentire dalla destra che la cooperazione specula, vuole comprare banche e fa affari. Non è così e lo dimostreremo, perché non abbiamo niente da nascondere!Pag. 14L'ho affermato già in precedenza: indaghi la magistratura e verifichi tutto!
Tuttavia, dobbiamo anche riconoscere che se oggi il nostro Paese non sta affondando, in gran parte, lo deve alle imprese cooperative. Ho qui con me i dati dell'Unioncamere che riportano quanto segue: anche se le imprese cooperative rappresentano l'1,2 per cento della costellazione complessiva delle imprese italiane, nel 2007 - si tratta, quindi, di dati attuali -, come recita la mozione che abbiamo presentato, il contributo delle imprese cooperative è pari al 6,2 per cento della crescita. Le imprese che rappresentano l'1,2 per cento, quindi, concorrono alla crescita con un 6,2 per cento.
Qui risiede la funzione anticiclica della cooperazione. La cito, anche se l'ho inventata io (l'ho studiata, l'ho scritta ed è stata recepita) in quanto ormai è una teoria corrente in tutte le accademie e in tutte le università.
Pertanto, chiediamo al Governo non solo di rigettare con forza, con vigore e in modo convinto le mozioni della minoranza (Leone e Garagnani n. 1-00233 e Germontani ed altri n. 1-00227), ma anche di riscoprire le potenzialità enormi del movimento cooperativo e della cooperazione. I dati dicono ciò! Le imprese cooperative, nel nostro Paese, danno un contributo grande, importante e insostituibile, sotto un profilo sociale, economico e - a mio avviso - anche di coesione sociale. Altrimenti, se non avessimo le 7.363 cooperative sociali che danno lavoro alle 260.000 donne del sud - si tratta di un dato ISTAT -, come farebbe il nostro Paese a rispondere alle necessità degli anziani, dei diversamente abili e di coloro i quali vogliono lavorare e non possono?
Pertanto, chiediamo fermamente al Governo - come affermavo poc'anzi - di rigettare con forza le mozioni Leone e Garagnani n. 1-00233 e Germontani ed altri n. 1-00227: esse sono delle provocazioni! Faccio un inciso: ogni volta che Berlusconi parla, mette sempre in coda un riferimento alle cooperative rosse e, in qualche caso, alle cooperative e definisce il Governo quale servitore - più o meno intelligente, per non usare altri termini - delle sue cooperative, e così via.
Innanzitutto, ritengo che questo Governo, fino ad oggi, non abbia dato veramente dimostrazione di seguire molto il movimento cooperativo. Su questo noi cerchiamo un recupero, tanto è vero che nel dispositivo della mozione Donadi e D'Ulizia 1-00250 (che sto illustrando), sottolineiamo che tutti gli ordini del giorno in favore delle imprese cooperative, votati da questo Parlamento in questa legislatura (quindi non parliamo di tempi lontani o di questioni che non ci riguardano da vicino), non sono stati attuati.
Per questo motivo, chiediamo che il Governo riscopra il valore e la funzione cooperativa. Ci troviamo in questa sede per rappresentare gli interessi più diffusi e soprattutto quelli dei più deboli, di coloro che non hanno un lavoro, una casa, né servizi sociali e che si sentono abbandonati, affermiamo nella nostra cultura che nessuno si deve sentire più solo!
Di conseguenza, è proprio lo strumento cooperativo, lo strumento mutualistico che può dare le risposte che già ha dimostrato di saper dare. Per queste ragioni, richiamiamo il Governo nei confronti di quegli ordini del giorno (che non voglio ripetere perché sono noti, poiché approvati da questo Parlamento) affinché si impegni ad attuarli e realizzarli, come più volte si è impegnato a fare il Governo e, da ultimo, il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, D'Alema, nelle varie occasioni di discussione che abbiamo avuto.
Questo riconoscimento non viene solo dal nostro autorevolissimo Parlamento, ma anche dall'Europa, dove la cooperazione è indicata come il settore che deve salvare, tutto sommato, un'economia in grande squilibrio e difficoltà.
Oggi parliamo degli equilibri finanziari, dei mutui sub-prime e viene contaminato l'intero sistema finanziario; ciò accade perché quest'ultimo è basato su parametri inadeguati, non sui parametri del lavoro. Per quale motivo la cooperazione avanza, aumenta sempre il suo ruolo e le suePag. 15funzioni e dimostra di saperlo fare? Perché è basata sul lavoro, sull'impegno, sull'uomo e non solo sul capitale.
Pertanto, la nostra ambizione è dimostrare che il sistema cooperativo rappresenta una possibile alternativa a chi chiede risposte in termini concreti. Il bello della cooperazione sta proprio nell'enunciare e immediatamente realizzare quanto enunciato. Quindi, chiediamo al Governo di attuare gli ordini del giorno approvati e che le cooperative vengano maggiormente vigilate.
Non possiamo non mettere in evidenza che, purtroppo, gran parte delle cooperative non associate a quelle centrali non vengono né controllate, né vigilate. Il Ministero dello sviluppo economico dovrebbe vigilare su di esse. Ad esempio, secondo i dati ufficiali del Ministero, nell'ultimo biennio sono state vigilate duemila cooperative, su circa 35 mila o 40 mila cooperative non aderenti.
Invece, le cooperative aderenti a quelle centrali sono state vigilate al 90 per cento. Pertanto, chiediamo che la vigilanza sulle imprese cooperative non solo sia un fatto concreto ma cerchi di recuperare, eliminando la cooperazione spuria che esiste nel nostro Paese.
