XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 112 di martedì 20 febbraio 2007

[frontespizio]
[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
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[indice cronologico]
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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI

La seduta comincia alle 11,40.

MARIZA BAFILE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 15 febbraio 2007.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Brugger, Buontempo, Cordoni, D'Alema, De Castro, Del Mese, Duilio, Fabris, Forgione, Galati, Gasparri, Giovanardi, Letta, Lion, Lo Presti, Lucà, Maroni, Mazzocchi, Migliore, Morrone, Musi, Mussi, Oliva, Piscitello, Prodi, Realacci, Rigoni, Scajola, Spini, Villetti, Violante ed Elio Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione delle mozioni Lussana ed altri n. 1-00025, Bertolini ed altri n. 1-00093, Mura ed altri n. 1-00095, Sereni ed altri n. 1-00096, Mazzoni ed altri n. 1-00097, Balducci ed altri n. 1-00098, Cioffi ed altri n. 1-00102, Frias ed altri n. 1-00103 e Lussana ed altri 1-00104 sulle iniziative per contrastare le violazioni delle libertà individuali della donna in nome di precetti religiosi (ore 11,46).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Lussana ed altri n. 1-00025, Bertolini ed altri n. 1-00093, Mura ed altri n. 1-00095, Sereni ed altri n. 1-00096, Mazzoni ed altri n. 1-00097, Balducci ed altri n. 1-00098, Cioffi ed altri n. 1-00102, Frias ed altri n. 1-00103 e Lussana ed altri 1-00104 sulle iniziative per contrastare le violazioni delle libertà individuali della donna in nome di precetti religiosi (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Le ultime tre mozioni sono state presentate successivamente alla conclusione della discussione sulle linee generali, che ha avuto luogo nella seduta di lunedì 12 febbraio, e sono già state iscritte all'ordine del giorno.
Avverto che alla mozione Lussana ed altri n. 1-00025 è stato presentato l'emendamento Turco n. 1-00025/1 (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1). Su richiesta del presentatore, tale emendamento deve ritenersi riferito anche alla mozione Lussana ed altri 1-00104.
Avverto, altresì, che le mozioni Lussana ed altri n. 1-00025, Bertolini ed altri n. 1-00093 e Mazzoni ed altri n. 1-00097 sono state ritirate in data odierna.
Avverto, infine, che la mozione Frias ed altri n. 1-00103 è stata sottoscritta anche dai deputati Cesini, Sgobio e Bellillo.

(Intervento e parere del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, che esprimerà altresì il parere sulle mozioni all'ordine del giorno e sull'emendamento presentato.

