XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 129 di lunedì 19 marzo 2007

[frontespizio]
[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
[indice alfabetico]
[indice cronologico]
[vai al resoconto sommario]
[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI

La seduta comincia alle 16,05.

RINO PISCITELLO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 12 marzo 2007.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Albonetti, Amato, Aprea, Bersani, Bindi, Boco, Bonino, Capodicasa, Ceccuzzi, Cento, Chiti, Colucci, Damiano, D'Antoni, De Piccoli, Del Mese, Di Pietro, Donadi, Duilio, Fabbri, Fioroni, Folena, Cinzia Maria Fontana, Forgione, Franceschini, Galante, Gentiloni Silveri, Landolfi, Lanzillotta, Levi, Melandri, Minniti, Morrone, Mussi, Leoluca Orlando, Pagliarini, Parisi, Pecoraro Scanio, Pisicchio, Pollastrini, Prodi, Realacci, Rutelli, Santagata, Sgobio, Tremonti, Visco ed Elio Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione delle mozioni Bimbi ed altri n. 1-00113, Gozi ed altri n. 1-00114, Elio Vito ed altri n. 1-00120 e Maroni e Pini n. 1-00123 sul rilancio del processo costituzionale europeo e dell'azione dell'Unione europea (ore 16,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Bimbi ed altri n. 1-00113, Gozi ed altri n. 1-00114, Elio Vito ed altri n. 1-00120 e Maroni e Pini n. 1-00123 sul rilancio del processo costituzionale europeo e dell'azione dell'Unione europea (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Volontè ed altri n. 1-00125, Zacchera e La Russa n. 1-00126 e D'Elia ed altri n. 1-00127 (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno discusse congiuntamente.
Avverto inoltre che la mozione Bimbi ed altri n. 1-00113 è stata riformulata dai presentatori. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Bimbi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00113 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

FRANCA BIMBI. Signor Presidente, nel cinquantesimo anniversario della firma deiPag. 2trattati istitutivi della Comunità europea, sottoscritti a Roma il 25 marzo 1957, molte saranno le interpretazioni della storia, dei risultati, delle difficoltà, degli insuccessi e delle prospettive di un percorso che comunque si è fatto, spesso al di là delle intenzioni immediate dei proponenti per quel che riguarda ogni singolo passo, ma talvolta superando persino le speranze più grandi di coloro che, spesso inascoltati, avevano gettato più volte il cuore oltre l'ostacolo. Oggi ci troviamo in attesa di una dichiarazione di Berlino che, nel giorno del cinquantesimo anniversario, rilancerà il processo costituzionale europeo. Si tratta di un rilancio che appare a tutti necessario, come minimo per la velocità dei mutamenti interni ed internazionali che sfidano l'Europa sul versante dell'integrazione e della susseguente capacità di presentarsi unita rispetto alle strategie di coesione sociale, di allargamento, delle politiche commerciali e, non da ultimo, di costruzione della pace.
L'urgenza di riprendere il cammino deriva anche dai ritardi e dalle discontinuità. Ricordiamo, come ha fatto il Presidente Napolitano nel suo recente intervento a Strasburgo, che il 14 febbraio del 1984 il Parlamento europeo votò - a larghissima maggioranza - un progetto di Trattato istitutivo dell'Unione europea che configurava un'entità politica a connotazione federale progressiva, identificando competenze esclusive e concorrenti dell'Unione in base a quel principio di sussidiarietà che fonda ogni approccio genuinamente federalista, ma anche volendo rafforzare quel cardine della sovranazionalità delle Comunità che ne costituisce la caratteristica più innovativa nel campo del diritto internazionale.
Non è indifferente sottolineare, in questa sede parlamentare, la funzione propulsiva del Parlamento europeo, capace di una sintesi spesso più coraggiosa di quella dei Governi, nonostante l'iniziativa importante costituita dal piano Genscher-Colombo appena precedente il tentativo di Spinelli, e comunque anticipatrice del percorso che, attraverso l'Atto unico, Maastricht ed Amsterdam, costituzionalizza, in parte di diritto ma ancor più di fatto, l'Unione europea, auspice la rinnovata cultura comunitaria rappresentata dalla Presidenza Delors.
Ma l'accelerazione del processo di costruzione dell'Europa è scattata soprattutto in base e per necessità legate a processi storici profondi che segnano discontinuità politiche e sociali largamente impreviste, sopravvenute dalla fine degli anni ottanta agli inizi degli anni novanta, che ancora influenzano il nostro agire politico: la caduta del muro di Berlino, i rischi per la pace, la globalizzazione. Da questi punti di osservazione, che costituiscono ancora oggi praticamente e simbolicamente gli orizzonti dell'Europa, occorre riguardare ai risultati ottenuti, ai valori e alle prospettive future. L'Europa che qualcuno chiama «dei risultati», considerata in una prospettiva federalista che ne inglobi anche gli issue funzionalisti, deve essere vista guardando ai cinquant'anni trascorsi dai Trattati di Roma, ma avendo come riferimento gli albori del manifesto di Ventotene, nell'ottica del futuro che comunque dobbiamo anticipare. Questo respiro chiediamo che il Governo porti nella dichiarazione di Berlino e ancora di più nella predisposizione della road map dalla quale ci aspettiamo un risultato confortante per il trattato che adotta una Costituzione sull'Europa e in data certa: le elezioni europee del 2009. È questo che chiedono anche i federalisti europei che addirittura sostengono un referendum consultivo come uno dei segni di una maggiore partecipazione e presenza dei cittadini nel percorso di costituzionalizzazione.
Se guardiamo ai cinquant'anni dell'Europa con gli occhi rivolti ai presupposti di Ventotene e a quell'agenda così ricca e così impegnativa che è il trattato di Roma del 2004, sottoscritto da 27 paesi e ratificato da 18, nonostante i limiti, le difficoltà e le incertezze dobbiamo riconoscere che abbiamo contribuito a costruire un'Europa delle libertà, della pace, dei diritti, della prosperità, delle diversità e della solidarietà.Pag. 3
Su queste basi, il trattato per la Costituzione o il documento - comunque sarà denominato - che arriverà in porto nel 2009 dovrà corrispondere anche alle attese di chi, guardando soprattutto a ciò che resta da fare, chiede ai Governi un'azione per un'altra possibile Europa, che si impegni per inverare le sue promesse. Le libertà: Sappiamo che la libertà è una e che essa riposa sullo Stato di diritto e sulla certezza dei diritti e che discende dalla dignità della persona, così come definita anche dalla carta europea dei diritti.
È difficile non riconoscere che questa libertà l'abbiamo man mano riconquistata e che, purtuttavia, nel riemergere delle disuguaglianze, nell'ancora troppo debole riconoscimento dell'uguaglianza di genere e nelle vischiosità che impediscono l'esplicitarsi dei talenti e l'affermazione dei meriti, molte libertà restano appena declamate.
Così, la coniugazione della prosperità con la solidarietà, e della pace con il pieno rispetto dei diritti di ogni donna e di ogni uomo nella costruzione di una più ampia cittadinanza europea, è in parte ciò che abbiamo vissuto ma non ancora definisce, verso l'interno e verso l'esterno, quell'Europa, potenza gentile, alla quale spesso si è richiamato Romano Prodi, nelle sue vesti di Presidente della Commissione europea. Quella che abbiamo vissuto davvero è un'Europa solo dei mercati e delle istituzioni? Questa è la domanda che pone più di qualcuno. Dobbiamo rispondere «no», se guardiamo anche semplicemente agli standard di vita ritenuti normali da un giovane cittadino europeo a Roma come a Parigi, Berlino, Londra e Copenaghen, anche se proprio per i giovani, e a misura di un futuro per le giovani generazioni, devono essere ripensati il welfare europeo (nei suoi differenti modelli), le politiche del lavoro (perché la flexsecurity, senza efficaci ammortizzatori sociali, rischia di moltiplicare le disuguaglianze), gli impegni dell'agenda di Lisbona, gli impegni per le politiche energetiche e la preveggenza nelle politiche relative ai rischi ambientali e climatici.
Con questa consapevolezza, per quel che ci riguarda, ogni parte del trattato che adotta una costituzione costituisce un grande spartito, sul quale eseguire sempre più compiutamente e con più arte, oltre che con più ingegno, la musica complessiva, piuttosto che un albero da cui potare alcuni rami.
Questa è la prospettiva italiana e questo è quello che chiediamo al Governo. Inoltre, nel perseguimento della messa in prospettiva della rinnovata Europa, sono necessari tutti quegli strumenti che rendono possibile l'integrazione istituzionale: per le politiche di pace, per condurre un'efficace comune politica estera, di sicurezza e di difesa. Queste politiche devono comprendere, anche in base all'autonomia riconosciuta alle organizzazioni della società civile, la cooperazione per lo sviluppo umano e sostenibile e tutti gli strumenti per sviluppare relazioni internazionali multilaterali, anche partendo dalla capacità d'azione della società civile, che deve essere molto meno negletta e mai resa silente.
A questo punto, troviamo anche il senso dell'«anima» dell'Europa, che non sta, come vorrebbe qualcuno, nella riaffermazione apodittica di un'identità europea prefissata o in una definizione aprioristica delle radici del passato. Essa si nutre sul versante riflessivo della stessa consapevolezza della «crisi della civiltà moderna» espressa dai confinati di Ventotene, mentre sul versante propositivo può trovare una definizione compiuta nell'intervento recente del 17 gennaio della Cancelliera Angela Merkel a Strasburgo.
Da Ventotene nasce la necessità di una nuova entità sovrastatuale che superi gli egoismi nazionalisti, fonte di tutte le guerre. Merkel, più di 50 anni dopo, riferisce l'anima dell'Europa al principio della tolleranza. Si tratterebbe di una parola ambigua, se la Cancelliera non la sostanziasse di libertà, sviluppo delle diversità e rifiuto di ogni intolleranza, cioè con le parole di Ventotene: contro il «dogmatismo autoritario» si afferma oggi il «valore permanente dello spirito critico». Soprattutto, dice Merkel, la tolleranzaPag. 4esige di desiderare l'altro. In questa frase, che mi piacerebbe fosse introdotta nella dichiarazione del prossimo 25 marzo, appare la radice dell'anima dell'Europa, che intendiamo rendere più vivente oggi di ieri. L'anima dell'Europa sta in un universalismo, che custodisce la memoria dei propri orrori, per evitare la tentazione di imporre a qualcuno le proprie verità. L'anima dell'universalismo europeo sta nel riconoscimento dell'altro e, ancor più, in questo desiderio dell'altro, che fa della tolleranza una virtù esigente per chi la pratica.
Dunque, nei passaggi tecnici necessari, che illustreranno anche gli altri colleghi, chiediamo al Governo di farsi interprete di un rinnovato percorso all'autoapprendimento al divenire europei nel XXI secolo e nell'Europa a 27, verso il suo allargamento a sud, e speriamo anche a quel vicino Oriente, dove forse potremo rincontrare un pezzo non indifferente delle nostre lontane radici spirituali, di quel plurale delle diversità, che, riunito senza venire omologato, fa già l'unità dell'Europa nei voti di ciascuno di noi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00114. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Cosa dobbiamo aspettarci dalla dichiarazione di Berlino del prossimo 25 marzo? Quali sono i punti fondamentali, dal nostro punto di vista, dal punto di vista federalista, dal punto di vista di coloro che hanno sempre voluto approfondire l'integrazione politica? Certamente sarà necessario un fortissimo richiamo alle ragioni storiche e alle necessità politiche del processo di integrazione. Dobbiamo rimarcare i vantaggi concreti di cinquant'anni di integrazione. In questa dichiarazione ci dovranno essere i riferimenti all'euro, all'area Schengen, al progetto Erasmus, all'Europa dei giovani, al grande successo dell'allargamento.
Da questa dichiarazione dovremo capire che l'Europa è un grande progetto di libertà. E la libertà la si vive innanzitutto all'interno dell'Europa, in quell'area Schengen che dà attuazione a quella grande idea di «frontiere svalutate», di cui parlava Schuman nella sua dichiarazione, in cui diceva: l'Europa è innanzitutto un progetto in cui si svalutano le frontiere; in cui le frontiere non sono più un luogo di scontro; in cui «frontiera» non vuole dire più «andare al fronte», non ha più un significato di guerra, bensì di pace, di incontro e di cooperazione.
In secondo luogo, la dichiarazione dovrà indicare la necessità di una riforma istituzionale. Non è certo necessario ricordare che l'Unione europea, al momento di affrontare le grandi sfide del XXI secolo (cambiamenti climatici, immigrazione, energia, per citare solo alcuni esempi), deve oggi riformarsi. Quindi, è fondamentale che in questa dichiarazione siano contenuti il principio di una riforma istituzionale e la sua data finale. È chiaro che entro il 2009 (in seguito spiegherò perché) questo processo, almeno per quanto riguarda l'architettura istituzionale, dovrà concludersi.
Dopo la Conferenza di Berlino, la Presidenza tedesca dovrà indicare una road map, ovvero un percorso che a mio parere potrebbe essere organizzato in due aspetti distinti: uno istituzionale, più stretto, ed un altro più ampio, legato alle politiche comuni. Infatti, dobbiamo riconquistare il consenso dei francesi e degli olandesi e preparare il loro ritorno all'interno del processo costituente.
Certamente dovremo partire dal Trattato costituzionale, che deve costituire la base di partenza nonché il punto di riferimento di tutto il negoziato. L'approccio dovrà probabilmente essere diviso in due parti. Entro il 2009 dovremo concludere la riforma delle istituzioni. L'accordo sulla riforma istituzionale, che dovrebbe corrispondere al contenuto della parte I del Trattato costituzionale, dovrà essere trovato entro il 2007 o il 2008. Inoltre, prima del 2009 dovremo assumere l'impegno di affrontare nella nuova legislatura, dopo il giugno 2009, i nodi irrisolti, a cui neppure il Trattato costituzionale dà a mio parerePag. 5una risposta del tutto soddisfacente. Mi riferisco alla governance economica e sociale, o allo sviluppo sostenibile.
Nella seconda fase, dopo il giugno 2009, dovremo affrontare la riforma delle politiche comuni. In proposito, ricordo che è proprio la parte III del Trattato, relativa alle politiche comuni, quella che ha dato più problemi e che è all'origine del «no» francese. Essa dovrà essere riesaminata e valutata contestualmente alla revisione del bilancio. Tale revisione non potrà essere semplicemente qualitativa, ma anche quantitativa. Dovremo far bene presente come non sia più accettabile il tetto massimo, che andava bene per un'Unione europea a 12 paesi. Quindi, l'1,27 per cento, che nel 1992 a Fontainebleau Major poteva accettare, non può essere mantenuto dopo il 2009 in un'Unione composta da 27, 30 o addirittura 32 Paesi. Quando affronteremo la riforma delle politiche, dopo aver risolto la questione istituzionale, politiche e bilancio dovranno andare di pari passo. Il 2009 costituisce dunque un punto di arrivo (entro tale data dovremo avere risolto la questione istituzionale), ma anche un punto di partenza, in quanto dovremo avviare un processo di revisione delle politiche e del bilancio.
Vorrei ora ritornare brevemente al dopo Berlino ed al dopo 25 marzo. Il riavvio del processo deve partire dal Trattato costituzionale che, come sappiamo, è stato ratificato da 18 paesi. Essi rappresentano i due terzi degli Stati e 275 milioni di cittadini su 485, ossia il 55 per cento dei cittadini dell'Unione europea a 27 membri. Ciò significa che la maggioranza degli europei ha già ratificato il Trattato. Pertanto, esso deve costituire senza dubbio il punto di partenza. Vedremo nel corso del processo se tale Trattato potrà anche costituire il punto d'arrivo.
In ogni caso, ci sono dei punti fermi che, all'arrivo di questo percorso, dovranno esserci, e dei limiti, al di sotto dei quali noi non possiamo accettare di andare. Dobbiamo, infatti, conservare quelle riforme essenziali per il funzionamento dell'Europa. Non si parte, quindi, né dal testo di Nizza, né da ipotesi di mini trattati, ma dal Trattato costituzionale.
Quali sono le riforme irrinunciabili, dal punto di vista istituzionale, dopo Berlino? Certamente, la creazione di un ministro degli affari esteri dell'Unione. In secondo luogo, un presidente stabile del Consiglio europeo, il quale, a mio parere, dovrebbe, in prospettiva, coincidere con il presidente della Commissione (altrimenti, un domani, rischiamo di avere gli stessi problemi di coordinamento e di frammentazione che vi sono oggi tra commissario alle relazioni esterne ed altro rappresentante). Inoltre, dovremmo insistere sul voto a maggioranza, su un più chiaro sistema di ripartizione delle competenze e sul carattere giuridicamente vincolante della Carta dei diritti, sulle cooperazioni rafforzate e sulla clausola di flessibilità. In futuro, infatti, l'Europa potrà e dovrà avanzare, all'interno di un quadro istituzionale comune, attraverso iniziative di gruppi di paesi. Queste, quindi, sono le esigenze prioritarie di democrazia, di efficacia e di trasparenza, sulle quali non possiamo e non dobbiamo accettare un negoziato al ribasso.
Per quanto attiene poi al profilo politico dell'Europa, constatiamo che le istituzioni hanno corso molto più in fretta della società civile e dei partiti ed è questo scarto tra approfondimento istituzionale e approfondimento più genuinamente politico che ha prodotto il vero deficit dell'Unione, il deficit politico. I partiti europei devono rafforzarsi, superando gli schemi legati al IX secolo, e diventare, in seno al Parlamento europeo, protagonisti di alleanze e di proposte all'altezza delle nuove sfide del XI secolo. Anche da questo punto di vista, dunque, le elezioni europee sono un momento importantissimo per l'approfondimento dell'Europa politica. L'altro aspetto che non ha tenuto il passo delle istituzioni è l'Europa dei cittadini, è la cittadinanza europea.
Abbiamo preparato il Trattato costituzionale con una Convenzione, in cui partecipavano parlamentari nazionali, parlamentari europei, rappresentanti del Governo e rappresentanti delle istituzioni.Pag. 6Per una serie di motivi noti, che ho già ricordato, dobbiamo recuperare parte di quel Trattato, ma, per recuperarlo, occorre anche un coinvolgimento dei cittadini. Ecco perché nel 2009, dobbiamo coinvolgerli, non attraverso 27 referendum nazionali, ma organizzando un referendum paneuropeo. A pronunciarsi non dovranno essere i francesi o gli spagnoli in quanto tali, ma dovranno essere i francesi, gli spagnoli o gli sloveni in quanto europei. Un referendum, consultivo, paneuropeo, di questo tipo permetterebbe all'Europa di fare quel salto di qualità politico di cui abbiamo assolutamente bisogno, se vogliamo realizzare quell'Unione sempre più stretta tra i popoli europei, quell'Unione sempre più stretta tra i popoli di cui troviamo la prima menzione nel preambolo del Trattato del 1957 e che ancora dobbiamo realizzare.
Il primo presidente della Commissione europea, Walter Hallstein, diceva che, per proseguire sulla via dell'integrazione politica, dovevamo compiere un atto di coraggio. Credo che accettare un referendum europeo sarebbe un grande atto di coraggio politico, che dobbiamo compiere nel 2009.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Boniver, che illustrerà anche la mozione Elio Vito ed altri n. 1-00120, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

MARGHERITA BONIVER. Signor Presidente, onorevoli membri del Governo, colleghi, lo spirito con il quale abbiamo presentato una mozione in occasione della celebrazione del cinquantenario dei Trattati di Roma è duplice. Anzitutto, essa potrebbe essere definita, in qualche modo, una sorta di mozione degli affetti, essendo nostra intenzione sottolineare fortemente non soltanto la bontà della costruzione dell'integrazione europea, ma anche il ruolo preponderante che, in tale processo, sin dall'inizio, l'Italia ha avuto. In secondo luogo, il nostro scopo è iniziare un dibattito molto stringente sui compiti principali e sulle sfide più urgenti che l'Unione europea dovrà affrontare nei prossimi decenni.
Noi abbiamo voluto descrivere gli obiettivi politici che dovranno essere perseguiti in futuro e che sono: la solidarietà, la prosperità, la sicurezza e, soprattutto, un ruolo propulsivo più omogeneo, più riconoscibile dell'Unione europea sulla scena internazionale.
L'obiettivo della solidarietà implica la costruzione di modelli sociali sostenibili, piuttosto che l'assistenzialismo costoso e burocratico che ha in qualche modo punteggiato anche una parte della costruzione europea.
L'obiettivo sicurezza vuol dire innanzitutto difesa per i cittadini e implica soprattutto il riconoscimento dei fondamentali diritti umani: il diritto alla vita e all'incolumità fisica, contro le minacce crescenti di un terrorismo internazionale che ha fatto proprio del territorio europeo uno dei suoi obiettivi preferiti.
Sicurezza vuol dire anche protezione dei cittadini, a partire dal bene inalienabile della salute; vuol dire attenzione alle politiche alimentari e della sicurezza energetica, alla prevenzione delle catastrofi naturali, mentre l'obiettivo dell'Europa sulla scena internazionale comporta quello che tutti abbiamo introiettato: Europa significa portatrice di pace, di stabilità e di sicurezza, soprattutto a partire dalle regioni confinanti.
È proprio con questo spirito che credo valga la pena di ripercorrere molto brevemente quali siano state le tappe della costruzione europea che risalgono addirittura al 1941, nella piccola isola di Ventotene, dove era confinato Altiero Spinelli, dove egli scrisse il «Manifesto di Ventotene», un documento immenso, che nasce nel momento di maggior conflitto in Europa e che rappresenta non soltanto una notevolissima pagina della visione federalista, ma proprio il motivo di fondo di un desiderio spasmodico di far sì che la catastrofe della guerra, così com'era stata conosciuta dalla prima guerra mondiale all'epoca, non abbia mai più a ripetersi.
Nel 1949 nasce poi il Consiglio d'Europa e nel 1951 la Comunità europea del carbone e dell'acciaio. Purtroppo inizieranno a verificarsi anche dei fallimentiPag. 7nell'integrazione europea, quale è stato quello che ha riguardato il tentativo di dare vita ad una Comunità europea di difesa.
È stato tuttavia proprio in Italia che viene compiuto quel salto di qualità nell'integrazione europea che avrebbe poi portato alla nascita della Comunità economica europea. A Messina infatti, nel 1955, a poco meno di un anno dalla scomparsa di Alcide De Gasperi (che era stato uno dei padri della costruzione europea, assieme a Jean Monnet, Robert Shuman e Konrad Adenauer), si svolse una conferenza destinata ad incidere profondamente sulla storia europea.
Il ministro degli esteri dell'epoca, Gaetano Martino, promotore della conferenza, e i suoi colleghi francese, tedesco, belga, dei Paesi Bassi e lussemburghese decisero, in quella conferenza, di tentare la prima via della integrazione economica come strumento per realizzare poi l'unione politica. Scaturì così, in seguito a quella conferenza, una tappa successiva a Venezia dove, nella primavera del 1956, venne approvato il «Rapporto Spaak», dal nome del ministro degli esteri belga che aveva presieduto i lavori del comitato intergovernativo istituito in seguito alle indicazioni della Conferenza di Messina.
I ministri degli esteri della «piccola Europa», come veniva chiamata all'epoca, autorizzavano la preparazione di due trattati: una sulla comunità europea dell'energia atomica, l'EURATOM, e uno sulla Comunità economica europea. Da qui la dicitura abituale di «Trattati di Roma», anche se l'EURATOM ha forse perso un po' della sua memoria storica nei confronti dei cittadini e dell'opinione pubblica in generale.
Quindi, Messina, Venezia e Roma, tre meravigliose città italiane, rappresentano le tappe fondamentali che hanno portato alla firma del Trattato, suggellata, come risulta dalle cronache dell'epoca, in una giornata di pioggia intensa che non impedì comunque lo svolgimento dei lavori e il raduno nella piazza del Campidoglio di migliaia di cittadini italiani che aspettavano l'annuncio della nascita del un trattato istitutivo di una delle più straordinarie costruzioni dell'integrazione economica e politica che il pianeta abbia mai conosciuto.
Vi sono stati molti tentativi di emulare l'Unione europea, soprattutto la comunità economica europea. Vi sono prestigiosissime organizzazioni regionali che, dall'America Latina al Medio Oriente, all'Asia, al Sud Est asiatico, hanno via via nei decenni tentato di emulare il successo straordinario della nostra Unione, ma nessuna di queste ha poi avuto il coraggio politico di procedere verso una sorta di spoliazione dei propri poteri interni, tipici delle nazioni-Stato, che poi sono alla base dell'integrazione politica.
Tanti sono anche i politici italiani che hanno reso questo processo così straordinario (hanno presieduto molti consigli dell'epoca), culminato il 29 ottobre 2004 con la firma del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa da parte dei rappresentanti dei 25 paesi (all'epoca; oggi sono diventati 27). Erano presenti il Presidente Ciampi ed il Presidente del Consiglio Berlusconi.
Nel 1975, Roma ospitò il Consiglio europeo che diede il via libera all'elezione a suffragio universale del Parlamento europeo ed all'istituzione di un passaporto unico, altra tappa molto importante (a presiedere, allora, fu il Presidente Aldo Moro).
Nel 1980, in un'altra epoca, in un quadro internazionale caratterizzato dalla recessione economica legata alla seconda crisi petrolifera, e nel contesto del dibattito sulla questione del contributo del Regno Unito, viene promossa la dichiarazione sul Medio Oriente, un vero e proprio pilastro da cui originerà poi la politica estera dell'Unione nei confronti di quella travagliatissima area del mondo.
Nel 1985 (il presidente dell'epoca era Bettino Craxi) a Milano venne allargata ulteriormente la comunità dei paesi membri. Diventano dodici, con l'ingresso di Spagna, Portogallo e Grecia, ma, soprattutto, viene infranto quel muro dell'unanimità del voto all'interno del Consiglio che aveva rappresentato uno degli ostacoliPag. 8maggiori all'integrazione economica e politica che poi fece un balzo in avanti, così come la conosciamo oggi.
Infine, nel 2004, avvenne un fatto di portata storica: venne sancita la fine della divisione tra l'Europa occidentale e l'Europa dell'Est, durata moltissimi decenni (tutti ricordiamo l'odiosa divisione in due blocchi del nostro continente ,che ha visto centinaia di milioni di persone vivere nella sopraffazione e nella violenza sotto regimi comunisti), con l'ingresso di paesi dell'ex blocco sovietico, come Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, più Cipro, Malta e Slovenia. Questi ingressi sanciscono la fine di una divisione odiosa, con una vera e propria ricostituzione del tessuto anche culturale e politico. Vi era anche un'orgogliosa rivendicazione che, purtroppo, non ha trovato spazio nel progetto di trattato per la Costituzione europea, delle radici giudaico-cristiane dei nostri popoli.
Nel 2007 si è avuto un nuovo allargamento con l'ingresso di Romania e Bulgaria e, negli anni futuri, il probabile ingresso della Croazia - anche se l'ultima, ingiusta e violentissima diatriba nei confronti del nostro Presidente della Repubblica Napolitano non la mette in buona luce ai nostri occhi - e, soprattutto, della Turchia, cosa che noi auspichiamo, potrà rendere l'Unione europea quello strumento assolutamente indispensabile sullo scenario internazionale, un vero e proprio colosso di democrazia e di rispetto dei diritti umani.
In conclusione, le sfide che attendono l'Unione europea e già scritte sull'agenda bruciante di questi mesi sono pur sempre: l'occupazione; la questione delle fonti energetiche, una vera e propria sfida nella quale credo che Angela Merkel nella celebrazione del 25 marzo si spenderà molto; la questione dell'immigrazione, che deve vedere tutti i paesi europei adottare delle politiche coordinate nei confronti di una vera e propria sfida epocale che vede riversarsi nei territori europei decine di milioni di persone provenienti soprattutto dal continente africano e dall'Asia; l'esigenza di colmare, infine, quel deficit di democrazia, come è stata pudicamente e un po' burocraticamente descritta una certa disillusione e una certa stanchezza, soprattutto da parte dell'opinione pubblica europea, che vede troppa burocrazia, troppa regolamentazione, troppa stabilità all'interno di regole non sempre comprese, spiegate e condivise.
Chiediamo, quindi, al Governo di riaffermare innanzitutto il ruolo trainante fin qui svolto dall'Italia e, in secondo luogo, vogliamo che questa rappresenti un'ennesima occasione per riaffermare molto orgogliosamente il valore delle nostre radici cristiane (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pini, che illustrerà anche la mozione Maroni e Pini n. 1-00123. Ne ha facoltà.

