XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 117 di giovedì 1 marzo 2007

[frontespizio]
[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
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[indice cronologico]
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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI

La seduta comincia alle 10,05.

MARCO BOATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 22 febbraio 2007.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Duilio, Angela Napoli, Peretti, Ranieri e Stucchi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione sulle comunicazioni del Governo (ore 10,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per il dibattito è pubblicato in calce al resoconto della seduta del 26 febbraio 2007.

(Discussione)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Il primo iscritto a parlare è il deputato Del Bue, al quale ricordo che ha dodici minuti di tempo a disposizione.
Ricordo, inoltre, a lui e a tutti gli altri deputati iscritti a parlare che, a trenta secondi dalla fine del tempo a disposizione, avvertirò con un suono del campanello.
Prego, deputato Del Bue, ha facoltà di parlare.

MAURO DEL BUE. Signor Presidente del Consiglio dei ministri, comprendo bene il suo sospiro di sollievo per il voto di ieri al Senato, ma, come del resto sostengono oggi tutti i commentatori politici sugli organi di stampa, non credo che esso sia stato risolutivo.
La crisi della sua maggioranza nasce, infatti, dall'interpretazione stessa del voto dell'aprile scorso. Le elezioni si erano concluse con un risultato di sostanziale parità. La legge elettorale aveva permesso l'acquisizione di un premio di maggioranza alla Camera dei deputati e, col voto degli italiani all'estero - chi è causa del suo mal pianga se stesso! -, l'Unione aveva ottenuto due seggi in più al Senato, dei quali uno sostanzialmente sempre in bilico tra le pampas argentine e il sole «de Roma» e un altro perso per strada dopo l'acquisizione di una presidenza di Commissione con i voti dell'opposizione.
Ciononostante, l'Unione decretò la sua vittoria, la festeggiò a denti stretti dopo ore di incertezze e palpitazioni e continuò Pag. 2ad affermare, anche dopo defezioni e prove di maggioranza stentate, di avere diritto a governare l'Italia anche con il voto determinante di una parte dei senatori a vita. Negò la realtà, come fece quel giornale sportivo nel 1959 che, dopo una prova della nazionale italiana in Inghilterra, titolò a tutta pagina: «Grande successo italiano per due a due».
Credo che questo atteggiamento sia il logico risultato della pervicacia di un gruppo dirigente che aveva scommesso sé stesso su una vittoria che bisognava comunque decretare. Solo Massimo D'Alema, dopo le elezioni, introdusse valutazioni autocritiche e riconoscimenti all'opposizione e al suo leader; valutazioni poi subito rientrate. E l'Unione scartò immediatamente l'idea, che invece aveva già preso piede in Germania, di procedere alla formazione di un Governo di ampie intese, data l'esiguità e la precarietà di una maggioranza numerica: l'orgoglio sostituì il rispetto della verità e la supponenza fece il resto.
Dunque, non è una sorpresa che, nel giro di poche settimane, il Governo sia finito due volte in minoranza al Senato e per di più sui temi della politica estera, quelli oggi più qualificanti e rilevanti in un paese europeo. Prima la commedia su Vicenza e l'ordine del giorno che approvava la relazione del ministro della difesa, votata dall'opposizione, poi la mozione sulla politica estera, pretesa dal Presidente della Repubblica come verifica della tenuta della maggioranza clamorosamente sconfitta.
Ma anche se il Governo avesse una maggioranza numerica leggermente più ampia, signor Presidente, resterebbe la questione della sua eccessiva eterogeneità che lo rende assai debole ed esposto a rischi continui; a rischio cortei, sit-in, occupazioni, manifestazioni, tutto ciò insomma che una sinistra di piazza oppone sempre ad una sinistra di Governo: da Vicenza ai cantieri della TAV, fino ai rigassificatori, ai no global e alle sfilate pacifiste, la sinistra di piazza non può, alla fine, non condividere.
Guardate, non penso affatto che un Governo non debba saper ascoltare, dialogare, e anche, talvolta, cambiare idea alla luce di sollecitazioni e proposte che provengono dal basso, ma un Governo non può, nel suo seno, contare su una componente che sempre ne contesta le decisioni quando esse si contrappongono a quelle della piazza e al suo diritto di veto.
Filippo Turati, il padre del riformismo socialista, ebbe modo di schierarsi apertamente contro il primo sciopero generale proclamato dai sindacalisti rivoluzionari nel settembre del 1904, definendolo un errore e un pericolo. Bettino Craxi seppe sfidare il massimalismo della componente comunista della CGIL nel 1985 sul tema della scala mobile, vincendo un delicato referendum. Il riformismo è anche assunzione di responsabilità e si distingue dal massimalismo, dal populismo e ancor più dal rivoluzionarismo, perché non è mai subalterno agli estremismi e non ha paura di sfidare l'umore che appare prevalente tra le masse, quelle meno silenziose.
Per questo non ho esitazione a sostenere che una parte cospicua del suo Esecutivo, signor Presidente, non ha una cultura riformista e, aggiungo, neppure una cultura occidentale. Non so se il ministro D'Alema abbia davvero pronunciato quelle parole su una sinistra che danneggia il paese; se non lo ha fatto, quelle parole le faccio mie. D'altronde, non per spezzare una lancia a favore dei danneggiatori, la sinistra radicale è sempre stata coerente e chiara. Voi l'avete utilizzata per tentare di vincere le elezioni, ma sapevate benissimo quali erano le idee di Giordano, Diliberto e Pecoraro Scanio. Lo sapevate perché gli stessi le avevano apertamente sostenute in Parlamento e anche perché nel lungo programma dell'Unione, così tanto decantato e che oggi avete avvertito l'esigenza di accorciare, sintetizzare ed anche modificare, la sinistra radicale non aveva consentito di trovare l'accordo proprio sul tema dell'Afghanistan e della TAV, sui quali il «programmone» era così lacunoso e il «programmino» di oggi pare porvi rimedio.Pag. 3
Si dirà: ma il Governo non è andato in minoranza perché la sinistra radicale gli ha votato contro: si è trattato solo di un paio di defezioni. Sì, ma se sommate al paio di defezioni, quelle di due senatori che almeno hanno avuto il coraggio delle loro idee e sono stati così tanto contestati, bistrattati e addirittura minacciati - a loro va la mia umana solidarietà -; se sommate ai «Rossi» e ai «Turigliatto» tutti coloro che votavano con il mal di pancia, coloro che votavano solo per disciplina di partito e di coalizione, coloro che, dopo aver votato, quasi come per emendarsi di un peccato, hanno dichiarato la loro volontà di dimettersi per non compiere il sacrilegio di abiurare la loro «religione»; se sommate anche coloro che, come spesso ricorda il segretario del PDCI, sono in dissenso assoluto sulla missione in Afghanistan ma non vogliono far tornare Berlusconi, allora ditemi se questo Governo può contare su una maggioranza politica!
Un pregiudizio antioccidentale non può sorreggere il cammino di un Governo in Occidente e in Europa. Non accade in nessuna altra nazione. Noi abbiamo indicato al Presidente della Repubblica, come soluzione ideale della crisi numerica e politica del Governo, la strada maestra, che già indicammo subito dopo il voto di primavera, cioè la costituzione di un Governo di ampie intese, allora già esistente nella sola Germania e oggi diffusosi anche in Austria e in Olanda. Oltretutto, in Italia tale soluzione sarebbe assai utile per uscire definitivamente dalla fase aperta con la rivoluzione giudiziaria e per fondare davvero una seconda Repubblica, che non è mai nata. Certo, ha ragione il Presidente della Repubblica, quando sottolinea che il conflitto politico in Italia è il più aspro d'Europa. Da un lato, si considera Berlusconi illegittimo come avversario; dall'altro, si considerano gli ex comunisti iscritti al partito socialista europeo, ma ora però non si sa per quanto, addirittura pericolosi per la democrazia e si considerano le elezioni un colossale imbroglio, un colpo di Stato, come le ha definite in televisione l'onorevole Bondi.
Così non si va da nessuna parte. Questo bipolarismo non è la soluzione della crisi: è la ragione della crisi del nostro sistema politico e di governo. È un bipolarismo multipartitico, che si basa sul potere condizionante degli estremi, che serve solo per vincere e a volte neppure per questo, ma non certo per governare. Da un lato, abbiamo la sinistra radicale, che condiziona quella riformista; dall'altra, Forza Italia e Alleanza nazionale, che devono controllare la Lega e hanno perso per strada l'UDC. Noi indichiamo un modello politico europeo. Siamo per la soluzione dell'anomalia italiana. Siamo il solo paese dove rinasce il terrorismo politico, il solo paese dove si apra un conflitto tra Stato e Chiesa su vicende risolte in tutte le altre democrazie, quali quelle dei diritti delle coppie di fatto, peraltro scomparse dagli impegni del Governo.
Siamo l'unico paese europeo dove si rilanciano slogan, quali «yankee go home», e non certo per problemi urbanistici della città di Vicenza! Siamo l'unico paese dove dovrebbero sorgere due partiti, il partito democratico e il partito delle libertà, assolutamente sconosciuti in Europa. Il caso Italia resta affidato a molteplici anomalie. Il superamento del fattore K si è imbattuto in tangentopoli e la miscela generata è stata la nascita di un sistema politico meno qualificato sul piano delle identità e assai meno portato alla governabilità dell'Italia.
Signor Presidente del Consiglio, ho letto attentamente sia la sua relazione svolta al Senato sia il suo decalogo. Capisco l'esigenza di una riforma elettorale; sappia, però, che se si continua a ritenere che il corpo elettorale dovrebbe scegliere - così come lei ha scritto - delle coalizioni, esso si pone fuori dal modello che, almeno per quanto ci riguarda, risulta il più confacente alle esigenze del paese: quello proporzionale di tipo tedesco.
Se vogliamo superare questo bipolarismo «bastardo», non c'è altra via d'uscita ad un sistema che permetta ad ogni forza politica di presentarsi singolarmente, accentuando la sua identità e accorpando, eventualmente, i suoi simili e, poi, solo Pag. 4dopo le elezioni, la costruzione di coalizioni tra partiti che possano individuare un programma comune. Se, invece, volete rilanciare questo bipolarismo, fondandolo su coalizioni delle quali nemmeno l'eventuale nascita del partito democratico e del partito delle libertà riusciranno a fare a meno, allora tornerete daccapo e la governabilità dell'Italia si farà sempre più difficile. Aggiungo che mettere nel calendario delle cose da fare immediatamente la riforma elettorale è un po' come ammettere di considerare le elezioni già all'ordine del giorno: penso che non debba essere così.
Penso anche che proprio lei, signor Presidente del Consiglio, avrebbe potuto e forse dovuto assumere un'iniziativa senza rinchiudersi nel recinto troppo angusto e accidentato della sua maggioranza. Lo so, lei è persona d'una sola parola e gliene do volentieri merito; però, l'interesse generale del paese è molto più importante del nostro orgoglio personale. Anche Angela Merkel aveva promesso ai suoi elettori un Governo alternativo a quello di Schroeder e così aveva fatto Alfred Gusenbauer in Austria e Jan Peter Balkenende in Olanda. Eppure costoro hanno preferito annunciare un accordo con i loro avversari piuttosto che puntare a nuove elezioni.
Per di più, avevate conclamato la fine delle ostilità, ma non erano passate che poche ore e già venivano sparate nuove cartucce.
I dodici punti sono dodici come gli apostoli, ma le ricordo che neppure loro hanno impedito a Gesù di finire sulla croce. I Dico non ci sono: Pannella e Boselli hanno protestato e io mi unisco alla loro protesta. Ci sono le pensioni, ma il PDCI sostiene che non si deve toccare l'età pensionabile. Si farà la TAV, ma Giordano dice testualmente che bisognerà valutare soluzioni alternative. Pecoraro Scanio esclude tassativamente il rigassificatore di Brindisi, implicitamente incluso nel punto quattro del dodecalogo. Ferrero ribadisce l'intenzione di cancellare i CPT e Rutelli di intestarsi le liberalizzazioni. Mentre Rossi e Turigliatto si inventano la fiducia a distanza: dicono «sì» ma ripetono che, tra qualche giorno, ripeteranno «no» alla missione in Afghanistan.
Lei, Presidente, che ha chiesto pieni poteri, mi ricorda un po' Leon Blum quando disse ai comunisti francesi, da socialista supino: io sono il vostro leader, dunque, vi seguo.
Le faccio ugualmente tanti auguri: glieli ho rivolti dopo le elezioni, in occasione della fiducia; glieli rivolgo anche oggi, a fronte della fiducia-bis che poggia sul programmino dei dodici punti, sulla ritrovata coesione di una maggioranza minima, che però non smette di litigare e che poggia sui nuovi convincimenti, sempre rispettabili, del senatore Follini e sulla decisione sofferta del senatore Pallaro che, come Penelope cambiava la tela fra il giorno e la notte, cambia il suo voto, visto che il Presidente della Repubblica vi aveva chiesto una maggioranza senza i senatori a vita.

PRESIDENTE. La prego, deve concludere.

MAURO DEL BUE. Ricordatevi anche di quell'avverbio «stabilmente», che è così caro al Presidente. Tanti auguri, ma non posso dire a presto. Non credo che ci sarà un'altra volta, lo sapete bene (Applausi dei deputati dei gruppi Democrazia Cristiana-Partito Socialista e Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nicco, al quale ricordo che ha quattro minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente del Consiglio, colleghi e colleghe, la crisi è avvenuta su uno degli aspetti essenziali della politica di un Governo: la politica estera. Vorremmo quindi, innanzitutto, manifestare accordo sulla strategia delineata: sicurezza comune europea, multilateralismo, rapporto positivo con gli Stati Uniti (aggiungiamo, senza sudditanza o subalternità).
È questa l'occasione anche per ragionare su altri temi.Pag. 5
Nel suo discorso, il Presidente Prodi ha toccato un punto per noi particolarmente importante: le relazioni tra i differenti livelli di governo, tra lo Stato centrale e il sistema delle autonomie. Noi riteniamo che senza federalismo politico non si possa coerentemente parlare di federalismo fiscale. E federalismo politico significa, intanto, come si legge nel programma di Governo dell'Unione, «(...) realizzare un efficace bicameralismo differenziato, attraverso un Senato che sia luogo di effettiva rappresentanza delle autonomie territoriali». Se, come crediamo, a questo si riferisce il Presidente, quando indica la necessità di «portare finalmente ad equilibrio virtuoso il rapporto tra lo Stato, le regioni e le altre articolazioni territoriali che esprimono la ricchezza di un paese pieno di potenzialità e di capacità, anche attraverso una modifica della composizione stessa del Parlamento», non possiamo che essere d'accordo.
Abbiamo poi particolarmente apprezzato l'esplicito impegno del Governo «a dare rapida attuazione alla parte del programma che riguarda le minoranze linguistiche e le autonomie speciali», di cui il passaggio in aula della proposta di legge sulla modificazione degli statuti tramite la procedura dell'intesa è il punto centrale.
In quanto rappresentanti di una specifica realtà territoriale, abbiamo anche colto questo passaggio per una verifica dell'accordo programmatico siglato tra l'Alleanza autonomista-progressista della Valle d'Aosta e l'Unione. In questi primi nove mesi di lavoro comune, abbiamo posto le basi, nell'ambito di un confronto serrato, per la realizzazione di quel programma di cui, nella memoria scritta che abbiamo consegnato in questi giorni al Presidente, sono focalizzati i punti prioritari: dall'edilizia universitaria agli interventi infrastrutturali nel settore ferroviario e stradale, dalla rapida approvazione delle norme di attuazione, già licenziate dalla commissione paritetica, alla difesa delle prerogative statutarie rispetto dell'Unione europea. Si tratta ora di passare rapidamente alla concreta realizzazione di quei punti.
Bene ha fatto il Presidente a sottolineare alcuni significativi dati positivi dell'economia, ma proprio ciò rende tanto più sconcertante ed assurda questa crisi. Non di questo ha bisogno il paese, ma di stabilità politica e di governabilità di lungo periodo.
Il Presidente ha dato atto di un chiarimento politico avvenuto tra le forze della maggioranza. Auspichiamo che sia reale e duraturo, che non si riproducano «le fibrillazioni» che hanno caratterizzato questi mesi e che la maggioranza sappia operare sulla base di un confronto, anche serrato, nel merito delle differenti questioni, ma senza quella «accentuata litigiosità» - per usare le parole del Presidente - che è frutto spesso della pura necessità di effettuare dei distinguo per dimostrare la propria esistenza e che, alimentata da un diluvio di esternazioni, si trasforma poi talvolta in improduttive crociate ideologiche.
Altro si attendeva e si attende chi ha dato il proprio voto a questa coalizione, altro senso di responsabilità. Ci siamo chiesti: perché porre con tanta urgenza e determinazione la questione dell'indulto, sapendo che avrebbe creato divisioni nel paese e nella maggioranza e sospette trasversalità? Perché lacerarsi per mesi su temi quali l'allargamento della base di Vicenza o le unioni civili, per di più, ostinatamente, con iniziativa del Governo e non parlamentare? Temi rispettabili, a cui occorre dare adeguate, magari pragmatiche soluzioni, ma che, certo, non sono al primo posto nelle preoccupazioni dei cittadini.
Ci sono indubbiamente questioni di metodo e di merito da mettere a punto e questa crisi può essere l'occasione per farlo. Da un lato, mai più dovrà esserci un comma 1343, tutt'altro che un refuso tipografico, ma emblema di una politica intesa come furberia, che respingiamo; dall'altro, è essenziale una maggiore sintonia con i cittadini e le categorie. Le riforme per modernizzare il Paese sono necessarie e vanno fatte, ma devono essere costruite sul consenso a partire dal «Bersani-bis». Pag. 6Le scorciatoie venate di giacobinismo sono in genere poco produttive.
È su questa base, di ordine generale e specifico, che rinnoviamo a lei, signor Presidente, e al Governo la nostra fiducia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fedi, che ha a disposizione cinque minuti. Ne ha facoltà.

MARCO FEDI. Signor Presidente della Camera dei deputati, signor Presidente del Consiglio, componenti del Governo, colleghe deputate e colleghi deputati, esprimiamo un convinto voto di fiducia sulla base dei punti programmatici da lei sinteticamente indicati come prioritari in questa delicata fase politica, e rinnoviamo la piena fiducia al Governo, rispetto al programma politico dell'Unione che continuerà a guidare l'azione del Governo Prodi e che, comunque, nonostante le difficoltà che lei e questa maggioranza non hanno mai nascosto, ha già dato i primi risultati positivi con l'approvazione della finanziaria, importante anche per le comunità italiane nel mondo, con le liberalizzazioni, anch'esse importanti per quelle comunità, e con il programma di riforme, sulle quali tutti insieme stiamo lavorando.
Il dovere di governare, signor Presidente, non nasce unicamente dai voti di fiducia, dalle maggioranze numeriche e dalle capacità di realizzazione del programma, che, come centrosinistra, manteniamo inalterate. Il dovere di governare nasce anche dalla capacità di ascoltare il paese. Abbiamo il dovere di governare perché vogliamo e sappiamo ascoltare.
Le incertezze del momento non possono essere strumentalizzate. Il paese chiede ascolto, chiede governo, chiede riforme: l'ascolto, ad esempio, delle richieste delle parti sociali per quanto attiene alle riforme del mondo del lavoro e delle pensioni; il confronto parlamentare per quanto attiene alla riforma elettorale, al sistema delle regole, alle riforme istituzionali.
Questo dovere, signor Presidente, richiama il Governo all'impegno per un'azione ancora più coerente e determinata. La maggioranza parlamentare che lo sostiene - è vero - si assume una seria responsabilità davanti al paese. Tutte le forze politiche di maggioranza debbono sentirsi impegnate. Dovremo insieme far partire un più incisivo confronto parlamentare, che rappresenta un dovere anche dell'opposizione, un confronto parlamentare che può portare a maggioranze più ampie, anche diverse, sui singoli provvedimenti.
Anche su questo la maggioranza parlamentare che sostiene il Governo Prodi deve impegnarsi. Un confronto parlamentare cui non si sottrarranno gli eletti della Circoscrizione estero che, con coerenza ed impegno, tra le fila della maggioranza e dell'opposizione e tra gli indipendenti, hanno garantito il loro contributo al dibattito ed hanno lavorato alacremente in questi nove mesi per rappresentare al meglio le concrete esigenze delle donne e degli uomini che vivono con grande dignità, e a volte sacrificio, il mondo dell'emigrazione. È una rappresentanza parlamentare che merita autentica attenzione. Gli attacchi indegni rivolti al senatore Luigi Pallaro, che ha sempre coerentemente votato con la maggioranza, dimostrano quanta strada deve essere ancora percorsa per il pieno riconoscimento dell'originalità del nostro contributo. Si tratta di parlamentari che non debbono pagare alcun impegno, che sono parte integrante, legittima e - io credo - essenziale di questo Parlamento, che lavorano con coerenza verso un progetto politico che rafforzi il legame tra l'Italia e le comunità italiane nel mondo: un progetto politico transnazionale che veda nell'integrazione tra i popoli e nel riconoscimento del valore dei migranti il suo momento più alto, ma anche le sfide più complesse.
È in questo contesto che si pone l'impegno del Governo per un'incisiva azione finalizzata al sostegno ed alla valorizzazione del patrimonio rappresentato dalle comunità italiane all'estero. È un impegno di cui, signor Presidente del Consiglio, le siamo grati. Si tratta di un patrimonio di culture, identità, intelligenze che è anche al servizio della politica estera italiana, Pag. 7una politica estera sempre più universale nel suo coerente multilateralismo, nel suo vedersi profondamente ancorata ai valori universali della pace, della democrazia, della libertà e collocata con fermezza nell'ambito degli organismi sovranazionali. È possibile, signor Presidente del Consiglio, guidare un paese occidentale come l'Italia, interrogarsi insieme sul ruolo di questo nostro grande paese nel mondo, sulle iniziative di pace, sui programmi di cooperazione allo sviluppo ed individuare - grazie all'impegno del Governo, grazie alla sua azione - il percorso più giusto, che contribuisca a garantire pace e stabilità in Medio Oriente e nel resto del mondo, confermando in questo modo, con la nostra azione, con le nostre decisioni, con il nostro impegno, la partecipazione piena e responsabile all'unione dei cittadini europei e all'unione delle nazioni.

PRESIDENTE. Deputato Fedi, la prego di concludere.

MARCO FEDI. Signor Presidente, all'unione delle forze politiche di maggioranza spetta l'impegno di cogliere le opportunità di crescita e sviluppo che si stanno aprendo in questa legislatura, l'impegno di dare attenzione alle nuove generazioni, alle fasce sociali più deboli, all'ambiente e ai diritti delle persone in ogni momento della loro vita, anche quando scelgono la libera e stabile convivenza. Grazie e buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Siniscalchi. Ne ha facoltà.

SABINA SINISCALCHI. Signor Presidente della Camera, signore e signori deputati, signor Presidente del Consiglio dei ministri, ho sinceramente apprezzato che nella sua dichiarazione lei abbia voluto ripartire dalla politica estera, una politica estera che abbia come obiettivo prioritario la costruzione della pace. E sono pienamente d'accordo con lei quando afferma che la pace va organizzata. Per organizzare la pace occorre mettere in atto un'azione politica e diplomatica multipolare che si dispieghi proprio nelle aree calde del pianeta, dove i conflitti si stanno combattendo o sono imminenti.
L'Italia, in questi primi nove mesi del suo Governo, ha avuto la capacità, l'intelligenza e la statura per fermare la guerra in Libano, per ritirare il proprio appoggio ad una guerra sbagliata ed unilaterale, come quella dell'Iraq; ha collaborato con l'Organizzazione per l'unità africana per contenere il conflitto in Somalia; sta sostenendo l'azione di mediazione nella crisi iraniana; è diventata portabandiera delle iniziative internazionali per l'abolizione della pena di morte; si è adoperata in tutti i modi per sostenere, legittimare e rafforzare l'ONU.
Basterebbero questi atti a qualificare il suo Governo come fautore di pace. Sicuramente, bastano questi atti a segnare una netta e profonda differenza tra il suo Governo e quello che l'ha preceduto; un Governo, quello guidato dal presidente Berlusconi, che non ha mai osato prendere le distanze né mettere in discussione l'avventurismo bellico del Governo statunitense.
Oggi, è evidente che quelle scelte sconsiderate di guerra non solo non hanno prodotto democrazia e rispetto dei diritti umani, ma non hanno estirpato e neppure frenato il delirio terrorista. Siamo convinti che il suo Governo abbia la capacità e la volontà di fare della pace un obiettivo concreto e realizzabile. Proprio per questo, vorremmo che facesse di più, attuando a pieno e rapidamente le indicazioni e gli impegni contenuti nella mozione con cui questa Camera accompagnò il voto sulle missioni militari il 17 luglio dello scorso anno. Voglio ricordare, in particolare, la conferenza internazionale per promuovere la pacificazione e la democratizzazione dell'Afghanistan (uno dei paesi più poveri del mondo), la necessità di sottoporre le missioni militari dell'Italia alla verifica e al controllo del Parlamento, l'urgenza di una chiara distinzione tra gli interventi militari e quelli di cooperazione.
Vorremmo anche che, sia pure con la gradualità necessaria, si spostassero sempre Pag. 8maggiori risorse dagli interventi militari all'intervento di cooperazione allo sviluppo (oggi, il rapporto è di dieci a uno), perché siamo convinti, e i fatti e le analisi ci confortano, che sia proprio l'investimento per lo sviluppo a garantire la democrazia e la pace.
Vorremmo che il nostro paese contribuisse a modificare l'agenda politica mondiale, stravolta e monopolizzata dall'emergenza terrorismo.
Vorremmo che l'Italia riuscisse a riportare al centro del dibattito internazionale le questioni che sono ormai emergenze globali: la crescita della povertà, la fame, l'analfabetismo, le pandemie, l'acuirsi degli squilibri economici e sociali tra paesi e all'interno dei paesi, i traffici illeciti, a partire dal traffico degli esseri umani, la distruzione delle risorse naturali, l'esodo doloroso di milioni di persone da guerra e povertà.
Si tratta di problemi che affliggono la nostra terra e investono la maggioranza dei suoi abitanti. Ma non sono affrontati o sono affrontati troppo poco nei consessi internazionali. Non è un caso che, nei primi sette anni di questo millennio, l'ONU non abbia promosso nessuna grande conferenza mondiale su questi temi.
Credo che non si vogliano affrontare questi problemi anche per un'altra ragione, cioè perché 25 anni di neoliberismo sfrenato e di globalizzazione senza regole ci hanno fatto credere che la cooperazione non serve, che l'uguaglianza e le pari opportunità tra persone e popoli sono impossibili o addirittura negative, che la solidarietà e il rispetto dell'altro non sono più un valore.
Credo che dobbiamo opporci a questo modo di vedere il mondo. Lo scorso mese, ho avuto il privilegio di rappresentare il mio gruppo al Forum sociale mondiale che quest'anno si è svolto a Nairobi. Al Forum, ma anche fuori, nelle immense baraccopoli di questa capitale africana, ho incontrato una splendida comunità umana, accomunata da ideali e da valori che non hanno confini, un'umanità che incarna la speranza di un mondo nuovo, di un mondo migliore. È a queste persone, ai tanti che, anche nel nostro paese, si impegnano e si mobilitano per la solidarietà e la pace, che il Governo dovrebbe dare ascolto.
Non abbia paura di ascoltare il popolo della solidarietà e della pace, signor Presidente. È lo stesso che 15 giorni fa ha manifestato serenamente a Vicenza; ha una voce limpida, avanza richieste non contaminate da interessi corporativi o da tornaconto personale. Molte associazioni in rappresentanza di questo popolo, subito dopo la crisi aperta al Senato, le hanno chiesto di andare avanti.
Vada avanti, Presidente Prodi, ma li ascolti. C'è ancora molto da fare per rendere il nostro mondo pacifico e giusto. L'azione intrapresa dal suo Governo è ancora insufficiente, ma va nella giusta direzione.
Voglio ricordare che, pur avendo raddoppiato i fondi per la cooperazione rispetto all'ultima finanziaria del Governo Berlusconi, non abbiamo raggiunto, entro il 2006, lo 0,39 per cento del prodotto interno lordo, come promesso alla Conferenza di Monterrey e al Consiglio europeo di Barcellona, al fine di ottenere al più presto il rispetto dell'impegno dello 0,7 per cento per assicurare il nostro contributo al raggiungimento degli obiettivi del millennio.
È vero, abbiamo finalmente pagato il contributo al Fondo globale di lotta all'AIDS dopo l'inadempienza degli ultimi tre anni, ma dobbiamo garantire il finanziamento anche per gli anni futuri.
Inoltre, vorremmo che il nostro paese fosse in prima fila nella campagna per la messa al bando delle bombe a grappolo, come avvenne con alla messa al bando delle mine nel 1997. Si tratta delle orrende cluster bombs disseminate nel sud del Libano da Israele e dagli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan, che causano morte e mutilazioni alla popolazione civile. Oggi, i nostri militari stanno insegnando ai bambini libanesi a riconoscerle e ad evitarle.
Vorremmo anche che il nostro Governo sostenesse attivamente la proposta dell'ONU per un trattato internazionale sul Pag. 9commercio delle armi, il cui iter è stato avviato dall'Assemblea generale dello scorso dicembre. Infatti, siamo d'accordo con Amnesty International e le altre ONG che hanno promosso questa iniziativa ispirata ad una valutazione secondo la quale, se nel mondo circoleranno meno armi, ci saranno anche meno guerre (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, all'indomani delle elezioni politiche dello scorso anno, all'onorevole Prodi - che giustamente aveva ricevuto l'incarico per la formazione del Governo in qualità di leader della coalizione uscita vincente dalle urne - e alla coalizione che egli rappresentava e rappresenta si aprivano due strade politiche: una era quella di leggere l'esito delle elezioni come un risultato di parità sostanziale, che indicava un'opinione pubblica che in un certo senso segnava la stessa strada seguita in Germania dal Cancelliere Merkel e dal partito socialdemocratico verso una stagione di larghe intese per affrontare i problemi del paese; l'altra era quella di scommettere sull'autosufficienza programmatica e politica della coalizione.
La mia impressione fu che la seconda scelta, anche se del tutto legittima, fosse uno sbaglio: la scommessa dell'autosufficienza programmatica ancor prima che numerica è finita con i due voti del Senato delle scorse settimane.
Signor Presidente del Consiglio, lei ha affermato che il programma dell'Unione è sufficiente perché trova un punto di equilibrio e di sintesi tra tutte le posizioni che lo hanno espresso. In realtà, non è così. Infatti lei ha potuto constatare che sulle questioni di politica estera - che non costituiscono di certo un piccolo problema - il programma non era e non è stato sufficiente.
Ciò viene confermato dal fatto che si è dovuto aggiungere un dodicesimo punto, nel quale si afferma che il Presidente del Consiglio è colui che decide in caso di divergenze. Sinceramente, trovo molto difficile pensare che una coalizione, composta da forze politiche ognuna delle quali ha la propria visione e i suoi collegamenti con la società nonché il proprio retroterra politico e culturale, possa ad un certo punto riconoscere, su questioni essenziali, di dover rinunziare alla sua visione in ordine ai problemi dell'ambiente, della politica estera, dell'economia, del sistema previdenziale e così via.
Questa è la ragione per la quale vi è stata la crisi. Non è venuto meno un voto o qualche voto: è venuta meno quell'immagine che vi fosse un programma capace di rendere coesa la coalizione. La prossima crisi, signor Presidente del Consiglio, porterà il paese diritto alle elezioni!
Presidente Prodi, quando lei assunse la decisione su Vicenza, avevo pensato che fosse il Presidente del Consiglio ad aver aperto la strada delle larghe intese; ho anche pensato che se avesse ricevuto - come poi è avvenuto - l'incarico dal Presidente della Repubblica, egli avrebbe potuto aprire l'esplorazione che non era stata aperta l'anno scorso.
È stata scelta nuovamente la strada di chiudere una coalizione che ha già dimostrato di non essere nelle condizioni di reggere l'urto rappresentato dai problemi del paese; quindi, la continuità della legislatura non è più nelle mani del Presidente del Consiglio, ma delle forze politiche che lo sostengono.
È anche nelle mani del senatore Follini, che ieri al Senato ha pronunciato un discorso del tutto contraddittorio; infatti ha sostenuto nella prima parte che i guai del nostro paese, in questi ultimi dieci anni, sono figli di un bipolarismo assurdo e, per così dire, isterico; che, quindi, bisogna chiudere quella stagione; ma poi lo stesso Follini ha aggiunto che avrebbe votato per il Governo. Può darsi che il senatore Follini si riservi di certificare egli stesso la definitiva fine di questo bipolarismo affermando, tra quindici giorni o un mese, di non essere più in grado di concedere la fiducia; di conseguenza lei, signor Presidente del Consiglio, dovrà recarsi Pag. 10di nuovo dal Presidente della Repubblica per ritirarsi definitivamente dalla scena. Oppure la decisione spetterà ad altre forze politiche: alla Margherita o, in particolare, ai DS. Ripeto, infatti, con molta chiarezza che se questa coalizione andasse in crisi vi sarebbero le elezioni, che potrebbero essere impedite al Paese soltanto dalla preparazione di una soluzione diversa in questi giorni e in queste settimane. Il centrodestra, l'opposizione, può indicare - come del resto fa e pensa - una soluzione intermedia per affrontare i problemi economici e le situazioni istituzionali, ma lo può fare solo in presenza di un qualcosa che venga preparato.
Oggi lei, Presidente Prodi, porta la legislatura ad una fine prematura: speriamo che la politica la possa salvare (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale, Democrazia Cristiana-Partito Socialista e del deputato Nucara)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cicchitto. Ne ha facoltà.

FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, credo che la situazione attuale sia abbastanza paradossale perché è difficilmente contestabile che si è aperta la seconda fase del Governo Prodi: non si tratta però della fase che avrebbe dovuto segnare un rilancio, ma di una di quelle che in termini clinici e medici potrebbe essere definita terminale: un Governo debolissimo e un Presidente del Consiglio ancora più debole.
La riprova di questa situazione è data dalla risicata conferma numerica della maggioranza di Governo, ma anche dal fatto che la crisi, aperta sulla politica estera e su un'esposizione a 360 gradi del ministro degli esteri, non si è chiusa in maniera convincente su questo e su altri terreni perché la sua relazione introduttiva e le sue conclusioni hanno mostrato il massimo della reticenza e della elusività. Quindi questa crisi, risoltasi grazie ad uno stretto margine numerico, rimane in effetti totalmente aperta dal punto di vista del dato politico, nel senso che non soltanto in tutta la sua introduzione e la sua replica, ma neanche in alcuno dei dodici punti che sembravano rappresentare la nuova piattaforma programmatica su cui la maggioranza avrebbe dovuto ricomporsi, è stata fatta chiarezza. Quindi, noi vi aspettiamo in Parlamento, anche perché alcuni esponenti della maggioranza che hanno votato per la fiducia hanno anche sostenuto che riguardo alle pensioni, a maggior ragione sull'Afghanistan, sull'ampliamento della base di Vicenza e sulla TAV riacquisiranno la loro libertà d'azione quando questi argomenti saranno esaminati dal Parlamento.
Non parliamo poi di quel singolare disegno di legge che va sotto il nome di Dico, che ha avuto ed ha tuttora un percorso tra i più paradossali. Infatti, su di esso vi è stata un'inusitata iniziativa governativa, di cui avreste potuto fare largamente a meno, scoprendo precedentemente l'importanza in proposito della libertà di coscienza su un tema siffatto. Come in un gioco di prestigio, la vostra maggioranza ha evitato di parlare di questo tema e non lo ha inserito all'interno dei dodici punti qualificanti. Tutto ciò è avvenuto mentre si era in sospeso, in attesa del voto parlamentare. Viceversa, dopo tre minuti dal momento in cui il tabellone del Senato ha certificato il fatto che almeno per questa volta il Governo l'aveva scampata, non un personaggio passato per caso e neppure un singolo parlamentare, bensì un ministro della Repubblica come l'onorevole Pollastrini ha immediatamente sconfessato il Presidente del Consiglio.
Il premier, infatti, aveva detto che a quel punto il Governo non si sarebbe più occupato del problema e che lo avrebbe lasciato al libero dibattito parlamentare. Invece, il ministro Pollastrini ha riaffermato il senso dell'iniziativa politica che il Governo deve sviluppare su questo terreno. Quindi, è stato fatto un «gioco delle tre carte» per ingannare pezzi della maggioranza particolarmente sensibili su questo tema. Insomma, è stata trovata una ristretta maggioranza numerica, ma sul piano politico non avete risolto alcun problema: Pag. 11non avete risolto i problemi della politica estera, della TAV, delle pensioni ed avete di fronte in tutta la sua gravità anche il problema dei Dico.
Nell'analisi da voi sviluppata al Senato è contenuta un'altra mistificazione quando affermate che le difficoltà discendono da una cattiva legge elettorale. In proposito, consentitemi di affermare che il discorso va completamente rovesciato. Infatti, a meno che la legge elettorale (questa o un'altra, non importa) non sia una «legge truffa», ovvero manipoli i rapporti di forza reali, siete di fronte a due dati che vanno al di là delle leggi elettorali. Dal voto, come minimo, è emersa una realtà in cui avevate preso 24 mila voti in più alla Camera, mentre il centrodestra ne aveva conseguiti 200 mila in più al Senato. Pertanto, si tratta di una situazione totalmente bilanciata a cui, per soprammercato, si aggiunge il fatto che siete continuamente in crisi non a causa della legge elettorale, ma del tipo di coalizione che avete messo insieme. Siete in crisi perché mettere insieme una coalizione che va dai trotzkisti agli ex-stalinisti - che costituiscono il 40 per cento di Rifondazione Comunista - fino al senatore Dini, all'onorevole Mastella e al senatore Marini è un tipo di operazione che non esiste in natura. La vostra maggioranza può forse mettere insieme il 50 per cento del Paese, ma è culturalmente, programmaticamente ed eticamente divisa nei suoi aspetti fondamentali, non in quelli secondari. Queste differenze rimangono inalterate anche se l'avete scampata bella con qualche voto di maggioranza e utilizzando anche quello dei senatori a vita.
Signor Presidente del Consiglio, lei ha posto un problema, cercando quasi di trasformare il Governo in una sorta di Commissione bicamerale per la revisione della legge elettorale. Non ci sottraiamo a questo tema, anche se valutiamo la profonda negatività del suo Governo in merito agli orientamenti politici e programmatici, contenuti e sanciti nella legge finanziaria rigettata dal grosso della società italiana e la realtà della vostra maggioranza, attraversata da queste profondissime contraddizioni. Tuttavia, non ci sottraiamo - non lo abbiamo fatto finora - al confronto sulla legge elettorale, purché esso non serva ad imbrogliare le carte.
Noi non siamo per le leggi elettorali che facciano saltare il bicameralismo e in questo ambito, quindi, non condividiamo l'ipotesi della legge tedesca.
Per altro verso, riteniamo che la legge elettorale non debba ricomprendere in se stessa riforme costituzionali e pertanto riteniamo che sia ragionevole partire dalla legge attuale ed introdurre dei motivi di razionalizzazione e di trasformazione, come per esempio quelli indicati dal professore D'Alimonte. Non nascondo che alcuni degli aspetti di quella legge elettorale, come il quorum di maggioranza al Senato riferito alle regionali e non al dato nazionale, ci fu imposto con un intervento della precedente Presidenza della Repubblica come condizione per apporre la firma su quella legge elettorale.
Noi già da allora eravamo per un'ipotesi diversa. Dunque, siamo disponibili ad un confronto e abbiamo già espresso al ministro Chiti, che vedo presente, le nostre posizioni, che sono costruttive e che considerano che sulla legge elettorale non si possono effettuare operazioni politiche di ricomposizione delle contraddizioni di carattere politico, situate ad altro livello. Se la legge elettorale sottintendesse questo, noi saremmo assolutamente contrari ad essa.
Ribadisco - e concludo su questo - il nostro impegno a mantenere fermo e saldo il rapporto positivo con gli amici dell'opposizione, come Alleanza Nazionale, la Lega Nord e con la stessa UDC. Infatti vediamo che, quando ci si confronta sui contenuti, in Parlamento gli elementi di unità sono di molto prevalenti su quelli di differenziazione e di confronto politico, peraltro assolutamente legittimi. In ogni caso, tale rapporto non sarà mai nulla di paragonabile alle incolmabili differenze che caratterizzano questa maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale e Democrazia Cristiana-Partito Socialista).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alessandri, al quale ricordo che ha sei minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

ANGELO ALESSANDRI. Presidente, colleghi, signor Presidente del Consiglio, avevo preparato un intervento scritto. Tuttavia, non riuscirei a esporre in sei minuti quello che dovrei dire da reggiano a reggiano al Presidente del Consiglio Prodi. Preferisco dunque intervenire a braccio e aspettare la campanella del Presidente per fermarmi.
In questo momento, mi torna in mente ciò che i reggiani stanno mandando a furia di telefonate, messaggini, e-mail, riguardo a cosa pensano di questo Governo che non sta nell'Italia di Mezzo di Follini, ma forse in un'Italia dimezzata da ieri in poi. I messaggi sono di questo tipo: «Mandateli a casa il prima possibile!». A Reggio Emilia nessuno vuole più Prodi: il popolo delle «partite IVA» è stanco di essere preso a bastonate da lei attraverso i suoi due o, meglio, tre comprimari, i tre spadaccini. Lei non è sicuramente D'Artagnan, ma si potrebbe dire: «Uno per tutti, tutti per uno», dove alla fine le bastonate sono per tutti, mentre tutti i soldi vanno a finire a questo Governo! È un Governo che ha più soldi del previsto, mentre i benzinai sono preoccupati, come lo sono coloro i quali si alzano la mattina alle sei per lavorare a causa delle sessantasette nuove tasse, che ancora neanche i commercialisti sono riusciti a capire in maniera esaustiva e che stanno davvero spaventando la gente. Nel frattempo voi ve ne state qua dentro a giocare a fare il primo ministro o i ministri, pensando che soltanto la vostra sedia sia la cosa più importante al mondo, quando fuori ci sono una provincia, una regione e un territorio in cui vi sono dei lavoratori che vorrebbero ancora credere che, nonostante la politica, sia possibile andare avanti.
Guardi, ho risposto a questa gente dicendo che noi abbiamo già fatto il nostro lavoro, abbiamo già mantenuto il nostro impegno: giovedì scorso abbiamo mandato a casa questo Governo! Il problema è che, come gli zombies che escono fuori dal cimitero, voi, vagando, siete di nuovo qua dentro, siete ritornati. Oggi tornate nuovamente chiedendo la fiducia, quando noi invece vi abbiamo già mandato a casa! Questa è semplicemente una brutta riedizione del Governo. Devo ringraziare il Presidente della Repubblica, Napolitano, perché non ha indicato un Prodi-bis: di solito il bis si chiede a teatro per una performance che è piaciuta, per una replica, ma in questo caso sarebbe stato davvero deprimente. Per fortuna non c'è nessun bis, ma è semplicemente il brutto piatto di prima, che ritorna esattamente con le stesse persone, le stesse modalità, gli stessi numeri e con le stesse incongruenze nel ripresentarsi.
Vi è in effetti qualcosa di diverso. Romano Prodi, sempre più «romano» e sempre meno emiliano, forse è riuscito a soffocare le pretese dei ministri dell'estrema sinistra. C'erano i PACS; lei sa bene che in emiliano un «pac» vuol dire una fregatura e infatti li avete accantonati subito. C'erano i Dico, che però oggi si chiamano «Dicevo», perché sono spariti anche questi. Alla fine, all'interno del vostro programma, per accontentare l'estrema sinistra, non rimane nulla. Però, per la paura di mollare le sedie, oggi i comunisti italiani, quelli russi, quelli cubani, un po' tutti, sono disponibili a far finta di nulla, ad accettare di morire democristiani - una bella fine! - sancita dalla benedizione di monsignor Follini!
Se questo è il gioco che pensate di portare avanti nell'Italia dimezzata, a questo punto credo sia facile anche per noi fare opposizione. Continuerete anche nei mesi successivi a provocare i disastri, che in parte avete già fatto nei mesi precedenti: l'indulto, di cui ancora non provate vergogna è ancora lì a testimoniare quanto sia fallimentare la vostra politica fatta di buonismo e di proclami; vi è poi questa finanziaria che di fatto, come una chela di una grande tenaglia, sta massacrando i lavoratori con partita IVA (molti stanno dicendo che vorranno chiuderla entro pochi mesi). Altro che combattere l'evasione! Abbiamo la forza trainante di questo Pag. 13paese che rischia di chiudere e di andare a casa, perché perde la fiducia di continuare a lavorare.
Vi è poi l'altra chela di questa tenaglia, che è l'immigrazione. Nulla avete detto sull'immigrazione clandestina. Nulla avete detto su come fare per cercare di creare un po' di sicurezza in questo paese, delle regole certe per chi viene a lavorare. Invece voi addirittura, fra Amato, Damiano, Ferrero, facevate a gara con i proclami - vedo che nei dodici punti dell'ultima cena dei dodici convitati c'è anche quello di dire: «Adesso ministri parlate un po' meno, mettiamo un portavoce che se ne assuma la responsabilità!» - a spararla più grossa ogni giorno: «Regaliamo il voto dopo cinque anni non se sono cittadini, ma se solo risiedono qua»; «Diamogli i buoni pasto, i buoni affitto, i buoni sanitari».
Queste sono tutte cose che non si danno ai nostri concittadini. Ieri ho incontrato una signora - è la quinta dall'inizio dell'anno che mi ripete la stessa cosa - che mi ha detto che ha bisogno della casa popolare, ma non può averla, perché alla fine si trova davanti una lista enorme di abdullah. Quando penso che questa donna ha quaranta anni di lavoro in risaia ed i relativi contributi, ma non trova neanche un diritto a cui potersi appellare, bensì solo doveri, mentre a chi arriva a casa nostra dopo pochi giorni vengono concessi con un buonismo imperante soltanto diritti e nessun dovere, c'è qualcosa che non funziona.
E nulla soprattutto - lo dico da cittadino di Reggio Emilia, dell'Emilia, del Nord, della Padania - in questo Governo c'è per il Nord. Prima non c'era, ma non c'è nemmeno adesso, per cui anche questa brutta copia che si ripresenta oggi non ci fa capire cosa si vuole fare per investire: 100 miliardi su 123 per lo sviluppo fino al 2013 investiti quasi completamente al Sud...

PRESIDENTE. La invito a concludere, deputato Alessandri.

ANGELO ALESSANDRI. Non c'è nulla neanche per la navigazione del Po, per le infrastrutture e per cercare di rilanciare una classe imprenditoriale, che è soffocata da cinque anni di crisi e che oggi grazie alla ripresa potrebbe ripartire in modo forte, mentre viene bloccata.
A ghe mia possibil a Prodi tgnir la scragna a tot i cost! Credo che questo sia il vero messaggio che arriva nella lingua reggiana dai reggiani. Se ne faccia carico! Le ricordo peraltro che dieci anni fa io venni a Felina in occasione del suo compleanno a regalarle una camicia verde con un messaggio di Bossi: speravo che potesse servire a risvegliare un po' di padanità, a lei che almeno è nato in Padania. Evidentemente non è servito perché quando uno si chiama Romano e viene da una lunga militanza democristiana e demitiana, forse non c'è da aspettarsi niente di meglio che il peggio (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ferdinando Benito Pignataro, al quale ricordo che ha sette minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

FERDINANDO BENITO PIGNATARO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, esprimo l'apprezzamento dei Comunisti Italiani per le comunicazioni rese dal Presidente del Consiglio, Romano Prodi, per non aver sottovalutato una crisi politica, per aver proceduto ad un chiarimento schietto nell'ambito della maggioranza e per aver più volte sottolineato che a questa maggioranza uscita dal voto non ci sono alternative. Non vi è alcun dubbio che il voto di ieri al Senato, con la risoluzione positiva della crisi, rilanci la coalizione di Governo, nel metodo e nel merito. Rilancia un Governo che si pone obiettivi alti e ha davanti un duro e lungo lavoro: tante cose da fare previste da un programma ambizioso, che, come il Presidente Prodi ha voluto sottolineare, è il collante politico di una maggioranza con tante diverse sensibilità, accomunate tuttavia dall'obiettivo comune di rilanciare e rinnovare il paese.
Abbiamo più volte affermato, con le dichiarazioni pubbliche del nostro segretario, Pag. 14che vi sarà un confronto serio su posizioni e proposte al cui esame noi non ci sottraiamo, ma crediamo anche convintamente nella capacità di sintesi e di assumere decisioni finali di mediazione soddisfacenti per l'intera maggioranza da parte del Presidente del Consiglio.
Come dicevo, abbiamo apprezzato le comunicazioni del Presidente del Consiglio, soprattutto per la centralità assegnata ad alcune questioni, che noi riteniamo priorità assunte, quali le politiche dello sviluppo, il rilancio dell'economia, il Mezzogiorno, l'ambiente, le politiche sociali e, soprattutto, le politiche del lavoro. Su queste centralità voglio concentrare alcune riflessioni in breve, considerato il tempo che mi è concesso, ma non prima di rimarcare il nostro giudizio positivo sulla politica estera del Governo, cambiata sensibilmente, sul nuovo protagonismo e prestigio internazionale, sul rinnovato europeismo, sulla centralità e sul ruolo forte dell'Europa nelle politiche di pace, sul ritiro dall'Iraq, sulla proposta della conferenza di pace per l'Afghanistan, sulla posizione su Israele e Palestina, nostra e di tutto il Governo - due popoli in due Stati -, sulla rinnovata politica di solidarietà e cooperazione internazionale. Potrei continuare, affermando che, pur permanendo differenze e contrarietà, il giudizio sulla politica estera non può che essere complessivo. Si è passati dalla subalternità all'autonomia: questa è la discontinuità di questo Governo. Ecco perché credo che le accuse di antiamericanismo lascino il tempo che trovano, soprattutto se provengono da chi proclama un filoamericanismo ispirato solo a guerre e manifestazioni di potenza, che rappresentano posizioni di minoranza nello stesso Parlamento degli Stati Uniti d'America, e non un americanismo teso a sostenere il varo di leggi severe per regolare il conflitto di interessi, per combattere l'evasione fiscale, per punire il falso in bilancio (quest'ultimo, guarda caso, in Italia è stato depenalizzato per venire incontro ad interessi di bottega).
Siamo in sintonia, come dicevo, sulle politiche di sviluppo e sul forte legame che si è scelto di stabilire tra crescita, equità e coesione sociale. Così, crediamo che si rilanci l'economia in modo stabile e strutturale. Questa concezione dello sviluppo è antitetica alla concezione liberista della destra. Il paese è tornato a crescere con il centrosinistra, certo non solo per meriti di quest'ultimo; la congiuntura mondiale e quella europea hanno dato un contributo importante in tal senso. Vero è che non tutti i meriti sono di questo Governo, ma altrettanto vero è che il declino del paese è da attribuire interamente al Governo Berlusconi. Non possiamo dimenticare, infatti, la crisi produttiva, con un'industria che, per la prima volta nel dopoguerra, perdeva produzione, ordini e fatturato nel contempo, con un'economia allo sfascio, con un impoverimento di larghe fasce della popolazione che fino a poco tempo prima erano considerate garantite, con il crollo del potere d'acquisto di salari e pensioni. L'Italia è stato l'unico paese europeo che con l'entrata in vigore della moneta unica non ha previsto politiche di contenimento dei prezzi e delle tariffe ed ha assistito ad una notevole precarizzazione dei rapporti di lavoro. Questo è il paese - non dimentichiamolo mai - che ci ha consegnato il centrodestra!
Per affrontare questa crisi, certo, si è resa necessaria una finanziaria rigorosa, in cui, tuttavia, anche grazie alla battaglia che i Comunisti Italiani hanno condotto in Parlamento, vi sono stati segnali importanti per il Mezzogiorno e per la lotta alla precarietà. Governo e maggioranza hanno oggi una grande responsabilità. Per questo motivo occorrono, lo diciamo assumendoci tutte le nostre responsabilità, coesione e senso di responsabilità da parte di tutti, per non vanificare i primi risultati positivi e per mirare a risolvere problemi gravi e dare risposte ai lavoratori, alle famiglie e, soprattutto, ai giovani, lasciati senza speranza e senza prospettive.
Onorevoli colleghi, il Mezzogiorno è stato assente per cinque anni dall'agenda di Governo. Oggi vi sono primi segnali forti positivi, tra cui più finanziamenti per le infrastrutture (123 miliardi nel quadro strategico nazionale). Credo che questo Pag. 15Governo abbia compreso - il Presidente Prodi l'ha detto più volte - che il Mezzogiorno, per le grandi potenzialità che esso presenta, è una grande opportunità e risorsa per l'intero paese: non un problema, ma una opportunità e una risorsa! Allo stesso modo, credo che un'altra opportunità, un'altra risorsa sia l'ambiente. Abbiamo apprezzato al riguardo il «pacchetto» sull'energia, tuttavia le scelte energetiche vanno correlate complessivamente alla qualità della vita, alla competitività ed all'innovazione, tenendo sempre fermo il principio che per noi è irrinunciabile il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto, da cui siamo distanti; e credo che questo Governo debba porre in essere politiche che ne accelerino l'avvicinamento.
Infine, la questione del lavoro. Da parte di questo Governo c'è una nuova forte centralità: lo hanno dimostrato la lotta alla precarietà e i successi già ottenuti nella pubblica amministrazione. Bisogna andare avanti con una battaglia forte e seria contro il lavoro nero e precario; bisogna ripuntare a rendere centrale, così come fa il programma di Governo, il rafforzamento del lavoro dipendente a tempo indeterminato.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 11,10)

FERDINANDO BENITO PIGNATARO. Così si danno certezze e sicurezze, e le stesse politiche previdenziali non possono che prescindere da questo legame stretto tra più lavoro, più occupazione e maggiore previdenza. Credo che occorrano coesione e diverse sensibilità, che stanno insieme con un rinnovato accordo politico che si basa su un programma e su priorità accettate da tutti. Il paese ci chiede di continuare nell'opera di risanamento e rilancio, i giovani chiedono finalmente certezze per il loro futuro, i cittadini ci chiedono di stare uniti insieme e governare per il bene comune: non deludiamoli (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Urso. Ne ha facoltà.

