XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 167 di lunedì 11 giugno 2007

[frontespizio]
[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI

La seduta comincia alle 15.

MARIZA BAFILE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 4 giugno 2007.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Amato, Bersani, Bindi, Boco, Bonino, Bono, Capodicasa, Casini, Cento, Chiti, Colucci, D'Antoni, Damiano, De Brasi, De Castro, De Piccoli, Di Pietro, Donadi, Duilio, Fioroni, Folena, Forgione, Franceschini, Galante, Gentiloni Silveri, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Landolfi, Lanzillotta, Maroni, Marcenaro, Martino, Melandri, Minniti, Leoluca Orlando, Parisi, Paroli, Pecoraro Scanio, Pisicchio, Pollastrini, Prodi, Realacci, Rutelli, Santagata, Sgobio, Stradella, Tremonti, Visco ed Elio Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione delle mozioni Maroni ed altri n. 1-00050, Volontè ed altri n. 1-00161 e Migliore ed altri n. 1-00178 sul rilancio del processo di integrazione e sull'allargamento dell'Unione europea.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Maroni ed altri n. 1-00050, Volontè ed altri n. 1-00161 e Migliore ed altri n. 1-00178 sul rilancio del processo di integrazione e sull'allargamento dell'Unione europea (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Ranieri ed altri n. 1-00179 e Zacchera ed altri n. 1-00180 (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1), i cui testi sono in distribuzione, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno discusse congiuntamente.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Ranieri, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00179. Ne ha facoltà.

UMBERTO RANIERI. Signor Presidente, prendo la parola per illustrare la mozione, sottoscritta da numerosi gruppi del centrosinistra, che chiede al GovernoPag. 2di impegnarsi in vista della riunione del Consiglio europeo del 21 e 22 giugno, che affronterà la questione legata al rilancio del Trattato costituzionale sottoscritto dai Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea a Roma nel 2004.
Il tema del futuro istituzionale dell'Unione è di nuovo al centro dell'agenda europea.
Dopo lo shock del «no» francese ed olandese, si è optato per una pausa di riflessione: oggi siamo al momento delle scelte. Si tratta di scelte indispensabili, perché, senza le riforme di cui ha urgente bisogno, l'Unione non è in grado di corrispondere alle attese dei cittadini.
L'Unione europea, per dirla con una formula, è ad un bivio: o essa si dota di istituzioni e meccanismi decisionali che le consentano di procedere nel processo di integrazione in settori cruciali e di assumersi responsabilità sulla scena del mondo globale o il rischio è la paralisi, la perdita di ruolo, la marginalizzazione in un mondo che si trasforma a ritmi sempre più intensi.
Certo, negli ultimi due anni, come ha recentemente ricordato il Presidente della Repubblica, l'Europa non è stata ferma: essa è riuscita ad esprimersi con una sola voce sulla guerra in Libano; ha definito alcune importanti direttive e raggiunto un accordo per il rafforzamento, sia pur limitato, delle prospettive finanziarie relative al periodo 2007-2013; ha, infine, elaborato e prospettato linee di nuove politiche comuni per fronteggiare i problemi dell'ambiente e dell'energia, esplosi ormai drammaticamente.
Tuttavia - questa è la questione che vorrei sottolineare e sulla quale non credo possa manifestarsi una valutazione discorde tra di noi -, l'attuale quadro istituzionale non permette all'Europa di andare molto lontano.
Sappiamo bene, del resto, per esperienza, che le proposte legislative della Commissione possono sfociare in scarsi risultati o in lentissimi progressi, così come sappiamo che, alla nascita dell'euro, per esempio, non è seguita la governance economica che sarebbe stata necessaria per assicurare, tra l'altro, il conseguimento degli obiettivi formulati nella Strategia di Lisbona.
Insomma, se questa è la situazione, occorre chiedersi quali siano le misure necessarie oggi per rilanciare il ruolo, la funzione, la capacità di decisione e di assunzione di responsabilità dell'Unione europea.
Crediamo che occorrano istituzioni riformate, regole di funzionamento e procedure di decisione adeguate alle nuove dimensioni raggiunte dall'Unione con l'allargamento ai nuovi membri.
Il Trattato costituzionale forniva risposte opportune per sciogliere questi nodi.
Il Presidente del Consiglio ha ragione quando ricorda che, per far crescere la cosiddetta Europa dei risultati, è decisiva la forza di nuove istituzioni comuni, al di là di ogni velleitaria presunzione o chiusura nazionale. I fatti parlano chiaro!
Con il Trattato si compivano importanti passi per dotare l'Unione europea di una nuova politica estera e di sicurezza comune, per un effettivo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, per realizzare una cooperazione strutturata nel campo della difesa ed una cooperazione rafforzata in altri settori; si compivano, insomma, passi in avanti nella direzione giusta per dotare l'Unione di istituzioni adeguate per consentirle di funzionare in presenza di un allargamento così ampio, come quello che si era venuto realizzando negli scorsi anni.
Per tali motivi sarebbe un errore, che pagheremmo amaramente, arretrare rispetto a questi risultati.
Pertanto, la mozione che abbiamo presentato incoraggia il Governo a sostenere, nel corso della riunione del Consiglio europeo del 21 e 22 giugno, quelle decisioni che consentano di salvaguardare, durante la conferenza intergovernativa che si aprirà nei prossimi mesi, l'impianto di fondo del Trattato, per giungere alle elezioni europee del 2009 con la conclusione positiva del processo costituzionale.
Questo obiettivo ci induce a chiedere che la conferenza intergovernativa abbia un mandato preciso e lineare, perché sarebbe rovinoso se si procedesse in modoPag. 3confuso nella conferenza intergovernativa. Si aprirebbe, in quel caso, il vaso di Pandora di una discussione ingovernabile. Invece, occorre certamente semplificare il trattato, ma non vanno messi in discussione alcuni punti di fondo essenziali, perché l'Unione possa funzionare: l'estensione del voto a maggioranza qualificata, per evitare il rischio della paralisi nella capacità decisionale, il rafforzamento della PESC, della politica di difesa, con la creazione di un Ministro europeo degli esteri, l'attribuzione della personalità giuridica all'Unione europea, il primato del diritto comunitario, il mantenimento della Carta dei diritti fondamentali.
Tuttavia, sono state prospettate alcune obiezioni. A chi continua ad agitare lo spettro del «super Stato» centralizzato, che il Trattato costituzionale evocherebbe ed a cui condurrebbe, vorrei ricordare che quest'ultimo ha sancito una netta ripartizione delle competenze, garantito il rispetto del principio di sussidiarietà, accresciuto il ruolo del Parlamento europeo. Si tratta di risultati importanti per un'ulteriore democratizzazione del funzionamento dell'Unione.
A chi sostiene, invece, che il Trattato costituirebbe un documento teso ad agevolare tendenze neo-liberiste nelle economie europee, vorrei rammentare la scelta proclamata nello stesso: agire perché, anche nell'epoca della globalizzazione, la struttura economica europea sia caratterizzata dal rispetto dei valori sociali e del mercato.
Vorrei ricordare soprattutto che il Trattato, prevedendo l'avvio di una politica economica europea e di un coordinamento, anche se ancora parziale, delle politiche fiscali, consente di realizzare quanto non si è realizzato dopo l'introduzione dell'euro e cioè il governo dell'economia, il superamento di tentazioni protezionistiche e il sostegno alla crescita e agli investimenti.
Vorrei anche che si riflettesse su un aspetto cruciale della situazione: il rilancio del progetto europeo avviene in uno scenario mondiale radicalmente modificato. Non si tratta più solo, come fu nel secondo dopoguerra con i Trattati di Roma di cinquanta anni or sono, di assicurare pace e stabilità entro i confini dell'Europa (per quanto resti sempre un obiettivo importante); il mondo sarà multipolare e si apre quindi una fase nella quale, più che in passato, l'Unione europea deve dialogare con altre parti del mondo e concorrere all'evoluzione degli assetti globali.
Ma tale apertura sarà possibile se l'Europa costituirà un vero soggetto politico unitario, se il processo di integrazione andrà avanti; per tale motivo riteniamo che il Consiglio europeo debba decidere in modo da non disperdere la sostanza innovativa del Trattato.
Occorrerà, indubbiamente, considerare e fornire risposte e chiarimenti alle domande emerse e alle preoccupazioni segnalate dal voto contrario alla ratifica di Francia e Olanda che, a mio avviso, non rimette in discussione l'interesse dei cittadini per la costruzione europea, ma segnala preoccupazioni ed inquietudini di cui occorre tenere conto, tuttavia senza sottovalutare che diciotto dei ventisette Paesi membri hanno ratificato il Trattato, in rappresentanza di circa 300 milioni di cittadini europei, ed altri si sono dichiarati «amici del Trattato».
Concluderò il mio intervento con due ulteriori considerazioni. La prima attiene all'ulteriore allargamento dell'Unione. A noi pare essenziale che proceda, nei tempi che saranno necessari, l'avvicinamento dei Balcani occidentali all'Unione europea. È interesse strategico dell'Italia che ciò accada e l'unica via per pacificare quella parte d'Europa è liberarla definitivamente dall'incubo dei conflitti etnici indotti anche dalle violenze dei nazionalismi.
Per quanto riguarda la Turchia, credo che la consapevolezza delle difficoltà e degli ostacoli non possa offuscare la portata della prospettiva dell'integrazione nel quadro dei valori democratici e dei principi di libertà su cui si fonda l'Unione europea di un Paese così importante.
Mi sembra che sia la via per contrastare concretamente, nei fatti, l'idea (pericolosa) secondo la quale non sarebbe possibile, né realistica l'inclusione in unaPag. 4comunità che si ispiri a valori democratici di un Paese a forte maggioranza musulmana.
Dimostrare che le difficoltà, nei tempi necessari, non sono insuperabili significa contribuire ad isolare estremismi, radicalismi e a scongiurare conflitti tra culture, religioni e civiltà. È evidente che spetta alle autorità turche dimostrare, realizzando le riforme, che nella direzione della integrazione si vuole procedere.
Infine vorrei svolgere un'osservazione sui principi e i valori su cui deve reggere l'Europa unita. L'Europa a ventisette ha bisogno di avere un quadro di riferimento di valori e principi che costituisca la base in cui i cittadini europei possano riconoscersi.
In un Trattato come quello descritto e nella Carta dei diritti fondamentali, l'Europa può trovare il suo punto di riferimento ideale, di principi e di valori. Nel Trattato si richiamano valori quali la libertà e la dignità della persona, l'eguaglianza e la giustizia sociale, valori non proposti astrattamente agli europei ma ancorati a processi reali da portare ulteriormente avanti nella sfera economico-sociale e istituzionale per dare ad essi concretezza.
In questi valori possono riconoscersi tutti gli europei, i credenti e i non credenti.
Sono quei valori che hanno origine nell'eredità cristiana, ma che hanno anche radici nelle tradizioni liberale e del socialismo delle libertà. Sono quei valori che possono consentire all'Europa di dialogare e cooperare, consapevole della propria storia, con altre culture e civiltà.
Mi auguro che tali considerazioni possano essere condivise da una parte ampia di questa Camera, al di là delle distinzioni tra maggioranza e minoranza, considerato che storicamente, sulle questioni relative al futuro dell'Europa e dell'integrazione, uno sforzo per andare oltre le divisioni tra schieramenti è stato sempre compiuto (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo e del deputato Maroni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maroni, che illustrerà anche la sua mozione 1-00050. Ne ha facoltà.