GIANLUCA PINI. La ringrazio, Presidente. Prima di iniziare le chiedo di segnalarmi lo scadere dei cinque minuti per l'illustrazione, avendo come gruppo poco tempo a disposizione e volendolo utilizzare per le dichiarazioni di voto successive.
Parto da una piacevole, seppur parziale, sorpresa registrata durante l'illustrazione da parte dei colleghi, in particolare dell'onorevole Gozi, il quale ha citato finalmente per la prima volta una volontà di giungere ad una eventuale nuova formulazione del testo costituzionale dell'Unione europea per sottoporlo poi ad un referendum a 360 gradi, ovvero consultando tutti i popoli che compongono l'Unione europea in questo momento. Ciò è sicuramente apprezzabile e rappresenta un passo in avanti in quel percorso democratico, che l'Unione europea deve sicuramente svolgere per poter essere in primis accettata dai cittadini come un'istituzione credibile, in secondo luogo perché obiettivamente vi è una carenza strutturale di democrazia all'interno delle istituzioni europee.
Siamo sempre stati accusati di essere euroscettici; in realtà, come abbiamo sempre sostenuto, siamo eurorealisti e non ci facciamo prendere in giro dal fumo negliPag. 9occhi, che qualcuno cerca di lanciare per sostenere che l'Europa è la panacea di tutti i mali.
Sicuramente il concetto di Europa, emerso alla fine della seconda guerra mondiale e nel decennio successivo e la formulazione che se ne è data cinquant'anni fa tendevano a superare gli orrori delle due guerre mondiali.
Si è rimasti purtroppo agganciati a quell'ideale di Europa e non si è fatto alcun passo in avanti per capire che le sfide odierne sono ben diverse, perché non provengono soltanto dall'interno degli Stati membri, ma soprattutto dall'esterno, dalla concorrenza sleale di determinati paesi del sud-est asiatico e dell'Asia, dalla spinta migratoria del sud del mondo. Sono aspetti che l'Europa in questo momento non tiene in alcuna considerazione, tant'è che dal Parlamento abbiamo più volte sollecitato l'Europa ad occuparsi dei problemi, ad esempio, dell'immigrazione clandestina in maniera unitaria, ma siamo sempre stati lasciati soli.
Ci lascia allora perplessi questa «corsa» a volere essere più europeisti degli altri, a voler fare i «primi della classe», soprattutto quando vi sono cerimonie solenni in cui vengono rilasciate dichiarazioni pompose che, tuttavia, sono abbastanza sterili. In questa corsa, però, non si tiene conto che vi sono molti ostacoli che andrebbero superati per rendere effettiva la democrazia all'interno dell'Unione europea.
Condanniamo politicamente la vacuità dei (a questo punto così possiamo definirli) «non contenuti» presenti nelle altre mozioni. È stato fatto, a nostro avviso, un esercizio di «passerella» politica in onore della solennità dell'anniversario di cinquant'anni, che ricorrerà domenica prossima, per andare a Berlino affermando di sostenere sempre e comunque l'Europa, senza considerare quali danni e quali pesi graveranno sullo Stato italiano e in particolare, per quanto ci riguarda, sui cittadini della Padania.
La dimostrazione sta nell'inconsistenza e assenza di contenuti delle mozioni presentate e anche nella risoluzione approvata al Senato, che ci lascia veramente sbigottiti in merito al programma di lavoro delle Commissioni e della Presidenza, perché impegna ad un rilancio dell'Unione verso i valori di democrazia, progresso economico, coesione, solidarietà sociale, sicurezza e rispetto ambientale: sono tutti punti talmente ineccepibili, che non occorre una risoluzione per assumerli ad impegno. Sarebbe stato possibile andare oltre e cercare di fornire un vero indirizzo, come abbiamo cercato di fare noi, così da fornire un serio contributo al processo di integrazione dell'Unione europea, se integrazione deve essere.
Tralascio alcune considerazioni che svolgeremo in fase di dichiarazione di voto, ma aggiungo che, poiché vogliamo dare un contributo, nel dispositivo della mozione da noi presentata chiediamo a chiare lettere di sollecitare in tutte le sedi opportune e presso gli altri partner europei una profonda revisione del testo costituzionale proposto e non un aggiustamento, come la presidente Merkel ha anticipato, dato che non sarebbe altro che una «brutta copia» di qualcosa già bocciato da quei paesi che hanno avuto la possibilità di farlo.
È necessario promuovere una vera partecipazione dei popoli europei perché nella futura integrazione dell'Europa la società civile dovrà essere protagonista, ma soprattutto perché serve assumere iniziative per sottoporre al giudizio dei cittadini italiani un'eventuale futura elaborazione del Trattato costituzionale tramite un apposito referendum popolare. Non si può prescindere da una richiesta di democrazia in Europa senza applicare un minimo di democrazia all'interno del nostro paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elia, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00127. Ne ha facoltà.

SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, la nostra politica estera e quella europea dovranno sempre più confrontarsi con le cause strutturali di instabilità e guerre, che avvengono ai nostri confini europei e che sono dovutePag. 10innanzitutto all'ideologia nazionalista, al mito della sovranità assoluta dello Stato nazione, oltre che alla realtà di regimi assolutisti, fondamentalisti ed illiberali.
È urgente, se non è già troppo tardi, costruire un'alternativa politica, strutturale e concreta ad uno stato delle cose che rischia di travolgere tutto, non solo quel luogo detto Medio Oriente, ma anche la nostra tranquilla Europa. Insomma, occorre perseguire la pace non come evocazione, mera petizione di principio, ma come struttura ed organizzazione del mondo a partire dal nostro, che non può essere più solo l'Europa, ma deve essere l'Europa e il Mediterraneo.
È questo il senso del manifesto-appello per un Satyagraha mondiale per la pace, lanciato dal Partito radicale e da Marco Pannella e rivolto innanzi tutto all'Europa e poi a tutto il sud del Mediterraneo, dove affondano le radici della storia e della cultura europee, che non sono solo cristiane, ma anche pagane, classiche, greco-romane, bizantine, giudaiche, arabe ed egiziane.
Occorre avere una visione paragonabile almeno a quella che ha animato il sogno federalista europeo dei primi anni quaranta, del Manifesto di Ventotene, di Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, che sono stati i pionieri della Comunità europea, come alternativa politica, istituzionale e giuridica alla realtà strutturale di Stati nazione, che avevano provocato il nazismo e gli unici conflitti a carattere mondiale dell'era moderna, tutti situati nel continente europeo, nell'Europa di allora, divisa da Stati nazionali indipendenti e sovrani, la cui indipendenza e sovranità nazionale sono state la causa prima di guerre fratricide ed intestine in seno alla Comunità europea.
La nascita della Comunità europea di Stati democratici, che hanno rinunciato a quote di sovranità nazionale, è stato l'antidoto, l'alternativa strutturale che ha portato la pace nel continente europeo. Se oggi vogliamo avere una nuova visione federalista e democratica, immaginare un destino nel senso di scenario futuro, di destinazione dell'Europa non è più nell'ambito del continente, perché lì semmai l'Europa va in crisi e rischia di morire a furia di allargamenti e adesioni di paesi del continente: la missione dell'Europa non è più verso est, ma verso sud, nell'area del Mediterraneo, dove affondano le radici della storia e della cultura locale, in particolare in quel lembo di terra chiamato Palestina, dove sono nate le tre grandi religioni monoteiste e che oggi coincide con quel focolaio di crisi e di guerre; l'unica parte del mondo, che negli ultimi tempi ha conosciuto periodicamente, ma costantemente, il dato strutturale del conflitto fra nazioni e fazioni, che rischia di propagarsi a livello mondiale.
Come nell'Europa degli anni quaranta, il dato strutturale degli Stati nazionali, ideologie, aspirazioni ed illusioni nazionaliste è la causa prima delle guerre, è ipoteca contro lo sviluppo civile e democratico della regione mediorientale.
Solo quando Israele, la Palestina - non nella formula «due Stati due popoli», ma «due Stati democratici», tra cui anche quello futuro palestinese - il Libano, la Giordania, con la Turchia ed il Marocco potranno sentirsi parte di un'unica comunità umana, civile, politica, giuridica ed economica, nella quale popoli e persone potranno godere degli stessi diritti civili, politici e sociali, avremo posto le basi di una pace vera, giusta e duratura. Non è quindi a nord o ad est, ma a sud, nel Mediterraneo, la nuova frontiera dell'Europa, la nuova missione e il sogno rigenerato del federalismo europeo.
Prima che Israele, Palestina, Libano, Giordania, Marocco, questa visione deve coinvolgere innanzitutto l'Europa, la sua politica estera e di difesa, ma soprattutto le istituzioni europee, che oggi non sono all'altezza di una tale missione innanzitutto per il deficit democratico che le caratterizza.
La celebrazione del cinquantenario dei trattati deve essere allora l'occasione non certo per dispiegare l'ennesima prova di retorica europeista, alla quale si accompagna immancabilmente un rafforzamento dei connotati nazionali e burocratici dell'Unione,Pag. 11ma per riprendere l'iniziativa verso l'Europa politica, federalista e democratica.
Come radicali al Parlamento europeo abbiamo proposto nei giorni scorsi una misura concreta di partecipazione diretta dei cittadini alla vita istituzionale europea. Abbiamo infatti iniziato la raccolta di firme dei parlamentari europei su una dichiarazione scritta, che chiede che le future proposte di riforma dei trattati dell'Unione siano innanzitutto sottoposte alla votazione dei cittadini tramite un referendum europeo, cioè a suffragio universale diretto, al quale siano cioè chiamati contemporaneamente tutti i cittadini europei. Considerata l'importanza delle scelte di fondo dell'Unione europea per tutti i suoi cittadini, riteniamo che le decisioni sulle riforme dell'Unione debbano implicare direttamente il popolo europeo in quanto tale.
In vista del voto della primavera del 2009 per l'elezione del Parlamento europeo è prioritario intraprendere un percorso per porre rimedio al deficit democratico europeo, rafforzando la partecipazione democratica dei cittadini, la funzione legislativa del Parlamento e, più in generale, la protezione dei diritti sociali e civili a livello europeo. A tal fine svolgerà un ruolo di primaria importanza la Conferenza dei Capi di Stato e di Governo, che avrà luogo a Berlino il 25 marzo prossimo in occasione del cinquantenario dei Trattati di Roma. In quella occasione sarà adottata la dichiarazione di Berlino, che diverrà fondamentale per il futuro dell'Europa. È in atto una campagna a livello europeo, sia tra i cittadini dell'Unione che a livello del Parlamento europeo, per promuovere questo referendum consultivo dei cittadini europei, al fine di valutare se esista un consenso generalizzato sulla direzione che prenderà il cammino di integrazione europea.
Noi chiediamo al Governo italiano - in tal senso va la mozione che abbiamo depositato - di farsi quindi promotore a livello europeo di un'iniziativa affinché, ripeto, le future proposte di riforma dei trattati dell'Unione siano sottoposte alla votazione dei cittadini tramite un referendum europeo che sia a suffragio universale, cioè non avvenga paese per paese separatamente, ma coinvolga contemporaneamente tutti i cittadini europei. Auspichiamo che questi ultimi siano chiamati a pronunciarsi sul futuro e - lo spero - anche su una missione dell'Europa, che svolge un ruolo fondamentale per la soluzione di crisi e di conflitti rispetto ai quali non possiamo rimanere indifferenti, perché avvengono alle nostre porte e coinvolgono la sicurezza e la pace non soltanto nei luoghi dove gli stessi avvengono, ma anche nel cuore dell'Europa (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Franco Russo. Ne ha facoltà.

FRANCO RUSSO. Signor Presidente, il 16 e il 17 giugno del 2005, a conclusione del Consiglio europeo, i Capi di Governo e di Stato presero atto del «no» francese e olandese. Quel «no» era innanzitutto rivolto al metodo con cui il Trattato costituzionale era stato redatto - cioè dai Governi attraverso le Conferenze intergovernative - nonostante che in quell'occasione, così come nell'elaborazione della Carta di Nizza, il Consiglio europeo aveva demandato ad una convenzione il compito di preparare un testo. Tuttavia i decisori, come ebbe a dire la Corte costituzionale tedesca, i signori dei trattati, cioè i Governi e gli Stati avevano pur sempre l'ultima parola, il potere decisionale. Per questo i cittadini francesi ed olandesi - in una campagna che ha visto la diffusione del Trattato costituzionale in tutte le librerie e in tutte le edicole, con un lavoro capillare di discussione e di confronto - coscientemente hanno detto «no» al Trattato costituzionale.
Era un «no» non soltanto al metodo, carente da un punto di vista democratico, ma anche - come ricordava il collega Sandro Gozi - ai contenuti del Trattato costituzionale. Quest'ultimo, dopo la prima parte, che descrive i metodi decisionali, e la seconda, che sancisce la carta di Nizza, nella terza statuisce le politichePag. 12di mercato dell'Unione europea. Per questo i capi di Stato e di Governo presero atto politicamente che era impossibile continuare nel processo di ratifica e si presero un anno di tempo - che poi diventarono quasi due - di riflessione. Oggi la signora Angela Merkel è impegnata in un rilancio del Trattato costituzionale e a redigere questa solenne dichiarazione in occasione dell'importante anniversario dei cinquanta anni del Trattato di Roma. . Mi consenta tuttavia di osservare, Presidente, che nessuno conosce questa solenne dichiarazione; essa è ancora una volta il frutto delle decisioni e delle deliberazioni dei governi. Quindi prevale ancora una volta il metodo intergovernativo.
Penso, signor Presidente, che arrivati a cinquanta anni dalla firma dei Trattati di Roma e a più di cinquant'anni della dichiarazione Schuman (esattamente il 9 maggio del 1950), occorrerebbe che l'Europa facesse - come ebbe a dire lo stesso Schuman - un'«atto ardito»: finalmente i governi non dovrebbero più servirsi semplicemente delle convenzioni per stabilire le decisioni in relazione all'ordinamento costituzionale dell'Europa e a i contenuti della Costituzione europea, bensì delle istituzioni rappresentative, innanzitutto il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali.
Questo è il primo punto, Presidente, su cui voglio richiamare l'attenzione: il metodo intergovernativo ha fatto il suo tempo e noi oggi siamo chiamati al passaggio dai Trattati alla Costituzione. L'Unione europea è un mixtum compositum con caratteristiche per un verso di ordinamento sottoposto ad un dominante regime internazionalistico, per l'altro di un ordinamento interno. Onorevoli colleghi, il punto di fondo è però che, finché i Trattati saranno la base del funzionamento dell'Unione europea, saranno sempre dominati dagli Stati. Per questo, secondo me giustamente, l'onorevole Spinelli nel 1984 aveva proposto una Costituzione al Parlamento europeo e dieci anni dopo l'onorevole Hermann, socialdemocratico, propose un altro testo costituzionale. Ambedue i testi furono approvati dal Parlamento europeo, ma vigendo ancora il regime internazionalistico e non avendo quest'ultimo il potere di decidere, sono stati lasciati decadere.
Presidente, termino affermando che questo è un passaggio storico. I governi dovrebbero compiere questo «atto ardito», vale a dire ritrarsi e affidarsi alle istituzioni rappresentative, ma soprattutto alle cittadine e ai cittadini europei. Rifondazione Comunista - Sinistra Europea è pienamente d'accordo su questo. È naturale che, dopo che le istituzioni rappresentative del popolo europeo abbiano deliberato su un testo costituzionale, le cittadine e i cittadini europei siano chiamati con un referendum a decidere sul testo costituzionale. Questo sarebbe anche un modo per costruire il popolo europeo.
In definitiva noi siamo d'accordo con il referendum. Viviamo in una fase in cui è giusto ormai passare ad un processo davvero costituente, in cui i governi siano messi - anzi dovrebbero farlo essi stessi - da un canto e siano invece esaltati i processi democratici.
Per quanto riguarda i contenuti, questi non possono sancire le politiche liberiste dell'Unione europea e quelle di mercato, ma debbono ispirarsi al famoso articolo 16 della Carta costituzionale del 1789, che afferma che la normatività, la divisione dei poteri e soprattutto i diritti sono la base caratterizzante di una Costituzione. La ringrazio, Presidente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, viviamo tempi difficili, anche se oggi, fortunatamente, è arrivata una bella notizia. Mi riferisco alla liberazione di Daniele Mastrogiacomo, per la quale voglio rivolgere un plauso non solo al Governo, ma a tutta la comunità italiana che ha sostenuto tale sforzo; all'interno di questa grande comunità, esprimo un particolare apprezzamento ad Emergency ed al suo fondatore, Gino Strada.
Detto ciò, vorrei rilevare che abbiamo un rischio davanti a noi. Si tratta delPag. 13rischio di ripeterci, anche se devo riconoscere che le mozioni oggi al nostro esame - pur con qualche accentuazione diversa e con qualche tono che, talvolta, mette in imbarazzo -, alla fine, pervengono ad una sostanziale convergenza. Esse, infatti, chiedono al nostro Governo di impegnarsi affinché garantisca quel ruolo che gli è sempre stato peculiare, vale a dire essere soggetto propulsore del dispiegarsi di quelle politiche comunitarie che hanno visto l'Italia sempre al centro di un processo di integrazione e di cooperazione lungo mezzo secolo.
Ricordo che, durante tale periodo, sono stati raggiunti traguardi sempre più ambiti ed impensabili cinquant'anni fa. Una puntuale analisi dell'evolversi dei fenomeni giuridici di natura sovranazionale non può, dunque, non tenere nel giusto conto le radici storiche che sottendono tutti i grandi processi di trasformazione giuridico-sociale ed ordinamentale.
Vorrei soffermarmi un attimo su queste ultime, sapendo che il tempo a disposizione è quantomai esiguo. Ritengo innanzitutto doveroso, tuttavia, ribadire, al fine di responsabilizzare il nostro impegno in ambito comunitario, come l'attuale Unione europea sia stata ideata e voluta allo scopo di assicurare pace e benessere, dopo secoli segnati da indicibili violenze e crudeltà, culminati, dopo un primo conflitto mondiale, in una seconda e ancora più atroce guerra, frutto di perverse ideologie.
Suggestiva ed emblematica, a tale riguardo, è l'immagine evocata da un noto scrittore inglese, Siegfried Sassoon, il quale, alla fine della seconda guerra mondiale, così descriveva lo scenario: «Schiere di volti grigi, mormorati, mascherati di paura lasciano le trincee, risalgono la cima del fossato, mentre il tempo, vuoto ed affannato, batte ai loro polsi e la speranza, insieme con gli sguardi furtivi ed i pugni stretti, si dibatte nel fango (...)». Ricordo, inoltre, che uno dei più lucidi storici contemporanei, Eric Hobsbwm, così descriveva il Novecento, in particolare i suoi primi cinquant'anni: «L'epoca più violenta della storia dell'umanità».
È in questo quadro di profonde lacerazioni e distruzioni che l'Italia, però, ha trovato la forza e lo slancio per risollevarsi. L'Italia è uno dei sei Stati fondatori della Comunità europea. Sei Stati, un tempo divisi, diversi per tradizione e dimensione, ma uguali nei loro diritti e nei loro doveri; Stati che rappresentano ancora oggi, all'interno dell'Unione europea, non certo una gerarchia sovraordinata, ma i «custodi» ed i «garanti» di un'indispensabile memoria storica, che ci ha sorretto e guidato fino ad oggi.
Poiché il tempo stringe, concludo il mio intervento richiamando, in questa sede, le apprezzabili parole, segno di impegno e di civiltà, pronunciate dal Cancelliere tedesco, Angela Merkel, la quale, nel descrivere le tematiche da affrontare a Berlino, ha sottolineato l'impegno dell'Unione europea per il perseguimento della pace, nonché la volontà di contribuire attivamente per sostenere lo sviluppo dei paesi islamici.
Noi del gruppo Italia dei Valori ribadiamo, pertanto, il nostro sostegno ad una politica comunitaria autentica, caratterizzata da ampie intese, nel quadro di un impegno comune volto ad un multilateralismo attivo e democratico. Ciò che auspichiamo e che ci prefiggiamo di raggiungere è il perfezionarsi di una politica comunitaria, come già detto, «autentica», vale a dire più vicina alle esigenze dei singoli cittadini, prevedendo, altresì, un maggiore accostamento delle politiche europee a quelle nazionali, considerando che le questioni europee sono, sostanzialmente, affini a quelle interne (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mancini. Ne ha facoltà.