ADOLFO URSO. Signor Presidente, colleghi deputati, dai banchi dell'opposizione, e non solo da quelli, dobbiamo chiederci innanzitutto se ci siano novità ed elementi di discontinuità rispetto al precedente Esecutivo. In effetti, elementi di novità ce ne sono e occorre chiedersi se possano rendere più stabile e duraturo o più breve e più debole il Governo: noi crediamo che sia valida la seconda tesi. Quali sono gli elementi di novità? Innanzitutto, nel voto che il Governo ha ottenuto al Senato, non tanto per la presenza del senatore Follini, quanto per il voto espresso proprio dai sette senatori a vita, che sono - e lo sappiamo - privi di vincolo per quanto riguarda la coalizione, ma altrettanto vincolati, comunque sensibili, ai Governi e alla fiducia espressa per la loro collocazione istituzionale.
Ebbene, per la prima volta tre senatori a vita su sette, signor Presidente del Consiglio, le hanno rifiutato la fiducia - credo che sia una novità nella storia della Repubblica italiana -, tre senatori che esprimono, per la loro esperienza e per la loro storia, ambienti importanti del paese (come qualcuno ha detto, l'ambiente del mondo cattolico, l'ambiente dell'alleanza occidentale, l'ambiente del mondo produttivo). Essi sono giunti a questa decisione proprio perché senza vincolo di maggioranza, ma sensibili a quello che il paese avverte di questo Governo. Questo sicuramente preannuncia tempesta per il suo Governo, che è più debole di quello della precedente fase. Poi, ovviamente, vi è anche il senatore Follini, con la sua Italia di Mezzo che si è già dimezzata, ma questa è piccola cosa rispetto all'altra nella composizione del voto del Senato.
Il secondo elemento di novità è proprio nel programma, che in qualche misura segna il tentativo disperato di passare da una prima fase caratterizzata dalla ideologia, caratterizzata e dominata dalla sinistra radicale - sarebbe meglio definirla la sinistra neo-comunista -, che le ha imposto passi falsi (pensiamo al fisco e Pag. 16alla sua politica, nonché ai Dico per quanto riguarda la famiglia) e degli errori macroscopici (pensiamo innanzitutto a Vicenza nel campo della politica estera, ma anche alla politica di sicurezza, se ci riferiamo a quanto di sbagliato è stato fatto con l'indulto, con la politica sull'immigrazione, con il disinteresse e il disprezzo nei confronti delle forze dell'ordine). Questo tentativo disperato di avere un secondo tempo diverso dal primo la porta, in qualche misura, a cadere nella malattia infantile della sinistra italiana, cioè il trasformismo. Si passa da un primo tempo dominato dall'ideologia e dalla sinistra radicale, che impone le proprie idee al di là della realtà sociale del paese, ad un secondo tempo che sarà inevitabilmente più breve del primo e che si cercherà di caratterizzare con una politica trasformista: appunto, il vizio d'origine della sinistra italiana.
Si denota ciò nei dodici punti programmatici e nel suo discorso, sia quando si considera l'Afghanistan (e c'è già chi, oggi, afferma che non voterà la fiducia sull'Afghanistan), sia quando si parla di Vicenza (già oggi, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare fa sapere che ha posto un ostacolo insormontabile all'allargamento della base di Vicenza: il ministero del suo Governo!), sia quando si parla dei Dico (e il ministro Pollastrini fa sapere che l'iter del provvedimento proseguirà), sia quando si parla della politica sulla famiglia (addirittura, in questo caso il trasformismo giunge al punto di importare elementi programmatici della nostra coalizione, che lei contestò in campagna elettorale, come la riduzione dell'ICI per le famiglie numerose), sia quando si parla di ambiente (con la parola magica «rigassificatori», contestati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare), sia quando si parla di pensioni (con la sinistra radicale che afferma che non se ne farà nulla).
Anche questi elementi di novità e di trasformismo che porta nell'azione del suo Governo - disperata, appunto, perché tale è stata definita -, sono elementi di una deflagrazione che avverrà a breve. Lo dicono tutti gli osservatori interni, nei commenti di questi giorni, e gli osservatori internazionali.
Questa mattina, Stefano Folli, su Il Sole 24 Ore ha scritto che «il Governo non esce dal voto più saldo e più unito, ma in un certo senso ancora più prigioniero delle sue contraddizioni». Le cito, in aggiunta, i giornali stranieri. Le Monde scrive di un Governo più fragile di quello caduto; il Wall Street Journal scrive di un Governo ancora meno stabile; The Economist e Financial Times mettono in serio dubbio la capacità che il centrosinistra possa mai fare riforme nel nostro paese.

PRESIDENTE. Concluda...

ADOLFO URSO. In conclusione, parlerò dell'ultimo elemento di instabilità: la riforma elettorale che il Capo dello Stato le ha imposto. Non è vero che lei in Senato non ha la maggioranza perché abbiamo modificato la legge elettorale. Se vi fosse stata la vecchia legge elettorale, noi avremmo avuto la maggioranza alla Camera e al Senato. Non è vero che il Senato ha una maggioranza così debole perché abbiamo inserito l'elemento dei premi di maggioranza regionali. Se vi fosse stato un premio di maggioranza nazionale, al Senato avremo avuto una maggioranza chiara di centrodestra.

PRESIDENTE. Deve concludere.

ADOLFO URSO. Quindi, il problema non è il sistema elettorale, ma il sistema istituzionale. Riteniamo che bisogna lavorare in questo campo e, soprattutto, lo devono fare coloro che ancora sperano nel Partito democratico, coloro che sperano in una sinistra riformista, colpita e ferita dal I Governo Prodi e messa a morte con questo programma. Ecco perché lavoreremo in tal senso, guardando anche a ciò che avviene nel paese, cioè alla raccolta delle firme referendarie (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lenzi. Ne ha facoltà.

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DONATA LENZI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, la crisi di questi giorni ha reso evidenti i limiti dell'attuale legge elettorale e la conseguente necessità della riforma. A volte, le nuove leggi elettorali puniscono i loro creatori, onorevole Urso. Mi permetta: è paradossale che, alternativamente, il voto dei senatori a vita sia legittimo o non legittimo a seconda di come votino.
È dal 1991 che, a cadenza quasi annuale, il tema della riforma elettorale si ripresenta e le modifiche si susseguono per via referendaria o parlamentare. Se vi è un simbolo della transizione senza fine del nostro sistema politico, è questo.
Mentre in altre rilevanti materie per la vita di tutti le riforme si presentano difficili, troppo spesso solo iniziate, raramente concluse e pienamente attuate, le modifiche delle leggi elettorali si susseguono. Mi chiedo i motivi delle difficoltà del processo riformatore ad affermarsi nel nostro paese e quanto ciò dipenda dalla continua incertezza del quadro delle norme chiamato a regolare il sistema. Forse, è la forza inerte delle consuetudini e delle tradizioni in un paese anche anagraficamente vecchio; forse, è la difesa degli interessi corporativi; forse, è la frammentazione di quegli interessi e della loro rappresentanza. Ma sono dell'avviso che la situazione dipenda anche dal fatto che troppo spesso le riforme sono state piegate ad esigenze contingenti, squisitamente di parte, valutate con il peso del sondaggio del giorno, senza cura del futuro e, tanto meno, dell'interesse generale.
Auspico, quindi, che questo Parlamento - perché nostro è il compito! - possa, con senso di responsabilità e con generosità, dar vita ad una riforma elettorale che duri più dello spazio di una legislatura, per dare stabilità al sistema ed ai Governi, e per non costringerci ancora una volta a ricorrere al referendum.
Ma, in tema di riforme, vorrei sottolineare, onorevole Prodi, come sia stato coraggiosamente tentato dal suo Governo l'avvio di un vasto processo riformatore; un passo alla volta, un provvedimento alla volta, il quadro cominciava a delinearsi: in materia di concorrenza (è stato appena presentato il secondo blocco di provvedimenti teso ad aumentare la concorrenza nel commercio, nelle banche, nelle assicurazioni e nelle professioni, a tutela del consumatore, anche con interventi solo apparentemente modesti, quali quello sul costo della ricarica telefonica); in materia di lavoro (voglio ricordare che i provvedimenti approvati nei primi mesi della legislatura hanno permesso l'emersione dal nero, negli ultimi quattro mesi del 2006, di ben 43 mila 300 lavoratori nel solo settore dell'edilizia, e l'allargamento della normativa a tutti i settori previsto dalla finanziaria non potrà che allargare ulteriormente il processo e permettere contemporaneamente un significativo recupero contributivo); in materia di famiglia, con l'aumento degli assegni familiari ed il fondo per gli asili nido; in materia di sistema radiotelevisivo e dei media, con una riforma attesa in maniera particolare dal nostro elettorato; in materia di ambiente e di energia. Riforme che iniziavano ora il cammino parlamentare e che vanno condotte a termine!
Stiamo attraversando un ciclo economico positivo e molte delle nostre imprese dimostrano di riuscire a competere sul mercato globale; non dobbiamo porre ostacoli alla ripresa. Al riguardo, la caduta del Governo e l'incertezza politica costituiscono ostacoli; inoltre, il freno al processo riformatore in materia di liberalizzazioni, di energia e di riforma della pubblica amministrazione è un ulteriore ostacolo. Solo con lo sviluppo vi è la possibilità di creare veri posti di lavoro; il futuro è nel cambiamento e per questo motivo il cammino del Governo deve essere ripreso: signor Presidente del Consiglio, le auguro buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Moffa. Ne ha facoltà.

SILVANO MOFFA. Signor Presidente, ritengo in tutta onestà di poter osservare che la vittoria di ieri dell'onorevole Presidente Pag. 18del Consiglio sia stata una «vittoria di Pirro».
Vede, signor Presidente, qualche acuto osservatore ha sottolineato come il Governo sia non la soluzione, bensì il problema; ebbene, onorevole Presidente del Consiglio, nel suo discorso alla Camera lei ha sottolineato che si è trattato di una crisi politica. Vero, verissimo! Quando un Governo cade perché la sua stessa maggioranza implode e va in frantumi su un tema così delicato e complesso quale quello della politica estera e internazionale, è evidente che ci troviamo di fronte ad una crisi politica, ad una grave crisi politica. Ma lei, nonostante abbia «raccattato» qualche voto in più al Senato, non ha sciolto il coacervo di nodi politici che affliggono una maggioranza assolutamente disomogenea. Proprio stamane, sul Corriere della sera, Alberto Ronchey ha sottolineato che «(...) Nella coalizione i ministri dei partiti maggiori, che si dichiarano riformisti, al di là di ogni compromesso generico o apparente dovranno ancora fronteggiare i massimalisti, che rappresentano solo il 9 per cento dell'elettorato ma pretendono in qualsiasi occasione forzature a sinistra (...). Se con loro lo schieramento governativo è fragile, senza di loro non si regge. (...)».
La verità è che lei, proprio su quei nodi politici, non ha chiarito qual è la rotta che la fase 2 del suo Governo intende imboccare. Basta citare due esempi, mi limiterò a questo: il caso TAV e i Dico, questioni diverse, ma radicali per comprendere quale sarà il grado di durata della sua coalizione.
La TAV tocca il tema delle infrastrutture nel nostro Paese, ossia quelle politiche infrastrutturali che sono connesse ad un'idea di sviluppo, di competitività per il sistema delle imprese italiane e, in generale, al rilancio della nostra economia. La TAV, come lei sa, è uno di quegli argomenti controversi, sui quali la sua maggioranza non è riuscita a dire una parola definitiva.
Dopo diciotto anni dall'annuncio del Consiglio dei ministri dei trasporti della CEE, dopo diciassette anni dalla presentazione del progetto del tunnel in Val di Susa, dopo tredici anni dalla firma dell'accordo tra l'Italia e la Francia, dopo dodici anni dalla promessa che la nuova tratta sarebbe stata pronta entro il 2000 e dopo dieci anni dalla decisione di rasserenare gli ultimi dubbiosi con nuove verifiche, cosa fa l'attuale ministro dei trasporti, Alessandro Bianchi, che vedo presente in aula? Propone uno stop della Conferenza dei servizi sulla Torino-Lione, perché «al momento non dispone degli elementi necessari per prendere decisioni». Bell'esempio di efficienza, bell'esempio di coerenza per il nostro Paese!
Nel frattempo, inglesi e francesi hanno costruito, in sette anni, il tunnel per la Manica. Gli spagnoli ci hanno letteralmente stracciati, salendo a 237 chilometri di autostrade per milione di abitanti, contro i nostri 112. I cinesi - ed è tutto dire! - hanno costruito, in cinque anni, 1.142 chilometri di binari da Pechino al Tibet e persino la Corea del Sud sta ultimando i lavori per un treno veloce, che su 410 chilometri di percorrenza ha 120 ponti e viadotti e 190 passaggi in galleria.
Questo è il Governo Prodi, che continua imperterrito, con una sorta di accanimento terapeutico, a pensare di poter guidare il nostro Paese.
Ma c'è una responsabilità ancora più pesante, che credo gli italiani vi addebiteranno, perché vede, lei ha parlato di crisi politica e non ha sciolto il nodo della crisi politica del suo Governo, in un momento in cui bisognerebbe tornare alla politica alta e nobile, non quella ingessata dai ricatti reciproci o quella che cerca di «raccattare» un voto per sopravvivere.
Le rassegno, signor Presidente del Consiglio, un'analisi molto attenta fatta dal Censis non molto tempo fa, laddove si richiamava l'attenzione sullo sbriciolamento delle forme istituzionali, che si ricompongono sempre meno in un paesaggio complessivo. Siamo di fronte ad una politica accartocciata e ad un ricettacolo di piccoli poteri. Chi ha senso nobile del vivere collettivo è tentato subito di pensare ad un impegno di riarmo Pag. 19istituzionale. Chi ne ha un senso fattuale è tentato da un esodo al di fuori di quel che rimane delle nostre istituzioni.
Questa è la fotografia esatta del suo Governo, che cerca di mettere insieme il diavolo e l'acquasanta, un Governo che non si rende conto del fatto che, se è vero che il consenso oggi è orizzontale, non è facile, però, comporre strati in un asse verticale che abbia una qualche omogeneità.
Paghiamo sia il declino della cultura ideologica, sia la crisi delle cinghie di trasmissione della rappresentanza, sia l'oggettiva impossibilità di blocchi sociali. Ecco perché il suo Governo ha vita breve. Ecco perché ci siamo esposti al ridicolo. Cito un giornale inglese, che, presentando il suo discorso ai lettori anglosassoni, ha titolato: «Italiani, we have a new Pavarotti» (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Armosino. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA ARMOSINO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signori rappresentanti del Governo, colleghi, ci ritroviamo in questa aula di fronte ad una morte annunciata. Quello che è accaduto al Senato, quando il Governo Prodi è stato battuto su temi di politica estera, non è nient'altro che l'epilogo di un avvio di una campagna elettorale e di una coalizione che hanno tenuto insieme forze fra di loro molto diverse e, fra queste, forze antagoniste al Governo, pur partecipando ad esso.
Anche a chi non è così innamorato della politica è arrivato, da parte di tutti i media, il messaggio chiaro della presenza di rappresentanti dell'Esecutivo proprio nei luoghi in cui si contestava il Governo. Abbiamo assistito alle manifestazioni contro l'allargamento della base militare di Vicenza e alle prese di posizione, discordanti con la politica del Governo posta in essere, ad esempio sull'Afghanistan, da parte di autorevolissimi esponenti della maggioranza.
Signor Presidente del Consiglio dei ministri, il suo è un Governo viziato geneticamente fin dall'inizio. È un Governo che non si è posto lo scopo di realizzare quel preteso programma, che - si comprende oggi - non trovava l'accordo delle forze di coalizione. Un Governo che non si è proposto di governare il Paese, ed una coalizione che si è proposta di vincere e di prendere il potere seguendo logiche diverse da quelle che stanno alla base del perseguimento degli interessi generali del Paese.
È molto facile oggi sostenere che si è conseguito un voto di fiducia al Senato contando su senatori «pallari», dei quali avevamo già avuto una ben nota dimostrazione al momento dell'esame del disegno di legge finanziaria. Ricorderete tutti come si bloccarono i lavori, per tutta una notte, in Commissione bilancio, qui alla Camera, proprio perché il senatore Pallaro - nomen omen - al Senato iniziò a dire che non l'avrebbe votata se non avesse ottenuto alcune cose. Questo è l'esempio di quello che voi siete! Questo è l'esempio di come voi costruite le maggioranze!
Voi poi avete trovato un altro voto, quello di un soggetto che, eletto nelle fila del centrodestra, oggi si proporrebbe di essere pontiere fra una coalizione al Governo ed un'altra che è all'opposizione. Credo che i pontieri, per non essere soggetti che vantano idee senza costrutto, dovrebbero, per conseguire quell'effetto, avere dietro di sé delle forze. E le forze in democrazia sono i numeri dei risultati conseguiti elettoralmente.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 11,30)

MARIA TERESA ARMOSINO. Desidero ora soffermarmi su una seconda questione da voi tanto vituperata che si riconnette a quanto fin qui detto. Faccio riferimento alla legge elettorale.
Signori della sinistra e della controsinistra, voi siete al Governo solo grazie ad una legge elettorale alla quale dovreste essere grati. Non dubito che taluno di voi vada ogni tanto ad accendere un cero - almeno quelli tra voi credenti - per aver Pag. 20trovato sul vostro cammino questa legge elettorale. I numeri - e lo si è già detto in questa sede in modo autorevole - diversamente non vi avrebbero consentito di governare. Ma, a fronte di questa inusitata fortuna, l'atto di arroganza del vostro Governo, che non ha voluto leggere nell'interpretazione che di quel voto hanno inteso dare gli italiani - l'esigenza di fare attenzione perché la differenza fra le due coalizioni al Senato è di soli 24 mila voti - è stato quello della autosufficienza.
Temo fortemente che la vostra arroganza non provenga dalla dignità di voler assolvere ad un ruolo; considerato anche quanto è accaduto o stava per accadere in relazione alla sistemazione di partite economiche, bancarie e finanziarie, si tratta di una vera e propria occupazione di potere della serie «finché dura continuiamo».
Purtroppo ho altri argomenti a conferma di ciò che vorrei fosse un mio errore, sul quale sarei anche disponibile a cambiare opinione, ma non riusciamo a percepire questa sensazione. La vostra divisione, che per me che vengo dal Piemonte, è iniziata in campagna elettorale, quando i deputati che oggi siedono nei banchi di Rifondazione comunista sostenevano che la TAV non si sarebbe mai realizzata.
Vedete, gli italiani sono un popolo maturo e, come tutte le persone mature, valutano i Governi dalle azioni e non certo dai proponimenti. La TAV è un'opera indispensabile per il Piemonte e per il Paese. Questa è la sfida che voi non riuscirete a vincere, sapendo benissimo che dovrete dare indicazioni per la realizzazione della TAV entro la prossima estate, non certo quella del 2008. Non potrete creare ulteriori illusioni, dicendo che forse si farà un ponte sospeso per aria. Queste sono le questioni sulle quali ci si deve confrontare.
Ci sono altri problemi, che avete creato, come i Dico, i quali prevedono la tutela delle coppie eterosessuali ed omosessuali che non intendono contrarre matrimonio, materia che entra ed esce dalla vostra politica di governo. Oggi siete arrivati a dire, dopo la debacle al Senato, che questo è un problema che appartiene alla libertà di coscienza. Subito dopo il voto di fiducia in quel ramo del Parlamento, il ministro Pollastrini ha smentito le affermazioni del Presidente del Consiglio, sostenendo che avrebbe continuato la sua battaglia, con la ricerca di voti in Parlamento.
Ciò che serve al Paese non è un'ulteriore agonia, accompagnata da una crescente pressione fiscale che - ormai è un dato di fatto - ha punito soltanto coloro che già pagano le tasse e non certo gli altri. È la «ridicolaggine» del maggior introito derivante dall'attività di contrasto all'evasione fiscale; ci incontreremo il prossimo anno per vedere quale sarà stato il gettito conseguente alla vostra politica fiscale, punitiva per l'economia di questo Paese.
Sul tema della politica fiscale avrete ulteriori difficoltà. Voi dite che adotterete una politica di sostegno per la famiglia. Non siete nemmeno riusciti a decidere, utilizzando l'extra gettito fiscale, che non è certo merito vostro - in parte nel suo discorso Prodi riconosce che anche il Governo Berlusconi vi ha in parte contributo -, come destinare questi miliardi aggiuntivi.
Avete sostenuto che avreste adottato una politica a favore della casa. Nel vostro programma di Governo era prevista una tassazione degli affitti analoga a quella delle rendite finanziarie. Siamo ancora una volta nell'ambito dell'effetto-annuncio. Tante promesse, pochi risultati concreti, soltanto un incremento di tasse.
Ho già avuto modo di dire in quest'aula che una sola altra volta, molti anni fa, avevo visto nel Paese manifestazioni rilevanti come quella cui ho assistito da quando voi siete al Governo. Era la marcia silenziosa dei «quarantamila» a Torino. Quando, prima di Natale, sottolineai questo fatto fui molto poco considerata, per non dire irrisa. Oggi avete toccato con mano che la vostra politica non ha convinto nessuno. Non potrete certo dire che non avete convinto nessuno perché questo Paese è costituito soltanto da evasori, come lentamente volete far credere.Pag. 21
Se la vostra morte deve avvenire, quindi, che avvenga ad opera dei più coscienziosi, di quelli che dimostreranno, ancora una volta, di avere un po' di cura di questo Paese e non esclusivamente la volontà di occupare posizioni che, viceversa, non vi saranno.
Sui temi concreti, sulla politica fiscale, sulle grandi riforme, su tutto questo potremo parlare, ma non ci sono uomini e donne buoni per tutte le occasioni e per fare proposte bisogna essere in primo luogo credibili.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, cito testualmente le parole dell'onorevole Presidente del Consiglio come estrapolate dai verbali della Commissione Moro: «Era un giorno di pioggia, facevamo il gioco del piattino, termine che conosco poco perché era la prima volta che vedevo cose del genere. Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Nessuno ci ha badato: poi in un atlante abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno sapeva qualcosa e visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo» - qui lo condivido - «come mi sento in questo momento,» - ancora, lo condivido - «di riferire la cosa. Se non ci fosse stato quel nome sulla carta geografica, oppure se fosse stata Mantova» - non Vicenza, ha detto Mantova - «o New York, nessuno avrebbe riferito. Il fatto è che il nome era sconosciuto ed allora ho riferito».
Era il 2 aprile del 1978, signor Presidente del Consiglio, e queste sono le parole da lei pronunciate il 10 giugno del 1981 davanti alla Commissione Moro. Ci risiamo, signor Presidente del Consiglio: oggi lei sta proponendo al paese, nuovamente, il gioco del piattino, cercando di far parlare un defunto, una maggioranza che è trapassata senza fiori né opere di bene agli occhi di tutti gli italiani. Una maggioranza che si è consumata attraverso una cicaleccio continuo e che ancora perdura, con protagonisti interni al suo Governo che, tutti pronti a citare i massimi sistemi comunisti, hanno tuttavia dimenticato la famosa massima dell'apostolo San Paolo, quando ci ricorda che il buon Dio ci ha dato due orecchie e una bocca per ascoltare il doppio e parlare la metà!
Il popolo sta abbandonando in massa la sua cerimonia esoterica, signor Presidente del Consiglio e con il popolo la stanno abbandonando le grandi testate giornalistiche, gli opinion leaders, i Governi europei, il mondo delle imprese, i sindacati, le autorevoli agenzie di rating, gli stessi elettori di un centrosinistra già ampiamente delusi, i senatori Andreotti, Pininfarina e Cossiga.
A nessuno piace e può piacere la risposta ai gravi problemi del paese basata su vaghi oroscopi, scritti su una paginetta, che possono essere interpretati come tutto e il contrario di tutto. Eppure, onorevole Prodi, il signor Presidente della Repubblica, che forse lega poco con lei, ce l'ha messa tutta per metterla in guardia. Era il 25 maggio 2006 quando le suggerì che doveva fare del suo meglio per superare le fragilità e governare. È paziente - diceva il Presidente della Repubblica -, usi questa sua qualità. Invece, nei mesi trascorsi da premier, lei di pazienza né ha avuta pochissima e caparbiamente continuava ad ostentare sicurezza: «la nostra maggioranza al Senato funziona e vota compatta».
Devo dire, per la verità, che, ancora una volta, ci ha pensato il ministro degli esteri Massimo D'Alema a confezionarle la testa del Battista su un piatto d'oro. Quando lei, signor Presidente del Consiglio, è salito al Colle, si è reso conto che il tempo dei suggerimenti presidenziali è irrimediabilmente finito; ora, le chiedo: cosa è cambiato, oggi, in termini di arroganza governativa, da rendere superati i continui avvertimenti che il Presidente della Repubblica ha inteso darle?
Quanto pensa di tirare a campare prima che tutti i suoi ministri inizino l'insostenibile rumor di fondo a cui siamo abituati, prima che ripartano i ricatti massimalisti, prima che sia stoppato dai Pag. 22sindacati e prima di vedere il popolo della pace, coi segretari in testa, percorrere la Val di Susa e le pianure vicentine, prima che i senatori, nudi e puri, dicano «no» alla missione in Afghanistan, prima che il senatore Andreotti riceva nuovi ordini sui Dico dall'oltre Tevere? Quanto crede di potere andare avanti? Tre mesi, sei mesi? Arriverà a mangiare il panettone?
Onorevoli colleghi, ora che il nodo è venuto al pettine, occorre agire con coraggio e lungimiranza. Qui non si tratta né di consentire a Prodi di riprovarci, per poi dover prendere atto, fra qualche settimana o mese, quel che è stato chiaro fin dal primo discorso, nè di tornare alle urne, magari per continuare l'assurdo gioco dell'alternanza tra coalizioni impotenti.
Bisogna, invece, infrangere il tabù del bipolarismo all'italiana e aprire una stagione politica nuova che metta finalmente a confronto il popolo democratico liberale e il popolo riformista, impedendo i condizionamenti di un estremismo massimalista che, come una rottamazione del secolo precedente, sta arrugginendo, con alcuni pericoli, tutto il paese.
Abbiamo bisogno che il mandato venga dato ad una personalità che, per convinzioni politiche, magari, per status istituzionale, tenti la costruzione di un Governo di larghe intese che faccia perno sulle componenti moderate e riformatrici di entrambi gli attuali schieramenti e che, invece, escluda a priori la sinistra massimalista e la destra populista. È tempo di aprire e sostenere un autentico tavolo dei riformatori riformisti cattolici liberali e, soprattutto, socialisti.
E basta sedute spiritiche per un dodecalogo che non dice nulla e, ovviamente, non risolve nulla! L'evocazione dello spirito di La Pira nelle sedute spiritiche dice che lei, signor Presidente del Consiglio, non mangerà il panettone. Signor Presidente del Consiglio dei ministri, noi, socialisti riformisti del nuovo PSI, le diciamo e le auguriamo di non mangiarlo, per il bene dell'Italia e degli italiani. È necessario che questo Parlamento non le dia la fiducia, per trovare, al suo interno, una grande coalizione che risolva i problemi del paese, con una legge elettorale che dia agli italiani la possibilità di scegliere il loro Governo vero e fare in modo che essi non si vergognino più di questi Presidenti del Consiglio che continuano a fare solo sedute spiritiche, con cariche negative per l'Italia e tutti gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.

VALDO SPINI. Signor Presidente, colleghi, questa crisi, come è noto, è cominciata con il mancato raggiungimento da parte del Governo della maggioranza al Senato sulla mozione di politica estera e termina, invece, con la fiducia della maggioranza dei senatori al Governo e senza computare i senatori a vita. Ci possiamo dichiarare soddisfatti. Quando ci vuole, ci vuole! Certo, senza trionfalismi e consapevoli delle difficoltà del momento.
Un sincero riconoscimento va tributato all'opera del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che è stato gestore inappuntabile della crisi e che ha stimolato il Governo e le forze politiche a raggiungere l'autosufficienza politica della maggioranza. Questa è stata raggiunta ed oggi si può e si deve partire con quel nuovo slancio di cui ha parlato il Presidente Prodi.
Tuttavia, come non vedere che, nel corso della crisi, sono emerse difficoltà e problemi di collegamento nel rapporto con il paese, che vanno risolti sia con l'azione di Governo sia con quella delle forze politiche?
Al tempo della prima Repubblica si lamentavano instabilità dovute all'atteggiamento di questo o di quel partito che, di volta in volta, usciva dal Governo, faceva mancare la fiducia, cambiava il Presidente del Consiglio, ma, comunque, si trattava di partiti chiamati a rispondere dei loro atti di fronte all'elettorato.
Nel corso di questa crisi, l'attenzione si è dovuta forzatamente polarizzare sull'atteggiamento di questo o di quel senatore: se il senatore x o il senatore y avrebbe Pag. 23partecipato alla votazione o avrebbe cambiato atteggiamento nel corso della giornata. Tutto questo non può, evidentemente, non aver lasciato strascichi o provocato logoramenti ed è nostro compito contrastarli. Proprio a ciò mira il dodecalogo su cui i partiti della maggioranza e dell'Unione hanno rinnovato e rinsaldato la loro collaborazione, ma sono altresì essenziali due aspetti: l'azione dei partiti e l'abolizione della riforma di questa perniciosa legge elettorale vigente.
Riguardo al ruolo dei partiti, noi pensiamo che essi debbano essere capaci, non di abbandonare i grandi riferimenti di ideali e di valori, ma di inverarli nella pratica della loro azione politica programmatica. Ideali e concretezza devono rappresentare punti di riferimento della nostra azione.
Per questo, riteniamo che i partiti debbano rimanere collegati ai loro riferimenti di ideali e di principi e, in questo mese di celebrazione del cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma, per noi, questo riferimento di principio ideale è rappresentato dal socialismo europeo e dal suo partito, un socialismo garanzia di laicità e di democrazia, capace, con Jacques Delors, di proporre, con credibilità, un'Europa sociale che corrisponda alle attese dei suoi cittadini. In questo senso i partiti non vanno destrutturati, ma rinnovati e rinvigoriti e anche - e questo li può aiutare - con decisi tagli di moralizzazione ai costi della politica.
Ma anche la legge elettorale è determinante. Quella fatta approvare nella scorsa legislatura dalla maggioranza di centrodestra non poteva non rappresentare una vera e propria bomba ad orologeria per la stabilità dei governi e delle coalizioni. E non solo. Infatti, tagliando ogni rapporto tra eletti ed elettori, sia che questo si esprimesse con le preferenze sia che si esprimesse invece - come preferiamo - con la rappresentanza di collegi uninominali, ha fortemente concorso all'indebolimento delle istituzioni, in particolare di quella parlamentare che riteniamo fondamentale per la difesa e lo sviluppo della democrazia nel nostro paese.
È ora di scegliere un modello elettorale consolidato. La nostra preferenza va a quello francese: reintroduzione del collegio uninominale e sistema a doppio turno che consente alleanze chiare, limpide, leali, di cui lo stesso elettorato è protagonista. Si tratta di un sistema maggioritario che chi parla ha proposto nella forma di un sistema temperato dalla riserva di un 25 per cento di posti da assegnare con il proporzionale, con lo sbarramento del 5 per cento.
Ma se questo non trovasse i necessari consensi, credo che un sistema accettabile potrebbe essere quello tedesco, naturalmente se basato sui due pilastri del meccanismo della sfiducia costruttiva, che difende la stabilità di governo, e lo sbarramento del 5 per cento, che impedisce la frammentazione esasperata del sistema politico. Riproponiamo questo tema al confronto della maggioranza e delle opposizioni. Prendiamo atto che proprio stamattina, a Radio anch'io, l'onorevole Berlusconi ha difeso l'attuale legge elettorale, ma vogliamo verificare in quest'aula se tale è davvero l'atteggiamento di tutte le forze politiche dell'opposizione, se si fanno risucchiare nella difesa di una legge esistente che è chiaramente indifendibile.
Vogliamo un'Italia che si stabilisca appieno nei sistemi politici e istituzionali europei. Questo significa dare il massimo impulso all'azione di governo. Cosa può allargare la base sociale dell'elettorato di una maggioranza di centrosinistra come la nostra? Solo la capacità di unire gli obiettivi di giustizia sociale ed inclusione degli emarginati a quella di sollecitare le forze più dinamiche dell'economia, sia del lavoro che dell'imprenditoria, in una prospettiva di crescita inquadrata nell'ambito di quella strategia di sviluppo sostenibile che sta diventando un'esigenza planetaria sempre più urgente e sempre più avvertita. Per ridare dinamica e crescita all'economia italiana, per aprire nuove prospettive ai giovani e alle donne, che sono escluse Pag. 24dal lavoro ancora per tanta parte, occorre una dialettica sociale che si consolidi in forme dinamiche, non statiche.
E, allora, due operazioni sono necessarie. Una è espressa nei suoi punti programmatici, signor Presidente del Consiglio: mi riferisco alla promozione della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico, al ritorno dell'Italia sulla frontiera delle produzioni più innovative e di alto contenuto tecnologico. L'altra è ben descritta nel libro del responsabile dell'ufficio studi della Banca d'Italia, Salvatore Rossi: è quella di creare anche le condizioni per un salto dimensionale dell'impresa italiana, perché possa reggere il confronto con l'innovazione tecnologica. Il libro contiene molte idee giuste: portare almeno mille nuove aziende in borsa, creare le condizioni per una dinamica positiva in quest'ambito. E questo serve per dare risposta non solo all'ansietà ma alla stessa condizione di depressione dei giovani, che non vedono oggi speranze di conseguire gli stessi obiettivi di stabilità, di reddito, di condizioni di vita dei loro genitori. È proprio alle giovani e ai giovani nel nostro paese, in particolare a chi si trova in condizioni di precarietà e di insicurezza, che dobbiamo non solo inviare il nostro saluto ma soprattutto promettere un particolare impegno che dia loro speranza e fiducia.
Ecco allora che il Governo potrà allargare la sua base, se la società civile e produttiva del nostro paese si sentirà indirizzata e stimolata non solo ad approfittare della ripresa della locomotiva tedesca - che ha ricominciato a tirare - ma anche a riportare l'Italia nelle posizioni di testa nel tasso di crescita non solo quantitativo ma anche qualitativo. Se il Governo riesce a dare questa sensazione al paese, riprenderà slancio. E noi lo aiuteremo e lo stimoleremo in questa direzione.
Ci aspettano prove difficili, che sono del resto ineliminabili quando si dispone di una maggioranza ristretta come la nostra, ma che ha l'ambizione - per esempio - di condurre una politica estera innovativa e di grande dignità, che ci qualifica in campo internazionale. E su questo piano mi sia consentito dire che si avvicina la data dell'8, del 9 marzo, in cui si riunirà il Fondo per la lotta all'AIDS, alla malaria e alla tubercolosi. E, se non saremo stati solvibili nei contributi a quel fondo, l'Italia rischierà l'esclusione dal direttivo di un fondo così importante dal punto di vista umanitario e di politica estera.
Ma queste prove difficili, signor Presidente e colleghi, potranno essere superate se la maggioranza potrà essere insieme più responsabile e più audace, più dotata di compattezza e al tempo stesso di spirito di iniziativa; di iniziativa a livello parlamentare anche quando, come sui Dico, il Governo dice di aver esaurito il suo compito. Ma non esaurito è il compito della maggioranza.
È per questo, dunque, che da questi banchi rivolgiamo al Governo l'augurio del gruppo dell'Ulivo e l'invito a ripartire per la sua opera rafforzato e rinvigorito da questa prova.
Ma, certamente, l'invito è anche al rilancio delle istituzioni democratiche, della democrazia nel nostro paese. Vedete, sono andato a rileggere uno scritto di Vittorio Emanuele Orlando, pubblicato a suo tempo su Il Ponte di Piero Calamandrei, intitolato significativamente «Il parlare in Parlamento».
Ebbene, in questo libro si nota, giustamente, che in un popolo, in una comunità territoriale e nazionale il processo individuale di esame e di decisione avviene in Parlamento. «E noi» - afferma Orlando -, «che questo istituto abbiamo servito e serviamo, non possiamo non sentirci inferiori, tutti, alla nobiltà di esso. Tutti dobbiamo sentire che non ne siamo abbastanza degni ma questa inferiorità possiamo in parte riparare con un amore intenso e con una devozione assoluta».
Signori del Governo, anche attraverso un rinnovato rapporto con il Parlamento potrete trovare, credo, la spinta e la forza necessaria. Ed è per questo che noi, oggi, ci accingiamo a votarvi la fiducia.
Ed ecco, allora, signor Presidente e colleghi, che l'augurio che formuliamo, in conclusione, è che da questa prova, da questa crisi ne usciamo tutti più forti, Pag. 25Governo, istituzioni e Parlamento, ed in grado di corrispondere alle attese del paese che vuole avere fiducia, che chiede di poter vedere le iniziative, le promesse elettorali rispondenti allo slancio che ci fu nelle scorse elezioni e, ancor prima, nelle primarie che portarono alla scelta del Presidente del Consiglio.
Trovare questo spirito è vostro e nostro dovere. Ed è su questo piano che va l'incitamento, la fiducia ed il voto del gruppo parlamentare de L'Ulivo (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elia. Ne ha facoltà.

SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi, come il Presidente Prodi sa, ad un rinvio del suo Governo alle Camere noi avremmo preferito un nuovo Governo da lui guidato, in cui risultassero ampliate e rafforzate la politica e le componenti liberali e riformatrici dell'Unione, la libertà di decisione e di azione del Presidente del Consiglio. Il Presidente Napolitano, invece, ha dovuto prendere atto di una volontà politica sua e degli altri partiti dell'Unione diversa dalla nostra e, correttamente, ha deciso il ritorno del Governo alle Camere per il voto di fiducia.
Ciò detto, noi radicali non possiamo non votare la fiducia ad un Governo di cui fa parte Emma Bonino, leader del nostro partito e ministro del Governo che, nel Governo, ha dato prova, forse più unica che rara, di correttezza istituzionale, di impegno nel proporre soluzioni laiche e liberali ai problemi del nostro paese.
Il nostro voto a favore non è solo di fiducia personale nei confronti di Emma Bonino e del ruolo che lei può giocare in questo Governo. Vuol dire anche dare fiducia ad un Governo che ha preso l'impegno di portare all'ONU la proposta di moratoria universale delle esecuzioni capitali.
Diamo atto che, nelle settimane che sono seguite all'iniziativa non violenta di Marco Pannella sull'obiettivo «Nessuno tocchi Saddam», poi convertita sull'obiettivo più generale della moratoria, Prodi personalmente, ma anche il ministro D'Alema e lo staff della Farnesina, hanno operato, insieme a «Nessuno tocchi Caino» ed al partito radicale, perché una risoluzione sia portata al voto dell'Assemblea generale in scorso.
Signori del Governo, Presidente Prodi, questo è un banco di prova della fiducia che noi ci apprestiamo a votare al Governo. La moratoria non sarebbe solo un successo del Governo, sarebbe anche un successo del Parlamento che, su questo, ha sempre registrato una convergenza straordinaria di maggioranza e di opposizione.
La convergenza di maggioranza e di posizione su questioni cruciali è obiettivo da tentare sempre, come metodo, ma diventa una condizione indispensabile ed un fine da perseguire sulla politica estera e di difesa, nella quale non si espone al mondo il solo Governo, ma si rappresenta nel mondo un paese intero.
Così accade in tutte le democrazie, dove, sulla politica estera, non esistono divisioni nette di democratici e repubblicani, di laburisti o conservatori.
Da questo punto di vista - mi rivolgo al Presidente Prodi -, non capisco il principio, oggi considerato sacro, dell'autosufficienza, soprattutto se questo principio sacro viene applicato a corrente alternata, per cui sull'Afghanistan ci vuole la maggioranza politica e l'autosufficienza da blindare militarmente con il voto di fiducia per neutralizzare alcuni obiettori di coscienza, mentre nel caso dei Dico varrebbe il principio della maggioranza parlamentare e il rispetto assoluto della obiezione di coscienza. Nell'uno e nell'altro caso sarebbe invece opportuno e giusto cercare in Parlamento il consenso più ampio, che sulla politica estera e di difesa del nostro paese è largamente superiore a quello che si può registrare nella sola maggioranza.
Ieri, al Senato, il Presidente Prodi ha detto che sui costi della politica, che sarebbe meglio definire i costi dell'antipolitica e dell'antidemocrazia, il Governo ha già deciso alcune cose, ma non ha fatto ancora abbastanza.Pag. 26
Il tema è evocato anche nei famosi dodici punti del programma. Dal tema si tratta ora di passare al suo svolgimento. Alla ripresa dei lavori parlamentari, il Governo troverà depositate proposte di legge, preparate da noi Radicali, sulla riduzione drastica dei costi impropri e indiretti della politica, sulle comunità montane e sui cosiddetti rimborsi elettorali.
La legge del 2006 è l'ultima odiosa versione del finanziamento pubblico ai partiti contro cui i Radicali combattono dal 1977 e, nel 1993, con il 90,3 per cento dei voti degli italiani, hanno vinto un referendum poi tradito con leggi truffa, approvate di notte dal partito unico del finanziamento pubblico che ha sempre unito in Parlamento destra, centro e sinistra.
Ma l'universo dei costi dell'antidemocrazia è assai più vasto. Infatti, se il finanziamento pubblico ai partiti, tramite l'espediente dei rimborsi elettorali, costa all'erario 200 milioni di euro all'anno, l'ammontare dei costi indiretti della politica arriva ai 4 miliardi di euro, pari ad un quarto di una legge finanziaria ordinaria.
Con questi soldi pubblici si pagano gettoni, stipendi, emolumenti ad amministratori locali, manager pubblici, consiglieri e consulenti di istituti, centri, autorità, commissioni, enti, agenzie, comunità, società miste e chi più ne ha più ne metta. Un vero e proprio esercito di impiegati della politica, che vivono di politica, che occupa il territorio per conto dei partiti che, oltre ad incidere pesantemente sulla spesa pubblica, costituisce un fattore decisivo di blocco del sistema Italia, della sua competitività interna e della sua capacità di attrarre investimenti esterni.
L'obiettivo di liberalizzare e modernizzare il paese non può essere perseguito soltanto attraverso i tagli di bilancio, ma occorre sciogliere questo esercito di occupazione che opprime i cittadini, occorre liberare l'Italia dal potere illegale e clientelare dei partiti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, mi rivolgo comunque al Presidente del Consiglio anche se in questo momento non è presente in aula.
Presidente Prodi, ho letto con molta attenzione le dichiarazioni da lei rese l'altro giorno al Senato, ho anche riletto le dichiarazioni da lei rese a questa Camera quando si presentò nove mesi fa e ho riflettuto su quanto avvenuto in questo scorcio di legislatura.
Come allora, il gruppo dell'Italia dei Valori le rinnova il pieno appoggio, nel tentativo di andare avanti per affrontare i bisogni del paese. Siamo consapevoli che si è trattato di una crisi politica, che potrebbe ripresentarsi se per il futuro non dovesse prevalere il senso di maturità e di responsabilità, che non tutti i componenti della coalizione fin qui hanno sempre dimostrato di avere.
Mi riferisco a quei membri del Governo e a quei parlamentari che hanno ritenuto di scendere in piazza contro il Governo del quale facevano parte o che sostenevano, realizzando così un paradosso unico al mondo nei paesi democratici. È un vero peccato, perché le pillole più amare, necessarie per mettere in carreggiata il paese dopo cinque anni di una politica che ha gravemente deteriorato tutti gli indicatori economici, sono state somministrate ed il quadro economico generale, grazie anche a quegli interventi, sta volgendo verso migliori prospettive.
Tuttavia, vi sono elementi di criticità che lei, signor Presidente del Consiglio, ha ritenuto di individuare nei dodici punti prioritari e non negoziabili per il rilancio dell'azione di Governo. Solo alcuni di essi hanno avuto una sottolineatura nel suo intervento, mentre su altri - che per noi dell'Italia dei Valori rappresentano punti irrinunciabili - non si è detto nulla, salvo qualcosa in sede di replica, mi auguro solo per questioni di brevità.
Mi riferisco in primo luogo ai temi della tutela dei consumatori e delle liberalizzazioni. Tali questioni si riallacciano in realtà a quella più generale della risoluzione del conflitto di interessi, sulla Pag. 27quale siamo fermi. È un vero e proprio tarlo, che «mangia» il sistema ad ogni livello, anche a quello locale. Infatti, è nel conflitto di interessi che alligna la corruzione, la concorrenza sleale, il prevalere dell'interesse particolare su quello generale, della raccomandazione sul merito.
Quasi il 50 per cento delle nostre banche quotate ha imprenditori non finanziari come azionisti di riferimento. Tale fatto è alla base di incroci proprietari tra banche e industria, moltiplica presenze oligarchiche nei consigli di amministrazione, accentua le operazioni bancarie verso parti correlate.
Non possiamo accettare che banchieri con gravi condanne per bancarotta fraudolenta e preferenziale, ancorché non definitive, possano con semplici delibere di assemblea tornare in sella come se niente fosse, alla faccia della tutela dei consumatori.
Non possiamo accettare che non esistano regole per incompatibilità e incandidabilità anche e soprattutto per gli eletti in Parlamento, in particolare per quelli condannati con sentenza passata in giudicato.
Noi dell'Italia dei Valori abbiamo presentato una proposta di legge che dà risposta a qualcuno di questi problemi: ci aspettiamo che lei la faccia sua e l'appoggi.
Anche le liberalizzazioni vanno portate avanti rapidamente in campo energetico e, in generale, nei servizi pubblici; devono comunque essere vere liberalizzazioni, nell'ambito delle quali non si ceda al corporativismo, ai privilegi e alle minacce di azioni di piazza alimentate da ben individuati settori politici.
Infine, a proposito della riduzione dei costi della politica, non possiamo sottacere che non siamo soddisfatti di come le cose siano andate sin qui. Non può esistere equazione tra costi della politica e costi della democrazia. È vero che un tema come questo non può essere affrontato in modo demagogico, ma non possiamo pensare di chiedere sacrifici ai cittadini e nessun sacrificio ai parlamentari.
Italia dei Valori ha presentato una proposta di legge per sospendere fino al 2011 il meccanismo di adeguamento automatico delle nostre indennità: signor Presidente, faccia sua questa proposta e si spenda per l'approvazione.
Non possono essere ascritti ai costi della democrazia i 600 milioni di euro di contributi che lo Stato paga ogni anno alla stampa di partito, compreso il mio: noi siamo pronti a rinunciarvi subito. Non possiamo accettare che gli enti locali moltiplichino le società a partecipazione mista, prive di controllo sul numero dei consiglieri e sulla loro remunerazione; che consiglieri comunali e provinciali abbiano trasformato surrettiziamente i gettoni di presenza in vere e proprie indennità sostitutive di un normale lavoro e che sindaci ed assessori moltiplichino incarichi e relative indennità. Anche su questi temi avevamo trovato un accordo di maggioranza in sede di esame della legge finanziaria, ma non si sa come e perché queste misure non sono state riprodotte nel maxiemendamento del Governo.
Non possiamo accettare che si intervenga sul sistema pensionistico e non sulle pensioni dei parlamentari; recenti inchieste sono state impietose nel rappresentare la situazione, così come è vergognoso che ex parlamentari, condannati in via definitiva o con patteggiamento per reati di corruzione, concussione, appropriazione indebita e reati contro la pubblica amministrazione, percepiscano da più di dieci anni laute pensioni, anziché essere espulsi per indegnità dalla comunità politica.
Sarà anche demagogia ma chi, come me, non vive nel mondo dorato del Palazzo e ha sempre vissuto e continua a vivere in mezzo alla gente sa bene quanto i cittadini siano sensibili anche a semplici misure come queste ed alla reale riduzione di auto blu e scorte.
Signor Presidente del Consiglio, mi auguro che nella replica ella vorrà darci rassicurazioni in merito essendo comunque evidente che con lealtà - la stessa dimostrata in questi mesi - l'Italia dei Valori continuerà a darle un appoggio pieno e convinto, consapevole che in questo momento, al di là di questo Governo, c'è solo il baratro, specie per i soggetti più Pag. 28deboli [Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mazzoni. Ne ha facoltà.

ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, i giornali di oggi ci hanno proposto un Presidente del Consiglio euforico, ottimista ed incauto propugnatore dell'autosufficienza di questa maggioranza; se fossi in lui non sarei altrettanto ottimista. Infatti, con il voto di ieri al Senato il cosiddetto «pasticciaccio italiano» - così definito da The Wall Street Journal - non si è chiuso, ma al contrario trova oggi una sua dolorosa ufficialità.
Siamo chiamati ad esprimere per la seconda volta la nostra posizione sul Governo presieduto dall'onorevole Prodi, che, indifferente alla crisi da egli stesso definita politica, si ripresenta alle Camere incerto più di prima, raccontando peraltro che il suo Governo nei prossimi giorni conterà sul sostegno delle forze sociali, che però non fanno parte di queste aule parlamentari; il Presidente, infatti, sa di non potersi rivolgere alla sua maggioranza, che di fatto non ha.
È quasi pleonastica la dichiarazione di voto contrario che oggi siamo portati ad esprimere. È un voto contrario da parte di chi, come me, in questi nove mesi ha praticato motivatamente una seria e forte opposizione all'azione di Governo.
Tuttavia, il tasso di follia della politica, che ha raggiunto un livello altissimo in questi ultimi giorni, più che l'obbligatorio rituale dei palazzi mi spinge in questa sede a riconfermare ed a riproporre le mie intenzioni.
La caduta del Governo ha proposto e prodotto sicuramente un trauma. Essa non ha determinato - ahimé! - la morte di questo Governo, ma sicuramente avrà conseguenze invalidanti che imporrebbero al sopravvissuto modifiche sostanziali alle sue abitudini di vita. In realtà, il Governo oggi c'è: il suo asse, per le dichiarazioni del Presidente del Consiglio e per l'innaturale artificiosità di qualche consenso acquisito, è a suo modo spostato verso il centro, non di tanto, ma di quanto basta per rendere più sospettosa quella sinistra radicale, che ha già annunciato un fuoco di sbarramento e che oggettivamente è la parte della maggioranza che più esce sconfitta da questa vicenda.
Il cammino sarà più periglioso ed ancora più incerto sarà l'esito di quel poco che, con voluta sommarietà, il Presidente del Consiglio ha promesso di fare. Moody's ha espresso sull'Italia una preoccupazione meramente economica, definendoci il paese d'Europa con il più basso tasso di riformabilità e giudicando il dodecalogo più il prodotto di un'esigenza di sopravvivenza che una chiara piattaforma programmatica. Si tratta di dodici punti di sutura per ricucire 281 pagine di annunci inconciliabili. Il Presidente del Consiglio aveva la necessità di salvare l'anima dei più della sua coalizione e non poteva tralasciare nulla. Con il tutto ed il nulla del suo intervento ha cercato di mettere in condizione la sinistra comunista e quella riformista, i teodem, i cattolici, i liberali e, per giunta, l'ultima parte residuale aggiuntasi negli ultimi giorni di poter dire di sì, raccontandosi di essere stati rispettati.
Credo che gli italiani dovrebbero temere ancor di più la fragilità di questo Governo: alla già variegata composizione di una maggioranza litigiosa e divisa su scelte essenziali per la vita del nostro Paese, si aggiunge oggi anche qualche ulteriore elemento di frammentazione. Si consideri bene il fatto che chi si è aggiunto al coro non è un corista per natura, ma, al contrario, un solista di grande spessore che aspira, per conferire dignità alla propria scelta solitaria, di far sentire la propria voce.
La sfiducia ha determinato le dimissioni di questo Governo, ma è stato solo l'esito prevedibile di un percorso impervio, al quale dobbiamo abbiamo dovuto assistere. Questa crisi ha prodotto un unico risultato, dando un unico momento di unità e compattezza alla maggioranza, mai manifestate chiaramente in precedenza, Pag. 29nel sostenere che il Governo, e con esso il potere che a ciascuno deriva, deve continuare ad esistere, costi quel che costi all'Italia ed ai cittadini italiani, perché alle porte c'è «il barbaro», il centro-destra, Berlusconi ed allora bisogna compattarsi per sconfiggere il «barbaro alle porte».
Le posizioni assunte in questi giorni con dichiarazioni pubbliche di vari e qualificati rappresentanti della maggioranza di questo Governo danno conto che su temi fondamentali vi sono tali e tante contrapposizioni, da lasciare presagire un'insoddisfacente realizzazione delle esigenze del Paese. L'unica nota positiva che avevo colto nella relazione del Presidente del Consiglio era rappresentata dall'appannamento della presunzione di autosufficienza, che aveva caratterizzato i suoi comportamenti negli ultimi nove mesi. Le dichiarazioni di oggi mi portano a dover cancellare anche quest'unica nota positiva.
Per il resto, nelle comunicazioni rese e nella stessa replica data al Senato non sono riuscita ad intravedere elementi da cui trarre certezze su ciò che il Governo vorrà o potrà fare per la genericità e l'indecifrabilità delle espressioni usate. Il problema è sicuramente di chi ha dato e dovrà dare la fiducia a questo Governo, ma penalizza anche chi come noi, nel negare la fiducia, vorremmo confrontarci su questioni e dare apporti costruttivi per realizzare quelle riforme necessarie ad una vera modernizzazione del nostro Paese.
I voti che al Senato hanno ridato fiato (sarebbe inopportuno parlare di fiducia) al Governo sono così pieni di riserve e di contraddizioni da non consentire un dialogo contrappositivo chiaro e finalizzato al raggiungimento di precisi risultati. Il Presidente del Consiglio aveva chiesto in apertura di non essere giudicato per quello che non avrebbe detto, ma è difficile giudicarlo anche per quello che ha detto. È quasi imbarazzante: la spesa pubblica, il Mezzogiorno, la TAV, le riforme istituzionali, le pensioni, le liberalizzazioni sono purtroppo solo titoli di un indice senza testo di riferimento ed anche rappresentanti della maggioranza di questo Governo parlano di temi evocati, di promesse annunciate, di pochezza di questo programma, di speranze per il futuro.
Non credo che il Presidente del Consiglio possa pretendere il silenzio da parte nostra, anche perché, nell'anticipare il nostro voto contrario e la contrarietà al rinnovo di fiducia al Governo Prodi, non possiamo che segnalare quelle gravi minacce, che con questa operazione sono state di nuovo poste di fronte al nostro Paese ed alla sicurezza dei cittadini italiani.
Mi limiterò solo ad alcuni riferimenti, a partire da quello che sicuramente sta più a cuore al mio partito, al gruppo che rappresento, l'UDC. Disconoscere la paternità del Governo sui Dico con un'operazione pilatesca non può certo soddisfare le preoccupazioni di quanti - come noi - si aspettano un altro momento di crisi e un'altra caduta significativa di questa maggioranza. Soprattutto, ciò non può essere acquisito come elemento di valutazione positiva quando fa da contraltare a questo atteggiamento pilatesco un'indicazione nei confronti della famiglia, che è sempre la stessa. Si tratta di un'indicazione di attenzioni non organiche, disarmoniche e disarticolate. Le politiche della famiglia, che noi proponiamo e che continueremo a sostenere, non hanno il carattere assistenziale che si desume dalle vostre anticipazioni, ma universale, perché implicano misure strutturali. Di questo, hanno bisogno le famiglie.
Tacere sul testamento biologico è sicuramente un ulteriore elemento di grave preoccupazione. Infatti, non si può negare quello che stavano facendo nei palazzi del Governo i soggetti indicati dai rappresentanti dello stesso per intervenire su una materia così delicata. Non può, Presidente Prodi, tacere su questi argomenti. Non può dire che la legge n. 40 non verrà toccata, quando invece ci sono già i soliti esperti che stanno lavorando per stravolgere le linee guida di quella legge, contraddicendo anche una volontà popolare espressa nell'appuntamento referendario che tutti conosciamo. Non si può tacere sulla droga, visto l'intervento devastante fatto dal ministro Pag. 30Turco. Non si può tacere sulla legge Fini-Giovanardi e su quello che attenderà i nostri giovani dopo questi annunci ed interventi improvvidi realizzati dal Governo in questi primi nove mesi di attività. Non si può tacere sulla giustizia: è incomprensibile ed inaccettabile che su un tema così cruciale come quello della giustizia non si dica niente e non vi sia attenzione su una materia che ha inevitabili connessioni sociali ed economiche. Si tratta di un tema cruciale!
Credo che il nostro voto di contrarietà a questo Governo sia oggi più convinto di ieri. Sicuramente il mio spirito garantista mi porta sempre a non condannare l'imputato senza prima aver ascoltato le sue difese. Ritengo tuttavia che abbiamo offerto un tempo sufficiente e strumenti adeguati a questo Governo e al Presidente Prodi per rappresentare una linea difensiva credibile. Oggi non possiamo che pronunciarci con una sentenza di condanna votando contro questa fiducia [Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)]!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Prestigiacomo. Ne ha facoltà.