ROBERTO MARONI. Signor Presidente, il gruppo della Lega Nord Padania ha un'opinione alquanto diversa rispetto al presidente Ranieri su alcune delle questioni testé rappresentate, e non mi riferisco tanto alla necessità di potenziare la struttura istituzionale europea; tutti noi, infatti, sentiamo la mancanza di un livello di Governo, nel senso anglosassone del termine, federale europeo. Nella situazione attuale, gli Stati membri, infatti, sono incapaci di cedere «pezzi» consistenti della loro sovranità in materie che hanno e debbono avere una prospettiva europea quali quelle del welfare, del mercato del lavoro, delle pensioni e delle politiche sociali. Tutti noi sentiamo la necessità di avere un Parlamento che sia un vero Parlamento e che non esprima soltanto pareri.
È un processo lungo e difficile, che è iniziato e che intendiamo sostenere. Tale processo, tuttavia, può avere una prospettiva utile unicamente se, tra i Paesi membri che compongono la federazione europea (l'attuale Unione, che noi auspichiamo diventi una vera e propria federazione), si creerà un'omogeneità non solo a livello economico - il rispetto dei parametri di Maastricht, per esemplificare - ma anche sotto altri profili, in primo luogo quello culturale, ma altresì per quanto riguarda il rispetto dei diritti civili e l'osservanza della legalità, che crea le condizioni perché ci sia una comunità. Se tale comunità diverrà un'Unione non tanto e non solo di diversi (già oggi è così, in termini di dimensioni, lingue, storia e struttura economica), ma di contrari, in cui gli uni vogliono l'annichilimento degli altri e viceversa, non ci sarà alcuna Unione né alcuna federazione. Ci sarà solo l'anarchia o il caos e diventerà un agglomerato di Paesi e popoli che non potranno governarsi e che non avranno alcuna possibilità di definire politiche comuni in alcun settore.Pag. 5
È già sotto gli occhi di tutti che cosa sta succedendo in questi mesi con l'ingresso della Romania, che ha determinato e sta determinando ripercussioni molto forti e negative sulla nostra struttura sociale, in particolare nelle regioni del nord e in Padania. Il Governo attuale, infatti, non ha voluto fare ciò che il Governo Berlusconi fece, ovvero predisporre degli ammortizzatori con riferimento all'adesione della Romania, ad esempio in termini di libera circolazione dei lavoratori. Ricordo che, quando nel maggio del 2004 ci fu l'adesione di dieci nuovi Paesi, per questi il Governo di cui facevo parte stabilì una moratoria di due anni per valutare l'impatto che avrebbe avuto, sulla nostra struttura economica e sociale, l'adesione di dieci nuovi Paesi tra i quali alcuni molto importanti dal punto di vista demografico ed economico, come la Polonia.
Questo strumento di ammortizzazione dell'impatto è stato molto utile ed efficace, perché ci ha permesso di monitorare l'affluenza dei cittadini e dei lavoratori, di salvaguardare, quindi, i nostri lavoratori, tutelando chi in Italia è in cerca di lavoro, e di dare, comunque, uno sbocco utile al mondo delle imprese. Moratoria, lo ricordo, non significava blocco degli ingressi, ma, per l'appunto, monitoraggio.
Tutto ciò non è avvenuto con la Romania. In questo caso abbiamo sperimentato, purtroppo sulla pelle dei cittadini, una condizione che nelle grandi città, in particolare nel nord del Paese, rischia di degenerare e di diventare un problema di ordine pubblico. Ora è un po' paradossale che, per la mancata gestione, probabilmente viziata da qualche pregiudizio politico o ideologico, da parte del Governo italiano e di quello di altri Stati, dell'adesione dei nuovi Paesi - si registra un fatto positivo: l'Unione europea si allarga, entrano nuovi cittadini e nuovi Stati -, si arrivi addirittura all'effetto opposto, vale a dire a suscitare l'ostilità nei cittadini italiani, colpiti direttamente e personalmente da una microcriminalità (che per chi la subisce tanto micro non è) che viene identificata con i cittadini che provengono da Paesi di nuova adesione. È paradossale che la spinta verso l'allargamento dell'Unione europea sia percepita dai cittadini come un fatto negativo, che alimenti una sfiducia nelle istituzioni europee e nel processo di allargamento e che determini, complessivamente, un atteggiamento negativo che abbiamo già verificato, qualche tempo fa, con la bocciatura - nei Paesi in cui si è consentito al popolo sovrano di esprimersi democraticamente, cosa che non è avvenuta in Italia - della Convenzione europea.
Questi sono solo alcuni dei motivi che hanno spinto la Lega Nord Padania ad essere più che prudente e contraria all'ipotesi di un'adesione della Turchia, in tempi brevi, all'Unione europea. Naturalmente seguiamo con grande attenzione l'evoluzione del processo democratico in Turchia; conosciamo bene quel Paese alle porte dell'Europa e comprendiamo il travaglio che pervade la società turca, il conflitto tra le spinte islamiste e coloro che cercano di dare un assetto istituzionale democratico e più occidentale, distinguendo le istituzioni dalla religione. Sappiamo anche che qualcuno sostiene che la Turchia potrebbe costituire in Europa proprio l'esempio e il baluardo della distinzione tra potere politico e religione a fronte del vizio di fondo che caratterizza molti Paesi islamici. Ma noi temiamo, e lo affermiamo nella mozione che abbiamo presentato, che l'ingresso della Turchia oggi, senza una valutazione più accurata, non abbia questo effetto. Riteniamo, anzi, che abbia l'effetto contrario: quello di aprire un varco, una porta di ingresso indiscriminato in Europa - nell'Europa dalle radici cristiane - a civiltà e a modi di intendere il rapporto fra le istituzioni e la religione che noi abbiamo archiviato da tempo.
Temiamo che ciò possa indurre un arretramento sul fronte dei diritti civili e temiamo anche che - ma questa non è la prima delle nostre preoccupazioni, lo voglio sottolineare, visto che la Lega Nord Padania spesso è accusata di difendere solo le ragioni dell'economia, il che peraltro è una preoccupazione lodevole - un ingresso della Turchia, per la strutturaPag. 6dell'economia e della società di tale Paese, possa avere ripercussioni molto negative sul nostro tessuto sociale e sull'economia, soprattutto delle piccole e medie imprese padane.
È per tale ragione che abbiamo presentato la mozione che descrive nelle premesse tutto ciò che è avvenuto con riferimento al quadro negoziale tra Turchia e Unione europea approvato il 3 ottobre 2005, che evidenzia come il negoziato con la Turchia sia ancora un processo aperto, il cui esito non può dirsi scontato. Sottolineiamo che tale quadro negoziale, in considerazione dell'impatto economico potenzialmente destrutturante dell'ingresso della Turchia per l'Unione europea, impedisce che si possa procedere all'adesione prima della definizione delle prospettive finanziarie dell'Unione europea per gli anni successivi al 2014. Sottolineiamo, inoltre, come ogni decisione debba tenere conto, in primis, della coesione e della tenuta dell'Unione europea stessa: e questa è la preoccupazione che ho espresso poco fa.
Formuliamo delle valutazioni generali sulla attuale mancanza di garanzie della Turchia sul fronte dei diritti civili nel rapporto con Cipro; sottolineiamo, altresì, l'insufficienza e l'inadeguatezza dei criteri di adesione - i cosiddetti criteri di Copenaghen - sia per le carenze sul piano politico ed identitario, sia perché l'adesione richiede un voto all'unanimità.
A differenza di quanto sostenuto dal Governo italiano, noi riteniamo che il rapporto della Commissione europea e l'oggettiva situazione della Turchia abbiano suscitato nelle altre cancellerie europee perplessità e cautele, in misura molto maggiore di quanto siano presenti nel Governo italiano; anche il Presidente del Parlamento europeo, a margine di un incontro del 9 novembre 2006 con il Presidente del Consiglio dei ministri, Romano Prodi, ha affermato che per l'adesione della Turchia «ancora non ci sono le condizioni e per la decisione passeranno altri quindici-venti anni».
Più recentemente, è storia di questi giorni, evidenziamo l'atteggiamento della Francia del nuovo Presidente Sarkozy, la cui vittoria riteniamo, fortunatamente, sia destinata ad incidere molto anche su questo aspetto: se per Chirac, infatti, l'ingresso della Turchia in Europa era un evento da rimandare il più possibile, ma tutto sommato inevitabile in quanto iscritto nell'ordine delle cose, il nuovo Presidente, Sarkozy, ha espresso una posizione nettamente contraria e l'ha manifestata in campagna elettorale, avendo quindi - come si è visto con il risultato elettorale - un'evidente approvazione da parte degli elettori nelle elezioni presidenziali e anche in quelle svoltesi in questi ultimi due giorni. Cito quanto affermato da Sarkozy: la Turchia non è un Paese europeo, è in Asia minore, occorrerà trovare altre forme di associazione per la Turchia. Noi condividiamo questa opinione, che non è quella di un becero leghista, ma quella del Presidente della Repubblica francese, di recente nomina, lodato da tutti, dalla destra e dalla sinistra, come un uomo di Governo, delle istituzioni e moderato, che pure ha detto che la Turchia non è un Paese europeo.
Sulla base di queste considerazioni crediamo che la proposta avanzata dal Presidente francese Sarkozy - che noi facciamo nostra - ben si sposi con gli impegni che poniamo nella nostra mozione.
Nella nostra mozione chiediamo - e non mi soffermo sulla premessa che descrive lo stato delle trattative e il quadro negoziale tra Turchia e Unione europea - che il Governo si faccia portavoce, in seno al Consiglio europeo, di un atteggiamento di massimo rigore nella valutazione dei profili di compatibilità della Turchia con il contesto comunitario. Non mi riferisco solo ai tre nuovi capitoli negoziali tra l'Unione europea e la Turchia, il cui dibattito si aprirà il prossimo 26 giugno, di carattere strettamente economico quali l'economia, la politica monetaria, statistiche e il controllo finanziario. Ci riferiamo anche agli otto capitoli incentrati sull'unione doganale, a causa del mancato riconoscimento della Repubblica greco-cipriota, nonché a tutti i trentacinque capitoli negoziali che devono essere conclusi,Pag. 7tutti con successo - e lo sottolineo al rappresentante del Governo - perché si possa proseguire sulla strada dell'adesione. Nessun capitolo, a nostro parere, può essere chiuso finché la frattura con Cipro non sarà composta e la Turchia non aprirà i suoi porti ed aeroporti ai mezzi ciprioti.
Concludo accennando brevemente alla mozione Volontè ed altri che, pur partendo da presupposti diversi, arriva alle nostre stesse conclusioni. Condividiamo le osservazioni in essa contenute, in particolare quando si afferma che permangono gravi motivi per ritenere che la Turchia continui ad non impegnarsi abbastanza per garantire il rispetto dei principi di democrazia; che il processo di democratizzazione avviato dalla Turchia appare incerto e contraddittorio; che la Commissione europea è stata costretta a sospendere i negoziati per l'adesione della Turchia, a causa della mancanza applicazione del protocollo aggiuntivo di Ankara; che permangono i gravi motivi che portarono alla sospensione delle procedure di adesione e, in particolare, la questione cipriota - come ho ricordato -, le continue violazioni del diritto di espressione, la compressione della libertà religiosa; che nel 2006 la Turchia ha subito circa trecento condanne da parte della Corte di Strasburgo per violazioni gravi e ripetute di diritti fondamentali; che ben trentasei delle 312 condanne si riferiscono alla violazione della libertà di espressione del pensiero.
Non parliamo solo di Maastricht o di economia, ma parliamo di diritti fondamentali, di civiltà, che l'Unione europea e tutti i Paesi membri garantiscono ai propri cittadini. Non vogliamo essere parte di un'Unione con un Paese che nega il diritto di espressione del pensiero e la libertà di parola, che viola i diritti civili e che intende la religione come la cancellazione o la lotta contro chi la pensa in modo diverso. Tutto questo oggi è purtroppo - e sottolineo purtroppo - la realtà della Turchia.
Per tale motivo condividiamo la formulazione dell'impegno che, nella mozione Volontè ed altri, viene posto al Governo, ovvero di assumere, nelle trattative per l'ingresso della Turchia nell'Unione europea, una posizione contraria, almeno fino a quando non sarà data piena prova del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, in base a quanto previsto dal Trattato sull'Unione europea.
Riteniamo che le nostre preoccupazioni siano fondate e che oggi non sia il momento di aprire le porte dell'Unione europea ad un Paese che, ancora, non offre garanzie su tutte le acquisizioni di carattere sociale, di cultura della legalità e di rispetto dei diritti civili fondamentali che i Paesi europei garantiscono da secoli.
Per questo motivo nella nostra mozione chiediamo al Governo di farsi parte attiva presso il Consiglio europeo per esprimere una posizione contraria all'ingresso della Turchia nell'Unione europea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Forlani, che illustrerà anche la mozione Volontè ed altri n. 1-00161, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO FORLANI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, anche con questa mozione intendiamo ribadire - ancora una volta, nonostante le difficoltà che sono affiorate negli ultimi due anni - la nostra ferma convinzione della necessità di proseguire il processo costituente dell'Unione europea, intesa come libera entità politica, come libera unione di popoli, rispettosa delle reciproche diversità, ma tenuta insieme dalla condivisione di alcuni valori fondamentali, e, in modo particolare, da grandi obiettivi politici rilevanti per la prospettiva universale dell'intero pianeta e, quindi, per le grandi prospettive della nostra civiltà. Una grande area di pace, di stabilità, di tutela e garanzia delle libertà fondamentali, del pluralismo democratico, delle diversità. Una grande area di salvaguardia dei diritti umani, non soltanto entro i propri confini e di quelli degli Stati che aderiranno, ma anche di promozione e di impulso - come avvenuto di recente per la pena di morte - per lo sviluppo e il consolidamento dei diritti umani e della pacifica coesistenza sull'intera superficie del pianeta.Pag. 8