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DONATELLA LINGUITI, Sottosegretario di Stato per i diritti e per le pari opportunità. Signor Presidente, onorevoli deputati, ringrazio i presentatori delle diverse mozioni per aver voluto portare alla discussione in questa sede alcuni dei temi fondanti per il futuro del nostro Paese e di tutti noi, quali sono le relazioni tra gli uomini e le donne, i rapporti tra le culture e tra le religioni.
Al di là delle differenze, anche sostanziali, tra le diverse impostazioni, infatti, è sempre importante e positivo il confronto, in particolare su questioni che coinvolgono le persone a livello tanto profondo e, purtroppo, anche tanto esteso, se è vero che, come evidenzia il Consiglio d'Europa, le violenze subite dal partner, marito, fidanzato o padre sono la prima causa di morte ed invalidità permanente per le donne europee tra i 16 e i 44 anni.
Nella nostra Europa 10 milioni di donne tra i 14 e i 59 anni hanno subìto molestie sessuali o ricatti sessuali nel corso della loro vita. Sono 900 mila i ricatti sessuali sul lavoro, e 500 mila gli stupri o tentati stupri. In Italia oltre 3 milioni e mezzo di donne hanno subìto molestie fisiche, 4 milioni atti di esibizionismo e pedinamenti, quasi 4 milioni e mezzo telefonate oscene, e 4 milioni e 600 mila molestie verbali.
Il fatto stesso che, nella maggior parte dei casi, la violenza rimane taciuta è indicativo del clima di isolamento e di condanna - in sintesi, di ulteriore violenza - in cui questi fatti terribili si consumano. A prova del fatto che questi episodi non sono appunto solo episodi ma sintomi, pur certamente estremi e patologici, di una mentalità che stima quanto meno normale la sopraffazione sulle donne, ricordiamo anche che 900 mila ricatti sessuali sul lavoro avvengono al momento dell'assunzione o per la carriera; quindi, si verificano nel momento in cui le donne si trovano più in difficoltà, in condizione di particolare debolezza, tanto è vero che a subire i ricatti sono le disoccupate più delle occupate.
In questo contesto, il contrasto a tutte le forme di abuso nei confronti delle donne costituisce per il Governo un impegno di portata generale, che va ben al di là dell'esclusivo riferimento ai terribili episodi di violenza, peraltro di rilevanza penale, ai danni di donne islamiche residenti nel nostro Paese, dato, infatti, che le stesse forme di molestie e violenze maschili ai danni delle donne vengono perpetrati senza distinzione di età, ceto sociale ed appartenenza etnica o religiosa.
Si definisce, quindi, un quadro di seria emergenza sociale e culturale che investe le stesse basi del vivere civile e rispetto al quale il Governo sta operando in un processo unitario ed integrato di interventi.
Voglio innanzitutto ricordare che il Governo ha assunto, tra le priorità delle proprie azioni e dei propri ambiti di intervento, la lotta verso ogni forma di discriminazione e di lesione dei diritti fondamentali della persona.
Cito dal programma: «La normativa generale sulle libertà religiose è la premessa essenziale per il riconoscimento di facoltà e diritti, a partire da quello del culto, e per il rispetto di stili di vita e riti, forme di relazioni e consuetudini di altra origine e cultura quando non contrastino con l'ordinamento italiano».
È in questo spirito, ad esempio, che da parte del Ministero dell'interno si è data continuità ed ulteriore sviluppo alla Consulta per l'Islam in Italia, che nel 2005 prende l'avvio dalla dichiarazione sul dialogo interreligioso come fattore di coesione sociale in Europa e come strumento di pace nell'area mediterranea, adottata dai ministri dell'interno dell'Unione europea e fatta propria dai capi di Stato e di Governo durante il Consiglio europeo di Bruxelles del 12 dicembre 2003, al termine del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea.
Più in generale, sempre secondo il programma, favorire l'inserimento dei cittadini stranieri nella comunità italiana è interesse di tutti. La coesione sociale, il senso di comune appartenenza e lealtà alle leggi di tutti i membri della comunità è valore essenziale. Perché tale coesione sia effettiva serve una forte azione dello Stato e degli organismi sociali che garantisca la Pag. 3parità dell'accesso ai diritti previsti dalla legge, alle opportunità offerte dal lavoro nelle capacità individuali ed alla partecipazione alla vita democratica.
Questa chiarezza e comunità di intenti si costruisce, tuttavia, anche sulla consapevolezza delle difficoltà che questo percorso presenta, soprattutto del progresso culturale che esso richiede.
Cito ancora: «Gli stranieri non sono ospiti in prova perenne ma nuovi cittadini con diritti e doveri, che abitano gli stessi nostri luoghi e animano le nostre stesse comunità locali, divisi da noi solo per la nazionalità d'origine».
Per costruire una nuova società europea e migliorare la nostra stessa democrazia dovremmo accettare l'idea di un'identità in divenire. È, quindi, assolutamente in linea con l'azione di Governo il potenziamento del ruolo degli organismi rappresentativi degli interessi dei migranti, al fine di garantire la migliore emersione delle esigenze di tutela.
Come ricordato anche in alcun delle mozioni in discussione, sul piano internazionale l'Italia è fortemente impegnata nel campo dei diritti umani. Per la promozione dei diritti delle donne, in particolare, l'Italia persegue tradizionalmente nei competenti fora internazionali un'attenta politica di sostegno a tutte le iniziative orientate ad assicurare il rispetto del diritto delle donne, dedicando grande attenzione alla collaborazione internazionale in tema di tutela delle stesse da ogni forma di discriminazione e violenza.
Questo impegno si realizza in funzione sia dell'attuazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione, sia delle molteplici sollecitazioni internazionali contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nella Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro la donna del 1979, nella dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro la donna del 1993, nella risoluzione della IV Conferenza mondiale sulla donna di Pechino e, ancora, nel rapporto del Parlamento europeo del luglio 1997, nella risoluzione della Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite del 1997 e nella dichiarazione del 1999, l'anno europeo della lotta contro la violenza di genere.
Più recentemente, la raccomandazione del Consiglio d'Europa del 2002 n. 5, la risoluzione n, 803/2004/CE del Parlamento europeo, con la quale è stato approvato un programma d'azione comunitario 2004-2008 per prevenire e combattere la violenza esercitata contro l'infanzia, i giovani, le donne e proteggere le vittime e i gruppi a rischio. Ultimo, in ordine di tempo, il Piano 2006 del Consiglio d'Europa contro la violenza alle donne, con particolare riferimento alla violenza domestica.
L'attenzione di questo Governo alle tematiche della tutela dei diritti umani e civili delle donne, anche extracomunitarie, è comprovata, innanzitutto, dall'istituzione di un Ministero per i diritti e le pari opportunità, al quale sono state pure espressamente assegnate le deleghe relative alla tutela dei diritti umani. Lo stesso ministro, che garantisce l'affermazione del principio di uguaglianza tra uomo e donna, è tutore dei diritti umani nella loro complessità.
Sul piano legislativo, inoltre, il Governo ha intrapreso decisamente, in questi primi mesi di lavoro, la via di specifiche iniziative dedicate al tema del contrasto alla violenza sulle donne. La finanziaria per il 2007 ha previsto un incremento di 40 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, del Fondo per le politiche relative ai diritti ed alle pari opportunità, di cui una quota parte per il Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere, da ripartire tra Osservatorio nazionale e Piano di azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere. L'attività dell'osservatorio si svolgerà in raccordo con gli enti locali, i privati operatori del settore ed i centri antiviolenza, che, in questi anni, hanno intensificato la loro azione ed hanno lavorato profondamente sul territorio per un mutamento radicale dell'approccio al fenomeno in tutti gli ambiti, sia fornendo appoggio concreto alle donne, con supporto psicologico e legale, sia contribuendo ad un cambiamento della cultura attraPag. 4verso attività di formazione nelle scuole, nei tribunali, negli ospedali, tra le forze dell'ordine, ma soprattutto fornendo le coordinate per un modo di intervento multidisciplinare che non si limita alla repressione del reato, ma affronta in modo integrato i diversi aspetti sociali, relazionali e soggettivi del problema.
Nel dicembre ultimo scorso, su iniziativa del Ministero per i diritti e le pari opportunità, del Ministero della giustizia e del Ministero delle politiche per la famiglia, il Governo ha approvato uno schema di disegno di legge che affronta anche i delicati temi della violenza in famiglia e della violenza facilitata da relazioni di tipo affettivo-familiare. L'approccio integrato non riguarda soltanto i soggetti proponenti, cioè i diversi ministeri coinvolti, ma anche e soprattutto gli interventi disciplinati, che vanno dalle misure di prevenzione e sensibilizzazione a modifiche del codice penale, del codice di procedura penale e del codice civile, al fine di assicurare riconoscimento e tutela, sostanziale e processuale, alle vittime di delitti accomunati dalla caratteristica dello squilibrio di forza tra aggressore e parte offesa.
In questo quadro si inscrivono anche le disposizioni relative alla violenza cosiddetta di genere, dovendosi con tale espressione intendere tutte le forme di coartazione della libertà, di sopraffazione e di dominio sulla vita e sul corpo femminile, di sopruso o riduzione dell'autonomia e libertà personali, anche in relazione all'orientamento sessuale, in contesti che sottendono modelli culturali, espliciti od impliciti, portatori di rapporti asimmetrici tra i generi e le generazioni.
Si integra, in questo modo, un processo iniziato nel 1996, quando, dopo venti anni di dibattito parlamentare tra le donne, venne approvata la legge contro la violenza sessuale, a seguito della quale: la violenza non è più considerata reato contro la morale pubblica, ma contro la persona; sono cambiati i termini dei processi, nei quali non è più la vittima a dover dimostrare di essere stata stuprata, ma l'aggressore a dover dimostrare di essere innocente; la vita privata della donna non può più essere utilizzata dalla difesa per sminuire e ridicolizzare le accuse.
Il disegno di legge governativo, recante «Misure di sensibilizzazione e prevenzione, nonché repressione dei delitti contro la persona e nell'ambito della famiglia, per l'orientamento sessuale, l'identità di genere ed ogni altra causa di discriminazione», attualmente all'esame della Camera, si attesta, quindi, su quattro livelli integrati di intervento: sensibilizzazione e prevenzione; riconoscimento dei diritti alle vittime di violenza; tutela penale delle vittime; ampliamento della tutela processuale sia penale sia civile.