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, questo dibattito, il cui esito è scontato dati i numeri in questo ramo del Parlamento, siamo tutti consapevoli - e ce lo ha confermato anche l'intervento del Presidente Prodi - che non segni affatto l'inizio di una nuova fase o di un nuovo cammino programmatico. Siamo tutti al capezzale di un Governo moribondo, cui è stato somministrato un palliativo, sapendo comunque che la sua sorte è segnata. Dal «libro dei sogni» del programma, 250 pagine e oltre, siamo passati alla «lista della spesa».
Non c'è speranza, non c'è futuro nei suoi dodici punti che rappresentano di fatto le ceneri del programma. Pure su quelli già si sa che non c'è un intesa, ma soprattutto non c'è chiarezza sulle scelte strategiche per il paese o sulla politica estera, tranne il fatto che Turigliatto ha già annunciato il suo voto contrario sul decreto-legge che rifinanzia la missione in Afghanistan. Inoltre, non c'è chiarezza sulle liberalizzazioni e sulle pensioni; non c'è chiarezza sulle infrastrutture di cui il paese necessita. Per non parlare poi dei Dico, la grande buffonata; di quelli non sono rimaste nemmeno le ceneri, ma solo l'impressione, che tanti avevamo intuito, di una sontuosa presa in giro ai conviventi e di una rapida ritirata strategica.
Signori rappresentanti del Governo, onorevole Presidente Prodi - che nemmeno ci onora della sua presenza qui alla Camera -, l'attuale situazione sapevamo tutti che era inevitabile: è il risultato del vostro travisamento dell'esito elettorale, che - ricalcolo o non ricalcolo dei voti - è stato politicamente e numericamente un pareggio, di cui non avete voluto prendere atto. Un anno fa, invece di percorrere strade di maggiore responsabilità, di maggiore senso delle istituzioni e di maggiore ragionevolezza per il bene del paese, il centrosinistra ha preteso di imporre agli italiani - che per metà non vi avevano votati - il Governo più spostato a sinistra della storia della Repubblica: un Governo che, oltre a non avere i numeri, non ha la coesione politica sui principali temi strategici.
L'unica cosa su cui in un anno siete stati d'accordo, dopo aver moltiplicato poltrone e sgabelli ministeriali, è stata una finanziaria di tasse, immotivata dalla situazione economica che il Governo della Casa delle libertà vi aveva eccezionalmente lasciato in maniera favorevole, e di aumento della spesa pubblica. A proposito di aumento della spesa pubblica, i famosi ministeri senza portafoglio, che dovrebbero essere di indirizzo, sono diventati ministeri erogatori di spesa, ministeri con portafoglio, che non sono in sostituzione bensì in aggiunta agli altri ministeri con portafoglio. Nella finanziaria avete distribuito fondi a ciascuna delle ministre, per non scontentarle, fondi che i cittadini pagano attraverso nuove tasse. Mistificando poi la reale condizione dei conti pubblici, sui quali la verità è finalmente Pag. 31emersa, avete inventato una stangata fiscale in una fase di ripresa economica, quando le imprese e i cittadini di ben altro avevano bisogno. Anche il sostegno ai bassi redditi si è rivelato una presa in giro. Le buste paga dei lavoratori - questi lo hanno capito bene - sono tutt'altro che migliorate. Del cuneo fiscale tagliato - lo ha riconosciuto lo stesso Presidente Prodi -, gli italiani non hanno visto quasi niente, ma hanno capito benissimo che avete scippato loro il TFR.
Gli italiani, anche i vostri elettori, sanno di essere stati beffati. Sanno che dovranno pagare di più l'addizionale IRPEF, che era bloccata da anni, e aspettano l'aumento dell'ICI, che adesso cercate di camuffare con espedienti retorici. Abbiamo letto nei giorni scorsi le imbarazzatissime repliche del viceministro Visco, che ha tentato invano di replicare a Il Sole 24 ore, che ha dimostrato come le tasse locali che la legge finanziaria ha innescato peseranno soprattutto sulle famiglie a reddito medio basso.
È questa, colleghi del centrosinistra, l'Italia che avete in mente? Con una politica demagogica state tentando di affossare una ripresa, che era finalmente arrivata e che l'Italia, dopo avere resistito negli anni di congiuntura negativa, oggi dovrebbe assecondare e non deprimere. Sapete perfettamente che ciò che più nuoce all'economia, alle imprese e ai cittadini è l'instabilità politica, l'incertezza, la mancanza di solide e chiare condizioni per lavorare e per crescere. Ancora pochi giorni fa il presidente di Confindustria, che certo non vi era ostile, ha denunciato i rischi di un black out a causa dell'instabilità politica. E non è un caso che il leader dei giovani imprenditori si sia schierato tra i sostenitori del referendum elettorale, che la sinistra radicale, i cespugli di lotta e di Governo della sua variopinta coalizione, vedono come il fumo negli occhi.
Io sono tra coloro che convintamente si battono per il referendum elettorale, ma naturalmente il Parlamento è la sede primaria che dovrebbe affrontare questo tema. Però si sentono discorsi strani, si sentono discorsi su un sistema alla tedesca, magari saltato alla amatriciana! Di tedesco alla fine rischia di restare solo il proporzionale. Di italiano invece si riaffacciano la mancanza di vincolo di coalizione e le preferenze. Ciò significherebbe la fine del bipolarismo, con il ritorno alle vecchie liturgie governative, che hanno garantito 45 anni di inamovibilità della classe dirigente, e con il ritorno del potenziale di inquinamento politico clientelare, che il sistema delle preferenze porta con sé.
Parlo di ciò da siciliana, da persona che ha conosciuto quale pericolo mortale sia per la politica il meccanismo delle preferenze dove la società è più debole, dove il bisogno è più forte. Reintrodurre le preferenze, magari per ingraziarsi un potenziale alleato di domani, significa restituire la politica ai signori delle tessere, ai signori dei favori, significa eliminare il voto di opinione, significa ripristinare meccanismi di selezione della classe politica legati al mercato dei consensi. Credo che il bipolarismo sia un valore non contrattabile, sia l'assicurazione del ricambio di politiche e classi dirigenti, sia un valore fatto di chiarezza nei confronti degli elettori, che non possono e non vogliono più rilasciare «deleghe in bianco» alla politica, ma vogliono scegliere chi li governerà e vogliono avere la possibilità, con il voto, di cambiare governi e maggioranze. Questa legge elettorale è certamente imperfetta, ma cambiarla non può significare tornare al passato, alla politica che produceva un Governo l'anno, fotocopia del precedente, alla politica che per quasi cinquant'anni, qualunque fosse l'esito scaturito dalle urne, ha dato al paese sempre gli stessi Governi e gli stessi governanti.
Caro Presidente del Consiglio - assente -, cambiare la legge elettorale si deve e si può, ma a spingere nella direzione di questo cambiamento non sarà il suo Governo o la sua pseudo-maggioranza; a spingere nella direzione di questo cambiamento sarà la «pistola puntata» del referendum. Quel referendum è lo scudo contro ogni attacco possibile al bipolarismo, contro ogni possibile intento dilatorio, Pag. 32contro chi vuole fare tornare al passato il nostro sistema, contro chi vuole chiudere le porte al ricambio della classe dirigente. Non credo che questa maggioranza abbia la capacità di avviare una stagione di confronto vero su questi temi. Penso, invece, che vi sia chi punta a compromessi al ribasso.
Mi avvio a concludere, parlando delle politiche femminili; ci tengo molto. Lei, Presidente Prodi, nei suoi discorsi inserisce sempre un riferimento alle politiche femminili, forse come elemento retorico di circostanza.

PRESIDENTE. Onorevole Prestigiacomo...

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Ebbene, è stato detto che i livelli di occupazione delle donne italiane sono più simili a quelli dei paesi africani che a quelli dei paesi europei: è vero, ed è anche vero che sono cresciuti significativamente nei cinque anni di Governo Berlusconi, ma molto resta ancora da fare. Abbiamo sempre detto che su provvedimenti di questo tipo avremmo avuto un atteggiamento di attenzione e di impegno serio. Non resta che prendere atto che, in un anno di Governo, non abbiamo visto nulla, non abbiamo assistito ad una sola iniziativa in questo campo, praticamente tabula rasa. Non è un caso che al Senato, una senatrice della maggioranza che stimo molto, ossia la senatrice Franco, abbia concentrato tutto il suo intervento proprio su questi temi. Continuiamo ad ascoltare solo parole sui servizi sociali e sugli asili nido...

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Prestigiacomo.

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Concludo, signor Presidente. Onorevoli colleghi della maggioranza, in pratica cercate di rivendere ai vostri elettori le nostre stesse proposte, che avete contrastato nei precedenti cinque anni.
Il tempo a mia disposizione è terminato, ma tengo a dire che, in questo modo, state portando il paese indietro e chiaramente il nostro atteggiamento non può che essere di contrarietà e di decisa opposizione a questo Governo per i pochi mesi di legislatura che ormai rimangono (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Prestigiacomo, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Cassola. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, ministri, colleghe e colleghi, ringrazio il Presidente Prodi per le sue comunicazioni rese al Senato, veramente di ampio respiro. Mi soffermo su tre punti.
La bontà della politica estera italiana attuale viene oggi riconosciuta apertamente dalla comunità internazionale e il multilateralismo, come ribadito dal Presidente Prodi, è diventato l'unica vera bussola da cui si fa guidare la politica estera italiana. Inoltre, la saggia politica di equidistanza dal Medio Oriente del Governo ha restituito all'Italia il rispetto di tutte le parti belligeranti. La missione dell'ONU e dell'Unione europea in Libano è additata, oggi, dalla comunità internazionale come un esempio da seguire per tutti. Infine, in politica estera l'Italia si è nettamente contraddistinta per la sua politica di dialogo anche nei confronti di Iran e Siria, anziché per una politica di minacce.
Come deputato italiano eletto all'estero, precisamente in Europa, non posso che esprimere una grande soddisfazione nel vedere che il Presidente del Consiglio si impegna a sostenere e valorizzare il ricco patrimonio costituito dalle comunità italiane nel mondo. Sono sicuro che, come me, i molti italiani all'estero - che tanto hanno contribuito allo sviluppo non solo del loro paese di accoglienza, ma anche di quello di origine - sono fieri di essere considerati una priorità per il primo ministro italiano. Questo impegno verso i Pag. 33concittadini all'estero del Governo Prodi è una conferma del fatto che le prime piccole acquisizioni nella legge finanziaria - come, per esempio, il rilascio della carta di identità all'estero e la possibilità di detrarre i familiari a carico - sono solamente l'inizio di un processo che si andrà ampliando nel corso della legislatura, cominciando magari con la riduzione di ICI e TARSU sulla prima casa degli italiani residenti all'estero.
Infine, Presidente Prodi, in quanto deputato Verde, apprezzo moltissimo il suo impegno a difesa dell'ambiente e all'incentivazione per l'innovazione nella questione ambientale. Dare priorità alla lotta all'inquinamento, alle energie rinnovabili, alla riqualificazione degli edifici e alla mobilità sostenibile è un grosso segnale di cambiamento rispetto alla vecchia politica energetica del passato.
Per concludere, mi rivolgo ai colleghi della coalizione di Governo e di maggioranza. La discussione e il confronto fra le varie opinioni della coalizione sono il sale della democrazia e guai a chi cerchi di soffocare tale dibattito; ma, quando alla fine bisogna arrivare ad una decisione di sintesi, è d'obbligo che ognuno di noi tenga ben presente il bene comune del paese, che deve essere sempre al di sopra degli interessi particolari di partito: questo è il mio e il nostro impegno di deputati Verdi (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, ministri, colleghe e colleghi, ringrazio il Presidente Prodi per le sue comunicazioni rese al Senato, veramente di ampio respiro. Mi soffermo su tre punti.
La bontà della politica estera italiana attuale viene oggi riconosciuta apertamente dalla comunità internazionale e il multilateralismo, come ribadito dal Presidente Prodi, è diventato l'unica vera bussola da cui si fa guidare la politica estera italiana. Inoltre, la saggia politica di equidistanza in Medio Oriente del Governo ha restituito all'Italia il rispetto di tutte le parti belligeranti. La missione dell'ONU e dell'Unione europea in Libano è additata, oggi, dalla comunità internazionale come un esempio da seguire per tutti. Infine, in politica estera l'Italia si è nettamente contraddistinta per la sua politica di dialogo anche nei confronti di Iran e Siria, anziché per una politica di minacce.
Come deputato italiano eletto all'estero, precisamente in Europa, non posso che esprimere una grande soddisfazione nel vedere che il Presidente del Consiglio si impegna a sostenere e valorizzare il ricco patrimonio costituito dalle comunità italiane nel mondo. Sono sicuro che, come me, i molti italiani all'estero - che tanto hanno contribuito allo sviluppo non solo del loro paese di accoglienza, ma anche di quello di origine - sono fieri di essere considerati una priorità per il primo ministro italiano. Questo impegno verso i Pag. 33concittadini all'estero del Governo Prodi è una conferma del fatto che le prime piccole acquisizioni nella legge finanziaria - come, per esempio, il rilascio della carta di identità all'estero e la possibilità di detrarre i familiari a carico - sono solamente l'inizio di un processo che si andrà ampliando nel corso della legislatura, cominciando magari con la riduzione di ICI e TARSU sulla prima casa degli italiani residenti all'estero.
Infine, Presidente Prodi, in quanto deputato Verde, apprezzo moltissimo il suo impegno a difesa dell'ambiente e all'incentivazione per l'innovazione nella questione ambientale. Dare priorità alla lotta all'inquinamento, alle energie rinnovabili, alla riqualificazione degli edifici e alla mobilità sostenibile è un grosso segnale di cambiamento rispetto alla vecchia politica energetica del passato.
Per concludere, mi rivolgo ai colleghi della coalizione di Governo e di maggioranza. La discussione e il confronto fra le varie opinioni della coalizione sono il sale della democrazia e guai a chi cerchi di soffocare tale dibattito; ma, quando alla fine bisogna arrivare ad una decisione di sintesi, è d'obbligo che ognuno di noi tenga ben presente il bene comune del paese, che deve essere sempre al di sopra degli interessi particolari di partito: questo è il mio e il nostro impegno di deputati Verdi (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccioli. Ne ha facoltà.

CARLO CICCIOLI. Onorevoli colleghi, il Presidente del Consiglio Prodi nel suo intervento al Senato ha parlato con onestà intellettuale di crisi politica. Oggi possiamo affermare con altrettanta onestà intellettuale che la sua maggioranza ha superato la crisi numerica con i fatidici 158 voti, ma non la crisi politica, che resta tutta intera. Infatti, la sua maggioranza presenta con chiarezza due poli disomogenei tra di loro, uno di centrosinistra e l'altro di sinistra estrema, che stanno insieme solo perché questa è la maggioranza più a sinistra possibile - con no global, autonomi e quant'altri compresi - e la sua caduta determinerebbe un governo, qualunque esso fosse, molto meno a sinistra. Questo è l'unico vero cemento dell'attuale maggioranza, non certo la linea politica, che non è né comune né condivisa, ma divaricata su tutto. Personalmente, sono testimone di quante volte in Commissione pezzi di maggioranza risultino più omogenei con l'opposizione piuttosto che con i loro alleati organici all'interno della loro stessa maggioranza politica.
Quindi, la crisi politica è tutta aperta. Quella numerica, lo hanno già detto in tanti, è temporaneamente risolta, ma quella politica è totalmente aperta. Quella numerica è stata risolta, in primo luogo, con il voto del senatore Follini, la cui coerenza è sicuramente discutibile, anche se ognuno è libero di fare ciò che vuole e di cambiare opinione. Qualcuno a suo tempo aveva detto che solo i paracarri stanno fermi, però chi è stato Vicepresidente del Consiglio e quant'altro di un'altra maggioranza, prima di essere la persona determinante di una maggioranza alternativa, forse dovrebbe riflettere.
Inoltre, l'altra vicenda, quella del senatore Pallaro, è ancora più incredibile. Ho appreso, veramente trasecolando, che il senatore Pallaro è il presidente degli azzurri nel mondo in Argentina - associazione non ufficiale ma collaterale e, comunque, collegata a Forza Italia - e con assoluta nonchalance ritiene di poter conciliare questi due ruoli e questi due aspetti diversi.

GIUSEPPE ASTORE. De Gregorio...?

CARLO CICCIOLI. De Gregorio non ha lo stesso ruolo ed ha fatto una sua scelta, mentre in questo caso si tratta di un organico in una associazione: comunque, ognuno decide quello che ritiene. Forse, presento qualche rigidità, ma rimango perplesso. In politica, tutto è possibile, anche l'impossibile, e ciò può comunque accadere.
In questi mesi, tutti debbono prendere atto, in quanto è nelle cose, che il Governo Prodi ha perso l'apertura di credito, che Pag. 34pure all'inizio era stata molto ampia, di una significativa porzione del mondo cattolico, dell'imprenditoria e dei circoli politici internazionali. Questa apertura di credito è stata tutta consumata. È sufficiente leggere la stampa, sia quella internazionale sia quella nazionale sia quella di aree sensibili.
Nel nostro ambiente (mi riferisco all'ambiente del mio partito, ma anche, più in generale, della nostra area) vi sono due scuole di pensiero. Una ha «sognato» di mandare via Prodi subito, accarezzando il fatidico «sogno» che mancassero i 158 voti al Senato. L'altra scuola di pensiero è quella che, nell'impossibilità di andare ad elezioni anticipate subito e di trovare soluzioni alternative, ritiene preferibile che vi sia ancora Prodi, affinché gli italiani possano assaggiare, fino in fondo, il Governo del centrosinistra organico ed i suoi provvedimenti. Il Palazzo avrà pure i numeri, ma gli italiani non la pensano così.
Tantissimi elettori, in questi mesi, dopo aver votato per i partiti dell'attuale coalizione di maggioranza, ne hanno disconosciuto il consenso. Molti, addirittura, se ne vergognano; non lo confessano. È la prima volta, in assoluto (premetto che sono una persona che gira molto e ascolta la gente comune, quella della strada) che sento cittadini extracomunitari, che non votano non avendo la cittadinanza, ma che sono residenti da tempo nel nostro paese, preoccupati per il futuro dell'Italia. È un fatto che non avevo mai registrato prima.
L'attuale Governo non ha una prospettiva di medio-lungo periodo, ma ha solo l'obiettivo di resistere, tirare avanti, per quanto possibile e in qualunque modo. Ovviamente, vi sono già le scommesse sulla prossima crisi. Alcuni dicono che sarà questione di giorni, quando saranno esaminati i cosiddetti grandi provvedimenti (riguardanti il rifinanziamento della missione in Afghanistan, le pensioni, le scelte infrastrutturali). Altri affermano che avverrà all'indomani del 10 giugno, il giorno del ballottaggio delle prossime elezioni amministrative.
Comunque sia, non è un Governo nato per durare, ma un Governo chiamato soltanto a resistere, giorno per giorno, con danno dell'Italia, essendo esso stesso un problema per il nostro paese. Speriamo di rimuoverlo quanto prima.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti del liceo classico Carmine Sylos di Bitonto, in provincia di Bari, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Bocci. Ne ha facoltà.

GIANPIERO BOCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, un dibattito parlamentare su questioni delicate, quali una crisi di Governo, deve essere aperto a molte variabili, ma deve avere alcune costanti. In questo caso due sono le costanti: la prima è che non esistono tante possibili maggioranze, perché ve ne è una sola, quella scelta dagli italiani alle elezioni del 2006; la seconda è che non vi sono tanti possibili premier: ve ne è uno solo, si chiama Romano Prodi, anch'esso scelto dagli italiani e, già prima, indicato con quello straordinario strumento di partecipazione che sono state le primarie.
Ed è con l'obiettivo di restituire pienezza all'attività parlamentare e all'azione di Governo che lo stesso Prodi, con chiarezza e coraggio, ha fedelmente accolto con vero spirito di servizio l'autorevole indicazione del Presidente della Repubblica. Ciò significa avere rispetto delle istituzioni, senso dello Stato e lealtà verso il mandato conferito dagli elettori. Non ricordo che, nella trascorsa legislatura, qualcuno abbia compiuto gesti di pari coraggio e pari dignità.
Innanzitutto, rivolgo un apprezzamento positivo per la scelta compiuta dal Presidente del Consiglio di fissare nei dodici punti la base di riferimento per la prosecuzione di un processo e di un'attività di Governo, con rinnovato slancio e rinnovato vigore.
Non si tratta, come qualcuno maliziosamente ha suggerito, di una sintesi frettolosa del programma dell'Unione, né si tratta di una scelta riduttiva rispetto alla complessità dei problemi e dell'impegno del Governo. Si tratta invece, più semplicemente, Pag. 35di un'indicazione di priorità che, in quanto tale, tende a caratterizzare e rendere più concretamente incisiva e produttiva questa fase dell'azione del Governo. Tale scelta, nella sua semplicità e, persino, ovvietà, riveste a mio giudizio un grande valore politico in quanto può allontanarci dal rischio di concepire e di usare i programmi delle coalizioni di Governo come mera giustapposizione e risultanza dei diversi apporti e dei diversi desiderata di ognuna delle molteplici componenti delle coalizioni stesse.
Al riguardo, basta riflettere brevemente sull'esperienza della legislatura precedente, nella quale tale concezione e gestione del programma ha condannato la maggioranza - che pure disponeva di numeri larghi in entrambi i rami del Parlamento e di un leader certo non privo di forza - ad un sostanziale immobilismo, con rinuncia o rinvio delle scelte, o a varare, come nel caso delle riforme istituzionali e di quelle elettorali, provvedimenti che, volendo accontentare istanze diverse e contraddittorie presenti nella maggioranza, non hanno assicurato il minimo necessario di coerenza e credibilità né, tantomeno, la capacità di rispondere agli interessi generali del paese.
Infatti, le riforme istituzionali sono state sonoramente bocciate dal referendum e la legge elettorale, definita una «porcata» dal suo principale estensore, rappresenta oggi un fattore negativo che tutti siamo impegnati a rimuovere al più presto.
Ancorare, dunque, l'azione del Governo ad alcune priorità non è una scelta riduttiva ma, al contrario, una scelta forte, intesa ad assicurare al Governo, con la condivisione e la responsabilità di tutti, e con il ruolo preminente del Presidente del Consiglio, efficacia e concreta incisività realizzativa.
Un'altra considerazione che vorrei brevemente svolgere riguarda le questioni dell'economia e dello sviluppo; a tale proposito, dobbiamo partire dai dati. Tutti gli indicatori hanno una tendenza positiva; in particolare, la crescita degli ultimi mesi porta al 2 per cento su base annua l'incremento del PIL per il 2006 e indica potenzialità ancora superiori per il 2007. Noi non attribuiamo, certo, tutto il merito della crescita in atto a questo Governo e non lo ha fatto lo stesso Presidente del Consiglio. Sappiamo bene che gli andamenti delle economie nazionali sono legati alle diverse fasi del ciclo economico a livello mondiale e che nella fase attuale stiamo crescendo anche grazie al traino della ripresa europea. Sappiamo anche, vivendo a stretto contatto con l'elettorato - e quindi con la realtà produttiva -, e non avendo mai, mai, militato nella schiera dei cantori del declino, che una larga misura del merito va riconosciuta a quella parte, non piccola, del nostro sistema produttivo e delle nostre imprese che ha saputo operare una ristrutturazione e un riposizionamento competitivo.
Noi non sappiamo ancora se la ripresa in atto abbia carattere ciclico o strutturale; come ha ribadito il Presidente del Consiglio ieri al Senato, è anche per tale ragione che non possiamo rallentare o rinviare il cammino delle riforme e del risanamento della finanza pubblica. Se dunque riconosciamo che la crescita è legata alla ripresa internazionale e ad un recupero di competitività delle imprese e di una parte del sistema produttivo, riteniamo anche che nessuno, che non voglia rinunciare alla propria onestà intellettuale, potrà negare i meriti di questo Governo nell'averla favorita e sostenuta, sia con misure di contesto sia con misure specifiche.
Tra le misure di contesto indichiamo anzitutto proprio quelle rivolte al risanamento della finanza pubblica ed al rientro del debito nei parametri europei. Del trinomio del nostro programma, articolato in rigore, equità e sviluppo, ci sentiamo di dire che il rigore (ovvero il riordino dei conti pubblici e la riduzione del debito) è una delle condizioni per la crescita, mentre la crescita è poi la condizione per l'equità, vale a dire per politiche redistributive e per ridisegnare e rafforzare il nostro welfare in maniera più rispondente alle effettive esigenze ed ai bisogni della Pag. 36società, nonché alle dinamiche sociali ed in termini di sicura sostenibilità di lungo termine.
Quanto alle misure specifiche di incentivo e di sostegno alla crescita, voglio qui ricordare soltanto quelle relative all'alleggerimento del cuneo fiscale e quell'insieme di provvedimenti che caratterizzano la politica economica e industriale di questo Governo.
Proprio la positività di questa fase di crescita ci richiede di accelerare la via delle riforme, confermandone le linee e gli obiettivi di fondo. In particolare, va completato quel complesso di interventi e di riforme che va sotto il nome di liberalizzazione, anzi, il solo riferimento alle liberalizzazioni può risultare riduttivo. Si tratta, infatti, non solo di varare misure che, favorendo la concorrenza, vanno a vantaggio del cittadino-consumatore, risparmiatore e utente, aumentando la trasparenza e abbassando i prezzi, ma anche di aumentare l'efficacia del sistema economico, alleggerendo i vincoli burocratici e, soprattutto, rimuovendo posizioni di rendita monopolistica e corporativa. Si tratta di introdurre nel mondo delle professioni norme e criteri che innalzino la concorrenzialità e abbassino le barriere di ingresso per i giovani. Ecco, allora, che, se saremo capaci di sviluppare questa linea con coerenza e concretezza, di procedere nei campi ancora non toccati e di modernizzare il sistema pubblico, emergerà l'obiettivo unificante dell'azione di Governo.

PRESIDENTE. La prego...

GIANPIERO BOCCI. Una breve considerazione deve essere svolta sulla famiglia. Già nella scelta di nominare un ministro per le politiche per la famiglia, il Governo Prodi disse implicitamente al paese di considerare la famiglia come entità centrale della società.
Questa intenzione si è chiaramente manifestata con misure concrete nella legge finanziaria per il 2007. Mi riferisco all'apertura di una stagione di interventi che integrano una nuova e moderna rete di servizi, con misure fiscali e trasferimenti economici.

PRESIDENTE. Onorevole Bocci, deve concludere.

GIANPIERO BOCCI. L'avere ribadito, come ha fatto il Presidente del Consiglio al Senato, la centralità delle politiche per la famiglia nel programma di Governo è un atto di straordinaria coerenza.
Per queste e per altre ragioni, con questa convinzione e con questo impegno, nell'interesse del paese e solo di esso, ci accingiamo a confermare la fiducia a questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della scuola media Bottarelli Pecci di Poppi (Arezzo), che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, non starò a ripetere ciò che hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto.
Certamente siamo in presenza di una situazione anomala. C'è un Governo che ha avuto la fiducia nell'altro ramo del Parlamento, ma, di fatto, si tratta di una fiducia condizionata e limitata nel tempo, così come abbiamo ascoltato da alcune dichiarazioni di voto espresse ieri sera al Senato della Repubblica.
Perciò, è un Governo a termine. Ci troviamo di fronte ad una situazione precaria. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha riconosciuto che questa è una crisi politica, ma è anche una crisi del sistema complessivo sul piano politico. Ci troviamo in presenza, quindi, di un disfacimento non soltanto di una maggioranza, ma anche della politica.
Il tentativo, che nasce dal 1996, proprio del Governo Prodi, di riportare i cattolici-democratici in politica e di un collegamento e di un accordo di Governo con l'estrema sinistra viene oggi riproposto con grande sicumera, ma, soprattutto, con grande affanno.Pag. 37
Credo che bisogna rompere con questo dato, perché non si è riusciti, anche nella storia della sinistra, a mettere insieme i massimalisti e i riformisti della sinistra e, certamente, ritengo che lo sforzo che stanno compiendo Prodi e una certa realtà dei cattolici-democratici, che sono transitati nell'altra area, non possa avere sbocchi e prospettive.
Credo che questa crisi di Governo abbia messo in discussione la politica. Ci troviamo di fronte a un deficit di politica, ad un affievolimento e ad un indebolimento delle istituzioni del nostro paese. È questo il dato più grave e più drammatico. C'è un affievolimento e, soprattutto, vi è una debolezza che si riproduce nel paese in termini drammatici e di grande preoccupazione.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha fatto riferimento ai problemi del Mezzogiorno. In particolare, ha detto che, se nel Mezzogiorno non vi è sicurezza, non vi sarà sviluppo. Personalmente, ritengo che se non vi sono istituzioni forti, se non vi è un Governo forte e se non vi è un Parlamento in grado di esercitare liberamente il suo ruolo, non vi sarà certamente sviluppo né nelle regioni del Mezzogiorno (Calabria, Sicilia, Campania e Puglia), né nel resto del paese. Ecco perché, signori ministri, ritengo siamo ormai giunti al giro di boa. Si pone, dunque, l'opportunità di fare un discorso di rivisitazione del sistema elettorale vigente. Non andava bene nemmeno quello in vigore nel 1994, che è stato il risultato del referendum svoltosi nel 1993. Ricordo che nel 1994 la legislatura si interruppe anticipatamente, e in quella successiva si sono avvicendati ben quattro Governi e quattro Presidenti del Consiglio dei ministri. Soltanto l'ultima legislatura, quella del Governo Berlusconi, si è conclusa nei tempi previsti.
Vi sono altre questioni che ritengo importanti e fondamentali su cui desidero soffermarmi. Tra queste, il programma, articolato in dodici punti, esposto dal Presidente del Consiglio dei ministri. A tale riguardo, approfitto della presenza in aula del ministro dei trasporti, Alessandro Bianchi, per porre all'attenzione dell'Assemblea la questione della TAV. Credo che quello della TAV sia un inganno, in quanto nel programma si parla di alternativa al vecchio tracciato e non si fa riferimento alla realizzazione del tunnel. Ciò significa che la TAV non si farà mai. Osservo, inoltre, uno spegnersi della tensione meridionalista in ordine alle linee ferroviarie transeuropee - penso, soprattutto, all'«espropriazione» del ponte sullo Stretto di Messina -, la cui mancata realizzazione fa venir meno il cosiddetto Corridoio n. 1, Berlino-Palermo.
Vi sono anche altri problemi che chiamano in causa il Ministero dei trasporti, in particolare in ordine alla politica di sicurezza. Personalmente, ritengo che manchi a questo Governo una politica della sicurezza proprio perché si è abbandonata quella tensione che aveva caratterizzato parte della stagione politica del precedente Governo. Penso, ad esempio, a quanto è avvenuto in questa sede in ordine all'adozione di alcune misure di sicurezza - cito il caso delle fasce retroriflettenti -, riguardo alle quali il ministro dei trasporti aveva espresso il proprio assenso alla nostra proposta di non procedere ad alcuna proroga in nome della sicurezza, mentre invece un altro ministro, dopo quindici giorni, ha detto di sì alla proroga. Ciò rappresenta un dato negativo, che offende il Parlamento e mortifica le istituzioni.
Vi sono tutta una serie di problemi che vanno posti in rilievo in questo particolare momento. Faccio riferimento ai problemi del Mezzogiorno. A tale proposito, ritengo che nessuno possa pensare che attraverso le cifre indicate - 120 miliardi - tali problemi si possano risolvere. Questo Governo non sta mettendo in condizione il Mezzogiorno di esprimersi per fare emergere una cultura meridionalista, in termini nazionali ed europei, che si agganci, in prospettiva, ai flussi culturali presenti all'interno del nostro paese e in Europa.
Ma vi è anche, in questo Governo - lo voglio dire con estrema chiarezza -, un ministro guardasigilli (che rispetto: siamo amici e sediamo in Parlamento da tanto tempo) di cui non comprendo alcuni comportamenti. Pag. 38Mi riferisco al suo mancato rispetto delle regole nella decisione di trasferire la scuola superiore della magistratura da Catanzaro - dove la sede era stata fissata - a Benevento. Ciò dimostra una pratica propria dei quartieri di una certa Napoli, dei quartieri «spagnoleschi» di una certa Napoli; un comportamento che fa rivivere anche certi giochi che si fanno a Forcella, noto quartiere napoletano. Ritengo che in tutto ciò non vi sia dignità e decoro!
Signori ministri, il Governo ha avuto la fiducia al Senato, ma come l'ha ottenuta? Attraverso una trattativa «transoceanica» continua con un senatore! Ma ciò non dà dignità, lustro e decoro ad un Governo! E non dà neanche una prospettiva a questo Governo!
Come si può votare una fiducia, signor Presidente, signori ministri, di fronte a posizioni che non condividiamo, che sanno di velleitarismo, di utopismo, a volte manifestato per dare decoro ad una scelta immotivata, che certamente non va giustificata nè accettata.
Siamo qui, ovviamente, per dire che certo siamo a favore di una modifica del sistema elettorale, ma Prodi non creda di poter gestire da solo questo momento. Avevamo già indicato un Governo di responsabilità, di larghe intese, avendo come sfondo una modifica del sistema elettorale che desse più forza alla politica, ai partiti, alla partecipazione, più cittadinanza alle energie che ci sono all'interno del nostro paese.
Nessuno può pensare che l'UDC sia pronta ad essere una ruota di scorta, che possa sostituire qualche altro partito nella gestione del Governo. Noi siamo alternativi alla sinistra e nessuno si faccia illusioni, perché proseguiamo il nostro progetto, quello della costruzione di un centro, di un'area moderata di grande responsabilità all'interno del nostro paese.
Dopo le suggestioni della seconda Repubblica, di cui abbiamo visto i frutti, bisogna ritornare ai grandi valori, che in questo momento devono essere evocati e riaffermati. Ecco, signor Presidente, signor ministro - lei almeno è rimasto in aula! -, ritengo che il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto avere la bontà di seguire il dibattito sulla fiducia che ci ha chiesto. È assente da troppo tempo, forse non ha una grande fiducia nel Parlamento.
Al contrario, noi vorremmo che il Parlamento avesse una maggiore centralità e che le riforme elettorali riguardassero anche le regioni, le province e i comuni, abbandonando questo presidenzialismo assorbente ed assoluto. È possibile il voto diretto del sindaco, del presidente della provincia e della regione, contemperandone però il ruolo con l'attività delle assemblee elettive. Bisogna creare una cultura diversa e la risposta data da Prodi, soprattutto attraverso il modo con cui ha ricevuto la fiducia in Senato, certamente non è quella più opportuna per sfidare i nuovi tempi. Questa fase è chiusa sul piano politico ed istituzionale. Bisogna guardare oltre, perché se ci fermassimo a ciò che abbiamo di fronte, certamente non avremmo orizzonti da percorrere né ideali da perseguire [Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gibelli. Ne ha facoltà.

ANDREA GIBELLI. Grazie, signor Presidente. Molti degli interventi che mi hanno preceduto, soprattutto dai banchi dell'opposizione, hanno fatto riferimento ad un sistema anomalo. La storia politica degli ultimi dieci mesi del Governo Prodi ha dimostrato che esiste un sistema assolutamente anomalo, non solo sul piano politico ma anche sul piano sostanziale con un bicameralismo che non è perfetto nei fatti, visto che la Camera dei deputati è quotidianamente sotto ricatto, impossibilitata a modificare qualunque provvedimento blindato proveniente dal Senato.
Signor Presidente, oggi abbiamo avuto un'ulteriore prova di ciò. La Camera dei deputati non è interessante per il Presidente Romano Prodi, che oggi è assente. Incassata la fiducia per pochissimi voti, il dibattito che riguarda il secondo ramo del Parlamento non è più affare suo. Ciò dà la Pag. 39misura della portata politica ed istituzionale di un discorso che abbiamo ascoltato dal Senato, che di fatto è privo di un vero significato e di una vera prospettiva politica.
Dico questo perché, oltre all'assenza fisica del Presidente Romano Prodi, c'è anche l'assenza intellettuale di chi, al Senato, ha tentato di costruire un intervento di natura politica più sulle cose non dette che sui problemi che il Paese sente. Al Senato, abbiamo assistito ad uno scandalo, per cui, per non scontentare il singolo senatore di Rifondazione comunista, della Rosa nel Pugno, dei Comunisti italiani, dei Verdi, sono state omesse tutta una serie di questioni. Ciò insegna ancora una volta che la sua provenienza, di democristiana memoria, ha permesso le fortune sue e le sfortune e le disgrazie del Paese negli ultimi anni. Dico questo perché c'è una sorta di nostalgia della prima repubblica, che continua ad aleggiare nelle stanze e nelle aule parlamentari.
Ricordo a chi presiede oggi l'Assemblea quale era lo spirito di chi, sei anni fa, si presentò agli elettori - mi riferisco al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi - indicando precisamente ciò che avrebbe voluto fare, posizioni politiche sulle quali ci si può confrontare, essendo d'accordo oppure no, ma che certamente non sono state costruite sulle continue omissioni. Questo è il motivo di scandalo vero che ancora oggi pervade il Parlamento: le cose non dette.
Siamo di fronte ad una questione che non riguarda solo i numeri, perché si può essere autosufficienti in termini numerici ma quanto accaduto al Senato è semplice: non si è autosufficienti in termini politici. La crisi, che comunque è stata individuata nella relazione del Presidente del Consiglio Romano Prodi, è tutta all'interno della politica del centrosinistra.
Allora, la soluzione dov'è? La soluzione è non dire! Lo scandalo consiste nel non fare affermazioni, nel non riportare la propria maggioranza all'interno di un rapporto dialettico corretto: lo scandalo consiste nel non fare affermazioni, attraverso una serie di giri di parole!
Sarebbe stato sufficiente sostituire, magari attraverso un artificio di carattere virtuale, attraverso la tecnologia, il volto di Romano Prodi con quello di qualunque individuo, di destra, di centro, di sinistra, del sud o del nord, prendendo le frasi ad effetto buone per i giornali, per dire: forse aveva ragione. Come si fa a non pensare che le pensioni minime rappresentino un problema da affrontare? Ciò che è mancato, in realtà, è la spiegazione delle modalità con le quali si intende intervenire su questo argomento! Come si fa ad affermare che vi è bisogno di infrastrutture, che c'è un programma di infrastrutturazione per il Paese senza dire esattamente, con precisione, con onestà politica che cosa si intende fare rispetto ad una serie questioni aperte? Il Presidente del Consiglio ha ribadito ieri che esiste un rapporto con gli Stati Uniti ma oggi apprendiamo dalla stampa che il ministro Pecoraro Scanio sta cominciando, attraverso gli uffici tecnici del suo Ministero, a minare un accordo che il Presidente del Consiglio in prima persona aveva garantito: siamo di fronte al solito gioco delle tre carte e il Paese lo sa!
Non si trova più nessuno in giro per le strade che ammette di avere votato per Romano Prodi. Con i giochetti lessicali si tenta di tenere insieme una maggioranza e questo è uno scandalo che non ha alcuna giustificazione sul piano politico.
Non è esultando davanti ai numeri del Senato che ci si salva: ci si salva e si fa salva soprattutto la dignità politica quando si danno risposte concrete.
Il Presidente del Consiglio ha richiamato il Mezzogiorno: sono quarant'anni che ne sentiamo parlare.
Si è parlato di infrastrutture ed è scandaloso che siano state proprio le componenti dell'estrema sinistra, culturalmente ambientaliste, le quali più di vent'anni fa avevano detto sì al ferro e no alla gomma, che oggi, per un puro calcolo politico, hanno cambiato posizione: è scandaloso.Pag. 40
Concludo il mio intervento con una battuta: se il Presidente del Consiglio avesse avuto un minimo di dignità e anche di cultura politica rispetto alla sua storia personale, avrebbe dovuto indicare quale tipo di società e cultura di riferimento voleva destinare al suo Paese, viste le leggi che ha proposto.
Non può venire a dirci che sui Dico il Governo ha fatto la sua parte, lavandosene le mani, come fece Pilato: ne risponderà, prima o poi, al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con l'errata corrige del SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio (si fa per dire), membri del Governo, onorevoli colleghi, oggi affrontiamo una discussione sulla fiducia a seguito del voto di mercoledì scorso al Senato, voto peraltro prevedibile, che aveva come premessa la manifestazione di Vicenza; una manifestazione in occasione della quale gran parte della maggioranza è scesa in piazza contro una scelta del Governo, una manifestazione che ci ha preoccupato, rendendo palese all'opinione pubblica italiana che nel centrosinistra - o, meglio, nella sinistra del centrosinistra - il sentimento dell'antiamericanismo prevale rispetto a quello dell'antiterrorismo.
In questi nove mesi, la maggioranza e il Governo sono stati gravidi di mistificazioni e contraddizioni: mistificazioni su settori importanti, come le liberalizzazioni.
La parola liberalizzazioni, in bocca a chi ha avuto un passato comunista e antimercato, suona grottesca. Dietro queste liberalizzazioni - in proposito si sono verificate puntualmente le nostre previsioni - si sono nascosti i favori agli amici e alle cooperative, sono state colpite le piccole categorie, si sono realizzati aumenti di pressione fiscale e sono stati costruiti impianti di maggiore invasività del controllo fiscale e tributario; infatti, il «grande fratello» tributario si è nascosto dietro il primo decreto Bersani sulle liberalizzazioni.
Ancora, vi sono state mistificazioni in termini di meritocrazia. Questa maggioranza si è riempita la bocca con questa parola e, poi, si è siglato un memorandum sul pubblico impiego che lo sindacalizza. Si sta dando corpo e vita ad un'operazione di sanatoria dei cosiddetti precari delle pubbliche amministrazioni, inserita nella finanziaria, in cui, al di là di ogni criterio costituzionale, regola e concorso, alla faccia degli idonei, si stanno assumendo i cosiddetti precari o i portaborse dei politici locali; tutto questo, tra l'altro, con rilevanti profili di incostituzionalità e, quindi, con il rischio di passare dal danno alla beffa, senza rispettare i più elementari criteri di rispetto degli equilibri di finanza pubblica e di gestione della cosa pubblica, anche ad opera di amministrazioni che non hanno rispettato il patto di stabilità.
Oltre alle mistificazioni, registriamo anche enormi contraddizioni in tema di lavoro, settore nel quale una parte importante della sinistra ha presentato proposte per la soppressione della flessibilità, della legge Biagi e del pacchetto Treu, mentre l'altra, che si ispira a principi più riformisti, sostiene che la legge Biagi debba essere confermata, mantenuta e, semmai, ampliata e completata.
Contraddizioni emergono ancora in termini di riforma delle pensioni, che è qui alle porte e che aspetta il Paese: una parte della sinistra vuole demagogicamente abbassare l'età pensionabile e fa proposte insostenibili per il sistema; un'altra si ispira ad un maggior rigore. Di fronte all'Europa, il Governo ha detto che si sarebbe ispirato al rigore; oggi apre un tavolo perché non sa che decisioni prendere.
Altre contraddizioni aspettano la maggioranza dietro l'angolo, in tema di Dico o in materia di politica estera (tra l'altro, presto, esamineremo in quest'aula il decreto sull'Afghanistan) e su mille altri argomenti che l'agenda della politica metterà di fronte al Parlamento e al Paese.
Abbiamo sicuramente chiara la situazione di questo Governo e non vi permettiamo di attribuire ad una legge elettorale le vostre chiare e forti difficoltà. Dopo le Pag. 41elezioni con una vittoria risicata, per pochi voti contestati, abbiamo proposto un dialogo. Ci avete risposto con atti di bullismo politico e parlamentare. Ci avete risposto a colpi di fiducia che, in questo Parlamento, abbiamo visto essere apposti per far passare provvedimenti che l'opposizione non ha condiviso.
Avete tentato di additare alla pubblica opinione coloro che in piena coscienza hanno rispettato il loro mandato parlamentare ed hanno votato contro la politica estera di questo Governo, perché eletti orgogliosamente nelle fila di partiti che, ancora oggi, si richiamano ad una tradizione comunista e antiamericana e siete riusciti a dipingerli come dissidenti, nemici del popolo e ribelli. Avete poi accolto a braccia aperte l'ex Vicepresidente del Consiglio del Governo Berlusconi. Questa è la vostra cifra politica.
Ad un uomo particolarmente affidabile si può perdonare qualche incapacità; ad un uomo particolarmente capace, si può perdonare anche qualche gesto di arroganza. Il Presidente Prodi si è comportato, in questi mesi, da uomo arrogante ed incapace. Questa è stata la vostra cifra politica e per questo avete confermato i peggiori timori di chi non vi ha votato e avete deluso chi lo ha fatto. Per questo, il «no» di Forza Italia, per questo la nostra opposizione convinta e duratura (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio (si fa per dire), membri del Governo, onorevoli colleghi, oggi affrontiamo una discussione sulla fiducia a seguito del voto di mercoledì scorso al Senato, voto peraltro prevedibile, che aveva come premessa la manifestazione di Vicenza; una manifestazione in occasione della quale gran parte della maggioranza è scesa in piazza contro una scelta del Governo, una manifestazione che ci ha preoccupato, rendendo palese all'opinione pubblica italiana che nel centrosinistra - o, meglio, nella sinistra del centrosinistra - il sentimento dell'antiamericanismo prevale rispetto a quello dell'antiterrorismo.
In questi nove mesi, la maggioranza e il Governo sono stati gravidi di mistificazioni e contraddizioni: mistificazioni su settori importanti, come le liberalizzazioni.
La parola liberalizzazioni, in bocca a chi ha avuto un passato comunista e antimercato, suona grottesca. Dietro queste liberalizzazioni - in proposito si sono verificate puntualmente le nostre previsioni - si sono nascosti i favori agli amici e alle cooperative, sono state colpite le piccole categorie, si sono realizzati aumenti di pressione fiscale e sono stati costruiti impianti di maggiore invasività del controllo fiscale e tributario; infatti, il «grande fratello» tributario si è nascosto dietro il primo decreto Bersani sulle liberalizzazioni.
Ancora, vi sono state mistificazioni in termini di meritocrazia. Questa maggioranza si è riempita la bocca con questa parola e, poi, si è siglato un memorandum. Si sta dando corpo e vita ad un'operazione di sanatoria dei cosiddetti precari delle pubbliche amministrazioni, inserita nella finanziaria, in cui, al di là di ogni criterio costituzionale, regola e concorso, alla faccia degli idonei, si stanno assumendo i cosiddetti precari portaborse dei politici locali; tutto questo, tra l'altro, con rilevanti profili di incostituzionalità e, quindi, con il rischio di passare dal danno alla beffa, senza rispettare i più elementari criteri di rispetto degli equilibri di finanza pubblica e di gestione della macchina pubblica, anche ad opera di amministrazioni che non hanno rispettato il patto di stabilità interna.
Oltre alle mistificazioni, registriamo anche enormi contraddizioni in tema di lavoro, settore nel quale una parte importante della sinistra ha presentato proposte per la soppressione della flessibilità, della legge Biagi e del pacchetto Treu, mentre l'altra, che si ispira a principi più riformisti, sostiene che la legge Biagi debba essere confermata, mantenuta e, semmai, ampliata e completata.
Contraddizioni emergono ancora in termini di riforma delle pensioni, che è qui alle porte e che il Paese aspetta: una parte della sinistra vuole demagogicamente abbassare l'età pensionabile e fa proposte insostenibili per il sistema; un'altra si ispira ad un maggior rigore. Di fronte all'Europa, il Governo ha detto che si sarebbe ispirato al rigore; oggi apre un tavolo perché non sa che decisioni prendere.
Altre contraddizioni aspettano la maggioranza dietro l'angolo, in tema di Dico o in materia di politica estera (tra l'altro, presto, esamineremo in quest'aula il decreto sull'Afghanistan) e su mille altri argomenti che l'agenda della politica metterà di fronte al Parlamento e al Paese.
Abbiamo sicuramente chiara la situazione di questo Governo e non vi permettiamo di attribuire ad una legge elettorale le vostre chiare e forti difficoltà. Dopo le elezioni con una vittoria risicata, per pochi voti contestati, abbiamo proposto un dialogo. Ci avete risposto con atti di bullismo politico e parlamentare. Ci avete risposto a colpi di fiducia che, in questo Parlamento, abbiamo visto essere apposti per far passare provvedimenti che l'opposizione non ha condiviso.
Avete tentato di additare alla pubblica opinione coloro che in piena coscienza hanno rispettato il loro mandato parlamentare ed hanno votato contro la politica estera di questo Governo, perché eletti orgogliosamente nelle fila di partiti che, ancora oggi, si richiamano ad una tradizione comunista e antiamericana e siete riusciti a dipingerli come dissidenti, nemici del popolo e ribelli. Avete poi accolto a braccia aperte l'ex Vicepresidente del Consiglio del Governo Berlusconi. Questa è la vostra cifra politica.
Ad un uomo particolarmente affabile si può perdonare qualche incapacità; ad un uomo particolarmente capace, si può perdonare anche qualche gesto di arroganza. Il Presidente Prodi si è comportato, in questi mesi, da uomo arrogante ed incapace. Questa è stata la vostra cifra politica e per questo avete confermato i peggiori timori di chi non vi ha votato e avete deluso chi lo ha fatto. Per questo, il «no» di Forza Italia, per questo la nostra opposizione convinta e duratura (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Turco. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, signori del Governo, colleghi, la nostra lealtà nei confronti del Presidente Prodi deriva dalla lucida analisi della situazione complessiva del nostro Paese. Sappiamo, come lo sanno il Presidente del Consiglio e soprattutto i cittadini, delle difficoltà strutturali del nostro sistema. Anche la persona meno informata potrebbe fare un lungo elenco di quello che non va, di quello che sarebbe necessario fare e, già che si trova, magari potrebbe anche chiedere al Presidente Prodi di mollare.
Avremmo voluto che il Presidente del Consiglio prendesse le redini del Governo con più forza e più vigore. Tuttavia, anche se questo non è stato possibile, noi siamo determinati a sostenerlo, non perché rappresenti un'alternativa ma per una necessaria alternanza.
Certamente abbiamo bisogno anche di fatti. Senza dubbio il nostro Paese si trova ad un punto in cui l'attuazione di una serie di riforme appare non più rinviabile: da quelle legate strettamente alla vita quotidiana degli individui, dei singoli cittadini - il nuovo diritto di famiglia, le questioni relative alla libertà di cura e di ricerca scientifica, la normativa in materia di sostanze stupefacenti - a quelle economiche, dalla liberalizzazione del mercato del lavoro agli ammortizzatori sociali, alla proposta avanzata dal ministro Bonino di equiparare l'età pensionabile tra uomini e donne.
Non abbiamo difficoltà ad immaginare che ciascun partito della coalizione abbia chiesto al Presidente Prodi, chieda e continuerà a chiedere qualcosa che possa ripagare il proprio elettorato. I deputati della Rosa nel Pugno continueranno a lottare nella convinzione che nessuna riforma, ancor meno quella elettorale, possa essere efficacemente attuata in un contesto di illegalità.
Felix Frankfurter, giudice della Corte suprema degli Stati Uniti, già nel 1943 sosteneva che la storia della libertà è stata, in gran parte, la storia del rispetto delle garanzie procedurali. Chissà cosa avrebbe detto del nostro Paese, se avesse potuto leggere la risoluzione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 14 febbraio scorso, una risoluzione in cui si afferma che, sin dai primi anni Ottanta, l'Italia va accumulando sentenze di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo in ragione dei problemi strutturali legati all'eccessiva durata delle procedure giudiziarie civili, penali ed amministrative, sottolineando inoltre come ciò rappresenti un importante pericolo per la vita dello Stato di diritto nel nostro Paese. Eppure, a fronte di un così grave richiamo, non abbiamo letto nemmeno un trafiletto sulla cosiddetta libera stampa italiana, né abbiamo udito al riguardo una Pag. 42parola dalle cosiddette libere televisioni e neppure dal cosiddetto servizio pubblico radiotelevisivo. Ciò va a riprova del fatto che, là dove lo Stato di diritto è inficiato, è cosa facile negare al cittadino il diritto a conoscere per deliberare, diritto che nel nostro Paese è - a dir poco - difficilmente esercibile.
Nel votare favorevolmente sulla questione di fiducia, noi continueremo a lottare affinché questo stato di illegalità cessi. E vorremmo che, su questo, ci fosse da parte del Presidente Prodi un surplus di sforzo e di lavoro comune. Lo chiediamo personalmente al Presidente Prodi, che abbiamo contribuito in modo determinante a far eleggere. Il Presidente Prodi sa che non facciamo parte della schiera dei delusi, perché siamo tra i pochissimi che in questo Paese non si sono mai illusi. Ma sappiamo - e il Presidente Prodi non può non saperlo - che oggi, anche cambiando squadra, sarebbe pressoché impossibile fare le necessarie riforme. E così sarà fino a quando non saranno rimossi tutti gli ostacoli e non saranno realizzate le riforme di fondo per ripristinare il principio di legalità che nel gioco democratico è regola fondamentale (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Biancofiore. Ne ha facoltà.

MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, componenti del Governo, il leader di Forza Italia, presidente del Consiglio in pectore per la maggioranza dei cittadini italiani - da un sondaggio effettuato anche tra molti elettori del centrosinistra che vorrebbero, peraltro, un ritorno immediato alle urne -, ha definito il Presidente Prodi «povera anima». E devo dire che, sebbene fino ad oggi non mi abbia mai suscitato pena alcuna, poiché lo ritengo disinteressato all'interesse generale dei cittadini, ma scaltro e comprovato tessitore innanzitutto di reti inossidabili di potere, con il discorso di martedì al Senato un minimo di commozione me l'ha ingenerata. Sì perché, sebbene egli sia l'esempio più fulgido dell'esercizio scientifico del voto clientelare, al Senato si è evinto chiaramente (e come mai nella storia della Repubblica) tutto il limite ed il condizionamento in toto del suo mandato e come egli sia vittima di se stesso, ossia della sua pervicace caparbietà nel mantenimento del potere ad ogni costo.
Egli considera il potere, secondo la classica definizione sociologica che darebbe Max Weber, la possibilità che un individuo, agendo nell'ambito di una relazione sociale, faccia valere la propria volontà anche di fronte ad un'opposizione; paradossalmente, però, un'opposizione non parlamentare, bensì intracoalizione, ossia la sua variegata coalizione. E se anche egli ha avuto ieri la fiducia al Senato, credo sia conscio che è ad orologeria, come non ha mancato di sottolineare il senatore Turigliatto, e soprattutto di non avere quella del paese.
Ma nel suo slalom gigante tra Dico, Afghanistan, TAV, basi americane, pensioni (e chi più ne ha più ne metta), il Presidente raggiunge l'apice del castello di carte da gioco del do ut des quando, ancora una volta, come nel primo voto di fiducia di insediamento del suo Governo, è costretto dalla Südtirol Volkspartei, forte dei suoi tre voti al Senato, ad un passaggio ad una non ben specificata rapida attuazione da parte del Governo del punto del programma che riguarda le minoranze linguistiche e le autonomie speciali. E mi dispiace che sia uscita la ministra Lanzillotta, perché avrebbe potuto apprendere che differenza c'è, in Italia, tra autonomie territoriali e autonomie etniche. Peccato che questa maggioranza, la vostra maggioranza, è determinata dalla autonomia etnica portata avanti dalla Südtirol Volkspartei!
Il Presidente, peraltro, oltre a quanto si è attuato, grazie ai suoi Governi, per le minoranze linguistiche, che sono maggioranze in alcune realtà locali, e le cosiddette autonomie speciali, in particolare, dovrebbe sapere, per la provincia autonoma di Bolzano, ovvero per il partito SVP, che è il «convitato di pietra», che, oltre a questo tipo di autonomia, vi è solo Pag. 43la secessione. E lei e la sua maggioranza avete avuto il coraggio di tacciare la Lega di voler dividere il paese con la nostra riforma costituzionale che era, viceversa, una vera compensazione tra doveroso interesse nazionale e compensazione con le autonomie locali.
Il Presidente Prodi (mi è stato chiaro come lo è stato ai cittadini dell'Alto Adige in particolar modo, fin dal suo primo accenno a Bolzano nel corso del faccia a faccia televisivo con il presidente Berlusconi, nel corso del quale ha detto che Bolzano era più cara di Innsbruck), purtroppo, ignora totalmente la realtà di certi autonomie e soprattutto di alcune minoranze che sono maggioranze determinanti in loco e, guarda caso, per il suo Governo e che chiamano gli italiani dell'Alto Adige, del quale egli è Presidente, del quale voi siete ministri del Governo e dello Stato, «Fantozzi» e che stanno operando una progressiva e costante pulizia linguistica della quale il Governo italiano - perché egli questo rappresenta e non se lo dovrebbe scordare mai, anche davanti alle difficoltà delle sua maggioranza - ha dovere di farsi carico.
È di ieri la notizia che la SVP, che si sovrappone alla provincia autonoma (sono la stessa cosa), che fa credere a tutto il Parlamento di essere la minoranza, ha cacciato da una casa ex Ferrovie dello Stato - ministro dei trasporti - un capostazione italiano, con tre figli a carico, e ha, viceversa, confermato la locazione ad uno di lingua tedesca, che si trovava in una situazione totalmente analoga.
Come reagisce Prodi a ciò? Come reagite voi? Mi rivolgo al Presidente e al Governo, che dovrebbero farsi carico di tutti gli italiani, spero anche quelli dell'Alto Adige, e che dicono sempre che tutti gli italiani devono essere sereni: è questo il modo in cui tutti gli italiani possono stare bene?

PRESIDENTE. Onorevole Biancofiore...

MICHAELA BIANCOFIORE. Viceversa, ci si appresta ad approvare un disegno di legge che pone lo Stato in subordine rispetto alle autonomie speciali, dando loro la clausola di garanzia che impedisce matematicamente al Parlamento italiano di modificare gli statuti, ma che, nel caso dell'Alto Adige, taglia fuori, ancora una volta, le vere minoranze in quella terra, gli italiani ladini, dalla possibilità di partecipare alle modifiche dello statuto e quindi di cogovernare l'Alto Adige.
Ebbene, anche di fronte a questo ennesimo smacco, a questa ennesima compravendita di voti al Senato, rispetto a quella che dovrebbe essere una minoranza locale - perché voi siete italiani dello Stato italiano, così come noi siamo italiani dell'Alto Adige -, il Presidente Prodi dovrebbe prendere coscienza di non avere una maggioranza nel paese, dovrebbe tirarsi indietro e dovrebbe capire che non si può essere tirati dalla giacca in tutti i sensi e in tutti i modi. Se facesse ciò, avrebbe molto di più il nostro rispetto e anche quello dei cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ronconi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO RONCONI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, il Presidente Prodi, nel chiedere nuovamente la fiducia al Parlamento, ha presentato una sintesi di programma che ci fa grazia delle 281 pagine del programma dell'Unione, alle quali si è richiamato incessantemente nei primi mesi di Governo. Una sintesi che, più di ogni altro atto, ha dimostrato quanto gli orizzonti dell'impegno del suo Governo si siano ristretti.
Prodi non si propone più di governare per la legislatura, ma di tirare a governare e, soprattutto, di cercare di superare l'attuale momento di straordinaria impopolarità. La caduta del Governo Prodi è stata salutata nelle città italiane come se fosse la vittoria della nazionale di calcio. Prodi ha il merito di aver fatto riscoprire alla gente la passione per la politica, ma quale argomento per celebrare la sua sconfitta.
Il vero problema, oggi, è che si tenta di mascherare una incapacità politica, una Pag. 44reale inconciliabilità tra i partiti che compongono la coalizione, tra una sinistra radicale e quella tradizionale, tra ambientalisti e moderati, tra radicali e cattolici, con una insufficienza della legge elettorale. In realtà, non è così, in quanto solo le inconciliabilità tra i partiti della coalizione impediscono di governare e non questa legge elettorale!
Il problema politico è costituito unicamente dal tentativo di mettere in piedi una coalizione solo per vincere e non da un impegno dei partiti e degli uomini su un progetto omogeneo per il governo del paese. Noi dell'UDC, invece, siamo impegnati proprio su questo, al fine di far avanzare una nuova stagione di responsabilità che abbia ragione su quella attuale, che è solo «muscolare» nonché inutile e dannosa.
Oggi ci chiediamo che significato possa aver posto, nel programma Bignami del Prodi 2, come priorità assoluta la nuova legge elettorale. Oltre ad agitare il batocchio della campana dell'ultimo giro della legislatura, ci si dica cosa viene proposto. Una legge maggioritaria o proporzionale? Una legge mista con un premio di maggioranza o senza un premio di maggioranza? Alla tedesca, alla francese o basata sul modello spagnolo? Con le primarie o senza primarie? Ce lo dica, perché una soluzione è diametralmente opposta all'altra, in quanto sottendono modelli di governo diversi!
La verità è che annunciare la priorità di una nuova legge elettorale corrisponde ad altre esigenze molto più pratiche e forse anche ciniche. Prodi sa bene che il suo Governo, incerto e debolissimo, sorretto dal voto di un senatore argentino e da quello a dir poco problematico di Marco Follini, non avrà la possibilità di condurre il Parlamento verso una nuova legge elettorale condivisa.
Prodi in questo modo scaraventa il pallone in tribuna, prende tempo, rinvia ogni decisione ai disaccordi dei partiti, delle coalizioni e all'interno di queste ultime, intende creare ancora confusione nella sola speranza che il polverone continui a proteggere il suo incerto Esecutivo.
Ma la speranza di Prodi è anche quella che l'impegno sulla nuova legge elettorale divida ancora di più il centrodestra rispetto al centrosinistra che, secondo Prodi, dovrebbe invece contare sul minimo comune denominatore della difesa dell'Esecutivo. Questo calcolo, anche un po' cinico, rischia di fallire.
L'UDC è impegnata verso un sistema elettorale sul tipo di quello tedesco, essendo convinta che ciò aiuterebbe a superare un bipolarismo bastardo in cui le coalizioni si attrezzano per vincere, ma non per governare.
Sono convinto che un impegno serio, per aprire dopo questa infinita transizione una nuova fase per il nostro paese, richiederebbe anche una revisione costituzionale della forma di Governo, inserendo la sfiducia costruttiva e una revisione del bicameralismo perfetto, anche introducendo il Senato federale.
Tutto questo è possibile solo con un Governo diverso, di tregua, e non con la riproposizione di un Governo Prodi composto da parti rissose, divise e incapaci di trovare qualsiasi soluzione, da una sinistra radicale esclusa, nel resto d'Europa, da ogni Esecutivo.
Prodi tenta di sterilizzare la vicenda politica italiana, di pietrificarla solo per continuare a gestire un potere fine a se stesso.
L'UDC non è d'accordo, non vota la fiducia al Governo Prodi. Ciò che ci preoccupa, però, è la sensazione che questa crisi di Governo, in realtà, puntelli l'esperienza di governo della sinistra. La sinistra ha capito che le elezioni anticipate la spazzerebbero via definitivamente, che è meglio arroccarsi nel fortino che scendere nel mare aperto del vero confronto e che lo scambio al mercato della politica tra i senatori De Gregorio e Follini determinerà, probabilmente, un dato politico di apparente vantaggio.
Noi dell'UDC rimaniamo quelli che siamo sempre stati, leali e coerenti con i nostri elettori: noi siamo e restiamo alternativi alla sinistra. L'UDC, dunque, voterà contro la fiducia e, soprattutto, da domani lavorerà con grande determinazione per Pag. 45far cadere definitivamente questo Governo che alimenta il male oscuro del paese, e lavorerà per aprire un nuovo tempo della politica, meno rissoso, meno «muscolare» e più intelligente [Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Francescato. Ne ha facoltà.

GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signori rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, i Verdi hanno vissuto questa crisi - crisi politica, come ha detto chiaro e tondo il Presidente Prodi nel suo messaggio - con grande preoccupazione (come tutti, del resto), ma anche con grande equilibrio e senso di responsabilità. «Responsabilità» è una parola chiave, una parola d'ordine cui ci ha giustamente richiamato il Presidente e che noi Verdi vogliamo interpretare nel senso profondo del termine. Nel fare questo ci richiamiamo a quel principio di responsabilità di cui parla il filosofo tedesco Hans Jonas, definito come dovere morale e civile non solo nei confronti di tutti gli essere viventi del pianeta, ma nel rispetto dei diritti delle future generazioni, con cui è tempo di stabilire un patto vincolante e non più eludibile; su questo tornerò dopo quando parlerò di ambiente, come ci si può aspettare da un'ambientalista storica quale è la sottoscritta.
In ogni caso, non voglio ora sottrarmi, avendo ricoperto anche un ruolo di leader nell'ambito della federazione dei Verdi, ad un impegno politico più ampio, alla necessità di trarre fino in fondo gli insegnamenti conseguenti a questa crisi politica; si tratta di insegnamenti di metodo e di merito, come ha detto il Presidente del Consiglio Prodi.
In primis, per un insieme di forze chiamate a governare il paese e a costruire una repubblica governante e governabile, la piena assunzione del principio di responsabilità. Il che vuol dire che ogni gruppo parlamentare, ogni partito, ogni singolo membro dei gruppi parlamentari e dei partiti deve aderire alla necessità di un'autodisciplina rigorosa che discende dal succitato principio di responsabilità. Per cui, certo, gli spazi di confronto ed anche di dissenso vanno fatti salvi poiché si tratta di una delle gioie della democrazia a cui non vogliamo rinunciare; ad ogni modo, una volta giunti ad una sintesi, ad un'intesa, tutti debbono fare appello all'autodisciplina, talvolta trangugiando qualche boccone amaro, che il processo di mediazione inevitabilmente comporta, per venire a patti con le esigenze superiori dell'unità della coalizione e del bene del paese. Ciò non vuol dire, automaticamente, rinunciare alla propria diversità, al proprio codice genetico, alla ragione d'essere del proprio agire politico, ma vuol dire che bisogna tentare, ogni giorno, ogni ora, di trovare la quadratura del cerchio, che è mission difficile, ma non mission impossibile.
In questi giorni sono stati tantissimi i nostri elettori - sarà capitata sicuramente la stessa cosa agli altri partiti della maggioranza - che ci hanno telefonato, inviato e-mail e fermato per strada per chiederci di arginare la litigiosità militante e permanente che troppo spesso segna la nostra coalizione, e di fare uno sforzo per l'unità e per impedire il disastro che il popolo dell'Unione teme più di ogni altro: il ritorno del centrodestra.
Noi abbiamo il dovere, in nome del principio di responsabilità, di dare ascolto a questo appello; tutto ciò, lo ripeto, senza rinunciare alle nostre diversità, ma facendole strumento di ricchezza e non di separazione.
Non dobbiamo nasconderci gli elementi di divisione legittimi e le legittime diversità di posizione, ma agganciamoci a quella volontà comune che ha ispirato la stesura del nostro programma, quelle 281 pagine - tante quante sono i giorni in cui finora abbiamo governato - che richiederanno molti più giorni per essere tradotte in realtà. Lì dentro c'è l'idem sentire della nostra coalizione, il nostro riferimento cardine.
Facciamo l'esempio a me più caro, ovvero quello dell'ambiente. Per una che Pag. 46da 35 anni predica il matrimonio tra ecologia ed economia e la necessità di integrare le politiche economiche, ambientali e sociali per far fronte alle sfide epocali del cambiamento climatico e del degrado del pianeta, ovviamente è musica leggere nel messaggio del Presidente Prodi che la questione ambientale è centrale per l'Italia ed è una grande opportunità per la qualità della vita, per la competitività e per l'innovazione, con tutto quello che ne consegue in termini di politiche di promozione dell'efficienza energetica, delle fonti rinnovabili, della mobilità sostenibile, della bioedilizia, dell'occupazione verde. Questa è la radicalità autentica che noi ambientalisti e Verdi abbiamo scelto e che porteremo avanti con determinazione nella seconda fase di questo Governo. Già abbiamo cominciato con le strategie promosse dal ministero dell'ambiente e dal nostro gruppo parlamentare nell'esame della legge finanziaria.
Lasciatemi anche dire, a proposito di radicalità, che sarebbe ora di smetterla di collocare sbrigativamente e superficialmente i Verdi nell'ambito della sinistra cosiddetta radicale. Abbiamo grande rispetto e considerazione per i partiti della sinistra radicale e spesso siamo in sintonia con loro su vari temi. In proposito, si soffermeranno la mia collega Luana Zanella ed il nostro capogruppo, Angelo Bonelli. Tuttavia, siamo sostanzialmente altro: siamo una forza politica giovane, nata una ventina d'anni fa, che non deve reggere quindi sulle proprie spalle il patrimonio, ma anche l'onere, di posizioni politiche che hanno origine nel secolo scorso.
Siamo una forza politica europea, perché facciamo parte, non a caso, di una coalizione di 32 partiti verdi europei: dalla Russia alla Spagna, dalla Francia all'Ucraina, dalla Germania alla Turchia. Si tratta di partiti che, non a caso, hanno siglato nel 2004, proprio qui a Roma, un'unione non di facciata, bensì all'insegna di ideali comuni e di un comune agire politico. Ad esempio, da tre anni stiamo portando avanti insieme, non a caso, una campagna comune sul cambiamento climatico. Insomma, facciamo parte di una famiglia verde europea, che è la quarta forza politica nel Parlamento di Bruxelles, ben conosciuto da Prodi. Si tratta di una galassia a sé stante, che per prima ha affrontato e messo al top dell'agenda politica mondiale la centralità della questione ambientale.
Questo avviene mentre molte altre forze politiche, che per decenni non sono state in grado o non hanno voluto riconoscere tale centralità, lo fanno oggi, sia pure con enorme ritardo, costrette a farlo dalla forza degli eventi. Sono reduce da un viaggio a Washington dove mi sono recata insieme al collega Mereu a nome del Parlamento italiano, su invito del Senato statunitense. In quel Paese, anche il governo Bush, in maniera bipartisan, sta finalmente riconoscendo non solo che il cambiamento climatico esiste, ma che è arrivata l'ora di fare qualcosa, anche se in ritardo. Tuttavia, meglio tardi che mai.
Noi siamo ed in fondo ci consideriamo i veri ed autentici riformisti della coalizione. Certamente siamo radicali nei contenuti e pragmatici nel metodo. Lo dimostreremo negli anni a venire, restando come forza - magari piccola, stimolante e a volte anche scomoda, ma sicuramente matura e responsabile - all'interno della coalizione e del Governo. Lo dimostreremo e lo abbiamo già ampiamente dimostrato confermando la nostra lealtà al Governo e rinnovando con il nostro voto convinto, nonostante le difficoltà, i mal di pancia vari ed eventuali, i momenti a volte abrasivi di confronto, la nostra fiducia al Governo Prodi (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Provera. Ne ha facoltà.

MARILDE PROVERA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, ho ascoltato le sue parole che in un passaggio ribadivano il patto di attenzione e di reciprocità di ascolto stipulato con la popolazione e con il suo elettorato. Questo suo impegno è tanto più importante in quanto quelle persone, in carne ed ossa, Pag. 47che hanno voluto indicarla con le primarie come rappresentante della coalizione e che hanno affermato poi con il voto l'elezione della maggioranza, della sua e della nostra coalizione alla guida del paese, attendono da lei e da noi tutte e tutti la realizzazione di quanto affermato sulle piazze e nel programma dell'Unione. Vi è attesa nel paese che non vengano affermati soltanto gli impegni sollecitati dalla comunità internazionale, ma anche le misure concrete, tese a far vivere effettivamente quei provvedimenti che rendano reali gli innalzamenti delle pensioni e dei salari.
Questi ultimi, oggi, faticano a raggiungere la copertura delle spese individuali e familiari per arrivare alla fine del mese. Si attende ancora, perché le promesse fatte non sono state realizzate. Quelle persone, ancora, ripongono fiduciosa attesa perché il destino lavorativo proprio e dei propri figli non sia legato a prospettive incerte di un lavoro precario ed instabile nelle sue possibilità di guadagno di qualità. Attendono fiduciosamente un piano per la casa che garantisca a quelle stesse persone la speranza di poter ambire ad una abitazione almeno decorosa, nella quale vivere e far crescere i propri figli. Esse attendono fiduciose di poter godere del frutto del loro lavoro quando, stanchi di una vita lavorativa non sempre gratificante come per molti di voi e di noi, potranno porsi in pensionamento; attendono fiduciose che un Governo che si è rivolto al popolo tutto consideri il proprio territorio non come terreno di conquiste, di affari e di investimenti, ma come luogo salutare di pace e di crescita, nel quale vivere e prosperare.
Questi sono i parametri che ci compiacciono e danno senso alla ripresa economica. È questo un popolo che non si sottrae ai propri doveri e alle proprie responsabilità, lavorando quando gli è dato di poterlo fare e pagando le tasse fino all'ultimo centesimo. Non si sottrae, tutte le volte che lo si vuole ascoltare, a partecipare alla discussione e alla proposta, per risolvere problemi che vanno al di là dei propri interessi individuali. Se lo si vuole ascoltare, è un popolo da ascoltare.
Così accade che sul terreno della contrattazione dei salari e degli stipendi, campo in cui in tutti questi anni si sono fatti pesanti sacrifici: non solo quei salari e quegli stipendi si sono contenuti in rapporto alle possibilità d'impresa e del paese, ma sono rimasti fermi - loro soltanto! - al valore diretto lira-euro, mentre attorno ad essi tutti i costi si sono raddoppiati in virtù del valore doppio dell'euro sulla lira. È questo il popolo che, versando puntualmente i propri contributi pensionistici, ha costruito un sistema sano che copre ampiamente le pensioni in essere e quelle future e contribuisce con i propri fondi a sanare l'assistenza necessaria e dovuta che, solo parzialmente, lo Stato finanzia con una propria parte di contribuzione ai fondi INPS.
Esso è dunque il popolo che si attende quell'affermazione del programma dell'Unione che faccia giustizia di tutte le ambiguità che inquinano la discussione sulle pensioni: vanno separati i costi delle pensioni da quelli dell'assistenza e si deve lasciare andare in pensione tranquilli gli ultimi pensionandi per anzianità. Essi finiranno nel 2010: ma di cosa parliamo?
È invece necessario concentrarsi sul vero dramma pensionistico che dovrà affrontare il paese: quello delle pensioni dei giovani che, se anche le casse INPS dovessero traboccare d'oro, sarebbero comunque poverissime, a causa del sistema di conteggio in vigore. Le ultime esternazioni e polemiche personali di vari esponenti, anche della maggioranza, hanno avuto solo il pessimo risultato di accelerare le richieste di andata in pensione per timore di un «peggio» che può arrivare.
Ebbene, per non avere sempre il timore di un «peggio», si concretizzi un assetto pensionistico che non faccia più fibrillare per questi ultimi cinque anni i pensionati ancora consegnati al vecchio sistema. Si operi una scelta che consenta di affrontare le pensioni future dei nostri ragazzi, rivedendone l'entità e le modalità di calcolo, affinchè le loro sorti non debbano essere fra breve affidate all'assistenza pubblica. Il popolo che l'ha sostenuta e quello che non si sottrae al lavoro, lo vuole e in modo Pag. 48determinato, anche per far vivere quegli investimenti di studio e formazione che la precarietà, invece, annulla e ottunde. È quel popolo che vuole stabilità nel proprio lavoro, per valorizzare al meglio la propria vita per sé e per la propria famiglia. Allora, ci vuole una riforma del lavoro stabile che faccia perno qualitativo e quantitativo sulle capacità e sulle intelligenze della nostra gente. È quel popolo che, mentre si è battuto e si batte per non vedere deturpato ulteriormente il proprio territorio da un progetto come quello della TAV, si è anche speso per non sottovalutare e sottostimare le esigenze del paese sulle reali - non quelle fittizie - necessità di mantenere e migliorare i nostri collegamenti internazionali.
Perciò ha proposto e continua ad affermare un progetto con il quale non chiede altro che di interloquire, sia su come affrontare e migliorare in modo specifico e diffuso il trasporto merci internazionali sia per affermare al meglio i nostri trasporti locali e nazionali, senza i quali nessun treno ad alta velocità in ogni caso sarebbe utile. Si può fare, se si smette ogni giorno di avere le perentorie certezze di questo o quel ministro o esponente politico, che ha fatto di una sola affermazione, senza saperla mai tecnicamente sostenere, il proprio Moloch, continuando ad avallare costi che si sono più che triplicati rispetto a quelli dei paesi vicini, costi che si sono raddoppiati rispetto alle soluzioni prospettate dalla popolazione locale, per opere che possono essere realizzate in metà dei tempi annunciati.
Perché lo fanno, signor Presidente? Quali interessi, quale prosopopea conduce a tutto ciò? Quella prosopopea sconcerta la popolazione, come quella della Val di Susa, che sente vanificato ogni sforzo propositivo e di elaborazione offerto all'insieme della comunità. Si tacciano gli incompetenti soloni, signor Presidente! Si lascino lavorare gli strumenti della democrazia, per porsi in ascolto attento e consapevole. Gli strumenti ci sono, sono in corso d'opera, sono operativi: l'osservatorio tecnico, la procedura di VIA, la conferenza dei servizi ed altro. Si ascolti e si operi, signor Presidente, come lei afferma nel suo discorso. Si ascolti e si operi in sintonia con quelle persone di buona volontà, che tanta fiducia hanno riposto nella sua persona e nella nostra coalizione.
Quella fiducia che noi oggi rinnoviamo, per corrispondere non tanto agli equilibri economici, che ci richiedono internazionalmente, ma soprattutto per corrispondere a quella nostra popolazione, che ancora da noi attende sconcertata un atto concreto di risposta al voto espresso con tante speranze (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ulizia. Ne ha facoltà.

LUCIANO D'ULIZIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la natura della crisi che stiamo rapidamente superando consiste in due questioni: nella vecchia legge elettorale, che era sbagliata, e nei contenuti del programma, che hanno un forte condizionamento in relazione a ciò che abbiamo ricevuto, ciò che abbiamo ereditato. Noi del centrosinistra, signori ministri, onorevoli colleghi, ci dimentichiamo troppo spesso da dove siamo partiti. Siamo partiti da una legge elettorale volutamente sbagliata e da una finanza pubblica totalmente disastrata. Occorre ribadire questi concetti, per far capire le difficoltà che noi affrontiamo e che stiamo superando. Era stato detto - cito le testuali parole - che con un solo voto in più si governa il paese: Silvio Berlusconi! La legge ha tradito il principio. Il voto in più è stato preso. Per il senso dello Stato di un senatore, il senatore Follini, che non lo ha fatto, come qualcun altro che non cito nemmeno, per convenienza personale, per avere presidenze di Commissioni, ma lo ha fatto appunto per senso dello Stato, perché sa che il paese ha bisogno di un Governo; ebbene, solo per il senso dello Stato da parte del senatore Follini abbiamo avuto una maggioranza politica. Questo bisogna dirlo.
Come bisogna dire che di errori ne abbiamo fatti, ma che il «decalogo» di Pag. 49dodici punti del Presidente Prodi intende riconoscere, ma anche riparare. È qui la diversità della cultura politica che ci ispira, che ispira l'Italia dei Valori, che ispira il centrosinistra. Noi riconosciamo i nostri errori, li vogliamo riparare. Qualcun altro non fa mai errori; è il verbo consacrato e, quindi, non ha bisogno di riparare!
Dobbiamo, cari colleghi, signori ministri, riparare perché «Sagunto combatte, Roma discute». Agli operai, che hanno visto falcidiato, ancora una volta, il proprio salario, ai piccoli impiegati che devono far quadrare i conti, noi non abbiamo fatto un buon servizio. Diciamo: ci siamo sbagliati! I parlamentari, questi parlamentari della maggioranza avevano dato la garanzia che i redditi sotto i 40 mila euro sarebbero stati sollevati leggermente dall'imposizione fiscale. Non è avvenuto. Abbiamo sbagliato. Dobbiamo riparare. «Sagunto combatte», per far quadrare i conti, per dare una risposta ai propri figli, per credere ancora nella cultura della sinistra, però «Roma deve discutere» concretamente e trovare le soluzioni. Quindi, il punto è attuare i dodici punti del «decalogo» Prodi. Ho ascoltato in quest'aula - non voglio difendere alcuno , e tanto meno è lungi da me l'idea di fare una «sviolinata» - descrivere Prodi, il nostro Presidente del Consiglio, come un'opportunista, come una persona...

PRESIDENTE. Onorevole D'Ulizia...

LUCIANO D'ULIZIA. ...attaccata al potere. Non c'è nulla di più falso di tutto ciò! Il nostro Presidente del Consiglio è una persona seria, impegnata e che vuole risolvere i problemi del paese. L'Italia dei Valori lo sosterrà in tutti i modi, riparando agli errori che pure ci sono stati.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cacciari. Ne ha facoltà.

PAOLO CACCIARI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, sono tra coloro che hanno apprezzato il tono e le disponibilità al dialogo contenute nelle comunicazioni del Presidente Prodi. Ho capito che il vostro Governo vuole evitare semplificazioni riduttive e tentazioni dirigistiche e che, invece, preferisce mettersi in ascolto e in sintonia con i corpi sociali intermedi diffusi, finanche con quelli meno organizzati, meno protetti, meno rappresentati, ma che concorrono a costituire il tessuto delle relazioni umane, familiari, professionali e comunitarie su cui si poggia la democrazia politica.
Rubo una bella frase al collega Caldarola: «L'aspirazione a governare non può tralasciare il fondamento della rappresentanza». Tra le opere che il vostro Governo deve mettere in cantiere credo che la più importante sia quella di elevare il tasso di democrazia della nostra società. Dobbiamo, tutti insieme, tentare di smentire coloro che danno per «persa» la politica, chiusa in stanze separate ed impenetrabili dalle istanze popolari di partecipazione dell'impegno civile e disinteressato dei cittadini a difesa dei loro diritti, a partire da quello di voler vivere in pace. Al contrario, mi auguro che il vostro Governo possa sapersi giovare delle forze e delle spinte dei cittadini e, così facendo, darà una risposta alla crisi di autorevolezza e di credibilità della politica.
Con questo spirito voglio segnalare due personali - ma spero non in contrasto con quelle del mio gruppo -, sofferenze. Anzitutto, sulla missione militare in Afghanistan, condivido l'affermazione secondo cui serve una soluzione politica, ma mi chiedo se, dopo cinque anni, 82 miliardi di dollari di spese militari, 200 mila profughi, per non dire dei 50 mila civili periti, non si debba fare un altro passo logico, razionale e riconoscere che l'opzione della piena vittoria militare è di ostacolo alle iniziative di riconciliazione delle parti in lotta, di ricostruzione pacifica di quel paese.
In secondo luogo, il cosiddetto piano delle grandi opere, così come quello energetico e dei trasporti, non esiste: è al massimo un elenco di interventi eterogenei, scombinati, diseconomici, poco e male finanziati che le popolazioni si vedono Pag. 50calare sui loro territori già devastati dall'abbandono delle politiche urbanistiche, unico caso in Europa. L'aria, l'acqua ma anche il suolo sono beni scarsi, anzi rari. Sui nostri territori si consuma ogni giorno uno scontro improbo, asimmetrico tra le comunità degli abitanti residenti ed enormi interessi speculativi finanziari ed immobiliari.
Chiedo al vostro e al nostro Governo, in nome di quell'idea di democrazia aperta e inclusiva di cui parlavo prima, di scegliere da che parte stare (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, Prodi otterrà qui la fiducia come ieri l'ha ottenuta al Senato, ma ha ormai perso la partita politica. Ha tentato l'impossibile: unire sotto la sua leadership forze politiche unite dall'anti-berlusconismo, ma portatrici di visioni della società, dell'economia e, probabilmente, perfino del mondo non solo diverse ma opposte. La sua crisi di oggi non è una sorpresa ma era prevedibile e prevista. Non è una crisi di numeri ma politica, iscritta nel DNA dell'Unione. Politica internazionale e di difesa, politica economica e fiscale, politica della giustizia: non si governa con forze politiche che su questo propongono soluzioni antitetiche. Lo ha detto bene nell'intervista di oggi su la Repubblica il Vicepresidente del Consiglio Rutelli - che, peraltro, nel 2001 guidò uno schieramento in cui non c'era Rifondazione Comunista -, affermando che l'Italia è l'unico paese dove la sinistra massimalista è al Governo.
Per questo, ritengo che Prodi non possa governare, non ha governato e non governerà. Di legge elettorale è bene che si discuta, ma non centra nulla la legge elettorale con quello che sta accadendo in questi giorni. Anzi, grazie a quella legge elettorale, Prodi ha una maggioranza blindata alla Camera, a fronte di una manciata di voti di scarto, ed una risicata maggioranza al Senato, in presenza di un esito elettorale in cui la coalizione dell'Unione ha preso meno voti della Casa della libertà. Nessuno, mi rivolgo ai colleghi della maggioranza, può legittimamente dire che le estreme sono un problema simmetrico ai due schieramenti. Ho molte ragioni per essere stato decisamente insoddisfatto dell'attività del Governo precedente, deluso per le tante cose che potevano essere fatte e non sono state fatte, ma non mi sfugge e non può sfuggire a nessuno, signor Presidente, che, seppure con un Esecutivo di coalizione, il Governo Berlusconi ha retto per cinque anni, gli anni più difficili dal dopoguerra, una politica estera univoca, leale con gli alleati, coraggiosa e coerente; tra le altre cose, ha fatto la riforma delle pensioni e dei fondi pensione, quella della Banca d'Italia, ha ridotto le tasse - anche se meno di quanto fosse necessario - ed ha consegnato a questo Governo un paese in grado di agganciare la ripresa europea con un gettito fiscale in costante e strutturale aumento, tanto da avere nel 2006 - sono i dati dell'ISTAT resi noti oggi - un deficit praticamente in linea con Maastricht, ovviamente al netto degli oneri straordinari.
Credo che il centrodestra debba sfruttare questi mesi per darsi una nuova missione, scrivere un nuovo patto con gli italiani che sia di modernizzazione economica ed istituzionale, nel segno della libertà e non della conservazione, meno che mai della reazione sul piano sociale. Un centrodestra moderato, popolare e liberale come quello degli altri grandi paesi europei, ma so che quello del Governo precedente è un buon punto di partenza e lo sanno gli italiani. Come eletto di Forza Italia e come presidente dei Riformatori liberali non voterò la fiducia a questo Governo per tantissime ragioni, però ne voglio citare due.
L'Italia ha oggi una buona legge sulle pensioni, che prevede i 60 anni come requisito minimo per l'accesso alle pensioni di anzianità per chi non abbia ancora raggiunto i 40 anni di contributi. Questo Governo la vuole cancellare, ripristinando Pag. 51lo status quo precedente, magari condito con qualche fumisteria sugli incentivi per rimanere al lavoro più a lungo. Se toccherete lo «scalone», signori del Governo, come vi apprestate a fare, sarà una vittoria del sindacato dei pensionati e pensionandi privilegiati, ma sarà una sconfitta di tutti giovani lavoratori e dei giovani disoccupati. Oltre la retorica, signori del Governo, non vi è che questo: una nuova penalizzazione per le giovani generazioni.
Infine, aggiungo due parole sulle unioni civili. Sono tra coloro che, nel centrodestra, erano fortemente interessati a partecipare ad una discussione parlamentare, aperta e leale, affinché si arrivasse ad una normativa non reticente sul riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali (perché il riconoscimento giuridico è un fatto di civiltà che, di per sé, non implica né le adozioni né la reversibilità della pensione) e sulla tutela dei diritti delle persone eterosessuali conviventi.
Prodi, su ciò, ha compiuto un vero capolavoro: ha voluto avocare al suo Governo l'onere e l'onore di preparare un disegno di legge, giungendo ad un brutto compromesso tutto interno alla maggioranza e all'Esecutivo. Il «mostriciattolo» giuridico dei Dico, inaccettabilmente fragile e giuridicamente ambiguo, è arrivato in Parlamento con la strada pregiudicata dalla discussione maggioranza-opposizione. Ora Prodi se ne lava le mani e abbandona la sua creatura con la formula ipocrita che il Governo ha svolto il suo compito e ora tocca al Parlamento. Chi crede di prendere in giro? Chi credete di prendere in giro?
Sui provvedimenti Bersani o Lanzillotta il Governo considera forse esaurito il compito e si rimette, con indifferenza, alla libertà di coscienza dei parlamentari? Suvvia, Presidente Prodi: il suo Governo, anzi il suo comportamento ha affossato la possibilità - temo - che in questa legislatura sia varata una legge riguardante le coppie di fatto.
Per questo e per tante altre ragioni non voterò la fiducia al Governo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO ADDOLORATO GIACINTO NARDUCCI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, voterò a favore della mozione di fiducia al Governo presieduto dall'onorevole Prodi, coerentemente con il voto da me espresso all'atto della sua costituzione. Voterò a favore per convinzione e per senso di responsabilità verso gli italiani residenti all'estero che mi hanno eletto e che hanno condiviso un programma fondato sul rilancio e la valorizzazione della nostra rete strategica di presenza nel mondo.
I dodici punti prioritari e non negoziabili indicati dal Presidente Prodi e dall'intera coalizione, dopo che il Governo è stato messo in minoranza sulla politica estera, indicano una linea realistica di continuità con gli obiettivi contenuti nel DPEF, che rappresentano in pari tempo il caposaldo e il percorso obbligato per una prospettiva corrispondente alle esigenze del paese. Il Governo ha dimostrato la capacità occorrente per risanare l'economia del paese e avviare i processi di riforma delle liberalizzazioni che il nostro sistema economico e sociale esige, ma le priorità presentate da Prodi indicano anche l'azione che il Governo intende perseguire in politica estera, che tante tensioni ha generato.
Onorevoli colleghi, credo che sulla politica estera del Governo siamo troppo presi dai giudizi della stampa e dalle «beghe» di «casa nostra» e poco attenti ai giudizi provenienti dall'estero, che da mesi valutano positivamente la linea impostata dal ministro D'Alema, una linea che ha ridato una politica estera dignitosa all'Italia e ha recuperato prestigio nel contesto internazionale. Abbiamo abbandonato il corso della politica estera unilaterale e abbiamo ricondotto la nostra politica estera sotto lo scudo del multilateralismo, nel rispetto degli obblighi determinati dalle nostre alleanze in Europa e nel mondo, nel rispetto della nostra Pag. 52vocazione alla pace sancita dalla Costituzione e nel rispetto delle decisioni stabilite in ambito ONU.
Voto la fiducia al Governo perché ciò è in continuità con la scelta fatta dagli elettori, che hanno avuto fiducia in noi consapevoli che la coalizione raggruppava partiti, idee e persone diversi tra loro; componenti che però trovano in Prodi il punto di sintesi, sancito dalle primarie. Non ci sono maggioranze alternative; lo hanno decretato gli elettori, anche se nell'ambito di una legge elettorale che per giudizio unanime va cambiata in fretta. E in tale direzione lavoreremo insieme ed io la ringrazio, signor Presidente Prodi, per avere indicato la riforma del sistema elettorale tra le priorità da affrontare con urgenza, perché governabilità, stabilità e rappresentanza democraticamente scelta sono esigenze vere di questo paese che non hanno raffronti nei nostri partner europei.
Al Governo chiediamo più attenzione per le politiche verso i giovani, che hanno bisogno di prospettive e certezze nel futuro; manca un sistema di orientamento professionale vero, svolto dalle istituzioni, così come avviene nella maggior parte dei paesi europei industrializzati, ed è preoccupante constatare come tanti giovani laureati non rientrino in Italia dopo le esperienze fatte all'estero nel campo della ricerca scientifica e scelgano altre destinazioni dove mettere a frutto il nuovo sapere acquisito.
La rapida attuazione dei corridoi europei merita una sottolineatura particolare, che del resto coincide con le affermazioni del Presidente Prodi; se oltre un secolo fa non avessimo realizzato la galleria del San Gottardo e del Sempione, i rapporti tra i paesi europei non si sarebbero sviluppati con rapidità e tanto meno si sarebbe affermata un'economia di pace tra nord e sud Europa. Oggi, abbiamo le tecnologie e le conoscenze necessarie per affrontare le sfide delle infrastrutture; la Svizzera lo sta dimostrando con la costruzione contemporanea di due nuove trasversali alpine.
Onorevoli colleghi, il Presidente Prodi ha trasformato l'episodio della crisi di Governo in un momento di rilancio ed anche in una necessaria riflessione sulla strada da percorrere per la crescita dell'intero sistema paese.

PRESIDENTE. Deve concludere...

FRANCO ADDOLORATO GIACINTO NARDUCCI. Con questa fiducia, vogliamo rilanciare un Governo più forte, capace di rendere l'Italia sempre più europea, con un'assunzione di ruoli più impegnativi, che trovano già espressione nella presenza del nostro paese nel Consiglio di sicurezza dell'ONU, nella cooperazione atlantica e in quella allo sviluppo, nella presenza delle nostre forze di pace e sicurezza dal Kosovo fino al Libano ed all'Afghanistan. Testimoniamo che la linea di questo Governo è di grande dignità agli occhi del mondo, contrariamente alla sicumera che caratterizza la competizione politica; come italiani nel mondo, siamo orgogliosi di questo Governo, portatore di una presenza dell'Italia sia nelle istituzioni internazionali sia nei punti di crisi e di sofferenza secondo i valori della dignità della persona. Per questo, signor Presidente, confermo la mia fiducia al Governo (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15 con ulteriori interventi sulle comunicazioni del Governo.

La seduta, sospesa alle 14, è ripresa alle 15,10.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, il deputato Parisi è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Pag. 53

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione)

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono iniziati gli interventi.
È iscritto a parlare l'onorevole Leone, al quale ricordo che ha dieci minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, vorrei stigmatizzare il comportamento del Presidente del Consiglio, che ha ritenuto - forse perché ne aveva più la necessità, come è sotto gli occhi di tutti - di essere presente ininterrottamente al dibattito al Senato: qui invece se ne è infischiato, grazie a qualche voto in più che raccoglie in quest'aula. Tant'è... Evidentemente è disinteressato anch'egli: dopo aver perso tutto quel tempo a stilare i dodici comandamenti, non gli interessa ciò che viene fuori da quest'Assemblea.
E sì, perché c'è un nuovo programma. Ci troviamo di fronte ad un nuovo programma, che non è quello delle 281 pagine e neanche quello dei dodici punti. È sotto gli occhi di tutti che il nuovo programma - come ormai gli stessi cittadini italiani lo denominano - è proprio quello di Oggi le comiche. Stiamo parlando, infatti, di questo modo di fare da parte del Governo. Cosa significa - si chiedono i cittadini - andare al Senato, farsi bocciare un'azione politica - parliamo di politica estera - e poi ritornare davanti agli stessi uomini che non l'hanno approvata per farsi dare la fiducia anche su un aspetto, che non è sicuro possa cambiare. Nel frattempo non solo le cose non sono cambiate, ma si è addirittura insicuri sull'esito di quell'azione politica. Oltretutto, da un punto di vista tecnico, vorrei comprendere che fine faccia la mancata approvazione della risoluzione, in presenza di una apposizione di fiducia che scaturisce proprio da quell'atto venuto fuori con il voto contrario da parte del Senato. Chissà cosa pensa - questo dovrebbe interessare il Governo, anche per la sua propensione alla comunicazione - la «signora Maria» di ciò che sta accadendo ed è accaduto. Bando alle battute, forse l'azione politica di questo Governo merita di ottenere la fiducia. Facciamo un brevissimo excursus di ciò che questa maggioranza ha fatto in dieci mesi di governo, in maniera molto, molto, incisiva.
Ha compromesso quasi del tutto il programma delle grandi opere, che è stato sempre auspicato dalle imprese, dai cittadini e dall'Europa stessa. In quest'ottica, ha cancellato il ponte sullo stretto di Messina, ha messo nell'incertezza il Mose, ha messo sotto ricatto la realizzazione del Corridoio 5 Torino-Lione. Ricordo che entro pochi mesi perderemo i finanziamenti europei. Il tratto Lisbona-Kiev, secondo le aspettative di alcuni membri del Governo e di alcuni componenti della maggioranza, dovrà passare al di sopra della catena alpina, tagliando fuori l'Italia. E, sempre in materia di TAV, il decreto Bersani ha revocato - lo ripeto: ha revocato - le concessioni già rilasciate per le tratte Milano-Verona-Padova e Milano-Genova.
Questo Governo sta demolendo la riforma dell'istruzione targata Moratti, anteponendo l'odio ideologico ed iconoclasta del centrosinistra alla cura degli interessi dei nostri giovani e, quindi, del nostro paese. Ha lasciato inattuata una riforma che era stata fatta con tanta fatica - parlo della riforma della giustizia - per dare sostanzialmente conto alla pressione virulenta di una parte della magistratura, quella più politicizzata.
Ha messo sotto attacco - e continua a farlo per le divisioni interne a questa maggioranza - la riforma Biagi, che ha contribuito non solo a creare occupazione, ma anche a metterci in linea con le esigenze europee e degli gli altri paesi.
Il Governo ha raggiunto il top con la legge finanziaria, nella quale ha dato il peggio di sé, con una torchiatura fiscale di 50 miliardi di euro (tutti ricorderanno che ne sarebbero bastati 15) in primis per la sete di vendetta - lo ripeto: vendetta - nei Pag. 54confronti di tutte quelle categorie, che il Governo stesso pensava non avessero dato il consenso a questa maggioranza, mettendo da parte il contenimento della dinamica delle spese correnti, che era tra l'altro nel programma della maggioranza stessa.
Tutte quelle risorse che - guarda caso - sono entrate in più - ciò induce a stigmatizzare oltremodo l'atteggiamento del Governo - per l'azione della politica economica del Governo Berlusconi, sono così destinate ad essere distribuite agli amici degli amici.
Vedete, da ultimo, le nefandezze messe in atto con il decreto «mille proroghe» approvato lunedì scorso in quest'aula. Si tratta di una serie di regali e regalini ad una moltitudine di amici violando i regolamenti, poiché si è dato mandato al Governo per l'attuazione di una delega che lo stesso si era impegnato a non attuare e perché sono state adottate le leggi ad personam (qualcuna, grazie a Dio, cancellata proprio dal Parlamento successivamente all'approvazione) e si è omesso di inserire nella finanziaria una norma, che riguardava la confisca dei beni relativi ai reati conseguenti all'azione di alcuni pubblici amministratori.
Insomma, tutta l'efficacia della politica economica del Governo Berlusconi, che ha portato alla manna costituita dall'enorme mole di denaro regalata a questo Governo, non viene messa da parte per diminuire le tasse e per aumentare lo sviluppo e le buste paga dei cittadini - si è visto cosa è accaduto con la busta paga dello scorso gennaio - ma soltanto per accontentare tutta una serie di esigenze di amici degli amici e di cooperative rosse e rosa. Ciò è sotto gli occhi di tutti, sia nei primissimi provvedimenti che hanno portato all'attuazione di alcuni punti della finanziaria, sia in quelli che saranno messi in cantiere nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, ove mai questo Governo durasse. Non voglio parlare, poi, del cinema e di tutto quello che è stato messo a disposizione di un settore, che nulla ha mai dato ai cittadini, ma solo ad alcuni soggetti.
Veniamo per un momento anche all'esame di qualcuno dei dodici punti del programma, perché, naturalmente, il rovescio della medaglia va visto rispetto al programma e a ciò che non è stato approvato dalla maggioranza o presunta tale. Ci dovrebbe essere una differenza tra i dodici punti e il programma di 281 pagine per far sì che la maggioranza, che sostanzialmente ha dato la sfiducia al Governo, adesso possa votare la fiducia. Altrimenti, di che cosa parliamo? Non riusciamo a renderci conto del motivo per cui oggi siamo in quest'aula a discutere di una fiducia che non dovrebbe essere cambiata, ove mai i dodici punti non fossero cambiati rispetto al programma originario.
Il primo punto è proprio quello della politica estera. Che cosa è cambiato - si chiede la famosa «signora Maria» - per quanto riguarda gli impegni internazionali? È cambiato qualcosa? È cambiato qualcosa rispetto al «no» dato alla risoluzione sulla politica estera dal Senato? È cambiato qualcosa nel Rossi o nel Turigliatto di turno o di quanti altri non hanno inteso votare quella risoluzione, a parte i nuovi acquisti e qualche piccolo numero, nefandezze che ha fatto solo e soltanto il centrodestra, perché il centrosinistra mai si sporcherebbe le mani con l'acquisto di senatori e i passaggi da uno schieramento all'altro? «Dio ci liberi da una politica di questo tipo», dicevano quelli del centrosinistra. Adesso la perseguono.
La Torino-Lione farà o no parte del Corridoio 5? Udiremo ancora gli esponenti di questo Governo manifestare tutta la gamma delle loro - come dire? - propensioni personali? Li sentiremo ancora dire «sì», «no», «non so», «forse, senza tunnel», «forse»? Li ascolteremo ancora dire tutto ed il contrario di tutto riguardo ad una vicenda che è il cuore...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ANTONIO LEONE. Ho già esaurito il tempo a mia disposizione, signor Presidente? In tal caso, le chiedo di concedermi ancora qualche minuto perché, come sa, abbiamo rinunciato ad un intervento di Pag. 55cinque minuti. Ad ogni modo, mi accingo a concludere.
Per quanto riguarda il settore dell'energia, ai rigassificatori si dirà «sì» o «no»? Quale fine farà il rigassificatore di Brindisi? E le pensioni, amici cari? Andremo avanti, come previsto dal «punto 8», con Follini e Pallaro? E come la mettiamo con i sindacati, dopo le immediate dichiarazioni dei loro rappresentanti, del ministro Damiano, dei Comunisti italiani e di Rifondazione Comunista? Siete qui a chiedere la fiducia e noi a discutere sulle comunicazioni del Governo, quando sappiamo che tante cose non sono assolutamente cambiate!
Dimenticavo la cosa più importante, signor Presidente. Tra i «dodici punti» proposti dal premier Prodi ve n'è uno che sembra essere il più importante, perché dalla realizzazione di esso dipenderanno il futuro del Governo e quello del nostro paese, anche sul piano delle relazioni internazionali: riuscirà Sircana ad essere, come previsto dal «punto 11», il portavoce di tutti? Questa è la domanda che ci assilla di più, signor Presidente!
Tiriamo le somme: gli italiani si sono divertiti abbastanza! Adesso, questo Governo deve smetterla di fare ridere e deve fare una cosa seria: deve andare a casa! Grazie, signor Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Leone.
È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, alcune considerazioni, che sono il frutto del confronto svoltosi in questi giorni all'interno dei Verdi, sono già state rappresentate dalla collega Francescato, assieme alla soddisfazione di veder ribadite, nell'intervento del premier, le ragioni dell'ambiente e la centralità della questione ambientale in quest'epoca di stravolgimenti climatici e di assalto irrazionale e squilibrato alle risorse irriproducibili del pianeta. Aggiungerò alcune note di riflessione, che porgo all'attenzione sua e di chi mi ascolta.
Il discorso che ha accompagnato il rinnovo della richiesta di fiducia comincia, con molta onestà e realismo, analizzando la crisi politico-istituzionale, che trascende l'attualità, ma che nell'attualità si è manifestata in tutta la sua gravità ed intensità. Seppur annunciata, seppur prevedibile, la crisi ha colpito tutti con violenza: ciascuno o ciascuna ha provato sgomento ed ha avvertito la consapevolezza che lo scossone, il terremoto da noi vissuto rischiava non soltanto di colpire al cuore un progetto, una speranza - quelli dell'Unione - ma anche di consegnare al paese uno spettacolo indegno ed inaccettabile della politica e delle istituzioni ed ottime ragioni per aumentare la diffidenza e la lontananza dei cittadini.
Com'è stato sottolineato, la crisi presente si iscrive nell'incompiuta, lunga transizione che ha logorato il sistema novecentesco della rappresentanza, le sue istituzioni, i suoi linguaggi e, forse, i suoi protagonisti. Ben venga, quindi, l'invito a far diminuire i protagonismi, gli esibizionismi e i narcisismi - le virili lotte per il primato, aggiungo io - e ad una più umile dedizione al proprio dovere, come avvio di cambiamenti soggettivi pure indispensabili per modificare il mondo.
Seppure necessaria, nemmeno una nuova riforma della legge elettorale può, da sola, rappresentare il rimedio al male, neppure tanto oscuro, del sistema partitico e politico, che dovrebbe reggere le sorti del paese e contribuire a reggere ed a correggere quelle del mondo.
Nel corso della passata legislatura non c'è stato spazio alcuno per affrontare efficacemente i nodi della questione istituzionale: la riforma costituzionale - non posso purtroppo entrare nei dettagli - del centrodestra, approvata a colpi di maggioranza, frutto di bassi compromessi tra le anime distanti e irriducibili di quella maggioranza, è stata fortunatamente bocciata dal popolo. Né va dimenticato che è stato il centrodestra a regalarci una legge elettorale, Pag. 56il cui mutamento è ora invocato da tutti, a partire dal Presidente della Repubblica.
Onestamente, però, va anche ricordato che la modifica del Titolo V della Costituzione, operata dal centrosinistra in dirittura d'arrivo della XIII legislatura senza il voto dell'opposizione, seppur confermata dal successivo referendum, nei rapporti tra forze di maggioranza e minoranza aveva rappresentato uno strappo che abbiamo in seguito pagato; così come la grande spinta verso un federalismo compiuto e coerente con il tessuto sociale, produttivo e culturale, che soprattutto, ma non esclusivamente, le aree maggiormente sviluppate e ricche esprimevano ed esprimono è stata smorzata, quasi inibita. È stata persa l'occasione di una possibile saldatura tra dinamiche sociali ed economiche e processo di autoriforma del sistema politico-istituzionale, nonostante i generosi tentativi rappresentati, tra l'altro, dai movimenti dei sindaci e delle autonomie locali. Il rischio di consegnare alle forze politiche di destra, reazionarie, xenofobe, razziste, la domanda di autogoverno, di vera autonomia non è affatto scongiurato nemmeno ora, se non procediamo - celermente - almeno alla concretizzazione del federalismo fiscale.
È evidente che governare sapendo stare alla durezza e alla complessità della realtà e delle sfide epocali, cui anche il suo discorso, Presidente, fa riferimento, è tutt'altro che semplice e richiede uno sforzo enorme, una condivisione programmatica solida, un rinnovato patto tra le forze che compongono l'Unione, ma non credo che questo sia sufficiente, per quanto necessario, affinché si esplichi pienamente ed efficacemente l'azione del Governo, la cessione di sovranità che lei chiede ai ministri e ai diversi partiti della nostra coalizione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 15,30)

LUANA ZANELLA. Sono fiduciosa, siamo fiduciosi nella sua capacità di sintesi, di mediazione alta nei possibili dissensi che si possono manifestare anche nel nuovo percorso che ci apprestiamo a inaugurare, ma il Governo, il buon Governo, deve confrontarsi con il paese reale, le forze sociali, i movimenti, le comunità locali che intendono e pretendono di contare, di rappresentarsi, spesso senza mediazione nella scena pubblica.
Questo è avvenuto a Vicenza e il peso che tale questione ha avuto sulle vicende successive ha a che fare sicuramente con un problema e un nodo di fondo: non la sinistra radicale, non ambientalisti e pacifisti scalmanati hanno rifiutato la decisione di costruire una nuova base militare a ridosso del centro storico cittadino, ma un'intera comunità, mal rappresentata, composta di donne, di uomini, giovani, anziani, di sinistra, di destra, di centro, che affermavano e affermano ragioni di buonsenso, largamente condivise e con cui noi, ceto politico, che abbiamo chiesto e ottenuto il loro voto, abbiamo il dovere di confrontarci e agire di conseguenza nelle nostre scelte.
Noi pensiamo che l'ascolto, l'interlocuzione seria e convinta con i territori e le forze sociali del paese siano indispensabili all'azione stessa del Governo, al senso profondo della rappresentanza.
Non dimentichiamo che la grande reazione al berlusconismo e la spinta alla nascita dell'Unione molto devono ai movimenti, che si sono espressi per la difesa dello Statuto dei lavoratori e della legalità, per la pace contro la guerra. Non dimentichiamo il popolo delle primarie, unito, ma orgoglioso e ricco delle proprie differenze e differenti ragioni.
Il lavoro di sintesi, cui il premier si impegna con coraggio e determinazione non può quindi prescindere dal dialogo, dal confronto duro e faticoso, ma, appunto, ineludibile con il paese reale con le sue contraddizioni, conflitti, aspettative e speranze.
Buon lavoro, quindi, Presidente, a lei, al Governo e a tutti noi (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Monaco. Ne ha facoltà.

