XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 228 di lunedì 22 ottobre 2007

[frontespizio]
[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
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[indice cronologico]
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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI

La seduta comincia alle 10,15.

SERGIO D'ELIA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 19 ottobre 2007.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Acerbo, Albonetti, Amato, Aprea, Aracu, Bersani, Bindi, Boco, Bonino, Capodicasa, Cento, Chiti, Colucci, D'Antoni, Damiano, De Castro, De Piccoli, Di Pietro, Di Salvo, Duilio, Fasciani, Fioroni, Folena, Forgione, Galante, Gentiloni Silveri, Landolfi, Lanzillotta, Levi, Maroni, Melandri, Minniti, Mussi, Leoluca Orlando, Parisi, Pecoraro Scanio, Pelino, Pisicchio, Pollastrini, Prodi, Realacci, Rutelli, Santagata, Sgobio, Visco ed Elio Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale Scotto; Bianchi; Boato; Bianco; Zaccaria ed altri; Franco Russo ed altri; Lenzi ed altri; Franco Russo ed altri; D'Alia; Boato; Boato; Casini; Di Salvo ed altri; Diliberto ed altri: Modificazione di articoli della parte seconda della Costituzione, concernenti forma del Governo, composizione e funzioni del Parlamento nonché limiti di età per l'elettorato attivo e passivo per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (A.C. 553-1524-2335-2382-2479-2572-2574-2576-2578-2586-2715-2865-3139-3151-A) (ore 10,18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale di iniziativa dei deputati Scotto; Bianchi; Boato; Bianco; Zaccaria ed altri; Franco Russo ed altri; Lenzi ed altri; Franco Russo ed altri; D'Alia; Boato; Boato; Casini; Di Salvo ed altri; Diliberto ed altri: Modificazione di articoli della parte seconda della Costituzione, concernenti forma del Governo, composizione e funzioni del Parlamento nonché limiti di età per l'elettorato attivo e passivo per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto della seduta del 17 ottobre 2007.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 553-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari L'Ulivo e Forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento, senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.Pag. 2
Ha facoltà di parlare la relatrice, deputata Amici.

SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, il testo del provvedimento che approda oggi in Aula, risente del clima che ne ha caratterizzato la gestazione in I Commissione. In quella sede, infatti, si è svolto un dibattito molto positivo fra forze di maggioranza e di opposizione, sebbene in un quadro di differenziazioni.
La discussione in Commissione ha evidenziato una serie aspetti, che sono poi le premesse sulla base delle quali i due relatori avevano ricevuto il mandato al fine di avviare un confronto in merito alla riforma della seconda parte della Costituzione, e, in particolare, relativamente ad alcuni articoli.
Ci si è sforzati di raggiungere tre obiettivi. Il primo, risponde a una necessità: il bisogno di modernizzazione delle istituzioni. Il secondo, è quello di rispondere alla richiesta, che emergeva nel Paese, di dare più forza ed efficienza al sistema di Governo. Il terzo, è quello di tentare una via, già altre volte provata, che avesse questa volta un perimetro molto ben delineato: quello di una discussione che riguardasse alcuni particolari articoli della Costituzione, senza impegnarsi a realizzare una grande riforma.
Si è partiti dal presupposto - e questo credo sia stato uno degli aspetti che ha più caratterizzato il lavoro dei relatori - di guardare a questa gradualità non come ad un elemento di minimizzazione, ma come ad una capacità di dare risposte concrete.
I relatori sono ben consapevoli dei nodi che il testo ha lasciato aperti, che devono trovare una soluzione anche all'interno del dibattito in Aula. Credo che, alla fine, il voto stesso con cui è stato affidato il mandato ai relatori abbia testimoniato la prevalenza dell'interesse per una discussione che riguardasse il funzionamento delle istituzioni sulla tentazione di ridurre il tutto, ancora una volta, alla semplice contrapposizione, salvaguardando quindi le questioni istituzionali e costituzionali dal gioco della politica.
Tali finalità rispondono ad alcuni elementi, riguardanti, in particolare, la necessità di adeguamento anche formale della Carta, di cui ricorre fra due mesi il sessantesimo anniversario dell'approvazione da parte dell'Assemblea costituente (avvenuta il 22 dicembre del 1947). Da un lato, infatti, ragionando su un adeguamento del testo costituzionale e non di una sua riforma radicale, si intende riconoscere la validità della Carta costituzionale dell'Italia post-bellica; dall'altro prendere atto dell'esigenza di un adeguamento significa rendersi conto che alcune delle scelte compiute oltre mezzo secolo fa dai padri costituenti in materia di ordinamento della Repubblica accusano l'usura del tempo e richiedono un aggiornamento.
Certo, quest'ultimo ha continuamente luogo anche in forme diverse dalla modifica formale, in ragione dell'apertura del progetto costituzionale, percepibile non solo nei principi previsti nella prima parte, ma anche nell'essenziale profilo del Governo parlamentare previsto nella seconda. Tuttavia, proprio per quanto attiene all'organizzazione costituzionale dello Stato, il lungo dibattito sulle riforme svoltosi dall'inizio degli anni Ottanta ad oggi ha isolato alcuni punti di consenso su due temi tra loro distinti, ma anche in un certo modo connessi.
Se, infatti, si ripercorre il lungo cammino segnato dal cosiddetto «decalogo Spadolini» (1982), dal Comitato Riz-Bonifacio (VIII legislatura), dalla Commissione Bozzi (IX legislatura), dalla Commissione De Mita-Iotti (XI legislatura), dal Comitato Speroni (1994), dalla Commissione D'Alema (XIII legislatura), dalla riforma del Titolo V nel 2001 e dal disegno di legge approvato dalle Camere nel 2005 e respinto dal corpo elettorale nel referendum confermativo del 2006, si individuano alcuni fili conduttori comuni, che attraversano progetti di riforma costituzionale pur molto diversi tra loro per vari aspetti.
Tali fili conduttori attengono a due grandi questioni: da un lato l'esigenza di superare il bicameralismo paritario, individuando nel Senato un'istanza di rappresentanza territoriale; dall'altro il rafforzamentoPag. 3del Presidente del Consiglio dei Ministri all'interno del potere esecutivo. Certo, non si può negare che i vari progetti di revisione costituzionale sin qui succedutisi abbiano individuato soluzioni fra loro molto diverse ai problemi ora accennati. Né si può tacere che tali progetti si sono fra loro differenziati per il grado di incisività delle riforme che proponevano e per la dimensione dello scostamento dall'ispirazione originaria della Costituzione. Tuttavia, pur fra queste differenze, si possono scorgere alcuni contenuti minimi comuni: ed è proprio su questi contenuti - sui quali si può forse ritenere che si sia formato un consenso «per intersezione» fra le varie forze politiche - che il presente testo tenta di intervenire.
Il metodo seguito ha privilegiato l'adozione di interventi mirati e limitati, pur se dalla portata fortemente innovativa. Questa scelta caratterizza il presente testo unificato di proposte di legge rispetto ai precedenti tentativi di realizzare una grande riforma onnicomprensiva. Il testo è perciò il frutto di un metodo pragmatico e graduale, che non impedisce affatto di affrontare, nei tempi e con il respiro necessario, le altre grandi questioni istituzionali che il Paese si trova dinanzi.
Dall'esperienza delle precedenti legislature ci giunge una lezione precisa, che è stata anch'essa adottata quale metodo: occorre evitare di complicare ulteriormente il funzionamento di un sistema già oggi sin troppo complesso. Tutti gli interventi mirano quindi a semplificare e a snellire il funzionamento delle istituzioni, e questo riteniamo debba essere il criterio fondamentale da adottare anche per migliorare e perfezionare il testo in esame, mirando altresì a conservare la sintesi e l'essenzialità che sono il pregio di un testo costituzionale.
Il bicameralismo paritario è, com'è noto, fonte di lentezza e di scarsa efficienza dell'azione di Governo. Ciò è ancor più visibile nel contesto attuale della democrazia bipolare e maggioritaria, ove il bicameralismo paritario rischia di paralizzare il funzionamento fisiologico delle istituzioni in presenza di (possibili, anche se improbabili) maggioranze contrastanti nelle due Assemblee parlamentari. L'esigenza di riformare il Senato si salda, d'altro canto, con un'istanza relativa all'assetto del sistema regionale italiano, rimasto incompleto a seguito della riforma del Titolo V della parte II della Costituzione approvata nel 2001. Tale riforma preannunciava un'ulteriore riforma della parte della Costituzione relativa alla composizione del Parlamento, con una formula - contenuta nell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 - che è stata considerata come una «promessa costituzionale». A tale promessa il testo in esame tenta di dare adempimento.
La trasformazione del Senato in un vero e proprio Senato federale della Repubblica, eletto su base regionale, dai consigli regionali e dai consigli delle autonomie locali è una scelta di grande rilievo, non priva certo di qualche controindicazione, ma finalizzata all'obiettivo di dare una voce ben identificata alle regioni nel Parlamento nazionale e, in particolare, nel procedimento legislativo. La modalità di elezione del Senato tiene conto, d'altro canto, della forma data alla Repubblica dall'articolo 114 della Costituzione, come riformato nel 2001: si tratta di un sistema che - pur attribuendo alle regioni una posizione privilegiata nella legislazione - valorizza fortemente anche il ruolo delle autonomie locali. A questa impostazione corrisponde la scelta di far eleggere i senatori dai consigli regionali e in misura minore dal consiglio delle autonomie locali.
Quest'ultimo organo dovrà d'altronde essere oggetto di alcune norme statali che ne prescrivano una omogeneità minima, che gli statuti regionali dovranno rispettare. A parte la novità rappresentata dai senatori eletti dalle autonomie locali, questo metodo di elezione del Senato riprende il noto modello del Bundesrat austriaco (ma il Senato delineato in questo progetto è ben più forte del Senato paritario), praticato anche in altri Paesi: in Spagna (peraltro solo per una minoranza dei senatori),Pag. 4negli Stati Uniti sino al 1913 e in India (articolo 80, 4 comma, della Costituzione del 1950).
In merito alla revisione del sistema bicamerale il testo, pur ritenendo necessario conservare al nostro ordinamento i caratteri di un sistema bicamerale, ha inteso procedere nel senso di un deciso superamento dell'attuale bicameralismo paritario, differenziando le due Camere con riguardo al titolo di legittimazione, alla composizione, alle modalità di partecipazione al procedimento legislativo e alla sussistenza del rapporto fiduciario con il Governo.
La trasformazione più profonda, come si dirà di seguito, riguarda proprio il Senato della Repubblica, ma anche la Camera dei deputati è oggetto di rilevanti interventi modificativi, con particolare riguardo alla composizione. L'articolo 2 del testo della Commissione, novellando l'articolo 56 della Costituzione, incide infatti sul numero dei deputati, che viene ridotto da 630 a 500, oltre al numero dei deputati eletti nella circoscrizione Estero. È questo uno degli aspetti su cui in Commissione si è registrato un consenso unanime senza distinzioni di sorta. Non viene modificata la disciplina dell'elettorato attivo, per il quale resta il suffragio universale e diretto; quanto all'elettorato passivo, l'età minima per essere eletti si abbassa invece dai 25 ai 18 anni.
Il Senato della Repubblica - come dispone l'articolo 1 del testo della Commissione, che riscrive il primo comma dell'articolo 55 della Costituzione - muta il suo nome in Senato federale della Repubblica. La nuova denominazione evidenzia la volontà di individuare nel Senato l'organo costituzionale che connota la scelta in senso federalista del progetto di riforma, l'organo nel quale si intende realizzare il raccordo tra le potestà legislative e normative delle autonomie territoriali e dello Stato - enti costitutivi della Repubblica, ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione - e la partecipazione del sistema politico regionale e locale alle funzioni «alte» dell'ordinamento costituzionale.
La maggior parte dei senatori è eletta da ciascun consiglio regionale, tra i propri componenti, con voto limitato al fine di garantire la rappresentanza delle minoranze. Le modalità di elezione saranno definite da una legge dello Stato. Il numero degli eletti in ciascuna regione varia in base alla popolazione, ma la natura dell'organo ha suggerito di abbandonare un criterio di stretta proporzionalità. In particolare, i consigli regionali eleggeranno: cinque senatori nelle regioni con popolazione sino a un milione di abitanti; sette senatori nelle regioni con più di un milione e fino a tre milioni di abitanti; nove senatori nelle regioni con più di tre milioni e fino a cinque milioni di abitanti; dieci senatori nelle regioni con più di cinque milioni e fino a sette milioni di abitanti; dodici senatori nelle regioni con più di sette milioni di abitanti.
Nelle regioni Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste e Molise i rispettivi consigli regionali eleggono un solo senatore. Un'ulteriore quota di senatori (uno nelle regioni sino a un milione di abitanti; due nelle regioni con popolazione superiore, anche in questo caso con voto limitato) è eletta in rappresentanza delle autonomie locali. Sono eleggibili i componenti dei consigli dei comuni, delle province e delle città metropolitane; il corpo elettorale è invece individuato nel consiglio delle autonomie locali.
Com'è noto, il consiglio delle autonomie locali è un organo di recente introduzione nell'ordinamento: esso è previsto dal quarto comma dell'articolo 123 della Costituzione, nel testo riformulato dalla legge di riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, che lo definisce «organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali» e ne rimette la disciplina ai singoli statuti regionali. Proprio per questo il testo ha cercato di introdurre un'ulteriore modifica affinché tale organo di consultazione sia disciplinato da una legge dello Stato; ciò al fine di fissare criteri omogenei per tutto il territorio nazionale. Si tratta, cioè, di corrispondere esattamente a quel bisogno del Senato come luogo - sul serio - della rappresentanza territoriale.Pag. 5
Per quanto concerne la funzione legislativa dello Stato il nuovo articolo 70, come novellato dall'articolo 7 del testo della Commissione, configura quattro diversi procedimenti legislativi. Questo è stato uno degli argomenti su cui, all'interno della Commissione, si è riflettuto fra le forze politiche.
Permangono ancora nel testo elementi di differenziazione tra le forze politiche, ma è proponimento degli stessi relatori, attraverso un atteggiamento ancora una volta di grande e profonda capacità di ascolto, di prestare attenzione al dibattito che si svolgerà in Assemblea, manifestando disponibilità ad accogliere quegli emendamenti che consentissero di migliorare il procedimento legislativo.
Il primo procedimento potrebbe definirsi «bicamerale paritario», ed in esso, non diversamente da oggi, Camera e Senato federale esercitano collettivamente la funzione legislativa; vi sono poi un procedimento «bicamerale a prevalenza Camera», nel quale il testo approvato, in prima lettura, dalla Camera dei deputati può essere modificato dal Senato federale, ferma restando in capo alla Camera la deliberazione sul testo definitivo; un terzo procedimento, secondo il quale, dopo l'approvazione da parte della Camera dei deputati, se le modifiche approvate dal Senato riguardano le materie di cui all'articolo 118, commi secondo e terzo, o 119, commi terzo, quinto e sesto, la Camera può ulteriormente modificarle o respingerle solo a maggioranza assoluta dei propri componenti; un quarto procedimento, nel quale è invece riservato al Senato l'esame del progetto di legge in prima lettura, spettando comunque alla Camera l'approvazione definitiva.
Il procedimento «bicamerale paritario», di cui al primo comma del nuovo articolo 70 della Costituzione, non presenta differenze rispetto a quello oggi in vigore (non a caso il nuovo testo conserva il termine «collettivamente», già presente nel vigente articolo 70). Esso richiede che i due rami del Parlamento esaminino, in successive letture, il progetto di legge e lo approvino nel medesimo testo.
Tale procedimento trova peraltro applicazione solo per alcune categorie di provvedimenti. Si tratta di quelli che direttamente incidono sull'assetto costituzionale, o definiscono il quadro delle regole generali che presiedono ai rapporti tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica (regioni, province, comuni, città metropolitane: ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione): le leggi costituzionali (per le quali resta ferma la procedura di cui all'articolo 138 della Costituzione, che richiede la doppia lettura da parte delle due Camere e consente il ricorso al referendum) e quelle in materia elettorale; le leggi che disciplinano gli organi di governo e le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane; l'ordinamento di Roma, capitale della Repubblica (articolo 114, terzo comma, della Costituzione); l'attribuzione a regioni a statuto ordinario di forme e condizioni particolari di autonomia (articolo 116, terzo comma, della Costituzione); le procedure e l'esercizio del potere sostitutivo con riguardo alla partecipazione delle Regioni alla «fase ascendente» e «discendente» del diritto comunitario e all'esecuzione degli accordi internazionali (articolo 117, comma quinto, della Costituzione), nonché il «potere estero» delle Regioni (articolo 117, comma nono, della Costituzione); le procedure per l'esercizio (nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione) dei poteri sostitutivi del Governo nei confronti di Regioni ed enti locali (articolo 120, secondo comma, della Costituzione); i principi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali (articolo 122, primo comma, della Costituzione); i principi fondamentali per la formazione e la composizione dei Consigli delle autonomie locali (articolo 123, quinto comma, della Costituzione, introdotto dall'articolo 18 del testo della Commissione); il passaggio di province o comuni da una regione ad un'altra (articolo 132, secondo comma, della Costituzione), il mutamento delle circoscrizioniPag. 6provinciali e l'istituzione di nuove province; le leggi che istituiscono e disciplinano le autorità di garanzia e di vigilanza (che in questa sede, e per la prima volta, trovano un riconoscimento a livello costituzionale); le leggi in materia di tutela delle minoranze linguistiche.
La generalità degli altri progetti di legge, ai sensi del riformulato terzo comma dell'articolo 70 della Costituzione, è invece esaminata e approvata in prima lettura dalla Camera dei deputati. Il Senato federale della Repubblica, al quale è trasmesso il testo approvato, su richiesta di un quinto dei suoi componenti può esaminarlo e (entro trenta giorni dalla trasmissione, termine ridotto alla metà per i disegni di legge di conversione di decreti-legge) può modificarlo. Spetta comunque alla Camera dei deputati pronunciarsi su tali modifiche in via definitiva. Le materie su cui è richiesta la maggioranza qualificata sono le seguenti: il conferimento di funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo e il coordinamento dell'attività amministrativa tra Stato e regioni in determinate materie (articolo 118, comma terzo, della Costituzione); l'istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale (articolo 119, comma terzo, della Costituzione); gli interventi speciali dello Stato in favore di determinati enti territoriali (articolo 119, comma quinto, della Costituzione); i principi generali di attribuzione del patrimonio a regioni ed enti locali.
Il secondo comma del nuovo articolo 70 della Costituzione individua una terza modalità di approvazione, riservata unicamente alle leggi che hanno lo scopo di determinare i principi fondamentali nelle materie rientranti nella competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione.
I relativi progetti di legge sono individuati dai Presidenti delle due Camere, d'intesa tra loro, per essere assegnati al Senato federale della Repubblica che, dunque, li esamina sempre in prima lettura.
Il testo esaminato ed eventualmente emendato dal Senato federale è trasmesso, dopo l'approvazione, alla Camera dei deputati, alla quale spetta l'esame in seconda lettura e l'approvazione in via definitiva. La Camera può dunque certamente modificare il testo approvato dal Senato: ma qualsiasi emendamento dovrà, in tal caso, essere approvato a maggioranza assoluta dei componenti l'Assemblea. È questo uno degli elementi forza, per dare conto di una modifica già avvenuta attraverso il Titolo V e che, in qualche modo, fornisce al Senato una prevalenza, rispetto ai progetti che riguardano le competenze concorrenti. Tuttavia, tale elemento confida nell'idea - proprio nel rapporto fiduciario alla sola Camera politica - che è possibile apportare modificazioni, innalzando il quorum dell'approvazione degli emendamenti esaminati dal Senato.
Gli articoli 14 e 15 del progetto di legge costituzionale intervengono rispettivamente sugli articoli 92 e 94 della Costituzione, che disciplinano la formazione del Governo e il rapporto di fiducia tra quest'ultimo e il Parlamento. La finalità perseguita è duplice: valorizzare la posizione del Presidente del Consiglio - sia nell'ambito dell'Esecutivo, sia nei rapporti con il Parlamento - e superare il bicameralismo perfetto che caratterizza anche la forma di governo parlamentare italiana, differenziando le due Camere sotto il profilo del rapporto fiduciario; ciò in correlazione con gli altri articoli del progetto di legge costituzionale, dei quali si è detto, che investono sia la composizione delle due Camere sia le modalità di esercizio della funzione legislativa.
L'articolo 15 introduce nel secondo comma dell'articolo 92 della Costituzione due sostanziali novità. La prima consiste nell'esplicito collegamento tra l'esercizio del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri da parte del Capo dello Stato e la volontà espressa dal corpo elettorale. Il testo novellato dispone, infatti, che la nomina abbia luogo «valutati i risultati delle elezioni per la Camera dei deputati».

PRESIDENTE. Deputata Amici, dovrebbe concludere.

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SESA AMICI, Relatore. La formulazione adottata mira ad evidenziare e rendere anche formalmente necessario tale collegamento senza, tuttavia, intaccare le prerogative costituzionali del Capo dello Stato, né ridurre la flessibilità necessaria in un così delicato passaggio istituzionale.
La riscrittura dell'articolo 94 della Costituzione, operata dall'articolo 15 del testo della Commissione introduce anch'essa due elementi di novità: la fiducia è accordata non più al Governo, bensì al Presidente del Consiglio dei ministri, che presenta il suo Governo alla Camera.
Vi sono poi altri punti che riguardano il ruolo del Presidente la Repubblica, alcuni elementi di coordinamento e la disciplina transitoria, che sono riportati nella relazione introduttiva al testo.
È del tutto evidente che ci siamo mossi nell'orizzonte di modificare alcuni punti rilevanti della seconda parte della Costituzione. Lo abbiamo fatto nella consapevolezza che lavorare con un metodo di gradualità avrebbe permesso di affrontare con serenità un dibattito difficile e complesso, ma che, proprio per la sua difficoltà e complessità, richiede da questo punto di vista la capacità di un testo che vorrei definire sobrio: la sobrietà delle questioni costituzionali e istituzionali non è segno di debolezza, ma di grande civiltà nella discussione politica tra le parti (Applausi - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore deputato Bocchino.

ITALO BOCCHINO, Relatore. Signor Presidente, nell'integrare la relazione della collega Amici, intendo anzitutto ringraziare il presidente della Commissione Affari costituzionali, Luciano Violante, per aver scelto una strada innovativa che ha già dato alcuni primi risultati. Tale strada consiste nel non considerare un tema così delicato e importante - abbiamo avuto anche esperienze negative nelle ultime due legislature - una questione di parte. Le riforme costituzionali riguardano la funzionalità delle nostre istituzioni: i poteri e la funzionalità del Parlamento e del Governo. Quindi, aver individuato due relatori, uno appartenente alla maggioranza e uno appartenente all'opposizione, per lavorare insieme alla stesura di questo testo, credo che sia un fatto innovativo, che ha già dato - come ho ricordato - alcuni primi risultati. Infatti, per la prima volta da molto tempo a questa parte, vi è stata in Commissione affari costituzionali, l'approvazione di un testo corposo, anche se non completo, di riforme costituzionali senza alcun voto contrario.
Il tema della riforma della Costituzione è ricorrente. Ormai sono molte legislature che ci si pone il problema di una Costituzione che, pur avendo dimostrato la validità del suo impianto, legislatura dopo legislatura, ci appare come un testo «vecchio», antiquato rispetto alla necessità di decisioni che oggi devono essere adottate rapidamente in politica e figlio di un'Italia che era appena uscita da una guerra civile e da una lunga autocrazia. Ciò ha fatto sì che il Parlamento si sia interrogato a lungo su come intervenire. Ci sono stati molti tentativi: anzitutto da parte di Commissioni bicamerali, di molte Commissioni bicamerali; poi tentativi attraverso l'articolo 138 della Costituzione, con il lavoro della Commissione affari costituzionali; infine gli ultimi due tentativi - del centrosinistra, due legislature fa, del centrodestra la legislatura scorsa - di dar vita a riforme costituzionali a colpi di maggioranza, che avevano un senso perché rispondevano alla logica di un mandato elettorale ricevuto dalla maggioranza degli elettori, ma non sono riusciti ad essere efficaci nel primo caso, e ad andare in porto nel secondo caso a causa della mancanza di conferma attraverso il referendum popolare.
Pertanto, il problema che ci siamo posti, con il presidente della Commissione, con i relatori e con tutti i componenti della stessa Commissione, è stato quello di trovare una strada che coinvolgesse non l'unanimità, ma una maggioranza quanto più ampia possibile, per introdurre riforme che potessero arrivare a compimento. Abbiamo lavorato sulle riforme possibili e siamo andati alla ricercaPag. 8di tutti i punti di contatto tra le forze politiche, tra i gruppi parlamentari, tra le coalizioni. I punti di contatto ovviamente sono minori di quelli che dovrebbero essere gli interventi.
Personalmente, ritengo che il Paese avrebbe bisogno di una grande riforma, affidata ad un'Assemblea costituente. Penso che per cambiare radicalmente la carta costituzionale ci sarebbe bisogno di un altro organismo, sganciato dalla quotidianità del confronto e del conflitto politico, perché è difficile litigare la mattina sulla legge finanziaria o su un decreto-legge e scrivere insieme le regole fondamentali di vita delle nostre istituzioni il pomeriggio. Tuttavia chi, come me, vorrebbe una grande riforma attraverso un'Assemblea costituente, riconosce con pragmatismo che oggi non ci sono le condizioni per dar vita ad un percorso del genere. Non sussistono le condizioni per riscrivere dal primo all'ultimo articolo la Costituzione, per superare la lentezza delle decisioni che, purtroppo, la nostra Costituzione prevede, per avere più democrazia diretta, per avere un sistema possibilmente presidenziale, dove chi è investito del mandato popolare possa decidere e poi rispondere dinanzi agli elettori. Per realizzare tutto ciò ci vorrebbero condizioni politiche che oggi non sussistono nel Parlamento. Pertanto, non con un accordo al ribasso, come qualcuno - sbagliando sostiene - ma con un accordo pragmatico, importante, con la ricerca di tutti i «sì» che ci uniscono e mettendo da parte i «no» che ci dividono, è necessario cercare di varare una riforma costituzionale che modifichi i punti ricordati, in modo da rendere più moderno e più funzionale il nostro sistema.
In sostanza, si è andati alla ricerca di una mediazione possibile, non di una mediazione al ribasso, ma di una mediazione alta, su temi condivisi. Si tratta di un passo avanti, sicuramente positivo, timido per alcuni, come me, che vorrebbero molto di più in tema di riforme costituzionali, ma comunque possibile, anche se appunto timido.
Analizziamo i punti importanti di questo provvedimento. Il primo è la riduzione del numero dei parlamentari, un tema che appartiene ai programmi elettorali sia del centrodestra sia del centrosinistra. La scorsa legislatura il centrodestra diede vita ad una riforma che riduceva sensibilmente il numero dei parlamentari e che poi fu bocciata con il referendum popolare. Oggi riproponiamo, con il voto favorevole, su questo punto, della stragrande maggioranza, della quasi unanimità, dei gruppi parlamentari, la riduzione del numero dei parlamentari. Si tratta di una riduzione importante, soprattutto in un momento in cui si critica tanto il ceto politico. Il Parlamento, credo, deve registrare le critiche, non tanto per il numero dei suoi componenti, quanto per la lentezza e l'incapacità, a volte, di prendere decisioni rapide a tutela degli interessi dei cittadini.
Oggi in Italia vi sono 945 parlamentari eletti dal popolo in un sistema di bicameralismo perfetto. La riforma prevede che si scenda da 945 a 500 deputati eletti direttamente (dunque quasi la metà), a cui si aggiungono i dodici deputati e i sei senatori eletti all'estero. Quindi avremo 518 parlamentari eletti direttamente, mentre i senatori saranno eletti di secondo grado dai consigli regionali, o di terzo grado dai consigli delle autonomie. Si tratta di una riduzione importante e sensibile che ci porta ad essere all'avanguardia dal punto di vista numerico e, soprattutto, in rapporto con la popolazione, a livello internazionale e sicuramente a livello europeo, dove forse siamo tra i primi (se non i primi). È una risposta importante, concreta e condivisa, nella quale noi abbiamo creduto e crediamo.
Vi è poi il superamento del bicameralismo perfetto, la cui logica aveva un senso molto importante negli anni in cui è stato scelto dai padri costituenti. Nel momento in cui si usciva da anni in cui il Parlamento sostanzialmente non era chiamato a decidere, pensare ad un meccanismo lungo di decisione, attraverso la «navetta» e il bicameralismo perfetto, significava allontanare, anzi, impedire (così com'è accaduto), il ritorno dell'autocrazia. Il bicameralismoPag. 9perfetto e la Costituzione che allungava i tempi della decisione hanno ottenuto tale risultato e l'Italia, infatti, non ha corso e non corre più rischi.
Oggi vi è un'altra esigenza: velocizzare i tempi delle decisioni politiche, perché è ciò che chiedono i cittadini. Quando dai sondaggi apprendiamo che gli elettori hanno voglia di un «uomo forte», in realtà si tratta di una risposta «di pancia» ad un'esigenza diversa; i cittadini hanno voglia di decisioni immediate, prese da chi si assume la responsabilità di farlo e guardano ad altri sistemi, quali quello francese, statunitense e tedesco, dove vi è maggiore capacità decisionale da parte di chi guida il Governo e maggiore rapidità da parte del Parlamento. Da noi, invece, mentre vi è rapidità nel sistema economico e in altri sistemi, vi è troppa lentezza nella decisione politica. Superare il bicameralismo perfetto significa, dunque, garantire un Governo in grado di ottenere risposte e coperture legislative dal Parlamento in tempi più brevi. Abbiamo scelto la strada di una Camera politica con i rappresentanti eletti direttamente che dà e revoca la fiducia al Governo e di una Camera di rappresentanza - il Senato federale della Repubblica -, introducendo il concetto di rappresentanza degli enti territoriali (regioni ed enti locali), attraverso l'elezione dei senatori da parte dei consigli regionali con voto limitato e, quindi, con la garanzia di una rappresentanza di maggioranza e di opposizione. Lo stesso vale per i rappresentanti dei consigli delle autonomie. In questo modo potremmo avere una Camera dei deputati in grado di assumere decisioni politiche e un Senato in grado di rappresentare gli interessi delle regioni e degli enti locali che oggi hanno un ruolo molto più importante di quello che avevano quando fu scritta la Costituzione. Avremo, inoltre, un Senato con un equilibrio tra le due coalizioni e che, quindi, non dovrà sostenere prove «muscolari» per costruire delle maggioranze, ma rappresenterà le istanze di assemblee legislative importanti, quali sono quelle regionali, e di soggetti amministrativi e politici altrettanto importanti, come le province e, soprattutto, i comuni, che si trovano costantemente a dover fare i conti con le esigenze dei cittadini, in particolare sui grandi temi. Pensiamo, infatti, a come è cambiato il rapporto tra i comuni e la questione della sicurezza o del fisco negli ultimi anni, solo per citare due grandi temi che sembrano interessare maggiormente i cittadini in questo momento. Superare il bicameralismo perfetto significa prevedere materie di esclusiva competenza della Camera e materie di competenza della Camera e del Senato, laddove vi è un interesse delle regioni su tali materie. Successivamente, ci siamo occupati di rendere più funzionale l'attività del Governo.
Oggi si è modificato il rapporto, anche in relazione all'iniziativa legislativa, tra Parlamento e Governo. Si deve prendere atto che, oggi, l'attività legislativa è svolta in gran parte dal Governo, attraverso decreti-legge inviati alla Camera e al Senato per la conversione e attraverso disegni di legge volti a rispondere all'elettorato, in quanto rappresentano la prosecuzione del programma presentato.
Si deve prendere atto, inoltre, che, oggi, la nostra Costituzione materiale è ben diversa da quella scritta. In Italia, infatti, vi è un sistema parlamentare nella Costituzione scritta e un sistema di premierato nella Costituzione materiale. Ci si presenta alle elezioni con simboli all'interno dei quali vi sono i nomi dei candidati premier; tuttavia, la Costituzione scritta prevede che il Presidente della Repubblica, teoricamente, il giorno dopo possa conferire l'incarico ad una persona diversa da quella scritta all'interno del simbolo grazie al quale la coalizione ha vinto le elezioni.
Dunque, non si può far finta che tutto ciò non esista e non si può far finta di non sapere che, oggi, l'attività d'iniziativa legislativa è, di fatto, demandata al Governo. Se uno schieramento vince le elezioni con il nome del candidato premier all'interno del simbolo e con un programma sottoscritto da tutti, è normale che il Governo abbia l'esigenza di sottoporre al Parlamento le iniziative legislative che rispondono a quel programma. Il Governo ha il dovere di farlo, perché così risponde alPag. 10mandato popolare. Tuttavia, spesso si scontra con il Parlamento, il quale, constatando che l'iniziativa legislativa del Governo non è normata costituzionalmente, la ritiene troppo pressante. Il Governo, pertanto, ha il problema di avere in Parlamento numerosi disegni di legge rispetto ai quali non ha garanzie né sull'approvazione, né sulla tempistica.
Dunque, abbiamo pensato di attribuire al Governo più forza sui disegni di legge e meno forza sui decreti-legge. Da una parte, vogliamo garantire al Governo e alla maggioranza il rispetto del proprio programma elettorale, con la possibilità, quindi, di presentare i disegni di legge in Parlamento e di avere una corsia preferenziale e tempi certi per la loro approvazione; dall'altra, vogliamo togliere al Governo la scusa dell'urgenza per strozzare il dibattito - come è accaduto tante volte, da una parte e dall'altra - con decreti-legge che si occupano di tutto lo scibile umano, che spesso non hanno alcunché di emergenziale, che non rispondono ai requisiti di necessità e di urgenza e che rappresentano l'unico strumento a disposizione del Governo per decidere velocemente.
Abbiamo cercato, quindi, di normare costituzionalmente ciò che lentamente si è affermato nella Costituzione materiale. Si tratta di una piccola parte, e si sarebbe dovuto fare molto di più, ma in tal caso non avremmo trovato un accordo. Ci siamo fermati al testo in esame, in quanto è sempre meglio arrivare a un risultato, seppur apparentemente minimo, e iniziare a modernizzare il nostro sistema.
In caso di approvazione della riforma, infatti, tutte le forze politiche potrebbero accorgersi che un maggiore decisionismo da parte del Governo non è pericoloso, né per il Parlamento, né per il Paese, ma potrebbe essere utile per rendere più funzionale e più veloce il nostro sistema politico. La proposta prevede l'inserimento nella Costituzione di alcune disposizioni che sembrano ultronee, ma che, in realtà, non lo sono. Laddove si stabilisce che il Presidente della Repubblica conferisce l'incarico «valutati i risultati delle elezioni», non si diffida della sua intelligenza e della sua sanità mentale - egli, ovviamente, dà l'incarico valutati i risultati elettorali - ma si va incontro al sistema di premierato sostanziale creatosi in Italia con l'evoluzione che i partiti, le coalizioni e l'elettorato hanno imposto con una democrazia diretta che passa attraverso le coalizioni e i simboli delle coalizioni, anziché attraverso la Costituzione. Dunque, siamo andati incontro a tale esigenza.
Lo stesso accade laddove si prevede che il Presidente del Consiglio possa proporre la nomina e la revoca dei propri Ministri. Non è possibile, infatti, che il Presidente del Consiglio (frutto, di fatto, di un'elezione diretta) non sia in grado di revocare un proprio Ministro che decida di non rispondere più alla logica di coalizione e di Governo, ma sia costretto ad utilizzare - come è accaduto nel Parlamento, e gran parte di noi lo ha vissuto - lo strumento della sfiducia parlamentare.
Il capo del Governo, per sostituire un membro del proprio Governo, si deve affidare ad altro organo costituzionale e ad altri proponenti, non potendo firmare la mozione di sfiducia, come Presidente del Consiglio e membro del Governo. Deve trovare componenti di altro organo costituzionale per revocare il membro di un proprio Governo. Ciò non è più possibile, con il sistema che è risultato dall'evoluzione degli ultimi quindici anni. Ecco perché prevediamo la nomina e la revoca dei ministri, e stiamo lavorando ancora, perché in Commissione non abbiamo concluso il lavoro sulla sfiducia costruttiva.
La sfiducia costruttiva è un grandissimo tema, ma dobbiamo stare molto attenti, perché, se è vero che la Costituzione materiale ci ha portato verso una sorta di premierato e di elezione diretta del premier, è anche vero che dobbiamo evitare che il Parlamento possa sfiduciare quanto, invece, ha votato la maggioranza dei cittadini. Dobbiamo trovare formule di sfiducia costruttiva che preservino le stesse maggioranze, in caso di problema di rapporto tra la maggioranza e la persona del Presidente del Consiglio. Occorre, quindi, studiare un meccanismo inPag. 11grado di garantire che la stessa maggioranza possa trovarsi anche a ricostruire un nuovo Governo, con un nuovo Presidente del Consiglio, evitando però che la sfiducia costruttiva sia un mezzo attraverso il quale si possa dar vita a ribaltoni, si possano creare maggioranze diverse e si possa dar vita a governi che non hanno alcuna legittimazione popolare ed elettorale.
Questo è il lavoro che abbiamo svolto. Infine, richiamo l'attenzione su un'altra modifica - in realtà, di natura formale - che abbiamo introdotto, quella dell'articolo 126 della Costituzione. Si prevede la possibilità, con decreto del Presidente della Repubblica, sentiti i Presidenti delle Camere, di scioglimento di un Consiglio regionale o di rimozione del Presidente di una Regione per gravi violazioni di legge o per ragioni di sicurezza nazionale. Dobbiamo intervenire per trovare una norma di chiusura, che la Costituzione, nell'ultima riscrittura dell'articolo 126, ha perso per strada, e anche per individuare le modalità di nomina di uno o più commissari di garanzia, che portino le regioni a elezioni, nel caso in cui si proceda con lo scioglimento del Consiglio regionale.
Concludendo, quindi, il nostro lavoro vuole consentire alle Camere l'approvazione di una riforma condivisa, che possa migliorare, modernizzare e velocizzare le nostre istituzioni. Non so se, come si sostiene, questo Parlamento non sarà nelle condizioni di approvare questa riforma, perché la legislatura sarà troppo breve, o perché in Senato lo scontro politico è tale per cui sarà difficile affrontare temi delicati, tra cui il superamento del Senato eletto direttamente dagli elettori, per dar vita a un Senato completamente diverso nelle funzioni e completamente innovativo nella composizione.
Ritengo comunque importante che, per la prima volta, si sia generato un lavoro comune che, in ogni caso, potrà servire in futuro come esempio per trovare strade condivise e accordi possibili, che modernizzino la nostra Costituzione, senza andare avanti a colpi di maggioranza, che nelle ultime due legislature non ci hanno portato a risultati felici (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Franco Russo. Ne ha facoltà.

FRANCO RUSSO. Signor Presidente, nessuno di noi, naturalmente, ha la sfera di cristallo per divinare il futuro. Di certo, aver portato in Aula la discussione sulle riforme costituzionali è già particolarmente incisivo, ed è un risultato politico e istituzionale particolarmente importante.
Come Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, faremo la nostra parte, come già abbiamo fatto in Commissione, affinché queste proposte di legge, nel testo unificato che ci hanno illustrato gli onorevoli Bocchino e Amici, possano andare avanti.
Devo innanzitutto ringraziare la relatrice, il relatore e il presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Violante, che si sono impegnati per raggiungere questo risultato con la collaborazione attiva - lo ripeto - dell'intera Commissione.
Vi è un primo dato politico-istituzionale particolarmente importante, che va sottolineato e manifestato all'opinione pubblica: per la prima volta dopo il 1992, dunque da quindici anni a questa parte, non discutiamo più di riforme istituzionali sulla base di Commissioni bicamerali istituite con legislazione speciale, vale a dire con una legge costituzionale, come avvenne nel 1992 con la Commissione cosiddetta Iotti-De Mita o nel 1997 con quella presieduta dall'onorevole D'Alema, che vennero appunto istituite con una legge costituzionale che derogava all'articolo 138 della nostra Carta costituzionale. Ci troviamo oggi di fronte ad una proposta di legge, a un testo unificato, che è statoPag. 12discusso secondo le modalità prescritte dall'articolo 138 della nostra Carta costituzionale, è stato valutato, emendato e votato in Commissione affari costituzionali, e portato in Assemblea per la discussione generale, che coinvolge tutti i deputati e le deputate. In tal modo interrompiamo un percorso speciale e ritorniamo ai dettami della nostra Carta costituzionale, a quella che è la norma delle norme della nostra Costituzione, ovvero all'articolo 138, e così facendo evitiamo che maggioranze politiche diventino maggioranze costituenti e che maggioranze politiche modifichino, per i loro scopi particolari, la Carta costituzionale.
Inoltre, diamo seguito anche a ciò che è emerso dal referendum sulla riforma proposta dal centrodestra, tenutosi il 25 e il 26 giugno 2006, quando, per la prima volta dopo molti anni, il popolo italiano ha garantito la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto (oltre il 52 per cento), rafforzando l'efficacia della consultazione: su 26 milioni 110 mila elettori ed elettrici, ben 15 milioni 798 mila (circa il 61 per cento) votarono no alla riforma proposta dal centrodestra. Si trattò - onorevole Bocchino, mi consenta questa franca discussione, che peraltro abbiamo già avuto in Commissione - di un voto contro la grande riforma.
Tutto ciò è contenuto implicitamente nell'articolo 138 della nostra Costituzione, perché laddove si prevede che la revisione costituzionale possa essere sottoposta a referendum, che si svolge attraverso un sì o un no, ne consegue evidentemente che le materie devono essere omogenee e puntuali. Dunque, l'articolo 138 ci invita ad intervenire con puntualità su singoli istituti della Carta costituzionale, e in tale direzione va la proposta di legge costituzionale in esame.
Concludo la premessa del mio intervento sottolineando che queste modifiche costituzionali riguardano un impegno politico sottoscritto dall'Unione. L'opinione pubblica deve essere ben consapevole del fatto che il Governo dell'Unione, almeno in questo campo, risponde a quanto abbiamo proposto e deciso in vista delle elezioni dello scorso anno, allorché nella prima parte del nostro programma, che scrivemmo sotto l'autorevole guida di Maria Luisa Torchia, affermammo che avremmo evitato riforme costituzionali a colpi di maggioranza, e che avremmo evitato che la maggioranza politica potesse per sue finalità di parte stravolgere la Carta costituzionale.
E così abbiamo fatto. Siamo andati alla discussione in Commissione affari costituzionali e, sotto la presidenza molto attiva ed efficace dell'onorevole Violante, abbiamo raggiunto un primo importante risultato: non ci sono stati voti contrari da parte dell'opposizione, dimostrando così che è possibile riformare la nostra Carta costituzionale, anche in parti fondamentali come è quella che attiene alla forma di Stato, senza ricorrere a colpi di maggioranza.
Tutto ciò - è un punto che ribadirò alla fine del mio intervento - è particolarmente importante per avviare eventualmente anche la revisione dell'articolo 138 della nostra Carta costituzionale nel senso di innalzare i quorum, perché - come ben sappiamo - tale disposizione fu pensata e scritta avendo come riferimento un sistema elettorale proporzionale, mentre attualmente abbiamo un sistema elettorale maggioritario. Quand'anche tornassimo a un sistema elettorale proporzionale, ritengo che l'innalzamento dei quorum costituirebbe comunque la garanzia per mettere in sicurezza e per assicurare la supremazia - «sicurezza e supremazia», come è espresso nel programma dell'Unione - della nostra Carta costituzionale. Ritengo dunque che sia stato raggiunto un primo risultato, quello di rimanere nei limiti della nostra Costituzione e di rispettare l'impegno preso con i nostri elettori.
Certamente vi sono dei punti di dissenso, che mi accingo a richiamare, come ho già fatto in Commissione affari costituzionali. Ad esempio, sulla proposta dell'onorevole Bocchino relativa all'assemblea costituente e all'idea della grande riforma e della democrazia immediata vi è discussione, dissenso, confronto e contrapposizione.Pag. 13Tutto ciò non ci ha impedito però di intervenire specificamente su alcuni istituti, anche con la partecipazione attiva dell'onorevole Bocchino, membro autorevole di Alleanza Nazionale, e con l'astensione, per quanto riguarda il mandato al relatore, da parte delle forze dell'opposizione.
Per quanto riguarda la riduzione del numero dei parlamentari, certamente si può affermare che riduciamo il numero dei parlamentari sull'onda e sotto l'urto della cosiddetta antipolitica, in altre parole della frattura che si va accentuando tra classi dirigenti e politiche, da un lato, e popolo, dall'altro, tra classi dirigenti, da un lato, e cittadini e cittadine, dall'altro. Tuttavia ritengo che tale riduzione risponda anche ad una logica molto ragionevole, derivante dalla profonda modifica apportata dal centrosinistra - anche se con il voto contrario di Rifondazione Comunista - al Titolo V della nostra Carta costituzionale.
Infatti, nel momento in cui le regioni diventano organo legislativo a competenza generale, e al Parlamento rimane una competenza legislativa esclusiva o concorrente nelle sole materie elencate dalla Costituzione, non possiamo avere una pluralità di sedi legislative, che sono doppioni che si moltiplicano, perché ormai dobbiamo fare i conti con un sistema regionale con pienezza di poteri legislativi. Quindi, insieme ai mille legislatori regionali non possiamo mantenere seicentotrenta deputati. Dunque, la riduzione è, a mio avviso, una modifica ragionevole, imposta ormai dalla logica di sistema, che viene anche incontro alla giusta esigenza manifestata dall'opinione pubblica di ridurre i costi della politica, nonché di rendere autorevole l'intervento del Parlamento, perché non è detto che una ragionevole riduzione non possa comportare una migliore organizzazione dei lavori.
Ho parlato, signor Presidente, di ragionevole riduzione, perché nel momento in cui l'organo legislativo nazionale, vale a dire il Parlamento, deve riflettere gli interessi, gli ideali e le diverse conformazioni sociali del nostro Paese, è ovvio che una riduzione eccessiva del numero dei parlamentari intaccherebbe la possibilità di rappresentanza generale. Considerato che la Camera dovrebbe essere, e sarà, come lo è stato finora, l'organo della rappresentanza politica, non possiamo innalzare la soglia d'accesso, perché altrimenti si minerebbe la possibilità di rappresentanza e la pluralità della stessa. Pertanto ritengo che una riduzione a 500 deputati per la Camera sia una riduzione ragionevole, che non pregiudica in maniera drammatica - cioè rendendo impossibile l'operatività parlamentare - i diversi gruppi che le cittadine e cittadini decidono di inviare in Parlamento.
Su questo tema, signor Presidente, dirò anzitutto che il mantenimento della circoscrizione Estero sia per la Camera sia per il Senato, ma soprattutto per la Camera, non ci convince in alcun modo; infatti, essendo il nostro ramo del Parlamento, nella proposta che stiamo discutendo, la Camera politica, riteniamo abbastanza incredibile che cittadini non presenti sul territorio nazionale debbano incidere sull'indirizzo politico. Per tale motivo abbiamo presentato - li discuteremo - emendamenti soppressivi della circoscrizione Estero sia alla Camera sia al Senato. Però, abbiamo raggiunto un buon risultato, signor Presidente, con la proposta unitaria sulla riduzione dei parlamentari.
La vera grande riforma - anche se, in realtà, incide su un singolo istituto - è relativa alla forma di Stato; si tratta, infatti, della proposta di trasformare il Senato in una Camera delle regioni e delle autonomie locali. Si è voluto parlare nel testo in esame di Senato federale della Repubblica: credo, però, che vadano rispettate le diverse culture politiche.
Parlando a titolo strettamente personale, sono un convinto federalista, aderendo a quel federalismo proprio degli scritti di Silvio Trentin, un federalismo dalle radici sociali che, partendo dal basso, riorganizza le cellule della società e federa la società, via via, verso i livelli più alti per poter decidere collettivamente le questioni che riguardano i cittadini nelle loro vestiPag. 14di lavoratori e lavoratrici: non di utenti o consumatori, ma di soggetti portatori di propri ideali e valori.
Sono un convinto federalista, ma, signor Presidente, credo che dobbiamo lasciar da parte le questioni culturali generali - che pure, ripeto, hanno una loro importanza - e, individuando l'effettivo oggetto del nostro esame, discutere le misure vere che proponiamo con la proposta di revisione costituzionale. Ovviamente si tratta della mia interpretazione.
Ritengo, signor Presidente, che la questione concernente il Senato sia stata da sempre molto travagliata nel nostro sistema istituzionale: se non ricordo male e non cito erroneamente, perché cito a memoria, in Assemblea costituente ben 102 emendamenti, su 1663 presentati, riguardavano il Senato, proprio perché si trattava di un argomento molto delicato.
Vi furono anche grandi costituenti come Costantino Mortati che ripresentarono la proposta di un Senato delle professioni. Consapevole, però, di cosa era stato il sistema delle corporazioni durante il fascismo, il costituente, alla fine, preferì una Camera di compensazione e di riflessione.
Tutti questi anni ci hanno accompagnato con il sistema bicamerale paritario, descritto molto bene nelle due relazioni che hanno introdotto il dibattito in corso, dove è sottolineata anche la difficoltà di procedere ulteriormente con un tale assetto.
Però, signor Presidente, secondo il mio punto di vista e senza arroganza, la riflessione vera che dobbiamo fare riguarda i motivi per i quali oggi necessitiamo di una revisione del procedimento legislativo. Questa, a mio avviso, è la questione centrale. In tale riflessione ci possono aiutare i lavori che l'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati ha prodotto durante questi anni.
Il risultato di fondo cui, a mio avviso, pervengono tali rapporti ruota intorno all'idea di legislazione complessa. Essendoci oggi una pluralità di interventi legislativi e una pluralità di organi chiamati a decidere a livello legislativo - e non solo a livello amministrativo ed esecutivo -, la legislazione è diventata organizzata: molto spesso le leggi individuano, fissandone le relative procedure, i compiti attribuiti ai diversi livelli legislativi; di frequente il sistema delega a livelli inferiori le decisioni finali tracciando, nella legge generale o nella legge di principi, o i procedimenti oppure, appunto, i principi generali che devono guidare la legislazione dei livelli chiamati a intervenire successivamente.
Tale tema della legislazione complessa si arricchisce anche del livello europeo perché siamo chiamati a tradurre in legge anche le direttive e le decisioni europee; anche in questo caso, il Parlamento o le regioni sono chiamate a svolgere un compito che non è solo di completamento, ma è anche di individuazione delle decisioni finali attinenti ad una certa materia.
Su ciò, a me sembra che lo sforzo fatto dall'Osservatorio sulla legislazione nel focalizzare tale complessità della legislazione costituisca un'acquisizione particolarmente importante. La legislazione complessa - che, naturalmente, oggi è incardinata nel titolo V della nostra Carta costituzionale - risponde all'esigenza di regolare e procedimentalizzare con legge la dinamica dei rapporti tra la pluralità di coautori dei moderni processi di Governo. In questi casi, il ricorso alla legge serve solo per definire obiettivi, metodi e procedure, e riflette anche il modo in cui il Parlamento, oggi, organizza tali procedure.
Certamente, vi è anche una patologia, perché nella legislazione complessa, ossia nell'intervento legislativo multilivello, molto spesso - e su ciò concordo in pieno con l'onorevole Bocchino - il Governo e il Consiglio dell'Unione «la fanno da padrone». Molto spesso si ricorre a deleghe legislative - peraltro non sempre ben definite - con un ruolo centrale, quindi, del Parlamento. Proprio l'uso delle deleghe rappresenta, dunque, un intervento per «riparlamentarizzare» le procedure per la definizione della legislazione complessa; si richiede, vale a dire, un intervento del Parlamento affinché il potere dell'Esecutivo non sia più esclusivo e predominante ma, al contrario, il Parlamento stesso torniPag. 15ad essere l'organo supremo della nostra legislazione, ove l'espressione «supremo» deve essere intesa in termini non di posizione apicale, ma di raccordo tra diversi livelli di legislazione. Infatti - e colgo così uno dei punti positivi, se non l'unico, della riforma del Titolo V della Costituzione (la legge costituzionale n. 3 del 2001) - stiamo costruendo un sistema istituzionale pluralistico in cui l'organo supremo non è più individuabile in una singola istituzione, neppure nel Parlamento, ma nel cui ambito, tuttavia, il Parlamento diventa un punto di snodo e di raccordo tra diversi livelli legislativi, intermedio tra l'Europa e gli enti infrastatuali.
Da questo punto di vista anche la definizione contenuta nell'articolo 114 della Costituzione - secondo la quale «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato» - supera, a mio avviso, la concezione puntuale e puntiforme della sovranità (quasi potesse esistere, ancora oggi, un sovrano all'interno delle società politiche, quando invece, ormai, la sovranità è decentrata e articolata coinvolgendo non solo organi legislativi, ma anche altre espressioni istituzionali come, ad esempio, a mio avviso, la Corte costituzionale).
Questo è il tema che abbiamo di fronte, ossia come riarticolare ed attribuire nuovamente agli organi eletti direttamente dai cittadini e dalle cittadine la funzione legislativa, anche controllando e limitando la funzione dell'Esecutivo e facendo in modo che - in questa procedura, anche negoziale, della legislazione - non vi sia un intervento dei cosiddetti poteri forti esterni al circuito politico, ma vi sia, al contrario, l'intervento dei circuiti rappresentativi eletti dai cittadini.
A mio avviso, signor Presidente, questo è il grande tema. Per tale motivo, come affermavo poc'anzi, pur rispettando in pieno la discussione sulle culture federaliste o meno federaliste, ritengo che abbiamo l'esigenza di riarticolare il sistema istituzionale. Inoltre, signor Presidente, tanto è vera questa mia posizione che - dopo la modifica del Titolo V della Costituzione, in particolare dell'articolo 117, terzo comma, che individua le materie di legislazione concorrente tra Stato e regioni - la Corte costituzionale è stata chiamata ad un lavoro di ridefinizione delle competenze, con un impegno intellettuale a mio avviso di grande portata. Non ho il tempo, né voglio annoiare a lungo quest'Assemblea, tuttavia voglio riferirmi almeno alla sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale.
A mio avviso, in tale sentenza, la Corte costituzionale raggiunge due risultati importanti - che noi dobbiamo rispettare - in quanto, in questi anni, è riuscita a gestire il rapporto Stato-regioni supplendo, in un certo qual modo, anche all'attività del Parlamento.
La prima considerazione svolta in tale sentenza è che non esistono più ambiti precisi di competenze nettamente distinguibili tra lo Stato e le regioni, cioè non è più possibile avere una ripartizione per materie, perché ormai la legislazione, essendo, come osservavo poc'anzi, complessa, è una legislazione di finalità, con ciò intendendo che sullo stesso oggetto e sulla stessa materia intervengono diversi livelli legislativi.
Per questo motivo, la Corte costituzionale è stata in grado di recuperare all'intervento dello Stato anche materie che il legislatore della revisione costituzionale del 2001 aveva affidato alle regioni; ad esempio, la Corte, ispirandosi ai principi di leale collaborazione e sussidiarietà, ha stabilito che è impossibile distinguere la materia della gestione del territorio da quella urbanistica, pur essendo l'una appannaggio delle regioni e l'altra dello Stato, cioè la prima di competenza delle regioni e la seconda dello Stato.
Pertanto, la Corte costituzionale ha costruito, anno per anno, sentenza per sentenza, un sistema di raccordo tra Stato e regioni non più ispirato alle singole materie ma alle finalità per cui una determinata legge viene varata. La stessa Corte costituzionale, ispirandosi ai principi di sussidiarietà e leale collaborazione,Pag. 16ha invitato ad una reciproca collaborazione Stato e regioni le cui competenze tendono a saldarsi.
Un altro punto di grande interesse culturale, prima ancora che politico-istituzionale, è rappresentato dalla definizione di interesse nazionale che la Corte costituzionale individua. Infatti, sempre con la sentenza n. 303 del 2003, la Consulta afferma che tale definizione ormai non è più risolvibile in una semplice equazione dell'interesse nazionale con la competenza statale in quanto secondo l'articolo 114 poc'anzi richiamato una pluralità di istituzioni convergono nel definire tale interesse.
Come ho già detto, la Corte costituzionale ha compiuto un lavoro costituzionale di grande levatura perché ha neutralizzato la nozione hobbesiana di sovranità (secondo la quale sono gli organi apicali quelli che dettano la legge: sic volo, sic iubeo), chiamando una pluralità istituzioni a definire l'interesse nazionale.
Per questo motivo, l'intervento che oggi ci si propone di compiere non risponde semplicemente ad istanze di cultura federalista, bensì, ormai, all'esigenza di rendere ragionevole e funzionante il nostro sistema istituzionale.
Signor Presidente, parlando a titolo personale ho affermato di essere un convinto federalista. Sono convinto che la proposta avanzata dalla Commissione sia molto interessante e intelligente. Essa, pur ispirandosi al modello austriaco, a differenza di quest'ultimo conferisce molti poteri al Senato, che non rappresenta, per così dire, un orpello istituzionale ma ha la possibilità di intervenire.
Ritengo - lo proporrò nell'ambito del Comitato dei nove e successivamente anche all'Assemblea - che dovremmo anche correggere un punto delle prescrizioni contenute nell'articolo 3, laddove si prevede il voto limitato per l'elezione dei senatori. Vi è un'ispirazione garantista per le minoranze e ritengo che al riguardo potremmo riprendere l'articolo 35 della Legge fondamentale austriaca (volto a rispettare la rappresentanza proporzionale all'interno dei consigli regionali), per evitare che le minoranze non vengano garantite.
Inoltre, vi è un secondo punto che vorrei far presente. Condivido in pieno la proposta presentata. Tuttavia, non si tratta dell'unica proposta di revisione delle funzioni del Senato possibile. Ad esempio, vi è un ampio saggio di Roberto Bin e Ilenia Ruggiu - che ho qui davanti a me - i quali sostengono che la seconda Camera di rappresentanza dei territori è una Camera fondamentalmente paragovernativa.
Bin e la Ruggiu sostengono che lo stesso Senato americano, e ancor più il Bundesrat tedesco, sono nati piuttosto per esser compartecipi della funzione di Governo che non per essere compartecipi della funzione legislativa, e che solo nel corso degli anni c'è stata un'evoluzione di questi organi verso funzioni legislative. E dunque la proposta di Bin e Ruggiu - ma non sono gli unici ad avanzarla - potrebbe essere quella di un sistema monocamerale, che prevedesse la Camera più il sistema delle Conferenze Stato-regioni e Stato-autonomie locali; ovviamente, non come sono oggi definite ma dando loro maggiori e più incisivi poteri, che peraltro in questo saggio Bin e la Ruggiu delineano. Possiamo quindi tratteggiare anche una riforma del Senato che vada verso un sistema monocamerale, con una Camera politica e con un sistema delle Conferenze Stato-regioni-autonomie locali, senza una seconda Camera a livello nazionale. È - guardate - una proposta possibile, una proposta pensabile; rimango convinto del voto che ho dato in Commissione, però vorrei che rimanesse agli atti della Camera anche una possibile proposta di riforma monocamerale senza un Senato della Repubblica che rappresenti il sistema delle autonomie.
Signor Presidente, se la Camera adotterà la proposta della Commissione - vale a dire, un Senato con funzioni legislative -, dovremmo a mio avviso intervenire con ancora maggior nettezza sull'articolo 70 della nostra Carta costituzionale, quello che disciplina il procedimento legislativo. Dobbiamo infatti tener fede al proposito diPag. 17adottare un'opzione per una sola Camera politica, la Camera dei deputati, la Camera che ha come competenza l'indirizzo politico del Paese, che esercita il controllo sul Governo, che esprime la fiducia allo stesso. Se è così, dobbiamo rendere più semplice e agevole le procedure di cui all'articolo 70 della Costituzione come modificato dall'articolo 7 del testo in esame prevedendo che solamente nei primi dei casi indicati - riguardanti, tra l'altro, le leggi di revisione costituzionale e leggi in materia elettorale - intervenga anche il Senato; in tutti gli altri casi ritengo che la procedura debba iniziare e concludersi alla Camera, con un potere emendativo rafforzato da parte del Senato superabile con un voto a maggioranza assoluta della Camera dei deputati stessa.
Ci sono altri punti, signor Presidente (e mi avvio alla conclusione) su cui il gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea si confronterà nel corso del dibattito in Assemblea. Il primo è che noi non condividiamo, onorevole Bocchino, l'inciso di cui all'articolo 92 della Costituzione come modificato dall'articolo 14 del testo in esame «(...) valutati i risultati delle elezioni per la Camera dei deputati (...)», inciso finalizzato ad affidare l'incarico di Presidente del Consiglio. Ciò, proprio per i motivi che l'onorevole Bocchino, con molta onestà, ha riconosciuto: essendoci ormai un sistema elettorale che prevede l'indicazione del nome del premier sulle schede elettorali, dobbiamo rafforzare la tendenza verso un premierato forte nel nostro Paese. Noi con questo rafforzamento dei poteri del premier - che preferiamo chiamar sempre Presidente del Consiglio - non siamo d'accordo, riteniamo che vada difesa la collegialità dell'organo Governo; d'altra parte, semmai la Camera dovesse approvare, signor Presidente, la sfiducia costruttiva, essa contraddirebbe l'espressione «valutati i risultati delle elezioni per la Camera dei deputati». La sfiducia costruttiva rappresenta infatti proprio lo strumento che consente di modificare le maggioranze se si modificano gli orientamenti politici all'interno del Parlamento.
La democrazia parlamentare ha dalla sua la flessibilità, la possibilità di adattarsi ai mutamenti che si avvertono nell'opinione pubblica.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

