XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 238 di giovedì 8 novembre 2007

[frontespizio]
[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
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[indice cronologico]
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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI

La seduta comincia alle 10,40.

GIUSEPPE MORRONE, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Aprea, Bocchino, Brugger, Cordoni, Donadi, Gozi, La Malfa, Lion, Mattarella, Leoluca Orlando, Pagliarini, Piscitello, Sasso, Sgobio, Soro, Villetti, Elio Vito, Volonté e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ottantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 10,45).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale Scotto; Bianchi; Boato; Bianco; Zaccaria ed altri; Franco Russo ed altri; Lenzi ed altri; Franco Russo ed altri; D'Alia; Boato; Boato; Casini; Soro; Di Salvo ed altri; Diliberto ed altri: Modificazione di articoli della parte seconda della Costituzione, concernenti forma del Governo, composizione e funzioni del Parlamento nonché limiti di età per l'elettorato attivo e passivo per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (A.C. 553-1524-2335-2382-2479-2572-2574-2576-2578-2586-2715-2865-3041-3139-3151-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale di iniziativa dei deputati Scotto; Bianchi; Boato; Bianco; Zaccaria ed altri; Franco Russo ed altri; Lenzi ed altri; Franco Russo ed altri; D'Alia; Boato; Boato; Casini; Soro; Di Salvo ed altri; Diliberto ed altri: Modificazione di articoli della parte seconda della Costituzione, concernenti forma del Governo, composizione e funzioni del Parlamento nonché limiti di età per l'elettorato attivo e passivo per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Ricordo che nella seduta di ieri è iniziato l'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 2 ed è stato votato da ultimo l'emendamento Mascia 2.61.
Avverto che la Commissione ha testè presentato un emendamento riferito all'articolo 3 e che il termine per la presentazione dei subemendamenti è fissato per le ore 12 di oggi.Pag. 2
Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta fino alle ore 11,05.

La seduta, sospesa alle 10,50, è ripresa alle 11,05.

(Ripresa esame dell'articolo 2 - A.C. 553-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame dell'articolo 2 e delle proposte emendative ad esso presentate (Vedi l'allegato A - A.C. 553 ed abbinate sezione 1).
Osservo che, con riferimento a tutte le proposte emendative presentate dai deputati all'articolo 2, la Commissione e il Governo hanno formulato ai presentatori un invito al ritiro ovvero un parere contrario.
Avverto che, per dare ordine ai nostri lavori, ove i presentatori non manifestassero alla Presidenza l'intenzione di ritirare i propri emendamenti si procederà alla loro votazione.
Spero che i colleghi abbiano ascoltato quanto detto finora.
Passiamo alla votazione dell'emendamento D'Alia 2.121 sul quale vi è il parere contrario della Commissione e del Governo.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, poiché si tratta delle prime votazioni della giornata, torno a chiederle se fosse possibile verificare attentamente se le Commissioni siano state sconvocate, perché fino a qualche istante fa la Commissione giustizia, se non erro, era ancora in riunione.

PRESIDENTE. Procederemo immediatamente a tale verifica.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, prendo la parola in ordine ad un punto che ieri è stato già trattato nel merito, allorché abbiamo votato l'emendamento presentato dall'onorevole Franco Russo. Intendo chiarire un passaggio importante e fondamentale che nel corso del dibattito di ieri l'onorevole D'Alia ha posto all'attenzione dell'Assemblea.
Con il voto di ieri abbiamo chiaramente dimostrato quale sia la volontà del gruppo del Partito Democratico-L'Ulivo in ordine al tema della circoscrizione Estero, confermando la necessità di garantire la rappresentanza dei 18 eletti, così com'era stata definita dalla riforma costituzionale. Inoltre, abbiamo ribadito che, trattandosi di una riforma che mette mano alla struttura della Camera e alle sue funzioni e poiché la stessa diventa l'unico soggetto titolato del potere di indirizzo politico e quindi del voto di fiducia, era necessario procedere anche ad una proporzionale e conseguente riduzione del numero dei rappresentanti degli italiani all'estero nella Camera politica.
Contestualmente abbiamo ribadito che non potevamo e non volevamo che la rappresentanza complessiva di 18 subisse delle modifiche.
Ciò premesso, abbiamo acceduto, nel corso dei lavori della Commissione, a convergere su un emendamento del collega D'Alia che proponeva di avere sei eletti all'estero alla Camera dei deputati e 12 al Senato. È esattamente ciò che intendiamo fare, al punto tale che la Commissione ha fatto proprio l'emendamento D'Alia e lo ha presentato. Pertanto, la logica vorrebbe che tutti gli emendamenti che affrontano tale tema debbano essere ritirati. Nel caso ciò non dovesse avvenire, confermo il voto contrario del gruppo del Partito Democratico-L'Ulivo.
È molto importante che si chiarisca, anche durante il dibattito parlamentare odierno, come la presenza dei nostri colleghi eletti all'estero sia costituzionalmente garantita e politicamente importante, perché, al di là delle opinioni di ciascuno di noi nel momento in cui abbiamo proceduto alla riforma costituzionale che ha consentito ai nostri cittadini residenti all'estero di scegliersi i propri rappresentanti, la Costituzione deve essere rispettata Pag. 3e a loro deve essere riconosciuta, per intero, la funzione politica che milioni di cittadini residenti all'estero hanno loro conferito.
Pertanto, si tratta di un passaggio estremamente importante in cui i gruppi parlamentari hanno dimostrato ieri un alto senso di responsabilità.
Credo che a questo punto, al fine di non dover replicare ad interventi che hanno tutti lo stesso segno, sia opportuno che i colleghi presentatori delle proposte emendative accedano alla richiesta di ritiro. In caso contrario, confermo nuovamente il voto contrario del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto a titolo personale l'onorevole Tenaglia. Ne ha facoltà.

LANFRANCO TENAGLIA. Signor Presidente, i diritti che derivano dalla cittadinanza (il diritto di elettorato attivo e il diritto di elettorato passivo) non possono trovare limitazione e derivano direttamente da principi costituzionali. Quindi, il principio di rappresentanza anche dei cittadini italiani residenti all'estero non può essere in alcun modo limitato, né suddiviso o reso diverso dai principi di rappresentanza che valgono per i cittadini residenti nel territorio nazionale.
Pertanto, la presenza dei rappresentanti eletti all'estero è ormai un principio costituzionale che deriva direttamente dalla Costituzione stessa. Quindi, credo che sia opportuno che tali proposte emendative vengano ritirate, altrimenti bisogna dichiarare con nettezza la contrarietà a proposte emendative che limitano fortemente un principio costituzionale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo e colleghi, stiamo oggi proseguendo una riflessione critica, già ampiamente svolta nella seduta di ieri, con riferimento alla riforma costituzionale al nostro esame sotto il profilo della circoscrizione Estero e la previsione di una rappresentanza dei cittadini italiani residenti all'estero nei due rami del Parlamento della Repubblica. Ho già affermato ieri in sede di dichiarazione di voto in riferimento all'emendamento Mascia 2.61, che il gruppo dei Verdi, come preannunziato (e così è stato nelle votazioni), avrebbe votato contro tutte le proposte emendative volte o alla totale cancellazione di tale rappresentanza, in palese contrasto con il vigente articolo 48 della Costituzione, modificato con la legge costituzionale n. 1 del 2000, o, come nel caso dell'emendamento alla nostra attenzione, addirittura alla modifica dello stesso articolo 48 della Costituzione, prevedendo la rappresentanza dei cittadini italiani residenti all'estero soltanto in uno dei due rami del Parlamento.
Credo che i colleghi che mi hanno preceduto abbiano opportunamente messo in luce il fatto che, trattandosi di cittadini italiani a pieno titolo, sia pure residenti all'estero (ma forse in questo caso dovrei dire a maggior ragione residenti all'estero), non si possa considerare sotto il profilo costituzionale il fatto che i diritti dei cittadini vengano o annullati come nel caso degli emendamenti precedenti, o dimidiati, come nel caso al nostro esame. Non credo si possa immaginare che un cittadino italiano possa godere del diritto dell'elettorato attivo e passivo soltanto con riferimento ad uno dei due rami del Parlamento. Credo che ciò confliggerebbe con il principio di ragionevolezza, ma prima di tutto con il principio di eguaglianza, stabilito solennemente e in modo immutabile dall'articolo 3 della Costituzione.
Pertanto, al di là delle discussioni, già richiamate ieri, svolte nella fase istruttoria della duplice riforma costituzionale approvata nella XIII legislatura (la prima, che ho già ricordato, di modifica dell'articolo 48 della Costituzione e, la successiva, con la legge costituzionale n. 1 del 2001, di modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione), non credo che oggi, pur rispettando legittimamente il dibattito, anche critico, che si svolse in quella fase storica Pag. 4nel corso della XIII legislatura, sia possibile da parte del Parlamento rimettere in discussione quell'impianto costituzionale. Ciò che è possibile fare, ed è ciò che propone di fare la Commissione con una convergenza larghissima - non dico unanime, ma larghissima - che abbiamo verificato anche ieri nel voto sul primo di questi emendamenti (tale emendamento è stato bocciato da una stragrande maggioranza; più della maggioranza assoluta dei componenti della Camera hanno votato ieri quella bocciatura), è modificare i numeri della rappresentanza, perché l'articolo 48 prevede che sia la norma costituzionale a decidere il numero di seggi da assegnare alla circoscrizione Estero nell'elezione delle Camere. Pertanto la Commissione ha proposto l'emendamento 2.250 (che voteremo tra poco) che prevede, in coerenza con l'articolo 48, la definizione del numero dei seggi assegnati che, nella proposta della Commissione, saranno 12 per quanto riguarda l'elezione del Senato federale della Repubblica e 6 per l'elezione della Camera dei deputati.
Questo è il motivo, e concludo signor Presidente e onorevoli colleghi, per cui io - anche se non ne ho titolo - e la relatrice, che lo ha già fatto, invitiamo i presentatori, in primo luogo il collega D'Alia se lo ritiene, a ritirare questo emendamento. Qualora ritenesse di non ritirarlo noi voteremo contro l'emendamento 2.121 e anche contro i successivi di analogo tenore.

PRESIDENTE. Prego i colleghi di far cessare il brusio e di consentire a chi lo desidera di ascoltare con più attenzione la discussione.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Giovanelli. Ne ha facoltà.

ORIANO GIOVANELLI. Signor Presidente, mi associo alla valutazione sull'opportunità che questo emendamento venga ritirato, perché credo che vi siano le condizioni affinché quest'Assemblea oggi faccia un passo avanti decisivo nell'approvazione dell'articolo 2, dando così un segnale importante nella direzione della riduzione del numero dei parlamentari e, nello stesso tempo, della differenziazione delle competenze fra i due rami del Parlamento.
Non può essere di ostacolo rispetto a questo percorso, io credo, il tema della rappresentanza degli italiani all'estero che mi sembra la Commissione abbia analizzato e risolto con grande equilibrio. Si è confermato quel passo avanti importante che l'intero Paese ha compiuto, nel tentativo del recupero dell'identità nazionale che anche con il voto degli italiani all'estero e la loro rappresentanza nei rami del Parlamento del Paese al quale hanno dato tanto, pur vivendo lontano da questi confini, si è materializzato.
Ritengo, pertanto, che sia sicuramente importante arrivare al voto unitario di quanto prevede la proposta del relatore ed invito anch'io al ritiro i colleghi che hanno presentato gli emendamenti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boscetto. Ne ha facoltà.

GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, se ben intendo, l'emendamento D'Alia 2.121 intende diminuire il numero dei parlamentari eletti all'estero, attraverso un comma soppressivo e lo spostamento di 12 parlamentari al Senato. Noi ci asterremo o voteremo contro questo emendamento in quanto, come abbiamo ripetutamente affermato ieri, siamo non solo per la conservazione della presenza dei parlamentari eletti all'estero, ma anche per la conservazione del loro attuale numero di 18.
Per quanto riguarda lo spostamento fra Camera e Senato, vi è stata una lunga discussione, che nasce da una situazione iniziale piuttosto confusa, nel testo unificato adottato dalla Commissione come testo base.
In esso, come ha ricordato il collega Boato, si proponeva di modificare il terzo comma dell'articolo 48 della Costituzione, laddove si prevede: «A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l'elezione Pag. 5delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale».
Nel primo testo unificato adottato dalla Commissione come testo base, la parola «Camere», che ovviamente si riferisce a Camera e Senato, fu sostituita dalle parole «Camera dei deputati», nel senso che si intendeva far sì che i parlamentari della circoscrizione Estero entrassero tutti a far parte della Camera dei deputati. Ciò, tuttavia, si collegava con la previsione, contenuta nel testo, del suffragio universale per l'elezione dei senatori, con la possibilità, per un numero limitato di essi, di venire eletti dai consigli regionali e dei consigli delle autonomie.
Improvvisamente, in seguito, la Commissione - o meglio, la maggioranza - ha votato un emendamento che porta i senatori a non essere più eletti con elezione generale da parte di tutti i cittadini, ma ad essere eletti in via indiretta dai consigli regionali al loro interno e dai consigli delle autonomie locali. A quel punto, si è creata una situazione in cui la posizione dei parlamentari della circoscrizione Estero, eletti a suffragio universale, veniva equiparata a quella dei deputati, che sono anch'essi eletti a suffragio universale, mentre si trovava e si trova in una situazione non equiparata ai senatori, che sono eletti attraverso le elezioni indirette di secondo o di terzo grado. Tutto ciò ha comportato un «tira e molla» sui numeri, per cui oggi, anche attraverso il successivo emendamento della Commissione, alla Camera vi sono sei deputati e al Senato dodici senatori, poiché i parlamentari della circoscrizione Estero sono stati divisi in questo modo.
Pur tuttavia, avremo senatori di «serie A» (i senatori eletti all'estero a suffragio diretto e universale), senatori di «serie B» (quelli eletti dai consigli regionali) e senatori di «serie C» (quelli eletti dai consigli delle autonomie, poiché in sostanza si caratterizzano per un'elezione di terzo grado). Tutto ciò porta a pensare, per i senatori della circoscrizione Estero, di realizzare una possibile organizzazione intermedia, in modo da far sì che sia tale organizzazione ad eleggere i senatori, creando, anche in questo modo, un'elezione indiretta.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GABRIELE BOSCETTO. Siamo contrari a questo filtro, che ci sembra molto pericoloso, ma illustrerò la nostra posizione successivamente.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, perdonateci se anche stamani richiamiamo la vostra attenzione, ma il passaggio è di tale delicatezza che lo impone.
Spero di riuscire sinteticamente ad esprimere i vari concetti che vorrei illustrare sull'emendamento D'Alia 2.121, altrimenti cercherò di utilizzare anche il tempo dei successivi interventi. L'emendamento in esame, se non viene ritirato, cosa che anche io auspico, non potrà purtroppo ricevere un voto favorevole; finirà anzi per ricevere un voto contrario, per due ragioni essenziali. La prima, di una certa dirompente delicatezza, consiste nel fatto che l'emendamento D'Alia 2.121 porterebbe in primo luogo alla riduzione dei complessivi diciotto parlamentari eletti dagli italiani all'estero, non tenendo conto che al termine di un lungo e non facile dibattito e confronto, svolto anche in Commissione, si è arrivati alla risoluzione di mantenere inalterato il numero complessivo dei parlamentari eletti dagli italiani all'estero. Da questo punto di vista mi permetto di esprimere un apprezzamento - anche se poi aggiungerò delle critiche sull'attuazione pratica - per lo sforzo che hanno compiuto i due relatori di mettere insieme, in un modo o nell'altro, razionale o meno, molte esigenze diverse, pur di mantenere i diciotto seggi complessivi, tra Camera e Senato, eletti degli italiani all'estero. Voglio, quindi, manifestare un apprezzamento per il loro sforzo, e la piena comprensione per aver forse anche sacrificato Pag. 6delle pulsioni individuali per arrivare ad una soluzione. Siccome, invece, l'emendamento D'Alia 2.121 andrebbe a comprimere questo numero, mi sembra che ciò rappresenti già una ragione sufficiente affinché il gruppo di Alleanza Nazionale, qualora non venga ritirato, esprima voto contrario.
La seconda considerazione, anch'essa di una certa dirompente delicatezza, consiste nel fatto che l'emendamento in esame, nella parte in cui prevede di aggiungere, dopo l'articolo 2, l'articolo 2-bis, andrebbe a ipotecare proprio l'articolo 1, che abbiamo accantonato, e che riguarda la denominazione del Senato. L'emendamento D'Alia 2.121, infatti, propone di sostituire le parole «delle Camere» con le parole «del Senato federale della Repubblica», ma dal momento che abbiamo accantonato l'articolo 1, sarebbe una contraddizione se adesso ci sbarrassimo la strada facendo questa scelta.
Inoltre, onorevoli colleghi, richiamo la vostra attenzione sul fatto che la Corte costituzionale - non due amici al bar, non un gruppo di pericolosi sovversivi, di liberi pensatori, ma la Corte costituzionale - con la sentenza n. 365 del 2007, depositata l'altro ieri e riportata dalla stampa, ha affermato che non è né lecito né congruo nel nostro ordinamento costituzionale usare l'espressione «federale», poiché la nostra non è una Repubblica federale: questo è stato affermato dalla Corte costituzionale, come riportato con grande risalto da tutti i giornali di ieri. La Corte costituzionale ci dice chiaro e tondo: fate quello che volete sul piano delle articolazioni, ma il nostro ordinamento è improntato al regionalismo e non al federalismo. La Consulta ha bocciato un provvedimento legislativo della regione Sardegna che invece ipotecava esattamente, nella denominazione e nel contenuto, questa ormai antica querelle. Lo voglio ripetere: stiamo parlando della Corte costituzionale e della sentenza n. 365, depositata l'altro ieri.
Se non vogliamo dar luogo a un potenziale, anzi attuale, conflitto di decisioni e di poteri ed allo scardinamento di un principio e della conseguente definizione della nostra vigente, e non rinnegata, Costituzione, secondo i suoi autorevoli interpreti, gli unici deputati all'interpretazione, vale a dire i giudici della Corte costituzionale, dobbiamo prendere atto che questa espressione non è lecita né congrua nel nostro ordinamento.

MARCO BOATO. A Costituzione vigente, ma se cambia la Costituzione...

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Aggiungo che io stesso ho ringraziato sinceramente i relatori per questo sforzo di mantenimento dei diciotto seggi, ma la soluzione adottata mi sembra sconcertante. Onorevoli colleghi, facendo eleggere sei deputati alla Camera con il voto degli italiani all'estero e facendo diventare dodici quelli presenti al Sanato otterremmo diverse incongruenze.
La prima incongruenza è che si stabilisce un numero doppio di rappresentanti...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Mi riservo di svolgere ulteriori considerazioni intervenendo sui successivi emendamenti. Credo peraltro di aver già motivato il voto contrario sull'emendamento in esame, dell'ottimo collega D'Alia.

PRESIDENTE. Prendo atto che l'emendamento D'Alia 2.121 non è stato ritirato.
Passiamo ai voti.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento D'Alia 2.121, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

Pag. 7

(Presenti 444
Votanti 439
Astenuti 5
Maggioranza 220
Hanno votato
72
Hanno votato
no 367).

Prendo atto che i deputati Adolfo e Pisacane hanno segnalato che non sono riusciti a votare e che i deputati Galletti e Compagnon hanno segnalato che avrebbero voluto esprimere voto favorevole.
Prendo altresì atto che i deputati Romele, Lovelli e Zanella hanno segnalato che avrebbero voluto esprimere voto contrario e che i deputati Vacca e De Angelis hanno erroneamente espresso voto favorevole mentre avrebbero voluto esprimere voto contrario.
Avverto che sono stati ritirati gli emendamenti Zeller 2.104, Zeller 2.103 e Zeller 3.105.
Passiamo agli identici emendamenti Capezzone 2.111, D'Alia 2.120 e Buemi 2.63.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.

ENRICO BUEMI. Signor Presidente, confermiamo la nostra posizione a sostegno di una revisione dell'attuale impostazione che prevede la presenza di una rappresentanza degli Italiani all'estero, non perché non riteniamo che quella parte di cittadini non debba avere influenza nel nostro Paese, ma perché riteniamo che gli interessi che essi rappresentano sono principalmente collocati nei Paesi dove vivono, hanno le loro attività, pagano le tasse, frequentano le scuola, cioè dove svolgono attività di relazione sociale, culturale e politica permanente. Quindi, le politiche volte a consentire a quei concittadini un'influenza nel nostro Paese devono passare attraverso altri meccanismi: non crediamo che con una rappresentanza contraddittoria e anche molto limitata quegli interessi possano essere rappresentati nel nostro Parlamento. In particolare, sussiste la contraddizione costituita dal fatto che nel Senato, così come configurato dalla proposta di legge in esame, la rappresentanza è in funzione di una nomina di secondo grado da parte degli enti locali e delle regioni: mi chiedo che rapporto possa avere tutto ciò con gli Italiani all'estero, che sono espressioni di realtà completamente diverse e certamente non commensurabili. Tutto questo ci rende indisponibili ad un «pasticcio» che, per quanto riguarda le Camere fondamentali del nostro Paese, dovrebbe essere evitato.
Pertanto, insistiamo per la votazione dell'emendamento in esame e chiediamo all'Assemblea un voto favorevole.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, intendo proseguire le considerazioni precedentemente svolte, facendo presente, onorevoli colleghi, che la soluzione di cui stiamo discutendo di per sé è contraddistinta da una forte criticità.
Infatti, come ho già osservato, se si assegnano sei parlamentari alla Camera dei deputati e dodici al Senato, provenienti dall'estero, prima di tutto si realizza una proporzione inversa, cioè si farebbero gravare su un ristretto collegio, composto da neppur duecento elementi, quale sarebbe il Senato, dodici rappresentanti degli italiani all'estero, mentre all'Assemblea composta da cinquecento deputati parteciperebbero sei parlamentari eletti nella circoscrizione Estero. Pertanto si verificherebbe una proporzione assolutamente inversa, e ciò rappresenta una prima illogicità.
La seconda illogicità è costituita dal fatto che parlamentari eletti dal popolo, quali sono i senatori votati dagli italiani all'estero, verrebbero a fa parte di un organismo, non eletto dal popolo, ma con un'elezione di secondo o addirittura di terzo grado.
I senatori eletti dagli italiani all'estero sarebbero dei «supersenatori», senatori di «serie A», perché eletti sovranamente dal popolo, e affogati in un collegio di consiglieri regionali o di rispettabilissimi consiglieri comunali o provinciali, che svolgono il ruolo di delegati nella seconda Pag. 8Camera. Tutto questo crea una discrasia che penso non sfugga alla vostra considerazione di legislatori, e anche di democratici fedeli al principio della rappresentanza e della sovranità popolare.
Un'ulteriore illogicità è l'inaccettabile motivazione che anche ieri ho sentito fornire in quest'Assemblea: vi sarebbe il pericolo che i dodici, qualora rimanessero nella Camera dei deputati, verrebbero a inquinare le logiche e gli equilibri politici di quella Camera; addirittura, si è parlato della possibilità di non abilitarli a partecipare al voto di fiducia nei confronti del Governo e del Presidente del Consiglio, perché verrebbero ad alterare gli equilibri politici.
A questo punto, rischiamo di fare di questi senatori dei «superparlamentari», perché sono gli unici eletti dal popolo, ma contemporaneamente li stiamo vilipendendo e deprezzando, perché stiamo dicendo che costoro vengono ad alterare gli equilibri politici, come se non fossero eletti su liste politicamente libere e qualificate e non li avessimo facoltizzati a dare luogo a questo agone democratico e rappresentativo, e dovessero invece essere parlamentari minoris iuris. Tale contraddizione è insanabile, e anche fastidiosa e insultante dal punto di vista della legittimazione democratica: i nostri rappresentanti in carica, e quelli che lo diventeranno, dovrebbero ribellarsi.
Dunque, i relatori hanno compiuto lo sforzo, che apprezzo sinceramente, di lasciare i diciotto parlamentari della circoscrizione Estero, e da parte nostra ci opponiamo a tutto ciò che cancella i rappresentanti degli Italiani all'estero o che ne ridimensiona il numero. Io stesso, che avevo presentato emendamenti tecnici volti a superare tale discrasia, credo che mi indurrò a ritirarli, perché altrimenti l'equivoco sarebbe evidente, e lo riconoscerei spontaneamente. Tuttavia, spero che non vi sfuggiranno le criticità che ho evidenziato.
Quanto al tema che ho sollevato precedentemente, relativo al carattere federale o meno del Senato, rispondo rapidamente alle obiezioni che mi venivano fatte, ma non parlo con le mie troppo modeste e inadeguate parole, ma con quelle del collegio della Corte costituzionale, che non lascia spazio a dubbi. Secondo la sentenza n. 365 del 2007 «(...) è ben noto che il dibattito costituente, che pure introdusse per la prima volta l'autonomia regionale nel nostro ordinamento dopo lunghi e vivaci confronti, fu assolutamente fermo nell'escludere concezioni che potessero anche solo apparire latamente riconducibili a modelli di tipo federalistico o addirittura di tipo confederale. Questa stessa scelta riguardò la stessa speciale autonomia delle regioni a regime differenziato, malgrado i particolari contesti sociali, economici e anche internazionali esistenti (...)». Pretendere ora, concludono i giudici costituzionali...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, risparmierò tempo dopo, se non le dispiace.

PRESIDENTE. I tempi sono previsti per ogni intervento, non si possono accumulare successivamente.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, però non mi pare che stessi dicendo una facezia o una cosa voluttuaria...

PRESIDENTE. Non spetta alla Presidenza giudicare il merito dell'intervento.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. La Corte costituzionale denega, non perché dia gli ordini di caserma ma per un principio di custodia dell'ordinamento costituzionale e della sua logica informatrice, sia la denominazione sia la sostanza, che altererebbe il tipo di Repubblica che tuttora vige nel nostro Paese.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vacca. Ne ha facoltà.

Pag. 9

ELIAS VACCA. Signor Presidente, il gruppo dei Comunisti Italiani voterà contro gli identici emendamenti Capezzone 2.111, D'Alia 2.120 e Buemi 2.63, per le ragioni che più diffusamente ho spiegato in occasione di un precedente intervento.
Gli emendamenti in esame contengono in sostanza contemporaneamente tre opzioni. La prima è relativa alla riduzione a cinquecento del numero dei parlamentari: ci siamo già pronunciati al riguardo in difesa del nostro emendamento che, nell'ottica di un sistema monocamerale, proponeva di portare a cinquecentocinquanta il numero dei parlamentari eletti a suffragio diretto universale e, quindi, la nostra obiezione sul numero di cinquecento non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.
Per quello che riguarda invece l'eliminazione della circoscrizione Estero, implicita nel testo, è nota da tempo la posizione del partito e del gruppo dei Comunisti Italiani sull'argomento.
Vorrei ulteriormente soffermarmi - proseguendo così, in parte, l'intervento svolto poc'anzi dal collega Benedetti Valentini - su quanto ho affermato, in linea generale, sul progetto di riforma costituzionale. Essendo approdati alla votazione degli emendamenti riferiti all'articolo 2, dopo aver accantonato l'articolo 1, ci troviamo di fronte a qualche problema nell'incedere: gli emendamenti in esame, infatti, contengono anche, sia pure soltanto come conseguenza e come richiamo, la denominazione di «federale» riferita al Senato.
Mi interrogo ed interrogo i colleghi su quale sarebbe la conseguenza nell'ipotesi in cui gli identici emendamenti, non auspicabilmente, venissero approvati e, quindi, fosse accolta anche la parte in cui si dà la denominazione di «federale» al Senato, e poi, ad esempio, nella votazione sull'articolo 1, non venisse accolta la dizione del Senato come «Senato federale». Si avrebbe un automatico adeguamento anche del testo degli emendamenti in esame? È così sicuro che ciò accadrebbe? Credo che vi sarebbe una clamorosa contraddizione fra una proposta che dovrebbe essere soltanto incidentale rispetto alla definizione del Senato e la definizione propria che deriverebbe dall'approvazione dell'articolo 1 e dei relativi emendamenti.
Per tutte queste ragioni, che in parte sono di sostanza e in parte ribadiscono un ulteriore rilievo di confusione nel procedere, noi voteremo contro gli identici emendamenti in esame (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Cassola. Ne ha facoltà.

ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, mi riferisco a quanto affermato dall'onorevole Buemi, le cui argomentazioni mi convincono proprio dell'opposto, ossia dell'utilità che vi siano deputati eletti all'estero. L'onorevole Buemi, come altri colleghi, parla come se vivessimo nel 1945 o prima della caduta del muro di Berlino: sembra che non si ci si accorga del fatto che oggi vi sia una mobilità e che andiamo verso un mondo in cui vi saranno molte più persone che usciranno dai loro Paesi: il 10-15 per cento della popolazione, non solo italiana, si recherà all'estero.
Per questo motivo, è importante che si tenga conto della nuova realtà che si sta verificando e che è necessario, pertanto, allacciare i ponti con la gente che vive all'estero...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ARNOLD CASSOLA. ...perché, altrimenti, ci troveremo nella situazione assurda per cui oggi le persone che vivono all'estero sono quattro milioni, fra dieci anni saranno sei milioni, ma resteranno senza il diritto di voto, sia in Italia sia all'estero, nelle elezioni nazionali.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, come si suol dire «la toppa rischia di essere peggiore del buco». Non mi dilungo e richiamo le argomentazioni che ho già Pag. 10sviluppato ieri per sostenere il principio secondo cui i deputati eletti all'estero non sono necessari e costituiscono un corpo estraneo rispetto al nostro meccanismo di rappresentanza.
Capisco anche che qualcuno cerchi di contenere i danni e, quindi, pensi a qualche marchingegno che limiti la loro presenza all'interno del Parlamento. Collocarli, tuttavia, al Senato rappresenta una toppa peggiore del buco, perché il Senato dovrebbe essere proprio la Camera rappresentativa dei territori e i senatori, quindi, dovrebbero essere, tra i parlamentari, coloro che hanno un legame e un collegamento con il territorio più stretto. Gli eletti nella circoscrizione Estero, invece, sono proprio quelli che, per definizione, non hanno questo tipo di collegamento.
Per tali motivi, ho affermato che «la toppa è peggio del buco» e non condividiamo gli emendamenti in esame.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ronconi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO RONCONI. Signor Presidente, a me pare che si continui ancora nell'equivoco di definire prima la composizione delle Camere rispetto alle competenze. È evidente che ci troviamo di fronte ad un pasticcio serio, in modo particolare quando facciamo riferimento al Senato: non so se chiamarlo ancora Senato, Camera delle autonomie o Senato federale, ma, per capirci, definiamolo ancora «Senato».
Il pasticcio è ancora più grande quando ci riferiamo ai parlamentari eletti all'estero. Ha, infatti, ragione chi dice che appare assolutamente improbabile immaginare una Camera - il Senato - in cui siano presenti, contemporaneamente, senatori eletti in secondo grado dalle autonomie locali e dalle regioni, e senatori, invece, eletti all'estero con scrutinio universale. È evidente che ciò andrà a compromettere il lavoro del Senato, così come appare difficile immaginare l'inserimento di parlamentari eletti all'estero, al Senato, quando ancora non sappiamo quali saranno le competenze di questo Senato! Con alta probabilità - e qui ha ragione il rappresentante della Lega Nord Padania - il Senato (se sarà federale), non avrà competenze che riguardano gli italiani all'estero e noi inseriamo, in questo caso, un corpo che sarà assolutamente estraneo a quella Camera!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, vorrei confermare il voto contrario del gruppo dei Verdi - come è stato poc'anzi ribadito opportunamente anche dal collega Cassola - sugli identici emendamenti Capezzone 2.111, D'Alia 2.120 e Buemi 2.63.
Desidero, altresì, segnalare con soddisfazione e ringraziare anche i colleghi del gruppo Misto-Minoranze linguistiche, i quali hanno accettato l'invito della relatrice di ritirare l'emendamento Zeller 2.104.
Inoltre, vorrei ricordare in questo dibattito che - a mio parere, ovviamente - non ha senso continuare a dire che prima dobbiamo decidere una cosa, poi un'altra, poi un'altra ancora, e così via. È ovvio che il numero dei componenti della Camera e del Senato, la struttura che quest'ultimo assumerà e il procedimento legislativo che prevederemo all'articolo 7 in riferimento al nuovo articolo 70 della Costituzione, sono aspetti tra di loro strettamente connessi. Tuttavia, è altrettanto ovvio che dobbiamo procedere con una logica istituzionale che il presidente Violante all'inizio della scorsa seduta aveva giustamente ricordato.
Da ultimo, vorrei segnalare al collega Benedetti Valentini - con il massimo rispetto che, come lui sa, nutro nei suoi confronti ed i cui interventi ascolto sempre con attenzione - che il richiamo ad una sentenza della Corte costituzionale, sotto questo profilo, non ha valore perché essa si riferisce alla Costituzione vigente. Quando saranno introdotte nuove norme Pag. 11(in particolare quella relativa all'assetto del Senato federale con l'articolo 3) e sarà finalmente definito l'iter legislativo di questa revisione costituzionale, è evidente che quella diventerà la norma di riferimento (in quanto costituisce fonte primaria) anche per la Corte costituzionale, la quale, da quel momento in poi, dovrà adottare una giurisprudenza costituzionale coerente e conseguente al nuovo assetto ordinamentale, deciso sovranamente dal Parlamento della Repubblica.
Pertanto, non muovo obiezioni alle sollecitazioni del collega Benedetti Valentini relative alla giurisprudenza costituzionale a Costituzione vigente, ma desidero sottolineare il fatto che stiamo revisionando la Costituzione sotto un profilo di cui la successiva giurisprudenza costituzionale non potrà non tener conto.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boscetto. Ne ha facoltà.

GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, certamente questa discussione viene resa legittima dai problemi che sono emersi e che sono stati ben evidenziati anche in quest'Aula. Infatti, il Senato - che nella struttura prospettata diventa rappresentativo strettamente delle regioni, attraverso l'elezione indiretta da parte dei consigli regionali e dei consigli delle autonomie locali - sembrerebbe adattarsi poco all'ingresso dei senatori parlamentari eletti all'estero, i quali sono lontani da questi territori per la loro collocazione in territori di ogni parte del mondo. Ci si chiede, quindi, se questa Camera regionale non sarà snaturata dall'ingresso di questi senatori eletti all'estero, che sono portatori di istanze del tutto diversificate.
Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che per esempio, in Francia, il Senato accoglie, come membri, anche i parlamentari (nel qual caso, i senatori) eletti oltremare.
Ciò vuol dire che, come i francesi, anche noi possiamo comprendere l'utilità o, perlomeno, la «neutralità» di tale collocazione. Certo è che la posizione dei dodici senatori sarà diversificata rispetto a quella dei sei deputati, in quanto i deputati potranno esprimersi sulla fiducia al Governo e avere, quindi, una veste politica attiva, mentre i senatori, non pronunciandosi sulla fiducia, avranno una veste che noi riteniamo pressoché consultiva e che nasce da questa formula di elezione del Senato, non diretta, non a suffragio universale, bensì indiretta, di secondo o terzo grado.
Tuttavia, la nostra posizione - che comporta il voto contrario agli identici emendamenti in discussione - è quella di mantenere il più possibile la situazione attuale, che vede la presenza di parlamentari eletti all'estero sia alla Camera che al Senato.
Pertanto, tale soluzione ci impedisce di votare a favore degli emendamenti in esame, secondo i quali tutti i parlamentari eletti all'estero dovrebbero trovarsi esclusivamente al Senato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Romagnoli. Ne ha facoltà.

MASSIMO ROMAGNOLI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, penso che in questa legislatura, con l'apporto di diciotto parlamentari eletti all'estero, per la prima volta sono state affrontate problematiche relative a quegli italiani che, per vari motivi, si sono recati all'estero.
Attraverso la presentazione di emendamenti, ordini del giorno e progetti di legge sono state affrontate tutte quelle problematiche che, fino ad ora, per mancanza di volontà, non erano mai state considerate.
Ritengo che la presenza dei parlamentari all'estero, in un certo qual modo, abbia aiutato ad affrontare quelle problematiche che sono sempre rimaste nei cassetti delle aule parlamentari.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici Pag. 12emendamenti Capezzone 2.111, D'Alia 2.120 e Buemi 2.63, non accettati dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 457
Votanti 452
Astenuti 5
Maggioranza 227
Hanno votato
65
Hanno votato
no 387).