Non siamo privi di situazioni da indagare e risolvere. Non diciamo che tutto quello che fa parte della cooperazione è bello e trasparente, bensì sappiamo che vi sono zone d'ombra, che non appartengono al movimento cooperativo organizzato, ma a zone di cooperazione realizzata in maniera estremamente volubile e - consentitemi di dirlo - ad usum Delphini, cioè che non hanno in sé lo scopo mutualistico, quello di servire e dare una risposta ai soci che sia il più possibile funzionale alla mutualità e alla socialità, ma vengono costituite per lucrare i benefici della legge, spesso a favore della componente capitalistica.
Quante imprese neocapitalistiche realizzano società cooperative che rappresentano costellazioni dell'impresa maggiore, di tipo fordista, satelliti della grande impresa! In questo caso le imprese satelliti spurie servono a massimizzare la capitalizzazione dell'impresa neocapitalistica.
Occorre combattere queste zone d'ombra e attivare i meccanismi che la legge prevede e assolutamente mettere in atto un processo che cancelli questo tipo di «escrezione» cooperativa. Non affermiamo che ogni cosa è ben fatta e si muove nella giusta direzione, bensì vogliamo mettere in evidenza un problema che rappresenta una parte molto piccola.
Come dicevano i nostri padri, «il vino cattivo caccia il vino buono». Allo stesso modo la cooperazione cattiva rischia di dare un alone negativo alla cooperazione buona che rappresenta la stragrande maggioranza nel nostro Paese.
Pertanto, con una certa durezza, chiediamo che vengano adottati tali provvedimenti: ispezioni straordinarie e scioglimento d'ufficio da parte del Governo.
Inoltre, chiediamo che le leggi rimaste inattuate, ad esempio il decreto legislativo n. 276 del 10 settembre 2003 - che tra l'altro detta norme sulla certificazione dei rapporti di lavoro e dei regolamenti delle cooperative - trovino attuazione, perché sono necessarie per portare in superficie eventuali escrescenze e situazioni che qui ho denunciato.
Pertanto, signor Presidente, chiediamo che il Governo assuma gli impegni previsti nella mozione in discussione, in termini convinti e preveda un programma di rinnovato sviluppo del sistema cooperativo italiano.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ruggeri. Ne ha facoltà.

RUGGERO RUGGERI. Signor Presidente anch'io sono contento che oggi, alla Camera dei deputati, si possa parlare del fenomeno della cooperazione, perché il futuro per noi è sempre legato alle esigenze della nostra società ed anche al nostro passato.
È proprio sulle motivazioni profonde della nascita della cooperazione che noi oggi dovremmo discutere e riflettere. Nell'Ottocento nasce la prima esperienza dell'economia di mercato - che è terminataPag. 16in mercantilismo - nasce la scienza economica, c'è la prima grande rivoluzione industriale e nei vari paesi europei si verificano effetti diversi e situazioni diverse.
In Inghilterra mancano i generi di prima necessità; addirittura le prime esperienze di imprese nel settore manifatturiero mostrano che chi lavora in tale settore ha una vita media di vent'anni inferiore rispetto a chi non vi lavora. È in Inghilterra che nascono le cooperative di consumo, vi è la prima cooperativa, la prima esperienza di Rochdale del 1844. In Francia c'è un altro tipo di capitalismo, un altro tipo di cultura che avanza: nascono le cooperative di lavoro per mettere fine alla contrapposizione tra capitale e lavoro.
In Germania e in Italia nascono le prime esperienze di cooperative di credito. In Germania grazie a Raiffeisen: un amministratore pubblico che offre ai piccoli contadini una garanzia con i beni del comune perché possano comperare la vacca o il cavallo per poter sopravvivere. In Italia, nel Veneto, grazie a Wollemborg, con il parroco del paese, col veterinario, nascono le prime esperienze di case rurali in campagna e di banche popolari in città con Luzzatti. Nasce la cooperazione che non è soltanto un aspetto economico di sopravvivenza, ma rappresenta un riscatto sociale. Non è un caso che un piccolo prete in Sicilia, faccia nascere la prima casa rurale proprio per sganciare le famiglie più povere dalla mafia locale: mi riferisco a Don Sturzo uno dei maggiori cooperatori che hanno fatto grande la cooperazione in Italia.
È così che si arriva all'ACI (Alleanza cooperativa internazionale) che raggruppa tutti i paesi del mondo, che seguono tutti le stesse regole e gli stessi principi: la volontarietà; la democrazia interna; un interesse limitato al capitale per dare un segno tangibile sulla prevalenza dell'aspetto umano; il divieto della distribuzione dei residui; l'educazione cooperativa - di cui si parla poco - e la collaborazione fra le cooperative, prima grande esperienza di rete nazionale e internazionale.
All'inizio del Novecento, in Italia, Luzzatti è stato Ministro dell'agricoltura e presidente di quella associazione che è la prima federazione di aggregazione di lavoratori che nasce sei anni prima dei partiti, e vent'anni prima dei sindacati! Questa è stata la cooperazione!