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FRANCESCO MONACO. Grazie, Presidente. È nostro dovere riflettere criticamente e, perché no, autocriticamente sulla crisi politica che si è aperta. Se elaboreremo il fattore all'origine di questa crisi, ne sono convinto, essa si risolverà in un chiarimento politico provvidenziale. Tuttavia, prima di passare alla parte critica e, ripeto, autocritica vorrei declinare le ragioni che ci hanno guidato nella conduzione della crisi per contribuire ad un suo esito, mi auguro, positivo.
La prima ragione è la seguente: ancorché di misura e sulla base di regole elettorali concepite per limitarne la portata, l'Unione le elezioni le ha vinte! Non condivido la tesi secondo la quale avremmo da subito dovuto prendere atto di un pareggio e acconciarci ad una sorta di Governo assembleare. Sarebbe stata una soluzione in contrasto con il modello di democrazia competitiva che ci siamo dati, con i programmi nitidamente alternativi tra i due schieramenti, con i sentimenti e gli orientamenti degli elettori e con il tenore stesso della campagna elettorale. Quella di governare sulla base di un limpido mandato non è attaccamento al potere, ma una precisa responsabilità.
In secondo luogo, ci eravamo dati un programma concepito sul tempo di una legislatura. Nei nove mesi alle nostre spalle, rimontando una situazione pesantemente critica abbiamo fatto cose che rivendichiamo come buone sul fronte della politica estera, nel risanamento finanziario e nell'impulso alla crescita economica, di cui si vedono i primi risultati, nel processo delle liberalizzazioni. Tuttavia, un disegno riformatore, per sua natura, si distende lungo un arco di tempo che non può essere di mesi. Ripeto, la nostra è una legittima e onesta rivendicazione dei risultati conseguiti nonostante la risicata maggioranza, ma si tratta soltanto del primo stadio di un programma e di un disegno riformatore. Abbiamo, credo, il diritto ed il dovere di dare seguito ad essi affinché gli elettori possano poi giudicare.
In terzo luogo, come si è palesemente dimostrato nel corso delle consultazioni, in questa legislatura una maggioranza alternativa a quella, pur esile, espressa dalle urne non c'è. Le nostre tensioni sono sotto i riflettori come è giusto che sia, avendo noi responsabilità di governo, ma a dispetto delle apparenze l'opposizione è di gran lunga più divisa di noi, non solo sulle soluzioni a breve, ma, ciò che più conta, sulle prospettive strategiche. Berlusconi agita sondaggi che darebbero la Casa delle libertà in siderale vantaggio, ma finge di ignorare che la Casa delle libertà non esiste più e che nel corso della crisi gli amici dell'UDC, magari esagerando un po', hanno parlato addirittura di quattro opposizioni.
Infine, quarto elemento, come ha fatto autorevolmente intendere il Capo dello Stato e come ha efficacemente argomentato, cifre alla mano, forse il più autorevole studioso di sistemi elettorali, intendo il professor D'Alimonte, con questa legge elettorale anche un'eventuale vittoria netta del centrodestra sortirebbe una risicatissima maggioranza al Senato.
Dunque, sulla base di questi elementi, va apprezzato lo scatto di responsabilità, lo spirito di unità di cui ha dato prova l'Unione nella gestione della crisi, confermando unanimemente il patto politico siglato non solo e non tanto tra le forze che la compongono, quanto con i cittadini, resistendo alle lusinghe e alle sollecitazioni tese a dare vita a soluzioni confuse e pasticciate.
Dopo avere declinato le buone ragioni che ci hanno condotto si qui, merita tuttavia scavare alle radici di una crisi genuinamente politica, che lo stesso premier non ha esitato a denominare come tale, regolandosi di conseguenza, dando cioè dimissioni costituzionalmente non richieste, così da produrre un chiarimento politico sotto l'alta equanime regia istituzionale del Presidente della Repubblica.
Se si va alle radici della crisi si deve convenire che il problema non riguarda solo il nostro campo di alleanze, ma il sistema politico nel suo complesso, la sua cultura, le sue regole, i suoi attori. Innanzitutto le regole, quelle elettorali e quelle istituzionali; ora conveniamo tutti sull'esigenza di sbarazzarci della sciagurata legge Pag. 58elettorale vigente, ma essa non è senza padri, qualcuno deve risponderne. Fu voluta da una parte contro l'altra con il preciso obiettivo di produrre frammentazioni ed instabilità e di gettare sabbia nel motore delle più alte istituzioni.
In secondo luogo, la questione delle regole è strettamente connessa con quella degli attori politici, partiti e coalizioni. Abbiamo tutti - e rilevo tutti - il problema di passare da coalizioni elettorali a coalizioni in senso proprio di Governo e di contrastare l'esasperata frammentazione politica. È il tema aperto - e, soprattutto, tra noi già ad uno stadio avanzato - di dare vita a partiti a vocazione maggioritaria.
In terzo luogo, la democrazia governante che abbiamo inaugurato, una conquista dalla quale non dobbiamo recedere, presuppone anche un cambio di cultura politica: da una cultura della mera rappresentanza ad una cultura di Governo. A ben riflettere si possono leggere così anche le defezioni dei due senatori, che sono state causa prossima della crisi e che, anzi, sono stati bersaglio di giustificatissime critiche, ma anche di espressioni di solidarietà da parte del proprio bacino circoscritto di riferimento. Ma ecco l'elemento: ciascuno di noi deve sentirsi vincolato ad un programma e ad una coalizione di Governo, sottolineo di Governo, cui corrisponde la metà e più del paese. Ancora, tale cultura di Governo non è completamente snaturata.
Se questi sono i problemi alla radice della crisi, essi interpellano non solo la maggioranza ma anche l'opposizione. Nelle sue comunicazioni alle Camere, Prodi ha avanzato tre linee di risposta a queste questioni. La prima circa le regole è quella di un luogo parlamentare in cui maggioranza e opposizione possano mettere a punto non solo una nuova legge elettorale, ma, se possibile, anche gli adeguamenti istituzionali e costituzionali ad essa connessi. Una proposta aperta ma ispirata all'obiettivo di non tornare indietro rispetto a due preziosi guadagni: quello di un limpido bipolarismo, di una sana competizione democratica tra proposte di Governo, tra loro alternative, e, secondo, il potere di scegliere i Governi e la loro guida in capo ai cittadini, attraverso il loro voto, anziché rimettere i Governi medesimi alle transazioni tra i vertici di partito a urne chiuse.
La seconda linea di risposta sta nell'anticipazione dell'esigenza di rafforzare l'Esecutivo e il premier attraverso un'affermazione di leadership da parte del Presidente del Consiglio. Per via politica, con il celebre punto 12, Prodi si mostra determinato ad anticipare ciò che in futuro dovrà essere sanzionato per via costituzionale, ovvero un potere reale in capo al premier di dirimere le controversie che insorgono dentro la compagine governativa. Perfino nella scorsa legislatura, un premier incline all'idealismo come Berlusconi, che pure vantava straordinari mezzi e poteri extra politici ed istituzionali, sostenuto da una larghissima maggioranza parlamentare, ha misurato la sua debolezza come ruolo istituzionale, tanto che, ancora oggi, gli viene utile attribuire i vistosi limiti del suo Governo a tale debolezza.
Infine, i 12 punti di Prodi, tra i quali, non a caso, figurano priorità programmatiche e qualificanti ed insieme controverse (penso all'Afghanistan, alla TAV, ai rigassificatori e alla previdenza), rappresentano non già una svolta al centro - mi permetto di osservare - ma un'accentuazione del profilo riformatore di Governo e di un Esecutivo deciso ad accompagnare la modernizzazione del paese.
A ben vedere, le tre linee di risposta avanzate da Prodi mirano a corrispondere esattamente ai tre problemi sopra evocati, quello delle regole istituzionali incompiute, quello di forze politiche dotate di cultura di Governo, quello, infine, di una cultura che non sia di mera rappresentanza ma orientata alla decisione di Governo.
Il chiarimento politico che abbiamo avviato a valle della crisi dovrà declinarsi, poi, in più direzioni e questo riguarda soprattutto noi, l'Unione. Penso alla politica estera con la consapevolezza che l'altra faccia della politica estera è la politica Pag. 59della difesa (base di Vicenza compresa), che le responsabilità internazionali dell'Italia sono prescritte dal nostro multilateralismo e che la pace da mantenere o da ripristinare, talvolta dolorosamente, prescrive il ricorso proporzionato alla forza nel quadro della legalità internazionale. Penso alla politica economica e sociale, dove l'attenzione all'uguaglianza fa tutt'uno con le misure per la crescita e dove le liberalizzazioni rappresentano un potenziale fattore di equità e di giustizia specie verso le giovani generazioni, dentro un paese ingessato che ha disperato bisogno di ripristinare la mobilità sociale. Penso alle politiche di sostegno alla famiglia, che non hanno bisogno tanto di un sovraccarico nelle dispute ideologiche, ma di misure concrete e possibilmente convergenti. Penso, infine, alla politica istituzionale e alla stessa legge elettorale, rispetto alla quale, anziché astrologare su modelli stranieri, che mal si attagliano al caso italiano, dovremmo prima metterci d'accordo sui fini politici del mezzo, che è appunto la legge.
Le leggi elettorali sono mezzi, buoni o cattivi a seconda del fine che ci si propone. Per quel che mi riguarda, il fine era è e resta quello di stabilizzare il bipolarismo, di non recedere rispetto alla conquista del potere di scelta dei Governi da parte degli elettori, di favorire Governi di legislatura, di ripristinare il rapporto tra elettori ed eletti reciso dall'attuale legge elettorale. Ma questo è un problema sul quale torneremo nelle prossime settimane, nei prossimi mesi (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Angelino Alfano. Ne ha facoltà.

ANGELINO ALFANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo Prodi non poteva non cadere. Infatti, è caduto. È un Governo che è nato male, che ha vissuto peggio e che, infine, è morto, sebbene oggi si tenti di dare una rappresentazione di vita; in realtà, è tenuto in piedi solo da una maggioranza artificiale, retta dal vicepresidente del Consiglio del Governo che, per anni, avete avversato, ossia dal senatore Follini.
Nonostante, sia tenuta in vita dal senatore Follini, crediamo che, prima o poi, qualcuno staccherà la spina. Del resto, in questa vostra maggioranza sono in tanti ad essere a favore dell'eutanasia quando si tratta della vita di un uomo. Evidentemente, quando si tratta della vita del Governo, si scoprono le virtù dell'accanimento terapeutico. Ma a questo punto, vi chiediamo almeno un sussulto di pudore: non prendetevela con la legge elettorale!
Ho ascoltato un dibattito accademico su cosa sarebbe accaduto a questo Governo se fosse stato eletto con un'altra legge elettorale e non ho sentito nessuno della sinistra ricordare che, nella legislatura 1996-2001, questa stessa sinistra diede vita a 4 Governi impersonati da tre Presidenti del Consiglio, salvo poi individuare un quarto soggetto, per sfidare Silvio Berlusconi, ancora una volta leader dell'aria moderata del nostro paese.
Allora, se la legge elettorale non è la causa di questa crisi di Governo, cosa ha prodotto la caduta del Governo Prodi? Se non è la legge elettorale, a nostro avviso, è la vostra cronica incapacità di governare un paese complesso come l'Italia, è il vostro vizio inguaribile di dare un Governo dirigista ad un paese a forte impronta individualista, dove l'intraprendenza dell'italiano è vista da voi come un male da combattere e non come una virtù da coltivare, è la vostra presunzione di poter guidare l'Italia, senza sapere dove andare, senza darsi un compito, senza avere una missione.
Dunque, come unica missione, vi siete dati quella di sopravvivere, quella di tirarla per le lunghe, tentando di governare il paese il più possibile. Ovviamente, tutto ciò presuppone una condizione, ossia quella di non decidere su nulla, quella di non assumere alcuna decisione che possa far scappare al Senato uno dei 158 eroi moderni che reggono un Governo che di eroico non ha nulla, uno di quei 158 che vi può scappare al di là degli ordini di partito e a cui è necessario dire che le cose Pag. 60si fanno se il senatore le desidera e che, se non si fanno, è perché il senatore non le desidera.
Dunque, non una parola chiara sull'alta velocità, non una parola chiara sulla TAV, non una parola chiara su tutto ciò che avrebbe potuto produrre contrasti!
E poi c'è una cosa che, francamente, è quasi comica: come si fa ad affermare, nell'ambito dei 12 punti, che, in caso di contrasti, decide il Presidente Prodi? Mi sa tanto di quelle istruzioni per l'uso nei medicinali, laddove vi è scritto: nel caso in cui il sintomo si protragga - nella fattispecie, la lite - rivolgersi al medico. Qui il problema è il medico, che è Prodi! Se non si comprende che proprio colui al quale viene affidata la decisione finale rappresenta il problema di questa coalizione, non si è colta l'origine della malattia!
Aggiungo, peraltro, che anche qualora i partiti agli ordini di Prodi fossero d'accordo, resterebbe comunque il fatto che i partiti stessi si sono dimostrati inidonei a controllare i propri gruppi parlamentari: ne viene fuori un quadro di ingovernabilità assoluta e vera!
Allora, la domanda che in piena coscienza ciascuno di noi dovrebbe porsi, a cominciare dal Presidente del Consiglio, è se sia responsabile e corretto, nei confronti dell'opinione pubblica internazionale e del nostro stesso paese, affidare la guida della sesta potenza industriale del mondo all'influenza malcurata di un senatore oppure al noleggio di un altro senatore, che ci sta sul voto di fiducia ma non ci sta sui Dico, che ci sta sul voto di fiducia ma non ci sta sull'Afghanistan, che ci sta sul voto di fiducia ma non ci sta sulla TAV!
Il vero punto di questa crisi è che si è instaurato un clamoroso contrasto e conflitto di interessi tra il Presidente Prodi e l'Italia. Ciò che va bene a Prodi, vale a dire galleggiare e non decidere, non va bene all'Italia! Questo è il punto di snodo di questa crisi e questo sarà il punto sul quale, ancora una volta, cadrà Prodi (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bocchino. Ne ha facoltà.

ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, tra oggi e domani si concluderà, con il voto di fiducia qui alla Camera dei deputati, l'iter di una crisi per certi versi paradossale, ma anche anomala, che per la prima volta ci ha posto una serie di questioni istituzionali rispetto alle quali non possiamo far finta che nulla sia accaduto.
Da questa crisi emerge che domani, una volta ricevuta la fiducia da questo ramo del Parlamento - dove, grazie ad una legge elettorale troppo velocemente criticata, con soli 20 mila voti di scarto, si ha un numero considerevole di deputati in più rispetto all'opposizione -, tornerà nella pienezza delle sue funzioni il Governo di Romano Prodi.
Ma qual è il mandato che ottiene il Governo di Romano Prodi dalla sua maggioranza risicata e dal Parlamento? È un mandato chiaro, preciso e netto: un mandato a non governare. È la prima volta nella storia repubblicana e forse nella storia del parlamentarismo occidentale che il Presidente del Consiglio ottiene dalla sua maggioranza non il mandato a governare, ma il mandato a non governare. Infatti, sulla base di quanto emerso in questi giorni durante i lavori del Senato, è evidente che i partiti della maggioranza hanno detto a Romano Prodi di stare attento perché, nel caso in cui intendesse procedere con le riforme, immediatamente verrebbe a mancare la maggioranza.
La pseudomaggioranza ha detto a Prodi di non occuparsi di politica estera, altrimenti mancheranno i numeri di alcuni senatori e quindi non ci sarà più né la maggioranza né il Governo. La pseudomaggioranza ha detto a Prodi di non occuparsi delle missioni internazionali, dei temi etici, delle pensioni e del mercato del lavoro. Dunque, è emerso un invito a non far nulla, un invito alla stagnazione, perché senza la stagnazione qualcuno deve dare sfogo ai propri rimorsi di coscienza facendo mancare quel voto decisivo che tiene in piedi il Governo.Pag. 61
Ecco perché il Presidente del Consiglio somiglia tanto a quei presidenti di società che hanno ricoperto un ruolo importante e che poi, al momento della pensione, vengono nominati presidenti onorari; si dà loro la macchina, l'autista e l'ufficio. Ecco chi è oggi Romano Prodi: una sorta di Presidente onorario del Consiglio, con macchina, autista ed ufficio, ma impossibilitato a procedere a riforme o a scelte chiare e nette rispetto alle esigenze del paese.
Il vostro Governo al Senato ha ottenuto 162 voti - appena due in più di quelli richiesti dal regolamento -, utilizzando i quattro voti dei senatori a vita. Non voglio contestare il diritto di votare dei senatori a vita ma, quando si costituisce una maggioranza sul voto di chi, per natura istituzionale, non può essere inserito all'interno di questa o quella coalizione, significa che esiste un problema. Non si tratta di un problema regolamentare, ma politico. Il Governo ha ottenuto una maggioranza cosiddetta politica che, richiesta in 158 voti, non è stata tale.
Il vostro Governo ha avuto soltanto 157 voti, più l'appoggio esterno del senatore Turigliatto che ha detto: «Oggi do la fiducia, ma sappiate che domani voterò contro i provvedimenti sottoposti all'esame di quest'Assemblea». Quindi, avete certamente ottenuto i 162 voti che servivano, ma grazie a quattro senatori a vita. Avete certamente i 158 voti che costituiscono una risicatissima maggioranza politica, ma grazie ad un senatore che vi ha garantito solo un appoggio esterno.
Ecco come salta il nostro bicameralismo e il principio fondamentale sul quale si basano le Assemblee, le quali a che cosa servono? Le Assemblee servono a formare delle maggioranze e a non permettere ad una sola persona di decidere. Voi avete messo in piedi un sistema tale di fiducia al vostro Governo per cui una persona sola decide: su ogni provvedimento basta una sola persona a far sì che lo stesso venga approvato o meno e che il Governo possa andare avanti o meno. Anche se dal punto di vista numerico e regolamentare la maggioranza teoricamente sussiste, in questo modo si nega il principio fondamentale su cui si basa l'Assemblea, così come è stata pensata dai padri costituenti.
Quindi, con la paralisi del Parlamento vengono meno tutti gli intenti riformatori, che pure ci sono all'interno della compagine di Governo, ma che vengono soffocati dall'incapacità della sinistra di governare. Qual è la lezione impartitaci a causa di questa crisi, pochi mesi dopo l'inizio della legislatura? Voi, grazie all'utilizzo di tanti artifizi, potete anche vincere le elezioni, ma non riuscite a governare, a garantire stabilità al paese. Questo accade perché l'Italia è un paese con un'ampia maggioranza moderata, mentre voi costruite la vostra maggioranza alternativa basandovi sull'odio e non sulla volontà di miglioramento del paese.
Ormai, a nostro giudizio, il Presidente del Consiglio Prodi ha la sindrome di Stoccolma: dopo essere stato prigioniero di quella sinistra massimalista che lo fece cadere durante la sua prima esperienza, egli si è innamorato del carceriere, ha spostato l'asse troppo a sinistra e non ha fatto proprio un insegnamento di Nenni, il quale diceva che a sinistra trovi sempre qualcuno più puro che ti epura: ecco che cosa è accaduto. È accaduto che la sinistra massimalista, di fatto, ha epurato Prodi, ha epurato quel riformismo che pure presentava dei germi all'interno del centrosinistra e ha lasciato il Presidente del Consiglio a Palazzo Chigi a giocare a Risiko; egli sta giocando con dei soldatini, con dei carri armati di plastica e tra poco questo gioco finirà (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Picano. Ne ha facoltà.

ANGELO PICANO. Signor Presidente, colleghi deputati, gli incidenti di percorso del Governo al Senato hanno messo a nudo una crisi politica conseguente al venir meno della preminenza dello spirito di coalizione rispetto agli interessi particolari di alcune sue componenti. Eppure, in pochi mesi l'Esecutivo, presieduto dall'onorevole Prodi, è riuscito a centrare gli Pag. 62obbiettivi che si era prefisso approvando una legge finanziaria che, avendo rimesso a posto i conti pubblici, ha inviato dei chiari segnali di affidabilità all'Europa e ai mercati internazionali. Il Governo ha proceduto ad un'accentuazione delle politiche di pace nelle relazioni con gli altri paesi, ha rimesso in moto i cantieri nel campo delle infrastrutture, ha liberalizzato alcuni servizi, avviato una redistribuzione del reddito e previsto ingenti finanziamenti per il Mezzogiorno.
Questi atti, però, sono stati costantemente segnati da un'intensa litigiosità tra i partner della coalizione, appannando così i risultati conseguiti e ponendo delle serie perplessità sulla tenuta del Governo.
La litigiosità ha messo a nudo una cultura che ha esaltato i diritti individuali rispetto a quelli della comunità, come nel caso dei Dico che hanno dato l'impressione di eludere i veri problemi della famiglia (fisco, assegni familiari, scuola, case), lo strumento primario per mantenere una vera coesione sociale. L'iniziativa sulle unioni di fatto, così come proposta, ha provocato il rigetto nel mondo cattolico e in molta parte di quell'elettorato che formava una delle componenti essenziali del blocco sociale che aveva portato l'Unione alla vittoria elettorale.
Constatiamo con piacere che tra i dodici punti del programma esposto dal Presidente del Consiglio un posto di rilievo abbia il rilancio delle politiche a sostegno della famiglia attraverso l'estensione universale di assegni familiari più corposi ed un piano per la costruzione di case a costi accessibili nonché un numero di asili nido sufficiente.
Siamo del parere che si possano trovare strade alternativo ai Dico per tutelare i bisogni dei singoli conviventi, senza tuttavia ricorrere ad un riconoscimento di rilievo pubblicistico. La famiglia ha un ruolo pubblico che significa, in sostanza, non solo luogo di conferimento di status giuridici, ma anche luogo di riproduzione della vita. Essa può avvenire anche al di fuori, tuttavia la famiglia è il luogo depositato alla riproduzione della vita e sopratutto quello nel quale per definizione vi è solidarietà orizzontale e verticale.
Il particolare statuto giuridico di cui gode la famiglia comporta non solo diritti, ma, forse in primo luogo, dei doveri. La famiglia svolge una funzione pubblica nell'educazione, nella crescita dei piccoli e nella cura dei malati e degli anziani; laddove non esiste, essa viene lasciata alla collettività generale con conseguente aggravio del bilancio dello Stato.
Vicina alla crisi della coesione sociale vi è quella ambientale, che pure è di rilievo mondiale e rappresenta una vera e propria emergenza. Le preoccupazioni sull'inquinamento atmosferico sono universali e richiedono grande collaborazione tra gli Stati ed i popoli. Le grandi crisi di inquinamento e climatiche riguardano tutti gli Stati perché tali fenomeni non si fermano alle frontiere. Siamo d'accordo nel rispettare gli impegni di Kyoto e nel costruire una cultura di rispetto dell'ambiente, a cominciare dalla scuola, ed un'economia sempre più rispettosa delle esigenze di avere aria e terra pulite. Sarà necessaria una riconversione produttiva e consumistica, ma in questo modo salvaguarderemo la nostra salute ed il futuro del pianeta. Le misure della legge finanziaria si muovono su questa linea ed è urgente tradurre le previsioni in provvedimenti legislativi ed attuativi.
Anche in politica estera sono emersi desideri di disimpegno, con venature di antiamericanismo che risentono di una cultura che ritenevamo appartenesse al passato. L'alleanza con gli Stati Uniti è stato uno dei pilastri della politica dell'Italia nel dopoguerra, assieme a quella per la costruzione dell'Europa. Queste costanti debbono rimanere nella consapevolezza che i problemi della sicurezza e quelli dell'approvvigionamento energetico sono tali che possono essere risolti solo con un approccio multilaterale e di intesa con le grandi democrazie occidentali, che hanno fatto del rispetto dei diritti umani il fondamento dei loro Stati.
Per questo riteniamo non eludibile la nostra permanenza in Afghanistan, per Pag. 63difendere la nostra e l'altrui sicurezza, anche se siamo d'accordo con il Governo sul fatto che un'azione militare non sia sufficiente se non è accompagnata da una proposta politica che crei equilibri stabili nella zona, coinvolgendo tutti i paesi confinanti. Il terrorismo può essere sconfitto se esiste coesione tra gli Stati, se si lavora per sradicare le radici dell'odio e se si porta avanti una politica di sviluppo e di cooperazione tra i popoli.
Il voto di fiducia di ieri al Senato, ottenuto con appena un voto in più rispetto alla maggioranza politica, e le esperienze di un Governo battuto in precedenti sedute ci obbligano a riflettere sulla necessità di riforme per garantire il corretto funzionamento delle istituzioni attraverso una legge elettorale che permetta di avere una maggioranza stabile e definita. Il Presidente del Consiglio ha riconosciuto che la legge elettorale ha assoluta priorità rispetto a qualsiasi progetto di riforma costituzionale. Egli ha giustamente lasciato al Parlamento il compito di trovare su questi temi il più ampio consenso possibile, poiché le leggi elettorali, come le modifiche alle Costituzione, non devono essere decise solo dalla maggioranza. Il Presidente del Consiglio ha continuato auspicando una legge che garantisca ai cittadini di poter scegliere non solo il partito, ma anche un programma, una coalizione, una proposta di governo, un Primo ministro. I princìpi enunciati ci trovano perfettamente d'accordo, anche per evitare un referendum che sarebbe dirompente per un paese come l'Italia.
Si parla di vari modelli elettorali, ma in molti è viva la tentazione di semplificare con forza il sistema politico, eliminando i partiti minori come se fossero loro la causa della crisi ed essa non fosse, come il Presidente del Consiglio ha riconosciuto, di natura politica. Nell'ordinamento italiano vi sono già sistemi elettorali, come quello comunale e regionale, che garantiscono la stabilità, pur non prevedendo una soglia di sbarramento.
I giornali hanno dato rilievo nei giorni scorsi alle indicazioni di riforma elettorale del professor D'Alimonte. La proposta introduce una serie di correzioni alla legge attualmente in vigore, con la previsione della preferenza, il voto ai diciottenni al Senato, l'impossibilità di candidarsi in più collegi, l'inclusione dei voti della Valle d'Aosta nel calcolo del premio di maggioranza alla Camera, il mancato conteggio dei voti di lista sotto la soglia ai fini dell'assegnazione del premio di maggioranza alla Camera e al Senato.
Queste proposte possono esser una buona base di discussione in vista di una riforma che salvaguardi le esigenze di stabilità del sistema, assieme a quella di garantire una rappresentanza a tutte le voci di una certa consistenza che sono presenti nel paese.
Alcuni anni fa l'onorevole Ruffilli, di fronte allo strapotere della partitocrazia, aveva chiesto di restituire lo scettro agli elettori: egli non proponeva in questo modo un sistema autoritario, bensì il ritorno alla democrazia dei partiti nel contesto della modernizzazione di uno Stato democratico che deve essere caratterizzato da una distinzione dei poteri e dalla centralità del Parlamento e quindi dalla democrazia dei partiti. Una pluralità di partiti che esprimono tutte le correnti culturali e politiche presenti nel paese ha permesso all'Italia una crescita prodigiosa nel dopoguerra. Le tante crisi di Governo che si sono succedute nell'era repubblicana erano dovute o alla difficoltà dei problemi da affrontare ovvero alla crisi scoppiata all'intero dei grandi partiti. Perciò, nella riforma elettorale, vanno tutelate le forze minori in grado di dare voce ai gruppi sociali che non vedono nei grandi partiti uno strumento idoneo per la tutela dei loro interessi.
In questo spirito, onorevoli colleghi, noi popolari-UDEUR garantiamo tutto il nostro convinto appoggio al Governo Prodi. Grazie.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Laurini. Ne ha facoltà.

GIANCARLO LAURINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Presidente del Consiglio nelle sue comunicazioni, tra le Pag. 64altre cose, ha toccato, per così dire, a volo d'uccello - con una superficialità che caratterizza i suoi dodici punti -, il problema del Mezzogiorno, affermando che il suo sviluppo mantiene un'importanza centrale nel programma di Governo. Tuttavia, se devo giudicare da quanto Governo e maggioranza hanno fatto con la legge finanziaria per il 2007 e dalla politica condotta in questi mesi, avverto - con ennesima e profonda delusione - una grande preoccupazione: il Governo, purtroppo, ci promette solennemente di mantenere lo stesso, sostanziale disinteresse sin qui avuto per il Mezzogiorno. Ne è prova inoppugnabile il fatto che esso si limiti a richiamare ancora una volta - evidentemente per i non addetti ai lavori, cioè la stragrande maggioranza degli italiani - il quadro strategico nazionale 2007-2013 per l'allocazione dei fondi comunitari nelle aree sottosviluppate, quasi che, pur nella loro esigua ricaduta sul Mezzogiorno, si tratti di stanziamenti di questo Governo e non di somme già previste.
Il Presidente del Consiglio, inoltre, afferma che senza sicurezza non vi sarà sviluppo, così come in passato - cito testualmente - non vi è stato sviluppo nelle aree in cui l'illegalità ha agito da padrona. Un Governo serio e che realmente abbia a cuore l'esigenza di considerare responsabilmente il problema del Mezzogiorno come problema nazionale - cosa su cui ormai tutti convengono -, se è dotato di capacità progettuale e di una visione chiara dei problemi, non può limitarsi a fotografare la realtà, ma deve proporre coraggiosamente soluzioni. Un Governo non può limitarsi a promesse vaghe e facilmente eludibili, come voi fate. Oltre tutto, non è la prima volta che Romano Prodi non mantiene le promesse fatte solennemente al Mezzogiorno. Già nella campagna elettorale del 1996 egli promise sulle piazze di Napoli e di tutto il Sud, nel caso in cui la coalizione di centrosinistra da lui guidata avesse vinto, che avrebbe magicamente trasformato il Mezzogiorno in una nuova e felice California - cito ancora una volta testualmente -, «sostenendone lo sviluppo, facendo leva, da una parte, sul turismo e sui beni culturali che hanno nel centro storico di Napoli la punta dell'iceberg» (noi per quel centro abbiamo chiesto invano una particolare attenzione nella legge finanziaria!) e assicurando altresì all'intero territorio quella sicurezza necessaria alle imprese per insediarvisi e produrre lavoro ed occupazione.
Ciò, è bene ricordarlo, dopo che l'IRI, sotto la sua presidenza, aveva sprecato per Bagnoli 1200 miliardi delle allora vecchie lire per potenziare e ammodernare uno stabilimento siderurgico che andava invece dimesso, come studiosi ed economisti e come la stessa Comunità europea allora autorevolmente sollecitavano e raccomandavano al nostro paese.
Il Mezzogiorno, Presidente Prodi, non si governa con promesse vaghe ed inevase o con inutili sprechi a tutti i livelli. Non basta chiedersi se mandare o meno l'esercito a Napoli, decisione sicuramente positiva se inquadrata nell'ambito di un più ampio ed articolato intervento straordinario per la città e per il Sud. Bisogna cercare di capire - e dubito che questo Governo ne abbia seria volontà e capacità - che cosa c'è dietro l'illegalità diffusa e perché si è creato nel Mezzogiorno una sorta di anti-Stato che, come Prodi riconosce, la fa da padrone. Bisogna rendersi conto che qui non si tratta di invogliare imprenditori e turisti a venire al sud con agevolazioni fiscali, sconti speciali e quant'altro, per indurli a vivere, operare e fare turismo in aree irrimediabilmente a rischio. Occorre rimuoverne le cause, investire con idee e progetti nuovi, con uomini e mezzi eccezionali, per ricondurre lo Stato là dove non c'è più, in quei territori dove imperano camorra, n'drangheta, mafia e Nuova Corona, che hanno costruito una sorta di ordine extrastatuale e metagiuridico, in un intreccio perverso di connivenze ed omertà, che ha fatto dell'illegalità un sistema di vita e, ahimè, occasione di lavoro e strumento abnorme e incivile di sopravvivenza e paradossalmente di tutela dei più deboli.

Pag. 65

PRESIDENTE. La invito a concludere, deputato Laurini.

GIANCARLO LAURINI. Si tratta di una sfida che va molto al di là delle capacità e delle possibilità di questo Governo, che ha ormai perduto ogni credibilità nella stessa maggioranza, alla quale continua pervicacemente a chiedere di essere sostenuto.

PRESIDENTE. Deve proprio concludere.

GIANCARLO LAURINI. Agli italiani del Centro e del Sud non resta che sperare che non ci sia molto tempo per provocare ulteriori ed irreparabili danni al paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Venier. Ne ha facoltà.

IACOPO VENIER. Il Governo Prodi torna in quest'aula a chiedere la fiducia del Parlamento, per poter continuare il suo lavoro nell'interesse dell'Italia. Noi Comunisti Italiani non faremo mancare il nostro voto. Ribadiamo la fiducia al Presidente Prodi, come abbiamo fatto dal lontano 1996, quando per la prima volta le forze democratiche e progressiste conquistarono tutte insieme il Governo del paese. Sono passati più di dieci anni da quel momento e l'Italia ha dovuto conoscere il disastro e l'umiliazione del Governo delle destre, prima di potersi rialzare.
La vittoria elettorale dell'Unione ha rappresentato per noi, che siamo nati proprio per difendere il Governo Prodi, lo sbocco di una lunga azione, tesa a ricostruire una grande alleanza tra le forze che ancora oggi si riconoscono nei valori della Costituzione italiana antifascista. Noi Comunisti Italiani, quindi, sappiamo bene quale sia il valore di questa coalizione, che rappresenta insieme un argine alla destra e la migliore possibilità di portare gli interessi dei più deboli al centro dell'azione di Governo. La nostra lealtà quindi, signor Presidente, è fuori discussione. La coalizione dell'Unione però non è solo un fatto parlamentare. La nostra coalizione vive nel suo popolo, che è fatto di donne e di uomini che ogni giorno devono affrontare le difficoltà del lavoro, della scuola, della salute, della pensione, della disabilità. Se la politica, se i partiti non sanno ascoltare le domande di fondo che salgono dalla società, il rischio è che la democrazia vada in corto circuito e dentro questa sua crisi cresca l'antipolitica e la destra.
Ognuno di noi, in quest'aula, rappresenta una parte della società. Noi Comunisti Italiani dobbiamo, proviamo, vogliamo rappresentare chi più ha bisogno, chi lotta, chi sperimenta sulla propria pelle, ogni giorno, quanto falso sia il mito del mercato come soluzione ad ogni male. Per questo, signor Presidente del Consiglio, le diciamo che per essere leali, fino in fondo leali, con il suo Governo noi saremo determinati, molto determinati, nel batterci affinché queste persone, queste classi sociali trovino risposte concrete alle loro aspettative. I diritti sociali e civili, l'allargamento della democrazia partecipativa, l'impegno per la pace vanno insieme.
Si è detto che questa maggioranza è caduta sulla politica estera. Mi permetto di dissentire. Sulle scelte di fondo - l'Europa, il multilateralismo, la vocazione mediterranea, l'Africa come priorità - l'Unione ha marciato compatta ed ha portato l'Italia a riprendere il suo ruolo nel mondo. Vi sono stati momenti di dibattito tra noi, quando tale dibattito è divenuto aspro, come nel caso di Vicenza; ciò è accaduto perché è mancata la collegialità e la stessa informazione all'interno della coalizione e nella relazione con le popolazioni coinvolte. Noi, tutti noi, dobbiamo cercare sempre soluzioni condivise, che allarghino il consenso attorno al Governo. Ovviamente, come lei ha ben detto, signor Presidente del Consiglio, esistono e rimarranno sensibilità diverse. Noi vorremmo un percorso più rapido, più sicuro verso la piena sovranità dell'Europa e dell'Italia, verso un rapporto più adulto con gli USA, come quello che pratica la Francia. Le pressioni degli ambasciatori sull'Afghanistan, Pag. 66la chiusura degli Stati Uniti su Vicenza, il «no» preventivo all'estradizione degli agenti della CIA ci testimoniano che è aperto un problema nelle relazioni bilaterali con gli Stati Uniti, che non è compito dei Comunisti Italiani, ma dell'intera maggioranza, risolvere, ribadendo il quadro delle nostre alleanze, ma anche difendendo la piena sovranità e la dignità dell'Italia.
La crisi, però, non è nata a sinistra. Chi ha giocato contro il Presidente Prodi è chi, fuori e dentro i confini del nostro paese, rimpiange il Governo Berlusconi, con la sua totale subalternità agli Stati Uniti, al Vaticano e alla Confindustria. Se i nemici di questo Governo sono così potenti non significa, tuttavia, che bisogna accettarne i ricatti; sulla laicità, sui diritti sociali, sulla pace l'azione dei Comunisti Italiani è stata, e sarà, nell'interesse del Governo. Noi portiamo nella coalizione opinioni e speranze di milioni di nostri elettori. Noi agiamo per tenere aperta un'interlocuzione anche con settori critici che, tuttavia, compongono, e comporranno, il nostro popolo, il nostro elettorato. Mai dobbiamo dimenticarci che la vittoria dell'Unione deriva dalle grandi mobilitazioni popolari per la pace, per la democrazia, per i diritti dei lavoratori, che hanno contrastato e bloccato, nelle piazze e nell'opinione pubblica, il berlusconismo nel suo farsi regime. Da lì proveniamo e se c'è qualcuno, anche nella maggioranza, che pensa che sia possibile rilanciare l'azione del Governo abbandonando la vocazione alla pace, alla solidarietà ed alla giustizia si sbaglia di grosso. Non è chiudendoci in un fortino assediato che risolviamo i nostri problemi, ma la maggioranza non si rafforza nemmeno spostando al centro l'asse politico. Serve uno scatto in avanti, che rilanci lo spirito della coalizione, che rimetta in moto forze e speranze. Il nostro popolo ci chiede unità, ma anche più coraggio, più determinazione, persino più fantasia per cambiare davvero l'Italia.
Il programma dell'Unione, integrato dai dodici punti prioritari, resta il punto fermo da cui partire. Quel programma rappresenta il punto di incontro tra la sinistra ed il centro di questa maggioranza. Per mantenere questo importante punto di equilibrio serve, tanto più oggi, una sinistra sempre più unita e, quindi, capace di avere quella «massa critica» necessaria per essere efficace nel determinare le politiche del nostro paese. Abbiamo scritto un nuovo patto. Questo patto vale per tutti. L'elemento fondamentale del patto è la collegialità, che consentirà, poi, al Presidente Prodi di svolgere la sua funzione di sintesi e di rappresentanza generale di tutti noi...

PRESIDENTE. Onorevole Venier...

IACOPO VENIER. La disciplina di coalizione non è una gabbia se tale disciplina è basata sul dibattito vero, sul confronto rispettoso delle opinioni, sulla ricerca del consenso. Noi Comunisti Italiani siamo pronti a questa nuova fase e rinnoviamo la nostra fiducia perché convinti che gli impegni che ci siamo assunti sono seri ed utili e che dietro questa maggioranza vi è un popolo pronto a sostenerla (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cota. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, colleghi, ministri, ovviamente l'intervento sarà rivolto al Governo e al Presidente del Consiglio, che oggi non è in aula. Presidente Prodi, signori del Governo, oggi vi presentate alla Camera per ottenere la fiducia e sappiamo che la otterrete perché il problema non è la Camera, lo è stato ieri al Senato. Dico ciò ma sicuramente del doman non vi è certezza, perché questa maggioranza, invece di rafforzarsi, si indebolisce. Anche alla Camera vi è un segnale importante in questo senso, un segnale di disgregazione, cioè la presa di posizione del presidente della Commissione Attività produttive, ex segretario del Partito Radicale, che ha dichiarato di astenersi nella votazione sulla fiducia.
Capisco che vogliate derubricare tutto a questioni personali oppure a contrasti facilmente Pag. 67risolvibili, ma questo è un ulteriore segnale politico di crisi all'interno della maggioranza anche alla Camera. Domani otterrete la fiducia anche in virtù di una legge elettorale da voi tanto vituperata, ma che alla Camera vi consente di avere una maggioranza, grazie al premio di maggioranza, malgrado il paese sia spaccato a metà, con riferimento anche ai risultati della Camera e non soltanto a quelli del Senato. Voi otterrete una fiducia che non dovreste ottenere perché questo Governo, per il bene di tutti, non dovrebbe governare. Anzi, non avrebbe dovuto ottenerla neppure al primo passaggio al Senato, perché siamo in un sistema bicamerale perfetto ed allora, quando vi sono due Camere che hanno le stesse funzioni e le stesse competenze dal punto di vista legislativo, se alla Camera vince una coalizione e al Senato prevale l'altra, questo è un caso di scuola in cui si deve immediatamente mandare il paese alle elezioni. Non so quale altro caso possa essere citato per chiedere ed ottenere, anche giustamente, nuove elezioni per poter dare al paese un Governo stabile.
Oggi discutiamo della fiducia al Governo dopo che lo stesso è stato sconfessato in Parlamento su un aspetto molto importante, cioè sull'intera politica estera, e non su un singolo atto. Il Governo è stato sconfessato sulla politica estera dopo che era stato rimandato in Parlamento dallo stesso Presidente della Repubblica, che evidenziava una crisi politica e istituzionale all'interno della stessa maggioranza. Questa sconfessione dell'Esecutivo in sede di dibattito parlamentare al Senato è stata pesante, perché in dubbio c'era la stessa appartenenza ad un blocco occidentale, non soltanto l'accordo o meno su un singolo atto. Era in discussione questo tipo di appartenenza a fronte del fatto che una parte cospicua della vostra maggioranza in campagna elettorale aveva detto cose precise ai propri elettori, cose che sono state sconfessate dalla politica estera del Governo, che voi sostenete come azionisti anche importanti, come pretendete di essere: quindi, non si tratta assolutamente di una questione da poco.
In un paese normale un Governo di questo tipo, che non ha i numeri in Parlamento e che viene sconfessato su un aspetto così importante, avrebbe dovuto andare a casa. In un paese normale avrebbero dovuto svolgersi le elezioni dopo pochi mesi, perché l'esigenza primaria, l'obiettivo primario avrebbe dovuto essere dare al paese un Governo stabile. Invece, non è stato così.
Su questo punto vi è anche una responsabilità all'interno dell'opposizione, perché ci saremmo aspettati che tutte le forze di opposizione, in maniera compatta, chiedessero lo svolgimento di elezioni immediate, dopo la sfiducia ottenuta dal Governo sulla politica estera. Non capiamo l'atteggiamento titubante di qualcuno.
Signor Presidente, signori ministri, non crediamo che la prosecuzione della legislatura possa portare alcunché di positivo per il paese, soprattutto per il nord, che rappresentiamo, un nord che, fino ad oggi, non ha visto la realizzazione del federalismo e che, invece, ha visto una politica economica fortemente penalizzante, indirizzata soprattutto all'inasprimento della pressione fiscale ed a colpire, in particolar modo, i ceti produttivi.
Anche per questi motivi, il gruppo della Lega Nord Padania, per difendere gli interessi della sua gente, del suo elettorato e del suo territorio che oggi rappresenta, voterà contro la fiducia al Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta parlare la deputata Craxi. Ne ha facoltà.

STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. Signor Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, lei non è presente; ciò nondimeno, le dirò ciò che penso. Lei, che ancora una volta ha scelto di sottomettere l'interesse del paese ai suoi interessi personali, sappia che, fiducia o no, è arrivato a «fine corsa». Con lei si chiude un'epoca. Questa non è una crisi qualsiasi: è la fine del grande imbroglio italiano che dura da ben quindici anni.
È stato un imbroglio il golpe mediatico-giudiziario che ha portato al Governo del Pag. 68paese, con la forza e la violenza, chi dopo il crollo del muro di Berlino è stato sconfitto dalla storia.
È stato un grande imbroglio la conquista del potere pubblico da parte di poteri finanziari privati, che hanno trasformato i monopoli pubblici in monopoli privati, con conseguente impoverimento del paese a favore dell'arricchimento della sinistra dorotea.
È stato un imbroglio la nascita della Seconda Repubblica, risultato non di una seria riforma delle istituzioni e della Costituzione, ma di marchingegni elettorali che hanno messo ai margini del sistema democratico la politica, il confronto programmatico, qualsiasi tensione progettuale e posto al centro delle piazze mediatiche e fisiche del Parlamento trasformismo, moralismo, persecuzioni razziste degli avversari, che sono diventati nemici, demoni e che, in qualche caso drammatico, qualcuno si è incaricato di abbattere.
Con il fallimento del suo Governo, oggi o tra qualche mese, finisce un'epoca tra le più buie del paese. Lei, con la sua arrogante autosufficienza, con la sua voracità di potere, con la sua miopia politica, sta accompagnando le sue «truppe» verso la fase crepuscolare del tramonto. Lei, esperto di sedute spiritiche e di magia come il «pifferaio magico», sta accompagnando i reduci del compromesso storico che fu verso il «mare morto» del Partito democratico, dove regnano dispersione delle idee e ibridazione delle culture, le cose si confondono e si sovrappongono in un vagare frenetico e a zig zag: i Dico, che sono rimasti nascosti nel non detto del suo «Bignami programmatico», le pensioni, dove gli «scaloni» e gli «scalini» compaiono e scompaiono come nel gioco delle tre carte, la TAV, che si farà in accordo con le comunità locali che sono in disaccordo, la riforma della legge elettorale, parola magica dietro la quale si nasconde l'incapacità di effettuare scelte politiche di isolamento delle posizioni estreme, che tutte le sinistre democratiche, in Europa, hanno compiuto. Si tratta di scelte politiche che una sinistra in «salsa romana», dei Rutelli e dei Veltroni, o in «salsa emiliana», dei Bersani, o in «salsa bancaria», dei Prodi o dei D'Alema, non è in grado di fare.
Noi stiamo assistendo al tramonto di quanto non è mai nato: una sinistra riformista che in verità non potrebbe mai nascere dalla pancia di una sinistra dorotea, che continua ad avere nelle sue viscere istinti stalinisti.
Noi stiamo assistendo al vostro tramonto. Vi rivolgo una preghiera: fate presto, perché il paese avverte la necessità che si riaccenda la luce di una nuova alba (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente del Consiglio, la piena fiducia politica accordata dal Senato consente all'Unione di guardare con maggiore serenità al futuro e le dà il tempo per riguadagnare i consensi allontanatisi a cagione dell'amara cura, che è stato necessario praticare per sanare il disastro lasciato in eredità dal centrodestra.
Entro subito nel vivo dei temi che intendo trattare: una questione riguarda un punto non affrontato; l'altra ha invece assunto un rilievo centrale nel suo intervento. Entrambe, però, sono funzionali al mantenimento di una lunga vita a questo Governo, essendo volte ad evitare rischi di involuzione e di difficoltà.
Tratto il primo tema a titolo strettamente personale perché la mia posizione taglia trasversalmente il mio gruppo, come ritengo accada per analoghe posizioni assunte in altri gruppi. Si tratta del problema dei diritti dei conviventi: non ho alcuna difficoltà, signor Presidente, a riconoscere che avevo considerato un rischio per il Governo presentare un proprio disegno di legge che avrebbe esposto il Governo stesso al pericolo di non ottenere la fiducia nell'eventualità di plurime obiezioni di coscienza su un tema eticamente tanto sensibile. Allo stesso modo, però, ritengo oggi quanto mai saggia l'espunzione di quel tema dal novero delle misure Pag. 69che il Gabinetto che ella presiede deve approntare.
Auspico e ritengo necessario che il Governo si mantenga realmente equidistante tra le diverse posizioni, che pure nell'Unione sono presenti, lasciando la decisione sulla questione in esame alla libera dinamica parlamentare. Se realmente il Governo non eserciterà un'influenza sulle scelte parlamentari, eviterà che molti ricorrano all'obiezione di coscienza ed eviterà a se stesso dei pericoli.
Il secondo aspetto centrale nelle sue comunicazioni riguarda la riforma della legge elettorale; certamente non le sfugge, signor Presidente del Consiglio, che si tratta di un tema cruciale, anzi di sopravvivenza per molti, tra i quali Italia dei Valori. La scelta che sarà operata non sarà irrilevante. Se si vorrà semplicemente restituire agli elettori la possibilità di scelta con l'introduzione della preferenza o limitare le candidature plurime in tutte le circoscrizioni, lei ci troverà d'accordo (non abbiamo paura della competizione), ma se si volesse d'imperio operare lo sterminio delle identità, magari con l'introduzione di sbarramenti astrali, porteremmo avanti la nostra opposizione anche scendendo nelle piazze, dove sosterremmo il forte sospetto che si voglia eliminare chi è scomodo.
Noi vogliamo credere che l'Unione stia riflettendo su come valorizzare le ricchezze ideali e non mirando invece ad una soluzione finale attraverso una riforma elettorale micidiale; noi vogliamo che siano gli elettori a dire chi debba scomparire o invece essere rafforzato in virtù, ad esempio, di battaglie per la legalità e per la moralità quali quelle condotte dall'Italia dei Valori, senza che chi dovrà sedere in Parlamento o nelle altre istituzioni e chi no sia, invece, deciso da fredde alchimie politiche.
Comprendiamo l'esigenza di allargamento della maggioranza e quella di trovare intese al di fuori dello stretto ambito dell'Unione; anzi, Presidente, esortiamo la maggioranza stessa a cercarle.
A tale proposito, esprimiamo apprezzamento per la capacità di attrazione che il centrosinistra ha saputo esercitare nei confronti di persone limpide e coraggiose come il senatore Follini, la cui scelta responsabile dettata da ragioni ideali è lontana mille miglia da quella di chi ha venduto la propria originaria appartenenza per un piatto di lenticchie, fosse anche rappresentato da una presidenza che non vale la dignità persa.
Siamo anche consapevoli che il sistema politico si gioverebbe di semplificazioni cui non siamo certo insensibili; ma queste devono passare per una conventio ad includendum e non ad excludendum. In questo secondo caso, l'operazione sarebbe di corto respiro e volta esclusivamente a ridurre freddamente la sfera di chi deve gestire il potere pubblico ad iniziativa ed a vantaggio esclusivo delle attuali oligarchie politiche. Contro tale eventualità Italia dei Valori combatterebbe.
Noi siamo convinti che questa legislatura debba continuare affinché il centrosinistra possa esprimere compiutamente e al meglio tutte le proprie potenzialità. Perciò, le chiediamo che il prezzo ed il terreno delle intese siano non una legge elettorale, che fatalmente escluderebbe delle forze, con sbarramenti a priori irraggiungibili per molti, ma un obiettivo di inclusione di tutte le identità in identità più ampie.
Le chiediamo da subito, Presidente, di essere il garante delle diversità, che sono anche ricchezze, e di una libera dinamica elettorale, che consenta alle diverse identità di portare il proprio contributo.

PRESIDENTE. Deve concludere...

FEDERICO PALOMBA. Si tratta di riferimenti alle tecniche elettorali cui anche noi siamo favorevoli.
Per conseguire tale obiettivo non mancano neanche in Italia gli strumenti, a cominciare dalle leggi per l'elezione dei sindaci o da quelle per le regioni, che consentono di coniugare governabilità e rappresentanza delle forze politiche, a seconda dei consensi che esse conseguono.
Ci aspettiamo, dunque, adeguate risposte, possibilmente nella replica.
Presidente, certa della sua rassicurazione, che andrà a registrare, l'Italia dei Pag. 70Valori si accinge con nuovo slancio a rinnovarle la fiducia (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tranfaglia. Ne ha facoltà.