Prendo atto che i deputati Grassi e Luciano Rossi hanno segnalato che non sono riusciti a votare e che la deputata Zanella ha segnalato che avrebbe voluto esprimere voto contrario.
Passiamo agli identici emendamenti Benedetti Valentini 2.110 e Boscetto 2.112.
Chiedo ai presentatori se accedano all'invito al ritiro formulato dal relatore.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, anche in considerazione di quanto ho già detto poc'anzi nel corso dei due precedenti interventi, annuncio l'intenzione di ritirare l'emendamento in discussione e, verosimilmente, anche quelli successivi a mia firma inerenti la questione del numero dei parlamentari.
Infatti, come ho già spiegato, si trattava di emendamenti prevalentemente tecnici, per adattare la diminuzione del numero dei parlamentari alla logica del nostro approccio rispetto a tale argomento che, come vedete, è delicatissimo.
Mantenendo la dicitura «ai» deputati, anziché il riferimento ad un numero preciso (in questo caso, dodici), ad un momento successivo, si lascerebbe la determinazione di tale numero all'arbitrio di una legge ordinaria e quindi, anche delle maggioranze mutevoli che, di legislatura in legislatura, possono determinarsi, creando decisioni non costituzionalmente degne, bensì dovute al comodo episodico di questa o quella maggioranza.
La logica che governa le norme costituzionali non deve essere questa. Pertanto, è evidente che tale tipo di modifica, che io stesso ed altri avevamo proposto - di per sé logica, se vista ex ante - non appare più opportuna.
Quindi, nonostante tutti i problemi che rimangono aperti - avete sentito che razza di problemi siano, non lievi -, per quanto concerne la ripartizione tra Camera e Senato e la presenza degli italiani all'estero, ribadita e ribadenda - a nostro avviso -, ritiro l'emendamento 2.110.

PRESIDENTE. Onorevole Boscetto, ritira il suo emendamento?

GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, anche io ritiro l'emendamento 2.112 in quanto si trattava di una proposta emendativa di carattere tecnico, il cui scopo era quello di lasciare all'Assemblea la possibilità di stabilire quali dovessero essere i numeri dei parlamentari eletti nella circoscrizione Estero.
Noi avevamo proposto la sostituzione della parola «dodici» con la parola «ai» nella prospettiva che poi si dovesse discutere in Assemblea il problema riguardante i numeri. Tale proposta emendativa non trova più giustificazione e, pertanto, il ritiro della medesima è la conseguenza necessaria.

ANTONIO LEONE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente vorrei fare solo una richiesta che a me sembra sensata e che le sottopongo.
Come lei può verificare, la parte principale del prossimo emendamento 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione si riferisce al numero dei deputati, mentre la parte consequenziale riguarda anche il numero dei senatori eletti nella circoscrizione Estero.
Dal momento che il Senato è disciplinato nel successivo articolo 3, chiederei di votare per parti separate la parte principale Pag. 13dalla parte consequenziale dell'emendamento della Commissione, che andrebbe votata nel momento in cui tratteremo l'articolo successivo. Ciò anche per salvare le proposte emendative ad esso connesse, che conseguentemente verrebbero precluse dal voto dell'Assemblea se si votasse in questo momento e senza operare una votazione per parti separate.

PRESIDENTE. Penso che i colleghi abbiano compreso. È stata chiesta, ai sensi dell'articolo 87, comma 4, del Regolamento, la votazione per parti separate dell'emendamento 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione, nel senso di votare separatamente la prima parte, che incide sul numero dei deputati eletti nella circoscrizione Estero, da quella consequenziale, concernente il numero dei senatori eletti nella circoscrizione Estero, accantonando quest'ultima al fine di esaminarla contestualmente alle proposte emendative riferite all'articolo 3.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente I Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente I Commissione. Signor Presidente, non c'è ragione di accantonare la parte consequenziale; se il collega Leone chiede di votare l'emendamento della Commissione per parti separate, si può fare perché ciò non incide sul numero dei senatori. Quest'ultimo, infatti, è stabilito nell'articolo 3, mentre l'emendamento 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione stabilisce solamente quanti senatori sono eletti nella circoscrizione Estero e ciò è stato oggetto di grande discussione tra noi.
Abbiamo deciso che il punto di equilibrio tra le varie posizioni fosse che sei deputati (qualunque sarà il loro numero complessivo) e dodici senatori (qualunque sarà il loro numero complessivo) saranno eletti all'estero. Pertanto, ciò non incide sul numero complessivo previsto per la circoscrizione Estero. Se il collega Leone insiste per votare per parti separate va bene, purché si voti adesso.

ELIO VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Signor Presidente, il senso della nostra richiesta non è di manifestare contrarietà rispetto alla prima o alla seconda parte dell'emendamento 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione, ma proprio di consentire che, quando esamineremo l'articolo 3, si esamini anche il numero dei senatori eletti nella circoscrizione Estero. Quindi, la nostra richiesta è proprio di accantonare la seconda parte e di definirla in quella sede. Non è che ci debba essere necessariamente una relazione tra il numero dei senatori complessivo e il numero di quelli eletti nella circoscrizione Estero, però l'articolo 2 riguarda i deputati e noi non abbiamo presentato a tale articolo delle proposte emendative che conseguentemente avrebbero inciso sull'articolo 3.
Ci pare corretto riservare questa parte a quando voteremo le altre proposte emendative - che pure sono state da noi presentate - sul numero dei senatori eletti nella circoscrizione Estero e che incidono sull'articolo 3.
Quindi, credo che accantonare la seconda parte dell'emendamento 2.250 della Commissione sia un atto di assoluto buonsenso.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente I Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente I Commissione. Signor Presidente, chiedo scusa se prendo di nuovo la parola, ma il punto è questo: abbiamo stabilito che la rappresentanza della circoscrizione Estero sia di diciotto parlamentari, come quella attuale. Pertanto, se vogliamo tenere fermo questo principio e stabiliamo che sei parlamentari vengano eletti alla Camera, è chiaro che dodici saranno eletti al Senato: non esiste, infatti, una terza Camera cui Pag. 14assegnare quei senatori. Mi permetto, quindi, di insistere sul «no» all'accantonamento...

ELIO VITO. Votiamoli come subemendamenti.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente I Commissione. ... affinché si voti in modo che si sappia con chiarezza qual è la posizione della Camera in ordine agli eletti nella circoscrizione Estero. Questo è il tema politico.

ELIO VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Signor Presidente, se il presidente Violante insiste, per correttezza dobbiamo trasformare in subemendamenti all'emendamento 2.250 della Commissione gli emendamenti da noi presentati all'articolo 3 sui senatori eletti nella circoscrizione Estero.
Se la Presidenza ci autorizza, va bene. In caso contrario, votando ora, faremmo decadere tutte le proposte emendative relative ai senatori eletti alla circoscrizione Estero che abbiamo presentato all'articolo 3.
Votiamo allora tali proposte riferite all'articolo 3 come subemendamenti all'emendamento 2.250 della Commissione e affrontiamo adesso una discussione, che però, a mio avviso, potremmo più agevolmente condurre martedì, limitandoci ora solo a decidere il numero dei deputati eletti all'estero.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, avendo seguito abbastanza intensamente la discussione su questo argomento, mi sembra che si abbia ragione, onestamente, da entrambe le parti.
I colleghi di Forza Italia sollevano una questione ineccepibile: sostengono che stiamo ipotecando qualcosa che attiene.... scusi, signor Presidente...

PRESIDENTE. L'ascolto.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. ...capisco che la consultazione con gli uffici è preziosa.

PRESIDENTE. È finalizzata alla conduzione dei nostri lavori.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Non c'è dubbio, mi permetto tuttavia di richiamare la sua attenzione. Dicevo che, tutto sommato, non per voler fare il mediatore, mi pare che si abbia ragione da entrambe le parti. I colleghi di Forza Italia portano un argomento di per sé ineccepibile quando sostengono che stiamo ipotecando la decisione in ordine a questioni affrontate nell'articolo 3 e nelle proposte emendative ad esso riferite.
Non dovremmo, quindi, votare adesso su una proposta che ipotecherebbe quella decisione. È correttissimo! Non solo, ma le precedenti decisioni sarebbero in contraddizione con quella che assumeremmo ora. Peraltro, il presidente Violante obietta, non certo casualmente, che se abbiamo trovato un accordo sul numero di diciotto dovremmo confermare tale numero e non rischiare - accantonando la parte consequenziale - di votare adesso soltanto sulla prima parte dell'emendamento diminuendo, in sostanza, la rappresentanza degli eletti alla Camera dei deputati nella circoscrizione Estero da dodici a sei e ipotecando così, politicamente e istituzionalmente, la decisione sulla seconda parte dell'emendamento.
Il mio modesto suggerimento sarebbe, oggettivamente, quello di accantonare l'esame dell'emendamento 2.250 della Commissione e del relativo subemendamento.
Addirittura, potremmo auspicare una riunione del Comitato dei nove o della Commissione per sciogliere la questione, tutt'altro che marginale. Io stesso ho ringraziatoPag. 15 di tutto cuore i relatori perché si sono sforzati di trovare le soluzioni mantenendosi all'interno del perimetro rappresentato dal numero di diciotto. La soluzione, però, è incongrua e l'ho detto anche dianzi, in un momento non sospetto.
Le possibilità sono due: o portiamo l'argomento in Comitato dei nove o in Commissione e rinviamo la decisione sull'emendamento 2.250 della Commissione, oppure, pur dando tutte le ragioni ai colleghi di Forza Italia, sinceramente, una votazione distinta per parti separate - in tal caso devo dare ragione all'onorevole Violante - non sarebbe congrua e potrebbe essere financo rischiosa.
Il mio modestissimo suggerimento è di non votare ora su questo emendamento e sui relativi subemendamenti, ma accantonarne l'esame o, addirittura, rinviare l'approfondimento delle questioni relative a questo emendamento ed ai relativi subemendamenti alla Commissione o al Comitato dei nove.

ROBERTO COTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, non vi è dubbio che la richiesta sollevata sia fondata.
Anzitutto, l'emendamento 2.250 della Commissione è inammissibile; avrebbe dovuto essere collocato in un altro momento della discussione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 12,05)

ROBERTO COTA. Infatti, la discussione della prima parte dell'emendamento avrebbe dovuto essere riferita all'articolo 2 mentre la seconda parte, ovviamente, all'articolo 3. Chiedo alla Presidenza della Camera di compiere questa verifica, perché, con tutto il rispetto nei confronti dei colleghi, gli emendamenti della Commissione devono comunque rispettare le regole parlamentari, anche se, appunto, provengono dalla Commissione.
Inoltre, se dovessimo votare su questo emendamento in sede di discussione dell'articolo 2, l'eventuale approvazione di questo emendamento farebbe decadere tutti gli altri emendamenti presentati all'articolo 3 e quindi impedirebbe, di fatto, la discussione dell'articolo 3. Ma, francamente, una tale interpretazione non starebbe né in cielo né in terra!
Chiedo alla Presidenza di valutare, anche se è già stato fatto, l'ammissibilità all'origine di questo emendamento e, evidentemente, collocare la seconda parte dell'emendamento stesso come emendamento all'articolo 3. Non può essere diversamente!

MARCO BOATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, credo che il dibattito procedurale in corso sia, francamente, alquanto discutibile, per non usare un'espressione più forte. Stiamo discutendo da due sedute, ieri e oggi, per ore (giustamente, perché è un tema di grande rilevanza) complessivamente di questo argomento.
In Commissione non la maggioranza politica, ma un'amplissima maggioranza (come del resto il collega Boscetto, il collega Benedetti Valentini, ieri il collega D'Alia hanno riconosciuto) ha trovato un punto di equilibrio nell'affrontare la questione circoscrizione Estero, come ricordava poco fa il presidente Violante, prevedendo una riduzione a sei dei deputati eletti alla Camera e un conseguente aumento a dodici dei senatori eletti nell'altro ramo del Parlamento. È chiaro quindi che si tratta di una decisione unitaria, che la Commissione ha formulato in modo tecnicamente corretto con l'emendamento 2.250 all'articolo 2, comma 1, e conseguentemente all'articolo 3, comma 1, capoverso, primo comma. Non c'è ombra di dubbio - del resto, la Presidenza l'ha dichiarato ammissibile - sulla correttezza di questo emendamento.
Il problema si apre semmai per quanto riguarda i possibili subemendamenti all'emendamento Pag. 162.250 della Commissione; l'ha già rilevato il collega Vito, e vorrei suggerire alla Presidenza un'apertura al riguardo. Dal punto di vista procedurale la Presidenza della Camera, una volta che ha dichiarato ammissibile l'emendamento 2.250, ha fissato il termine per la presentazione dei relativi subemendamenti: quindi, non solo l'opposizione, ma chiunque di noi poteva presentarli. Tanto è vero che il collega Boscetto e il gruppo di Forza Italia l'hanno fatto: nel fascicolo degli emendamenti, signor Presidente, troverà il subemendamento 0.2.250.1 del collega Boscetto, sul quale adesso voteremo. D'altro canto, sempre nel fascicolo, in relazione all'articolo 3, troverà sul tema specifico (perché di questo stiamo parlando, degli eletti nella circoscrizione Estero) l'emendamento 3.137 del collega Boscetto, pressoché identico al subemendamento che ho citato, che sopprime l'espressione «secondo modalità stabilite dalla legge» (lo voteremo fra poco); l'ulteriore emendamento 3.136 del collega Boscetto, che sulla base di discussioni precedenti prevede sei senatori (ma Boscetto ha poco fa ripetutamente dichiarato che il suo gruppo condivide l'orientamento emerso in Commissione di sei deputati e dodici senatori eletti nella circoscrizione Estero, quindi suppongo che, qualora esso non fosse precluso, dovrebbe ritirarlo); gli identici emendamenti Buemi 3.103, Zeller 3.105 (peraltro ritirato), Maroni 3.112 e Contento 3.132 che invece ne propongono la soppressione (ma abbiamo visto che l'Aula a stragrande maggioranza, ben oltre la maggioranza assoluta dei componenti, è contraria a questa posizione). Anche Benedetti Valentini, firmatario dei successivi emendamenti, peraltro, ha dato atto dell'accordo intervenuto. I colleghi insomma si sono pronunciati ripetutamente - e, devo dire, lealmente - su questa materia. Ma, se la Presidenza volesse chiedere ai presentatori degli emendamenti indicati alle pagine diciannove e venti del fascicolo n. 5 degli emendamenti di tramutarli automaticamente (se lo ritengono, ma dubito che lo ritengano, almeno non tutti) in subemendamenti all'emendamento 2.250 della Commissione, manifesto in proposito una disponibilità; mia ovviamente, non parlando a nome della Commissione.
Ma ripeto: quando è stato presentato l'emendamento 2.250 della Commissione, si è automaticamente fissato un termine per la presentazione dei subemendamenti, tanto è vero che il collega Boscetto ne ha presentato uno. Chiunque altro avrebbe potuto farlo: se non lo si è fatto vuol dire che si riteneva accettabile l'accordo raggiunto in sede di Commissione. Che esso sia accettabile, poi, lo si vede dalle ripetute votazioni con le quali gli altri emendamenti in materia sono stati respinti con 367 voti: 51 in più della maggioranza assoluta della Camera. La volontà dell'Aula si è dunque già ripetutamente manifestata fra ieri e oggi.
Per queste ragioni, signor Presidente, se il collega Vito insiste sulla votazione per parti separate, come ha già detto il presidente Violante, nulla quaestio: ma le parti vanno votate in sequenza. Se la Presidenza ritiene, poi, riferisca come subemendamenti all'emendamento della Commissione gli emendamenti che sono stati presentati all'articolo 3: ma dubito che i proponenti lo vogliano.

PRESIDENTE. Considerata la relativa complessità della questione, la Presidenza ritiene opportuna - anche sulla base della richiesta venuta dal gruppo di Forza Italia, e date talune differenze di visione all'interno del Comitato dei nove - una sospensione di alcuni minuti per consentire un chiarimento all'interno del Comitato stesso. Pertanto, sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 12,10, è ripresa alle 12,20.

PRESIDENTE. Invito il presidente Violante ad indicare all'Assemblea le conclusioni raggiunte.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, abbiamo discusso brevemente. Proponiamo di votare ora la prima parte dell'emendamentoPag. 17 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione - che riguarda il numero dei deputati eletti nella circoscrizione Estero - e di votare la parte consequenziale successivamente, quando affronteremo l'esame dell'articolo 3. Informo altresì - questo è un punto politico - che tutta la maggioranza, il gruppo di Alleanza Nazionale, quello di Forza Italia e - mi dicono - quello dell'UDC sono del parere che complessivamente gli eletti all'estero debbano essere diciotto.

PRESIDENTE. Sta bene. Si intende, pertanto, che il subemendamento Boscetto 0.2.250.1 verrà votato successivamente, in riferimento alla parte consequenziale dell'emendamento 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione.
Passiamo dunque alla votazione della prima parte dell'emendamento 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, intervengo molto brevemente solo per confermare - l'ho dichiarato già molte volte - che il gruppo dei Verdi (come del resto moltissimi altri gruppi, come ha ricordato poco fa il presidente Violante) è favorevole a mantenere il numero di diciotto parlamentari assegnati alla circoscrizione Estero, con una previsione di sei assegnati alla Camera dei deputati e di dodici assegnati al Senato federale della Repubblica.
Formalmente, come ha spiegato il presidente Violante, voteremo oggi solo la prima parte dell'emendamento, ma con una dichiarazione politica - che io considero impegnativa per l'Aula, considerate anche le votazioni precedenti - nel senso che in ordine al successivo esame dell'articolo 3 vi è sin d'ora una larghissima convergenza dell'Aula sull'approvazione dell'elevazione a dodici del numero dei senatori eletti nella circoscrizione Estero. In questo quadro complessivo, annuncio il voto favorevole sulla prima parte dell'emendamento 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla prima parte dell'emendamento 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione, accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 417
Votanti 223
Astenuti 194
Maggioranza 112
Hanno votato
208
Hanno votato
no 15).

Prendo atto che i deputati Dato, Fincato, Zanella e Simeoni hanno segnalato che non sono riusciti a votare e che il deputato Mellano ha segnalato che avrebbe voluto esprimere voto favorevole e che il deputato Burgio ha segnalato che avrebbe voluto astenersi.
Avverto che, a seguito dell'approvazione della prima parte dell'emendamento 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione riferita all'articolo 2, risultano assorbiti la parte dispositiva dell'emendamento D'Alia 2.122, nonché gli identici emendamenti Zeller 2.102 e Benedetti Valentini 2.108. Risulta altresì precluso l'emendamento Benedetti Valentini 2.109.
Comunico che assistono ai nostri lavori due classi, rispettivamente del liceo classico Genovesi di Napoli e del liceo scientifico Giuseppe Peano di Monterotondo (Roma). La Presidenza e l'Assemblea rivolgono loro un saluto (Applausi).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Dato 2.65.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Dato. Ne ha facolta.

CINZIA DATO. Signor Presidente, l'emendamento in esame è giustificato dall'importanza di porsi il problema della rappresentatività delle nostre istituzioni. È inutile che io sottolinei quanto la scarsa Pag. 18partecipazione delle donne alle istituzioni decisionali - e, in particolare, a quelle dette «rappresentative» malgrado l'evidente assenza della componente femminile della società - costituisca un problema, prima ancora che per le donne, come sappiamo, per la democrazia e l'esercizio stesso dell'attività decisionale e politica.
Pertanto, stiamo ridisegnando la concezione del Parlamento, perché stiamo fissando il nuovo numero dei suoi componenti e l'età necessaria per l'elettorato attivo e passivo. Sarebbe opportuno fissare non un criterio di quote, ma una norma di garanzia contro l'eccessivo squilibrio che nel nostro Paese è, come voi ben sapete, imbarazzante. Ricordo, per esempio, che siamo tra gli ultimi in Europa.
È vero che nel nostro Paese è stato novellato l'articolo 51 della Costituzione, ma purtroppo, si tratta di una formulazione assolutamente inefficace. Infatti, diversamente da quanto è avvenuto per il Titolo V della Costituzione in ordine alle regioni, che è stato recepito dagli statuti regionali acquistando così efficacia, la formulazione dell'articolo 51 della Costituzione è intesa ad abbattere un ipotetico muro sulla via di scelte normative di riforma che in realtà non sono mai state praticate.
L'abbattimento dell'ipotetico muro, con l'attuale formulazione dell'articolo 51 della Costituzione, risulta inefficace. Vogliamo delle prove? Ve ne sono numerose. Ne cito solo due: dopo la novella dell'articolo 51 si svolsero le prime elezioni provinciali e il numero di donne candidate alla presidenza delle province fu inferiore a quello delle donne elette uscenti. Riflettete, dunque, sull'efficacia di tale articolo.
In seguito, come sapete, è stata varata la riforma elettorale senza minimamente tenere conto della riformulazione dell'articolo 51 della Carta fondamentale. Perciò, è evidente come tale rivisitazione a poco serva o abbia bisogno di essere fortemente rafforzata, sia in ordine alle istituzioni elettive, sia in ordine alle istituzioni di nomina.
Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, a fronte di tale grave problema del nostro Paese invito tutti coloro che non l'avessero ancora fatto a riflettere sugli obiettivi della strategia di Lisbona, dove l'Europa sembra avvertire che l'Italia ha un grave problema, la cui soluzione richiede un'azione nei tre momenti decisionali necessariamente congiunti, se si vuole affrontare questa grande falla del nostro sistema e della scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Inoltre, rammento un insoddisfacente welfare di cui la donna stessa, pur avendo bisogno di aiuto, costituisce la colonna portante, considerato anche il grado della partecipazione delle donne italiane alle istituzioni decisionali del Paese. Come pensiamo di affrontare tale problema? Signor Presidente, credo che una preoccupazione di tale natura, alla fine, alleggerisca in sede di decisione e discussione di riforma elettorale e fa ricadere sui partiti la necessaria, dovuta responsabilità nell'espressione della rappresentanza politica da sottoporre all'elettorato, imponendo loro una norma di garanzia contro lo squilibrio.
Questa è la ragione per cui ho presentato l'emendamento in esame che mi dicono essere condiviso da altri colleghi del mio e di altri partiti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.

GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, intervengo per esprimere il nostro parere contrario in ordine all'emendamento in esame. La collega Dato si chiedeva in che modo affrontare il problema della rappresentanza di genere ed io rispondo prima di tutto con un conflitto all'interno di ogni partito, ognuno nel proprio partito.
Infatti, l'ultima legge elettorale, pur con tutti i suoi difetti, così come si può comprendere anche dai banchi del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, offriva l'opportunità ai partiti che lo volessero, prevedendo liste bloccate, di rappresentare adeguatamente e con uno squilibrio minore nelle sedi istituzionali i generi.Pag. 19 C'erano tutte le condizioni tecniche per poterlo fare.
Detto ciò, il problema politico enorme che riguarda le istituzioni, i partiti e la politica va anche affrontato probabilmente attraverso misure legislative. A tale proposito, la copertura costituzionale è sicuramente offerta dall'articolo 51 della Costituzione, che a suo tempo avevamo considerato un po' troppo tenue, ma che invece ha superato il vaglio di costituzionalità.
Il problema della proposta emendativa in esame è che scrivere ciò in Costituzione non porta nulla in più all'articolo 51, ma anzi qualcosa in meno. Infatti, non mi pare che la linea sostenuta dalle donne e da molti movimenti né in Italia né in Europa sia di costituzionalizzare che il recupero dello squilibrio avvenga attraverso la garanzia dei «due terzi e un terzo». Se si vuole affrontare la norma sul piano legislativo - penso all'ambito normativo delle leggi elettorali -, tenendo aperta la presente norma di principio generale di copertura in Costituzione e inserendo nelle leggi elettorali una norma antidiscriminatoria, tale norma non può prevedere il principio dei «due terzi e un terzo», ma almeno quello del cinquanta per cento, perché altrimenti andiamo a sancire in Costituzione le riserve indiane per le donne. Aggiungo che, se qualcuno volesse attribuire efficacia ad un'eventuale legge elettorale che contenesse la norma antidiscriminatoria, noi proponiamo che si stabilisca la regola del «cinquanta e cinquanta», senza possibilità di trattativa, perché non siamo al mercato.
Inoltre, sono necessarie le sanzioni e l'unica efficace consiste nell'inaccettabilità delle liste che non rispettino quei requisiti. Tutto il resto sono chiacchiere, propaganda e demagogia e noi donne siamo un po' stufe che si facciano propaganda e demagogia senza alcuna efficacia.

SESA AMICI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, in veste di relatrice, ma anche a nome della Commissione, cercando di tenere insieme le due funzioni, continuo a rivolgere alla collega Dato un invito al ritiro della proposta emendativa in esame. La discussione è troppo seria; riguarda gli effetti e la qualità della democrazia, ma anche e soprattutto il rigore che dobbiamo assumere nel momento in cui ci si accinge a revisionare alcuni principi di ordine costituzionale.
È del tutto evidente che la proposta emendativa nasce da un'esigenza politica da tempo avvertita, le cui soluzioni ci vedono anche discordi nella collocazione degli strumenti per arrivare a tale punto e che appartiene ad una tipica materia elettorale. Proprio per questo, è convincimento della Commissione che, pur cogliendone il senso, la valenza politica e il valore, dovremmo riassumere la presente proposta emendativa in un impegno di ordine politico, che questa stessa Assemblea potrebbe proporre attraverso un ordine del giorno, perché su questo terreno vi sia un impegno di discussione forte e di merito al momento della discussione della legge elettorale.
La questione non è semplicemente simbolica a proposito di affermare la superiorità di un terzo o di un altro, ma è legata fondamentalmente - nello strumento della legge elettorale - alle sanzioni per garantire un'effettiva rappresentanza delle donne. Questi sono i motivi per i quali invito la collega Dato a ritirare l'emendamento, per evitare una discussione che non ci permetterebbe in questa sede di assumerne pienamente il valore, ma assumerebbe semplicemente un tono di un politicismo che vorrei evitare avvenisse ancora una volta solo e sempre sulle donne (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Chiedo all'onorevole Dato se accede alla proposta di invito al ritiro.

CINZIA DATO. Signor Presidente, mi permetto di essere assolutamente in disaccordo Pag. 20con le affermazioni dell'onorevole Mascia per una serie di ragioni. Prima di tutto, non sono d'accordo con questo atteggiamento culturale per cui «il bene è nemico del meglio» che ci porta a rifiutare sempre «il bene», perché ci può essere «un meglio». Poi l'idea che si possa addirittura imporre per legge una composizione della rappresentanza di cinquanta e cinquanta è davvero inammissibile.
Desidero aggiungere che io non mi riferisco mai alle donne, né nelle mie proposte di legge, né nei miei emendamenti, ma al genere: nessun genere può superare i due terzi. Quindi non si tratta di riserve indiane, né di minoranze, né di null'altro.
Chiedo se vi sia la disponibilità a sostenere un ordine del giorno che impegni realmente il Governo in sede di discussione sulla legge elettorale, perché altrimenti riproporremo un'impostazione assolutamente miope che ci impedirà...

PRESIDENTE. Onorevole Dato, l'ipotesi dell'ordine del giorno è già stata formulata. Prendo atto che lei ritira il suo emendamento 2.65.
Passiamo all'emendamento Turco 2.118.
Prendo atto che i presentatori accedono all'invito al ritiro formulato dai relatori.
Passiamo all'emendamento Lenzi 2.100, sul quale è stato formulato un invito al ritiro.
Mi sembra di capire che l'onorevole Lenzi insista per la votazione. Ha chiesto, quindi, di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, per cortesia, può l'onorevole Lenzi dire se accede o meno all'invito al ritiro?

PRESIDENTE. Onorevole Lenzi?

DONATA LENZI. Signor Presidente, prima vorrei sentire l'onorevole Gerardo Bianco.

PRESIDENTE. D'accordo. Prego onorevole Bianco.

GERARDO BIANCO. Signor Presidente, confesso che dinanzi a questo emendamento mi sono interrogato sulla sua fonte culturale ed ispirazione giuridica. Devo dire che, pur senza essere un giurista, ho immaginato che l'ispirazione fosse sostanzialmente il diritto canonico, perché si tratta di una norma che praticamente assimila i settantacinquenni ai cardinali ultraottantenni: quindi non vi sarebbe più diritto di voto per l'elezione del Papa. Devo dire che, come clericale, dovrei essere favorevole a questa norma. Tuttavia, poiché sono membro del Parlamento e quindi rispondo come rappresentante della nazione, ritengo che in sostanza la lettura della Costituzione sia cominciata dopo l'articolo 4: infatti, gli articoli 2, 3 e 4 creerebbero un forte contrasto con questa norma, decapitando i poveri ultrasettantacinquenni di diritti che sono garantiti dagli articoli 2, 3 e 4 della Costituzione.
Tuttavia, se mi viene consentito, questo emendamento ripropone un'antica questione che risale nientemeno che al VII secolo A.C., vale a dire il problema del rapporto tra gli anziani e la politica. È vero che siamo in tempi nuovi, e devo dire che sempre di più il nuovo incalza, nel senso che si vuole proporre il nuovo come politica, perfino i partiti propongono esclusivamente il nuovo come politica. Ma, in realtà, tale questione si pose a partire dal VII secolo: lo fece Omero, lo fece Solone, lo fece Plutarco, e anche altri avveduti personaggi, peraltro cari in modo particolare al nostro Walter Veltroni, come Norberto Bobbio nel suo libro De Senectute.
Ma voglio riferirmi soltanto ad una citazione: essendo un po' esperto di latinorum, voglio fare una citazione che viene tratta da un celebre volume scritto da Cicerone, il quale osservava che, in realtà - tralascio la citazione in latino: non viribus (...) res magnae geruntur (...) e via seguitando - le grandi cose non hanno bisogno né di velocità, né di sveltezza del corpo, né di rapidità, ma soprattutto della Pag. 21mente, del consiglio, della saggezza, capacità che si accrescono con la vecchiaia, invece che diminuire.
Concludendo, signor Presidente, senza voler riprendere citazioni illustri (a cominciare da quella di Agamennone che invoca sei consiglieri che possano fornirgli buoni consigli fra gli anziani), vorrei però citare l'esperienza di un nostro parlamentare della cosiddetta prima Repubblica, persona estremamente amabile. Egli osservava che, in realtà, signor Presidente, quando l'aurea Afrodite non guarda più la persona anziana, costei perde tutti i sensi, dopodiché le rimane un solo senso: quello dello Stato.
L'emendamento sottoposto alla nostra attenzione vorrebbe impedire di esercitare il senso dello Stato (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Bianco, nutro qualche dubbio in ordine al fatto che la fissazione di quei limiti sia propriamente definibile come diritto canonico, ma lo verificheremo.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Onorevole Presidente, è di tutta evidenza che la trattazione dell'argomento in esame non permetta a tutti di mantenere il mirabile equilibrio tra il serio ed il faceto che Gerardo Bianco offre alla nostra attenzione.
Rischiamo - in un'epoca in cui la politica è macinata dal «quarto potere» e finisce per risolversi in ciò che domani o questa sera, a battuta di agenzia, si ripercuote fuori dai nostri ambienti e anche al di là e al di sotto delle nostre parole - che l'argomento sia trattato dai mezzi di informazione in chiave caricaturale e quindi deve essere affrontato in maniera politicamente corretta o scorretta.
Vorrei sottolineare che vi è una collega parlamentare che non risulta aver ritirato l'emendamento in esame: pertanto, il suo emendamento è un atto politico e la collega assume una corresponsabilità politica nel presentarlo e insistendo per la sua votazione, e non è argomento di facezie, ma di voto e di discussione.
Confesso che dalla cortese collega avrei gradito un sintetico o diffuso intervento che ci illustrasse la ratio dell'emendamento in esame, perché è giusto che, prima di approvarlo o respingerlo, più o meno con sdegno o qualcuno anche con disposizione al sorriso sulle labbra, si ascoltino anche le ragioni per le quali un parlamentare - che sicuramente non è in vena di facezie - ci sottopone un emendamento e insiste per la sua votazione.
Abbiamo discusso prima e abbiamo dedicato giustamente vari minuti all'esame di un emendamento che auspicava una non discriminazione o una presunta non discriminazione fra un sesso e l'altro, fra un genere e l'altro (per non parlare, oltre ai due tradizionali generi, di qualche altro che chiede diritto di cittadinanza), ma in questo momento liquidiamo con il sorriso un atto politico, con assunzione di responsabilità, di chi, come afferma il collega Bianco, intenderebbe ritenere sussistenti le condizioni per inibire a taluni dei nostri concittadini - molti dei quali ci stanno ascoltando e non sono in vena di ilarità sull'argomento - un diritto. Si vorrebbe negare tale diritto a coloro che sono in età avanzata, mentre numerosi gruppi parlamentari e deputati sostengono l'opportunità di abbassare drasticamente l'età, fino a ricomprendere i giovanissimi concittadini, per l'esercizio dei diritti politici e dell'elettorato attivo e passivo; ciò al punto che non sono mancate proposte che si spingono fino ad abbassare a sedici anni l'esercizio militante ed effettivo di alcuni diritti politici, anche in materia elettorale.
Se me lo consentono l'onorevole Gerardo Bianco e l'onorevole Lenzi, vorrei sottolineare come non sia aliena la presenza di qualche battuta goliardica, anche di troppo, durante la discussione di questi argomenti seri. Vorrei altresì affermare che in una società che vede protratti, per fortuna, la sorte, i tempi, le facoltà degli uomini e delle donne, le loro attività sentimentali, fisiche, intellettuali, produttive e culturali di ogni genere, pensare che negli atti del nostro Parlamento, in una Pag. 22riforma costituzionale, si sia approfondita una discussione volta a inibire ai cittadini che hanno superato certi traguardi anagrafici il pieno e illimitato esercizio delle loro facoltà politiche è una pagina che suscita qualche sconcerto.
Alla luce di ciò, riteniamo vada tutelata la posizione di colui che, pur avendo una certa età, mantiene in pieno le sue facoltà e i suoi diritti, e lo facciamo anche dopo aver respinto l'umorismo gratuito di chi dileggia coloro che nell'altro ramo del Parlamento stanno sostenendo un Governo contro il risultato elettorale delle urne democratiche. Non recepiamo questo spirito a senso unico, e non considerandolo una burla respingiamo fermamente questo emendamento. Rivendichiamo non solo i pieni diritti dei singoli cittadini e cittadine di età più avanzata, ma anche il prezioso contributo che essi ancora, e più che in passato, sono chiamati a dare alle nostre vicende democratiche e parlamentari.

PRESIDENTE. Segnalo che hanno chiesto di parlare l'onorevole Giachetti, l'onorevole Boscetto e l'onorevole Lenzi. Prego, onorevole Giachetti, ha facoltà di parlare.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, vorrei innanzitutto ricordare che stiamo discutendo un provvedimento che riguarda la modifica della Costituzione, la legge fondamentale, e che siamo in un Parlamento. Su questioni importanti è utile che si discuta e che ci si confronti sulla base di alcune proposte che, a mio avviso, hanno un obiettivo principale: rappresentano una sollecitazione di dibattito. È forse anche utile che, dopo aver discusso gli emendamenti che riguardavano il tema della rappresentanza femminile, dei generi, delle discriminazioni che, come è noto, sono state perpetrate per anni, si affronti una tale questione.
Posso affermare che qualcosa si sta muovendo, dal momento che rappresento un partito che ha compiuto uno sforzo proprio per cercare di compiere una svolta sotto questo punto di vista, anche a partire dalla sua composizione. Ritengo che l'onorevole Lenzi abbia fatto bene ad imporre all'Assemblea una riflessione su questo argomento. Se è vero, infatti, che ancora esiste e non è risolto un problema di generi, il Parlamento - e non solo, anche il Paese in tutte le sue articolazioni - presenta un enorme questione di ricambio, e basta guardarci intorno per capire qual è l'età media (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).
È ovvio che questo problema non si risolve impedendo a chi ha una certa età di entrare in Parlamento o di svolgere un determinato ruolo, ma dobbiamo cominciare - magari noi che abbiamo cinquant'anni, e con l'aiuto di chi ne ha sessanta o settanta - a porci il problema se questo Paese è un Paese bloccato anche perché non è in grado di garantire e di provocare un minimo di ricambio, di inserimento di energie nuove, di passione e di intelletti.
Per tale motivo, ringrazio l'onorevole Lenzi, che sono sicuro troverà le forme per riproporre il problema in altri provvedimenti e forse in altri modi. Ho chiesto personalmente all'onorevole Lenzi di non ritirare subito il suo emendamento, perché il fatto che si sia discusso per qualche minuto in Assemblea anche di questo argomento è vitale per il Paese (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ricordo che in base ad un'intesa intercorsa sospenderemo i nostri lavori alle ore 13.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Lenzi. Ne ha facoltà.