L'Europa dovrà rappresentare nel mondo un polmone di pace, di tolleranza, di coesistenza operosa, di cooperazione, anche ai fini del riequilibrio delle condizioni economiche e sociali che si registrano nel pianeta, nonché di recupero di diseguaglianze e di gravi piaghe sociali che si riscontrano.
Abbiamo creduto nel lavoro svolto dalla Convenzione europea, nei contenuti del Trattato firmato a Roma e non possiamo nascondere che la mancata approvazione - in occasione dei referendum di Francia e di Olanda - abbia prodotto una delusione, una battuta d'arresto.
Riteniamo, comunque, che anche questi episodi, anche la frizione che si è registrata, debbano essere considerati sotto il profilo di uno stimolo, di un incentivo, perché il voto popolare deve essere sempre rispettato e mai biasimato o demonizzato. Tale duplice voto popolare può costituire, infatti, un incentivo a ripensare, a riconsiderare alcuni aspetti procedurali della fase costituente, ed anche alcuni elementi inerenti i contenuti del Trattato il quale, forse, si presenta in alcune sue parti troppo complesso e pletorico, con alcuni meccanismi interni - soprattutto sotto il profilo decisionale, delle competenze, dei ruoli, dell'assetto istituzionale - difficilmente realizzabili per un apparato rappresentativo di un'area così vasta di Paesi.
Sarebbe stata necessaria, forse, una maggiore semplificazione e soprattutto, sotto il profilo della fase ascendente, in ordine alla ripartizione verticale tra i diversi livelli territoriali, una maggiore chiarezza e schematizzazione.
È chiaro che questo tipo di costruzione e di assetto istituzionale rispondeva ad un compromesso, ossia a istanze, esigenze e preoccupazioni contrapposte. Per questa ragione è stato svolto un complesso lavoro di «cucitura», attraverso un difficile bilanciamento di equilibri e di posizioni che hanno portato necessariamente ad una costruzione così complessa. Forse è proprio tale aspetto che lo ha reso meno comprensibile e meno digeribile per le opinioni pubbliche di alcuni Paesi. Però l'idea, l'obiettivo e le procedure seguite possono ritenersi condivisibili: si tratta di procedure che, peraltro, hanno coinvolto - come ricordiamo - settori non soltanto delle istituzioni nazionali ed europee, ma anche settori della società civile, rappresentanze del mondo del lavoro, dell'associazionismo impegnato e del volontariato; vi è stato un grande apporto di diverse realtà rappresentative della grande famiglia europea.
Questo lavoro non può essere disperso, non può essere gettato alle ortiche e non può essere messo da parte soltanto in virtù della presente battuta d'arresto: può essere corretto, può essere aggiustato, può essere rivisto in alcune scelte, forse troppo frettolose o troppo farraginose, sempre cercando, però, di arrivare a una ricomposizione del testo che possa trovare maggiore consenso e che possa realizzare l'obiettivo perseguito di una condivisione comune da parte dei Paesi membri (che ora sono giunti a ventisette e che, forse, saranno di più con il passare del tempo).
L'obiettivo, tuttavia, è sacrosanto: è un obiettivo prioritario non soltanto per uno sviluppo armonico dell'area europea, per una convivenza operosa tra i popoli, per una più forte integrazione e per una più forte capacità di competere e di incidere nella realtà mondiale, ma anche per dare un supporto di pace, di democrazia e di stabilità anche agli altri continenti, alcuni dei quali versano in situazioni di grandi lacerazioni e grandi divisioni, conflitti, pandemie, guerre, grandissime piaghe sociali e difficoltà di sussistenza, dalle quali tali continenti stentano ad uscire e che tendono continuamente ad aggravarsi, causando profughi, migrazioni, squilibri mondiali e momenti di oppressione e di dispotismo: sono condizioni drammatiche che rendono oggi instabili gli equilibri del pianeta e rispetto ai quali l'Europa può svolgere un ruolo di pacificazione, di equilibrio e di supporto.
Rispetto a queste finalità e in linea con questa tradizione, noi europeisti per antica tradizione ed eredi di una corrente politica che fu tra quelle che si posero in prima fila nella realizzazione dell'edificio europeo e delle prime forme dell'EuropaPag. 9comunitaria, intendiamo rimanervi per promuovere tale processo e per perfezionare l'integrazione politica attraverso l'adozione di un atto formale come il Trattato costituzionale.
Rispetto a ciò, proprio in virtù delle nostre tradizioni, dei nostri principi, della nostra cultura di provenienza che tuttora caratterizza la nostra identità, nell'ambito di una revisione del Trattato, intendiamo ritornare su alcuni punti in particolare - come enuncia la nostra mozione - sul diritto alla vita e sulla tutela della famiglia.
In tali materie a livello europeo non vi è naturalmente un comune sentire, soprattutto sotto il profilo della disciplina costituzionale. Vogliamo ribadire - naturalmente questa è la nostra posizione - che sia contenuto nel Trattato costituzionale il valore della famiglia fondata sul matrimonio, ossia su un vincolo di pubblica e solenne responsabilizzazione.
Intendiamo altresì ribadire la necessità che le normative comunitarie non siano in contrasto con la tutela del diritto alla vita prevista dal nostro ordinamento nazionale, che lo riconosce fin dal concepimento - il diritto alla vita dell'embrione - così come con la Convenzione per la protezione dei diritti umani e della dignità dell'essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina. Vogliamo ribadire, quindi, la necessità che sia tutelata la vita umana in ogni sua forma, e che spetti allo Stato tale potere di tutela e che esso non possa derogare rispetto alla necessità di questa protezione.
Per quanto riguarda la formulazione adottata dall'articolo II-69, secondo la quale il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia è assicurato a chiunque, desideriamo che essa sia più rispondente alle nostre tradizioni: miriamo ad una dizione - palesata in alcune definizioni adottate in sede internazionale - secondo cui uomini e donne in età adatta abbiano il diritto di sposarsi, ribadendo così in sede europea il principio secondo cui la famiglia si fonda sul matrimonio e, in particolare, su quello contratto tra un uomo e una donna.
Rispetto ai temi della bioetica, della sperimentazione e della ricerca intendiamo ribadire che lo sviluppo di forme di ricerca, l'incentivazione alla scienza e la garanzia della libertà di ricerca tengano comunque conto del principio del neminem laedere e di quello di non mettere assolutamente a repentaglio alcuna forma di vita umana in nome del progresso e dello sviluppo della ricerca. Anche su tali aspetti abbiamo enunciato le nostre preoccupazioni nel testo della mozione in esame.
Un'altra tematica richiamata è quella dell'ingresso della Turchia nell'Unione europea: è un Paese impegnato, soprattutto negli ultimi anni, in un'azione di pressione per essere accettata nella famiglia europea. Si tratta di un problema molto complesso, perché la Turchia è già membro del Patto atlantico e, quindi, in qualche modo è già parte della comunità occidentale, almeno sul piano della sicurezza e della difesa; ma altra questione, a nostro giudizio, è l'appartenenza all'Unione europea, perché essa presuppone la condivisione di principi democratici, di tutela delle libertà, dei diritti umani fondamentali dell'individuo e delle minoranze etniche e linguistiche e presuppone altresì il reciproco rispetto tra le diverse componenti della società e la libertà di espressione.
Nutro un profondo rispetto per il processo seguito dalla Turchia nella fase di realizzazione di un moderno Stato nazionale, intrapreso da Ataturk fin dagli anni Venti, per i risultati raggiunti, come la laicizzazione dello Stato e l'accettazione dell'idea di uno Stato nazionale svincolato dalle problematiche inerenti all'appartenenza ad una comunità religiosa - che è cosa diversa rispetto al concetto di Stato - per la scelta occidentale compiuta nel secondo dopoguerra dagli eredi di Ataturk e, infine, per il ruolo complessivamente positivo svolto anche dalla Turchia nelle tante crisi che si sono sviluppate nella politica mondiale in questi anni.
Però ritengo che rispetto a quelli che debbono costituire i parametri di accettazione di un Paese nell'Unione europea, che implicano un'omogeneità politica e sistemicaPag. 10inerente, in particolare, ai diritti della persona e a un consolidato sistema democratico, esistano ancora alcuni elementi di preoccupazione.
Non mi nascondo e non dobbiamo mai minimizzare gli aspetti importanti dell'aspirazione europea della Turchia, che tende ad esorcizzare i fantasmi del fondamentalismo, dell'intolleranza, della regressione e degli oscurantismi e il rischio di essere trascinati nelle derive di conflittualità, di violenza e di lacerazione che caratterizzano l'area medio-orientale e i Paesi che confinano con la Turchia.
Quindi, sicuramente, una progressiva integrazione può sottrarre la Turchia ai rischi di questa deriva e, perciò, l'aspirazione europea non deve essere scoraggiata. Così come non dobbiamo scoraggiare né sottovalutare gli aspetti positivi in termini di stabilità mondiale di questa integrazione, non dobbiamo tuttavia fare sconti sui principi fondamentali che si richiedono per l'accettazione di un Paese nell'Unione europea. Non dobbiamo fare sconti neanche rispetto agli elementi di preoccupazione che tuttora si riscontrano in quel Paese: mi riferisco, in particolare, alla tutela delle minoranze, alla libertà di espressione, a certe forme di repressione del dissenso e alle vicende più recenti che hanno colpito i cristiani, le minoranze religiose o i giornalisti, certamente non operate dalle istituzioni di quel Paese, bensì da gruppi eversivi. Rimane, quindi, anche l'esigenza da parte della comunità occidentale di riscontrare nell'azione del governo una maggiore fermezza nella prevenzione e nella repressione di questi fenomeni.
Allo stesso modo, talvolta abbiamo potuto notare da parte delle istituzioni nazionali o, dell'autorità giudiziaria, della polizia o dello stesso governo, una concezione del dissenso politico e del pluralismo diversa rispetto a quella comunemente accettata dai Paesi dell'Unione europea, che a volte non è condivisibile o che palesa lo spettro di tentazioni autoritarie.
Sappiamo che la situazione in quel Paese è molto difficile perché, da una parte, vi sono forti spinte per una maggiore valorizzazione della cultura islamica nel governo e nelle istituzioni; dall'altra parte, vi è la spinta, soprattutto del potere militare, verso una preservazione della laicità dello Stato, che non sempre coincide con una concezione di salvaguardia della democrazia; infine, vi sono classi dirigenti tradizionali che cercano di mediare sia con le spinte autoritarie dei militari, sia con le spinte islamiche.
Lo stesso tentativo di Erdogan di fondare un partito islamico moderato, che garantisse la laicizzazione pur rispettando il sentimento religioso, è stato volto a creare un equilibrio tra queste diverse tendenze che potesse rendere la Turchia accettabile all'Europa. Anche questo aspetto deve essere salvaguardato: in questi ultimi mesi, in vista delle consultazioni che attendono quel Paese, assistiamo al grave travaglio, poi sfociato nelle manifestazioni così affollate delle settimane scorse, proprio per esorcizzare, da un lato, il rischio di un nuovo intervento militare a fronte di una ulteriore islamizzazione del governo e, dall'altro lato, la fine della laicità di quelle istituzioni.
Naturalmente, ci rendiamo conto della difficoltà che attraversa attualmente quella classe dirigente e intendiamo supportare il processo di consolidamento democratico di quel Paese e la realizzazione di un equilibrio che garantisca stabilità e pacificazione.
D'altra parte, però, ai fini dell'ingresso nell'Unione europea, non possiamo non essere drastici nel pretendere il rispetto di alcuni parametri. In un Paese europeo i militari devono essere subordinati rispetto alla classe politica e alle istituzioni democratiche rappresentative dei cittadini, non possono essere sovraordinati e, in certi momenti, quasi tutori degli equilibri istituzionali. Tale situazione non è compatibile con l'appartenenza all'Europa.
È necessario risolvere la crisi di Cipro: non è possibile ammettere che un Paese occupi una parte di un altro Stato sovrano. Deve essere garantita la piena tutela delle minoranze (cristiane, religiose ed etniche), anche in relazione al problema dei curdi. Essi devono essere liberi diPag. 11professare la propria identità, le proprie tradizioni, i propri costumi, di esprimere il proprio linguaggio, la propria cultura e di essere se stessi nell'ambito della terra turca, di godere - laddove vi siano delle aree omogenee abitate dai curdi - di alcune forme di autonomia, così come avviene nei nostri Paesi. Dobbiamo ottenere la garanzia che non esistano forme di persecuzione del dissenso di carattere politico e culturale e che l'autorità giudiziaria e l'autorità di polizia siano allineate rispetto alla concezione democratica che, almeno formalmente, viene impartita dal governo e dal parlamento di quel Paese.
Quindi, senza scoraggiare assolutamente l'aspirazione europea, occorre essere fermi nel rispetto dei citati parametri, senza accettare una frettolosa inclusione fino a che tali nodi non siano sciolti da quel Paese. È necessario trovare nella Costituzione europea un esplicito riferimento al rispetto di alcuni valori...