NICOLA TRANFAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, intervengo nella discussione confermando la convinzione propria dell'intero gruppo dei Comunisti italiani che il rilancio programmatico del Governo Prodi sia in questo momento la strada migliore per l'Italia per attuare il programma dell'Unione nei suoi tratti essenziali e urgenti, adatti a superare la crisi politica ed economica maturata negli ultimi dieci anni e a riportare il nostro paese nella pattuglia di testa dell'Unione europea, da cui si era allontanata in questi anni.
Condividiamo le comunicazioni del Presidente Prodi sulla politica estera condotta fino ad oggi, sull'importanza centrale attribuita alla rinascita del Mezzogiorno, sulla politica dell'energia e dell'ambiente, sull'attenzione particolare alle questioni che interessano da vicino i lavoratori, i giovani, gli anziani, cioè i soggetti deboli dell'imponente trasformazione sociale e economica nei decenni che ci attendono.
Nelle sintetiche ma significative comunicazioni dell'onorevole Prodi abbiamo apprezzato l'intenzione del Governo di consolidare e razionalizzare la forma di Governo, di rendere più equilibrata la forma di Stato e di dare al nostro ordinamento di Governo un assetto coerente con i grandi valori della Costituzione, ma anche con le sfide del nostro tempo. In affermazioni come queste abbiamo colto, credo non a torto, il fermo proposito di dare attuazione ad una serie di misure, che da una parte intendono portare a termine una transazione istituzionale, che dura ormai da quindici anni e si avvia a diventare infinita, dall'altra sono volte a realizzare una democrazia compiuta, fedele ai principi fondamentali di un moderno Stato di diritto.
Per raggiungere questi obiettivi, che non possiamo rinviare ancora ad una successiva legislatura, una legge sul conflitto di interessi rappresenta non soltanto una bandiera dell'Unione, ma anche un debito che abbiamo contratto da molti anni con i nostri elettori, che l'avrebbero voluta già nella seconda metà degli anni Novanta, dopo la discesa in campo dell'attuale leader dell'opposizione.
Si tratta, da una parte, di mantenere il calendario già fissato perché il dibattito possa svolgersi in quest'aula prima dell'estate; dall'altra, di perfezionare il disegno di legge in maniera tale che non ci siano clausole che consentano a maggioranze future di rivedere con particolare facilità il dettato legislativo su un tema di così grande importanza.
Di altrettanto rilievo appare l'impostazione di una nuova legge elettorale che raggiunga la massima convergenza delle forze rappresentate in Parlamento e tenga adeguatamente conto delle esperienze maturate in Italia nelle assemblee regionali, piuttosto che rifarsi ad astratti sistemi adottati in altri paesi e spesso inadatti alle peculiarità proprie del nostro.
L'altro grande capitolo a cui dobbiamo accennare riguarda l'informazione, quella giornalistica e soprattutto quella radiotelevisiva; sull'una come sull'altra esistono e si stanno perfezionando già in Parlamento iniziative di Governo e parlamentari, che prevedono il passaggio della televisione al sistema digitale e una riforma adeguata della RAI, provvedimenti che riguardano il mercato pubblicitario e il diritto degli italiani ad una informazione più libera e priva di monopoli o dell'attuale duopolio televisivo.
Si tratta di misure di importanza centrale, non solo per l'attuazione dell'articolo 21 della Costituzione, ma anche per garantire ad ogni cittadino il diritto effettivo ad una informazione libera e completa.
Infine, mi limito ad accennare al problema della ricerca scientifica e dell'istruzione a tutti i livelli. Ho visto con piacere che lei lo ha citato tra i primi punti del dodecalogo, ma è necessario ribadire con grande chiarezza che alla fine di quest'anno attraverso la legge finanziaria sarà Pag. 71necessario provvedere allo stato di sofferenza di quei settori, che attendono con ansia un'ancora più netta differenza di attenzione rispetto all'ultimo quinquennio in termini di risorse e di progetti.
Occorre realizzare, nel campo dell'istruzione e della ricerca, una forte assunzione di responsabilità, che riporti l'Italia in testa e non in coda agli investimenti europei ed occidentali, che applichi metodi meritocratici, favorevoli alle nuove generazioni, che attui sistemi obiettivi di valutazione dei risultati in tutti i campi e che, insomma, modifichi profondamente il panorama attuale.
È proprio in questo campo che dobbiamo compiere il salto di qualità che gli italiani attendono e che l'Europa ci chiede da tempo (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Filippeschi. Ne ha facoltà.

MARCO FILIPPESCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la crisi politica che si è aperta a seguito delle votazioni avvenute al Senato non è stata solo l'effetto di una difficoltà della maggioranza. Essa ha reso più visibile la crisi della politica, diventata così grave anche per l'inadeguatezza delle regole che dovrebbero garantire al nostro paese una guida democratica ed efficace.
La crisi della politica si manifesta chiaramente agli occhi dei cittadini per come la politica appare. Il Capo dello Stato ha consultato diciannove partiti, rappresentanti di almeno ventitrè componenti parlamentari. L'Italia è il paese europeo con il maggior numero di partiti e con i partiti di più piccole dimensioni.
Per la legge elettorale voluta dalla destra, congegnata, come si è confessato, per dare instabilità a questa legislatura, non è bastato superare il 50 per cento dei voti per governare con sicurezza, mentre in altri grandi paesi, come il Regno Unito e la Francia, si governa con poco più del 30 per cento dei voti ottenuti dal partito che ha vinto le elezioni. Dagli anni Settanta alla crisi della prima Repubblica, dall'avvento delle nuove leggi elettorali ad oggi, tra ritardi storici e transizione incompiuta, non si sono sciolti i nodi decisivi, quali quello del superamento del bicameralismo perfetto.
La politica appare litigiosa, incongruente e troppo spesso intenta a consumare il tempo e le risorse pubbliche per sé. È questa una immagine che molti di noi possono ritenere forzata o ingiusta, ma, purtroppo, è quella cui si deve una sempre più forte delegittimazione delle istituzioni e dei partiti e alla quale si deve fare fronte con atti concreti e coerenti.
Se le forze politiche presenti in questo Parlamento non avranno la capacità di dare una svolta alla crisi del funzionamento delle istituzioni e alla frammentazione patologica dell'offerta politica che essa ha prodotto, investiranno ancora più pesantemente i partiti, vanificando il loro ruolo democratico fondamentale e alimentando ancora l'antipolitica e il qualunquismo, le separatezze territoriali e le lacerazioni sociali e civili.
Serve, allora, una politica più forte, a misura dei bisogni del paese. Serve consapevolezza della necessità assoluta di riformare le istituzioni e di fare, nello stesso tempo, un'autoriforma dei soggetti politici, per ridurre la frammentazione patologica che viviamo, con scelte unificanti. L'Ulivo, che in Parlamento parla con un'unica voce, ci sta provando.
Destra e sinistra possono concorrere a fare le riforme della legge elettorale e della Costituzione che servono al paese. A destra e a sinistra si può realizzare una positiva semplificazione della rappresentanza. I ripetuti appelli del Capo dello Stato a dare al paese istituzioni più riconosciute e più forti hanno trovato, da parte dell'Ulivo, un consenso che non si è espresso solo a parole. Noi condividiamo le sue preoccupazioni e siamo pronti a fare la nostra parte.
Il Presidente Prodi, nelle sue comunicazioni, ha operato un'apertura positiva, ma i tempi e i modi a cui pensa la destra per le riforme istituzionali non sono quelli di cui ha bisogno l'Italia. Nella passata Pag. 72legislatura, la destra ha fatto riforme costituzionali a stretta maggioranza, poi bocciate nei referendum.
Ad oggi, invece, i dirigenti di Forza Italia e di Alleanza Nazionale, pur divisi, come si è visto, su questioni essenziali, hanno detto «no», in questo dibattito, a riforme costituzionali puntuali che rispetterebbero il risultato del referendum e non contrasterebbero con quelle proposte a suo tempo dalla destra. Questa è una contraddizione molto grande!
Non è certo convincente affermare, com'è stato fatto, che le riforme incappano nel problema dei tempi lunghi: in primo luogo, perché, in presenza di un accordo molto ampio, i tempi possono essere abbreviati, seguendo le procedure di revisione costituzionale ordinarie; in secondo luogo, perché non si può essere strabici, perché non si può guardare con un occhio alle intese che si ritengono utili per la propria parte e, con l'altro, alla fine anticipata della legislatura. Né si può sostenere, come ha fatto, ieri, il senatore Pisanu, che non vi sarebbero le condizioni politiche per un'intesa («a prescindere», diciamo così), perché il nostro Governo avrebbe cristallizzato nelle istituzioni la divisione del paese in due. Ricordo al senatore Pisanu che il primo problema che la nostra maggioranza si è trovata a dover fronteggiare, dopo le elezioni, è stato quello del mancato riconoscimento del risultato elettorale (e qui mi fermo). Credo che dobbiamo restare su un terreno diverso di confronto e guardare a ciò che serve al paese, partendo dal riconoscimento, oggi quasi unanime, del fatto che le regole elettorali vanno cambiate e che certe riforme costituzionali sono all'ordine del giorno da trent'anni.
Dunque, il Governo andrà avanti finché avrà una sua maggioranza politica. Il paese ha certamente urgenza di una riforma elettorale seria, che aiuti a risolvere i problemi evidentissimi della politica, e di una riforma costituzionale che dia stabilità ai governi ed efficacia al Parlamento e coinvolga, in un equilibrio virtuoso, le regioni e le autonomie locali. Questa è, in sostanza, la domanda intransigente che viene dalla società.
Si possono fare poche ed incisive riforme della Costituzione: superare il bicameralismo paritario ed istituire il Senato delle regioni e delle autonomie, con la possibilità di differenziare i sistemi di elezione delle due Camere; rafforzare il ruolo del Presidente del Consiglio dei ministri, con la Camera legislativa che gli attribuisca la fiducia e gli consenta la nomina e la revoca dei ministri; diminuire il numero dei parlamentari.
Riguardo alla legge elettorale, a noi premono i seguenti obiettivi fondamentali, che di certo non sono di parte (da essi si dovrebbe partire, prima che dai modelli): salvaguardare e migliorare il bipolarismo, dando vita ad un sistema efficace di alternanza e creando le condizioni per una più forte coesione delle coalizioni e, di conseguenza, per la stabilità; aiutare a ridurre la frammentazione politica; garantire il necessario radicamento territoriale degli eletti; applicare l'articolo 51 della Costituzione per il riequilibrio della rappresentanza tra uomini e donne.
La propensione che abbiamo per il doppio turno con collegi uninominali (con i necessari adeguamenti alla nostra situazione o secondo i sistemi elettorali - italianissimi, direi - in vigore per province e comuni), è legata alla possibilità del raggiungimento di alcuni dei suddetti obiettivi, considerata la specificità italiana, e nasce anche dalla consapevolezza del largo consenso che questi sistemi, già messi alla prova, riscuotono tra i cittadini. La predetta propensione ha - non a caso - un forte seguito in parti assai significative della nostra società ed ha trovato sintonie anche trasversali nel dibattito politico (si potrebbe fare un lungo elenco di sostenitori del modello che proponiamo).
Evidentemente, a scartare il doppio turno non basta la giustificazione negativa, riproposta anche oggi dall'onorevole Berlusconi, individuata nel calo dei votanti tra il primo ed il secondo turno: i colleghi della destra sostengono - sbagliando - che tale calo avvantaggerebbe il centrosinistra Pag. 73nei ballottaggi. Si tratta di una giustificazione debole, poco fondata e poco presentabile di fronte ai vantaggi evidenti offerti dai sistemi a doppio turno, primo fra tutti quello di dare coerenza maggiore a coalizioni anche ampie ed inclusive senza togliere né visibilità né ruolo ai partiti politici.
Ciò detto, noi siamo pronti a discutere in Parlamento anche di modelli diversi che abbiano una coerenza e che consentano...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARCO FILIPPESCHI. ... di cogliere - sto per concludere, signor Presidente - gli obiettivi fondamentali che ci si propone (quelli che ricordavo) e di certo quelli essenziali che il Capo dello Stato ha raccomandato ai partiti nel suo messaggio di fine anno.
Abbiamo rappresentato al ministro Chiti questa disponibilità, che però non è illimitata, perché sentiamo delle rigidità che hanno motivazioni irricevibili, in particolare sulle riforme costituzionali che possono rafforzare il sistema, sopperendo anche ai limiti intrinseci di una riforma che si vorrebbe aderente alla cosiddetta legge Calderoli.
Dunque, apriamo il confronto senza pregiudiziali e blindature e, soprattutto, come ha detto il Presidente Prodi nella sua replica al Senato, facciamo insieme uno sforzo rivolto al futuro per riavvicinare davvero la politica ai cittadini.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Satta. Ne ha facoltà.

ANTONIO SATTA. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, il voto di ieri al Senato ha ristabilito sicuramente la fiducia nei confronti di un Governo espressione della coalizione che ha vinto le elezioni - è un dato che non va dimenticato: questa coalizione, cari amici del centrodestra, ha vinto le elezioni! - con un forte e convinto apprezzamento per il sostegno di Marco Follini, un vero arricchimento per l'azione del Governo nel prossimo periodo.
Siamo certamente ad una politica democratica di fronte al Parlamento: è normale. Che può dire oggi la Casa delle libertà al riguardo? Si dimentica che, nella scorsa legislatura, sono stati «cacciati via» il ministro degli esteri, il ministro degli interni, il ministro dell'economia per due volte, e altri? E allora? Cerchiamo di ragionare tutti insieme nell'interesse del nostro paese.
Signor Presidente del Consiglio, noi Popolari-Udeur siamo stati sempre leali nel sostegno al Governo che lei presiede, e abbiamo peraltro sempre ribadito che la coalizione di maggioranza era ed è legata al programma che è stato da tutti noi sottoscritto.
Per questo abbiamo più volte ribadito con convinzione che il problema, prima chiamato Pacs ed ora Dico, doveva rimanere fuori dall'agenda del Governo per essere lasciato all'esclusiva competenza del Parlamento. Abbiamo rispetto delle posizioni di tutti, ma pretendiamo uguale rispetto per le nostre convinzioni. I nostri valori, la nostra concezione della famiglia non sono in campo per essere barattati. Difenderemo con orgoglio tali principi, al pari di quelli relativi alla bioetica in generale, e al valore della vita in particolare, in un confronto franco, corretto e leale nel paese e nel Parlamento. Questo paese, infatti, non riesce a capire, e non potrà mai farlo, una conflittualità quasi permanente sui temi che sono al centro del nostro programma: dalla politica estera al Mezzogiorno, alla famiglia, alla previdenza e, soprattutto, al lavoro, il problema dei problemi.
Lei, Presidente, afferma nelle sue comunicazioni che questa crisi si colloca all'interno della lunga e incompiuta transizione del sistema istituzionale e politico del paese. Il nodo è quindi nell'attuale legge elettorale, fatta apposta, secondo alcune interpretazioni, per impedire una stabilità di governo, ma stiamo attenti alla tanto attesa, e tanto richiesta, ennesima riforma elettorale.
Non è infatti né condivisibile né accettabile quanto alcuni, sempre meno a bassa voce, sostengono, che cioè, per assicurare Pag. 74una governabilità stabile e duratura, sia necessario cancellare i piccoli partiti dal panorama politico nazionale. A parte il fatto che, ad eccezione di un solo partito, non ve ne sono altri oltre il 20 per cento, tant'è che DS e Margherita per superare tale soglia debbono mettersi insieme nelle liste elettorali, la crisi, Presidente, non sta nei piccoli ma nei cosiddetti «grandi» partiti, al cui interno scoppiano le più grandi contraddizioni, come dimostrano le recenti riforme elettorali, sia col sistema maggioritario che con altri sistemi.
La garanzia di una maggioranza di Governo sta infatti sempre, e soprattutto, nel rispetto degli impegni assunti per realizzare quanto il programma, frutto del contributo dei partiti della coalizione, prevede, indica e stabilisce: un «no» netto pertanto al tentativo di far scomparire i cosiddetti «piccoli» partiti e un «sì» convinto ad una riforma che rispetti il pluralismo capace di mettere in piedi coalizioni politicamente coese e soprattutto credibili. E questo dovrà avvenire, a nostro avviso, nel Parlamento italiano e con il concorso di tutti.
Questa è una maggioranza, come lei ha giustamente osservato, formata da forze politiche che hanno ispirazioni culturali differenti: è la nostra una alleanza elettorale che diventa politica nell'impegno a realizzare il programma presentato agli elettori, in forza del quale abbiamo chiesto e ottenuto la fiducia per governare, un programma - lo ripeto - sottoscritto da tutti.
La vera forza politica di una coalizione sta proprio qui, nel rispetto assoluto degli impegni condivisi e sottoscritti senza «se» e senza «ma».
Va bene la discussione, va bene il dibattito, va bene il confronto, anche quello più aspro, ma la decisione finale non può che essere di leale sostegno a quanto insieme abbiamo proposto al paese.
Apprezziamo, Presidente, il rinnovato impegno a favore del Mezzogiorno, che, come lei dice bene, riveste un'importanza centrale per il Governo. Il Mezzogiorno è per noi Popolari un tema talmente essenziale e qualificante tanto da costituire motivazione politica di fondo per la nostra stessa partecipazione a questa maggioranza e a questo Governo. Registriamo con soddisfazione un impegno finanziario davvero straordinario a favore del Mezzogiorno; occorre ora avere la capacità di gestire questo momento, creando le condizioni per favorire uno sviluppo che dia serie prospettive per il futuro dei nostri giovani, attraverso un forte impegno per l'occupazione e per un lavoro stabile. Per questo il problema della sicurezza deve essere affrontato con determinazione se si vuole che gli imprenditori investano sempre di più e non debbano fuggire per la paura. Siamo convinti d'altra parte che, al di là di ogni retorica e di ogni affermazione di principio, non vi sarà un futuro vero per il nostro paese se non sarà cancellato compiutamente il gap esistente tra le regioni del Sud e quelle più avanzate e industrializzate del Nord. Deve essere questo un impegno ineludibile non solo del Governo e della maggioranza, ma di tutto il paese nelle sue diverse articolazioni politiche, sociali ed imprenditoriali.
Presidente, questo Governo ha affrontato con serietà, vogliamo ricordarlo, il tema della precarietà. È iniziato un percorso importante che punta alla stabilizzazione di tutti i lavoratori precari, sia quelli del mondo della scuola sia quelli della pubblica amministrazione in genere. È certamente questo un dovere prioritario di un Governo di centrosinistra che deve porre alla base del suo agire l'affermazione della giustizia sociale nel paese.
Restano peraltro gravi lacune in questo campo e voglio segnalarne due in particolare. La prima riguarda i sessanta docenti civili di materie non militari delle scuole sottoufficiali della marina de La Maddalena e di Taranto. Sono figli di nessuno e sulla loro situazione attendiamo la risposta definitiva del Governo. L'altra riguarda, ministro Fioroni, il personale cosiddetto ATA ex enti locali, che riguarda ben 80 mila lavoratori. Ebbene, come lei sa, 25 mila di loro hanno ottenuto il pieno riconoscimento dell'anzianità di servizio attraverso sentenze dei giudici competenti, Pag. 75mentre gli altri 55 mila meno fortunati attendono ancora lo stesso trattamento giuridico. È possibile, conoscendola, che questa disparità possa ancora essere accettata in uno Stato di diritto quale è il nostro paese? La risposta dipende da lei e dal Governo.
Il gruppo dei Popolari-Udeur continuerà a sostenere l'azione del Governo, che dovrà essere rivolta ai bisogni della nostra gente. Abbiamo sempre cercato di anteporre gli interessi del paese ed il rispetto degli accordi di coalizione agli interessi di partito. Anche per il futuro questo sarà il nostro comportamento. Presidente, lei ci ha presentato un dodecalogo, un impegno veramente forte, ben sapendo - da buon cattolico dichiarato come lei è - che è già difficile osservare i dieci comandamenti, tanto che spesso registriamo omissioni o inosservanze rispetto a questo o a quel comandamento. Noi, comunque, Presidente, ce la metteremo tutta per cercare di attuare, pur con tutte le difficoltà, con correttezza e assoluta lealtà i suoi dodici comandamenti, nei quali intendiamo riconoscerci pienamente nell'interesse esclusivo del nostro paese, che oggi più che mai ha bisogno di certezze e di una rinnovata, motivata e concreta speranza per i nostri giovani (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lupi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO ENZO LUPI. Grazie, signor Presidente. Molti sono già intervenuti su un tema che solo nove mesi fa avevamo previsto: il tema della crisi di questo Governo. Non era una crisi inaspettata, era una crisi prevedibile e una crisi su cui abbiamo il dovere non solo di confrontarci, ma anche di capirne le ragioni. Ben ha detto un collega che mi preceduto, l'onorevole Angelino Alfano, quando ha osservato che, se si riconducesse il problema di questa crisi unicamente alla legge elettorale che ha portato all'elezione di questa maggioranza - come ho sentito dire purtroppo da tutti gli intervenuti del centrosinistra, nonché da alti esponenti del Governo - si commetterebbe tutti, e in particolare voi, un errore gravissimo. Fare della legge elettorale la foglia di fico dietro cui nascondersi vuol dire non capire quali siano le questioni in gioco.
La crisi che ci troviamo di fronte, si direbbe in economia, è strutturale. Quando si è in presenza di una crisi del genere, se non la si affronta, l'azienda va verso il fallimento, prima o poi. Può passare un mese, due mesi, un anno o due, ma, prima o poi, il destino di quella azienda - purtroppo, in questo caso, del paese - è segnato!
Qual è la questione di fondo? Credo che possa essere rappresentata, in maniera molto chiara e concreta, attraverso tre piccoli numeri che, in qualche modo, hanno segnato la vita di questo Governo.
Alle elezioni politiche, vi siete presentati con un programma di governo dell'Unione di 281 pagine; a Caserta, dopo soli quattro o cinque mesi, avete fatto «l'albero» del programma, consistente in 56 pagine; adesso, come ha ricordato il collega del gruppo Popolari-Udeur, siete arrivati ad un dodecalogo (dodici punti) di due paginette.
Il problema è esattamente lo stesso: che si trattasse di 281 o di 12 pagine, ciò che presentavate, signor Presidente del Consiglio, era una «marmellata», nell'ambito della quale - come dicevamo allora e come ribadiamo, ancora oggi, con forza - era contemplato tutto ed il contrario di tutto! Si poteva dire tutto, quello che si condivideva o non si condivideva, purché ci si mettesse d'accordo su un unico «collante».
Qual era e qual è questo «collante», emerso, a mio avviso in maniera drammatica, dagli interventi pronunciati dai colleghi del Senato? Il «collante» di questa maggioranza è «l'anti»: l'antiberlusconismo, vale a dire non far tornare il centrodestra al Governo del paese!
Tuttavia, non si governa con «l'anti»: infatti, la vera causa della vostra crisi strutturale è esattamente il Governo! Quando si governa (come diceva, tra l'altro, un vecchio slogan dei repubblicani Pag. 76americani, ai tempi del Presidente Reagan), il Governo non è la soluzione del problema! Quando si è chiamati a governare, infatti, si è chiamati a decidere, ad assumersi delle responsabilità, a rispondere ai bisogni che emergono dal nostro paese!
Oggi il problema è proprio saper dare risposte ai bisogni che emergono nel nostro paese, come il desiderio di agganciare quella ripresa economica che sta iniziando (poiché, nel 2006, il prodotto interno lordo è cresciuto dell'1,9 per cento). Vorrei aprire e chiudere una parentesi: mi dispiace, ma non potete dire che ciò è merito di un Governo che è entrato in carica nel giugno di quest'anno! Il problema, dunque, è capire come, governando, si possa rispondere alle esigenze che emergono dal paese.
Allora, o si risponde con un programma, nonché con ideali e valori comuni in cui tutti, nella maggioranza, possano riconoscersi, oppure non si governa, perché non esistono alternative! È questo il problema strutturale che voi avete!
Vorrei portare due esempi che ritengo importanti, poiché mettono in evidenza due questioni fondamentali per il nostro paese, rispetto alle quali, tuttavia, siete esattamente agli antipodi. Si tratta del grande tema della famiglia - che ricordo essere stato inserito nell'ambito del dodecalogo presentato dal Presidente del Consiglio Prodi - e di quello delle infrastrutture.
Voi, quando vi siete insediati, avete addirittura costituito, proprio per valorizzare la famiglia e conferire importanza al tema, un apposito Ministero per le politiche per la famiglia. Ebbene, qual è l'unico provvedimento presentato dal ministro per la famiglia?

PRESIDENTE. La invito a concludere...

MAURIZIO ENZO LUPI. Un disegno di legge - mi avvio alla conclusione, Presidente - che non affronta assolutamente i problemi della famiglia, poiché si riferisce alle unioni di fatto (adesso definite Dico). Ciò è vero al punto che avete approvato anche una legge finanziaria con la quale, nel riformare l'IRPEF, si è ottenuto l'unico risultato di penalizzare, nei fatti, le famiglie più numerose (come ha testimoniato il Sole 24 Ore)!
Allora, è questa la questione di fondo: o questo Governo ha a cuore...

PRESIDENTE. La prego di concludere...!

MAURIZIO ENZO LUPI. ...i bisogni del paese - ma non ce li ha! -, oppure, come dimostrano anche la TAV e le infrastrutture voi avete a cuore una sola questione: restare al potere...

PRESIDENTE. La invito a concludere!

MAURIZIO ENZO LUPI. ... per non dare la possibilità di governare ad un'altra coalizione!
Questa crisi non si risolve in questo modo! Si tratta...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole!

MAURIZIO ENZO LUPI. ... di una strada che conduce verso un'unica meta. Il vostro destino è segnato, ma purtroppo, se andiamo avanti così, è segnato anche il destino del paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Migliore. Ne ha facoltà.

GENNARO MIGLIORE. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signori del Governo, oggi siamo impegnati in una discussione importante, che segue quella già svolta al Senato.
Abbiamo guadagnato una fiducia importante per il nostro progetto politico, per il nostro Governo, e oggi vogliamo ribadire che riconfermeremo questa fiducia anche in questo ramo del Parlamento, a lei e al suo Governo.
La riconfermiamo come abbiamo sempre fatto dall'inizio di questa legislatura, perché lo dobbiamo ai nostri elettori e a tutti quelli che hanno investito con Pag. 77enorme fiducia in questa nostra comune impresa, che è la costruzione di un nuovo Governo, di un nuovo progetto e di una nuova prospettiva dell'Unione.
Quello che abbiamo chiamato Unione è un progetto di cambiamento profondo per l'intero paese. Se non ci fosse stata questa consapevolezza, questo mandato forte di lungo periodo, avremmo avuto più difficoltà anche a reggere l'urto di coloro che avrebbero voluto mandare indietro le lancette dell'orologio politico del nostro paese.
È stata questa certamente una crisi breve, ma nello stesso tempo assai intensa. Una crisi che ha reso evidenti alcune distorsioni contingenti (come quelle derivanti dalla pessima legge elettorale ereditata, che ha trasformato il Senato in una bilancia nella quale pesano anche pochi e marginali voti), ma anche alcune opportunità che si dischiudono in questa nuova fase.
L'esito di questa crisi, lo sbocco di questo passaggio stretto, è aperto e l'aver riconfermato la fiducia a questo quadro politico e di Governo, rappresenta anche il modo per riprendere un discorso interrotto di cambiamento che vogliamo portare avanti.
Abbiamo apprezzato particolarmente un aspetto del suo discorso di ieri: lei ha parlato del Paese e al Paese. Ha parlato della condizione sociale, della condizione abitativa, delle condizioni economiche nelle quali si trovano i più deboli, e nello stesso tempo ha riconosciuto il carattere strutturale della relazione diretta con i cittadini, ribadendo che l'ascolto, la cooperazione e il confronto sono fattori decisivi per il suo Governo e per tutti noi.
Dalla TAV alle lotte di comunità, noi pensiamo che debba essere questo ascolto, questo canale di scorrimento, l'elemento premiale di una nuova capacità di intendere la politica come allargamento degli spazi di partecipazione e penetrazione della società nei meccanismi del Governo.
Quanto più sarà praticato questo tratto, tanto maggiore sarà il contributo storico che questa esperienza darà alla crisi profonda nella quale versa la politica.
È per questo che abbiamo rifiutato ogni altro sbocco, soprattutto per questo, dal Governo istituzionale alle larghe intese. L'abbiamo rifiutato perché i pretesi disegni neocentristi non sono semplicemente una caricaturale riproposizione di un Governo che è variabile dipendente di una grande forza di centro, come la DC (che però era un partito popolare e interclassista), ma perché oggi il neocentrismo è il disperato tentativo di chiudere la porta alla irruzione della società nella politica; il neocentrismo è l'autismo del palazzo; il neocentralismo è il potere senza consenso; il neocentrismo è la cappa di piombo della democrazia, che da malata diventa morta.
Neocentrista è anche l'inascoltata e inascoltabile aspirazione di Eugenio Scalfari, forse inebriato dalla potente tribuna da cui scrive, quando le chiede una sorta di dittatura democratica.
La partecipazione, al contrario, è la nostra più grande garanzia e forza, non solo nel cielo della teoria, ma nel duro lavoro che tutti dobbiamo fare per tutelare il profilo riformatore dell'Unione.
Lei, Presidente Prodi, ha parlato di una lunga transizione e della instabilità del sistema politico. Vede, io condivido questa tesi, ma la le chiedo se il migliore esito non sia quello di perdere definitivamente le insegne tipiche del potere distratto, per riguadagnare una fiducia nel fare politica nell'interesse generale. Noi vogliamo contribuire al dispiegamento di ogni risorsa che corrobori la democrazia: un Governo più forte, stabile, autorevole, un Parlamento capace di svolgere pienamente le sue funzioni, una società i cui i legami collettivi siano la struttura portante della nostra iniziativa politica.
Investiamo nella crescita del consenso di questo Governo nella società, perché pensiamo che, se il consenso è forte fuori, (e quindi lei ha fatto bene a parlare al di là di queste Camere) si può governare anche con una maggioranza numericamente esigua.
Le opportunità ci sono. E, se è di oggi il dato sul rapporto tra deficit e prodotto interno lordo e quello sulla crescita, che appaiono più alti da molti anni a questa Pag. 78parte, possiamo ricominciare ad esportare anche quella fiducia che oggi talvolta viene a mancare e lascia il posto al dubbio in molte parti dell'opinione pubblica.
Ci dice qualcosa questa opportunità? Ci dicono qualcosa le ingenti risorse, frutto anche dell'importante lotta all'evasione fiscale, nonché di una programmazione economica di più lungo respiro, che forse erano state troppo frettolosamente non previste? Penso di sì. Tutto ciò ci dice che possiamo concretamente migliorare le condizioni di lavoratori, stabili e precari, di disoccupati e di giovani in attesa di prima occupazione; ci dice che possiamo contribuire positivamente al rinnovo dei contratti per un aumento dei salari e delle pensioni minime.
La crescita della domanda interna sarà senza dubbio la cosa più importante, anche più delle ortodossie monetariste dalle quali, a mio avviso, dobbiamo sfuggire. Dobbiamo investire nella ripresa, seppur fragile, perché si tratta di un atto di fiducia che ci consentirà anche di aumentare il consenso sociale della nostra maggioranza e del Governo.
Inoltre, per restituire fiducia e credibilità a noi stessi, appare fondamentale non intimorire con annunci coloro che stanno per andare in pensione e non parlare di riduzione - già pesante nella prospettiva di vita di un lavoratore precario - dei coefficienti per raggiungere appunto la pensione alla fine della propria carriera lavorativa.
Dobbiamo anche individuare quali straordinarie possibilità possono essere riservate dai maggiori investimenti nel Mezzogiorno, nella ricerca, nella scuola, nell'università, nelle condizioni dei non autosufficienti, cioè in quegli aspetti che oggi potrebbero rappresentare gli spazi più ampi di un avanzamento sociale. E lo stesso occorre fare per i diritti civili e democratici, per le grandi riforme attese dall'opinione pubblica, a partire da quel conflitto di interessi che solennemente ci siamo impegnati ad affrontare in modo compiuto entro questa legislatura.
Dobbiamo portare a termine leggi importanti, come quella della cittadinanza per i migranti e quelle che hanno a che vedere con il profilo democratico del nostro paese, per rivitalizzare quei legami che sono stati lacerati dal neoliberismo in generale e, in particolare, da un Governo delle destre che non aveva a cuore la democrazia e la crescita della solidarietà in questo paese.
Anche sui Dico, sono convinto che il Parlamento saprà farsi valere nella sua autonomia, senza ricorrere alle blasfeme provvidenze che anche alcuni credenti - io non lo sono -, a mio avviso impropriamente, hanno utilizzato nel corso del dibattito. Noi pensiamo ancora - e continueremo a farlo in entrambi i rami del Parlamento - che lì ci sono diritti negati, che vanno semplicemente ricostituiti, che non possono essere gettati in pasto alla dialettica parlamentare. Occorre invece restituire forze a coloro che non le hanno, anche perché - come lei, Presidente Prodi, ebbe a dire anche in altre occasioni - i legami tutelati di fatto sono innanzitutto una tutela per chi è più debole dal punto di vista economico e sociale e per quei legami tra persone che consideriamo un patrimonio essenziale della nostra società.
Il Governo è nostro, è di tutti; e, quando mi è capitato di leggere il dodicesimo dei punti sottoscritti dalla maggioranza, devo dire che ho tirato quasi un sospiro di sollievo, perché ho pensato che se la sintesi vale per noi, vale per tutti. Quindi, in questo caso, si riconferma che non c'è una maggioranza della maggioranza, un centro decisorio, ma che occorre realizzare una capacità di coalizione collegiale che rispetti pienamente il ruolo del Presidente del Consiglio.
Signor Presidente, concludo brevemente sottolineando i due argomenti che hanno attraversato questa crisi: la politica estera e la legge elettorale. Penso che, quando lei, Presidente Prodi, ha parlato di soluzione politica per l'Afghanistan, di ripresa di iniziative in Medio Oriente e di ostilità alle minacce di guerra in Iran, ha reso un servizio non solo al nostro paese, ma alla comunità internazionale.
Sulla legge elettorale penso si debba dire, senza incertezze, che così come Pag. 79siamo per il Governo sostenuto dalla maggioranza che ha vinto le elezioni, siamo anche per il dialogo rispettoso ed istituzionale nelle aule parlamentari, che tenga insieme stabilità del Governo e rappresentatività delle forze di maggioranza e di opposizione. Infatti, con l'opposizione dobbiamo costruire un sistema di regole condiviso, cambiare quello che hanno fatto loro contro di noi e proporre un terreno più alto ed una sfida più importante per la democrazia nel nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato La Russa. Ne ha facoltà.

IGNAZIO LA RUSSA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, non inizierò questo breve intervento con parole mie o di un altro deputato. Lo inizierò attraverso un lavoro che ai parlamentari risulta normale; infatti, tutte le mattine ognuno di noi apre il giornale per verificare il riflesso delle posizioni politiche emerse in Parlamento.
Anche questa mattina ho fatto questo lavoro: ho preso il giornale più quotato d'Italia e vi ho trovato subito, in apertura, a penna di Alberto Ronchey, questa frase: «Si può immaginare che Romano Prodi e i suoi ministri siano seduti sull'orlo delle loro poltrone, poiché rimane assai dubbia la durata di questo Governo e di questa legislatura. La coalizione di centrosinistra sopravvive a stento, con pochi voti parlamentari e molte discordie interne (...)».
Ho sfogliato altri giornali, come Il Sole 24Ore ed anche testate straniere; in ogni caso, Il Sole 24Ore, a firma di Stefano Folli, è stato forse più chiaro nel momento in cui ha affermato che, in poche parole, il Governo esce dal voto ancor più prigioniero delle sue contraddizioni. Comunque, non da meno si sono dimostrati altri giornali, quali The Economist, il Financial Times, Le Monde e il Wall Street Journal. Tutti hanno sostenuto che la situazione per l'Italia è peggiore di ieri, che il futuro è incerto e che il Governo è fragile. Tutti dicono che il Governo è più fragile, anche se di contro vi è il grande sorriso del Presidente del Consiglio Prodi, una grande serenità, ed un clima da scampato pericolo, lo stesso che si avverte dopo il passaggio di uno tsunami, di un incendio: in questi casi i sopravvissuti, magari laceri, si abbracciano felici per aver salvato la pelle.
Il Governo è debole non solo perché lo sostengono tutti e perché la cosa è corroborata dai fatti, ma anche perché quella che sembra un'occasione di rinforzo, di «maggiore maggioranza numerica» - rappresentata dall'arrivo del senatore Follini -, finisce per il costituire un nuovo ingrediente che si aggiunge ad una minestra sicuramente non buona dal punto di vista del gusto ed indigesta.
Si registrano nuove e divergenti posizioni politiche all'interno della maggioranza e nuovi punti programmatici ancora più inconciliabili, se è vero che l'obiettivo di Follini - lo ha dichiarato, altrimenti ci troveremmo di fronte ad un'operazione di puro trasformismo e tradimento, ma non vogliamo pensarlo - è quello di spostare con il suo unico voto l'asse del Governo su posizioni più centriste. In ogni caso, abbiamo appena sentito l'onorevole Migliore - il migliore di Rifondazione Comunista - svolgere una lunga filippica sul neocentrismo che, per qualche verso, possiamo persino condividere. Comunque, se siete in vita, se esistete, se avete potuto rispondere al diktat del Presidente della Repubblica che vi ha detto «dovete arrivare a 158», lo dovete a Follini che, invece, sostiene esattamente l'opposto. Egli, attraverso - come si chiama? - l'Italia di Mezzo, vi ha probabilmente dato il viatico per il futuro vostro programma «Dimezzo l'Italia» (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
Vedete, i motivi di debolezza emergono anche da un altro dato. Nel suo intervento il Presidente del Consiglio Prodi ha dovuto obbligatoriamente richiamarsi ad un altro ineccepibile suggerimento del Capo dello Stato. Egli ha detto e ha fatto capire che prima di andare al voto è suo desiderio che venga riformata la legge elettorale. Pag. 80Apparentemente, quello che è un motivo di forza, diventa motivo di debolezza, perché i suoi alleati sanno da oggi che dopo il Governo Prodi non vi è il baratro (tale è considerato dalla sinistra) delle elezioni anticipate - che pur sarebbero la via maestra - ma la possibilità di un altro Governo, sia pure solo per ottemperare all'obbligo imposto dal Presidente della Repubblica. Questo motivo di ulteriore debolezza (tale perché i parlamentari sanno di non essere all'ultimissima spiaggia, anche se la rimanente parte che li separa dall'abisso sarebbe breve) finisce in qualche modo per essere esorcizzato nell'intervento del Presidente Prodi e del ministro Chiti (che pure rispettiamo) e trasformato nella necessità di riscrivere parte della Costituzione. Per la verità, ci sembra del tutto privo di possibilità ed assai presuntuoso inserire tra le cose fattibili, anche «stiracchiando» a più non posso le prospettive di questo Governo, una riforma costituzionale.
La riforma elettorale (e ne parlo a chiusura del mio intervento) non presuppone nel richiamo del Presidente della Repubblica alcuna necessità di riforma costituzionale. Pertanto, caro onorevole Prodi, ritengo che il suo tentativo di aprire anche all'opposizione per scrivere insieme un pezzo di Costituzione - che voi stessi non avete voluto scrivere insieme e poi avete bocciato insieme a molti altri con il referendum dello scorso giugno - e di parlare di riforme costituzionali assomigli moltissimo ad una vecchia pubblicità (guarda caso!) della Telecom. In essa Lopez, un brillante attore italiano, stava al telefono prima di essere fucilato. Lo slogan di questa pubblicità era il seguente: «Una telefonata allunga la vita».
Onorevole Prodi, mi dispiace, ma una riforma costituzionale non potrà essere la speranza di un prolungamento arbitrario della durata del Governo, che invece sarà segnata dalla capacità della sua maggioranza di stare insieme su punti qualificanti del suo stesso programma. È inutile che li ripeta: la politica estera, i Dico, l'economia, le pensioni, la TAV e quant'altro. Si tratta di punti sui quali già ieri, durante le dichiarazioni di voto, si sono manifestate discrepanze.
Ad esse si è aggiunta un'altra novità in termini di debolezza, non troppo sottolineata.
Onorevole Prodi, dall'inizio della legislatura, per la prima volta lei perde il voto di tre dei sette senatori a vita (che come finalmente e correttamente segnalato in questi giorni non vanno inseriti in alcuna organica maggioranza, ma il cui voto ha comunque un valore simbolico), che in precedenza, per un lungo periodo, si erano invece tutti espressi, sia pur tra mille incertezze e dubbi, a favore del suo Governo. Anche questo è uno dei segnali che fa comprendere come il capolinea, ahimè, sia vicino.
Avevo detto che gli ultimi minuti...

FABIO EVANGELISTI. Non avevi detto che i senatori a vita non contavano?

IGNAZIO LA RUSSA. Lo vedi che non ascolti? A volte le interruzioni permettono di capire quando qualcuno è disattento. Sei disattento! Ho appena detto che i senatori a vita, pur non potendo essere inseriti in alcuna maggioranza organica (non contavano e non contano), hanno comunque un valore simbolico. Il fatto che oggi tre senatori a vita non siano più d'accordo sul progetto di far vivere il Governo Prodi non inficia la maggioranza numerica, ma contiene un significato che, a mio avviso, persino lei, caro collega, può riuscire a comprendere (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).

GIOVANNI CARBONELLA. Nel 1994, però, contavano!

IGNAZIO LA RUSSA. Vorrei concludere con la questione della legge elettorale. Vi è un dato che ci interessa e su cui non voglio nascondere la necessità di un impegno comune, come ha detto il Presidente della Repubblica. Berlusconi ha detto oggi che si potrebbe andare al voto senza la necessità di modificarla. È possibilissimo, tuttavia la Politica (con la «p» maiuscola) Pag. 81cui Alleanza Nazionale è abituata vuole che alcuni imperativi non possano essere «dribblati» facilmente. È pur vero che questa legge elettorale, così come qualsiasi altra, risponde alla realtà tutta italiana della nostra Costituzione, che, prevedendo due diversi corpi elettorali, uno per il Senato ed uno per la Camera (per la Camera si vota a partire dei 18 anni, per il Senato a partire dai 25), non può mai dare la garanzia di due maggioranze che vadano nella stessa direzione, proprio perché diverso è il corpo elettorale. Questo vale per qualsiasi legge elettorale che faremo.
Il pericolo ci sarà sempre e comunque, ma è pur vero che questa legge elettorale ha sicuramente - e vado a concludere - impedito al Senato che si manifestasse una qualsivoglia maggioranza. Probabilmente, in questo caso si sarebbe manifestata a favore del centrodestra, poichè abbiamo preso più voti; si sarebbe tornati comunque a votare e sarebbe stata in ogni caso una scelta migliore di quella attuale. Infatti, come ricorderete, il progetto iniziale del centrodestra era di prevedere anche al Senato una maggioranza ripartita su base regionale, ma attribuita su base nazionale. Tale progetto fu bocciato dall'allora miope valutazione del Presidente della Repubblica.
C'è da rifare la legge elettorale? Rifacciamola, modifichiamola, diamo il premio di maggioranza. Vogliamo guardare al «tatarellum»? Ebbene, discutiamone in fretta perché sarà l'ultimo impegno comune prima di poter finalmente, insieme e d'accordo - come mi auguro - liberare l'Italia da un peso insopportabile, qual è questo Governo senza una maggioranza e che si aggira come uno zombie tra i viventi (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lusetti. Ne ha facoltà.

RENZO LUSETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, nella rassegna stampa pomeridiana che testé ha svolto il collega onorevole La Russa, egli ha dimenticato la notizia più importante, cioè...

IGNAZIO LA RUSSA. Quella di Turigliatto!

RENZO LUSETTI. ... che ieri sera, al Senato, il Governo ha ottenuto i consensi per una vera e propria maggioranza politica che sostiene la rinnovata azione dell'esecutivo. Quindi, non c'è nessuno zombie che si aggira nel paese, né tanto meno in questo Parlamento. Abbiamo affrontato e superato rapidamente questo momento di crisi politica con la coerenza e la determinazione di chi vuole modernizzare il paese, facendolo crescere sia in termini di sviluppo economico, ma anche in termini di responsabilità civili e politiche, finalizzate al rafforzamento della qualità della democrazia.
Le diverse forze politiche, anzi i diversi partiti della maggioranza - come lei, Presidente Prodi, ha ribadito nelle sue comunicazioni - hanno ispirazioni culturali differenti, ma ritengono che il collante politico su cui l'attività di Governo si dovrà basare è la comune matrice riformatrice ed innovatrice del paese. Frammenti e residui di ideologismo non possono frenare una coraggiosa ed efficace azione di Governo. Non posso non sottolineare che il sostegno al Governo da parte del senatore Follini, con la sua storia politica e personale, aggiunge qualità a questa maggioranza e ne accentua il carattere riformatore ed innovatore. Per questo, io esprimo piena solidarietà politica a Marco Follini per l'indecoroso linciaggio cui è stato sottoposto dopo aver compiuto una scelta limpida e coraggiosa. Di fronte alla delicatezza della situazione politica italiana, la strada intrapresa da Follini è all'insegna di un profondo senso di responsabilità. Non si possono accettare lezioni di stile o di correttezza da parte degli esponenti della Casa delle libertà, i quali fingono di ignorare il caso De Gregorio e, ancor più, il modo in cui è stata costruita la maggioranza al Senato del primo Governo Berlusconi.
Voglio aggiungere che respingo con sdegno al mittente le illazioni che questa Pag. 82mattina ha fatto De Gregorio sui presunti affari di famiglia di Follini. Illazioni che nascono da un basso livello di intransigenza morale in nome di una visione moralistica della politica. E noi questo non possiamo accettarlo! Allora, signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo fatto bene a ripartire dalla politica estera, che è faro della credibilità di un paese. Infatti, è giusto ripartire da un tema così importante per la qualità del Governo Prodi. Abbiamo scelto l'Europa ed il processo di integrazione europea; abbiamo scelto la vocazione di pace del popolo italiano, che si coniuga con l'esigenza di sicurezza del contesto internazionale; infine, abbiamo scelto il multilateralismo inteso come condivisione delle decisioni e costruzione di regole comuni.
Perciò è doveroso da parte nostra il rispetto degli impegni assunti in campo internazionale ed è doveroso puntare sul rafforzamento dell'ONU, che oggi ci vede ancor più protagonisti. Credo inoltre sia stato giusto uscire dall'Iraq, così come era previsto nel programma dell'Unione, e credo sia giusto rifinanziare la missione italiana in Afghanistan, che pur essendo una missione militare non è una missione di guerra, bensì per il rafforzamento e la democratizzazione di quel paese. A questo proposito, vorrei dire che sulla politica estera noi non prendiamo lezioni dal centrodestra, che nella scorsa legislatura ha cambiato quattro ministri degli esteri in cinque anni!
Ripartire dalla crisi politica significa affrontare in modo strutturale la causa del problema, cioè la legge elettorale. La modifica della legge elettorale avvenuta in «zona Cesarini» nella scorsa legislatura, a colpi di maggioranza di centrodestra, ha fortemente indebolito il bipolarismo, ha aumentato la frammentazione partitica ed ha fatto della parcellizzazione parlamentare una caratteristica dove conta più la singola personalità che il progetto politico. Ora noi affrontiamo il tema della nuova legge elettorale, che non deve essere assunta unilateralmente - ha fatto bene il Capo del Governo a dirlo -, bensì deve essere condivisa con l'opposizione, senza nessuna imposizione e dopo un legittimo e doveroso dibattito parlamentare.
Tuttavia è necessario spiegare anche agli italiani, onorevoli parlamentari, che purtroppo in Italia esistono cinque o sei sistemi elettorali per cinque o sei istituzioni diverse. Si va dal proporzionale puro per l'elezione del Parlamento europeo al maggioritario con doppio turno e ballottaggio per i comuni e le province, con variazioni tra di esse, al turno unico per le regionali (un po' meno maggioritario e un po' più proporzionale), al proporzionale con premio di maggioranza per il Parlamento, con variazioni fra Camera e Senato.
Non è possibile avere tanti sistemi elettorali diversi in questo nostro paese. Ci vuole anche un po' di coraggio politico per uniformare i vari sistemi elettorali che negli ultimi anni si sono succeduti, a causa anche di una certa frenesia referendaria, che le classi dirigenti degli ultimi quindici anni, tra cui mi metto anch'io, hanno sempre assecondato o inseguito. Si discute molto di modelli stranieri. Credo che noi dobbiamo avere ben chiari tre principi. Al di là del proporzionale corretto con sbarramento o del maggioritario a turno unico o doppio turno o del proporzionale con premio di maggioranza, l'importante è garantire stabilità, governabilità e alternanza. Sono questi i principi che devono in qualche modo caratterizzare la nostra iniziativa politica, di fronte ad una riforma necessaria per il paese, per poter proseguire sulla strada del Governo delle cose fatte bene e soprattutto sulla strada di una legge di riforma che sicuramente modifica il sistema politico italiano.
Per questo motivo dobbiamo esprimere una maggioranza politica forte per attuare il programma di Governo. I risultati del ritmo di crescita del nostro paese hanno sicuramente superato le nostre aspettative, ma la crescita, la produttività e la competitività necessitano costantemente di politiche coraggiose, e non credo, come ha detto prima il collega Lupi, che sia merito del precedente Governo. È merito dell'azione coraggiosa che ha portato avanti Pag. 83questo Governo in questa legislatura, con grande impegno e con grande voglia di crescere e di costruire. Noi abbiamo avviato il cambiamento, creandone i presupposti, ma occorre anche consolidare i risultati negli anni, con un'azione di Governo efficace.
Onorevole Presidente del Consiglio, la grandezza di un uomo - lo diceva Confucio, che era un pensatore, un filosofo, un uomo di stato cinese vissuto cinque secoli prima di Cristo - non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi dopo ogni caduta. Credo che noi, onorevoli colleghi della maggioranza, avremo la forza, la volontà e la determinazione per andare avanti.
Signor Presidente del Consiglio, vada avanti sulla strada che lei ha tracciato del riformismo e della politica ed avrà sempre, come oggi, come ieri, la nostra fiducia incondizionata (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Carlucci. Ne ha facoltà.

GABRIELLA CARLUCCI. Signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni è l'atto finale di questa legislatura, che è nata male ed è finita peggio. Che non esista più una maggioranza, infatti, lo sanno anche le pietre. Lo so che la politica non si fa con il pallottoliere, ma sembra che il povero onorevole Prodi abbia un destino triste, segnato dai numeri. Infatti, alla fine degli anni Novanta, lei, onorevole Prodi, è stato «scaricato» dalla sua maggioranza di allora per un voto. All'inizio del nuovo millennio, verrà paradossalmente rimandato a casa con un voto in più, quello di Follini. Come certo l'onorevole Prodi sa, la fiducia che ha ottenuto dipende solo dal fatto che i suoi «azionisti di maggioranza», cioè i DS, hanno una scadenza veramente molto importante per loro per perdere tempo con il Governo e con una nuova campagna elettorale. Infatti, tra non molto, i «compagni di scuola», come li chiama Andrea Romano, regoleranno i loro conti nel congresso e, quindi, sulla base dei risultati di quest'ultimo, faranno sapere all'onorevole Prodi quando dovrà «togliere il disturbo».
Pertanto, Presidente Prodi, non si illuda: il suo destino è segnato e lei lo sa benissimo, ma non mi sembra che ciò la turbi molto. Invece, io sono molto turbata dalla vostra irresponsabilità, dal vostro scarso senso dello Stato, dal fatto che ci esponiate in continuazione a figuracce internazionali. Queste figuracce mettono a rischio la vita dei nostri soldati, che sono impegnati, ad esempio, in missioni di pace e, non da ultimo, le vostre figuracce, come è stato ripetutamente detto nell'ambito di questa discussione, ci faranno perdere l'aggancio con la ripresa economica. Insomma, ci state facendo fare figure da «peracottari» di dimensioni mondiali.
D'altra parte, quale credibilità può avere un Governo che si fa prendere a «schiaffoni» dagli ambasciatori occidentali? Non ricordo - e credo nessuno lo ricordi, nel Parlamento e nella storia italiana in generale - che vi sia mai stato un rappresentante di un Governo straniero che abbia preso carta e penna ed abbia richiamato al proprio dovere il Governo italiano! Questo è un primato del Governo Prodi! Per non parlare, poi, della base americana di Vicenza, che è stata messa in quel luogo a difesa nostra e della nostra civiltà. Bene, essa sarà bloccata o, comunque, i lavori di ampliamento della stessa saranno rinviati a causa della valutazione di impatto ambientale. Varrebbe la pena di dire che Osama Bin Laden, se avesse saputo tutto ciò in precedenza, anziché ad andare in giro ad ammazzare un bel po' di persone, probabilmente si sarebbe accontentato di occupare l'ufficio del catasto di Vicenza (Commenti dei deputati del gruppo L'Ulivo).

TERESA BELLANOVA. Non sai di che parli!