GIACOMO MANCINI. Presidente, onorevoli colleghi, la mozione di cui sono cofirmatario, che oggi stiamo discutendo e che ci accingiamo a votare nel corso di questa settimana, evidenzia e riafferma gli obiettivi che l'Italia, insieme agli altri Stati membri dell'Unione europea, si è prefissata ormai da anni di raggiungere.
Cinquant'anni fa sono stati firmati a Roma i Trattati istitutivi delle ComunitàPag. 14europee: l'Italia, insieme agli altri cinque paesi fondatori, il Belgio, la Francia, la Germania, il Lussemburgo e i Paesi Bassi, ha concordato e costruito le fondamenta per realizzare un'Europa unita, capace di assicurare ai propri cittadini il progresso economico, sociale e civile.
Il progetto europeista ha radici storiche molto più profonde che rimandano ad un sentire comune che nel tempo ha permesso di ridefinire i mezzi più idonei per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi. La traiettoria europeista ha sempre ispirato l'azione dei dirigenti socialisti, del PSI di prima e dello SDI di oggi.
Mi piace ricordare in questa sede l'esempio, l'azione e l'opera di Eugenio Colorni, che, con la sua partecipazione all'elaborazione del Manifesto di Ventotene, ha lanciato l'idea degli Stati uniti d'Europa, che rappresenta un elemento di dibattito centrale rispetto alle prospettive che il nostro paese deve contribuire a realizzare.
Il 25 marzo è una data importante, sia perché si celebra, come accennato, la nascita della Comunità economica europea, sia, e ancora di più, perché in quella data i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri dell'Unione europea adotteranno una dichiarazione politica solenne sul futuro dell'Europa. In quella sede verrà ribadita l'importanza di individuare un percorso che consenta all'Unione di consolidarsi e questo consolidamento richiede che l'Europa elabori ed adotti una Costituzione conforme alle esigenze degli Stati membri, della comunità civile europea nel suo complesso e al ruolo svolto dall'Europa nella comunità internazionale.
La vocazione europeista trova ulteriori riscontri nei valori contenuti nella nostra Carta costituzionale, e gli obiettivi e gli interessi di politica interna ed internazionale del nostro paese non possono trovare collocazione ed espressione se non nella dimensione europea della nostra politica. I tragici fatti che in questa fase storica si registrano con una ripetitività anche drammatica stanno qui a ricordare che la bussola che dovrà seguire non potrà prescindere da tutto questo, perchè, se così dovesse accadere, tutto ciò rischierebbe di essere in qualche modo drammaticamente anacronistico.
Occorre, perciò, guardare avanti nella consapevolezza che l'attuale architettura istituzionale non consente all'Unione a 27, come del resto è stato evidenziato nella mozione che abbiamo presentato, e che da par suo è stata illustrata dalla collega, onorevole Bimbi, il mantenimento del suo standard di operatività.
Quindi, l'Unione europea deve poter disporre di strumenti idonei per affrontare in modo tempestivo, ed insieme efficace, i bisogni e le attese dei cittadini europei nel campo della sicurezza, della giustizia, della politica estera, della difesa e delle politiche sociali.
Occorre inoltre che l'Unione sia in grado di formulare e, soprattutto, di attuare e di rendere operative strategie per rispondere ai più urgenti problemi globali; come la lotta al terrorismo e alla povertà, la salvaguardia dell'ambiente, i mutamenti climatici, le questioni energetiche. Sono queste le priorità che, a mio avviso, il Parlamento deve avere presenti.
Questo Governo si è adoperato fin dall'inizio per fare in modo che il sostegno propulsivo dell'Italia all'Unione europea non venisse mai meno. Da questo punto di vista, è merito dell'attuale Governo avere anche smussato quelle difficoltà, quegli attriti, quelle incomprensioni che, nel recente passato, sono emersi tra il nostro paese e gli altri partner europei, a causa di una nostra inclinazione - registratasi durante il Governo precedente - verso una partnership con gli Stati Uniti d'America.
Per tale motivo siamo convinti che l'esecutivo saprà valorizzare quanto contenuto in questa mozione, fornendo il massimo contributo affinché la dichiarazione politica, che sarà adottata a Berlino il prossimo 25 marzo, fornisca le basi per fare dell'Unione europea un soggetto efficace nella politica estera. Questa è la sfida nella quale il nostro paese non può essere assente anzi, al contrario, deve ambire ad essere ancora di più protagonista.
Occorre creare un soggetto europeo che possa contribuire alla definizione diPag. 15un futuro differente, migliore e di pace rispetto ai nuovi e difficili equilibri planetari. Questo è l'obiettivo che deve guidare il nostro Governo: la volontà di edificare un soggetto in grado di stabilire ed attuare un percorso di crescita economica e sociale per tutti gli Stati membri, avendo chiaro che il fine da perseguire è quello di consegnare ai cittadini della nuova Unione europea più diritti e più occasioni di crescita e avendo presente che ciò deve riguardare soprattutto i cittadini più deboli.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cassola. Ne ha facoltà.

ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghe e colleghi, siamo qui a chiederci cosa sarà dell'Europa nel prossimo futuro, proprio in attesa della dichiarazione di Berlino di domenica prossima.
Sfortunatamente, dopo i «no» francesi e olandesi, man mano che passa il tempo, le divergenze che riguardano le riforme istituzionali dell'Unione europea stanno crescendo; infatti, i britannici, i polacchi, i ciechi, hanno irrigidito le proprie posizioni. Questi paesi concordano con le posizioni di Nicolas Sarkozy e si stanno battendo per un'Europa intergovernativa, meno integrata e più debole.
Ebbene, la grande sfiducia nelle istituzioni del popolo europeista si è maggiormente evidenziata proprio a partire da Nizza, nel 2000, quando la Conferenza intergovernativa si ridusse ad un mercanteggio rozzo dell'ultimo minuto, dietro porte fermamente chiuse e sbarrate.
Dobbiamo combattere questa tendenza volta a ridurre le istituzioni europee al minimo comune denominatore. Noi Verdi siamo convinti del fatto che ci vuole più Europa se vogliamo influire in maniera positiva sulla vicenda del mondo.
Se ci guardiamo intorno, vediamo che ci sono varie tragedie che hanno sconvolto il mondo in questi ultimi quindici anni. Basti pensare ai genocidi in Ruanda, in Bosnia, in Kosovo, alla guerra in Iraq (basata su premesse false), alle stragi in Afghanistan, agli eccidi in Darfur, in Somalia, in Eritrea, per non parlare dell'annosa questione del Medio Oriente.
Ebbene, queste tragedie umanitarie sono avvenute anche perché all'Unione europea è venuta a mancare una voce ed un'azione unitaria nel corso dei tempi.
Bastino come esempi i casi della Jugoslavia o quello, eclatante, dell'Iraq; con riferimento a quest'ultimo, infatti, mentre i Governi Blair e Berlusconi hanno immediatamente abboccato all'esca bugiarda e menzognera confezionata dal Governo Bush, i Governi Schroeder e Chirac se ne sono tenuti fuori. Mi domando se, anziché lasciarsi andare ad atteggiamenti unilateralistici, l'Europa avesse parlato con una voce, avremmo avuto lo stesso esito drammatico e sanguinario in Iraq? Forse, non l'avremmo avuto! Peraltro, ancora adesso, corriamo lo stesso rischio per quanto riguarda l'Iran, se l'Europa non si unisce per parlare all'unisono, ad una voce.
Quindi, tornando al metodo di riforma delle istituzioni europee, l'Italia dovrebbe rifiutare il metodo intergovernativo e farsi, invece, promotrice di un'Europa aperta e trasparente dove le grandi decisioni vengano ratificate dal popolo tramite lo strumento del referendum. Sfortunatamente, il cosiddetto «metodo degli sherpa», utilizzato nei sei mesi di presidenza tedesca tuttora in corso, non è foriero di grandi aspettative in quanto si traduce in negoziati segreti, a porte chiuse, tra burocrati di Stato.
Tutto si sta svolgendo in gran segreto e prima di giugno la popolazione europea non saprà pressoché niente di quanto i propri Governi stanno confermando alla Merkel; quando poi, a giugno, la Presidenza tedesca renderà pubbliche le conclusioni di queste consultazioni, è molto probabile che ci troveremo dinanzi ad un testo ridotto al minimo comune denominatore per non urtare le diverse sensibilità nazionali. Infatti, già abbiamo avuto qualche avvisaglia informale di tale evenienza; l'8 marzo scorso la Merkel, infatti, ha dato ad intendere che proporrà un trattatoPag. 16ridotto - non una Costituzione! - da ratificare entro febbraio 2008 e senza alcun referendum.
Ebbene, su questo sfondo che prospetta un indebolimento generale dell'Europa, io credo fermamente che il Governo italiano debba assumere una posizione molto più ambiziosa per il nostro continente. Che ci piaccia o no, i prossimi anni vedranno la presenza di ben quattro superpotenze economiche e politiche - Stati Uniti, Cina, Russia ed India -: se l'Europa vuole contare qualcosa in questo panorama futuro, non può permettersi il lusso di rimandare ad infinitum la propria riforma istituzionale. Il Governo Prodi, con la sua dichiarata vocazione ad un tempo europeista e multilateralista, potrebbe e dovrebbe fare da motore trainante per tutti coloro che vorrebbero vedere un'Europa forte e unita in grado di incidere positivamente a favore della pace, della sicurezza e di una maggiore equità nel mondo (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).

PRESIDENTE. Avverto che la mozione Bimbi ed altri n. 1-00113 è stata ulteriormente riformulata dai presentatori; il relativo testo è in distribuzione.
Avverto altresì che la mozione Gozi ed altri n. 1-00114 è stata riformulata e che, inoltre, la mozione Bimbi ed altri, nella nuova formulazione, è stata sottoscritta anche dal deputato Gozi. Il nuovo testo della mozione Gozi ed altri n. 1-00114 è in distribuzione.
È iscritto a parlare l'onorevole Razzi. Ne ha facoltà.

ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, in occasione del cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma che hanno istituito la Comunità europea, sottoscritti, nel 1957, dai primi sei paesi fondatori, i Capi di Stato e di Governo dei paesi che oggi fanno parte dell'Unione europea adotteranno una solenne dichiarazione sul futuro dell'Europa e delle sue istituzioni.
Riteniamo che, in tale occasione, a Berlino, luogo scelto per lo svolgimento dei lavori, gli attuali ventisette paesi che costituiscono la Comunità europea debbano superare ogni possibile dubbio e rilanciare i valori e le priorità della Comunità europea, che costituisce l'unico futuro possibile per lo sviluppo delle nostre società; sviluppo economico, di benessere, ma soprattutto sviluppo culturale e civico, che si potrà evolvere solo fondandosi su valori quali la pace - l'instancabile ricerca della pace tra i popoli -, la solidarietà, la convivenza tra le diversità ed il multiculturalismo, il dialogo democratico, la garanzia della sicurezza dei cittadini.
Crediamo che la politica di allargamento dell'Unione, che ci ha portati ad una situazione così complessa, faccia parte di una corretta visione del mondo e del futuro. Non ci deve spaventare la complessità, anzi essa deve stimolarci a trovare le giuste dimensioni per garantire la migliore convivenza possibile tra le donne e gli uomini dell'Unione, ponendo sempre al centro della nostra attenzione i cittadini; dobbiamo sforzarci di creare tutte le possibili occasioni per porre questi ultimi in primo piano, quali protagonisti del percorso di rafforzamento delle politiche dell'Unione, protagonisti consapevoli, e non semplici spettatori. Per far ciò è necessario che l'Europa sia un grande edificio culturale, denso di storia e di prospettiva, centrale nel panorama internazionale e vivo, poiché in questo edificio trovano casa le idee, i valori ed i sogni dell'umanità intera per il prossimo futuro, un edificio rassicurante, la casa di milioni di cittadini laboriosi e creativi, che coltivano la volontà di migliorare le proprie condizioni, ma anche quelle dei «mondi vicini», consapevoli del fatto che il benessere o sarà di tutti o non sarà di nessuno.
Il benessere, infatti, è un valore e può essere vissuto come tale se condizionato e diffuso, altrimenti potrà essere solo mera condizione di solitudine, in quanto si è soli anche nella ricchezza e nel benessere: si è fondamentalmente soli ed infelici e noi emigrati lo sappiamo bene.
È, quindi, questa l'Europa che sogniamo per i nostri figli: una grande casa in cui le parole emigrazione ed integrazione non abbiano più senso, perché superatePag. 17e sostituite da una parola unica, ossia cittadinanza; cittadinanza che rispetta diritti e doveri e che sia frutto di un patrimonio di valori e di cultura. Si tratta, dunque, di un'Europa di cittadini che stanno bene e che sanno stare bene insieme.
Signor Presidente, concludo il mio intervento preannunziando il mio voto favorevole sulla mozione Bimbi n. 1-00113 (Nuova formulazione) e ribadendo l'invito al Governo a favorire il rilancio e la conclusione del processo costituzionale europeo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Venier. Ne ha facoltà.

IACOPO VENIER. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, siamo di fronte all'importante appuntamento dell'anniversario dei Trattati di Roma, ma dobbiamo dire chiaramente che l'Europa si presenta ferma in un pantano da cui è difficile uscire, se non con grande determinazione e coraggio ed anche con una visione chiara della rotta, della strada che dobbiamo perseguire. Tale pantano è frutto della mancanza di coraggio.
Altri colleghi lo hanno già detto: nel 2000, a Nizza, l'Europa di centrosinistra - ricordo che a quel tempo il 90 per cento dei Governi europei era di centrosinistra - non ebbe il coraggio di approfondire l'integrazione politica nel momento in cui lanciava la sfida dell'allargamento e su questa difficoltà strutturale è intervenuta l'Europa di «serie B», l'Europa della destra, di Blair, di Berlusconi, di Bush, di Barroso, di queste «B» che si sono unite. Nel momento in cui l'Europa ha dovuto affrontare la sua prima grande sfida con la nuova fase del conflitto nel mondo, ha trovato Bush in grado di costruirsi un'alleanza in questa Europa filo-statunitense, contro l'integrazione politica, ed il nostro paese ha tradito il suo mandato storico.
È dunque incredibile che i colleghi del centrodestra che sono intervenuti in precedenza rivendichino la continuità di una politica che proprio loro hanno interrotto negli anni di Governo del centrodestra, conducendo l'Italia ad essere portatrice di sabotaggio politico nelle istituzioni europee. Oggi ci troviamo di fronte ad una nuova sfida, ossia di fronte alla possibilità di ripartire e pertanto, oltre ai ricordi e alle celebrazioni, noi vorremmo che il nostro Governo fosse parte di decisioni che possano essere ricordate, tra cinquanta anni, con anniversari. Oggi serve coraggio ed anche - e soprattutto - una spinta: sappiamo quali sono le resistenze; vi sarà la dichiarazione, poi una pausa, in attesa dell'esito delle elezioni presidenziali francesi e di sapere se tali elezioni potranno darci la possibilità di proseguire verso l'approvazione dei testi di cui necessitiamo.
Vorrei semplicemente dire che voteremo a favore della mozione Bimbi n. 1-00113 (Nuova formulazione) e della mozione Gozi n. 1-00114 (Nuova formulazione).
Noi conferiamo al nostro Governo un mandato concernente questioni sostanziali: abbiamo bisogno di veri passi in avanti verso l'integrazione politica, che abbia come obiettivo la costruzione di un'Europa federale, in cui vi sia un governo dell'economia, un Parlamento europeo che possa decidere sulle grandi tematiche, anche dal punto di vista del bilancio (la grande questione aperta) e delle risorse necessarie per fare politica.
Abbiamo ascoltato con piacere gli interventi di Blair e della Merkel sulle questioni ambientali, ma per fare politica ambientale occorrono risorse. Occorre costruire una nuova dimensione della politica europea.
Inoltre, abbiamo bisogno di un'Europa autonoma sul piano internazionale. L'integrazione con la NATO non funziona, come dimostra la vicenda afghana. Occorre un'Europa autonoma anche sul piano della difesa. Non abbiamo problemi a dirlo: anche sotto questo profilo, non possiamo essere vincolati da un cordone ombelicale che ci lega ad un altro interesse geopolitico che non consente all'Europa di essere portatrice di un'opzione di pace nel mondo.Pag. 18
Infine, occorre costruire un'Europa democratica. Da questo punto di vista, sono stati compiuti dei passi in avanti: la Convenzione è stata un elemento innovativo che ha superato in parte l'elemento intergovernativo. Tuttavia, è necessario immettere democrazia nei processi di decisione.
Siamo d'accordo con l'indizione di un referendum che sancisca, ad esempio, il fatto che la Costituzione europea sarebbe ratificata sul piano dei numeri già con gli attuali Stati che hanno proceduto a detta ratifica. Quindi, occorre legittimare una cittadinanza europea, che chiaramente non assorbe la cittadinanza dei singoli paesi, ma che si accompagni ad essa, costruendo un nuova dimensione politica.
Ci dobbiamo confrontare su questi aspetti ed il nostro paese ha un ruolo d'avanguardia, ossia quello di stimolare, di avere coraggio, di portare un punto di vista più avanzato. Altri paesi, purtroppo, frenano questo processo e non lo fanno sicuramente nell'interesse dei cittadini europei, ma per la difesa antiquata di un'idea di sovranità nazionale che è superata dalla storia dei fatti e che non si potrà mai più ricostituire. La vera sovranità, anche a livello di processi democratici, non potrà che determinarsi sul piano continentale.
Il nostro Governo ha fatto molto affinché la dichiarazione di Berlino fosse impegnativa, ma i problemi emergeranno dopo questo anniversario, nel momento in cui essa dovrà essere attuata. Credo che in quel momento dovremmo trovare la forza di affermare di nuovo l'opzione finale, ossia stabilire dove andiamo e dove arriverà l'Europa del domani. L'Italia, quindi, deve dichiararsi a favore di un'Europa realmente costituita sul piano federale.
Credo ci sia bisogno di un dibattito anche sul piano della rappresentanza. Mi avvio alla conclusione: l'Europa non serve solo ai capitali e ai mercati. O spiegheremo ai nostri cittadini, ai lavoratori, a chi deve trovare nell'Europa un elemento di compensazione (dove possono essere rappresentate le condizioni delle classi più deboli che hanno bisogno del ruolo pubblico e della politica) che senza tale integrazione non ci sarà più politica, ma solo mercato; oppure non troveremo il consenso necessario a superare le paure del diverso, dell'altro, di chi sta fuori; quelle paure che hanno contribuito alla vittoria del «no» nei referendum popolari in Francia e in Olanda.
Per questo motivo, credo si debba parlare di futuro ed avere il coraggio di presentare una proposta elevata: sono sicuro che il nostro paese, il Parlamento italiano e il nostro Governo sapranno rappresentare questa opzione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Falomi. Ne ha facoltà.

ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, oggi discutiamo di mozioni d'indirizzo che dovrebbero indicare al Governo le linee generali del suo contributo alla stesura della solenne dichiarazione che, in occasione del cinquantenario dei Trattati di Roma, sarà resa a Berlino il prossimo 25 marzo dai capi di Stato e di Governo.
Tuttavia, ne discutiamo quando mancano ormai cinque giorni alla scadenza prevista e quando, come a tutti noto, il testo della dichiarazione è stato già definito e sottoscritto dai vertici delle istituzioni europee ed è praticamente nulla la possibilità che la Camera dei deputati fornisca in qualche modo il suo contributo.
Vorrei fosse chiaro che il mio non è il lamento del solito deputato, cui fa velo un sentimento di onnipotenza che gli impedisce di vedere la complessità delle questioni in materia di costruzione dell'Europa. Lungi dall'avere un intento banalmente polemico nei confronti di un Governo di cui facciamo ed intendiamo continuare a far parte, quello che il gruppo di Rifondazione comunista-Sinistra europea vuole sottolineare e riproporre è il tema del metodo con cui si vuole procedere per rilanciare il processo di integrazione europea. Per noi il metodo non è un tema secondario; è il caso di dire che per noi il metodo è sostanza. È il metodo che decide chi e cosa stanno dentro e chi e cosa stanno forse fuori dalPag. 19processo, quali valori morali e civili e quali interessi economici e sociali costituiranno il cuore della costruzione dell'unità europea.
Noi siamo convinti che è giunta l'ora di mettere in discussione la centralità che il metodo intergovernativo ha assunto nel processo di integrazione europea e di democratizzare l'intero processo attraverso una partecipazione più incisiva dei popoli, del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali. In sostanza, si tratta di mettere il metodo democratico al centro del rilancio del processo costituente di un'altra Europa.
Dopo la bocciatura del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi bassi, dove i cittadini si sono potuti pronunciare attraverso referendum popolari, l'intero processo è entrato in una fase di impasse che minaccia di travolgere l'idea stessa di Unione europea. A ben vedere, uno degli elementi di quella crisi sta proprio nello squilibrio tra il metodo intergovernativo ed il ruolo e il peso troppo deboli della partecipazione democratica, del Parlamento europeo e di quelli nazionali. In questo senso è emblematico il modo con cui si è arrivati alla definizione della dichiarazione di Berlino. A tutt'oggi nessuno, tranne forse una cerchia ristrettissima di persone, ne conosce il testo. Noi non stiamo discutendo sulla base di un progetto di dichiarazione, bensì su quella di mozioni parlamentari che formano - ahimè in ritardo - auspici ed indirizzi su cosa dovrebbe contenere la dichiarazione di Berlino. Non dico che quello che stiamo facendo sia un esercizio inutile, ma esso è sicuramente un esercizio frustrante. Se vogliamo ridare forza, spinta e sostegno al processo costituente, non possiamo trattarlo alla stregua di una trattativa diplomatica tra Capi di Stato e di Governo. È necessario che dentro a questo processo irrompano i cittadini e le cittadine d'Europa, che il Parlamento europeo ed i Parlamenti nazionali giochino un ruolo meno marginale e distratto.
A questo riguardo sono state avanzate molte proposte utili ed interessanti, che sarebbe sbagliato non prendere in considerazione. In primo luogo mi riferisco alla proposta dei federalisti europei in merito allo svolgimento di un referendum sul processo costituente, da tenersi in vista delle prossime elezioni europee. A questo riguardo penso che non debba trattarsi di una consultazione, bensì di un referendum di indirizzo, approntando in proposito una specifica legge costituzionale che lo consenta, ovviamente nel caso in cui il tema venga assunto su scala europea.
Noi pensiamo che il rilancio costituzionale passi attraverso l'affidamento al Parlamento europeo, così come uscirà delle elezioni del 2009, di un mandato costituente. Certamente non ci dispiacerebbe l'ipotesi che questo mandato fosse legittimato da un referendum popolare. Sarebbe un modo di cominciare a praticare quanto scritto nella mozione presentata dai gruppi parlamentari dell'Unione circa la necessità di rafforzare e sviluppare la funzione legislativa del Parlamento europeo.
Anche la proposta avanzata in sede europea dall'onorevole Gargani, al di là di qualche eccesso di macchinosità, che può essere agevolmente eliminato, presenta un indubbio interesse. Sarebbe sbagliato ignorarla o lasciarla cadere.
L'apertura di una fase costituente che coinvolga, in qualche misura, i cittadini e le loro rappresentanze elettive è anche una presa d'atto del carattere illusorio di un processo di costituzionalizzazione affidato alla logica delle cose, ad uno spontaneo trascendimento della dinamica del mercato in dinamiche politiche. È il modo per costruire le occasioni per rispondere ad una domanda di senso che sale dai cittadini e dalle cittadine d'Europa.
Dobbiamo riuscire a superare il contrasto stridente, evidenziato dal no dei cittadini francesi e olandesi al progetto del trattato costituzionale, tra il modo in cui le istituzioni dell'Unione sono andate conformandosi e come l'Europa appare agli occhi degli europei. Da troppo tempo l'Unione europea si presenta con il volto della logica inesorabile del mercato e del liberismo, con il volto della riduzione delle spese sociali, del ridimensionamento delPag. 20welfare, della centralità di un'impresa libera da ogni responsabilità e che scarica sullo Stato e sui lavoratori tutti i costi sociali e finanziari della sua libertà.
A che serve, dunque, l'Europa? A rispondere alle sfide della globalizzazione, scriviamo nella mozione sottoscritta dai gruppi dell'Unione. È giusto. Rispondere alle sfide della globalizzazione, tuttavia, non può significare la trasposizione su scala europea del modello di globalizzazione liberista imposto in questi anni dalla potenza egemone americana. Se di questo si trattasse, sarebbe la cancellazione dell'identità europea, la sua omologazione ad un modello altro che azzera un tratto importante della sua storia, che è storia di conflitti e conquiste sociali, che non riduce alla crescita del PIL il proprio progresso.
Costruire l'Europa ha senso se essa diventa articolazione della globalizzazione capace di indicare alla globalizzazione un altro corso, un'altra direzione, un'altra idea e un'altra pratica del governo del mondo rispetto alle logiche disgreganti dell'unipolarismo di matrice americana. Ma se è questo lo spirito con il quale possiamo e dobbiamo rilanciare il processo costituente, non ha senso mantenere nel trattato costituzionale i capisaldi fondamentali del modello di globalizzazione-omologazione liberista contenuti nella terza parte.
L'assolutizzazione del principio di concorrenza, il ruolo di guardiano occhiuto ed esclusivo della moneta assegnato alla Banca centrale europea sono capisaldi che vanno profondamente ripensati, come vanno ripensate alcune politiche europee che possono far crescere il livello di sfiducia dei cittadini europei nei confronti del processo di costruzione dell'unità europea. Mi riferisco qui alla necessità di ripensare radicalmente, per esempio, i contenuti del Libro Verde sui problemi del lavoro, che propone ricette e impostazioni, da noi già sperimentate, che hanno prodotto solo insicurezza e precarizzazione.
Ripartiamo, dunque, per il rilancio della costruzione dell'Unione europea, ma ripartiamo con la consapevolezza che non c'è costruzione giuridica che tenga, se, al processo costituente, non si affianca un processo di costruzione di una società civile europea, un processo rispettoso, certo, delle specificità e delle diversità culturali, ma che, al tempo stesso, faccia progredire un comune senso di appartenenza. Un senso di appartenenza comune non nasce assumendo, come pure viene qui riproposto in alcune mozioni, integralisticamente il tema delle radici cristiane, che nessuno può negare, ma che non possono cancellare la molteplicità feconda delle grandi correnti del nostro continente, né possono assumere, come si pretende, quella cogenza giuridica che azzerebbe quel principio di laicità che costituisce uno dei frutti più fecondi della storia europea.
Queste sono le ragioni, anche critiche, ovviamente, attorno al processo di costruzione europea che, a nostro avviso, si possono ritrovare nel testo della mozione, che ho sottoscritto con il collega Mantovani ed insieme a tutte le forze dell'Unione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Azzolini. Ne ha facoltà.