FRANCO RUSSO. Ho finito, signor Presidente. Per questo noi ci batteremo per la sfiducia costruttiva.
Signor Presidente, il sistema che abbiamo previsto complessivamente si ispira al modello tedesco; per questo anche abbiamo presentato un disegno di legge per il sistema elettorale che si ispira a quello tedesco.
Allo stesso modo - e mi avvio signor Presidente verso la conclusione, ringraziandola per i secondi aggiuntivi che mi ha concesso - ci auguriamo che, dopo l'approvazione di questo testo unificato di proposte di legge costituzionale, si possa porre mano anche all'innalzamento del quorum previsto dall'articolo 138 della nostra Carta costituzionale. Ciò, lo ripeto, perché per noi la sicurezza e la supremazia della Costituzione sono fondamentali; non è infatti la politica che deve guidare la Costituzione, ma è quest'ultima che deve guidare la politica (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e L'Ulivo).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della scuola primaria «Salvatore Valitutti» del 71o circolo didattico di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare il deputato Brancher. Ne ha facoltà.

ALDO BRANCHER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, debbo anzitutto svolgere una premessa che attiene ai rapporti fra maggioranza e opposizione in un sistema parlamentare.
Per molti anni - più di cinquanta - le modificazioni apportate alla nostra Costituzione sono state ampiamente condivise da maggioranza ed opposizione (o, perlomeno, non sono state approvate con il voto contrario di quest'ultima). Tale convenzionePag. 18è venuta meno, per la prima volta, nel 2001, in occasione dell'approvazione della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione: una riforma che fu infatti votata da una sola parte - il centrosinistra - delle forze politiche. È altrettanto vero che anche la riforma da noi presentata nella scorsa legislatura subì la stessa sorte.
In questa luce, va detto che, nel corso della discussione in Commissione, abbiamo preso atto del fatto che - a dispetto delle dichiarazioni di principio - numerose proposte, ragionevoli ed equilibrate, avanzate dal gruppo di Forza Italia, non sono state prese assolutamente in considerazione: una scelta che certo non costituisce un buon avvio per un procedimento necessariamente lungo e complesso.
Un secondo aspetto da sottolineare è rappresentato dai numerosi punti di convergenza fra la riforma costituzionale approvata dal Parlamento nella scorsa legislatura - e poi non confermata dal successivo referendum - e il progetto di modifica attualmente in discussione. Ciò testimonia che numerose delle scelte adottate da quella riforma erano valide; peraltro, va detto che essa aveva recepito una serie di proposte contenute negli emendamenti presentati da parlamentari all'epoca l'opposizione.
Scelte quali la riduzione del numero dei parlamentari, l'istituzione del Senato federale quale espressione della rappresentanza delle autonomie territoriali, la differenziazione fra le funzioni delle due Camere, la modificazione della forma di Governo, sono condivise e coincidono almeno in parte con le soluzioni allora individuate. Tuttavia, taluni aspetti del presente progetto di riforma sono molto criticabili, poiché non forniscono una risposta alle aspettative e alle esigenze che si dovrebbero soddisfare: mi riferisco soprattutto alla questione della legittimazione popolare diretta del Presidente del Consiglio, o Premier, alle funzioni del Senato federale, alle norme cosiddette anti-ribaltone.
Vorrei a questo punto affrontare taluni aspetti del testo della riforma che per ora desidero esaminare in una prospettiva complessiva e generale.
Un primo aspetto, che è senz'altro da condividere, è costituito dalla riduzione del numero dei parlamentari. Nel testo approvato nella scorsa legislatura, tale riduzione portava i deputati a cinquecento più diciotto eletti nella circoscrizione Estero: l'attuale articolato, dal canto suo, prevede cinquecento deputati più dodici eletti nella circoscrizione Estero. L'esperienza insegna però che, per raggiungere un obiettivo del genere, occorre affrontare e risolvere i problemi di praticabilità che possono ingenerare perplessità nel ramo - o nei rami - del Parlamento dei cui componenti si propone una significativa riduzione. Se dunque si intende giungere davvero a scelte praticabili ed efficaci, occorre studiare un'adeguata - ma non per questo semplice - normativa di carattere transitorio per un più morbido passaggio alla nuova composizione.
Anche la riduzione del numero dei senatori costituisce un elemento ampiamente condivisibile: i senatori dovrebbero, infatti, passare a centoottantasei, di cui sei eletti nella circoscrizione Estero. Le stesse difficoltà previste per la riduzione dei deputati potrebbero riproporsi per i senatori, con l'aggiunta di un ulteriore elemento: la diversa natura e le diverse funzioni eventualmente attribuite al Senato rispetto ad oggi.
Anche in questo caso, la nostra esperienza (la legge costituzionale da noi approvata riduceva i senatori a duecentocinquantadue) ci induce a ritenere che, soprattutto in ragione della modifica alla radice della composizione e delle funzioni del Senato, occorra un'adeguata normativa di carattere transitorio.
Un secondo elemento da esaminare è costituito dalla permanenza dei senatori eletti nella circoscrizione Estero. In un Senato federale eletto su base regionale dai consigli regionali e dai consigli delle autonomie locali, lascia a dir poco perplessi la scelta di mantenere sei senatori eletti nella circoscrizione Estero, chePag. 19avrebbero un carattere «spurio» rispetto agli altri senatori. Come si possono ricondurre alla base regionale? Come giustificare la loro elezione - a differenza dei senatori eletti in ciascuna regione - a suffragio universale e diretto? Come spiegare una situazione quasi paradossale al Senato, ossia parità di funzioni per senatori eletti con un diverso tipo di legittimazione popolare? La nostra riforma, per esempio, aveva individuato una soluzione diversa: manteneva inalterato il numero complessivo di deputati e senatori eletti all'estero (in numero di diciotto), prevedendone la presenza nella sola Camera dei deputati.
Un terzo aspetto è dato dalla modificazione dell'elettorato attivo e passivo: per la Camera l'elettorato passivo viene fissato a diciotto anni. La nostra riforma modificava l'elettorato passivo, abbassandolo a ventuno anni per la Camera e a venticinque per il Senato, mentre uniformava l'elettorato attivo a diciotto anni per entrambi i rami del Parlamento. La scelta indicata dal provvedimento di riforma in discussione dell'abbassamento a diciotto anni è, nel complesso, condivisibile, né si vedono ragioni per mantenere l'attuale distinzione di età tra elettorato attivo e passivo.
Esaminiamo ora come dovrebbe essere composto il Senato federale. Com'è noto la nostra riforma costituzionale manteneva inalterato il carattere diretto dell'elezione del Senato, laddove il carattere regionale derivava, invece, dalla contestualità tra elezione dei consigli regionali ed elezione dei senatori. Inoltre, ciascun gruppo di senatori eletti nella regione cessava di far parte del Senato al rinnovo del rispettivo consiglio regionale, con il subentro dei nuovi eletti: il ciclo politico regionale di ciascuna regione determinava così il rinnovo parziale dei senatori della regione.
Non del tutto diversa è la scelta adottata dal testo in esame, con forme di rinnovo parziale del Senato in corrispondenza con il ciclo politico regionale. Tuttavia, la forte differenza è data dal carattere indiretto dell'elezione: i senatori di ciascuna regione vengono eletti dal rispettivo consiglio regionale al proprio interno e dal consiglio delle autonomie locali tra i componenti dei consigli comunali o provinciali o delle città metropolitane.
Pongo alcune domande: quale tipo di legittimazione avrebbe un consigliere regionale rispetto ai propri colleghi non eletti al Senato? Inoltre, quale reale possibilità avrebbero i senatori di partecipare costantemente - e talora contestualmente - ai lavori del consiglio regionale e del Senato federale con inevitabili conseguenze per il numero legale dei due organi? Ancora, qual è il senso di una compresenza, a parità di poteri, di senatori espressione delle regioni e di senatori espressione degli enti locali della regione? Mi permetto di formulare un'osservazione: la funzione legislativa del Senato è funzione di cui le regioni sono titolari, a differenza degli enti locali che ne sono privi.
Un elemento di grande rilevanza è dato dalle funzioni svolte dalle due Camere, argomento questo che determina o meno il carattere realmente federale del Senato. A tale riguardo svolgo due osservazioni. In primo luogo, se il Senato diventa espressione vera delle autonomie, appare difficile mantenere in capo a quel ramo del Parlamento il rapporto fiduciario con il Governo. In secondo luogo, non bisogna dare per scontata l'individuazione di una soluzione realisticamente praticabile e accettabile dai due rami per quanto concerne il riparto delle competenze e delle funzioni, che dovrebbe essere chiaro, equilibrato, ma soprattutto capace di dirimere eventuali conflitti che dovessero insorgere in ordine al riparto delle competenze stesse.
In base al testo in esame sembra troppo penalizzato il ruolo del Senato, con competenze troppo limitate rispetto al suo carattere federale e rappresentativo delle autonomie. Ad esempio, in materie come la concorrenza, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e le norme generali sull'istruzione, di competenza esclusiva statale, hanno un carattere trasversale che taglia pressoché tutte le materie di competenza regionale. Su taliPag. 20materie è del tutto sproporzionato negare un incisivo ruolo del Senato e al Senato nel procedimento legislativo, ovverosia la possibilità di stare su un piano paritario con le Camere. Inoltre, nel testo in esame non è presente un qualsiasi meccanismo di conciliazione tra le due Camere in caso di disaccordo. Non vi è, altresì, un qualsiasi meccanismo di raccordo che consenta di risolvere uno dei nodi più intricati, ossia il riparto di competenze tra le due tipologie di provvedimenti. In altre parole, chi dovrebbe decidere le modalità di esame di un determinato progetto di legge, secondo le varie procedure previste? Occorre conciliare governabilità e rappresentanza delle autonomie nel Parlamento nazionale e individuare metodi di risoluzione delle controversie. A tali esigenze il testo in esame non sembra dare adeguate risposte.
Passo ora ad esaminare la forma di Governo e la legittimazione dell'Esecutivo nel testo in esame. La riforma in discussione mantiene sostanzialmente inalterato l'attuale sistema, ossia in un primo momento si svolgono le elezioni e successivamente si decide, discrezionalmente, sulla formazione del Governo. Nella nostra riforma si prevedeva, invece, la candidatura alla carica di Primo Ministro attraverso il collegamento con i candidati. Veniva così costituzionalizzato il collegamento diretto tra elettorato e Primo Ministro, come pure tra Governo e sua maggioranza parlamentare. L'obiettivo evidente era quello di rafforzare gli elementi di governabilità del sistema e di chiara individuazione, da parte dell'elettorato, del Premier, incardinando il ruolo del Governo nella leadership del Primo Ministro.
In ordine al potere di dare e revocare la fiducia al Governo, è giusto e naturale attribuire alla sola Camera dei Deputati tale potere, ma non è sufficiente. Secondo Forza Italia è ormai necessario prevedere chiaramente che il Governo, nominato sulla base del risultato elettorale, viva e muoia con la stessa maggioranza. In termini divulgativi ciò significa un no chiaro, in Costituzione, ai ribaltoni, ai cambi di schieramento o in dispregio alla volontà del corpo elettorale.
Allo stesso modo siamo fermamente convinti che si debba ipotizzare il cambio del capo dell'Esecutivo con soluzioni quali la sfiducia costruttiva, purché ciò non si traduca in ribaltoni e cambi di schieramenti che non trovino legittimazione nella volontà del corpo elettorale. In tal senso la disposizione contenuta nella nostra riforma costituiva, ancora una volta, una soluzione più che valida che avevamo riproposto in maniera chiara con un nostro emendamento presentato in Commissione, senza trovare però ascolto.
Un'ultima osservazione: sarebbe quanto mai auspicabile accompagnare la riforma con corrispondenti adeguamenti dell'articolo 95 della Costituzione. Tale articolo, che disciplina il ruolo e le responsabilità dei Ministri e del Presidente del Consiglio, è ignorato dal testo unificato in discussione. Si tratta di una serie di adattamenti circa il ruolo e i poteri del Primo Ministro che così riassumo. In primo luogo, spetta al Primo Ministro nominare e revocare i Ministri. In secondo luogo, il primo Ministro determina e ne è responsabile (e non soltanto dirige, come oggi è previsto), la politica generale del Governo. In terzo luogo, il Primo Ministro garantisce l'unità di indirizzo politico e amministrativo, oltre a promuovere e coordinare l'attività dei Ministri, secondo quanto attualmente previsto dalla Costituzione.
Vi sono altri aspetti non certo marginali che il testo unificato disciplina, che nel complesso sono da condividere come, ad esempio, la disciplina dei decreti legge, l'esame parlamentare degli schemi di decreti legislativi, i quorum relativi alla presentazione e discussione della mozione di sfiducia.
Nel complesso il testo in esame presenta tuttora forti limiti e difetti che saranno ulteriormente evidenziati nel corso dell'esame dell'articolato ((Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Boato. Ne ha facoltà.

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MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signor presidente della I Commissione, signori relatori, colleghi deputati, riprendiamo oggi un cammino, più volte interrotto, di riforma costituzionale, relativamente ad alcuni aspetti della seconda parte della Costituzione, che riguarda l'ordinamento della Repubblica, dopo una lunga storia parlamentare al riguardo.
I colleghi relatori, Sesa Amici e Bocchino, hanno ricordato, nel testo della relazione scritta (pregevole) e anche nella relazione orale, da parte della collega Amici, molto sinteticamente - forse l'ha fatto anche il collega Bocchino - il lungo percorso che risale all'VIII legislatura (che per me è stata la prima legislatura di presenza in Parlamento), rievocando il cosiddetto «decalogo Spadolini» e i due Comitati che si istituirono nelle due Commissioni affari costituzionali, di Camera e Senato, al termine della legislatura (il Comitato Riz e il Comitato Bonifacio, dai nomi dei presidenti delle due Commissioni), la Commissione bicamerale, ma solo con poteri consultivi, presieduta dal compianto collega Bozzi nella IX legislatura, la prima Commissione bicamerale con poteri referenti istituita con legge costituzionale: la cosiddetta Commissione De Mita-Iotti, dal nome dei due presidenti che si sono succeduti nella XI legislatura, di cui personalmente ho anche fatto parte. È stato anche ricordato un Comitato consultivo istituito nel corso del primo Governo Berlusconi, presieduto dal senatore Speroni nella XII legislatura e, da ultimo, è stata ricordata la Commissione D'Alema (XIII legislatura), istituita, come la Commissione De Mita-Iotti, con una legge costituzionale ad hoc.
È stato, inoltre, ricordato ovviamente - tornerò sull'argomento - ciò che è stato fatto invece con la procedura ordinaria prevista dall'articolo 138 della Costituzione alla fine della XIII legislatura, con la parziale riforma del Titolo V della Costituzione e il più ampio e ambizioso disegno di riforma approvato dal centrodestra nel corso della precedente legislatura, respinto con il referendum oppositivo o confermativo (a seconda dei punti di vista) che si tenne nel giugno del 2006.
Vorrei, tuttavia, ricordare - in questa sorta di heri dicebamus, di ripresa del percorso del processo riformatore, che sta prendendo avvio oggi in quest'Aula - che la storia che ci ha preceduto non è soltanto di tentativi totalmente o parzialmente falliti. Infatti, nella XIII legislatura approvammo in Parlamento, a larghissima maggioranza, proprio riprendendo una parte del testo di cui io stesso ero stato relatore nella Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema, la profonda modifica dell'articolo 111 della Costituzione, costituzionalizzando i principi del giusto processo. Tutto ciò avvenne attraverso la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2.
Vorrei, inoltre, ricordare che, sempre nella XIII legislatura e sempre a larghissima maggioranza (quasi all'unanimità), approvammo la modifica radicale della forma di Governo regionale, anche quella contenuta nel Titolo V della parte seconda della Costituzione, ma mirata soltanto su alcuni articoli, introducendo nella Costituzione l'elezione diretta dei presidenti delle regioni e attribuendo - fu una novità assoluta - la piena autonomia statutaria - ovviamente, nel quadro dell'ordinamento costituzionale - alle regioni stesse, con la legge costituzionale 22 novembre 1999 n. 1. Tale autonomia statutaria, debbo affermarlo con rammarico, non è stata ancora esercitata da alcuna regione, a distanza di otto anni. Successivamente, al termine della XIII legislatura, lo ricordava poco fa anche il collega Brancher, sia pure da un punto di vista diverso, abbiamo approvato in Parlamento, fu la terza riforma costituzionale della predetta legislatura, la riforma di alcuni aspetti più ampi rispetto a quelli riguardanti solo la forma di governo regionale, concernente il Titolo V della parte seconda della Costituzione, in materia di forma di Stato. Si trattò della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che fu confermata, per questo motivo la data è successiva all'approvazione parlamentare,Pag. 22dal referendum popolare, che si tenne proprio nell'ottobre 2001, ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione.
È vero - l'abbiamo affermato più volte, anche con accenti autocritici - che la riforma del Titolo V, quella del 2001, non quella dell'elezione diretta dei presidenti delle regioni e dell'introduzione dell'autonomia statutaria, prende spunto dalla riforma del Titolo V, che fu, alla fine, approvata dalla sola maggioranza di centrosinistra. Ancora oggi riflettiamo tutti se sia stato opportuno vararla in tal modo. Tuttavia, per ragioni di verità storica e parlamentare, bisogna anche ricordare che essa riprendeva pressoché alla lettera gli aspetti riguardanti la forma di Stato che erano stati elaborati nel corso della Bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema. Su tali aspetti si era riscontrata, sia nella predetta Commissione bicamerale, sia nell'inizio dell'esame da parte dell'Assemblea, una convergenza amplissima da parte di tutte le forze politiche, sia di maggioranza (anche allora di centrosinistra), sia di opposizione. Soltanto nella fase conclusiva, l'opposizione, approssimandosi ormai il termine della legislatura, sottrasse il suo consenso ad una riforma che però nella Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema e anche nel primo esame da parte dell'Assemblea, secondo le procedure prevista dalla stessa Bicamerale, era stata ampiamente condivisa.
Voglio pacatamente ricordare ciò, perché non è stata la stessa esperienza che poi si ebbe nella legislatura successiva, la XIV, prima con il tentativo di imporre soltanto la materia specifica della cosiddetta devolution, poi con i cosiddetti lavori della «baita di Lorenzago» (soltanto evocare questo ricordo fa capire che l'ambito di elaborazione non era propriamente parlamentare, ma vagamente extra-parlamentare).
Un disegno di amplissima riforma di gran parte della seconda parte della Costituzione, alla fine, di oltre 50 articoli, fu proposto, per certi versi imposto, dalla maggioranza di allora, di centrodestra, senza alcuna condivisione da parte dell'opposizione, di centrosinistra. Pertanto è vero che, in entrambi i casi, alla fine l'approvazione fu della sola maggioranza, ma nel primo caso - la riforma del Titolo V - c'era stato un lavoro comune di elaborazione e di condivisione, venuto meno nella fase conclusiva, nel secondo caso - la riforma di gran parte della seconda parte della Costituzione nella scorsa legislatura da parte del centrodestra - una condivisione, un confronto e una capacità di trovare larghe convergenze con l'allora opposizione di centrosinistra non furono mai realizzati. Non è un caso, anche per questo motivo oltre che per motivi soprattutto di merito, che l'ultima riforma trovò l'opposizione del corpo elettorale - fu bocciata, per dirla con una linguaggio semplice - nel referendum popolare che si tenne nel giugno del 2006.
Non si tratta di un caso che, sempre nella fase conclusiva della scorsa legislatura, sia stata imposta unilateralmente da parte del centrodestra, allora maggioranza, non direi la riforma, ma il totale stravolgimento della legge elettorale, con quella legge elettorale, più volte è stato ricordato in quest'aula, che lo stesso principale responsabile - non l'unico, per la verità - l'allora Ministro delle riforme istituzionali Calderoli, successivamente definì «una porcata» e ancora più tardi «una porcata riuscita male». Ripeto, non è un caso che alla fine della scorsa legislatura sia stata imposta unilateralmente anche la riforma, o meglio lo stravolgimento, della legge elettorale (che oggi non ha più né padri né madri), interrompendo - lo voglio ricordare, perché non molti lo ricordano - un iter avviato da mesi in Commissione affari costituzionali della Camera, allora presieduta dal collega Donato Bruno, un iter di riforma condiviso, della legge Mattarella, arrivato fino alla data dell'8 settembre del 2005, quando fu messo in atto il colpo di mano istituzionale che portò all'imposizione, in poche settimane, in pochissimi mesi, della nuova legge elettorale, alla soglia dell'appuntamento elettorale del 2006.
Anche per queste vicende che hanno preceduto il nostro lavoro odierno, sia sul versante costituzionale sia su quello elettorale,Pag. 23anche per queste ragioni, nell'elaborazione del programma dell'Unione, cui io stesso ho partecipato con molti colleghi, per quanto riguarda la parte delle riforme istituzionali ed elettorali abbiamo affermato il principio e l'indirizzo, che abbiamo mantenuto fedelmente, che mai più si sarebbero dovute perseguire riforme costituzionali o elettorali in forza della sola maggioranza pro tempore di Governo. Questi sono lo spirito e la finalità, vale a dire trovare non l'unanimità, che sarebbe praticamente impossibile e forse nemmeno auspicabile, ma una larghissima convergenza parlamentare, che abbiamo perseguiti fin dall'inizio della presente legislatura. Credo che il progetto riformatore che oggi inizia il suo iter in quest'Assemblea abbia in sé evidenti i segni politici e istituzionali della ricordata finalità, dello spirito con cui abbiamo lavorato, sotto la guida egregia del presidente Violante e con un grande sforzo di collaborazione fra tutti noi e fra i due relatori nominati dallo stesso presidente Violante.
È stato ricordato più volte, anche da uno dei due relatori, dal collega Bocchino, che si tratta di due relatori appartenenti una, la collega Amici, al centrosinistra, l'altro, lo stesso collega Bocchino, al centrodestra. Ma non sono un relatore di maggioranza e uno di opposizione, sono entrambi relatori di maggioranza. Ciò fa la differenza dal punto di vista istituzionale.
In quest'Aula non c'è un relatore di minoranza; ci sarebbe potuto essere, ai sensi del nostro Regolamento se, alla fine dei lavori in sede referente in Commissione, il collega Brancher, ad esempio, che ha parlato abbastanza criticamente poco fa, ma molto pacatamente, o qualche collega del suo gruppo, Forza Italia, avesse voluto rivendicare e annunciare una relazione di minoranza che, invece, non c'è. Quindi, all'esame dell'Assemblea vi è un progetto con due relatori di maggioranza, uno dei quali appartiene alla maggioranza di governo, mentre l'altro appartiene all'opposizione, ma entrambi hanno ricevuto il mandato da parte del presidente della Commissione di guidare il nostro lavoro riformatore e di accompagnarlo fino alle soglie di quest'Aula e oltre.
Per non ripetere sempre e solo le osservazioni, le valutazioni e le informazioni che, uno dopo l'altro, coloro che intervengono stanno giustamente fornendo all'Assemblea e, tramite essa, anche all'esterno, all'opinione pubblica, vorrei ricordare aggiuntivamente che abbiamo iniziato questa legislatura con una amplissima indagine conoscitiva, per così dire bicamerale, nel senso che è stata condotta in modo congiunto dalle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato (quest'ultima è presieduta dal senatore Enzo Bianco), sul Titolo V della Costituzione. La materia in esame, che ha vissuto una profonda riforma in due tappe - prima sulla forma di governo regionale, poi sulla forma di Stato, nel corso della XIII legislatura - nel corso della fase iniziale dell'attuale legislatura è stata fatta oggetto di una amplissima indagine conoscitiva che ha coinvolto tutti i soggetti istituzionali, sociali, imprenditoriali, nonché della dottrina, che potevano essere interessati al tema. Ciò ha consentito di focalizzare tutta la complessa problematica, anche sotto il profilo della giurisprudenza costituzionale e del corretto funzionamento del sistema Paese, anche in termini economici e sociali. Dopo la conclusione dell'esame da parte di questo ramo del Parlamento di questa parte di riforma costituzionale che non riguarda, se non marginalmente, il Titolo V, si potrà e si dovrà assistere (lo auspico) alla ripresa dell'esame da parte della Commissione affari costituzionali sempre di questo ramo del Parlamento (in base ad una sorta di riparto informale di competenze tra le due Camere), della possibile revisione di alcuni aspetti della riforma del Titolo V che ormai, dall'esperienza di sei anni, sono apparsi come i più problematici e che più hanno dato occasione per un intervento imponente da parte della Corte costituzionale e hanno portato, quindi, a un'imponente collazione e collezione di giurisprudenzaPag. 24costituzionale, preziosa anche sotto il profilo dell'orientamento del futuro lavoro di riforma costituzionale.
Come è stato espresso bene nella relazione scritta dei due relatori e ripetuto dalla collega Amici nella sua parte di relazione, al nostro esame vi è oggi un provvedimento che non ha ambizioni onnicomprensive, né l'aspirazione di essere totalizzante rispetto all'intera problematica della seconda parte della Costituzione che ormai, da quasi vent'anni, nelle varie tappe che abbiamo ricordato, è sottoposta alla riflessione dei Parlamenti che si sono succeduti. Vi è, invece, un progetto che focalizza alcuni temi essenziali, oltre ad altri aspetti «minori» ma comunque importanti.
I tre temi essenziali - l'hanno già ricordato tutti i colleghi che mi hanno preceduto, ma lo ripeto anch'io, perché è inevitabile - sono quelli del superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto con un bicameralismo differenziato e quindi, conseguentemente, della profonda modifica del procedimento legislativo che, nell'ambito del bicameralismo perfetto, è giuridicamente semplicissimo, ma politicamente molto complesso, poiché prevede il meccanismo della navette tra Camera e Senato finché non si arriva ad una doppia lettura conforme dello stesso testo legislativo; infine, la terza questione - ma non è terza per importanza - attiene alla modifica della riforma della forma di governo.
Dunque, come ricordavo, oggi non si affronta un disegno di riforma onnicomprensivo, bensì un disegno mirato ad alcuni specifici obiettivi di riforma di grande portata. L'altro aspetto di grande rilevanza è che si agisce secondo le procedure ordinarie previste dall'articolo 138 della Costituzione. A tal proposito, vorrei svolgere una riflessione incidentale. Pur essendo personalmente presentatore di due proposte di legge costituzionale miranti alla riforma futura ed eventuale dell'articolo 138 della Costituzione e pur essendo anche cofirmatario di una terza proposta - sempre di riforma dell'articolo 138 della Costituzione sottoscritta da molteplici esponenti appartenenti a diversi gruppi dell'Unione - ritengo, tuttavia, inopportuno porre in tale fase, come prioritaria, la questione di una possibile revisione dell'articolo 138.
A mio parere - e a parere della maggior parte dei membri della Commissione affari costituzionali, che ha esaminato il tema nella fase iniziale della legislatura - è opportuno anzitutto verificare la concreta praticabilità di una più ampia possibile convergenza sulla riforma di specifici aspetti della seconda parte della Costituzione (ovvero quelli che sono al nostro esame oggi e che saranno al nostro esame quando si riprenderà la riflessione sul Titolo V della Costruzione) Soltanto nella seconda parte della legislatura dovremmo, e potremmo, eventualmente riflettere insieme sull'opportunità di una revisione dell'articolo 138 della Costituzione, in ordine al profilo che va sotto il nome giornalistico (e non solo) di « messa in sicurezza della Costituzione». Ho presentato alcune proposte di legge al riguardo (in quanto si tratta di un tema a me caro) e ritengo che anche per l'eventuale futura riforma dell'articolo 138 della Costituzione dovremmo - e dovremo - procedere sulla base di una larga convergenza. Soltanto se vi sarà una larga convergenza parlamentare un'iniziativa di tal genere potrà riguardare uno degli articoli chiave, ovvero il penultimo della Costituzione (l'ultimo riguarda la non revisionabilità della forma repubblicana). Ripeto, quindi, che l'articolo 138 rappresenta l'articolo di chiusura del sistema, è importantissimo e delicatissimo e lo potremmo, o potremo, eventualmente modificare solo se vi sarà una larga convergenza parlamentare. Tale convergenza sarà eventualmente possibile solo se sarà stata sperimentata prima, nel merito, una larga convergenza parlamentare delle riforme che oggi - e, successivamente, anche con la riflessione sul Titolo V - sono già al nostro esame.
Tutta l'attuale proposta di riforma costituzionale all'esame dell'Assemblea - come già è stato ricordato e lo ricordo anch'io sinteticamente - è improntata su vari aspetti. Un primo aspetto, che rappresentaPag. 25un profilo di grande impatto sull'opinione pubblica all'esterno del Parlamento, è relativo ad un equilibrato e non demagogico contenimento numerico della rappresentanza politica in Parlamento. Come è già stato ricordato, se questo provvedimento sarà approvato la Camera passerà da 630 componenti a 512: 500 eletti nel territorio della Repubblica italiana e dodici eletti (in quanto già previsti dalla Costituzione) nella cosiddetta circoscrizione estero. Nel testo del provvedimento non è prevista una definizione numerica del Senato, tuttavia, se si elaborano le varie previsioni contenute nella nuova formulazione dell'articolo 57 della Costituzione in ordine alla composizione del Senato, risultano 184 membri, più sei eletti nella circoscrizione estero.
Credo sia importante, in questo momento, mandare, ai cittadini italiani residenti all'estero e anche ai senatori e deputati che in questa legislatura, per la prima volta, sono stati eletti nella circoscrizione Estero, un segnale di rassicurazione e di rasserenamento rispetto a ventilate ipotesi di riduzione, poiché la Commissione affari costituzionali ha confermato - e mi auguro lo faccia anche l'Assemblea - la composizione della loro rappresentanza (dodici alla Camera e sei al Senato), così come previsto dal testo vigente della Costituzione, modificato nella XIII legislatura.
Un ulteriore aspetto - lo cito all'inizio, perché ha un impatto significativo e importante sull'opinione pubblica e, più generale, sul nostro Paese - è caratterizzato da un abbassamento di tutte le soglie di età. Per quanto riguarda l'elettorato passivo, oggi si può essere eletti alla Camera dei deputati soltanto a venticinque anni e al Senato soltanto a quarant'anni, mentre si può votare per il Senato soltanto a venticinque anni. Con la proposta di riforma al nostro esame, invece, tutte le suddette soglie di età vengono abbassate all'età in cui un cittadino diventa maggiorenne, ossia a diciotto anni. Ciò ha un senso, perché un conto è il Senato concepito come una sorta di Camera alta, di moderazione, come previsto nei progetti originari, altro conto è se il Senato assume una funzione di rappresentanza dei territori o, in termini tecnici, di rappresentanza del sistema delle autonomie regionali e locali. Sotto questo profilo, anche se non succederà concretamente, sappiamo che un diciottenne ha titolo per essere eletto presidente della regione Lombardia o sindaco di Roma, di Milano o di qualunque altra città. Se, in teoria, a diciotto anni - ovviamente è una possibilità giuridica - si può arrivare ad essere sindaco di Roma o presidente della regione Lombardia o di qualunque altra regione, è evidente che non avrebbe senso che questa stessa soglia di età, vale a dire la maggiore età, non fosse prevista anche per l'elezione alla Camera e al Senato. In questa logica di ringiovanimento, anche sotto il profilo costituzionale, del nostro sistema politico e istituzionale, si colloca anche la riduzione della soglia minima per l'eleggibilità alla carica suprema nel nostro Paese, quella di Presidente della Repubblica, da cinquanta a quarant'anni, che la Commissione ha approvato in modo unanime.
Detto questo, credo sia giusto sottolineare che la riforma più ambiziosa e lungimirante consiste nel superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto ed egualitario, sostituito da un bicameralismo differenziato, che prevede - non entro nel dettaglio, perché lo hanno già fatto egregiamente i relatori ed altri colleghi - una Camera politica, la Camera dei deputati, che diventa l'esclusiva titolare del potere di dare o revocare la fiducia al Governo, e un meccanismo differenziato con un Senato federale della Repubblica che rappresenta il sistema delle autonomie regionali e locali.
Soltanto nel modo in cui abbiamo prefigurato il Senato credo che si possa parlare di un'effettiva rappresentanza delle autonomie regionali e locali, e, in questo senso, si spiega la nuova denominazione di Senato federale della Repubblica. È bene che resti il riferimento alla Repubblica, perché, in forza dell'articolo 114, primo comma, della Costituzione, modificato alla fine della XIII legislatura, la Repubblica è costituita dai comuni,Pag. 26dalle province, dalle città metropolitane, finora non istituite, dalle regioni e dallo Stato.
È proprio la logica costituzionale e istituzionale del primo comma del nuovo articolo 114 della Costituzione, introdotto nel 2001, che giustifica il mantenimento della denominazione «Senato della Repubblica» e l'aggiunta dell'aggettivo «federale», in quanto il Senato rappresenta nel suo insieme il sistema delle autonomie regionali e locali. Questa scelta ha portato a una larga convergenza in Commissione, che non emerge interamente dal voto di astensione di tutti i gruppi della Casa delle libertà.
Affinché resti agli atti, è bene ricordare, sul punto specifico, che tre su quattro gruppi facenti parte della Casa delle libertà (Lega Nord, UDC e Alleanza Nazionale) hanno votato a favore dell'ipotesi del Senato federale della Repubblica contenuta nel testo in esame.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 12,17)