GABRIELLA CARLUCCI. Quindi, ribadisco il concetto che stiamo facendo una figura da «peracottari» e mettiamo a rischio i nostri soldati, che sono italiani in divisa e che onorano il nostro paese. Ma voi avete scelto di stare con i pacifisti, no? Pag. 84Di andare dietro a quelli con le bandiere, di andare dietro ai comunisti repubblichini, alla Dario Fo!
Il problema è, caro Prodi, che lei, alle spalle - e lo sa molto bene - non ha né un partito né un movimento e non sarà certo lei a decidere quando, come e dove nascerà il partito democratico. Queste cose, naturalmente - lo dico con rispetto - sono «da grandi».
D'altra parte, se lei avesse un minimo di orgoglio, dovrebbe eccepire sul fatto che tra i «soci fondatori» del futuro partito democratico vi sono personaggi che oggi dovrebbero essere in galera, a scontare la giusta pena e che, invece, sono sul palco a spiegare agli italiani qual è la via della democrazia, qual è il rispetto delle idee. Poi, molto più francamente, lei oggi, anche se è uscito, dovrebbe essere incazzato come una iena, perché nella sua città, ossia a Bologna, in queste ore, il fondatore delle Brigate rosse, ossia di una macchina di morte feroce e devastante, gira libero e sta per tenere una bella, e scommetto molto affollata, lezione all'università. Ciò succede nella sua città, ciò succede in Italia ai tempi del Governo Prodi. Ma poiché i comunisti, neocomunisti, postcomunisti - come voi volete chiamarli - sono sempre così e sanno di essere impresentabili, caro presidente Prodi, la usano come un grande dito dietro il quale nascondersi. Lo stesso vale per gli ex democristiani, perché anche loro non sanno che pesci prendere, ma soprattutto non hanno il coraggio di scegliere la loro vera e naturale collocazione, insomma si vergognano: è un po' come andare a ballare da Briatore (Commenti dei deputati del gruppo L'Ulivo)!
Insomma, lei ha dimostrato di non vergognarsi di guidare una coalizione dove i conti si regolano a cazzotti sul treno, dove i segretari vanno in piazza per insultare lei e il suo Governo, dove lei siede accanto a parlamentari o, comunque, a persone che appartengono alla vostra parte politica, che fanno del dileggio alla Chiesa, al papa ed ai vescovi un motivo di vanto.
Comunque, per noi cattolici il periodo quaresimale è dedicato alla riflessione, al pentimento, all'espiazione e dunque, dopo le frivolezze del carnevale, è tempo di guardarsi dentro.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GABRIELLA CARLUCCI. Guardando dentro la sua maggioranza, che sarebbe meglio definire ex maggioranza, l'unica immagine che mi viene in mente è quella delle prefiche, delle signore anziane che andavano dietro i funerali, piangendo ed urlando: ebbene, per voi oggi è il tempo del corteo funebre. Quella che avete ottenuto ieri e che otterrete alla Camera domani è la fiducia alla «cara salma»; però, per fortuna, dopo la Quaresima, arriva la Pasqua e la Resurrezione, ma, naturalmente, questa materia a voi non riguarda (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente della Camera, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, membri del Governo, le sue comunicazioni, oltre a costituire un'opportuna puntualizzazione del programma di Governo, esposto già nel maggio scorso, rappresentano una piattaforma da cui partire per rilanciare l'azione di un Esecutivo forte e duraturo, di cui il paese ha sempre più bisogno. Altri colleghi dell'Italia dei Valori hanno chiosato punti importanti della sua esposizione, come la legge elettorale, la politica estera, la politica sociale, l'economia. Condivido quegli interventi, che su quei punti rappresentano la linea politica del nostro partito.
Voglio, invece, accennare alla nostra posizione su temi come l'energia e l'ambiente, le infrastrutture e lo sviluppo del Mezzogiorno d'Italia. L'attenzione da lei accordata al tema dell'energia e dell'ambiente emerge chiara e puntuale dalle sue comunicazioni. Lei pone giustamente l'accento sugli impegni internazionali per l'eliminazione Pag. 85delle cause dei profondi cambiamenti climatici in atto sul pianeta. La via dello sviluppo deve essere percorsa realizzando le infrastrutture necessarie alla vita sociale, ma senza allentare l'attenzione dalla costruzione di un territorio rispettoso della qualità dell'ambiente, onde favorire un livello di vita accettabile e sostenibile per tutte le creature viventi. La ricerca scientifica e tecnologica costituirà sempre più il fondamento dello sviluppo economico e sociale, consentendo al nostro paese di competere con le aree più avanzate del mondo nel secolo della globalizzazione. Signor Presidente, la ristrettezza dei tempi e le necessità politiche del momento non le hanno certo consentito di sviluppare un ragionamento sugli investimenti dell'ingente massa di risorse finanziarie del quadro strategico nazionale, che ammontano a 123 miliardi di euro nel periodo 2007/2013.
L'occasione storica per il Mezzogiorno, e in particolare per le quattro regioni ex obiettivo 1, di utilizzare bene i fondi strutturali, che ammontano a circa 100 miliardi di euro nei prossimi sette anni, non deve sfuggire alle regioni meridionali, che aspirano ad uscire dalla cappa dell'assistenzialismo e ad annullare o, perlomeno, a ridurre il gap tra Nord e Sud. Naturalmente, vanno tenute presenti le posizioni e le proposte di regioni, enti locali e associazioni sociali, ma nella concertazione e nelle programmazioni territoriali di questa immensa massa di denaro pubblico va certamente sviluppato un indirizzo di carattere generale, finalizzato al raccordo tra le autorità nazionali e comunitarie. In quelle sedi saranno certamente riempiti i comprensibili vuoti del nostro programma, che è fondamento per procedere alla realizzazione delle infrastrutture strategiche europee anche nel Mezzogiorno d'Italia.
Signor Presidente, noi siamo rispettosi dell'ambiente ed auspichiamo che esso sia difeso su basi scientifiche e non su basi ideologiche e conservatrici. Il progresso non può essere bloccato dai nuovi tolemaici proprio nel nostro paese, patria di uomini che hanno illuminato la ricerca scientifica del mondo intero. Per l'esperienza maturata nel secolo scorso, siamo anche convinti che nessuna politica di sviluppo vi sarà nel sud se non si affronteranno con decisione due temi fondamentali: la guerra alla illegalità e alla criminalità organizzata - su cui lei, signor Presidente, sì è impegnato a vincere - e la realizzazione delle indispensabili infrastrutture anche al sud come premessa allo sviluppo.
In questo senso va valutato positivamente il lavoro svolto dal Governo in questi nove mesi, che ha dato un'accelerazione alla realizzazione ed al completamento delle opere già programmate in passato. Tutto ciò si evince dalle sue comunicazioni, signor Presidente del Consiglio, e dal programma presentato nel maggio 2006. Solo così il Mezzogiorno d'Italia avrà le carte in regola per affrontare la competizione che si affaccia all'orizzonte nel 2010, con l'entrata in vigore della zona di libero scambio nel Mediterraneo.
In definitiva, il partito dell'Italia dei Valori apprezza le linee di programma da lei esposte e sia certo, signor Presidente Prodi, che sarà leale, ancor più che in passato, nel collaborare alla realizzazione del programma del Governo da lei presieduto (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Schietroma. Ne ha facoltà.

GIAN FRANCO SCHIETROMA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signori componenti il Governo, colleghi, a nome dei Socialisti democratici italiani esprimo piena fiducia al Governo Prodi e vivo apprezzamento per l'intervento del Presidente del Consiglio.
In particolare, va sottolineata l'attenzione che il Presidente Prodi ha mostrato nei confronti della giusta esigenza di alleggerire la pressione fiscale. In tal senso è veramente opportuna la decisione annunciata dal Presidente Prodi di modificare il calcolo dell'ICI sulla prima casa per consentire significative riduzioni di tale Pag. 86imposta in funzione del numero dei componenti il nucleo familiare.
Forse, non tutti sanno che l'idea di abolire l'ICI sulla prima casa non è di Silvio Berlusconi. In realtà, già nella XIII legislatura, precisamente nel 1996, per iniziativa di noi Socialisti democratici, fu presentata una proposta di legge per l'abolizione dell'imposizione fiscale IRPEF e ICI sulla prima casa. Ricordo perfettamente (la presentammo insieme Enrico Boselli ed io) che questa iniziativa legislativa ebbe successo. Infatti, i Governi di centrosinistra dell'epoca dapprima ridussero e poi eliminarono totalmente l'IRPEF sulla prima casa, cioè la tassa più iniqua in quanto la prima casa non produce un reddito reale e non è giusto che venga tassata addirittura con l'imposta sul reddito.
Invece, nella legislatura successiva, 2001-2006, con il centrodestra al Governo non si verificò alcuna riduzione delle tasse sulla prima casa e ciò malgrado il centrodestra avesse una maggioranza schiacciante sia alla Camera sia al Senato. Soltanto qualche giorno prima delle elezioni politiche del 2006, Silvio Berlusconi, di fatto, riprese abilmente la nostra idea di eliminare l'ICI sulla prima casa e, grazie a questa promessa elettorale, sfiorò la vittoria ottenendo un notevole recupero di consensi.
Il Governo Prodi ha trovato una difficile situazione dei conti pubblici, che ha reso necessaria una legge finanziaria di sacrifici. Ciononostante, ho ritenuto, insieme con il collega parlamentare Giovanni Crema, di presentare un ordine del giorno volto ad impegnare il Governo ad esperire, nel corso della legislatura, ogni iniziativa tesa a ridurre, e possibilmente ad eliminare, l'ICI sulla prima casa. Questo ordine del giorno è stato approvato dalla Camera nella seduta del 18 novembre 2006, proprio in occasione dell'esame della legge finanziaria per il 2007.
Rilevo con soddisfazione che le dichiarazioni di impegno programmatico rese dal Presidente Prodi in materia di ICI sono confortanti e davvero significative. Nel ringraziare vivamente il Governo per aver tenuto conto delle nostre preoccupazioni in materia di ICI sulla prima casa, colgo l'occasione per segnalare al Governo un'altra tassa veramente ingiusta che va senz'altro eliminata. Mi riferisco al canone RAI.
Proprio nei giorni scorsi, ho presentato con altri colleghi di gruppo, tra cui Marco Beltrandi, vicepresidente della Commissione parlamentare competente, una proposta di legge in materia di finanziamento del servizio pubblico generale radiotelevisivo e di abolizione del canone di abbonamento RAI. In particolare, la proposta prevede la modifica delle modalità di finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo attraverso l'eliminazione di qualsivoglia prelievo fiscale di scopo nei confronti degli utenti. Purtroppo, il tempo assegnatomi in questa sede non mi consente di illustrare compiutamente la proposta di legge. Tuttavia, essa è agli atti e vi saranno certamente altre occasioni per approfondire l'argomento.
Un altro tema particolarmente sentito nel nostro partito è quello della difesa della laicità dello Stato, ma va chiarito che ciò non significa, da parte nostra, essere contro la Chiesa. Peraltro, nello SDI vi sono numerosi cattolici praticanti e per noi difendere la laicità dello Stato significa, soprattutto, impedire le cosiddette invasioni di campo, cioè evitare sia eventuali intromissioni dello Stato in materia religiosa sia eventuali intromissioni della Chiesa nelle questioni civili di competenza dello Stato.
Il Presidente del Consiglio ha fatto riferimento, molto opportunamente, alla necessità di una modifica della legge elettorale e, giustamente, ha osservato che le leggi elettorali, come le modifiche alla Costituzione, non dovranno mai più essere decise dalla sola maggioranza.
Mi permetto di aggiungere che le leggi elettorali non solo non dovranno essere decise dalla sola maggioranza ma nemmeno soltanto dei partiti maggiori dei due schieramenti; mi riservo comunque di intervenire nel merito in altre occasioni di discussione. Pag. 87
Farò ora un breve cenno alle liberalizzazioni; la buona fede del Governo al riguardo è certamente fuori discussione. Però, se, per così dire, fossi nei panni del Governo, starei attento a non continuare a dare la sensazione, alle varie categorie di professionisti, di volerli colpire e penalizzare duramente: tutto ciò è profondamente inopportuno ed ingiusto. È chiaro che le riforme in questo settore sono necessarie; basti pensare, ad esempio, all'assurdità delle attuali modalità dell'esame per l'ammissione all'esercizio della professione di avvocato. Però, anche la forma ed il metodo con cui si procede alle riforme sono importanti.
Infine, dopo avere ascoltato, in questi giorni, tanti menagrami, desidero rivolgere un sincero augurio di lunga vita al Governo.

PRESIDENTE. Deve concludere...

GIAN FRANCO SCHIETROMA. Peraltro, la stabilità e la continuità dell'azione governativa sono fondamentali per raggiungere obiettivi essenziali quali quelli di una scuola pubblica di qualità, di servizi sanitari e sociali di eccellenza per tutti, della difesa dei più deboli, della salvaguardia delle pensioni e del mondo del lavoro. Né va trascurato, poi, il rilievo che assume l'esigenza di garantire una giustizia rapida e veramente giusta e di assicurare un'adeguata sicurezza alle nostre famiglie. Soprattutto, infine, dobbiamo creare le condizioni per una società davvero moderna e solidale, nella quale le donne possano godere realmente di pari opportunità ed i giovani possano avere prospettive sicure di un sereno avvenire.
Con questi auspici, noi Socialisti democratici italiani voteremo con convinzione la fiducia al Governo Prodi (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fasolino. Ne ha facoltà.

GAETANO FASOLINO. Signor Presidente, ieri, mercoledì 28 febbraio 2007, il Governo Prodi e la maggioranza che lo sostiene hanno conosciuto un'altra intensa giornata di gloria; hanno avuto il riconoscimento di 162 voti, sufficienti a far superare lo scoglio della fiducia.
Ma Prodi e la maggioranza possono essere tranquilli e soddisfatti? Alberto Ronchey, stamattina, sulle pagine del Corriere della sera scrive che, nonostante il voto di fiducia, «(...) Prodi ed i suoi ministri» continuano a rimanere «seduti sull'orlo delle loro poltrone», pronti ad andare via o ad essere mandati via perché non vi è certezza né sulla durata del Governo né sulla durata della legislatura. A questo punto, è doverosa una domanda: tutto ciò è auspicabile per il bene del paese?
Ebbene, ritengo ormai che tutti si possa e si debba essere indifferenti perché il Governo Prodi e la maggioranza di centrosinistra hanno abbandonato da tempo i grandi obiettivi che avrebbero dovuto realizzare e attraverso i quali modificare e migliorare l'assetto tecnologico e infrastrutturale del nostro paese: non si punta più sulla TAV; il corridoio europeo n. 1 Berlino-Palermo ha di fatto perso ogni possibilità di realizzazione con il «no» definitivo al ponte sullo stretto di Messina; la Lione-Torino è diventata una chimera; la Pianura padana, che poteva essere al centro dei grandi traffici europei, rischia di non esserlo più e di venire marginalizzata. Sembra quasi che questo Governo e la sua maggioranza siano al soldo di quelle «potenze straniere» (come si usava dire un tempo) che hanno tutto l'interesse a che l'asse europeo est-ovest non passi per la Pianura padana.
Analogo discorso deve farsi per altre grandi opere e per la mancata difesa dei valori della cristianità, dei diritti della famiglia tradizionale, del ruolo internazionale dell'Italia.
Sappiamo tutti che il prossimo appuntamento al Senato, come alla Camera - più al Senato, per ovvie ragioni -, riguarderà la questione Afghanistan; in quel caso due sono le possibilità: o si richiede la fiducia oppure bisogna avere i voti di un responsabile centrodestra.Pag. 88
Falliti i grandi obiettivi, tramontate queste volontà, l'unica vera preoccupazione del Governo Prodi e della sua maggioranza è l'appuntamento rituale al Senato, dove si può andare sotto da un momento all'altro. Allora ecco la nuova grande invenzione: il trasformismo, di cui Guido Dorso diceva esser affetto il tessuto dell'Italia meridionale, si è impadronito di tutte le culture e di tutte le aree geografiche. Marco Follini si è imbarcato su questo veliero abnorme e ha dato un sostegno al Governo, pur avendo preso un voto dal suo corpo elettorale nettamente contrario ai principi e ai valori che questo Governo afferma e persegue.

PRESIDENTE. La prego di concludere...

GAETANO FASOLINO. Si dirà che non ha preso denaro; ma basta non aver preso denaro per delimitare la moralità della politica? Credo di no! È un atto immorale, trasformista, che noi abbiamo il dovere di condannare, per il bene del nostro paese, per l'etica della politica, per il ruolo del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!

PRESIDENTE. È presente in tribuna, e le rivolgiamo un saluto molto caloroso, la signora Romy Schmidt, ministro dei beni nazionali della Repubblica del Cile (Applausi).
È iscritto a parlare il deputato Bricolo. Ne ha facoltà.

FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, voglio citare una dichiarazione rilasciata dal vicepremier Massimo D'Alema il giorno prima del voto della settimana scorsa al Senato della mozione di sostegno alla politica estera: «Se non ci sarà una maggioranza a sostegno della mia mozione, tutti a casa!». Passata una settimana, abbiamo visto che a casa non c'è andato nessuno. È evidente che questo Governo, il ministro D'Alema stesso, non ha mantenuto la parola; semplicemente, essi non hanno una parola, sono evidentemente bugiardi, ipocriti, cercavano di costringere una maggioranza, che non hanno in Senato, a votare una mozione che sosteneva una politica estera portata avanti anche dalla Casa delle libertà. Quella politica era però in contrasto con le battaglie che da sempre hanno fatto sul territorio i vari movimenti pacifisti rappresentati in Parlamento.
Adesso è tutto rientrato. Prodi ha fatto un discorso - lo abbiamo letto - molto chiaro, nel senso che non ha detto nulla; era importante per lui non entrare nei temi specifici, non doveva irritare nessuno, per non perdere neanche un voto di un possibile senatore che il giorno dopo avrebbe potuto far mancare la fiducia al suo Governo. Si è trattato di un intervento pilatesco, che non ha affrontato i temi della crisi di Governo. Questo è vergognoso, anche perché il Presidente della Repubblica ha deciso di non accogliere le dimissioni del Presidente del Consiglio e di rinviare il Governo alle Camere perché chiedesse la fiducia, ma anche perché chiarisse le sue posizioni attraverso un dibattito. Il Presidente Prodi non ha mai pronunciato la parola Pacs, non ha mai pronunciato la parola Dico, non ha fatto nessun riferimento alla base di Vicenza, non ha mai parlato dello scalone previdenziale; tutti temi che, di fatto, sono alla base della sfiducia espressa la settimana scorsa al Senato della Repubblica.
Il Presidente Prodi però ha detto anche altre cose; egli ha parlato, per esempio, degli sforzi che questo Governo farà per sostenere l' economia del sud. Migliaia di miliardi saranno investiti per il Mezzogiorno, ma egli si è dimenticato di accennare, anche solo minimamente, alle problematiche che ci sono nel Nord del nostro paese. Nessun finanziamento arriverà al Nord, come non è arrivato dalla finanziaria in questi pochi mesi di Governo del centrosinistra. È l'ennesimo affronto al Nord, che, ancora una volta, viene dimenticato e sfruttato.
Il Presidente Prodi si è dimenticato, inoltre, di affrontare un tema molto importante per chi fa politica, come noi, ogni giorno sul territorio e si confronta con i cittadini, cosa che, evidentemente, non Pag. 89fanno i ministri e i sottosegretari di questo Governo, chiusi nei palazzi a gestire il potere della politica. Mi riferisco ai temi dell'immigrazione e del contrasto alla criminalità, che sono molto sentiti dal territorio.
In questo senso, vogliamo fare chiarezza subito. Avete ancora pochi giorni di Governo, forse alcuni mesi. Prima o poi cadrete ancora, perché non avete i numeri. Basta il raffreddore di un senatore a vita, magari ricoverato, un aereo in ritardo o qualche mal di pancia politico, che, con un voto in meno, non avete più la maggioranza. Dunque, è evidente che cercherete di aggrapparvi a questo voto per portare avanti la vostra politica di Governo.
Lo diciamo molto chiaramente: non toccate la legge sull'immigrazione. È l'unica legge che regola il fenomeno sul nostro territorio, fatta dalla Casa delle libertà, che ha dato un senso all'azione politica della Lega in quella legislatura. Chi entra a casa nostra, lo fa solo se ha un posto di lavoro e una casa, un tetto sotto cui vivere; in tal modo intendiamo ovviare a tutto quel mondo di persone che sono arrivate nel nostro paese negli anni, quando voi eravate al Governo, e che erano costrette a vivere di stenti, sotto i ponti, o ad entrare nel mondo della criminalità, perché non avevano un lavoro con il quale vivere.
Purtroppo, volete farlo e questo è il dramma. Noi ve lo impediremo. Faremo di tutto per mandarvi a casa e, soprattutto, per impedirvi di toccare la legge sull'immigrazione.
Prodi, inoltre, ha annunciato i vari punti sui quali si vuole intervenire: da un programma di circa 290 pagine, si è passati a 12 punti. È un aspetto emblematico e chiaro per capire, anche in questo caso, l'ipocrisia del Presidente Prodi quando ha spiegato questo programma al Parlamento. Egli afferma che intende ridurre i costi della politica, però si ripresenta alle Camere con il Governo che ha il più alto numero di ministri, viceministri e sottosegretari nella storia di questa Repubblica (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Questa era l'occasione per ritornare in Parlamento riducendo di 20 o 30 il numero dei sottosegretari, dimostrando all'opinione pubblica che si vuole veramente cambiare questo paese.
Invece, non siete riusciti neanche ad eliminare un sottosegretario dei 100 e oltre che avete nelle vostre fila, dimostrazione di come, molto spesso, Prodi e i suoi ministri parlano, ma, nei fatti, fanno esattamente il contrario di ciò che dicono e promettono agli elettori.

PRESIDENTE. La prego...

FEDERICO BRICOLO. Concludo, Presidente.
La Lega critica il Governo, ma, giustamente, ha il coraggio di affrontare i problemi dell'opposizione. Vogliamo andare al voto subito. Chi nella Casa delle libertà, in questo momento, cerca di fare accordi di palazzo per rinviare il voto e cercare, magari, governi alternativi o istituzionali, per riuscire ad andare avanti nel tempo e avere una nuova leadership, criticando la Casa delle libertà, non può essere un alleato della Lega. Questo costituisce un motivo per rompere un'alleanza che ha permesso alla Casa delle libertà di gestire per cinque anni il paese - impresa in cui non è riuscito nessuno - ininterrottamente con lo stesso premier (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Incostante. Ne ha facoltà.

MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Signor Presidente del Consiglio, nel suo discorso lei non ha nascosto la natura politica di questa crisi e ha esplicitato il fatto che, già prima del voto al Senato, si erano manifestate tensioni e accentuate litigiosità. Se mi permette, si è trattato anche di eccessivi protagonismi tra le diverse componenti e, talvolta, persino nell'Esecutivo.
Questi elementi, tuttavia, sono presenti nella coalizione del centrosinistra, ma non sono assenti nel centrodestra.
Tutto ciò è frutto della lunga transizione politica ed istituzionale del nostro Pag. 90paese, ma è stato accentuato dalla legge elettorale, da una legge che spezza, in parte, la coesione delle coalizioni ed il vincolo forte con il territorio, che rischia di far prevalere gli interessi di parte su quelli delle alleanze e di mettere in ombra gli interessi generali dell'Italia, di un paese che sta cercando, in questa fase, di mettersi in cammino con l'obiettivo di rilanciare la sua crescita, di colmare la distanza economica, politica e sociale rispetto all'Europa.
Abbiamo ridotto, anche grazie alla ripresa economica, parte del suddetto divario. L'azione del Governo contribuisce, a partire dalla legge finanziaria, a stimolare la crescita. Siamo riusciti a mettere sotto controllo, in parte, il debito pubblico, che pesa sul futuro della competitività, dell'economia e, ancor di più, sulle spalle delle giovani generazioni.
Occorre, perciò, proseguire su questa strada e rinnovare, dunque, la fiducia al Governo, per restituire normalità alla vita parlamentare, per coinvolgere fasce di popolazione nella vita produttiva e lavorativa. Penso, in particolare, alle donne ed ai giovani, al Mezzogiorno - una delle priorità indicate dal Presidente del Consiglio -, carico di contraddizioni, ma anche di opportunità.
Nella legge finanziaria sono impegnate risorse e indicate politiche: infrastrutture, porti, strade, ricerca, imprese. Soprattutto, nella legge finanziaria è indicata una strategia di sinergia economica ed istituzionale che consenta di utilizzare al meglio le risorse (europee, statali e regionali), facendo massa critica e puntando su alcune opzioni: qualità della spesa, innovazione, selettività. Il Mezzogiorno stesso è un giacimento di risorse culturali, storiche, artistiche, ambientali, umane: non è un peso, ma una risorsa a disposizione dell'Italia e dell'Europa. Per far sì che tali risorse vengano utilizzate, è importante proseguire con maggiore decisione lungo le direttrici di marcia già intraprese dal Governo. Sarebbe irresponsabile, ora, interrompere questa azione.
La crescita economica non può essere registrata soltanto con l'aumento del PIL: non si può tralasciare il tema della qualità della crescita civile. In questo quadro, mi sono sembrate molto chiare le parole pronunciate dal Presidente del Consiglio sul tema della legalità, del contrasto alla criminalità, che opprime e soffoca la libertà d'impresa e l'iniziativa dei giovani e minaccia la sicurezza dei cittadini. Per queste ragioni, vanno rafforzate ed innovate le azioni che possono colpire le organizzazioni criminali nei loro affari economici, nelle ingenti risorse che circolano tra il sud ed il nord ed anche al di fuori di questo paese. La criminalità si nutre del degrado, condiziona lo sviluppo del Mezzogiorno, ma investe nelle aree ricche e forti dell'Italia. La nostra crescita civile, sociale ed economica può essere minacciata perché, come ha affermato il Presidente del Consiglio, dove l'illegalità agisce da padrona non si può parlare di sviluppo di una comunità (come la storia ci insegna con riferimento ad altre parti del mondo).
Il nostro paese ha intrapreso un cammino che è ancora fragile rispetto ad una robusta crescita economica. In questa fase, in Italia, si stanno scomponendo e ricomponendo - bisogna riflettere al riguardo! - interessi economici, sociali, politici: siamo tutti dentro una troppo lunga transizione che attraversa aspetti della vita democratica ed istituzionale. L'Italia è in cerca di una funzione, di una missione: la può svolgere in Europa, e la sta svolgendo anche nel contesto internazionale. Per questo, apprezzo l'azione del Governo in ambito internazionale, a partire dalla sua politica estera.
Bisogna andare avanti: è chiaramente questo l'onere del Governo. Non ci nascondiamo le difficoltà che incontreremo, i limiti nei quali ci imbatteremo o le preoccupazioni che il Presidente del Consiglio ha manifestato anche alla sua maggioranza. Tuttavia, le preoccupazione per la sorte del paese non possono non essere anche nella testa e nel cuore di chi è all'opposizione: di chi, però, si sente, e vuole essere, classe dirigente (ciascuno con le proprie idee ed i propri programmi). Una classe dirigente deve interrogarsi, talvolta anche indipendentemente dal ruolo Pag. 91di opposizione o di maggioranza, con lucidità, sulla fase, sulla transizione, sulle possibilità, sulle difficoltà; deve guardare al rinnovamento del sistema politico ed istituzionale e del sistema elettorale come alla stella polare per assicurare governabilità e competitività all'Italia. È per questo che ho condiviso le affermazioni del Presidente del Consiglio sul tema della riforma istituzionale ed elettorale.
Vi sono momenti, nella vita di una comunità, nei quali sarebbe necessario che tutti si fermassero, di fronte alle grandi sfide, e si assumessero delle responsabilità, guardando anche oltre se stessi, guardando al futuro. È opportuno che tutti facciano un passo in più dopo questa crisi, per le giovani generazioni, alle quali stiamo consegnando un mondo che non è certamente migliore di quello che abbiamo ereditato.
Su queste grandi responsabilità dobbiamo tutti fermarci a riflettere. Credo che questa crisi possa far fare al Parlamento, al Governo, all'opposizione - forse - un salto di qualità, com'è avvenuto in altri momenti difficili della storia del paese, quando si è avuto bisogno di una classe dirigente che dal Governo, ma anche dall'opposizione, non ha negato il suo contributo ed ha realizzato grandi convergenze nell'interesse del paese. Non si tratta di evocare equivoche intese, ma di restituire con limpidezza autorevolezza alle istituzioni democratiche e anche al campo del confronto politico, di fronte a tanti cittadini e cittadine che guardano ancora con fiducia alla politica ed alle istituzioni, prima che il campo della sfiducia si allarghi e ci travolga, producendo guasti irreparabili, soprattutto per le giovani generazioni.
Ecco, guardiamo con responsabilità a loro che sono i nostri più severi giudici. Ed è con questi auspici e con questi intendimenti, e anche con questi sentimenti, che auguro a lei e al suo Governo, ma anche a questo Parlamento, di continuare il cammino intrapreso (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nan. Ne ha facoltà.

ENRICO NAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'articolo di fondo del Corriere della sera di oggi, che molti hanno ricordato, indipendentemente dall'importanza della sua provenienza (un autorevole giornale che in piena campagna elettorale ha appoggiato l'attuale maggioranza), non fa altro che interpretare lo stato d'animo e il sentimento della maggioranza degli italiani. E questo perché - basta ascoltare trasmissioni come quella di Ballarò (altra trasmissione non certo a sostegno della Casa delle libertà) -, interpreta lo stato d'animo dei cittadini su un dibattito sulla fiducia che ha avuto una caratterizzazione diversa da quelli precedenti.
In questi giorni non si è parlato tanto dei programmi della nuova riedizione del Governo e di quello scatto in più che Prodi e il suo Governo intendevano fare; l'attenzione pubblica si è piuttosto focalizzata sullo stato di salute di questo o di quel senatore a vita, orientandosi sui dubbi e sulle perplessità di due senatori: ciò perché la gente, l'opinione pubblica, ha capito che questo voto di fiducia non era sul programma nell'interesse dello sviluppo del paese, bensì solo ed esclusivamente un voto per la sopravvivenza dell'attuale maggioranza.
E così ne siete usciti indeboliti, con un risultato modesto, se è vero, com'è vero, che al Senato questa maggioranza ha perso oggi l'appoggio di un autorevole senatore come Giulio Andreotti e qui alla Camera si accinge, secondo le dichiarazioni lette sugli organi di stampa, ad incassare l'astensione di un parlamentare come Capezzone, che rappresenta una importante componente della maggioranza stessa.
Allora, credo che non possiate continuare in questi giorni a prendere in giro il paese, dicendo che siete autosufficienti nella gestione politica di questo Governo. Sapete bene di avere già incassato il «no» sulla TAV, con i verdi pronti a scendere in piazza e a manifestare contro il Governo, il «no» sulle pensioni da parte dei sindacati, Pag. 92il «no» ai Dico da parte di Mastella e della sua componente, e non parliamo poi della situazione politica sull'Afghanistan.
Vedete, questo è l'aspetto più importante di questo dibattito, e soprattutto di quello che vi è stato ieri al Senato: voi non avete avuto la fiducia, ne avete avuto una solo virtuale. Ma non ci si può dimenticare come la crisi che vi ha travolti il 21 febbraio nascesse proprio da un problema di politica estera e come la maggioranza che avete ottenuto ieri per un voto sia del tutto virtuale, se è vero, come lo è, che numerosi senatori, mentre votavano la fiducia al Governo, dichiaravano apertamente che non avrebbero votato la missione in Afghanistan e che avrebbero quindi assunto una posizione politica diversa. Altro che crisi superata! Voi siete in piena tempesta politica, non avete superato il problema della politica estera, problema sul quale dovrete fare i conti tra breve.
Io credo e spero che nell'ambito della mia parte politica tutti abbiano capito come anche per il percorso delle larghe intese sia ormai scaduto il tempo. Vede, signor Presidente del Consiglio, lei ha perso una grande opportunità, subito dopo le elezioni il presidente Berlusconi aveva dato una grande disponibilità, quella di gestire insieme il paese, proponendo di seguire la stessa scelta fatta in Germania, una scelta per favorire il paese. Voi l'avete rifiutata, oggi il tempo è scaduto, oggi non rappresentate più la maggioranza degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Agrò. Ne ha facoltà.

LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signori ministri, colleghi, nelle comunicazioni depositate in quest'aula è stato scritto che la crisi è di natura politica ed è dovuta alla divergenza sulla politica estera e sulla sicurezza. Per superarla, nel suo intervento il Presidente del Consiglio fa una lunga elencazione degli impegni e delle scelte in chiave multilaterale della politica estera italiana, ma glissa sulle questioni di fondo che in qualche modo hanno determinato veramente la crisi: il tema della nostra presenza nel suolo afgano e la base di Vicenza.
Forse sarebbe bastato che il Presidente del Consiglio esprimesse meglio cosa intendeva fare per superare la crisi su questi due temi di fondo. Non ne ha avuto la forza, probabilmente non ha voluto accentuare le divergenze ed ha ritenuto opportuno che ciò dovesse essere in qualche modo legato al tema delle sensibilità diverse che ci sono dentro la sua maggioranza e che lo portano peraltro a soffermarsi su alcune altre sfide. Se la crisi è stata determinata dalla politica estera, bastava che chiudesse la partita in quel campo, ma non lo ha fatto. Pertanto, ha determinato le differenti sensibilità collegandole a sfide diverse, perché sapeva che su altri temi ancora la maggioranza avrebbe avuto difficoltà di tenuta.
Vale la pena allora ricordare alcuni punti di queste sfide, perché mi pare che esse siano contraddittorie e piene di ostacoli per il Governo. Quando il Presidente del Consiglio dice che l'Italia farà la sua parte perché le tratte transfrontaliere da Torino a Lione e da Verona a Monaco vengano cantierate e concluse in tempi brevi, mi pare che faccia un'affermazione senza dire alcunché su come ciò debba realizzarsi. A me sembra poi che la revoca delle concessioni di alcune tratte per l'alta capacità operata attraverso il decreto Bersani vada nel senso di un allungamento dei termini e non di un loro abbreviamento.
Quando si parla di aumento delle pensioni più basse e di riordino del sistema previdenziale, ci troviamo di fronte anche in questo caso a due fasi antitetiche. Aumentiamo pure le pensioni minime, ma quando il nostro paese spende il 50 per cento del proprio welfare nel sistema previdenziale, a fronte del 28 per cento della media europea, mi domando come sia compatibile tutto ciò con il riordino del sistema previdenziale, che non viene nominato visti i contrasti all'interno di questa maggioranza.Pag. 93
Il Presidente Prodi afferma poi che «la crescita va (...) governata con la costante ricerca di maggiore equità e coesione sociale, al centro della quale continuiamo a ritenere debba stare la famiglia». Ma quale famiglia? Quella costruita per norma di Governo come un suo surrogato? Anche su questo ha completamente glissato! Sappiamo poi che al Senato, con un bel modo di dire, si è affermato che la paternità di quella legge viene demandata al Parlamento, mettendo da parte i cinque ministri che hanno firmato il disegno di legge. La coesione sociale verrebbe portata avanti attraverso la famiglia, vedo però che questo Governo crea surrogati di famiglia per norma.
Io credo che questa crisi si sia conclusa con delle comunicazioni che contengono annunci, piuttosto che la dimostrazione della concreta capacità di scalfire la crosta che avvolge la politica italiana!
Ricordo che, da quando è nato questo Governo, il Parlamento ha licenziato due soli provvedimenti importanti: l'indulto (misura assolutamente controversa) e la legge finanziaria per il 2007, con i suoi oltre 1.300 commi, i cui effetti, talvolta perversi, non sono stati ancora del tutto «decifrati»!
Il problema, quindi, è domandarsi quale funzione abbia, con questa maggioranza...

PRESIDENTE. La prego di concludere!

LUIGI D'AGRÒ. ...il Parlamento. La sensazione è che tutto sia demandato alla volubilità ed alla salute dei senatori!
È difficile pensare, allora, che la scelta del senatore Follini abbia anticipato di sei mesi un'analoga nostra decisione: c'è ancora tempo per andare all'inferno!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Galli. Ne ha facoltà.

DANIELE GALLI. Onorevoli colleghi, vi chiedo di compiere un atto di sincerità: dareste voi fiducia a chi, a parole, dichiara di avere una maggioranza coesa, ma poi viene costantemente smentito dai fatti? Il Presidente Prodi parla di coesione, di nuovo slancio della maggioranza e di un elemento identitario e riformista che unirebbe il centrosinistra nell'azione di governo: ma dov'è questo «collante»?
Ciò, a mio giudizio, significa, in parole semplici - ma che hanno il pregio della chiarezza -, negare l'evidenza! Il «collante» riformista, infatti, non può esistere in una coalizione dove si aggirano personaggi talmente slegati da comportamenti di coerenza istituzionale e dove la cultura comunista rivoluzionaria, violenta e intollerante, si alimenta nella contrapposizione e nello scontro.
Si tratta di una maggioranza che viene tenuta in scacco da un'intera componente; la propria parte moderata, inoltre, è totalmente schiacciata da questi gruppi, che assumono un comportamento totalmente irrazionale! L'animo riformista della vostra coalizione non ha spazio e non ha che un filo di voce troppo esile per essere ascoltato e per produrre un effetto mediante.
Guardate, colleghi, una nave con troppi capitani non arriva mai in porto: sarà la sua stessa ciurma ad affondarla, perché troppi e continui saranno gli ammutinamenti: uno è di pochi giorni fa! Quando si parlerà di finanziamento della missione militare in Afghanistan, nel momento in cui si discuterà di pensioni, quando saremo di fronte alla riforma del mercato del lavoro o si tratteranno le grandi opere e la TAV, dove andrà a finire il riformismo? Dove andrà a finire la vostra coesione?
Vorrei infatti osservare che una coesione vera, stante le premesse, non può esservi. Onorevoli colleghi, vorrei dire che l'unico elemento di unità di questa maggioranza è l'odio personale verso il Presidente Berlusconi. Tale odio vi ha uniti, poiché si tratta proprio di una coalizione nata più per dire «no» a qualcuno che per governare! Le troppe anime contrastanti, infatti, le impediscono di agire concretamente ed efficacemente. Possiamo dire, in sostanza, che, dopo aver vinto le elezioni, questa maggioranza ha esaurito il suo compito, la sua funzione ed il suo slancio, Pag. 94ed è sopravvissuta ai suoi stessi scopi. Essa insiste a vivere, ma non si accorge che, sostanzialmente, è già morta!
Tutto ciò perché non ha una voce unica, ma parla con troppe lingue, spesso incomprensibili anche tra di voi!

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 18,24)

DANIELE GALLI. Mandato a casa Berlusconi, nello scorso aprile - più o meno legittimamente: vedremo, poi, se il conteggio dei voti ci darà ragione oppure no -, penso che a Prodi non resti che prendere atto che è tempo che vada a casa lui, poiché ha cessato la sua funzione. Egli non può governare: può, a mio giudizio, soltanto agonizzare, continuando l'inutile sopravvivenza al Palazzo. In questo caso, però, ci rimette l'Italia, in campo sia interno, sia internazionale!
È per onestà intellettuale e per buonsenso che non va concessa la fiducia a Romano Prodi, prima ancora che per convinzione politica!
Il Presidente del Consiglio è ridotto come il famoso Arlecchino, servitore di due padroni: la parte moderata e quella radicale massimalista del suo schieramento. Per non scontentare nessuno, finirà, come ha già fatto, per scontentare tutti. Scontenterà però soprattutto gli italiani.
Nessuno, a mio giudizio, merita una maggioranza così, nemmeno coloro che l'hanno votata nel segreto dell'urna. Negare oggi la fiducia a questo Governo significa confermare la fiducia negli italiani, significa avere fiducia che gli italiani, in occasione delle prossime consultazioni elettorali, sapranno fare una scelta giusta, rimandando questa maggioranza litigiosa ed inaffidabile al ruolo di opposizione.
Signor Presidente, concludo e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Galli, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Bezzi. Ne ha facoltà.

GIACOMO BEZZI. Signor Presidente, nel confermare la fiducia del Partito autonomista trentino al Governo, ricordo, per fedeltà al mandato ricevuto dagli elettori, quella che è una vera e propria emergenza: la riforma del sistema.
Ella, signor Presidente del Consiglio, ha sottolineato la giusta esigenza di una nuova legge elettorale. Essa, però, da sola non risolve i problemi collegati ad una vera governabilità, come dimostrano le varie riforme sino ad oggi succedutesi.
Se infatti non si rimuovono i paradossi istituzionali, anche recentemente richiamati, e i vincoli che su vari fronti esistono, sarà per tutti difficile governare. Occorre una svolta radicale, con una riscrittura condivisa delle regole perché il circuito politico istituzionale ormai rischia una crisi davvero grave.
Per questo, faccio mio l'appello dell'associazione politico-culturale Movimento Comunità, che si richiama agli insegnamenti di Adriano Olivetti e di Alcide De Gasperi, per una vera riforma di sistema.
Dobbiamo tutti preoccuparci, come ha ammonito il Presidente Napolitano, del distacco tra la politica, le istituzioni e i cittadini, che hanno diritto di essere governati senza i continui cambiamenti del gioco politico e potendo conoscere, per un giudizio consapevole, qual è l'atteggiamento delle forze politiche sui temi che toccano direttamente la convivenza civile, i loro diritti, i loro doveri.
Uno Stato e i rappresentanti dei partiti che lo governano non sono credibili se le varie articolazioni statuali si presentano dissociate (si pensi solo al rapporto continuamente mutato tra enti locali e Governo centrale).
È dunque necessario assumere iniziative politiche tendenti a ricostruire questa credibilità, con una stabilità di sistema garantita da tutti, non solo dalle logiche di maggioranza.
Noi possiamo essere tratti in inganno facendo credere ai cittadini che tutto si risolva cambiando l'autista , ma è proprio Pag. 95la macchina invece che va cambiata, altrimenti chiunque guidi rischierà sempre di andare fuori strada.
Gli elettori che ci hanno votato non si accontentano di una maggioranza che viva solo in alternativa all'opposizione, e più in particolare a Silvio Berlusconi. Essi ci chiedono al contrario uno sforzo di innovazione e di cambiamento capace di offrire un quadro di certezze al loro futuro.
Molti temi da lei citati, signor Presidente, si inscrivono in questo processo riformatore, un processo però che va gestito non come un tentativo di ricomporre una maggioranza, ma come un'apertura di dialogo per la riaffermazione dei valori unificanti di questo paese.
La politica internazionale della sicurezza, la politica sociale della famiglia, il nuovo assetto istituzionale, sono i temi sui quali i cittadini si attendono una grande unità tra le forze politiche, ad iniziare dalle maggiori.
L'impetuoso progresso tecnologico, la globalizzazione, che sta conoscendo modificazioni come il post-modernismo, che ha spostato verso la comunicazione il vero potere e nell'accesso alle reti una parte consistente della dinamica anche economica, hanno reso ancora più deboli le strutture di uno Stato ancorato a vecchi concetti.
Le stesse regole della democrazia dimostrano una certa usura del tempo e vanno rivitalizzate. Occorre cioè identificare sia una nuova modalità di dialogo e di azione politica degli amministratori pubblici, sia più moderni e sofisticati canali di partecipazione dei cittadini.
Signor Presidente, nel condividere i dodici punti da lei indicati, e nel riconfermarle la fiducia, voglia accogliere l'invito di aggiungere un tredicesimo punto: quello di una riforma di sistema, dando a questa legislatura anche un carattere costituente.
Gli strumenti per definire tale riforma possono essere diversi, e certo vanno superate ancora non poche difficoltà, ma non è questo il tempo di un rinvio. Se indubbiamente la normale amministrazione è estremamente impegnativa, non si costruirà però il futuro del nostro paese se non si determineranno quei profondi cambiamenti che la realtà interna e internazionale impongono. La scelta che le sta davanti, signor Presidente del Consiglio, sta tra il farsi promotore di una nuova legge elettorale che consenta di migliorare solo parzialmente il sistema, oppure il riaprire invece un nuovo tavolo parlamentare capace di individuare gli elementi fondanti di un nuovo Stato.
Spetta ai politici avveduti indicare la strada giusta ed indispensabile per l'adeguamento delle istituzioni al nuovo sistema determinato dalla società. Un adeguamento che determini un reale cambiamento di sistema, valorizzando la cultura, il dialogo, il confronto ed esaltando tutte le caratteristiche di una civiltà fondata sul valore della persona umana, della libertà, del mercato e della solidarietà.
Non sarà facile né semplice, ma questa è la sfida che - come diceva Aldo Moro - ci pone il tempo che ci è dato di vivere. Sta a noi raccoglierla, non nell'interesse di una parte politica o di una coalizione, ma di tutto il paese.

PRESIDENTE. Assiste ai nostri lavori una classe della scuola media Giovanni Pascoli di Cormons (Gorizia). La Presidenza e l'Assemblea vi salutano (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.

LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, il nostro gruppo darà la fiducia a questo Governo per le scelte che ha compiuto nei mesi scorsi e per le scelte che dovrà compiere negli anni a venire.
Noi Socialisti democratici italiani siamo profondamente convinti che occorra cambiare il nostro paese, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista sociale. Bisogna attuare le riforme istituzionali e quelle costituzionali.
In buona sostanza, siamo profondamente convinti che l'attuale Governo, che è caratterizzato da una grande linea riformista e liberale, abbia la possibilità di determinare queste scelte, guidando il Pag. 96paese sulla linea delle riforme, della crescita, dell'equità e dello sviluppo.
Sono questi i tratti essenziali che individuiamo nell'azione politica del Governo. Non per niente abbiamo sostenuto con forza le scelte adottate in materia di liberalizzazione attraverso il cosiddetto decreto Bersani, nonché una legge finanziaria dura, che in ogni caso dettava le direttrici di un recupero del debito pubblico, avviando lo sviluppo del nostro paese. Una finanziaria che ha già cominciato a produrre i primi risultati. Infatti, nell'ultimo trimestre, si è registrata una crescita del 2,9 per cento oltre ad entrate fiscali estremamente significative. Tutto ciò - lo dico con molta onestà intellettuale - non è semplicemente merito di questo Governo, ma ritengo che non sia affatto merito di quello precedente. Sono queste le differenze che abbiamo il dovere di sottolineare con forza e con onestà.
Le scelte future dovranno riguardare le liberalizzazioni e la riforma delle pensioni. Certo, la riforma delle pensioni significa in buona sostanza garantire pensioni per i giovani e, soprattutto, riconoscere più equità alle pensioni minime che, ad oggi, non sono sufficienti a garantire i limiti di vivibilità.
Abbiamo rilanciato la politica della famiglia, sottolineando con grande puntualità i diritti individuali e collettivi. E non è vero che non vi sia la possibilità di discutere e di approvare i Dico.
Io sono convinto che nei due rami del Parlamento vi sarà certamente una maggioranza trasversale perché entrambe le nostre Camere sono laiche e in grado di far fronte alle proprie scelte.
Il nostro Parlamento non è certamente condizionato da situazioni esterne. Io non credo che questo Governo non sia in grado di far risaltare, come dicevo in precedenza, i diritti individuali e collettivi.
Sono presenti elementi di crescita economica, di equità sociale, di competitività delle imprese, elementi riguardanti il Mezzogiorno d'Italia e le privatizzazioni: il sistema Italia si sta mettendo in cammino per agganciare la ripresa economica europea ed internazionale.
Per questi motivi, noi Socialisti democratici italiani siamo convinti - lo ripeto con grande determinazione - di votare la fiducia a questo Governo. Gli facciamo gli auguri affinché nei prossimi anni tutti gli obbiettivi possano essere raggiunti per il bene dei nostri concittadini (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Landolfi. Ne ha facoltà.

MARIO LANDOLFI. Signor Presidente, è la seconda volta che l'onorevole Prodi si trova a dover fare i conti con un voto di sfiducia parlamentare: è capitato nove anni fa con un'altra legge elettorale, ed una settimana fa a causa di due senatori che hanno votato contro le linee guida del ministro D'Alema in politica estera.
Cito questo precedente per convenire con il Presidente Prodi circa la natura politica di quello che è accaduto al Senato, ma anche per ricordare a me stesso che ciò non è frutto di una legge elettorale sbagliata, quanto di uno schema politico sbagliato.
Nove anni fa e in questi nove mesi si è registrato il fallimento di un'idea del bipolarismo; in ottemperanza alle parole pronunciate ieri al Senato dal senatore Follini si sceglie prima il nemico e poi l'alleato. Questo fallimento, che oggi dà aria e fiato alle trombe e a qualche trombone, fa dire a molti che ci troviamo in presenza di una crisi del bipolarismo e che bisogna tornare ad una «politica dalle mani libere», quando si prendevano i voti a destra e poi si smerciavano sottobanco, sottocosto a sinistra. Si trattava di una politica senza alcuna responsabilità nei confronti degli elettori.
In ogni caso, Alleanza Nazionale su questo è molto vigile e non consentirà che gli italiani vengano privati del diritto di scegliere direttamente i loro governanti. Proprio grazie alla consapevolezza di questo pericolo, dell'insidia che ha accompagnato questa crisi, noi siamo costretti a tracciare un confine netto tra la vostra e la nostra idea di bipolarismo. Il vostro è un bipolarismo contro, il nostro è un Pag. 97bipolarismo per. Voi siete incollati dall'organigramma, noi siamo vincolati dal programma; voi sopravvivete moltiplicando le poltrone, noi rispettando il contratto con gli italiani. Questa è la differenza che c'è tra i nostri cinque anni di Governo - durante i quali abbiamo realizzato tante riforme - e questi nove mesi che spero rappresentino solo il principio di una stagione che troverà presto la propria fine.
Quello che noi diciamo, che stiamo dicendo in queste ore, è proprio dimostrato da questi nove mesi di attività: un DPEF contraddetto da una legge finanziaria che ha reso le tasse più pesanti e le buste paga più leggere; annunci roboanti seguiti da retromarce precipitose; ministri che hanno partecipato a manifestazioni in piazza contro il Governo di cui fanno parte; sottosegretari che hanno manifestato contro i ministri con i quali collaborano. Tutto questo, onorevoli ministri, all'insegna di quella serietà al Governo di cui non vi è traccia in questi mesi di attività.
Oggi vi presentate in Parlamento, con un «bignamino» di dodici punti, per parlare di rilancio dell'attività di Governo. Mi dispiace che non ci sia il Presidente del Consiglio perché gli vorrei chiedere se pensa veramente che questo bignamino di dodici punti possa rilanciare l'attività di Governo.
Vorrei chiedergli se ritiene che, pur presentandosi qui o al Senato con il cipiglio feroce, vi sia un solo italiano disposto a credere che da ieri egli sia davvero l'unico preposto a prendere decisioni in questa risicatissima, rissosissima e sfilacciatissima maggioranza. Vorrei chiedergli se aggettivando, come è solito fare, come forti e serie le iniziative annunciate, riesce davvero a conferire forza e serietà alle sue politiche. Vorrei solamente ricordargli che gli ostacoli di fronte a lui sono tanti. Durante la sua introduzione al Senato ha parlato di tante cose, ma qualche punto è scomparso. I Dico sono diventati «direi»; sono spariti il disegno di legge Gentiloni e le riforme strutturali. Gli ostacoli sono tanti ed occorrerebbe uno slalomista, non un maratoneta.
Come molti italiani, auspico che questo Governo finisca presto perché ci sta riducendo ad essere la periferia dell'Europa. Saremo tagliati fuori. Ministro Di Pietro, lei che sovrintende alle grandi infrastrutture, può dirci se questa TAV si fa oppure no? Infatti, non crediamo alla storiella del coinvolgimento delle comunità locali perché essa equivale alla rinuncia di dotare il paese delle infrastrutture di cui ha bisogno. Lei, come persona avveduta, lo sa e quindi lo dica. Sveli il mostruoso imbroglio consumato a danno degli italiani, con la rinnovata fiducia al Governo che in realtà non esiste perché è stata smentita nel momento in cui veniva data.
È questa la verità; eppure state traendo beneficio dagli effetti delle nostre politiche. Le entrate fiscali sono da record; finalmente sta venendo meno il clima di incertezza, di paura e di rassegnazione che avete sparso a piene mani mentre noi governavamo. Vi è la necessità e la possibilità di agganciare la ripresa. Invece voi che fate? Fate i Dico, la controriforma delle televisioni, il disegno di legge sul doppio cognome! Sono queste le vostre misure per combattere la povertà e la precarietà? Sono queste le cose che intendete fare per rimettere in sesto il paese?
Signori ministri, guardatevi intorno, guardate i vostri volti e quelli degli esponenti della vostra maggioranza e così capirete che siete alla fine. Non è stato rilanciato nulla. Mi viene in mente un verso tratto da una bella canzone di Franco Battiato: «Quanto è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire». Non state assistendo alla riedizione di un Governo ed al suo rilancio, ma alla sua riesumazione (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Carfagna. Ne ha facoltà.

MARIA ROSARIA CARFAGNA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quello di oggi e domani alla Camera è un esercizio sostanzialmente inutile e non soltanto perché ci apprestiamo a votare la fiducia Pag. 98(nel caso del gruppo cui appartengo si tratta della sfiducia) ad un Governo che difficilmente sopravviverà ai prossimi ed inevitabili scossoni, ma anche perché ormai da tempo siamo chiamati esclusivamente a ratificare quanto accade nell'altro ramo del Parlamento oppure quello che il Governo decide ed arrogantemente ci impone. Qui a Montecitorio, oltretutto, non vi è necessità di una conta sul filo di lana perché l'ampio premio di maggioranza, ottenuto grazie una manciata di voti in più, vi consente di procedere con una certa tranquillità. In questo caso il problema non è di numeri, bensì esclusivamente politico ed è legato all'incapacità della vostra maggioranza di tenersi unita e di compattarsi sulle questioni più importanti e delicate che riguardano l'azione di Governo.
Mi riferisco a quanto sta accadendo in Afghanistan ed a quello che purtroppo, probabilmente molto presto, potrebbe accadere in Iran. Il vostro atteggiamento è ambiguo e contraddittorio sui temi di politica estera, che, non a caso, hanno determinato la caduta del Governo al Senato la scorsa settimana. Mi riferisco anche ai Dico ed alle tante questioni etiche che presto ci troveremo ad affrontare e sulle quali cercate ogni volta di trovare affannosamente unità, ma che inevitabilmente e puntualmente finiscono per costituire motivo di scontro. Mi riferisco inoltre ai tentativi di controriforma del mercato del lavoro e del sistema previdenziale, riguardo ai quali siamo ancora in attesa di capire se e quale sarà la vostra proposta.
Su questi argomenti il Governo non ha alcuna possibilità di farcela: non l'aveva e non l'ha a tutt'oggi. Può solo sbandierare un po' di antiamericanismo per accontentare la sinistra radicale; un po' di anticlericalismo per accontentare l'ala atea della coalizione; un po' di lotta di classe sul lavoro e sulle pensioni per tenere buoni sindacati. In sostanza, il vostro sembra un Governo di sbandieratori più che un Governo di costruttori di futuro. È la verità e come tale va accettata anche se fa male!
Pur essendo io nuova nel mondo politico, mi chiedo come abbiate fatto in un mese soltanto ad entrare in rotta di collisione con gli Stati Uniti, con la Chiesa e con Confindustria. Più difficile è riuscirci che non riuscirci. In sostanza, è come fare zero alla schedina: è molto più improbabile e difficile che riuscire a fare 13. Non dico questo perché credo che Stati Uniti, Chiesa e Confindustria debbono avere la possibilità di interferire con l'azione di Governo, ma perché sono fermamente convinta che chi ha a cuore i destini del nostro paese non possa non rispettare la sua storica amicizia con gli Stati Uniti, il legame spirituale e culturale con la Chiesa cattolica e il sistema produttivo nazionale. Voi state tradendo tutto ciò che sta cercando di dare all'Italia un'identità diversa da quella che naturalmente ha; state svilendo un percorso che non appartiene né alla destra né alla sinistra, ma a tutta la nazione e agli italiani. Lo state svilendo per l'obiettivo poco nobile di restare attaccati alla poltrona e di salvaguardare gli interessi di bottega.
È per questo che gli elettori hanno già un'opinione, come dimostrano i numerosi sondaggi; è per questo che temete il ricorso alle urne e che preferite tirare a campare senza preoccuparvi, anzi, infischiandovene del danno che sta procurando al paese. Avevate promesso la serietà al Governo, se non ricordo male. Se vi sembra serio un Governo che, per ottenere la fiducia, deve aspettare la Montalcini che ritorna da Dubai, Pallaro che scioglie le sue riserve e Follini che tradisce il suo elettorato, allora vuol dire che quello che per voi è serio e normale, per noi è assolutamente e totalmente vergognoso. Con la soluzione a questa crisi, che in realtà si chiude così come si era aperta, avete scelto la strada dell'accanimento terapeutico.
Noi siamo contro l'eutanasia e contro l'accanimento terapeutico, ma siamo per la vita. Siamo convinti che per far vivere bene gli italiani nel nostro paese, l'unico rimedio efficace alla vostra crisi ormai cronica siano le dimissioni irrevocabili. Pag. 99Concludo, signor Presidente, con una notizia di poche ore fa: l'Economist ha paragonato romano Prodi ad un personaggio dei videogames, tutto intento - si legge sull'Economist - ad andare avanti nonostante le botte ed il cammino disseminato di trappole e di imboscate. Verrebbe da ridere se non ci fosse di mezzo anche l'immagine del nostro paese all'estero.
In verità, guardando quello che è successo in questi ultimi dieci mesi, sembra davvero di assistere ad un videogioco. Credo che gli italiani siano stufi e preoccupati del fatto che qualcuno giochi irresponsabilmente con il loro futuro e sono quindi pronti a staccare la corrente: questo videogioco, molto presto, si fermerà e gli italiani manderanno a casa questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia e Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcenaro. Ne ha facoltà.