PRESIDENTE. Onorevole Forlani, concluda.

ALESSANDRO FORLANI. ...o, quantomeno, la salvaguardia delle normative statali che riconoscano tali valori: il diritto alla vita, il diritto all'integrità della famiglia, il sostegno alla famiglia e al concetto tradizionale di famiglia, la tutela della vita nell'ambito della sperimentazione e della ricerca, il rispetto - anche nella Costituzione - delle radici giudaico-cristiane. Questo rappresenta un modo, senza voler essere causa di esclusione di altre culture, per ribadire i principi fondamentali cui si ispira l'Europa o, comunque, se ciò non fosse possibile, come ribadito nella nostra mozione, per riconoscere il mutuo rispetto fra le culture.
Vorremmo sottolineare, quindi, tali elementi nell'ambito di un nuovo trattato e nell'ambito di una revisione del Trattato costituzionale, che auspichiamo possa essere finalmente adottato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Falomi, che illustrerà anche la mozione Migliore ed altri n. 1-00178, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, prendo la parola per illustrare la mozione presentata dal gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, riservandoci di convergere, a conclusione del dibattito, su un testo condiviso da tutte le altre forze della maggioranza.
I festeggiamenti per il cinquantenario dei Trattati di Roma sono ormai da tempo alle nostre spalle. Dichiarazioni e discorsi ufficiali e seminari non hanno lasciato finora - e non lasciano ancora intravedere - una strada che si possa seguire per uscire dallo stallo in cui si trova oggi il cammino dell'integrazione europea.
Nella vicenda storica dalla costruzione dell'Europa non è la prima volta che ciò accade. In altre occasioni vi sono state serie battute d'arresto.
L'impressione, tuttavia, è che questa volta la crisi sia più seria che in altre occasioni. In passato, la scarsa partecipazione popolare al processo di costruzione dell'Europa e il suo carattere elitario, chiuso nelle trattative diplomatiche fra gli Stati nazionali, dava alle fasi di interruzione del processo di integrazione un carattere meno drammatico e consentiva, con più facilità, di trovare i compromessi necessari a riprendere, a piccoli passi, il cammino. Basti pensare al fallimento, a metà degli anni Cinquanta, del progetto della Comunità europea di difesa, un'opzione dichiaratamente politica di costruzione dell'Europa, e alla facilità con cui si passò alla meno ambiziosa opzione di mercato, sancita dai Trattati di Roma del 1957. Tale dibattito ebbe scarso rilievo presso le opinioni pubbliche e tra i partiti degli Stati nazionali.
Ciò che fa la differenza tra allora e oggi e che rende l'uscita dalla crisi molto più ardua, a mio avviso, sta nell'irruzione, via via crescente, della partecipazione democratica dei cittadini europei nel processo di costruzione dell'Europa. La nascita di un Parlamento europeo eletto a suffragio universale, la crescita dei poteri e delle competenze ad esso assegnate, il lento, ancorché insufficiente, spostamento del punto di equilibrio tra le istituzioni europee verso di esso, le prime (anche sePag. 12ancora limitate) esperienze di partecipazione diretta dei cittadini alla definizione di decisioni importanti per l'Europa, e il peso e la pervasività senza precedenti dei mezzi di informazione costituiscono condizioni inedite per l'edificazione della costruzione europea e rendono assai più complesso e arduo il superamento della crisi attuale.
Con ciò, ovviamente, non si vuole dire che la partecipazione popolare costituisca un ostacolo per il cammino dell'unità europea. Al contrario - ne sono profondamente convinto - solo allargando, estendendo e approfondendo la partecipazione dei cittadini alle scelte che li riguardano, sarà possibile restituire un nuovo slancio al cammino della costruzione dell'Europa e concludere il processo per una nuova Costituzione europea. Quanto più le istituzioni (e i processi necessari per rafforzarle) sono strutturati dalla partecipazione popolare e da una democrazia veramente inclusiva, tanto più saranno posti sul cammino dell'Europa questioni, problemi, esigenze e domande a cui la vecchia Europa degli Stati nazionali, degli «addetti ai lavori» e della burocrazia comunitaria, non appare in grado di dare una risposta. Credo che sia finita l'epoca felice dell'Europa degli Stati nazionali e l'enfasi retorica degli anniversari e delle commemorazioni non riuscirà a riportarla in vita.
La doppia bocciatura, francese e olandese, del progetto di Trattato costituzionale (qualunque giudizio se ne dia) può costituire, ove se ne voglia trarre l'indispensabile lezione, un punto di svolta importante nella vicenda europea. Ciò può accadere a condizione, innanzitutto, che si comprenda la natura del segnale che i cittadini francesi e olandesi hanno voluto inviare con il loro rifiuto del Trattato costituzionale. Altre volte il campanello d'allarme è suonato, ma non se ne è voluta trarre alcuna lezione. Penso all'impressionante astensione dal voto - meno del 50 per cento - nelle due ultime elezioni per il Parlamento europeo. Si tratta di segnali di malessere profondo, che danno conto di un mutamento di clima generale, nel quale arranca, sempre più a fatica, la costruzione dell'Europa.
Nel corso degli anni, dopo le tragedie ed i lutti delle due guerre mondiali, sia pure all'interno dei conflitti e delle tensioni della guerra fredda, un prolungato periodo di crescita economica e di pace aveva contribuito a creare, nell'opinione pubblica europea, un sentimento di fiducia nell'avvenire, di cui aveva beneficiato la stessa idea di Europa. Si trattava di una fiducia nell'avvenire che non era solo il prodotto immediato e diretto del processo di costruzione europea: fino alla caduta del muro di Berlino nel 1989, infatti, la pace in Europa non poggiava soltanto sul superamento di rivalità secolari, attraverso la messa in comune di rilevanti interessi economici.
L'equilibrio del terrore, costruito su scala globale dalla guerra fredda Unione Sovietica-Stati Uniti, ha contribuito anch'esso, a suo modo, in modo certamente distorto, a stabilizzare sul continente europeo un periodo di pace. Anche la prosperità economica del secondo dopoguerra, non scaturisce semplicemente come conseguenza diretta dell'avanzare del processo di costruzione del mercato unico. Essa è figlia, altresì, della resistenza opposta, all'interno dei singoli Stati nazionali europei, all'importazione dagli Stati Uniti di un modello di sviluppo economico fondato sull'illimitata libertà dell'impresa. I consistenti aiuti economici del piano Marshall, oltre 25 miliardi di dollari, furono, infatti, erogati mentre la guerra fredda prendeva avvio, ponendo molti e pesanti condizionamenti.
Il modello sociale europeo, cioè, non nasce dai Trattati del 1957. Nasce e si fa strada, in ciascun Paese europeo, all'interno di conflitti che oppongono capitalismo e forze politiche e sociali, espressione del movimento operaio, che non a caso guardano con preoccupazione e sospetto all'avvio del processo di integrazione europea. Cosa resta oggi di quel sentimento di fiducia nell'avvenire? Credo che rimanga poco. Oggi, in Europa, il sentimento che appare prevalente è la paura ePag. 13l'insicurezza del futuro. Tra i giovani sembrano prendere il sopravvento la consapevolezza e la paura che nel futuro staranno peggio dei loro padri e delle loro madri. Avere fiducia nel futuro diventa sempre più un difficile esercizio di ottimismo della volontà, a cui il pessimismo della ragione oppone una fortissima resistenza.
È difficile pensare che l'Europa continui a godere dello stesso periodo di pace che è alle nostre spalle, mentre terrorismo e guerra preventiva, in una spirale perversa, si alimentano a vicenda, incendiando sempre più vaste regioni del mondo, alcune delle quali vitali per il nostro avvenire. Così come non è facile continuare a sperare in un futuro di prosperità e sicurezza economica, quando ti accorgi che le basi su cui hai costruito il benessere degli europei, sono oggi messe radicalmente in discussione: migrazioni massicce che premono alle porte dell'Europa, originate da paesi impoveriti, da meccanismi di redistribuzione della ricchezza e da regole di scambi internazionali profondamente ingiuste ed ineguali, mutamenti climatici e devastazioni ambientali che mettono in serio dubbio il nostro modo di produrre e di consumare, i nostri sistemi di tutela di lavoro e di protezione sociale, apertamente contestati da un processo di globalizzazione, che mette al centro di tutto l'impresa e la sua assoluta libertà di movimento e di decisione, delocalizzazione di attività produttive a cui non fa riscontro la nascita di nuovi e migliori posti di lavoro.
Sono queste, credo, le paure che alimentano nei cittadini europei quel sentimento di insicurezza nel futuro che caratterizza, oggi, il clima generale in cui l'Europa deve riprendere, invece, il suo cammino. È del tutto evidente che, in questa temperie, è la politica che deve riprendersi il posto che le spetta nel processo di avanzamento dell'integrazione europea. È la politica, infatti, che può dare risposte giuste e concrete alle paure, agli interrogativi e alle incertezze che aumentano nelle società dell'Europa. Deve trattarsi, tuttavia, di una politica che sia capace di uscire dagli angusti confini degli Stati nazionali e che sappia assumere l'orizzonte europeo come riferimento fondamentale del proprio agire. Bisogna, in sostanza, prendere atto del carattere illusorio di un processo di integrazione affidato alla logica delle cose, allo spontaneo trascendimento della dinamica del mercato in dinamiche politiche. Non è in discussione la cultura dei piccoli passi, che ha guidato per anni il processo di costruzione dell'Europa. Il problema è che i piccoli passi non possono essere indicati soltanto dal mercato e dalle sue logiche, ma devono essere passi di qualità diversa, sociali, politici e culturali.
Credo che il primo compito di una politica europeista sia oggi superare il contrasto stridente, squadernato dalla disaffezione, se non dalla contrarietà verso l'Europa, mostrato da settori rilevanti della società europea, tra il modo in cui le istituzioni dell'Europa sono andate strutturandosi e sviluppandosi e, invece, il modo in cui l'Europa appare agli occhi degli europei. Da troppo tempo l'Unione europea si presenta ai suoi cittadini con il volto e la logica inesorabile del mercato e del liberismo, della riduzione delle spese sociali, del ridimensionamento del welfare e delle tutele per chi lavora, della centralità di un'impresa libera da ogni responsabilità collettiva e che scarica sulle scarse risorse degli Stati e sui lavoratori tutti i costi sociali e finanziari della sua illimitata libertà.