MARCO BOATO. Questa larga convergenza in Commissione, che ha portato sul progetto complessivo e sul mandato ai relatori ad un'astensione significativa da parte dei gruppi della Casa delle libertà, viene da noi considerata positiva, anche se siamo consapevoli che probabilmente in questa fase tale scelta incontrerà resistenze nell'altro ramo del Parlamento. Tuttavia, sarebbe importante - lo dico con assoluta pacatezza e con grande rispetto, essendo stato, nella mia vita parlamentare, anche senatore - che in una fase di riforma costituzionale i componenti di entrambe le Camere guardassero non tanto a se stessi e al proprio destino personale, come pure umanamente sarebbe comprensibile, ma soprattutto all'esigenza di un miglior funzionamento del nostro sistema politico-istituzionale nel suo insieme, al di là - lo ripeto - dei destini personali di ciascuno.
Molto importante è anche la scelta di un procedimento legislativo differenziato ma equilibrato, nell'attribuzione delle diverse competenze tra Camera e Senato. La collega Amici ha descritto tale aspetto in modo così puntuale e dettagliato che posso senz'altro richiamarmi al suo intervento, nonché alla relazione scritta, sua e del collega Bocchino.
È altresì significativa, a mio parere, la riforma della forma di Governo, realizzata in modo tale da rafforzare la figura e i poteri del Presidente del Consiglio dei ministri, sempre nel quadro di una Repubblica parlamentare, che però tenga conto anche dei mutamenti avvenuti negli ultimi quindici anni nel nostro sistema politico e nella cosiddetta Costituzione materiale. Non a caso, in materia di forma di Governo il progetto prevede che la nomina del Presidente del Consiglio da parte del Presidente della Repubblica avvenga anche «valutati i risultati delle elezioni per la Camera dei deputati». Non vi è un automatismo e non vi è una predeterminazione, perché sappiamo che le vicende e gli scenari politici possono essere i più diversi, e anche Paesi non lontani da noi, nel centro Europa, stanno facendo esperienze singolari rispetto al loro sistema istituzionale.
Il fatto che la nomina del Presidente del Consiglio avvenga «valutati i risultati delle elezioni per la Camera dei deputati» fa capire come nella modifica dell'articolo 92 si sia tenuto conto dei cambiamenti profondi che vi sono stati nel nostro sistema politico-istituzionale, ma non ancora costituzionale, sia attraverso la legge elettorale, sia attraverso la Costituzione materiale.
Per quanto riguarda la nomina e la revoca dei ministri da parte del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, tale norma, se approvata, comporterà definitivamente la fine della logica delle crisi di Governo e dei rimpasti di Governo dovuti soltanto all'esigenza, comune in tutti i Paesi occidentali, di sostituire in corso d'opera qualche ministro. Non sarà più necessaria una crisi di Governo, in quanto il Presidente del Consiglio potrà proporre al Presidente della Repubblica non solo laPag. 27nomina dei ministri, all'inizio del suo iter istituzionale, ma anche la loro revoca.
Passando dall'articolo 92 all'articolo 94 della Costituzione, richiamo l'attenzione sulla fiducia accordata al Presidente del Consiglio, e non tanto al Governo nel suo insieme. Il Presidente del Consiglio si assume la responsabilità di presentare il suo Governo e il suo programma al Parlamento, ottenendo in forza di ciò la fiducia della sola Camera dei deputati.
Un ulteriore elemento di rafforzamento della stabilità e della governabilità deriva dal fatto che la mozione di sfiducia nel nostro progetto è approvata a maggioranza assoluta dei componenti della Camera, se presentata da un terzo dei deputati.
È anche molto importante che sia stata prevista, all'articolo 72, la possibilità per il Governo di chiedere che un proprio disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno, e quindi votato entro una data certa. Tutto ciò conferisce all'Esecutivo poteri di governo più significativi e più incisivi, perché se un disegno di legge è essenziale per il proprio programma è giusto che chiunque eserciti la funzione esecutiva pro tempore disponga di questa possibilità.
Ovviamente la Camera può anche bocciare il disegno di legge, ma deve pronunciarsi in un tempo certo, e ciò rende più comprensibile la ragione per cui abbiamo conseguentemente disciplinato in modo più stringente la materia della decretazione d'urgenza, all'articolo 77 della Costituzione, per limitare il fenomeno dei decreti-legge, che tutti i Governi - di qualunque colore essi siano - tendono ad implementare eccessivamente: la ragione è proprio il fatto che contestualmente abbiamo conferito al Governo maggiori possibilità di far esaminare e approvare dal Parlamento, entro una data certa, i disegni di legge considerati prioritari.
Nella logica di un bilanciamento equilibrato tra i poteri del Governo e quelli del Parlamento vi è anche l'obbligatorietà dei pareri parlamentari sugli schemi di decreti legislativi, da rendersi prima dell'emanazione degli stessi decreti, che sono il frutto di leggi delega approvate dal Parlamento. Anche in questo caso, si tratta di una procedura in gran parte già prevista nella legislazione ordinaria, ma in tal modo assumerebbe il rango di norma costituzionale.
Nel provvedimento in esame vi sono anche alcune modifiche che riguardano il Presidente della Repubblica, ma si tratta prevalentemente di cambiamenti conseguenti alle riforme già citate. Il potere di scioglimento in capo al Presidente della Repubblica si riferirà solo alla Camera dei deputati. L'elezione del Presidente della Repubblica avverrà solo da parte di un'assemblea congiunta di deputati e senatori, senza più la necessità di ricorrere ai delegati regionali, essendo le regioni ampiamente rappresentate direttamente nel Senato federale della Repubblica. È conseguenza delle modifiche precedentemente citate anche la funzione di eventuale supplenza del Capo dello Stato in capo al Presidente della Camera dei deputati. Infine, ho già ricordato l'abbassamento della soglia di età per essere eleggibile a Presidente della Repubblica da cinquanta a quarant'anni.
Preannuncio infine alcune ulteriori ipotesi di riforma che sottoporrò ai colleghi attraverso la presentazione di proposte emendative, e ritengo che esse saranno condivise anche da altri colleghi (ne abbiamo già discusso in Commissione, senza aver però deliberato).
Mi riferisco, in primo luogo, alla modifica della rappresentanza al Senato per quanto riguarda le due province autonome di Trento e Bolzano, che costituiscono la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, nel senso di prevedere direttamente l'elezione di tre senatori da parte dei due consigli provinciali, in modo da garantire - soprattutto nella provincia autonoma di Bolzano - un maggiore pluralismo politico e «linguistico».
In secondo luogo, proporrò ai colleghi di prevedere, all'articolo 66 della Costituzione, la possibilità di ricorso alla Corte costituzionale, in caso di elezione contestata; all'articolo 94, il principio della sfiducia costruttiva, di cui abbiamo già discusso; ed infine, all'articolo 120, laPag. 28sostituzione del riferimento al Governo con quello allo Stato, perché i poteri sostitutivi riguardino non solo quelli amministrativi, ma anche quelli legislativi.
Resta aperta la questione, di cui tanto si discute, e che comunque nel provvedimento in esame è affrontata nelle norme transitorie, della riforma della legge elettorale, che riguarda sia la Costituzione vigente (perché comunque dovremmo sempre avere un sistema elettorale valido a Costituzione vigente) sia l'adeguamento del sistema elettorale alla Costituzione riformata, se il progetto di modifica verrà approvato. Ritengo che la strada da percorrere sia quella di riprendere l'ipotesi di far rientrare in vigore la legge Mattarella con alcune limitate modifiche; tuttavia, non si tratta di un tema oggetto della presente discussione, ma di un tema del dibattito politico generale, peraltro all'esame dell'altro ramo del Parlamento, e avremo occasione di affrontarlo.
Ringrazio della loro attenzione il Presidente, il rappresentante del Governo e i colleghi (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ronconi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO RONCONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch'io desidero ringraziare i relatori, per il lavoro serio e impegnato svolto in I Commissione, e il presidente, onorevole Violante, per la ricerca di un'ampia convergenza su un atto parlamentare sicuramente di grande spessore politico, relativo a un tema che ormai da tempo - probabilmente troppo - ha impegnato non solo questo Parlamento, ma anche i Parlamenti e i parlamentari delle scorse legislature.
Tuttavia, permettetemi di dire che il dibattito iniziato oggi in quest'aula appare un po' surreale, e anche molto ipocrita. Infatti, noi dell'UDC siamo assolutamente favorevoli alla riforma costituzionale in esame, perché, in realtà, a differenza di altri, non siamo pentiti della riforma della scorsa legislatura. Tuttavia, non possiamo sottacere e non rilevare il fatto che il progetto di riforma si inserisce in un contesto politico in cui la maggioranza, che attualmente governa il Paese, è in palese crisi. La maggioranza è sempre più incerta al Senato: leggiamo di ipotetiche e probabilmente realistiche «transumanze» di senatori. Si combatte una guerra all'arma bianca sugli emendamenti alla legge finanziaria in discussione al Senato, tra gruppi appartenenti alla stessa maggioranza. La sinistra radicale, sabato scorso, ha dimostrato che preferisce essere di lotta e meno di Governo, scegliendo per le proprie manifestazioni più la piazza che non l'espressione nelle aule parlamentari. Vi sono sondaggi che indicano una grave disaffezione degli elettori nei confronti di questa maggioranza. Assistiamo ad accuse violente tra ministri dello stesso Governo. Dunque, esaminiamo questa importante proposta di legge - ancora una volta ne sottolineo l'importanza - in un clima politico assolutamente compromesso. È un dato al quale non possiamo ovviare.
In realtà, la proposta in esame dovrebbe rappresentare, al di là dei contenuti, che affronteremo nel seguito dell'esame del provvedimento e degli emendamenti, un segnale politico importante da affidare al Paese. È necessario un provvedimento che non deve e non può essere di chiusura, ma, al contrario, di grande disponibilità, per tentare di offrire un orizzonte ad una legislatura che, obiettivamente, ogni giorno di più, appare asfittica, e per contribuire a chiudere una transizione politica che dura da troppo tempo, e che non sopravvive più in questo bipolarismo muscolare in cui le alleanze sono fatte per vincere ma, come ormai è sotto gli occhi di tutti, con grande difficoltà offrono la possibilità di governare.
Discutiamo di questo provvedimento in un momento in cui, purtroppo, la legge elettorale è parcheggiata, e continua ad essere parcheggiata, al Senato. Sono stato tra coloro che si auguravano che la proposta di riforma del sistema elettorale potesse essere trasferita alla Camera, per evidenti motivi di praticabilità, ma, ancora una volta, abbiamo visto come questo bipolarismo perfetto funzioni in modoPag. 29anomalo anche e soprattutto su questioni che soltanto con un «pizzico» di logica si sarebbero potute risolvere. Dico con preoccupazione che la legge elettorale è parcheggiata al Senato, perché se essa non prende un abbrivio positivo, anche la proposta di legge riguardante le riforme costituzionali avrà un futuro molto incerto. Noi dell'UDC chiediamo da sempre una contestualità. Sappiamo bene che una cosa sono le riforme costituzionali, altra cosa è la legge elettorale, ma chiediamo sul piano politico che la legge elettorale venga contestualizzata con il disegno di riforma costituzionale, pur nella considerazione che i tempi di approvazione dell'una e dell'altra sarebbero difformi.
Chiediamo una contestualizzazione perché vogliamo costruire un sistema omogeneo ed articolato, che possa offrire complessivamente una riforma costituzionale ed una legge elettorale che possano convivere ed essere coordinate l'una con l'altra.
Siamo d'accordo sul Senato federale, anche se, probabilmente, dovrà essere chiamato in modo diverso: non più Senato federale, ma Camera federale; siamo d'accordo con una diminuzione equilibrata e ragionevole dei parlamentari; vorremmo che fosse inserita la sfiducia costruttiva - a tal proposito abbiamo presentato una proposta emendativa che riproporremo in Assemblea - in quanto per noi è una soluzione assolutamente necessaria; infine, siamo d'accordo sul rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio dei ministri.
In Commissione, questo provvedimento ha ottenuto una posizione uniforme da parte del centrodestra, interamente astenutosi nonostante che - e possiamo dirlo con grande schiettezza - tra i partiti che lo compongono vi siano diversità di vedute e sfumature diverse rispetto all'approccio complessivo di questa proposta di legge.
Tuttavia, sarebbe sbagliato interpretare tale astensione complessiva come una completa apertura di credito nei confronti di questa proposta, così come sarebbe sbagliato interpretarla come una «bocciatura»; per noi che, oggi, viviamo l'esperienza dell'opposizione, questa astensione rappresenta soprattutto una sfida nei confronti della maggioranza, affinché quest'ultima riesca a superare le difficoltà e le contraddizioni che vive al proprio interno, non soltanto su questa proposta di legge di riforma costituzionale, ma anche su un progetto e su un modello di legge elettorale.
Con qualche preoccupazione, in queste ultime ore, abbiamo appreso dalla stampa delle posizioni obiettivamente diversificate tra il neosegretario del Partito Democratico e l'ex (non so se definirlo «ex» o «quasi ex») de La Margherita, Rutelli. Ebbene, non è una divaricazione da poco, ma si tratta di una questione che dev'essere risolta (ormai i giorni sono contati), altrimenti ci avvieremo verso l'abbrivio del referendum, anche se ritengo che, con molta probabilità, se non riusciremo a rimettere mano, con una riforma, alla legge elettorale, ci avvieremo davvero verso l'abbrivio di elezioni anticipate. Dunque, dobbiamo andare avanti. Siamo d'accordo a procedere con questa proposta di riforma costituzionale, a patto che venga sbloccata la questione della legge elettorale.
Sui contenuti di questa proposta di legge, evidentemente, abbiamo molte perplessità che speriamo possano essere risolte nel corso dell'iter parlamentare, un iter complesso come, giustamente, deve esserlo quello che riguarda le leggi di riforma costituzionale.
Chiediamo un ulteriore riflessione complessiva, da parte di questa Assemblea, sul numero dei deputati. Siamo infatti d'accordo con una diminuzione del numero dei deputati che, tuttavia - ripeto - dev'essere equilibrata. Siamo dell'idea di riflettere ancora sul numero dei deputati eletti all'estero: infatti, altro è inserire dodici deputati eletti all'estero in un corpo di 630, altro evidentemente è inserirli in un corpo di 500. Un conto è inserire i parlamentari eletti all'estero in un sistema bicamerale perfetto, un conto è inserire dodici deputati più sei senatori (o come siPag. 30chiameranno) in un sistema bicamerale imperfetto, in cui i ruoli saranno, evidentemente, profondamente distinti.
Una diminuzione drastica di parlamentari mal si concilia, a mio avviso, con un Senato eletto tra i consiglieri regionali (quindi, di secondo livello), con un Senato più che dimezzato.
Vi è una diminuzione del numero dei componenti del Senato, se così si può ancora definire. A mio avviso, come ho detto poc'anzi, probabilmente, nella proposta di legge in discussione sarebbe più opportuno definirlo Camera federale, in quanto, fra l'altro, oltre alle modifiche circa le competenze, è stata equiparata l'età minima degli eletti a quella fissata per i deputati. Pertanto, evidentemente, non c'è alcuna ragione per continuare a chiamare Senato un Senato che non è più tale. Si tratta di una Camera federale - più che dimezzata nel numero dei membri - e della fine del bicameralismo perfetto.
Anche in Commissione ho posto l'attenzione sul fatto che si affida a 500 ipotetici deputati il compito oggi svolto - in un sistema sicuramente bizantino, ma di bicameralismo perfetto - da 630 deputati e 315 senatori. L'attuale è dunque un sistema molto più complesso e molto meno controllabile dall'esterno da forze extraparlamentari e lobby che agiscano fuori dall'Assemblea rispetto ad una Camera dei deputati esclusivamente monocratica e formata unicamente da 500 membri.
Inoltre, se dovessimo dar seguito ad una diminuzione così drastica dei deputati, rischieremmo anche di alterare gravemente il rapporto di rappresentanza fra cittadini ed eletti. Questa è un'altra questione sulla quale non possiamo sorvolare allegramente, perché una delle critiche più forti che l'opinione pubblica rivolge ai politici è data dalla distanza che si è stabilita - sinceramente, anche con la legge elettorale vigente - e dalla incomunicabilità che si sta verificando fra i parlamentari eletti e i cittadini.
Occorre, quindi, fare attenzione, perchè con 500 eletti in ambito nazionale che hanno lo stesso identico compito - ma diverso rispetto a quello svolto dai membri del Senato - si rischierebbe di scavare un «fosso» di incomunicabilità fra cittadini ed eletti ulteriore e ancora più profondo.
Inoltre riferirsi a modelli di altre nazioni non è peccato ed è anzi sempre utile farlo per poi dar seguito ad una valutazione serena; dobbiamo pertanto anche considerare quei Paesi cui comunque facciamo riferimento e che guardiamo con un pizzico di invidia perché sono riusciti prima di noi a stabilire sistemi che garantiscono governabilità al proprio paese. Mi riferisco alla Germania, alla Francia e alla Gran Bretagna, i quali conoscono un assetto di monocameralismo o comunque di bicameralismo non perfetto e che hanno però un numero di deputati nettamente superiore a quello che oggi vorremmo proporre per l'istituzione della nuova Camera.
Eppure, anche tali Paesi (sicuramente la Germania) possiedono un sistema federale ancora più radicato storicamente e culturalmente rispetto a quello che vorremmo stabilire nel nostro Paese. Siamo d'accordo in relazione alla Camera federale. Tuttavia, personalmente vorrei proporre una nuova riflessione sulla composizione del Senato federale.
Con tutta sincerità vorrei rifarmi al modello tedesco, sic et simpliciter, un modello in cui i membri della Camera federale non vengono eletti dai consigli regionali ma, evidentemente, sono espressione degli esecutivi.
Ha ragione il rappresentante di Rifondazione Comunista nel dire che se scegliamo una strada, abbiamo il dovere di percorrerla sino in fondo, senza deviazioni di comodo.
Pertanto, dobbiamo lavorare per avere una Camera federale che, in un certo qual modo, possieda e svolga una funzione paragovernativa, proprio per evitare il verificarsi di contrapposizioni e divaricazioni fra le due Camere, che sarebbero molto pericolose.
Si tratterebbe peraltro anche di evitare che i senatori eletti nell'ambito dei consigli regionali con voto limitato assumano, obiettivamente, funzioni sovrabbondantiPag. 31persino rispetto agli stessi deputati, potendo svolgere, evidentemente a pieno titolo, il compito e il ruolo di consiglieri regionali, ma contestualmente - magari nei giorni dispari! - anche quello di senatori della Repubblica.
Se abbiamo poi scelto di percorrere la strada del federalismo, della Camera federale, dobbiamo percorrerla fino in fondo. Ho qualche perplessità, anche in questo caso, nel registrare un numero di senatori diversificato a seconda delle regioni, eletti in modo proporzionale in base alla popolazione di ciascuna regione. Se scegliamo il modello del Senato federale il numero di senatori deve essere identico per ogni regione, al di là del numero degli abitanti della regione, perché il Senato federale, se davvero è tale, è composto dalle rappresentanze delle autonomie regionali nel loro complesso, in un rapporto paritario tra di esse, e non da una serie di rappresentanze regionali diversificate proporzionalmente in base al numero dei cittadini elettori di quelle regioni.
Infine, una riflessione ulteriore - che però a noi dell'UDC sta molto a cuore - è relativa alle materie affidate alla Camera federale (anche in tal caso, con l'obiettivo di costruire un sistema omogeneo e complessivo).

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MAURIZIO RONCONI. Sto concludendo, Presidente. Le questioni dell'energia, la questione delle infrastrutture debbono rimanere di esclusivo interesse nazionale. Ormai quotidianamente le forze di Governo affrontano tali difficoltà, prima è accaduto al centrodestra e oggi capita al centrosinistra. Ebbene, dobbiamo liberare dai localismi e dagli interessi localistici le questioni che riguardano le infrastrutture di interesse nazionale...

PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere.

MAURIZIO RONCONI. ...e in qualche caso anche di interesse internazionale.
Concludo ribadendo la disponibilità dell'UDC - pur nella consapevolezza del fatto che a causa di un clima politico molto difficile il percorso della riforma sarà in salita - per un esame serio ed approfondito della proposta in esame (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e di deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, inizia oggi alla Camera il dibattito sulla riforma costituzionale, intorno a un buon testo e in un clima in parte diverso rispetto al recente passato; in particolare diverso rispetto alla XIV legislatura, quando si affrontò tale questione con un metodo che portò poi ad una contrapposizione frontale tra maggioranza e opposizione e al referendum già più volte ricordato il cui esito negativo ha fatto sì che quel progetto di riforma non venisse poi confermato. Qualcuno lo ha definito troppo ambizioso, qualcuno troppo vasto; certamente la sensazione che il corpo elettorale ha avuto, e che ha provocato il suo pronunciamento negativo, era quello di un testo che stravolgesse troppo l'impianto della nostra Costituzione.
Oggi ho sentito - da ultimo dall'onorevole Ronconi, ma mi pare che siano così intervenuti anche altri (certamente i colleghi in Commissione) - una specie di motivo conduttore (che giustifica o giustificherebbe anche l'astensione dell'opposizione, che pure noi apprezziamo, nel corso dell'iter in Commissione) intorno al rapporto tra le riforme e la maggioranza, il Governo.
Credo che sia legittimo, da parte dell'opposizione, fare una polemica - perfino assai consistente - nei confronti del Governo, poiché ciò fa parte del gioco della democrazia. Però, il legame che viene instaurato fra riforme costituzionali da un lato e Governo e maggioranza dall'altro mi sembra sinceramente non giustificabile.
In proposito, vorrei rileggere alcune righe di un resoconto dei lavori dell'AssembleaPag. 32costituente: quello della seduta pomeridiana di martedì 13 maggio 1947, sotto la Presidenza del Presidente Terracini. All'avvio della seduta, alle ore 16,30, il resoconto recita «Annunzio di dimissioni del Governo». Il Governo di cui si parla è il terzo governo De Gasperi, dalle cui dimissioni nasce una nuova compagine governativa che esclude sostanzialmente i socialisti e i comunisti: ci si trova dunque in una situazione di tensione politica attorno al Governo senza precedenti, almeno per quell'epoca, e davvero traumatica. Ebbene, dopo la presentazione delle dimissioni del Governo ed una breve sospensione, alle 16,40 la seduta riprende e nel resoconto si legge: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana». Quel che intendo sottolineare è che in una situazione di gravissime tensioni politiche, la Costituente ed i costituenti seppero comunque comprendere che i due piani su cui ci si muoveva erano diversi: il dibattito così continuò e giunse alla sua conclusione, com'è noto, alla fine del 1947, dandoci la Costituzione italiana. Vorrei dunque ammonire i colleghi che legano questi due aspetti a rileggere almeno queste pagine della storia italiana, che non sono prive di significato.
Una terza considerazione che vorrei svolgere attiene al patto su cui si fonda la nostra convivenza democratica. La nostra Costituzione - e in questo mi ricollego a quanto dicevo un momento fa - conserva ancora un impianto complessivo assai solido ed un valore attuale da difendere. In proposito, mi viene da pensare ad una personalità che per me ha un grande significato, Giuseppe Dossetti, che parlava di «patriottismo della Costituzione»: patriottismo, cioè, come ripresa di un concetto e di un senso di patria che è definito nei principi costituzionali fondanti. Ecco: quei principi, quella impalcatura e quei valori restano; e l'intervento al nostro esame non ha certo l'obiettivo di modificarli.
Più di recente, Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, ha osservato come esistano due tipi di riforme costituzionali: quelle di tipo palingenetico, che riguardano l'assetto complessivo del disegno costituzionale; e quelle di tipo funzionalistico, che mirano a rimediare a profili di disfunzionalità certamente non trascurabili (quando si parla della Costituzione, nulla è trascurabile), ma circoscritti.
Ora, al termine dei lavori della Commissione, il testo al nostro esame incide direttamente (il calcolo degli articoli è sempre difficile ed opinabile) su una ventina di articoli, anche se ve ne sono altri che vengono toccati indirettamente, come conseguenza di quelle modifiche. Non è poca cosa, ma è meno della metà dei 54 articoli che venivano modificati con il progetto di riforma costituzionale approvato nella scorsa legislatura.
Quel che più conta, poi, è che questo testo presenta un perimetro unitario: esso riguarda infatti essenzialmente la forma di Governo. Si interviene su un tema - per così dire - monografico: il che consentirà (o consentirebbe) al corpo elettorale di intervenire in sede di referendum a garanzia dei suoi diritti in maniera appropriata, poiché il testo presenta un perimetro circoscritto.
Ebbene, quali sono le principali disfunzioni della Costituzione del 1948? Lo abbiamo detto più volte, ma ne cito rapidamente gli aspetti essenziali. In primo luogo, il bicameralismo paritario (qualcuno continua a chiamarlo perfetto, ma di questa perfezione noi vediamo soprattutto le imperfezioni: chiamiamolo dunque paritario), che porta spesso ad un rallentamento insopportabile dell'attività legislativa.
In secondo luogo, vi è il tema del Governo. Faccio riferimento al ruolo del Premier rispetto alla sua coalizione, come delineato indirettamente attraverso i rapporti tra Primo Ministro e Ministri, ed al ruolo, da mettere a punto, del Governo in Parlamento, che può essere debole e finisce per essere esuberante in alcune circostanze (pensiamo, ad esempio, alla vicenda dei decreti-legge «accoppiati» con la posizione della questione di fiducia che rappresenta certamente una distorsione).Pag. 33Nella riforma in esame si affronta tale nodo al fine di individuare una soluzione più corretta.
Infine, vi è anche il tema relativo all'assenza di un regionalismo cooperativo che non abbiamo mai saputo realizzare, nonostante la riforma del Titolo V.
Quali siano i punti salienti della proposta di riforma al nostro esame li vedremo nel dettaglio in seguito. Mi limito a richiamarli per titoli: il Senato federale, le funzioni della Camera (nella direzione di un superamento del bicameralismo paritario), la riduzione del numero dei deputati, l'elettorato passivo a diciotto anni, la corsia privilegiata dei disegni di legge governativi (altro aspetto che riguarda il nodo del Governo in Parlamento), la nomina del Presidente del Consiglio valutati i risultati delle elezioni (anche questo è un raccordo con il sistema elettorale), la fiducia della Camera al solo Presidente del Consiglio (ma ottenuta quando è formata la compagine governativa), la revoca dei Ministri, accanto alla nomina, su proposta del Presidente del Consiglio (anche sotto questo profilo si tocca il nodo delicato dei rapporti tra Presidente del Consiglio, forze politiche e coalizioni).
Mi permetto di svolgere alcune considerazioni con riferimento al Senato federale. È stato sottolineato che si tratta di un modello lineare - il collega Ronconi lo criticava - di cui dobbiamo tener conto. Tale modello forse incarna l'utopia della Costituzione, come poteva essere allora quando si pensò al Senato federale, a base regionale. Stavolta lo chiamiamo Senato federale della Repubblica. Richiamandomi a quanto detto dal collega Boato, si tratta di una definizione molto appropriata in relazione alla composizione (che tiene conto anche di modelli stranieri), ma l'aggiunta di Senato federale della Repubblica è particolarmente significativa (di esso ne abbiamo ricordato le funzioni e ne parleremo in seguito abbondantemente). Al riguardo, credo che vada richiamato un aspetto, per così dire, di equilibrio costituzionale: questo disegno di riforma del Senato, al quale naturalmente sarà apportata qualche modifica da parte delle Camere - completa e dà un senso ancora più chiaro alla riforma del Titolo V, che acquista adesso una filosofia più complessiva e significativa.
Fra breve affronteremo anche la questione dell'articolo 117 della Costituzione. Insieme alla collega Amici abbiamo presentato una proposta di riforma che rende più flessibile il riparto di competenze tra Stato e regioni, ma abbiamo voluto evitare di allargare troppo il perimetro dell'intervento.
In conclusione, il giudizio del gruppo de L'Ulivo sul testo in discussione è positivo già oggi. Ricordo che nei giorni scorsi abbiamo improvvisato un incontro con una quarantina di costituzionalisti (certamente non era presente tutta l'accademia italiana, ma una sua parte significativa), che hanno espresso un giudizio positivo sul testo al nostro esame sia pure con una serie di osservazioni di cui naturalmente il Parlamento e noi dovremo tener conto. A tale proposito, faccio notare che non è frequente riunire quaranta professori di diritto costituzionale e ascoltare un giudizio così convergente; ciò ha impressionato perfino noi che siamo direttamente coinvolti nella vicenda. Si tratta di un fatto che ci rincuora.
Quali potrebbero essere oggi alcune modifiche da apportare al testo in esame da valutare nel confronto con gli altri gruppi parlamentari? Si tratta di modifiche molto limitate, che desidero ricordare, sia pure per titoli. Sono d'accordo sul fatto che il tema della sfiducia costruttiva, se presentato in maniera lineare, possa rappresentare un ulteriore rafforzamento del Governo e del Premier. Occorre valutare, però, se introdurre o meno una soluzione lineare. Occorre prestare attenzione al fatto che con le Costituzioni non è possibile disciplinare tutti i comportamenti della vita politica: se vogliamo raggiungere troppi scopi con le norme, la politica poi riesce ad espandersi in terreni che non le appartengono. Credo, quindi, che bisognerà prospettare alcune soluzioni: la Costituzione parla poco, dice cose essenziali,Pag. 34fissa paletti. Noi siamo disposti a riflettere su questo aspetto, che mi pare interessi anche altre forze politiche.
Credo che vi siano alcune modifiche tecnico-consequenziali da tenere presente nel definire i rapporti tra Camera e Senato. Il Senato ha un ruolo che può essere, tenuto conto dell'articolo 117, terzo comma, addirittura di iniziativa. Sarà necessario impedire che tale iniziativa possa trasformarsi in un blocco. Occorrerà trovare, quindi, una soluzione che renda chiaro che se l'iniziativa non va a buon fine trascorso un certo periodo, essa passa alla Camera dei deputati. Si tratta di una conseguenza tecnica relativamente ad una soluzione già presente nell'impianto della disciplina.
Alcuni colleghi hanno posto il problema di rafforzare ulteriormente il ruolo del Senato nel rapporto Senato-Camera in modo da tenere conto delle esigenze delle regioni. Si dovrà valutare, quindi, se i quorum stabiliti siano adeguati. Certamente, non si deve bloccare l'attività della Camera, ma ritengo che potremo riflettere su quelle proposte che vadano in tale direzione.
Credo anche che si potrà riprendere a riflettere su quella procedura redigente che il gruppo de L'Ulivo aveva richiamato in Commissione, che risponde ad un'esigenza di funzionalità della Camera, senza influire sul principio democratico della rappresentanza e sul significato che assume il plenum. Chi lavora in Parlamento è cosciente di quanto sia delicato tale rapporto e sa quanto sarebbe, forse, più importante valorizzare ulteriormente il ruolo delle Commissioni.
Qualche breve considerazione in tema di composizione del Senato. Con riferimento a questo modello parlavo poc'anzi di utopia. Se qualcuno poi voglia riflettere ulteriormente sulla possibilità di una presenza dei presidenti delle giunte regionali accanto ai rappresentanti dei consigli - mi riferisco sempre a soggetti che potrebbero partecipare, teoricamente, in via di diritto, al Senato federale della Repubblica - tale opportunità potrebbe essere valutata, anche nel quadro di un ripensamento del sistema delle conferenze. Uso sempre formule prudenti perché credo che, a questo punto, in Assemblea noi appoggeremo soltanto le soluzioni che potranno consentire una maggiore convergenza parlamentare, non certo quelle proposte fatte unicamente per sventolare in questa sede delle bandiere.
Vi è anche il problema della rappresentanza di genere, che è stato sollevato in Commissione. Credo che la risposta sia contenuta nell'articolo 51 della Costituzione; tuttavia, se i relatori trovassero soluzioni a questo riguardo, noi non saremmo contrari. Bisogna sempre prestare attenzione alla Costituzione, perché essa va letta nel suo insieme. Non è che intervenendo su venti articoli dobbiamo predisporre venti disposizioni normative autosufficienti. Vi sono altre norme con cui la Costituzione si lega. Noi incidiamo su venti articoli della Costituzione, ma occorre tenere presente che non modificheremo solo questi in quanto questi vanno ad assestarsi su un sistema complesso. A tale riguardo, qualcuno nei giorni scorsi faceva notare come l'articolo 94 si rapporti con l'articolo 95. Il presidente Violante - colgo questa occasione per ringraziare lui e i relatori Amici e Bocchino - è consapevole di tale problema. Si rilevava, in particolare, che nello Statuto Albertino era presente una norma che parlava di Ministri responsabili. Lavorando su tale norma si costruì successivamente, in via di prassi, il rapporto di fiducia in seno al Parlamento perché si sostenne che i Ministri non erano responsabili solo verso il re che li aveva nominati, ma anche verso il Parlamento; in tal modo nacque l'istituto della fiducia.
Credo che oggi la lettura che potremmo dare sia quella che il Presidente del Consiglio risponde al Parlamento perché ne ottiene la fiducia. I Ministri, che sono nominati e revocati dal Presidente del Consiglio, rispondono a quest'ultimo. Mi sembra uno schema abbastanza logico. Colleghi, come vedete, stiamo interpretando l'articolo 94 in relazione al 95, che pure non è modificato da questa riforma, ma la questione si pone. Quindi, se moltiplichiamoPag. 35i venti articoli facendo riferimento a tutte le bretelle costituzionali che si possono immaginare, la riforma in esame sarà assolutamente di portata non trascurabile.
Ribadisco, infine, il giudizio positivo del gruppo L'Ulivo. Penso che il dibattito parlamentare potrà confortarci, nel senso di aumentare il consenso su tale riforma.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gasparri. Ne ha facoltà.

MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, l'interrogativo che pende sull'esame del provvedimento in esame più che nel merito è sull'opportunità del dibattito in sé: ha senso, in questa fase della vita politica italiana, riprendere e proseguire un dibattito che dura da molto tempo, purtroppo con nessuna conclusione reale? Ha un senso o no nel momento in cui la cronaca dimostri come il confronto politico sia non solo arroventato nello scambio di posizioni diverse tra maggioranza e opposizione (fatto normale), ma all'interno dello stesso Governo? Oggi basterebbe leggere i giornali e vedere come taluni Ministri si apostrofano e si offendono per affermare che nemmeno l'opposizione usa toni come quelli che alcuni Ministri hanno reciprocamente usato, l'uno contro l'altro, nelle ultime ore. L'opzione dello sbocco elettorale di questa legislatura appare dalla cronaca e non solo dagli auspici dell'opposizione che, in quanto tale, spera sempre che la rivincita sia vincente e sia prossima per un fatto fisiologico. Al di là dei nostri auspici, la cronaca sembra spingere in questa direzione e non siamo certo noi a dolercene o a ritenere la possibilità di un ritorno alle urne un fatto negativo.
Potrebbe apparire contraddittorio - nel nostro schieramento se n'è parlato negli ultimi giorni -, ma ha senso fornire un contributo a questo dibattito? La disponibilità al dibattito potrebbe, infatti, essere equivocata, anche per la presenza di un relatore, l'onorevole Bocchino, che ha svolto con passione e convinzione il suo ruolo insieme ad altri colleghi di altro schieramento sotto l'impulso del presidente della Commissione che, anche per l'autorevolezza che riscuote nel Parlamento, ha dato uno stimolo non secondario a tale processo. Fornire un contributo ha un senso, perché si tratta di un tema comunque all'ordine del giorno e proprio l'onorevole Bocchino, nel suo ruolo di relatore, ha concluso, dopo aver esaminato il provvedimento, che il presente dibattito potrà servire in futuro. Vedremo poi quali saranno le circostanze.
Rispondo all'interrogativo, che grava sul dibattito, sostenendo che noi abbiamo il dovere, comunque, di dare un contributo chiaro perché l'opinione pubblica non conosce tutte le alchimie e non sa che necessitano quattro passaggi parlamentari per realizzare una riforma costituzionale.
Non lo sappiamo noi, figuriamoci se lo sanno i cittadini se e quando si voterà, se, come politicamente (ed abbiamo il diritto di farlo) auspichiamo, vi sarà un ricorso anticipato alle urne o se si voterà alle scadenze ordinarie. Nel frattempo, quindi, partecipiamo al dibattito con spirito sincero. Peraltro, cogliamo l'occasione per denunciare alcune contraddizioni della sinistra. Infatti, molte norme contenute nella parziale riforma costituzionale al nostro esame erano contenute in un disegno ben più ampio che siamo riusciti a portare a compimento nella precedente legislatura. Quando a volte si contesta l'insufficiente capacità riformatrice del Governo di centrodestra non solo si fa un'ingiustizia nei confronti delle tante leggi approvate - dalla legge Biagi alla legge Fini-Bossi, dalla legge sulla droga alla riforma della scuola e a tante altre riforme importanti che sono state varate nel corso della scorsa legislatura - ma si dimentica che noi abbiamo completato, in termini parlamentari, l'iter di una riforma costituzionale che, con una legislatura di cinque anni, arrivò a concludersi con i fatidici quattro passaggi. Successivamente, con il referendum confermativo, celebrato dopo le elezioni politiche in un clima particolarmente complesso, quella riforma non passò.
A mio giudizio la sinistra sbaglia perché, a differenza del testo in esame, quelloPag. 36che portammo al giudizio degli elettori affrontava anche il problema del rapporto Stato-Regioni che è stato invece eluso nel provvedimento in esame, in quanto trattasi di un tema complesso.
Com'è noto, i veri problemi sul Titolo V della Costituzione non sono nati dal Governo di centrodestra che, avendo la Lega Nord al suo interno, poteva essere considerato un Esecutivo che sotto il profilo dell'equilibrio tra Stato e regioni avrebbe potuto creare difficoltà alle istituzioni centrali. Invece, i problemi sono nati dalla riforma del Titolo V approvata dalla legislatura ancora precedente, periodo 1996-2001, con i famosi soli quattro voti di scarto del centrosinistra. Noi abbiamo, con quel disegno che la sinistra non volle sostenere né in Parlamento, né con il referendum confermativo, messo un po' d'ordine nel Titolo V.
Nello svolgere un intervento dialettico (anche se mi auguro che queste riforme prima o poi abbiano un esito positivo), nell'apprezzare alcune cose che ci sono nel testo oggi all'esame dell'Assemblea, mi rammarico del fatto che in questo contesto non ci sia stata possibilità di rimettere mano ad alcune parti della Costituzione, che nel rapporto Stato-regioni hanno creato una grande confusione.
Oggi abbiamo la preoccupazione sul piano energetico, i rigassificatori si fanno o no? L'autonomia energetica dell'Italia c'è o no? Leggiamo cifre allarmanti: ogni tanto l'amministratore dell'ENEL o un altro esponente di punta del sistema energetico ci dice quanto ci costa il ritardo nella realizzazione di impianti e quanto non aver chiarito le competenze dello Stato sulle reti infrastrutturali del Paese o sulle reti energetiche o finanche sulle reti di telecomunicazione. Oggi abbiamo ancora in vigore il «cattivo» Titolo V della parte seconda della Costituzione che nemmeno la sinistra, che ha scritto e approvato, oggi difende. In questa occasione non registriamo alcuna novità su tale versante.
Quali sono le cose che ci sono e scritte, che noi approviamo? Certamente il numero dei parlamentari! Prima un giornalista mi chiedeva per quale motivo partecipiamo a questo dibattito. È un po' come un questionario: come potremmo rispondere negativamente se i relatori e il presidente della I Commissione Affari costituzionali ci propongono di ridurre il numero dei parlamentari? Eravamo favorevoli anche prima che scoppiasse questa sorta di «moda» per cui c'è un atteggiamento «iconoclasta» verso il Parlamento e le istituzioni politiche, quasi che poi non ci debba essere qualcuno che rappresenti chi.
Leggevo, con riferimento al Partito Democratico, che i nuovi partiti che nascono non debbano avere iscrizioni o adesioni. Faccio parte di un partito che, attraverso diverse trasformazioni, ritiene che l'iscrizione, l'adesione sia un fatto fondamentale in democrazia. Può darsi che poi in futuro non sarà più così. Si era criticato qualche partito perché era di plastica e virtuale, ma vedo che qualcuno proporrebbe sul versante di sinistra di avere partiti senza iscritti. Credo che una politica tradizionale, sana e trasparente abbia una sua legittimità. In questo senso non apprezzo gli eccessi dell'antipolitica, che quasi vorrebbe l'abolizione del Parlamento. Tuttavia, la riduzione dei parlamentari è misura, non solo auspicabile, ma necessaria. Non possiamo non approvare e non condividere tale punto, presente in questa riforma, peraltro in modalità e misure credibili, senza atteggiamenti demagogici. Nello stesso tempo, credo che non si può pensare di rappresentare la nazione, di governare tanti argomenti, di avere quattordici Commissioni permanenti e quant'altro con duecento o trecento deputati.
Condividiamo il tema del Senato federale, già presente nel testo precedente. Si criticò la nostra riforma, perché faceva scattare dal 2011 la riduzione dei parlamentari. Adesso non so nemmeno se ce l'avremo dal 2011. Quella riforma non fu approvata con il referendum confermativo, vedremo se questa sarà approvata. Quella era a un passo dalla sua «effettiva vita», perché aveva superato gli esami parlamentari e aveva bisogno solo della conferma popolare; quindi, avremmo avuto la certezza. Adesso le scadenze sono analoghe,Pag. 37ma siamo ancora al primo passaggio. Ce ne sono altri tre e vedremo che cosa accadrà su quell'altro versante che ho solo evocato e accantonato.
La scansione di ruoli diversi tra Camera e Senato è anch'essa una necessità inderogabile: le perdite di tempo, le sovrapposizioni, derivano anche dal bicameralismo perfetto. Lo si dice da venti o trent'anni in quest'Aula, non consumerò tempo ulteriore per aggiungere il mio pensiero ad una argomentazione che è quasi banale, ma che tuttavia non ha trovato ancora soluzione. Ho visto che oggi i colleghi hanno ripercorso la storia. Non ero in quest'Assemblea, ma ero impegnato in politica e nel giornalismo e, quindi, ricordo perfino la Commissione Bozzi non nell'esperienza parlamentare, ma in quella di militante della politica e poi la Commissione De Mita-Iotti e poi anche l'ultima Commissione bicamerale, che anche in quel caso subì condizionamenti frutto di scontri e vicende politiche.
Ricordo il coup de thé|$$|Axatre di cui fu registra l'indimenticato onorevole Tatarella, quando insieme alla Lega Nord e ad altri settori, votando in coerenza con una spinta presidenzialista della destra, fece una scelta che poi in qualche modo complicò quel percorso riformatore. Tuttavia, fu coerente con alcune scelte che abbiamo fatto e che oggi vorremmo trovassero più spazio. Se la differenziazione dei ruoli tra le due Assemblee c'è, se un Senato federale, con una rappresentanza del territorio in questo testo c'è, sul piano del ruolo del Governo c'è un po' di timidezza. È vero che il Governo può ottenere la calendarizzazione e il voto di alcune scelte, però noi vorremmo un'istanza presidenzialista.
Mi ha molto piacevolmente sorpreso che in questi giorni Clemente Mastella (lo cito nel dibattito costituzionale, oggi che viene citato anche dai suoi colleghi di Governo in maniera molto più rozza) ha affermato, ed è un fatto innovativo, che bisogna rafforzare il Premier e il Governo; ha detto, addirittura, che ci vorrebbe una forma di presidenzialismo. Io capitalizzo queste affermazioni di Clemente Mastella, si tratta per lui di una citazione in tema di riforme costituzionali, credo che dovrebbe apprezzarla. Se perfino un uomo del centro, di una tradizione fortemente parlamentare, non dirò trasformista - non voglio usare questi termini, è troppo banale; Mastella insomma è un esponente tipico di un modello di logica politico-parlamentare tradizionale, e anche a questo riguardo uso termini eufemistici - ha detto che è meglio il presidenzialismo, se c'è arrivato anche Mastella, perché tutto il Parlamento italiano non deve arrivare ad una forma di elezione diretta?
Ritengo che perfino il modello americano sarebbe sposabile. Abbiamo discusso, in questi decenni di dibattito, del semipresidenzialismo, della designazione del Premier. Vi rendete conto di quanto siamo in ritardo, noi delle istituzioni? Su tali temi davvero l'antipolitica ha ragione. Se uscissimo fuori da quest'aula e lo chiedessimo ai cittadini, ci renderemmo conto che la gente è convinta che si elegge il Presidente del Consiglio, perché sulle schede elettorali, non solo il centrodestra - che predilige l'opzione del Premier eletto dal popolo o addirittura il presidenzialismo in maniera forte, la sinistra molto meno - ha messo il nome del leader sulle schede elettorali, ma lo ha fatto anche la sinistra.
Già nel 2001, quando sulle schede elettorali c'era il nome di Berlusconi per il centrodestra, la sinistra fece altrettanto sul suo simbolo elettorale, quello su cui la gente esprime il proprio voto nel momento di contatto tra politica e cittadini (i quali casomai non leggono tutti i giorni la Costituzione, ma quando vanno a votare un'opinione se la fanno): si leggeva Berlusconi o Rutelli. In quel caso se, come avvenne nella suddetta circostanza, avesse vinto il centrodestra con Berlusconi o se, per avventura, avesse vinto il centrosinistra con il candidato Rutelli, il Capo dello Stato avrebbe potuto anche assegnare l'incarico ad un altro, in teoria, ma in pratica non avrebbe potuto farlo. Tuttavia non è prevista l'elezione diretta del Premier. Anche questa volta c'è stato uno scontro tra Prodi e Berlusconi; questa volta c'erano anche altri nomi, perché abbiamo avutoPag. 38un sistema elettorale che ha consentito a tutti di mettere simboli e nomi, con una loro moltiplicazione sulle schede elettorali.
Se chiedessimo ai cittadini fuori da Montecitorio - potremo fare come Le Iene o altri, trasformandoci in intervistatori del popolo - tutti ci direbbero che si elegge il Premier. Questa è la percezione popolare. Del resto, oggi si dibatte su quali saranno i candidati alle prossime elezioni, che si terranno, come noi ci auguriamo, fra sei mesi o, come qualcuno si augura, ma forse nemmeno con convinzione, nel 2011, o in un'altra data intermedia. In ogni caso, si discute su quali saranno i candidati. Infatti, a sinistra è sceso in campo Veltroni e già si sa che dovrà essere il candidato alla premiership, noi abbiamo una candidatura già definita in termini di consenso, quella di Berlusconi, perché risulta essere quella più suffragata, ma ci sono comunque altri leader come Fini, Casini, personaggi ampiamente suffragati e altri potenziali leader.
Oggi siamo in ritardo di dieci anni rispetto alla pubblica opinione che pensa che l'elezione diretta del premier già esista, questa è la percezione del Paese, e se noi andassimo a spiegare che non è così, direbbero «come, non è così? Io sono andato a votare, c'era pure il nome sulla scheda, l'ho anche votato, abbiamo vinto o abbiamo perso?», commenteranno, a seconda delle opinioni. Tuttavia, non si sa che non abbiamo questa norma. Questa riforma ha dato un pò più di poteri di impulso al Governo nel campo dell'iniziativa legislativa, ha posto anche limiti alla decretazione d'urgenza. Ho apprezzato l'aggiunta nel testo della Costituzione di alcuni aspetti che nella prassi e nelle norme sono invalse, ma scriverli in Costituzione vuol dire limitare in maniera ancora più formale e solenne l'abuso della decretazione d'urgenza, rendendo effettivo il termine dei 60 giorni. Nello stesso tempo, si rafforza il diritto del Governo di chiedere ed ottenere tempi certi nel varo o nella reiezione di un proprio provvedimento. Ritengo che sul tema del rafforzamento del Governo si poteva andare ancora più avanti, lo dico soprattutto a quei settori più conservatori - nel senso deteriore del termine - più retrivi del Parlamento che hanno ancora paura. Quando leggo articoli o discussioni sulla Costituzione... Mi ha molto colpito, in questi giorni, che un banchiere sia intervenuto per spiegare il suo pensiero sulla Costituzione: non era Consorte, quindi già almeno ci siamo elevati di livello (Commenti del deputato Violante), si tratta di Bazoli. Pare ci sia stata una discussione tra Bazoli e il direttore del Corriere della Sera perché quest'ultimo ha pubblicato alcuni interventi che aprivano una riflessione sulla Costituzione, anche su alcuni principi fondamentali.
Bazoli è stato quasi chiamato in causa perché si diceva che volesse la sostituzione del direttore Paolo Mieli perché il «discolo» aveva mostrato segni di apertura ad una riforma troppo esagerata, eppure Mieli lo ricordiamo per la sua esternazione a favore del centrosinistra! Qualche giorno fa partecipavo con quest'ultimo ad un convegno durante il quale egli ha rilasciato un'affermazione di tenore un po' diverso, forse ci ha ripensato... evidentemente il Governo ha fatto di tutto per non meritare l'apprezzamento neppure di coloro che avevano invitato a votarlo! Dopo di che Bazoli è intervenuto sulla Costituzione. Non so perché Bazoli o altri se ne debbano occupare; Bazoli può candidarsi alle elezioni, fondare un partito e, forse, ha anche la capacità di finanziarlo; tutti si occupano di questo tema, mentre noi siamo in ritardo.
Ecco perché Alleanza Nazionale ha partecipato con animo sincero al dibattito odierno; non è tutto quello che serve, noi vorremmo un'istanza presidenzialista più avanzata o, almeno, quella elezione del Premier che i cittadini pensano di vivere da una quindicina d'anni, più o meno, e quindi quando hanno votato le volte precedenti e quando andranno a votare la prossima volta hanno pensato e penseranno di eleggere il Premier; non sanno che gli orologi della Costituzione sono un po' in ritardo rispetto alla vita reale del Paese. Comunque, riteniamo che gli accenni fatti siano positivi e anche alcuniPag. 39aspetti, tra i quali l'ottimismo di ridurre a quaranta anni l'età per l'elezione del Capo dello Stato in un sistema che viene considerato un po' ingessato sull'età. Spesso anche nel nostro schieramento svolgiamo questa riflessione quando si parla delle leadership; alcuni da sinistra tifano per altre leadership, sperando, forse, di vincere e, quindi, sono tifosi poco attendibili; tuttavia, quando parliamo dei leader dei nostri partiti - Fini e Casini - questi ultimi hanno un'età non solo per essere leader, ma anche per far sì che avvenga come in altri Paesi, dove i vari Blair e Aznar sono usciti di scena dopo aver governato i loro Paesi ancor più giovani di quanto non siano oggi i leader di alcuni partiti italiani. Quindi, che vi sia la necessità di una riduzione dell'età media non v'è dubbio, però io non sono neanche un teorico del giovanilismo fine a se stesso, non solo perché forse con il passare degli anni tutti diventiamo più attenti a questa condizione, perché l'età di per sé non è una condizione risolutiva, però saluto la decisione di portare l'età teorica del Capo dello Stato a quaranta anni come un gesto di speranza in un futuro in cui non sia necessario aver compiuto ottanta anni per diventare Presidente della Repubblica, avere abbondantemente superato i sessanta per svolgere il ruolo di Presidente del Consiglio, e via di questo passo rimanere giovani o, per dirla con le infelici affermazioni di Padoa Schioppa, bamboccioni ancora a trenta o a quaranta anni. Quindi, auguriamoci che questo stimolo costituzionale possa servire poi ad un parziale ringiovanimento anche con giovani di qualità, perché io che ne frequento tanti, ne vedo tanti bravi, ma talvolta alcuni, oggi che i partiti tradizionali sembrano essere meno di moda, chiedono come si diventa deputato. Si può diventare deputato, ma molti di noi hanno iniziato la battaglia politica senza pensare di diventare deputati o membri di un Governo, ma rappresentando idee e conducendo battaglie politiche.
In tutto questo tempo non si è cambiata la Costituzione e questo è un dato un po' amaro. Sì, vi sono stati piccoli ritocchi (alcuni in peggio, come la riforma del 2000-2001 del Titolo V), qualche altra modifica (come l'introduzione, da parte nostra, del diritto di voto degli italiani all'estero) e altre innovazioni. A volte si è fatto finta di ignorare la Costituzione; ricordo i tentativi del Governo Prodi degli anni Novanta e la cosiddetta legge Turco-Napolitano che prevedeva il diritto di voto agli immigrati, sul quale facemmo una battaglia, sostenendo che la Costituzione riserva tale diritto ai cittadini e si convenne che per riconoscere il diritto di voto bisognava modificare la Costituzione. Ciò in tal caso non è avvenuto ed io ne sono stato contento, perché ritengo che il diritto di voto, anche amministrativo, debba essere riconosciuto ai cittadini, e oggi anche ai cittadini dell'Unione europea in virtù dei processi di integrazione in atto, ma non possa essere attribuito nemmeno a questi ultimi per le elezioni politiche.
Ritengo che questo tentativo meriti un apprezzamento perché, se non altro, ci consente di tenere sempre in piedi il discorso sulle riforme, ed eventualmente di verificare se qualche passo in più possa essere compiuto anche nel corso del dibattito. Credo che soprattutto sull'elezione del Premier, che è il tema che si collega anche alla legge elettorale che non è al centro di questa discussione e sappiamo quanto è delicata la questione...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MAURIZIO GASPARRI. Concludo, Presidente.
Si potrebbe realizzare qualche passo in più. Probabilmente, come ha affermato il relatore Bocchino, avremmo svolto, forse, un esercizio a futura memoria e i resoconti di queste sedute si aggiungeranno a quelli delle Commissioni bicamerali che, da Bozzi ai nostri giorni, si sono succedute. Riusciranno la I Commissione e il presidente Violante, che per il ruolo e per il cursus honorum è sicuramente una persona di grande capacità, a realizzare ciò che altri non hanno fatto? Questo è il quesito di fronte al quale ci troviamo.
In conclusione, signor Presidente, sul piano della politica non interpretiamo laPag. 40nostra partecipazione al dibattito in maniera convinta, come un sostegno al Governo che non è in grado di sostenersi da solo e che non piace neanche ai Ministri che lo compongono. Quindi, come potrebbe piacere a noi? Sgombriamo, dunque, il campo dal sospetto. Ci auguriamo un'alternanza e un ricambio che si verifichino ancor prima della cronaca del dibattito parlamentare.

PRESIDENTE. Deve concludere.

MAURIZIO GASPARRI. Tuttavia, su alcune scelte prioritarie siamo disposti a confrontarci serenamente e, successivamente, il tempo e la realtà ci mostreranno se il dibattito sarà servito a qualcosa o soltanto a realizzare un altro volume di resoconti per gli studiosi del futuro (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).

ITALO BOCCHINO. Bravo, mi hai commosso!

PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle 16 con il seguito della discussione sulle linee generali.

La seduta, sospesa alle 13,20, è ripresa alle 16.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Colucci, Cordoni, D'Alema, Donadi, Franceschini, Letta, Meloni, Morrone e Pinotti sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

In morte dell'onorevole Argeo Gambelli Fenili.

PRESIDENTE. Comunico che il giorno 21 ottobre è deceduto l'onorevole Argeo Gambelli Fenili, già membro della Camera dei deputati nella IV legislatura.
La Presidenza della Camera, anche a nome dell'intera Assemblea, esprime sentimenti di cordoglio.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 553-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali e si sono svolti alcuni interventi.
È iscritto a parlare il deputato Bruno. Ne ha facoltà.