Si fa notare, con particolare riferimento ad un passaggio della mozione Lussana ed altri n. 1-00025, che le misure di sensibilizzazione e prevenzione contro la violenza di genere, presenti nel disegno di legge, introducono, per la prima volta, norme di principio in ambito scolastico ed universitario, fissando tra gli obiettivi della formazione di ogni ordine e grado il pieno riconoscimento dei principi di parità sociale, uguaglianza e non discriminazione per ragioni di genere (e non solo).
Sul piano operativo, diverse sono le azioni in atto. Come si evince da una nota del Ministero della solidarietà sociale, direzione generale dell'immigrazione, nell'ambito delle politiche di integrazione, sono in atto iniziative volte ad affermare il principio della tutela dei diritti dei cittadini extracomunitari presenti nel nostro Paese.
In particolare, è stato realizzato un progetto cofinanziato dalla Commissione europea con fondi strutturali, denominato «Case alloggio», destinato a donne rifugiate o che versano in condizione di disagio e a donne in stato di gravidanza. Tale progetto rappresenta una sperimentazione di servizi di accoglienza e di attività di formazione in tre regioni ad obiettivo 1 (Campania, Puglia e Sicilia).
Come da comunicazione del Ministero degli affari esteri, il nostro Governo ha partecipato alla campagna globale su donne difenditrici dei diritti umani, per garantire loro eguali diritti ed assicurarle Pag. 5dai rischi specifici cui vanno incontro, in ragione della loro attività. Il Governo ha assicurato il suo impegno nella, oggi disciolta, commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani di Ginevra, ha cosponsorizzato una risoluzione in materia di violenza contro le donne, affinché la tematica potesse restare costantemente all'agenda dell'Assemblea Generale, ed ha continuato a profondere ogni sforzo contro la violenza nei confronti delle donne, come pure riconosciuto dalla presidenza finlandese dell'Unione europea.
Al fine di migliorare l'integrazione delle donne, specie extracomunitarie, nel contesto nazionale, deve darsi atto dell'azione importante svolta all'UNAR, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, operativo dal novembre 2004 presso il Dipartimento per i diritti e le pari opportunità, che assicura un sicuro presidio di garanzia e controllo della parità di trattamento, nonché di verifica dell'efficacia degli strumenti di tutela.
Tra gli strumenti a sostegno delle potenziali vittime di violenza, va segnalato proprio il Contact center dell'UNAR, raggiungibile tramite servizio telefonico gratuito (800901010), multilingue ed attivo tutti giorni, inclusi i festivi, dalle ore 10 alle ore 20, e via web, destinato a raccogliere segnalazioni, denunce e testimonianze, nonché ad offrire una assistenza immediata alle vittime delle discriminazioni, fornendo informazioni, orientamento e supporto psicologico, ed accompagnando le vittime delle discriminazioni nel percorso giurisdizionale, qualora esse decidano di agire in giudizio per l'accertamento e la repressione del comportamento lesivo.
Dall'8 marzo 2006, inoltre, è sempre attivo il numero di pubblica utilità 1522 (antiviolenza donna), dedicato al supporto, alla protezione e all'assistenza delle donne vittime di violenze e maltrattamenti. Il servizio antiviolenza donne, cui risponde personale esclusivamente femminile, formato specificatamente, è tuttora operante 24 ore su 24 e per 365 giorni l'anno, multilingue ed accessibile gratuitamente dall'intero territorio nazionale, da rete fissa e mobile. Il servizio è fruibile da parte delle donne in assoluto anonimato.
In materia di contrasto al fenomeno della tratta di esseri umani, strettamente collegato allo sfruttamento e all'asservimento delle donne alla prostituzione, è stato emanato un bando per l'attuazione di progetti destinati alle vittime dei reati di riduzione e mantenimento in schiavitù o in servitù e di tratta di persone.
L'articolo 13 della legge n. 228 del 2003 prevede l'istituzione di un fondo speciale per la realizzazione di programmi di assistenza, che garantiscano, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, vitto ed assistenza per le vittime dei predetti reati. Ad oggi, il dipartimento ha cofinanziato in totale 26 progetti su 39 domande presentate.
Nel dicembre 2006, è stato avviato, da parte della commissione per la prevenzione e il contrasto alle pratiche di mutilazione dei genitali femminili, costituita ai sensi del legge n. 7 del 9 gennaio 2006, presso il Dipartimento per i diritti e le pari opportunità, un piano programmatico per la promozione e la tutela dei diritti umani, in particolare nell'attuazione delle seguenti convenzioni ratificate dall'Italia: Convenzione internazionale per i diritti umani, Convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, Convenzione internazionale per i diritti dei fanciulli, Convenzione internazionale contro tutte le forme di discriminazione etnica e razziale, Piattaforma di Pechino e risoluzione del Parlamento europeo n. 1247 del 2001.
Proprio le molteplici implicazioni delle mutilazioni genitali femminili, anche in relazionale alle diversità di condizioni di vita, cultura e costumi propri delle comunità in cui sono praticate, hanno raccomandato l'inserimento del predetto fenomeno nell'ottica più generale della tutela dei diritti umani, con particolare attenzione ad una dimensione di genere. La questione delle mutilazioni genitali femminili è stata, inoltre, affrontata nel contesto più ampio dei moderni fenomeni migratori, che hanno rilevanti effetti culturali Pag. 6e sociali nei paesi europei e che hanno trasformato profondamente la nostra società.
Per la comprensione del fenomeno e per la conseguente elaborazione di strategie di prevenzione e contrasto si è reso necessario un approccio multidimensionale ed interdisciplinare, che ha coinvolto aspetti e competenze medico-cliniche, psicologiche e socio-antropologiche. Per tale ragione il piano avviato, che coinvolge una pluralità di soggetti istituzionali e non ed ha come beneficiari diretti associazioni e cittadini provenienti da paesi a rischio di mutilazioni genitali femminili, prevede diverse fasi: da una preventiva fase di studio e di indagine conoscitiva alla definizione di strategie, metodi e strumenti, alla promozione di iniziative a vari livelli e alla formazione ed aggiornamento di mediatori e mediatrici culturali, fino all'attività di sensibilizzazione nelle scuole.
Infine, su alcuni punti particolari toccati dalle mozioni, vorrei aggiungere che in nessun organismo facente capo al Governo, come rappresentato dal ministro dell'interno, possono essere presenti associazioni di rappresentanza che pongano in essere comportamenti contrari ai principi dell'ordinamento giuridico italiano in generale e della dignità della condizione della donna non comunitaria in particolare. Inoltre, in riferimento alle onlus, l'Agenzia per le organizzazioni non lucrative, che opera sotto la vigilanza del Presidente del Consiglio dei ministri, esercita poteri di indirizzo, promozione, vigilanza ed ispezione.
Per quanto concerne il fenomeno della poligamia islamica, va sottolineato che, di fronte a stranieri musulmani che vivono in Italia e confessano la propria religione, lo Stato può rapportarsi solo facendo riferimento al diritto internazionale privato, che a sua volta rimanda al diritto musulmano positivo espresso dagli Stati di appartenenza ove è stato celebrato il matrimonio. Pertanto, il matrimonio religioso contratto in Italia da stranieri di fede musulmana non può in ogni caso avere effetti civili per il diritto italiano, che invece sottopone anche gli stranieri ai vincoli di cui all'articolo 116 del codice civile, che impone a chiunque voglia contrarre matrimonio in Italia di rispettare l'obbligo della libertà di stato. Come è noto, comunque, presso la I Commissione affari costituzionali della Camera è in corso l'esame di due progetti di legge di iniziativa parlamentare aventi ad oggetto norme sulle libertà religiose ed abrogazione della legislazione sui culti ammessi, nei cui articolati sono contenute disposizioni specificatamente dedicate al tema dei matrimoni religiosi.
In riferimento alle politiche di inclusione delle migranti, al di là delle esercitate competenze delle regioni e degli enti locali in materia di formazione professionale, di inserimento lavorativo, nonché di corsi di alfabetizzazione della lingua italiana, sono previsti e sono in corso di attuazione da parte del Governo programmi specifici per le vittime di tratta; programmi di reinserimento lavorativo sono previsti anche nel disegno di legge di iniziativa governativa per le vittime di violenza. Per l'eliminazione delle discriminazioni, promuovendo iniziative anche dagli organi di rappresentanza degli immigrati, entro il mese di agosto il Governo adotterà il decreto delega in materia di eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne per l'accesso a beni e servizi, ottemperando ad una direttiva dell'Unione europea. Nella legge comunitaria 2006 è stata inserita la delega al Governo per l'attuazione del principio di non discriminazione nell'accesso al lavoro e nelle condizioni di lavoro tra uomo e donna. Si intende quindi potenziare il ruolo di organismi rappresentativi degli interessi dei migranti.
In ultimo, il Piano nazionale per l'anno europeo delle pari opportunità per tutti è ancora in fase di approvazione da parte della Commissione europea. Tra le azioni del Piano strategico nazionale italiano, concernente i sei campi di azione previsti (sesso, razza, religione, età, disabilità, orientamento sessuale), cinque riguardano il miglioramento della vita delle donne, comprese le donne immigrate. In particolare essi sono i seguenti: realizzazione di Pag. 7un seminario «Violenza di genere e per orientamento sessuale»; istituzione dell'osservatorio nazionale come buona pratica esportabile a livello europeo; realizzazione di un convegno nazionale sulla violenza nell'ambito familiare, con l'attivo coinvolgimento di tutti i soggetti interessati; realizzazione del progetto di analisi e identificazione di buone pratiche e iniziative di sensibilizzazione sul tema delle differenze, della difficile transizione verso la parità, per superare i differenziali salariali di genere e la precarizzazione del lavoro di donne, gay, lesbiche e transgender; realizzazione del progetto «Donne sommerse», per il monitoraggio di interventi pilota sul lavoro sommerso, soprattutto nei servizi domiciliari, che vede prevalentemente coinvolte donne immigrate; realizzazione del progetto «Riduzione delle disuguaglianze e approccio di genere nelle politiche sanitarie»; piano di azione interministeriale per la promozione e la tutela delle donne, delle immigrate gay, lesbiche e transgender, in concomitanza con la Conferenza nazionale sulla salute delle donne.
Alla luce di queste argomentazioni esprimo, a nome del Governo, il parere sull'emendamento Turco 1-00025/1 e sulle mozioni presentate.
Esprimo parere favorevole sull'emendamento Turco 1-00025/1 e accolgo altresì le mozioni Mura ed altri n. 1-00095, Sereni ed altri n. 1-00096, Balducci ed altri n. 1-00098, Cioffi ed altri n. 1-00102, Frias ed altri n. 1-00103. Il Governo inoltre esprime parere contrario in ordine alle mozioni Lussana ed altri n. 1-00025..