PIETRO MARCENARO. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, signori deputati, con questa crisi e con il suo superamento sta per aprirsi una fase nuova nella vita del Governo e della maggioranza, nei rapporti tra maggioranza ed opposizione e, soprattutto, nei rapporti tra il Governo e la coalizione che lo sostiene, il paese e i cittadini italiani.
L'intesa politica tra le forze della maggioranza sulla base della quale l'onorevole Prodi ha chiesto al Parlamento il rinnovamento della fiducia è un fatto politico nuovo. La destra lo banalizzi pure. Noi tutti del centrosinistra dovremmo invece prenderne pienamente coscienza ed adeguare ad esso i nostri comportamenti collettivi ed individuali.
Nella sua comunicazione il Presidente del Consiglio ha tenuto a sottolineare - senza minimizzazione - la natura politica della crisi che si è aperta e, conseguentemente, ha dichiarato che il Governo e la maggioranza intendono trarne fine in fondo gli insegnamenti conseguenti, insegnamenti di metodo e di merito. Infatti, in che senso quella che abbiamo vissuto e della quale il Parlamento sta ancora discutendo - sia pure in un'atmosfera diversa dopo il voto di ieri al Senato - deve essere considerata una crisi politica?
Mi soffermerò su due punti, tra i molti che potrebbero essere affrontati. Il primo, di merito, riguarda la politica estera del Governo. Il secondo, di metodo, riguarda il centrosinistra, il suo pluralismo, la sua coesione. Gli italiani non si sbagliano quando, interpellati sul loro giudizio sul Governo, indicano la politica estera come il campo nel quale la novità è stata più rilevante e l'azione dell'Esecutivo più efficace e, pur in un tempo estremamente breve, già ricca di risultati importanti. L'azione del Governo in politica estera non è stata caratterizzata dal navigare a vista e dalla logica del caso per caso e neppure ci si è fermati per il timore delle differenze che potevano esistere fra le diverse forze della coalizione.
Sono emersi invece con chiarezza un'ispirazione, una visione, un progetto, e a mio parere questa chiarezza ha fatto sì che sia stato possibile comunicare con il paese ed essere capiti e ha fatto sì che, nonostante i senatori Rossi e Turigliatto, la politica estera sia stata il campo di una dialettica positiva tra azione di Governo, opinione pubblica e movimenti e tra gli stessi partiti della coalizione. Quelli che chiedono oggi il ritiro del contingente italiano dall'Afghanistan non vogliono la pace; semplicemente ricoprono con una patina ideologica la scelta di farsi gli affari propri e di lasciare che il mondo vada dove gli pare. Al contrario, i rappresentanti delle organizzazioni di volontariato che agiscono in Afghanistan sono venuti a dirci, nelle audizioni in Commissione nelle settimane scorse, che non di exit strategy ma di success strategy c'era e c'è bisogno. Certo, prima o poi bisogna venir via e d'altronde i contingenti militari possono contribuire a gestire una transizione e non a sostituire in modo permanente una forza ed una legittimità che per qualsiasi Governo può venire solo, in Afghanistan o altrove, da un diverso rapporto con il paese.Pag. 100
Per contribuire davvero alla pace, per dare alla pace una possibilità, il problema non è di venire via, ma di venire via bene, avendo ottenuto i risultati necessari. Noi siamo oggi di fronte ad una crisi politica e di consenso di quell'unilateralismo, che ha trovato nell'intervento in Iraq la sua manifestazione più netta e più drammatica, ma un'alternativa convincente ed efficace è ancora lontana dall'essere costruita. Il punto è se si vuole partecipare, nella comunità internazionale e nell'ambito del nostro sistema di alleanze, alla costruzione di questa alternativa e se si vuole svolgere un ruolo positivo per costruire le condizioni di quel multilateralismo efficace, del quale tante volte abbiamo parlato. Se si vuole fare ciò, e non semplicemente ritirarsi di fronte ad un compito tanto arduo, è necessario prendersi le proprie responsabilità ed anche costruire un equilibrio tra principi e realismo, senza il quale la politica sparisce e cessa di avere alcun significato.
Se con Max Weber la politica è il campo dell'etica della responsabilità, questo è vero elevato a potenza per quanto riguarda la politica estera. Declamare principi, senza valutare le conseguenze ed i risultati delle proprie azioni e senza misurare ogni volta il valore relativo delle diverse scelte, senza chiedersi ogni volta non solo cosa è bene e cosa è male, ma anche cosa è meglio e cosa è peggio, costituisce sul tema della pace, se fatto da un uomo politico e non da un religioso, un comportamento profondamente immorale. Noi, il centrosinistra, la maggioranza di Governo, dobbiamo sulla politica estera uscire da questa crisi, avendo rafforzato la convinzione che il nostro paese e il suo Governo possono svolgere un ruolo e dare un contributo nei prossimi anni per affermare in Europa e nel mondo nuovi indirizzi, nuove regole ed istituzioni rinnovate, che ridiano alla prospettiva della pace, della sicurezza, della giustizia e del riconoscimento dei diritti umani e della democrazia una nuova prospettiva. Questa scelta, che costituisce la vera novità della politica estera italiana, una novità che è resa possibile non solo dalle intenzioni soggettive ma da un'esigenza e da una domanda che la crisi delle vecchie strategie pone a tutta la comunità internazionale, è praticabile solo se si fa fronte ai propri impegni e alle proprie responsabilità.
Lo stesso rispetto degli impegni e degli obblighi che derivano all'Italia dall'appartenenza alla NATO e che, peraltro, tutti i partiti della coalizione hanno riconosciuto, sottoscrivendo il programma dell' Unione, non dovrebbe essere considerato solo come una necessità che proviene da una vecchia eredità del passato, ma anche come una delle condizioni per partecipare alla costituzione di un nuovo futuro. C'è bisogno di una discussione, e facciamola non solo in Parlamento, perché per sostenere una linea di politica estera così ambiziosa e impegnativa abbiamo vitale bisogno di un'opinione pubblica attiva, di una grande partecipazione e di quelle straordinarie energie che hanno animato i movimenti per la pace in Italia e nel mondo. Bisogna che queste energie e queste forze siano attive, siano in campo, siano mobilitate, perché oggi la lotta per la pace e quella per dare al mondo forme di governo legittime, che non sostituiscano semplicemente l'arbitrio del più forte al principio della sovranità nazionale, sono un passaggio cruciale. Facciamo vivere il pluralismo della coalizione non come una polemica confusa ed insopportabile, nella quale l'unico obiettivo sembra essere quello di portare via un iscritto, un voto al partito più vicino, ma come un confronto di contenuti, di argomenti, di proposte rivolte a tutti i cittadini, impegnandoci a partecipare ad un dibattito pubblico trasparente, nel quale le forze politiche avrebbero il dovere di innalzare, e non di deprimere, la qualità.
Naturalmente, ciò significa anche sapere come si decide e come il pluralismo della nostra coalizione non si traduce in paralisi dell'azione di Governo. Senza regole per decidere, il pluralismo si traduce in potere di veto, una volta dei partiti più grandi, un'altra dei partiti più piccoli. Bene ha fatto, quindi, Prodi a porre come essenziale tale questione e a dare una Pag. 101soluzione, questa volta è davvero il caso di dirlo, last but not least, nel dodicesimo punto dell'intesa. A me pare, e concludo, che questo dodicesimo punto, che stabilisce il dovere della decisione, sia la condizione perché, dopo i mesi trascorsi, il Governo e la maggioranza escano dalle difficoltà che hanno conosciuto.
Voglio solo ricordare, in primo luogo a me stesso, che il dovere - e sottolineo ancora la parola dovere - di decidere vale in particolare sui problemi difficili, anche perché problemi facili non ce ne sono; tuttavia, hic Rhodus, hic salta, è un impegno forte quello che viene chiesto a Prodi e a tutti noi, dai partiti più grandi ai partiti più piccoli, ma se viene meno questo punto la coalizione entra in crisi, non so se al Senato, ma certo nel suo rapporto con la società. Se ci sarà permesso di affrontare e di dare una risposta accettabile a questo problema, penso non sia di circostanza affermare, a proposito di questa crisi che con il voto di domani ci lasceremo alle spalle, paion traversie, ma sono opportunità (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Marcenaro, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Paroli. Ne ha facoltà.

ADRIANO PAROLI. Signor Presidente, sinceramente sono abbastanza allibito dai proclami di novità da parte di alcuni colleghi della maggioranza, che insistono con una posizione che, poi, smentiscono nei corridoi già con le loro facce e con i loro umori. Credo che in tutta questa vicenda, negli ultimi dieci giorni, se vi è qualcosa che emerge con una qualche evidenza è che troppe anomalie si stanno verificando. Devo dire, anche a malincuore, che una prima anomalia - come anche alcuni colleghi hanno già fatto notare - è che un dibattito così importante alla Camera dei deputati veda assente (perché credo che non sia sufficiente una breve comparsa) il Presidente del Consiglio, di fronte ad un momento così delicato per il paese e per il suo Governo.
Ma l'anomalia più grande è certamente ciò che è accaduto al Senato la scorsa settimana e la settimana corrente. Infatti, non è mai accaduto nel paese che una maggioranza cadesse, venisse bocciata sulla politica estera. Ma ciò che è assurdo è che non è mai accaduto che, poi, la stessa maggioranza - la stessa, identica maggioranza - chiedesse una fiducia complessiva, globale, ottenendola, ma non avendo ancora la maggioranza sulla propria politica estera. Ciò che è accaduto ieri è che è stata accordata la fiducia al Governo: come dire, tu vai genericamente, ma sulla politica estera questa maggioranza non ha i numeri. Di questo non si parla. Di questo non c'è coscienza nella maggioranza e nel Governo. Alcuni senatori, convinti con le buone o con le cattive maniere, a tornare sui propri passi ed a votare la fiducia - complessiva - al Governo, hanno già detto chiaramente che sulla politica estera di questo Governo, Afghanistan compreso, non ci saranno. Quindi, dove andate? Cosa succederà?
La stessa cosa si è verificata ieri. Ieri le agenzie erano un bollettino di guerra, non c'era accordo su nulla, dalle pensioni ai Dico, all'Afghanistan, alle questioni legate all'energia e ai gassificatori. È una maggioranza, non disunita, ma ancora più disunita di prima e, ripeto, tutto questo non fa bene al Governo e al paese. Come quello che è accaduto con D'Alema che - lo ricordiamo tutti -, senza bisogno che si facesse la farsa della settimana scorsa, ha voluto imporre un atto di forza, chiedendo una fiducia che non c'è stata e minacciando il «tutti a casa». Il «tutti a casa» si è tramutato nel giro di pochi giorni in tutti dentro, tutti al loro posto, tutti alle loro poltrone.
Non credo che questo fatto possa imprimere una svolta al Governo, perché si è trattato di null'altro che di una nuova menzogna rispetto a tutte le altre menzogne. Ricordiamo tutti Prodi che in campagna Pag. 102elettorale ripeteva ad ogni piè sospinto la frase «non aumenteremo le tasse», salvo il fatto che poi, con la finanziaria, abbiamo visto che anche su questo aveva mentito, come ha mentito sui Dico dicendo che i PACS non erano nel loro programma per poi immediatamente farli diventare un'emergenza, una questione essenziale per il programma del Governo. Tutto ciò perché, evidentemente, c'è stato uno scambio sulla politica estera (l'Afghanistan) e sui Dico; ma questi scambi fanno davvero male alla politica e alla serietà della stessa, soprattutto quando non riescono, come è accaduto in questo caso.
Ebbene, oggi tutta la maggioranza, Prodi davanti a tutti, si è trincerata di fronte all'enigma della legge elettorale, ma quest'ultima è solamente un alibi che permette a questa maggioranza di evitare le elezioni anticipate. Quando la debolezza della maggioranza si è manifestata, subito dopo l'estate, si è cominciato a parlare di legge elettorale, perché doveva essere l'alibi che permetteva di evitare le elezioni anticipate al primo incidente, come si è verificato. Tuttavia, bisogna anche dire come si cambia la legge elettorale e per quale motivo. È evidente che la legge elettorale non deve essere uno stratagemma per fare in modo che - laddove ha vinto la Casa delle libertà, cioè al Senato - si tramutino i vincitori in vinti e viceversa. Al Senato ha vinto la Casa delle libertà e l'Ulivo non ha la maggioranza per questo motivo: ciò è evidente e nessuna legge elettorale potrà permettere questo. Chiedo davvero al Governo e alla maggioranza di riprendere un briciolo di serietà nei rapporti parlamentari all'interno di queste aule, perché credo che ciò faccia male soprattutto alla maggioranza ed al Parlamento. In un momento così difficile il paese non può sopportare una maggioranza così sgangherata e con le idee così poco chiare (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Reina. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, non me ne vogliano i colleghi che mi hanno preceduto nel corso del dibattito, ma trovo davvero bizzarro che ci si affanni - molti lo hanno fatto dai banchi della maggioranza - a lodare il Presidente del Consiglio dei ministri per avere espresso una summa ovvietà, e cioè che quella attraversata dal Governo è stata una crisi politica. Certo che si tratta di una crisi politica, di che ci stiamo occupando? Di che si occupano il Governo e il Parlamento? Il Governo dispiega la propria azione sulla vita reale del paese, su quello che interessa la gente ogni giorno. Il Governo è la massima espressione dell'azione della politica, così come il Parlamento è, o dovrebbe essere, la massima espressione della programmazione della politica. Il rischio vero, quello che stiamo attraversando, è di ritrovarsi non in una fase difficile di transizione della vita della nostra democrazia, quanto piuttosto di fronte ad una transizione complessiva della democrazia, ad un'involuzione del sistema democratico.
Ciò potrebbe avvenire perché vi è un'affannosa ricerca (per la verità, non solo da una parte) di una semplificazione delle regole dell'istituto della democrazia che porterebbero, inevitabilmente, ad una soluzione di tipo oligarchico.
Noi appartenenti al gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia non siamo mai stati interessati - ce ne dovete dare atto; fin dall'inizio lo abbiamo detto chiaramente - agli schemi e alle schermaglie ideologiche che hanno caratterizzato la vita della XV legislatura e il dibattito politico che nel Parlamento è stato condotto. La posizione che abbiamo sempre manifestato è stata di rappresentare in concreto gli interessi della gente comune, in particolare e segnatamente gli interessi dei meridionali, della gente del sud, che riteniamo siano il punto dolente e debole del nostro sistema democratico.
Per questo abbiamo paura, ancora più dei componenti della maggioranza di turno, di un Governo che cade, perché ogni volta che ciò avviene il prezzo più elevato è pagato proprio dalla gente del sud e questo ci preoccupa molto di più di qualsiasi altra considerazione. Un Governo Pag. 103forte è, comunque, un soggetto con cui possiamo intraprendere un confronto politico, con cui opporre una dialettica forte, con cui litigare, ma è un soggetto vivo, vegeto e funzionale. Quello che abbiamo di fronte è esattamente ciò che in questo momento ci viene rappresentato dai banchi del Governo: un Governo «immanente», esattamente come «immanente» è il Presidente del Consiglio dei ministri che non è presente in aula, anzi... c'è e non c'è. Il nostro paese non può permettersi questa condizione.
Le popolazioni meridionali, che attendono da troppo tempo che i loro problemi siano risolti, non possono permettersi di avere a che fare con un Governo «immanente». Vogliamo un Governo vero, reale con cui avere un'interlocuzione, anche se siamo in una posizione diversa e non acquiescente. L'interlocuzione è mancata in tutti questi mesi, sui tanti temi posti.
Anche sul tema più complesso oggi sollevato, la riforma elettorale (che sia un alibi o meno), non possiamo ancora una volta che chiedere che qualunque riforma elettorale tenga conto dell'esigenza di reintrodurre il sistema del voto di preferenza, anche attraverso una forma di listino che salvaguardi, in qualche modo, la possibilità per le oligarchie dei partiti di individuare soggetti da collocare alla Camera o altrove. Ma è necessario che sia reintrodotto il sistema del voto di preferenza, che venga ripristinato il corretto rapporto tra la gente e la politica, le istituzioni.
Per questo siamo convinti che il nostro paese ha bisogno di un Governo vero e non di un Governo «fantoccio».
Per questa ragione non possiamo votare a favore della fiducia, perché la fiducia si concede di fronte a qualcosa. Non riusciamo più ad individuare, rispetto al dodecalogo rappresentato, quale sia l'esatta identità del Governo; un Governo che non ha più la maggioranza, non in Parlamento, non tra i suoi membri perché essi riescono a seguire la politica che un tempo venne definita del «doppio forno», ma perché l'identità è stata persa a Vicenza, cari colleghi della maggioranza. È lì che avete perso l'immagine, l'identità del Governo e se il Governo non è in grado di esprimere in modo coeso una politica estera, non è in grado di esprimere in modo coeso una politica interna, cioè non è.
Quindi, noi non possiamo esprimere alcun giudizio positivo né alcun voto di fiducia su ciò che non è, sulla negazione.
Per tali ragioni, ci accingiamo a votare, domani, contro la fiducia richiesta.
Vogliamo ancora una volta stigmatizzare - ma, in considerazione del tempo rimasto a disposizione dei nostri interventi, sulla questione ci soffermeremo più ampiamente domani - come il Governo abbia mancato di rivolgere adeguata e concreta attenzione verso il Mezzogiorno. Da un lato, infatti, ha dichiarato che il Mezzogiorno rappresenta un tema fondamentale; dall'altro, tuttavia, delle annunciate opere pubbliche riguardanti il paese e l'ammodernamento della rete trasportistica non una sola di esse è destinata al sud. Tralasciamo pure il ponte sullo stretto, ma non ve ne è una sola che venga indicata per il sud del paese! Dunque, di cosa andiamo cianciando, quando parliamo dell'interesse di questo Governo per il meridione d'Italia? Pensate, forse, che, asfaltando qualche strada provinciale, riusciamo a risolvere i problemi ed i nodi fondamentali del sud, che sono di natura strutturale? Vogliamo scherzare? O, forse, è vero quanto poc'anzi ho osservato, e cioè che voi non ci siete e, non essendoci, vi potete permettere il lusso di parlare in libertà e di prendere in giro chi volete? Tanto, i numeri ancora ve lo consentono!
Ma la politica - purtroppo per voi! - non è fatta solo di numeri; vi sono anche i momenti in cui deve essere sostenuto il confronto con il paese. Ebbene, voi sarete costretti ad un tale confronto e perderete perché non siete stati capaci né di essere voi stessi né di interpretare la politica che il paese vero avrebbe voluto dal Governo del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mura. Ne ha facoltà.

Pag. 104

SILVANA MURA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, ministri, colleghi, a undici mesi dalle elezioni affrontiamo un dibattito sulla fiducia richiesta dal Governo a seguito della crisi apertasi nei giorni scorsi. Una crisi dovuta a diversi fattori tra i quali ricordo anzitutto la legge elettorale approvata sul finire della scorsa legislatura, che ha determinato la difficile situazione presente al Senato e che, per così dire, renderebbe la vita faticosa a qualsiasi Governo. Certamente, la causa della crisi deve ravvisarsi non solo nella legge elettorale ma anche nell'eccessiva litigiosità presente all'interno delle forze di maggioranza che ha indotto i partiti a marcare il proprio territorio anziché a fare squadra.
Signor Presidente del Consiglio, ho molto apprezzato - e spero che queste parole le giungano - la forza e la coerenza con cui ha difeso il mandato che le è stato conferito dagli elettori per governare il nostro paese. Mi riferisco in particolare all'affermazione della sua leadership attraverso dodici priorità programmatiche sulle quali ha chiesto alle forze politiche di maggioranza pieno sostegno e totale condivisione. Il suo non è un Governo come tutti gli altri, ma segna una netta discontinuità nella storia della democrazia del nostro paese rispetto ai cinquantotto Governi ed ai primi ministri che l'hanno preceduta. La sua candidatura a premier non è frutto di un accordo tra i partiti, ma è stata voluta da 4 milioni di elettori che, il 16 ottobre 2005, hanno partecipato alle primarie per scegliere il candidato alla guida del governo del paese; scelta poi ratificata dalle elezioni politiche. Le primarie devono ricordare a tutti i partiti dell'Unione che i nostri elettori si sono già espressi chiaramente su chi deve guidare il Governo; una volontà che sicuramente non possiamo tradire.
Le dodici priorità programmatiche indicano la volontà del Governo e delle forze politiche di maggioranza di giocare la partita fino in fondo, senza timore di quanto potrà accadere e con la coscienza di aver tenuto fede fino in fondo al mandato ricevuto dagli elettori.
Noi dell'Italia dei Valori non possiamo non apprezzare che tra queste dodici priorità programmatiche figuri un tema al quale noi da sempre siamo molto attenti, vale a dire la riduzione dei costi della politica. Una misura che riteniamo assolutamente doverosa in un momento di risanamento dei conti pubblici e di modernizzazione del paese.
Personalmente, ho anche molto valutato positivamente, Presidente Prodi, che in questo momento difficile di trasformazione del paese lei abbia manifestato l'apprezzamento più sincero del Governo nei confronti dell'opera encomiabile svolta dalle donne e dagli uomini delle forze dell'ordine che ogni giorno lavorano con impegno per la nostra sicurezza.
Apprezzamento condiviso, immagino, anche dalle forze dell'opposizione, non solo da quelle di maggioranza. Un attestato ancora più significativo in un momento in cui il fenomeno del terrorismo sembra comparire di nuovo ed intere regioni del paese sono taglieggiate dalla criminalità organizzata, mentre le forze dell'ordine diventano ingiustamente e inspiegabilmente bersaglio di frange che sfogano la propria violenza negli stadi di calcio.
Concludendo, signor Presidente del Consiglio, forte del consenso dei cittadini, prima ancora di quello delle forze politiche di maggioranza, continui con fermezza il percorso che ha indicato, non certo per soffocare il dissenso e la dialettica propria, in una coalizione in cui figurano partiti diversi per storia, cultura e tradizione, ma per raggiungere quella sintesi indispensabile per governare. Lo faccia in virtù del mandato che le è stato conferito, con le primarie prima e con le elezioni poi, e l'Italia dei Valori sarà al suo fianco (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e L'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Crosetto. Ne ha facoltà.

GUIDO CROSETTO. Signor Presidente, ho letto, come tutti noi, il dodecalogo con cui l'ex Primo ministro Prodi, attualmente Pag. 105rinviato alle Camere per la fiducia, ha cercato di ricucire la sua maggioranza; si tratta di un progetto che non ci sembra molto variato rispetto a quello sul quale è caduto la settimana prima. L'ho letto e ho scoperto che il motivo per il quale questa maggioranza è caduta non va rinvenuto in una crisi politica interna, nelle contraddizioni interne, ma nel sistema elettorale. Allora mi è venuto in mente cosa è successo dal 1996 al 2001, quando avevamo un sistema elettorale diverso: una maggioranza simile a questa - non c'era il problema della legge elettorale - ha cambiato sei Governi e tre Presidenti del Consiglio; allora, mi sono accorto che i sintomi di questa crisi, che non è di sistema elettorale, ma politica, c'erano già nel 1996 ed hanno prodotto effetti dal 1996 al 2001.
La nostra preoccupazione, che con i nostri interventi cerchiamo di far emergere, non è quella di chi sta all'opposizione e vorrebbe essere maggioranza: noi siamo preoccupati per una maggioranza che diventa un problema per il paese - non per l'opposizione - , perché non è in grado di governare. Quando dico governare intendo, ministro Di Pietro, ad esempio fare scelte importanti per il futuro del paese. Voi avete una fortuna, che non è solo vostra, ma del paese: viviamo in un periodo di ripresa economica, una ripresa europea, e il nostro paese può agganciarla o meno. Come pensiamo di agganciarla? In modo estemporaneo: i parrucchieri potranno aprire il lunedì - lo ritengo un atto importante per agganciare la ripresa economica europea! -, e mi chiedo se le prossime liberalizzazioni di Bersani riguarderanno gli spazzacamini e gli arrotini. Sulle liberalizzazioni ho sentito parlare di tassisti e di parrucchieri, ma non ho sentito parlare di servizi pubblici locali, di energia; non ho sentito parlare, da nessuno, neanche dal Presidente Prodi, di interventi importanti per il sistema paese.
La nostra preoccupazione non è quella di un partito che sta all'opposizione e vorrebbe governare - almeno non è la mia -, ma quella di cittadini italiani che rappresentano altri cittadini italiani, che si chiedono quale sarà il futuro del nostro paese.
Approfitto della presenza del ministro Di Pietro in aula. Veda, penso che non servano i viaggi in India. Questo paese non ha solo bisogno di aperture formali verso il mondo: noi abbiamo bisogno, purtroppo - lei probabilmente lo sa -, di aperture fisiche. Non basta andare in India, andare in Cina e aprirsi al mondo dicendo che si è fatto un viaggio. Abbiamo bisogno di aperture fisiche, dell'alta velocità, del terzo valico, abbiamo bisogno di far diventare i nostri porti centrali!
Quando ho letto il punto con il quale Prodi ha affrontato l'argomento infrastrutture - parlo di questo tema perché ho la fortuna di avere lei in aula -, mi sono posto questo problema. Un Governo che vuole veramente fare l'alta velocità, la toglie dall'elenco delle grandi opere e mette la possibilità di eseguire un'opera importante per tutta l'Italia nelle mani dell'ultimo comitato del più piccolo comune su cui dovrebbe transitare? No, e lei lo sa perfettamente.
Ma un Governo che non si pone seriamente il problema - ad esempio, nel campo delle infrastrutture -, di affrontare e risolvere questo aspetto, quale futuro sta preparando per il paese?
Questa è la nostra preoccupazione, quella di assistere ad una farsa che ha come unico punto di arrivo quello di consentire ad un moribondo di sopravvivere, di consentire ad un Governo che sa di non essere in grado di fare nulla che incida realmente sulla società di andare avanti ancora un po'. Quanto? Sei mesi, otto mesi, un anno...

PRESIDENTE. La prego...

GUIDO CROSETTO. ... sapendo che questa responsabilità politica, probabilmente, la pagherete alle prossime elezioni, come la state pagando adesso.
Ma questo non basta. La nostra preoccupazione - e concludo, signor Presidente - è un'altra: non è quella che voi la paghiate tra un anno, due o tre in modo Pag. 106tale che noi possiamo raccoglierne i frutti. La preoccupazione è che, perso questo anno, due o tre, a rimetterci sarà il paese. Non ci interessa il futuro della coalizione di centrosinistra, della Margherita o dei DS, ci interessa il futuro dell'Italia. La responsabilità che avevamo chiesto a questo Esecutivo era quella di far prevalere questo interesse su quello della sua mera sopravvivenza (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata dagli onorevoli Franceschini, Migliore, Donadi, Villetti, Bonelli, Sgobio, Fabris e Brugger la seguente risoluzione:
«La Camera, udite le comunicazioni del Governo, le approva e passa all'ordine del giorno» (n. 6-00016).

Dichiaro chiusa la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Ricordo che, secondo quanto convenuto nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo dello scorso 26 febbraio, nella seduta di domani, a partire dalle ore 9,30, avrà luogo il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo, con la ripresa televisiva diretta della replica del Presidente del Consiglio dei ministri, delle dichiarazioni di voto dei rappresentanti delle componenti politiche del gruppo Misto e dei gruppi, in ordine crescente.
Seguirà la votazione della risoluzione presentata.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Venerdì 2 marzo 2007, alle 9,30:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

La seduta termina alle 19,20.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI STEFANIA PRESTIGIACOMO, DANIELE GALLI E PIETRO MARCENARO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE COMUNICAZIONI DEL GOVERNO

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, questo dibattito, il cui esito è scontato dati i numeri in questo ramo del Parlamento, ne siamo tutti consapevoli e ce lo ha confermato il suo stesso discorso, non segna l'inizio di una nuova fase di un nuovo cammino programmatico.
Siamo tutti al capezzale di un moribondo cui è stato somministrato un palliativo sapendo comunque che la sua sorte è segnata.
Dal libro dei sogni del programma dell'Unione, 280 pagine, siamo passati alla lista della spesa.
Non c'è speranza, non c'è futuro nei suoi dodici punti, che sono le ceneri del suo programma.
Ma pure su quelli già si sa che non c'è un'intesa, ma non c'è soprattutto chiarezza sulle scelte strategiche per il paese: non c'è sulla politica estera, non c'è sulle liberalizzazioni, non c'è sulle pensioni, non c'e sulle infrastrutture urgenti per il Paese.
Per non parlare dei Dico, di cui non sono rimaste nemmeno le ceneri, ma solo l'impressione, che in tanti avevamo intuito, di una sontuosa presa in giro ai conviventi e di una rapida ritirata strategica.
Onorevole Presidente del Consiglio, l'attuale situazione, che era inevitabile, è il risultato del suo travisamento dell'esito elettorale, che, riconta o non riconta dei voti, è stato politicamente e numericamente un pareggio di cui non avete voluto prendere atto.
Un anno fa, invece di percorrere strade di maggiore responsabilità, di maggiore senso delle istituzioni e di maggiore ragionevolezza per il bene del Paese, il centrosinistra ha preteso di imporre agli italiani, che per metà non vi avevano votato, il Governo più spostato a sinistra della storia della Repubblica. Un Governo Pag. 107che, oltre a non avere i numeri, non ha la coesione politica sui principali temi strategici.
L'unica cosa su cui in un anno siete stati d'accordo, dopo aver moltiplicato poltrone e sgabelli ministeriali, è stata una finanziaria di tasse non motivate dalla situazione economica che il Governo della Casa delle libertà vi aveva lasciato, eccezionalmente favorevole, e di aumento della spesa pubblica.
A proposito di aumento della spesa, i famosi ministeri senza portafoglio, che dovrebbero essere di indirizzo, sono diventati erogatori di spesa, non in sostituzione, ma in aggiunta alle spese dei ministeri con portafoglio.
E mistificando la reale condizione dei conti pubblici, sui quali la verità è finalmente emersa, avete inventato una stangata fiscale in una fase di ripresa economica, quando le imprese e i cittadini di ben altro avevano bisogno.
Ed anche il sostegno ai bassi redditi si è rivelato una presa in giro. Le buste paga dei lavoratori sono tutt'altro che migliorate; del cuneo fiscale tagliato, gli italiani non hanno visto niente, ma hanno capito benissimo che gli avete scippato i fondi del TFR.
Gli italiani, anche i vostri elettori, onorevole Prodi, sanno d'essere stati beffati. Sanno che dovranno pagare di più l'addizionale Irpef, che era bloccata da anni, e aspettano l'aumento dell'ICI, che adesso cercate di camuffare con espedienti retorici.
Abbiamo letto nei giorni scorsi le imbarazzatissime repliche del viceministro Visco, che ha tentato invano di replicare alle documentate analisi de Il Sole 24 Ore che ha dimostrato come le tasse locali che la finanziaria ha innescato peseranno soprattutto sulle famiglie a reddito medio-basso.
È questa, colleghi del centrosinistra, l'Italia che avete in mente? Con una politica demagogica state tentando di affossare una ripresa che era finalmente arrivata e che l'Italia, dopo aver resistito negli anni di congiuntura negativa, oggi dovrebbe assecondare, non deprimere.
E sapete perfettamente che la cosa che più nuoce all'economia, alle imprese, è la instabilità politica, l'incertezza, la mancanza di solide e chiare condizioni per lavorare e per crescere. Ancora pochi giorni fa il presidente di Confindustria, che certo non vi era ostile, ha denunciato i rischi di un black-out, a causa della instabilità politica, e non è un caso se il leader dei giovani industriali si è schierato fra i sostenitori del referendum elettorale, che la sinistra radicale e i cespugli di lotta e di Governo della sua variopinta coalizione vedono come il fumo negli occhi.
Io sono tra coloro i quali convintamente si battono per il referendum elettorale, ma naturalmente è il Parlamento che dovrebbe affrontare questo tema. Però si sentono discorsi strani. Si sentono discorsi su un sistema alla tedesca, magari «saltato all'amatriciana». Di tedesco alla fine rischia di restare solo il proporzionale. Di italiano invece si riaffacciano la mancanza di vincolo di coalizione e le preferenze. Questo significherebbe due cose: la fine del bipolarismo, con il ritorno alle vecchie liturgie governative che hanno garantito quarantacinque anni di inamovibilità della classe dirigente, e il ritorno del potenziale di inquinamento politico e clientelare che il sistema delle preferenze porta con sè.
Parlo di queste cose da siciliana, da persona che ha conosciuto quale pericolo mortale sia per la politica il meccanismo delle preferenze dove la società è più debole, dove il bisogno è più forte.
Reintrodurre le preferenze, magari per ingraziarsi un potenziale alleato di domani, significa restituire la politica di grandi aree del paese ai signori delle tessere, dei favori. Significa cancellare il voto di opinione, significa ripristinare meccanismi di selezione della classe politica legati al mercato dei consensi.
Io credo che il bipolarismo sia un valore non contrattabile, sia l'assicurazione del ricambio di politiche e classi dirigenti, sia un valore fatto di chiarezza nei confronti degli elettori, che non possono e non vogliono più rilasciare deleghe in bianco alla politica, ma vogliono scegliere Pag. 108chi li governerà e vogliono avere la possibilità, col voto, di cambiare governi e maggioranze.
Questa legge elettorale è certamente imperfetta, ma cambiarla non può significare tornare al passato, alla politica che produceva un Governo l'anno fotocopia del precedente, alla politica che per quasi cinquant'anni, qualunque fosse l'esito delle urne, ci ha dato sempre gli stessi governi e gli stessi governanti.
Onorevole Prodi, cambiare la legge elettorale si deve e si può. Ma a spingere questo cambiamento sarà la pistola puntata dal referendum. Quel referendum è lo scudo contro ogni attacco possibile al bipolarismo, contro ogni possibile intento dilatorio, contro chi vuole ricacciare indietro il nostro sistema, contro chi vuole chiudere le porte al ricambio della classe dirigente.
Io non credo che questa maggioranza abbia la capacità di avviare una stagione di confronto su questi temi, penso invece che ci sia chi punta a compromessi al ribasso.
Mi avvio a concludere parlando delle politiche femminili, che lei inserisce sempre nei suoi discorsi come elemento retorico di circostanza.
Lei ha giustamente affermato che i livelli d'occupazione delle donne italiane sono più simili a quelle dei paesi africani che di quelli europei. È vero; è anche vero però che sono cresciuti significativamente nei cinque anni di Governo Berlusconi, ma molto resta da fare.
Abbiamo sempre detto che i provvedimenti che sarebbero stati promossi su questo tema avrebbero avuto da parte nostra un'attenzione particolare e un serio impegno per convergere su soluzioni condivise.
Onorevole Prodi, lei, oggi come in campagna elettorale, parla tanto di questione femminile, ma in un anno cosa ha fatto? Quali scelte strategiche, quali nuove opzioni? Niente.
Non è un caso che la senatrice Franco abbia sviluppato il suo intervento di ieri al Senato proprio su questo tema.
Continuiamo a sentire «solo parole» sui servizi sociali e sugli asili nido; cercate di rivendere a noi le nostre stesse proposte che voi per cinque anni avete osteggiato, come ad esempio gli asili nido nei luoghi di lavoro. E intanto costringete i comuni ad aumentare i costi dei servizi per far fronte alle vostre stangate.
Colleghi del centrosinistra, ma pensate davvero che le donne italiane non riconoscano le vostre «patacche»?
Noi voteremo contro questo Governo, ma se aveste consapevolezza e lucidità politica dovreste prendere atto che, anche se riuscirete a mettere assieme una fiducia rabberciata dalle Camere, la fiducia degli italiani ormai l'avete persa.
E la scelta più responsabile e dignitosa sarebbe stata quella di passare la mano. L'Italia ve ne sarebbe grata.

DANIELE GALLI. Onorevoli colleghi, vi chiedo un atto di sincerità. Dareste voi fiducia a chi dichiara una coesione della maggioranza a parole, e viene smentito dai fatti?
Il Presidente Prodi parla di coesione, di nuovo slancio della maggioranza, di un elemento identitario riformista che unirebbe il centrosinistra nell'azione di governo.
Questo significa, in parole semplici che hanno però il pregio della chiarezza, negare l'evidenza.
Il collante riformista non può esistere in una coalizione dove si aggirano personaggi totalmente slegati da comportamenti di coerenza istituzionale; dove la cultura comunista rivoluzionaria, violenta e intollerante, che si alimenta della contrapposizione e dello scontro, tiene in scacco un'incerta componente moderata per puro peso elettorale.
L'animo riformista nella vostra coalizione non ha spazio e non ha che un filo di voce, troppo esile per essere ascoltato.
Una nave con troppi capitani non arriverà mai in porto: sarà la sua stessa ciurma che l'affonderà, perché troppi e continui saranno gli ammutinamenti.
Quando si parlerà di rifinanziamento della missione militare in Afghanistan, si Pag. 109discuterà di pensioni, o saremo ancora di fronte alla riforma del lavoro o alle grandi infrastrutture TAV? Dove andrà a finire il riformismo?
Dove andrà a finire la coesione della maggioranza?
Perché una coesione vera, stante le premesse, non ci può essere.
Onorevoli colleghi, l'unico elemento di coesione di questa maggioranza è l'odio - personale, prima che politico - contro Silvio Berlusconi.
Si tratta di una coalizione nata per dire no a qualcuno, non per governare: le sue troppe anime contrastanti le impediscono di agire concretamente ed efficacemente.
In sostanza possiamo dire che dopo aver vinto le elezioni ha esaurito il suo compito e la sua funzione: è sopravvissuta ai suoi stessi scopi, insiste a vivere e non si accorge che è già morta.
E tutto questo perché non ha una voce unica, ma parla con troppe lingue fra loro spesso incomprensibili.
Mandato a casa Berlusconi nello scorso aprile, più o meno legittimamente, a Prodi non resta che prendere atto - è solo questione di tempo - che ora a casa deve andarci lui. Ha cessato la sua funzione.
Non può governare, può solo agonizzare, continuando l'inutile sopravvivenza fra le mura del Palazzo e ad umiliare l'Italia all'estero.
È per onestà intellettuale e buon senso che non va concessa la fiducia a Romano Prodi, prima ancora che per le convinzioni politiche.
Il Presidente del Consiglio è ridotto come il famoso Arlecchino servitore di due padroni: la parte moderata e quella radicale massimalista del suo schieramento.
Per non scontentarne nessuna finirà, come ha già fatto, per scontentare tutti, soprattutto gli italiani.
Nessuno merita una simile maggioranza, nemmeno chi l'ha votata nel segreto dell'urna.
Negare oggi la fiducia a questo governo significa confermare la fiducia negli italiani: fiducia che gli italiani, in occasione delle prossime consultazioni elettorali, sapranno fare la scelta giusta, ricacciando questa maggioranza litigiosa e inaffidabile al ruolo di opposizione.
Cosa ha fatto questa maggioranza fino ad oggi?
Quelle che sono divenute patologie di sistema, erano fino a poco tempo fa problemi risolvibili che non sono stati risolti né affrontati, preferendo attuare soluzioni annacquate e di facciata, per non alterare gli equilibri politici.
Se una volta non si poteva scontentare il Pci, oggi hanno solo cambiato nome i titolari dei trasformismi, dei trasversalismi e degli inciuci.
State riproponendo i medesimi schemi della prima Repubblica, state riesumando il moloch politico che vi permette di sopravvivere, ma che porta allo sfascio il paese.
Signor Presidente del Consiglio, lei dichiara 12 punti - ben due oltre le tavole bibliche - come capisaldi non negoziabili, in nome dei quali si dovrebbe accordarle la fiducia: se questi punti sono il collante che determina la sopravvivenza di questa vostra bizzarra alleanza, e sono la sintesi delle circa 300 pagine di parole fumose gettate negli occhi dell'elettorato italiano dieci mesi or sono, credo che accordarle tale fiducia, da parte di chi lo farà, sia accanimento terapeutico.
Non eravate voi, non era per buona parte la sua maggioranza propensa all' eutanasia?
Ecco, è giunto il momento per dimostrare il coraggio di applicarla su di voi.
Ogni punto del programma che avete provato a realizzare ha di fatto messo in luce il nervo scoperto delle vostre divisioni: divisi su cosa realizzare, su come realizzarlo e sul perché realizzarlo.
Gli esempi forniti agli italiani durante il vostro fin troppo lungo recente passato sono molteplici: dalla politica estera che vi ha fatto cadere malamente; alla gestione della base di Vicenza; alle politiche sulle infrastrutture; all'«omunculus giuridico» della proposta Dico, che ora è divenuto figlio di nessuno, su cui non potete neppure esprimere un parere personale, pena Pag. 110la defezione dei vostri alleati, a riprova del fatto che come sempre vi distinguete per mancanza di coesione politica.
Come potrete essere concordi e uniti nel voto di fiducia di domani, basandovi sulla genericità e sull'ambiguità dei 12 punti, quando ognuna delle diverse anime che sostengono la maggioranza ha punti di vista e soluzioni diverse?
Parliamo ad esempio di un tema sociale, solo a parole un vostro cavallo di battaglia: parliamo di pensioni.
Lei cita generalmente un riordino.
L'Europa di cui lei è stato Presidente ci indica una chiara direzione, la sinistra massimalista che la sostiene ha una posizione diametralmente contraria a quella europea.
Lei parla di riordino: quale? In quale direzione intende agire? Come? Lo dichiari senza mezzi termini, vorremmo esserne edotti.
Torneremo a prima della riforma Dini? manterremo lo scalone? anche in virtù delle scadenze relative al Tfr credo che i lavoratori, in particolare i giovani, abbiano necessità di certezze comportamentali e non di rimandi ed illusioni a mero scopo elettorale.
Intende riconoscere e seguire la virtuosa strada del presidente Berlusconi sulla quale, nel pieno della più grande crisi economica degli ultimi decenni, si è realmente aumentato le pensioni minime a più di un milione di italiani, senza aumentare le tasse?
Lei con la sua finanziaria ha fatto strage nel portafoglio degli italiani con 67 nuove tasse, ponendo alla ripresa economica italiana un'ulteriore palla al piede, cosa intende fare di concreto e non solo a parole?
Un altro dei 12 punti annunciati per l'azione di Governo, è la «riduzione significativa della spesa pubblica», che lei cita come sempre senza indicarne il metodo di risoluzione. Tra l'altro siamo prossimi al rinnovo del contratto con i dipendenti pubblici, i cui stipendi sono mediamente aumentati negli ultimi cinque anni di circa il 15 per cento rispetto al settore privato.
Sembra, e la stampa lo evidenzia, che buona parte di questi aumenti sia avvenuta attraverso la contrattazione integrativa di ogni singola amministrazione, e tali aumenti sembrano essere stati generalmente concessi sotto forma di promozioni, come sempre contrattate e decise con il sindacato, su criteri basati ben poco sulla valutazione della reale capacità di lavoro di ciascuno, quanto sulla semplice anzianità di servizio, nonché su quelle valutazioni tanto care a certo mondo sindacale e a certa sinistra.
Quindi quale riforma propone per la pubblica amministrazione e per il pubblico impiego, ammesso che possa farlo senza disgregare la sua maggioranza?
Il sistema di tutela dei lavoratori della pubblica amministrazione, nell'univoca interpretazione dei bisogni della categoria espressa dal mondo sindacale, ha ciecamente e volutamente tenuto conto solo dell'assicurazione del posto fisso, evolvendosi recentemente solo sulla trasformazione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato, e il mantenimento degli status collettivi, tralasciando di considerare come aspetto fondamentale l'incentivo alla gratificazione individuale, che gioca un ruolo significativo nell'efficienza dei dipendenti, giovando per ricaduta all'intero sistema. Una pubblica amministrazione efficiente determina un maggiore efficienza del sistema paese.
È nell'estraneità al contesto reale del paese che caratterizza la pubblica amministrazione che si ritrova gran parte della responsabilità del lievitare dei costi pubblici: è nel considerare il dipendente della pubblica amministrazione un semplice ingranaggio, o peggio un voto di scambio, che trova radici la difficoltà del risanamento della spesa pubblica.
Lei, Presidente, con la sua conclamata esperienza comunitaria e gli ottimi esempi dai quali avrà potuto cogliere ampia ispirazione, perché in questi mesi di governo non ha applicato minimamente quella esperienza?
Un Governo serio dovrebbe porsi la domanda e poi agire sul motivo per cui la pubblica amministrazione degli altri Pag. 111grandi paesi comunitari necessita solo del 50 per cento del personale da noi impiegato nel medesimo settore; un 50 per cento che garantisce il doppio della nostra efficienza.
Per questo e per innumerevoli altri motivi che il tempo concesso non mi permette di illustrare, le nego la fiducia.

PIETRO MARCENARO. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, signori deputati, con questa crisi e con il suo superamento può aprirsi una fase nuova nella vita del Governo, in quella della maggioranza, nei rapporti tra maggioranza e opposizioni e, soprattutto, nel rapporto tra il Governo, la coalizione che lo sostiene e il paese e i cittadini italiani.
L'intesa politica tra le forze della maggioranza, sulla base della quale l'onorevole Prodi ha chiesto al Parlamento il rinnovamento della fiducia, è un fatto politico nuovo. La destra lo banalizzi pure. Noi tutti del centrosinistra dovremmo invece prenderne pienamente coscienza e adeguare ad essa i nostri comportamenti collettivi e individuali.
Nelle sue comunicazioni alla Camera, il Presidente del Consiglio ha tenuto a sottolineare senza minimizzazioni la natura politica della crisi che si è aperta e ha conseguentemente dichiarato che il Governo e la maggioranza intendono trarne fino in fondo gli insegnamenti conseguenti: insegnamenti di metodo e insegnamenti di merito.
Perché, in che senso, quella che abbiamo vissuto e della quale il Parlamento - sia pure in una atmosfera resa diversa dal voto di ieri del Senato - sta ancora discutendo deve essere considerata una crisi politica? Io mi soffermerò su due punti tra i molti che potrebbero essere affrontati: il primo, di merito, riguarda la politica estera del Governo; il secondo, di metodo, riguarda il centrosinistra, il suo pluralismo, la sua coesione. Gli italiani non si sbagliano quando, interpellati sul loro giudizio sul Governo, indicano la politica estera come il campo nel quale la novità è stata più rilevante e l'azione dell'esecutivo più efficace e - pur in un tempo estremamente breve - già ricca di risultati importanti.
L'azione del Governo non è stata caratterizzata dal navigare a vista e dalla logica del caso per caso. E neppure ci si è fermati per il timore delle differenze che potevano esistere tra le diverse forze della coalizione. È emersa invece con chiarezza una ispirazione, una visione, un progetto. E a mio parere questa chiarezza ha fatto sì che sia stato possibile comunicare con il paese e esserne capiti. E ha fatto sì che - nonostante i senatori Rossi e Turigliatto - la politica estera sia stato il campo di una dialettica positiva tra azione di Governo, opinioni pubbliche e movimenti e tra gli stessi partiti della coalizione.
Quelli che chiedono oggi il ritiro del contingente italiano dall'Afghanistan non vogliono la pace, semplicemente ricoprono con una patina ideologica la scelta di farsi gli affari propri e di lasciare che il mondo vada dove gli pare. Al contrario, i rappresentanti delle organizzazioni di volontariato che agiscono direttamente in Afghanistan sono venuti a dirci, nelle audizioni in Commissione nelle settimane scorse, che non di exit strategy ma di success strategy c'era e c'è bisogno. Certo che prima o poi bisogna venir via e che i contingenti militari possono contribuire a gestire una transizione, non sostituire in modo permanente una forza e una legittimità che per qualsiasi Governo può venire solo - in Afghanistan o altrove - da un diverso rapporto con il paese. Ma per dare davvero alla pace una possibilità il problema non è di venire via, ma di venire via bene, avendo ottenuto i risultati necessari.
Noi siamo oggi di fronte a una crisi politica e di consenso di quell'unilateralismo che ha trovato nell'intervento in Iraq la sua manifestazione più netta e più drammatica: ma una alternativa convincente e efficace è ancora lontana dall'essere stata costruita. Il punto è se si vuole partecipare nella comunità internazionale e in primo luogo nell'ambito del nostro sistema di alleanze alla costruzione di questa alternativa, se si vuole svolgere un ruolo positivo per costruire le condizioni Pag. 112di quel multilateralismo efficace del quale tante volte abbiamo parlato. Se lo si vuole fare e non semplicemente ritirarsi di fronte a un compito tanto arduo, è necessario prendersi le proprie responsabilità, e anche costruire un equilibrio tra principi e realismo senza il quale la politica sparisce e cessa di avere alcun significato.
Se con Max Weber la politica è il campo dell'etica della responsabilità, questo è vero elevato a potenza per quanto riguarda la politica estera. Declamare principi senza valutare le conseguenze e i risultati delle proprie azioni e senza misurare ogni volta il valore relativo delle diverse scelte, senza chiedersi ogni volta non solo cosa è bene e cosa è male ma anche cosa è meglio e cosa è peggio, costituisce sul tema della pace - se fatto da un uomo politico e non da un religioso - un comportamento profondamente immorale.
Noi, il centrosinistra, la maggioranza di governo dobbiamo sulla politica estera uscire da questa crisi, avendo rafforzato la convinzione che il nostro paese e il suo Governo possono svolgere un ruolo, dare un contributo nei prossimi anni per affermare in Europa e nel mondo nuovi indirizzi, nuove regole, istituzioni rinnovate che ridiano fiducia alla prospettiva della pace, della sicurezza, della giustizia, del riconoscimento dei diritti umani e della democrazia. Questa scelta che costituisce la vera novità della politica estera italiana - una novità che è resa possibile non solo dalle intenzioni soggettive ma da una esigenza e da una domanda che la crisi delle vecchie strategie pone a tutta la comunità internazionale - è praticabile solo se si fa fronte ai propri impegni e alle proprie responsabilità. E lo stesso rispetto degli impegni e degli obblighi che derivano all'Italia dall'appartenenza alla NATO - e che peraltro tutti i partiti del centrosinistra hanno riconosciuto sottoscrivendo il programma dell'Unione - non dovrebbero essere considerati solo come una necessità che viene da una vecchia eredità del passato, ma anche come una delle condizioni per partecipare alla costruzione di un nuovo futuro.
C'è bisogno di una discussione? Facciamola, e non solo in Parlamento. Perché per sostenere una linea di politica estera così ambiziosa e impegnativa noi abbiamo vitale bisogno di una opinione pubblica attiva, di una grande partecipazione, e di quelle straordinarie energie che hanno animato i movimenti per la pace in Italia e nel mondo. Bisogna che queste energie e queste forze siano attive, siano in campo, siano mobilitate, perché oggi la lotta per la pace e quella per dare al mondo forme di governo legittime che non sostituiscano semplicemente l'arbitrio del più forte al principio della sovranità nazionale, è a un passaggio cruciale. Facciamo vivere il pluralismo della coalizione non come una polemica confusa e insopportabile, nella quale l'unico obbiettivo sembra essere quello di portare via un iscritto o un voto al partito più vicino, ma come un confronto di contenuti, di argomenti, di proposte rivolte a tutti i cittadini, impegnandoci a partecipare a un dibattito pubblico trasparente, del quale le forze politiche avrebbero il dovere di innalzare e non di deprimere la qualità.
Naturalmente questo significa anche sapere come si decide e come il pluralismo della nostra coalizione non si traduce in paralisi dell'azione di Governo. Senza regole per decidere il pluralismo si traduce in potere di veto, una volta dei partiti più grandi, una volta di quelli più piccoli. Se dobbiamo in questa discussione essere sinceri e cercare di vedere la effettiva dimensione dei problemi che abbiamo di fronte noi dobbiamo sapere - anche e per questo Prodi ha fatto bene a parlare di crisi politica - che oltre alla crisi determinata nei giorni scorsi dal voto di alcuni senatori, noi attraversiamo da molte settimane una seria difficoltà nel rapporto con il paese, e anche con settori importanti dei nostri elettori. Questa difficoltà nasce in massima parte dal fatto di non essere stati capaci di dare una risposta soddisfacente ai problemi di coesione della coalizione e dello stesso Governo. E contrariamente a quanto qualcuno pensa, il manifestarsi di questa difficoltà lungi dall'accrescere la partecipazione, accentua la Pag. 113distanza dei cittadini dalla politica e la disincentiva drasticamente. Senza una risposta convincente su questo punto, anche con il voto di qualche senatore in più, le difficoltà della maggioranza e del Governo erano destinate a crescere.
Bene ha fatto quindi Prodi a porre come essenziale questa questione e a darne una soluzione - e questa volta è davvero il caso dire last but not least - nel dodicesimo punto.
A me pare che questo dodicesimo punto, che stabilisce il dovere della decisione, sia la condizione perché dopo questi mesi il Governo e la maggioranza escano dalle difficoltà che hanno conosciuto. Voglio solo ricordare, in primo luogo a me stesso, che il dovere di decidere - e sottolineo ancora la parola dovere - vale in particolare per i problemi difficili, che non possono essere accantonati.
Anche perché problemi facili non ce ne sono. Ogni volta la politica sembra dovere far «quadrare il cerchio» tra esigenze diverse e molto difficilmente conciliabili. E tuttavia Hic Rodus, hic salta.
È un impegno forte che viene chiesto a Prodi e a tutti noi, ai partiti più grandi e ai partiti più piccoli. Ma se viene meno questo punto la coalizione entra in crisi, non so se in Senato, certo nel suo rapporto con la società.
Se ci avrà permesso di affrontare e di dare una risposta accettabile a questo problema io penso che non sia di circostanza affermare, a proposito di questa crisi, che col voto di domani della Camera ci lasceremo alle spalle, «paion traversie, sono opportunità».