DONATO BRUNO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, se il Presidente Prodi, all'indomani della falsa vittoria elettorale, avesse accettato ciò che il Presidente Berlusconi gli aveva offerto, ossia di fare insieme un percorso condiviso, forse oggi avremmo potuto varare un testo sul quale tutte le forze politiche avrebbero offerto il proprio contributo e le stesse avrebbero avuto il tempo necessario per metabolizzarlo, disossarlo, valutarlo, discuterlo e sicuramente approvarlo.
Purtroppo, ci troviamo in una situazione identica, se non peggiore, a quella della scorsa legislatura. Questa volta siete mossi da un unico e primario obiettivo, quello di votare e approvare un misero testo, che possa servire al Presidente della Repubblica per sostenere che, essendo iniziato un processo riformatore costituente, non è il caso di staccare la spina all'attuale Governo, consentendo - e ciò sarebbe ingiusto - di spostare il termine, ormai maturo, per il ricorso alle urne.
Pag. 41
Sono altresì convinto che, secondo il suo stile, il Presidente Napolitano, ancorché pressato, non deluderà il corpo elettorale e adotterà sicuramente le scelte che la Costituzione gli impone.
Allo stesso modo, sono certo che, se in questo frangente avessimo avuto un altro Presidente, questa mia convinzione traballerebbe. A tal proposito, mi domando che fine abbia fatto il Presidente emerito Oscar Luigi Scalfaro.
La sua immagine e il suo stile rimarrà in me indelebile, non tanto per il suo settennato, ma per quando apparve nella sede della CGIL, in qualità di presidente dell'allora Comitato dei sì al referendum, ove ebbe, con aria tronfia e severa, a ripetere fino all'ossessione: la Costituzione non si tocca, giù le mani dalla Costituzione! Che grande uomo!
Ora non ne abbiamo più notizie, ma è auspicabile che - è un augurio che faccio a me stesso e per il bene del Paese - quando questo inutile testo arriverà in Senato, ci faccia sentire la sua stentorea voce. Capiremo il suo pensiero, nella certezza che sarà ancora una volta la stella polare per molti nostri connazionali. Non fu, comunque, l'unico a gridare che la Costituzione non si tocca. Il coro allora divenne molto numeroso. Oggi vi è un silenzio assordante. Se qualcuno vi accenna, è solo per dire che è arrivato il momento di porre fine al bicameralismo paritario, che bisogna rafforzare i poteri del premier, che bisogna rivedere l'articolo 117 della Costituzione, che bisogna trattare in maniera puntuale il federalismo e altre ovvietà.
Per tutti, basta leggere l'articolo di Manzella su uno dei maggiori quotidiani di questo Paese di qualche giorno fa. Orbene, ciò che ci trova tutti d'accordo è che le riforme si devono fare per ammodernare il Paese e perché il Paese le attende. Costituiscono il vero problema, invece, il merito e il metodo su cui si è incentrata la scelta effettuata da questa maggioranza, che noi riteniamo inaccettabile. Infatti, se gli obiettivi dichiarati (rafforzamento dei poteri del premier, federalismo, superamento del bicameralismo paritario) sono sostanzialmente gli stessi della riforma approvata dal centrodestra nella scorsa legislatura, poi bocciata dal referendum, il contenuto effettivo si discosta di gran lunga da quegli obiettivi, ovvero è inficiato da un grave errore metodologico, destinato a produrre la paralisi della riforma stessa.
Come ha avuto modo di rappresentare in un articolo di stampa l'onorevole Calderisi, tre sono le questione più rilevanti. La prima attiene al fatto che, diversamente da quanto viene sbandierato, non è previsto alcun rafforzamento dei poteri del premier, ma solo un piccolo maquillage incapace di modificare la strutturale debolezza istituzionale del premier italiano. Nel testo si prevedono infatti solo tre modifiche che sono ben poca cosa per non dire aria fritta. La prima è la possibilità che il premier proponga al Capo dello Stato non solo la nomina ma anche la revoca di un ministro. A parte l'assenza del potere diretto di nomina e revoca dei ministri da parte del premier, questo potere rimane nelle mani del Presidente della Repubblica che pertanto potrebbe opporsi alle sue proposte. Perché nasconderci che il potere di revoca serve a poco con i governi di coalizione? Per fare un esempio: revocare i ministri politici come Mastella, Di Pietro o Pecoraro Scanio sarebbe impossibile anche disponendo del potere di revoca, perché il Governo cadrebbe un secondo dopo, mentre la revoca dei ministri tecnici è di fatto possibile anche oggi pure in assenza del potere di revoca.
La seconda modifica sbandierata come un toccasana consiste in una norma che rinvia ai Regolamenti parlamentari la disciplina del potere del Governo di chiedere la votazione di un disegno di legge entro una data determinata, ma i Regolamenti parlamentari già prevedono tale potere in modo esplicito per tutti i disegni di legge collegati alla legge finanziaria o in modo implicito per tutti gli altri provvedimenti attraverso le norme sulla programmazione dei lavori e sul contingentamento dei tempi. Attualmente, infatti, le leggi si bloccano anche alla Camera, dove questa maggioranza possiede circa settanta seggi diPag. 42margine solo per la mancanza di intese e per i veti all'interno della stessa maggioranza ed è sufficiente un solo esempio per dimostrarlo: quando la Casa della Libertà ha voluto modificare la legge elettorale, non una leggina qualunque, sono stati sufficienti meno di due mesi tra Camera e Senato.
La terza modifica riguarda il voto di fiducia dato non più al Governo ma al Presidente del Consiglio, una norma che potrebbe comportare un modesto rafforzamento del premier solo se come in Germania e in Spagna, il voto del Parlamento avvenisse in una fase precedente a quella della formazione dell'Esecutivo. In questo testo, invece, la fiducia al Presidente del Consiglio è prevista solo dopo che egli abbia già formato il Governo: in questi termini la modifica non serve proprio a nulla. Insomma queste modifiche costituzionali non migliorerebbero la governabilità e la stabilità dell'Esecutivo neppure di un millesimo. Nel vostro testo che presentate all'Aula non vi è alcun meccanismo di stabilizzazione dell'Esecutivo, meno che mai il potere di scioglimento delle Camere, il potere più significativo di cui dispone il premier nelle maggiori democrazie parlamentari, non solo in Inghilterra, Spagna e Svezia, ma anche in Germania. Infatti, occorre ricordare a tale proposito che l'articolo 68 della Costituzione tedesca consente al cancelliere di ottenere lo scioglimento in caso di mancata approvazione della richiesta di fiducia anche qualora la mancata approvazione della fiducia sia dovuta all'espediente di far uscire dall'Aula i deputati della maggioranza; in questo modo hanno ottenuto lo scioglimento Brandt nel 1972, Kohl nel 1983 e Schroeder nel 2005. Si tratta di un potere di scioglimento utilizzato anche come deterrente, non per ottenere lo scioglimento, ma per convincere settori riottosi della maggioranza a votare importanti provvedimenti o mozioni e al riguardo possiamo ricordare come nel 2004 Schroeder ottenne la fiducia sull'Afghanistan, minacciando lo scioglimento qualora i Verdi non lo avessero votato.
Le ragioni dell'inconsistenza delle norme sui poteri del premier sono le stesse che hanno portato il centrosinistra ad accusare la riforma della Casa della Libertà delle peggiori nefandezze: deriva plebiscitaria, dittatura del premier e così via solo perché essa attribuiva al premier poteri di gran lunga più blandi di quelli previsti dalla gran parte delle democrazie europee. Una posizione che non è solo della sinistra massimalista, ma anche di gran parte dei DS e della Margherita, magari degli stessi esponenti che poi esprimono un ammirato stupore per il decisionismo di Sarkozy, fingendo di ignorare che esso dipende non solo dalle sue qualità personali, ma anche dalla natura delle istituzioni francesi caratterizzate da una concentrazione di poteri mille volte maggiore di quella prevista dalla riforma costituzionale della Casa delle Libertà, contraddizione messa in luce recentemente da Angelo Panebianco su Il Corriere della Sera.
La seconda questione attiene al testo della riforma del centrosinistra che non tocca e non corregge affatto il Titolo V come aveva invece previsto la riforma del centrodestra che rimediava ai pericoli per l'unità nazionale dello sgangherato federalismo del Titolo V dell'Ulivo, come affermato anche da Augusto Barbera autorevole costituzionalista dei DS.
Si tratta di una mancata correzione che contribuisce ad accrescere il già pesante squilibrio di poteri tra governi locali e Governo nazionale, con il permanere della paralisi decisionale su tante essenziali questioni che bloccano lo sviluppo del Paese, dalle infrastrutture all'energia.
La terza questione rappresenta un fondamentale problema di metodo relativo alla riforma del bicameralismo perfetto e quindi del procedimento legislativo. È un'anomalia ormai solo italiana che mette in causa sia il federalismo, per l'assenza di una Camera come sede di raccordo tra Stato e regione, sia la governabilità, per la difficoltà e impossibilità di trovare un sistema elettorale che assicuri una stessa maggioranza in entrambe le Camere.Pag. 43
La riforma è tanto indispensabile quanto difficile da realizzare a causa del famoso paradosso del riformatore che deve riformare se stesso, in questo caso i senatori, di maggioranza come di opposizione, che devono approvare una riforma che comporta un forte mutamento del proprio ruolo e dei propri poteri, quasi una missione impossibile in questa legislatura, considerando i precari equilibri che caratterizzano l'Assemblea di Palazzo Madama.
Il Centrosinistra ha commesso un doppio errore. Prima ha bocciato la riforma della Casa della libertà, che sicuramente aveva dei difetti ma che poteva essere migliorata, in questa legislatura, senza dover ripartire dall'anno zero, sprecando così una grande occasione riformatrice forse irripetibile per molti anni a venire. Ora ha compiuto un secondo grave errore di metodo: ha fatto scrivere il testo della riforma, che riguarda i poteri del Senato, solo ai deputati, non coinvolgendo in alcun modo i senatori. Si tratta di un errore che si tradurrà quasi certamente nel blocco della riforma stessa da parte dei senatori della maggioranza, non disponibili a perdere tutti i poteri di governo di cui oggi dispongono.
Occorre infatti considerare che sottrarre la fiducia al Senato significa anche sottrarre al Governo la possibilità di porre la fiducia a Palazzo Madama, da cui deriva la necessità di attribuire solo alla Camera il potere di decidere in via definitiva le leggi di attuazione del programma di Governo. Autorevoli senatori della maggioranza hanno già dichiarato in sedi ufficiali che mai e poi mai faranno passare il testo adottato dalla Commissione Affari costituzionali della Camera.
Avremo tempo di discutere e sottolineare meglio questi aspetti in sede emendativa, ove cercheremo di dare il nostro contributo, affinché il testo possa migliorare. Solo in questo senso va letto il nostro voto di astensione sul mandato ai relatori di riferire in Aula, ma sin d'ora, e per estrema correttezza, ci sentiamo di anticipare che, qualora i nostri emendamenti non venissero considerati, dimostrando che il vostro testo è fermo, rigido ed immodificabile, le nostre posizioni saranno conseguenziali. Voglio augurarmi che il vostro atteggiamento possa modificarsi.
Chiedo a voi della maggioranza uno sforzo che da ultimo non siete stati in grado di realizzare. Mi riferisco ai danni da voi causati, stracciando quel minimo di regole istituzionali che erano state concordate sulla RAI. Solo da voi dipende se la strada sarà per un cammino di scontro o di collaborazione. Peggio di tutti sarebbe l'ipotesi che la riforma della Costituzione da voi agitata si dovesse rivelare solo un espediente per tentare di prolungare la sopravvivenza di un Governo capace solo di continuare a procurare gravi danni al nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor rappresentante del Governo, inizio il mio intervento con una constatazione: da ormai troppi anni si discute in Italia di riforme costituzionali, dalla Commissione Bozzi del lontano 1983 - ricordava oggi la relatrice Amici - al disegno di legge approvato nella scorsa legislatura, poi bocciato dal referendum, oltre a un gran numero di iniziative collaterali a quelle del Parlamento, dalle proposte della Fondazione Agnelli sulle macroregioni del 1992, al noto saggio della Commissione «Giustizia e pace» della diocesi di Milano, «Autonomie regionali e federalismo solidale», che, pur nel 1996, molto fece discutere.
Si tratta dunque di scaffali interi di analisi e di commenti, senza tuttavia che in ventiquattro anni i nodi essenziali siano mai stati sciolti.
Allora non possiamo non porci una domanda preliminare: vi sono oggi le condizioni per realizzare tutto ciò e per affrontare quei nodi? La situazione, da questo punto di vista, mi sembra per certi versi paradossale o surreale.
Per affrontare una stagione di riforme occorre evidentemente un clima politico diPag. 44grande e forte responsabilità, trasversale agli schieramenti politici. Nulla di più lontano dalla situazione attuale, con una politica in continua fibrillazione, dai toni eccessivi e che troppo spesso ha sostituito il Parlamento con i salotti televisivi, una politica caratterizzata, come ha affermato recentemente il Presidente Napolitano, da «un alto grado di intossicazione politica».
Ne consegue un rischio molto serio. Il Paese si aspetta segnali precisi. È giustamente stufo di parole. Guai a noi se il lavoro che ci accingiamo a compiere con l'esame di questa proposta di revisione costituzionale dovesse risolversi ancora in un nulla di fatto. Sarebbe un boomerang. Non farebbe che contribuire ad accrescere il giudizio negativo dei cittadini sulle istituzioni, e senza distinzione di parte.
È dunque una responsabilità particolarmente grande quella che ci assumiamo e che, per quanto riguarda la nostra piccola componente politica, delle minoranze linguistiche, vogliamo comunque assumerci, perché, riprendendo un noto aforisma, a fianco del pessimismo dell'intelligenza, non può non esserci, sempre, l'ottimismo della volontà.
Intanto apprezziamo il lavoro svolto dalla I Commissione e condividiamo l'impostazione che il presidente Violante ha voluto dare con il documento predisposto nel luglio 2006: non una «grande riforma», ma interventi puntuali e mirati. Si tratta di un'impostazione che abbiamo sentito enunciare anche dal Capo dello Stato, ripresa poi dal Ministro Chiti ed oggi tradotta nel testo in discussione, con l'individuazione di alcuni punti condivisi su cui intervenire: riduzione del numero dei parlamentari, trasformazione del Senato e superamento del bicameralismo paritario.
Nel merito, vorrei svolgere qualche breve osservazione. Per quanto riguarda la riduzione del numero dei deputati a 500, questa già era l'indicazione della riforma approvata dal centrodestra. Il Ministro Chiti aveva proposto un'ulteriore riduzione a 450; parimenti il Governo, nella sua - in verità un po' anomala - dichiarazione del 28 settembre scorso. Se facciamo un paragone con la situazione di altre consolidate democrazie, credo che si possa ipotizzare un taglio anche più significativo, senza che venga meno un'adeguata rappresentatività. Gli Stati Uniti, con 302 milioni di abitanti, hanno una Camera dei rappresentanti di soli 435 membri. E comunque, la proposta della Commissione costituisce una significativa ed apprezzabile mediazione.
Sul Senato federale e sulla definizione di «federale» - uno dei termini più abusati in questi anni - si tratta di un punto, anche di principio, particolarmente importante e delicato.
Per noi non può esistere federalismo senza foedus, ossia senza un patto, come lo fu - volendo citare un illustre precedente storico - quello stipulato nel 1291 tra le comunità che costituirono il nucleo iniziale della Confederazione elvetica. E, ovviamente, per stipulare un patto occorre che vi siano dei contraenti nelle condizioni di poterlo liberamente stipulare. È la questione essenziale per un processo consensuale di ricostruzione dal basso dello Stato, posta, tra gli altri, con chiarezza e lungimiranza, sin dal 1944, da Émile Chenoux in un saggio troppo poco noto «Federalismo ed autonomie», a commento di quella Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine che per noi rimane un preciso punto di riferimento teorico e politico.
Si tratta di una questione di cui anche il Parlamento aveva peraltro già iniziato a discutere, tanto che il senatore D'Onofrio, in qualità di relatore sulla forma di Stato nella Commissione bicamerale D'Alema, nel 1997, aveva testualmente indicato la necessità di un «patto costituente tra Stato e regioni» e di «Statuti adottati con forza di legge costituzionale, contestualmente alla definizione del nuovo ordinamento della Repubblica federale».
Non di questo oggi si tratta, evidentemente, e quindi sarebbe forse opportuno, per chiarezza, optare per una diversa definizione. Ricordo, tra l'altro, che la riforma proposta dal centrosinistra nel 2000, inizialmente definita «OrdinamentoPag. 45federale della Repubblica» fu giustamente derubricata in «Modifiche al titolo V, parte seconda, della Costituzione».
Per quanto concerne poi la composizione del nuovo Senato in quanto espressione delle realtà territoriali, si tratta di un passo certo importante, ma di un Senato espressione di quali realtà territoriali? L'articolo 114 della Costituzione, così come ridefinito dalla riforma del 2001, pone su un piano di parità comuni, province, città metropolitane e regioni. È un'impostazione su cui credo si dovrebbe riaprire una riflessione critica. È certo vero che l'evoluzione istituzionale dell'Italia ha visto a lungo un ruolo preminente dei comuni. Ma è altrettanto vero che con la costituzione delle regioni, a partire da quelle a statuto speciale, si è chiaramente definito un livello di governo intermedio che non può non essere il momento di sintesi delle istanze del territorio di riferimento, pena una confusione e sovrapposizione di ruoli che complica ulteriormente un quadro istituzionale già fin troppo affollato e complesso.
Quindi, per queste ragioni più che un improprio Senato federale, ritengo che dovremmo delineare una seconda Camera in cui le regioni siano paritariamente rappresentate, sul modello di altri Paesi. Anche su questo aspetto, della rappresentanza paritaria, la proposta in discussione pur rappresentando un importante mutamento della situazione attuale, a mio avviso, è ancora assai timida e ben lontana per esempio dal Bundesrat tedesco, in cui vi è sì una modulazione in rapporto con la popolazione, ma il divario massimo va dai tre voti dei Länder più piccoli ai sei dei maggiori.
Sul punto vorrei anche richiamare la situazione del Senato spagnolo in cui pure, per le 47 province continentali, sono attribuiti quattro seggi ciascuna, ad elezione diretta, mentre per le comunità autonome l'elezione è indiretta, da parte delle rispettive assemblee legislative.
In ottemperanza ad una impostazione autonomista, si potrebbe anche da noi ipotizzare un sistema non necessariamente univoco ed attribuire alle regioni a statuto speciale potestà decisionale sulla propria rappresentanza. Si tratterebbe di una seconda Camera, quale che ne sia poi la composizione, con funzioni differenziate, come è stato bene illustrato dai relatori.
Ritengo che, al di là dei contingenti tatticismi parlamentari di corto respiro vi sia in tutti piena consapevolezza che il sistema bicamerale attuale produca situazioni insostenibili e radicate patologie, secondo la definizione data dal Ministro Chiti, che minano la credibilità stessa delle istituzioni.
Le norme sulla sicurezza stradale, di cui ci stiamo occupando in questi giorni, che «rimpallano» da una Camera all'altra, con i cittadini e gli operatori del settore esterrefatti ed increduli, ne sono un mirabile esempio. Dunque, sia la Camera la sede della fiducia al Governo e si svolga lì la preminente attività legislativa. Si tratterà ovviamente di approfondire il merito delle norme in questione, della riformulazione dell'articolo 70 della Costituzione, in particolare per le materie in cui la Camera si pronuncia in via definitiva e con quale tipo di maggioranza.
Vorremmo, inoltre, porre l'accento sulla necessità di un confronto intenso non solo in seno al Parlamento, ma anche con il sistema delle autonomie. Riteniamo che nelle assemblee regionali vi possa e debba essere un proficuo dibattito su questi temi, sul testo che la Camera vorrà licenziare, da cui scaturiscano utili indicazioni per il seguito dei nostri lavori.
Concludo, cogliendo questa occasione, per ricordare che in materia di riforme costituzionali la I Commissione ha approvato, ormai da alcuni mesi (luglio 2007), una proposta di legge presentata dalla componente delle minoranze linguistiche per le procedure di modifica degli statuti, tema per noi essenziale, proposta che inspiegabilmente non è stata ancora iscritta nel calendario dei lavori della Camera.
È essenziale ridefinire il quadro generale di riferimento, come stiamo facendo oggi, ma è non meno importante per noi, stabilire nuove regole nelle relazioni traPag. 46Stato e regioni a statuto speciale, di cui l'intesa prevista in quella proposta di legge è l'elemento fondamentale.
Onorevoli colleghi e colleghe, oltre ai condizionamenti della contingente evoluzione della situazione politica, la preoccupazione forte è che i buoni propositi si infrangano comunque nel lungo e sempre tortuoso cammino parlamentare e che i difensori dell'immobilismo, anch'essi trasversali agli schieramenti politici, quando sentiranno concretamente traballare il proprio scranno, ancora possano prevalere.
Dunque, le forze politiche sappiano svolgere fino in fondo la propria funzione e guardare, nell'indifferibile opera di modernizzazione delle istituzioni, all'interesse generale del Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Moffa. Ne ha facoltà.

SILVANO MOFFA. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli relatori, non so se oggi alla Camera si stia svolgendo una discussione accademica, come è stato riportato nel pomeriggio da alcune agenzie di stampa.
Certo è che sembra esservi un profondo distacco tra la discussione che stiamo svolgendo, l'ambizione riformatrice che accompagna questa proposta di riforma costituzionale e la situazione generale in cui «annaspano» la maggioranza di centrosinistra e il Governo del nostro Paese.
E pur tuttavia, vorrei iniziare questo mio intervento con un apprezzamento per il metodo con cui il lavoro è stato svolto in Commissione, e che costituisce sicuramente una novità, perché ha mirato, almeno nelle intenzioni dei commissari (e anche il voto di astensione dell'opposizione ne è testimonianza), a individuare un nucleo minimo di elementi condivisi, convergenti, tra i due schieramenti di centrodestra e di centrosinistra. Si tratta di un metodo - lo ha rilevato stamane anche il relatore, onorevole Bocchino - che ci auguriamo possa essere di esempio per il futuro, perché di riforme costituzionali ormai, come è stato più volte rilevato anche oggi, si parla nel nostro Paese senza costrutto da diverso tempo: basti pensare agli ultimi tentativi, non solo quello evidentemente che ha riguardato il precedente Governo e che si è risolto nell'insuccesso del referendum confermativo, ma anche l'inizio di una riforma del Titolo V della Costituzione, che fu varata a colpi di maggioranza, e che ha determinato un aumento della conflittualità fra livelli di Governo, fra regione e Stato in particolare. Di qui la necessità obiettiva di cambiare metodo, di sperimentare un procedimento che mi auguro possa, nell'interesse del Paese, portare davvero ad una articolazione diversa della nostra Carta costituzionale.
Il fatto che ci sia una convergenza su un nucleo di ritocchi, di riforme alla Carta costituzionale non mi esime, non ci esime dal confermare anche in questa sede come sarebbe stata più proficua l'attivazione e l'istituzione di una vera e propria Assemblea costituente, per porre mano in maniera più decisa, più sostanziale e più completa alla riforma della Costituzione, che ormai è superata dai tempi e in parte è soppiantata dalla stessa Costituzione materiale.
Così pure appare oggi più chiara la bontà del disegno riformatore avviato dal precedente Governo. Era una riforma, quella, che affrontava in maniera organica il ridisegno della parte seconda della Costituzione, sia sul versante parlamentare, sia sul merito del sistema delle garanzie: un aspetto generalmente e decisamente rafforzato, sulla falsariga dei migliori modelli di moderna democrazia parlamentare, dove le esigenze di governabilità e i connessi meccanismi di rafforzamento delle maggioranze debbono giocoforza trovare un adeguato meccanismo di bilanciamenti e di contrappesi istituzionali. Non solo: quella riforma interveniva significativamente anche sui poteri del Presidente della Repubblica, sulla forma di Governo e sul riparto delle competenze legislative e fissava i principi di leale collaborazione e di unità nazionale.
L'obiettivo centrale era quello di completare il quadro federalista delle istituzioniPag. 47repubblicane. In questo quadro ci si è mossi, sottolineando che la prima questione era, e rimane, costituita dalla riforma federalista dello Stato e dalla devoluzione dei poteri effettivi di Governo alle regioni, in un contesto di equilibrio territoriale tra le diverse aree e di unità nazionale, nonché nel rispetto del principio di autonomia e di sussidiarietà. Si è ritenuto opportuno intervenire su un progetto organico, un progetto completo, in grado di perfezionare il disegno federalista e allo stesso tempo di concretizzare alcune importanti esigenze di carattere istituzionale, come il rafforzamento dell'Esecutivo e l'adeguamento delle strutture parlamentari: in particolare mediante un'ampia rivisitazione del sistema bicamerale e una complessiva accelerazione dei tempi di approvazione delle leggi.
Il nuovo Parlamento nazionale, in quel progetto, veniva articolato in modo tale che vi era un superamento netto del bicameralismo, con una Camera che si fondasse sulla legittimazione democratica dell'intera comunità, e l'altra, il Senato federale, sulla legittimazione federativa dei vari enti territoriali. Nel 2001 - credo che sia opportuno ricordarlo, anche per non commettere in futuro gli stessi errori - il legislatore costituzionale aveva rinunciato, se non con la soluzione in via transitoria concernente la Commissione parlamentare per le questioni regionali, ad introdurre un simile modello, con ciò determinando peraltro una sorta di «corto circuito»: da un lato, sono stati significativamente potenziati ruolo e funzioni delle autonomie locali e regionali, con l'attribuzione a queste ultime di una potestà legislativa di carattere generale e residuale; dall'altro lato, è tuttavia mancata la modificazione dell'impianto del nostro sistema bicamerale, in grado di costituire un momento di sintesi delle esigenze espresse dalle autonomie.
L'idea fondante che aveva animato la riforma approvata nella scorsa legislatura - e che ritroviamo anche nella proposta al nostro esame - era l'esigenza che i territori trovassero un'adeguata rappresentanza all'interno di una Camera nazionale in grado di costituire un bilanciamento complessivo del sistema.
Quello del bilanciamento costituisce infatti un problema essenziale nell'equilibrio di un sistema democratico parlamentare. Vorrei in proposito ricordare il recente studio di Angelo Panebianco, Il potere, lo Stato e la libertà, ove l'autore affronta il tema della divisione del potere verticale che è propria delle organizzazioni politiche che si ispirano al principio del federalismo.
Il federalismo, in punto di dottrina, può essere inteso in due modi: come una particolare variante dello Stato moderno oppure come un'organizzazione politica alternativa allo Stato. Nella prima prospettiva, l'elemento discriminante è l'ubicazione della sovranità; nella seconda interpretazione, invece, tale questione perde rilevanza. La federazione è un modo di organizzare, sulla base di un patto (o foedus) i rapporti fra entità che desiderano preservare la propria identità ed autonomia, ma anche unirsi in vista di scopi che si ritengono comuni. La sua storia, inoltre, non è strettamente legata a quella dello Stato moderno: organizzazioni federali sono esistite in tempi premoderni, ed è plausibile - secondo gli studiosi di questa forma di organizzazione politica - che forme di federalismo esisteranno anche quando lo Stato dovesse essere scomparso.
In questa prospettiva, il federalismo è un genere che si articola in molte specie fra loro anche assai diverse: è sotto il profilo organizzativo, invece, che si coglie con più immediatezza la differenza fra Stato e federazione. Mentre infatti lo Stato è organizzato gerarchicamente, o secondo il modello spaziale centro-periferia, la federazione è organizzata secondo il modello a matrice: in una matrice non esistono centri di potere più alti o più bassi, ma solo arene - più o meno grandi - del processo decisionale e dell'azione politica. Utilizzando il modello a matrice, dunque, si può ritenere che la distribuzione dei poteri implichi competenze diverse in arene differenti e per fini diversi.Pag. 48
Se si accetta questa interpretazione, allora si può sostenere che il sistema federale sia semplicemente uno Stato dotato di un decentramento più spinto di quello che caratterizza gli Stati unitari. Il decentramento è possibile solo in un'organizzazione statale e quindi su basi gerarchiche: qui, invece, siamo di fronte ad un concetto di non centralizzazione che si può concettualizzare nel modo migliore come una matrice di governi con poteri così distribuiti che non può essere fissato alcun ordine gerarchico fra di essi.
Sotto questo profilo, uno dei principali contrassegni del federalismo appare essere la presenza di una Camera parlamentare che sia costituita come assemblea rappresentativa delle organizzazioni territoriali di area vasta e che ne costituisca espressione e sintesi.
Sul piano strutturale - e vengo così al punto che differenzia la nostra posizione rispetto a quella contenuta nella proposta di legge costituzionale al nostro esame - si deve privilegiare la scelta di escludere che la Camera di rappresentanza territoriale si formi attraverso un meccanismo elettivo di secondo grado. Tale meccanismo infatti - come affermava Costantino Mortati già in sede di Assemblea costituente - porterebbe ad attenuare l'immediatezza del legame rappresentativo fra elettori ed eletti.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

SILVANO MOFFA. Concludo, signor Presidente.
Non si esprime dunque una preferenza per il modello tedesco, con un Senato organizzato similmente al Bundesrat. Ciò anche in considerazione del fatto che, in concreto, quel modello potrebbe determinare seri problemi di funzionalità e di continuità dell'azione legislativa: una composizione del Senato in quella forma, infatti, rischierebbe di rendere inidonea la rappresentanza, poiché richiederebbe un'attività continuativa ai rappresentanti regionali, che sono chiamati invece nel contempo agli impegni nei loro rispettivi territori.
Per concludere, onorevoli colleghi, credo che, nel complesso, nella proposta di riforma al nostro esame sono rintracciabili elementi che indubbiamente vanno nel senso di aggiornare la nostra Carta costituzionale: in particolare, il superamento del bicameralismo, la semplificazione del procedimento legislativo, e anche, in qualche misura, la creazione di condizioni di maggiore stabilità.
Mi auguro che ciò serva a superare - e davvero concludo, signor Presidente - quell'autoconservatorismo che sempre ha accompagnato qualunque ipotesi di riforma, quell'autoconservazione che è legge suprema per la comunità come per gli individui.
Di qui, il costante riproporsi del quesito: si può impedire al Governo di abusare dei propri poteri senza spogliarlo della piena potestà della comunità, come diceva John Caldwell Calhoun? Mi auguro che ciò sia possibile attraverso lo sforzo congiunto che si tenta di portare avanti (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Dato. Ne ha facoltà.