CLAUDIO AZZOLINI. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, io credo che l'imperativo sia d'obbligo: facciamo ripartire l'Europa!
Credo che l'Europa debba riprendere il suo cammino unitario e andare avanti avendo una voce unica, forte ed autorevole nel concerto e nel contesto internazionale. L'Europa deve riaffermare convintamente e difendere i suoi valori, le sue radici, la propria identità. Solo così potrà operare per la pace ed essere di aiuto anche all'Islam, nella ricerca comune della pace e nella pace dello sviluppo dell'area del grande Mediterraneo.
La mozione che presentiamo può essere considerata la «mozione degli affetti», come l'ha definita la collega Boniver nel suo intervento illustrativo. E difatti, per noi europeisti convinti che abbiamo vissuto tutti i passi lungo la costruzione dell'Unione di oggi a 27 membri, questa è una mozione degli affetti.
Essa si richiama a quei cinquant'anni di storia europea che il nostro paese haPag. 21concorso a scrivere da protagonista, e che oggi rappresenta patrimonio comune di inestimabili quanto irrinunciabili valori.
Terrorismo, rapporti con l'Islam e sviluppo sostenibile rappresentano le sfide del futuro. Per vincerle bisogna analizzare con rigore ed obiettività gli eventi che si sono succeduti in questi cinquant'anni e dare, per dirla con Angela Merkel, il nome giusto a causa ed effetti.
La Cancelliera tedesca, alla vigilia della sua visita nel nostro paese, ha ricordato che il crollo del muro di Berlino, la libertà della Mitteleuropa e nell'est, l'ingresso di questi paesi nell'Unione, la riunificazione tedesca hanno a che fare con il coraggio della gente, ma anche con il fatto che il mondo, grazie al fenomeno della globalizzazione, si è fatto più piccolo.
È avvenuta l'unione dell'Europa, e al tempo stesso la pressione, effetto della globalizzazione, che ha comportato molta più concorrenza a livello mondiale e l'ingresso di nuovi paesi sulla scena internazionale. Questi eventi e le nuove realtà che si determinano creano un comprensibile senso di angoscia in molti, evidentemente, tant'è che a volte si considera l'Europa responsabile di sviluppi che hanno altre cause, come la globalizzazione. Di qui l'affermazione della Merkel. Dobbiamo allora affermare, ribadire in modo forte e chiaro che l'Europa è una risposta alla globalizzazione, non un indebolimento.
A fronte infatti di concorrenti come Cina, India e America latina, gli europei possono farcela meglio insieme. Ecco, questo è il punto da cui ripartire: insieme nella politica estera e di difesa comune, insieme nel mercato globale, insieme della politica euromediterranea e quindi insieme soprattutto, e sottolineo insieme, in un dialogo strutturato con l'Islam.
A questo proposito mi piace sottolineare, nell'impegno che chiediamo nella nostra mozione al Governo, il fatto di riaffermare il valore delle nostre radici cristiane. La Merkel si è espressa favorevolmente in merito, quale Cancelliere ma anche quale presidente del Consiglio europeo.
«L'Europa si fonda su valori cristiani» - ha detto - «tutti noi ci richiamiamo al diritto romano, alla eredità giudaico-cristiana, all'illuminismo. Sono l'essenza dell'Europa, ci hanno insegnato la tolleranza, il concetto di libertà, l'ordine democratico. Ma la questione» - ha concluso la Cancelliera tedesca - «è se ciò debba essere anche tradotto in dichiarazioni politiche».
A questo punto, l'interrogativo è d'obbligo: e perché no? Riaffermare le proprie radici e la propria identità non comporta l'esclusione di altre radici che hanno alimentato e tuttora alimentano anch'esse l'albero europeo.
Con la stessa determinazione ci sentiamo a questo punto di affermare che di fronte all'intolleranza ed alla violenza in nome di ogni religione, o di qualsiasi convinzione, siamo per la tolleranza zero.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel poco tempo che mi rimane vorrei, nell'intento di offrire un contributo alla causa comune, svolgere una breve riflessione sul ruolo che noi parlamentari e i parlamenti di tutti gli Stati membri dell'Unione europea e non possono e debbono svolgere, affiancando l'azione dei Governi.
Vorrei ricordare a quanti ci ascoltano che, tra i componenti dell'Assemblea parlamentare del Consiglio di Europa, vi sono i rappresentanti dei Parlamenti di tutti gli Stati della sponda settentrionale del Mediterraneo. La promozione della pace, della stabilità democratica, del dialogo interculturale e della cooperazione con e all'interno del bacino del Mediterraneo sono, quindi, ambiti prioritari dell'attività dell'Assemblea parlamentare di Strasburgo.
I Parlamenti ed i parlamentari, in quanto rappresentanti dei cittadini da questi eletti, possono e devono, a mio avviso, svolgere un ruolo fondamentale, ai fini del rafforzamento del dialogo e della cooperazione nell'area euro-mediterranea. La diplomazia parlamentare, la cooperazione interparlamentare ed il dialogo interculturale costituiscono le principali metodologie d'azione adottate ai fini suddetti.
Mi pare inevitabile fare riferimento al nostro presidente di turno dell'Unione interparlamentare,Pag. 22perché, grazie al suo impegno, è stata istituita l'Assemblea parlamentare mediterranea che è successiva all'Assemblea parlamentare euro-mediterranea che vide l'alba in quel del Cairo due anni or sono.
Queste due Assemblee, nelle quali i Parlamenti nazionali sono rappresentati, possono e devono collaborare con la centralità dell'Unione europea, per venire incontro, nell'area del Mediterraneo, all'esigenza da tutti rivendicata di pace, di una convinta relazione interpartitica, interpersonale (tra le delegazioni), insomma interparlamentare.
Vorrei ribadire un concetto. In quest'aula, molte volte abbiamo ascoltato affermazioni che tutti condividiamo. Poi, una volta usciti da questa sede, impegnati nei contesti nei quali siamo chiamati ad esprimerci, di questi valori e di questi concetti perdiamo memoria e traccia.
Dovremmo avere la capacità di contribuire a costruire con il nostro impegno quotidiano, granello dopo granello, questa grande spiaggia nella quale fare finalmente approdare la pace del Mediterraneo. La metafora è abbastanza facile, trattandosi di mare nostrum.
Tuttavia, voglio ricordare che, oggi, per un'encomiabile iniziativa del nostro presidente della Commissione affari esteri, che ringrazio (è presente in aula), abbiamo avuto il privilegio di ascoltare l'economista, premio Nobel Muhammad Yunus.
Quest'uomo da economista, ma direi da essere umano, ha risolto in modo eclatante, per i tempi che viviamo, i problemi della fame e della disperazione del popolo del Bangladesh e ha fatto circolare nel mondo un suo sistema (lo dico tra virgolette). Abbiamo bisogno di fare nostro questo metodo e pensare di immaginare in formule evidentemente da definirsi quali sono le responsabilità che molti paesi della vecchia Europa, oggi paesi anche fondatori della nuova Europa a 27, hanno nei confronti del continente africano.
Partecipiamo a convegni, dibattiti e poi dimentichiamo che vi sono decine di milioni di uomini, di donne e di bambini che muoiono ogni giorno di fame.
Questa Europa, che ha bisogno di un eccesso di adrenalina in più per dirsi ancora viva, può trovar questo stimolo e questo spunto da un forte impegno verso il continente africano. D'altra parte, il Parlamento europeo, le relazioni che intercorrono tra il Parlamento europeo e l'Unione dei Parlamenti africani sono evidentemente testimonianza di una certa capacità di relazionarsi.
Vi è bisogno di realizzare, ancor più che l'Unione europea, l'Europa nella sua cultura di solidarietà, di impegno e di pace.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ranieri. Ne ha facoltà.

UMBERTO RANIERI. Signor Presidente, il 25 marzo l'Unione europea ricorderà i cinquant'anni dal Trattato di Roma, con cui si avviò il processo di costruzione di un'Europa unita, ricca nelle sue diversità, consapevole del suo comune retaggio di civiltà, decisa a farla finita con le guerre intestine.
Molti risultati sono stati conseguiti da quel marzo del 1957: quello più straordinario è stato raggiunto con l'allargamento dell'Unione. Un processo che ha condotto, dopo l'ingresso di Romania e Bulgaria, ormai alla riunificazione del continente.
Oggi siamo ad un passaggio cruciale della storia della costruzione europea.
L'Unione è ad un bivio: o si dota di istituzioni e meccanismi decisionali in grado di consentirle di decidere e di assumersi responsabilità sulla scena del mondo globale e di procedere nell'integrazione in ampi e cruciali settori o il rischio è la paralisi è il declino.
Il Trattato costituzionale - questo è il punto - costituisce la risposta al problema. Ecco perché sarebbe un errore, che pagheremmo amaramente, considerare tramontato il Trattato costituzionale. Sarebbe un errore drammatico se lo sforzo compiuto per giungere al Trattato finisse nel nulla.
Sappiamo bene - lo ha riportato recentemente, a Strasburgo, il Capo dello Stato - quale trauma abbia rappresentatoPag. 23il voto contrario alla ratifica del Trattato costituzionale nei referendum indetti in due dei sei paesi fondatori della Comunità europea, ma ciò non può condurre a sottovalutare i contenuti innovatori del Trattato sottoscritto a Roma, nell'ottobre 2004, né, tantomeno, a sottovalutare il fatto che 18 paesi dei 27 hanno ratificato il Trattato in rappresentanza di circa 300 milioni di cittadini europei.
Certo, occorrerà fornire tutti i chiarimenti possibili agli interrogativi ed alle preoccupazioni che sono all'origine del voto contrario alla ratifica in Francia e in Olanda, ma non è possibile per l'Unione restare in una situazione di stallo e di incertezza.
L'Europa a 27 non andrebbe molto lontano se permanesse l'attuale quadro istituzionale, che non garantisce nemmeno la realizzazione di quelle politiche comuni che, ancora recentemente, il Consiglio europeo ha individuato e cui la Commissione sta lavorando, come ad esempio le politiche per l'ambiente e per l'energia.
In verità, per far crescere quella che è stata chiamata l'Europa dei risultati, è decisiva la forza di nuove istituzioni comuni, oltre ogni velleitaria presunzione nazionale. Credo, quindi, che non sia il caso di tornare ad agitare, parlando della Costituzione europea, lo spettro del «super Stato» centralizzato. Il Trattato ha sancito una netta ripartizione delle competenze, garantito il rispetto e accresciuto il potere del Parlamento europeo, ha ridotto il tratto intergovernativo. Si tratta di risultati importanti in uno sforzo teso alla democratizzazione del processo di costruzione europea e dell'Unione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 18)

UMBERTO RANIERI. Si semplifichi, quindi, il Trattato. In questa direzione occorrerà lavorare (e si sta lavorando), ma non si dimentichi che con il Trattato si sono compiuti passi importanti per dotare l'Unione europea di una politica estera e di sicurezza, per un effettivo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, per realizzare una cooperazione strutturata nel campo della difesa e in altri campi. Vorrei dire, a chi sostiene ancora che si tratti di un documento che agevoli tendenze neoliberiste in economia, che è un Trattato che rende possibile l'avvio di una politica economica europea, di un coordinamento ancora parziale di politiche fiscali, cioè quanto è mancato dopo l'introduzione dell'euro e che è stato all'origine delle difficoltà dell'economia europea, o in parte ha contribuito ad accrescerle.
Onorevoli colleghi, è vero che di questo complesso di misure previste nel Trattato vi è bisogno, perché con queste si riuscirà a fornire una risposta al problema di fondo di come garantire il funzionamento di un'Europa a 27, e di come garantire meccanismi decisionali e istituzioni che consentano all'Europa di funzionare.
Di questo complesso di misure c'è bisogno se vogliamo realmente che l'Europa assolva ad una funzione di protagonista sulla scena del mondo globale, se vogliamo che, pur in un contesto di conferma delle relazioni euro-atlantiche, l'Europa abbia voce in capitolo nel mondo contemporaneo, contribuisca al governo dei processi globali e di partecipazione nelle scelte, per affermare una sicurezza condivisa.
Ecco perché l'Italia guarda con fiducia all'impegno della Presidenza tedesca, per i principi ed i valori cui il cancelliere, signora Merkel, si è richiamato in queste settimane ed oggi. A Roma, a giugno, nella riunione del Consiglio europeo, sarà adottato un percorso che dovrà consentire, questo è negli auspici del Governo italiano e in questa direzione spingeremo, di giungere alle elezioni del 2009 avendo concluso positivamente il processo costituzionale. Questa ci sembra la via maestra da seguire e l'Italia, ne sono sicuro, si mostrerà all'altezza di questa impresa; l'Italia, infatti, è stata protagonista del processo di integrazione sin dal suo avvio, ha avuto statisti lungimiranti come De Gasperi e Sforza, ed un appassionato combattente dell'idea europea, di cui abbiamo ricordato il centenario della nascita, Altiero Spinelli.Pag. 24
Vorrei concludere su un tema. L'Europa ha bisogno, ne sono convinto, di un quadro di insieme di valori. L'Europa a 27, l'Europa che si è riunificata, ha bisogno di fissare il quadro di riferimento di valori e di principi che orienti la sua condotta e costituisca la base in cui i cittadini europei si riconoscono. Nel Trattato vi è il riferimento esplicito a valori fondamentali quali: la libertà, la dignità, l'eguaglianza, la solidarietà. È un insieme di valori che fornisce un comune denominatore all'Europa, frutto di una integrazione fra culture cristiane e laiche dell'Europa. Questo è il punto su cui vorrei che i colleghi del centrodestra riflettessero. Ai valori classici, elaborati dalle culture laiche e condivise da quelle cristiane, si aggiungono due valori da tempo radicati nell'etica comune delle grandi religioni: la dignità dell'uomo, frutto della filosofia rinascimentale, che ha anche radici religiose più lontane nel tempo (penso al pensiero di Tommaso d'Aquino), e la solidarietà, che ha radici religiose nelle chiese e nelle istituzioni della carità, ma anche radici e valori nel socialismo europeo.
Entrambi i valori sono quindi rinvenibili nella stessa Costituzione italiana e costituiscono punti essenziali di quel comune denominatore di principi e valori in cui possono riconoscersi gli europei. Si tratta di valori indivisibili, che definiscono il quadro europeo di valori.
A me pare che il Trattato, quindi, offra riferimenti da questo punto di vista, dei principi e dei valori che possono essere validi per tutti gli europei, ed essendo giunti a quella elaborazione attraverso un intenso complesso e difficile lavoro, penso che i termini con cui questo problema sia stato affrontato e risolto dal Trattato costituzionale debbano essere considerati adeguati e sufficienti. Pertanto, su quella parte del Trattato non interverrei.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, onorevole Crucianelli.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Voglio ringraziare innanzitutto i numerosi colleghi intervenuti. È stato, questo, un dibattito molto ricco e anche molto appassionato. D'altronde, non poteva che essere così, perché già in passato, come è stato giustamente ricordato quando si è discusso di Europa, si è sempre avuta una discussione molto intensa e piena anche di sentimento. Sarò molto breve: farò una prima, doverosa e, forse, burocratica ricognizione e successivamente qualche considerazione sui punti più aperti del dibattito che si è avuto.
Le celebrazioni del cinquantenario della firma dei Trattati di Roma e la dichiarazione che verrà approvata il 25 marzo dai Capi di Stato e di Governo non rappresentano un semplice evento commemorativo, ma costituiscono, o dovrebbero costituire, un passaggio fondamentale per il rilancio del processo costituzionale e dell'azione dell'Unione europea.
Siamo ad uno snodo decisivo del progetto di integrazione: o riusciremo a trovare un accordo sul Trattato costituzionale entro le elezioni del 2009 (so bene che questo è un punto controverso, ma tale è la ferma opinione del Governo), o quella che pure avevamo definito come una «pausa di riflessione» si dimostrerà, nei fatti (e già vi sono tutti segni), una crisi paralizzante.
È necessario, quindi, uno sforzo collettivo per rilanciare l'Europa e in questo sforzo collettivo i parlamenti dovranno avere una funzione fondamentale.
In questo, il nostro Parlamento, in passato e per alcuni versi, ha giocato un ruolo esemplare; basti ricordare, in proposito, che l'Italia è stata tra i primissimi membri a ratificare il Trattato costituzionale e che lo ha fatto in quest'aula con una amplissima maggioranza.Pag. 25
Ben venga, quindi, il contributo di idee, di indirizzi che già è emerso ampiamente in questo dibattito; essi rappresentano un autentico contributo. E ben venga il valore simbolico che sicuramente rivestirà all'immediata vigilia del Consiglio europeo di Berlino l'evento commemorativo che il Parlamento italiano ha organizzato per il 22 e il 23 marzo. È importante che tale evento avvenga a ridosso del Consiglio europeo di Berlino del 24 del 25 marzo. La dichiarazione che dovrà essere approvata il 25 marzo a Berlino dai leader dell'Unione europea avrà una grande importanza anche sul piano simbolico nel rilancio del processo di integrazione. Nei nostri desideri, la dichiarazione segnerà la conclusione della fase di riflessione avviata a seguito del referendum francese ed olandese e dovrebbe segnare (questa è la nostra volontà) l'inizio di una nuova, più dinamica fase del dibattito: nella sostanza, chiudere la cosiddetta pausa di riflessione, che rischia di essere un'eterna riflessione, ed aprire invece una nuova fase per entrare nel vivo del dibattito e per riprendere le fila del Trattato costituzionale.
Non c'è modo migliore per avviare questa nuova fase che ricordare, senza facili trionfalismi, ma con una giusta rivendicazione, i successi del passato, analizzando, in maniera lucida, le sfide attuali e future con cui si confronta l'Europa e i mezzi per farvi fronte adeguatamente.
Ed è per questo che il Governo ha voluto dare, fin dall'inizio, attraverso l'ambasciatore Ruggiero, un contributo particolarmente attivo e riconosciuto dalla stessa Presidenza tedesca al processo di elaborazione della dichiarazione. La dichiarazione costituirà un'occasione per dare nuovo slancio al progetto europeo, impegnandosi nella costruzione di un'Europa forte, efficiente, e capace di affrontare le sfide globali del futuro. In tal senso, il Governo condivide la bozza presentata dalla Presidenza. Questa scaletta si articola attorno a cinque parti fondamentali: i successi di cinquant'anni di integrazione; i caratteri essenziali dell'unificazione europea; i valori condivisi; le priorità interne ed esterne dell'Unione; gli impegni per il futuro.
Ai nostri partner, il Governo italiano, inoltre, ha espresso l'auspicio che la dichiarazione contenga un riferimento alla volontà di completare il processo di riforma costituzionale e il tempo per le elezioni del Parlamento europeo del 2009, così da permettere all'Europa allargata di funzionare efficacemente. Siamo, infatti, convinti che quest'indicazione programmatica contribuirebbe a dare un senso politico compiuto ed un impatto operativo immediato alla dichiarazione medesima.
Nella stessa ottica, il Governo è aperto a prendere in considerazione, nell'ambito del processo di riforma costituzionale, la possibilità di interventi sull'attuale Trattato costituzionale che, senza alterarne lo spirito e la sostanza, siano in grado di rassicurare la pubblica opinione, in particolare valorizzando la dimensione sociale ed ambientale del processo di integrazione europea.
Il Governo ritiene, infatti, che sia opportuno venire incontro alle esigenze di quei paesi che hanno avuto difficoltà nel ratificare il testo sottoscritto nell'ottobre 2004, privilegiando l'ottica del completamento del testo attuale, a condizione però che di questa formulazione sia preservata in ogni caso la sostanza del testo fondamentale e a condizione che ne siano mantenute tutte le parti essenziali ed innovative.
Qualsiasi formula volta a superare le situazioni determinatesi dopo le consultazioni referendarie in Francia e nei Paesi Bassi dovrà, in ogni caso, partire dal testo firmato a Roma nell'ottobre 2004, in quanto espressione di un equilibrio complessivo tra paesi membri ed istituzioni dell'Unione Europea e di una visione ambiziosa dell'avvenire dell'Unione ampliata.
Occorrerà, infine, tenere pienamente conto del fatto che il testo è stato ratificato da 18 membri su 27, rappresentativi della maggioranza della popolazione dell'Unione. Voglio anche aggiungere che altri quattro paesi, che non hanno ratificato il Trattato costituzionale, hanno però dichiaratoPag. 26formalmente di essere d'accordo con la sua sostanza: quindi, 22 paesi su 27 condividono la sostanza del Trattato costituzionale.
Facendo riferimento ad alcune questioni che sono state sollevate, non sfugge certo la dinamica dei problemi che si è aperta con il referendum francese ed olandese; ciò è del tutto evidente, anche se un'analisi seria, accurata, obiettiva di ciò che è accaduto in quel referendum ci porterebbe a considerare una molteplicità di fattori e non tutti riconducibili al Trattato europeo o, comunque, alla questione Europa in generale. Quei referendum si sono fatti carico anche di una serie di problemi che erano propri ed interni di quei paesi, ma, a mio parere, non sfugge che nel corso di questi anni è maturata all'interno dell'opinione pubblica una forte insicurezza, una precarietà, una difficoltà sociale, che ha determinato un elemento di «scollatura» fra l'identità europea, l'obiettivo europeo e il senso comune dei cittadini europei.
Credo che tale dato - che, peraltro, è rilevabile non solo da ciò che sono stati i referendum francesi ed olandesi, ma anche dagli odierni sondaggi nell'opinione pubblica - si avverta nel clima europeo: sussiste una difficoltà reale - perlomeno, vi è stata nel corso dei recenti anni -, che nasce dalla profonda insicurezza che oggi si avverte fra i cittadini europei. Badate, all'interno di questa insicurezza c'è di tutto, come nel caso del voto francese, dove sono presenti sia Le Pen sia le posizioni della sinistra radicale: è l'insicurezza e l'incertezza sul futuro del lavoro, dei propri diritti sociali, delle grandi conquiste sociali, ed anche l'insicurezza e la paura che nasce dall'immigrazione e da altro tipo di incertezze: quindi, siamo di fronte ad una situazione che esprime una difficoltà reale.
Credo che all'interno di questa lontananza che si percepisce in alcuni settori dell'opinione pubblica europea vi sia anche una difficoltà dell'Europa come soggetto reale, come soggetto protagonista anche a livello dello scenario mondiale, cioè una difficoltà nel cogliere il senso e la qualità di un'iniziativa europea. Non vi è dubbio che - come è stato accennato - vi sia anche una difficoltà dei meccanismi democratici europei. L'Europa e le sue istanze istituzionali vengono avvertite dai cittadini come qualcosa che è lontano, che è difficilmente riconducibile alla dinamica democratica di ogni giorno. Quindi, penso che le obiezioni sollevate sulla difficoltà che si avverte fra i cittadini europei e l'idea, il futuro dell'Europa siano elementi su cui sicuramente occorre riflettere, ragionare ed intervenire.
In questo senso credo che non si possa semplicemente riproporre il Trattato così com'è dalla prima all'ultima parola - non solo perché vi è stato il referendum francese, ma anche per le considerazioni che avanzavo -, facendo valere magari un principio di maggioranza (come dicevo, potrebbe essere un'ampia maggioranza perché stiamo parlando di 22 paesi su 27). Sussiste una difficoltà che chi dovrà poi riprendere le fila e la redazione del Trattato costituzionale non può non prendere in considerazione. Inoltre, nella discussione che si è sviluppata, quando parliamo di sostanza, di spirito, di parti fondamentali, noi ci riferiamo fondamentalmente alla prima e alla seconda parte, mentre sappiamo bene che la terza parte è la ratifica in grandissima parte dei Trattati precedenti e la costituzionalizzazione degli stessi.
Potrebbe essere ripresa una discussione su questo terreno, come sostengono diversi francesi. Lo stesso Sarkozy, quando parla del Trattato, fa riferimento a questo tipo di problematica.
Anche dalla discussione che si è appena svolta emerge una domanda con cui dobbiamo confrontarci noi e l'Europa, che avrà il compito di portare a termine questo faticoso percorso del Trattato costituzionale. Tuttavia, mi preme fare due precisazioni. Infatti, vi è un equivoco sul quale dobbiamo chiarirci. La democrazia europea è fondamentalmente di carattere parlamentare. Non riesco a capire per quale ragione il referendum diventa un percorso democratico e il fatto che i Parlamenti nazionali discutano ed approvanoPag. 27un Trattato costituzionale diventi un percorso non democratico. Permettetemi di discutere o, quanto meno, di parlare di questo. Si può anche utilizzare lo strumento referendario, ma ciò non per il fatto che la discussione e la decisione in sede parlamentare siano di carattere antidemocratico. Francamente, in questo modo stravolgeremmo qualsiasi principio rispetto a quelle che sono le regole e le procedure democratiche. Trovo molto intrigante la proposta ed il ragionamento sul referendum contenuta in diverse mozioni. Si tratta di un terreno sul quale riflettere e discutere, non perché deve essere contrapposta una procedura che vede protagonisti i Parlamenti in qualità di procedura non democratica. Può essere un elemento che arricchisce la partecipazione e coinvolge più direttamente l'opinione pubblica europea, ma non per questo l'approvazione parlamentare deve essere considerata non democratica. Sarebbe bene ragionare sulla stessa procedura costituzionale e istituzionale che, a mio avviso, è molto complicata.
Questa è una prima considerazione. Successivamente, discuteremo anche nel merito delle mozioni e vedremo più puntualmente il contenuto delle stesse. Tuttavia, voglio dire che è bene fare chiarezza su questi punti fra di noi. Il Parlamento italiano, democraticamente e a grandissima maggioranza, ha approvato il Trattato costituzionale. Si possono poi fare altre proposte e così anche gli altri 18 - e potenzialmente 22 - Parlamenti si accingono a fare la stessa cosa.
Il secondo problema sul quale vorrei si ragionasse seriamente è quello relativo ai tempi. È per questo che il Governo italiano insiste su ciò che avverrà nel 2009. Noi ci troviamo ad un punto in cui, se non si arriva in tempi ragionevoli a definire un Trattato costituzionale che dia all'Europa la possibilità di funzionare, e non solo al suo interno - infatti oggi le strutture europee sono fondamentalmente paralizzate - ci troveremo davanti a tutta una serie di discussioni a Bruxelles come, ad esempio, quella per cui l'accordo di partenariato strategico con la Russia è stato bloccato dal veto polacco. Ci troviamo a fare discussioni di grandissima rilevanza, dove si deve inverare la posizione politica italiana ed europea su grandi scenari e dove si trovano grandissimi problemi come il Medioriente. In questi casi, prima di prendere una decisione, bisogna passare ore a discutere su una o su un'altra parola. È del tutto evidente che in queste condizioni, se si continua di questo passo, l'Europa andrà rapidamente verso il declino. Per i prossimi cinque o sei anni potrà accadere che avremo procedure straordinariamente democratiche, ma probabilmente discuteremo su qualcosa che a quel punto non c'è più.
Io vorrei che riflettessimo su questo. Infatti, mi pare che vi sia un'opinione ed una determinazione assolutamente comune sulla necessità e sull'esigenza storica e politica che l'Europa possa e debba giocare una sua funzione ed un suo ruolo in tutti gli scacchieri dove le crisi sono evidenti e, soprattutto, dove vi sono problemi seri.
La questione dell'allargamento che è stata sollevata presenta punti «brucianti» al suo interno. Si parla della Turchia, ma io vorrei parlare anche del Kosovo o, meglio, dei Balcani. È evidente che non si potrà più parlare di allargamento fino a quando non avremo una vera integrazione dell'Europa. E ciò potrà accadere solo quando avremo un Trattato costituzionale. È immaginabile che questi problemi possano essere ancora rinviati per anni e anni? Io non lo credo.
Quindi, in questo senso, vorrei rilevare che ci troviamo di fronte ad un duplice problema. Il primo problema che è stato posto, e che ritengo legittimo prendere in considerazione, è rappresentato dalla necessità di individuare un percorso maggiormente democratico e partecipativo, che coinvolga sia i Parlamenti, sia i cittadini europei. L'altro, drammatico problema che abbiamo dinanzi, tuttavia, è costituito dall'esigenza di avere tempi certi per giungere ad un'Unione europea chePag. 28possa esercitare una funzione reale sia nello scenario internazionale, sia al suo interno.
Queste sono le considerazioni di ordine generale che intendevo rappresentare. In una seduta successiva, entreremo poi nel merito delle diverse mozioni presentate, sulle quali esprimerò il parere del Governo.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 18,22).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, desidero intervenire soltanto per ricordare che, cinque anni fa, Marco Biagi veniva assassinato per mano delle Brigate rosse. Credo, Presidente, che una figura così importante - un servitore dello Stato ed un martire delle riforme - debba essere ricordato in quest'aula.
Ci saremmo aspettati, in tal senso, un gesto di sensibilità da parte della Presidenza dell'Assemblea che, tuttavia, non vi è stato. Ci auguriamo, signor Presidente, che, nella giornata di domani, la Presidenza predisponga le iniziative più opportune per commemorare come merita una figura così importante: perfino oggi, infatti, il Capo dello Stato e numerosi esponenti di forze politiche hanno avuto l'intelligenza e la sensibilità di ricordarlo.
Ritengo, signor Presidente, che, al di là delle opinioni che si possano nutrire circa la sua legge, egli debba diventare patrimonio di tutti, a maggior ragione in conseguenza del fatto che, proprio recentemente, indagini di polizia e di intelligence hanno condotto alla scoperta di nuovi nuclei di terroristi di ispirazione «rossa» che hanno preoccupato l'opinione pubblica e sui quali, mi sembra, sia stata resa anche un'informativa del Governo al Parlamento.
Volevo intervenire solo per rilevare ciò e per sollecitare la Presidenza a far sì che si pongano in essere iniziative opportune per ricordare, come già detto, una figura che ritengo sia ormai un patrimonio comune della nazione.

PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, lei sa che normalmente, quando vengono avanzati questi suggerimenti, essi vengono anticipati proprio per organizzare una commemorazione adeguata. Ciò non è stato fatto e ne prendo atto.
Debbo semplicemente precisarle che il Presidente della Camera ha già espresso una sua valutazione su questo efferato omicidio ed ha rinnovato il proprio cordoglio ai familiari anche recentemente, in occasione della intitolazione, a Milano, di una piazza a Marco Biagi. Personalmente, credo di interpretare il sentimento di tutta l'Assemblea e mi associo alle parole che lei ha pronunziato. Ribadisco ancora il cordoglio e la partecipazione più viva di tutta la Camera dei deputati per questo efferato omicidio delle brigate rosse.
Personalmente, provo un ricordo anche vivido di quella serata, perché sono stato tra i primi ad essere informato dell'accaduto. Ho avuto la possibilità di recarmi subito presso la famiglia ed ho potuto essere, purtroppo, nella condizione di constatare ciò che i terroristi brigatisti avevano compiuto.
Ho un ricordo ancora vivo del professor Marco Biagi. Infatti, credo fosse presente anche il collega Giovanardi all'inaugurazione di un anno accademico dell'università di Modena cui era stato invitato il Presidente Casini. In quell'occasione, infatti, Marco Biagi tenne una lectio magistralis, che adesso ricordo anche con particolare affetto.
Ad ogni modo, credo non sia il caso di fare polemiche, perché tutta la Camera è assolutamente unita nel ricordare questa straordinaria figura di un uomo e di autentico democratico, il quale ha messo la sua scienza al servizio del bene di tutti ed ha pagato, per questo, il prezzo

Pag. 29

Discussione delle mozioni Giovanardi ed altri n. 1-00112, Mura ed altri n. 1-00117, Meta ed altri n. 1-00118, Leone ed altri n. 1-00121 e Maroni ed altri n. 1-00122 sulle iniziative per contrastare il fenomeno delle cosiddette «stragi del sabato sera» (ore 18,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Giovanardi ed altri n. 1-00112, Mura ed altri n. 1-00117, Meta ed altri n. 1-00118, Leone ed altri n. 1-00121 e Maroni ed altri n. 1-00122 sulle iniziative per contrastare il fenomeno delle cosiddette «stragi del sabato sera» (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che è stata altresì presentata la mozione Beltrandi e Villetti n. 1-00124 (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1), il cui testo è in distribuzione, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà discussa congiuntamente.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Giovanardi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00112. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI. Presidente, tre anni fa, nel 2004, eravamo in questa sede - ero allora ministro - a discutere delle stragi del sabato sera e come Governo avevamo presentato un disegno di legge che, purtroppo, per un voto non venne approvato in aula; sette anni fa, quando ero all'opposizione, avevo tentato di sostenere un analogo disegno di legge, presentato dal Governo D'Alema, i cui contenuti erano pressoché uguali, ma anche in quella occasione il provvedimento non ebbe fortuna e siamo di nuovo qui, questa volta dall'opposizione, a tentare pervicacemente di affrontare lo stesso problema.
Abbiamo esemplificato il problema per darne una dimensione. L'esercito americano ha avuto in Iraq, negli ultimi quattro anni, le stesse perdite che hanno avuto i giovani italiani sul fronte del divertimento: 3.100 sono i militari americani morti in Iraq, circa 3 mila sono i giovani morti negli ultimi quattro anni durante le stragi del sabato sera, con in più le decine di migliaia di feriti.
Le statistiche ASAPS (Associazione sostenitori amici della polizia stradale) - si tratta di dati ufficiali, gli ultimi dei quali risalgono al 2005, anno successivo a quello dello sfortunato tentativo che vi fu in Parlamento per arginare quella strage - riportano che nel 2005, nella fascia oraria tra le 22 e le 6 del mattino, si sono verificati 35.098 incidenti (pari al 15,6 per cento del totale), che hanno causato il decesso di 1.529 persone (pari al 28,1 per cento del totale) e il ferimento di 54.273 persone (pari al 17,5 del numero complessivo delle persone che sono dovute ricorrere al pronto soccorso).
Emerge già un dato allarmante: gli incidenti della notte non sono in percentuale molto numerosi, ma sono estremamente pericolosi. Basti pensare, per fare chiarezza, che mentre l'indice medio nazionale di mortalità, cioè il numero di morti ogni cento incidenti, che viene rilevato dalle forza di polizia, è pari al 2,4 per cento, per i sinistri che accadono di notte tale numero «schizza» al 4,4 per cento, cioè quasi al doppio. Il valore massimo si tocca poi proprio nella notte del venerdì, con una punta del 4,7 per cento (siamo a più del doppio!).
Gli incidenti delle sedici ore del venerdì e del sabato rappresentano il 44,3 per cento del totale dei sinistri delle notti di tutta la settimana, esattamente 6.942 il venerdì (pari al 19,8 per cento) e 8.600 invece il sabato (pari al 24,5 per cento); i feriti delle due notti rappresentano il 47 per cento per un totale di 25.870, di cui 10.831 nel venerdì notte (19,7 per centoPag. 30del totale) e ben 15.039 nella notte del sabato (27,4 per cento del numero complessivo).
I morti delle due tragiche notti rappresentano il 45 per cento dei decessi complessivi delle notti della settimana (688 in totale), di cui 280 i decessi nella notte del venerdì (pari al 18,3 per cento) e addirittura 408 in quella del sabato (26,7 per cento del totale).
Una scorsa alla tipologia di strada, che vede tale tipo di sinistrosità notturna da week-end, ci indica che gli incidenti che avvengono nelle aree urbane sono più del doppio di quelli che avvengono nelle strade extraurbane. Attenzione però: quelli che avvengono nelle strade extraurbane hanno un indice di mortalità quasi quadruplo. Siamo all'8,9 per cento di mortalità, contro un tasso del 2,5 per cento dei sinistri dell'area urbana.
La settimana disegna un grafico della mortalità che forma un triste crescendo: 148 vittime il lunedì, 151 il martedì, 180 il mercoledì, 190 il giovedì, 280 il venerdì, 408 il sabato. È evidente che esiste un'anomalia, infatti il modello di divertimento attualmente in vigore, spinto fino al nomadismo tra province e regioni con l'alcol, sostanze, velocità e stanchezza, costituisce la concausa di questa vera e propria strage.
Tutti sappiamo che si verificano gli incidenti stradali, tutti sappiamo che vi sono diverse cause che in tutte le ore del giorno determinano tali incidenti, tutti sappiamo che vi sono provvedimenti che possono essere utili in generale per frenare un fenomeno che, tuttavia, ha una sua specificità. Infatti, basterebbe che il numero dei morti e dei feriti che si registrano il sabato notte fosse equivalente a quello che si registra negli altri giorni della settimana per dimezzare il numero dei morti del sabato sera.
Tuttavia, ci scontriamo contro un muro, che è determinato dalla mancanza di volontà del Parlamento di fare qualcosa. Infatti, l'Italia si è fermata in tutto il nord per le polveri sottili - che, indubbiamente, possono provocare danni per la salute -; 25 anni fa l'Italia si è fermata tutte le domeniche per l'aumento del costo del petrolio, ma a fronte di stragi che ci costano di più in termini di vittime dei soldati morti nella guerra in Iraq non si fa nulla!
Ricordo che nel mio intervento di tre anni fa richiamavo il protocollo d'intesa siglato nel 1999 fra l'onorevole Jervolino, l'onorevole Turco e l'onorevole Bindi - che allora erano ministri - e il SILB (Sindacato italiano locali da ballo), che tuttavia nessuno ha mai rispettato. Infatti, ci sono 8 mila comuni in Italia nei quali i sindaci fanno ciò che vogliono, con la conseguenza che vi sono esercenti che chiudono alle due, alle tre, alle quattro, alle cinque e chi apre alle sette del mattino.
Tra l'altro, adesso si registrano quelle straordinarie offerte, gli open bar, dove si può bere a dismisura a prezzi irrisori. Ci siamo recati, con le associazioni dei familiari, con le associazioni delle vittime della strada, con la polizia stradale, davanti a quei locali per parlare con i gestori, che hanno dichiarato semplicemente di fare il proprio mestiere, attribuendo allo Stato e alla polizia il compito di fare i controlli. Il loro interesse è quello di spremere i giovani dalle ventidue alle sei del mattino fino all'ultima goccia, non di denaro, ma di sangue!
Si era pensato di far cessare la musica e il ballo alle quattro del mattino, consentendo di rimanere in discoteca a chi volesse mangiare o bere bevande non alcoliche. Si era anche pensato di non vendere alcolici dalle tre alle sei del mattino, rendendo più morbido il passaggio dai locali alla strada e attenuando in tal modo i fattori di rischio. Ma, anche in questo caso, ci siamo trovati davanti un muro.
Ricordo che anche l'onorevole Castagnetti - che ora presiede - in quell'occasione fu uno dei maggiori sostenitori dell'affossamento di quel provvedimento, che riteneva assolutamente inefficace, dicendo: «Voi proponete tante cose, ma vi rivolgiamo un appello: se non avete i soldi fermatevi e diteci quando sarete pronti.Pag. 31Noi insistiamo nel dire che questa è una presa in giro perché non stanziate i soldi per i controlli stradali».
Ieri ho ascoltato l'intervista del ministro Bianchi che ha dichiarato di aver predisposto un disegno di legge, ma che non vi sono le risorse; infatti, il ministro dell'economia ha detto che per le forze di polizia, per gli straordinari, non vi sono soldi.
Facciamo finta di niente? Siamo l'unico paese in cotale situazione; non ve è, infatti, alcuno, né in Europa né al mondo - chiedete pure alla polizia stradale - con analoghi indici di mortalità e di traumatologia. Si tratta di un circuito nel quale le prestazioni richieste ai giovani, in qualche modo - se ne è discusso l'altro giorno in Parlamento -, sono utilizzate da alcuni gestori per smerciare droga; è peraltro inevitabile che ciò accada perché le prestazioni richieste non sarebbero sopportabili senza l'ecstasy, senza la cannabis, senza un «aiutino».
Quindi, non è sostenibile che non sarebbe vero che in determinate discoteche gira la droga; questa gira dappertutto, ma vi sono luoghi in cui si concentra e viene venduta in maniera funzionale al circuito della trasgressione e dello sballo. Sballo che rappresenta un ossequio quasi dovuto ad una moda! Poi, si finisce nell'umorismo, umorismo sovente macabro. I responsabili del SILB propongono l'identificazione del 'guidatore designato': ma se fino alle quattro od alle cinque del mattino si balla, si sta sotto le luci psichedeliche, esposti a rumori assordanti per ore, poi come si può, alle quattro e mezzo del mattino, salire in macchina con tre colleghi ubriachi che dormono accanto e guidare per cento chilometri per fare ritorno a casa? Secondo voi, qualcuno che non ha bevuto, in quelle condizioni, se si mette al volante, è in grado di guidare? Ma avete letto stamattina, su Il resto del Carlino, di quella pattuglia dei carabinieri contro la quale si è schiantato un giovane che non ha potuto vederla per un colpo di sonno?
Sulla base di dieci anni di osservazioni scientifiche, possiamo sostenere che gli incidenti catastrofici avvengono dalle quattro alle sei del mattino; gli ultimi incidenti catastrofici, nell'ultimo mese cinque persone sono state bruciate vive in provincia di Lecce e altre cinque si sono disintegrate in Piemonte; non vi è mai il segno di una frenata: perché? Nelle altre ore del giorno o della notte, il guidatore, quando gli si para davanti un ostacolo imprevisto, tenta sempre una reazione: è difficile uno scontro frontale senza che si faccia qualcosa per evitare l'impatto con un albero o un muro. Perché questi incidenti sono catastrofici e costano quattro, cinque o sei vite ogni volta? Perché non vi è alcun segno di reazione da parte del guidatore? Perché esce di strada senza accorgersene! Perché è in strada in condizioni psicofisiche inadeguate in quell'orario della notte dato che l'orologio biologico, che è dentro ognuno di noi da un milione di anni, non lo mette in condizioni di guidare in sicurezza.
Quindi, questi incidenti sono ripetitivi e sempre dipendono dalla velocità; è dunque giusto togliere i «bolidi» ai neopatentati. Ma vi assicuro che procedendo a 60 chilometri all'ora, se l'impatto con l'ostacolo è frontale, la macchina si disintegra. Il colpo di sonno è purtroppo un killer che non dà né tregua né scampo; sono i numeri a testimoniarlo...
Di cosa stiamo parlando? di una questione che è anche statistica! Capisco che il problema sia complesso e che il disegno di legge merita approfondimento. Però, noi, una presa d'atto di consapevolezza della nostra società davanti a questa tragedia, l'abbiamo chiesta! Chiediamo infatti al ministro dell'interno un segnale forte, chiediamo che almeno un sabato - un solo sabato notte -, come si è fatto per le polveri sottili, lasciando aperti discoteche, bar, ristoranti, pub e quant'altro, si imponga l'uso dei mezzi pubblici, della metropolitana, degli autobus, dei taxi. I gestori si organizzeranno! Si potrà utilizzare la bicicletta o andare a piedi, con tutti i mezzi, ma non con la macchina di papà! Sarebbe una notte in cui la nostra società scoprirebbe che ci si può anche divertire senza svegliarsi la domenica mattina con dieci giovani morti in meno, laPag. 32statistica sta lì a dimostrarlo, e senza qualche centinaia di feriti in meno. Quindi, si può fare qualcosa.
Quando si dimostra che si può fare qualcosa, poi si può ragionare anche sull'attenuazione dei fattori di rischio che portano a tale disastro. Ho letto alcune mozioni presentate, anche quella dei colleghi dell'Italia dei Valori che giustamente chiedono se sia proprio obbligatorio dalle due alle sei del mattino continuare a versare alcol. Non può esserci una moratoria notturna, in quelle ore in cui già l'attenzione del guidatore e dei giovani è al livello più basso? Si obietta che poi uno può comprare la bottiglia, ma intanto comprare una bottiglia non è facile alle due di notte.
Quindi, qualunque misura non va bene; i 50 all'ora non vanno bene; i limiti di velocità non vanno bene. Se si pensa che ogni limite che si pone qualcuno lo viola, andiamo poco lontano! Però, e concludo, quanto voglio sostenere in questa sede è che sono anche un po' imbarazzato e mi vergogno un po'. Questo è, infatti, un paese che vieta l'osso della bistecca alla fiorentina, perché c'è la «mucca pazza» di cui forse - forse! - si è verificato un caso in Italia - ripeto, forse! -, che dell'aviaria ha fatto una psicosi nazionale, per cui è crollato il mercato avicolo, e che ferma le città a causa delle polveri sottili. Ma da quando abbiamo iniziato a parlare di questo tema, nel 1992, collega Castagnetti, sono morti quasi 9 mila ragazzi il venerdì ed il sabato notte: 9 mila ragazzi, un intero stadio!
Di fronte ad una strage di tali dimensioni il Parlamento continua a dire che il problema è a monte o a valle e si lascia prendere in giro dagli interessi economici di coloro che, in dieci anni, non hanno fatto assolutamente nulla, anzi ci hanno contrastato dal punto di vista culturale! Oggi manifestavano i familiari delle vittime, con una maglietta che diceva: «Accorcia la notte, allunga la vita», il che vuol dire divertiti, ma non ammazzarti; cerca di gestire la notte in maniera intelligente. Il SILB (Sindacato italiano locali da ballo) ci ha risposto, tre anni fa, con una campagna nazionale in tutte le discoteche, dal titolo «Allunga la notte», e perché dice ai giovani «Allunga la notte»? Per «tosarli» meglio dal punto di vista economico, che già di per sé sarebbe grave, ma se, oltre alla «tosatura» dal punto di vista economico, vi è anche la «tosatura» della vita o vi sono persone che rimangono permanentemente lese, a migliaia, tutta la vita su una sedia a rotelle o ancora peggio, allora credo che il costo sociale ed anche economico che la collettività deve pagare per questo fenomeno non sia più accettabile e pertanto chiedo a tutti colleghi, ma ne discuteremo in una fase successiva, che vi sia la consapevolezza necessaria ed un po' di dignità per affrontare decisamente questo tragico fenomeno [Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. Onorevole Giovanardi, lei ha utilizzato due terzi del tempo a disposizione del suo gruppo. Ho cercato di segnalarglielo, ma lei avrebbe potuto utilizzarlo anche tutto...