Ebbene sia Luzzatti sia, poi, anche Giolitti avevano capito che il sistema cooperativo era uno strumento fondamentale per la politica economica di un Governo. È così che si promuovono i fattori della produzione dando in affitto la terra a chi non l'aveva, fornendo qualche capitale per acquistarla a chi ne era sprovvisto, offrendo possibilità di sgravi fiscali per le prime esperienze cooperative e la possibilità, sempre alle cooperative, di accedere alle gare per le opere pubbliche. Questa è dimostrazione di intelligenza da parte del Governo! Fino a che nel 1913, venne istituita la banca nazionale della cooperazione: esisteva, quindi una banca nazionale della cooperazione che poi successivamente, nel 1933, diverrà la banca nazionale del lavoro, ma fu allora che fu istituita una banca nazionale solo per la cooperazione.
Oggi la cooperazione è presente in tutto il mondo: in Europa, (circa la metà è nel nostro continente), in Africa, in America e in Asia.
In Europa, i Paesi in cui vi è il maggior numero di cooperatori e di cooperative sono la Germania, la Gran Bretagna e la Francia (che è di esempio a tutta l'Europa, con l'economia sociale, con il terzo settore, con un'attenzione particolare a un tipo diverso di economia capitalistica che stiamo vivendo e attuando). In Italia si è arrivati, nel 2005, ad avere più di 70 mila cooperative: praticamente sono quattordici cooperative su mille imprese. La maggior parte delle cooperative sono, sin dall'inizio ad oggi, tanto per capirci, di estrazione «bianca», non «rossa». La maggior parte delle cooperative si trovano oggi in Lombardia, in Sicilia - guarda caso, la storia anche della Sicilia - e in Campania; i settori dove sono più presenti sono l'abitazione, l'agricoltura e l'informatica. Possiamo dire che il germe della cooperazione,Pag. 17che è di difesa e di ricerca della giustizia sociale, è rimasto. Il tema della distribuzione della ricchezza all'interno dell'azienda viene in questo caso risolto, perché il socio è imprenditore, non è altro! C'è un modello diverso rispetto alla distribuzione della ricchezza che avviene nelle altre società.
Quando oggi si parla del ruolo della donna, quando si verifica che le cooperative femminili sono circa il 20 per cento rispetto alle altre e sono presenti soprattutto nel Mezzogiorno, con una prevalenza assoluta nel sud e nelle isole, non si comprende che la cooperazione è anche uno strumento, ancora oggi, di riscatto sociale per modificare relazioni all'interno delle famiglie e della società, che negano ancora diritti fondamentali alle stesse donne? Anche oggi la cooperazione è una risposta! Pensiamo soltanto ai problemi dei diritti di cittadinanza che oggi stiamo perdendo: nel settore della sanità, ad esempio, la cooperazione non costituisce un monopolio. C'è il Servizio sanitario nazionale, quello è il monopolio! Vi sono le case di cura private: in tale ambito standosi verificano, se vogliamo, gli appalti truccati; si può verificare che l'esperienza cooperativa è minimale nel settore della sanità.
Ma il tema che è stato posto oggi in questa sede, anche dai colleghi, è il carattere della mutualità: c'è o no tale carattere? Non vi è una mutazione genetica, com'è stato indicato in quest'Aula, ma vi è, oggi, la possibilità - sto parlando della riforma del 2004 - di verificare se una cooperativa abbia i requisiti della mutualità oppure no. Faccio riferimento agli articoli dal 2512 al 2514 del codice civile: l'articolo 2512 afferma che le cooperative sono società a mutualità prevalente, cioè dove c'è una attività prevalente - è chiaro? - dei soci, delle prestazioni di lavoro dei soci e degli apporti, sia di beni sia di servizi, dei soci stessi.
Collega Garagnani, se l'articolo 2513 del codice civile stabilisce che il requisito della prevalenza - lo stabilisce il codice civile, non un'altra fonte - del costo del lavoro dei soci deve essere superiore almeno al 50 per cento, se ci sono situazioni difformi, come dice lei (ci sono, non lo nego), non si tratta di cooperative. Bisogna andare dalla magistratura, perché le società di cui lei ha parlato hanno un nome e un cognome. Anzi, deturpano la storia della cooperazione che abbiamo ricordato un po' tutti. Se non c'è il requisito della mutualità, tale circostanza va denunciata! Lo stesso vale per i ricavi: nelle cooperative di consumo i ricavi da soci devono essere sopra al 50 per cento rispetto ai ricavi provenienti da non soci; anche in tal caso, se ciò non accade, il requisito della mutualità non c'è. Si può intervenire immediatamente attraverso la magistratura.
Lo stesso vale poi per il conferimento dei beni. Tutto il sistema dell'agricoltura è legato in parte alla distribuzione: perché cosa distribuisce quest'ultima, se non i nostri prodotti, i prodotti dei nostri agricoltori, di cui l'80 per cento è organizzato in cooperative? Anche in tale ambito ci sono dei limiti: se il conferimento è fatto da soci, in ragione di oltre il 50 per cento di tutte le materie prime portate, è presente il requisito della mutualità; altrimenti non c'è, e quindi una certa società, una certa azienda non ha diritto ad alcun beneficio.
La stessa cosa vale per l'articolo 2514 del codice civile, che prevede la presenza di ben precise clausole nello statuto. Vorrei dire alla collega Germontani che accetto e condivido pienamente lo spirito del suo intervento; però il ricordato articolo definisce le condizioni dei prestiti, l'autofinanziamento dei soci, perché è contemplato un divieto della remunerazione dell'autofinanziamento dei soci e ne viene stabilita la misura, che non può essere superiore a due punti rispetto alla misura dei dividendi. I dividendi sono altrettanto stabiliti: c'è un divieto di distribuzione degli stessi dividendi sul capitale in misura superiore all'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato. Tutto è regolato dal codice civile. In presenza una situazione esplicita, netta, con «nome, cognome e indirizzo», non credo vi sia bisogno di una CommissionePag. 18di inchiesta parlamentare: è direttamente la magistratura che può intervenire; anzi è doveroso, in presenza di un illecito, denunciarlo, perché lo stesso illecito fa solo danno al movimento cooperativo.