CAROLINA LUSSANA. È stata ritirata!

DONATELLA LINGUITI, Sottosegretario di Stato per i diritti e per le pari opportunità. ... Bertolini ed altri n. 1-00093, Mazzoni ed altri n. 1-00097 e Lussana ed altri n. 1-00104.

PRESIDENTE. Onorevole sottosegretaria, le ricordo che le mozioni Lussana ed altri n. 1-00025, Bertolini ed altri n. 1-00093 e Mazzoni ed altri n. 1-00097 sono state ritirate.

DONATELLA LINGUITI, Sottosegretario di Stato per i diritti e per le pari opportunità. Chiedo scusa, non mi risultava.

PRESIDENTE. Rimane solo la mozione Lussana ed altri n. 1-00104, cui deve intendersi riferito l'emendamento 1-00025/1, che assume la numerazione 1-00104/1.

DONATELLA LINGUITI, Sottosegretario di Stato per i diritti e per le pari opportunità. Stando così le cose, il parere contrario del Governo è riferito alla mozione Lussana ed altri n. 1-00104.

PRESIDENTE. Avverto che la mozione Frias ed altri n. 1-00103 è stata sottoscritta anche dagli onorevoli Vacca e Francescato.

(Esame emendamento - Mozione n. 1-00104)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'emendamento Turco 1-00025/1, che deve intendersi riferito al quinto capoverso del dispositivo della mozione Lussana ed altri n. 1-00104 e che pertanto assume la nuova numerazione Turco 1-00104/1. L'esame avverrà ai sensi dell'articolo 113, comma 4, del regolamento.
Ha chiesto di parlare sull'emendamento Turco 1-00104/1 l'onorevole Del Bue...