EMERENZIO BARBIERI. Presidente, se volesse concedere più tempo nel prosieguo della discussione...

PRESIDENTE. Non so chi presiederà la seduta in quel momento e non so quali saranno le decisioni della Presidenza di turno.
È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli, che illustrerà anche la mozione Leone ed altri n. 1-00121, di cui è cofirmatario. Onorevole Baldelli, naturalmente ciò che ho appena detto vale anche per lei. Se lei ritiene che debba segnalarle il tempo che rimane a sua disposizione in un certo momento, me lo dica.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, le sarei grato se potesse segnalarmi quando saranno trascorsi cinque minuti dall'inizio del mio intervento.

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Baldelli. Prego, ha facoltà di parlare.

Pag. 33

Testo sostituito con errata corrige volante SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo per illustrare la mozione del mio gruppo, avente come primo firmatario il vicepresidente del gruppo medesimo, l'onorevole Leone, e sottoscritta dalla collega Bertolini, dal sottoscritto, dai colleghi Sanza, Di Virgilio, Carlucci ed altri. Intervengo per affrontare una discussione generale su un tema che interessa l'opinione pubblica, gli italiani, i giovani, le famiglie, e, per altri versi, i gestori di locali, e che torna periodicamente all'attenzione dell'opinione pubblica, attraverso le cronache, ahimè, spiacevoli dei nostri telegiornali per un numero impressionante di incidenti altrettanto impressionanti.
Nella premessa, nei considerata della nostra mozione richiamiamo anche ai dati ISTAT, da cui si evincono numeri che ci debbono far riflettere. Anzitutto, vi sono quelli sugli incidenti notturni, in cui la mortalità quasi raddoppia rispetto agli incidenti diurni, passando dal 2,4 per cento al 4,4 per cento; sono dati che testimoniano la maggior concentrazione di tali incidenti nelle notti del venerdì e del sabato e, sebbene sia vero che tali notti sono quelle in cui vi è un traffico maggiore rispetto alle altre, è pur vero che ciò non può considerarsi completamente scollegato da logiche di «nomadismo notturno» per quanto riguarda le abitudini della frequentazione di più locali in una notte, di spostamenti per andare ad intrattenersi in locali da ballo, in feste ed altro.
Certo, i numeri debbono farci riflettere sulla maggiore incidenza degli incidenti nelle aree urbane, ma anche sul maggior tasso di mortalità sulle strade extraurbane. Vi è, quindi, la necessità di una riflessione generale su questo tema, sul tema della sicurezza stradale, sulla questione che attiene alla disciplina dei locali notturni, al consumo di sostanze lecite e, ahimè, anche illecite, sulla rarità dei controlli che, in qualche modo, è stata messa in evidenza anche dagli ultimi provvedimenti varati dal Governo. Con quel disegno di legge, infatti, si cerca di porre rimedio a ciò che dicono le statistiche, ossia che un cittadino italiano ha la possibilità di essere controllato ogni 175 anni, ammesso e non concesso che riesca a consumare tale tempo in vita!
Quindi, occorre affrontare diverse questioni rispetto ad un tema delicato come questo, dove si intersecano interessi, sensibilità, storie personali e vicende anche tragiche, attraverso un ragionamento che necessariamente deve essere completo, sereno e responsabile. Ciò è quanto deve fare il legislatore.
In tale contesto, dovrebbe essere incentivata la cultura della responsabilità, che certamente tra i giovani non è molto diffusa. Peraltro, occorre tenere conto anche di una sorta di messaggio che viene lanciato nelle pubblicità delle automobili, in base al quale si considera un elemento positivo e vincente il possesso di automobili particolarmente potenti, che possono essere spinte al massimo, in barba ai limiti di velocità attualmente consentiti.
Il gruppo di Forza Italia, con molta sobrietà e fermezza, ha redatto una mozione il cui dispositivo muove da un presupposto: il nostro interesse primario è la salvaguardia della vita dei giovani e di quanti si trovano nelle strade, a vario titolo e per diverse ragioni, negli orari in cui questi incidenti si verificano con una maggiore frequenza.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo per illustrare la mozione del mio gruppo, avente come primo firmatario il vicepresidente del gruppo medesimo, l'onorevole Leone, e sottoscritta dalla collega Bertolini, dal sottoscritto, dai colleghi Sanza, Di Virgilio, Carlucci ed altri. Intervengo per affrontare una discussione generale su un tema che interessa l'opinione pubblica, gli italiani, i giovani, le famiglie, e, per altri versi, i gestori di locali, e che torna periodicamente all'attenzione dell'opinione pubblica, attraverso le cronache, ahimè, spiacevoli dei nostri telegiornali per un numero impressionante di incidenti altrettanto impressionanti.
Nella premessa, nei considerata della nostra mozione richiamiamo anche ai dati ISTAT, da cui si evincono numeri che ci debbono far riflettere. Anzitutto, vi sono quelli sugli incidenti notturni, in cui la mortalità quasi raddoppia rispetto agli incidenti diurni, passando dal 2,4 per cento al 4,4 per cento; sono dati che testimoniano la maggior concentrazione di tali incidenti nelle notti del venerdì e del sabato e, sebbene sia vero che tali notti sono quelle in cui vi è un traffico maggiore rispetto alle altre, è pur vero che ciò non può considerarsi completamente scollegato da logiche di «nomadismo notturno» per quanto riguarda le abitudini della frequentazione di più locali in una notte, di spostamenti per andare ad intrattenersi in locali da ballo, in feste ed altro.
Certo, i numeri debbono farci riflettere sulla maggiore frequenza degli incidenti nelle aree urbane, ma anche sul maggior tasso di mortalità sulle strade extraurbane. Vi è, quindi, la necessità di una riflessione generale su questo tema, sul tema della sicurezza stradale, sulla questione che attiene alla disciplina dei locali notturni, al consumo di sostanze lecite e, ahimè, anche illecite, sulla rarità dei controlli che, in qualche modo, è stata messa in evidenza anche dagli ultimi provvedimenti varati dal Governo. Con quel disegno di legge, infatti, si cerca di porre rimedio a ciò che dicono le statistiche, ossia che un cittadino italiano ha la possibilità di essere controllato ogni 175 anni, ammesso e non concesso che riesca a consumare tale tempo in vita!
Quindi, occorre affrontare diverse questioni rispetto ad un tema delicato come questo, dove si intersecano interessi, sensibilità, storie personali e vicende anche tragiche, attraverso un ragionamento che necessariamente deve essere completo, sereno e responsabile. Ciò è quanto deve fare il legislatore.
In tale contesto, dovrebbe essere incentivata la cultura della responsabilità, che certamente tra i giovani non è molto diffusa. Peraltro, occorre tenere conto anche di una sorta di messaggio che viene lanciato nelle pubblicità delle automobili, in base al quale si considera un elemento positivo e vincente il possesso di automobili particolarmente potenti, che possono essere spinte al massimo, in barba ai limiti di velocità attualmente consentiti.
Il gruppo di Forza Italia, con molta sobrietà e fermezza, ha redatto una mozione il cui dispositivo muove da un presupposto: il nostro interesse primario è la salvaguardia della vita dei giovani e di quanti si trovano nelle strade, a vario titolo e per diverse ragioni, negli orari in cui questi incidenti si verificano con una maggiore frequenza.

PRESIDENTE. Onorevoli Baldelli, concluda...

SIMONE BALDELLI. La nostra mozione impegna il Governo a favorire l'acquisto da parte dei locali notturni di strumenti per la rilevazione del livello di tasso alcolico del sangue. Riteniamo che, anzitutto, si debba dare al cittadino, al giovane, a chiunque si trovi a dover guidare la possibilità di essere preventivamente consapevoli del proprio stato, ossia di sapere se si trovino o meno a violare le norme del codice della strada. Non possiamo lasciare al singolo soggetto, che magari versa in uno stato di consapevolezza alterato, la facoltà di scegliere se mettersi o meno alla guida. Occorre fare in modo che i locali abbiano al loro interno questi strumenti, anzitutto nell'interessePag. 34di chi si mette alla guida: chi non è nelle condizioni di guidare deve essere il primo a non mettere la propria vita a repentaglio. Infatti, al di là della sanzione, riteniamo che il deterrente della perdita della vita possa essere di gran lunga maggiore, rispetto alla sospensione o al ritiro della patente o al sequestro della macchina per un certo numero di mesi o di anni. Crediamo che i locali si debbano impegnare a mettere a disposizione tali strumenti. Da questo punto di vista, l'impegno dei gestori dei locali da ballo non è secondario, e non possiamo prescindere da esso.
Ancora, chiediamo una maggiore presenza di autovelox nelle strade extraurbane soprattutto nelle vicinanze dei locali notturni, visto che le statistiche rilevano che lungo queste strade la mortalità è più elevata.
Chiediamo che il Governo predisponga incentivi per l'assunzione di personale ausiliario per il monitoraggio delle strade, che svolga funzioni di controllo e di deterrenza.
Inoltre, chiediamo la possibilità di valutare l'idea di introdurre limiti di velocità inferiori per le diverse tipologie di strade, chiediamo di sperimentare anche questa ipotesi.
Non riteniamo che in questo campo esistano verità rivelate. Crediamo, però, che tutti insieme dobbiamo collaborare per trovare uno strumento volto a salvaguardare la salute e l'integrità dei nostri giovani ed a migliorare il sistema. Non crediamo che questo obiettivo si possa realizzare dal centro, senza la buona volontà di tutti, senza un salto culturale da parte dei giovani, senza un impegno da parte dei gestori, senza un maggiore investimento, anche in termini di risorse, nei comuni, nelle province ed un impegno - anche per quanto riguarda i controlli - degli enti locali e del Governo.
Riteniamo che questa sia una sfida difficile e, tuttavia, se affrontata con ragionevolezza e serenità, si potranno ottenere grandi risultati e, finalmente, salvare delle vite umane (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Meta, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00118. Ne ha facoltà.

MICHELE POMPEO META. Signor Presidente, la mozione presentata dal gruppo dell'Ulivo vuole porre all'attenzione del Parlamento il problema della sicurezza stradale, sempre più preoccupante per il riacutizzarsi del numero degli incidenti stradali, ai quali facevano riferimento i nostri colleghi, anche perché, a mio avviso, rimangono sostanzialmente irrisolti i nodi di fondo del sistema della mobilità nel nostro paese.
Si diceva che il numero degli incidenti stradali ed il conseguente bilancio di morti, feriti ed invalidi permanenti è davvero inaccettabile. Occorre profondere ogni sforzo per ridurre il fenomeno e per incidere soprattutto sui dati, da vero e proprio bollettino di guerra, che ogni giorno provengono dalle strade italiane. I caratteri e la dimensione del problema vanno attentamente valutati per proporre a questo punto soluzioni costruttive e risolutive, come sembra voler fare il Governo.
In Italia tra il 1973 ed il 2002 gli incidenti stradali hanno causato circa 230 mila morti e 7 milioni di feriti. L'Italia purtroppo si colloca al primo posto a livello mondiale per il più esteso utilizzo di autovetture, avendo raggiunto nel 2004 il rapporto di 581 automobili ogni mille abitanti, ed al terzo posto, dopo Stati Uniti ed Australia, per il numero di autoveicoli complessivamente circolanti. I dati indicano che sono su strada 654 autoveicoli ogni mille abitanti.
In Italia si registra anche un notevole e progressivo uso dei motoveicoli e dei ciclomotori, che, in particolare nelle aree urbane, determinano anche ulteriori elementi di pericolosità, soprattutto tra i giovani, che possono guidare questi mezzi pur essendo soltanto in possesso del foglio rosa.
Inoltre, sempre nelle città da qualche anno a questa parte, sono entrati in circolazione i cosiddetti «quadricicli», ovvero le minicar. Si tratta di mezzi chePag. 35possono essere guidati a 14 anni con il solo patentino, conseguito rispondendo a sole dieci domande e frequentando appena dodici ore di corso presso le scuole guida. Per il conseguimento di tale patentino non è previsto alcun esame pratico, in quanto non è possibile sostenerlo visto che ai ragazzi tra i 14 ed i 16 anni non è consentito trasportare passeggeri, compresi l'istruttore o l'esaminatore. Le scuole guida sono costrette a rifiutare di impartire le lezioni richieste dagli stessi ragazzi o dai genitori. In Italia otto minicar su dieci sono guidate da giovanissimi, a differenza di quanto avviene in Francia, dove questo fenomeno è iniziato sul finire degli anni Ottanta e dove invece sei minicar su dieci sono guidate da ultracinquantenni. A Roma il fenomeno è particolarmente esteso: nel 2005 circa 200 minicar sono state coinvolte in incidenti di varia gravità.
Più in generale penso che allo stato attuale siano stati individuati tre ordini di problemi in merito alla sicurezza stradale, sui quali il Governo venerdì scorso ha varato un disegno di legge. Il primo punto riguarda il tasso di mortalità. Il tasso di mortalità italiano è di 9,2 morti ogni centomila abitanti, quindi al di sopra della media europea (con l'Unione a 15 paesi), corrispondente a 8,1 morti ogni centomila abitanti. Tale dato collocava l'Italia all'ottavo posto della graduatoria europea sulla sicurezza quando l'Unione era costituita da 15 paesi. Naturalmente non sono disponibili i dati riferiti all'attuale dimensione allargata dell'Unione stessa.
La seconda questione riguarda il tasso di riduzione delle vittime degli incidenti stradali. Tale tasso è inferiore a quello medio europeo e si sta purtroppo progressivamente contraendo. Se non vi sarà una rapida inversione di tendenza, l'Italia non riuscirà a raggiungere l'obiettivo comunitario di dimezzare il numero delle vittime entro il 2010, come stabilito dal programma di azione europea varato nel 2000.
In terzo luogo, nel nostro paese, esistono enormi divari di sicurezza tra zona e zona, sia per quanto riguarda i livelli di rischio (i tassi provinciali medi di mortalità variano da 30 a 21 morti per 100 mila abitanti e le discoteche sappiamo che sono dappertutto) sia per quanto riguarda l'evoluzione del numero delle vittime. Nell'ultimo quinquennio, infatti, dodici province hanno registrato un aumento delle vittime compreso tra più 10 e più 50 per cento addirittura, mentre altre dieci province hanno registrato una riduzione di vittime compresa tra il meno 30 e il meno 50. Ciò significa che, mentre una parte del paese si sta allontanando sempre più dagli standard di sicurezza indicati dagli obiettivi comunitari, un'altra parte, per fortuna, alle tendenze attuali riuscirà a raggiungere questi obiettivi prima del 2010.
La IX Commissione, che presiedo, tempo fa ha deliberato tempo un'indagine conoscitiva sulla sicurezza e sulla circolazione stradale, che dovrebbe concludersi entro il mese di giugno. L'indagine si sta avvalendo dei contributi dei ministeri, delle Forze di polizia, delle aziende che gestiscono le strade e le autostrade, delle associazioni e dei tecnici del settore collegati alla guida. Ci avvarremo così e ci stiamo avvalendo del contributo di soggetti in grado di suggerire soluzioni e strategie non dettate dall'emotività, ma che abbiano la capacità di fronteggiare e risolvere una grande questione nazionale.
Si tenga conto, inoltre, che la maggior parte delle vittime (morti e feriti) è determinata da incidenti stradali che accadono a lavoratori che si muovono verso o dal posto di lavoro nei giorni feriali e che oltre la metà degli infortuni mortali sul lavoro, di fatto, è costituita da incidenti stradali. L'altra grave, gravissima, anomalia riguarda i decessi dei giovani, di cui parlava anche il collega Baldelli. Nel 2004 si sono verificati 224.553 incidenti che hanno provocato 5.600 decessi (3.700 conducenti, 1.100 passeggeri e 700 pedoni). Tra questi i giovani tra i 18 e i 24 anni sono stati più di mille.
Anche se, per conoscere meglio i problemi, occorre attendere la conclusione dell'indagine conoscitiva cui mi riferivo, fin da ora alcuni elementi conclusivi si possono individuare. Il Governo in parte ha indicato sia i criteri generali di indirizzoPag. 36sia le linee di azione e di intervento, già approvati venerdì scorso dal Consiglio dei ministri.
Dico che bene ha fatto ad emanare rapidamente i provvedimenti con cui si individuano alcune misure di sensibilizzazione e di repressione dei fenomeni più gravi. Precedentemente, proprio alcuni provvedimenti normativi introdotti nel corso degli anni hanno contribuito a ridurre i fenomeni incidentali, pur in presenza di un consistente aumento delle immatricolazioni e del traffico. Ne voglio citare solo alcune: l'obbligo del casco, le cinture di sicurezza, il conseguimento dell'attestato di idoneità alla guida dei ciclomotori, le regole sull'uso dei telefonini e dei cellulari, la stessa introduzione della patente a punti, le sanzioni comminabili a carico dei conducenti che guidano in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di droghe o che incorrono in infrazioni gravi, l'introduzione degli autovelox.
Purtroppo, come spesso ricordiamo, abbiamo osservato che i buoni risultati si sono avuti solo per periodi limitati nel tempo, nel corso dei quali si è registrata una diminuzione dell'incidentalità; l'attenzione è poi venuta allentandosi nel tempo. Hanno influito negativamente alcuni messaggi a volte equivoci inviati ai cittadini, come l'innalzamento richiesto da taluni del limite di velocità o le polemiche sollevate contro gli autovelox, di cui si insinuava la natura di strumento utilizzato per far cassa piuttosto che il valore come deterrente. Si assiste inoltre alla ripresa in questo periodo di abitudini non corrette, come il mancato uso del casco, delle cinture di sicurezza in molte strade urbane e extraurbane o il non corretto utilizzo dei telefoni cellulari. Tutto questo il più delle volte è dovuto ad una insufficiente rete di controlli e di attività di contrasto dei comportamenti scorretti.
Credo che sia necessario assumere provvedimenti coerenti anche dal punto di vista legislativo, non dettati dall'emotività del momento, ma, come indichiamo nella mozione, in grado di produrre effetti nell'immediato e in un arco di tempo di più lungo respiro.
Noi, come gruppo dell'Ulivo, vogliamo impegnare il Governo a dare seguito agli indirizzi già approvati dal Consiglio dei ministri, per il raggiungimento dell'obiettivo di dimezzare entro il 2010 il numero delle vittime, stabilito dal programma europeo. Vogliamo impegnare il Governo a definire le azioni strutturali che possono incidere sulla sicurezza stradale, a partire dagli interventi sulle strade a maggior rischio (e ce ne sono ancora tante) e a promuovere una serie di azioni ad efficacia rapida, quale l'incremento dei controlli.
Occorre altresì avviare l'educazione stradale nelle scuole, la revisione di alcune norme del codice della strada (come ha già fatto il Governo, con l'emanazione di provvedimenti) ed anche il miglioramento della formazione dei guidatori e degli stessi formatori delle autoscuole.
Intendiamo impegnare il Governo al rafforzamento dell'azione di contrasto dei comportamenti di guida ad alto rischio, ad ulteriori specifiche disposizioni mirate ai neopatentati e ai neopatentandi, e alla messa in sicurezza della mobilità su due ruote.
Vogliamo impegnare il Governo a promuovere, attraverso il coinvolgimento degli amministratori locali e delle associazioni dei gestori degli esercizi di ritrovo e di intrattenimento, azioni di sensibilizzazione a favore dei giovani sui temi della prevenzione e della sicurezza della circolazione stradale.
Occorre fare di più di quanto è stato fatto sino ad ora, con l'adozione del codice di autoregolamentazione sugli alcolici nelle discoteche, e impegnare anche il Governo a definire misure specifiche per gli spostamenti casa - lavoro, con il coinvolgimento degli enti locali, delle imprese e delle organizzazioni sindacali. Il Governo si deve altresì impegnare al reperimento di quelle risorse che necessitano per fronteggiare un problema che è diventato una vera e grande questione nazionale. (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Italia dei Valori).

Pag. 37

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mura, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00117. Ne ha facoltà.

SILVANA MURA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, ci troviamo a discutere di un triste fenomeno, quale è quello degli incidenti stradali, ed in particolare di quelli che si verificano il fine settimana. Si tratta di un argomento che periodicamente si pone all'attenzione dell'opinione pubblica in tutta la sua gravità, salvo poi scomparire dalle cronache giornalistiche, nonostante i dati drammatici relativi ai morti e ai feriti pongano l'Italia a livello europeo in testa a questa triste classifica.
Il ministro dei trasporti, Bianchi, ha utilizzato una definizione che purtroppo riesce a dare un perfetto quadro della situazione: ha parlato di guerra civile sulle strade, per indicare l'alto numero di vittime che siamo costretti a leggere nei bollettini battuti dalle agenzie di stampa il lunedì mattina.
Essi, per i numeri che ci riportano, sono troppo simili a quelli di una vera guerra.
Anche se li conosciamo bene, leggiamo questi numeri limitandoci solo alle ultime settimane: nel week-end dal 22 al 24 febbraio vi sono stati 24 morti; 42 morti in quello dal 3 al 5 marzo. Ancora: altre 29 sono state le vittime del fine settimana dal 10 al 12 marzo. Sono cifre agghiaccianti che si commentano da sole.
Se si vuole poi allargare maggiormente l'orizzonte temporale, lo scenario è ancora più preoccupante. Cito i dati, forniti in una recente interrogazione del collega Barbieri, che riportano il dato di migliaia di giovani morti negli ultimi nove mesi e di 12 mila disabili gravi, con un costo annuale di circa 30 milioni di euro, cifra che corrisponde alla finanziaria di quest'anno.
Ritengo molto positivo il dibattito in corso che, sono certa, non sarà l'ennesima occasione di divisione e di polemica politica fine a se stessa, ma che sarà in grado di affrontare in maniera seria e responsabile il merito delle proposte che ogni forza politica vorrà rappresentare.
Con questo spirito, Italia dei Valori ha predisposto la mozione che mi accingo ad illustrare, offrendo al Parlamento e al Governo il proprio contributo, pronta a valutare e ad accogliere tutte le proposte che giungeranno dagli altri gruppi.
Gli ultimi dati Istat disponibili relativi all'anno 2005 (l'ha ricordato chi mi ha preceduta ), ci dicono che in un anno sulle strade italiane si sono verificati 225.078 incidenti, che hanno prodotto 5.426 morti e 313.727 feriti.
Da queste cifre si evince...

PRESIDENTE. Onorevole Pini, per favore.