Per quanto riguarda la normativa, abbiamo previsto le tipologie delle società: abbiamo messo in moto un sistema normativo per intervenire, e per togliere dal movimento cooperativo le società «malate». Siamo partiti da alcuni casi precisi, appena denunciati; ma oggi la questione vera, secondo me, riguarda un altro fenomeno, purtroppo in aumento: le cooperative false. Oggi riscontriamo che le nostre imprese industriali, anziché licenziare e lasciare a casa i lavoratori, sostituiscono parti della propria filiera con lavorazioni operate da false cooperative, che non hanno diritto ad alcuna normativa di tutela. Sono cooperative costituite appositamente per non pagare la remunerazione che spetterebbe ai lavoratori normali, secondo il sistema della contrattualistica che abbiamo messo in moto in questi anni. Questo è il punto cruciale: l'imprenditoria, nei vari settori, ha un problema rispetto al costo del lavoro, e in gran parte esso viene risolto attraverso la costituzione di finte cooperative di ex dipendenti.
Lo ripeto, è questo il punto chiave: dove c'è una riduzione del costo del lavoro, lo scaricamento dei rischi di impresa, con una deresponsabilizzazione sociale dell'impresa stessa, non c'è poi il rispetto delle regole della concorrenza verso le altre imprese che non operano in tale modo. Si pensi al settore agro-alimentare, si pensi al settore dei macelli, che invece di licenziare inquadrano gran parte - l'80 per cento - dei dipendenti in finte cooperative per fare lo stesso lavoro che facevano prima: in ciò consiste la deresponsabilizzazione, lo scaricamento di rischi d'impresa rispetto ad altri operatori, agli altri macelli - privati, pubblici o cooperativi, non ha importanza - che sono in regola e rispettano i requisiti della mutualità. Soprattutto, c'è un non governo della qualità dei prodotti e dei servizi. È questo che sta creando un grande precariato sottobanco, magari in modo «legale», che sta ingannando i consumatori: c'è un vero e proprio sfruttamento dei lavoratori da un lato e dei consumatori dall'altro, che non sanno neppure da dove provengono le merci e chi le ha prodotte.
Quando abbiamo proposto al centrodestra, e non solo al centrosinistra, il tema del marchio sociale - per chiedere alle imprese di adottare un marchio che certifichi che non si utilizza il lavoro dei bambini - il nostro appello è sempre caduto nel vuoto: eppure, si tratta di un tema che dobbiamo affrontare, poiché riguarda la qualità della nostra produzione. Come si è già detto, è vero che una buona parte delle predette false cooperative - soprattutto nel settore industriale ed agro-industriale - non aderiscono alle centrali cooperative. Vi è dunque un problema che riguarda la vigilanza, che invece viene svolta sulle cooperative aderenti (penso alla revisione dei bilanci, che assai spesso riguarda addirittura il bilancio sociale e non soltanto il bilancio economico). La cooperazione è una storia che dura da oltre centocinquanta anni e, per quanto ci riguarda, sono convinto che la priorità per il nostro Governo è la lotta contro il fenomeno delle cooperative false, delle cooperative cosiddette spurie - per essere eleganti - e del dumping contrattuale.
Su questo tema, l'accordo del 23 luglio 2007 è già un inizio (mi riferisco all'accordo fra Governo e centrali cooperative, nell'ambito del protocollo su previdenza, lavoro e competitività per l'equità e la crescita sostenibili), ma non è sufficiente: vi sono questioni aperte, che sono state citate dai colleghi. Una questione, in particolare, riguarda il mutamento della società e la necessità di fare economia in modo diverso. Sin dagli anni Settanta, quando fu sancita la non convertibilità del dollaro e i cambi fissi divennero flessibili, ebbe inizio la necessità, per il piccolo imprenditore, di divenire anche finanziere: prima di comprare e vendere le merci, infatti, egli deve comperare e vendere valuta. Anche ciò è un grande elemento di cambiamento che dobbiamo saper interpretare: non è un caso, in proposito, che in Francia si sta oggi discutendo se laPag. 19cooperazione possa essere ammessa in borsa, senza che sia violato il requisito della mutualità che ne costituisce la motivazione profonda. In proposito, peraltro, occorre osservare che, in tema di globalizzazione e povertà, il premio Nobel per la pace Yunus afferma che la leva per risolvere il problema della povertà del mondo non è portare le imprese e creare lavoro dipendente, ma creare lavoro autonomo e compartecipato: questa può dunque essere una soluzione o, comunque, un cambiamento.