CINZIA DATO. Signor Presidente, voglio davvero complimentarmi con il presidente Violante e con il lavoro svolto dai relatori, che traccia la possibilità di un clima - se fosse quello che abbiamo vissuto effettivamente in Commissione - di vero lavoro costituente.
Purtroppo, sento toni che fanno riferimento ai problemi politici della maggioranza in questo momento, che davvero credo dovrebbero restare estranei a riflessioni che riguardano una riforma delle regole fondamentali - quali sono quelle della Costituzione - giudicata necessaria da tutti.
Voglio ricordare all'onorevole Bruno, di Forza Italia, che lamentava il silenzio di coloro che si opposero nella scorsa legislatura al cambiamento di parte (peraltro così grande) della Costituzione, che la vera differenza non si pose mai tra chi non voleva e chi voleva che si toccasse la Costituzione, ma tra chi non voleva e chi voleva che la si stravolgesse per adottarePag. 49un sistema privo di una sua coerenza sistemica e di una organicità funzionale prevedibile. Soprattutto, essa si pose tra coloro che ritenevano necessaria un'Assemblea costituente per tale lavoro e coloro che non lo ritenevano.
Non furono levate voci di assoluta conservazione e le esigenze cui la riforma al nostro esame risponde - o cerca di farlo - sono riconosciute da tutti: un rafforzamento del Governo ed un miglioramento del funzionamento del parlamentarismo (al quale noi siamo molto affezionati, a differenza della maggioranza nella scorsa legislatura), che indubbiamente abbisogna oggi di un aggiornamento, a sessant'anni di distanza dal concepimento del funzionamento di un Paese che ricostruiva una democrazia venendo fuori, con un pluralismo forte, da condizioni politiche difficilissime e non del tutto democratiche.
Ciò che allora giocò come garanzia oggi funge, invece, da rallentamento e impone complicazioni ed appesantimenti inutili, in un mondo, quale quello attuale, che richiede una sempre più forte ed incisiva capacità di scelta e di decisione, anche esecutiva.
Voglio sia chiaro che l'opposizione a quella riforma costituzionale fu forte, sentita e motivata, prima di tutto perché essa si proponeva lo scopo di tenere insieme una maggioranza dando un dono all'uno e un cedimento all'altro, o un bouquet di fiori al capezzale del Bossi malato, come Berlusconi ebbe a dire: forse non parlò, di bouquet di fiori, ma il concetto era proprio quello!
Ma si trattava di una riforma che noi non condividevamo in nessun aspetto, perché rendeva il Presidente della Repubblica una carica puramente onorifica (una sorta di cerimoniale), non rafforzava il Governo, rafforzava troppo, invece, il Primo Ministro ed indeboliva il meccanismo degli organi di controllo e di garanzia.
Quindi, in qualche modo indeboliva la nostra democrazia dall'alto e dal basso. Pertanto la nostra opposizione, malgrado l'apparente presenza in quel testo di alcuni dei temi sentiti anche dalla nostra parte politica, era dovuta al fatto che si proponeva un ridisegno della Costituzione a nostro avviso assolutamente inaccettabile per differenze strutturali e di fondo. Invece, l'attuale testo rafforza il parlamentarismo poiché sveltisce e rende più efficiente il funzionamento e i lavori e risponde ad un'esigenza avvertita da più parti politiche, sulla quale noi socialisti abbiamo una visione parzialmente diversa.
Complessivamente il disegno del Senato federale e delle autonomie risponde all'esigenza di una struttura più federale che dia alle regioni una maggiore voce in capitolo, recependo l'importanza che nella costruzione istituzionale del nostro Paese hanno le stesse autonomie locali.
Proseguo con il tema della riduzione del numero dei parlamentari del quale, per la verità, si è fatto un eccessivo uso demagogico, quasi che tale argomento fosse legato realmente ai costi della politica, mentre sappiamo tutti che non è così, perché è certamente collegato, invece, al tema importante del funzionamento del Parlamento.
Ritengo che la proposta relativa alla riduzione del numero dei parlamentari sia molto coraggiosa in una situazione di cambiamento totale del bicameralismo. I parlamentari non vengono diminuiti di oltre un centinaio, ma vengono ridotti di tale numero e di quello degli attuali senatori, perché il Senato muta nella sua logica, nelle sue funzioni, nella natura dell'elettorato attivo e passivo e nella logica della rappresentanza territoriale, molto più forte, oltre che nelle materie in cui esercita una propria capacità legislativa.
Pertanto, riteniamo tale proposta fin troppo coraggiosa e desideriamo che la riflessione sia approfondita relativamente al tema importantissimo della rappresentanza. Non ci sembra che tale argomento debba essere adoperato, soprattutto a proposito di una riforma costituzionale con debolezze populiste, perché è chiaro che in nessun Paese del mondo e in nessuna epoca storica è mai aumentato il livello della democrazia al contrarsi della rappresentanza e che questa vulgata di antipolitica, sulla quale nessuno rinuncia aPag. 50lanciarsi, prende di mira proprio la parte rappresentativa della democrazia e ritengo che debba essere ragione di inquietudine, di impegno culturale, di discussione e di dibattito pubblico da parte di tutte le forze politiche per la democrazia e la cultura democratica del Paese. Pertanto, ripeto che non si tratta di un tema che va esaminato con leggerezza.
Infine, a proposito dei parlamentari all'estero, voglio brevemente accennare la nostra posizione. Credo che tale argomento imponga una riflessione importante, perché se il Senato federale e delle autonomie propone una rappresentanza territoriale, con quale criterio possiamo immaginare che nel Senato vi sia la rappresentanza territoriale del resto del globo? Vi sarebbero dei senatori eletti a suffragio diretto in una Camera eletta, invece, con un'elezione di secondo grado.
Voglio chiarire tale aspetto perché so che si tratta di un tema difficile da affrontare. Siamo persuasi dell'importanza straordinaria che una consapevole, coraggiosa e forte politica della italianità nella globalizzazione ha per ogni Paese e per l'Italia, in modo particolare, che ha visto sparsi per il mondo moltissimi dei suoi figli e che forse è stato il più grande Paese di emigrazione fino a tempi recenti. Tale politica - lo devo dire - non sta lasciando tracce particolari nell'attuale azione di Governo, a mio avviso.
Nel quadro di una forte politica in tal senso risiede anche l'importanza della legge per gli italiani all'estero. Il problema è che l'attuale legge - ricordo di non aver sentito alcun collega, di alcuna parte politica, condividere questo testo di legge, votato da tutti un po' perché nessuno si assumeva la responsabilità di sollevare delle osservazioni - per molti versi, non funziona: si rifletta su quale anomalia sia dividere il resto del mondo in collegi italiani. Si pensi che, per esempio, esiste la legge per gli italiani all'estero, ma un cittadino italiano che si trova all'estero non può votare; si pensi che l'emigrato che compra casa in un comune non può influire sulle scelte di quel comune o della regione, che assumono decisioni molto importanti.
Credo che la legge sugli italiani all'estero sia da rivedere nel suo complesso - lo ripeto - non perché sottovalutiamo l'importanza di un sempre più stretto rapporto con coloro che, di origine italiana, vivono in altri Paesi - tutt'altro - , ma perché riteniamo che questa legge non sia adatta a valorizzare in modo ottimale tale - ahimè! - prerogativa dell'Italia.
Apprezziamo molto il rafforzamento del Governo e, prima di tutto, il rapporto di fiducia tra il Primo Ministro e la Camera, che la esprime dopo che il Governo e il programma sono stati definiti.
La possibilità che il Primo Ministro possa indicare l'intenzione di revocare qualche Ministro ci sembra faciliti enormemente la vita di un Governo, tuttavia il ruolo del Capo dello Stato ci sembra costituisca una garanzia necessaria ed una importante camera di compensazione.
Un altro aspetto cui tengo particolarmente - sono molto soddisfatta dell'apertura che conteneva sull'argomento l'intervento dell'onorevole Zaccaria e anche dell'intenzione dei relatori di presentare qualche emendamento in questo senso - riguarda il riequilibrio tra i generi. Infatti, stiamo modificando la Costituzione per quanto attiene a tutte le caratteristiche dell'elettorato attivo e passivo e fissiamo il numero dei componenti delle due Camere: visto che da più parti si afferma la manchevolezza delle nostre istituzioni nell'essere effettivamente rappresentative - come è evidente, a cominciare dall'assenza di donne o dalla loro scarsissima presenza - non sarebbe il caso di fissare, in quella stessa norma che stabilisce il numero dei parlamentari, una clausola di garanzia che eviti l'eccessivo squilibrio tra i generi, stabilendo che non più di due terzi dei componenti possano appartenere allo stesso genere?
Sono scelte che altri Paesi hanno già fatto. Se si riconosce l'importanza di questa falla evidente delle nostre istituzioniPag. 51- talvolta ironicamente dette «rappresentative» - credo che si dovrebbe avere il coraggio di fare una scelta simile.
Alcuni ritengono che l'articolo 51 della Costituzione possa soddisfare tali esigenze, ma ciò è palesemente non vero, in primo luogo perchè tale articolo, a detta di moltissimi costituzionalisti, è stato fatto male. Infatti, è stato approvato all'unanimità credo perché era evidente che non avrebbe comportato alcun cambiamento. Esso costituiva, inoltre, l'abbattimento di un eventuale ostacolo su una via che, però, si poteva non intendere percorrere, come di fatto è avvenuto, perché abbisognava di norme attuative.
Viceversa, un criterio di tale natura, alla vigilia del nostro lavoro sul sistema elettorale, consentirebbe di risolvere nel criterio di base (le regole delle regole), un problema sul quale la sensibilità di ciascuna parte politica sembra essere accesissima quando se ne discute, ma molto più timida e ritrosa di fronte alla possibilità concreta di evitare un eccessivo squilibrio. Ripeto che non si richiedono quote o null'altro, ma una pura e semplice norma di garanzia contro l'eccessivo squilibrio. O abbiamo il coraggio di farlo ora che stiamo intervenendo sulla composizione effettiva del Parlamento e non su quella delle liste elettorali, oppure, secondo me, il nostro Paese rimarrà a lungo nell'incapacità di rispondere ad una questione importante, perché - lo ripeto - parliamo di organismi rappresentativi.
Voglio concludere il mio intervento ricordando l'importanza che attribuiamo anche ad un'azione sull'articolo 49 della Costituzione, nel senso che non vi è dubbio che il partito politico è il grande protagonista della democrazia, il grande mediatore tra società e istituzioni. Tuttavia, in tale vulgata di antipolitica, il partito viene spesso considerato quasi responsabile del cattivo funzionamento della nostra democrazia e gli si attribuisce un ruolo eccessivamente forte. Sappiamo che i partiti politici, viceversa, soffrono di una forte debolezza sul versante della società e della partecipazione, che fa apparire troppo forte la loro capacità di influenza sul sistema istituzionale.
Crediamo che, quando si parla di rappresentanza e di partecipazione democratica, non possiamo dimenticare che l'Italia è un Paese che non ha uno statuto pubblico dei partiti. Ciò fa sì che i partiti politici, che spesso non hanno il dovere di celebrare dei congressi, si trovino poi a gestire ingentissimi finanziamenti, a giocare ruoli straordinariamente smisurati o addirittura - come nel caso di quest'ultima legge elettorale - a «nominare» il Parlamento.
Quindi, agire sulla riforma - o l'attuazione! - dell'articolo 49 della Costituzione ci sembra molto importante al fine di fornire risposte alla crisi del funzionamento delle istituzioni, che è una crisi della rappresentanza, di cui sicuramente il nostro sistema soffre e alla quale è opportuno cominciare a dare le risposte che stanno emergendo con il testo di riforma costituzionale al nostro esame, ma è necessario che la nostra azione sia più profonda e coraggiosa.
A proposito del Senato federale, una delle nostre proposte riguarda l'opportunità che ne facciano parte per diritto i presidenti delle regioni. Per la loro elezione diretta, in considerazione del fatto che costituiscono un organo monocratico e per altre ragioni, ci pare che non possano non essere presi in considerazione in una Camera che abbia le finalità del Senato federale. Naturalmente, ciò comporterebbe una riflessione sulla Conferenza Stato-regioni.
Un'ultima questione: è importante che noi lavoriamo con rapidità e in contemporanea rispetto alla legge elettorale. Non possiamo considerare conclusa questa sia pure prudente e limitata opera di riforma sulla Costituzione, se non abbiamo un'idea chiara del tipo di legge elettorale verso cui andiamo, perché ciò implica degli effetti sul funzionamento di tutti gli organi di controllo e di garanzia. Se il sistema continuasse a rafforzarsi in senso bipolare sarebbe assolutamente necessario rivederli.Pag. 52
In questi anni abbiamo visto un sistema funzionare sostanzialmente in termini di bipolarismo; oggi si sentono posizioni strane. Sono stupefatta di dichiarazioni di qualche esponente del Partito Democratico che si pronuncia a favore di sistemi proporzionali, perché se il Partito Democratico non è un nuovo brand, ma una tipologia precisa di partito in un determinato sistema politico, esso non è immaginabile senza il maggioritario.
Sento molti prendere le distanze da un modello bipolare. Vorrei che fosse chiaro che l'alternativa al sistema bipolare è un sistema neo-centrista. Il bipolarismo significa confronto, alternanza, alternativa, responsabilità. Il sistema neo-centrista, invece, significa un blocco del sistema e lo spegnimento di ogni confronto e alternativa, in una ricerca continua di logiche di compromesso, volte più a non lasciare il potere che a esercitarlo per precise finalità.
Credo che su questi temi di fondo, come la costruzione, il rafforzamento, il miglioramento del bipolarismo (capisco tutte le insoddisfazioni per questo bipolarismo) un dibattito ampio e profondo in questa stagione di riforme riguardi proprio la nostra volontà di continuare a costruire, rafforzando vieppiù, una democrazia dell'alternanza bipolare oppure la disponibilità ad andare incontro ad un blocco sostanziale del sistema che male si accorderebbe, a mio avviso, con le tanto agognate capacità decisionali, collegate alla possibilità di confronto e di alternanza.
Daremo il nostro contributo in dettaglio con gli emendamenti, ma si tratta di un testo che sostanzialmente condividiamo. Rinnoviamo gli apprezzamenti per i relatori (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno e L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Olga D'Antona. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante OLGA D'ANTONA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, la discussione che si è aperta oggi in quest'Assemblea si presenta come il segno di una nuova stagione di riforme istituzionali, che, almeno in sede di Commissione - a tal proposito mi unisco a tutti coloro che hanno espresso apprezzamento sia per i relatori sia per il modo in cui il presidente della I Commissione, Luciano Violante, ha condotto i lavori della stessa - ha visto operare insieme tutte le forze politiche, al fine di realizzare questa riforma, superando le pur esistenti e legittime distinzioni di appartenenza o di colore, per la costruzione di una nuova architettura dell'ordinamento dello Stato.
La riforma della Costituzione oggi in esame, a differenza di altre del recente passato, vuole incardinarsi nello spirito del terzo comma dell'articolo 138 della Costituzione secondo il quale, così come vollero i Padri costituenti, senza dare luogo a referendum, il Parlamento può approvare una modifica della Costituzione con il voto favorevole dei suoi componenti nei suoi due rami.
Credo che valga la pena di ripercorrere la storia dei tentativi di riforma della Costituzione, i suoi fallimenti e anche le ragioni degli stessi. La storia delle riforme costituzionali proposte o realizzate negli ultimi tre lustri ha preso l'avvio all'indomani della fine della Prima Repubblica ma, già negli anni Ottanta, si cominciò a discuterne e si sviluppò un dibattito culturale nel Paese e nel Parlamento. Si partì dalle idee e dalle provocazioni di Craxi sul presidenzialismo; cito, tanto per ricordarle, alcune sue parole: «Vogliamo un Presidente della Repubblica forte, con grandi poteri, eletto direttamente dai cittadini; vogliamo un uomo libero da lacci e lacciuoli per governare senza intoppi e senza la possibilità di essere sfiduciato». Nella realtà, poi, non fu mai presentata ufficialmente una proposta di revisione costituzionale in tal senso.
Venne, poi, Segni negli anni novanta con l'idea del sistema elettorale maggioritario.
Nel 1993 il Parlamento istituì una Commissione bicamerale per le riforme, presieduta dapprima da Ciriaco De Mita, e in seguito da Nilde Iotti. La Commissione Iotti affrontò per la prima volta in sede ufficiale il tema della forma di governo.Pag. 53
Nel 1994 il primo Governo Berlusconi varò un Comitato di studio per le riforme i cui lavori si conclusero con un progetto che prevedeva due alternative in materia di forma di governo: il modello semipresidenziale e il modello del governo di legislatura con Premier elettivo.
Nel gennaio del 1997 fu, poi, la volta della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali di cui fu presidente Massimo D'Alema e componente Silvio Berlusconi. Si cominciarono ad elaborare le cosiddette bozze Boato, che ne realizzò ben sette, e si progettò di rivedere decine e decine di articoli della Costituzione, ma non si riuscì a realizzarne il progetto, in realtà per ragioni meramente politiche.
Solo nell'ultima parte della legislatura, nel 2001, arrivò in porto la riforma del Titolo V della Costituzione confermata dal voto degli elettori con il referendum.
Da ultimo, nella scorsa legislatura, si mise mano ad una riforma complessiva della Costituzione ad opera dell'allora maggioranza di centrodestra che, con il referendum, fu bocciata dal voto popolare. Entrambe le due riforme costituzionali hanno pagato lo scotto di essere state realizzate senza un ampio consenso, ma solo con il voto delle forze della maggioranza in quel momento al governo del Paese, andando a costituire un pericoloso precedente che non vogliamo ripetere.
Siamo impegnati a portare a compimento questa riforma con una maggioranza che superi i due terzi dei voti favorevoli dei membri del Parlamento; perciò esprimiamo soddisfazione per il modo in cui la Commissione affari costituzionali ha lavorato, portando oggi in Assemblea un testo che nel suo impianto complessivo è stato costruito con il contributo di tutte le formazioni politiche che siedono in quest'Aula e che, con il voto finale in Commissione e con l'astensione costruttiva dell'opposizione, è stato confermato.
Auspichiamo che la ritrovata disponibilità da parte di tutti a ragionare sulle riforme, con senso di responsabilità e senza pregiudizi ideologici o di parte, venga confermata anche nella discussione in Assemblea.
La scelta di intervenire sulla Costituzione per parti è stata saggia ed oculata: da una parte, essa mette in luce la volontà politica di tutti di riuscire ad individuare, di volta in volta, gli aspetti su cui vi sono visioni comuni o non distanti; dall'altra, rispetta la volontà dei cittadini che con il referendum hanno bocciato la riforma costituzionale Berlusconi, dimostrando di disapprovare una riforma costituzionale di portata eccessiva.
Siamo consapevoli che il cammino della riforma della Costruzione, di cui il Paese ha bisogno, non può fermarsi qui. Già dalla prossima settimana la I Commissione (Affari costituzionali) lavorerà alacremente per assolvere tale compito, a cominciare dal Titolo V e, in particolare, dall'articolo 117. Sappiamo bene tutti che le riforme costituzionali non possono essere trascinate nell'agone della polemica politica spicciola e che bisogna avere rispetto del significato che riveste la Costituzione in una democrazia maggioritaria.
Con la vigenza del sistema maggioritario va ricordato che la maggioranza assoluta, il 50 per cento più uno, esprime solo una parte. È nostra convinzione - ed è convinzione ormai diffusa - che molti atti, previsti dalla Carta del 1947 e deliberati dal Parlamento con la maggioranza assoluta, nell'attuale situazione politica-istituzionale dovrebbero essere sempre prodotti con la maggioranza dei due terzi, in primo luogo la revisione costituzionale.
Per tale motivo e per non ripetere i pericolosi precedenti, preme l'urgenza di mettere in sicurezza la Costituzione con una riforma dell'articolo 138, volta ad elevare definitivamente a due terzi dei componenti di ciascuna Camera i voti necessari per poter modificare la Costituzione.
L'Unione nel proprio programma si è impegnata a non approvare riforme costituzionali senza una larga maggioranza che comprenda anche l'opposizione. Tale impegno è stato mantenuto ed intendiamo mantenerlo anche per il futuro. La vittoriaPag. 54degli orientamenti democratici e di difesa della Carta costituzionale nel referendum svoltosi nel giugno 2006 ha segnato una svolta nella storia politica e costituzionale italiana. La bocciatura della controriforma, voluta dalle forze di destra, è stata netta ed anche in ragione delle sue dimensioni ha consentito di porre fine agli incalzanti tentativi di delegittimazione della Costituzione, protrattisi nell'ultimo ventennio con accentuazioni più o meno marcate.
Oggi, grazie all'esito referendario, l'idea di una grande riforma della Costituzione non è più all'ordine del giorno. È, tuttavia, necessario interrogarsi criticamente sulla capacità di tenuta del dettato costituzionale e procedere, là dove è necessario, agli opportuni interventi che consentano di rafforzarne l'ispirazione e i principi. L'esigenza di raccordare i mutamenti costituzionali con i processi reali di trasformazione del processo politico e istituzionale sono già affiorati nel corso della transizione dalla prima alla seconda Repubblica, a partire dalla natura bipolare della competizione per il Governo.
Il nodo politico, invece, è costituito da una contraddizione tra l'esigenza reale di stabilità, che il Paese indica come uno dei principi ispiratori della riforma costituzionale, e i comportamenti della classe politica, talvolta ancorati ad una vecchia impostazione. Da tale punto di vista, è certo da considerarsi irrinunciabile uno sbocco della fase riformatrice coerente con le tendenze reali della transizione italiana.
L'Italia, infatti, sia pur faticosamente, dopo i molteplici tentativi di riforme costituzionali succedutesi negli ultimi vent'anni, sta in questo momento tentando di modificare la propria Costituzione attraverso la dialettica e la discussione parlamentare.
È una grande impresa democratica che, se si concluderà positivamente, darà un premio di credibilità e di legittimazione a quanti avranno partecipato e contribuito al realizzarsi di quell'obiettivo.
Nel contempo, questo metodo mette alla prova le istituzioni democratiche e rappresenta una sfida da non sottovalutare per i soggetti politici e per le assemblee, cui è affidata la responsabilità di corrispondere alle aspettative e alle esigenze di cambiamento del Paese. Le assemblee parlamentari sono il vero centro e il motore di questa impresa; ne divengono protagoniste in piena luce sulla scena nazionale, assumendo una speciale responsabilità nel rapporto con l'opinione pubblica. La Commissione affari costituzionali ha svolto il compito affidatole: ha esaminato diversi testi, diverse proposte e ne ha tratto un unico testo.
Certamente, nel lavoro dell'Assemblea, attraverso il più vasto dibattito che la discussione in Aula comporta, potrà essere necessario ricondurre problemi e formulazioni all'essenzialità e alla chiarezza proprie di un testo costituzionale.
Sarà necessario individuare e mettere a fuoco, a cominciare dalla discussione sulle linee generali e nel dibattito preliminare alle votazioni su ciascun punto, gli assi portanti di ciascuna questione, nonché le implicazioni e i rapporti di coerenza conseguenti alle diverse opzioni. L'Assemblea potrà così essere posta nella condizione di decidere su scelte chiare e con piena consapevolezza.
Mi piace ricordare che, in sede di Assemblea costituente, la fase del dibattito in Aula rappresentò un momento di semplificazione e di elevazione politica su molti punti del testo. Si può, infatti, constatare non solo sulla progressiva maturazione di un testo che riesca a individuare un asse politico unificante, ma anche sulla più alta politicità che una vasta Assemblea può esprimere, quando è chiamata a pronunciarsi in modo ordinato e coerente sulle massime questioni.
Solo se queste condizioni riusciranno a realizzarsi, tutti noi potremo esercitare e far valere con pienezza la nostra responsabilità. Anche da noi dipenderà se questo Paese riuscirà a darsi nuove regole per il funzionamento della sua democrazia. Se poniamo l'attenzione sulle scelte di fondo che hanno ispirato il nostro gruppo Sinistra Democratica Per il Socialismo europeoPag. 55nell'approccio strutturale della riforma, non possiamo non cominciare dal Parlamento.
Il nostro presupposto essenziale e fondante, per fortuna largamente condiviso nel dibattito culturale e politico, è costituito dall'autonomia del Parlamento. Ciò è espresso nella convinzione che vi siano opzioni di valore sul ruolo dell'organo rappresentativo nel sistema costituzionale, che restano valide indipendentemente dalla diversità dei modelli possibili di forma di governo e di Stato. In relazione a quei modelli, semmai, le scelte sulla struttura e le funzioni del Parlamento sono suscettibili di tradursi in diverse soluzioni tecnico-istituzionali.
Preliminare, quindi, è una riflessione sulla posizione e sul ruolo del Parlamento nel nuovo assetto costituzionale che si va delineando e nel diverso equilibrio in via di definizione tra istituzioni, poteri e organi.
È una riflessione che ha condotto alla conferma dell'opzione di fondo per la salvaguardia delle istanze irrinunciabili della democrazia rappresentativa e partecipativa che nel Parlamento si esprimono.
Di fronte alla crisi riconosciuta della forma di governo parlamentare, si tratta di rinnovare, senza rinnegarlo, il ruolo dell'organo rappresentativo e i modi del suo funzionamento, per adeguarli a un contesto politico-istituzionale e sociale profondamente trasformato rispetto all'età del parlamentarismo classico e a quella della sua degenerazione.
Le coordinate di riferimento nel nuovo contesto sono rappresentate da un'articolazione dei livelli istituzionali che, da un lato, accentua la valorizzazione degli enti territoriali e, dall'altro, tende al compimento del processo di unificazione europea.
A queste linee direttrici corrisponde evidentemente l'esigenza di calibrare i relativi meccanismi di bilanciamento e contrappeso: ad enti territoriali più autonomi e ad istituzioni europee titolari di sovranità deve affiancarsi un Parlamento nazionale anch'esso forte ed autorevole. Tutto ciò non significa conservazione pura e semplice del ruolo tradizionale delle Assemblee rappresentative, nelle quali era concentrata classicamente la totalità dei poteri decisionali o direttamente, attraverso l'esercizio del potere legislativo, che si identificava, esaurendola, con la funzione normativa, o indirettamente attraverso le tecniche di scelta degli esecutivi e del loro vertice. In particolare, il sistema maggioritario e la posizione del Governo nel suo ruolo di guida della maggioranza implicano necessariamente una valorizzazione della funzione di controllo democratico sull'operato del Governo stesso.
Tali considerazioni, evidenziando alcuni aspetti della forte complessità del sistema politico istituzionale, sono a fondamento della scelta per il mantenimento di un sistema bicamerale in linea con la maggior parte dei Paesi di democrazia matura ad alta densità di popolazione come l'Italia. Inoltre, democrazia complessa e pluralità dei centri istituzionali rappresentano un binomio indissolubile e l'evoluzione del sistema sembra sconsigliare di rinunciare a quell'importante funzione di garanzia che, in sé, il bicameralismo assolve, consentendo una rappresentanza diversificata, un più ampio confronto politico, una più approfondita riflessione sulla produzione legislativa ed un sicuro rafforzamento della funzione di controllo. Ci è parso, tuttavia, necessario mutare la struttura rappresentativa delle due Camere ed in particolare del Senato in maniera tale da garantire il collegamento con il territorio, ma assicurando anche il principio della democrazia rappresentativa.
Ritengo sia utile spendere qualche parola sulla riduzione complessiva del numero dei parlamentari. Il loro numero è sensibilmente diminuito ed una così consistente riduzione non deve, a nostro avviso, essere intesa come genericamente ispirata ad istanze antiparlamentaristiche o ad intenti demagogici. Essa può invece contribuire ad accrescere l'autorevolezza della rappresentanza ed il prestigio dell'istituzione, mentre il rapporto di uno a due del numero dei senatori rispetto a quello dei deputati non ha più uno specificoPag. 56fondamento logico e istituzionale in presenza di una profonda differenziazione di funzioni tra i due rami del Parlamento. La riduzione del numero dei parlamentari si giustifica anche alla luce della revisione complessiva del sistema istituzionale e del superamento del modello del bicameralismo perfetto. La base rappresentativa si amplia con la riduzione dell'età minima per l'elettorato passivo.
Quanto alle funzioni, il Parlamento conserva il primato nell'esercizio della funzione legislativa che viene interamente ridisciplinata. Il riparto di competenza materiale tra le due Camere e procedure radicalmente diverse da quelle vigenti improntate ad istanze di agilità e rapidità dovrebbero consentire lo svolgimento di una dialettica più serrata e proficua con il Governo, imponendo anche al Parlamento di compiere scelte chiare in tempi ragionevoli. In questo modo, l'istanza di governabilità non si traduce in una perdita di autorevolezza del Parlamento o in un sostanziale disconoscimento della democraticità della funzione normativa assicurata dal principio rappresentativo, bensì nella previsione, accanto ai nuovi modi di formazione del Parlamento stesso e del Governo, di strumenti procedurali che inducano un rapporto chiaro e corretto tra il potere legislativo e quello esecutivo e tra le diverse forze politiche all'interno delle assemblee rappresentative.
Nella ricerca di un equilibrio certamente delicato tra governabilità e attuazione del principio democratico e rappresentativo, le due Camere hanno quindi funzioni e ruolo politico differenziati, con una più specifica funzione di contrappeso istituzionale nel Senato rispetto alla funzione politica, Governo - maggioranza parlamentare, nella Camera dei deputati.
Il modello proposto attribuisce infatti alla Camera dei deputati la titolarità esclusiva del potere di fiducia e di sfiducia. Nella Camera si concentra il sostegno parlamentare alla realizzazione del programma di Governo nella dialettica del confronto tra maggioranza ed opposizione; alla Camera, quindi, è attribuita tutta la legislazione strettamente riferibile all'indirizzo politico governativo, rispetto alla quale il Senato opera come Assemblea di riflessione.
Il Senato svolge un ruolo diverso, partecipando al procedimento legislativo con potestà decisionale piena in un'area di attribuzione non esclusivamente riferibile al programma di Governo, e, pertanto, risalta meno la dialettica maggioranza - opposizione. È bensì vero che la sua diversa composizione tende comunque a garantire, con scelte meno vincolate alla politica governativa, un meditato confronto tra le Camere parlamentari, così come l'esigenza di una riflessione più approfondita.
Viene mantenuto sostanzialmente inalterato l'istituto della delegazione legislativa in favore del Governo, mentre in tema di decretazione d'urgenza si propone una disciplina parzialmente restrittiva, che peraltro richiama consolidati orientamenti della dottrina e della giurisprudenza costituzionale.
Si auspica che questa riforma costituzionale cammini di pari passo con la riforma elettorale avviata al Senato, perché il legame tra le due iniziative è essenziale ed imprescindibile. Il testo che presentiamo oggi in questa Aula può essere ulteriormente migliorato, ma esso già rappresenta un segnale molto positivo. Si tratta di un'occasione che non va sprecata. Il Paese si trova a vivere una stagione politica difficile. Si è parlato di cittadini lontani dalle istituzioni, di qualunquismo e di antipolitica. In realtà, credo che la grande partecipazione democratica sia al referendum promosso dai sindacati tra i lavoratori, sia alle elezioni primarie del nascente Partito Democratico rappresenti una conferma - e di ciò sono convinta - che vi sia nel Paese una grande domanda di cambiamento e di buona politica. È responsabilità della politica, che in questi anni non ha saputo decidere e non ha saputo realizzare quelle riforme istituzionali di cui il Paese aveva bisogno e di cui ancor di più oggi necessita, dare risposte. Nel passato ogni volta che si è tentato di affrontare questo tema ci si è piegati aPag. 57logiche di bieco politicismo ed a interessi di parte, piuttosto che al supremo bene dell'Italia.
Ritardare ulteriormente il percorso delle riforme sarebbe esiziale ed il Paese non può permetterselo (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, L'Ulivo e del deputato Bocchino)!
OLGA D'ANTONA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, la discussione che si è aperta oggi in quest'Assemblea si presenta come il segno di una nuova stagione di riforme istituzionali, che, almeno in sede di Commissione - a tal proposito mi unisco a tutti coloro che hanno espresso apprezzamento sia per i relatori sia per il modo in cui il presidente della I Commissione, Luciano Violante, ha condotto i lavori della stessa - ha visto operare insieme tutte le forze politiche, al fine di realizzare questa riforma, superando le pur esistenti e legittime distinzioni di appartenenza o di colore, per la costruzione di una nuova architettura dell'ordinamento dello Stato.
La riforma della Costituzione oggi in esame, a differenza di altre del recente passato, vuole incardinarsi nello spirito del terzo comma dell'articolo 138 della Costituzione secondo il quale, così come vollero i Padri costituenti, senza dare luogo a referendum, il Parlamento può approvare una modifica della Costituzione con il voto favorevole dei due terzi dei componenti nei suoi due rami.
Credo che valga la pena di ripercorrere la storia dei tentativi di riforma della Costituzione, i suoi fallimenti e anche le ragioni degli stessi. La storia delle riforme costituzionali proposte o realizzate negli ultimi tre lustri ha preso l'avvio all'indomani della fine della Prima Repubblica ma, già negli anni Ottanta, si cominciò a discuterne e si sviluppò un dibattito culturale nel Paese e nel Parlamento. Si partì dalle idee e dalle provocazioni di Craxi sul presidenzialismo; cito, tanto per ricordarle, alcune sue parole: «Vogliamo un Presidente della Repubblica forte, con grandi poteri, eletto direttamente dai cittadini; vogliamo un uomo libero da lacci e lacciuoli per governare senza intoppi e senza la possibilità di essere sfiduciato». Nella realtà, poi, non fu mai presentata ufficialmente una proposta di revisione costituzionale in tal senso.
Venne, poi, Segni negli anni novanta con l'idea del sistema elettorale maggioritario.
Nel 1993 il Parlamento istituì una Commissione bicamerale per le riforme, presieduta dapprima da Ciriaco De Mita, e in seguito da Nilde Iotti. La Commissione Iotti affrontò per la prima volta in sede ufficiale il tema della forma di governo.Pag. 53
Nel 1994 il primo Governo Berlusconi varò un Comitato di studio per le riforme i cui lavori si conclusero con un progetto che prevedeva due alternative in materia di forma di governo: il modello semipresidenziale e il modello del governo di legislatura con Premier elettivo.
Nel gennaio del 1997 fu, poi, la volta della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali di cui fu presidente Massimo D'Alema e componente Silvio Berlusconi. Si cominciarono ad elaborare le cosiddette bozze Boato, che ne realizzò ben sette, e si progettò di rivedere decine e decine di articoli della Costituzione, ma non si riuscì a realizzarne il progetto, in realtà per ragioni meramente politiche.
Solo nell'ultima parte della legislatura, nel 2001, arrivò in porto la riforma del Titolo V della Costituzione confermata dal voto degli elettori con il referendum.
Da ultimo, nella scorsa legislatura, si mise mano ad una riforma complessiva della Costituzione ad opera dell'allora maggioranza di centrodestra che, con il referendum, fu bocciata dal voto popolare. Entrambe le due riforme costituzionali hanno pagato lo scotto di essere state realizzate senza un ampio consenso, ma solo con il voto delle forze della maggioranza in quel momento al governo del Paese, andando a costituire un pericoloso precedente che non vogliamo ripetere.
Siamo impegnati a portare a compimento questa riforma con una maggioranza che superi i due terzi dei voti favorevoli dei membri del Parlamento; perciò esprimiamo soddisfazione per il modo in cui la Commissione affari costituzionali ha lavorato, portando oggi in Assemblea un testo che nel suo impianto complessivo è stato costruito con il contributo di tutte le formazioni politiche che siedono in quest'Aula e che, con il voto finale in Commissione e con l'astensione costruttiva dell'opposizione, è stato confermato.
Auspichiamo che la ritrovata disponibilità da parte di tutti a ragionare sulle riforme, con senso di responsabilità e senza pregiudizi ideologici o di parte, venga confermata anche nella discussione in Assemblea.
La scelta di intervenire sulla Costituzione per parti è stata saggia ed oculata: da una parte, essa mette in luce la volontà politica di tutti di riuscire ad individuare, di volta in volta, gli aspetti su cui vi sono visioni comuni o non distanti; dall'altra, rispetta la volontà dei cittadini che con il referendum hanno bocciato la riforma costituzionale Berlusconi, dimostrando di disapprovare una riforma costituzionale di portata eccessiva.
Siamo consapevoli che il cammino della riforma della Costruzione, di cui il Paese ha bisogno, non può fermarsi qui. Già dalla prossima settimana la I Commissione (Affari costituzionali) lavorerà alacremente per assolvere tale compito, a cominciare dal Titolo V e, in particolare, dall'articolo 117. Sappiamo bene tutti che le riforme costituzionali non possono essere trascinate nell'agone della polemica politica spicciola e che bisogna avere rispetto del significato che riveste la Costituzione in una democrazia maggioritaria.
Con la vigenza del sistema maggioritario va ricordato che la maggioranza assoluta, il 50 per cento più uno, esprime solo una parte. È nostra convinzione - ed è convinzione ormai diffusa - che molti atti, previsti dalla Carta del 1947 e deliberati dal Parlamento con la maggioranza assoluta, nell'attuale situazione politica-istituzionale dovrebbero essere sempre prodotti con la maggioranza dei due terzi, in primo luogo la revisione costituzionale.
Per tale motivo e per non ripetere i pericolosi precedenti, preme l'urgenza di mettere in sicurezza la Costituzione con una riforma dell'articolo 138, volta ad elevare definitivamente a due terzi dei componenti di ciascuna Camera i voti necessari per poter modificare la Costituzione.
L'Unione nel proprio programma si è impegnata a non approvare riforme costituzionali senza una larga maggioranza che comprenda anche l'opposizione. Tale impegno è stato mantenuto ed intendiamo mantenerlo anche per il futuro. La vittoriaPag. 54degli orientamenti democratici e di difesa della Carta costituzionale nel referendum svoltosi nel giugno 2006 ha segnato una svolta nella storia politica e costituzionale italiana. La bocciatura della controriforma, voluta dalle forze di destra, è stata netta ed anche in ragione delle sue dimensioni ha consentito di porre fine agli incalzanti tentativi di delegittimazione della Costituzione, protrattisi nell'ultimo ventennio con accentuazioni più o meno marcate.
Oggi, grazie all'esito referendario, l'idea di una grande riforma della Costituzione non è più all'ordine del giorno. È, tuttavia, necessario interrogarsi criticamente sulla capacità di tenuta del dettato costituzionale e procedere, là dove è necessario, agli opportuni interventi che consentano di rafforzarne l'ispirazione e i principi. L'esigenza di raccordare i mutamenti costituzionali con i processi reali di trasformazione del processo politico e istituzionale sono già affiorati nel corso della transizione dalla prima alla seconda Repubblica, a partire dalla natura bipolare della competizione per il Governo.
Il nodo politico, invece, è costituito da una contraddizione tra l'esigenza reale di stabilità, che il Paese indica come uno dei principi ispiratori della riforma costituzionale, e i comportamenti della classe politica, talvolta ancorati ad una vecchia impostazione. Da tale punto di vista, è certo da considerarsi irrinunciabile uno sbocco della fase riformatrice coerente con le tendenze reali della transizione italiana.
L'Italia, infatti, sia pur faticosamente, dopo i molteplici tentativi di riforme costituzionali succedutesi negli ultimi vent'anni, sta in questo momento tentando di modificare la propria Costituzione attraverso la dialettica e la discussione parlamentare.
È una grande impresa democratica che, se si concluderà positivamente, darà un premio di credibilità e di legittimazione a quanti avranno partecipato e contribuito al realizzarsi di quell'obiettivo.
Nel contempo, questo metodo mette alla prova le istituzioni democratiche e rappresenta una sfida da non sottovalutare per i soggetti politici e per le assemblee, cui è affidata la responsabilità di corrispondere alle aspettative e alle esigenze di cambiamento del Paese. Le assemblee parlamentari sono il vero centro e il motore di questa impresa; ne divengono protagoniste in piena luce sulla scena nazionale, assumendo una speciale responsabilità nel rapporto con l'opinione pubblica. La Commissione affari costituzionali ha svolto il compito affidatole: ha esaminato diversi testi, diverse proposte e ne ha tratto un unico testo.
Certamente, nel lavoro dell'Assemblea, attraverso il più vasto dibattito che la discussione in Aula comporta, potrà essere necessario ricondurre problemi e formulazioni all'essenzialità e alla chiarezza proprie di un testo costituzionale.
Sarà necessario individuare e mettere a fuoco, a cominciare dalla discussione sulle linee generali e nel dibattito preliminare alle votazioni su ciascun punto, gli assi portanti di ciascuna questione, nonché le implicazioni e i rapporti di coerenza conseguenti alle diverse opzioni. L'Assemblea potrà così essere posta nella condizione di decidere su scelte chiare e con piena consapevolezza.
Mi piace ricordare che, in sede di Assemblea costituente, la fase del dibattito in Aula rappresentò un momento di semplificazione e di elevazione politica su molti punti del testo. Si può, infatti, constatare non solo sulla progressiva maturazione di un testo che riesca a individuare un asse politico unificante, ma anche sulla più alta politicità che una vasta Assemblea può esprimere, quando è chiamata a pronunciarsi in modo ordinato e coerente sulle massime questioni.
Solo se queste condizioni riusciranno a realizzarsi, tutti noi potremo esercitare e far valere con pienezza la nostra responsabilità. Anche da noi dipenderà se questo Paese riuscirà a darsi nuove regole per il funzionamento della sua democrazia. Se poniamo l'attenzione sulle scelte di fondo che hanno ispirato il nostro gruppo Sinistra Democratica Per il Socialismo europeoPag. 55nell'approccio strutturale della riforma, non possiamo non cominciare dal Parlamento.
Il nostro presupposto essenziale e fondante, per fortuna largamente condiviso nel dibattito culturale e politico, è costituito dall'autonomia del Parlamento. Ciò è espresso nella convinzione che vi siano opzioni di valore sul ruolo dell'organo rappresentativo nel sistema costituzionale, che restano valide indipendentemente dalla diversità dei modelli possibili di forma di governo e di Stato. In relazione a quei modelli, semmai, le scelte sulla struttura e le funzioni del Parlamento sono suscettibili di tradursi in diverse soluzioni tecnico-istituzionali.
Preliminare, quindi, è una riflessione sulla posizione e sul ruolo del Parlamento nel nuovo assetto costituzionale che si va delineando e nel diverso equilibrio in via di definizione tra istituzioni, poteri e organi.
È una riflessione che ha condotto alla conferma dell'opzione di fondo per la salvaguardia delle istanze irrinunciabili della democrazia rappresentativa e partecipativa che nel Parlamento si esprimono.
Di fronte alla crisi riconosciuta della forma di governo parlamentare, si tratta di rinnovare, senza rinnegarlo, il ruolo dell'organo rappresentativo e i modi del suo funzionamento, per adeguarli a un contesto politico-istituzionale e sociale profondamente trasformato rispetto all'età del parlamentarismo classico e a quella della sua degenerazione.
Le coordinate di riferimento nel nuovo contesto sono rappresentate da un'articolazione dei livelli istituzionali che, da un lato, accentua la valorizzazione degli enti territoriali e, dall'altro, tende al compimento del processo di unificazione europea.
A queste linee direttrici corrisponde evidentemente l'esigenza di calibrare i relativi meccanismi di bilanciamento e contrappeso: ad enti territoriali più autonomi e ad istituzioni europee titolari di sovranità deve affiancarsi un Parlamento nazionale anch'esso forte ed autorevole. Tutto ciò non significa conservazione pura e semplice del ruolo tradizionale delle Assemblee rappresentative, nelle quali era concentrata classicamente la totalità dei poteri decisionali o direttamente, attraverso l'esercizio del potere legislativo, che si identificava, esaurendola, con la funzione normativa, o indirettamente attraverso le tecniche di scelta degli esecutivi e del loro vertice. In particolare, il sistema maggioritario e la posizione del Governo nel suo ruolo di guida della maggioranza implicano necessariamente una valorizzazione della funzione di controllo democratico sull'operato del Governo stesso.
Tali considerazioni, evidenziando alcuni aspetti della forte complessità del sistema politico istituzionale, sono a fondamento della scelta per il mantenimento di un sistema bicamerale in linea con la maggior parte dei Paesi di democrazia matura ad alta densità di popolazione come l'Italia. Inoltre, democrazia complessa e pluralità dei centri istituzionali rappresentano un binomio indissolubile e l'evoluzione del sistema sembra sconsigliare di rinunciare a quell'importante funzione di garanzia che, in sé, il bicameralismo assolve, consentendo una rappresentanza diversificata, un più ampio confronto politico, una più approfondita riflessione sulla produzione legislativa ed un sicuro rafforzamento della funzione di controllo. Ci è parso, tuttavia, necessario mutare la struttura rappresentativa delle due Camere ed in particolare del Senato in maniera tale da garantire il collegamento con il territorio, ma assicurando anche il principio della democrazia rappresentativa.
Ritengo sia utile spendere qualche parola sulla riduzione complessiva del numero dei parlamentari. Il loro numero è sensibilmente diminuito ed una così consistente riduzione non deve, a nostro avviso, essere intesa come genericamente ispirata ad istanze antiparlamentaristiche o ad intenti demagogici. Essa può invece contribuire ad accrescere l'autorevolezza della rappresentanza ed il prestigio dell'istituzione, mentre il rapporto di uno a due del numero dei senatori rispetto a quello dei deputati non ha più uno specificoPag. 56fondamento logico e istituzionale in presenza di una profonda differenziazione di funzioni tra i due rami del Parlamento. La riduzione del numero dei parlamentari si giustifica anche alla luce della revisione complessiva del sistema istituzionale e del superamento del modello del bicameralismo perfetto. La base rappresentativa si amplia con la riduzione dell'età minima per l'elettorato passivo.
Quanto alle funzioni, il Parlamento conserva il primato nell'esercizio della funzione legislativa che viene interamente ridisciplinata. Il riparto di competenza materiale tra le due Camere e procedure radicalmente diverse da quelle vigenti improntate ad istanze di agilità e rapidità dovrebbero consentire lo svolgimento di una dialettica più serrata e proficua con il Governo, imponendo anche al Parlamento di compiere scelte chiare in tempi ragionevoli. In questo modo, l'istanza di governabilità non si traduce in una perdita di autorevolezza del Parlamento o in un sostanziale disconoscimento della democraticità della funzione normativa assicurata dal principio rappresentativo, bensì nella previsione, accanto ai nuovi modi di formazione del Parlamento stesso e del Governo, di strumenti procedurali che inducano un rapporto chiaro e corretto tra il potere legislativo e quello esecutivo e tra le diverse forze politiche all'interno delle assemblee rappresentative.
Nella ricerca di un equilibrio certamente delicato tra governabilità e attuazione del principio democratico e rappresentativo, le due Camere hanno quindi funzioni e ruolo politico differenziati, con una più specifica funzione di contrappeso istituzionale nel Senato rispetto alla funzione politica, Governo - maggioranza parlamentare, nella Camera dei deputati.
Il modello proposto attribuisce infatti alla Camera dei deputati la titolarità esclusiva del potere di fiducia e di sfiducia. Nella Camera si concentra il sostegno parlamentare alla realizzazione del programma di Governo nella dialettica del confronto tra maggioranza ed opposizione; alla Camera, quindi, è attribuita tutta la legislazione strettamente riferibile all'indirizzo politico governativo, rispetto alla quale il Senato opera come Assemblea di riflessione.
Il Senato svolge un ruolo diverso, partecipando al procedimento legislativo con potestà decisionale piena in un'area di attribuzione non esclusivamente riferibile al programma di Governo, e, pertanto, risalta meno la dialettica maggioranza - opposizione. È bensì vero che la sua diversa composizione tende comunque a garantire, con scelte meno vincolate alla politica governativa, un meditato confronto tra le Camere parlamentari, così come l'esigenza di una riflessione più approfondita.
Viene mantenuto sostanzialmente inalterato l'istituto della delegazione legislativa in favore del Governo, mentre in tema di decretazione d'urgenza si propone una disciplina parzialmente restrittiva, che peraltro richiama consolidati orientamenti della dottrina e della giurisprudenza costituzionale.
Si auspica che questa riforma costituzionale cammini di pari passo con la riforma elettorale avviata al Senato, perché il legame tra le due iniziative è essenziale ed imprescindibile. Il testo che presentiamo oggi in questa Aula può essere ulteriormente migliorato, ma esso già rappresenta un segnale molto positivo. Si tratta di un'occasione che non va sprecata. Il Paese si trova a vivere una stagione politica difficile. Si è parlato di cittadini lontani dalle istituzioni, di qualunquismo e di antipolitica. In realtà, credo che la grande partecipazione democratica sia al referendum promosso dai sindacati tra i lavoratori, sia alle elezioni primarie del nascente Partito Democratico rappresenti una conferma - e di ciò sono convinta - che vi sia nel Paese una grande domanda di cambiamento e di buona politica. È responsabilità della politica, che in questi anni non ha saputo decidere e non ha saputo realizzare quelle riforme istituzionali di cui il Paese aveva bisogno e di cui ancor di più oggi necessita, dare risposte. Nel passato ogni volta che si è tentato di affrontare questo tema ci si è piegati aPag. 57logiche di bieco politicismo ed a interessi di parte, piuttosto che al supremo bene dell'Italia.
Ritardare ulteriormente il percorso delle riforme sarebbe esiziale ed il Paese non può permetterselo (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, L'Ulivo e del deputato Bocchino)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cota. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, colleghi, stiamo affrontando una materia che noi riteniamo molto importante. Per la Lega Nord probabilmente è la più importante.
Abbiamo sempre affermato che o si riformava lo Stato o il sistema sarebbe esploso. Lo affermava Bossi oltre vent'anni fa. La questione settentrionale per noi dev'essere assolutamente affrontata e per affrontarla bisogna partire da una riforma in senso federale dello Stato.
Bisogna che il Nord - il discorso può valere senz'altro anche per il Centro e per il Sud - liberi la sua energia positiva. Quella energia positiva che oggettivamente va riconosciuta nell'interesse di tutti, altrimenti il male, la cancrena intaccherà anche la parte sana.
Quando faccio riferimento alla cancrena, parlo di uno Stato in ritardo su tutto, con il debito pubblico più alto d'Europa ed un apparato elefantiaco, dove il pubblico impiego rappresenta una spesa sociale iniqua, perché sottrae le risorse a chi ne avrebbe veramente bisogno. Parlo di uno Stato in ritardo che non riesce a realizzare quelle infrastrutture di cui il Nord ha bisogno come il pane per affrontare le nuove sfide ed essere competitivo in Europa. Parlo di uno Stato percepito come «lontano», insieme alla sua classe politica; uno Stato che, per esempio, non tutela la sicurezza dei cittadini e che, in un momento storico molto complesso, dove l'immigrazione ha ridotto il grado di sicurezza, ha pensato bene di varare l'indulto. A fronte di ciò, in questa situazione, il federalismo va realizzato. Il federalismo, signor Presidente e colleghi, non consente di scherzare e metterebbe la parola fine, una volta tanto, alla filosofia del «tanto paga Pantalone»!
Tutti i cambiamenti che, fino ad oggi, sono stati compiuti nella direzione dell'efficienza, della modernizzazione e della responsabilizzazione, in questi anni sono stati realizzati grazie alla spinta della Lega Nord Padania e penso che ciò sia riconosciuto un po' da tutti - da sinistra a destra - e questo dibattito, in fondo, ne è la testimonianza. Credo che, se si fosse ascoltata di più la nostra posizione, oggi il Nord ed il Paese si troverebbero in condizioni ben diverse.
Oggi scioperano a Malpensa ed a Linate: in ballo vi sono lo sviluppo del territorio e tanti posti di lavoro. Le scelte fallimentari di Alitalia, con la connivenza di questo Governo, sono l'esempio del centralismo, del «romanocentrismo» che ha devastato lo Stato; sono l'esempio di quello che non vi sarebbe più con il federalismo.
La Lega Nord Padania, per sua coerenza, quindi, non può che essere presente ed attenta quando si parla di riforme. Occorre, tuttavia, esprimere alcune considerazioni: non bisogna prendere in giro la gente! Non mi riferisco tanto alla Lega Nord Padania ed ai parlamentari che siedono in quest'Aula (oggi sono pochi, perché nelle discussioni sulle linee generali di provvedimenti, anche importanti, accade sempre così), ma alla gente, in particolare al Nord, in cui il livello di sopportazione è stato ampiamente superato.
Oggi, in quest'Aula, si parla di superamento del bicameralismo e di riduzione del numero dei parlamentari, ma non ci si ricorda che, nella passata legislatura, è stata approvata una riforma che conteneva tali questioni perché vi siete opposti strumentalmente ed anche al referendum avete condotto una battaglia ideologica soltanto per i vostri interessi di bottega: è chiaro che avete perso credibilità.
Non solo: questo testo giunge in Assemblea mentre il Governo ha dimostrato e sta dimostrando di non avere una maggioranza nel Paese e di essere paralizzato,Pag. 58perché non ha una maggioranza parlamentare. Ormai non si parla che della catastrofica azione di Prodi e delle liti all'interno della maggioranza. In queste condizioni, colleghi, non potete pensare di usare il dibattito sulle riforme per tenere in vita un Governo moribondo. Va chiarito che presentare un testo, sapendo che l'iter di approvazione, comunque, è oggettivamente molto lungo, non può essere l'alibi per chiedere ed ottenere Governi - anzi «governicchi» - di democristiana memoria. La gente non lo permetterebbe e la Lega Nord Padania non lo permetterà!
Vi è, poi, un'altra considerazione che vorrei svolgere. Il federalismo non può essere soltanto previsto sulla carta. Il Senato federale non può essere soltanto un «pennacchio» d'altri tempi: occorre che abbia delle competenze vere. In questo senso e per questo motivo presenteremo degli emendamenti. Dopo aver affermato che il Senato federale sarà la Camera rappresentativa dei territori, non possiamo accettare che sia poco più che un organismo consultivo. Proprio per tale ragione, in questa seconda parte del mio breve intervento, vorrei far presente alcune cose che riguardano il testo del provvedimento in discussione.
Il Senato federale, come impianto generale, va bene, perché, come abbiamo affermato in Commissione votando anche con coraggio un emendamento che era stato presentato, ha un'impostazione rispondente al Senato federale come originariamente proposto da noi, è cioè un Senato rappresentativo dei territori, designato direttamente dagli stessi territori e dai consigli regionali principalmente, nonché dal consiglio delle autonomie locali.
Abbiamo sempre affermato che i comuni e le province dovessero comunque avere voce in capitolo. È la nostra battaglia di sempre e anche quando difendiamo le comunità montane rappresentiamo questo tipo di interesse. Chiediamo soltanto che, se l'impianto deve essere quello della rappresentanza proporzionale delle regioni in base al numero dei propri abitanti, tale proporzionalità venga rispettata e tale parametro sia seguito fino in fondo. Ciò vale anche per quanto riguarda le designazioni del consiglio per le autonomie locali: le regioni con più di 9 milioni di abitanti devono avere una corrispondente rappresentanza.
Vi è un altro aspetto. Come ho già detto poc'anzi nella prima parte del mio intervento relativo alle competenze del Senato federale, questo non può essere un «pennacchio». Pertanto, se il Senato federale - come è stato detto, anzi scritto nel documento che abbiamo approvato prima dell'estate in Commissione - deve essere a pieno titolo una Camera rappresentativa e legislativa e il superamento del bicameralismo perfetto deve consistere nel fatto che le due Camere compiano attività diverse tra loro, il Senato deve possedere competenze vere.
Diciamolo subito: non è possibile che la Camera, con una maggioranza politica, possa rendere nulle le decisioni del Senato federale. Ho sentito dire dagli interventi, svolti da parte dei colleghi, che il Senato deve essere l'organo rappresentativo dei territori dove la tensione politica è meno acuta e, a mio avviso, dove forse rispetto alla politica prevalgano gli interessi dei territori. Allora, se gli interessi dei territori devono prevalere, bisogna fare in modo che tali interessi, una volta riconosciuti da parte di un'Assemblea con una rappresentanza che non è di colore politico ma solo territoriale, una volta riconosciuti dal Senato federale, possano tradursi in provvedimenti legislativi.
Ho sentito dire che il Senato è una Camera di secondo grado. Tuttavia, si tenga conto che nel testo che abbiamo approvato - rispetto al quale ci siamo astenuti, ma anche noi abbiamo votato a favore della parte relativa alla composizione del Senato - è scritto in maniera chiara che i senatori federali sono eletti con voto limitato.
Ciò vuol dire che all'interno di ogni regione vi è una rappresentanza sia di maggioranza sia di opposizione, fatto che dovrebbe garantire tutti in ordine alle votazioni che avverranno all'interno del Senato federale. Inoltre, è evidente chePag. 59quando un soggetto viene eletto nel Senato federale rappresenta i territori e le loro istanze, ma queste devono essere messe insieme per riuscire a trovare una sintesi.
Ricordo, con riferimento agli Stati che sono autenticamente federali, che essi hanno delle rappresentanze in sede di organismi internazionali, per esempio in sede di Unione europea, che sono rappresentanze regionali, laddove le regioni hanno la competenza esclusiva; per cui i rappresentanti delle regioni, in sede di organismi comunitari, rappresentano gli interessi di tutte le regioni, non soltanto di una parte di esse. E allora il Senato deve poter dire l'ultima parola.
In subordine - uso questa espressione con lo spirito con cui gli avvocati costruiscono le subordinate - non può essere la maggioranza assoluta, quella richiesta affinché la Camera (voglio essere un po' più esplicito, anche per i non addetti ai lavori) possa modificare le decisioni assunte dal Senato: essa è troppo esigua! Dovrebbe essere almeno una maggioranza dei tre quinti dei componenti. E noi chiediamo che lo stesso quorum venga richiesto anche quando la Camera dei deputati debba decidere su materie di sua competenza, sulle quali il Senato si sia pronunciato in maniera differente e che riguardano però in maniera definita competenze e aspetti della vita degli enti locali. Su questo punto è stato presentato un emendamento.
È poi prevista una «microriforma» della decretazione d'urgenza. Il testo originario sicuramente era un pochino più audace e, dal nostro punto di vista, migliore nel limitare le potestà del Governo, in base al principio della separazione dei poteri e anche all'esperienza parlamentare che abbiamo avuto nel passato: il Governo emana i decreti-legge, che, presentati in Parlamento, sono spesso «blindati»; in questo modo il Parlamento viene esautorato della sua competenza legislativa e il principio della separazione dei poteri, diciamo così, va a farsi benedire. Noi chiediamo che sulle materie di competenza bicamerale e sulle materie di competenza del Senato federale, proprio perché sono quelle materie che non necessitano di un intervento di urgenza (se andiamo a scorrere l'elenco lo capiamo molto bene), non si possa ricorrere alla decretazione d'urgenza e si debba seguire il procedimento legislativo ordinario; a meno che non vi sia una autorizzazione preventiva da parte del Senato federale.
Veniamo ad un altro punto, sul quale vorrei richiamare l'attenzione dell'Assemblea, anche se c'è poca gente, soprattutto con riferimento al dibattito futuro che si svolgerà. Con questo testo, andiamo a toccare una serie indefinita di questioni, perché maneggiamo la Costituzione. Affrontiamo tra gli altri il problema dell'amnistia e dell'indulto: quando si prevede che la legge di autorizzazione dell'amnistia e dell'indulto deve passare dalla Camera dei deputati, si svolge un ragionamento stabilendo che la Camera dei deputati diventi la Camera politica. Ma, quando approviamo una riforma, siamo anche responsabili di fronte ai cittadini di quanto sta succedendo: questa non può non essere l'occasione perché ciascuno si prenda le proprie responsabilità! Lo dico con riferimento al fatto che la gente, fuori di qui, vorrebbe sentire una parola chiara su questo argomento.
Oggi si parla tanto di effettività della pena; però, circa un anno fa, è stato approvato un provvedimento che è la contraddizione in termini della effettività della pena, è la risposta sbagliata a tutte le esigenze di sicurezza che vengono dal territorio, ed è anche la risposta sbagliata al sovraffollamento delle carceri.
Come abbiamo visto, coloro che vengono liberati commettono poi nuovi crimini, creando una serie di conseguenze negative sul territorio, e per la gran parte ritornano in carcere.
Chiediamo dunque che la riforma affronti il problema dell'amnistia e dell'indulto, modificando l'articolo 79 della Costituzione. In primo luogo, occorre stabilire che amnistia ed indulto debbano essere concessi con legge costituzionale, e non con legge ordinaria (magari approvata «alla chetichella»). Del resto, la legge costituzionale è prevista per vari casi, e questo senz'altro la merita, dal momentoPag. 60che si tratta di una materia rilevante per la vita dei cittadini. Dunque, considerato che tutti, fuori da quest'Aula, affermano che l'effettività della pena dovrebbe essere un principio costituzionale, chiediamo che si costituzionalizzi anche la norma per cui l'amnistia e l'indulto debbano essere concessi con una procedura aggravata e sottoponibile a referendum (così come lo sono tutte le modifiche della Costituzione).
In secondo luogo, chiediamo che si affermi esplicitamente che, dopo la concessione di un'amnistia o di un indulto, essi non possano essere concessi nuovamente per dieci anni. Non si può infatti procedere come si fa ora, con provvedimenti che si susseguono ogni due o cinque anni: ciò dà la sensazione che, in questo sistema, non vi siano più regole, e che il bilanciamento degli interessi penda sempre dalla parte dei colpevoli e dalla parte degli autori dei reati, e mai da quella delle vittime. Credo dunque che sia necessario riaffermare i diritti, gli interessi e le istanze della gente comune, che lavora, che paga le tasse e che vuole vivere tranquilla all'interno delle proprie città e delle proprie abitazioni.
Vi è poi un ulteriore aspetto - che si ricollega alla considerazione che ho appena svolto - che desidero affrontare in sede di discussione generale, anche se è di carattere tecnico: è quello legato all'articolo 126 della Costituzione, cioè al problema dello scioglimento dei consigli regionali. In quanto federalisti, noi vorremmo chiedere che i consigli regionali possano essere sciolti solo da un'autorità superiore. Qualcuno obietterà che vi sono realtà nelle quali vi sono forti rischi di contaminazione mafiosa nelle assemblee legislative (si ricorda il caso di un consiglio in cui i due terzi dei membri sono indagati per associazione di tipo mafioso). Ciononostante, lo scioglimento non può essere previsto in Costituzione come strumento di prevaricazione da parte dello Stato nei confronti delle regioni. In particolare, per noi è inaccettabile che si parli di interesse nazionale come causa di scioglimento.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ROBERTO COTA. Abbiamo dunque cercato un equilibrio ed abbiamo così proposto un emendamento che prevede che il consiglio regionale possa essere sciolto solo per gravi violazioni della legge o della Costituzione. Un altro emendamento, poi, richiede che ciò avvenga con una delibera adottata a maggioranza assoluta da parte del consiglio regionale.
Per concludere, desidero affrontare anche la questione dei senatori a vita: nonostante infatti se ne parli molto, ad essa non è stata data alcuna risposta. Nessuno ce l'ha con queste persone, che hanno onorato il Paese in diversi campi: non è però accettabile che persone di novanta o cento anni vengano utilizzate strumentalmente per tenere in piedi il Governo.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ROBERTO COTA. Noi chiediamo dunque che il Presidente della Repubblica possa nominare i senatori a vita e che gli ex Capi dello Stato debbano sedere in Senato, ma chiediamo anche che essi non abbiano diritto di voto e non possano così condizionare le maggioranze politiche.
È sleale un gioco di questo tipo! Vogliamo vedere quale sarà la posizione dei colleghi rispetto a tale punto specifico.
Ovviamente - e concludo - ci riserviamo di intervenire in sede di discussione sia degli articoli sia degli emendamenti. Ciò che posso dire, a nome del gruppo che ho l'onore di rappresentare, è che noi affronteremo la discussione con coerenza, portando avanti i nostri principi, le nostre posizioni e le nostre battaglie di sempre.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cicchitto. Ne ha facoltà.

FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio intervento sarà breve, perché le ragioni del gruppo di Forza Italia sono già state rappresentate in modo perfetto nell'intervento dell'onorevole Donato Bruno.
Rispetto a varie operazioni mediatiche che sono state fatte, voglio premettere che, come vale il proverbio secondo il quale «lePag. 61bugie hanno le gambe corte», così anche in politica la furbizia ha il fiato corto.
La nostra sensazione - lo dico molto francamente - è che la discussione sulle riforme costituzionali, così fortemente accelerata dalla maggioranza, discende più da una sua esigenza tattica di guadagnare tempo rispetto alla crisi che le rotola all'interno, che non da quella di affrontare davvero questo nodo.
Comunque, esistono per poi quattro ragioni - tre politiche ed una che riguarda il merito del provvedimento - che danno senso alla nostra valutazione fortemente negativa. La prima ragione politica attiene ad un fatto sul quale non si può, (e lo si sta, invece, facendo) scherzare: i rapporti tra maggioranza ed opposizione.
Ho ascoltato l'intervento dell'onorevole professor Zaccaria che evocava il 1947. La scelta che fu fatta nel 1947 da De Gasperi, da un lato, e da Togliatti, dall'altro, derivava in primo luogo da ragioni di fondo, dovute al fatto che l'Italia non aveva ancora una Carta costituzionale e doveva averla.
In secondo luogo, essa derivava da una valutazione e da una scelta di fondo importante compiuta allora dal Partito comunista italiano - e da Palmiro Togliatti in primo luogo -, che riteneva, per un verso, che non fosse definitiva la rottura (e che anzi su quel terreno vi fosse un filo che rimaneva e poteva essere recuperato nell'ottica della riproposizione dell'alleanza di unità nazionale) e, in secondo luogo, voleva costruire un assetto costituzionale nel quale è indubbio il segno dell'elaborazione politica e culturale del Partito comunista dell'epoca, specie per quanto riguarda la prima parte della Costituzione.
Ci troviamo oggi in una fase totalmente diversa: dobbiamo modificare la Costituzione - una Costituzione che è alle nostre spalle e che abbiamo davanti -, e non c'è un'urgenza. Quella evocazione, a mio avviso, è fatta intelligentemente, ma non coglie il dato che noi abbiamo, consistente nel fatto che siamo usciti, dopo uno scontro durissimo, al 50 per cento nei rapporti di forza. E non si venga a dire che la vicenda del Senato deriva da una cattiva legge! No, la vicenda del Senato discende dal fatto che mentre alla Camera voi avete avuto 24 mila voti in più, al Senato il centrodestra ne ha avuti 250 mila in più.
Quindi, o c'era una legge veramente «truffa», oppure qualunque legge non poteva non registrare questa situazione dei rapporti di forza, salva la complicazione del premio regionale e non nazionale, che però è derivata anche da un ukase della Presidenza della Repubblica dell'epoca.
È emerso, quindi, il dato relativo a tali rapporti di forza. Pertanto, dopo aver preso atto di questi rapporti di forza - voi lo dimenticate e lo dimentica la pubblicistica - il presidente Berlusconi compì una mossa di non poco conto, ossia tentò di stabilire, con una maggioranza risicatissima, i termini di un Governo di larghe intese.
La risposta è stata negativa non solo su quel terreno, ma anche per l'occupazione totale che avete compiuto delle massime cariche dello Stato e addirittura - lei, onorevole Violante, lo ricorderà perché intervenne in quella polemica - quando l'opposizione indicò, nell'ambito della maggioranza, un nome per la candidatura alla carica di Presidente della Repubblica. Poiché non si tratta di segreti, ripeto in Aula quel nome: si trattava di Giuliano Amato. Ci fu risposto che era quasi una discriminazione, perché Giuliano Amato storicamente non aveva in tasca la tessera del Partito comunista italiano.
Questo è lo stato da cui partiamo; dopodiché, stiamo assistendo ad uno smantellamento di tutte le leggi approvate dal centrodestra, anche se la maggioranza, per la logica - peraltro in crisi - dei suoi assetti interni, sta andando verso guai inutili (come quello di rimettere in discussione la legge di riforma delle pensioni che il centrodestra aveva adottato e di cui si era assunto l'onere, consegnandovi una situazione nella quale potevate evitare danni maggiori).
Pertanto, in primo luogo abbiamo assistito ad un rifiuto di una proposta politica molto forte e pesante; in secondo luogo, ad un'occupazione totale del poterePag. 62delle massime cariche dello Stato; in terzo luogo, ad un deterioramento dei rapporti politici, derivante dallo smantellamento di ogni legge che il centrodestra aveva emanato nel suo periodo di Governo.
Inoltre, oggi indubbiamente ci troviamo in una situazione in cui emerge la crisi di fondo della formula politica su cui è basata la vostra maggioranza, ossia il rapporto fra la sinistra radicale e quella moderata e i centristi. Ai tempi del Governo di centrodestra, voi organizzavate contro di noi una o due manifestazioni al giorno, mentre oggi siamo al punto che vi fate le manifestazioni l'uno contro l'altro! Si tratta di un dato certamente paradossale, ma costituisce l'indice di tale situazione.
L'altra discriminante non risolta è che noi dobbiamo essere garantisti nel Parlamento senza porci problemi rispetto a quale dei componenti della maggioranza viene colpito dalla magistratura, mentre le componenti e le realtà giustizialiste sono tutte interne alla vostra maggioranza: si sta svolgendo una resa dei conti incredibile fra il Ministro Di Pietro e il Ministro Mastella e si tratta di una resa dei conti che sembra dimenticare, a fronte di un atteggiamento garantista dell'opposizione, che gli avvisi di garanzia a Catanzaro sono stati inviati sia al Presidente del Consiglio, sia al Ministro guardasigilli. Pensate cosa sarebbe successo a parti rovesciate (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
Ciò premesso, secondo la nostra analisi non esistono, per vostra responsabilità, i presupposti in termini di rapporti politici, in Parlamento e nel Paese, fra maggioranza e opposizione.
Riteniamo che il Governo abbia fatto e stia facendo dei danni, che sia in crisi la formula su cui esso è stato costruito ed anche che tatticamente questa abile mossa - parlavo di furbizia prima, onorevole Violante - di incardinare nel Parlamento il discorso sulle riforme costituzionali discende da un tentativo, anche abbastanza disperato, di guadagnare tempo in attesa di giorni migliori. Tuttavia, non esiste il presupposto; lo diciamo in quest'Aula e anche al Presidente della Repubblica. A nostro avviso, il deterioramento dei rapporti politici è tale che non può valere il fatto che, siccome si tratta di riforme costituzionali, se dovesse esplodere una crisi politica, potrebbe costituire una ragione per riparlarne fra tre o quattro anni.
Vi è, inoltre, un discorso di merito, perché le nostre ragioni sono in parte di natura politica, ma riguardano anche il merito del provvedimento in esame.
Qualche giorno fa, accendendo la televisione, ho visto un nostro collega, l'onorevole Franceschini (che è anche un bravo romanziere) - che, fra l'altro, a me sta simpatico e che ha avuto anche una carica importante, perché è il secondo del ticket con Veltroni -, che auspicava che l'opposizione convergesse sulle riforme costituzionali.
Evidentemente la sua vena da romanziere lo porta anche ad un meccanismo psicologico di rimozione, perché oggi stiamo discutendo di questioni che si potevano emendare, ma che erano state risolte già nella precedente legislatura. Prendiamo atto con interesse che, quando la tematica del premierato viene avanzata dal centrosinistra non è più una deriva plebiscitaria, anche perché di deriva plebiscitaria non potete più parlare, perché avete costruito un partito di confronto sul terreno della deriva plebiscitaria, quale quello delle primarie.
A parte questo aspetto, su alcuni nodi che sono stati elencati adesso si propone: in primo luogo - e lo dico anch'io -, per mandare un segnale all'antipolitica, la riduzione del numero dei parlamentari; in secondo luogo, il premierato; in terzo luogo, il federalismo, e così via. Ebbene, su questo terreno vi era una legge molto più organica e compiuta di quella che voi proponete.
Vi sono, inoltre, due punti deboli e preoccupanti nella vostra operazione. In primo luogo, avete fatto una provocazione al Senato. Ricordo all'onorevole Violante che quando ci misurammo con una legge difficile e complessa qual era la legge sui servizi segreti, il Copaco rappresentò anche una sede di confronto fra Camera e Senato per avvicinare le posizioni in modoPag. 63tale da rendere indifferente se il confronto avveniva prima alla Camera e poi al Senato.
Voi fate una legge che rappresenta una provocazione nei confronti del Senato, dei suoi poteri e delle sue caratteristiche, con un'operazione propagandistica, ma precostituite già le condizioni negative da questo punto di vista. Infatti, qualche vostro collega del Senato ha già detto che loro non smontano tutta l'intelaiatura istituzionale perché la Camera ha deciso di smantellare una serie di poteri del Senato.
Inoltre, sul merito, la formula di un'elezione di secondo o di terzo grado del Senato suscita in me delle obiezioni molto rilevanti. La questione era disciplinata molto meglio dalla legge precedente.
In secondo luogo, non mettete mano al Titolo V della Costituzione che, come ricordava Donato Bruno citando Barbera, non i testi del centrodestra, ha determinato dei guasti che sono ben visibili, anche in termini di un contenzioso che non finisce mai. Voi non lo avete neanche sfiorato.
Per quanto riguarda il premierato, capiamo che ci arrivate in ritardo e, quindi, su questo terreno vi muovete con particolari contraddizioni. Tuttavia, il premierato che qui è proposto è un flatus vocis. Il premierato ha un senso se ha due poteri, quello di revoca diretta dei ministri e quello di scioglimento delle Camere attraverso una richiesta rivolta al Presidente della Repubblica. Se non ci sono questi due nodi, se il Premier non ha questi due artigli, le cose che voi proponete sono assolutamente marginali e non vanno al nocciolo della questione.
Ricordava poco fa l'onorevole Donato Bruno che in questo Parlamento siamo tutti ammirati della capacità decisionale di Sarkozy, che però ha a disposizione degli strumenti costituzionali che gli consentono di fare cose che un Presidente del Consiglio italiano non si sognerebbe neanche.
Quindi, per concludere, il paradosso è rappresentato dalla sommatoria di ragioni politiche e di merito. Voi potevate metterci in difficoltà dal punto di vista delle ragioni politiche facendoci una proposta di merito molto forte, ossia sposando il nucleo della legge di riforma costituzionale approvata nella legislatura precedente. Invece, ci imputate di non essere sul fronte per quanto riguarda la riforma costituzionale, ma proponete una riforma dimezzata, che ha un senso politico preciso, ovvero quello di un tentativo disperato, tattico e di furbizia, di guadagnare tempo e, nel merito, facendo una complessa e complicatissima mediazione tutta al vostro interno.
Pertanto, concludo come l'onorevole Donato Bruno: vi faremo cimentare anche con emendamenti significativi, ma, poiché il confronto politico è fatto di verità e, francamente, non abbiamo nessun complesso di inferiorità da superare e nessun problema di dimostrarci à la page per quanto riguarda le riforme costituzionali (ne abbiamo approvata una molto incisiva nella passata legislatura), vogliamo francamente dirvi che, allo stato attuale delle cose, le nostre obiezioni politiche di merito sono molto, molto consistenti e serie, in quanto derivano da una valutazione politica generale e dal merito del provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Sospendo brevemente la seduta, che riprenderà alle 18,15.

La seduta, sospesa alle 18,05, è ripresa alle 18,15.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Alia. Ne ha facoltà.

GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche in questa legislatura discutiamo di riforme istituzionali e credo che la prima domanda - preceduta da una apprezzamento non formale, ma sostanziale, per il lavoro svolto in Commissione, innanzitutto dal presidente Violante e quindi dai nostri colleghi relatori Italo Bocchino e Sesa Amici - riguardi il motivo per cui questo tema sia ancora di attualità, nonostante vi sia stato un referendum popolare, subito dopo le elezioni politiche, che ha bocciato, a furor di popolo (è la prima volta che più del 50 perPag. 64cento degli elettori italiani si reca a votare per un referendum costituzionale), il testo approvato nella passata legislatura dal centrodestra. Si tratta di un tema di attualità, perché ci sono alcuni nodi che non sono risolti e vi è una domanda da parte dell'opinione pubblica di maggiore efficienza e di maggiore trasparenza dell'azione della politica nelle istituzioni. Credo che dovremmo fare una riflessione.
Dal nostro punto di vista, sono fallite tutte quelle ipotesi riformatrici che hanno legato la discussione e il dibattito sulle riforme ai destini di questa o di quella maggioranza politica - mi riferisco sia alla prima che alla seconda Repubblica -, perché è assolutamente evidente che, se non si separa il percorso del Governo da quello delle riforme, qualunque sia il Governo non c'è possibilità e prospettiva per un percorso certo sul piano riformatore. Hanno fallito, infatti, quelle riforme che sono state approvate a colpi di maggioranza. Ricordo le ultime due, per ragioni di importanza: in primo luogo, quella approvata dal centrosinistra nella legislatura 1996-2001, che ha modificato il Titolo V della parte seconda della nostra Carta costituzionale, il cosiddetto federalismo. A tal proposito - mi rivolgo al collega Cota - dovremmo intenderci anche sotto il profilo di come lo definiamo, perché esistono tanti modelli federali quanti sono quelli che ne parlano: a volte si parla di federalismo mentre ci si confronta sul regionalismo, sull'autonomia e così via. Credo che più che alle parole dovremo badare ai contenuti di ciò che vogliamo realizzare; lo dico anche patrocinando interessi che possono non essere miei, ma degli amici della Lega Nord.
C'è stata poi la riforma approvata dal centrodestra nella passata legislatura, che è stata bocciata dagli elettori e che, a nostro parere, ha anche compromesso la vittoria elettorale del centrodestra alle ultime elezioni politiche. Su questi temi un supplemento di riflessione da parte degli altri colleghi dei partiti di opposizione, dell'ex centrodestra, sarebbe forse opportuna e, per la verità, gli interventi che ascoltiamo in questi giorni non ci sembrano proprio tenere conto di questi che non sono trascurabili dettagli, ma che rappresentano, purtroppo, la storia recente di questa fase controversa sotto il profilo politico.
Come dicevo, è opportuno e necessario slegare il destino delle riforme da quello del Governo, anche perché con una battuta si potrebbe dire che, per quanto riguarda il Governo Prodi, ci pensano da soli i colleghi di maggioranza a farsi del male e a creare un'immagine e una sostanza di un Governo che non decide, che non governa e che è dannoso per il Paese. Credo che affrontare in quest'Aula un tema che sta cuore ai cittadini, indipendentemente dal livello di attenzione che oggi possono avere, ossia l'ammodernamento dell'apparato delle istituzioni pubbliche per dare più democrazia e più partecipazione ai cittadini stessi, scollegandolo dall'autolesionismo del Governo Prodi, non costituisca un aiuto per il Governo Prodi, tutt'altro.
Ritengo - mi rivolgo ai colleghi degli altri gruppi di opposizione del Parlamento - che sia sbagliato arroccarsi e chiudersi sulle posizioni del «no» a tutti i costi. Ciò, infatti, non solo non è giusto, soprattutto quando ci si confronta partendo da una piattaforma riformatrice che è quella che viene dalla passata legislatura, ma credo che sia anche politicamente sbagliato, perché consente a questo centrosinistra, che è disunito su tutto, di essere unito su una sola cosa, vale a dire su un modello di Stato che non è quello che a noi piace, o almeno che non ci piace del tutto.
Noi dell'UDC ci siamo astenuti in Commissione e all'onorevole Franceschini che, probabilmente, è stato molto distratto dal giro delle primarie del suo neonato Partito Democratico, vorrei dire che lo abbiamo fatto determinando le condizioni affinché anche altri gruppi di opposizione si astenessero, per ragioni di merito e non certamente per ragioni di metodo.
Sotto il profilo del metodo, ad esempio, rispetto al gruppo parlamentare di Forza Italia - con buona pace di falchi e falchetti che aleggiano al suo interno e che comunque, sotto questo profilo, nonPag. 65sono delle aquile né dei fulmini di guerra - abbiamo registrato con favore la convergenza del voto di astensione rispetto al testo che è stato definito in Commissione. Noi lo riteniamo un fatto importante perché, su questioni che attengono alle regole, l'UDC non ha mai tenuto una posizione diversa da quella dell'obbligo del confronto e del dialogo parlamentare, e lo abbiamo fatto anche nella passata legislatura.
Oggi è desueto individuare di chi siano le responsabilità, ma certamente se il centrosinistra di allora, anziché seguire Prodi e subire il diktat con cui impose il «no» al dialogo parlamentare, dopo i primi voti di astensione dei gruppi parlamentari dell'opposizione dell'epoca, avesse seguito i suoi parlamentari più responsabili che premevano per un confronto sul tema delle riforme, probabilmente non ci sarebbe stato il referendum, oggi discuteremo di altro e non riapriremmo vecchi dibattiti su un tema comunque importante e centrale. Lo dico non per un gioco allo «scaricabarile» di responsabilità, ma perché ciò appartiene alla storia. L'allora capogruppo dei DS, oggi presidente della Commissione, Luciano Violante, sa bene che vi fu un passaggio molto delicato in cui vi era stata un'apertura da parte dell'allora centrosinistra con un voto di astensione iniziale in Aula, ma successivamente l'allora candidato Premier, oggi Presidente del Consiglio, disse che non si doveva dialogare su quel tema. Credo che molti, per ragioni di schieramento, subirono quel diktat che fu sbagliato, come oggi è sbagliato il diktat che qualcuno vuole porre ad un dialogo che, se è costruttivo per il bene del Paese e prescinde dall'opposizione all'attuale Governo che noi consideriamo nefasto, è sempre giusto portare avanti, anche per non fornire alibi ad alcuno.
Signor Presidente, la nostra è stata un'astensione sul merito perché abbiamo contribuito con una serie di proposte di modifica al testo che i relatori avevano predisposto. Alcune innovazioni ci sono piaciute e le abbiamo votate; mi riferisco, ovviamente, alla riduzione del numero dei parlamentari, all'eliminazione dell'elettorato attivo e passivo per il Senato a venticinque anni (per cui oggi questo testo consente ai diciottenni di votare sia per la Camera sia per il Senato, e di essere eletti in entrambi i rami del Parlamento), nonché all'abbassamento a quarant'anni dell'elettorato passivo per la carica di Presidente della Repubblica.
Credo che questi siano aspetti da non sottovalutare, in quanto, oggi, il nostro Paese vive una crisi, anche generazionale, delle sue classi dirigenti. Il Paese, infatti, non si può più permettere una classe dirigente, nella migliore delle ipotesi, di sessant'anni, poco importa se in politica, all'università, in magistratura o in qualsiasi altra professione. Il Paese, anche sotto tale profilo, necessita di un rinnovamento generazionale profondo che deve partire dalla politica.
Ci piace la rimodulazione dei poteri del Governo e di un premierato - mi spiace non essere d'accordo con il collega Cicchitto - forte, anche se in un sistema di democrazia parlamentare. Nella passata legislatura abbiamo effettuato un'altra operazione, ovvero abbiamo introdotto un sistema di premierato forte, immaginando e costruendo la figura del Presidente del Consiglio dei Ministri sull'elezione diretta dello stesso. Abbiamo previsto all'interno della Costituzione non solo l'elezione diretta del Presidente del Consiglio, ma anche l'opzione sulla legge elettorale tendenzialmente maggioritaria, che fosse a supporto di tale elezione, ovviamente temperando il ruolo e la funzione del Parlamento.
L'ipotesi di cui, oggi, discutiamo è molto più vicina alla nostra tradizione politica di democratico-cristiani - ma credo che dovrebbe essere tale anche per chi ha altre tradizioni, come quella socialista - in quanto guarda ad un Premier forte che si confronta con un Parlamento forte (ma che non si sostituisce al Premier in competenze che, costituzionalmente, devono appartenere al Presidente del Consiglio, e non al Parlamento) e che rivendica l'autonomia del suo ruolo in unaPag. 66logica di pesi e contrappesi che, credo, abbia rappresentato la salvezza del Paese, anche nei suoi anni più bui.
Ho parlato di poteri del Governo non genericamente, in quanto comprendono non solo il potere di nomina e di revoca dei Ministri da parte del Presidente del Consiglio (ancorché mediati dalla funzione insostituibile del Capo dello Stato), ma perché nel testo in esame si effettua anche una revisione del potere normativo del Governo. Mi riferisco alla decretazione d'urgenza - che è riportata nel proprio alveo costituzionale - il cui abuso nasce dall'alterazione che, di fatto, un sistema bipolare sbagliato ha introdotto nell'attività ordinaria delle nostre istituzioni.
Non è attraverso l'abuso della decretazione d'urgenza, infatti, che si rafforzano i poteri del Premier e si trasferisce la cosiddetta volontà popolare, in quanto la decretazione d'urgenza nasce da altre esigenze e ragioni. Quindi, molto opportunamente nel testo si precisa quale sia la portata normativa della decretazione d'urgenza del Governo e si amplia l'intervento prioritario dell'iniziativa legislativa dell'Esecutivo nel rapporto con il Parlamento, anche con riferimento ai decreti legislativi, sottoposti, comunque, in modo positivo e in misura maggiore al controllo parlamentare.
Ciò che ci lascia perplessi in ordine al provvedimento in esame, signor Presidente, sono alcuni problemi non risolti. Il primo riguarda il Senato federale. Infatti, insieme alla Lega Nord, abbiamo votato a favore dell'emendamento volto a introdurre l'elezione indiretta del Senato federale, in quanto abbiamo compiuto una scelta semplice, chiara e non ibrida: avere una seconda Camera non più elettiva, ma che rappresenti la sintesi dei territori e che sia eletta in parte dai consigli regionali e in parte dal sistema delle autonomie locali.
Tuttavia, dobbiamo essere consequenziali. Non possiamo immaginare, infatti, che il Senato federale abbia le competenze legislative attribuitegli dal testo licenziato dalla Commissione, in quanto non presenta un'investitura popolare diretta.
Per tale motivo, abbiamo riproposto un emendamento che prevede l'elezione a suffragio universale diretto del Senato federale della Repubblica (ma con una durata sfalsata rispetto alla Camera: prevediamo, cioè, una durata del Senato federale di sei anni), qualora si ritenesse di non ridurre il numero delle competenze legislative dello stesso, in particolare di quelle introdotte dalla nuova formulazione proposta dell'articolo 70 della Costituzione, che stabilisce alcune funzioni legislative collettive della Camera e del Senato federale della Repubblica.
Quindi, su questo tema siamo disponibili al confronto: se scegliamo la strada di continuare sul percorso del Senato a elezione indiretta, le funzioni legislative devono essere ridotte, mentre devono essere ampliate altre funzioni. Lo dico ai colleghi della Lega: presenteremo un emendamento che amplia e attribuisce in via esclusiva i poteri di inchiesta parlamentare al Senato federale - in ordine alla verifica dell'attuazione di tutte le norme che riguardano il Titolo V, della parte seconda, della Costituzione, e quindi sull'attuazione del federalismo - e che introduce e attribuisce al Senato federale il ruolo di Camera di compensazione dei conflitti tra Stato e regioni, in via preliminare rispetto all'impugnativa delle leggi regionali e statali, di cui all'articolo 127 della Costituzione, davanti alla Corte costituzionale. Un Senato federale a elezione indiretta, infatti, ha queste caratteristiche: non può avere un potere legislativo ampio, se non per le leggi di sistema, perché ampliare il potere legislativo di un organo privo di caratterizzazione politica, e che quindi non è espressione di sovranità popolare, significa introdurre un corto circuito nel sistema virtuoso che si cerca di costruire, a fatica, con questa riforma.
Occorre essere chiari. Sappiamo che, se procediamo lungo la strada del Senato federale con elezione indiretta, dobbiamo ridurne le competenze legislative, ampliarne i poteri di inchiesta e farlo diventare la Camera di compensazione dei conflitti tra Stato e regioni, che credo sia molto più importante di avere qualchePag. 67competenza legislativa in più. Peraltro, non viene toccato l'articolo 117 della Costituzione, che tutti, compresi gli amici della Lega, riconosciamo essere inattuabile. Infatti, si è reso necessario l'intervento della Corte costituzionale, con un'opera meritoria di supplenza, che non so fino a quando potrà durare.
Signor Presidente, ci lascia ulteriormente perplessi l'ampliamento del procedimento legislativo e la circostanza che non abbia trovato ingresso nel nostro dibattito la modifica dell'articolo 117 della Costituzione, che considero la madre di tutte le riforme. Non si può, infatti, disciplinare seriamente il federalismo fiscale con legge ordinaria, se non si capisce quali sono le competenze e le funzioni amministrative che svolgono lo Stato e le regioni.
Nella passata legislatura, quando abbiamo affrontato il tema della riforma costituzionale, abbiamo assistito a una polemica sui costi del federalismo. Si è detto che la riforma dell'allora Governo di centrodestra avrebbe ampliato i costi dello Stato e comportato una duplicazione di funzioni. Quella riforma non è passata, e oggi nel Paese aumenta il senso di insofferenza che alimenta quella brutta antipolitica. Infatti, i costi della politica aumentano, ma aumentano soprattutto i costi dell'apparato pubblico. Infatti, oggi, signor Presidente, vi sono strutture dell'amministrazione dello Stato rimaste in piedi - non ne è stata soppressa una - nonostante il massiccio passaggio di competenze legislative, e quindi anche amministrative, dallo Stato alle regioni, con la nuova - ormai non più nuova - formulazione dell'articolo 117 della Costituzione.
In questa logica, proponiamo un emendamento, che non è provocatorio, che propone la riduzione del numero dei consiglieri regionali. Non crediamo ai patti di autonomia con l'ANCI, l'UPI e i rappresentanti delle regioni.
Non ci crediamo perché sono stati già smentiti in sede di discussione sulla legge finanziaria. Vi era stato, infatti, un impegno, un patto sottoscritto tra il Governo e il sistema delle autonomie sulla riduzione del numero dei consiglieri che è già saltato al Senato semplicemente perché è un sistema che non regge: non possiamo, da un lato, giustamente ridurre il numero dei parlamentari e, dall'altro, consentire alle regioni di aumentare, così come è stato fatto, il numero dei consiglieri regionali. Per tale ragione, presenteremo una proposta emendativa volta a limitare il numero dei consiglieri regionali in un rapporto equilibrato tra popolazione, cittadini elettori e assemblee elettive.
Abbiamo delle perplessità anche sul ruolo dei parlamentari eletti nella circoscrizione estero ed è un tema che dobbiamo affrontare con assoluto equilibrio. Attualmente ci troviamo in una condizione che avevamo già rappresentato all'allora maggioranza di centrodestra: non è possibile che si affidi un potere determinante per la fiducia a questo o a quel Governo a parlamentari che non risiedono in Italia, che non pagano le tasse in Italia e che rappresentano un mondo certamente importante ma diverso come è quello degli italiani residenti all'estero.
Oggi la maggioranza al Senato della Repubblica, al di là del voto dei senatori a vita, si regge sul voto determinante di senatori eletti nella circoscrizione estero, e se ciò non avviene alla Camera è solo per l'effetto in parte «distorsivo» del premio di maggioranza della legge elettorale. Questa è la situazione e tutto ciò non è giusto, non è costituzionalmente corretto e altera il principio della sovranità popolare, fondamento della nostra Carta costituzionale, così come lo abbiamo conosciuto; è un tema che va affrontato e risolto.
Per questa ragione proponiamo il trasferimento di una tale rappresentanza al Senato o una riduzione sostanziale del numero dei deputati eletti nella circoscrizione estero o anche un'inversione rispetto alla previsione attuale che preveda sei deputati e dodici senatori. Tali provvedimenti sono necessari anche perché altrimenti non reggerebbe più neanche la proporzione del numero dei parlamentari che abbiamo introdotto con la riduzione.
Vi è la necessità di rivedere anche la norma costituzionale che riguarda il consiglioPag. 68delle autonomie. Non basta solamente affermare che la legge dello Stato fissa i principi generali, ma dobbiamo riflettere anche su un punto fondamentale: il consiglio delle autonomie, diventando un organo che elegge i senatori, cambia natura rispetto alla riforma del Titolo V (dove era considerato un organo consultivo delle regioni), e non può essere disciplinato solo dallo statuto o da una legge di principio. Per tale ragione presentiamo una proposta emendativa nella quale affermiamo che il consiglio delle autonomie locali è eletto da tutti i consigli comunali e provinciali della regione e la legge dello Stato ne disciplina le forme e i modi di funzionamento, di composizione e quant'altro, restando impregiudicata la parte di competenza regionale che è rinviata alla disciplina degli statuti e che riguarda l'esercizio dell'attività consultiva nei confronti della regione stessa. Secondo il nostro punto di vista tutto ciò è necessario perché altrimenti il sistema non reggerebbe.
Per la stessa ragione introduciamo un correttivo sulla contestualità perché, qualora si accedesse alla tesi del mantenimento dell'elezione indiretta del Senato federale, è evidente che la composizione dello stesso non può dipendere dal singolo governatore. Una disposizione nella Costituzione prevede che, se il presidente della regione si dimette, il consiglio regionale viene sciolto; ma, poiché agganciamo alla durata dei consigli regionali la durata in carica dei senatori di quella regione, dobbiamo introdurre una norma che preveda che, salvo il caso di rimozione o di mozione di sfiducia, nel caso di morte o di decadenza o di dimissioni del presidente della regione, resti in carica il vicepresidente della regione per tutta la durata del mandato elettorale, introducendo così una sorta di ticket e rinviando agli statuti la disciplina dell'esercizio delle funzioni vicarie.
Signor Presidente, vi sarebbero molte altre considerazioni da svolgere, ma ve n'è una alla quale teniamo più delle altre: proprio perché pensiamo ad un sistema bipolare in una democrazia parlamentare, riteniamo fondamentale che questa Assemblea affronti il tema della sfiducia costruttiva di stampo tedesco, sistema che consente di garantire condizioni di vero bipolarismo, nonché una certa stabilità di governo, in un rapporto equilibrato di dialettica tra il Parlamento, il Governo ed i cittadini elettori. Non ve ne sono altri.
Nelle ultime settimane e negli ultimi giorni abbiamo ascoltato dichiarazioni preoccupanti per la democrazia del nostro Paese. Ne cito qualcuna del seguente tenore: Il modello elettorale tedesco è un attacco al bipolarismo e alla democrazia.

PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Lo ha affermato Maroni ...

GIANPIERO D'ALIA. No, signor sottosegretario, mi sto riferendo a dichiarazioni di esponenti del centrosinistra, dalla collega Chiaromonte in poi, tanto per capirci.
Credo che siano toni pesanti. Se vi è una cosa totalitaria e antidemocratica (non sono io ad affermarlo) è un'eventuale legge elettorale determinata dal referendum, ovverosia dall'accoglimento dei quesiti referendari, perché in tal caso saremmo di fronte ad una deriva neofascista che aleggia in maniera trasversale nelle opposizioni e nella maggioranza; in nessun Paese democratico esiste, infatti, un sistema elettorale in forza del quale chi raccoglie il 30 per cento dei voti ottiene il 55 per cento dei seggi. Capisco che ormai si confonde l'etica della decisione con quella della cooptazione - si tratta di due concetti distinti e separati - ma a quanti credono che il bipolarismo si fondi su una deriva referendaria vorrei dire che il prodotto del referendum sarebbe peggiore della legge Acerbo di mussoliniana memoria.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIANPIERO D'ALIA. Concludo brevemente, signor Presidente, affermando che sarebbe meglio un sistema bipolare che funzioni, anche con il peso della democrazia,Pag. 69che una deriva plebiscitaria e fascista, come verrebbe proposta dai quesiti referendari.
La riforma costituzionale, dal punto di vista del gruppo UDC, è legata alla legge elettorale. Non prendiamoci in giro! Legge elettorale e riforma istituzionale sono due facce della stessa medaglia, come accaduto nella passata legislatura, in cui a quella costituzionale si è accompagnata una riforma della legge elettorale. Può piacere come può non piacere, ma così è stato ed oggi è così anche dal nostro punto di vista; riteniamo pertanto fondamentale che si modifichi questo sistema elettorale.
Anche in ordine a tale aspetto, cari colleghi del centrosinistra, decidete cosa volete fare! Non è solo il tema della riforma costituzionale a dirimere le questioni, ma vi è anche quello della legge elettorale, perché se tali questioni non camminano di pari passo e se non ci fate capire seriamente i vostri intendimenti sulla legge elettorale, senza avanzare alcuna proposta, non si va da nessuna parte né sulla riforma costituzionale né sul resto.
A tale proposito vorrei dire a quanti ne discutono senza neanche sapere di cosa parlano, che il modello tedesco prevede due principi fondamentali. Il primo è costituito dallo sbarramento al 5 per cento, con l'eliminazione del frazionamento e della proliferazione dei partiti, diventati ormai solo dei marchi commerciali che infatti vengono registrati.
Il secondo principio è rappresentato dalla scelta diretta da parte del cittadino elettore con i collegi uninominali, anche contro le scelte dei partiti. Si tratta del sistema più libero e democratico, che serve a costruire progetti politici, partiti e schieramenti omogenei.
Ciò che si vuole oggi, invece, è mantenere lo status quo, consistente nella difesa del premio di maggioranza che ha prodotto il fallimento dell'attuale sistema elettorale, il cosiddetto porcellum: infatti oggi il futuro di questo Paese è nelle mani dei partiti con un consenso pari allo 0,01 per cento che, a seconda della parte che si compra il marchio, determina il risultato elettorale.
La cancrena vera del sistema attuale, la più grande immoralità, è data dal premio di maggioranza. Vorrei che l'onorevole Franceschini si dedicasse di più alle tecniche elettorali e meno ai romanzi, così eviterebbe di dire qualche sciocchezza anche sui sistemi elettorali: infatti, non si può contemperare, caro collega, il premio di maggioranza con lo sbarramento al 5 per cento, perché andremmo oltre la legge...

PRESIDENTE. Onorevole D'Alia, deve concludere.

GIANPIERO D'ALIA. Bisogna scegliere! Se vogliamo questo sistema costituito da tanti partitini manteniamo il premio di maggioranza e non parliamo di sbarramenti che non esistono; altrimenti dobbiamo adottare il modello tedesco, l'unico che consente un'azione di trasparenza e di moralizzazione della vita politica di questo Paese. Se non discutiamo del sistema elettorale insieme alla riforma, credo che non approderemo a niente e non avremo reso alcun buon servizio al Paese.
Il centrosinistra oggi ha la più grande responsabilità, dato che è maggioranza di Governo o presunta tale e, anche sulla legge letterale, oltre che sulle riforme, deve avere il coraggio di uscire dalla situazione nebulosa nella quale si trova [Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lussana. Ne ha facoltà.

CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, intervengo anch'io sulla proposta di modifica della parte seconda della Costituzione al nostro esame con un certo rammarico. Tale rammarico deriva dal fresco ricordo di come si sono svolte le vicende della passata legislatura per quanto riguarda il dibattito sulle riforme costituzionali e sulla revisione della parte seconda della Costituzione.Pag. 70
Il tema delle riforme è stato fortemente sentito dal Governo della Casa delle libertà, proprio anche sotto il forte impulso della Lega Nord Padania che di una diversa ripartizione delle competenze tra Stato e regioni (la cosiddetta devolution), dell'introduzione di nuove competenze esclusive regionali, della fine del sistema del bicameralismo perfetto ha fatto un preciso impegno elettorale ed un preciso impegno durante l'attività dei cinque anni di Governo.
In quei cinque anni di Governo purtroppo - lo ribadisco - abbiamo evidenziato la mancanza assoluta di un confronto e di un dialogo manifestata dall'opposizione di allora, oggi maggioranza di questo Paese che non so se rispondesse a certi diktat.
Ricordo, però, che nei numerosi passaggi parlamentari non ci si è mai voluti confrontare nel merito delle proposte che venivano avanzate. Tutto era finalizzato a strumentalizzare il tentativo difficile, difficoltoso e anche ambizioso di riformare la nostra Costituzione, di renderla più consona alle esigenze dei Paesi, le mutate e nuove esigenze degli enti locali, una mancanza di dialogo tutta finalizzata a una strumentalizzazione politica. Tale atteggiamento ha trovato, poi, il culmine nella mancanza di dialogo che causò il mancato raggiungimento del quorum previsto dalla nostra Costituzione per una riforma istituzionale di tale portata, con un'intensa propaganda contraria e demagogica messa in atto in vista del referendum. Tant'è che oggi ci troviamo in questa sede, dopo un anno e mezzo del nuovo Governo, con una nuova maggioranza, a riaprire il capitolo delle riforme istituzionali su molti di quei punti che già la nostra riforma, oggetto della consultazione referendaria, aveva toccato.
Non abbiamo condiviso il vostro atteggiamento di rifiuto del dialogo e del confronto per finalità politiche né abbiamo condiviso l'atteggiamento tante volte anche di terrorismo nei confronti della nostra riforma che si è manifestato durante la campagna referendaria.
Basti pensare alle cose che sono state raccontate, come le venti sanità regionali o le venti polizie locali: tutto per contrastare una riforma che sicuramente era perfettibile e poteva essere migliorata, ma che rappresentava un passo in avanti. Da lì si poteva ripartire in questa legislatura, magari abbassando i toni e con posizioni meno schierate tra destra, sinistra e quant'altro, per tornare a discutere del tema, apportandovi le migliorie necessarie.
Invece, adesso, siamo ancora qui: si riparte da capo, da zero perché quella riforma, purtroppo, è stata cancellata ed è chiaro che, adesso, chiedete all'opposizione il confronto ed il dialogo. Ci chiedete di essere responsabili. Ebbene, la Lega Nord Padania, nata per raggiungere il federalismo in questo Paese, facendone un preciso impegno politico, crede veramente molto nella necessità di giungere a riforme costituzionali ed auspica che tali riforme possano essere veramente condivise. Per tale motivo abbiamo tenuto un atteggiamento responsabile e non ci siamo sottratti al confronto in Commissione, così come non ci sottrarremo dal confronto in Assemblea.
Tuttavia, non possiamo non evidenziare che questa improvvisa accelerazione sulle riforme ha, in sé e per sé, qualcosa di sospetto. Non se ne è parlato per un po' e poi, dopo l'estate, vi è stata questa accelerazione, sicuramente legata alla crisi interna che questa maggioranza sta vivendo. Questa maggioranza si sta sgretolando, anche nelle aule parlamentari (soprattutto al Senato), dopo aver perso la fiducia dei cittadini, trascorso solo un anno e mezzo di Governo nel corso del quale non è stata capace di risolvere nessuna delle esigenze pressanti provenienti dal Paese e dalla piazza che rappresentate (la manifestazione della sinistra radicale, dello scorso sabato, ha fornito una precisa indicazione in questa direzione).
Vi è stata, così, questa accelerazione sulle riforme istituzionali dove si sa che vi possono essere, dall'altra parte, nell'opposizione, forze disponibili all'ascolto e al dialogo. Ebbene, la Lega Nord Padania, haPag. 71tenuto un atteggiamento di confronto e di dialogo, ma ciò non vuol dire che avalleremo la posizione di chi, magari, vuole fare delle riforme istituzionali un modo per ottenere una facile scialuppa al Governo Prodi. Le riforme ed il dialogo sulle riforme non possono essere un modo per allungare la vita ad un Governo traballante, già politicamente morto.
Vedremo come si svolgerà il dibattito in aula; in Commissione ci siamo astenuti per una ragione di merito: riteniamo, infatti, che il testo che ci viene proposto - che, sicuramente, è più ampio rispetto alle intenzioni originarie di questa maggioranza e tocca aspetti che il testo iniziale non prevedeva - possa e debba essere modificato.
Se questa maggioranza crede nelle riforme costituzionali ed in quello che ci propone, deve avere il coraggio di andare oltre. Bisogna avere il coraggio di fare passi in avanti. Come Lega Nord Padania, ci confronteremo su alcuni punti che abbiamo evidenziato e che potrebbero essere migliorati nel dibattito parlamentare; sulla base dell'accoglimento delle nostre proposte, quindi, valuteremo l'atteggiamento da adottare sulle singole proposte emendative e, chiaramente, da ciò, dipenderà molto il voto finale su questo testo di riforma.
Vi sono aspetti che non è possibile non condividere e che condividiamo pienamente (se ne è parlato nell'intervento del collega del mio gruppo che mi ha preceduto, come negli interventi di altri colleghi), come, ad esempio, la riduzione del numero dei parlamentari. Tale previsione era presente nella nostra riforma, che è stata bocciata dai cittadini, i quali, adesso, chiedono una riduzione dei costi della politica.
Finalmente ci proponete un testo che si muove in tale direzione, riducendo il numero dei parlamentari e aprendosi ai giovani, poiché prevede di ridurre l'età per l'elettorato per la Camera dei deputati.
Tuttavia, riteniamo che anche in tal caso si possa compiere un ulteriore passo in avanti. Infatti, la Lega Nord Padania ha presentato alcune proposte emendative per ridurre a 400 il numero dei deputati, in luogo dei 500 previsti, e per eliminare gli eletti all'estero, sia per la Camera che per il Senato federale. Abbiamo altresì presentato emendamenti diretti a prevedere che le regioni del nord abbiano una maggiore rappresentanza nel nuovo Senato federale.
Tuttavia, ciò che ci interessa veramente è che la configurazione delle due Camere, ossia della Camera dei deputati, come portatrice degli interessi nazionali, per così dire a titolo esemplificativo, e della seconda Camera, come effettivamente rappresentativa delle regioni e delle autonomie locali, abbia un significato pieno.
La proposta che ci viene presentata appare sicuramente apprezzabile: pone fine al bicameralismo perfetto e crea veramente una seconda Camera rappresentativa delle autonomie delle regioni, come è stato già detto, fra l'altro muovendosi nella direzione di quanto avviene nel Bundesrat della vicina Germania. Abbiamo apprezzato molto il fatto che non vi sia stata la scelta dell'elezione diretta, bensì di secondo grado. Tuttavia, in considerazione del fatto che siamo giunti a questo punto, conviene compiere un passo in avanti.
Nell'ambito dell'intervento svolto dall'onorevole collega dell'UDC, non ho condiviso il fatto che si voglia ridimensionare il Senato federale sotto il profilo delle competenze. Non credo che un'elezione di secondo grado non sia compatibile con le nuove, importanti ed esclusive competenze, che invece tale Senato deve avere e che devono essere rafforzate. Ciò, per essere realmente la voce dei territori, dei quali poi, chiaramente, verrà compiuta una sintesi. Non prevarranno i campanilismi di questa o quella regione: ci mancherebbe altro! Tuttavia, perché tale voce si faccia effettivamente sentire e si tratti di un'operazione non solo di forma o di immagine, ma anche di sostanza, è importante conferire competenze al Senato federale ed è altresì importante che quest'ultimo non abbia la funzione di un organismo consultivo.
Per tale motivo, riprendendo quanto già affermato dal collega che mi ha preceduto nel suo intervento, la posizionePag. 72della Lega Nord Padania è chiara: chiediamo che vi sia un aumento del quorum di maggioranza con cui la Camera dei deputati può superare le deliberazioni del Senato federale in determinate materie di legislazione.
Quindi, riteniamo che, affinché possa determinarsi un'ingerenza della Camera dei deputati sulle decisioni del Senato federale non possa e non debba essere sufficiente una maggioranza politica, con un certo quorum della maggioranza assoluta, ma occorra un quorum rafforzato, cioè una maggioranza qualificata, al fine di sottolineare la straordinarietà della possibilità di un simile intervento. In caso contrario, anche se istituiremo il Senato federale, una maggioranza politica facilmente raggiungibile, chiaramente, condizionerà le scelte dei territori: è inaccettabile! Pertanto, chiediamo un preciso impegno per elevare il quorum, proponendo di arrivare ai tre quinti.
Nel corso degli interventi che si sono susseguiti, si è anche parlato di una necessità di revisione dell'articolo 117 della Costituzione. Vorrei far presente che, noi della Lega Nord Padania, riteniamo che il fatto di non aver approfondito nuovamente la questione della revisione dell'articolo 117 della Costituzione sia una occasione mancata. La proposta di riforma costituzionale in discussione non tocca tale tema. Non so per quali ragioni non si intenda entrare nel merito. Forse vi è la fretta di approvare un provvedimento, una riforma che, ripeto, possa essere un salvagente per il Governo. Non ne conosco le ragioni e non vorrei essere maliziosa, pensando ciò.
Tuttavia, è chiaro che non si può approvare una riforma di questo tipo che, ripeto, ha delle ombre ma anche delle luci - lo sottolineiamo, con onestà intellettuale - se non si rimette mano alla ripartizione delle competenze previste dall'articolo 117.
Abbiamo visto - e lo dimostrano i numerosi ricorsi alla Corte costituzionale - quanto nutrite siano le difficoltà che questa stesura dell'articolo 117 sta purtroppo manifestando con sempre maggiore evidenza. Occorre fare più chiarezza nella ripartizione delle competenze, perché altrimenti si rischia la paralisi! È doveroso e necessario intervenire. Questa «non chiarezza» può essere un alibi per giustificare un aumento dei costi: quante volte si è detto, da parte degli scettici del federalismo, che il federalismo costa. Il federalismo costa se non è ben attuato, se non è ben ideato, se non è ben applicato; il federalismo costa se è una duplicazione. Il federalismo non costerebbe, se ci fosse una netta e chiara ripartizione di ciò che spetta allo Stato e di ciò che spetta alle regioni. Questo è un aspetto che non è stato toccato e che invece dovrebbe essere affrontato.
Altre parti della riforma, si è detto, riguardano la decretazione d'urgenza, l'utilizzo del decreto-legge. Effettivamente, abbiamo visto come in questa legislatura, dove al Senato è difficile arrivare alla maggioranza parlamentare, si cerca sempre di più di battere la via del decreto-legge: con questo abuso della decretazione d'urgenza, senza che tante volte ve ne siano i presupposti, si compie uno «scippo» alle competenze del Parlamento. Su tale materia alcuni aspetti devono essere rivisti.
C'è poi il discorso, che è stato affrontato, di una nuova disciplina dell'amnistia e dell'indulto, sottratti alle competenze bicamerali e affidati unicamente alla Camera dei deputati. Non si tocca invece il quorum, attualmente previsto dall'articolo 79 della nostra Costituzione. L'adozione dei provvedimenti di clemenza è un tema sul quale questo Parlamento si è ampiamente diviso. Si poteva forse fare un passo in avanti: ricordiamo che la maggioranza qualificata dei due terzi, che oggi viene richiesta, è stata introdotta quando è stata modificata la Costituzione, sostituendo un meccanismo molto più farraginoso che prevedeva addirittura un'autorizzazione presidenziale; questo per farci capire come si tratti di materie assolutamente delicate, di strumenti che devono essere utilizzati in via assolutamente eccezionale.
Sono stati comunicati la scorsa settimana i dati negativi per quanto riguarda l'adozione dell'indulto. Si era detto chePag. 73sarebbe stato un provvedimento che non avrebbe minato la sicurezza dei cittadini. Abbiamo commesso degli errori enormi, anzi avete commesso, voi che l'avete votato, degli errori enormi, non escludendo reati, ad esempio, come l'omicidio dall'elenco dei reati per i quali si applica tale misura.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

CAROLINA LUSSANA. E allora è chiaro che noi, anche per questa materia così delicata, chiediamo un procedimento rafforzato, il procedimento della legge costituzionale, così da sottoporre questi provvedimenti al giudizio dei cittadini per via referendaria.
Ci sono ancora altri aspetti, come ad esempio la stabilità di Governo. Non è stato affrontato l'istituto della sfiducia costruttiva.
Questo è un argomento che deve essere preso in considerazione: non so se riusciremo ad arrivare ad una nuova legge elettorale condivisa prima della scadenza della legislatura, ma sicuramente è un tema che deve essere affrontato.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

CAROLINA LUSSANA. Concludo riferendomi ad un ultimo emendamento che il gruppo della Lega Nord Padania presenterà e che riguarda le norme sui senatori a vita. Su questo argomento si è fatta grande polemica: è però innegabile che, al Senato, la maggioranza è stata salvata troppe volte dai senatori a vita. Chiediamo, dunque, che essi rimangano con il loro ruolo ma che non possano avere diritto di voto, poiché non è possibile che una maggioranza sia condizionata dalla loro presenza o meno in Aula.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Costantini. Ne ha facoltà.

CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, il gruppo dell'Italia dei valori ha seguito con interesse e con partecipazione il percorso - breve ma intenso - che ha portato in Aula questa proposta di legge di revisione costituzionale. Lo ha fatto con convinzione, poiché giudicava strumentale la posizione di chi, all'interno dell'opposizione, affermava che non vi fossero le condizioni politiche per mettere mano ad un cambiamento della Costituzione. Ma lo ha anche fatto spinto dall'esigenza di rimuovere quelle condizioni di instabilità politica che gli stessi che le hanno determinate strutturalmente (con l'approvazione dell'attuale legge elettorale) ritengono oggi costituire elemento preclusivo del dialogo e del confronto fra tutte le forze politiche presenti in Parlamento: un dialogo ed un confronto che sono fondamentali, perché un processo di riforma (pur se solo parziale) della nostra Carta costituzionale possa avere all'orizzonte una meta e un possibile punto di arrivo.
L'attuale sistema elettorale, oltre i limiti che già conosciamo e che ormai sembrano condivisi da tutti, è nella sostanza incompatibile con l'attuale assetto costituzionale, che prevede che le due Assemblee legislative detengano gli stessi poteri ed esercitino le stesse funzioni e che richiede una doppia approvazione per tutte le iniziative legislative. Il rischio che nascano maggioranze diverse alla Camera e al Senato è, infatti, in realtà molto più che un rischio: e le conseguenze sul piano dell'instabilità dei Governi e delle maggioranze dovrebbero far comprendere a tutti, sia a chi governa oggi sia a chi pensa di governare domani, la necessità e l'urgenza di un intervento di riforma.
Tale intervento deve interessare il sistema elettorale, ma si rivelerebbe ancor più efficace nel caso in cui si riuscisse a condurre a compimento le poche, circoscritte modifiche della Costituzione contenute nel testo che approda oggi in Assemblea dopo un sereno e costruttivo confronto che si è svolto in Commissione grazie all'equilibrio e alla capacità di sintesi del presidente della Commissione e dei due relatori. Il superamento del bicameralismo perfetto e l'introduzione di un'unica Assemblea legislativa consentirebbero, infatti, di superare il limite maggiore dell'attuale, ma anche di molti altriPag. 74sistemi elettorali: quello di non poter assicurare che nelle due Assemblee si determinino equilibri politici omogenei a seguito dell'espressione del voto popolare.
Ma per superare in pieno questo meccanismo - che rende l'Italia l'unico (o comunque uno dei pochissimi) fra i Paesi occidentali con un sistema legislativo che obbliga due Assemblee elette entrambe a suffragio universale a fare esattamente le stesse cose e a ripetere le approvazioni già intervenute in una Camera anche nell'altra - era necessario fare molto di più rispetto a quanto previsto nella proposta di revisione costituzionale elaborata dal centrodestra pochi anni fa. Questo di più è costituito dal nuovo sistema di elezione dei senatori che è previsto nella proposta di legge oggi al nostro esame.
È un di più perché alla diversità sostanziale di ruolo istituzionale e di funzioni fra Camera e Senato federale si aggiunge la diversità di sistema di elezione dei loro componenti, una diversità senza la quale la riforma ed i suoi obiettivi sarebbero rimasti parziali; ed è un di più perché, prevedendo che l'elezione dei senatori avvenga da parte dei consigli regionali al proprio interno e dei consigli delle autonomie locali, si definisce un sistema che permette ai territori, alle regioni e alle autonomie locali, di entrare da protagonisti nel processo di formazione delle leggi dello Stato.
In questa sede non siamo intervenuti sull'articolo 117 e sui complessi meccanismi di definizione delle competenze legislative esclusive e concorrenti di Stato e regioni, che innumerevoli contenziosi hanno generato e continuano a generare dinanzi alla Corte costituzionale.
Ciò nonostante, sono convinto che l'approvazione di questa riforma consentirebbe - tra i tanti risultati possibili - anche un'enorme attenuazione delle tensioni manifestatesi in questi anni tra Stato e regioni sul piano del riparto delle competenze legislative, e di conseguenza anche una forte riduzione dei ricorsi dinanzi alla Corte costituzionale.
La mediazione - o meglio, la sintesi - tra le diverse vedute avverrebbe automaticamente, proprio per il ruolo che il Senato federale, e - suo tramite - le stesse regioni, potrebbero esercitare in tutte le fasi di formazione di una legge, durante le quali è previsto che il Senato si esprima sempre e possa anche proporre modifiche al testo approvato alla Camera, alla quale resta, comunque, la decisione finale, salvi i pochi ma significativi casi in cui la funzione legislativa resta esercitata collettivamente dalla Camera e dal Senato federale.
Ritengo quindi la soluzione proposta capace di esprimere un deciso salto di qualità, sia sul piano dell'efficienza e della rapidità dei processi di formazione delle leggi, sia sul piano della contemperazione degli interessi e delle prerogative dello Stato, delle regioni e delle autonomie locali. È un sistema che mette tutti di fronte alle più importanti responsabilità per un Paese, quelle che un Parlamento si assume, quando decide di poter varare una legge.
E se significativo sarebbe il miglioramento del sistema sul piano dell'efficacia del suo funzionamento, ancor più significativi sarebbero i vantaggi in termini di riduzione dei costi della politica. Il Senato sarebbe composto da poco più di centottanta senatori, ma anche la Camera subirebbe una robusta cura dimagrante. Nel testo è infatti prevista la riduzione dei deputati a 500, oltre a quelli eletti all'estero: un taglio complessivo, quindi, di circa 300 parlamentari, certamente un taglio significativo nell'ottica di ridurre i costi della politica.
Sulla questione dei parlamentari eletti all'estero sono certo che in Assemblea si riproporrà il confronto che, in parte, si è già sviluppato in Commissione, e per questo ritengo opportuno chiarire subito qual è la nostra posizione, la posizione del gruppo dell'Italia dei Valori.
Ha ragione chi sostiene che meccanismi elettorali così diversi - perché radicalmente diversi sono i sistemi elettorali previsti per i parlamentari nazionali rispetto a quelli eletti all'estero - rischiano di alterare gli equilibri politici ed i rapportiPag. 75tra maggioranza ed opposizione espressi dalle urne a livello nazionale.
La soluzione del problema va rinvenuta, però, nella modifica del sistema elettorale, e non certo nell'eliminazione dei parlamentari eletti all'estero.
Noi siamo, quindi, contrari al ritorno al passato e convinti che i parlamentari eletti all'estero - per la funzione che svolgono, per i rapporti che sono tenuti a conservare con i territori di provenienza, per l'efficace svolgimento del mandato elettorale - rappresentino la risposta migliore alla domanda di partecipazione e di condivisione delle scelte impegnative per il futuro del Paese che ci arrivano da chi - per necessità, nella stragrande maggioranza dei casi, e non per scelta - è costretto a vivere lontano dall'Italia.
È poi previsto un significativo rafforzamento dei poteri del Governo, che può chiedere che un disegno di legge sia iscritto all'ordine del giorno con priorità rispetto agli altri e sia esaminato entro un periodo di tempo predeterminato.
Sempre al Presidente del Consiglio è attribuito il potere di proporre la nomina e la revoca dei Ministri, una previsione diversa da quella contenuta nell'ipotesi elaborata dal centrodestra, che tutela le prerogative costituzionali e di sistema del Presidente della Repubblica.
Anche questa modifica rappresenta un passo in avanti importante sul piano della funzionalità dell'attività del Governo, che responsabilizza ulteriormente il Presidente del Consiglio dei Ministri che, ormai, nell'applicazione pratica dei più recenti sistemi elettorali, è indicato direttamente con l'espressione del voto popolare.
Vi sono poi altre modifiche che completano il quadro di una riforma «piccola», se ci fermiamo al numero degli articoli che andiamo a modificare, ma «grande» se consideriamo i potenziali benefici che deriverebbero dalla sua approvazione. Una modifica che responsabilmente dobbiamo conquistare, evitando il più possibile il pericolo - che purtroppo ormai sembra molto più di un pericolo - che l'asprezza del confronto politico del momento possa condizionare negativamente le possibilità della sua approvazione.
Ovviamente, il mio non può che essere un auspicio che non intende minimamente sottovalutare le difficoltà del momento aggravate, per noi dell'Italia dei Valori, dall'attacco al principio dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura che si è consumato con il tentativo di trasferimento del sostituto procuratore di Catanzaro, il dottor De Magistris, e con la decisione ancora più recente di impedirgli di proseguire le indagini che aveva in corso.
Si tratta di un principio garantito dalla nostra Carta costituzionale, proprio la Carta costituzionale sulla quale stiamo lavorando, pensando di migliorarla. È una difficoltà in più con cui non possiamo e non potremo non confrontarci anche nel prosieguo della discussione.
Con tale spirito, intatto sul piano della valutazione positiva di ciò che stiamo facendo ma indebolito sul piano della convinzione ideale, continueremo nei prossimi giorni a dare il nostro contributo perché la riforma sia varata nel più breve tempo possibile (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Licandro. Ne ha facoltà.

ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Signor Presidente, oggi affrontiamo una discussione su un tema difficile, complicatissimo, in un momento altrettanto difficile e delicato della situazione politica italiana ed è un argomento che attraversa la vita politica del Paese da diversi decenni. Infatti, da diversi decenni si persegue ostinatamente una grande riforma, sin dagli anni Ottanta del secolo scorso, per dire e per sostenere l'esigenza e la necessità di innovare e modernizzare il nostro impianto costituzionale, la nostra architettura costituzionale, rendere cioè, con parole anche ricche di enfasi, moderno il nostro Stato.
Il tema è diventato ancora più difficile e intricato dal 1989, da quando cioè il nostro Paese ha comunque imboccato unaPag. 76lunga, altrettanto difficile e non ancora superata transizione. Cosa abbiamo oggi alle spalle? Vi sono numerosi tentativi di riforme costituzionali perseguiti attraverso diverse esperienze di Commissioni bicamerali.
Abbiamo avuto il tentativo di manomissione pesante della Carta costituzionale repubblicana del 1948 attraverso la riforma varata, a maggioranza, dalla Casa delle libertà nella precedente legislatura e fortunatamente sconfitta, con uno straordinario esito referendario popolare, una riforma che avrebbe veramente messo in ginocchio il Paese piuttosto che aiutarlo a renderlo più moderno, più forte e all'avanguardia delle democrazie occidentali, come hanno sostenuto per lungo tempo i cosiddetti saggi di Lorenzago.
Inoltre, abbiamo dietro di noi numerosi tentativi di assestamento del sistema politico italiano, assecondati dai politologi ma anche da tantissimi «apprendisti stregoni», attraverso le riforme elettorali. Come è noto, e non è un'opinione di chi parla né del gruppo parlamentare dei Comunisti Italiani, l'Italia ancora non è uscita dal tunnel della transizione.
Oggi discutiamo una proposta di riforma costituzionale che certamente vuole rispondere ad un'esigenza, cioè rendere almeno il Parlamento più forte, più agile ed efficace nella sua azione legislativa, ma così come essa viene proposta, così come è stata configurata nel suo impianto, tale proposta al momento ci risulta difficilmente accettabile.
Ciò non soltanto perché richiama, per molti versi, la riforma bocciata dal referendum dello scorso anno, che, come dicevo prima, fu varata dalla Casa delle libertà soltanto a maggioranza, ma perché è proprio nel merito che non ci convince e perché non aiuta affatto il Paese a darsi quegli aggiustamenti e quell'architettura costituzionale di cui oggi avrebbe bisogno.
La proposta, incentrata innanzitutto sulla trasformazione del Senato della Repubblica in Senato federale, così come viene formulata, trova la nostra contrarietà. Non riteniamo che l'idea di un Senato federale che, in qualche modo - perché alla fine si tratta di cose diverse - riecheggi l'impianto del Parlamento tedesco, dia al Parlamento italiano quella forza e quella struttura in grado di farlo procedere più celermente nella sua attività legislativa.
Un Senato che perde il carattere elettivo e che è espressione delle maggioranze che si formano nei consigli regionali, francamente, non credo serva all'Italia (può anche non convincere i Comunisti Italiani, ma credo che non serva all'Italia). Se fosse così - non è soltanto una provocazione, nel momento in cui si parla di tagli dei costi nella politica - tanto varrebbe abolirlo e riproporre un tema che appartiene alla storia della sinistra italiana e dei comunisti di questo Paese sin dalla Costituente, sin dal 1947, vale a dire la proposta di un Parlamento monocamerale. Credo che, se volessimo davvero dare una risposta forte e più radicale, visto che questo termine lo si usa spesso a sproposito, dovremmo seguire questa strada.
La proposta di un Parlamento con un Senato federale che richiami in qualche modo il modello tedesco secondo noi sottende altro, cioè la predisposizione di un assetto costituzionale cui agganciare una legge elettorale che noi avversiamo con estrema determinazione, una legge elettorale alla tedesca. Ciò appartiene al dibattito politico non solo di questi giorni, ma davvero dei mesi che abbiamo alle spalle, e soprattutto anche al dibattito politologico che, purtroppo, in questi ultimi decenni ha prodotto in Italia soltanto danni e macerie.
Infatti, pensare di modificare le leggi elettorali ogni anno, periodicamente e ciclicamente, nella speranza vana e illusoria di assestare un sistema politico che deve, invece, trovare altre dinamiche per raggiungere la stabilità, piuttosto che con le continue riforme elettorali, non rientra nelle nostre corde e nella nostra cultura istituzionale.
Serve allora a questo Paese una riforma di tal genere? Aiuta ad uscire dalla transizione, che - lo ripeto - dura dal 1989? Credo di no. Purtroppo, tale impianto - questa è la ragione del nostroPag. 77profondo dissenso - serve a soddisfare interessi particolari di alcune forze politiche e di quelle forze politiche che puntano, con assoluta determinazione, all'introduzione di un sistema elettorale diverso che ricalchi quello tedesco.
Se sono queste le coordinate del dibattito e dell'azione riformatrice, noi diremo di no, perché tale impianto riporta il Paese indietro di qualche decennio, al tempo in cui ci si presentava agli elettori con le «mani libere», senza sapere, né dire con chi poi si doveva governare e si sarebbe diretto il Paese. Noi, invece, siamo convinti che i cittadini italiani siano più avanti di noi, che abbiano metabolizzato e fatto proprio fino in fondo il sistema bipolare.
L'idea di un ritorno a qualche decennio fa, ad una sorta di proporzionale, che cancelli - da un lato, con l'introduzione di soglie di sbarramento elevatissime e, dall'altro, con la cancellazione del carattere elettivo del Senato - il principio della rappresentanza politica, che ricordo essere un principio costituzionale, riteniamo che sia un grave errore, che anche la maggioranza di cui facciamo parte è sul passo di commettere.
Dopodiché, ho sentito nel dibattito anche qualche sciocchezza, come quella secondo cui il Nord dovrebbe avere più peso nel Senato federale. Presidente Violante, non so che cosa volesse dire la collega della Lega Nord. Tuttavia, se restano tali elementi, lei capisce bene come le ambiguità di fondo in questo Paese permangano e non vengano dissolte da chi nel passato ha tentato con ogni determinazione di destrutturare questo Paese.
Perché la Casa delle libertà si è astenuta, mentre prima, nel merito, alcune sue importanti componenti, come l'UDC, la Lega Nord e parte di Alleanza Nazionale, avevano votato a favore? Perché alla fine si è astenuta, raggiungendo una falsa, apparente e ipocrita unità? Perché al loro interno sono profondamente divisi e probabilmente non c'è uno che la pensi allo stesso modo sull'impianto costituzionale che questo Paese deve avere e perché sono quelle forze politiche che, nei cinque anni che abbiamo alle spalle, volevano demolire la Costituzione repubblicana del 1948 e che non sono in disaccordo soltanto sulla legge elettorale.
Non sono d'accordo, non si trovano d'accordo, non trovano un'intesa sulla legge elettorale. È bene che queste cose si dicano e restino agli atti per fissare le coordinate vere della materia.
Dopo di che, non c'è dubbio che i colleghi della Lega Nord farebbero bene a parlare dei loro problemi piuttosto che di quelli della maggioranza: la Lega Nord è costantemente sotto ricatto del capo della Casa delle libertà, fino a quando resisterà al timone Silvio Berlusconi.
Vi sono stati interventi e cenni sulla crisi del Governo, sulla crisi di questa maggioranza, sulle responsabilità, sulle presunte tensioni provenienti da una parte dell'Unione, segnatamente dai partiti della sinistra, secondo il martellamento mediatico ben costruito (ma ovviamente del tutto falso e strumentale). Ma l'interpretazione autentica della manifestazione del 20 ottobre spetta soltanto a noi: siamo noi a rappresentare al Governo il senso della manifestazione di sabato, il significato politico e le rivendicazioni che sono venute da quella straordinaria partecipazione di popolo vero, composto, pacifico, democratico, senza nessun urlo, senza nessun insulto, neppure un cenno aspro nei confronti di un avversario formidabile, come Berlusconi. Nulla.
Da quella manifestazione è emerso soltanto un messaggio al Governo, quello di una sinistra unita che chiede al Governo di andare avanti sul piano delle riforme, anche di quelle costituzionali, ma soprattutto delle riforme vere, sulle politiche del lavoro, sulle politiche sociali, sulla scuola pubblica, sulla sanità, sull'università. Questo è quanto è emerso.
Mentre, al contrario, dalla Casa delle libertà ogni giorno c'è un bollettino di guerra. Basta leggere i quotidiani per provare un senso infinito e indicibile di pena: la crisi ogni giorno paventata dall'onorevole Berlusconi, le notizie trapelate, confermate, mai smentite, di un inaccettabile e immorale mercimonio di parlamentari. Potremo fare qualunque riforma costituzionale,Pag. 78ma se il sistema politico, il quadro dei valori e le idealità restano queste, è tutto vano.
Ma torniamo alle riforme. Noi presenteremo nel merito una serie di emendamenti. Ho già parlato del Senato federale e delle enormi perplessità che ci attraversano. Credo che si debba chiarire bene il terreno delle competenze che, per certi versi, sembra ancora pasticciato. Se ci si richiama all'impianto tedesco, bisogna ricordare che il Senato federale tedesco ha compiti estremamente limitati: sostanzialmente non ha competenza legislativa, mentre noi attribuiamo al Senato federale una competenza legislativa rilevante, anche su materie fondamentali.
C'è da chiarire bene tutta la materia relativa alla fiducia e all'impianto parlamentare. Non ci convincono alcuni passaggi che introducono surrettiziamente elementi di presidenzialismo. Cosa significa che il Presidente della Repubblica conferisce l'incarico tenendo conto dei risultati elettorali?
Cosa significa? Cosa nasconde questa generica espressione? Affronteremo la questione nel merito durante la discussione e l'esame da parte dell'Assemblea; tuttavia, non ci convince l'idea che si possa agevolare, ancor più di quanto sia materialmente accaduto nei fatti, un impoverimento ulteriore del Parlamento.
Per le ragioni che anche altri hanno esposto, ormai in questo Paese, anche attraverso le riforme del sistema amministrativo, le istituzioni democratiche assembleari hanno subito dei colpi formidabili, dai consigli comunali sino al Parlamento, a vantaggio, da un lato, degli Esecutivi, e dall'altro, dell'apparato burocratico.
Il vento impetuoso dell'antipolitica, che ha soffiato in questi mesi in Italia, è stato magistralmente orchestrato e orientato dalla grande stampa nazionale, che non è libera e indipendente in senso puro, ma è la voce forte di gruppi economico-finanziari che perseguono altri interessi, che nulla hanno a che vedere con la tenuta dell'impianto democratico di questo Paese.
Riteniamo che un Parlamento riformato in quel modo sia ancora più debole e che veda ancor più compresse le proprie funzioni, la propria dimensione, i propri margini d'azione e la possibilità di portare all'interno dell'Assemblea quei fermenti che esistono nel Paese e che rischiano di restarne fuori, costituendo poi il brodo di coltura di fenomeni devastanti e tragici.
Faccio un esempio, ma non alludo solo a questo, ovviamente: spesso siamo afflitti da una sorta di esterofilia che ci impedisce di entrare nel merito dei nostri problemi; guardiamo alla Francia, alla Spagna, alla Germania e all'Inghilterra, ma in Francia cosa accade? Come si spiega il fenomeno delle banlieu parigine se non analizzando un Parlamento, come quello francese, costruito con quella legge elettorale, che è ingessato, innaturale e che non rappresenta tutto ciò che è presente nella società francese? Vogliamo davvero andare in questa direzione? Pensiamo davvero che, per uscire da questa transizione, dobbiamo di nuovo rafforzare maggiormente i poteri dell'Esecutivo, a detrimento del Parlamento? Dobbiamo restringere lo spazio e il ruolo del Parlamento accettando ipocritamente che si tratti della riduzione di un costo della politica?
Se non vi è più una Camera come quella del Senato elettivo e se i membri dell'unica Camera politica che accorda la fiducia al Governo, ossia la Camera dei deputati, si riducono da 630 a 500, non vi sono tutti i rischi che noi già paventiamo? Io credo di sì.
Per tale motivo - e concludo - abbiamo tenuto un atteggiamento molto responsabile. Infatti, non abbiamo diviso la maggioranza, sebbene determinati accordi, ancora una volta come ormai sovente accade in questa legislatura, siano stati conclusi senza il concorso di una parte importante della coalizione, privilegiando alcune componenti e lasciandone fuori altre.
Tuttavia, per responsabilità non vogliamo incrinare l'Unione, così come abbiamo fatto da un anno e mezzo a questa parte. Abbiamo sopportato di tutto e chi crea tensioni e fibrillazioni nella maggioranzaPag. 79e nel Governo si trova esattamente da un'altra parte, ovvero sul versante moderato della coalizione.
Dunque, responsabilmente non fermeremo il processo riformatore; tuttavia, non rinunceremo alle nostre idee e valutazioni. Sarà compito di altri assumere la responsabilità delle fratture e delle incomprensioni. Siamo convinti, infatti, che sia un momento particolarmente delicato per il Paese e perseguiremo fino in fondo l'obiettivo di rappresentare il mandato popolare che gli elettori del centrosinistra hanno conferito all'Unione e al suo leader Romano Prodi per chiudere i cinque terribili anni della legislatura della Casa delle libertà, la quale ha destrutturato socialmente e moralmente il Paese.
Per tali ragioni ci auguriamo che si possa recuperare un vero dibattito di merito, sia all'interno dell'Unione, sia con le altre forze presenti nel Parlamento, ricordando l'impegno assunto dinanzi all'intera Nazione: non procedere a riforme costituzionali senza il consenso di tutti, in quanto questa è «la casa» di tutti. Ci auguriamo, quindi, che si possano recuperare nel merito e si possano correggere talune storture. Soprattutto, ci auguriamo che non si realizzi ciò che, surrettiziamente e per interessi politici di alcune forze politiche, si vorrebbe perseguire con riforme costituzionali sbagliate.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato La Loggia. Ne ha facoltà.

ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, vorrei svolgere qualche considerazione sulla riforma in esame e anche qualche valutazione politica connessa a questo delicatissimo argomento. La prima parola che mi viene in mente è: peccato. Sarebbe potuto essere, infatti, un momento certamente migliore e avremmo potuto seguire seriamente - anche insieme, come è giusto che sia - un percorso riformatore del quale hanno così tanto bisogno il Paese e i nostri cittadini, ai quali è sempre più difficile spiegare di cosa stiamo discutendo. Sino a quando non riusciremo a spiegare che, collegata alla riforma, vi è la funzionalità stessa dell'intero sistema istituzionale e burocratico del nostro Paese, probabilmente i cittadini continueranno a non essere così interessati ad un argomento che, invece, è di fondamentale importanza.
Bisogna spiegare ai cittadini che la riforma della Costituzione si rende necessaria per semplificare tante situazioni nelle quali si imbattono sostanzialmente ogni giorno, individualmente e con le loro famiglie, e che questo avrebbe potuto essere un momento di particolare riflessione costruttiva, per far fare un salto avanti al nostro Paese.
Peraltro, sino a quando non riusciremo a essere abbastanza chiari, si comprende il motivo per cui - lo devo dire con molta amarezza - anche un dibattito così importante, come quello che stiamo svolgendo, trova gli stessi rappresentanti dei cittadini, ossia i parlamentari, così distratti e poco interessati, molto probabilmente quasi a preconizzare un risultato, gli uni in positivo gli altri in negativo, di questo lungo percorso, senza arrivare a nessun esito concreto.
Peccato! Sono veramente amareggiato! Ricordo quante volte - lo dico per me stesso, ma anche per fotografare la situazione che si è sostanzialmente materializzata sotto i miei occhi in questi anni di partecipazione al Parlamento (prima al Senato e adesso alla Camera) e al Governo, come Ministro per gli affari regionali - abbiamo immaginato che, lavorando insieme, avremmo potuto finalmente far fare, veramente, un grande passo avanti al nostro Paese, sul modello di tante democrazie occidentali, come la Germania, l'Inghilterra, la Francia, gli Stati Uniti. Si tratta di strutture democratiche che hanno in passato già risolto problemi apparentemente semplici, che noi, invece, continuiamo a trascinarci da decenni. Mi riferisco, ad esempio, alla possibilità che i cittadini possano dare un'indicazione ben precisa di chi debba governarli, per realizzare un confronto aperto, tra due o più candidati con programmi e progetti diversi, dando a chi scelgono un mandato preciso: realizzarePag. 80quel determinato programma in un tempo dato, cioè la durata della legislatura. Sembra una cosa semplice? In realtà, in altri Paesi è già così. È veramente mortificante, per certi versi, immaginare che i cittadini italiani non possano ottenere ciò che centinaia di milioni di altri cittadini nel mondo hanno già ottenuto con la maturazione fisiologica del sistema democratico, e in particolare del sistema democratico rappresentativo, perché i due aspetti non possono non essere collegati.
Abbiamo sperimentato ormai per troppo tempo: penso alle Commissioni Bozzi, De Mita-Iotti, D'Alema, ai mille discorsi, confronti, alle mille ipotesi, per riuscire finalmente a fare ciò che obiettivamente non potevano fare i nostri Padri costituenti in quel particolare momento, nel quale, uscendo dalla devastante esperienza del fascismo, poteva esserci una più che giustificata remora a dare qualche potere in più al Presidente del Consiglio. Ma sono passati sessanta anni! Eppure anche quella Costituzione, che fu considerata una tra le migliori del mondo e che certamente ha un'enorme quantità di punti positivi, merita di essere rivista e aggiornata.
Bisogna che si tenga pure conto che l'Italia non è più quella del dopoguerra e bisognerà anche immaginare come si possa far compiere al nostro Paese un passo in avanti. Prendiamo atto che tutti i tentativi in questo senso sono falliti e che è fallita anche la riforma che abbiamo realizzato nella scorsa legislatura nei confronti della quale tutta la sinistra, probabilmente anche non condividendo le tante critiche che le furono rivolte, votò sostanzialmente contro e si spese nel referendum affinché venisse bocciata, salvo poi riprenderne alcuni spunti e non portandoli neanche alle logiche normali conseguenze normative.
Si sta tentando, attraverso la riforma che abbiamo sotto gli occhi, di surrogare in qualche modo a quanto già realizzato in modo migliore con la precedente riforma e che sicuramente ancora di più e meglio sarebbe ben possibile realizzare adesso.
Presidente Violante, ho apprezzato molto il suo sforzo e probabilmente nei suoi panni avrei fatto la stessa cosa. Lo dico con molta lealtà perché - lo ripeto - ho sinceramente apprezzato il suo impegno, e conosco bene quali difficoltà, anche interne alla maggioranza, gravano su un tale tentativo, il che lo rende ancora più apprezzabile.
Dovremmo, però, anche prendere atto che siamo arrivati ad un momento politico - dico politico anche se è una terminologia inappropriata dato che, pur trovandoci all'interno del Parlamento, potrebbe creare una barriera nei confronti dei cittadini - in cui dovremmo dire semplicemente, per essere più chiari con i cittadini, che il tempo è scaduto.
È un po' troppo tardi e sa perché, presidente Violante? Perché è passato il momento, l'attimo fuggente. All'inizio della legislatura, preso atto dei risultati (polemiche a parte, non è questa la sede per riprendere il tema sulla linearità e regolarità delle elezioni, e non è di ciò che voglio parlare in questo momento), vi è stato un momento in cui il presidente Berlusconi propose di fare alcune cose assieme nell'interesse del Paese. La risposta fu totalmente inadeguata al senso dello Stato, al senso di responsabilità nei confronti di cittadini, alla stessa consapevolezza delle difficoltà che era chiarissimo già da allora avrebbero appesantito - abbiamo visto fino a che punto - l'azione e la vita di questo Governo e di questa maggioranza. Quello sarebbe stato il momento in cui avremmo anche potuto sederci attorno a un tavolo, riprendere in mano la nostra vecchia riforma, modificare tutti quei punti che, riconosco, sarebbe stato possibile migliorare per trovare quel minimo comune denominatore volto al supremo interesse del Paese. Ho usato con un umiltà e rispetto una tale espressione utilizzata in passato da uomini che sicuramente possono essere definiti statisti perché non riesco a valutare se vi siano così tanti uomini interessati a svolgere la loro azione politica e parlamentare nel supremo interesse del Paese. Forse, sono altre le leve che li muovono, altri gliPag. 81obiettivi da raggiungere, ma certo non è presente, su un argomento di così rilevante sostanza, quello che dovrebbe essere il supremo interesse del Paese.
Peccato, lo dico ancora una volta. Avremmo potuto farlo, e comincio a pensare seriamente - presidente Violante, è la prima volta che lo ammetto e desidero farlo pubblicamente in un intervento alla Camera dei deputati perché resti agli atti - che la scelta che molte volte ho osteggiato nel corso di tanti anni possa diventare attuale e possa essere anche accettata. Per tanti anni abbiamo respinto l'idea di un'assemblea costituente. Forse abbiamo fatto male, certamente lo abbiamo fatto nella più assoluta buona fede, perché ritenevamo di poter fare molto più in fretta, e meglio, attraverso le normali procedure dell'articolo 138 della Costituzione.
Ebbene, credo che dobbiamo prendere atto, dopo i numerosi tentativi dei quali ho fatto menzione, che forse non ci si riesce più. Infatti, o vi è realmente o nasce (e si deve vedere concretamente) questo interesse comune, che deve necessariamente sfuggire alla contrapposizione maggioranza - opposizione e deve poter vedere insieme costruire le regole della casa dentro la quale dobbiamo necessariamente vivere tutti, oppure, se ciò non accade, dobbiamo necessariamente ammettere che forse è meglio conferire una delega ad altri, fuori dall'agone politico, ad esperti che mettano insieme le loro esperienze, le loro conoscenze, la loro saggezza e la loro scienza, per modificare ciò che va così profondamente modificato della seconda parte della Costituzione e ciò che è oramai necessario modificare anche della prima parte della stessa, salvi i principi, salve le libertà e tutto quello che pure sappiamo essere indispensabile modificare.
È veramente un peccato! Avrei voluto intervenire in questa sede, e anche molte più volte nella stessa Commissione affari costituzionali, per dare un contributo migliorativo e modificativo a questa proposta di riforma costituzionale. Non è stato sostanzialmente possibile e me ne rammarico molto.
Penso che la cosa più giusta da fare in questo momento sia prendere atto del fatto che, purtroppo, non vi sono le condizioni (magari ci fossero!) e dichiarare che il tempo è scaduto e che, purtroppo, non è possibile immaginare in questa legislatura di realizzare qualcosa che possa essere così utile nei confronti dei cittadini.
Inoltre, vorrei dire, almeno affinché ne resti traccia, che la mia non è soltanto una posizione politica in rappresentanza del mio gruppo. In Commissione ci siamo astenuti perché volevamo in qualche modo tentare di indurre la maggioranza ad un momento di riflessione sulle stesse considerazioni che ho svolto e in merito a quelle sulle quali vi intratterrò qualche momento, ma anche - perché no? - cercare di trovare soluzioni a problemi molto complessi dal punto di vista dell'equilibrio del sistema costituzionale, evitando contraddizioni palesi.
Vi porto qualche esempio. Il primo riguarda il federalismo, argomento che credo abbia appassionato tutti noi almeno negli ultimi 15-16 anni. Una insufficiente, incerta per molti versi e incompleta riforma del Titolo V della Costituzione, realizzata nella legislatura 1996-2001, ha sostanzialmente recato più danno che bene, come più volte, anche da emeriti esponenti della maggioranza, è stato riconosciuto.
Avevamo tentato di proporre una soluzione migliorativa con la nostra riforma, ma è stata bocciata e non ne parliamo più! Eravamo anche in attesa di conoscere la vostra proposta di riforma del titolo V della Costituzione. Nella riforma costituzionale in esame non si dà risposta a questa domanda, come se il permanere dell'attuale configurazione dell'articolo 117 fosse talmente soddisfacente da accantonare il problema per poi riaffrontarlo in un altro disegno di legge costituzionale. È come dire di voler delineare il progetto di un nuovo sistema di Governo parlamentare nel nostro Paese, senza decidere di cosa si dovrà occupare tale nuovo sistema di Governo e tale nuovo sistema parlamentare. Costruiamo la casaPag. 82senza le fondamenta. Mi pare un atteggiamento estremamente contraddittorio, addirittura sbagliato. Se qualcuno dei miei studenti di diritto costituzionale mi proponesse un'ipotesi di questo tipo, penso che non gli farei superare l'esame. Non va bene e lo dico dal punto di vista tecnico: non perché la mia è una posizione politica contraria, ma perché non funziona. È necessario mettere mano alla riforma dell'articolo 117 - per chi non è strettamente addetto ai lavori faccio riferimento alla ripartizione delle competenze tra Stato e regioni -, sciogliendo finalmente il nodo delle cosiddette legislazioni concorrenti, laddove una parte è disciplinata dallo Stato e una parte dalle regioni e sostanzialmente la Corte costituzionale decide chi deve legiferare e su che cosa, spogliando sostanzialmente il Parlamento della propria capacità decisoria. Così è avvenuto dal 2001 in poi, quando è entrata in vigore la riforma che voi, in quella legislatura, quando eravate ancora una volta maggioranza, avete realizzato.
Si può fare anche di più e di meglio di ciò che avevamo tentato di fare noi con la nostra riforma costituzionale, operando una separazione ancor più netta delle competenze dello Stato e delle regioni. Cosa c'è di più chiaro nello stabilire quale è la competenza esclusiva dello Stato e qual è la competenza esclusiva delle regioni e lasciare soltanto quei pochissimi argomenti che, pure, è necessario attribuire alla legislazione concorrente. Non è possibile mantenere una enorme quantità di materie che francamente non trova giustificazione neanche nella comprensione comune dei cittadini. Penso alla materia delle professioni, attribuita alla legislazione concorrente; come se si potesse esercitare la professione di avvocato, di medico, di ingegnere in un modo in Lombardia e in un altro modo in Calabria. È una follia! Anche con riferimento alle regole sulla produzione e distribuzione dell'energia, come è immaginabile che possa restare così com'è - una parte allo Stato e una parte alle regioni - un argomento di così vitale importanza per tutti i cittadini.
Potrei continuare, ma credo di aver fatto ben comprendere il mio punto di vista al riguardo. Inoltre, magari si fosse discusso di questo tema durante il dibattito, stabilendo come sistemare al meglio anche tecnicamente, oltre che logicamente e razionalmente, il Titolo V della Costituzione, con particolare riferimento all'articolo 117! Invece, abbiamo chiesto più volte che si discutesse su cosa debba occuparsi il Senato federale. Ci è stato risposto che prima bisogna stabilire come deve essere composto e successivamente verrà affrontata la questione delle sue competenze. È come mettere le calze sopra le scarpe: è esattamente lo stesso tipo di contraddizione.
Com'è possibile stabilire da chi debba essere composto il Senato - e su questo aspetto tornerò tra un momento - e poi affrontare successivamente il problema se il procedimento legislativo debba essere bicamerale, se si debba passare da una Camera all'altra, esercitando collettivamente la funzione legislativa, e scoprire poi che il Senato, sostanzialmente, una vera e propria competenza propria non c'è l'ha! Ma come? Eravamo partiti per introdurre un bicameralismo, se non perfetto come quello di oggi, quanto meno equivalente (come era previsto, peraltro, nella nostra riforma costituzionale) e scopriamo, invece, che stiamo per dare vita - se mai questo processo costituente dovesse arrivare in porto - ad un Senato ridotto a meno di una commissione consultiva. Gli si chiede un parere e, una volta che l'ha espresso, gli si dice: bravo, adesso decide la Camera dei deputati! Ma come è possibile prevedere tutto ciò a proposito di quello che tanto pomposamente viene descritto come Senato federale. Poi si capirà, lo comprenderanno tutti, certo! Perché hanno voluto prima stabilire la composizione del Senato federale? Perché i cittadini li abbiamo cancellati totalmente dalla scelta dei loro rappresentanti all'interno del Senato federale! Anche se vi è una protesta sul fatto che i cittadini non scelgono più nemmeno i parlamentari, i senatori e quant'altro, vi è qualcuno dentro quest'Aula che immagina che non solo iPag. 83cittadini non sceglieranno più un bel niente, ma i senatori, per una parte, saranno scelti dai Consigli regionali, con quella che, tecnicamente, si chiama un'elezione di secondo grado. Ma vi è di più! Essi saranno scelti anche dai cosiddetti Consigli delle autonomie. Se vi è una persona su un milione, in Italia, che è in condizione di comprendere, oggi, di cosa stiamo parlando, è già tanto! Allora chiariamolo: i cittadini eleggono i Consigli comunali e i Consigli provinciali; questi ultimi eleggono i Consigli delle autonomie, i quali, a loro volta, eleggeranno i senatori. Ma il tanto decantato Bundesrat tedesco - il Senato della Repubblica federale di Germania - non si è mai sognato di scrivere una follia di questo genere! È ben altro il Bundesrat! O, forse, bisognerà spiegare, a molti parlamentari del nostro Paese, di cosa stiamo parlando, quando parliamo di Bundesrat e di sistema tedesco. In molti, infatti, ne parlano anche con riferimento alla legge elettorale, spesso senza comprendere cosa vi sia all'interno del sistema tedesco, che è ben diverso da quello che si vorrebbe realizzare, forse, nel nostro Paese e, certamente, non con il nostro consenso.
Ciò che si vuole realizzare, infatti, è un Senato federale sostanzialmente ridotto a poco meno - neanche un poco di più - di una commissione consultiva, che fa, sostanzialmente, quasi nulla, tranne una protesta qualora la Camera faccia qualcosa che al cosiddetto Senato federale non sta bene. Abbiamo istituito la Camera della protesta! Mi sembra un bel passo avanti verso il sistema federale! Una protesta fine a sé stessa, ovviamente, perché poi decide la Camera e tanti saluti alla protesta del cosiddetto Senato federale!
Avevamo tentato - e questo è un altro argomento - di attribuire un po' più, neanche tanto, di poteri al Capo del Governo. Anche questo è stato totalmente cancellato.
Si scrive una frase la cui lettura, francamente, si può prestare a talmente tante interpretazioni che, volendo essere un po' maliziosi, si può tradurre in questo modo: il Capo dello Stato, avendo appreso dal telegiornale della sera che vi è una coalizione che ha ottenuto qualche voto in più rispetto all'altra, si domanda se dovrà aspettare il giornale dell'indomani mattina (non intendo riferirmi al quotidiano Il Giornale, bensì ad un qualunque quotidiano; il Capo dello Stato scelga il giornale che crede, ci mancherebbe altro!); leggerà il giornale del giorno dopo o, addirittura, si fiderà degli exit poll o delle prime proiezioni del Ministero dell'interno. A quel punto si chiederà chi fosse il capo della coalizione e se ve ne fosse uno. Può trattarsi di qualcuno il cui cognome inizia con la lettera B oppure - speriamo mai - con la lettera V o P. Poi, dopo avere riflettuto, riterrà preferibile aspettare i giornali dell'indomani mattina per avere migliore contezza della situazione.
Ma può essere questo il ruolo del Capo dello Stato? Pensate, seriamente, che per scegliere chi debba diventare il nuovo Presidente del Consiglio, il ruolo del Capo dello Stato (anche quello dello stesso Presidente del Consiglio) possa essere ridotto ad una mera consultazione dei quotidiani? Infatti, l'espressione inserita all'interno del testo in discussione: «valutati i risultati delle elezioni», vuol significare esattamente ciò che ho appena finito di descrivere.
Inoltre, vorrei fare una domanda, ritornando su un argomento che poc'anzi ho sfiorato: ed i cittadini in tutto questo? In che modo saranno protagonisti della vita democratica del Paese? Non scelgono più i propri rappresentanti al Senato. Probabilmente, se realmente si riuscirà a modificare il sistema elettorale, realizzando il cosiddetto sistema tedesco, i cittadini non potranno neanche scegliere chi li governa e per realizzare cosa! Conferiranno un mandato in bianco. Da questo punto di vista, viva la prima Repubblica! Tale mandato in bianco verrà conferito ai loro partiti, i quali potranno comodamente fare e disfare un Governo ogni sei mesi, così come avvenuto sostanzialmente durante tutto il periodo della prima Repubblica.
Ma è questo ciò che vogliono i cittadini del nostro Paese? Immaginate che si possa realmente rendere un servizio del generePag. 84ai cittadini del nostro Paese che chiedono di essere protagonisti, di scegliere e non di subire le scelte che qualcun'altro al loro posto impone, non solo al Parlamento, ma sulla loro testa di cittadini!
Ma vi è di più! Secondo fonti di agenzia (non ho ancora avuto il tempo di vedere il telegiornale), oggi si sarebbe tenuto un incontro in I Commissione affari costituzionali con i presidenti delle regioni ed i loro rappresentanti. Probabilmente, sarebbe utile un mini corso di diritto costituzionale. I presidenti delle regioni sono i capi dei governi regionali, non dei consigli regionali. A qualcuno sfugge tale differenza? È la stessa differenza che sussiste tra potere esecutivo e legislativo a livello nazionale.
Se tale differenza sfugge, a mio avviso, dovremo terminare il discorso e spiegare alcune regole, per così dire elementari: rudimenti elementari di diritto costituzionale all'interno del Parlamento (forse è utile)! Cosa sono i presidenti delle regioni? Sono consiglieri regionali? No, sono presidenti delle regioni e pertanto, partecipano del potere esecutivo. Allora, come si fa ad affermare che devono poter far parte del Senato federale che è un organo legislativo? Quale strana commistione dovrebbe portare i presidenti delle regioni a fare parte di un organo legislativo?
Pertanto, giusto per spiegarlo, avremo dei senatori di tal fatta: il lunedì saranno consiglieri regionali, mentre il martedì e forse anche il mercoledì saranno senatori della Repubblica federale. Il martedì e il mercoledì stabiliranno i principi cui dovranno uniformarsi i consigli regionali nel fare le leggi; il giovedì torneranno nei consigli regionali, rivestendo la giacca di consigliere regionale e scriveranno le leggi di cui hanno determinato i principi il martedì e il mercoledì. A me sembra una barzelletta. Purtroppo, non lo è, cari colleghi. È tutt'altro che una barzelletta: è scritto in questa bozza di riforma costituzionale o meglio in questo progetto; speriamo che una cosa di questo genere non diventi mai una riforma costituzionale. È veramente singolare che qualcheduno abbia pensato una cosa di questo genere.
Ma vi è di peggio. Se fossero anche i presidenti delle regioni a far parte del Senato? Mi pare che qualcheduno abbia dato loro assicurazioni in proposito, come leggo da fonti di agenzia: hanno detto che si tratta di una richiesta da tenere certamente in conto. Certo: inseriamo anche i presidenti delle regioni dentro il Senato federale! Qualcheduno a quanto pare ha detto loro: tutto sommato, che male c'è? In questo caos incredibile, un po' più di caos in fondo non guasta. Guasta, invece! Perché non solo vi saranno consiglieri regionali che faranno anche i senatori e senatori che faranno anche i consiglieri regionali, ma vi sarà un soggetto, che normalmente dovrebbe svolgere un ruolo legislativo, che svolgerà anche il ruolo dell'Esecutivo. Cari colleghi, giusto per comprenderci, è come se noi, che siamo deputati del Parlamento nazionale, della Camera dei deputati, facessimo un giorno i deputati ed un giorno i ministri o i sottosegretari; come fa egregiamente l'onorevole Naccarato, che ci ascolta ancora così tardi nella sera. Ma vi immaginate che si possa inventare una cosa di questo genere? Noi avevamo anche cercato di trovare una soluzione ben più congrua nel nostro progetto di riforma costituzionale, quella di costituzionalizzare semmai la Conferenza Stato-regioni. Quella sarebbe stata la scelta adatta, perché in quella sede avviene l'incontro tra il Governo nazionale, i Governi regionali e, quando si riuniscono con l'ANCI, l'UPI, l'UNCEM, anche i Governi degli enti locali. Ciò accade a livello di Governo, ma a livello di Parlamento? Com'è possibile immaginare una commistione tra esecutivo e legislativo? Proporrò al Presidente Bertinotti di predisporre delle note esplicative sui rudimenti elementari di diritto costituzionale. Vi è un ottimo ufficio legislativo alla Camera, bisogna dargliene atto: sono sicuro che, senza troppo sforzo, sarebbero nelle condizioni di compiere un eminente lavoro, un chiarissimo lavoro per poter far comprendere la differenza tra potere esecutivoPag. 85e potere legislativo. Peccato, dico ancora una volta, che si stia perdendo tanto tempo per parlare di cose delle quali veramente non se ne avvertiva il bisogno. Veramente non era necessario: bastava soltanto essere consapevoli dell'importanza dell'argomento in discussione.
Vorrei far volgere al termine il mio intervento, affermando che abbiamo perso una bellissima occasione. Mi dispiace che il presidente Violante abbia lasciato l'Aula, perché avrei voluto rivolgere questa mia ultima considerazione direttamente a lui, ma sono sicuro che il relatore Bocchino, così come il sottosegretario Naccarato, potranno farsi interpreti di quanto sto per dire.
Non è vero che non vogliamo la riforma: altroché se la vogliamo! Lo abbiamo anche dimostrato nella scorsa legislatura. In particolare, credo di avere anche contribuito, attraverso la legge n. 131 del 2003, ad attenuare in qualche modo gli effetti negativi della riforma precedente.
Ma è anche vero che bisogna prendere atto del fatto che siamo al 22 ottobre 2007 e che da un anno e mezzo assistiamo non ad una marcia trionfale, ma ad una sostanziale agonia del Governo Prodi. Dunque, immaginare di poter avviare, oggi, un percorso riformatore così impegnativo, fra l'altro praticamente cancellando il progetto fin qui presentato per riscriverlo da capo, mi sembra sostanzialmente impossibile.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ENRICO LA LOGGIA. Lo trovo impossibile perché è tardi, come ho già detto all'inizio del mio intervento; lo trovo impossibile perché non vedo le condizioni politiche affinché si possa realmente intrecciare un dialogo ed un confronto costruttivo fra maggioranza ed opposizione; e lo trovo impossibile perché credo che siamo assai vicini a lasciar calare il sipario su questo Governo e su questa maggioranza.
Ritengo dunque che faremmo bene ad auspicare tutti nuove elezioni, una nuova maggioranza ed un nuovo Governo, forse anche per inserire nel programma di entrambe le coalizioni l'impegno non solo a lavorare insieme per costruire finalmente una riforma costituzionale, ma anche - qualora ciò sia necessario, qualora seriamente si intenda far prevalere l'interesse del Paese - l'impegno a riconsiderare con molta attenzione e senso di responsabilità anche l'ipotesi di un'Assemblea costituente.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ENRICO LA LOGGIA. Non è questa una linea che mi sento di indicare, anche perché l'ho avversata per molti anni: ma laddove non si riesca a trovare il modo per uscire da questo complicatissimo intreccio, che paralizza il nostro Paese sull'argomento riforme costituzionali da troppi anni, forse potrebbe essere una soluzione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 553-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, deputata Amici.

SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, rinuncio alla replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Bocchino.

ITALO BOCCHINO, Relatore. Signor Presidente, rinuncio anch'io alla replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, desidero anzitutto esprimere sinceri apprezzamentoPag. 86e soddisfazione per l'importante lavoro svolto dalla Commissione affari costituzionali con la guida sempre lungimirante e tenace del presidente Violante; un particolare ringraziamento va, inoltre, all'impegno prezioso dei relatori, onorevoli Sesa Amici ed Italo Bocchino. E sarebbe anzi assai importante continuare ad assicurare a tale impegno parlamentare una sorta di corsia protetta dalle polemiche politiche quotidiane, quasi una «moratoria per le riforme» che consenta di far lavorare le aule parlamentari con la necessaria serenità, anche sul delicato tema della legge elettorale.
Su incarico del Ministro Vannino Chiti, ho avuto il privilegio di seguire da diversi mesi questi temi.

ITALO BOCCHINO. Bravo Naccarato!

PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. La discussione di oggi è la prima occasione per proseguire in Assemblea un confronto che ci ha portato ad individuare limitate e specifiche modifiche costituzionali in grado di migliorare fortemente il funzionamento del sistema delle istituzioni parlamentari e di Governo.
In questo senso, la mancanza di voti contrari in Commissione e la stessa astensione delle opposizioni - sia pure con motivazioni diversificate - vanno interpretate come un incitamento a proseguire su questo percorso al fine di giungere ad un testo largamente condiviso, come auspicato ripetutamente anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi.
Il testo che l'Assemblea ha in esame e che essa potrà ulteriormente migliorare, è frutto di una complessa mediazione intervenuta tra varie parti politiche, di maggioranza e di opposizione, nell'ambito di un dibattito molto ampio, talora acceso, ma mai di mera contrapposizione: un dibattito per cercare assieme una risposta all'ansia di rinnovamento proveniente da larga parte dell'opinione pubblica e per superare, sia pure per approssimazioni successive, la lunga ed estenuante fase di transizione che il Paese sta attraversando ormai da troppi anni.
È di tutta evidenza che, al di là della normale dialettica tra le varie forze politiche, tutto sommato su questo tema è prevalso da subito un forte senso di responsabilità, mosso essenzialmente dall'avere a cuore l'interesse generale del Paese che chiede alla politica riforme senza perdere più altro tempo. Si è, dunque, convenuto sull'esigenza da più parti avvertita di rivedere alcuni istituti costituzionali ritenuti desueti per una democrazia matura e moderna, rispettando, però, quell'assetto di fondo della nostra Carta costituzionale che continua, ancora adesso, a rappresentare un sicuro riferimento etico, oltre che giuridico, per tutti i cittadini.
Non può non ricordarsi in questo momento che, quasi sessant'anni fa, si arrivò all'approvazione quasi unanime del testo della Carta costituzionale, forse, anche per quella capacità di mediazione mai ostentata, anzi spesso riservata, che il Governo di allora ed il suo Presidente del Consiglio seppero proporre e che portò Alcide De Gasperi, quando intervenne sull'articolo 7 della nostra Carta fondamentale, a parlare dal suo seggio di deputato e non dal banco del Governo, proprio a voler sottolineare una volontà di non interferenza governativa nell'elaborazione della nuova Costituzione, dettata dallo scrupolo di non mescolare attività di Governo ed attività costituente.
Del resto, anche allora la fase politica e di Governo era caratterizzata da forti tensioni e contrapposizioni. Oggi, come allora, il Governo intende continuare a svolgere il ruolo di facilitare il necessario clima di dialogo e di confronto che finora ha positivamente caratterizzato i nostri lavori, seppur con diverse sensibilità e qualche pessimismo della ragione, anziché l'ottimismo della volontà, come in qualche intervento anche oggi è emerso, nel pieno rispetto delle prerogative del Parlamento.
Non può tacersi che quelle che oggi discutiamo sono norme di cui il Paese ha estremamente bisogno, riforme urgenti e indispensabili per migliorare il funzionamentoPag. 87delle istituzioni parlamentari e di Governo e per rafforzare la fiducia dei cittadini nel funzionamento delle istituzioni e della democrazia.
Tra i punti qualificanti del provvedimento ricordiamo la riduzione del numero complessivo dei parlamentari, l'istituzione del Senato federale della Repubblica, l'individuazione delle sue competenze e della sua composizione come organo rappresentativo dei consigli regionali e delle autonomie locali, nonché la semplificazione del procedimento legislativo, il rafforzamento della posizione e dei poteri del Presidente del Consiglio dei Ministri e l'attribuzione al Governo del potere di incidere sull'ordine dei lavori delle Camere.
Spero vivamente che il clima di collaborazione che finora ha, tuttavia, animato maggioranza e opposizione con il concorso e l'attivo incoraggiamento del Governo permanga e si confermi nel corso del confronto in quest'Assemblea prima, e al Senato poi. Serve al Paese, alle istituzioni, alla democrazia ed alla credibilità della politica. Del resto, necessita in ogni caso attuare un franco confronto su come giungere insieme ad una modernizzazione delle nostre istituzioni, per assicurare sempre più ai cittadini decisioni rapide ed efficaci, lasciandoci dietro le spalle le pur legittime polemiche politiche quotidiane (cosa che interessa davvero tutti, maggioranza, opposizione e Governo).
La stessa circostanza che il testo prevede che le disposizioni decorrano dalla prima legislatura successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore della legge, è una risposta concreta ed immediata a tante questioni che alimentano da anni polemiche anche molto accese nel dibattito politico del nostro Paese, con una concreta risposta alla necessità di ridurre i costi della politica. Trovarsi nella prossima legislatura punto e a capo sarebbe esiziale, ed io credo che questo è un lusso che il nostro Paese non dovrebbe più permettersi.
Ed è per questi motivi che il Governo, per quanto di sua competenza, ha operato e continuerà ad operare con convinzione per rendere possibile l'approvazione di tali riforme che sono indispensabili all'Italia ed al rinnovamento della nostra democrazia. Lo dobbiamo ai cittadini, alle istituzioni, alla democrazia ed alla credibilità della politica. Grazie.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 20,30, è ripresa alle 20,40.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI

Discussione della mozione Rigoni ed altri n. 1-00225 sulla promozione dei diritti umani e della democrazia nel quadro della Convenzione europea per i diritti dell'uomo e delle iniziative del Consiglio d'Europa (ore 20,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione sulle linee generali della mozione Rigoni ed altri n. 1-00225, sulla promozione dei diritti umani e della democrazia nel quadro della Convenzione europea per i diritti dell'uomo e delle iniziative del Consiglio d'Europa (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che è stata altresì presentata in data odierna la mozione Turco ed altri n. 1-00237, il cui testo è in distribuzione, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno verrà discussa congiuntamente.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritto a parlare il deputato Marcenaro, che illustrerà anche la mozione Rigoni ed altri n. 1-00225, di cui è cofirmatario.

PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, la mozione in esame è sottoscritta da numerosi parlamentari di un vasto arco di gruppi e di forze politiche. Naturalmente la discussione nasce da un'iniziativa assunta in sede di Consiglio d'Europa che ha preso la decisione di promuovere, annualmente, un dibattito generale di verifica dello stato dei diritti umani e della democrazia. Vi è stata una prima occasione di tale discussione il 18 aprile, durante la seconda sessione del 2007 della riunione plenaria dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, e da tale circostanza origina questa discussione. Sottolineo il fatto perché è importante che nei diversi Paesi che compongono il Consiglio d'Europa, nei 47 Paesi membri, si svolga una discussione parlamentare, politica e una verifica sulla questione della democrazia e dei diritti umani.
Voglio sottolineare che si tratta di problemi che si ripropongono con forza nell'insieme dei Paesi del Consiglio d'Europa e che presentano diversi aspetti. In primo luogo, siamo di fronte a uno stato problematico della democrazia, sia se consideriamo le vecchie democrazie, le democrazie storiche dell'Europa dove sono evidenti, nel nostro come negli altri Paesi, i segni di una stanchezza e di una difficoltà che mettono in rilievo una frattura sempre più forte tra istituzioni e opinione pubblica, fra istituzioni e cittadini e sfidano, quindi, ad un rinnovamento e ad una capacità di adeguamento ai nuovi problemi, sia che guardiamo non le vecchie democrazie ma l'evoluzione delle vecchie dittature.
È stato coniato dalla politologia il termine «democratura» per indicare un passaggio così controverso, contraddittorio, che riguarda quei Paesi che sono usciti dal mondo sovietico, comunista e si sono incamminanti verso la democrazia. Siamo dinanzi ad un processo contraddittorio e possiamo dire che l'Unione europea è stato un grande fattore di espansione della democrazia. Inoltre, l'integrazione nel Consiglio d'Europa di una serie di Paesi nei quali la situazione democratica è lungi dall'essere risolta, indubbiamente apre dei problemi molto seri. Basti guardare a ciò che accade in Paesi come la Russia e in molti altri Paesi, dove siamo di fronte a contraddizioni molto forti sul piano dello stato dei diritti e dei diritti umani.
Questa è la prima grande questione che oggi agita e interroga la dimensione europea allargata come quella rappresentata dal Consiglio d'Europa.
Vi è una seconda questione che sfida ad un approfondimento e ad un nuovo impegno sul terreno dei diritti umani e della democrazia.
Sono le trasformazioni che avvengono nel nostro mondo, nel mondo della globalizzazione e nel mondo nel quale il fenomeno migratorio cambia in profondità l'aspetto e le caratteristiche delle società che abbiamo conosciuto e sfidano su nuovi terreni e su nuovi campi l'affermazione dei diritti umani. La loro difesa appare come un campo di nuovo attuale, nel quale non possiamo più dare per scontato ciò che in fondo, anche nella vecchia Europa, abbiamo considerato scontato per molto tempo.
C'è un terzo campo che pone interrogativi sulla questione del rispetto dello Stato di diritto e dei diritti umani riguardante i problemi determinati dalla lotta al terrorismo e dalla nuova dimensione dei conflitti che attraversano il mondo. La questione dei diritti umani dentro le guerre e dentro i conflitti è molto spesso trascurata, quasi fosse un aspetto secondario (come si dice un aspetto «collaterale» che, come tale, deve essere considerato anche dal punto di vista politico), ma in realtà sappiamo che oggi rappresenta uno degli aspetti centrali della situazione che il mondo conosce e che noi e il nostro stesso Paese viviamo nelle missioni internazionali nelle quali siamo impegnati, non solo perché in qualsiasi bilancio dei conflitti verifichiamo che il numero delle vittime civili è di gran lunga superiore a quello delle vittime militari, ma perché iPag. 89diritti umani sono messi in dubbio anche nei loro aspetti più elementari, nel diritto all'istruzione e alla formazione dei bambini, nel diritto alle cure sanitarie.
D'altro canto, la lotta al terrorismo apre problemi molto rilevanti anche nei nostri Paesi; si pensi alla questione delle detenzioni e dei trasferimenti illegali, alla violazione che è avvenuta anche in Europa ed in Italia per quanto riguarda le regole dello Stato di diritto in rapporto alla lotta contro il terrorismo. Come la lotta al terrorismo possa avvenire nel pieno rispetto dello Stato di diritto e della legalità è un'altra delle grandi questioni intorno alle quali i nostri Paesi, le nostre democrazie e i nostri Stati sono sfidati.
Infine - è l'ultimo punto che voglio affrontare, ma ve ne sarebbero naturalmente molti altri - vi è un aspetto che normalmente viene sottovalutato e che giustamente la risoluzione del Consiglio d'Europa riprende e riguarda la questione della disuguaglianza.
Siamo di fronte a fenomeni nei quali, ad un certo punto, la dimensione quantitativa si trasforma in una dimensione qualitativa. Dobbiamo sapere che quando superano un certo limite le disuguaglianze non diventano più un fatto fisiologico di una società di mercato. Oltre un certo limite le disuguaglianze diventano violazioni vere e proprie dei diritti umani e noi conosciamo ormai (naturalmente nel mondo, ma anche in Europa) situazioni nelle quali le disuguaglianze hanno superato questo limite.
Per questa ragione riaprire una discussione su tali punti, riaffermare un impegno e chiedere al Governo comportamenti conseguenti che, attraverso tutte le misure possibili, ribadiscano un impegno del nostro Paese in questa direzione, sia sul piano interno, sia sul piano del contributo e del ruolo che l'Italia esercita sul piano internazionale, ci pare un punto evidente.
Per questo - e concludo - nel dispositivo della mozione di cui sono cofirmatario, insieme a tanti altri parlamentari, affermiamo una serie di questioni che, riprendendo le richieste che l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha presentato con la sua risoluzione, chiedono al Governo italiano un'applicazione rigorosa di tutti i punti e di tutti gli impegni con i quali è possibile oggi realizzare un salto di qualità su questo terreno.
A differenza di quello che avviene in altri Paesi, la cultura dei diritti umani in Italia tradizionalmente non ha occupato un ruolo centrale nella discussione politica. Tuttavia, vi è qualcosa che oggi sta cambiando, che è già cambiato. Oggi è molto difficile immaginare la ricostruzione di forme di legittimità internazionale e la possibilità di regole condivise se non ritrovando una nuova intesa sul tema dei diritti umani. Lo dico perché, contrariamente a quanto a volte si pensa, i diritti umani, che sembrano appartenere quasi completamente al diritto naturale, sono in realtà anch'essi frutto di convenzioni, di raccordi, di accordi e di relazioni.
Oggi è forte la necessità che si stabilisca, in una relazione tra i diversi Paesi, un nucleo di diritti fondamentali che vengano riconosciuti intorno ai quali possa esercitarsi un'azione considerata come legittima, alla quale i diversi Paesi accettano di adeguarsi e che riconoscano come propria.
È questo il senso della discussione che, attraverso la presentazione della mozione, abbiamo inteso proporre.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Turco, che illustrerà anche la sua mozione 1-00237. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, il 18 aprile 2007 il Consiglio d'Europa, oltre ad approvare il rapporto, che adotta ogni anno, sullo stato dei diritti dell'uomo e della democrazia in Europa, ha approvato anche una risoluzione sull'evoluzione della procedura di monitoraggio dell'Assemblea.
Abbiamo trovato molto interessante la mozione illustrata dal collega Marcenaro, ma ci sembrava utile aggiungere anche ciò che è emerso rispetto all'evoluzione della procedura di monitoraggio dell'Assemblea, ovvero il lavoro compiuto da una Commissione che si occupa di far rispettare gliPag. 90obblighi e gli impegni che gli Stati membri del Consiglio d'Europa si sono assunti al fine di garantire il pieno rispetto della democrazia, dello stato di diritto e della protezione dei diritti umani. La nostra mozione va nel particolare, cioè il nostro Paese.
In questa mozione si legge che «in Italia, nonostante i reiterati appelli dell'Assemblea - il più recente nella risoluzione sull'attuazione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo - e del Comitato dei ministri, le carenze strutturali della giustizia continuano a dar luogo a ripetute violazioni della Convenzione per l'eccessiva durata dei processi».
Viene segnalato che «la legislazione italiana continua a non autorizzare la riapertura dei processi penali nazionali impugnati dalla Corte» e che «non è stata presa nessun altra misura per stabilire il diritto ad un giusto processo». A questo punto il Consiglio d'Europa «esorta l'Italia ad accelerare l'adozione delle misure generali in tema di giustizia necessarie per assicurare la piena attuazione delle sentenze della Corte e la prevenzione efficace di simili violazioni della Convenzione».
Nei confronti dell'Italia vi è anche un ammonimento a ratificare la Convenzione civile sulla corruzione, la Convenzione penale sulla corruzione, la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo e l'adesione al gruppo di Stati contro la corruzione.
Prendiamo atto di questi ammonimenti, dei reiterati appelli che l'Assemblea parlamentare, il Consiglio d'Europa e il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa continuano a rivolgere all'Italia, l'ultimo il 14 febbraio scorso, quando il Comitato dei ministri ha detto, per l'ennesima volta, che le lentezze giudiziarie, penali, civili e amministrative, costituiscono sin dagli inizi dell'anni Ottanta - sono già passati 27 anni! - una violazione alla Convenzione e che ciò mette in pericolo lo stato di diritto nel nostro Paese.
Noi chiediamo al Governo di impegnarsi in quello che il nostro Paese avrebbe dovuto fare da tempo: ci viene chiesto di ottemperare e quindi di agire direttamente sulle misure generali necessarie per assicurare la piena attuazione delle sentenze della Corte e, con particolare straordinarietà e urgenza, di predisporre tutti gli atti legislativi necessari a ratificare le varie convenzioni civili e penali sulla corruzione che da anni attendono, dopo essere state sottoscritte, la ratifica del nostro Paese.
Credo che è particolarmente grave e significativo il fatto che non abbiamo aderito al gruppo di Stati contro la corruzione. Ho appena appreso che a luglio di quest'anno il Governo Prodi ha aderito al gruppo di Stati contro la corruzione, ma è necessaria la ratifica del Parlamento. Ritengo che non ci dovrebbero essere maggioranza e opposizione su questi temi, anche se nel passato, nella scorsa legislatura, questo Parlamento non ha avuto il tempo di ratificare queste convenzioni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione Rigoni, che oggi è alla nostra attenzione, rappresenta un segnale forte di una volontà, condivisa dalle parti politiche, di adoperarsi per contribuire a risolvere in tutte le sedi, nazionali e internazionali, i principali deficit rilevati dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa sullo stato dei diritti dell'uomo e della democrazia in Europa.
Non resteremo indifferenti davanti alle peggiori violazioni dei diritti dell'uomo (le sparizioni forzate, le esecuzioni extragiudiziali, le torture e le detenzione segrete) allo scopo di preservare la credibilità del Consiglio d'Europa. Esiste un divario, però, fra le norme definite sulla carta e la realtà dei fatti concreti. Bisogna quindi concentrare le proprie attività su un certo numero di priorità, quali i principi di sussidiarietà e di proporzionalità, presupposti essenziali al rafforzamento della democrazia. Certo, la nostra sfida principale al terrorismo può essere vinta, ma senza violare i principi stessi dei diritti umani,Pag. 91dello stato di diritto e della tolleranza. La tratta degli esseri umani è una pratica diffusa in Europa e costituisce una grave violazione dei diritti umani.
Pur apprezzando gli innegabili progressi ottenuti dal punto di vista dell'attuazione delle norme democratiche sul continente europeo nel corso negli ultimi anni, non si può non esprimere una forte preoccupazione sui molteplici deficit democratici che si osservano in tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa.
Con questa mozione e con una più specifica mozione illustrata dall'onorevole Turco (mi sembra che si tratti di venti punti), si chiede al Governo di impegnarsi per contribuire a risolvere, in tutte le sedi nazionali e internazionali, i deficit democratici rilevati dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa.
Tuttavia, non si può non osservare che, tra questi, alcuni hanno una grande valenza, altri ne hanno meno, altri ancora sono un po' utopistici; quando, ad esempio, s'impegna il Governo a mirare al totale e progressivo sradicamento della povertà, ciò comporta evidentemente un impegno morale sicuramente importante, ma non misurabile né praticamente raggiungibile in tempi brevi.
Vi sono poi altri punti senza dubbio di grande valore quali, ad esempio, fare dell'educazione ai diritti umani un elemento base dell'istruzione scolastica e dell'educazione permanente, obiettivo che il Governo si può impegnare certamente a realizzare, e lottare in modo efficace contro la violenza domestica, i matrimoni forzati e quant'altro. Inoltre, l'Esecutivo può certamente assumere l'impegno a proteggere l'ambiente promuovendo il ricorso a fonti di energia rinnovabili, nonché ad intervenire sulle questioni che riguardano i diritti sociali ed economici e, in particolare, l'accesso all'istruzione, all'abitazione, alle cure mediche, all'occupazione, ai redditi minimi, alle prestazioni sociali e alle pensioni, al fine di costruire un'Europa più umana e più coesa.
Proprio in questo periodo, l'Italia sta dibattendo temi fondamentali che ricadono in questi venti punti, tra i quali ritengo che il più importante e rispondente all'aspettativa di tutti gli italiani e degli europei sia l'ultimo; vale a dire: «ad adoperarsi in ogni sede affinché la moratoria delle esecuzioni capitali sia effettivamente posta in essere e rappresenti il primo passo verso l'eliminazione definitiva della condanna alla pena capitale». Se l'Italia ottenesse questo risultato riscuoterebbe un grandissimo successo internazionale. Su ciò il Governo si è già impegnato e si sta impegnando, ma crediamo che si debba impegnare ancora per ottenere un risultato, che sarebbe molto positivo per l'Italia.
Ecco perché - concludo signor Presidente - dobbiamo avere la capacità di rafforzare ancora di più il Consiglio d'Europa stesso e ampliare i poteri investigativi dell'Assemblea in modo tale da promuovere e proteggere i diritti umani, in Italia, in Europa e nel mondo (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Zulueta. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Rigoni e i componenti della delegazione parlamentare del Consiglio d'Europa per aver presentato la mozione in discussione, così come è stato raccomandato dal Presidente dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Credo, infatti, che questo atto di indirizzo dimostri la perdurante, anzi, la sempre maggiore attualità del Consiglio d'Europa. Questa vecchia organizzazione costituisce tuttora, a mio avviso, il migliore strumento per la creazione di uno spazio di diritto paneuropeo, oltre i confini dell'Unione europea.
Il Consiglio d'Europa offre un consolidato valore aggiunto rispetto ad altri meccanismi di cooperazione originale, in questo campo in particolare. Tale valore aggiunto è la base giuridica offerta dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, che si è tradotta nell'importante acquis della giurisprudenza della Corte europea dei dirittiPag. 92dell'uomo, che è stato recentemente illustrato nella sua perdurante rilevanza dal giudice neoeletto che rappresenta l'Italia alla Corte, Vladimiro Zagrebelsky, il quale è stato udito dal Comitato per i diritti umani della Commissione affari esteri.
Non conosco, cari colleghi, un altro strumento più efficace di questo per costruire una politica di vicinato che rappresenta l'ambizione a cui aspira l'Unione europea nei confronti dei Paesi confinanti. La risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ripresa dalla mozione in discussione, svolge un'utile e precisa analisi dei problemi e delle criticità di tutte le democrazie europee (sia quelle vecchie sia quelle nuove), offrendo un elenco preciso di obiettivi, di paletti e di garanzie nel campo dei diritti umani, sotto il quale non si può scendere e al quale non si può derogare.
Il più importante di tutti, a nostro avviso, è la chiara ripetizione che il terrorismo, vera sfida alle società aperte europee, può e deve essere vinto senza violare i principi dello Stato di diritto e della piena garanzia dei diritti umani. Non vi è e non vi può essere, dunque, scambio tra la sicurezza e i principi fondanti della nostra Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Ricordo, a tal proposito, che l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha svolto un'utilissima indagine e ha votato un'importante risoluzione in ordine alle sparizioni forzate e ai voli segreti della CIA, con una risoluzione non ancora pienamente attuata dai Governi, nemmeno dal nostro. Ricordo che una delle sparizioni forzate è avvenuta nel nostro Paese, ovvero quella di un cittadino egiziano conosciuto come Abu Omar, il quale aspetta, tuttora, di essere giudicato nel nostro Paese.
Salutiamo con particolare soddisfazione molti degli impegni proposti al Governo dalla mozione in esame, ad esempio fare dell'educazione dei diritti umani un elemento base dell'istruzione e ratificare al più presto la Convenzione del Consiglio d'Europa contro la tratta degli esseri umani affinché entri in vigore il prima possibile, in quanto offre a tutti i Paesi europei afflitti da questa nuova forma di schiavitù uno strumento condiviso per la protezione delle vittime.
Altro importante obiettivo è quello di tutelare i diritti delle persone più vulnerabili, tra cui le persone private della libertà, i profughi, i richiedenti asilo, i migranti e i portatori di handicap. Infine, vi è l'impegno a lottare - magari con una legge specifica - contro la violenza domestica.
Tuttavia, in tempi in cui tutti i Governi sono sollecitati ad accantonare la base fondante dello Stato di diritto - ovvero l'habeas corpus che vieta la privazione della libertà senza il controllo giurisdizionale - proprio nel tentativo di garantire la sicurezza contro il terrorismo, salutiamo con particolare attenzione la lettera h) della mozione Rigoni ed altri n. 1-00225, volta ad impegnare il Governo a rispettare pienamente i diritti umani nella lotta contro il terrorismo, rifiutando di espellere chiunque verso un Paese in cui si rischia di essere soggetto a gravi violazioni dei diritti umani.
A tal proposito, è uscito sul sito del giornale La Repubblica il caso di un cittadino siriano espulso verso il suo Paese, in base ad accuse rivelatesi infondate, dalla stessa magistratura e che, tuttora, non è potuto rientrare nel nostro Paese.
I casi sono numerosi e credo che la vigile attenzione del Consiglio d'Europa alle basi fondanti del nostro diritto può essere un utile richiamo ad un'azione conseguente da parte del Parlamento e del Governo (Applausi di deputati dei gruppi Verdi e L'Ulivo).
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Rigoni e i componenti della delegazione parlamentare del Consiglio d'Europa per aver presentato la mozione in discussione, così come è stato raccomandato dal Presidente dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Credo, infatti, che questo atto di indirizzo dimostri la perdurante, anzi, la sempre maggiore attualità del Consiglio d'Europa. Questa vecchia organizzazione costituisce tuttora, a mio avviso, il migliore strumento per la creazione di uno spazio di diritto paneuropeo, oltre i confini dell'Unione europea.
Il Consiglio d'Europa offre un consolidato valore aggiunto rispetto ad altri meccanismi di cooperazione regionale, in questo campo in particolare. Tale valore aggiunto è la base giuridica offerta dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, che si è tradotta nell'importante acquis della giurisprudenza della Corte europea dei dirittidell'uomo, che è stato recentemente illustrato nella sua perdurante rilevanza dal giudice neoeletto che rappresenta l'Italia alla Corte, Vladimiro Zagrebelsky, il quale è stato udito dal Comitato per i diritti umani della Commissione affari esteri.
Non conosco, cari colleghi, un altro strumento più efficace di questo per costruire una politica di vicinato che rappresenta l'ambizione a cui aspira l'Unione europea nei confronti dei Paesi confinanti. La risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ripresa dalla mozione in discussione, svolge un'utile e precisa analisi dei problemi e delle criticità di tutte le democrazie europee (sia quelle vecchie sia quelle nuove), offrendo un elenco preciso di obiettivi, di paletti e di garanzie nel campo dei diritti umani, sotto il quale non si può scendere e al quale non si può derogare.
Il più importante di tutti, a nostro avviso, è la chiara ripetizione che il terrorismo, vera sfida alle società aperte europee, può e deve essere vinto senza violare i principi dello Stato di diritto e della piena garanzia dei diritti umani. Non vi è e non vi può essere, dunque, scambio tra la sicurezza e i principi fondanti della nostra Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Ricordo, a tal proposito, che l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha svolto un'utilissima indagine e ha votato un'importante risoluzione in ordine alle sparizioni forzate e ai voli segreti della CIA, con una risoluzione non ancora pienamente attuata dai Governi, nemmeno dal nostro. Ricordo che una delle sparizioni forzate è avvenuta nel nostro Paese, ovvero quella di un cittadino egiziano conosciuto come Abu Omar, il quale aspetta, tuttora, di essere giudicato nel nostro Paese.
Salutiamo con particolare soddisfazione molti degli impegni proposti al Governo dalla mozione in esame, ad esempio fare dell'educazione dei diritti umani un elemento base dell'istruzione e ratificare al più presto la Convenzione del Consiglio d'Europa contro la tratta degli esseri umani affinché entri in vigore il prima possibile, in quanto offre a tutti i Paesi europei afflitti da questa nuova forma di schiavitù uno strumento condiviso per la protezione delle vittime.
Altro importante obiettivo è quello di tutelare i diritti delle persone più vulnerabili, tra cui le persone private della libertà, i profughi, i richiedenti asilo, i migranti e i portatori di handicap. Infine, vi è l'impegno a lottare - magari con una legge specifica - contro la violenza domestica.
Tuttavia, in tempi in cui tutti i Governi sono sollecitati ad accantonare la base fondante dello Stato di diritto - ovvero l'habeas corpus che vieta la privazione della libertà senza il controllo giurisdizionale - proprio nel tentativo di garantire la sicurezza contro il terrorismo, salutiamo con particolare attenzione la lettera h) della mozione Rigoni ed altri n. 1-00225, volta ad impegnare il Governo a rispettare pienamente i diritti umani nella lotta contro il terrorismo, rifiutando di espellere chiunque verso un Paese in cui si rischia di essere soggetto a gravi violazioni dei diritti umani.
A tal proposito, è uscito sul sito del giornale La Repubblica il caso di un cittadino siriano espulso verso il suo Paese, in base ad accuse rivelatesi infondate, dalla stessa magistratura e che, tuttora, non è potuto rientrare nel nostro Paese.
I casi sono numerosi e credo che la vigile attenzione del Consiglio d'Europa alle basi fondanti del nostro diritto può essere un utile richiamo ad un'azione conseguente da parte del Parlamento e del Governo (Applausi di deputati dei gruppi Verdi e L'Ulivo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