L'Europa, a torto o a ragione, è stata - e viene percepita da fasce non indifferenti della popolazione europea - come il cavallo di Troia attraverso cui, negli Stati nazionali, vengono messe sotto attacco le basi della prosperità intesa in senso ampio, che non si misura soltanto con gli indici di crescita del prodotto interno lordo. Più che un modello di cooperazione, l'Europa appare un modello di competizione, in cui le diversità dei sistemi di protezione sociale, dei sistemi fiscali e dei regimi di tutela del lavoro vengono giocate le une contro le altre, in una logica al ribasso che impoverisce gli Stati, riducendone le capacità di intervento, e che accrescePag. 14la precarietà e l'incertezza dei cittadini. Si giustifica tutto questo in nome della necessità di rispondere alle sfide della globalizzazione, ma la globalizzazione non è un fenomeno naturale! È una costruzione umana, che agisce e si sviluppa secondo regole stabilite dall'uomo. Tali regole possono essere cambiate e l'Europa può svolgere, in questo senso, un ruolo decisivo per se stessa e per il futuro del pianeta. Un'altra idea di Europa può fare di essa la protagonista di un'altra idea di globalizzazione.
Per questo motivo, rispondere alle sfide della globalizzazione non può significare la trasposizione su scala europea del modello di globalizzazione imposto al mondo dalle grandi istituzioni internazionali dominate dagli USA (Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, WTO). Se di ciò si trattasse, sarebbe la cancellazione dell'identità europea e la sua omologazione ad un modello altro che azzera un tratto importante della sua storia, della sua cultura, dei suoi valori e della sua idea di progresso. Nella sua visione del futuro, l'Europa può farsi promotrice di un'altra idea di mondializzazione, di un altro mondo possibile, nel quale l'accento è posto sulle relazioni comunitarie più che sull'esasperazione dell'individualismo; sulla diversità culturale più che sull'assimilazione forzosa; sulla qualità della vita più che sull'accumulazione di ricchezze; sulla sostenibilità dello sviluppo più che sulla illimitata crescita materiale; sui diritti umani universali e della natura più che sui diritti di proprietà; sulla cooperazione globale più che sull'esercizio unilaterale del potere e della forza militare; sull'impegno della comunità per correggere storture, disuguaglianze e ingiustizie più che su un approccio di mercato al miglioramento delle condizioni dei propri simili. Costruire l'Europa acquista, così, il senso della messa in cantiere di un'articolazione della globalizzazione, capace di indicare alla globalizzazione stessa un altro corso, un'altra direzione, un'altra idea e un'altra pratica del governo del mondo rispetto alle logiche disgreganti dell'unipolarismo di matrice statunitense.
Per questo motivo, se si vuole riprendere il cammino interrotto del processo di integrazione e rimettere in piedi il processo costituente, che faccia fare all'Europa un salto di qualità, è necessario mutare il paradigma che ha informato di sé le diverse tappe della costruzione europea: la centralità assoluta del mercato e della «mano invisibile» che lo regola.
È vero che l'edificio europeo non è riducibile soltanto al mercato, alla moneta e all'economia, perché nuove competenze in materia di coesione sociale, di ricerca tecnologica, di ambiente, di politica estera e di sicurezza comune si sono andate aggiungendo, nel corso degli anni, alle materie più strettamente economiche indicate dai primi trattati. Resta tuttavia il fatto che è solo in materia di mercati, di concorrenza, di moneta e di finanza che il ruolo dell'Europa ha assunto le sembianze di una sorta di «super Stato» dai poteri regolatori molto incisivi e con meccanismi sanzionatori piuttosto persuasivi. Basta pensare molto brevemente al tema della politica economica dell'Unione europea e degli strumenti per attuarla. Essa è fondamentalmente affidata alla Banca centrale europea, ai vincoli del rapporto deficit-PIL imposti alle politiche finanziarie degli Stati membri, alle risorse proprie dell'Unione europea e al coordinamento delle politiche di sviluppo degli Stati nazionali.
Se si considera la scarsità delle risorse proprie messe a disposizione degli Stati membri per finanziare il bilancio dell'Unione e la estrema fragilità, per non dire inconsistenza, delle politiche di coordinamento dello sviluppo degli Stati membri, gli unici strumenti forti a disposizione dell'Europa per promuovere una sua politica di sviluppo restano soltanto la moneta, i ferrei vincoli imposti ai bilanci nazionali dal Patto di stabilità e dal Trattato di Maastricht, e l'obbligo vincolante del pareggio per il bilancio comunitario. Considerato che, per statuto, la Banca centrale europea, contrariamente a ciò che avviene in altre grandi macroaree del pianeta, a cominciare dagli Stati Uniti d'America, può agire sulla moneta e suiPag. 15tassi di cambio al solo scopo di tenere sotto controllo l'inflazione, non rientrando nei suoi compiti lo sviluppo e la crescita dell'occupazione, è del tutto evidente che gli unici margini di manovra per finanziare lo sviluppo e la politica degli investimenti pubblici risiedono nella compressione e riduzione delle spese sociali, nel contenimento delle retribuzioni, nella riduzione del potere contrattuale e delle tutele di chi lavora.
Si tratta, come è facile constatare, di un modello di politica economica agli antipodi di ciò che viene definito il modello sociale europeo. Si tratta di un modello di politica economica che costituisce, per questo motivo, un serio ostacolo all'avanzamento del processo unitario, sia all'interno degli Stati membri sia per quanto riguarda il loro rapporto con l'avanzamento della costruzione europea. La metafora dell'idraulico polacco, per un verso, e lo scarso entusiasmo mostrato da alcuni paesi dell'Est nei confronti del Trattato costituzionale, per un altro verso, sono espressione degli ostacoli che si frappongono ad una seria ripresa del processo costituente. Penso, ad esempio, che nella posizione di freddezza di alcuni paesi dell'Est europeo nei confronti del Trattato costituzionale ci sia anche il riflesso dell'egoismo mostrato dall'Europa a quindici nel finanziare l'allargamento ad Est. I costi dell'allargamento sono stati infatti finanziati con risorse piuttosto scarse, e la stessa affermazione possiamo fare riguardo al sostanziale fallimento della strategia di Lisbona. Non si può pretendere di diventare, in dieci anni, l'economia più dinamica e competitiva del mondo con le risorse esigue messe a disposizione dal bilancio comunitario o da bilanci nazionali stretti nella gabbia nei parametri del Patto di Maastricht.
Cambiare paradigma allora vuol dire, in concreto, assegnare alla BCE un altro ruolo e un'altra funzione, prevedendo la possibilità di utilizzare il tasso di cambio dell'euro anche per favorire sviluppo e occupazione. Vuol dire ammettere la possibilità per il bilancio comunitario di uscire dall'obbligo del pareggio per poter finanziare in deficit spese destinate agli investimenti. Vuol dire, infine, accrescere le risorse proprie dell'Unione europea, prevedendo anche imposte europee che agiscano su attività non confinabili nello spazio territoriale dei Paesi membri: penso alle transazioni finanziarie ed al tema dell'inquinamento dell'aria.
Per queste ragioni va espunta, a mio avviso, dal progetto del Trattato costituzionale la terza parte, che di quel vecchio paradigma è l'espressione più significativa. Mutamenti profondi sono necessari anche nelle politiche di settore, nelle politiche di armonizzazione delle normative in materia di lavoro: ad esempio, sarebbe un grave errore ripercorrere, come si fa con lo specifico Libro verde, strade già battute in altri Paesi, che hanno prodotto, come nel caso dell'Italia, una crescita senza precedenti del precariato, dell'insicurezza e della perdita di professionalità. È possibile riprendere oggi il cammino interrotto dal «no» francese ed olandese solo all'interno di un nuovo paradigma che muti i meccanismi e gli ingredienti del processo di costruzione dell'Europa. Non basta più la trattativa diplomatica tra Capi di Stato e di Governo: i nuovi architetti dell'Europa non possono essere più soltanto gli Stati nazionali. È necessario che nel processo di avanzamento della costruzione europea vengano immesse dosi massicce di democrazia. È solo la democrazia che può portare all'edificazione dell'Europa istanze, esigenze, interessi e valori che fino ad oggi sono stati esclusi o sono stati marginali. È con la democrazia che l'Europa può ritrovare la sua legittimazione popolare e può ricominciare a scaldare i cuori, ritrovando la fiducia in se stessa, perché capace di ridare fiducia ai cittadini.
Parlamento europeo, Parlamenti nazionali, cittadine e cittadini europei devono giocare un ruolo meno marginale e distratto, a cominciare dalla ripresa del processo costituente, necessaria a dare all'Europa la sua Costituzione.
A questo proposito, sono state avanzate proposte utili ed interessanti, che sarebbe sbagliato non prendere in considerazione.Pag. 16Mi riferisco innanzitutto alla proposta dei Federalisti europei in merito allo svolgimento di un referendum sul processo costituente, da tenersi in occasione delle prossime elezioni europee. Penso che non debba trattarsi di una mera consultazione, bensì di un vero e proprio referendum di indirizzo, approntando, per quanto riguarda l'Italia, una specifica legge costituzionale che lo consenta. Scopo di tale referendum - o di analoghi strumenti che possono essere adottati dai diversi Stati membri, in coerenza con i loro principi costituzionali - è quello di affidare al Parlamento europeo che sarà eletto nel 2009 un vero e proprio mandato costituente.
Questo significa ricominciare tutto da capo? Se le strade finora percorse non producono risultati, se continua a permanere la situazione di blocco nella quale ci troviamo, o se, come appare più probabile, ci si accontenterà di un «mini-trattato» con ambizioni più limitate rispetto a quelle di una vera Costituzione democratica, allora non credo che esistano alternative migliori di quella prospettata. Sarebbe inoltre un bel modo di dire ciò che comunque va detto, e cioè che nell'Europa del futuro il Parlamento europeo avrà quel ruolo centrale che hanno avuto ed hanno tuttora i Parlamenti degli Stati nazionali.
Affidare al Parlamento europeo il compito di elaborare la legge fondamentale dell'Europa, la sua Costituzione, significa affermare che il cuore pulsante della futura democrazia europea starà nel suo Parlamento, e che è ad esso che debbono fare capo i compiti fondamentali di indirizzo e di legislazione europei. Credo che, quanto più affideremo il nostro futuro ad una nuova e avanzata democrazia europea, tanto più emergerà un'idea dell'Europa maggiormente corrispondente alla sua storia, alla sua cultura e ai suoi valori.