Oggi, in Europa, solo i Governi di Francia e Germania si stanno occupando di economia sociale: in Italia, da molti anni la cooperazione non rientra negli strumenti della politica economica. Credo invece che le potenzialità di coesione sociale ed economica della cooperazione potrebbero essere straordinarie per creare sviluppo, occupazione e solidarietà. L'intrapresa cooperativa, oltre ad essere una concreta alternativa all'impresa tradizionale, costituisce infatti anche un'alternativa alla cultura del solo lavoro dipendente, poiché promuove e richiede una cultura del lavoro autonomo che non delega ad altri il proprio futuro sociale ed economico. Questa è dunque una delle più gravi carenze delle nostre politiche economiche: il Paese ha bisogno dei valori e degli strumenti cooperativistici, ed ha bisogno davvero di promuovere l'economia sociale. Per queste ragioni, il Governo ha interesse ad introdurre la leva cooperativa nell'ambito della strumentazione della politica economica e finanziaria. In proposito, occorre osservare che sono passati ormai oltre trenta anni dalla proficua, prima ed ultima Conferenza nazionale governativa sulla cooperazione, svoltasi nel 1977. Penso dunque che il nostro Governo possa impegnarsi - e che questa Camera possa impegnarlo - su due punti: in primo luogo, sul massimo rigore nel controllo e nella denuncia verso le cooperative che non rispettano la normativa esistente; soprattutto, sull'indizione di una grande e moderna Conferenza nazionale con le centrali cooperative, allo scopo di promuovere un grande progetto cooperativo in Italia.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MARCO STRADIOTTO, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Sta bene. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 1682 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale contro il doping nello sport, con Allegati, adottata a Parigi dalla XXXIII Conferenza generale UNESCO il 19 ottobre 2005 (Approvato dal Senato) (A.C. 3082) (ore 16,41).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale contro il doping nello sport, con Allegati, adottata a Parigi dalla XXXIII Conferenza generale UNESCO il 19 ottobre 2005.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 9 novembre 2007.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3082)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.Pag. 20
Il relatore, onorevole Giancarlo Giorgetti, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIANCARLO GIORGETTI, Relatore. Signor Presidente, la pratica del doping e i rischi che ne derivano sono conosciuti da decenni (la morte del ciclista inglese Tom Simpson durante il Tour de France del 1967 ne è la prima testimonianza). L'ampia eco suscitata nella stampa da diversi casi di doping concernenti soprattutto il ciclismo e l'atletica ha sensibilizzato anche il grande pubblico a questo grave problema. Inoltre, in molti casi di doping sono venute alla luce le strette relazioni tra gli sportivi e i membri del loro personale di supporto.
La Convenzione internazionale contro il doping nello sport è stata adottata dalla XXXIII Conferenza generale dell'UNESCO il 19 ottobre 2005 ed è già in vigore a livello internazionale dal 1o febbraio 2007, dopo il deposito del trentesimo strumento di ratifica (oggi sono sessantuno gli Stati che l'hanno ratificata). Non si è riusciti, come inizialmente si intendeva, a rendere efficace la Convenzione in tempo utile per le Olimpiadi invernali di Torino 2006. L'UNESCO ha lavorato alla Convenzione anche sullo stimolo della risoluzione 58/5 adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite il 3 novembre 2003, che riconosce allo sport un ruolo di strumento di promozione dell'educazione, della salute, dello sviluppo e della pace. Proprio per la natura dell'organismo che lo propone, la Convenzione della cui autorizzazione alla ratifica stiamo discutendo si caratterizza quale strumento giuridico riconosciuto su vastissima scala mondiale, che armonizza le diverse legislazioni nazionali ed offre strumenti di cooperazione tra Stati nel contrasto al fenomeno del doping. Tale documento supera, pertanto, in efficacia sia la Convenzione del Consiglio d'Europa del 16 novembre 1989 - che sconta il limite della sua caratterizzazione regionale - sia il Codice mondiale antidoping istituito dall'Agenzia mondiale antidoping (AMA) nel 2003 che - seppure firmato da ottanta Governi e dalle più importanti federazioni sportive - non ha forza coercitiva, data la natura sostanzialmente privatistica dell'Agenzia che lo ha emanato.
Il Codice mondiale antidoping è attualmente sottoposto a revisione e nel novembre 2007 dovrebbe essere presentato per l'adozione alla Conferenza mondiale. Il nuovo testo prevede che gli Stati che non ratificano la Convenzione dell'UNESCO entro il 31 dicembre 2009 non potranno più partecipare a competizioni di grandi dimensioni (come i giochi olimpici o i campionati del mondo). La Convenzione UNESCO, tuttavia, non vanifica e non pregiudica l'efficacia degli strumenti normativi preesistenti conformi ad essa per oggetto o per scopo. Anzi, all'articolo 4 essa impone alle parti di stabilire le misure nazionali ed internazionali di lotta al doping attenendosi ai principi contenuti nel Codice dell'Agenzia mondiale antidoping, lasciando, ai sensi dell'articolo 5, le stesse parti libere di adottare misure in forma legislativa, regolamentare o amministrativa complementari al Codice dell'Agenzia mondiale antidoping. Per altro verso, l'articolo 6 precisa che la Convenzione non pregiudica i diritti e gli obblighi che gli Stati membri hanno assunto sulla base degli strumenti internazionali preesistenti, con particolare riferimento alla Convenzione del Consiglio d'Europa.
Complessivamente, la Convenzione si compone di 43 articoli e di due Allegati, il primo dei quali contiene l'elenco delle sostanze e delle metodologie proibite e si articola in più livelli, passando dalle proibizioni totali (sia in gara sia fuori gara) ai divieti nelle sole gare, alle proibizioni limitate soltanto ad alcuni sport e, infine, alle sostanze specifiche diffusamente presenti nella farmacopea e suscettibili, pertanto, di determinare una violazione accidentale dei regolamenti antidoping. Il secondo Allegato riguarda gli standard per l'autorizzazione all'uso di determinate sostanze a fini terapeutici. Circa le attività antidoping, si prevede l'adozione a livello nazionale di misure volte a controllare la produzione, lo spostamento, l'importazione, la distribuzione e la vendita di tali sostanze, al fine di diminuire il loro uso nello sport da parte degli atleti, nonché diPag. 21misure concernenti sanzioni e multe dirette al personale di supporto degli atleti stessi (gli articoli da 7 a 12).