MAURO DEL BUE. Posso parlare per dichiarazione di voto?

PRESIDENTE. Adesso stiamo esaminando l'emendamento Turco 1-00104/1. Non è questa la fase delle dichiarazione di voto sul complesso delle mozioni.

MAURO DEL BUE. Va bene, Presidente.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Scusi, Presidente, ma vorrei solo un chiarimento. Lei Pag. 8parla di emendamento, però nello stampato si presenta solo la mozione Lussana ed altri n. 1-00104.

PRESIDENTE. È in distribuzione un altro stampato con un emendamento alla mozione Lussana ed altri n. 1-00104, riferito al quinto capoverso della parte dispositiva di impegno al Governo.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto sull'emendamento Turco 1-00104/1 l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, come il Governo, anch'io esprimo un orientamento favorevole sull'emendamento Turco che ha assunto la nuova numerazione 1-00104/1.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Turco. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, ringrazio il Governo per aver espresso parere favorevole sull'emendamento in esame, ma vorrei capire perché non può essere accettata la mozione Lussana ed altri n. 1-00104, nel caso dovesse essere approvato l'emendamento in esame.
Credo sia necessario un ulteriore intervento da parte del Governo per capire se il parere negativo è stato espresso sulle premesse o sulla parte dispositiva della mozione.
Se il parere è stato espresso sulla parte motiva della mozione, potremmo procedere ad una votazione per parti separate, votando separatamente le premesse della mozione dalla parte dispositiva, sempre che l'emendamento venga accolto dai proponenti della mozione, in particolare dall'onorevole Lussana. In quel caso, esprimeremmo voto favorevole sulla parte relativa agli impegni contenuti nella mozione.

PRESIDENTE. Mi pare che il Governo abbia espresso parere contrario sulla mozione Lussana ed altri n. 1-00104, a prescindere dall'esito della votazione dell'emendamento Turco n. 1-00025/1. È così?

DONATELLA LINGUITI, Sottosegretario di Stato per i diritti e per le pari opportunità. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Sta bene: questa è l'interpretazione.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 12,15).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta avranno luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del regolamento.
Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 12,15, è ripresa alle 12,40.

Si riprende la discussione.

(Ripresa esame dell'emendamento - Mozione n. 1-00104)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Turco 1-00104/1, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Prendo atto che il deputato Oppi non è riuscito ad esprimere il proprio voto.
Avverto che la Camera non è in numero legale per deliberare (Commenti).Pag. 9
Rinvio pertanto la seduta, che riprenderà alle 15.

La seduta, sospesa alle 12,45, è ripresa alle 15,05.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, dobbiamo procedere nuovamente alla votazione dell'emendamento Turco 1-00104/1, nella quale è precedentemente mancato il numero legale. Avverto che sono state sconvocate le Commissioni; quindi, i colleghi dovrebbero essere in aula.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Turco 1-00104/1, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 361
Votanti 211
Astenuti 150
Maggioranza 106
Hanno votato
95
Hanno votato
no 116).

Prendo atto che i deputati Delfino, Volontè, Bodega, D'Ippolito Vitale e Di Gioia non sono riusciti a votare. Prendo atto altresì che il deputato Papini ha erroneamente espresso un voto favorevole mentre avrebbe voluto astenersi.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Capezzone, Cirino Pomicino, Franceschini, Pagliarini, Pinotti, Realacci e Reina sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori il deputato Quartiani. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, abbiamo testé votato un emendamento riguardante una mozione che è stata proposta dall'opposizione, perché ritenuta, giustamente, rilevante e che fa parte della quota di spettanza dell'opposizione nell'ambito dei lavori parlamentari. La mozione in questione riguarda le iniziative per contrastare le violazioni delle libertà individuali della donna in nome di precetti religiosi.
La discussione delle mozioni era stata inserita nel rispetto delle prerogative regolamentari ed istituzionali dell'opposizione, anche secondo quanto disposto dall'articolo 24 del regolamento.
A me pare che l'inserimento al primo punto dell'ordine del giorno di una materia di questo tipo, per di più nella seduta antimeridiana del martedì, avendo di fronte un calendario dei lavori parlamentari molto importante, visto che gli altri punti all'ordine del giorno riguardano la discussione di due disegni di legge di conversione di decreti-legge in scadenza, e l'impossibilità di votare nel corso della mattinata sull'emendamento presentato (e che è stato appena respinto), la dicano lunga sull'incoerenza del comportamento non dico di tutta l'opposizione, ma di quella parte che ha fatto prevalere logiche strumentali, in base alle quali è stata utilizzata una materia così importante per procrastinare i lavori di questo Parlamento che ha la necessità di convertire in legge due decreti-legge che scadono il 26 febbraio. Probabilmente, non era neanche la richiesta della prima firmataria della mozione posta al primo punto dell'ordine del giorno.Pag. 10
Mi pare anche che, indipendentemente dagli orientamenti e dalle attese della firmataria che appartiene al gruppo dell'opposizione Lega Nord, si sia determinata una condizione nella quale almeno una parte, non piccola, dell'opposizione abbia strumentalmente equivocato sulla disponibilità a fare in modo che quest'aula fosse posta nelle condizioni di votare prima l'emendamento proposto dall'opposizione e poi di procedere alla discussione di due importantissimi provvedimenti.
Ricordo che tali provvedimenti sono quello posto al secondo punto all'ordine del giorno della seduta odierna, ossia il disegno di legge di conversione del decreto-legge che concerne l'abrogazione di un comma recante disposizioni in materia di decorrenza dei termini di prescrizione per la responsabilità amministrativa - sul quale anche nel Paese si registra un unanime consenso - e quello posto al quinto punto del medesimo ordine del giorno, ossia il disegno di legge di conversione del decreto-legge che riguarda la cosiddetta proroga termini. Su tale materia questa maggioranza ed il Governo attuale hanno ereditato non pochi punti dalla precedente maggioranza, ora opposizione, e dal precedente Governo che aveva la responsabilità di guidare il paese.
Mi sembra, quindi, non solo incoerente l'atteggiamento dell'opposizione, sia per la parte specifica che riguarda il primo punto all'ordine del giorno, ma anche per la materia specifica che è contenuta negli altri decreti-legge. Avrei capito, magari, un atteggiamento diverso, anche più oppositivo ed ostruzionistico, se già ci trovassimo, oggi, a discutere del provvedimento che ci impegnerà la prossima settimana, ossia quello sulle cosiddette liberalizzazioni. Avrei ritenuto maggiormente legittimo un atteggiamento di questo tipo, ma non mi pare opportuno usare una logica ostruzionistica nel momento in cui la Camera sta per votare su mozioni che sono state presentate dall'opposizione e sulla cui importanza tutti i gruppi della maggioranza hanno convenuto, tanto che tutti i gruppi hanno presentato una propria mozione.
Mi pare, che, a questo punto, si determini una condizione, signor Presidente, ossia la necessità di valutare l'urgenza da parte del Parlamento di convertire in legge i decreti-legge menzionati, che, lo ricordo, scadranno entro breve termine. Occorre quindi prendere atto che non si possa oggi proseguire l'esame del primo punto posto all'ordine del giorno della seduta odierna e si debba, invece, procedere ad una inversione dell'ordine del giorno.
Propongo dunque, signor Presidente, che si tenga conto della data di scadenza dei menzionati provvedimenti di urgenza e che si proceda ad una inversione dell'ordine del giorno della seduta odierna coerente con i termini di scadenza degli stessi, dando priorità all'esame del cosiddetto decreto «proroga termini» che è posto al quinto punto dell'ordine del giorno della seduta, procedendo successivamente all'esame degli altri punti così come definiti nell'ordine del giorno stesso.
Chiedo anche, considerato che saranno necessarie molte ore di confronto parlamentare, che la discussione possa, come previsto dall'ordine del giorno, proseguire già oggi fino alle 24. Grazie, signor Presidente.