DONATA LENZI. Signor Presidente, spero di poter dar conto delle ragioni serie che stanno alla base della mia proposta emendativa. Con la proposta di legge costituzionale in esame stiamo riducendo il numero dei parlamentari, e anche abbassando l'età per l'eleggibilità, perché la portiamo ai diciotto anni. Nessuno ha sottolineato negli ultimi giorni, anche sui mezzi di comunicazione, che la riforma in esame determina anche questo grande e importante cambiamento, cioè - lo ripeto - l'abbassamento ai diciotto anni dell'età Pag. 23per l'elettorato passivo, come peraltro avviene nei consigli comunali, nei consigli regionali, e per le cariche di sindaco e di presidente della regione: si riduce l'età.
Ritengo che a volte si debba porre in essere anche qualche azione positiva, come le donne hanno imparato in questi anni, perché guardandosi attorno non può non nascere la preoccupazione che in un Paese in cui le conoscenze valgono più della conoscenza, le esperienze valgono più della creatività, la conservazione vale molto di più dell'innovazione, questa riduzione di numero di parlamentari tolga ogni seria possibilità di rappresentanza alla fascia di età al di sotto non dei trenta, ma dei quarant'anni.
È paradossale che si sottolinei l'incostituzionalità dell'emendamento in esame e per sessant'anni il Parlamento abbia negato a 19 milioni di elettori, cioè a quei cittadini con età tra i venti e i quarant'anni, la possibilità di essere rappresentati in una ramo del Parlamento, perché facendo parte di tale fascia di età non si poteva entrare al Senato (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo e del deputato Baldelli), e nessuno abbia mai detto che 19 milioni di elettori avevano la rappresentanza a metà e contavano la metà. Chi ha un'età sotto i quarant'anni fino a questo momento nel nostro Paese conta la metà, perché non può essere eletto al Senato.
Abbiamo il bicameralismo perfetto. Dove sta la differenza tra le due Camere? L'unica differenza era tenere i giovani e la popolazione attiva fuori dal Senato. Sulla differenza di età noi abbiamo costruito il bicameralismo, e adesso lo stiamo rimettendo in discussione, ipotizzando un Senato diverso con una rappresentanza diversa. Dunque, ritengo sia giunto il momento di rimettere in discussione anche la rappresentanza giovanile degli uomini e delle donne tra i venti e i quarant'anni in questo Paese (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Onorevole Lenzi, dunque non intende ritirare l'emendamento in esame?

DONATA LENZI. Accolgo la sollecitazione da parte dell'onorevole Giachetti, e mi auguro che nelle sedi di discussione della legge elettorale si possa affrontare l'argomento. Pertanto, ritiro l'emendamento a mia firma 2.100.

ROBERTO COTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. L'emendamento Lenzi 2.100 è stato ritirato.

ROBERTO COTA. Ma il dibattito non può svolgersi a loro piacimento!

PRESIDENTE. Passiamo all'emendamento Turco 2.119.
Chiedo ai presentatori se accedano all'invito al ritiro formulato dalla Commissione.

MARCO BELTRANDI. Signor Presidente, non accedo all'invito al ritiro e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO BELTRANDI. L'emendamento in esame presenta un aspetto fondamentale. Mi riferisco al fatto che, indipendentemente dal sistema elettorale che si vuole adottare, la proposta emendativa prevede il collegio uninominale, vale a dire il collegio di dimensione minima, e ciò ha una serie di effetti importanti e positivi.
In primo luogo, se una porzione del territorio è rappresentata da una sola persona, invece che da molte persone, si ha un rapporto diretto e un vero e proprio senso di responsabilità della rappresentanza. Infatti è evidente che se una porzione di territorio è rappresentata, ad esempio, da dieci persone diverse, elette in cinque partiti diversi, nessuno sarà veramente responsabile e gli elettori non potranno far valere questa responsabilità. Se invece è una sola persona a rappresentare una porzione di territorio, questo principio di responsabilità sarà possibile.
Quindi, mi riferisco ad una rappresentanza molto stretta del territorio, su cui - Pag. 24credo - anche gli amici della Lega Nord dovrebbero essere molto attenti (ma non solo loro, anche tutti gli altri partiti che hanno insediamenti in particolari zone del nostro Paese).
L'emendamento in esame non ha nulla a che vedere con il sistema elettorale che viene poi adottato per la traduzione dei voti in seggi, ma riguarda la dimensione del collegio, che è una dimensione minima. Un ulteriore aspetto positivo è dato dal fatto che gli elettori scelgono una persona piuttosto che scegliere liste anonime di candidati decise dai vertici dei partiti. Quindi, la proposta risponde alla necessità di personalizzazione, di espressione di un voto diretto alla persona, che è insita nella politica moderna, e porta esattamente in questa direzione, vale a dire verso la scelta delle persone, a cui si appassionano i cittadini quando vanno a votare alle primarie.
Pertanto, non accediamo all'invito al ritiro dell'emendamento in esame. Rilevo peraltro che siamo eventualmente disponibili a che sia posta in votazione solo l'ultima frase di questo emendamento, perché è quello il concetto che ci interessa: il collegio uninominale. Tutto quello che precede ha minore importanza.

PRESIDENTE. Vi sono tre richieste di intervento, ma vi è anche anche un'intesa per sospendere la seduta alle 13. Invito pertanto gli oratori a contenere la durata degli interventi.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Se l'emendamento Turco 2.119 non sarà ritirato, il gruppo dei Verdi voterà contro di esso. Personalmente sono favorevole ai collegi uninominali nella legge elettorale, ma credo che vada confermata la scelta dei costituenti di non inserire mai in Costituzione uno specifico sistema elettorale. Per tale ragione voteremo contro.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, è accaduto un episodio che, a mio avviso, va stigmatizzato. Un emendamento è stato utilizzato come pretesto per imbastire una sceneggiata. Infatti, chi presenta l'emendamento dovrebbe dire all'inizio del dibattito se intende ritirarlo, e non dovrebbe ritirarlo ad uso e consumo degli interventi previsti su questo argomento: è un fatto che voglio denunciare (Commenti di deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo)!
Ciò premesso, signor Presidente, cari colleghi, il problema è soprattutto vostro, all'interno dei vostri partiti, dove non è presente una cultura che porta avanti i giovani. Il gruppo della Lega - potete vederlo - è composto per la maggior parte di infraquarantenni. Vi è una cultura, soprattutto in alcuni partiti, che non svecchia le istituzioni.
Aggiungo un'ulteriore considerazione. Tra poco discuteremo dei senatori a vita: ritengo scandaloso che il Governo sia tenuto in piedi da senatori a vita che hanno più di novant'anni e che vengono portati in barella in Parlamento per poter votare! Alla faccia dello svecchiamento della politica e delle istituzioni! Negli ultimi mandati i Presidenti della Repubblica hanno sempre avuto più di ottant'anni! Dunque, siate coerenti, e discutete i nostri emendamenti, che propongono di eliminare la figura del senatore a vita e di non attribuirgli un voto determinante [Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania e di deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)]!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vacca. Ne ha facoltà.

ELIAS VACCA. Signor Presidente, annunzio il voto contrario del gruppo dei Comunisti Italiani sull'emendamento Turco 2.119, perché credo che, mentre l'altro ramo del Parlamento, in Commissione affari costituzionali, valuta la legge elettorale, tutto possiamo fare tranne che prefigurare schemi e paletti entro i quali Pag. 25la legge elettorale si debba muovere. La legge elettorale non dovrebbe influenzare un processo di revisione della Costituzione, anzi la Costituzione dovrebbe essere in un certo senso impermeabile ai meccanismi della legge elettorale.
Segnalo, inoltre, la bizzarria che è sottesa all'emendamento in esame. La motivazione con la quale esso è proposto, quella di restituire alle persone un potere di individuazione di un mandato che diventa intuitu personae, riferito ad un collegio più o meno ristretto, stride con la previsione, contenuta nel progetto di riforma, che il Senato venga eletto con elezione di secondo grado e, quindi, sottratto al suffragio universale diretto. Mi sembra una contraddizione di non poco momento.
Segnalo, altresì, che i cittadini ci chiedono di poter eleggere i loro rappresentanti, ad esempio, ripristinando il sistema della preferenza, all'interno di un meccanismo di individuazione dell'opinione politica e delle scelte programmatiche di ciascun candidato.
Non vorrei che, attraverso l'introduzione surrettizia di paletti elettorali, si estrapolasse completamente il candidato dal contesto dell'opinione politica e programmatica per farne un indistinto mandatario di un territorio. Mi sembra una promozione un po' eccessiva del processo di federalizzazione della Repubblica (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Franco Russo. Ne ha facoltà.

FRANCO RUSSO. Signor Presidente, intervengo solo per lasciare agli atti che il gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea voterà contro l'emendamento Turco 2.119, per due motivi fondamentali. Il primo è stato esposto molto bene dal collega Vacca: la Costituzione non può essere la sede in cui si decide un sistema elettorale. Ricordo all'onorevole Boato, che peraltro è espertissimo in questa materia, che solo per un disguido non venne costituzionalizzato il principio di rappresentanza proporzionale; tutti i quorum indicati in Costituzione, infatti, dipendono da questa scelta materiale operata dai costituenti. Tuttavia, concordo anche con l'onorevole Boato che la Costituzione, a questo punto, non può assolutamente contenere indicazioni relative a metodi elettorali.
La seconda considerazione, signor Presidente, è che quando si sostiene che è necessario personalizzare la politica si avalla il progetto di degenerazione che in questi anni la politica ha avuto: non ci si batte, non ci si confronta, non ci si impegna più per ideali, valori, progetti di società, ma ci si confronta sulla battuta, sulla persona che più fa spettacolo, che più fa audience in televisione. Ritengo che si tratti di un aspetto di degenerazione, e per questo motivo Rifondazione Comunista sarà sempre contro i processi di personalizzazione della politica, dai deputati fino al Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Turco 2.119, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 431
Votanti 426
Astenuti 5
Maggioranza 214
Hanno votato
19
Hanno votato
no 407).

Prendo atto che la deputata Dato ha segnalato che non è riuscito a votare.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 26

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, vorrei chiederle, cortesemente, in relazione agli emendamenti presentati dai colleghi dell'opposizione all'articolo 3 (inizieremo alla ripresa pomeridiana gli interventi sul complesso degli emendamenti relativi a tale articolo), laddove si parla di sei senatori eletti all'estero, di ritenere che in luogo di sei debba intendersi dodici, a seguito dell'approvazione dell'emendamento 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione. Nel caso contrario, gli emendamenti presentati sarebbero preclusi, e ciò sarebbe una scorrettezza.

PRESIDENTE. La Presidenza ne farà oggetto di valutazione.
Come in precedenza convenuto, non procederemo alla votazione dell'articolo 2. La seduta riprenderà alle 14,30 con lo svolgimento degli interventi sul complesso degli emendamenti riferiti all'articolo 3.
Per dare ordine ai nostri lavori, avverto che non avranno luogo ulteriori votazioni su questo provvedimento. Successivamente, avrà luogo la deliberazione sul trasferimento in sede legislativa di cui al punto n. 2 dell'ordine del giorno, per la quale non è necessaria la votazione qualificata.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 14,30.

La seduta, sospesa alle 13,05, è ripresa alle 14,40.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bimbi, Donadi, Oliva, Pinotti, Piscitello, Sasso, Soro, Stucchi, Villetti, Elio Vito e Zacchera sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto, i deputati in missione sono complessivamente ottantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono stati votati tutti gli emendamenti riferiti all'articolo 2, ad eccezione della parte consequenziale dell'emendamento 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione, che è stata accantonata per essere esaminata contestualmente agli emendamenti riferiti all'articolo 3, e del subemendamento ad essa riferito. È stata inoltre accantonata la votazione dell'articolo 2.

(Esame dell'articolo 3 - A.C. 553-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 3 e delle proposte emendative ad esso presentate (Vedi l'allegato A - A.C. 553 ed abbinate sezione 2).
Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative il deputato Brancher. Ne ha facoltà.

ALDO BRANCHER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervenendo sul complesso degli emendamenti all'articolo 3 del testo unificato in discussione vorrei svolgere una premessa.
In linea generale, i sistemi bicamerali nascono per garantire il pluralismo, anche istituzionale, e l'equilibrio tra i poteri. In sintesi, nessuno può avere il monopolio delle decisioni. Nel corso degli anni, anzi, dei secoli, e nelle diverse esperienze e contesti i sistemi bicamerali si sono strutturati ed evoluti in modi molto differenti tra di loro.
Le Camere in alcune circostanze si sono differenziate sulla base di criteri di rappresentanza e sulle funzioni; in altri casi, si è inteso creare una «Camera di riflessione» - chiamiamola così - in modo da evitare che le decisioni fossero assunte troppo precipitosamente, magari sull'onda di spinte emotive e senza un'istruttoria legislativa adeguatamente ponderata.Pag. 27
In Italia, la questione del bicameralismo ha iniziato ad essere approfondita solo dopo la prima attuazione del regionalismo e poi, più incisivamente, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, che lasciava aperta proprio la questione della rappresentanza delle autonomie al centro del sistema, nel momento in cui, invece, introduceva elementi di federalismo o di forte regionalismo nel nostro ordinamento.
L'unica soluzione del tutto eventuale e transitoria era costituita, infatti, dalla Commissione bicamerale per le questioni regionali nella composizione integrata. La questione è stata poi affrontata compiutamente dalla riforma costituzionale approvata dalle Camere nella scorsa legislatura.
Eppure, la stessa Costituente si pose il problema di una Camera in cui fossero rappresentati gli interessi regionali ma, alla fine, produsse l'anomalia di due Camere chiamate entrambe a instaurare un rapporto fiduciario con il Governo, con il solo vincolo per il Senato della elezione a base regionale.
Dopo un ampio dibattito, in cui si confrontarono le diverse tesi relative al bicameralismo e al ruolo della Camera alta (rappresentanza per interessi, Camera di riflessione e Camera di rappresentanza per le autonomie), prevalse la scelta che è tuttora contenuta nella Carta costituzionale.
Inoltre, l'esperienza di alcuni Stati federali non offre una risposta univoca circa la soluzione più adeguata. Nomina da parte dei Governi regionali come per il Bundesrat, elezione parlamentare ed elezione popolare diretta costituiscono gli elementi di riferimento che più diffusamente possono sintetizzare le modalità costitutive di una seconda Camera, variamente combinabili con il numero degli eletti in rappresentanza delle realtà regionali o locali, in misura fissa o proporzionale alla popolazione di riferimento.
L'articolo 3 del testo in discussione riguarda - come è noto - la struttura del Senato, che viene definito «federale». A tal fine sono state apportate alcune importanti modificazioni all'articolo 57 della Costituzione.
Vorrei sintetizzare, per utilità di riflessione, le modifiche nel modo seguente: il Senato federale è eletto secondo modalità stabilite dalla legge e sono fatti salvi i sei seggi della circoscrizione Estero; sono soppresse le disposizioni sul numero totale dei senatori, sul numero minimo dei senatori per ogni regione e sulla ripartizione dei senatori per regione; è indicata la disciplina di elezione dei senatori e, in particolare, in ciascuna regione i senatori sono eletti dal consiglio regionale al proprio interno e dal consiglio delle autonomie locali tra i componenti dei consigli dei comuni, delle province e delle città metropolitane.
Il consiglio regionale elegge, con voto limitato, cinque senatori nelle regioni fino a un milione di abitanti, sette senatori in quelle da uno a tre milioni, nove senatori nelle regioni da tre a cinque milioni, dieci senatori nelle regioni da cinque a sette milioni e dodici senatori nelle regioni con più di sette milioni di abitanti.
I consigli regionali della Valle d'Aosta e del Molise eleggono un senatore per ciascuna regione, mentre i consigli provinciali di Trento e Bolzano eleggono, con voto limitato, due senatori per ciascuna provincia; inoltre, in ciascuna regione, il consiglio delle autonomie locali elegge un senatore nelle regioni fino ad un milione di abitanti e due senatori nelle regioni con più di un milione di abitanti.
I consigli delle autonomie locali delle province di Trento e Bolzano eleggono un senatore per ciascuna provincia e, infine, l'elezione ha luogo entro trenta giorni dalla prima riunione del consiglio regionale delle regioni o delle province autonome.
L'articolo in discussione presenta, nel complesso, due elementi sicuramente apprezzabili in linea di principio. Il primo elemento è dato dal radicamento regionale dei senatori prodotto dal carattere contestuale delle elezioni dei senatori di una regione con le elezioni dei rispettivi consigli regionali. Il secondo elemento positivo Pag. 28consiste nella riduzione del numero dei senatori, in linea con l'obiettivo della riduzione del numero complessivo dei parlamentari, anch'esso già previsto, peraltro, nella riforma da noi proposta nella scorsa legislatura.
Occorre valutare, tuttavia, con estrema attenzione le norme appena indicate ma, preliminarmente, occorre sottolineare ancora una volta come un cambiamento così importante debba essere accompagnato da una normativa transitoria adeguata se davvero si vuole cogliere l'obbiettivo di una riforma compiuta. Tale normativa deve consentire di ricevere il consenso ampio di coloro che fanno parte dell'organo di cui si muta completamente natura, composizione e sistema di legittimazione politica.
Voglio ripetere ancora una volta che, se non è soddisfatta questa condizione, la riforma è destinata ad arenarsi.
La riforma della parte seconda della Costituzione approvata dal Parlamento nella scorsa legislatura aveva proprio questo pregio: essa recava un'ampia normativa transitoria per un passaggio morbido - da alcuni giudicato forse fin troppo morbido e prolungano nel tempo - ma sicuramente un passaggio morbido dal vecchio al nuovo sistema.
Non si può, però, dimenticare neppure che proprio su questo punto - non soltanto su questo - la riforma del Titolo V ha segnato uno dei suoi più clamorosi limiti: l'assenza di una vera fase transitoria che accompagnasse le profonde modificazioni al sistema delle autonomie territoriali del nostro Paese prodotte da quella riforma.
Da ciò è derivato un contenzioso elevatissimo tra Stato e regioni, che da una parte era certamente dovuto allo stesso impatto innovativo della riforma che ha imposto di riconsiderare vecchi modelli e concetti, ma anche prassi istituzionali ed amministrative; dall'altra parte, il contenzioso è da ricondurre anche all'assenza di norme transitorie di rango costituzionale che facilitassero le istituzioni nel passaggio delicato al nuovo sistema.
Mi meraviglio che la proposta di questa maggioranza non abbia tenuto conto di una questione di cui essa stessa si è lamentata per i cinque anni che hanno preceduto l'attuale legislatura. Ricordo che ciò è avvenuto - lo posso testimoniare personalmente - sia alla Camera che al Senato.
Anche questo - mi limito a richiamarlo ancora una volta - è il frutto negativo della fretta che accompagnò la fase di approvazione parlamentare della riforma e che rischia di accompagnare anche questa riforma.
Sulla fase costitutiva del Senato federale, come noto, la riforma costituzionale approvata nella scorsa legislatura manteneva inalterato il carattere diretto dell'elezione del Senato. Il carattere regionale derivava, invece, dalla contestualità tra elezione dei consigli regionali ed elezione dei senatori. Il Senato diventava, così, un organo permanente, in cui ciascun gruppo di senatori eletti nella regione cessava di far parte del Senato al rinnovo del rispettivo consiglio regionale con il subentro dei nuovi eletti. Il ciclo politico regionale di ciascuna regione determinava, quindi, il rinnovo parziale dei senatori della regione.
La scelta adottata dal testo in esame non è del tutto diversa, con forme di rinnovo parziale del Senato in corrispondenza del ciclo politico regionale. Tuttavia, la differenza sostanziale è costituita dal carattere indiretto dell'elezione: i senatori di ciascuna regione vengono eletti dal rispettivo consiglio regionale al proprio interno e dal consiglio delle autonomie locali tra i componenti dei consigli comunali, provinciali o delle città metropolitane della regione.
Occorre valutare con attenzione se il carattere indiretto dell'elezione sia davvero preferibile all'elezione diretta. Occorre, infatti, interrogarsi sul senso complessivo e sulle consequenze specifiche di un intervento modificativo del genere. Quale tipo di legittimazione avrebbe così un consigliere regionale rispetto ai propri colleghi non eletti al Senato? Quale reale possibilità avrebbe di partecipare costantemente e, talora, contestualmente ai lavoriPag. 29 del proprio consiglio regionale e a quelli del Senato federale, con immaginabili conseguenze per il numero legale degli organi interessati? Ma non basta! Qual è il senso di una compresenza, a parità di poteri, di senatori espressione delle regioni e di senatori espressione degli enti locali delle regioni?
Non a caso, la riforma della scorsa legislatura prevedeva esclusivamente il diritto di tribuna per i senatori espressi dagli enti locali, ma giustamente attribuiva diritto di voto ai soli senatori espressi dalle regioni. D'altro canto, il Senato si troverà impegnato prevalentemente nello svolgimento della funzione legislativa, dunque di una funzione di cui le regioni sono titolari, a differenza degli enti locali, che ne sono privi.
Si consideri inoltre che vengono attribuite direttamente dalla Costituzione funzioni in capo al consiglio delle autonomie locali (CAL). Attualmente, questo consiglio è previsto dall'articolo 123 della Costituzione quale organo di consultazione tra regioni ed enti locali, la cui disciplina spetta in piena autonomia agli statuti regionali.
È vero che la riforma interviene a disciplinare direttamente i compiti del CAL, scavalcando gli statuti, ma, così facendo, si potrebbe rischiare di comprimere in qualche misura l'autonomia statutaria, tanto più che, in base al nuovo ultimo comma dell'articolo 123, verrebbe riservata alla legge (verosimilmente dello Stato) la determinazione dei principi fondamentali per la formazione e la composizione dei consigli delle autonomie locali.
Se è chiaro che ciò viene fatto in vista della formazione del Senato, è bene valutare l'impatto sull'autonomia delle regioni e sul rapporto tra regioni ed enti locali. È evidente che il meccanismo previsto risulta di non agevole comprensione e, tutto sommato, farraginoso: è bene ribadire che esso sconta il tentativo di raccogliere nel Senato federale, con identici poteri, tanto i rappresentanti regionali quanto i rappresentanti degli enti locali, con una commistione di ruoli e di responsabilità che certo non costituisce un elemento di comprensibilità e di trasparenza per l'elettorato.
Anche in dottrina - cito il professor Caravita - sono stati mossi alcuni rilievi «a caldo» sul testo in discussione. Ad esempio, sul nuovo articolo 57 della Costituzione, non risulta chiaro quale possa essere il ruolo della legge di cui al primo comma del medesimo articolo per l'elezione del Senato, né è evidente se si tratti di legge statale ovvero regionale. Senz'altro la legge statale dovrà riconsiderare i senatori della circoscrizione Estero, ma al tempo stesso potrebbe risultare forse più coerente prevedere la legge regionale per disciplinare le elezioni in seno al consiglio regionale o al consiglio delle autonomie locali.
Inoltre, il testo unificato lascia aperta un'altra questione di non minore rilievo, che certo non potrebbe essere demandata al legislatore ordinario in fase attuativa: si tratta della possibilità per i senatori eletti dai rispettivi consigli regionali o consigli delle autonomie locali di continuare a svolgere le funzioni negli organi di provenienza. In caso di risposta affermativa, si avrebbe un cumulo di cariche che pregiudicherebbe la possibilità di svolgere al meglio entrambe le funzioni; in caso di risposta negativa, invece, non risulterebbe chiaro per quale ragione l'elettorato attivo sia limitato ai soli componenti degli organi collegiali regionali o locali. D'altronde, la modificazione apportata all'articolo 122 della Costituzione, volta a sopprimere l'incompatibilità tra la carica di senatore e quella di consigliere regionale, sembra consentire il cumulo delle due cariche.
Inoltre, in dottrina è stata prospettata una preferenza per la soluzione adottata dalla riforma del 2005, che prevede la contestualità dell'elezione dei senatori e dei consigli regionali.
Un ulteriore elemento è costituito dalla permanenza dei senatori eletti nella circoscrizione Estero. In un Senato federale eletto su base regionale dai consigli regionali e dai consigli delle autonomie locali lascia a dir poco perplessi la scelta di mantenere sei senatori eletti nella circoscrizione Estero, che avrebbero un caratterePag. 30 spurio rispetto agli altri senatori. Infatti, i senatori eletti all'estero sarebbero ben difficilmente riconducibili alla base regionale che caratterizza l'elezione del Senato. Inoltre, a differenza dei senatori eletti in ciascuna regione, essi sarebbero eletti a suffragio universale e diretto.
Al Senato si produrrebbe poi una situazione quasi paradossale, e cioè una parità di funzioni per membri con un diverso tipo di legittimazione popolare.
Al contrario, la riforma approvata nella scorsa legislatura manteneva inalterato il numero complessivo dei parlamentari eletti all'estero (pari a diciotto) e ne prevedeva la presenza nella sola Camera dei deputati. Infatti, il criterio della contestualità fra elezioni dei consigli regionali e dei senatori rendeva pressoché impraticabile - oltre che poco coerente - la figura dei senatori eletti all'estero. Del resto, la presenza dei parlamentari eletti all'estero deve anche essere considerata alla luce dell'attribuzione alla sola Camera dei deputati del rapporto fiduciario con il Governo.
In conclusione, è necessario valutare con attenzione gli elementi che ho richiamato, che inevitabilmente interagiscono fra loro. Ad essi si deve aggiungere poi la questione della ponderazione del numero di senatori fra le regioni in ragione della loro popolazione. Analogamente, infine, l'insieme di tali questioni andrà considerato con riguardo alle funzioni che si intende attribuire al Senato: ciò costituisce infatti un ulteriore elemento che consentirà o meno di considerare effettivamente federale la Camera alta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Holzmann. Ne ha facoltà.

GIORGIO HOLZMANN. Signor Presidente, colleghi, come ho già avuto modo di argomentare in occasione della discussione sulle linee generali, la riforma in senso federale dello Stato è certamente fra gli argomenti più attuali e più urgenti.
Nella scorsa legislatura, sotto il Governo di centrodestra, era stata approvata una riforma che, com'è noto, non è poi «passata» in sede di referendum confermativo: oggi, ci confrontiamo così con un'impostazione che è sostanzialmente diversa rispetto a quella allora seguita.
Nell'impianto generale del testo, vi sono sicuramente taluni punti condivisibili: mi riferisco, ad esempio, alla fine del bicameralismo perfetto, e quindi alla fine di un sistema che genera ritardi nell'azione di governo e che sostanzialmente duplica il procedimento decisionale in maniera pressoché inutile determinando, anzi, effetti negativi. Tale sistema poteva essere giustificato quando i costituenti elaborarono l'attuale Costituzione, ma è oggi sicuramente un sistema obsoleto, che ha creato più problemi di quanti non ne abbia risolti: è dunque chiaro che la sua fine è certamente uno dei primi obiettivi di una riforma federale dello Stato. Ma vi sono anche altri aspetti assolutamente importanti e condivisibili, quali la riduzione del numero dei parlamentari, sia alla Camera sia al Senato.
Accanto però a questi temi così importanti, su cui forse varrebbe la pena di spendersi un poco di più, vi sono anche taluni punti - e su di essi vorrei soffermarmi in questa sede - che hanno suscitato la nostra perplessità. Mi riferisco anzitutto all'opzione per un'elezione mediata dei senatori, che sarebbero scelti attraverso i consigli regionali, secondo un'impostazione sostanzialmente di tipo tedesco. Si tratta di un'impostazione che ci convince poco: il nostro Paese ha necessità di effettuare riforme proprie, senza cadere nella tentazione di imitare modelli presenti in altri Paesi che hanno cultura, storia e situazioni socio-economiche assai diverse dalle nostre. Se dunque tali modelli si adattano forse bene - e anche su questo vi sarebbe forse da discutere - a quelle realtà, essi non sono esattamente trasponibili nella nostra: del resto, se vi fosse un sistema perfetto, tutti i Paesi del mondo lo avrebbero già adottato. È dunque evidente che non vi è alcun sistema perfetto: vi sono piuttosto vari sistemi che sono utilizzabili nelle diverse condizioni e nelle diverse situazioni, poiché gli aspetti culturali, storici e socio-economici incidono Pag. 31sulla loro applicazione in maniera più importante di quanto a volte non si voglia ammettere.
Come ho già detto in altre occasioni, non sono personalmente molto stimolato dai facili innamoramenti verso un sistema rispetto ad un altro. Anche il mio partito, peraltro, su questo aspetto ha cambiato opinione, e ciò rappresenta anche un segno di maturità, perché è evidente che la politica non può essere statica, ma bisogna avere anche la capacità di modificare certe posizioni in funzione di situazioni che cambiano (ricordo, però, quando in quest'Aula la maggior parte dei partiti si pronunciava decisamente contro i sistemi di tipo federale, mentre mi pare che oggi vi sia una ampia trasversalità a favore di tale ipotesi di organizzazione dello Stato).
Certo è che vi sono anche - ma forse tale circostanza viene trascurata, a volte - ottimi esempi di Stati organizzati in maniera centralista come la Francia, e quindi direi che un modello non deve essere tale da suggestionarci nelle nostre convinzioni più di tanto.
Credo, comunque, che nella fase attuale l'Italia possa funzionare meglio se, ponendo mano alla Costituzione, si imposta l'attività legislativa in capo ad una Camera sola, anziché su un sistema bicamerale (su questo punto siamo, naturalmente, tutti convinti).
Purtroppo il sistema scelto - quello dell'elezione attraverso i consigli regionali e i consigli provinciali di Trento e di Bolzano - non ci convince proprio per le ragioni che spiegavo in precedenza.
Viviamo in Italia una fase in cui la società è profondamente scollata rispetto alla politica e dimostra segni di insofferenza (talvolta forse anche eccessivi, talaltra sicuramente motivati): ritengo che la politica dovrebbe assicurare risposte tali da consentire un maggior coinvolgimento dei nostri concittadini, anziché lasciarli spettatori passivi di decisioni, per quanto importanti, che riguardano comunque il loro territorio, ma vengono delegate ad altri.
Credo che questo rappresenti uno dei punti deboli dell'impianto di cui stiamo discutendo. Ciò detto, è chiaro che siamo in presenza di una situazione che sta diventando anche un po' paradossale: abbiamo regioni e province a statuto speciale (poche) e quindici regioni a statuto ordinario.
Il fenomeno del tentativo di migrazione di comuni da una regione all'altra denota proprio l'insoddisfazione rispetto a modelli che sono ormai superati e che in questo momento destinano maggiori risorse alle realtà autonome, lasciando le regioni a statuto ordinario in posizione decisamente meno soddisfacente e vantaggiosa.
È chiaro, quindi, che i comuni confinanti, accampando presunte ragioni storiche, stanno cercando - in più occasioni lo hanno già fatto anche in maniera concreta, e sempre più ciò avverrà naturalmente in futuro, se non si procederà in direzione di una profonda riforma in questo senso - l'aggancio verso le realtà più ricche, dinamiche, sostenute ed anche, consentitemi il termine, assistite. Mi riferisco alla mia regione e alle due province autonome, che ricevono dallo Stato trasferimenti pari al 90 per cento di tutte le tasse imposte e riscosse; se consideriamo poi che lo Stato naturalmente gestisce in proprio moltissimi altri servizi, tali province vivono al 120-130 per cento della loro capacità di produzione di ricchezza.
È chiaro che un modello di questa natura non è - mi auguro - imitabile, così come spero (dico ciò, forse, anche contro il mio interesse) che tale modello possa essere un domani, quanto prima, ridimensionato, per ragioni di equità e di giustizia nei confronti degli altri cittadini italiani. Registriamo, dunque, la situazione paradossale di comuni che cercano di agganciarsi alle realtà più ricche e dinamiche, proprio perché il Parlamento non è stato in grado, in questi anni, di dare una risposta che potesse soddisfare anche le aspettative di quelle regioni che hanno dimostrato capacità di autogoverno, ma che non hanno avuto la possibilità di avere competenze e risorse per esercitarle.
Specificamente, in ordine alle proposte emendative riferite all'articolo 3, mi preme Pag. 32sottolineare la questione che riguarda la provincia di Bolzano, dove qualche passo in avanti è stato sicuramente compiuto, circostanza di cui devo dare atto. Infatti, vi è il problema di garantire quanto meno la rappresentanza al Senato federale della comunità di lingua italiana. Come è noto, il cosiddetto «pacchetto» in favore delle popolazioni altoatesine aveva previsto, attraverso la misura 111, di garantire l'elezione di un senatore di lingua italiana in Alto Adige. A tale scopo, venne disegnato un collegio comprendente il comune di Bolzano e i comuni a sud della cosiddetta Bassa Atesina, che avrebbe effettivamente consentito l'elezione di un senatore di lingua italiana. Così in realtà è avvenuto, perché gli elettori di lingua italiana sono in maggioranza e pertanto sono riusciti ad esprimere un loro senatore.
Tuttavia, nelle ultime due legislature - compresa quella in corso - tale sistema è stato distorto in quanto è subentrato un accordo politico che ha consentito alla Volkspartei di far eleggere un senatore in quel collegio. Pertanto, da due legislature la comunità di lingua italiana non ha un proprio senatore in quanto questi è stato eletto tra i candidati presentati dalla Volkspartei e ciò in virtù di un accordo politico intervenuto tra il centrosinistra e il partito della stella alpina.
È chiaro che lo spirito di quella misura del «pacchetto», la misura 111, è stato sostanzialmente azzerato dall'accordo politico concluso successivamente. Non intendo ora addentrarmi nella diatriba tra centrodestra e centrosinistra, poiché non ritengo utile un tale esercizio. Vorrei cercare di mantenermi ad un livello un po' più alto nelle mie osservazioni e riflessioni. Credo che la comunità di lingua italiana dell'Alto Adige sia la vera minoranza perché rappresenta il 26 per cento della popolazione e in precedenza il 36 per cento. È una comunità che ad ogni censimento ha dimostrato, nei fatti, di ridimensionarsi numericamente e percentualmente, mentre la comunità di lingua tedesca si è rafforzata, nei trenta anni di autonomia, percentualmente e numericamente. Evidentemente, l'autonomia ha comportato maggiori vantaggi e una superiore possibilità di crescita e di sviluppo per la comunità di lingua tedesca rispetto a quella di lingua italiana e tale fatto è dimostrato, numeri alla mano, dalle statistiche ma anche dai fatti, perché la presenza di un partito di maggioranza assoluta che governa per alcuni anni con motivazioni di carattere etnico-linguistico piuttosto che politiche può chiaramente generare tali situazioni.
L'Alto Adige è una contraddizione in termini e credo che costituisca un caso unico al mondo. Infatti lo Stato, nel convincimento di voler tutelare una minoranza linguistica, ha poi finito - in un certo momento - con il danneggiare la propria comunità nazionale. A dimostrazione di ciò il modello Alto Adige viene spesso studiato e preso ad esempio da altri Paesi, ma nessuno di questi si è mai spinto sino al punto di adottare un simile sistema. Pertanto, in ordine a tale tema forse qualche ulteriore riflessione andrebbe sviluppata.
Inoltre, la comunità di lingua italiana si trova in Alto Adige in una situazione di forte difficoltà, perché è numericamente piuttosto esigua e anche i partiti di lingua italiana rappresentati nella Camera dei deputati presentano un maggiore interesse per la provincia di Trento, che è totalmente di lingua italiana. Generalmente, quindi, nei bilanci interni di ogni partito il Trentino assume un'importanza tre volte superiore rispetto all'Alto Adige. Di conseguenza, anche le liste elettorali che vengono stilate tengono conto del fatto che la stragrande maggioranza dei voti raccolti nella regione dai partiti italiani vengono ottenuti nella provincia di Trento e quindi i candidati che sono favoriti sono generalmente quelli trentini.
Ciò detto, è evidente che se la comunità di lingua italiana, guardando al suo futuro, sa che difficilmente potrà ottenere dei propri rappresentanti che la possano, in qualche modo, tutelare alla Camera dei deputati (a causa del forte sbilanciamento dei partiti di lingua italiana, sul piano elettorale, verso la provincia di Trento) al Senato, invece, si poteva cercare di risolvere Pag. 33tale problema con una clausola che garantisse al gruppo linguistico italiano una propria rappresentanza.
Devo dire che su questo punto in Commissione abbiamo a lungo discusso; ho trovato anche una certa buona volontà da parte delle forze di centrosinistra e anche della stessa Volkspartei. Tuttavia il problema è che, mentre da un lato è prevista l'elezione di un senatore del gruppo linguistico italiano, dall'altro, non prevedendosi delle misure attuative in questo senso, si dà sostanzialmente alla Volkspartei - o per meglio dire, ai consiglieri provinciali di lingua tedesca - la capacità di sceglierlo. Pertanto, il senatore che rappresenterà in futuro nel Senato federale la comunità di lingua italiana sarà in realtà scelto dalla comunità di lingua tedesca, perché i numeri purtroppo dicono questo. I consiglieri provinciali del gruppo linguistico italiano che sono stati eletti nell'ultima tornata elettorale, quattro anni fa, erano sette su trentacinque; a seguito delle dimissioni di un consigliere provinciale ne è subentrato un ottavo. Tuttavia, in ogni caso, con otto consiglieri su trentacinque, dovendo eleggere tre senatori, dei quali comunque uno riservato al gruppo linguistico italiano, si comprende che saranno i consiglieri regionali e provinciali del gruppo linguistico tedesco a determinare l'elezione del senatore.
Pertanto questo è certamente un punto che non ci soddisfa, perché consegna alla Volkspartei, attraverso un accordo politico, anche il senatore che rappresenterà la comunità di lingua italiana. Per questo abbiamo presentato un nostro emendamento che sostanzialmente prevede che, al momento della votazione, il consiglio provinciale di Bolzano si divida in due e che i consiglieri del gruppo linguistico italiano votino il senatore del proprio gruppo linguistico e altrettanto facciano quelli di lingua tedesca, così come avviene in altre circostanze, come ad esempio quando il consiglio provinciale è chiamato a nominare i rappresentanti della cosiddetta «commissione 137» che esprime parere obbligatorio sulle modifiche allo statuto. Analogamente, del resto, in consiglio provinciale si vota separatamente anche per i giudici del TAR del gruppo linguistico italiano e del gruppo linguistico tedesco. Tutto l'impianto autonomista dello statuto del Trentino Alto Adige prevede delle garanzie per i gruppi linguistici; ciò vale, ad esempio, per la presidenza del consiglio provinciale, per la sua vicepresidenza e per molte altre circostanze.
Lo statuto di autonomia è stato concepito sostanzialmente per tutelare la popolazione di lingua tedesca, e questo rappresenta forse anche il vizio di fondo di tutto questo ragionamento. Lo statuto di autonomia non è stato voluto dalla popolazione di lingua italiana, ma è stato voluto, attraverso i suoi rappresentanti politici, dalla popolazione di lingua tedesca che voleva uscire dalla fase postbellica in cui alcuni diritti le erano stati conculcati; giustamente, quindi, la comunità di lingua tedesca voleva garanzie per il proprio futuro, in ordine al diritto all'insegnamento della propria lingua nella scuola (cosa che durante il periodo fascista era stata vietata), al bilinguismo, ad una toponomastica bilingue. Ebbene tutti questi aspetti sono stati inseriti nello statuto, in maniera anche molto accentuata, perché - come si sa - la provincia di Bolzano ha competenze primarie e secondarie che investono tutto il mondo dell'economia e tantissime altre materie; allo Stato è rimasto, ormai, ben poco.
Pertanto, questo impianto autonomistico è stato creato per tutelare sostanzialmente la popolazione di lingua tedesca mentre non sono state adottate misure per la tutela della comunità di lingua italiana dell'Alto Adige. Basti pensare che le misure che dovrebbero salvaguardare il gruppo linguistico italiano dell'Alto Adige sono ben poco significative: la rappresentanza proporzionale all'interno della giunta provinciale, la rotazione della presidenza e della vicepresidenza del consiglio provinciale e la possibilità di richiesta di voto separato sulle leggi e sul bilancio (norma che, peraltro, non è stata mai invocata da nessuno, in quanto abbastanza inefficace per una reale tutela).