Dal combinato disposto degli articoli 8 e 9 emerge che la Convenzione, pur prevedendo la possibilità di norme penali per il solo personale di supporto, non obbliga gli Stati che abbiano un regime penale più severo con sanzioni penali anche nei confronti degli atleti, come nel caso dell'Italia, ad abrogare tale regime.
L'articolo 12 riguarda le misure da adottare per facilitare i controlli antidoping; in particolare, si tratta di controlli anche a sorpresa tra gli atleti, sia durante le gare, sia al di fuori di esse, e di incoraggiare accordi tra organizzazioni sportive e organizzazioni antidoping finalizzati a permettere che i loro membri siano sottoposti a controlli da parte dei gruppi di esperti autorizzati di altri Paesi.
Le misure di cooperazione internazionale sono oggetto degli articoli da 13 a 18. In base a tali articoli gli Stati parte favoriscono la cooperazione tra le organizzazioni sportive antidoping dei rispettivi Paesi. Viene inoltre riconosciuta l'importanza del ruolo dell'Agenzia mondiale antidoping che gli Stati parte si impegnano a sostenere. A tale proposito è previsto che il bilancio annuale dell'agenzia venga finanziato paritariamente dai poteri pubblici, da un lato, e dal movimento olimpico, dall'altro.
In conformità al regolamento finanziario dell'Unesco è istituito un fondo per l'eliminazione del doping sportivo, aperto a contributi di carattere estremamente volontario. Al fondo affluiscono contributi degli Stati parte nonché versamenti, donazioni e lasciti effettuati da altri Stati, da organizzazioni facenti parte del sistema ONU, da altre organizzazioni internazionali, da organismi pubblici e privati e da privati cittadini.
Il fondo sarà, altresì, alimentato a valere sugli interessi dovuti a titolo di deposito dalle risorse del fondo, nonché sulle entrate delle raccolte di fondi e dalle manifestazioni a tale scopo organizzate.
La quarta parte della Convenzione riguarda l'istituzione e lo sviluppo, da parte degli Stati membri, di programmi di educazione e di formazione in materia antidoping, mentre la ricerca è dedicata alla quinta parte, invitando gli Stati parte a promuovere la ricerca antidoping anche in collaborazione con organizzazioni sportive, nel rispetto delle norme deontologiche riconosciute a livello internazionale.
È istituita una conferenza delle parti che si riunisce in seduta ordinaria ogni due anni. Essa è competente ad effettuare il monitoraggio della Convenzione attraverso la promozione degli obiettivi dell'accordo medesimo. Rientrano tra le sue competenze l'esame dei rapporti che gli Stati membri forniscono ogni due anni (articolo 31) sulle misure adottate per conformarsi ai provvedimenti della Convenzione, nonché la valutazione delle proposte di modifica alla lista delle sostanze proibite adottate dall'Agenzia mondiale antidoping.
La Convenzione è, infine, accompagnata da tre appendici. Quanto al controllo dei due allegati, non ne integrano il testo e dunque non creano alcun obbligo vincolante di diritto internazionale per gli Stati parte. Si tratta, rispettivamente, del codice mondiale antidoping, degli standard internazionali per i laboratori e per i controlli. Infine, signor Presidente, ricordo che il disegno di legge di ratifica dispone la spesa di 5.755 euro annue, da erogarsi ad anni alterni, con decorrenza dal 2007. Tale spesa, alquanto esigua, costituisce un ulteriore incentivo ad una rapida approvazione del provvedimento, ricordando che il nostro Paese è in ritardo rispetto a numerosi altri Paesi che hanno già approvato tale Convenzione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, onorevole Di Santo.

DONATO DI SANTO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, il mio intervento sarà molto rapido. La ringrazio e al contempo ringrazio il relatore, onorevole Giancarlo Giorgetti. Intendo solo riaffermare l'opportunità di una pronta ratifica da parte dell'ItaliaPag. 22della Convenzione Unesco. Essa è motivata da diverse ragioni. Tra di esse intendo sottolineare la coerenza dell'impegno che il nostro Paese ha profuso durante tutti i negoziati intergovernativi affinché fosse redatto uno strumento giuridico internazionale con cui armonizzare le legislazioni nazionali in materia di contrasto al doping e rafforzare la cooperazione tra Stati, movimenti e organizzazioni sportive internazionali e nazionali nella realizzazione di controlli antidoping e di programmi di educazione, informazione e ricerca. In tale ottica, ci siamo opposti a quei Paesi che avrebbero voluto una Convenzione dai contenuti meramente esortativi in nome di una asserita esigenza di flessibilità.
In secondo luogo, vi è la consapevolezza che la maggior parte dei Paesi europei, con particolare riferimento a quelli membri dell'Unione Europea, risulta già parte dell'accordo internazionale.