PRESIDENTE. Sono state avanzate dal deputato Quartiani due distinte richieste: la prima, relativa al rinvio del seguito dell'esame delle mozioni; la seconda, relativa all'inversione dell'ordine del giorno, nel senso di passare immediatamente alla discussione sulle linee generali dell'A.C. 2114-B, ossia il disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni di delegazione legislativa.
Circa la prima richiesta, relativa al rinvio del seguito dell'esame delle mozioni, essa inerisce alle modalità del seguito dell'esame della materia di cui è in corso la discussione. Tale richiesta è del tutto ammissibile in questa fase. Si è, infatti, esaurita la fase di esame degli emendamenti e si deve passare alle dichiarazioni di voto finale sulle mozioni.Pag. 11
Circa la seconda richiesta, ricordo che, sulla base del parere espresso dalla Giunta per il regolamento in data 24 ottobre 1996, punti 1 e 2, e conformemente alla prassi, le richieste di inversione dell'ordine del giorno devono essere effettuate quando sia esaurita la trattazione del punto all'ordine del giorno, ovvero prima che si passi all'esame di un nuovo punto del medesimo.
Pertanto, subordinatamente all'accoglimento, da parte dell'Assemblea, della richiesta di rinvio del seguito dell'esame delle mozioni, la richiesta di inversione dell'ordine del giorno potrà essere posta in votazione. Sulla prima proposta, relativa al rinvio del seguito dell'esame delle mozioni, darò la parola, ai sensi dell'articolo 41 del regolamento, a un deputato a favore e ad uno contro che ne facciano richiesta.
Ha chiesto di parlare contro - immagino, ma sarà una sorpresa - il deputato Leone. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, dispiace che lei abbia tolto la sorpresa al mio intervento...
Se Kafka fosse stato presente in questa Assemblea, avrebbe sguazzato nell'intervento del collega Quartiani, soprattutto dopo aver ascoltato le modalità con le quali il medesimo collega ha chiesto che venisse sottoposta alla decisone dell'Assemblea una deliberazione già assunta dalla Conferenza dei presidenti di gruppo. In quella sede, infatti, si è deciso di predisporre il calendario nel modo che conosciamo, per motivi molto semplici: innanzitutto, perché si tratta di un argomento in quota alle opposizioni; in secondo luogo, perché trattasi di argomento il cui esame è limitato nella durata, in quanto i tempi sono stati contingentati e sono stati praticamente esauriti. A questo punto, infatti, dobbiamo soltanto passare alle dichiarazioni di voto, per le quali - lo ricordo all'onorevole Quartiani, ove non lo sappia - ogni gruppo ha dieci minuti di tempo a disposizione, naturalmente se intende utilizzarli. Nient'altro. Quindi, nel giro di un'ora e, ove mai da parte vostra non intervenisse alcun deputato, nel giro di mezz'ora, potremmo liquidare un argomento che è in quota all'opposizione.
Detto questo, bisogna aggiungere alcune altre considerazioni contro la richiesta avanzata. Quartiani dimentica, infatti, che in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo - per la verità, egli non era presente - ho avuto occasione di dire che, forse, sarebbe stato meglio iniziare le votazioni nel pomeriggio, alle ore 15. Mi è stato opposto che, dovendosi votare le mozioni prima di passare al seguito della discussione del disegno di legge di conversione di un decreto-legge, si sarebbe dovuto iniziare i lavori alle ore 11,30 del mattino. Questa mattina, però, la maggioranza non era presente in Assemblea, tant'è vero che è mancato il numero legale e ciò è avvenuto non per causa nostra ma per causa vostra (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)! Non è detto, infatti, che noi dobbiamo assicurare a voi la presenza del numero legale!
Posso anche aggiungere, onorevole Quartiani, che in occasione della votazione precedente è mancato il numero legale per 30 voti. Noi abbiamo sostenuto quella votazione e, a prescindere dal suo esito, comunque una votazione si è svolta grazie alla nostra presenza in Assemblea, non grazie alla vostra presenza (Commenti dei deputati del gruppo L'Ulivo)!
Allora, di che cosa stiamo parlando? Perché, adesso, l'onorevole Quartiani afferma che noi pratichiamo ostruzionismo per non passare all'esame di provvedimenti ben più urgenti di quello che è stato voluto dalle opposizioni? Mi sembra sia sotto gli occhi di tutti che, ove mai questa maggioranza ritenesse di accettare l'ipotesi del collega Quartiani, il rinvio dell'esame delle mozioni ad altra data, non bisogna dimenticarlo, sarebbe un rinvio sine die, perché oltre ai disegni di legge di conversione dei decreti-legge che ci apprestiamo ad esaminare nel corso di questa settimana sarà poi necessario esaminare i disegni di legge di conversione del decreto-legge relativo alla missione in Afghanistan e del cosiddetto decreto-legge Bersani sulle liberalizzazioni.Pag. 12
Pertanto - lo dico ai colleghi che le hanno sottoscritte - le mozioni che si era pensato di votare oggi sarebbero rinviate ai prossimi due mesi, salvo assistere all'ennesima forzatura per mettere sotto i piedi le quote dell'opposizione! La dovete smettere di fare di testa vostra quando vi conviene e di prendere tempo quando non vi conviene, perché non avete gli uomini, in questa Assemblea, per andare avanti! Voi non siete in grado di portare avanti i lavori della Camera e dite, addirittura, che la colpa è nostra!
Concludo, signor Presidente, affermando che, oltre ad essere contrario a questa vergognosa richiesta, almeno da parte del mio gruppo parlamentare - non so quale sia l'intendimento dei gruppi che siedono da questa parte dell'aula, insieme ai deputati della Casa delle libertà - non ci sarebbe più quella cosiddetta «benevolenza» per poter andare avanti e per assicurare il numero legale a beneficio di una maggioranza che non ha i numeri, che non ha una maggioranza e che tenta, in tutti i modi, di arrampicarsi sugli specchi (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale)!