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È chiaro che in una tale situazione la comunità di lingua italiana in questi anni abbia perso competitività anche sul piano politico, in parte per propria responsabilità, poiché si è divisa secondo i consueti schieramenti nazionali senza comprendere che in una realtà dov'era minoranza e nella quale doveva competere con un partito che, invece, rappresentava la maggioranza della comunità di lingua tedesca e che deteneva la maggioranza assoluta all'interno del consiglio provinciale, avrebbe dovuto fare qualche sforzo per cercare formule nuove e, forse, anche un po' irrituali, rispetto agli scenari nazionali, che certamente avrebbero potuto portare a qualche risultato in più sul territorio. Così purtroppo non è stato.
Oggi discutiamo se questa comunità, che attualmente rappresenta il 27 per cento della popolazione ed è la comunità nazionale, ossia la comunità di lingua italiana dell'Alto Adige, debba avere dei propri rappresentanti alla Camera e al Senato. Alla Camera non è impedito che ciò avvenga, ma di fatto non avverrà, proprio perché - come ho affermato poc'anzi - i partiti di lingua italiana raccolgono i quattro quinti dei voti nella provincia di Trento e quest'ultima solitamente pretende delle candidature che successivamente portino all'elezione alla Camera dei deputati.
Per quanto riguarda il Senato, oggi abbiamo superato la misura 111 che favoriva l'elezione di un senatore per passare alla garanzia dell'elezione di un senatore che, però, purtroppo, verrà scelto con il voto determinante del gruppo linguistico tedesco. Quindi, potrebbe non essere rappresentativo della comunità di lingua italiana dell'Alto Adige, così come avviene già da molti anni all'interno della giunta provinciale, nella quale gli italiani che hanno responsabilità di governo nella provincia autonoma di Bolzano sono espressione della minoranza del gruppo linguistico italiano, che viene cooptata dalla maggioranza del gruppo linguistico tedesco.
Questa è una situazione un po' paradossale, poco conosciuta, purtroppo, dal Parlamento. Lo dico senza spirito polemico, anzi l'ho già detto anche in Commissione e non ho difficoltà a ripeterlo in Aula. Ho percepito una certa dose di buona volontà anche nei nostri avversari del centrosinistra nel cercare di individuare una soluzione non semplice - me ne rendo conto - sul piano costituzionale, ma soprattutto sul piano politico.
Non voglio nemmeno fare processi alle intenzioni ai colleghi della Volkspartei che non mi ascoltano perché non sono presenti, ma è indubbio che la norma, così come è congegnata, ci lascia piuttosto perplessi perché apre la porta a ciò che ho richiamato poco fa e che certamente non potrebbe portare la comunità di lingua italiana ad una posizione di tranquillità, o quantomeno a sentirsi degnamente rappresentata (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mario Pepe. Ne ha facoltà.

MARIO PEPE. Signor Presidente, il dibattito svoltosi sinora somiglia tanto a quelle discussioni che si fanno al capezzale di un malato; il malato in questione è il Parlamento che vogliamo riformare e per il quale vogliamo trovare i rimedi giusti. Non vorrei, però, che mentre il Parlamento si perde in oziose discussioni, il malato muoia!
Abbiamo perso due giorni per discutere il numero dei parlamentari - trecento, trecentocinquanta, quattrocento o cinquecento - abbiamo perso la giornata di oggi per discutere il numero dei parlamentari eletti nella circoscrizione estero, come se il destino dell'istituzione parlamentare dovesse essere affidato ai parlamentari eletti all'estero!
Entrando nello specifico dell'articolo 3, citerò soltanto i punti negativi e deboli, perché ne ha parlato ampiamente il collega Brancher, tra i quali vi sono la mancanza di una norma transitoria per il passaggio dal vecchio al nuovo sistema e il carattere diretto dell'elezione a senatore, che incrementa l'assenteismo, perché il senatore dovrebbe essere anche consigliere regionale e, Pag. 35quindi, dovrebbe dividersi tra i consigli regionali e il Senato. Non dimentichiamo poi che i consiglieri regionali sono eletti con il sistema delle preferenze e, quindi, hanno un legame diretto con il territorio, che fa sì che dovranno coltivare anche quell'elettorato; ciò accrescerebbe l'assenteismo. Inoltre, che senso ha la circoscrizione estero per il Senato federale?
Tuttavia, vorrei affidare all'Assemblea un quesito: cosa si aspetta l'Italia dal Parlamento, ovvero quale Parlamento dobbiamo dare alla nostra società che è diventata complessa? Dobbiamo dare un Parlamento che rappresenti la Camera di conciliazione di interessi contrastanti di una società complicata come l'Italia, oppure dobbiamo dare un Parlamento decisionista, che incida sul tessuto sociale con provvedimenti legislativi? Questo è l'aspetto su cui dobbiamo dibattere prima di discutere se i deputati debbano essere cinquecento, quattrocento o trecento e se la circoscrizione estero debba avere diciotto senatori o diciotto deputati!
Per dare serenità al dibattito e per decidere serenamente quale Parlamento dare alla società e per quale Italia, vorrei guardare alla storia dei cinquant'anni delle nostre istituzioni. In questi cinquant'anni, infatti, si è avuto un periodo in cui il Parlamento era governante, approvava leggi contrattate che prevalevano sulle leggi di indirizzo, adottava leggi-provvedimento e leggine. Le leggi approvate in Commissione prevalevano su quelle approvate in Assemblea e ciò ha creato una dilatazione della legislazione.
Successivamente, si è avuto il periodo del Governo legislatore, che si è sostituito al Parlamento, ovvero il Governo Prodi, un Esecutivo che governa con i decreti-legge e con i decreti delegati, escludendo il Parlamento dall'attività legislativa. Il Parlamento, di conseguenza, deve lavorare di rimessa ed è stato trasformato in un guscio vuoto. Affido, quindi, all'Assemblea questo quesito, se vogliamo che il Parlamento torni ad essere il centro delle istituzioni e il simbolo della libertà e della democrazia.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare sull'articolo 3 e sulle proposte emendative ad esso presentate, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, anche per agevolare il nostro lavoro, su tutte le proposte emendative riferite all'articolo 3, che sono in gran parte soppressive e di modifica della composizione del Senato rispetto al testo unificato, la Commissione formula un invito al ritiro, altrimenti il parere è contrario. La Commissione raccomanda l'approvazione dei suoi emendamenti 3.253, 3.252 e 3.250 ed esprime parere favorevole sull'emendamento Maroni 3.119. Inoltre, la Commissione raccomanda l'approvazione del suo emendamento 3.251. Per quanto riguarda l'emendamento 3.254 della Commissione, poiché è stato presentato il subemendamento Biancofiore 0.3.254.1, si riserva di esprimere il relativo parere nella prossima seduta.
Infine, la Commissione esprime parere favorevole sull'emendamento Zaccaria 3.174 a condizione che sia riformulato aggiungendo la parola «regionale».

PRESIDENTE. Il Governo?

PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.

PRESIDENTE. Secondo quanto comunicato all'Assemblea, il seguito dell'esame del provvedimento è rinviato ad altra seduta.

Trasferimento a Commissione in sede legislativa del disegno di legge n. 2936 (ore 15,28).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'assegnazione di un disegno di legge a Commissione in sede legislativa.Pag. 36
Propongo alla Camera l'assegnazione in sede legislativa del seguente disegno di legge, del quale la III Commissione permanente (Affari esteri) ha chiesto il trasferimento in sede legislativa, ai sensi dell'articolo 92, comma 6, del Regolamento:
S. 1108 - «Partecipazione italiana alla ricostituzione delle risorse di Fondi e Banche internazionali» (Approvato dal Senato) (2936) (La Commissione ha elaborato un nuovo testo).
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

Per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 15,29).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo per sollecitare il Governo a fornire una risposta ad una mia interrogazione a risposta scritta indirizzata al Presidente del Consiglio, la n. 4-03580, presentata il 9 maggio 2007 e sottoscritta dai colleghi Grimoldi e Meloni, riguardante l'Agenzia nazionale per i giovani.

PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, la Presidenza si farà carico di sollecitare la risposta del Governo alla interrogazione da lei richiamata.
Sospendo brevemente la seduta, che riprenderà con lo svolgimento di interpellanze urgenti.

La seduta, sospesa alle 15,30, è ripresa alle 15,45.

Svolgimento di interpellanze urgenti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative connesse all'accertamento di responsabilità con riguardo agli scontri verificatisi a Nassiriya nella notte tra il 5 e il 6 agosto 2004 - n. 2-00800)

PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00800, concernente iniziative connesse all'accertamento di responsabilità con riguardo agli scontri verificatisi a Nassiriya nella notte tra il 5 e il 6 agosto 2004 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, la nostra interpellanza trae spunto e ragione dalle conclusione dell'iter processuale avviato dal tribunale militare di Roma, in seguito alla vicenda relativa a un episodio di guerra in cui furono coinvolti i militari italiani del contingente inviato a Nassiriya.
Nell'agosto del 2004, in Iraq, mentre era in corso un confronto militare assai aspro tra le truppe statunitensi e i miliziani di Moqtada Al Sadr, nella città di Najaf, si verificarono scontri anche a Nassiriya, che videro coinvolti i militari italiani di stanza in quell'area (in particolare, il reggimento lagunari Serenissima, lì presente in quel periodo), schierati in difesa dei tre ponti sull'Eufrate.
Un filmato girato da un giornalista americano, Micah Garen, che in quel periodo si trovava ospite del contingente italiano, portò alla luce una testimonianza importante del conducente dell'ambulanza che venne coinvolta nella sparatoria e che subì conseguenze drammatiche. Il conducente sosteneva che i militari italiani avessero sparato contro l'ambulanza che trasportava una donna partoriente all'ospedale di Nassiriya, provocando la morte della donna e di altre persone.
Il 27 agosto del 2004, vi fu una seduta delle Commissioni riunite esteri e difesa di Camera e Senato per ascoltare le comunicazioni del Governo in ordine agli eventi iracheni di quel periodo e, in particolare, in ordine alla drammatica vicenda del rapimento e dell'uccisione del giornalista Pag. 37italiano Enzo Baldoni. Nel corso della seduta, da alcuni parlamentari, tra cui la sottoscritta, furono chiesti chiarimenti in relazione alla notizia della sparatoria sull'ambulanza in questione.
In quella occasione, l'allora Ministro degli affari esteri Frattini, alla presenza del Ministro della difesa Martino, respinse, con molta foga e forza, ogni addebito, dichiarando che le notizie, circolate anche sulla stampa italiana in seguito alle testimonianze del giornalista americano Garen, erano assolutamente destituite di qualsiasi fondamento.
Peraltro, attraverso l'accertamento compiuto dall'autorità giudiziaria, è emerso - in modo incontrovertibile - che i fatti si sono realmente verificati secondo le modalità indicate dal giornalista americano. In particolare, dalla sentenza, emessa recentemente dal tribunale militare di Roma, emerge che il veicolo colpito era davvero un'ambulanza dell'ospedale civile di Nassiriya, recante gli usuali contrassegni e dispositivi luminosi, e che a bordo di essa si trovavano sette persone, tre delle quali sedute sui sedili anteriori, che sono sopravvissute, e altre quattro posizionate nella parte posteriore, morte in seguito all'esplosione della vettura causata dai colpi dei militari italiani.
Il tribunale militare ha assolto i militari implicati nella vicenda, ma ha accertato il carattere obiettivamente criminoso del fatto per l'assenza di ogni causa di giustificazione, asserendo, in qualche modo, che i militari avevano preso fischi per fiaschi, ossia che avevano male interpretato ciò che si stava muovendo davanti ai loro occhi.
Non si trattava pertanto di un'autobomba - è scritto nella sentenza -, di un veicolo organizzato ad autobomba, che si dirigeva a luci spente verso il contingente italiano e che veniva fatto esplodere per sventare un attentato, come emerso dalla testimonianza fornita dai militari implicati e dalle autorità militari che hanno condotto l'inchiesta di loro pertinenza. Si trattava di un'autoambulanza che si è incendiata solo a causa delle sventagliate di mitragliatrice esplose dai lagunari della Serenissima con l'arma di reparto.
Chiediamo di sapere se il Governo nel frattempo, quello precedente o l'attuale, dato che la competenza riguarda entrambi, abbia risarcito il danno ai familiari delle vittime o in difetto se intenda risarcirlo al più presto; chiediamo di conoscere lo stato delle cose su questo punto di estrema importanza.
Chiediamo di sapere, inoltre, se le regole di ingaggio applicate dal dispositivo militare di accompagnamento dell'invio del contingente italiano a Nassiriya prevedessero una tale evenienza. Tutto ciò è scritto nel testo dell'interpellanza, ma voglio precisare meglio la domanda, dato che certamente non poteva essere prevista la possibilità di aprire il fuoco anche contro le ambulanze in deroga all'articolo 191 del codice penale militare di guerra. Vogliamo sapere se le regole di ingaggio vennero formulate - su questo insisto perché lo voglio proprio sapere - in maniera non adeguata a mettere in evidenza l'assoluto vincolo inibitorio affinché si potessero svolgere azioni di questo genere.
Chiediamo anche di sapere se il Governo intenda accertare se i fatti si siano svolti secondo la testimonianza dell'autista e secondo il racconto che ha fatto il giornalista americano anche alla luce della sentenza del tribunale militare di Roma che - ripeto - da una parte si assolve in nome di un accreditamento di non comprensione di quello che stava succedendo, ma dall'altra riconosce l'evento criminoso. Domandiamo se il Governo intenda accertare, altresì, alla luce di questa importante sentenza, le responsabilità della catena di comando del battaglione lagunari «La Serenissima» e dei comandanti della missione Antica Babilonia nella diffusione di informazioni false all'opinione pubblica e alle autorità politiche del nostro Paese.
Intendiamo sapere, infine, se il Governo non ritenga che l'encomio concesso dal generale Corrado Dalzini al maresciallo Stival, il sottufficiale che ha ordinato di aprire il fuoco contro l'ambulanza, non costituisca un atto illegittimo di compiacimentoPag. 38 dato il carattere criminoso dell'episodio secondo la definizione che ne fornisce la sentenza e se intenda prendere provvedimenti.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere.

PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, l'interpellanza in esame si riferisce alla vicenda degli scontri avvenuti nella notte tra il 5 e il 6 agosto 2004 a Nassiriya tra i miliziani sciiti e i militari italiani della task force «Serenissima», per il controllo dei tre ponti che collegano, lungo il fiume Eufrate, le zone nord e sud della città, con particolare riferimento all'episodio che ha visto coinvolto un veicolo civile, rivelatosi alla luce dei fatti un'ambulanza che, mentre tentava di attraversare il ponte «Charlie», verso le 3,30, del 6 agosto 2004, veniva fatto segno da fuoco erogato dai militari del contingente italiano.
In via preliminare, nell'affrontare tale complessa e delicata vicenda si ritiene opportuno, anche per una questione di sensibilità istituzionale e di dovere etico, assumere atteggiamenti improntati a criteri di equilibrio, chiarezza e buonsenso, nell'interesse generale di pervenire, sempre e comunque, al primato della verità.
Tale sottolineatura appare doverosa nella considerazione che l'interpellanza in discussione, che si impernia sostanzialmente sulla sentenza di assoluzione dei militari italiani coinvolti nell'episodio predetto, così come è stata formulata, non si basa evidentemente su un quadro della situazione completo e pare presentare l'occasione per deduzioni o valutazioni non appropriate.
In effetti è l'intera citata sentenza del giudice per l'udienza preliminare, in data 9 maggio 2007, che va presa in considerazione, senza sottrarne parti essenziali e ridurla ad una lettura selettiva. Soltanto un esame completo della stessa sentenza, nella sua interezza, può consentire un approccio soddisfacente alla vicenda e offrire gli elementi oggettivi di valutazione.
All'interno di detta sentenza, in particolare in alcuni punti che vanno messi qui in evidenza, risiedono anzitutto le risposte alle domande di cui all'interpellanza.
Fatta questa premessa, con riferimento all'aspetto secondo cui sarebbero state fornite, dai comandi militari in teatro, informazioni e versioni dei fatti false «nel tentativo di allontanare da sé la responsabilità per un evento criminoso», come pure al presunto «castello di menzogne attraverso il quale si è voluta negare perfino l'esistenza del fatto materiale», si ritiene che la sentenza consenta di fare ampia luce.
Dall'analisi della sentenza, infatti, con particolare riguardo alla parte in cui il gruppo ricostruisce la dinamica dell'episodio, lo stesso giudice evidenza, spiegandone le ragioni, il diverso tenore delle deposizioni rese da numerosi militari italiani; deposizioni che appariranno non soltanto contrastanti con le testimonianze rese dai cittadini iracheni, ma anche divergenti tra loro.
In proposito, la sentenza stessa fa riferimento al fatto che «le condizioni di particolare tensione operativa, nonché le difficoltà visive derivanti dal buio notturno (...), le diverse posizioni occupate da ogni singolo militare (...), possono con tranquillità spiegare le divergenze e le imprecisioni che è stato possibile evidenziare nelle ricostruzioni del fatto (...), senza doversi spingere fino ad ipotizzare falsità artatamente preordinate ovvero muri di omertà».
Ancora, la sentenza afferma: «appare comunque non convincente ed anzi destituita di fondamento la tesi di un muro di omertà costruito da una sorta di congrega, preoccupata solo di dichiarare il falso a chiunque cercasse di accertare quanto accaduto in quella notte».
D'altro canto, sempre secondo quanto si rileva dalla sentenza, «l'episodio in questione non è stato nascosto dai militari operanti sin dal suo primo verificarsi, nella sua immediatezza; tanto è vero che sul registro degli avvenimenti della "Serenissima" si legge (...): "un mezzo stava Pag. 39attraversando il ponte C non fermandosi all'alt e sparando contro il dispositivo, veniva colpito da colpi di arma da fuoco ed esplodeva"».
Dalla lettura di tali passaggi si rileva che, nell'immediatezza del fatto risultava obiettivamente operazione complessa ricostruire con precisione i fatti e la dinamica dell'episodio. Riguardo alla deduzione degli onorevoli interpellanti secondo cui l'autorità giudiziaria avrebbe «accertato il carattere obiettivamente criminoso del fatto per l'assenza di ogni causa di giustificazione», si osserva che lo stesso GUP giunge a conclusioni diametralmente opposte a tale deduzione.
In particolare con riferimento alla ricostruzione del fatto, il GUP ritiene sia necessaria «una sua più ampia contestualizzazione».
Infatti nella citata sentenza, si legge: «i nostri militari si trovavano nella notte tra il 5 il 6 agosto 2004 a fronteggiare un attacco di vaste dimensioni belliche; durante il suo perdurare si verificavano vari tentativi di attraversare il ponte denominato «Charlie» ad opera di svariati autoveicoli; mentre in tutte le altre occasioni i conducenti ottemperavano alle intimidazioni a tornare indietro, in due casi ciò non si verificava». Uno dei due casi è proprio quello di cui si sta discutendo.
«Tutto questo» - continua la sentenza - «in un più generale contesto operativo in cui occorreva non solo rispondere militarmente ad eventuali aggressioni in campo aperto, per così dire di natura tradizionale, ma anche tener conto che non infrequentemente dal fronte opposto si sarebbe fatto ricorso a strumenti di guerra nuovi e diversi, in estrema sintesi qualificabili come terroristici e di guerriglia».
La medesima autorità giudiziaria - va rimarcato - ha assolto i militari italiani, «perché» - come affermato nella sentenza, - «persone non punibili per aver ritenuto di agire in stato di necessità militare».
Le considerazioni sullo stato di necessità valgono anche per la più ampia questione riguardante le regole d'ingaggio rispetto al richiamato articolo 191 del codice penale militare di guerra.
Le regole di ingaggio sono vincolate ai principi del diritto internazionale, pattizio ed umanitario, e sono assunte in conformità alle vigenti leggi penali, ordinarie e militari, e devono rispondere ai criteri di necessità e proporzionalità dell'azione. Da una parte, quindi, queste regole servono a codificare l'autodifesa, dall'altra devono precisare il livello di uso della forza, per raggiungere lo scopo della missione nel caso in cui vengano incontrati atteggiamenti ostili.
In particolare, l'autorità giudiziaria fa rilevare, nell'ambito della sentenza, che la possibilità di utilizzare la forza in modo adeguato è stata applicata in maniera del tutto legittima, benché condizionata dallo stato di necessità militare. Nel particolare contesto operativo di cui si discute, i militari, fra l'altro, avevano «l'oneroso compito di adottare provvedimenti e di intraprendere iniziative di particolare delicatezza e difficoltà, talvolta in tempi e modi rapidissimi». Il comportamento tenuto dai militari, pertanto, è stato ispirato ai principi di proporzionalità e necessità e l'uso della forza è stato deciso solo dopo aver rilevato l'inefficienza delle altre disposizioni poste in essere per dissuadere il mezzo dell'attraversamento del ponte.
La sentenza, ha tra l'altro, accertato che «i mezzi da loro utilizzati per fronteggiare la situazione di ritenuto pericolo erano (...) gli unici disponibili e comunque proporzionati (...)». Sulla specifica circostanza, il giudice afferma che: «a fronte di tali ritenute emergenze operative non si poteva far altro che, ed in pochi istanti, decidere di applicare le regole di ingaggio (...) facendo uso delle armi a disposizione e della successiva gradualità prescritta. Non vi era altra possibilità per impedire che il veicolo in questione oltrepassasse il limite di sicurezza, che esso si avvicinasse ulteriormente al dispositivo, tanto più che era giunto a distanza ravvicinata, qualificabile in non più di cinquanta o sessanta metri».
Con riferimento, poi, alle richieste di risarcimento danni, si rappresenta che agli Pag. 40atti del procedimento penale sono presenti istanze di risarcimento o aiuto economico, formulate dai parenti delle vittime a margine e nel corso dei relativi verbali di assunzione di informazioni come persone informate sui fatti.
Tali verbali furono redatti dal Provost Marshall del contingente italiano e trasmessi alla procura militare della Repubblica di Roma a seguito e a corredo della notizia di reato, nella prima fase delle indagini militari, in data 31 agosto 2004. Nessuno dei parenti delle vittime risulta, però, essersi formalmente costituito nel procedimento come persona danneggiata, ai sensi dell'articolo 90 del codice di procedura penale ovvero come parte civile, ai sensi degli articoli 74 e 76 dello stesso codice. La predetta sentenza non contiene, pertanto, alcuna statuizione civile a favore delle persone offese. Ogni valutazione economica sarà conseguente al giudicato penale.
Con riferimento, infine, all'aspetto relativo alla presunta concessione di un encomio a favore del maresciallo Stival, gli organi militari competenti hanno reso noto che, dall'esame dello stato di servizio dell'interessato, non risulta alcuna trascrizione a matricola in tal senso.

PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di replicare.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, mi dichiaro molto insoddisfatta, ma mi aspettavo una risposta di questo genere, perché tutto ciò che riguarda l'ambito militare è protetto o dai segreti militari o dalla protezione istituzionale e politica non di questo Governo, ma dei Governi in genere.
Vorrei avanzare alcune osservazioni, alcune considerazioni politiche e, poi, alcune precisazioni contestuali. La partecipazione del nostro Paese all'impresa statunitense in Iraq non è stata una qualsiasi missione militare. È stata la scelta di far parte di una spedizione di aggressione all'Iraq che ha comportato prezzi pesantissimi per il nostro Paese, sia dal punto di vista dei vincoli costituzionali, sia del rispetto del diritto internazionale, delle convenzioni e delle alleanze, sia dal punto di vista dei costi umani che il Paese ha avuto (voglio ricordare l'attentato ai carabinieri italiani sempre a Nassiriya).
Pertanto, credo che una sensibilità politica da parte del Governo Prodi - che ha voluto sancire la fine dell'impresa militare italiana a Nassiriya - avrebbe richiesto una risposta ispirata al pensiero politico e non soltanto un'informazione burocratica, mediante un'interpretazione letterale della sentenza del tribunale o in relazione ai fatti così come raccontanti dalle relazioni delle autorità militari.
Inoltre, ci saremmo aspettati una sensibilità politica che mettesse l'accento sulla tragicità di quell'episodio e non sulle ragioni per si è sparato addosso ad un'autoambulanza con i segnali, le luci e tutto quello che poteva far riconoscere che si trattava di un'autoambulanza, anziché di un veicolo per il trasporto del pane, spedito contro il contingente italiano, rendendo necessaria una capacità di lettura di quella tragica storia di una donna irachena partoriente e bisognosa di cure specialistiche trasportata su un'ambulanza, colpita e morta nella battaglia dei tre ponti, nel corso della quale i militari italiani sono stati coinvolti in un conflitto a fuoco pesantissimo, che di per sé, in radice, contraddiceva la denominazione dell'impresa italiana come impresa e missione di pace.
Pertanto, signor sottosegretario, a mio avviso nella risposta del Governo vi è la dismissione di qualsiasi obbligo (in primo luogo morale, trattandosi di un episodio per noi così tragico, oltre che politico e istituzionale) di prendere in considerazione seriamente la situazione, e non dal punto di vista tecnico relativo all'assoluzione di quei militari, e di porre all'ordine del giorno un episodio sul quale bisognerebbe ricostruire elementi di memoria che ci servano anche per il futuro - in considerazione del peso e del posto che le missioni militari occupano nella politica internazionale del nostro Paese - affinché episodi di questo genere non si debbano Pag. 41più ripetere. Questa, perlomeno, dovrebbe essere, per così dire, la lezione morale oltre che politica da trarre.
Inoltre, vorrei fare delle osservazioni specifiche. Non ho negato che vi sia stata l'assoluzione dei militari ed ho anche espresso - nella breve illustrazione che ho svolto - le ragioni di contesto che, secondo la sentenza, in qualche modo, hanno costretto i militari italiani a vedere quello che non c'era, a causa della tensione enorme, dell'enorme coinvolgimento nella sparatoria (che deve essere stata una esperienza molto faticosa) a causa delle luci e di tutto il resto.
Tuttavia, la sentenza assolve in nome di ciò, ma non nega la natura criminosa dell'episodio: questo è il fatto!
Ricordo che nell'ordinanza per la formulazione dell'imputazione a seguito dell'archiviazione non accolta - ordinanza del GIP del tribunale militare di Roma - l'interpretazione delle implicazioni che l'episodio criminoso ha avuto, sia sulle vittime, sia sulle responsabilità dei militari, è invece espressa con grandissima crudezza e chiarezza. Quello al codice penale militare di guerra è un riferimento di cui si mette in evidenza il carattere strettamente vincolante e non casuale o sottoponibile a verifiche di necessità, maggiore o minore, da parte dei militari implicati.
Da quanto da lei affermato, signor sottosegretario, parrebbe che il codice penale militare di guerra (l'articolo 191 in maniera particolare, e comunque il complesso delle disposizioni che vincolano le azioni militari a una strettissima tutela dei privati che non compiano atti ostili nei confronti delle truppe italiane in qualsiasi paese) non sia strettamente vincolante. Voglio ricordare che il codice penale militare di guerra, cui facciamo riferimento, risale al 1938, quindi è datato; tuttavia gli articoli che riguardano la tutela dei civili non implicati in atti ostili e la protezione di persone ferite, malate e del personale sanitario sono espressi in un contesto di vincolo strettissimo che - al contrario di quanto lei ha affermato o di quanto gli uffici le hanno scritto, signor sottosegretario - non può essere in nessun modo sottoposto al vaglio, alla misura, alla convenienza e all'opportunità dei militari impegnati in battaglia. Invece, da come lei presenta l'interpretazione di questi articoli, parrebbe che si possano rispettare o meno le norme del codice a seconda del contesto.
Quando chiedo se le regole di ingaggio fossero chiaramente definite rispetto al codice penale militare di guerra (che era quello cui era sottoposta l'impresa) intendo proprio sapere se queste regole - dal momento che era la prima volta che si utilizzava il codice penale militare di guerra in quell'impresa - prevedessero con cura e con carattere vincolante l'osservanza di quella parte del codice penale militare di guerra che detta le regole...

PRESIDENTE. Onorevole Deiana, concluda.

ELETTRA DEIANA. ...che disciplinano il rapporto con i civili, con i malati, con il personale sanitario e via discorrendo.
Insomma a me pare che la risposta che il Governo ha fornito non sia assolutamente soddisfacente e che tutta la vicenda della partecipazione italiana alla guerra in Iraq (così drammaticamente segnata, appunto, dalla violazione della Costituzione e del diritto internazionale, da lutti nostrani e da questa vicenda drammatica di uccisione di gente innocente), aspetti ancora una riflessione pubblica etico-politica all'altezza del coinvolgimento che il nostro Paese ha avuto in quella sciagurata guerra.

(Misure a favore dei comuni siciliani colpiti dal maltempo nel mese di ottobre 2007 - n. 2-00824)

PRESIDENTE. L'onorevole Briguglio ha facoltà di illustrare l'interpellanza La Russa n. 2-00824, concernente misure a favore dei comuni siciliani colpiti dal maltempo nel mese di ottobre 2007, (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2), di cui è cofirmatario.

Pag. 42

CARMELO BRIGUGLIO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, il 25 ottobre di quest'anno un violento nubifragio ha colpito la città di Messina, in particolare la zona sud della città ed altri comuni della fascia ionica messinese.
Si è trattato di un evento che nei giorni immediatamente precedenti era stato preceduto da eventi similari, che hanno colpito in particolare l'hinterland del comune di Taormina e i comuni di Taormina, Giardini-Naxos e Castelmola. Si tratta di un nubifragio che ha complessivamente messo in ginocchio un territorio, perché ha duramente colpito opere pubbliche, che oggi non esistono più, e ha messo a dura prova anche le finanze e la capacità di reazione di questi comuni, che, a parte il capoluogo, hanno dimensioni minime e risorse finanziarie molto ristrette.
Solo per un caso non ci sono state vittime! Ci sono stati notevoli danni, oltre che alle strutture pubbliche, anche ad abitazioni private e a privati cittadini. C'è anche una dimensione economico-produttiva della vicenda, perché questi eventi hanno duramente colpito e obbligato alla chiusura aziende artigiane, commerciali, industriali e turistiche di tutta la zona e c'è anche, a parte, il capitolo dei danni subiti dalle aziende agricole.
Si pone un problema immediato: venire in aiuto alle amministrazioni che presiedono al governo del territorio da un punto di vista operativo, per ripristinare le opere pubbliche che sono state gravemente danneggiate o, in alcuni casi, del tutto cancellate.
C'è un problema - su questo chiediamo che il Governo intervenga - di come risarcire privati cittadini ed aziende ed aiutare le aziende agricole. Spesso sono state colpite delle produzioni pregiate - cito per tutte il caso del limone interdonato - come tali riconosciute dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. È anche importante non fermarsi a ciò, perché questa vicenda ha dimostrato l'estrema fragilità dello stato ambientale e idrogeologico di questo territorio sensibile.
Su questo aspetto credo che sia necessario sottolineare che bisogna procedere ad un attento e immediato monitoraggio di quel territorio sul piano idrogeologico e, per non lasciare poi le cose per aria e per essere estremamente concreti, è anche necessario che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nel momento in cui quest'anno procederà alla programmazione della destinazione delle risorse per interventi finalizzati proprio all'obiettivo di combattere il dissesto idrogeologico, tenga conto di queste situazioni.
Questi eventi si potrebbero replicare già domani, con esiti, essendosi verificati durante le ore del giorno e non della notte, che potrebbero essere ben più drammatici rispetto ai risultati che abbiamo registrato in questa occasione, che hanno finito per colpire aziende, famiglie, privati, abitazioni, ma per fortuna senza provocare vittime, ma soltanto qualche ferito.
Chiediamo che il Governo proceda con interventi concreti ed efficaci e valuti l'opportunità di proclamare lo stato di calamità naturale e predisponga tutti quegli strumenti che possano coprire sia i danni verificatesi alle strutture pubbliche (i titolari, quindi, sono i comuni e le amministrazioni pubbliche) sia quelli subiti dai privati, dalle aziende e dalle imprese le quali sono state messe a dura prova da questi eventi.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere.

PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, in effetti nel pomeriggio del 25 ottobre 2007 il settore ionico del territorio provinciale di Messina è stato interessato da precipitazioni meteorologiche che, localmente, hanno assunto carattere di notevole intensità.
In particolare, secondo quanto comunicato dal Centro funzionale regionale, in località Santo Stefano di Briga, nella parte meridionale del territorio comunale di Messina, sono stati registrati dalle ore 16 alle ore 18 dello stesso giorno 82 millimetriPag. 43 di pioggia, ascrivibili ad un tempo di ritorno superiore a vent'anni, corrispondente ad una criticità idrogeologica elevata. Le precipitazioni si sono concentrate tra le ore 16,40 e le ore 17,40, ed in questo intervallo temporale sono stati registrati 68 millimetri di pioggia e sono stati segnalati allagamenti dovuti all'esondazione del torrente Santo Stefano.
Nel corso delle precipitazioni la Sala situazioni Italia ha raccolto numerose segnalazioni di smottamenti ed allagamenti sulla viabilità che unisce Catania a Messina, ed alcuni anche nella zona di Messina. In particolare, l'autostrada A18 Catania-Messina è stata chiusa per alcune ore nel tratto tra Giardini-Naxos e Messina ed il traffico è stato deviato sulla strada statale 114 Orientale Sicula dove, a causa degli allagamenti diffusi, si sono formate lunghe file di automobilisti che hanno creato difficoltà al passaggio dei soccorsi.
Inoltre, la predetta Sala situazioni Italia ha segnalato l'interruzione, provocata da frane e smottamenti, della strada stradale 114 nel tratto tra Tremestieri e Alì Terme ed il cedimento di una spalletta di un ponte ferroviario, con la conseguente interruzione del traffico su rotaia nel territorio comunale di Scaletta Zanclea.
Frane ed allagamenti sono state segnalati nel comune di Roccalumera, in località Giampilieri, nel territorio comunale di Messina, in località Contesse, mentre ad Alì Terme la via di accesso ad un agriturismo è stata resa impraticabile dalla pioggia. Sono stati comunicati anche disagi per la fornitura dell'energia elettrica.
I fenomeni meteorologici sopra descritti hanno avuto una durata di circa tre ore e sono andati progressivamente attenuandosi quando le cellule temporalesche che li avevano originati si sono allontanate in direzione del Mar Ionio. Il personale del comune di Messina e della regione siciliana, in continuo contatto con i funzionari del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, hanno monitorato costantemente l'evento, effettuando interventi di urgenza finalizzati al ripristino della viabilità.
Come sopra evidenziato, le precipitazioni registrate sono state molto localizzate; a tal riguardo si segnala che, al di là di quanto rilevato a Santo Stefano di Briga, nessuna stazione pluviometrica ha misurato precipitazioni riferibili ad una criticità superiore a quella di livello ordinario (nel territorio provinciale di Catania, il sensore che ha registrato la massima precipitazione è quello di Linguaglossa, con 34 millimetri). Si sottolinea invece che gli effetti delle precipitazioni meteorologiche sono stati esasperati dalle inadeguate condizioni di manutenzione del bacino idrografico del torrente Santo Stefano di Briga. Al riguardo si fa presente che, dopo aver ricevuto da parte della II Circoscrizione «Santo Stefano» del Municipio di Messina una segnalazione, datata 1o agosto 2005, relativa ad una possibile situazione di rischio di esondazione per le strutture e le abitazioni poste lungo il torrente Santo Stefano a valle della Contrada Scordo, il Dipartimento della protezione civile ha inviato una nota alla Protezione civile regionale e al comune di Messina, invitandole a verificare quanto segnalato, ponendo particolare attenzione alle opportune iniziative volte a tutelare la pubblica e privata incolumità.
Successivamente, il 5 ottobre 2006, il Dipartimento regionale della protezione civile ha comunicato al Dipartimento della protezione civile e agli enti interessati gli esiti di un sopralluogo esperito congiuntamente con funzionari dell'amministrazione comunale di Messina. Nel corso del sopralluogo i funzionari hanno rilevato l'assenza sia di opere idrauliche volte al rallentamento del deflusso delle acque, sia dei muri di argine, capaci di contenere l'espansione laterale delle piene. È stata inoltre segnalata la presenza di attraversamenti in alveo con luce insufficiente e facilmente ostruibili, nonché l'utilizzo di alcuni tratti della linea di impluvio come vie di accesso alle case adiacenti l'alveo.
In relazione alla situazione idrogeologica, si fa presente che, con l'articolo 27 della legge n. 179 del 2002, è stato previsto un finanziamento per la realizzazione del piano straordinario di telerilevamento ad Pag. 44alta precisione per le aree a rischio idrogeologico. Tale piano nasce per supportare le esigenze delle amministrazioni centrali che hanno il compito di coordinare le attività per la difesa del suolo, prevedere e gestire le conseguenze degli eventi naturali nei casi di emergenza e gestire le competenze nazionali di tipo geotopocartografico e di sicurezza. La sua attività è finalizzata all'individuazione e alla successiva acquisizione di dati da telerilevamento aereo e satellitare, utili ai progetti di interesse regionale, in un'ottica di economia di scala, per le attività specifiche di ogni amministrazione o ente che faccia uso.
Nel caso specifico, l'acquisizione dei dati potrà consentire il monitoraggio idrogeologico ed ambientale delle aree interessate dagli eventi calamitosi, l'individuazione delle zone colpite e la prima valutazione dei danni. A tal fine è stato esperito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un bando di gara al cui esito sarà possibile avviare tutte le procedure necessarie all'attivazione del piano straordinario di telerilevamento.
Infine, si fa presente che, ad oggi, non risulta pervenuta, da parte della regione siciliana, alcuna istanza relativa alla richiesta di delibera dello stato di emergenza ai sensi della legge n. 225 del 1992.

PRESIDENTE. L'onorevole Briguglio ha facoltà di replicare.

CARMELO BRIGUGLIO. Signor Presidente, mi dichiaro abbastanza insoddisfatto poiché, pur rispettando l'esposizione e il lavoro del rappresentante del Governo, mi sembra che essi siano di tenore meramente burocratico ed altamente incompleti, soprattutto per quanto riguarda i comuni della riviera ionica messinese.
In particolare, nell'esposizione del sottosegretario noto delle gravi lacune: credo pertanto che dovremo creare un'occasione successiva - anche con una mozione parlamentare - perché vi sia un confronto su questi aspetti relativi alle situazioni di fatto. Nella risposta del sottosegretario non si rileva infatti quanto realmente accaduto. Sono, pertanto, preoccupato.
Questa insoddisfazione - che confermo - non vuole però rimanere tale, ma vuole essere un'esortazione nei confronti del Governo perché venga approfondita la portata dei fatti che nell'interpellanza urgente in esame abbiamo dedotto. In particolare, in base alle mie informazioni, credo che la giunta regionale siciliana si appresti ad adottare una delibera per fare il punto sulla situazione e sullo stato di emergenza che si è verificato in seguito a questi eventi alluvionali.
Per parte sua, credo che il Governo nazionale abbia il dovere intanto di meglio approfondire la portata dei fatti, e poi di mettere in atto in proposito - al di là dei propositi programmatori per il futuro - interventi immediati. Questo è quel che noi ci aspettiamo e sollecitiamo: soprattutto questo è quello che si aspetta la popolazione locale.

(Mandato di cattura e di estradizione internazionale emesso nei confronti di tre cittadini di Tuzla (Bosnia-Erzegovina) - n. 2-00813)

PRESIDENTE. Il deputato Boato ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00813, concernente il mandato di cattura e di estradizione internazionale emesso nei confronti di tre cittadini di Tuzla (Bosnia-Erzegovina) (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3).

MARCO BOATO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, ringrazio in particolare il sottosegretario e amico Craxi di essere qui presente.
Ho già avuto occasione, nel luglio scorso, di affrontare in quest'aula - attraverso uno strumento del sindacato ispettivo - la tuttora grave e drammatica situazione che riguarda complessivamente la Bosnia-Erzegovina (in particolare, allora intervenni nell'imminenza dell'anniversario terribile del genocidio di Srebrenica, verificatosi nel luglio del 1995). Riguardo alla drammaticità ed alle difficoltà enormi sul piano politico e diplomatico della situazione tuttora presente in Bosnia-Erzegovina Pag. 45(a tredici anni dagli accordi di Dayton) esiste ormai un'ampia letteratura internazionale ed una ampia pubblicistica: cito soltanto da ultimo, per documentazione, il lungo articolo (che riguarda, tra l'altro, anche il Kosovo, ma oggi discutiamo della Bosnia-Erzegovina) del giornalista Andrea Böhm pubblicato sul più autorevole settimanale della Repubblica federale di Germania, Die Zeit, che è stato tradotto e riprodotto in Italia recentemente dal quindicinale Internazionale (numero 710, pagine 38-41). Ho appena evocato soltanto il contesto delle vicende che sono oggetto specifico della mia - e nostra - interpellanza, la quale nasce non soltanto da una conoscenza attenta dei fatti che riguardano da molti anni la Bosnia-Erzegovina, ma anche da una specifica sollecitazione proveniente dalla fondazione Alexander Langer di Bolzano, nata dopo la morte volontaria del mio carissimo amico Alexander Langer nel 1995 e che da allora ha continuato e continua a seguire anche (e non solo) le vicende della Bosnia-Erzegovina.
Il fatto specifico riguarda la notizia che si è propagata a partire dal 15 giugno 2007 a Tuzla, una delle maggiori città della Bosnia-Erzegovina, sulla circostanza che un tribunale serbo aveva emesso un mandato di cattura e di estradizione internazionale, via Interpol, per tre cittadini di Tuzla. In precedenza, del resto, poco più di un mese prima, l'11 maggio 2007, era stato arrestato a Belgrado (quindi, nella capitale serba) durante uno scalo all'aeroporto l'ex presidente del consiglio comunale di Tuzla, Ilija Jurisic, che a tutt'oggi risulta detenuto da parte della Serbia.
Poco più di un mese dopo tale arresto, come ho già detto, il 15 giugno 2007 è stato emesso il mandato di cattura internazionale nei confronti dell'ex sindaco di Tuzla, attualmente parlamentare della Federazione della Bosnia-Erzegovina, Sélim Beslagic, insieme ad altri suoi due concittadini, Enver Delibegovic e Budimir Nikolic, i quali sostanzialmente - ed anche formalmente - vengono accusati dalla Serbia di «crimini di guerra». Si tratta, in realtà, dell'attività doverosa - aggiungo io - che l'allora sindaco di Tuzla con i suoi collaboratori, insieme ai cittadini ed alla polizia locale di tale città, misero in atto all'inizio del conflitto, il 15 maggio 1992, a difesa della propria città, ripeto Tuzla (praticamente l'unica città che conservava o tentava di conservare, in quel momento, il carattere interetnico, nonostante gli spaventosi conflitti etnici e nazionalistici che stavano dilaniando la Bosnia-Erzegovina, grazie soprattutto all'iniziativa di Milosevic, leader serbo dell'epoca, e dei due criminali di guerra tuttora ricercati dal tribunale penale internazionale, Karadzic e Mladic). Quella che è stata una doverosa difesa, con le forze della cittadinanza e della polizia locale (perché soltanto di ciò disponeva all'epoca Tuzla), della propria città che era allora occupata dall'esercito nazionale jugoslavo in mano alla Serbia, si è tramutata - per una sorta di vendetta postuma da parte della Serbia stessa - in un'accusa nei confronti di Sélim Beslagic, Enver Delibegovic e Budimir Nikolic (e in precedenza, come già detto, di Ilija Jurisic) di «crimini di guerra», originata dalla denuncia alle autorità serbe da parte delle autorità militari all'epoca dipendenti da Karadzic e Mladic.
I criminali di guerra, tuttora ricercati, hanno accusato il sindaco di Tuzla e i suoi collaboratori di aver difeso la propria città rispetto all'occupazione messa in atto dall'esercito serbo. Questo è il panorama allucinante della vicenda che abbiamo dinanzi. Il giorno stesso dell'arresto Zdravko Djuranovic ha testualmente dichiarato all'importante quotidiano Oslobodenje del 16 giugno, cioè il giorno dopo l'arresto, che «Le accuse e gli arresti sono senza senso. Il Governo di guerra di Tuzla si occupò dei feriti della colonna e li lasciò andare a casa. Difesero i diritti umani di tutti i cittadini. Difesero la multiculturalità e l'immagine della Bosnia. Difesero le fondamenta della civiltà. Si vuole accusare per crimini gli abitanti di Tuzla perché non sono scivolati nell'abisso della politica nazionalista».
Allo stesso giornale, il già citato Oslobodenje, anche Sinan Alic, attualmente direttore della fondazione «Verità, giustizia Pag. 46e riconciliazione» di Tuzla, ha dichiarato: «Non desidero entrare nei dettagli dell'accusa ma desidero dire che tutto ciò è basato su note falsità». Dettagliatamente, Sinan Alic contesta le accuse che vengono mosse nei confronti dell'ex sindaco Beslagic, come ho già affermato attuale parlamentare della Federazione della Bosnia-Erzegovina, e ricorda le vicende di quella che è nota, ed è tuttora è ricordata, come la battaglia per la «Brcanska malta», ossia la località vicino Tuzla dove avvennero gli scontri armati in difesa dell'integrità e della sopravvivenza multietnica della città di Tuzla. Voglio anche ricordare, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, che la figura integerrima ed eroica dell'ex sindaco di Tuzla, Selim Beslagic, è tale che egli, pur godendo e potendo godere dell'immunità parlamentare prevista, come avviene nel nostro Paese, per i parlamentari della Federazione della Bosnia-Erzegovina, in questo caso ha voluto esplicitamente rinunciare alla propria prerogativa. Quando egli e i suoi due colleghi, Enver Delibegovic e Budimir Nikolic che ho già citato più volte, sono stati tradotti di fronte all'autorità giudiziaria di Sarajevo, nella Bosnia-Erzegovina, sono stati immediatamente rilasciati perché la stessa autorità giudiziaria ha ritenuto inconsistenti le accuse. Ciononostante, da quel momento, vale a dire solo pochi mesi fa perché la vicenda risale al giugno scorso, Beslagic e gli altri tre rilasciati per inconsistenza delle accuse - sebbene uno sia ancora in carcere a Belgrado - non potranno più lasciare la Federazione della Bosnia-Erzegovina senza rischiare di essere arrestati, anche in Italia. Sottolineo tale fatto perché Beslagic è venuto molte volte in Italia poiché ha rapporti stretti con il nostro Paese. Infatti, ha promosso un gemellaggio fra la propria città, Tuzla, e quella di Bologna. Non a caso, proprio pochi giorni fa anche il presidente del consiglio comunale di Bologna, Gianni Sofri, ha emanato un comunicato di solidarietà nei suoi confronti.
Tali persone non potranno più recarsi in Italia e, in particolare, Beslagic che è venuto in Italia molte volte sempre per motivi di cooperazione, di promozione della convivenza interetnica, di solidarietà fra i vari enti locali della Bosnia e del nostro Paese. Ebbene, egli non potrebbe più venire o meglio non potrà più venire anche in Italia, perché sarebbe formalmente sottoposto al mandato di cattura internazionale tramite l'Interpol. Tutto ciò avviene perché purtroppo non è più in vigore, e mi rivolgo al Governo in modo particolare, il cosiddetto Accordo di Roma stipulato, se non ricordo male, nel 1996 e in base al quale non sarebbe possibile dare effetto a questo tipo di iniziative giudiziarie.
Voglio ancora ricordare, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, la figura di Sélim Bešlagic, perché credo che sia giusto che nell'Aula del Parlamento si dia onore e dignità a tale persona. Egli è ormai noto sul piano internazionale, nella letteratura internazionale, nei libri che sono stati scritti, nelle innumerevoli testimonianze che sono state date, come uno straordinario protagonista della difesa del carattere interetnico della sua città, della sua Tuzla, nel momento in cui la ex Jugoslavia veniva dilaniata dagli odi etnici, dai nazionalismi contrapposti e dalla spietata attività dei serbi di Bosnia, organizzata militarmente in modo spietato - ho ricordato poco fa la vicenda di Srebrenica - da Mladic e da Karadzic i quali, lo ripeto, sono due criminali internazionali tuttora ricercati dal Tribunale penale internazionale dell'Aja.
Nel 1994, nonostante l'assedio in corso, si tenne a Tuzla uno dei più importanti incontri del «Verona Forum per la pace e la riconciliazione nei territori dell'ex Jugoslavia», promosso da Alexander Langer e da molti altri esponenti, sia italiani sia della Bosnia Erzegovina e di tutta la ex Jugoslavia. Dopo l'attentato del 25 maggio 1995 che con una bomba aveva ucciso a Tuzla 71 ragazzi di tale città che stavano festeggiando la cosiddetta festa della primavera, Alexander Langer, anche sotto l'impulso di Bešlagic, fu spinto a presentare alla riunione dei Capi di Stato e di Governo del 26 giugno 1995 a Cannes il drammatico e straordinario appello «l'Europa Pag. 47nasce o muore a Sarajevo». Langer, come sappiamo, pochi giorni dopo si tolse la vita volontariamente, il 3 luglio del 1995. In occasione del conferimento del premio Alexander Langer a Irfanka Pašagic (la quale, fra l'altro, fu ricevuta in questa sede dal Presidente della Camera dei deputati, con una ampia rappresentanza parlamentare), Sélim Bešlagic - non più sindaco di Tuzla, ma parlamentare della Bosnia Erzegovina, com'è tuttora - era tornato in Italia ancora nel maggio 2005 ed aveva riannodato i rapporti di gemellaggio con la città di Bologna, stabiliti nel momento più terribile durante la guerra, contribuendo, allora ed oggi, a far apprezzare Tuzla come uno dei pochi luoghi di resistenza ad un feroce progetto di spartizione della Bosnia Erzegovina esclusivamente secondo linee etniche.
Il 16 luglio 2007 Sélim Bešlagic ha indirizzato una lettera aperta, molto lunga che non leggerò per intero, ad una catena di conoscenti, di amici e di uomini politici, particolarmente italiani, attraverso la Fondazione Alexander Langer di Bolzano. Fra le altre frasi, vorrei leggerne alcune: «Cari amici, vorrei sottolineare fin dal principio che non Vi scrivo questa lettera per problemi personali. Come persona responsabile sono a conoscenza del fatto che devo essere a disposizione delle istituzioni giudiziarie della Bosnia ed Erzegovina, dato che sono sospettato di aver commesso crimini di guerra. Allo stesso tempo riesco difficilmente ad accettare il fatto che, assieme ad altri cittadini, sono soggetto a un mandato internazionale per motivi politici, come anche il fatto che allo stesso tempo si stanno svolgendo indagini in ben due Paesi (nella Serbia e nella Bosnia-Erzegovina). Ciò comporta un gravissimo pericolo per i diritti umani. Tutto ciò perché abbiamo difeso la nostra città e il suo carattere interetnico nel pieno dell'assedio nazionalistico che si era verificato fin dal 1992».
Chiedo al Governo, intanto se sia a conoscenza di tali fatti che ho comunque sollecitato attraverso la nostra interpellanza. Soprattutto, chiedo in quale modo il Governo ritenga di potere e volere intervenire per arrivare a non applicare nel territorio italiano il ricordato provvedimento arbitrario, emanato dalle autorità serbe in violazione degli stessi principi del diritto internazionale.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della scuola media statale Gaetano Cardelli, di Mosciano Sant'Angelo, in provincia di Teramo, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi, ha facoltà di rispondere.

VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, l'interpellanza dell'onorevole Boato affronta temi di grande complessità che riguardano fatti accaduti nella ex Iugoslavia più di dieci anni or sono. In particolare, il caso sollevato dall'onorevole interpellante, del procedimento giudiziario serbo nei confronti dell'ex presidente del consiglio comunale di Tuzla, Ilija Jurišic, e del sindaco della stessa città, Sélim Bešlagic, esponenti del Partito Socialdemocratico, viene seguito con particolare attenzione nella Bosnia-Erzegovina. Ciò sia per la prominenza delle persone interessate, sia perché concerne direttamente il tema delicato della collaborazione tra la Serbia e la Bosnia-Erzegovina per quanto riguarda la persecuzione dei crimini di guerra commessi in territorio bosniaco durante il conflitto del 1992-1995.
Jurišic è stato arrestato lo scorso maggio mentre era in transito all'aeroporto di Belgrado ed era destinatario di un provvedimento restrittivo emanato dal tribunale di Belgrado in relazione a crimini di guerra riconducibili al caso del «convoglio di Tuzla»; ossia dell'eccidio di duecento soldati dell'Armata popolare jugoslava attaccati durante le operazioni di ritiro dalla città di Tuzla il 15 maggio 1992. All'inizio di agosto, la magistratura serba ha prolungato di tre mesi la custodia cautelare in carcere per Jurišic e per lo stesso episodio la magistratura ha emesso un mandato di cattura al sindaco Tuzla, Bešlagic, ed altri due imputati. Inoltre, un ordine di cattura Pag. 48è stato eseguito nei confronti di questi ultimi dalla polizia bosniaca. Tuttavia, le personalità coinvolte sono state immediatamente rilasciate, non essendo in vigore alcun accordo di estradizione tra la Bosnia e la Serbia e poiché i fatti contestati si sono verificati in un momento successivo alla proclamazione dell'indipendenza della Bosnia.
Da un punto di vista giuridico, da parte bosniaca s'invoca l'incompetenza dell'autorità giudiziaria serba per i fatti avvenuti nel Paese. Peraltro, un fascicolo d'indagine sugli eventi di Tuzla è stato aperto anche dall'autorità giudiziaria bosniaca. Da un punto di vista politico, i bosniacchi (e in particolare il Partito Socialdemocratico, cui appartengono gli interessati), lamentano la presunta esistenza di un disegno volto, da un lato, a equiparare i crimini commessi dai serbi con quelli perpetrati da cittadini di altre etnie e, dall'altro, ad attaccare il «modello Tuzla», ossia il tentativo di preservare in tale città la composizione multietnica, nonostante la polarizzazione su basi etnico-religiose che caratterizza ormai il tessuto sociale nel resto del Paese.
Sul caso in questione è intervenuto alla fine di luglio l'Alto Rappresentante e rappresentante speciale dell'Unione europea Lajcák che, in una lettera inviata al Presidente di turno della Bosnia, Komsic (croato-bosniaco), ha assicurato di seguire con attenzione il caso in tutti i suoi aspetti, anche quelli relativi alla competenza territoriale. Lajcák ha sottolineato come l'assenza di idonei meccanismi di cooperazione giudiziaria regionale si stia dimostrando foriera di conseguenze negative, soprattutto per quanto riguarda il perseguimento dei crimini di guerra. L'Alto Rappresentante dell'Unione europea incoraggia le autorità di Sarajevo a ricercare una soluzione con la Serbia, nonché con la Croazia e il Montenegro per questo genere di casi, tenendo conto anche degli strumenti previsti dalla Convenzione europea sul trasferimento dei procedimenti in materia penale.
Il 21 agosto 2007 si sono incontrati a Belgrado i Ministri della giustizia bosniaco e serbo per esaminare la questione. Secondo quanto comunicato dal gabinetto del Ministro della giustizia Čolak (croato-bosniaco), l'incontro non è stato risolutivo. Čolak sostiene, infatti, che da parte di Belgrado non s'intende concedere l'estradizione in quanto per il reato imputato a Jurišic è prevista una pena superiore ai dieci anni, soglia invalicabile secondo le leggi della Serbia in materia di estradizione.
Sempre Čolak ha protestato, lo scorso settembre, con il suo omologo serbo per quello che ha definito «una decisione non conforme agli accordi vigenti tra le due parti in materia di cooperazione giudiziaria» e ha lamentato la decisione del tribunale di Belgrado di inviare un mandato di comparizione direttamente ai destinatari bosniaci, senza passare attraverso i due Ministeri della giustizia. Da quanto qui risulta, il Ministro della giustizia serbo Petrovic ha confermato la posizione di Belgrado sulla vicenda.
Le posizioni delle due parti restano, pertanto, immutate, come confermato dal Ministro Čolak in un'intervista rilasciata il 23 ottobre scorso a Nezavisne Novine (il quotidiano più diffuso nella Republika Srpska).
Non vi è dubbio, ad ogni modo, che la cooperazione giudiziaria regionale, in particolare tra i due Paesi, è la strada maestra per risolvere questo contenzioso.
Quanto all'ipotesi ventilata dall'onorevole Boato, ovvero che l'Italia dichiari non applicabile nel proprio territorio il provvedimento spiccato dall'autorità serba, dichiarandolo arbitrario, credo sia opportuno ricostruire sinteticamente, sulla base degli elementi forniti dal Ministero dell'interno, i meccanismi di cooperazione in ambito Interpol.
Il Segretariato generale Interpol di Lione, su richiesta dei Paesi membri fra cui la Serbia, pubblica la diffusione delle ricerche (tecnicamente denominata «notizia a stampa rossa») nei confronti di soggetti ricercati in campo internazionale per il loro arresto provvisorio a fini di estradizione.Pag. 49
Il fondamento giuridico della «notizia a stampa rossa» è il mandato d'arresto o la sentenza di condanna emessi dalle autorità giudiziarie dei Paesi interessati. Tutte le richieste di pubblicazione inviate al Segretariato generale sono oggetto di attenta valutazione al fine di verificare se le domande non siano contrarie all'articolo 3 dello statuto Interpol, che vieta all'organizzazione di intervenire in casi che presentino un aspetto politico, militare, religioso o razziale.
Gli Stati membri non effettuano ulteriori valutazioni in ordine alla compatibilità con l'articolo 3 dello statuto. Qualora i singoli Stati membri non dovessero riconoscere le richieste, verrebbe, infatti, meno il principio di cooperazione in ambito internazionale.
In questa fase, la competente divisione Interpol del Ministero dell'interno ha, quindi, dato corso alle indicazioni del Segretariato generale e alla richiesta formulata dalle autorità serbe ed ha proceduto all'inserimento dei predetti nominativi nella banca-dati delle forze di polizia.
Vorrei precisare, però, che in questo - come in altri analoghi casi - l'ordinamento italiano prevede una serie di istituti di garanzia. In particolare, la validità di un eventuale arresto effettuato sul territorio nazionale sarebbe sottoposta al vaglio della corte d'appello competente sul territorio, mentre le autorità italiane competenti procederebbero ad un'attenta analisi della documentazione trasmessa dallo Stato richiedente per la concessione di un'eventuale estradizione.
Come ho già ricordato, l'interpellanza in esame tocca temi di grande complessità. Ho indicato, quindi, precedentemente, la nostra convinzione che questo problema debba, comunque, trovare una soluzione nel contesto della cooperazione giudiziaria regionale e della ricomposizione di un quadro di piena collaborazione e fiducia tra Bosnia e Serbia. Il Governo italiano si adopererà in questo senso, assicurando il nostro pieno sostegno all'azione dell'Alto rappresentante Lajčák.

PRESIDENTE. L'onorevole Boato ha facoltà di replicare.

MARCO BOATO. Signor Presidente, sono fortemente imbarazzato e lo affermo esplicitamente. Da una parte, mi dichiaro parzialmente soddisfatto per le informazioni dettagliate, puntuali e attente che il Ministero degli affari esteri e, in particolare, il sottosegretario Bobo Craxi, ha fornito con la risposta al mio atto di sindacato ispettivo in cui si chiedeva se il Governo fosse a conoscenza dei fatti che segnalavamo e denunciavamo. Quindi, a mio avviso, sotto questo profilo la risposta è adeguata.
Dall'altra parte - e il sottosegretario Craxi lo capirà - a mio avviso, nella parte conclusiva della stessa risposta, laddove chiedo non solo una conoscenza, un'informazione e una valutazione dei fatti (che mi pare sostanzialmente soddisfacente), ma anche quali iniziative intende assumere il Governo italiano al riguardo, mi pare che vi sia un atteggiamento, usiamo un'espressione molto rispettosa...

VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Pilatesco?

MARCO BOATO. Lei dice «pilatesco», ma, a mio avviso, è stata un'espressione molto prudente. Non abbiamo a che fare con una vicenda qualunque in rapporto a un Paese qualunque: abbiamo a che fare con una vicenda che riguarda uno dei più straordinari protagonisti della difesa dell'integrità interetnica di un popolo martoriato, di fronte al tentativo di occupazione - e, in alcuni casi, di genocidio - posto in atto dalla Serbia.
Per tale ragione, Miloševic era dinanzi al Tribunale penale internazionale (è morto di infarto, altrimenti si sarebbe svolto il processo) e due criminali di guerra, Mladić e Karadzic, sono tuttora latitanti e ricercati dalla procura del Tribunale penale internazionale. Invece che erigere un monumento da vivo a Sélim Bešlagic per quello che ha fatto per difendere la propria città - lo ha affermato lei, signor sottosegretario, e dal punto dei Pag. 50vista dei meccanismi lo capisco - le autorità italiane hanno registrato meccanicamente un mandato di cattura illegittimo dell'autorità serba nei confronti di quest'uomo, che, agli occhi dei serbi, diventa un criminale di guerra per aver difeso la propria città dall'occupazione serba!
Ad aprile dell'anno prossimo la Fondazione Langer promuoverà un'iniziativa internazionale (dopo aver trascorso una settimana intera in Bosnia Erzegovina, in particolare a Srebrenica) sul futuro della Bosnia Erzegovina a tredici anni da Dayton, alla quale ha intenzione di invitare, tra gli altri, Sélim Bešlagic.
Sélim Bešlagic, parlamentare della Federazione della Bosnia Erzegovina, in questo momento, è libero nel suo Paese, dove l'autorità giudiziaria, come lei correttamente ha riferito, ha dichiarato inconsistenti le accuse. Contemporaneamente al procedimento giudiziario della Bosnia Erzegovina, però, c'è un altro illegale e illegittimo procedimento giudiziario posto in atto dalla Serbia, in violazione di tutti gli accordi internazionali (in particolare, lei ha citato l'articolo 30 della Convenzione europea) e degli Accordi di Roma (che però, purtroppo, sono scaduti nel 2004 per la Bosnia Erzegovina).
L'Italia, Paese democratico, stato di diritto, Paese solidale con i popoli oppressi e, in parte, sterminati di quel martoriato Paese, è pronta ad arrestare Bešlagic quando verrà - se verrà - in Italia nell'aprile del 2008 per affrontare il tema del futuro della Bosnia Erzegovina a tredici anni da Dayton. La sua risposta è, su questo punto, insufficiente e da qui deriva la mia insoddisfazione. Siamo pronti a dire che, se verrà arrestato, ci sarà poi una corte di appello italiana che valuterà se lo si debba liberare o no. Su tale terreno, se me lo permette, con amicizia, rispetto e persino solidarietà - perché capisco che altro è fare il deputato, altro è fare il membro del Governo - le esprimo la mia insoddisfazione.
Le chiedo esplicitamente di porre un problema un po' più radicale in ordine a tale vicenda: so che lei lo farà, perché conosco la sua attenzione e la sua sensibilità, che dimostrerà quando tornerà, oggi o domani, al Ministero. A tal proposito, vi sono problemi di rapporti fra il Ministero degli esteri e Ministero dell'interno: lei, non a caso, ha citato il Ministero dell'interno, al quale anche era rivolta la mia interpellanza, oltre che al Ministero della giustizia; giustamente, però, si è delegato il Ministero degli esteri a rispondere.
Concordo con lei sulla piena solidarietà espressa rispetto all'attività dell'Alto rappresentante dell'Unione europea per la Bosnia Erzegovina, Lajčák. Mi associo con lei, ma non basta: lei ha detto - ed è stato correttissimo nel riferirlo - che l'Alto rappresentante dell'Unione europea è già intervenuto nel luglio 2007, ossia tre mesi fa, ma i serbi gli hanno risposto «picche», ossia - usando un'espressione poco parlamentare - «se ne sono fatti un baffo» dell'intervento dell'Alto rappresentante dell'Unione europea.
La logica è quella di mettere in atto una persecuzione giudiziaria, innescata da Mladić e Karadzić, criminali di guerra latitanti all'epoca di Milošević, attraverso un procedimento giudiziario, per colpire, come responsabili di crimini di guerra, coloro che hanno difeso la propria città dall'occupazione dei serbi.
Ma non ci rendiamo conto che c'è qualcosa di più che dobbiamo dire e fare? Non siamo noi i responsabili di questo, sottosegretario Craxi. Non mi sto rivolgendo al Governo italiano perché esso abbia responsabilità in questa infamia, ma mi sto rivolgendo al Governo del mio Paese, di una Repubblica democratica, che è stata ed è solidale con quei popoli, affinché questa infamia non possa avere efficacia almeno nel nostro Paese e si metta in discussione l'esercizio arbitrario di una attività giudiziaria «vendicativa», in termini espliciti. E ciò di fronte a un doppio procedimento giudiziario, di cui uno condotto legittimamente da autorità giudiziarie della Bosnia-Erzegovina, che ha avuto l'esito che lei ha giustamente ricordato, mentre l'altro viene effettuato dagli eredi dei carnefici per perseguire Pag. 51non gli eredi, ma coloro che si sono difesi, per cercare di equiparare i crimini di guerra.
Questo non è accettabile! Sono convinto che, in cuor suo, neanche lei lo accetti e sono altresì convinto che, quando tornerà al Ministero degli esteri, magari interloquirà a tal proposito anche col Ministro dell'interno, perché ho fiducia nel mio Governo, nel Governo che sostengo con il mio voto, ma soprattutto nel Governo del mio Paese, quand'anche non lo sostenessi.
Questo è un Paese democratico, basato su uno Stato costituzionale di diritto, che non può accettare passivamente - come invece lei ha affermato nell'ultima parte del suo intervento - di dare esecuzione a un illegittimo, illegale e vendicativo mandato di cattura internazionale, emesso dall'autorità serba per colpire il sindaco di Tuzla, oggi parlamentare della Bosnia-Erzegovina, per il reato di aver difeso la propria città dal nazionalismo serbo. Questo non è accettabile!
Mi sono appassionato solo perché credo in ciò che dico e perché credo in ciò che lei, come rappresentante del mio e del nostro Governo, potrà ulteriormente fare per rendere pienamente soddisfacente la sua risposta, che in parte - lo ripeto - è molto documentata, articolata e puntuale. Per quella parte esprimo soddisfazione, ma per la restante parte mi dichiaro insoddisfatto. Questo non mi consola. Esprimo un auspicio e formulo una richiesta al Governo di andare oltre la risposta che fino a questo momento ha potuto darmi. Comunque, signor sottosegretario, la ringrazio per l'attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).

(Rinvio dell'interpellanza urgente Tuccillo n. 2-00817)

PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Tuccillo n. 2-00817 è rinviato ad altra seduta.

(Rinvio dell'interpellanza urgente Frigato n. 2-00806)

PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Frigato n. 2-00806 è rinviato ad altra seduta.

(Coinvolgimento della provincia di Rieti nel procedimento per la realizzazione del terzo aeroporto del Lazio - n. 2-00825)

PRESIDENTE. L'onorevole Rositani ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00825, concernente il coinvolgimento della provincia di Rieti nel procedimento per la realizzazione del terzo aeroporto del Lazio (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).

GUGLIELMO ROSITANI. Signor Presidente, signor sottosegretario, ovviamente lei ha letto l'interpellanza e ha già pronta la sua risposta, ma per gli atti è bene che questa vicenda venga ripetuta, ricordando che si tratta di un fatto assolutamente anomalo e assurdo, che ha motivato la mia interpellanza. In base alle direttive europee, l'Italia - in particolare, la regione Lazio - ha diritto ad aprire un terzo aeroporto nel Lazio.
A tal fine, la regione Lazio e il Governo, ritenendo opportuno approfittare di tale disposizione, nel marzo scorso, hanno indetto una riunione, presso la regione Lazio, cui hanno partecipato tutti, dal Ministero dei trasporti, al presidente della giunta regionale, al Ministero della difesa, all'ENAV, all'ENAC, all'assessore regionale del Lazio.
Sebbene fossero presenti anche le tre province di Latina, Frosinone e Viterbo, la provincia di Rieti risultava assente in quanto non invitata. In quella circostanza si è voluto creare un comitato di tecnici e non, al fine di verificare, nell'ambito delle tre province indicate, dove potesse sorgere questo terzo aereoporto. Rieti, ovviamente, non è stata chiamata a far parte di questo Pag. 52comitato, né risultano in tal senso comunicazioni al sindaco o al presidente della provincia. Non sono a conoscenza se il presidente della provincia di Rieti abbia sollecitato risposte in questo senso, ma dal silenzio che sto registrando ho l'impressione che abbia accettato passivamente questa presa di posizione; ignoro da parte di chi provenga tale determinazione, non sapendo ancora chi ha deciso di escludere Rieti.
Tutto ciò avviene sebbene Rieti si trovi nelle stesse condizioni di Viterbo e di Latina e risulti più idonea di Frosinone non possedendo quest'ultima una pista. Rieti possiede un aeroporto militare e uno civile che viene utilizzato da tanti anni per il volo a vela e presenta, nel contempo, circa 300 ettari di terreno di proprietà demaniale che, nell'ipotesi di un nuovo aeroporto, avrebbero potuto essere messi a disposizione.
Rispetto ai collegamenti con la capitale Rieti, inoltre, non si trova in condizioni peggiori di Viterbo, anzi per alcuni aspetti i tempi di percorrenza sarebbero più rapidi.
Per tali motivi ritengo che questa provincia si sia vista esclusa arbitrariamente dalla possibilità di concorrere con le altre nella scelta della collocazione del terzo aeroporto. A causa di questo gesto di discriminazione gratuito i cittadini di Rieti e di tutta la provincia sono estremamente delusi e indignati e vorrebbero sapere dal Governo chi e perché ha voluto questa discriminazione e se esista la possibilità di rinviare ogni decisione, per mettere anche la provincia di Rieti in condizione di concorrere all'eventuale realizzazione del terzo aeroporto del Lazio.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i trasporti, Andrea Annunziata, ha facoltà di rispondere.