SILVANA MURA. Da queste cifre si evince che, ogni giorno, in Italia si verificano in media oltre 600 incidenti che causano la morte di 15 persone e 860 feriti al giorno. Cifre estremamente preoccupanti che lo diventano ancora di più se si procede ad un'analisi più approfondita e disaggregata. Infatti, a leggere le cifre fornite dall'Istat, appare evidente una vera e propria emergenza week end, dal momento che, nelle sole notti di venerdì e sabato, si verifica il 43 per cento del totale dei sinistri che, a loro volta, producono il 45 per cento dei decessi ed il 47 per cento dei feriti dell'intera settimana.
Le vittime delle notti dei fine settimana non sono equiparabili a quelle del resto degli incidenti stradali. Purtroppo, sono morti e feriti che hanno un identikit molto preciso. Si tratta in grande maggioranza di giovani tra i venti ed i trent'anni.
Secondo quanto riferiscono gli esperti della polizia stradale, il 30 per cento di questi incidenti è causato dall'alcol e dall'assunzione di sostanze psicotrope. Il Governo venerdì scorso ha varato un disegno di legge per contrastare gli incidenti stradali. Si va dal codice di autoregolamentazione siglato con le categorie economiche e di produttori di alcolici alle limitazioni alla guida per i neopatentati, all'aumento delle sanzioni per chi guida in stato diPag. 38ebbrezza o per eccesso di velocità e per l'uso di telefonini senza auricolare, per gli autisti di Tir e autobus che non rispettano i turni di riposo o per la mancata precedenza ai pedoni, per la guida contromano. Infine, sono previsti più controlli sulle strade da parte delle forze dell'ordine; misure che non avremo problema a sostenere per aumentare la sicurezza sulle strade, ma, per quanto riguarda il fenomeno degli incidenti nei week end, signor rappresentante del Governo ed onorevoli colleghi, riteniamo necessario agire in maniera più decisiva sul principale fattore che è alla base dei sinistri, ovvero l'alcol e l'assunzione di sostanze stupefacenti.
Le demonizzazioni non servono a risolvere i problemi; non è nostra intenzione promuovere crociate ideologiche. Preferiamo stare ai fatti e le cifre ci dicono che il consumo di sostanze alcoliche è in forte crescita tra i giovani italiani.
Il Quotidiano Nazionale ha condotto sul tema un'inchiesta approfondita ed esauriente che mette in luce questo fenomeno. Uno dei dati più eclatanti è rappresentato dal fatto che il 70 per cento dei minorenni compresi tra gli 11 e i 17 anni consumano alcol nel corso dell'anno. Il consumo eccessivo di sostanze alcoliche si pone sempre più come un problema di estrema rilevanza socio-sanitaria che incide fortemente sulla salute dei cittadini e sui costi che il Servizio sanitario si trova costretto a sostenere.
A livello europeo i costi provocati dall'alcol, sotto forma di patologie ed incidenti stradali, sono stimati in 125 miliardi di euro, cifra che corrisponde all'1,3 per cento del PIL europeo.
A fronte di questi dati riteniamo che, come è stato fatto per il fumo, sia necessario adottare dei provvedimenti che regolamentino il consumo e la vendita di alcolici e superalcolici sia per quanto riguarda lo specifico fenomeno degli incidenti stradali sia per ridurre il consumo in generale e, soprattutto, per vietarlo ai minorenni.
Attualmente, la legislazione italiana è fortemente carente e, soprattutto, poco applicata. Il codice penale, all'articolo 689, impone il divieto di somministrazione di bevande alcoliche ai minori di anni 16, divieto che, come abbiamo visto, non è di fatto rispettato nella maggior parte dei casi.
A questa norma si aggiunge quella che vieta la somministrazione di bevande alcoliche nelle aree di servizio delle autostrade dalle ore 22 alle ore 6. Per il resto, tutto è lecito e tutto è consentito.
Nella prima versione della legge finanziaria, il Governo, all'articolo 90, aveva inserito una serie di norme scritte dal ministro Livia Turco per rendere più organica la legislazione relativa al consumo ed alla vendita di bevande alcoliche (articolo che poi è stato stralciato dal testo finale). Ritenevamo utili e appropriate quelle misure e tali le riteniamo a maggior ragione oggi.
È per questo che la nostra mozione chiede al Governo di riprenderle in considerazione, innalzando a 18 anni il divieto di somministrazione di bevande alcoliche e di vietarne la vendita nelle aree di servizio sulle autostrade.
Chiediamo, inoltre, di imporre il divieto di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche nelle discoteche e nei locali pubblici, a partire dall'una di notte del venerdì e del sabato.
Questa misura consentirebbe di creare nelle serate più critiche una zona franca che va dall'una di notte all'ora di uscita dai locali, nella quale anche chi ha assunto sostanze alcoliche ha il tempo sufficiente per smaltirne l'effetto.
È evidente che a questi provvedimenti, volti a limitare il ricorso all'alcol, si debbano aggiungere maggiori controlli da parte delle forze dell'ordine, in collaborazione con le polizie municipali, cosa che, in parte, è già prevista nel disegno di legge del Governo.
In Italia per prevenire e punire la guida in stato di ebbrezza si effettuano in un anno 200 mila controlli; in Spagna ne effettuano 20 volte in più e in Francia 40.
Sulla base di questi numeri, in Italia, ogni patentato ha una possibilità ogni 175 anni di essere fermato per soffiare nell'etilometro. Per ottenere risultati apprezzabili,Pag. 39in grado di incidere sulla riduzione sostanziale del numero degli incidenti, si deve attuare, quindi, un indispensabile mix fatto di prevenzione e controllo per sanzionare le infrazioni.
Abbiamo già visto che il Governo si sta attivando per potenziare i controlli. Il gruppo dell'Italia dei Valori lo sollecita e lo sostiene nel procedere in questa direzione in maniera più decisa e veloce possibile, dal momento che stiamo parlando della vita dei nostri ragazzi.
Chiediamo, altresì, l'integrazione del provvedimento con quanto previsto dalla mozione da noi presentata in termini di divieto di vendita e somministrazione di alcolici ai minori, di divieto di vendita e somministrazione di alcolici nelle aree di servizio delle autostrade, di divieto di vendita di alcolici da asporto ai minori e di divieto di somministrazione di bevande alcoliche nelle discoteche e nei pubblici esercizi, a partire dall'una fino alla chiusura dei locali nelle notti di venerdì e sabato.
Pur apprezzando la firma del codice di autoregolamentazione con i gestori dei locali, affinché si individui un utilizzatore designato che non faccia uso degli alcolici e garantisca per il gruppo degli amici, riteniamo che i provvedimenti con forza di legge siano gli unici che possano cambiare lo stato attuale delle cose, non solo per gli impegni internazionali, che il nostro paese si è assunto con la carta di Lisbona, di dimezzare, entro il 2010, i decessi sulle strade, ma anche e soprattutto per indicare al paese che si volta pagina e che si vuole veramente, con tutte le nostre forze e con tutti i nostri mezzi, salvare quante più vite umane possibile.
Lo hanno fatto i nostri partner europei; non possiamo non farlo noi, se vogliamo onorare il mandato a governare che ci hanno conferito gli elettori (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pini, che illustrerà anche la mozione Maroni n. 1-00122, di cui è cofirmatario.

GIANLUCA PINI. Signor Presidente, mi scuso per prima se ho arrecato disturbo alla collega; non era assolutamente intenzionale; le chiedo, poi, gentilmente, di segnalarmi quando saranno passati cinque minuti, volendo utilizzare il tempo a disposizione del mio gruppo anche nel prosieguo della discussione.
Mi dispiace che non sia più presente in aula l'onorevole Giovanardi, dato che inizierò il mio intervento partendo da alcune considerazioni pronunciate dal collega.
Una problematica annosa e seria come quella delle cosiddette stragi del sabato sera (dato che non si tratta soltanto del sabato sera, ma delle sere dal giovedì alla domenica, più deputate al divertimento) non può essere affrontata con proposte demagogiche, che sicuramente sono una palestra molto utile per avere visibilità e per quietare qualche associazione di madri o di genitori di vittime che, giustamente, fanno sentire la propria voce. Ma, non è questo il tipo di risposta che un paese serio e un Parlamento chiamato a legiferare possono dare, cioè limitare la libertà personale - una di quelle primarie - alla mobilità.
Affermare che per risolvere queste stragi non si debba circolare il sabato sera è un po' come dire (scusatemi il paradosso) che non si può più respirare perché respirando si produce anidride carbonica e, quindi, si inquina! Siamo ad esercizi di ipocrisia che non devono trovare collocazione in un serio dibattito.
Capisco la provocazione del collega Giovanardi, però sono altre le soluzioni che devono essere tentate per capire, in primo luogo, quali siano le motivazioni che portano agli incidenti del sabato sera e non a «sparare nel mucchio», sempre ed esclusivamente in una direzione.
È molto «comodo» dare le colpe alle discoteche che sono i locali che aprono più tardi, ma aprono più tardi perché il costume dei consumatori le porta ad aprire a quell'orario, posto che prima si va nei ristoranti o nei pub o in altri locali di divertimento che, di fatto, generano (come citava prima la collega Mura) un consumo di alcol spaventoso, numericamente moltoPag. 40più da «massa critica» rispetto a quello che si verifica nelle discoteche, dove le consumazioni sono arrivate a costi proibitivi per i fruitori di questi locali.
Quindi, bisognerebbe, fare tutti un passo indietro e non utilizzare questo palcoscenico un po' macabro delle stragi del sabato sera per cercare di ottenere un trafiletto in più sul giornale, lanciando campagne demagogiche. Bisogna invece capire se è veramente solo il consumo di alcol o se esso è associato a tanti altri costumi o abitudini malsane che portano i giovani ad avere dei comportamenti deviati, perché qui non possiamo noi, passatemi il termine , rendere intelligenti dei pazzi che la sera corrono a 200 chilometri all'ora solo per sfidare la morte. Non li possiamo rendere intelligenti per legge, ma possiamo utilizzare degli strumenti che in qualche modo vadano a sviscerare, per tentativi, le problematiche da affrontare.
Nella nostra mozione abbiamo avanzato alcune ipotesi: nella premessa ve ne sono tante che potrebbero essere in qualche modo affrontate, magari con un dibattito sereno e bipartisan. Tuttavia si tratta di soluzioni tecniche; ciò che manca, a mio avviso, è la serenità all'interno del Parlamento per affrontare il tema in maniera tranquilla e per capire che quello che sta accadendo è un problema di natura innanzitutto sociale, cioè di comportanti generali non solo legati al consumo di alcol. Visto, però, che ormai a livello di opinione pubblica vi è il collegamento strage del sabato sera-alcol, iniziamo con il regolare l'abuso delle sostanze alcoliche. Facciamo una prova, che non deve essere definitiva, perché scopriamo poi che si tratta di un tentativo andato a buon fine, come magari possiamo scoprire che non ha dato alcun tipo di beneficio, anche se non è questa la mia speranza.
Facciamo passare il concetto, non tanto come deterrente quanto come questione di cultura, che per chi guida, soprattutto nelle fasce orarie comprese tra le 22 e le 7 del venerdì e del sabato, che sono considerate pericolose, il tasso alcolemico deve essere pari a zero. Deve essere diffusa la cultura del non bere se ci si mette alla guida: vediamo se questo serve. Facciamo un tentativo, magari anche sperimentale, di vietare la somministrazione ed il consumo delle bevande alcoliche dall'una alle sette di mattina. Ripeto si tratta di un tentativo sperimentale, magari non risolve il problema o magari lo risolve, cerchiamo però di non affrontare in maniera demagogica la questione.
È un invito, questo, che faccio ai colleghi di tutti i gruppi parlamentari, perché si sta parlando di vite umane e di giovani, che devono essere portati ad un maggior rispetto della vita e non a sfidare la morte. Questo è il problema principale. Direi che soprattutto è necessario evitare che l'affrontare questi temi rappresenti un modo per lavarsi la coscienza pubblicamente usando la demagogia senza risolvere veramente i problemi.
Noi abbiamo proposto due soluzioni, vedremo queste se possono portare a dei risultati; sicuramente all'interno di questa Assemblea vi saranno tante altre idee, Tutto ciò che può andare a beneficio di una riduzione del numero degli incidenti e delle vittime è sicuramente ben accetto, ma quello che non può essere accettato da parte della Lega Nord è una limitazione delle libertà individuali come quella della mobilità e la demagogia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Beltrandi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00124. Ne ha facoltà.

MARCO BELTRANDI. La mozione presentata dai deputati del gruppo La Rosa nel Pugno richiama sostanzialmente la mozione Meta n. 1-00118, ne riprende per intero l'impianto e sostanzialmente lo mantiene: ne riprende tantissime parti, anche letteralmente, e introduce solo alcune modifiche che riteniamo importanti.
Siamo intervenuti innanzitutto sulla premessa della mozione dell'onorevole Meta, aggiungendo che una delle cause degli incidenti stradali (è molto specifica del caso italiano) riguarda proprio la segnaletica stradale, risultato di un disorganizzato e caotico sovrapporsi di segnaliPag. 41diversi nel corso degli anni. Sulle nostre strade vi sono troppi segnali, alcuni persino in contraddizione tra loro.
Occorre rivedere tutto quanto, anche per rendere credibili i divieti. Perché, ad esempio, la striscia bianca continua, che divide le carreggiate e i sensi di marcia, in paesi confinanti con il nostro è usata solo laddove vi è un effettivo pericolo, ossia subito prima delle curve, mentre da noi è diffusa quasi ovunque, con il conseguente divieto di superarla? Perché continuare ad accettare, in Italia e solo in Italia, limiti di velocità che, su tante strade, cambiano dopo pochi metri (in qualche caso, dopo qualche chilometro, ma alcuni limiti fluttuano e, molto spesso, non se ne capisce il perché; non si riesce ad indovinare la ragione di tutto questo)?
Il fatto che in Italia i limiti e i divieti siano continuamente violati dipende anche dalla scarsità dei controlli, se non soprattutto dalla scarsità dei controlli, che non ha eguali nei paesi sviluppati, e nell'illogicità, quasi casualità, di tanti limiti e divieti.
Questa è la ragione per cui abbiamo evidenziato nella parte dispositiva della mozione l'importanza e l'urgenza, rispetto a tutte le altre misure, di prevedere più controlli sulle strade, impegnando il Governo a definire un programma che affidi ad apposita struttura il coordinamento della revisione complessiva della segnaletica stradale con tempi certi e, ovviamente, nel rispetto delle diverse competenze stabilite dalla Costituzione.
Altro intervento che abbiamo apportato rispetto alla mozione dell'onorevole Meta riguarda la parte dispositiva, laddove abbiamo tolto il riferimento alle modifiche per i neopatentati. Infatti, è una mia personale convinzione (condivisa dal gruppo della Rosa nel Pugno) che i limiti debbano valere per tutti ed essere fatti rispettare da tutti e che, anzi, la previsione di norme e di ulteriori limiti alla guida di vetture di alta potenza da parte dei giovani, di cui spesso si è parlato in questi giorni, sia addirittura controproducente, in quanto le auto veloci, se rispettano il codice, sono più sicure delle auto meno potenti e meno veloci e, nei casi, tanti, in cui le famiglie abbiano problemi ad acquistare veicoli appositi per i loro figli neopatentati, a seguito dell'eventuale adozione di questi divieti, ai neopatentati stessi addirittura potrebbero essere affidati veicoli anche più vecchi, più inquinanti, meno sicuri sia in termini di sicurezza attiva che di sicurezza passiva.
Tra le misure adottabili abbiamo espressamente escluso quelle che incidono sulla proprietà dei veicoli i cui conducenti si siano resi responsabili di infrazioni anche gravi, ciò per evitare interventi della Corte costituzionale e il ripetersi della disastrosa esperienza dei sequestri e delle confische dei motocicli.
Le altre mozioni presentate, ad eccezione della mozione a prima firma Meta, vedono una contrarietà della Rosa nel Pugno.
La mozione dell'onorevole Giovanardi, francamente, ci sembra davvero eccessiva. Non possiamo pensare che in un paese moderno e sviluppato si possano impedire gli incidenti vietando la circolazione e, quindi, la libertà delle persone, creando una sorta di coprifuoco serale o notturno. Apprezzo la radicalità di tale riforma, che, certo, eliminerebbe gli incidenti, quelli del sabato sera che sono soltanto il 30 per cento del totale (sempre che si riuscisse a farla rispettare, ma non ne sono affatto convinto), ma ne contesto profondamente il merito.
La mozione della collega Mura ci sembra davvero proibizionista e temo anche non troppo efficace. Infatti, se limitiamo la vendita degli alcolici, l'esperienza insegna che fiorirà un mercato nero oppure, più semplicemente, i giovani acquisteranno i superalcolici e li consumeranno altrove. Della mozione Mura condivido invece il rafforzamento dei controlli e la verifica che viene proposta.
Analogamente, mi appare fortemente proibizionista anche la mozione a prima firma Maroni, con tutti i limiti e l'assenza di efficacia delle misure proibizioniste. Nella mozione a prima firma Leone, invece, vi sarebbe una serie di misure diPag. 42buonsenso in larga parte condivisibili, ma credo che non centrino veramente i problemi che sono sul tappeto.
In sintesi, quindi, La Rosa nel Pugno, esprimendo parere favorevole soltanto sulla mozione a prima firma Meta - oltre che, naturalmente, su quella da noi presentata -, intende richiamare l'attenzione, data la gravità del problema e l'urgenza di intervenire, sull'adeguatezza in senso pragmatico dei mezzi proposti ai fini. Ho l'impressione che a molti colleghi interessi più proibire - illudendosi, tra l'altro, di poterlo fare - sotto lo scudo della sicurezza stradale, con la tentazione di penalizzare, a mio avviso inutilmente, i locali del divertimento notturno. Norme più penalizzanti e più restrittive, tra l'altro, non servono se non aumentano i controlli e non si rende, quindi, sconveniente violare i limiti, che devono essere però riconosciuti ragionevoli dagli automobilisti, almeno più di quanto non accada oggi, e questo in tutti i giorni della settimana, dato che, secondo il ministro Bianchi, almeno il 70 per cento degli incidenti non è riconducibile al sabato sera, ma alla quotidiana circolazione nelle nostre città ed anche a velocità molto bassa.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lovelli. Ne ha facoltà.

MARIO LOVELLI. Signor Presidente, le mozioni presentate oggi all'attenzione dell'Assemblea sul tema della sicurezza stradale risentono fortemente del clima di emozione che ha colpito tutti noi per i recenti gravissimi incidenti stradali, che hanno visto ancora una volta molti giovani e, in altri casi, intere famiglie perdere la vita in modo drammatico a causa di incidenti automobilistici. Come ben sappiamo e non voglio ripetere i dati statistici che altri colleghi hanno evidenziato prima di me, si tratta purtroppo di eventi luttuosi che si ripetono con grande frequenza e che, a volte, non hanno lo stesso riscontro mediatico perché confinati nelle cronache locali o considerati troppo spesso quasi normali, come è il caso dell'incidentalità che riguarda i pedoni o i ciclisti, che pure incide in modo significativo sulle statistiche delle vittime della strada, o anche gli automobilisti e i motociclisti non coinvolti in incidenti di grandi dimensioni, e perciò passati sotto silenzio o consegnati al lutto e al dolore delle famiglie e delle comunità locali che ne sono direttamente coinvolte.
Sbaglieremmo certamente a prendere provvedimenti solo sull'onda dell'emozione e, perciò, sostanzialmente dell'emergenza, anche se provvedimenti esemplari possono avere la loro importanza, e pensare anche che le mozioni parlamentari e i progetti di legge - che, comunque, hanno un iter parlamentare sempre complesso da percorrere - siano di per sé risolutivi. Una strategia vincente o, comunque, di effettiva e verificabile riduzione del danno passa in questo campo dall'adozione di una politica di insieme ispirata alla cultura della sicurezza e pianificata in modo scientifico e partecipato.
Del resto, sono state prima di tutto le istituzioni sopranazionali - dall'ONU all'Unione europea - ad aver sottoposto ai Governi nazionali l'urgenza del problema, visto che di questo passo l'incidentalità stradale diventerà nel giro di pochi anni la terza causa assoluta di mortalità dopo i tumori e le cardiopatie (oggi è la nona). Infatti, dal 23 al 29 aprile prossimi si svolgerà la prima settimana mondiale per la sicurezza stradale promossa dalle Nazioni Unite e dall'Organizzazione mondiale della sanità, mentre la Commissione europea, tramite la Carta europea per la sicurezza stradale, punta a dare attuazione, attraverso il principio della responsabilità condivisa, al programma di azione europea per la sicurezza stradale approvato nel 2003, con l'obiettivo ambizioso di salvare 25 mila vite all'anno sulle strade d'Europa e di dimezzare il numero delle vittime entro il 2010.
L'Italia è in ritardo su questo obiettivo. Lo abbiamo registrato con l'avvio dell'indagine conoscitiva sulla sicurezza e sulla circolazione stradale promossa dalla IX Commissione e lo abbiamo constatato nel momento in cui, mettendo mano alla legge finanziaria per il 2007, ci siamo resi conto che bisognava colmare un vuoto, quelloPag. 43delle ultime tre precedenti legge finanziarie. Tale vuoto ha cominciato ad essere colmato con uno stanziamento complessivo di 204 milioni di euro per i prossimi tre anni, sia per la sicurezza stradale, sia complessivamente per la prevenzione. Quindi, i primi passi del Governo nel campo della sicurezza stradale sono da considerarsi positivi, anche per le misure inserite nella legge finanziaria a favore, per esempio, del trasporto pubblico locale e per la riforma dell'autotrasporto, benché abbiamo registrato un'incertezza di comportamento - che voglio rilevare - ad esempio nel provvedimento sui dispositivi e retroriflettenti dei camion.
Ora, con il disegno di legge licenziato dal Consiglio dei ministri si fa un ulteriore passo in avanti. Intanto, sul piano del metodo, vengono coinvolte nell'iniziativa tre ministeri fondamentali ciascuno per la propria competenza: il ministero dei trasporti per quanto riguarda la normativa specifica sulla circolazione stradale; quello degli interni, per i controlli sulla circolazione stradale stessa; e quello delle politiche giovanili, per una specifica prevenzione educativa concernente la problematica delle cosiddette stragi del sabato sera. La mozione presentata dal gruppo dell'Ulivo della Commissione trasporti va in questa direzione. Pertanto, in sede di esame del disegno di legge, sarà possibile approfondire il merito delle norme che devono essere mirate a prevenire i comportamenti imprudenti e ad alto rischio della popolazione giovanili, con riferimento all'età e non solo a quella.
Inoltre, si mira a salvaguardare giovani vite umane anche con limitazioni concrete, a cominciare dall'estensione della patente a punti per la guida dei ciclomotori e quadricicli leggeri, con l'innalzamento a 16 anni dell'età per la guida di questi ultimi, oltre a quanto già proposto per le limitazioni per i neopotentati relative ai primi tre anni di guida. In ogni caso, dobbiamo cogliere l'occasione di questa discussione parlamentare per dare al tema della sicurezza stradale il carattere strutturale necessario per conseguire risultati duraturi e raggiungere gli standard di sicurezza fissati dall'Europa.
Del resto, come ben sanno i colleghi che hanno aderito al gruppo interparlamentare per la sicurezza stradale con la cosiddetta carta di Orvieto promossa alla fine dello scorso mese di settembre, in relazione alla proposta delle onlus fondazione Guccione per le vittime della strada e della fondazione italiana per la sicurezza stradale - che promuovono e coordinano tanti enti ed associazioni attive in questo campo -, le istanze ed i suggerimenti che vengono rivolte al mondo politico ed istituzionale non solo meritano di essere seriamente prese in considerazione, ma possono costituire in molti casi la base per una produzione legislativa adeguata ed efficace. Mi riferisco, ad esempio, alla proposta di riorganizzare la governance della sicurezza stradale attraverso l'istituzione della Agenzia nazionale per la sicurezza stradale, il rafforzamento della Consulta nazionale - organo oggi soprattutto meramente consultivo -, all'individuazione delle risorse necessarie per una politica di sicurezza stradale attraverso una concertazione effettiva e più stringente tra Stato, regioni ed enti locali e all'apertura di centri di assistenza per le vittime della strada.
Su questi temi si potranno avviare iniziative legislative o di indirizzo specifiche o anche valutare interventi emendativi al disegno di legge del Governo o in sede di delega per la riforma del codice della strada.
Pertanto, oltre ai temi che, a questo punto, sono già fissati nell'agenda parlamentare, nonché agli appuntamenti collegati alla settimana mondiale promossa dalle Nazioni Unite, il Governo dovrebbe raccogliere anche l'invito, formulato dalle associazioni precedentemente ricordate, di promuovere dei veri e propri «stati generali» della sicurezza stradale, i quali diano la possibilità di mobilitare idee e proposte utili, al fine di varare misure sempre più incisive per favorire la sicurezza e raggiungere gli obiettivi europei.Pag. 44
Del resto, l'occasione sarà data, fin dal prossimo 3 aprile, dalla riunione della citata Consulta, nella quale sarà possibile raccogliere proposte e suggerimenti avanzati dal vasto mondo delle associazioni che operano nel settore e che rappresentano, altresì, i punti di vista delle diverse componenti interessate, dagli utenti agli operatori tecnico-professionali, fino alle famiglie delle vittime della strada.
C'è bisogno, insomma, di un percorso virtuoso di ascolto e di partecipazione, del quale la Conferenza sanitaria nazionale sulla sicurezza stradale, che il Ministero della salute ha già programmato di svolgere per l'anno in corso, costituisce un altro tassello, nell'ambito di una strategia che ci consenta di essere più incisivi nella fase operativa. Il prossimo disegno di legge finanziaria, inoltre, dovrà far compiere ancora un passo in avanti al piano nazionale della sicurezza stradale.
Tale piano rimane lo strumento cardine della nostra azione, assieme al piano generale della mobilità (al quale sta lavorando il Ministero dei trasporti e di cui confidiamo di poter vedere, al più presto, elaborazioni concrete) per rendere maggiormente efficiente il sistema della mobilità e dei trasporti, con ricadute positive sulla sicurezza della circolazione stradale delle persone e delle merci, le quali, come sappiamo, spesso producono, a loro volta, problematiche di sicurezza anche di tipo ambientale.
In sostanza, bisogna rapidamente uscire da una logica emergenziale, che induce ad adottare provvedimenti urgenti sulla spinta di fatti gravi - ma, purtroppo, ricorrenti -, per passare ad operare in base ad una logica di programmazione. Essa deve vedere nella garanzia della sicurezza della mobilità dei italiani la priorità da affrontare.
Pertanto, occorre realizzare opere sicure e garantire la manutenzione delle strade esistenti, senza rincorrere oltre misura la «mitologia» della necessità delle grandi opere. Bisogna predisporre, inoltre, risorse finanziare e strumenti a favore di coloro che effettuano i controlli sulle nostre strade, a cominciare dai Corpi di polizia dello Stato, per i quali è sicuramente adeguato l'obiettivo di un milione di controlli stabilito dal ministro Amato. Ciò senza dimenticare l'ausilio indispensabile che può provenire dalle polizie locali e provinciali, magari adottando misure minime, come, ad esempio, la possibilità di derogare ai limiti di straordinario per i servizi prestati in orario notturno, nonché in occasioni speciali, dai vigili comunali e provinciali.
Vorrei sottolineare, infine, che il livello provinciale o regionale, a seconda delle situazioni, deve essere quello dove sperimentare tavoli di concertazione e di verifica costante, al fine di promuovere ed attuare piani di sicurezza stradale adeguati sia al territorio, sia alle problematiche locali specifiche.
Penso, insomma, che si debba concretamente procedere, per garantire la sicurezza sulle nostre strade, muovendoci all'interno dei seguenti macrobiettivi. Il primo di essi è costituito dalla messa in sicurezza delle strade (dalle autostrade alle vie urbane), adottando misure, coerenti e coordinate, rivolte al tipo di utenza a rischio prevalente. Si tratta, ad esempio, del caso dei pedoni e dei ciclisti nei centri urbani. Vorrei evidenziare che il prossimo disegno di legge finanziaria potrà individuare, in questo obiettivo, una priorità, anche rispetto ai vincoli del patto di stabilità interno per gli enti locali.
In secondo luogo, a mio avviso, bisogna disporre l'incremento dei controlli, accompagnandolo al severo rispetto delle vecchie e nuove norme sanzionatorie sulla patente a punti, con particolare riferimento ai rischi dell'alcol, degli stupefacenti e della velocità eccessiva.
In terzo luogo, occorre promuovere il trasporto pubblico, anche attraverso sistemi integrati gomma-rotaia, nonché iniziative mirate, in occasione di grandi...