PRESIDENTE. Onorevole Del Bue, lei ha chiesto di parlare, ma debbo dare la parola ad un oratore contro e ad uno a favore.
Contro la proposta dell'onorevole Quartiani ha parlato l'onorevole Leone, mentre ha chiesto di parlare a favore l'onorevole Falomi, che ne ha facoltà. Prego, deputato Falomi.

ANTONELLO FALOMI. Onorevole Leone, lei sa che nella Conferenza dei capigruppo - di cui non faccio parte, ma so che questa è stata la decisione -, vi è stato uno sforzo da parte della maggioranza di accedere alle richieste avanzate dall'opposizione, volte a discutere, prima degli argomenti che stanno molto a cuore alla maggioranza, le questioni oggetto delle mozioni.
Credo che avremmo potuto concluderne l'esame questa mattina, se l'opposizione, stranamente in contrasto con l'urgenza di discutere i suoi argomenti, non avesse chiesto una verifica del numero legale.

ANTONIO LEONE. Ma chi l'ha chiesta?

ANTONELLO FALOMI. Certamente, è responsabilità della maggioranza mantenere il numero legale, ma vi sono dei momenti in cui l'opposizione, se vuole bloccare i lavori, ricorre a tale strumento. Lo fa legittimamente, per carità, però tale comportamento è contraddittorio con il fatto che stiamo discutendo un argomento dell'opposizione.
Quindi, mi sembra che, in realtà, la volontà di discutere gli argomenti dell'opposizione sia strumentale a qualcos'altro. È chiaro che avete il diritto di mettere in atto tutte le strategie di rallentamento che credete, ma la maggioranza ha il diritto, ovviamente, di tutelare anche le sue esigenze.
Per questa ragione, appoggiamo la richiesta formulata dall'onorevole Quartiani di rinviare il seguito della discussione delle mozioni ad altra seduta e successivamente di procedere ad un'inversione dell'ordine del giorno, nel senso di passare immediatamente alla trattazione del punto 5.

PRESIDENTE. Passiamo dunque ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di rinviare ad altra seduta il seguito dell'esame delle mozioni.
(La Camera approva).

La Camera approva per 239 voti di differenza (Applausi polemici dei deputati del gruppo Forza Italia).
Il seguito dell'esame delle mozioni è pertanto rinviato ad altra seduta.

CAROLINA LUSSANA. Presidente, chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Lussana, dobbiamo ora passare alla seconda votazione; lei potrà intervenire sulla proposta di inversione dell'ordine del giorno.

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Inversione dell'ordine del giorno (ore 15,20).

PRESIDENTE. Avverto che sulla proposta formulata dall'onorevole Quartiani di passare immediatamente alla discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, già prevista al termine delle votazioni, darò la parola, ai sensi dell'articolo 41, comma 1, del regolamento, ad un oratore a favore e ad uno contro che ne facciano richiesta.
Ha chiesto di parlare contro la deputata Lussana. Ne ha facoltà.

CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, chiaramente intervengo contro la proposta di inversione dell'ordine del giorno, richiamandomi sia all'intervento precedente dell'onorevole Quartiani, sia al vergognoso atto che questa maggioranza ha compiuto oggi in Parlamento.
Non avete voluto procedere nella trattazione di un argomento, giunto ormai alla fase delle dichiarazioni di voto, che era stato calendarizzato su richiesta dell'opposizione e proponete invece un'inversione dell'ordine del giorno, addossando a noi la responsabilità di aver fatto mancare questa mattina il numero legale, quando, come è stato messo in evidenza, eravate voi a non essere presenti!
Tra l'altro, l'emendamento nella cui votazione è mancato il numero legale - lo ricordo all'onorevole Quartiani - non era sicuramente nostro, ma era stato presentato da un rappresentante della vostra maggioranza!
In realtà, questo è un atto di forza, che non condividiamo, soprattutto perché ci imponete una forzatura procedurale, violando accordi presi in sede di Conferenza dei capigruppo. È chiaro che, di conseguenza, valuteremo anche l'atteggiamento successivo che dovrà assumere l'opposizione, tante volte qui presente in aula a garantire per voi il numero legale, voi che non siete in grado di mantenerlo da soli!
Si vede che il martedì mattina vi svegliate tardi o, comunque, che non siete capaci di raggiungere il luogo di lavoro la mattina presto (Commenti dei deputati del gruppo L'Ulivo)! E poi vi lamentate e fate i moralizzatori della politica! Però, queste cose le dobbiamo dire al paese: alle 12,30 del mattino non c'era il numero legale (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia)!

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Andate a lavorare!