PRESIDENTE. Avverto che è stata testè presentata la mozione De Zulueta ed altri n. 1-00181, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà discussa congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
È iscritta a parlare l'onorevole De Zulueta, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00181. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante TANA DE ZULUETA. Signora Presidente, la discussione di oggi - oltre ad essere prima firmataria della mozione da lei menzionata, ho anche firmato la mozione Ranieri ed altri n. 1-00179 - avviene a pochi giorni da un analogo dibattito svoltosi al Parlamento europeo, in cui, con una maggioranza di oltre due terzi, i nostri colleghi di Bruxelles hanno ribadito il proprio sostegno al contenuto del Trattato costituzionale. Come noi, anch'essi sono partiti da una premessa: l'accordo che verrà non potrà non tener conto delle ratifiche già avvenute o in corso d'opera, che coinvolgono ben oltre la metà dei cittadini e dei governi europei. Di conseguenza, se aprono ad una forma diversa rispetto a quella della Costituzione - sembra essere questa l'intenzione dei maggiori governi europei - allo stesso tempo insistono - come si fa nella mozione che ho presentato insieme ai colleghi aderenti all'intergruppo Federalista europeo - sul mantenimento di tutti i principi basilari contenuti nel Trattato costituzionale, che il Parlamento ha già approvato nella scorsa legislatura.
Un trattato semplificato ed alleggerito delle sue parti ridondanti non deve e non può essere un trattato «mini», nel senso di minimo. Su questo punto la discussione di Bruxelles ha fatto chiarezza: quello in atto è e rimane il processo costituzionale europeo. Usando le stesse parole di Romano Prodi, la commissaria Margot Wallström, presente in aula, parlando a nome della Commissione europea, ha ribadito che il minimo comun denominatore «non sarà sufficiente», con una importante messa in guardia: la Costituzione - ha ricordato - è il frutto di un compromesso difficile e da migliorare, ma facilmente smantellabile.
Il nostro obiettivo, con la mozione che abbiamo presentato, è quello di evitarePag. 17questo smantellamento, una sorta di controriforma intergovernativa, motivata dagli insuccessi dei referendum nazionali in Francia ed in Olanda. È dunque un po' a malincuore che appoggiamo l'invito alla Presidenza tedesca a convocare una Conferenza intergovernativa con il compito di stilare una revisione del testo.
A malincuore, perché la Convenzione che scrisse il testo della Costituzione ha creato un importante precedente, consentendo, con la partecipazione dei Parlamenti nazionali insieme a quello europeo, una legittimità democratica ed un grado di trasparenza molto maggiori rispetto al metodo intergovernativo ed anche - me lo consenta, signor rappresentante del Governo - una maggiore efficacia.
La Convenzione riuscì là dove i Governi avevano fallito. Se, però, l'impianto costituzionale rimane valido, come noi con forza ribadiamo, ben venga una Conferenza che conduca in tempi certi e rapidi alla ridefinizione di un testo, prima della fine dell'anno in corso. L'obiettivo deve essere quello di ultimare il processo di ratifica del nuovo Trattato entro la fine del 2008, in modo da investire il Parlamento europeo che verrà eletto nel 2009 dei nuovi poteri che la Costituzione gli affida.
Il Parlamento europeo ha chiesto di più, e cioè che la procedura di ratifica venga coordinata dai Governi europei affinché il processo si concluda simultaneamente. Non c'è dubbio che il valore simbolico di quest'atto simultaneo sarebbe enorme, ma non così forte, comunque, come la proposta del Movimento federalista europeo di sottoporre il progetto di Costituzione, semplificato e migliorato, al giudizio dei cittadini mediante un referendum consultivo europeo abbinato alle elezioni del Parlamento europeo del 2009.
Tale proposta, che può sembrare utopistica, ha il merito di prevedere una procedura di ratifica a maggioranza di Stati e cittadini. Se i Governi europei adottassero tale percorso, i paesi nei quali l'esito della consultazione risultasse positivo sarebbero autorizzati a ratificare la Costituzione, mentre quelli in cui risultasse negativo avrebbero la possibilità di una seconda consultazione, senza bloccare il processo di consolidamento europeo. Fantapolitica? Forse, ma il rischio che non si riesca a raggiungere l'unanimità su un testo valido e per noi accettabile è, purtroppo, reale (ma di ciò vi sarà tempo di discutere).
La mozione di cui sono prima firmataria contiene indicazioni molto chiare al Governo, con un elenco stringato delle iniziative che riteniamo imprescindibili. Per quanto riguarda il mandato della futura Conferenza intergovernativa, voglio sottolineare che quando parliamo di mantenimento della Carta dei diritti fondamentali intendiamo la sua inclusione nel Trattato, al fine di garantire - così come ha ribadito il Parlamento europeo - il suo valore giuridico vincolante: un'Europa vera potenza di pace si costruisce su questa base.
Vorrei anche, perché ciò rimanga agli atti, elencare le altre questioni che riteniamo irrinunciabili. In primo luogo, chiediamo che venga tutelata la supremazia del diritto comunitario sulle legislazioni nazionali (ed è ben strano che tale principio sia stato rimesso in discussione negli ultimi tempi). Vogliamo, inoltre, la personalità giuridica dell'Unione, il recepimento con efficacia giuridica, come detto, della Carta dei diritti fondamentali, i nuovi strumenti di democrazia partecipativa, introdotti nel Trattato costituente approvato e, in particolare, il dialogo e l'iniziativa legislativa dei cittadini con la società civile: sarebbe infatti davvero un peccato perdere il forte progresso sin qui realizzato. Chiediamo, ancora, il presidente stabile del Consiglio europeo, il ministro degli esteri dell'Unione, il sistema di decisione a doppia maggioranza e la più ampia estensione del voto a maggioranza qualificata, soprattutto in materia di politiche dell'immigrazione, energetiche e, sottolineo, ambientali (vi sono, infatti, propositi molto ambiziosi da parte del Consiglio europeo per una riduzione dei gas serra, ma senza una struttura politica dell'Unione in grado di reggere un percorso decisionale più certo non riusciremo a realizzare questi obiettivi),Pag. 18la cooperazione strutturata nella politica di sicurezza e difesa, le relazioni speciali con i paesi vicini.
Così come ha fatto il Parlamento europeo, chiediamo al Governo, ove i suddetti obiettivi non fossero conseguiti, di non accettare compromessi al ribasso e di promuovere un gruppo di avanguardia fra i Paesi che risultino concordi nella volontà di costruire l'unione politica, ferma restando l'apertura a successive partecipazioni dei Paesi che lo richiedessero.
Per quanto riguarda la questione dell'allargamento, affrontata anche da altre mozioni, riteniamo che il percorso costituente in atto sia la migliore garanzia per un allargamento ordinato e rispettoso dei criteri di Copenaghen.
TANA DE ZULUETA. Signora Presidente, la discussione di oggi - oltre ad essere prima firmataria della mozione da lei menzionata, ho anche firmato la mozione Ranieri ed altri n. 1-00179 - avviene a pochi giorni da un analogo dibattito svoltosi al Parlamento europeo, in cui, con una maggioranza di oltre due terzi, i nostri colleghi di Bruxelles hanno ribadito il proprio sostegno al contenuto del Trattato costituzionale. Come noi, anch'essi sono partiti da una premessa: l'accordo che verrà non potrà non tener conto delle ratifiche già avvenute o in corso d'opera, che coinvolgono ben oltre la metà dei cittadini e dei governi europei. Di conseguenza, se aprono ad una forma diversa rispetto a quella della Costituzione - sembra essere questa l'intenzione dei maggiori governi europei - allo stesso tempo insistono - come si fa nella mozione che ho presentato insieme ai colleghi aderenti all'intergruppo Federalista europeo - sul mantenimento di tutti i principi basilari contenuti nel Trattato costituzionale, che il Parlamento ha già approvato nella scorsa legislatura.
Un trattato semplificato ed alleggerito delle sue parti ridondanti non deve e non può essere un trattato «mini», nel senso di minimo. Su questo punto la discussione di Bruxelles ha fatto chiarezza: quello in atto è e rimane il processo costituzionale europeo. Usando le stesse parole di Romano Prodi, la commissaria Margot Wallström, presente in aula, parlando a nome della Commissione europea, ha ribadito che il minimo comun denominatore «non sarà sufficiente», con una importante messa in guardia: la Costituzione - ha ricordato - è il frutto di un compromesso difficile da migliorare, ma facilmente smantellabile.
Il nostro obiettivo, con la mozione che abbiamo presentato, è quello di evitarePag. 17questo smantellamento, una sorta di controriforma intergovernativa, motivata dagli insuccessi dei referendum nazionali in Francia ed in Olanda. È dunque un po' a malincuore che appoggiamo l'invito alla Presidenza tedesca a convocare una Conferenza intergovernativa con il compito di stilare una revisione del testo.
A malincuore, perché la Convenzione che scrisse il testo della Costituzione ha creato un importante precedente, consentendo, con la partecipazione dei Parlamenti nazionali insieme a quello europeo, una legittimità democratica ed un grado di trasparenza molto maggiori rispetto al metodo intergovernativo ed anche - me lo consenta, signor rappresentante del Governo - una maggiore efficacia.
La Convenzione riuscì là dove i Governi avevano fallito. Se, però, l'impianto costituzionale rimane valido, come noi con forza ribadiamo, ben venga una Conferenza che conduca in tempi certi e rapidi alla ridefinizione di un testo, prima della fine dell'anno in corso. L'obiettivo deve essere quello di ultimare il processo di ratifica del nuovo Trattato entro la fine del 2008, in modo da investire il Parlamento europeo che verrà eletto nel 2009 dei nuovi poteri che la Costituzione gli affida.
Il Parlamento europeo ha chiesto di più, e cioè che la procedura di ratifica venga coordinata dai Governi europei affinché il processo si concluda simultaneamente. Non c'è dubbio che il valore simbolico di quest'atto simultaneo sarebbe enorme, ma non così forte, comunque, come la proposta del Movimento federalista europeo di sottoporre il progetto di Costituzione, semplificato e migliorato, al giudizio dei cittadini mediante un referendum consultivo europeo abbinato alle elezioni del Parlamento europeo del 2009.
Tale proposta, che può sembrare utopistica, ha il merito di prevedere una procedura di ratifica a maggioranza di Stati e cittadini. Se i Governi europei adottassero tale percorso, i paesi nei quali l'esito della consultazione risultasse positivo sarebbero autorizzati a ratificare la Costituzione, mentre quelli in cui risultasse negativo avrebbero la possibilità di una seconda consultazione, senza bloccare il processo di consolidamento europeo. Fantapolitica? Forse, ma il rischio che non si riesca a raggiungere l'unanimità su un testo valido e per noi accettabile è, purtroppo, reale (ma di ciò vi sarà tempo di discutere).
La mozione di cui sono prima firmataria contiene indicazioni molto chiare al Governo, con un elenco stringato delle iniziative che riteniamo imprescindibili. Per quanto riguarda il mandato della futura Conferenza intergovernativa, voglio sottolineare che quando parliamo di mantenimento della Carta dei diritti fondamentali intendiamo la sua inclusione nel Trattato, al fine di garantire - così come ha ribadito il Parlamento europeo - il suo valore giuridico vincolante: un'Europa vera potenza di pace si costruisce su questa base.
Vorrei anche, perché ciò rimanga agli atti, elencare le altre questioni che riteniamo irrinunciabili. In primo luogo, chiediamo che venga tutelata la supremazia del diritto comunitario sulle legislazioni nazionali (ed è ben strano che tale principio sia stato rimesso in discussione negli ultimi tempi). Vogliamo, inoltre, la personalità giuridica dell'Unione, il recepimento con efficacia giuridica, come detto, della Carta dei diritti fondamentali, i nuovi strumenti di democrazia partecipativa, introdotti nel Trattato costituente approvato e, in particolare, il dialogo e l'iniziativa legislativa dei cittadini con la società civile: sarebbe infatti davvero un peccato perdere il forte progresso sin qui realizzato. Chiediamo, ancora, il presidente stabile del Consiglio europeo, il ministro degli esteri dell'Unione, il sistema di decisione a doppia maggioranza e la più ampia estensione del voto a maggioranza qualificata, soprattutto in materia di politiche dell'immigrazione, energetiche e, sottolineo, ambientali (vi sono, infatti, propositi molto ambiziosi da parte del Consiglio europeo per una riduzione dei gas serra, ma senza una struttura politica dell'Unione in grado di reggere un percorso decisionale più certo non riusciremo a realizzare questi obiettivi),Pag. 18la cooperazione strutturata nella politica di sicurezza e difesa, le relazioni speciali con i paesi vicini.
Così come ha fatto il Parlamento europeo, chiediamo al Governo, ove i suddetti obiettivi non fossero conseguiti, di non accettare compromessi al ribasso e di promuovere un gruppo di avanguardia fra i Paesi che risultino concordi nella volontà di costruire l'unione politica, ferma restando l'apertura a successive partecipazioni dei Paesi che lo richiedessero.
Per quanto riguarda la questione dell'allargamento, affrontata anche da altre mozioni, riteniamo che il percorso costituente in atto sia la migliore garanzia per un allargamento ordinato e rispettoso dei criteri di Copenaghen.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Razzi. Ne ha facoltà.

ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, care colleghe e cari colleghi, intervengo sulle mozioni al nostro esame con alcune considerazioni di carattere generale.
Sono convinto che il processo di unificazione europea sia il viaggio più impegnativo che la nostra generazione deve compiere, e credo sia il viaggio il vero obiettivo, piuttosto che il risultato finale, ossia la firma del Trattato che ha adottato una Costituzione per l'Europa, al quale giungeremo - ne sono convinto - ma con il concorso di tutti: i parlamentari europei, i parlamentari nazionali degli Stati membri, la società civile e i cittadini dei Paesi membri.
Se c'è una cosa che ho imparato nella mia esperienza di emigrazione è che quello che è fondamentale nel viaggio è rimanere sempre se stessi, guardando ciò che ci riserva il viaggio con curiosità ed entusiasmo. Il viaggio mette alla prova la nostra capacità di essere uomini aperti, sensibili ma anche consapevoli, e con una propria identità e cultura. In questo lungo viaggio, che ci condurrà ad avere una Costituzione europea, abbiamo incontrato molti vantaggi ma anche alcuni ostacoli; ma il buon viaggiatore, il migrante, porta con sé una bussola che può orientarlo: è la bussola dei suoi valori, che lo hanno reso persona completa ed intelligente. In Svizzera, l'intelligenza è definita in questo modo: la capacità di sapersi adeguare alle diverse circostanze che si incontrano. Credo che tale capacità sia più forte se la nostra personale bussola dei valori ci indica dov'è il sud e dov'è il nord.
Discutiamo oggi di sostenere l'attuale Troika, composta da Portogallo, Germania e Slovenia, dopo i solenni impegni assunti con la Dichiarazione di Berlino. Continuare il processo di allargamento costituisce un'altra tappa del viaggio. Ritengo - pur sentendomi profondamente italiano, come tanti altri miei connazionali che vivono in Europa - che sia nostro compito domandare più attenzione rispetto a valori quali la famiglia, i diritti umani, la pace, la cura dell'ambiente, le libertà fondamentali previste dall'accordo di Copenhagen. Infatti, dobbiamo avere il coraggio di affermare tali valori, ossia quelli che sono presenti nella Costituzione italiana e che ci rendono degni di rispetto in tutto il mondo, non portando avanti crociate e imponendoli a tutti i costi come i migliori, ma spiegandoli con umiltà e semplicità.
Ciò perché il processo di unificazione rappresenta oggi il valore più importante, il valore principale, rappresenta il viaggio. Nel viaggio potremo incontrare altri Paesi, ed è giusto che ciascuno decida i tempi e la «lentezza» del proprio ingresso. Infatti, credo che a volte sia preferibile la lentezza nel raggiungere certi traguardi, piuttosto che la velocità nel bruciare alcune tappe. I negoziati tuttora in piedi devono costituire una buona occasione da cogliere, tra amici.
In questo caso credo che ci dimostriamo buoni amici se chiediamo il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali come base essenziale dei negoziati. I veri amici si riconoscono per il fatto che, a volte, sanno pretendere rispetto. Quelli che dicono sempre sì, senza condizioni, spesso sono amici interessati. Noi italiani sappiamo essere buoniPag. 19amici, con valori sani e pazienza: forse è proprio quello di cui ha bisogno oggi l'Europa.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
Ha facoltà di parlare il Viceministro degli affari esteri, Ugo Intini.

UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato, in data 30 maggio 2007, ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per le questioni regionali il senatore Massimo Fantola, in sostituzione del senatore Marco Follini, dimissionario.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 12 giugno 2007, alle 11,30:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Misure per il cittadino consumatore e per agevolare le attività produttive e commerciali, nonché interventi in settori di rilevanza nazionale (Testo risultante dallo stralcio degli articoli 28, 29, 30 e 31 del disegno di legge n. 2272, deliberato dall'Assemblea il 17 aprile 2007) (2272-bis-A).
- Relatore: Lulli.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1332 - Delega legislativa per il recepimento delle direttive 2002/15/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004 e 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, nonché per l'adozione delle disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 191, di attuazione della direttiva 2002/98/CE (Approvato dal Senato) (2600).
- Relatore: Del Mese.

3. - Seguito della discussione della proposta di legge:
FRANCESCHINI ed altri: Norme in materia di conflitti di interessi dei titolari di cariche di Governo. Delega al Governo per l'emanazione di norme in materia di conflitti di interessi di amministratori locali, dei presidenti di regione e dei membri delle giunte regionali (1318-A).
- Relatore: Violante.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Maroni ed altri n. 1-00050, Volontè ed altri n. 1-00161, Migliore ed altri n. 1-00178, Ranieri ed altri n. 1-00179, Zacchera ed altri n. 1-00180 e De Zulueta ed altri n. 1-00181 sul rilancio del processo di integrazione e sull'allargamento dell'Unione europea.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Gibelli ed altri n. 1-00024, Capitanio Santolini e Volontè n. 1-00165, Bertolini ed altri n. 1-00168, Frassinetti ed altri n. 1-00169 e Froner ed altri n. 1-00175 sulla riorganizzazione del sistema scolastico italiano in relazione al fenomeno dell'immigrazione.

6. - Seguito della discussione dei disegni di legge:
Ratifica ed esecuzione della Convenzione consolare tra la Repubblica italianaPag. 20e la Repubblica di Cuba, fatta a Roma il 12 marzo 2001 (1874-A).
- Relatore: Marcenaro.
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica dello Yemen sulla promozione e protezione degli investimenti, fatto a Roma il 25 novembre 2004 (2069).
- Relatore: Paoletti Tangheroni.
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di coproduzione audiovisiva tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dell'India, fatto a Roma il 13 maggio 2005 (2071-A).
- Relatore: Mattarella.

7. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Differimento del termine per l'esercizio della delega di cui all'articolo 4 della legge 1o febbraio 2006, n. 43, recante istituzione degli Ordini delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione (1609).
- Relatore: Grassi.

(al termine delle votazioni)

8. - Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
Delega al Governo per la revisione della disciplina relativa alla titolarità ed al mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione al pubblico, in sede radiotelevisiva e su altre reti di comunicazione elettronica, degli eventi sportivi dei campionati e dei tornei professionistici a squadre e delle correlate manifestazioni sportive organizzate a livello nazionale (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (1496-B).
- Relatore: Folena.

La seduta termina alle 16,40.