ANDREA ANNUNZIATA, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Signor Presidente, raccolgo il suo invito ad essere veloci e concisi. Ci sarebbe molto da dire ma ritengo sia meglio restringere il campo all'essenza del problema come ha fatto l'onorevole Rositani.
L'attività svolta dal Ministro dei trasporti ha preso avvio dalla riunione promossa dal presidente della regione Lazio, in data 20 marzo 2007, quindi dopo una lunga e complessa attività degli enti territoriali. In quella data è stato chiesto di valutare la potenzialità dei siti di Frosinone, Guidonia, Latina e Viterbo quali sedi del terzo aeroporto civile del Lazio; questo è ciò che stato chiesto.
La commissione istituita ad hoc dal Ministro con compiti ricognitivi rispetto all'individuazione del sito del terzo aeroporto non ha visto tra i suoi componenti alcun rappresentante delle province del Lazio. Tuttavia, è vero che le province presenti all'incontro promosso dal presidente della regione sono state audite nell'ambito dei lavori della commissione (a differenza della provincia di Rieti che non è stata ascoltata), ma unicamente con riferimento alla composizione del tavolo regionale.
È, peraltro, vero che sono state presentate al Ministero dei trasporti nel corso dei lavori della Commissione, valutazioni da parte di enti pubblici e associazioni a sostegno della legittimità di una localizzazione del terzo aeroporto civile in un'area prossima al capoluogo reatino. Tali documenti sono stati acquisiti agli atti della commissione certamente quale contributo di studio, anche se non è stato possibile attribuire la considerazione dovuta poiché il sito non rientra tra quelli indicati. Il lavoro del Ministero dei trasporti attualmente tiene conto, per questa tematica, anche del lavoro svolto dal precedente Governo.

PRESIDENTE. L'onorevole Rositani ha facoltà di replicare.

GUGLIELMO ROSITANI. Signor Presidente, signor sottosegretario, questa interpellanza poneva una sola domanda: avete già deciso la località del terzo aeroporto oppure possiamo ancora pensare di andare avanti? A Rieti, infatti, è in atto una rivolta. Vi sono trentamila firme raccolte in pochissimi giorni.
Mi dovete dare una risposta: lei non si può lavare le mani! Ho presentato l'interpellanzaPag. 53 al Ministro per sapere se possiamo continuare a raccogliere firme e venire dal Ministro con un nostro progetto per dire che ci siamo pure noi e che vorremmo che venisse esaminata l'ipotesi dell'aeroporto a Rieti.
Lei, signor sottosegretario, non mi risponde. Avete già deciso la località o no? Almeno può dirmi questo ufficialmente (Commenti del sottosegretario Andrea Annunziata)?
Signor Presidente, le chiedo scusa ma questa risposta è essenziale. Possiamo chiedere al sottosegretario di dirci che ancora non è stata individuata nessuna località? Possiamo chiederlo?

PRESIDENTE. Onorevole Rositani, temo di no.

GUGLIELMO ROSITANI. Scusi signor Presidente, il sottosegretario mi dice che non è stata ancora individuata la località.

PRESIDENTE. Onorevole Rositani, credo che lei possa proseguire nella sua esposizione o anche presentare un altro atto di sindacato ispettivo.

GUGLIELMO ROSITANI. Dunque, vado a memoria (eventualmente mi smentisca il sottosegretario): il sottosegretario, a mia precisa domanda se è stata scelta a tutt'oggi la località per il terzo aeroporto, ha risposto di no. Ne prendo atto e vorrei che rimanga agli atti in modo tale che io possa riferire alla città di Rieti e alla provincia di Rieti questa notizia che per me è importantissima. Ovviamente non sono per niente soddisfatto della risposta datami.

(Ipotesi di chiusura dello stabilimento Unilever di Cagliari - n. 2-00815)

PRESIDENTE. L'onorevole Schirru ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00815, concernente l'ipotesi di chiusura dello stabilimento Unilever di Cagliari (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).

AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, intervengo brevemente richiamando solo alcuni punti essenziali della mia interpellanza anche a nome dei colleghi che l'hanno sottoscritta.
Quella in esame è un'interpellanza rivolta a conoscere le misure per scongiurare la chiusura di uno stabilimento di Unilever Srl di Cagliari. Si tratta di un'azienda che fa parte di un gruppo nazionale denominato Unilever che è un grande produttore mondiale di beni di largo consumo. La divisione italiana produce e vende gelati e surgelati con marchi Findus e Algida e opera in alcune unità italiane, quelli di Latina, Caivano e Cagliari con una rete distributiva su tutto il territorio nazionale.
In data 21 settembre 2007, la Unilever ha comunicato alle organizzazioni sindacali e associazioni degli industriali di Cagliari la chiusura dello stabilimento entro il 31 dicembre 2007 e, contemporaneamente, l'apertura della procedura di mobilità di lavoratori con la motivazione di una riorganizzazione complessiva del gruppo a livello mondiale ed europeo.
Tale riorganizzazione prevede in particolar modo la realizzazione di una struttura organizzativa in ogni Paese europeo con un coordinamento di un amministratore delegato per gestire la produzione e la commercializzazione.
Lo stabilimento di Cagliari, grazie anche ad una buona organizzazione del lavoro e alla presenza permanente di duecento lavoratori, tra operai e impiegati, altamente qualificati e con un bassissimo tasso di assenteismo, ha assunto il ruolo di azienda pilota nella sperimentazione di prodotti di nicchia, soprattutto, per aver assunto la cultura del miglioramento della produzione. Proprio grazie a questi fattori esso è riuscito a ritagliarsi un ruolo di protagonista nel difficile mercato nazionale e mondiale del gelato.
Da oltre otto mesi, i lavoratori sono impegnati nella difesa di questa realtà produttiva. Vi sono state diverse iniziative ed incontri istituzionali, locali, regionali - e, mi risulta, anche nazionali, proprio con lo stesso Ministero delle attività produttive Pag. 54che sta esaminando la situazione - per rispondere alla richiesta unitaria che proviene dalle istituzioni e dai lavoratori di promuovere il recupero di questo sito produttivo e, soprattutto, favorire un'eventuale cessione dello stesso ed altri imprenditori, senza però altri condizionamenti o limitazioni di produzione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 17,20)

AMALIA SCHIRRU. Risulta, infatti, che l'Unilever pone il vincolo ai possibili acquirenti di non produrre gelati. A questo proposito, vorrei rilevare che il vincolo posto dall'azienda, secondo cui i candidati all'acquisto dello stabilimento sardo non devono produrre gelati, non è chiaro. Si tratta di una condizione dettata dalla volontà del colosso anglo-olandese di non perdere le quote di mercato, evitando, così, la concorrenza. Questa, per noi, è una grave limitazione, perché condiziona in modo negativo la vendita dello stabilimento e dell'azienda: a questo punto, diventa difficile determinare il numero dei possibili acquirenti né si conosce cosa lo stabilimento produrrà a partire dal gennaio 2008.
Ma non è tutto. La situazione preoccupa, altresì, perché sono a rischio le professionalità dei lavoratori, che potrebbero essere disperse, soprattutto se l'acquirente avesse un'altra vocazione produttiva.
La presente interpellanza nasce per questi motivi: per chiedere di assumere iniziative per scongiurare la chiusura dello stabilimento; per chiedere se il Ministro non ritenga opportuno fornire un chiarimento in merito alla situazione dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato destinati a risolversi nei prossimi mesi e, soprattutto, per conoscere la situazione dei lavoratori part time che, in questi giorni, vedrebbero scadere il programma triennale di formazione e lavoro, mentre, invece, si aspettavano l'assunzione a tempo indeterminato.
Quindi, quello che si chiede con questa interpellanza è se non sia il caso di convocare un tavolo tecnico con la partecipazione dell'Unilever Italia Srl., della regione Sardegna, della provincia e del comune di Cagliari per esaminare tutta la situazione. Inoltre, si chiede se esistano delle previsioni e delle condizioni per una riconversione industriale dello stabilimento e se sia possibile conoscerle, per far sì che si diano garanzie certe ai lavoratori che, in questo momento, sono molto preoccupati.

PRESIDENTE. Il Viceministro dello sviluppo economico, Sergio Antonio D'Antoni, ha facoltà di rispondere.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI, Viceministro dello sviluppo economico. Signor Presidente, vorrei far subito presente che le preoccupazioni dell'interpellante sono le stesse del Governo, che ha seguito questa vicenda sin dal suo nascere, sia mediante contatti con la realtà cagliaritana sia, successivamente, mediante un incontro che si è svolto presso il Ministero dello sviluppo economico, in occasione del quale si è tenuta una riunione presieduta dal sottosegretario Gianni.
Purtroppo, ad oggi, le notizie riportate dall'interpellante corrispondono alle nostre. La società Unilever ha confermato la volontà di chiudere lo stabilimento e di cedere l'attività ad altri imprenditori. Non ha precisato né di quali imprenditori si tratti, né di quale tipo di produzioni, né quali siano le prospettive o il futuro.
Pertanto, è chiaro che ciò desta una grave preoccupazione per l'avvenire dello stabilimento e dei lavoratori, considerato anche che ci troviamo in una regione come la Sardegna: in pieno Mezzogiorno e in presenza di situazioni che conosciamo perfettamente, ove la mobilità tra un posto di lavoro e l'altro non è facile e, quando vi è processo di mobilità di tale natura, il rischio è che la mobilità si svolga - come purtroppo sappiamo - da un posto di lavoro alla disoccupazione.
Per questo motivo, dobbiamo fare di tutto perché la società Unilever, comunque, si assuma le proprie responsabilità in tale processo e ci fornisca una risposta Pag. 55chiara. L'ipotesi, ancora auspicabile, sarebbe quella della continuità della stessa società Unilever o, nel caso in cui ciò non sia possibile, di una prospettiva che dia continuità allo stabilimento.
Per tali ragioni, nei prossimi giorni, ci adopereremo per fare in modo che ciò avvenga, attraverso un tavolo nazionale che convocheremo presso il nostro Ministero con la partecipazione di tutte le parti interessate, come ha già detto l'interpellante, delle organizzazioni sindacali e delle istituzioni locali, affinché la società Unilever, assumendosi le proprie responsabilità, possa fornire una risposta certa o in relazione a se stessa o sul futuro dello stabilimento attraverso altri imprenditori.
Vi è tutto l'impegno del Governo, che esprimo a mio nome e dell'intero Governo, perché ciò si realizzi e il tavolo possa produrre tali risultati.

PRESIDENTE. L'onorevole Schirru ha facoltà di replicare.

AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, mi dichiaro soddisfatta. Mi premeva richiamare l'interesse del Viceministro e dell'intero Governo. Soprattutto, raccomando, per tenere fermo l'impegno, di fare in modo che questa realtà non chiuda e che, comunque, i possibili acquirenti possano non solo mantenere la produzione - che è di grande qualità - ma, in particolar modo, far salvi i posti di lavoro. Infatti, come lei stesso, signor Viceministro, ha affermato, gli scenari in Sardegna sono abbastanza drammatici per quanto riguarda i lavoratori e i disoccupati, che ormai rappresentano una realtà piegata dalla crisi industriale oltre che agricola e pastorale delle quali abbiamo discusso in questa sede, anche ieri.
Tra l'altro, in tanti, abbiamo assistito al programma televisivo Annozero dove si è parlato della povertà in Sardegna, di quanti non hanno un lavoro e di come sia difficile tirare avanti onestamente.
Per questo motivo, la ringrazio e premo perché si risolva la crisi di questa grande azienda.

(Misure a favore dei ricercatori del Centro italiano di studi superiori sul turismo e sulla promozione turistica di Assisi n. 2-00827)

PRESIDENTE. L'onorevole Capotosti ha facoltà di illustrare l'interpellanza Fabris n. 2-00827, concernente misure a favore dei ricercatori del Centro italiano di studi superiori sul turismo e sulla promozione turistica di Assisi (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6), di cui è cofirmatario.

GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi faccio appello alla vostra responsabilità per focalizzare l'attenzione sulla questione che oggi ci occupa: quella riguardante Assisi - una città con una fama che supera i confini nazionali ed europei - ed il centro studi sul turismo. Quest'ultimo nasce da un'iniziativa volontaria di un nucleo di professori dell'università degli studi di Perugia che hanno inteso sviluppare, già dal 1982, un corpo funzionalmente collegato, a latere che ha fatto del turismo una materia oggetto di studi superiori. Tale istituto è divenuto altresì un centro primario di rapporti di carattere scientifico, ma anche industriale (in quanto fornisce consulenze a realtà aziendali primarie, ma anche a molti enti pubblici) per tutto il nostro territorio nazionale.
Gli ultimi fatti relativi al centro studi mostrano che c'è stata un'iniziativa di finanziamento ad hoc da parte del Ministero verso l'università degli studi di Perugia vincolata e veicolata proprio al fine di far sì che il centro studi mantenesse la sua funzione e continuasse a svilupparsi.
In questo quadro emerge il problema dei ricercatori, del personale del centro studi, un personale uscito dall'università degli studi di Perugia, che si è formato, che ha sviluppato un'attività didattica primaria e, in qualche modo, addirittura certificata dalla stessa università.
Pag. 56
Oggi sembrerebbe - esprimiamoci così - che possa esserci un disimpegno dell'università rispetto al centro studi e, quindi, una messa in discussione di una realtà che costituisce - ripeto - un patrimonio non solo per la città di Assisi e per l'università degli studi di Perugia, ma a livello nazionale.
Si tratta della messa in discussione, della liquidazione e dell'apertura di un futuro buio e denso di prospettive forse angoscianti anche per tante famiglie legate, ovviamente, nelle loro attività lavorative, al centro di cui discutiamo.
Rivolgo pertanto questa interpellanza al Governo per sapere come il Ministro della ricerca scientifica intenda atteggiarsi rispetto ai ricercatori, anche in considerazione degli oltre vent'anni di attività, e come intenda atteggiarsi in ordine ai contributi in favore dell'università degli studi di Perugia in qualche modo funzionalmente connessi - non da oggi, ma, ripeto, dal lontano 1982 - al centro studi di cui si discute.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca, Luciano Modica, ha facoltà di rispondere.

LUCIANO MODICA, Sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca. Signor Presidente, con riferimento all'interpellanza in oggetto, si fa presente che il decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270 dispone, all'articolo 9, comma 2, che «le università attivano i corsi di studio nel rispetto dei requisiti strutturali, organizzativi e di qualificazione dei docenti dei corsi determinati con decreto del Ministro (...)».
In attuazione di tale norma - e in relazione a quanto previsto dal decreto ministeriale 26 luglio 2007, con il quale sono state individuate le linee guida per l'istituzione e l'attivazione da parte dell'università dei corsi di laurea in attuazione dei decreti sulle classi - è stato adottato il decreto ministeriale 31 ottobre 2007, n. 544, il quale prevede che le università debbano assicurare, per ciascun corso di studi, almeno un livello minimo di risorse di docenza formate da professori e ricercatori di ruolo nelle università, in modo che si possa consentire il corretto e continuo funzionamento degli stessi corsi di laurea.
In relazione a quanto sopra si evidenzia che il personale dell'associazione denominata «centro italiano di studi sul turismo e sulla promozione turistica di Assisi», che fornisce da molti anni supporto alle attività dell'università di Perugia per il corso di laurea in economia e gestione dei servizi turistici e per il corso di laurea specialistica in economia del turismo, purtroppo non rientra nelle tipologie di docenza previste dal predetto decreto ministeriale n. 544 del 2007 e non può, pertanto, essere conteggiato ai fini della verifica del possesso dei requisiti necessari.
Il Ministro, inoltre, non ritiene di poter derogare alle predette norme emanate pochissimi giorni fa senza una preventiva analisi accurata della situazione normativa e delle possibili conseguenze di estensione della deroga.
Aggiungo, anche se non faceva parte dell'oggetto dell'interpellanza urgente in esame, che la situazione di questi corsi di laurea in laurea magistrale e del centro di studi sul turismo di Assisi è all'attenzione del Ministro e dell'ateneo perugino al fine di risolvere una questione che dovrà essere risolta senza pregiudizio sia per i dipendenti del centro sia per l'università di Perugia.

PRESIDENTE. L'onorevole Capotosti ha facoltà di replicare.

GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, mi chiedevo se dichiarami soddisfatto o meno della risposta data dal rappresentante del Governo. Da un lato ho capito che il Ministro è occupato nel vagliare la situazione e, quindi, non esclude di potere intervenire in modo positivo, dall'altro, sembrerebbe però che la realtà normativa non consenta interventi diretti. Siccome mi riferiscono che l'IRI, l'ex IRI sarebbe disponibile a entrare in questo centro studi al posto dell'università a pochi soldi Pag. 57e mi riferiscono anche che l'Unioncamere, a livello regionale, non è stata degnata della stessa considerazione, mi interrogavo sulla vicenda perché comincio ad avere qualche perplessità. Comunque, so che il Ministro Mussi è una persona seria - ringrazio il sottosegretario per la risposta - e che certamente il valore del bene di cui oggi abbiamo discusso è ben presente al Ministero.
Detto questo, mi auguro che si possa attivare e proseguire un confronto, che so in essere, per arrivare a una soluzione che non mortifichi un'iniziativa, anche culturale, di rilievo e che, anzi, le dia la possibilità di continuare a svilupparsi economicamente in modo soddisfacente e consequenziale all'attenzione che per oltre venti anni tante personalità, anche illustri, del mondo accademico hanno voluto spendere. Ringrazio il Governo e aspettiamo di vedere come si evolve la vicenda.

(Iniziative per inserire i settori scientifico-disciplinari definiti «affini» nel computo dei requisiti minimi per l'attivazione di corsi di laurea - n. 2-00829)

PRESIDENTE. L'onorevole Marinello ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00829, concernente iniziative per inserire i settori scientifico-disciplinari definiti «affini» nel computo dei requisiti minimi per l'attivazione di corsi di laurea (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7).

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, non mi avvarrò dell'intero tempo a mia disposizione, ma alcune questioni, evidentemente, vanno rappresentate.
Mi rivolgo, signor Presidente, proprio alla persona del ministro Mussi, rappresentato qui degnamente dal sottosegretario Modica, e mi riferisco a un aspetto particolare, che sollevo nella mia interpellanza, vale a dire se l'articolo 33 della Costituzione debba ancora ritenersi in essere, debba ancora ritenersi valido, debba ancora ritenersi attuale.
Questa domanda che mi pongo, ma a dire la verità se la pongono oggi centinaia di migliaia di interessati alla questione, viene nella mia interpellanza girata, tale e quale, al Ministro e, ovviamente, al sottosegretario qui presente. Sappiamo che l'articolo 33 della Costituzione prevede, nei suoi punti essenziali, che l'arte e la scienza debbano essere considerate libere e libero ne debba essere considerato l'insegnamento. L'articolo 33 si conclude affermando che gli atenei hanno diritto di darsi degli ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti solo dalle leggi dello Stato.
La materia, a dire la verità, nel tempo è stata regolamentata da una serie di interventi del legislatore: mi riferisco, in maniera particolare, alla legge n. 168 del 1989, che riconosce, in effetti, in coerenza e attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, l'autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile e, tra l'altro, la possibilità che le università si diano ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti.
Devo poi dire che anche il decreto ministeriale n. 509 del 1999, che ha evidentemente anch'esso un'intrinseca coerenza, sancisce la realizzazione dell'autonomia didattica.
Abbiamo invece l'impressione che le linee-guida per l'attuazione della riforma, che sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 246 del 22 ottobre 2007, denotino una tendenza assolutamente contraria a quanto previsto dalle precedenti leggi che, ripeto, nascono da un'interpretazione, un'attuazione giurisprudenziale dell'articolo 33 della Costituzione. In particolare, abbiamo l'impressione che i requisiti che si ritengono indispensabili in quelle linee-guida di attuazione limitino notevolmente quella libertà e quella autonomia che dovrebbero essere garantite e sono garantite costituzionalmente alle università.
Noi siamo fortemente preoccupati che queste linee-guida vogliano creare un sistema assolutamente rigido, che risponde a una logica statalista e abbastanza vetusta, che sta predominando oggi nell'università italiana guidata, almeno per quanto Pag. 58riguarda l'aspetto politico, dall'attuale Ministro, e siamo fondamentalmente convinti che tutto questo arrecherà una serie di guasti al nostro Paese. Arreca una serie di guasti perché mette in seria difficoltà gli atenei, soprattutto quelli più piccoli; mette in una serie di difficoltà e di contraddittorietà un sistema che a nostro avviso dovrebbe creare delle condizioni attrattive soprattutto per i giovani, per quei ricercatori che soltanto a parole si vuole trattenere e attirare in Italia, con un nocumento non soltanto alla funzione didattica dell'università ma all'intero sistema della ricerca scientifica che rappresenta, a nostro parere, una delle condizioni fondamentali per la crescita e lo sviluppo di un Paese non soltanto dal punto di vista culturale ma anche da quello sociale ed economico.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 17,40)

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Siamo convinti che questo provvedimento debba essere ripensato dal Ministro; e siamo qui per chiedere, proprio con questa interpellanza, la ratio di tutto questo e per chiedere risposta a tutta un'altra serie di questioni. Siamo fondamentalmente convinti che delle norme così rigide non possono far altro che continuare a sclerotizzare un sistema, il sistema universitario, profondamente malato, che proprio negli ultimi mesi non ha dato assolutamente prove positive: le notizie di cronaca sono ampiamente conosciute e sono all'attenzione di tutti, non soltanto della magistratura ma soprattutto dell'opinione pubblica.
Ci sono invece altre sfere, a nostro avviso, che potrebbero attirare l'attenzione del Ministero: altre possibilità di verifica, altre possibilità di controllo; ci riferiamo soprattutto ad attività di controllo che riguardano i bilanci di alcune università statali, che molto spesso dimenticano che stanno utilizzando fondi pubblici, denaro pubblico. L'utilizzo di esso in modo assolutamente disinvolto da parte di chi, in quel momento, le guida, i rettori o comunque di una serie di personaggi ben presenti in alcune università italiane, non consente di migliorare il sistema formativo, il sistema universitario in genere, ma crea invece delle condizioni di patologia.
Queste sono le questioni principali che ci hanno indotto ad interpellare il Ministro: siamo qui ad aspettare una puntuale risposta alle questioni da me succintamente esposte, ma più ampiamente riportate nell'interpellanza.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca, Luciano Modica, ha facoltà di rispondere.

LUCIANO MODICA, Sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca. Con riferimento all'interpellanza in oggetto, si fa presente che l'articolo 33 della Costituzione prevede, come ha ricordato l'onorevole Marinello, che le università hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
In attuazione di una legge dello Stato - l'articolo 17, comma 95, della legge n. 127 del 1997 - è stato così adottato il decreto ministeriale n. 270 del 2004 (che ha sostituito il precedente decreto ministeriale n. 509 del 1999, citato dall'interpellante). Tale decreto, all'articolo 9, comma 2, dispone che le università attivano i corsi di studio nel rispetto dei requisiti strutturali, organizzativi e di qualificazione dei docenti dei corsi, determinati con decreto del Ministro.
In attuazione del predetto articolo 9, comma 2, - e in relazione a quanto previsto dal decreto ministeriale n. 386 del 2007, citato dall'interpellante con il giusto titolo di «linee guida» per l'istituzione e l'attivazione da parte delle università dei corsi di laurea e di laurea magistrale, in attuazione dei decreti sulle classi - è stato adottato un ulteriore decreto ministeriale, il n. 544 del 2007. Quest'ultimo decreto prevede fra l'altro che, per ciascun corso di studio, deve essere assicurata la copertura con docenti di ruolo universitari dei settori scientifico-disciplinari da attivare relativi alle attività formative Pag. 59di base e caratterizzanti, così come definiti nel regolamento didattico d'ateneo, in percentuale almeno pari al 50 per cento per i corsi di laurea, di laurea magistrale e di laurea magistrale a ciclo unico.
Si ritiene pertanto che non sussista alcuna violazione dei principi di autonomia didattica degli atenei, ma che sia stata data attuazione proprio a quanto previsto dalla legge. Certamente le università sono e rimangono autonome nel definire la propria offerta formativa in tutti i dettagli: nell'interesse pubblico e in particolare degli studenti, però, devono assicurare - come converrà, credo, anche l'interpellante - quel numero minimo di docenti di ruolo, nei settori caratterizzanti il corso di laurea, che è necessario per consentire il corretto funzionamento dei corsi di studio.
Oltre a tali considerazioni, va comunque evidenziato che tale livello minimo nel numero dei docenti di ruolo va garantito in relazione ai settori di base e caratterizzanti così come definiti dall'ateneo stesso, non dal Ministero. Ciò significa - entro così un po' nel dettaglio tecnico - che, nel proprio regolamento didattico, ciascun ateneo potrà indicare e utilizzare oltre i settori di base e caratterizzanti, ai fini del computo dei docenti di ruolo, anche settori ulteriori rispetto a quelli obbligatori previsti a livello nazionale, prendendo pertanto in considerazione anche, se lo si ritenga opportuno, i settori affini e integrativi. In questo senso debbo dunque rispondere positivamente alla domanda dell'interpellante.
Si fa infine presente che, in attuazione dell'articolo 1-ter del decreto-legge n. 7 del 2005, sono stati adottati il decreto ministeriale del 3 luglio 2007, n. 362, con il quale sono state definite le linee generali di indirizzo della programmazione delle università per il triennio 2007-2009, e il decreto ministeriale n. 506 del 2007, con il quale sono stati definiti i criteri e i parametri per la valutazione dei risultati dell'attuazione dei predetti programmi.
In relazione a tale normativa, le università devono programmare il complesso delle loro attività nel triennio in questione in coerenza con le linee generali di indirizzo predisposte del Ministero; il Ministero, a sua volta, valuterà, solo ex post, non ex ante, e quindi con un forte richiamo all'autonomia, i risultati dell'attuazione di tali programmi sulla base di indicatori quantitativi già specificati, ai fini dell'attribuzione delle risorse (anzitutto quelle del piano triennale, ma non solo).
La verifica dei risultati è dunque uno strumento di governo del sistema universitario coerente con il regime di autonomia, quel regime che l'interpellante stesso ha ricordato nella prima parte dell'interpellanza.
Quella stessa autonomia - insieme alla legge che si occupa della materia, cioè la legge n. 168 del 1989 - non consente invece l'adozione di controlli dei bilanci delle università statali da parte del Ministero, come è auspicato dall'interpellante. Tali controlli spettano infatti per legge ad organismi specifici: il collegio dei revisori dei conti che, com'è noto, è presieduto per legge da un magistrato della Corte dei conti ovvero da un dirigente del Ministero dell'economia e delle finanze; e la Corte dei conti, com'è per tutte le amministrazioni pubbliche. In questo senso, dunque, la riflessione che l'interpellante svolge a proposito dei controlli dei bilanci delle università va ricondotta alle vigenti disposizioni di legge.

PRESIDENTE. Il deputato Marinello ha facoltà di replicare.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, posso dichiararmi parzialmente soddisfatto perché, in effetti, debbo sicuramente interpretare in maniera positiva la risposta resa dal rappresentante del Governo almeno in merito ad una delle questioni che ponevo, ossia alla possibilità di aprire le maglie e dare quindi la possibilità agli atenei, nella piena facoltà ed autonomia degli stessi, di consentire - per quanto riguarda l'offerta didattica - la presenza dei cosiddetti settori affini, riconoscendo Pag. 60così la possibilità di una maggiore libertà di insegnamento e, di conseguenza, di una pluralità di insegnamento medesimo. Ma per quanto riguarda il resto, signor sottosegretario, siamo fortemente preoccupati, perché l'università italiana - come evidenziato nella premessa della nostra interpellanza - è assolutamente malata. Vi è una serie di atenei che, giorno dopo giorno, non solo non fanno altro che riempire le pagine dei giornali e le cronache giudiziarie, ma richiamano anche aspetti più intrinseci e, dunque, più importanti, poiché non fanno altro che condizionare, nell'esperienza e nella coscienza di decine di migliaia di tanti giovani, cattivi e pessimi esempi.
Da questo punto di vista, a mio avviso, quegli atenei e quelle università (in particolare quegli istituti dove avvengono determinati fatti, e talvolta misfatti) falliscono nel loro compito principale, quello di contribuire in maniera positiva alla formazione della futura classe dirigente di questo Paese. Lei, sottosegretario, sa meglio di me ciò che accade in parecchi atenei, le cosiddette «parentopoli». Vi sono addirittura atenei, ad esempio quello presente in Basilicata, che riempiono davvero le pagine delle cronache giudiziarie. Di fronte a tutto ciò noi ci aspettiamo dal Ministro responsabile un atteggiamento molto più consapevole ed anche una presenza assolutamente più coerente. Non è possibile continuare in questa maniera e poi, viceversa, piangere o piangersi addosso quando si evidenziano discrepanze tra il nostro sistema universitario, il nostro sistema formativo, la nostra ricerca scientifica e quanto accade negli altri Paesi (mi riferisco in particolare agli altri Paesi europei e a quelli del nord America).
Di fronte a tutto ciò, ovviamente il Paese - ma in piccola parte anche noi - non può più continuare ad aspettare o ad accontentarsi di risposte burocratiche, ma ha bisogno di una politica complessiva e determinata. Questa politica complessiva ad oggi non è assolutamente visibile nell'azione di questo Governo, né è visibile nell'azione del Ministro competente che, a dire la verità, finora ha caratterizzato la sua azione prevalentemente per una serie di enunciazioni e di tentativi (in verità alcuni andati a male) orientati, invece, a condizionare politicamente il futuro dell'università italiana.
Noi, evidentemente, continueremo a vigilare e a porre le questioni di interesse collettivo e generale, e ritengo che su tali temi ci confronteremo nuovamente.

PRESIDENTE. Salutiamo, anche a nome dell'intera Assemblea, il presidente e alcuni membri della Commissione esteri e sicurezza nazionale dell'Assemblea nazionale iraniana, insieme all'ambasciatore e ad alcuni funzionari (Applausi).

(Rinvio dell'interpellanza urgente Sereni n. 2-00789)

PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta del Governo e con il consenso dei presentatori, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Sereni n. 2-00789 è rinviato ad altra seduta.

(Rinvio dell'interpellanza urgente Buemi n. 2-00796)

PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Buemi n. 2-00796 è rinviato ad altra seduta.

(Rinvio dell'interpellanza urgente Ciccioli n. 2-00822)

PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Ciccioli n. 2-00822, è rinviato ad altra seduta.

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(Iniziative ispettive con riguardo ai procedimenti giudiziari relativi alla contaminazione da amianto nel territorio di Monfalcone (Gorizia) - n. 2-00820)

PRESIDENTE. L'onorevole Pottino ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00820, concernente iniziative ispettive con riguardo ai procedimenti giudiziari relativi alla contaminazione da amianto nel territorio di Monfalcone (Gorizia) (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 8).

MARCO POTTINO. Signor Presidente, rinuncio ad illustrare la mia interpellanza n. 2-00820.

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Pottino.
Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, i dati statistici indicati nell'interpellanza segnalano, obiettivamente, una situazione che desta e deve destare ogni possibile attenzione. Mi riferisco all'elevatissimo numero di tumori polmonari riscontrati in occasione di autopsie e alla circostanza che la grande maggioranza dei casi si riferisce a lavoratori in contatto con l'amianto presso i cantieri navali di Monfalcone e in vari casi addirittura a loro familiari, verosimilmente impegnati nel lavaggio e nella manipolazione delle tute o degli oggetti di lavoro. Mi riferisco, inoltre, alla concentrazione abnorme, ben al di là dei parametri di Helsinki, di corpi di asbesto, riscontrata sui soggetti affetti dalla patologia in esame.
Pertanto, è consequenziale che a tale situazione sia corrisposta una notevole quantità di iniziative giudiziarie volte ad accertare le eventuali responsabilità penali dei soggetti cui era attribuito dalla legge il compito di salvaguardare la incolumità dei lavoratori. A tali iniziative giudiziarie si è trovata a dover far fronte la procura della Repubblica di Gorizia. Il predetto ufficio giudiziario ha fornito sul punto i seguenti dati, concernenti vicende ricollegabili alla questione dell'amianto: a metà settembre 2007 erano pendenti, in fase di indagini preliminari, 211 procedimenti relativi a ipotesi di omicidio colposo e 530 relativi a ipotesi di lesioni colpose, dei quali complessivamente 689 a carico di ignoti e 52 a carico di noti; nello stesso momento era stata emessa richiesta di rinvio a giudizio per ulteriori 13 procedimenti, 4 dei quali definiti con sentenza di non luogo a procedere e 9 invece transitati nella fase dibattimentale, dove allo stato pendono; sempre a metà settembre 2007 erano state presentate dal pubblico ministero 365 richieste di archiviazione. Si tratta, come è evidente, di un carico oneroso per la specifica materia e di procedimenti di difficile trattazione, essendo necessari accertamenti tecnici, sia medico-legali, sia di igiene del lavoro ed essendo altresì necessaria un'attività di indagine che ricostruisca, come la giurisprudenza richiede, il concreto e preciso assetto organizzativo (anche al di là di formali mansionari) allo scopo di definire singole responsabilità. Tale assetto, nel caso di specie, come rilevano gli stessi interroganti, risale a decenni addietro con le ulteriori complicazioni investigative che ne derivano. La procura di Gorizia, che ha in organico cinque sostituti procuratori, ha visto assente per maternità per un tempo non irrisorio uno degli stessi che, tuttavia, è di recente rientrato in servizio. Tale circostanza ha consentito quella che sembra un'importante decisione organizzativa da parte del capo dell'ufficio, ossia la concentrazione su un unico magistrato di tutti procedimenti relativi all'amianto. Ciò comporterà uniformazione e razionalizzazione delle procedure oltre che specializzazione e, dunque, speditezza.
Il procuratore della Repubblica ha inoltre formalmente manifestato il fermo impegno alla definizione delle pendenze nel termine dei prossimi sei mesi. Si auspica, dunque, che le favorevoli circostanze da ultimo insorte consentano realmente, e senza indugi, un deciso intervento Pag. 62sui casi in esame, ovviamente nella piena autonomia di giudizio quanto alle singole procedure.
Si assicura che non si mancherà, da parte del Ministero, di seguire attentamente l'evolversi della situazione. Allo stato non sembrano invece potersi ravvisare singole responsabilità in termini di inerzia o negligenza. Risulta peraltro appena conclusa, nello scorso mese di ottobre, una ispezione ordinaria presso la procura di Gorizia e, come di prassi, i risultati della stessa saranno vagliati dalle competenti articolazioni ministeriali e quindi dallo stesso Ministro. Il che, come è ben comprensibile, rende attualmente non utili le ulteriori iniziative istruttorie da parte del Ministero sollecitate dagli onorevoli interpellanti, cui verosimilmente poteva non essere nota tale ultima informazione.

PRESIDENTE. L'onorevole Pottino ha facoltà di replicare.