PRESIDENTE. La prego di concludere...

MARIO LOVELLI. ...movimenti dei giovani - mi avvio a concludere, Presidente - nei week end, nelle manifestazioni diPag. 45massa e verso le località di villeggiatura nella stagione turistica.
Bisogna avviare, infine, grandi campagne di formazione, informazione ed educazione, a cominciare dalle scuole, per prevenire...

CARLO GIOVANARDI. Sono quindici anni che sento queste cose...!

MARIO LOVELLI. ...i comportamenti a rischio, ma su cui si sono già mossi numerosi enti locali...

CARLO GIOVANARDI. Sempre le stesse cose!

MARIO LOVELLI. Onorevole Giovanardi, se ne discutiamo da quindici anni ma non abbiamo ancora risolto il problema, è opportuno continuare a parlarne! Soprattutto, vediamo come risolverlo! Come dicevo, occorre seguire l'esempio di importanti campagne internazionali, come quelle di cui si parla ancora oggi sui quotidiani. Mi riferisco all'operazione Nez rouge, attuata in Canada e in alcuni paesi europei.
Quindi, penso che, attraverso la mozione che l'Ulivo ha presentato oggi in aula, disponibile al confronto con le altre mozioni, in particolare con quella appena illustrata dal collega Beltrandi e con quella illustrata dai deputati dell'Italia dei Valori, e attraverso il successivo iter parlamentare del disegno di legge governativo, si potrebbe avviare un percorso concreto che dia risposte ad un problema sentito e preoccupante e contribuisca a salvaguardare la vita di tanti giovani e di tante famiglie italiane (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rampelli. Ne ha facoltà.

FABIO RAMPELLI. Presidente, ho ascoltato la discussione di oggi che è servita certamente ad arricchire la conoscenza di questo fenomeno. Tutti noi abbiamo attinto alle medesime fonti di informazione, confrontandoci con dati inquietanti: è giusta la definizione che ha dato anche il ministro dei trasporti delle stragi del sabato sera come di una vera e propria guerra civile.
Penso sia importante che ciascuno si senta addosso - questo vale anche per me - la responsabilità, in nome e per conto di ciò che rappresentiamo in questa sede, per non esserci sin qui dimostrati all'altezza di contrastare tale fenomeno.
Ho letto le varie mozioni sul campo: non mi sento, almeno in questa fase, di bocciare le determinazioni di una mozione piuttosto che quelle di un'altra. A guardarle tutte, se facessimo la sommatoria delle proposte che vengono rappresentate in calce a ciascuna di esse, probabilmente non riusciremmo comunque efficacemente ad effettuare la tanto evocata, un po' da tutti, azione di contrasto verso gli incidenti stradali, in particolare di quelli che colpiscono la fascia giovanile, gli incidenti della fascia notturna, tra i quali nello specifico quelli del venerdì e del sabato notte.
Già questo dovrebbe metterci nelle condizioni di trovare una sorta di compatibilità e coerenza tra la proposta simbolica, e quindi comunque significativa, della mozione che reca la firma del collega Giovanardi, e quelle opportune, puntuali e didascaliche che provengono invece dall'altra parte del campo, dai banchi del centrosinistra; penso alla mozione che reca la firma del collega Meta e di altri colleghi dell'Ulivo.
Se questo potrebbe essere lo spirito con cui confrontarsi, ritengo inopportuna la volontà di creare ulteriori barriere - di fronte a questi dati se ne può e se ne deve fare a meno - tra presunti proibizionisti e presunti antiproibizionisti.
È una logica che in Italia ci ha già portato male. È come se fosse una propaggine in zona Cesarini, fuori tempo massimo, delle antiche contrapposizioni tra guelfi e ghibellini: ce la dobbiamo scrollare di dosso perché nessuno ci capirebbe. Siamo di fronte ad un dato drammatico che deve essere osservato e approfondito da ciascuno di noi, al di là della destra e della sinistra, al di là dei filtriPag. 46ideologici che, talvolta, goffamente emergono comunque, come è accaduto persino in questo dibattito d'aula.
Intendo dire che, se potessimo chiedere ad un ragazzo se preferisce vivere, oppure se preferisce schiantarsi contro un albero dopo essere uscito da una discoteca, la risposta retorica sarebbe indirizzata ovviamente alla preferenza per la vita. Dunque, non vi è proibizionismo che tenga, se si mettono in campo norme, magari anche odiose, ma compatibili con le libertà personali, per aiutare ogni ragazzo a conciliare il divertimento con il diritto alla tutela della propria vita.
Ritengo che, in questa sede, si possa parlare - lo abbiamo fatto diffusamente e con cognizione di causa - all'infinito di tutte le piccole norme che possono limitare il fenomeno. Ma, probabilmente, vi è un elemento prioritario che dovremmo aggredire, vale a dire la promozione della vita. Forse dovremmo immaginare, piuttosto che mozioni o interventi legislativi e amministrativi per limitare gli incidenti stradali, una legge per la tutela e la promozione della vita. Invece, ci troviamo - non vorrei essere interpretato come una persona che fa uso di precetti ideologici - di fronte a provvedimenti quali l'aborto e la pillola del giorno dopo, a politiche insufficienti per sostenere la famiglia e per invertire una tendenza democratica che vede il nostro paese ad uno degli ultimi posti.
Inoltre, con riferimento alla droga, abbiamo assistito alla proposta del ministro Turco - bocciata dal tribunale amministrativo regionale - volta ad aumentare la dose minima di sostanze stupefacenti, con la consapevolezza che chi fa uso sostanze stupefacenti di tipo leggero spesso fa uso di sostanze stupefacenti cosiddette pesanti. Comunque, il 100 per cento di coloro che usano cocaina ed eroina hanno iniziato dalla cannabis.
Lo stesso vale per quanto riguarda la violenza negli stadi. Se non ci fosse stato Luca Pancalli, con il suo passato sportivo, qualche politicante ai vertici di certe organizzazioni starebbe ancora a disquisire di qualche pannicello caldo. Anche la decisione, forse impopolare, di chiudere gli stadi e di imporre la messa a norma degli impianti è stata possibile perché chi l'ha proposta non proviene dal mondo della politica e quindi ha avuto una sensibilità diversa rispetto alla vita.
Ma anche rispetto alla violenza politica è come se ci fossero due pesi e due misure, è come se ancora ci trovassimo nell'epoca della guerra civile, come se il 1945 fosse lì dietro l'angolo. Ricordo che qualche collega, rispetto alla questione relativa all'ex brigatista Cesare Battisti, ha chiesto una legislazione di emergenza per assolverlo nonostante i suoi ergastoli.
Ritengo che, da questo punto di vista, si debba promuovere la vita. Se ognuno di noi, se ogni segmento della società, ogni associazione, ogni forza politica e sociale fosse nelle condizioni di manifestare una maggiore attenzione sentendosi parte in causa, se ognuno di noi potesse diventare promotore della cultura della vita, anche questa discussione avrebbe un altro senso. E anche i provvedimenti proposti dai colleghi intervenuti in precedenza avrebbero un altro significato.
Queste sono, in conclusione, le mie considerazioni sebbene, colleghi, torneremo sul merito delle mozioni presentate in fase di dichiarazioni di voto.
Ritengo vi sia una compatibilità, una coerenza ed una logicità in molti degli atti presentati; non abbiamo - ci mancherebbe altro! - un atteggiamento pregiudiziale nei confronti delle mozioni che non sono state firmate dai colleghi di Alleanza Nazionale o che, comunque, non siano riconducibili al centrodestra. Riteniamo, infatti, che una scommessa più ampia debba essere lanciata, sostenuta e diffusa; una scommessa che è più impegnativa anche della promulgazione del codice etico, codice la cui conoscenza andrebbe peraltro diffusa, specie tra i diretti interessati: abbiamo potuto leggere stamani su stampa autorevole della davvero scarsa diffusione di questi dati. Ciò vale sia per i ragazzi - che, interpellati, non sapevano assolutamente nulla di questa convenzione - sia, persino, per i gestori di locali notturni.Pag. 47
Esistono tante professionalità che possono scendere in campo con il loro impegno anche limitatamente a questo segmento della vita notturna, del «divertificio» che accomuna tanti giovani il venerdì ed il sabato...

PRESIDENTE. Deve concludere...

FABIO RAMPELLI. Mi avvio a concludere; la ringrazio, Presidente, della segnalazione.
Parlo ad esempio degli assistenti di sala, una categoria non inquadrata, senza particolari funzioni riconosciute dal nostro Governo e dalle nostre istituzioni. Costoro potrebbero diventare invece parti attive, potrebbero essere non soltanto dei volgari 'buttafuori' (così vengono definiti) ma anche tutori della vita dei ragazzi! Quindi, vi sono tante responsabilità che devono connettersi tra loro e che possono, con una regia adeguata compiuta dal Governo, portare ad una positiva conclusione questa vicenda.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Virgilio. Ne ha facoltà.

DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, mi limiterò a svolgere rapidamente alcune considerazioni che sottolineano elementi emersi da quanto ascoltato in quest'aula e anche da una conferenza stampa cui hanno partecipato i genitori dei giovani vittime della strada e gli amici della polizia stradale.
Dai dati ascoltati, e illustrati in modo particolare all'onorevole Giovanardi e anche dal mio amico di partito, l'onorevole Baldelli, si evince che siamo di fronte ad una vera emergenza; ma l'emergenza non si può vincere con l'aspirina, Presidente! Da questa aula speriamo escano, dopo la votazione sulle mozioni, provvedimenti che vadano nella direzione giusta e non facciano la fine del disegno di legge Giovanardi della precedente legislatura che non «passò» per un solo voto: un voto che è sulla coscienza di molti e che rappresentava probabilmente interessi particolari e opposti all'esigenza di venire incontro ai tanti giovani che perdono la vita sulle nostre strade nel fine settimana.
Si tratta di un'emergenza ed i dati statistici sono incontrovertibili; siamo davvero dinanzi ad un grido d'allarme che noi politici non possiamo trascurare. Siamo qui come rappresentanti dei cittadini e dobbiamo essere in grado di saper leggere le esigenze che vengono dai cittadini per tradurle in norme che vadano a favore degli stessi. Non possiamo essere come una turris eburnea e, sbraitando tra noi, far finire tutto in fumo.
È un problema, questo delle stragi del sabato sera, davvero ineludibile e non più rinviabile; ho letto tutte le mozioni e tutte aborrono provvedimenti quali quelli adottati in passato che non hanno portato finora a nulla. È chiaro che non possiamo sentirci inermi, incapaci di fare qualcosa. L'articolo 32 della Costituzione - signor Presidente, lei la conosce meglio di me - tutela la salute dei cittadini. Quindi, noi dobbiamo tenere presente anche questa norma costituzionale ed adottare scelte legislative coraggiose e forse anche impopolari che ci vengono richieste per difendere la vita di questi giovani.
Allora, le proposte come quella di Giovanardi - «Una notte e per la vita» - sono importanti; siamo alla vigilia della settimana della sicurezza stradale e ciò sarebbe un segnale fortissimo che scuoterebbe le coscienze. Coscienze che, forse, ormai, ahimé, hanno fatto l'abitudine anche a quanto leggiamo ogni fine settimana sui giornali; mi riferisco anche alle ultime settimane. È una strage veramente: nell'ultimo decennio, sono morti oltre 9 mila giovani: una cittadina intera giace, ahimé, nei cimiteri. E l'auto rappresenta un po' il detonatore di una bomba che viene preparata e confezionata in questi locali notturni dove si consuma alcol in eccesso e droga. Con tale stress, come vogliamo che questi giovani abbiano i riflessi pronti per evitare poi gli incidenti stradali?
Me lo lasci dire senza polemica: come si può - e mi rivolgo al ministro Turco - aumentare, anzi raddoppiare la dose di spinelli che si può detenere per consumoPag. 48personale quando tali spinelli, insieme ad altro, provocano questa «bomba», che poi esplode, perché - lo ripeto - l'auto è sì il detonatore finale, ma la «bomba» è preparata prima?
Ed allora non possiamo assolutamente stare zitti e fermarci di fronte a questo grido veramente notevole che si leva, perché è chiaro che alla lunga dovremo fare anche un'opera di prevenzione nelle scuole, con campagne informative, e non soltanto per la droga, ma anche per l'alcol, che è un altro degli elementi il cui abuso incide moltissimo sulla condizione di stress. Ci si può divertire, è giusto che i giovani si divertano, ma non bisogna arrivare a questo punto; non bisogna arrivare fino alle cinque o alle sei del mattino; dobbiamo essere coraggiosi e dire, nonostante gli interessi dei gestori dei locali da ballo e delle discoteche, che i nostri giovani non possono rimanere nei locali fino alle sei del mattino e, poi, uscirne rimbambiti.
Signor Presidente, credo che noi politici, se siamo in Parlamento in coscienza a rappresentare i cittadini, non possiamo assolutamente non ascoltare la voce che cresce e che proviene da queste famiglie: ascoltate le famiglie che hanno perduto giovani a causa di questi incidenti! Basta ascoltarne una ed allora veramente è una lancia nel nostro cuore che ci scuote e che ci dovrà rendere pronti e sensibili ad adottare provvedimenti che, lo ripeto, dovranno essere coraggiosi e forse anche impopolari.
In conclusione, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento

PRESIDENTE. Onorevole Di Virgilio, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo della discussione.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Annunzio della formazione di una componente politica nell'ambito del gruppo parlamentare misto.

PRESIDENTE. Comunico che stata autorizzata, ai sensi dell'articolo 14, comma 5, del regolamento e sulla base della richiesta pervenuta in data 16 marzo 2007, la formazione, nell'ambito del gruppo parlamentare Misto, della componente politica denominata «Repubblicani, Liberali, Riformatori», cui aderiscono i deputati Giorgio La Malfa, Francesco Nucara e Giovanni Ricevuto.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 20 marzo 2007, alle 11.

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese (2201-A).
- Relatore: Lulli.

(al termine delle votazioni)

2. - Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
S. 1314 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, recante misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche (Approvato dal Senato) (2340-A).
- Relatori: Pisicchio, per la II Commissione e Folena, per la VII Commissione.

La seduta termina alle 20.

Pag. 49

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO DOMENICO DI VIRGILIO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI SULLE INIZIATIVE PER CONTRASTARE IL FENOMENO DELLE COSIDDETTE «STRAGI DEL SABATO SERA»

DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, purtroppo sempre più spesso ormai leggiamo sulle prime pagine dei quotidiani la notizia di qualche giovane vita stroncata in un incidente automobilistico; negli ultimi fine settimana abbiamo assistito a veri e propri bollettini di guerra, le cui vittime sono anche giovanissimi.
Per la maggior parte si tratta di ragazzi di ritorno da una nottata trascorsa in un locale, che hanno bevuto un bicchiere di troppo e che, anche a causa dell'elevata velocità, muoiono coinvolgendo altre persone.
Dai dati Istat apprendiamo che il 44,3 per cento degli incidenti notturni settimanali accadono proprio nelle notti del venerdì e, soprattutto, del sabato, con un elevato indice di mortalità. Nella fascia oraria che va dalle 22 alle 6 del mattino nel 2005 si sono verificati 35.098 incidenti stradali, pari al 15,6 per cento del totale, che hanno causato il decesso di 1.529 persone, pari al 28,1 per cento del totale, e il ferimento di 54.873 persone, pari al 17,5 per cento del numero complessivo di quanti sono dovuti ricorrere al pronto soccorso.
Negli ultimi dieci anni, circa ottomila giovani, in età compresa tra i 18 e i 30 anni, sono morti in incidenti stradali mentre decine di migliaia hanno subito lesioni permanenti. Soltanto nell'ultimo fine settimana di febbraio 2007 ci sono state 24 vittime, 42 morti nel primo fine settimana di marzo, 29 morti nel fine settimana dal 10 al 12 marzo. Sfortunatamente anche lo scorso fine settimana ha fatto registrare alcuni decessi per incidenti stradali.
La notte del sabato è l'intervallo temporale in cui più di frequente succedono gli incidenti. Infatti è proprio in questa serata che i giovani, liberi da impegni di lavoro o di studio, si consacrano al divertimento «a tutti i costi», dimenticando a volte il senso di responsabilità civile e assumendo comportamenti che determinano un allentamento dei freni inibitori fino spesso all'incoscienza.
Ma l'incoscienza di un attimo può portare a conseguenze mortali o, in caso di sopravvivenza, a deficit cognitivi e motori talmente gravi da impedire loro di condurre un'esistenza soddisfacente.
Si sono approntate in questi ultimi anni molte misure per contenere il fenomeno. Purtroppo i risultati non sono sempre stati incoraggianti. Tuttavia molte delle misure proposte - limiti di velocità, chiusura anticipata dei locali, patente a punti - sono necessarie ed è importante proseguire con determinazione in questa direzione, forse anche adottando misure repressive, perché chi viola il codice della strada, chi guida in modo pericoloso o in cattive condizioni psicofisiche va punito dal momento che mette in pericolo non soltanto la propria vita ma anche la vita delle altre persone.
Questo stato di emergenza, a mio parere, è causato anche dall'atmosfera di eccessivo permissivismo che pervade la società contemporanea, sintomo troppo spesso di disinteresse e lassismo. La società deve, a mio avviso, tutelare i diritti di tutti, ma nel contempo richiamare ognuno ai propri doveri e alle proprie responsabilità. Abbiamo tutti il dovere di proteggere e nel contempo di proteggerci.
Nel disegno di legge sulla sicurezza stradale del ministro dei trasporti Bianchi, approvato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri, è stato inserito un codice di autoregolamentazione firmato dai ministri dell'interno Giuliano Amato e delle politiche giovanili Giovanna Melandri. Si tratta di un patto tra istituzioni, gestori di locali da ballo e produttori di alcolici contro le stragi del sabato sera. Tra gli obiettivi di questo codice vi sono: educare i ragazzi a non mettersi alla guida dopo aver bevuto; promuovere misure restrittive sulla vendita e somministrazione di alcolici; prevedere l'individuazione di un «guidatore designato», quello cioè che si impegna a non bere alcolici, al quale i gestori dei locali daranno solo bevande analcoliche; favorire l'uso di alcool-test e la formazione dei gestori e di chi lavora nei locali sul tema dell'abuso di alcool.Pag. 50
Sono provvedimenti che aggiunti agli altri già in vigore vanno nel senso che tutti auspichiamo, ma certamente non sufficienti ad incidere sensibilmente su questo grave fenomeno.
Bisogna anche intervenire con la predisposizione di controlli maggiori sul traffico, soprattutto in prossimità dei locali notturni, e con l'incremento del numero di autovelox per la rilevazione della velocità, stabilendo più ridotti limiti di velocità proprio nella fascia oraria più a rischio che va dalle ore 22 del sabato alle ore 6 della domenica mattina.
Le cause che portano a questi dolorosi eventi sono molteplici, a cominciare dalle pessime condizioni delle nostre strade, prive di segnaletica adeguata in alcuni tratti pericolosi, l'eccessiva velocità delle autovetture che dovrebbero avere tutte in dotazione di serie quei dispositivi di sicurezza come air-bag, sistemi di frenatura ABS, computer di bordo, eccetera.
Sarebbe fondamentale inoltre l'educazione stradale insegnata in maniera più intensiva già dalla scuola dell'obbligo o anche prima e la diffusione di specifiche campagne di sensibilizzazione sui gravi rischi derivanti da un utilizzo irresponsabile delle automobili soprattutto durante il fine settimane; infatti i giovani nel fine settimana amano spostarsi da un locale all'altro e ciò può incrementare il rischio di incidente.
Dobbiamo però anche domandarci per quale motivo un giovane per divertirsi sente il bisogno di abusare con 1'alcool e di assumere droghe più o meno pesanti.
E pensare che il ministro della salute senatore Livia Turco nel decreto, sospeso venerdì dal TAR del Lazio, innalzava la dose di cannabis permessa per uso personale da 500 a 1000 milligrammi, come se fosse acqua minerale.
Sappiamo tutti che anche la cannabis, per non parlare delle droghe più pesanti come eroina e cocaina, è nociva per la salute. È notizia di oggi che 1'Independent, autorevole quotidiano britannico, che anni fa guidò la campagna perché la cannabis fosse depenalizzata, oggi si pente lanciando l'allarme per gli effetti disastrosi che questa sostanza provoca all'organismo umano e alla psiche.
Senza dubbio il problema sostanziale di questa emergenza è anche di ordine psicologico, sociale e culturale.
La nostra epoca vive nel segno della velocità, dell'efficienza, della competizione e del consumo, e viviamo in un periodo di perdita di quei valori umani e umanitari che dovrebbero essere fondamento della vita di ogni individuo.
Molti giovani sembrano rapiti da una pulsione di morte, da un disperato autolesionismo. La cultura in cui sono immersi è concentrata più sugli oggetti che sulle persone; produce alienazione, mancanza di significato, disorientamento. La famiglia e le altre istituzioni tradizionali sono in crisi, c'è incertezza per il futuro e quindi allontanamento dalle proprie responsabilità. Anche i legami sociali sono sempre più spesso messi in discussione, la comunicazione appare superficiale, malgrado il diffondersi di nuove opportunità, quali l'e-mail e il telefonino; ma è chiaro che invece in molti giovani alberga una profonda solitudine che può portare all'abuso di alcool e all'assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti. Infatti molti ragazzi cercano lo stordimento per vincere le angosce o il vuoto interiore: l'alcool, le droghe, la musica ad alto volume.
Purtroppo di frequente riscontriamo che, in caso di grave incidente, chi guida ha spesso abusato di alcool anche con assunzione di sostanze tossiche.
Non è certo il caso di generalizzare o di fare dell'inutile moralismo, ma è certamente il caso di agire per una inversione di questa tendenza di morte, per la quale non possediamo una soluzione certa. È tuttavia altrettanto vero che vi è la necessità di restituire un senso all'esistenza di ognuno di noi, in modo tale che l'individuo riprenda possesso di quel senso di responsabilità dovuto per sé e per gli altri.