In terzo luogo, l'Agenzia mondiale antidoping, negli ultimi emendamenti che stanno per essere apportati al codice antidoping, emanato dalla stessa, avrebbe previsto che la ratifica della Convenzione Unesco da parte dei Paesi membri rappresenterà condizione necessaria per presentare la candidatura ai giochi olimpici, ai campionati mondiali ed alle organizzazioni dei maggiori eventi sportivi. Tali aspetti rafforzano l'opportunità di una pronta ratifica da parte del nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Garagnani. Ne ha facoltà.

FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, intervengo brevemente per dichiarare l'adesione del gruppo di Forza Italia alla ratifica della Convenzione internazionale contro il doping nello sport. Già in Commissione abbiamo dibattuto lungamente sull'argomento e quindi mi limiterò ad esprimere alcune linee essenziali di consenso sul provvedimento che interviene su un deterioramento che, progressivamente, aveva accompagnato il mondo dello sport (non tutto ovviamente, ma alcuni settori dello stesso).
Vi sono diverse cause sulle quali non intendo soffermarmi. Mi limito a rilevare che di fronte ad una panoramica così preoccupante il movimento politico e le autorità politiche a livello nazionale ed internazionale hanno cercato da tempo di circoscrivere la diffusione a macchia d'olio della piaga del doping, anche se occorre riconoscere che vi è un colpevole ritardo dovuto a varie motivazioni soprattutto nell'adottare provvedimenti incisivi.
Non a caso la Convenzione internazionale Unesco entra in vigore 19 anni dopo il primo clamoroso caso di doping verificatosi durante le Olimpiadi di Seul nel 1988. Si sono susseguite in questi anni una serie di iniziative che hanno avuto l'obiettivo di frenare l'utilizzo delle sostanze dopanti anche per riportare lo sport il più possibile in linea con la concezione atletica del medesimo, ma non hanno raggiunto il risultato che si auspicava.
Nonostante vi fossero stati diversi strumenti internazionali, come la Convenzione adottata a Strasburgo dal Consiglio d'Europa, quella di Varsavia del 2002, la costituzione dell'Agenzia mondiale antidoping che si è rivelato un utile strumento, di fatto tali misure presentavano consistenti limiti. La Convenzione del Consiglio d'Europa non aveva la possibilità di incidere oltre il territorio comunitario e il codice mondiale antidoping non aveva forza coercitiva, indispensabile in una materia come questa. Pertanto, ritengo che il ricorso alla Convenzione in esame sia stato opportuno e doveroso. Non a caso, la svolta politica in questo senso è avvenuta durante il turno di presidenza italiana dell'UE nel 2003.
È bene ricordare che, nella riunione dei Ministri dello sport ad Artimino, il Governo italiano propose ai Paesi membri di sollecitare l'intervento dell'Unesco al fine di approvare una Convenzione mondiale antidoping che sarebbe stata vincolante (questa è la novità) per tutti gli Stati membri e quindi, estesa ai cinque continenti. Prima facevo riferimento (mi pare che si deducesse anche dagli interventi del relatore e del rappresentante del Governo) alla non coercitività delle precedenti convenzioni e degli strumenti adottati.Pag. 23
Credo che l'approvazione della Convenzione in esame, con misure idonee a controllare la detenzione, la commercializzazione e l'uso di agenti e metodi di doping, anche in ossequio ai principi etici ed ai valori educativi sanciti dalla Carta olimpica, sia stato quanto di più opportuno si sia potuto concepire. La convenzione Unesco, come è già stato detto, mi pare faccia riferimento ad una richiesta molto diffusa del mondo dello sport, al fine di ristabilire il giusto equilibrio e la dimensione agonistica che ha sempre caratterizzato e deve caratterizzare lo sport in ogni momento, in ogni Paese e in ogni circostanza. Per tali motivi la nostra è una convinta adesione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ruta. Ne ha facoltà.

ROBERTO RUTA. Signor Presidente, al disegno di legge per la ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale contro il doping nello sport adottata a Parigi nella Conferenza generale dell'Unesco il gruppo del Partito Democratico assicura il pieno sostegno, affinché anche l'Italia adotti lo strumento giuridico internazionale riconosciuto come quello utile sia per armonizzare le legislazioni nazionali in materia di contrasto al doping, sia per favorire la cooperazione tra Stati, movimenti, organizzazioni sportive internazionali e nazionali nella realizzazione di controlli antidoping efficaci e di programmi di educazione, informazione e ricerca.
La normativa contenuta nell'accordo impone alle parti contraenti di stabilire le misure nazionali e internazionali di lotta al doping, attenendosi ai principi contenuti nel codice mondiale dell'AMA, che in tal modo ottiene il riconoscimento internazionale giuridico atteso da tempo, lasciando le stesse parti libere di adottare misure in forma legislativa, regolamentare o amministrativa complementari al codice AMA.
Per altro verso, l'articolo 6 della Convenzione fa in modo che non vengano pregiudicati i diritti e gli obblighi che gli Stati membri hanno assunti sulla base di strumenti internazionali preesistenti, con particolare riferimento alla Convenzione del Consiglio d'Europa. Nella Convenzione di cui si autorizza la ratifica, per quanto riguarda le attività di doping, è prevista a livello nazionale l'adozione di misure volte a controllare la produzione, lo spostamento, l'importazione, la distribuzione e la vendita di tali sostanze, a meno che non ci siano chiare prescrizioni terapeutiche, al fine di diminuire il loro uso nello sport da parte degli atleti. Sono, inoltre, previste misure concernenti sanzioni e multe, vale a dire misure penali e non solo sportive dirette al personale di supporto degli atleti.