MARCO POTTINO. Signor Presidente, mi dichiaro parzialmente soddisfatto della risposta che il signor sottosegretario ha oggi reso all'Assemblea. Intendo motivare questa mia affermazione. Al di là delle specifiche questioni che sono state affrontate nell'interpellanza - che non intendo ribadire in questa sede - e della risposta che lei mi ha dato, signor sottosegretario, esiste un dato di fatto incontrovertibile della provincia di Gorizia. In tale provincia, a causa dell'esposizione all'amianto, sono decedute oltre millecinquecento persone. Ciò è un dato di fatto che viene riportato dall'associazione «Esposti amianto» della città di Monfalcone, dalle numerose autopsie che sono state eseguite sulle vittime da parte dello stesso ospedale di Monfalcone e dagli studi che sono stati effettuati in tale zona. Vede, signor sottosegretario, per una regione come la mia, il Friuli-Venezia Giulia, che conta poco più di un milione di abitanti, che corrispondono sostanzialmente ad un quartiere di una grande metropoli come potrebbe essere Milano o Roma, la morte di millecinquecento persone significa far sparire interamente un centro abitato. È un dato impressionante e che riporta ad un'altra tragedia che la mia regione ha toccato con mano, quella del Vajont, dove per ragioni diverse, ma sempre per noncuranza e imperizia dell'uomo, e forse perché in molti casi il profitto non ha regole e non guarda in faccia nessuno, morirono oltre duemila persone. Con l'aggravante che in questo caso stiamo parlando di lavoro, stiamo parlando di lavoratori che si recavano ogni mattina nei cantieri navali, parliamo pertanto di morti sul luogo di lavoro.
A distanza di moltissimi anni - voglio ricordare che anche lei, signor sottosegretario ha citato, nella sua risposta, i fascicoli tuttora pendenti - l'associazione «Esposti amianto» della città di Monfalcone ha presentato già nel lontano 1999 oltre cinquanta esposti-denuncia alla procura di Gorizia, quindi si risale a parecchi anni fa. Credo che in un Paese come il nostro, che tutti definiamo civile, sia necessario sensibilizzare le procure, nella fattispecie quella di Gorizia, perché avvii i processi di cui si è detto, perché essi sono necessari al fine di identificare le responsabilità. Le famiglie di cui si è parlato non chiedono vendetta, ma giustizia. È necessario identificare i colpevoli perché devono pagare, perché le famiglie devono ottenere giustizia, un congruo risarcimento, e la certezza che la pena venga scontata fino in fondo.
Come ho affermato all'inizio del mio intervento, mi ritengo parzialmente soddisfatto e faccio appello alla sensibilità che in parte ho riscontrato nella risposta da lei fornita, signor sottosegretario, affinché il Ministero si faccia parte attiva per far sì che tale problema venga risolto nei modi più consoni e nei tempi più celeri. Sottolineo che non stiamo trattando di una questione politica, né di destra né di sinistra, bensì di una questione che riguarda tante famiglie, tanti lavoratori, uomini e donne che hanno perso la loro vita nell'ambiente di lavoro.
Concludendo il mio intervento, signor sottosegretario, voglio ricordare che resta ancora aperto il fronte relativo alla sicurezza Pag. 63sul lavoro, affinché vicende analoghe a quelle verificatesi nella mia regione, il Friuli-Venezia Giulia, e nella città di Monfalcone, non si ripetano in altre zone d'Italia, come del resto ha auspicato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Inoltre, nonostante l'entrata in vigore della legge che proibisce l'uso dell'amianto negli ambienti di lavoro, dobbiamo ricordare anche quei lavoratori che ancora oggi non sono contaminati, ma sono esposti al rischio di venire a contatto con l'amianto. Quando riscontrerò nei fatti le sue promesse e le affermazioni contenute nella risposta che lei, signor sottosegretario, mi ha fornito oggi in Aula, potrò dire di ritenermi completamente soddisfatto.

(Iniziative in relazione al procedimento di estradizione nei confronti del signor Sergeij Gromovs - n. 2-00823)

PRESIDENTE. L'onorevole Balducci ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00823, concernente iniziative in relazione al procedimento di estradizione nei confronti del signor Sergeij Gromovs (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 9).

PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, il caso oggetto dell'interpellanza riguarda Sergeij Gromovs, maestro e campione di scacchi, originario della Repubblica di Lettonia, dove in passato è stato oggetto di discriminazioni a causa della sua origine russa e della partecipazione a manifestazioni antidiscriminatorie. Sergeij Gromovs, nel 1994, avrebbe commesso un furto di modesta gravità nel suo Paese d'origine. Ricercato dalle locali autorità, temendo che il processo per tale reato potesse costituire un pretesto per il ripetersi di ulteriori trattamenti discriminatori, il Gromovs, si rifugiava in Italia abbandonando, suo malgrado, la famiglia. Nel nostro Paese, il Gromovs utilizzava un passaporto falso e una falsa identità, comportamento che dava origine a un procedimento penale presso la procura della Repubblica di Forlì. Nel dicembre 2001, la Repubblica di Lettonia presentava all'Italia richiesta di estradizione del Gromovs finalizzata a sottoporlo a processo per furto. Il 22 novembre 2002 il Ministero della giustizia accoglieva la richiesta e il Gromovs veniva quindi incarcerato nella casa circondariale di Forlì, in esecuzione del decreto di estradizione. A questo punto, il Resto del Carlino promuoveva una battaglia in favore di Sergeij Gromovs cui aderivano un numero altissimo di persone, soprattutto tra gli scacchisti che avevano avuto modo di conoscerlo e di apprezzarne le doti umane e il comportamento esemplare tenuto nel nostro Paese.
Si otteneva così dall'allora Ministro Castelli la sospensione della consegna del Gromovs alle autorità lettoni, in considerazione della pendenza, presso la procura di Forlì, del procedimento penale a carico del medesimo. Peraltro, qualche tempo dopo, l'interessato richiedeva la concessione dello status di rifugiato politico che non veniva accordata a causa dell'imminente entrata della Lettonia nell'ambito comunitario. La commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato raccomandava, comunque, la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, che veniva rilasciato fino al 2009. Successivamente, il GIP di Forlì disponeva l'archiviazione del procedimento penale riguardante il Gromovs, la cui pendenza giustificava la sospensione dell'esecutività del decreto di estradizione; pertanto, l'Interpol nel maggio di quest'anno tornava a richiedere al Ministero della giustizia l'esecuzione dell'estradizione. Il 26 giugno 2007 dalla Corte di appello di Bologna veniva disposta la custodia cautelare in carcere, eseguita il 9 settembre.
Nel frattempo, la procura della Repubblica di Forlì ha riaperto il procedimento penale a carico del Gromovs per uso di documenti falsi e di false generalità, nonché per ricettazione di documenti falsi. Il pubblico ministero procedente ha manifestato l'intenzione, portata a conoscenza anche agli uffici del Ministero della giustizia, di esercitare l'azione penale nei confronti del Gromovs. Nei prossimi giorni Pag. 64verranno completate le formalità previste dall'articolo 415 del codice di procedura penale e, eventualmente, per procedere alla citazione a giudizio. È evidente che questa nuova circostanza consenta al Ministro della giustizia - è l'aspetto centrale della nostra interpellanza - di disporre, come già avvenuto nel 2002, la misura sospensiva della consegna, ai sensi dell'articolo 709 del codice di procedura penale e dell'articolo 19 della Convenzione europea sull'estradizione del 13 dicembre 1957.
Vorrei fissare l'attenzione su altri due argomenti, a mio avviso, ancora prevalenti. Infatti, sotto un diverso e ancor più dirimente profilo, si deve osservare che il reato di furto, per il quale Sergeij Gromovs dovrebbe essere processato in Lettonia, sarebbe stato commesso il 5 agosto 1994, di talché i termini di prescrizione del reato in questione debbono ritenersi abbondantemente decorsi secondo la nostra legislazione. È noto, infatti, che ai sensi dell'articolo 10 della Convenzione europea sull'estradizione «L'estradizione non sarà consentita se la prescrizione dell'azione o della pena è acquisita secondo la legislazione della parte richiedente o della parte richiesta». Essendo l'estradizione stata richiesta esclusivamente per celebrare il processo - e non già per eseguire una eventuale condanna, della quale, comunque, non vi è alcuna traccia negli atti processuali - è evidente che in base alla suddetta norma della Convenzione l'estradizione non può essere concessa per un reato ormai prescritto.
Tutto ciò premesso, si chiede al Ministro se egli non ritenga, considerate anche le esigenze insopprimibili connesse alla libertà dei diritti dei perseguitati politici, di disporre in tempi brevissimi la misura della sospensione della consegna di Sergeij Gromovs ex articolo 709 del codice di procedura penale, in considerazione della pendenza del suddetto procedimento penale, nell'ambito del quale l'interessato ha manifestato l'intenzione di difendersi; ovvero di disporre la revoca del decreto di estradizione sopra richiamato, ritenuta, ai sensi dell'articolo 698 del codice di procedura penale, la ricorrenza delle ragioni che inducono a prevedere che il condannato, in caso di estradizione, verrebbe sottoposto nel Paese richiedente ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza. Infine, si chiede di disporre la revoca del medesimo provvedimento ai sensi dell'articolo 10 della Convenzione europea sull'estradizione del 13 dicembre 1957, in considerazione del fatto che l'estradizione è stata richiesta in ragione della necessità di sottoporre il Gromovs a processo, senza che, si ribadisce, agli atti risulti alcuna condanna pronunciata nei suoi confronti, per un reato ormai prescritto nella legislazione italiana.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, è necessario rispondere all'interpellanza e ai problemi sollevati dagli interpellanti a partire da alcuni punti fermi. Primo tra tutti, il decreto di estradizione emesso nei confronti di Sergeij Gromovs il 20 novembre 2002 e, in secondo luogo, le pronunce con cui sia la corte di appello, sia la Corte di cassazione, hanno dichiarato sussistenti le condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione avanzata dal Governo della Repubblica di Lettonia in data 13 dicembre 2001. Le questioni di diritto rappresentate dagli interpellanti, di sicuro rilievo normativo, hanno in parte trovato risposta - o avrebbero potuto trovarla - nelle appropriate sedi giurisdizionali ove le competenti autorità giudiziarie sono state più volte chiamate a pronunciarsi.
In ragione di questa premessa, ritengo che in questa sede sia opportuno rappresentare che per il decreto di estradizione del 22 novembre 2002, il Ministro della giustizia ha già adottato, in data 18 giugno 2007, il provvedimento che ne dispone l'esecuzione.
Faccio presente che, nel caso di specie, non ricorre la possibilità di applicazione dell'articolo 709 del codice di rito, in quanto lo status del Sergeij Gromovs non Pag. 65è quello di imputato, bensì ancora di indagato, e pertanto lo stesso non è giudicabile.

PAOLA BALDUCCI. Ma è indagato!

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Sì, ma l'articolo 709 del codice di procedura penale non si può applicare. È indagato, ma non imputato e, quindi, non ancora giudicabile. Se verrà rinviato a giudizio, all'esito della procedura di cui all'articolo 415-bis del codice di procedura penale, acquisterà un altro status giuridico.
Ad ogni buon conto, la situazione riguardante l'estradizione di Sergeij Gromovs è sostanzialmente mutata dal 15 ottobre ultimo scorso, poiché il TAR Lazio ha accolto il ricorso presentato dal Gromovs ed ha, allo stato, sospeso il decreto di estradizione.

PRESIDENTE. L'onorevole Balducci ha facoltà di replicare.

PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, signor sottosegretario, mi ritengo parzialmente soddisfatta: l'ultima spiegazione - secondo la quale, paradossalmente, lo status di indagato, in un procedimento penale che può terminare anche con un decreto di archiviazione, sia peggiorativo rispetto a quello di imputato - mi lascia lievemente perplessa.
Al di là di tali considerazioni, lei ha fornito una risposta riguardante il provvedimento che dovrebbe essere o è stato emesso dal TAR Lazio. Signor sottosegretario, lei sa molto bene che questo, comunque, non è un provvedimento risolutivo, ma un provvedimento «provvisorio»: ritengo, pertanto - anche con riferimento all'attenzione che lei ha sempre riposto su tematiche così delicate - che il caso in questione (che è abbastanza di scuola), al di là dell'esito di eventuali ricorsi amministrativi, richieda la massima attenzione da parte del Ministero della giustizia.
Bisogna evitare in ogni modo che venga data esecuzione alla consegna di Sergeij Gromovs, che sarebbe del tutto ingiusta ed illegittima, per i motivi che abbiamo già abbondantemente esposto nell'interpellanza.
In conclusione, si concederebbe l'estradizione per la celebrazione di un processo per un reato prescritto (in violazione dell'articolo 10 della Convenzione europea sull'estradizione); la consegna, inoltre, sarebbe eseguita privando l'interessato della possibilità di difendersi in un processo che lo vede coinvolto nel nostro Paese (in violazione dell'articolo 709 del codice di procedura penale) e, come ho già sostenuto abbondantemente nella mia interpellanza, si estraderebbe un soggetto che verosimilmente, una volta consegnato, riceverebbe trattamenti discriminatori a causa della sua origine etnica.
In conclusione, confido che gli uffici del Ministero facciano tutto quanto in loro potere per evitare che venga consumata un'ingiustizia e per consentire al Sergeij Gromovs di tornare prima possibile a vivere in piena libertà nel nostro Paese.

(Trasmissione di notizie riguardanti Thomas Kram, in relazione al suo presunto coinvolgimento nella strage di Bologna, ed eventuali iniziative ispettive - n. 2-00830)

PRESIDENTE. Il deputato Raisi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00830, concernente la trasmissione di notizie riguardanti Thomas Kram, in relazione al suo presunto coinvolgimento nella strage di Bologna, ed eventuali iniziative ispettive (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 10).

ENZO RAISI. Signor Presidente, illustro la mia interpellanza, molto dettagliata, che non è la prima, ma la quarta che presento sulla questione relativa a Kram. Ciò è avvenuto anche perché il rappresentante del Governo che mi ha risposto in precedenza, il sottosegretario Scotti, mi fornì a suo tempo informazioni che, documenti alla mano, non risultavano corrette: in occasione della risposta all'ultima interpellanza, infatti, il sottosegretario si scusò con me per il fatto che, Pag. 66effettivamente, si trattava di informazioni non corrispondenti ai documenti ufficiali della polizia.
Vorrei aprire una breve parentesi e spiegare il motivo per il quale insisto sulla questione relativa a Kram e perché la ritengo così importante. Tutti sanno che Kram era presente il giorno della strage di Bologna nelle vicinanze della stazione. Carlos, addirittura, in una sua intervista, ha affermato che egli fosse l'uomo uscito pochi attimi prima dello scoppio (Carlos era sodale di Kram).
Kram si è consegnato dopo ventisei anni di latitanza. È entrato in clandestinità, esattamente, il 2 agosto 1980: per essere chiari, ha avuto una latitanza simile a quella di Lo Piccolo e si è poi consegnato alla polizia tedesca, ponendo fine alla sua fuga.
Da lì è partita una serie di errate informazioni che, in qualche modo, andavano a sostenere il suo alibi. Ciò che Kram dichiara è riportato chiaramente in un'intervista che lo stesso ha rilasciato a il manifesto. Egli ha affermato di essere arrivato con un treno da Karlsruhe, diretto a Milano, dove doveva incontrare un'amica austriaca. È stato fermato dalla polizia a Chiasso, perché segnalato dalla polizia tedesca e, a causa di questo fermo, che è perdurato per diverse ore, si è attardato. Visto, poi, che la sua tappa finale era Firenze, si è fermato a Milano. Essendo arrivato tardi, è stato poi obbligato a trattenersi, casualmente, a Bologna.
Dai dati a nostra disposizione risulta, invece, che poteva andare tranquillamente a Bologna, perché ha preso un treno che, partendo da Rotterdam, se non vado errato, arriva a Karlsruhe nella notte e alle 10,20 a Chiasso (dove viene fermato effettivamente dalla polizia di frontiera).
Qui c'è il primo errore; vi è stata confusione sugli orari. La volta scorsa, abbiamo dimostrato che non esistevano gli orari riportati sia nella relazione di minoranza della Commissione Mitrokhin, redatta da un onorevole deputato dei DS, sia dalla prima risposta fornita dal sottosegretario Scotti.
Effettivamente, il sottosegretario Scotti ammise che gli orari da noi indicati (arrivo alle 10,20 e ripartenza alle 12,10 per Milano), in base ai quali egli aveva, quindi, tutto il tempo per incontrare la persona a Milano e andare poi a Firenze, erano corretti. Tuttavia, nella sua risposta, egli commette un secondo errore, quando dice che Kram viene perquisito e fermato sul treno che alle 12,10 lo porta da Chiasso a Milano.
Agli atti della Commissione Mitrokhin vi è il verbale dell'allora responsabile del posto di polizia di frontiera, il dottor Marotta, in cui si dice che Kram è stato perquisito tra le 10,20 e le 12,10. Quindi, in realtà, egli non è stato perquisito sul treno, come erroneamente affermato dal sottosegretario Scotti nella sua risposta, ma in quel lasso di tempo dalle 10,20 alle 12,10. Pertanto, in realtà, alle 12,10 riprende il treno da Milano. Attenzione: ciò è molto importante, perché su questa circostanza Kram costruisce il suo alibi nella famosa intervista rilasciata a il manifesto il 2 agosto scorso.
Inoltre, egli afferma - questo è l'altro elemento di novità che cito in questa interpellanza urgente - che a Milano doveva incontrare un sua amica austriaca.
Preannuncio che questa mia interpellanza urgente sarà la penultima, perché ne ho un'altra pronta, sempre sulla base di quanto ha dichiarato il sottosegretario Scotti. Su questo, come ho già detto, non mollerò fino alla fine, anche perché forse c'è qualcuno che vi dà queste informazioni; e ciò mi preoccupa, perché le informazioni sono fornite da esponenti delle istituzioni, forse anche dell'istituzione che ha aperto un fascicolo e dovrebbe indagare su Kram.
Forse essi non sanno che - grazie a Dio - avendo passato due anni e mezzo a guardare tutti i documenti acquisiti dalla Commissione Mitrokhin, so esattamente come si è mosso il signor Kram, cosa effettivamente ha fatto e chi effettivamente ha incontrato.Pag. 67
Lo dico anche perché forse in questo modo leggeranno la mia illustrazione dagli atti e la prossima volta staranno attenti a rispondere in un certo modo.
Ricordo che Kram viene per la prima volta segnalato, in qualche modo, dal dottor De Gennaro nel 2001 e inserito in un fascicolo con riferimento ad atti non aventi valenza di reato (non ricordo come si dice tecnicamente). Successivamente, la procura di Bologna, in qualche modo, archivia il caso.
Quando, però, nel 2004-2005, consegno alla procura di Bologna la parte della relazione della Commissione Mitrokhin che riguarda la strage di Bologna, questa è obbligata ad aprire un procedimento che, guarda caso, vede Kram non come imputato, ma come persona informata dei fatti, il che è abbastanza clamoroso.
Ritengo che vi sia un clamore tale e quale a quello che si manifestò nel 2001 quando venne aperta la pratica con una notizia non avente valore di reato.
Voglio formulare, quindi, una serie di domande che sono rivolte innanzitutto a comprendere se le persone che Kram afferma di aver incontrato siano state mai interrogate. Mi riferisco ad esempio alla cittadina austriaca residente a Varese che in qualche modo dovrebbe confermare il suo presunto alibi. Chiedo di sapere se sia mai stato interrogato anche l'autore di quell'intervista che in qualche modo crea l'alibi a Kram. Un alibi che, come ho già sostenuto in un mio precedente intervento, non sta in piedi. In quell'articolo Kram afferma che il giorno che scoppiò la bomba si trovava in una grande arteria bolognese, via Indipendenza, e da lì dopo aver assistito a quello che stava accadendo prese un taxi per andare alla stazione delle corriere. Come ho già avuto modo di dire, tutti sanno che da via Indipendenza la stazione ferroviaria non si vede e che la stazione delle corriere è a fianco di quella ferroviaria. Per quale motivo, quindi, si dovrebbe prendere un taxi per andare esattamente nel posto che si vuole evitare? Chi conosce Bologna fortunatamente capisce subito come questa persona abbia detto delle stupidaggini. Soprattutto Kram afferma che doveva andare ad incontrare questa signora austriaca, questa sua amica conosciuta a Perugia dove aveva studiato per molti anni. Chiedo se effettivamente risulta al Ministero della giustizia se questa persona sia stata mai rintracciata e se gli sia stato effettivamente chiesto se doveva incontrarsi con lui a Milano.
Chiedo anche di sapere sulla base di che cosa il sottosegretario Scotti dichiarò in una precedente occasione che Kram venne perquisito sul treno che da Chiasso lo stava portando a Milano. Stiamo parlando del famoso treno n. 307, dove Kram sostenne di essere stato perquisito a bordo. A tale riguardo, ripeto, che il verbale del dottor Marotta risulta chiaro, chiarissimo. In ordine al telex, inviato a Roma, era richiesto, in virtù delle indicazioni fornite dai tedeschi, di fermare e perquisire il sospetto. Marotta fu molto chiaro al riguardo: Kram venne fermato al suo arrivo a Chiasso alle 10,20 perquisito nel lasso di tempo di due ore e ripartì solo successivamente con il treno. Non riesco a capire chi abbia fornito le informazioni al sottosegretario Scotti in merito alla perquisizione effettuata a Kram a bordo del treno per Milano. Questo non risulta in nessun atto e qualcuno quella risposta deve averla data.
Signor sottosegretario, non voglio essere polemico e chiaramente sono molto ansioso di ascoltare la sua risposta alla mia interpellanza, però lei esercita la professione di avvocato e sa meglio di me come una coincidenza possa essere casuale, ma molte coincidenze e tutte rivolte a creare un alibi a Kram forse non rappresentino più coincidenze.
Mi preoccupano - lo voglio dire in questa sede parlamentare - queste informazioni che voi trasmettete all'Assemblea e sulle quali venite puntualmente smentiti; mi dispiace che rispondiate sulla base di informazioni che vengono fornite da organi istituzionali che forse sono gli stessi che dovrebbero indagare su Kram. È importante sapere se nel frattempo la posizione di Kram sia mutata o sia rimasta effettivamente quella di una persona informata sui fatti; in quest'ultimo caso ciò Pag. 68sarebbe un fatto clamoroso. Non possiamo dimenticarci che stiamo parlando di un terrorista, presente il giorno della strage di Bologna, al quale viene trovato in tasca un riferimento a un'altra terrorista che quel giorno era stata segnalata, la Freulich, e che due anni dopo viene arrestata con esplosivo compatibile con quello scoppiato alla stazione di Bologna. Non possiamo dimenticarci, inoltre, le prove fornite dalla Commissione Mitrokhin sul collegamento con Carlos e sul loro incontro un mese dopo a Budapest. Non possiamo scordarci che allorché Kram finalmente si consegna all'autorità e prova a dare un alibi questo viene smantellato pezzo per pezzo. Voglio sapere se lei è a conoscenza di quella persona, che Kram doveva incontrare a Milano, e se essa sia stata interrogata. Dopo la sua risposta le spiegherò il perché di questa mia domanda.
Se una tale persona non ha cambiato la sua posizione giudiziaria vuol dire che da parte di qualche istituzione non vi è la volontà di andare fino in fondo nel capire perché quel giorno a Bologna c'era Kram. Non essendo vero che sia stato presente a Bologna, perché arrivato in ritardo grazie a tutta una serie di coincidenze che però abbiamo smantellato, Kram ci deve spiegare cosa ci faceva quel giorno Bologna.
È questo ciò che chiedo con un continuo, preciso e puntuale intervento sulla vicenda basato sui documenti ufficiali forniti dalla polizia e dalle forze dell'ordine. Non sto facendo ipotesi.
Infatti, è Marotta che dice che Kram è stato perquisito in quel lasso di tempo. Mi domando, dunque, come può un sottosegretario, suo collega, dirmi che questi, invece, viene perquisito sul treno di Milano. Infatti, prima si sbaglia sugli orari e lasciamo passare; poi, gli ho dimostrato - tabelle alla mano - che tali orari erano quelli corretti. Infine, però, - ecco la domanda che le rivolgo - su quali presupposti si è basata la risposta del sottosegretario Scotti secondo la quale Kram era stato perquisito sul treno 307? Sono molto ansioso nell'attendere tali risposte, perché - lo ripeto - come lei può immaginare e ha già capito, il mio è un tassello che sto mettendo sul punto e che si avvia verso la conclusione di una ricerca condotta in modo molto dettagliato anche grazie al contributo di persone che hanno lavorato per anni su questo tema e che mi sembra abbiano chiarito bene, perlomeno, quale era l'ambito nel quale sono successi certi eventi.
Però, ciò che mi preoccupa - lo dico da parlamentare - è la continua reticenza da parte delle istituzioni nel dare informazioni che puntualmente vengono smentite dai documenti ufficiali.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 18,30)

ENZO RAISI. Dunque ciò mi preoccupa - glielo dico molto sinceramente - perché non voglio addebitare colpe al Governo. È presente lei, ma sono sicuro che, anche se fosse stato presente il segretario Scotti, avrei detto lo stesso anche a lui: non imputo al Governo, naturalmente, una volontà politica di non andare avanti su questa vicenda. Imputo tale volontà, però, a chi mi fornisce l'informazione che a me, in qualche modo, sta iniziando a preoccupare. Concludo su questo punto e attendo la risposta del sottosegretario.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, sulla prima parte dell'interpellanza, relativa alla contraddizione in cui sarebbe caduto il Governo nella risposta precedente ed analogo atto ispettivo, si ricorda quella parte della discussione che insorse a proposito della risposta resa il 25 gennaio 2007, circa l'impossibilità che un treno potesse, per di più nel 1980, percorre il tratto Karlsruhe-Chiasso in appena un'ora e mezza; proprio in rapporto a tali dubbi, nella successiva risposta dell'11 ottobre si chiarì che evidentemente nell'incipit della risposta del 25 gennaio, non si era fatto cenno alla diversità dei Pag. 69treni, e cioè, il 201 partito da Karlsruhe e, successivamente, il 307. Inoltre, si chiarì che nel riportare il contenuto della nota della polizia di frontiera di Chiasso, risultava comunque dalla risposta la duplicità dei treni utilizzati, per cui la discussione in ordine al - oppure ai - treni di cui il Kram si era avvalso risultava superata.

ENZO RAISI. Su quale treno? È quello il problema!

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Passando alle altre considerazioni e ai quesiti formulati si espone quanto segue. Dal telegramma inviato dall'ufficio di polizia di frontiera di Chiasso in data 1o agosto 1980, risulta che Thomas Kram, giunto alla stazione di Chiasso fu «identificato e perquisito sotto aspetto doganale con esito negativo»; a proposito di tale perquisizione, nella risposta dell'11 ottobre alla precedente interpellanza non si è specificato che il Kram era stato identificato e contestualmente sottoposto a perquisizione, bensì che era stato identificato sul treno, com'era naturale, e poi perquisito; d'altronde il telegramma della polizia non chiariva se la perquisizione fosse avvenuta sul treno oppure nel posto di polizia. Il Ministero dell'interno riferisce che: "Lo stesso ufficio di frontiera di Chiasso, il giorno successivo trasmise un'ulteriore nota, senza fare più riferimento all'orario di arrivo in Italia, per fornire la copia di una lettera manoscritta di Kram rinvenuta durante la perquisizione».
Dagli atti non risulta se, al momento dell'ingresso sul territorio nazionale, il Kram fosse in possesso di borse, valigie o altri contenitori. «La perquisizione», proseguo la lettura dell'informativa del Ministero dell'interno, «ebbe esito negativo e non è dato sapere se la lettera manoscritta fu rinvenuta all'interno di un bagaglio o sulla persona. Al riguardo, l'ufficio di frontiera di Ponte Chiasso ha riferito che il fascicolo intestato a Thomas Kram è stato distrutto nel 1997, in seguito all'entrata in vigore dell'accordo di Schengen».
La procura della Repubblica di Bologna, il 3 ottobre scorso, in risposta ad un'informativa sollecitata dal Ministero della giustizia ha comunicato la seguente nota: «Preliminarmente si rappresenta che presso questa procura sono tuttora in corso indagini, nell'ambito del procedimento penale n. 7823/05 (registro generale notizie di reato modello 44), riguardanti il delitto di strage commesso alla stazione ferroviaria di Bologna il 2 agosto 1980. In tale ambito, sono stati approfonditi gli accertamenti anche sulla presenza a Bologna, il 2 agosto 1980, del terrorista tedesco Kram Thomas, nato il 18 luglio 1948 a Berlino, membro dell'organizzazione terroristica tedesca Cellule rivoluzionarie».
In merito alla richiesta riguardante l'ingresso - prosegue la nota della procura della Repubblica - del cittadino tedesco Thomas Kram nel territorio nazionale, in data 1o agosto 1980, si rappresenta che la DIGOS di Bologna, con l'informativa A4/06/DIGOS/ATN del 28 luglio 2006, trasmetteva copia di un telex della polizia di frontiera di Chiasso, datato 1o agosto 1980, nel quale era riportata la seguente comunicazione: «Con treno 307 delle ore 12,08 legali odierne entrato Italia diretto Milano cittadino tedesco Kram Thomas Michael nato 18 luglio 1948 Berlino et residente Bochum (Germania) munito carta d'identità tedesca n. G7008331 rilasciata Bochum 25 marzo 1975. Predetto iscritto R.F. formula 5 est stato sottoposto at perquisizione sotto aspetto doganale con esito negativo. Medesimo est qui giunto con treno n. 201 delle ore 10,30 legali proveniente da Karlsruhe». Come si rileva, in assenza di specificazioni, la perquisizione poteva essere fatta tanto sull'uno quanto sull'altro treno.
Nella stessa informativa la DIGOS di Bologna comunicava, inoltre, che agli atti di quell'ufficio risultava copia del registro contenente il nominativo di Thomas Kram, che, dopo la mezzanotte del 1o agosto 1980, era stato registrato presso l'albergo centrale, all'epoca sito in questa via della Zecca n. 2. Precisamente nella pagina 130 - con numero progressivo 1481 - si riportavano i riferimenti alla stanza n. 21 e al documento di identificazione esibito Pag. 70dal predetto, relativo ad una patente di guida n. 20344, rilasciata in data 11 novembre 1970. Sulla base dei dati riportati nel predetto registro si rilevava, altresì, che la stanza fu assegnata al solo Thomas Kram.
Inoltre, per quanto finora accertato dalla polizia giudiziaria delegata, non risulta che Thomas Kram sia stato presente sul territorio nazionale dopo la data del 2 agosto 1980, e nemmeno si rilevano tracce della sua presenza nella città di Firenze.
Ad ogni buon conto, si evidenzia che, sulla base delle informazioni qui trasmesse dalla locale DIGOS, relative ai latitanti Thomas Kram e Adrienne Gerhauser che si erano costituiti presso la procura generale di Karlsruhe, in data 4 dicembre 2006, si procedeva ad inoltrare, alle autorità tedesche, il 12 febbraio 2007, richiesta urgente di rogatoria internazionale finalizzata principalmente all'escussione dei predetti terroristi tedeschi.
Infine, in riferimento all'attività compiuta all'epoca dagli organi inquirenti in merito alle testimonianze raccolte dai tassisti in servizio nei pressi della stazione ferroviaria la mattina del 2 agosto 1980, si rappresenta che l'azione investigativa si sviluppò anche con l'escussione di numerosi testi presenti, nei momenti antecedenti e susseguenti, all'esplosione dell'ordigno avvenuta alle ore 10,25 del 2 agosto 1980.
Tuttavia, allo stato, pur continuando le verifiche in merito alle ulteriori informazioni acquisite, si evidenzia che non si rilevano testimonianze concernenti riferimenti precisi relativi al trasporto di un turista tedesco diretto al terminal delle autocorriere di Bologna.
Ancora la procura della Repubblica di Bologna, con nota di ieri - 7 novembre - ha altresì riferito quanto segue: «Sono state esaminate nell'ambito delle indagini in corso le persone che risultavano o apparivano essere state in contatto con Kram in Italia, nel periodo dal 1979 al 1980; è stata identificata e sentita prima dell'intervista rilasciata da Kram al quotidiano il manifesto pubblicata il 1o agosto 2007 la persona in contatto epistolare con Kram nel 1980; sono state svolte e sono ancora in corso attività di indagine conseguenti al contenuto della detta intervista di Kram a il manifesto; non è stato disposto l'esame del giornalista Guido Ambrosino che ha realizzato la detta intervista; l'unico elemento certo relativo alla data e all'orario dell'ingresso di Kram in Italia il 1o agosto 1980 è il telex della polizia di frontiera di Chiasso del 1o agosto 1980, già riportato nella risposta sopra citata di questo ufficio del 3 ottobre scorso; nessuna persona è stata iscritta nel registro degli indagati di questo ufficio in relazione al procedimento di cui si tratta, sopra indicato».
Le ulteriori notizie circa la precisa ed attuale posizione processuale di Thomas Kram e i risultati degli altri accertamenti non potranno che risultare dal prosieguo delle indagini in corso da parte della procura di Bologna, anche attraverso rogatorie, così come indicato dall'ufficio nella nota innanzi riportata.

PRESIDENTE. Il deputato Raisi ha facoltà di replicare.

ENZO RAISI. Signor Presidente, non sono soddisfatto della risposta, in quanto vi sono due elementi gravi. Non sono né un magistrato, né un uomo delle forze dell'ordine, ma il telex è molto chiaro e afferma che Kram giunge a Chiasso alle 10,20 ed entra in Italia con il treno 307 delle ore 12,10, se non erro.
Ciò vuol dire che - tanto per essere chiari, stanno parlando del posto di frontiera italiano a Chiasso - non è vero che dal telex non si deduce quando Kram sia stato perquisito. È molto semplice: quando scende dal treno con il quale è arrivato a Chiasso la polizia di frontiera di Chiasso lo perquisisce; lo stesso Kram entra in Italia col treno che lo conduce a Milano.
Questa lettura mi sembra banale! Se i magistrati inquirenti non sono capaci neanche di leggere un telex del genere, la cosa mi preoccupa.
Ma vi è un altro aspetto. Sono molto insoddisfatto di quello che la procura afferma sulle indagini in corso, innanzitutto Pag. 71perché la procura non dice una cosa fondamentale o, per lo meno, afferma che la DIGOS ha effettivamente sentito la persona che, in qualche modo, avrebbe dovuto confermare l'alibi di Kram in relazione alle indagini sulla sua presenza a Milano. So cosa ha affermato la signora, perché ho parlato con lei. Pertanto, le posso dire che è grave che la procura non abbia ancora cambiato la posizione di Kram, il quale tutt'oggi rimane persona informata sui fatti.
Dico questo perché - lei è un avvocato e conosce bene il motivo - c'è di mezzo una rogatoria e, un conto è chiedere una rogatoria per una persona inquisita di un reato molto grave come quello di strage, e un altro è chiederla per chi è «persona solo informata sui fatti». Pertanto la volontà della procura di mantenere la posizione di Kram come persona informata sui fatti - e non come imputato per strage - evidentemente pone dei problemi, in primo luogo, in termini di rogatoria e, in secondo luogo, sull'effettivo risultato che tali rogatorie possano ottenere.
Le preannuncio che presenterò un'ulteriore interpellanza sull'argomento perché lei ha citato un altro fatto molto grave che altre volte mi era stato riferito: nel 1997 è stato bruciato il fascicolo di Kram sulla base del Trattato di Schengen, in cui si prevede che i documenti non rilevanti inerenti i cittadini dell'Unione europea possono essere mandati al macero se, appunto, su di loro non ci sono pendenze particolari o questioni giudiziarie.
Nel 1997 su Kram pendeva un mandato di cattura internazionale dell'Interpol quando la polizia - o chi per lei - ha deciso di bruciare questi documenti. Esiste anche un'altra stranezza: stranamente Kram era inserito nella banca dati della polizia italiana fino al 1994 come estremista di destra, quando tutti sapevano che faceva parte delle, Cellule rivoluzionarie movimento notoriamente legato alle Brigate rosse e all'Action directe francese.
È molto strano che, fino al 1994, questa persona (che era inserita nella banca dati della polizia nazionale e ricercata dall'Interpol e, quindi, anche dai tedeschi) che tutti sapevano essere un terrorista di estrema sinistra, nella banca dati della nostra polizia nazionale - guarda caso - era indicato come estremista di destra, dato che viene modificato solo successivamente.
Perché nel 1997 - e qui le anticipo il contenuto di un'altra interpellanza che a breve presenterò, che sarà l'ultima a chiusura del cerchio - il fascicolo di Kram è stato bruciato se su di lui pende un mandato di cattura internazionale ed è nella lista dei ricercati? Il Trattato di Schengen non prevede questo. Io ho studiato e mi sono anche preparato sul tema perché appunto quella risposta mi aveva stupito. Rimandiamo alla «prossima puntata» e vorrò capire come mai è accaduto questo fatto grave.
È come se avessero bruciato il fascicolo riguardante un famoso latitante italiano perché è entrato in vigore il Trattato di Schengen: è un po' difficile da sostenere.
Ripeto: quando si è verificato questo episodio su Kram pendeva un mandato di cattura internazionale dell'Interpol ed era inserito nella banca dati della polizia italiana come terrorista ricercato. E nonostante ciò, nel 1997 bruciamo un fascicolo della polizia di frontiera? E guarda caso oggi si fa confusione. Grazie a Dio esiste quel telex del dottor Marotta che è molto chiaro, ma se non ci fosse stato, oggi su Kram e sul suo fermo a Chiasso non avremmo saputo nulla; anzi, probabilmente, qualcuno avrebbe giocato su quell'equivoco che mi ha portato a presentare due interpellanze e che finalmente oggi abbiamo chiarito.
Caro sottosegretario, sono molte le circostanze che mi fanno pensare che c'è qualcuno che non vuole andare fino in fondo. Ribadisco il concetto: è evidente che la procura, essendo in possesso di una serie di elementi chiari ed evidenti sul fatto che l'alibi di Kram non sta in piedi e avendo interrogato la signora - perché non lo dicono, ma io lo sapevo, in realtà, per ovvi motivi - e sapendo benissimo cosa ha risposto la signora, quanto meno dovrebbe cambiare la posizione di Kram, considerandolo una persona indagata. Invece, Pag. 72si continua a definirlo persona informata sui fatti e ritengo sia un fatto veramente clamoroso dal punto di vista giudiziario che fa pendant - mi permetta questa parola - con quanto accaduto nel 2001, quando addirittura fu inserito in un modello che riguardava le notizie non aventi valore di reato nonostante che il capo della polizia italiana (c'è proprio una lettera di De Gennaro), su indicazione dei tedeschi, gli avesse detto di cercare Kram poiché sembrava coinvolto nella strage di Bologna. C'è una lettera della polizia!
Ebbene, cosa fa la procura di Bologna? Prende questa lettera, fa finta di svolgere le indagini (perché poi in realtà non le ha fatte, e che indagine si può fare con le procure oberate?) e archivia. Se non ci fosse stata la casualità della Commissione Mitrokhin che ci ha consentito di accedere a quel fascicolo di Kram e trovare quella lettera di De Gennaro non avremmo mai saputo nulla su quella vicenda.
Caro sottosegretario, queste sono questioni veramente inquietanti, di fronte alle quali, ovviamente, non mi fermo e vado fino in fondo. Le ho già anticipato qualche aspetto e quello di Schengen è veramente clamoroso! Non so se lei ha capito quello che è successo: abbiamo bruciato il fascicolo di un terrorista ricercato dall'Interpol, che è stato latitante dal 2 agosto 1980 fino al 2005. Qualcuno ha pensato che fosse un terrorista di poco conto, ma è un personaggio di questo livello.
Tra l'altro, è uno dei pochi che l'ha fatta franca del gruppo delle Cellule rivoluzionarie, perché gli altri legati alla Stasi sono quasi tutti caduti e sono stati presi. Lui, invece, è riuscito a farla franca fino alla fine; si è consegnato quando ormai i suoi reati, più o meno, in Germania li aveva in qualche modo estinti dal punto di vista della pena; probabilmente avrà contrattato, anche perché dopo pochi giorni di galera è agli arresti domiciliari, insieme all'altro signore che era con lui.
Mi dispiace molto e l'ho già detto più volte: non so, onestamente, che ruolo Kram avesse avuto il 2 agosto 1980, però c'è un fatto che mi sembra ormai chiarito da tutti i documenti che sono emersi: la sua presenza quel giorno, a Bologna, non era casuale.
Quello che mi dispiace e mi fa paura, come cittadino italiano, è che le istituzioni pubbliche non abbiano il coraggio di andare fino in fondo. Il mio pensiero è questo: il fatto che le nuove indagini - perché, come ci è stato confermato dalla procura di Bologna, ci sono indagini sulla strage di Bologna - siano state affidate a uno dei PM che ha fatto quel processo, lei capisce, è un altro fatto irrituale.
Lei consegna una nuova parte di indagine alla stessa persona che ha seguito un processo giunto a sentenza definitiva. Mi domando come quel PM, che sarà onesto intellettualmente, possa pensare di rimettere in discussione tutto il lavoro che lui stesso ha svolto.
Il bon ton, l'intelligenza, l'etica avrebbe voluto che fosse affidata, quanto meno, a un PM diverso. No! L'abbiamo affidata allo stesso PM che ha seguito il processo per la strage di Bologna. Questi sono tutti elementi che, messi assieme, mi fanno pensare che non ci sia la volontà di andare fino in fondo.
Io continuo, però, con le mie interpellanze, che si accumulano. Ringrazio perché, comunque, risposta su risposta, viene confermato quanto avevo dichiarato. Anche il Governo deve prendere atto che le risposte giuste erano le nostre, non quelle che vi vengono date da certi uffici.
L'esempio degli orari è chiaro ed evidente e questo mi fa ben pensare che, quanto meno, alla fine di tutto questo lavoro, avrò una serie di documenti che poi consegnerò alle istituzioni che dovranno fare il loro lavoro e li consegnerò, se non altro, alla storia dei nostri concittadini, i quali devono sapere che sulla strage di Bologna, come ha detto il Presidente Napolitano nell'ultimo anniversario, non tutto è stato chiarito. Anche il Presidente Napolitano avrà questo materiale e potrà capire perché, probabilmente, quel giorno non è stato tutto chiarito.