VITTORIO CRAXI, sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

Pag. 93

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Lulli ed altri n. 1-00030, D'Agrò ed altri n. 1-00034 e Pedrizzi ed altri n. 1-00230 sulle iniziative per favorire la «tracciabilità» di prodotti importati (ore 21,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Lulli ed altri n. 1-00030, D'Agrò ed altri n. 1-00034 e Pedrizzi ed altri n. 1-00230 sulle iniziative per favorire la «tracciabilità» di prodotti importati (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Vico, che illustrerà anche la mozione Lulli n. 1-00030, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, articolerò il mio intervento a sostegno della mozione Lulli ed altri n. 1-00030 lungo tre punti: i diritti del consumatore europeo, la lotta alla contraffazione e alla falsificazione, la tutela e la riconoscibilità delle produzioni italiane, del design che realizzano le grandi imprese e del made in Italy prodotto dalle piccole e medie imprese.
Credo vi siano consapevolezza e sentimento comune sul fatto che la trasparenza, la tracciabilità, l'etichettatura e il marchio, la riconoscibilità e l'origine dei prodotti manifatturieri siano gli unici certificati della qualità del prodotto e del produttore e, di conseguenza, della sicurezza per il consumatore nel mercato interno e rispetto all'importazione dei prodotti extraeuropei.
L'ho detto prima: i diritti del consumatore innanzitutto! Si tratta di assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, in conformità con il disposto di cui all'articolo 153 del Trattato che istituisce la Comunità europea. Si tratta, inoltre, di rassicurare i consumatori europei sul versante della sicurezza e della salute nel sistema moda, con riferimento al tessile, all'abbigliamento, al cuoio, alle calzature e agli accessori, in particolare per i rischi derivanti dall'uso di sostanze chimiche nel processo di produzione di quei Paesi che utilizzano prodotti non più consentiti in Europa.
Inoltre, si tratta di tutelare i consumatori da false o fallaci indicazioni, incluso l'uso fallace e fuorviante dei marchi aziendali, ai sensi della disciplina concernente le pratiche commerciali ingannevoli, di cui all'articolo 4, comma 49, della legge n. 350 del 2003. Si tratta, altresì, di destinare al consumatore l'informazione sulla sicurezza e sulla qualità dei prodotti, ai sensi del codice del consumo, di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005 (articolo 6).
Sul versante della lotta alla contraffazione e alle falsificazioni, mi permetterò di citare rapidamente le fonti WTO, OCSE e UE, che ci forniscono i seguenti dati: il valore degli scambi di prodotti contraffatti nel mondo è pari a 450 miliardi di dollari; il 70 per cento della produzione mondiale è contraffatta nel sud-est asiatico; l'organizzazione mondiale delle dogane stima che la contraffazione sia pari al 5-7 per cento del commercio mondiale delle merci.
Inoltre, il 60 per cento della merce contraffatta finisce all'interno dell'Unione europea, il 40 per cento negli Stati Uniti d'America e il 60 per cento della contraffazione in Italia riguarda la moda. L'80 per cento del gettito IRPEF e il 21 per cento del gettito IVA nel nostro Paese sono stati in questo modo sottratti al fisco e i posti di lavoro persi per effetto della contraffazione sono stati in Italia quarantamila negli ultimi cinque anni.Pag. 94
I nostri maggiori partner europei, quali gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone e la stessa Cina hanno introdotto già da tempo (per ultima la Repubblica popolare cinese), il marchio di origine obbligatoria; l'Unione europea ancora non lo ha fatto. Il made in Italy, intanto, è aggredito dall'Estremo Oriente con una duplice offensiva: quella legale dei prodotti tessili e della pelletteria a prezzi stracciati e quella illegale dei falsi.
Si tratta quindi, onorevoli colleghi, di sostenere con rigore e determinazione in sede di esame da parte del Consiglio europeo la proposta di regolamento che rende obbligatoria l'etichetta almeno sui prodotti del settore moda importati nel mercato interno e, nel contempo, accelerare l'applicazione pratica in sede nazionale delle norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani.
A Bruxelles si afferma che si dovranno attendere le decisioni degli organi comunitari non potendo i singoli Stati membri legiferare validamente in materia. Mi permetto, però, di affermare e di certificare che, alla luce delle note Euratex, risulta inequivocabilmente l'esistenza di Paesi dell'Unione europea che stanno applicando il made in obbligatorio: parlo della Bulgaria, in virtù di una legge preesistente all'ingresso nell'Unione europea, che rappresenta un'eccezione ammessa dalla Comunità, così come accade per Cipro, l'Ungheria, la Lettonia, la Romania e la Slovacchia.
Aggiungo, ancora, che per la Grecia e per la Spagna è obbligatorio il made in per i prodotti di origine extra-europea in virtù di una legge preesistente e non abolita.
Infine, per quanto riguarda la Polonia, la legislazione è da poco cambiata in senso inverso: allineandosi alla normativa comunitaria generale l'etichettatura di origine da obbligatoria è divenuta facoltativa.
Rispetto agli interventi legislativi nel nostro Paese desidero ricordare che nella passata legislatura venne approvato dal Senato in prima lettura, con il consenso quasi unanime da parte di tutte le forze politiche, un testo che intendeva istituire un marchio che chiameremmo oggi full made in Italy e che avrebbe dovuto indicare i prodotti realizzati interamente in Italia; tuttavia, non si pervenne all'approvazione della legge. Ora la X Commissione della Camera ha riavviato l'itinerario sulla base di cinque proposte di legge (di iniziativa dei deputati Lulli, D'Agrò, Raisi, Contento e Gianfranco Conte) inserite in un testo unificato predisposto dal Comitato ristretto recante norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani.
La materia che si va ad affrontare, come il testo in esame, è ovviamente complessa, specialmente in relazione alla necessità che lo stesso provvedimento risulti coerente ed omogeneo con la normativa europea vigente in materia, ma soprattutto con la fiducia nel cambiamento.
Tuttavia, occorre risolvere e legiferare in ordine a due esigenze che vengono presentate come continuamente contrapposte: da un lato, quella di tutelare i diritti dei produttori italiani contro l'invasività della contraffazione e, dall'altro, quella di non produrre disposizioni di legge che ostacolino la libera circolazione delle merci nel mercato europeo.
Tali disposizioni vengono presentate come condizioni contrapposte non risolvibili. L'Unione europea dovrà elaborare la disciplina sul «made in» a livello comunitario e, in questo vuoto normativo, il lavoro del Parlamento italiano dovrà muoversi nella predisposizione di una normativa che tuteli il diritto dei consumatori alla salute e il diritto dei produttori a contrastare le frodi commerciali, tentando nel contempo di recepire le osservazioni a suo tempo formulate a livello europeo sui precedenti testi elaborati nelle legislature scorse.
Recentemente, tra l'altro, l'esplosione di casi eclatanti di contraffazione ha reso evidente la necessità di elaborare strumenti adeguati per tutelare i consumatori europei e tutto ciò dovrebbe rendere maggiormente percorribile la strada di una disciplina comunitaria orientata alla «tracciabilità» dei prodotti. Tra tali strumenti, il testo della X Commissione (Attività produttive) della Camera dei deputati può segnare - e, a mio parere, segna - un primo importante passoPag. 95in questa direzione e, con la soluzione della volontarietà del marchio, non entra in collisione con la normativa europea.
Sul testo predisposto, inoltre, vi è in pratica un'unanimità di consensi in Commissione ed è altrettanto unanime l'intenzione di portare a compimento l'iter in questa legislatura.
Concludo, Presidente, nel modo in cui si conclude la mozione in esame, rivolgendo la proposta di impegnare il Parlamento e il Governo a sostenere con determinazione la proposta di regolamento in sede di esame da parte del Consiglio europeo, ad attivarsi per accelerarne l'applicazione pratica in sede nazionale e a promuovere ogni opportuna iniziativa per favorire la «tracciabilità» dei prodotti del tessile, abbigliamento e calzature, al fine di una corretta informazione ai consumatori, che li metta in condizione di effettuare scelte libere e consapevoli, per conseguire le opportune tutele della salute dei lavoratori e degli utilizzatori finali.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Agrò, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00034. Ne ha facoltà.

LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, la mozione da me presentata è datata, nel senso che era stata presentata circa un anno fa, ma ciò probabilmente serve, a maggior ragione, per indicare che la bontà di quanto avevamo affermato si trova anche nelle parole del Ministro competente, il quale oggi stesso, sui giocattoli tossici, ha preso una posizione chiara, precisa e netta.
Il collega Vico ha aperto la strada. Nella sostanza vi è poco da aggiungere, se non rilevare il blocco di interessi che esiste a livello di Comunità europea e che, in qualche modo, tenta di tutelare gli investimenti fatti nell'Estremo Oriente o, comunque, nei Paesi asiatici, penalizzando il sistema manifatturiero italiano.
Sappiamo perfettamente che siamo il secondo Paese europeo per prodotto interno lordo relativamente al settore manifatturiero. Certamente, però, la potenza tedesca rispetto a quella italiana si fa sentire di più; ugualmente anche le altre potenze europee che, in qualche modo, anche recentemente, al vertice di Lisbona, dopo averci concesso un deputato in più rispetto al taglio paventato, si sono riuniti immediatamente per stabilire le sorti della geopolitica finanziaria ed economica dell'Unione europea. Questa vicenda la dice lunga su come un blocco di interessi tenda in qualche modo a strangolare la fonte principale del reddito del nostro Paese.
Sappiamo perfettamente che il made in Italy ha una valenza che viene catalogata addirittura intorno al 15-20 per cento in più di remunerazione sul prodotto. Ciò disturba evidentemente le nostre consorelle europee che traggono dalla non tracciabilità delle merci un vantaggio di altra natura.
È noto che Carrefour è il primo soggetto di distribuzione dei beni di consumo quotidiano in Cina. È noto, altresì, che tipo di investimenti ha fatto la Germania anche per quanto concerne alcuni aspetti legati al settore aeronautico. Dobbiamo, però, constatare che altri Paesi come gli Stati Uniti, l'Australia e il Canada che, parimenti hanno interessi consistenti in Cina, hanno deciso in sostanza di vietare di introitare - brutto termine che vuol dire «non portare nei loro Paesi» - merci che non abbiano il principio della tracciabilità.
So con quanto impegno - l'ho riconosciuto a suo tempo quando ero assessore regionale, e lo ricordo - il Ministro Bonino ha svolto, a suo tempo, il ruolo di commissaria europea tutelando gli interessi del nostro Paese. Ho letto, però, una sua lettera proprio relativa al nostro progetto di legge, citato dall'onorevole Vico, con cui metteva le mani avanti con la delicatezza che inevitabilmente richiede anche il contesto della burocrazia parlamentare - la chiamo così - che ha diritto di tutela in questa sede e anche a livello di iter parlamentare di un progetto di legge.
Vorrei chiederle di essere più coraggiosa: tutti noi, a questo punto, dobbiamo essere più coraggiosi e, in modo particolare,Pag. 96il Parlamento e la X Commissione che aveva in qualche modo elaborato un testo, che, come detto da Vico, trovava l'unanimità dei consensi da parte dei componenti delle forze politiche. Pertanto, secondo me, va fatta una forzatura nella sostanza.
Credo che il concetto di tracciabilità sia riconducibile ad un concetto di tutela del nostro sistema che va trasformato, ma che in questo momento ha bisogno di essere garantito. Vi è anche un altro aspetto, consistente nella necessità che la concorrenza selvaggia non si tramuti in costi sociali per il nostro Paese. Tanto per intenderci, sappiamo perfettamente che non ci sono soltanto i giocattoli, ma anche i libri, i dentifrici e mille altre cose che attengono alla produzione di beni, anche le ceramiche, che in qualche modo hanno una rilevanza notevole nel consumo quotidiano. Tali beni possono diventare nocivi alla salute con un costo sociale che non possiamo scaricare sui Paesi da cui importiamo tali merci.
La Comunità europea era vicina alla possibilità di emanare un regolamento: mi sembra che nel 2006 fosse stata approvata anche una risoluzione del Parlamento europeo su questa materia; ma vi era anche un regolamento relativo all'indicazione del Paese di origine di alcuni prodotti importati da Paesi terzi.
Non si tratta soltanto di sollecitare ma, possibilmente, di mettere sul piatto della bilancia il peso di questo Paese: una volta tanto dovremmo cominciare a farlo. Varrebbe la pena che, sotto i due aspetti che ho menzionato in precedenza - la tutela di un mondo che dobbiamo cambiare (ma, nello stesso tempo, nel contesto del cambiamento, aiutare ad essere tutelato) e la salute dei cittadini - si vada a costituire un punto di riferimento chiaro sulla scorta delle scelte compiute da altri Paesi fuori dall'Europa.
Signor Ministro, so che sui diritti civili lei si è spesa moltissimo. Vorrei sapere se fosse possibile «mettere il puntino» anche su quella logica standard della cosiddetta non asimmetria (un brutto termine) dei diritti del lavoro, dell'ambiente, sociali, culturali e di libertà, che permette di produrre beni che invadono i nostri territori, affinché il processo di cambiamento anche in quei Paesi venga sollecitato da quanti, non soltanto in chiave economica, ma anche in chiave di diritti umani, hanno la possibilità di esprimere una parola a tutela della libertà e, nello stesso tempo, in ragione della giustizia.
In questo caso, non si tratta di tutelare noi, ma le persone che vengono sfruttate - e lo vedremo successivamente in altre mozioni - per compiere una concorrenza sleale nel mondo che, qui, noi rappresentiamo.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee, Emma Bonino.

EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee. Cari colleghi, vi ringrazio per queste mozioni che mi consentono, perlomeno, di fare il punto della situazione sui vari dossier che avete sollevato.
Vi rendete conto e lo sapete perfettamente che, indirizzandovi a questo Governo e a me, come Ministro, in realtà rischiate di predicare a una convertita.

PIETRO MARCENARO. È la cosa migliore!

EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee. Sapete bene quanta energia stiamo spendendo, per esempio, sul regolamento «made in». Desidero salutare, in questa sede, il grande apporto dei vostri colleghi di tutti i gruppi al Parlamento europeo e le iniziative che costoro stanno prendendo per una dichiarazione che, se entro il 3Pag. 97dicembre raggiungerà la maggioranza assoluta delle firme, si intenderà approvata.
Questa, peraltro, non sarebbe neanche una novità, perché la risoluzione a sostegno del regolamento «made in» cui lei, onorevole D'Agrò, faceva riferimento, è già passata: non è del Consiglio - magari! -, ma del Parlamento europeo. Abbiamo recentemente avuto a Bruxelles una conferenza stampa con la commissaria Kuneva, la quale si è espressa a sostegno di questo regolamento, non come elemento di politica protezionistica, ma come diritto all'informazione dei consumatori per favorire la loro libertà scelta.
Come sapete, per ragioni che non sono particolarmente oscure, esiste uno scontro abbastanza evidente tra la parte residua dei Paesi manifatturieri e la stragrande maggioranza dei Paesi europei di tipo commerciale o commerciante che si oppongono a questo regolamento.
Quello che stiamo facendo con l'aiuto dei vostri colleghi del Parlamento europeo - ad esempio, io ero a Berlino la settimana scorsa per l'ennesimo incontro - consiste nel cercare di spiegare alle nostre controparti che non si tratta di una misura protezionistica per tutte le motivazioni che lei ha detto, ossia perché l'hanno già adottata gli Stati Uniti, il Canada, la Cina e il Giappone e perché non costituirebbe affatto un aggravio di costi, dato che i produttori cinesi, per esportare i loro prodotti verso gli Stati Uniti, già appongono l'etichetta e quindi, certamente, non costituirebbe un aggravio di costi applicarla anche sui prodotti che esportano in Europa.
Come sapete, tale regolamento è bloccato da più di due anni, perché non raggiunge la maggioranza qualificata necessaria per essere approvato in Consiglio. Abbiamo reso pubblici i nomi dei Paesi contrari.
Vorrei solamente far presente che il nostro impegno non viene meno e che recentemente abbiamo anche riscontrato delle aperture per quanto riguarda la Slovacchia e il Belgio che potrebbero aiutarci almeno a compiere un passo in tale direzione e che stiamo particolarmente insistendo con i colleghi tedeschi - paese chiave in questa direzione - perché riteniamo che in Europa i paesi manifatturieri non siano moltissimi. Credo che una maggiore informazione possa aiutare al riguardo.
È chiaro che la confindustria tedesca ancora oggi è contraria. Tuttavia, ritengo che, almeno a partire dagli incidenti di quest'estate relativi al caso Mattel, l'esigenza di dare ai consumatori uno strumento in più in termini di informazione per poter scegliere comincia ad essere riconosciuta come uno strumento importante non tanto di autodifesa, ma certamente di scelta.
Tuttavia, cari colleghi, rimane la mia profondissima convinzione che quando la Mattel o per essa altre imprese delocalizzano l'attività in altri Paesi, la ditta titolare del marchio abbia il dovere di rispondere per tutta la catena di produzione sui prodotti che vengono immessi nei diversi mercati sotto il proprio brand. Infatti, è troppo facile - cosa che poi è stata riconosciuta - fare economia non investendo in controlli necessari che, invece, è possibile fare, tant'è vero che le imprese italiane, più ligie di molte altre, investono molto e hanno costi per la tutela del brand e la sicurezza dei prodotti.
In breve: se un consumatore compra una FIAT, vuole che questa freni - indipendentemente da dove i freni siano stati fabbricati - e chi ne deve rispondere è, di tutta evidenza, il titolare del brand, cosa che alcune imprese non fanno.
Questo è quello che stiamo facendo: come vedete non desistiamo. Si tratta di un tema che è stato sollevato anche a Lisbona e che, credo, sarà oggetto del vertice italo-tedesco e degli altri vertici che si approssimano, sia quello italo-francese di fine novembre, che quello italo-tedesco del 20 novembre. Speriamo che ciò si possa fare con tutte queste iniziative e con l'appoggio delle campagne di informazione dei parlamentari europei.
Consentitemi - non per burocrazia, che non è una cosa che mi appartiene - di confermare il contenuto della lettera che vi ho inviato. Sono fra coloro che ritengonoPag. 98che, finché se ne ha la responsabilità, le norme che si redigono devono essere aderenti a quelle europee e non si debba lasciare al Governo successivo infrazioni, pene, penalità, sanzioni o altro. Si tratta di un comportamento che trovo particolarmente sgradevole, trovandomi a gestire 270 infrazioni. Quando si parla di credibilità in Europa ci si dovrebbe rendere conto di cosa voglia dire.
Confermo le mie riserve e prego i deputati della Commissione dei vari partiti di compiere, tramite il proprio ufficio legislativo, alcune verifiche in termini di compatibilità comunitaria rispetto al testo di legge che vi accingete a varare.
Per quanto riguarda i diritti sociali, vorrei ribadire al collega, che fin dal 1996 e, successivamente, nel 1999 a Seattle, quando la conferenza del WTO si risolse in un fallimento, in particolare da parte dall'Italia ma anche dall'Europa, tale tema è stato proposto in tutte le sedi e - come lei stesso sa - è stato respinto dal WTO, in particolare per pressioni provenienti dai paesi emergenti. Tuttavia, ricordo altrettanto al collega che nell'anno 2005, sotto il forte sostegno dell'Italia e in particolare del Governo dell'epoca, l'Unione europea ha adottato un regolamento in cui viene applicato uno schema di preferenza tariffaria generalizzata, cioè di agevolazioni daziarie, che prevede specifici incentivi per quei Paesi, la cui legislazione nazionale incorpori la sostanza delle convenzioni sul diritto del lavoro e i diritti sociali, tra cui le convenzioni sul lavoro minorile, che dimostrano di applicare questa legislazione e che, come noto, va sotto il nome del sistema «GSP Plus».
Quindi tutto quello che era possibile fare in termini bilaterali è stato perseguito, con questo importante risultato nel 2005; ma per ora, in ambito WTO, tale tema non riesce a «passare».
Vorrei ora svolgere due considerazioni velocissime sulla sicurezza e sulla contraffazione. Confermo tutte le cifre che lei ha dato, che sono di dominio pubblico; faccio solo rilevare che si tratta di un tema così complicato che una buona parte della contraffazione dei prodotti che lei citava non arriva in Italia dal Sud-est asiatico, ma dall'Italia stessa: facciamo il design vero, quello falso e quello contraffatto. Il nostro spirito di iniziativa è piuttosto creativo.

LUDOVICO VICO. Solo le percentuali sono significative!

EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee. Quanto alla percentuale, la nostra quota è piuttosto significativa in alcuni settori. Rimane il fatto che anche per l'Italia il prossimo disegno di legge sulla sicurezza pare che si occupi di questo; in realtà, è già difficile far rispettare le norme, che pure esistono, e che sono delegate, come lei sa, sostanzialmente ai comuni che incontrano una serie di difficoltà ad applicarle. In ogni caso, sui prodotti contraffatti credo vi siano alcune novità per quanto riguarda i diritti di proprietà intellettuale: vi sono alcuni elementi positivi in ambito WTO, e per quanto riguarda il tessile siamo arrivati, vincendo con venti Paesi europei, al sistema del doppio monitoraggio, che spero ci aiuti ad evitare tutto ciò. Il problema della contraffazione non ha però risposte «bianche o nere» molto facili. Stiamo aprendo quattordici desk anticontraffazione - quindi non siamo più «tonti» di altri - in tutti i Paesi sensibili, proprio per aiutare perlomeno tutte le inchieste e le denunce; credo però che un'applicazione rigorosa delle norme intanto nel nostro Paese, ivi compresi le dogane e i porti, che non sono solamente quelli italiani ma anche, ad esempio, Rotterdam ed altri, sia come lei auspicava un fatto importante.
Per quanto riguarda la sicurezza e il problema che lei sottolineava delle sostanze pericolose, sia con riferimento alle calzature che al tessile, come attestano alcune recenti inchieste, il Ministero della salute, a partire dal 2005, ma anche recentemente, ha rafforzato, sulla base di una denuncia dell'Associazione nazionale dei calzaturieri italiani, le misure per far fronte ai rischi sanitari. Attualmente, il Ministero della salute ha istituito l'OsservatorioPag. 99nazionale per la valutazione dei rischi sulla salute non solamente dei prodotti tessili, ma di altri prodotti. Con l'entrata in vigore del regolamento Reach, tutti gli articoli che contengono sostanze pericolose, come il collega sa, devono essere registrati presso l'Agenzia europea di Helsinki, ovunque essi siano prodotti. Si tratta di capire se riusciamo a fare applicare queste norme, perché la mia preoccupazione è che, fra la norma e la sua applicazione, si crei anche in questo settore una zona grigia in cui il problema non è tanto rafforzare la legislazione, ma farla applicare (questo è il problema critico).
Infine, lo scorso 22 marzo è stato firmato un memorandum d'intesa tra i Ministeri italiani della salute e dell'economia per l'attivazione di specifici profili di rischio e mirate campagne di controlli sulle merci. Su questa base è stata rappresentata la necessità all'Agenzia delle dogane di richiedere anche il rilascio di nulla osta sanitario per le partite di merci importate contenenti cromo, nichel, piombo, tutte sostanze spesso presenti in numerosi capi di abbigliamento, giocattoli, lacche, pitture, bigiotteria. Anche gli assessorati alla sanità sono stati sollecitati per la verifica di eventi acuti, attribuibili all'uso di articoli contenenti le sostanze di cui ho parlato.
Infine, per quanto riguarda l'attività degli uffici delle dogane, si segnala che negli spazi doganali vi è un'attività di contrasto, che viene svolta da parte dei reparti operativi, ed un'attività di individuazione dei centri di produzione e dei canale di distribuzione. Questa attività è attuata dalla Guardia di finanza nel quadro di una collaborazione informativa tra pubblici poteri, sulla base di specifici protocolli di intesa firmati non solamente con il Ministero dell'attività produttiva, ma anche con Confindustria e l'Alto Commissario per la lotta alla contraffazione.
Queste sono iniziative che abbiamo appena avviato e che spero daranno risultati. Dico ciò, naturalmente, tenendo conto della complessità della questione della contraffazione, che è altra cosa rispetto a quella dei prodotti pericolosi. Si tratta, infatti, di due fattispecie diverse, anche se entrambe hanno un grandissimo rilievo ed un grandissimo impatto l'una sulla salute dei consumatori, l'altra sull'apparato produttivo, come emerge anche dai dati che lei citava.
Ci auguriamo che questo rafforzamento delle iniziative riesca a limitare ulteriormente il danno che tali fenomeni producono, non solo al nostro Paese, ma intanto al nostro Paese.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Volontè n. 1-00174 e Rampelli ed altri n. 1-00173 sulle iniziative in materia di divieto di importazione di prodotti cinesi in relazione alle condizioni della manodopera impiegata (ore 21,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Volontè n. 1-00174 e Rampelli ed altri n. 1-00173 sulle iniziative in materia di divieto di importazione di prodotti cinesi in relazione alle condizioni della manodopera impiegata (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto, altresì, che sono state presentate le mozioni Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00235, Maroni ed altri n. 1-00236 e Sereni ed altri n. 1-00238 (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno discusse congiuntamente.
Avverto, infine, che la mozione Volontè n. 1-00174 è stata sottoscritta dal deputato D'Agrò.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.Pag. 100
È iscritto a parlare l'onorevole D'Agrò, che illustrerà anche la mozione Volontè n. 1-00174, che ha testé sottoscritto. Ne ha facoltà.

LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, questa mozione costituisce in un certo senso la continuazione di quella che ho illustrato un attimo fa, anche se attiene soprattutto alla questione del mercato cinese, con tutte le implicazioni in tema di libertà, giustizia e rispetto dei diritti umani: tutti aspetti che sappiamo essere il più delle volte violati in quel Paese.
In Cina continuano purtroppo ad esistere i campi di lavoro, dei lager che si dice accolgano sei milioni di persone. Non si tratta soltanto di luoghi di rieducazione, ma di luoghi di sfruttamento del lavoro in cui, in sostanza, si lavora sette giorni su sette per diciotto ore al giorno. Di ciò ci informano coloro che sono scampati al suicidio e che hanno tentato di raccontare questa drammatica situazione.
Il fatto notevole è che, accanto a questi luoghi definiti «di rieducazione», si trovano anche imprese cinesi che esportano verso i Paesi occidentali i prodotti che provengono dallo sfruttamento e dalla violenza su queste persone.
Si è prima parlato della Germania e dei suoi grandissimi interessi in Cina. Ebbene, la Germania, alcuni mesi fa, ha vietato l'importazione dei prodotti cinesi di dubbia provenienza, tentando così di fare in modo che i prodotti che sono il frutto di quelle situazioni non possano essere importati in Germania. Con una mozione trasversale, dunque, essa non solo ha condannato le condizioni disumane di tali situazioni, ma ha anche vietato l'importazione in territorio tedesco di prodotti fabbricati con la manodopera di detenuti condannati ai lavori forzati e ha previsto, inoltre , che sui prodotti cinesi venga applicata un'etichetta che garantisca che essi non abbiano nulla a che fare con i campi di rieducazione e di lavoro.
In sostanza, con questa mozione chiediamo al Governo italiano se sia a conoscenza - e sicuramente lo è - della situazione descritta e se intenda intervenire presso le autorità cinesi per risolvere definitivamente la questione dei laogai (termine la cui traduzione esatta, che prima ho dato, è quella di luoghi di rieducazione o campi di lavoro).
In particolare, chiediamo al Governo italiano se intenda prendere, sulla scorta di quanto ha già fatto una potenza imprenditoriale nel campo manifatturiero come la Germania, analoga decisione di vietare l'importazione di prodotti che possano essere codificati come provenienti da un luogo di rieducazione, introducendo anche in Italia l'impressione sulle merci cinesi di un bollino blu che attesti l'identificazione precisa del luogo dove sono state prodotte le merci d'importazione, onde evitare che, oltre alla beffa, vi sia anche il perpetuarsi di una tragedia dal punto di vista dei diritti umani e della libertà delle persone.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cota, che illustrerà anche la mozione Maroni ed altri n. 1-00236, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, anche noi abbiamo presentato una mozione su questo punto, con la quale chiediamo che venga affrontato il tema dei laogai sia con riferimento ai rapporti bilaterali con le autorità cinesi, sia con riferimento alla nostra posizione in seno all'Unione europea.
Con la nostra mozione chiediamo che, fino a che non vi siano delle garanzie e non vi sia la prova della fine di ogni produzione basata sul lavoro forzato, si blocchi, come atto simbolico, ma nello stesso tempo concreto, l'importazione dei prodotti cinesi.
Signor Presidente, signor sottosegretario, la concorrenza sleale ha molte forme. Noi l'abbiamo sempre denunciata quando affermavamo che bisognava porre dei freni all'importazione dei prodotti dalla Cina: non lo dicevamo perché volevamo essere antistorici, ma, semmai, perché ritenevamo che il rispetto delle regole fosse, nella civiltà del commercio globale, un valore assoluto.Pag. 101
Non possiamo pensare che ci si cimenti su un ring senza rispettare le stesse regole; non possiamo pensare che un combattimento, anche duro, possa essere tollerato se uno dei due contendenti tira colpi sotto la cintola.
Ci hanno definito razzisti e hanno detto che eravamo antistorici, ma pian piano si è visto che quanto dicevamo non soltanto non era antistorico, ma era anche assolutamente giusto e che una qualche presa di coscienza di ciò che stava capitando era assolutamente necessaria.
L'Europa è storicamente in ritardo su questo fronte, perché in Europa sono sempre prevalsi gli interessi degli altri Paesi rispetto ai nostri. Lo ha ricordato molto bene, con riferimento alla contraffazione, il Ministro Bonino poco fa.
Il nostro Governo ha fatto qualcosa alla fine della passata legislatura. Io posso rappresentare la mia esperienza come Alto commissario per la lotta alla contraffazione, ma la contraffazione è un aspetto della concorrenza sleale. Forse, l'aspetto che oggi emerge di più è quello delle merci prodotte con la violazione dei diritti umani, però sicuramente stiamo parlando di due facce della stessa medaglia, tant'è che si è riusciti ad ottenere, in sede di Unione europea, l'introduzione di quote a protezione delle nostre imprese e aziende tessili.
Pur tuttavia tali quote, con riferimento all'importazione dei prodotti, stanno per scadere e il problema, a livello europeo, della violazione dei diritti umani all'interno di questi campi di lavoro non è stato ancora affrontato in maniera efficace.
Con la mozione in esame chiediamo, anche insieme a quelle presentate dagli altri colleghi, che vi sia una presa di posizione del Parlamento italiano, della Camera dei deputati, e che tale posizione sia poi rappresentata nelle sedi competenti.
Si tratta della violazione di diritti umani, e, in tale caso, vorrei entrare un po' più nello specifico riferendomi alla violazione delle norme che dovrebbero essere di rango internazionale, universalmente riconosciute in tema di lavoro. Siamo sicuramente di fronte ad un'inaccettabile violazione di diritti che consideriamo patrimonio della nostra società, una conquista di tante battaglie sindacali, e mi fa specie vedere la sinistra e anche i sindacati non prendere posizione ed essere in ritardo su tali tematiche, che sono connesse ad una forma di concorrenza sleale e perciò ad un elemento che danneggia, anche sul piano della competitività, i nostri imprenditori.
Conosco diverse realtà: potrei citare quella delle rubinetterie o un'altra più semplice, perché le rubinetterie presentano già processi di lavorazione più complessi. Mi riferisco a quella degli artigiani della Val Strona, che producono piccoli oggetti in legno e, in modo particolare, i cosiddetti pinocchi.
Siamo di fronte ad un'invasione di prodotti che arrivano dalla Cina e molti di essi sono il risultato dello sfruttamento del lavoro all'interno di veri e propri campi di concentramento. Penso che non sia giusto nei confronti dei nostri imprenditori non fornire delle risposte. Penso che non sia giusto nei confronti dei nostri artigiani, gente che lavora e che rispetta le regole (quelle sul lavoro e anche quelle sull'ambiente), che subisce degli accertamenti se ha commesso qualcosa che non va anche per pochi euro e che vede il mercato invaso dai prodotti di chi sfrutta i lavoratori in questo modo.
Una risposta a queste persone, a questa nostra gente che lavora e che è costituita dai nostri imprenditori, dobbiamo fornirla.
Come gruppo della Lega Nord Padania abbiamo presentato la mozione in discussione che non si discosta da quelle degli altri colleghi. Pertanto, ricorrono tutti i presupposti per fornire, all'interno di quest'aula, un segnale chiaro e univoco sulla materia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marcenaro, che illustrerà la mozione Sereni ed altri n. 1-00238, di cui è cofirmatario.

PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, la mozione che illustro è stataPag. 102sottoscritta da diversi parlamentari di molti gruppi, tra i quali L'Ulivo, Sinistra Democratica, Verdi, Italia dei Valori, Rifondazione Comunista, Rosa nel Pugno. Si tratta di una questione che coinvolge diverse problematiche.
Attualmente, siamo sempre nel quadro del difficile impegno volto a fare in modo che alla globalizzazione dei mercati, alla loro internazionalizzazione e all'integrazione dei mercati dei nuovi Paesi corrisponda l'adozione e l'osservanza di regole basate sul rispetto dei diritti umani e dei diritti del lavoro.
In tale quadro rientra, indubbiamente, la discussione sul riconoscimento e il rispetto di standard di lavoro avviata dall'Organizzazione internazionale del lavoro. Affrontiamo tale problema in particolare in relazione ad un Paese come la Cina, un grande Paese con il quale - lo voglio ricordare - l'Unione europea ha avviato una trattativa per un nuovo accordo quadro di partnership. Anche in questo ambito devono essere considerati i termini di cui discutiamo.
In particolare, i rapporti commerciali dell'Italia con la Repubblica popolare cinese, che sono molto importanti, devono essere più attenti alla dimensione del rispetto dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori ed è necessario richiedere al Governo cinese di segnare, su questo punto, consistenti passi in avanti.
Tra le violazioni più gravi di cui si parla, non l'unica, vi è quella che riguarda i cosiddetti laogai, campi di lavoro forzato in cui, secondo alcune stime, sono rinchiusi milioni di persone. Anche il fatto che dobbiamo parlare di stime e l'incertezza che circonda continuamente i dati che siamo costretti a citare sono indicativi di una situazione nella quale non c'è chiarezza, né informazione e ciò, di per sé, costituisce un elemento di violazione di quella trasparenza che è la condizione dei diritti.
Nei laogai, in questi campi di lavoro forzato, non solo vi sono detenuti comuni, ma anche persone accusate di reati di opinione, dissidenti politici e leader religiosi e spirituali in condizioni di lavoro proibitive, con orari impossibili, senza precauzioni che riguardano la lavorazione di sostanze pericolose; insomma, si tratta di una situazione intollerabile dal punto di vista di quelli che noi consideriamo i criteri elementari di civiltà.
La denuncia di tale situazione non viene solamente dal nostro Paese, ma è stata fatta, in questi anni, da numerosi parlamenti e governi. Penso al Congresso degli Stati Uniti, che ha approvato, a questo proposito, una mozione nel 2005; alla risoluzione del Parlamento europeo del settembre 2006 e, ultimamente, come veniva ricordato anche dall'onorevole D'Agrò, ad una risoluzione del Bundestag (il Parlamento tedesco) che impegnava, fra l'altro, il Governo a intraprendere precise azioni nei confronti delle autorità cinesi.
Voglio solo ricordare, a questo proposito, la risoluzione del Parlamento europeo che, oltre a condannare esplicitamente l'esistenza dei laogai, sollecitava la Cina a ratificare le Convenzioni dell'organizzazione internazionale del lavoro sull'abolizione del lavoro forzato coatto e la invitava a fornire una certificazione scritta della non provenienza delle merci esportate dai laogai, invitando la Commissione, in caso contrario, a vietare l'importazione dei prodotti in questione.
Sulla stessa falsariga, come è stato ricordato, si è mossa la risoluzione del Parlamento tedesco.
Per questo motivo, pensiamo che bisogna impegnare il Governo ad agire in ambito europeo, perché questo è il campo nel quale azioni di questa natura possono essere concretamente affrontate affinché la questione dei laogai sia valutata adeguatamente e discussa esplicitamente in tutte le occasioni di confronto e di dialogo tra Unione europea e Cina e, in particolare, nel periodico dialogo che è organizzato e strutturato sulla situazione dei diritti umani; a vigilare, affinché tale questione sia tenuta in debito conto nel contesto del dialogo commerciale tra Unione europea e Cina; ad attivarsi nelle sedi internazionali per rendere possibili le visite dell'Alto commissario per i diritti umani dell'ONU, di inviati speciali dellePag. 103Nazioni unite e di rappresentanti del Comitato internazionale della Croce rossa nei campi laogai ancora esistenti; di sollevare il problema dei laogai anche in seno al Consiglio dei diritti umani dell'ONU, di cui l'Italia è membro; ad utilizzare le occasioni di dialogo e di incontro bilaterale con la Cina per deprecare la pratica dei campi laogai e chiederne la chiusura; infine, ad intervenire presso le imprese italiane operanti in Cina perché diventino sempre più consapevoli e responsabili del problema dei campi laogai, evitando che partner commerciali cinesi possano utilizzare prodotti provenienti da questi campi di lavoro a tale fine.
Ciò di cui stiamo parlando, ottenere cioè che progressivamente il rispetto dei diritti umani e dei diritti del lavoro si affermi, non è una pura illusione.
Penso che in questo periodo abbiamo delle possibilità particolari. Anche l'avvicinamento delle Olimpiadi cinesi del 2008 può e deve costituire un'occasione perché si accentui la pressione nei confronti di tale Paese.
Abbiamo assistito, sulla questione della pena di morte, nel corso degli ultimi mesi, pur di fronte a un Paese che da solo realizza più dei due terzi delle esecuzioni effettuate nel mondo, ad un cambiamento di posizione di fronte alla pressione internazionale. Non siamo ancora alla moratoria, ma siamo indubbiamente di fronte a misure prese dal Governo cinese che segnano un cambiamento di quadro e che costituiscono un risultato ottenuto dalla pressione dell'opinione pubblica internazionale.
Pensiamo che obiettivi di tale natura, se ci sarà un impegno determinato, possano essere ottenuti anche in altri campi, come quello rappresentato dalle situazioni concrete nelle quali il nostro Paese e l'Unione europea sono tenuti a dimostrare che è possibile contemporaneamente avere relazioni con un Paese così importante, senza rinunciare ad affermare principi e politiche che pensiamo siano di carattere universale e che non possono essere sacrificati ad interessi pur legittimi.
Pertanto, riteniamo che la mozione in esame abbia un significato particolare e ne caldeggiamo l'approvazione da parte dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi.

VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, riservandoci naturalmente di esprimere un parere sulle singole mozioni presentate, penso che sia doveroso, in conclusione della discussione, svolgere qualche riflessione di carattere generale sulla questione dei cosiddetti laogai, che sono, se possibile - come avete detto -, forse la faccia più odiosa che unisce la slealtà della concorrenza commerciale alla più efferata violazione dei diritti dell'uomo, ragione per la quale l'Italia insieme all'Europa segue tale questione, cioè i cosiddetti campi di lavoro, sia a livello bilaterale, sia europeo.
Se è vero che non esistono statistiche ufficiali sul numero di questi campi, né, tanto meno, sul numero di individui detenuti in essi, vi sono stime di organizzazioni non governative secondo le quali ve ne sarebbero circa un migliaio. In occasione dell'ultima tornata del dialogo sui diritti umani fra l'Unione europea e la Cina, lo scorso mese di maggio, la parte cinese dichiarò che 260 mila persone erano detenute in campi laogai.
In occasione della presenza italiana, peraltro, le autorità cinesi consentirono la visita di un campo di detenzione nei pressi di Pechino, durante la quale fu rivelato che il 70 per cento dei detenuti era costituito da membri della setta religiosa Falun Gong.
Con riferimento al laogai come fondamento del vantaggio competitivo economicoPag. 104cinese, nonostante che studi e analisi di organizzazioni non governative abbiano sostenuto che il sistema potrebbe aver avuto connessioni con le esportazioni cinesi, è statisticamente impossibile quantificare quanti e quali articoli siano stati prodotti con il ricorso a tali campi.
Naturalmente, la Comunità internazionale e il nostro Governo sono ben consapevoli del possibile legame tra il lavoro forzato e le esportazioni cinesi. Alle pressioni esercitate a livello internazionale non è, infatti, estranea la decisione assunta, sin dal lontano 1991, dal Consiglio di Stato cinese di adottare divieti di esportazione di prodotti dei laogai e di non consentire joint venture tra investitori stranieri e operatori commerciali che facciano ricorso a manodopera reperita nei campi di lavoro forzato.
Si ricorda comunque che eventuali sanzioni commerciali rivolte a esportazioni prodotte nei laogai potrebbero essere imposte soltanto a livello di Unione europea. Questa è la ragione per cui mi sembra opportuno andare incontro alle richieste ed assumere le impostazioni e gli orientamenti di fondo espressi dalle mozioni presentate, che sono collegate da un filo comune, spingendo in particolare su due direttrici.
La prima direttrice è sull'Unione europea, affinché concluda un accordo di carattere commerciale che provveda, sul piano negoziale, ad impedire l'importazione di prodotti che provengono dai laogai, con una vera e propria barriera di tipo doganale per queste procedure, affinché vengano rispettate le clausole sociali e ambientali in questi accordi commerciali. La seconda direttrice deve essere rivolta ad una pressione di carattere internazionale, come ha detto l'onorevole Marcenaro poc'anzi, sfruttando l'occasione che viene in questo momento dal grande evento sportivo; è necessario esercitare le pressioni del caso, senza spingersi - come qualcuno ha sostenuto fuori da quest'aula - a definire un quadro sanzionatorio o addirittura di boicottaggio delle olimpiadi, ma cogliendo l'occasione di questo evento di carattere universale per spingere, convincere e influenzare la Repubblica popolare cinese non soltanto verso il progresso di carattere economico e commerciale, ma anche verso il rispetto dei più elementari diritti umani e anche dei principi democratici in vigore nell'Occidente.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani

Martedì 23 ottobre 2007, alle 14:

1. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale:
SCOTTO; BIANCHI; BOATO; BIANCO; ZACCARIA ed altri; FRANCO RUSSO ed altri; LENZI ed altri; FRANCO RUSSO ed altri; D'ALIA; BOATO; BOATO; CASINI; DI SALVO ed altri; DILIBERTO ed altri: Modificazione di articoli della parte seconda della Costituzione, concernenti forma del Governo, composizione e funzioni del Parlamento nonché limiti di età per l'elettorato attivo e passivo per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (553-1524-2335-2382-2479-2572-2574-2576-2578-2586-2715-2865-3139-3151-A).
- Relatori: Amici e Bocchino.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Modernizzazione, efficienza delle Amministrazioni pubbliche e riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese (2161-A);
e delle abbinate proposte di legge: PEDICA ed altri; NICOLA ROSSI ed altri; LA LOGGIA e FERRIGNO (1505-1588-1688).
- Relatore: Giovanelli.

Pag. 105

3. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
FOTI ed altri; IANNUZZI ed altri; IANNUZZI ed altri: Riqualificazione e recupero dei centri storici (550-764-824-A).
- Relatore: Bocci.

4. - Seguito della discussione della proposta di legge:
DELFINO e FORLANI: Differimento del termine di scadenza dell'incarico all'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) per l'attuazione del programma di aiuto alimentare dell'Unione europea in favore dei Paesi in via di sviluppo, di cui all'articolo 3 della legge 29 dicembre 2000, n. 413 (2197-A);
e dell'abbinata proposta di legge: LION e FUNDARÒ (1123).
- Relatore: Forlani.

5. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1800 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo che modifica l'Accordo di partenariato a Cotonou tra i membri del gruppo degli Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall'altro, con allegati, dichiarazioni e Atto finale, firmato a Cotonou il 23 giugno 2000, fatto a Lussemburgo il 25 giugno 2005; dell'Accordo interno tra i rappresentanti dei Governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, che modifica l'Accordo interno del 18 settembre 2000 relativo ai provvedimenti da prendere ed alle procedure da seguire per l'applicazione dell'Accordo di partenariato ACP-CE, fatto a Lussemburgo il 10 aprile 2006; dell'Accordo interno tra i rappresentanti dei Governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, riguardante il finanziamento degli aiuti comunitari forniti nell'ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2008-2013 in applicazione dell'Accordo di partenariato ACP-CE e lo stanziamento degli aiuti finanziari ai paesi e territori d'oltremare ai quali si applica la parte quarta del Trattato CE, fatto a Bruxelles il 17 luglio 2006 (Approvato dal Senato) (3116).
- Relatore: Paoletti Tangheroni.

6. - Seguito della discussione delle mozioni Rigoni ed altri n. 1-00225 e Turco ed altri n. 1-00237 sulla promozione dei diritti umani e della democrazia nel quadro della Convenzione europea per i diritti dell'uomo e delle iniziative del Consiglio d'Europa.

7. - Seguito della discussione delle mozioni Lulli ed altri n. 1-00030, D'Agrò ed altri n. 1-00034 e Pedrizzi ed altri n. 1-00230 sulle iniziative per favorire la «tracciabilità» di prodotti importati.

8. - Seguito della discussione delle mozioni Volontè e D'Agrò n. 1-00174, Rampelli ed altri n. 1-00173, Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00235, Maroni ed altri n. 1-00236 e Sereni ed altri n. 1-00238 sulle iniziative in materia di divieto di importazione di prodotti cinesi in relazione alle condizioni della manodopera impiegata.

La seduta termina alle 22,10.