La Convenzione, pur prevedendo la possibilità di norme penali per il solo personale di supporto, non obbliga gli Stati che abbiano un regime penale più severo - come nel caso dell'Italia che prevede sanzioni penali anche nei confronti degli atleti - ad abrogare tale regime. Vengono autorizzate misure per facilitare i controlli antidoping, come l'imposizione dei controlli a campione sugli atleti non preannunciati fuori dalle competizioni oltre che durante le stesse. Sono, inoltre, incoraggiati accordi tra organizzazioni sportive e organizzazioni antidoping finalizzati a permettere che i loro membri siano sottoposti a controlli antidoping da parte di gruppi di esperti autorizzati di altri Paesi.
La Convenzione impone anche l'istituzione o lo sviluppo da parte degli Stati membri di programmi di educazione e formazione in materia di antidoping, dunque programmi educativi, campagne di informazione che pongano in rilievo i rischi per la salute inerenti al doping, nonché il pregiudizio che ne deriva per i valori etici dello sport.
Le parti, ovvero gli Stati contraenti, dovranno incoraggiare altresì le organizzazioni sportive: ad adottare regolamenti che rechino elenchi di agenti e metodi di doping vietati, sistemi di controllo e di analisi, procedimenti disciplinari efficaci e ispirati a criteri garantisti, nonché sanzioni effettive a carico dei responsabili; ad istituire controlli antidoping seri durantePag. 24le gare e anche al di fuori di esse senza preavviso; a cooperare con le organizzazioni sportive internazionali di altri Paesi per conseguire gli obiettivi stabiliti dalla Convenzione stessa.
Concludo, sottolineando che il dato culturale è lo strumento di prevenzione più utile e sul quale bisogna far leva per estirpare un fenomeno vasto, che distrugge il senso nobile di tutte le attività sportive, quelle amatoriali e quelle agonistiche. Quindi, è necessario far leva sulle famiglie, sulle scuole, sulle organizzazioni sportive, che sono i luoghi dove produrre gli antidoti ad una patologia che vuole il successo facile, la scorciatoia, la vittoria ad ogni costo, come valore assoluto fonte di ricchezza per gli atleti stessi, di notorietà, di ricchezza per le società sportive, per gli sponsor, per le aziende farmaceutiche.
A ciò, è necessario contrapporre il valore dello sport come partecipazione, ma anche come competizione, per raggiungere la vittoria, per ottenere il primato, ma frutto del sacrificio, dello spirito di abnegazione e di squadra, concependo lo sport non come un fine, ma come uno strumento per garantire innanzitutto benessere alle persone, per aumentare la qualità della vita, ma anche come strumento per garantire la diffusione di valori come la lealtà e la sana competizione.
Per questo motivo la ratifica della Convenzione assicura uno strumento utile, ma non sufficiente se non ci sarà da parte di ciascuno Stato - e quindi, per quanto ci concerne, da parte dell'Italia - un investimento significativo nella direzione della diffusione della cultura che ha animato la nascita dei giochi olimpici e che pervade ogni giorno l'attività di milioni di sportivi, di ieri e di oggi; una cultura infangata da poche migliaia di atleti che hanno scelto di uccidere lo spirito nobile di tutte le discipline sportive.
In tal senso, l'accordo stipulato lo scorso 16 ottobre dal Ministero della sanità con altri dicasteri con cui si prevede lo stanziamento di 900 mila euro per l'informazione nelle scuole è un primo passo che va nella direzione auspicata. Bisogna insistere e continuare in maniera significativa in questa direzione, proprio affinché la diffusione di quella cultura sia lo strumento migliore per eliminare il fenomeno del doping e per far risplendere lo sport così come merita, da millenni ad oggi.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3082)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Giorgetti.

GIANCARLO GIORGETTI, Relatore. Signor Presidente, mi sembra che ci sia una comunanza di vedute tra tutte le forze politiche e il Governo. Auspico, pertanto, una rapidissima approvazione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

DONATO DI SANTO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, mi associo all'auspicio del relatore.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 13 novembre 2007, alle 10,30:
1. - Informativa urgente del Governo sulla vicenda dell'uccisione di Gabriele Sandri e sugli incidenti che ne sono seguiti.

Pag. 25

(ore 14)

2. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale:
SCOTTO; BIANCHI; BOATO; BIANCO; ZACCARIA ed altri; FRANCO RUSSO ed altri; LENZI ed altri; FRANCO RUSSO ed altri; D'ALIA; BOATO; BOATO; CASINI; SORO; DI SALVO ed altri; DILIBERTO ed altri: Modificazione di articoli della parte seconda della Costituzione, concernenti forma del Governo, composizione e funzioni del Parlamento nonché limiti di età per l'elettorato attivo e passivo per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (553-1524-2335-2382-2479-2572-2574-2576-2578-2586-2715-2865-3041-3139-3151-A).
- Relatori: Amici e Bocchino.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Leone e Garagnani n. 1-00233, Germontani ed altri n. 1-00227, Volontè e Galletti n. 1-00249 e Donadi e D'Ulizia n. 1-00250 sulla disciplina fiscale applicabile alle società cooperative, anche in relazione agli effetti prodotti nei mercati di riferimento.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1682 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale contro il doping nello sport, con Allegati, adottata a Parigi dalla XXXIII Conferenza generale UNESCO il 19 ottobre 2005 (Approvato dal Senato) (3082).
- Relatore: Giancarlo Giorgetti.

La seduta termina alle 17.