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(Rinvio dell'interpellanza urgente Franzoso n. 2-00691)

PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Franzoso n. 2-00691 è rinviato ad altra seduta.

(Provvedimenti disciplinari disposti nei confronti di alcuni operai della Sata di Melfi sottoposti a perquisizione nell'ambito di procedimenti giudiziari - n. 2-00812)

PRESIDENTE. La deputata Lombardi ha facoltà di illustrare l'interpellanza Migliore n. 2-00812, concernente provvedimenti disciplinari disposti nei confronti di alcuni operai della Sata di Melfi sottoposti a perquisizione nell'ambito di procedimenti giudiziari (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 11), di cui è cofirmataria.

ANGELA LOMBARDI. Signor Presidente, si è ritenuto di interpellare con urgenza il Ministero del lavoro su alcuni episodi apparentemente tra loro slegati, che sono avvenuti alla FIAT Sata di Melfi e che destano non poche preoccupazioni.
Nella prima mattina del 16 ottobre, nelle abitazioni di due operai dello stabilimento, Passannante e Auria, sono state effettuate perquisizioni su richiesta del pubblico ministero Basentini. I due risultano indagati per i reati di cui all'articolo 270-bis e 272 del codice penale, vale a dire per associazione in attività eversiva.
Nei loro confronti, comunque, tengo a sottolineare che non si è ritenuto di procedere a nessuna misura cautelare. Il giorno seguente, ai due lavoratori è stata notificata la sospensione cautelare, questa sì da parte dell'azienda, ai sensi dell'articolo 26 del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici, che si è tramutata in licenziamento il 23 ottobre.
Le pongo due domande, che non andrebbero probabilmente rivolte tutte a lei, ma che qui vanno poste anche per comprendere la dinamica dei fatti. Innanzitutto, come fa l'azienda ad avere notizia di fatti giudiziari che ancora non erano stati resi pubblici da nessuno, nemmeno dalla stampa? Come e perché c'è un'evidente fuga di notizie? Inoltre, sembra un po' eccessiva l'interpretazione dell'articolo 25 del Contratto nazionale, dal momento che lo si dovrebbe utilizzare, letteralmente, quando il lavoratore provochi grave nocumento morale e materiale all'azienda e quando compia, in connessione con lo svolgimento del proprio rapporto di lavoro, azioni che costituiscono delitto a termini di legge.
Ovviamente i lavoratori si dichiarano innocenti ed estranei ai fatti loro contestati. Le indagini faranno il proprio corso, anzi ci auguriamo che terminino al più presto per far luce sui fatti stessi; ma è fuori da ogni logica che l'azienda, prima ancora dei luoghi deputati, emetta una sentenza come ha fatto con i licenziamenti. Una battuta: in questo Paese giustamente, ma dovrebbe valere per tutti, si è innocenti fino a prova contraria; per i lavoratori non può e non deve valere il contrario, vale a dire: si è colpevoli fino a quando non si dimostra la propria innocenza.
Negli stessi giorni inoltre viene licenziato un altro lavoratore, Francesco Ferrentino, RSU Flmu-CUB, anche lui prima sospeso e poi licenziato nella stessa data del 23 ottobre; anche in questo caso la sospensione prima e il licenziamento dopo vengono motivati dall'azienda con l'articolo 25 del contratto nazionale di lavoro. Ma qual è la colpa di questa RSU? Si registra in fabbrica, da qualche mese, una ripresa del conflitto sindacale, con frequenti ricorsi a scioperi di UTE. Le ragioni di questo conflitto attengono ai carichi di lavoro particolarmente pesanti, che in quello stabilimento i lavoratori e le lavoratrici vivono. Il TMC-2 è la metrica di lavoro con la quale i lavoratori fanno i conti; una metrica pesante che è causa di una serie di patologie che interessano gli arti superiori: non a caso queste patologie sono particolarmente diffuse tra i lavoratoriPag. 74 dello stabilimento di Melfi. Queste sono il tunnel carpale, la tendinite, crisi da sforzo, ernia ed altre.
I lavoratori attraverso le rappresentanze sindacali hanno svolto diversi scioperi per chiedere all'azienda di aumentare gli addetti nel settore. Uno di questi scioperi si è svolto proprio l'11 ottobre, ed ha causato tensioni con i capi delle unità tecnologiche elementari. Di questo sciopero, la RSU Ferrentino dava notizia in un volantino che è stato ritenuto lesivo dell'immagine dell'azienda, e quindi ha causato nei fatti il licenziamento della stessa RSU; potremmo dire che egli è stato licenziato perché svolgeva la propria funzione di delegato. Anche qui vi è una interpretazione discutibile dell'articolo 25 del contratto nazionale di lavoro: un'azione che assume un aspetto tanto più grave se si tiene conto che Ferrentino è stato eletto RSU solo qualche mese fa, ed è anche l'unico rappresentante eletto dal sindacato CUB. Questo sindacato, che ha avuto una parte del consenso dei lavoratori, è ad oggi dunque senza rappresentanza. Non vorremmo che la Sata utilizzi il licenziamento come un elemento per impedire il conflitto, e quindi le chiediamo come intende intervenire il Ministero.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale, Rosa Rinaldi, ha facoltà di rispondere.

ROSA RINALDI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Signor Presidente, in riferimento all'interpellanza presentata quale primo firmatario dall'onorevole Migliore ed illustrata dalla deputata Lombardi, passo ad illustrare preliminarmente le notizie che ci ha fornito, in merito alle vicende che sono state descritte in questo atto di sindacato ispettivo, la prefettura di Potenza. In particolare, il predetto ufficio ha confermato che, sulla base degli esiti di un'indagine avviata da tempo, la DIGOS della questura di Potenza, il 16 ottobre scorso, in esecuzione di provvedimenti emessi dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia, procedeva alle perquisizioni domiciliari e personali disposte nei confronti di venti persone indagate per le ipotesi di reato di cui agli articoli 270-bis e 272 del codice penale, tra cui anche gli operai Sata citati nell'interpellanza.
La notizia dell'operazione condotta dalla Polizia di Stato appariva in alcuni lanci dell'agenzia Ansa di Milano del 16 ottobre 2007, sui giornali locali e nazionali e sui siti web d'area. Inoltre, il decreto di perquisizione, secondo quanto riferito dall'ufficio in questione, era unico e riportava i nominativi di tutti gli interessati dal provvedimento. La direzione provinciale del lavoro di Potenza, in merito ai fatti descritti nell'atto ispettivo, ha prontamente effettuato un'ispezione presso la società Sata, con le seguenti risultanze. In via del tutto preliminare, desidero però specificare che il predetto ufficio, nel comunicare gli esiti degli accertamenti, ha precisato che - anche in considerazione dei ristretti tempi a disposizione - ha potuto acquisire soltanto la documentazione presso la direzione aziendale, mentre non è stato possibile acquisire le dichiarazioni di appartenenti alle rappresentanze sindacali unitarie.
In particolare, l'ufficio ha confermato la notizia dei licenziamenti operati sia nei confronti dei lavoratori oggetto dei provvedimenti della Direzione distrettuale antimafia, motivati con riferimento alle vicende che vedono gli stessi indagati penalmente, nonché del rappresentante sindacale citato nell'atto ispettivo, in quanto responsabile - secondo la direzione aziendale - di diffamazione nei confronti di un responsabile di unità tecnologica elementare (UTE). La società Sata ha quindi ritenuto, in considerazione della gravità dei fatti contestati ai lavoratori in questione, di dover applicare l'articolo 26 del Contratto collettivo nazionale di lavoro di settore. Rispetto a tali provvedimenti, gli interessati potranno adire - come è previsto dalle norme vigenti - l'autorità giudiziaria competente per le decisioni del caso.
Per quanto concerne la consistenza dei carichi di lavoro, la società ha specificato che la relativa problematica sarebbe stata vagliata dai vertici dell'azienda e che sarebbero stati adottati i necessari provvedimentiPag. 75 di razionalizzazione dell'organizzazione del lavoro, illustrandone le modalità agli interessati. Riguardo «la ripresa del conflitto all'interno della fabbrica», si è ritenuto utile acquisire un prospetto riepilogativo degli scioperi effettuati negli ultimi mesi. Dall'esame di esso, si rileva che, nel mese di ottobre, sono effettivamente stati indetti tre scioperi, mentre sembra potersi escludere un particolare incremento della conflittualità interna nel periodo precedente. Per quanto riguarda l'aumento della produttività, si è acquisito il dato medio giornaliero del numero di autoveicoli prodotti nell'ultimo semestre, nonché il dato medio giornaliero della forza lavoro applicata. Tali dati, come affermato dal responsabile delle relazioni sindacali della società Sata Spa, si sono mantenuti pressoché costanti nel periodo di riferimento. A tale ultimo riguardo, sono stati richiesti chiarimenti in relazione all'applicazione della metodologia denominata TMC2 di valutazione dei tempi di lavoro occorrenti per l'espletamento di ciascuna singola fase lavorativa i cui risultati - che, sempre a detta della direzione aziendale, sono stati resi disponibili a tutti i lavoratori dello stabilimento Sata mediante procedure informatiche - sono oggetto di valutazione congiunta fra direzione aziendale ed organizzazioni sindacali. È stato inoltre acquisito l'elenco completo della rappresentanza sindacale unitaria aziendale risultante dall'ultima consultazione elettorale. Al riguardo, l'ufficio ha reso noto che provvederà ad acquisire a campione le dichiarazioni dei rappresentanti sindacali sulle problematiche in parola.
In conclusione, posto il rilievo della situazione prospettata, posso assicurare che l'Amministrazione che rappresento in questa sede continuerà a vigilare sul rispetto della normativa a tutela dei lavoratori, fornendo le ulteriori notizie che dovessero emergere - e che emergeranno - nel prosieguo degli accertamenti sui quali i nostri uffici, come ho già detto in premessa, sono impegnati. Chiedo dunque scusa se non può darsi la completezza della risposta, nel senso che l'ispezione non ha potuto ascoltare tutti i soggetti interessati. Ci è parso tuttavia doveroso riferire questi primi riscontri, sapendo che vi è ancora una parte di lavoro che i nostri uffici svolgeranno e di cui daremo conto.

PRESIDENTE. La deputata Lombardi ha facoltà di replicare.

ANGELA LOMBARDI. Signor Presidente, anzitutto ringrazio la sottosegretaria per la celerità, la puntualità e persino per la passione che ha impiegato nel rispondere all'interpellanza. Tuttavia, ci riteniamo parzialmente soddisfatti.
Intanto, mi pare che vada affermato con forza che non si possono stabilire connessioni politiche tra i movimenti sociali e l'eversione, e che ciò è tanto più ingiusto se lo si riferisce alla lotta dei ventuno giorni di Melfi (lei non lo ha fatto ed anche per questo motivo la ringrazio, ma lo ha fatto il Ministro Amato circa un anno fa, e lo ha fatto in questi giorni, ripetendolo, il dibattito su questo tema nella mia regione). Ovviamente, le indagini che sono in corso debbono proseguire - e proseguire in fretta - ma già possiamo dire, senza attenderne l'esito, che queste stesse indagini non sono legate ad una lotta operaia che, nelle modalità in cui si è svolta, ha affermato, da sé, l'estraneità a qualunque ambito fuori dalla pratica democratica. Lo ricordo prima di tutto a me stessa: a Melfi si è lottato, e lo hanno fatto i lavoratori e le lavoratrici insieme ad una intera comunità per riprendersi finalmente, dopo dieci anni, un diritto che era stato loro negato con il contratto Sata, vale a dire avere lo stesso diritto e lo stesso salario di altri lavoratori che svolgono identiche mansioni nello stesso gruppo FIAT. È stata, quindi, una lotta che ha restituito loro la dignità e il diritto, che si è svolta, per l'appunto, nella normale dialettica del conflitto e che si è chiusa con un accordo sindacale.
Pace, diritti e dignità sono stati gli slogan che i lavoratori e le lavoratrici hanno usato per rispondere alle forze dell'ordine che il 26 aprile del 2004 hanno ricevuto ordine di procedere alla rimozione,Pag. 76 con forza del presidio dell'assemblea permanente che si svolgeva davanti alla fabbrica. Il teorema dunque di confondere il conflitto legittimo - che comporta quasi sempre un miglioramento delle condizioni materiali di vita insieme ad un avanzamento democratico per tutti e tutte e per l'intera società - con altro è propaganda e nuoce alla democrazia. I licenziamenti si collocano in una ripresa del conflitto interno alla fabbrica su un tema di particolare interesse per i lavoratori e le lavoratrici, ossia i carichi di lavoro e la metrica, che rimane dentro quella fabbrica un punto di difficoltà. Gli scioperi cui lei ha fatto riferimento sono probabilmente quelli generali, non quelli che si stanno svolgendo in UTE e che, a detta della rappresentanza sindacale che lei avrà modo di ascoltare successivamente, come ha affermato, è molto più alta di quella da lei indicata. Il TMC2, infatti, non è solo una formula matematica: vi sono corpi sulle linee, e quei corpi sono soggetti a malattie da lavoro fisiche, come quelle anzidette, ma non tralascerei che queste ultime si mischiano e si aggiungono allo stress della difficile turnazione, che pure rimane una delle pratiche nella fabbrica di Melfi.
Ovviamente, tali temi originano anche conflitto tra sindacati e azienda, e mi pare che ciò sia una parte del normale svolgimento della democrazia, una dinamica legittima che non può presentare illegittimità da parte dell'azienda, che invece vuole rispondere a ciò attraverso gesti «esemplari», quali i licenziamenti. Questi ultimi, insieme ad una ripresa dei provvedimenti disciplinari, suonano infatti come un avvertimento a quante e a quanti lavorano legittimamente per costruire partecipazione e conflitto attorno a temi all'ordine del giorno, quali il rinnovo contrattuale, le turnazioni, la metrica, i salari, l'ulteriore introduzione di nuove forme di flessibilità. Lo stabilimento di Melfi, da questo ultimo punto di vista, è davvero il modello di una modernizzazione che tenta di cancellare i diritti.
La politica deve osservare con attenzione tali dinamiche e provare a fornire, attraverso l'ascolto delle rivendicazioni dei lavoratori, anche risposte a determinati bisogni; non solo ai bisogni che Confindustria urla nelle notizie quotidiane che narrano di richieste continue di flessibilità, di deroga ai contratti nazionali ed altro, ma ai bisogni dei lavoratori che non hanno prime pagine a disposizione, ma utilizzano il conflitto: saperlo ascoltare ci consente di varare buone leggi. Per questo motivo non ci possiamo permettere che vi siano interpretazioni discutibili e blande dei contratti e dello statuto dei lavoratori, dei quali nessuno (lo voglio sempre ricordare a me stessa) è stato da alcuno octroyé, ma conquistato da altri lavoratori in lotta.
Non possiamo consentire ciò nemmeno alla FIAT, né possiamo affidare tali episodi solo ad una magistratura del lavoro che, almeno a Melfi, presenta tempi elefantiaci. Si può e si deve intervenire, sottolineando, anche con la FIAT, che non si deve costruire un clima di caccia alle streghe. Si può anche promuovere, se lo si ritiene e io sento il bisogno di dirlo, un'indagine conoscitiva sulle condizioni di vita e il rispetto dei diritti nello stabilimento di Melfi, che è appunto il simbolo di una modernità e che rappresenta, all'interno del gruppo FIAT, sicuramente quello più moderno.
Si è scritto e discusso molto, infatti, sulla fabbrica di Melfi, in particolare sulla fabbrica snella. Tuttavia, è necessario comprendere i bisogni di chi lavora nella fabbrica snella. Sarebbe questo un modo importante per continuare a riflettere su questa modernità a partire da una delle esperienze che nel Mezzogiorno è indicata come una delle più alte provando a comprendere, però, il punto di vista di chi lavora.

(Situazione dei bilanci di esercizio di tutte le aziende sanitarie e ospedaliere della regione Puglia, in regime di commissariamento per il disavanzo sanitario, e rapporti delle medesime con alcune aziende operanti nel settore sanitario - n. 2-00785)

PRESIDENTE. Il deputato Leone ha facoltà di illustrare la sua interpellanza Pag. 77n. 2-00785, concernente la situazione dei bilanci di esercizio di tutte le aziende sanitarie e ospedaliere della regione Puglia, in regime di commissariamento per il disavanzo sanitario, e rapporti delle medesime con alcune aziende operanti nel settore sanitario (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 12).

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, nella Puglia governata da un politico che ha fatto la sua fortuna legando la propria immagine e la propria politica ad una serie di azioni nell'antimafia, nell'anticorruzione e contro i conflitti di interesse, avvengono delle vicende ben strane.
Una di esse, signor sottosegretario, è stata resa nota attraverso una denunzia presentata da un partito che affianca il presidente Vendola, nella conduzione del governo pugliese. Mi riferisco all'Italia dei Valori, che ha denunziato una situazione che definirei un po' odiosa, evidenziando che all'interno del sistema sanità vi sono, o meglio vi sarebbero, non sono parole mie, una serie di aziende intestate e cointestate a figli, nipoti e nonni dell'assessore alla sanità.
Si tratta di una serie di legami familiari con un'azienda, di cui peraltro non ricordo la ragione sociale, che viene addirittura costituita dopo l'insediamento in giunta dell'assessore alla sanità (quindi dopo le elezioni), e che, (nel corso di due anni) fa registrare un fatturato enorme, che, per un'azienda neocostituita, appare quanto meno sospetto se non si riflette sulla circostanza che ha stipulato una serie di contratti con il sistema della sanità pugliese e che addirittura è diventata una delle maggiori fornitrici di materiale sanitario nei confronti di strutture pugliesi, acquistando prodotti che successivamente venivano rivenduti alla sanità pugliese.
Secondo questa denunzia pubblica sembrerebbe che la Eurohospital avrebbe stipulato contratti con alcune aziende multinazionali finalizzate all'intervento nella sanità pugliese. Insomma, una serie di intrecci affaristici legati all'assessore alla sanità, con nomi e cognomi di figli, Carlo Tedesco, la moglie di Alberto Tedesco, tale Maria Cattaneo, un altro figlio e altri parenti. Tutti soggetti intrecciati in una famiglia legata alla sanità, gestita in Puglia dall'assessore Tedesco.
In quale contesto sono avvenute tutte queste vicende? Tale contesto è stato bene inquadrato nel titolo dell'interpellanza in esame: si arriva ad un commissariamento per eccesso di disavanzo della sanità pugliese.
Che cosa ci chiediamo e le chiediamo (e sicuramente avremo le risposte)? Quanto ha influito il predetto rapporto ai fini del disavanzo che si è venuto a creare? Chiediamo inoltre se vi è un evidente ed intollerabile conflitto di interessi che, quanto meno, minerebbe l'interesse dei cittadini pugliesi. Se, per quanto risulta al Ministro interpellato, le aziende Medical Surgery, Mednet srl, Aesse Hospital, Eurohospital, Af Medical, abbiano in corso o abbiano intrattenuto, a partire da giugno 2005, rapporti con le aziende sanitarie e ospedaliere della regione Puglia. Se è vero, chiediamo a quanto ammontino le liquidazioni che le aziende sanitarie e ospedaliere della regione Puglia hanno effettuato negli anni 2005, 2006 e 2007 in favore delle suddette ditte. Domandiamo inoltre a quanto ammontino i debiti, se ve ne sono, che le aziende sanitarie e ospedaliere della Puglia devono ad oggi ancora onorare a seguito di forniture effettuate dalle suddette ditte. Vogliamo sapere quali e quante strutture sanitarie pugliesi pubbliche abbiano acquistato materiale sanitario tramite la Eurohospital, dal momento della sua costituzione ad oggi. Desideriamo conoscere infine quale sia la situazione dei bilanci di esercizio costi-ricavi di tutte le aziende sanitarie e ospedaliere della regione Puglia al 31 giugno 2007. Sono domande semplicissime che ci possono dare, una volta che lei avrà fornito le relative risposte, signor sottosegretario, la reale situazione della tanto sbandierata sanità pugliese che ha fatto, come dicevo, la fortuna dell'attuale presidente Vendola, dal momento che quest'ultimo ha improntato tutta la sua campagna elettorale sulla riforma della sanità. Se così è, non si è trattato di una riforma proprio positiva.

Pag. 78

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Gian Paolo Patta, ha facoltà di rispondere.

GIAN PAOLO PATTA, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, con riferimento a quanto segnalato nell'atto parlamentare, questo Ministero ha provveduto ad acquisire il resoconto stenografico della seduta del consiglio regionale pugliese del 16 ottobre 2007, nella quale sono state discusse una mozione relativa al presunto conflitto di interessi riguardante l'assessore alla sanità, Alberto Tedesco, ed una interrogazione urgente concernente i rapporti commerciali tra Eurohospital, aziende multinazionali e strutture sanitarie pugliesi, pubbliche e private.
Ai fini della completezza e della chiarezza della risposta agli onorevoli deputati, si ritiene necessario riportare quanto riferito in tale seduta dall'assessore Tedesco e dai consiglieri regionali presenti che sono intervenuti nel dibattito. I consiglieri regionali hanno evidenziato che i contrasti in merito al presunto conflitto di interessi riguardante l'assessore Tedesco risalgono al momento dell'assegnazione della delega alla sanità, in occasione della quale l'assessore aveva assicurato l'imminente cessione delle aziende di sua proprietà, e sono vieppiù gravi in ragione del compito di vigilanza ricompreso tra quelli di competenza dell'assessore. I consiglieri regionali hanno sottolineato che, a distanza di 28 mesi dall'insediamento della giunta, tale conflitto continua a persistere. Secondo i consiglieri, nei primi giorni di ottobre l'assessore avrebbe riferito in via formale che le aziende di cui sono titolari i propri congiunti sono state cedute subito, mentre la società Medical Surgery è stata ceduta alla fine del 2006. L'unica società ancora nella disponibilità dei suoi congiunti sarebbe la Eurohospital, costituita successivamente alla sua nomina, ossia il 6 settembre 2005. Nondimeno, da quanto risulta agli atti della camera di commercio di Bari, risulterebbe costituita nel febbraio 2007 un'ulteriore azienda avente come attività la distribuzione e la vendita di materiale sanitario. Nel corso del dibattito l'assessore Tedesco ha nuovamente confermato di aver dismesso la partecipazione in due società nelle quali erano coinvolti i figli e la moglie, precisamente la Aesse Hospital e la Medical Surgery.
La sua partecipazione è oggi relativa alla sola società Eurohospital, che commercializza unicamente prodotti della società multinazionale Biomet, analogamente a quanto già fatto in precedenza dalla Medical Surgery e che, nel 2006, durante il primo anno di attività, ha fatturato 2 milioni 760 mila euro. L'assessore ha precisato che per il 2007 è prevedibile un fisiologico incremento del fatturato, che nel 2006 risulta pari all'1,19 per cento della spesa totale per beni e servizi registrata nel medesimo anno nella regione, che ammonta a 230 milioni 472 mila euro.
L'assessore, nel precisare che i materiali sanitari oggetto dei contratti della società citata sono materiali protesici sanitari e presidi chirurgici, ha specificato che sono stati commercializzati all'interno della sanità pugliese, pubblica e privata, con un equilibrio sostanziale di fatturato, ossia un milione 440 mila euro per le strutture pubbliche e un milione 320 mila euro per quelle private. L'assessore, relativamente all'acquisto di una Pet mobile in dotazione presso il Policlinico di Bari, ha fornito una documentazione che si mette a disposizione degli onorevoli interpellanti - vi è, infatti, un fascicolo dettagliato - predisposta dall'agenzia regionale sanitaria.

ANTONIO LEONE. Allora, se potevo, andavo alla regione a presentare l'interpellanza!

GIAN PAOLO PATTA, Sottosegretario di Stato per la salute. In sede di consiglio, l'organo regionale ha precisato che: «Il contratto fatto dall'Ares che ha gestito la gara di acquisizione della Pet mobile è il contratto più conveniente che sia stato fatto con la società che ha il monopolio di questi contratti, essendo l'unica che può disporre di una Pet mobile. Mi riferisco alla Alliance medical». Lo stesso ha, inoltre, riferito che attualmente in Puglia funzionano due Pet-Tac, una a Bari e una presso la Casa SollievoPag. 79 della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, consentendo, a quanto affermato dall'assessore, di smaltire pressoché completamente la domanda diagnostica proveniente dai cittadini pugliesi.
Per quanto riguarda il possibile conflitto di interessi, lo stesso assessore ha richiamato la legge 20 luglio 2004, n. 215 (la cosiddetta legge Frattini), ai sensi della quale il conflitto di interessi ricorre quando «il titolare di cariche di governo partecipa all'adozione di un atto, anche formulando la proposta, o omette un atto dovuto, trovandosi in situazione di incompatibilità ai sensi dell'articolo 2, comma 1, ovvero quando l'atto o l'omissione ha un'incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate, secondo quanto previsto dall'articolo 7 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, con danno per l'interesse pubblico». L'ambito soggettivo di applicazione della legge si estende al Presidente del Consiglio dei ministri, ai Ministri, ai Viceministri e ai sottosegretari di Stato.
L'articolo 1, comma 3, della suddetta legge prevede altresì che le regioni e le province autonome adottino disposizioni idonee ad assicurare il rispetto del principio secondo cui i titolari di cariche di governo, nell'esercizio delle loro funzioni, si dedichino esclusivamente alla cura degli interessi pubblici e si astengano dal porre in essere atti e dal partecipare a deliberazioni collegiali in situazione di conflitto di interessi. Al riguardo, l'assessore ha voluto evidenziare che la regione Puglia, ad oggi, non ha adottato la disciplina normativa prevista dalla norma citata. In sede di risposta a quanto precisato dall'assessore, è stato evidenziato nuovamente il ruolo dell'assessore stesso, in quanto responsabile della sanità e, quindi, al centro di rapporti continui con dirigenti sanitari pubblici e con case di cura private, in grado, dunque, di esercitare influenza nel settore sanitario. All'assessore viene, inoltre, rimproverato di non aver rifiutato la delega alla sanità per le ragioni da lui stesso rese pubbliche.
In particolare, è stato rilevato che lo stesso assessore ha sottolineato nel corso della seduta che, dopo la dismissione delle quote azionarie della società Medical Surgery, la quale ha operato ininterrottamente dal 2000 al 2005, commercializzando prodotti della Biomed, in quanto dette quote erano intestate a suoi parenti di primo grado, ma che tuttavia «dopo aver dismesso queste quote è stata creata una nuova società, la Eurohospital, che ha continuato a fare esattamente le stesse cose che faceva la società precedente, incrementando addirittura il fatturato», come riferito dal resoconto. Pertanto «gli stessi prodotti che vendeva Medical Surgery prima, dopo che i figli hanno ceduto le quote di Medical Surgery hanno costituito una società che si chiama Eurohospital, ha continuato a venderli in questa nuova società, incrementando il fatturato del 30 per cento nel 2006».
Si porta a conoscenza che la mozione e l'interrogazione urgente discusse nella seduta del consiglio regionale citata, votate a scrutinio segreto, non sono state approvate. In merito ai dati di bilancio relativi all'esercizio 2007, ai quali si fa riferimento nell'atto parlamentare, la Direzione generale della programmazione sanitaria di questo Ministero ha segnalato che al 30 giugno 2007 il risultato di esercizio del secondo trimestre 2007, rilevabile dal conto economico consolidato regionale, è di 197 milioni di euro. Tale dato, confrontato con quello del secondo trimestre 2006, rileva un decremento pari al 14 per cento circa. La stessa Direzione, peraltro, ha precisato che, per effetto di provvedimenti di contenimento della spesa adottati dalla regione nel corso dell'anno, e per effetto della contabilizzazione, tra i ricavi, dei contributi in conto esercizio come indicati nella delibera CIPE 2007 di riparto delle risorse per il servizio sanitario regionale, il risultato di esercizio su base annua dovrebbe migliorare, con una perdita presumibilmente attestata a fine anno intorno ai 165 milioni di euro.

PRESIDENTE. Il deputato Leone ha facoltà di replicare.

Pag. 80

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, è una risposta allucinante. Se lei, signor sottosegretario, pensa di essere venuto in quest'Aula a prendere in giro tutti i deputati che hanno sottoscritto l'interpellanza in esame si sbaglia. Quando ha finito, se mi concede un attimo di attenzione sottosegretario, se vuole un caffè glielo mandiamo. Posso proseguire?

PRESIDENTE. Prego, onorevole Leone, prosegua pure.

ANTONIO LEONE. Se lei, signor sottosegretario, ritiene di essere riuscito a prendere in giro i sottoscrittori di questa interpellanza è cascato male, in quanto lei non può venire in Aula per rispondere ad un'interpellanza di numerosi deputati pugliesi dei gruppi di Forza Italia, Alleanza Nazionale e UDC, riportando le dichiarazioni del (non dico imputato) «sottoposto all'interpellanza», che ha reso in sede di consiglio regionale. Mi chiedo cosa sia venuto a fare, in quanto potevo prendere il resoconto stenografico del consiglio regionale e avrei saputo cosa ne pensa il Ministero: nulla! Lei e il Ministero non avete risposto se vi è un conflitto di interessi, se l'azienda Eurohospital (che ha sostituito l'azienda dismessa precedentemente ed è stata costituita subito dopo l'assegnazione della delega all'assessore Tedesco) ha incrementato, non solo rispetto all'azienda precedente, gli introiti in maniera sostanziosa e per quale motivo. Evidentemente, ha incrementato le vendite delle aziende pugliesi, dove vi è l'assessore, il quale è praticamente coinvolto.
Per lei e per il suo Ministro ciò non significa nulla? Vi vantate di fare i moralizzatori« e, poi, venite a prendere in giro il Parlamento, dicendo che l'assessore si è discolpato perché non è accaduto assolutamente nulla! Non ritengo che sia dignitoso da parte del Ministero e da parte sua venire in Aula a dirci una serie di baggianate legate a ciò che l'assessore Tedesco ha sostenuto in consiglio regionale. Lei, signor sottosegretario, non ha risposto alle domande. Naturalmente presenteremo un'altro atto di sindacato ispettivo e constateremo se verrà con lo stesso resoconto stenografico del consiglio regionale. Ci deve rispondere se si tratta di un incremento legato ai rapporti avuti da questa azienda con l'assessorato e, quindi, con la Puglia e con l'assessorato Tedesco, che è interessato in quell'azienda.
Ci deve rispondere se una parte del dissesto a causa del quale, in relazione alla situazione sanitaria, la regione Puglia era stata commissariata, è legata anche ai debiti contratti per le forniture della società Eurohospital e che non sono stati pagati. Signor sottosegretario, non ha risposto alle cinque domande che, volutamente, le ho rivolto affinché lei mi rispondesse: i miei capelli ormai non ci sono più, ma, se ci fossero, sarebbero bianchi! Se vi è connivenza da parte del Ministero, allora lo si dica. Se vi è necessità di copertura, lo si dica, ma non si venga ad affermare in quest'Aula - riempiendosene la bocca - che vi è un'azione di risanamento nella sanità, quando poi accadono fatti simili. È l'ennesimo esempio di come, da parte della maggioranza e, principalmente, del Governo, si predichi bene e si razzoli male. Questa storia non è finita, signor sottosegretario Patta! Non siamo alla pari: le ho rivolto alcune domande e lei non mi ha risposto: dovrà essere costretto a tornare in quest'Aula a rispondermi.

(Rinvio dell'interpellanza urgente Licandro n. 2-00828)

PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Licandro n. 2-00828 è rinviato ad altra seduta.

(Rinvio dell'interpellanza urgente Migliore n. 2-00799)

PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta del Governo e con il consenso dei presentatori, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Migliore n. 2-00799 è rinviato ad altra seduta.Pag. 81
È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Venerdì 9 novembre 2007, alle 9,30:

Svolgimento di interrogazioni.

La seduta termina alle 19,30.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 7 novembre 2007, a pagina 40, seconda colonna, ventinovesima riga, il nome: «Anes» si intende sostituito dal seguente: «ANEF».

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 4
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. T.U. pdl 553-A - em. 2.121 444 439 5 220 72 367 76 Resp.
2 Nom. em. 2.111, 2.120, 2.63 457 452 5 227 65 387 75 Resp.
3 Nom. em. 2.250 parte I 417 223 194 112 208 15 75 Appr.
4 Nom. em. 2.119 431 426 5 214 19 407 74 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.