CAROLINA LUSSANA. Questa è la responsabilità con cui affrontate il vostro ruolo istituzionale, e certo non potete scaricarlo su noi dell'opposizione. Tuttavia, caro onorevole Quartiani, la sua motivazione è stata anche strumentale nel contenuto, addirittura andando a richiamare il merito delle questioni alla nostra attenzione, e cioè un tema che doveva essere condiviso, il tema della violazione delle libertà personali della donna, in nome di precetti religiosi; ebbene, su questo argomento abbiamo invece dimostrato ancora una volta di non trovare alcuna sinergia, alcuna concordanza.
Non posso intervenire come avrei voluto fare per dichiarazione di voto, per replicare alle argomentazioni del Governo e ai discorsi fatti in discussione generale da molte colleghe. Mi viene il sospetto che voi non vogliate affrontare l'argomento, non vogliate affrontare il problema della privazione delle libertà personali della donna in nome di precetti religiosi.
Lo abbiamo sentito prima: avete voluto allargare la tematica. Si parla di violenza in generale, perché non avete avuto il coraggio di pronunciare una sola volta in quest'aula la parola Islam (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania); non avete avuto il coraggio di dire che in Italia una ragazza, Ina, la povera Ina, è stata sgozzata in nome di un precetto religioso, perché l'amore paterno, l'amore di un intero clan familiare, è stato schiacciato dalla legge della sharia.
E allora, con l'ipocrisia che vi è solita, col vostro negazionismo al contrario, si nega che ci siano culture, religioni diverse, presenti nel nostro paese, che non riconoscono Pag. 14il principio di parità tra uomo e donna. Allora, estendete la questione ai diritti universali, ai diritti di tutti. Avete detto che la violenza esiste anche in famiglia, esiste anche per le donne italiane, ed è vero, ma questo è un altro tema, e lo affronteremo in un'altra sede, come lo abbiamo affrontato quando eravamo nel Governo precedente. Qui invece, ancora una volta, si nega di vedere quello che accade nel paese.
Voi offendete tutte le donne presenti in questo Parlamento, ma soprattutto le donne islamiche, che tante volte vedono negati i diritti di libertà riconosciuti dalla nostra società occidentale, nei loro paesi di origine, e vengono qui sperando di trovare un sostegno nel nostro sistema di garanzie costituzionali, nel nostro sistema di diritti, ma vengono invece lasciate sole da voi, perché avete paura di affrontare questi argomenti, perché non volete offendere la suscettibilità dell'Islam. Accettate ancora che nella Consulta islamica ci sia una organizzazione di rappresentanza come l'UCOII, che sta subendo un processo per istigazione all'odio razziale...

ANDREA GIBELLI. Vergogna! Vergogna!

FEDERICO BRICOLO. Vergognatevi!

MAURIZIO FUGATTI. Vergogna!

CAROLINA LUSSANA. ... e potremmo dire anche, per istigazione alla violenza sulle donne, visto che un imam, affiliato all'UCOII, ha detto che le donne sono come le pecore, e per questo devono essere picchiate. È un'autentica vergogna, veramente una pagina triste per questo Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania, Forza Italia e Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Poiché nessuno chiede di parlare a favore, passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di inversione dell'ordine del giorno formulata dal deputato Quartiani.
(La Camera approva).

La Camera approva per 387 voti di differenza.

Per un richiamo al regolamento.

ENRICO LA LOGGIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 15,30)

ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, vorrei richiamare la sua attenzione sul richiamo al regolamento che mi accingo a svolgere. Esso riguarda un argomento che è realmente meritevole di attenzione, perché concerne non soltanto l'opposizione, ma l'intero Parlamento e quindi il corretto andamento dei nostri lavori. Il richiamo è, in particolare, al comma 7 dell'articolo 96-bis del regolamento, con riferimento a quanto indicato nella lettera circolare del Presidente della Camera del 10 gennaio 1997 sull'istruttoria legislativa nelle Commissioni. Passo al caso specifico, e lo farò in maniera molto rapida.
Nella X Commissione, in sede di esame del cosiddetto decreto Bersani, che si occupa delle liberalizzazioni, con particolare riferimento all'articolo 9, che sarà esaminato questa sera (da qui l'urgenza di porre la questione in questo momento), avevo presentato, insieme a tutti i componenti del mio gruppo, un paio di emendamenti relativamente ad un aspetto specifico della materia trattata. Tali emendamenti si riferivano, usando termini semplici e facilmente accessibili, alla procedura per dare inizio ad una attività entro un giorno, così come peraltro prevedeva la proposta dell'onorevole Capezzone, poi recepita all'interno di Pag. 15quel provvedimento e presentata all'esame del Parlamento. Gli emendamenti erano proprio volti ad un'ulteriore semplificazione; quindi, non solo erano assolutamente compatibili con la materia trattata - ciò va da sé - ma erano stati predisposti proprio per dare un ulteriore impulso alla semplificazione amministrativa.
Non entro nel merito naturalmente, perché ciò esula dalla questione posta in questa sede. Tuttavia, gli emendamenti sono stati dichiarati inspiegabilmente - uso questo termine per la responsabilità che mi compete e per la copiosa esperienza parlamentare maturata sia in questa Camera che nell'altro ramo del Parlamento - inammissibili per estraneità di materia.
Francamente, non si riesce a spiegare realmente la ragione che ha portato alla dichiarazione di inammissibilità. Signor Presidente, vorrei che mi ascoltasse con attenzione, perché la questione è molto delicata. Le spiegazioni addotte sono tutt'altro che convincenti. Comprendo che la Commissione, nella sua ordinaria attività istruttoria, dinanzi a un voto, può decidere di essere o meno d'accordo. Ma escludere l'esame di questi emendamenti mi sembra improprio e costituisce, a mio avviso, un vulnus rispetto all'iniziativa dei parlamentari. In questo caso, peraltro, si fa riferimento ad un intero gruppo parlamentare.
Signor Presidente, la cosa è ancora più inspiegabile, perché contemporaneamente sono stati dichiarati ammissibili emendamenti del relatore totalmente estranei alla materia. Ad esempio, vorrei fare riferimento all'emendamento 1.2 del relatore che, a proposito del divieto di prevedere costi di ricarica per i telefonini, estende tali previsioni ad altre fattispecie totalmente estranee al contenuto del provvedimento. Allora, non è possibile - e credo che nessuno in quest'aula lo ritenga possibile - usare due pesi e due misure, poiché ciò costituirebbe un pericolosissimo precedente. Significherebbe stabilire l'ammissibilità o meno di un emendamento a seconda di chi detiene la maggioranza, a seconda che si tratti di un emendamento presentato da un gruppo dell'opposizione o della maggioranza. In tal caso, francamente, la stessa dialettica parlamentare verrebbe ad essere messa realmente in discussione. Allora, è ovvio che questa mia richiesta non ha nulla di ostruzionistico e la prego di prendere in considerazione quanto le sto rappresentando.
Vi sono due ipotesi che mi sento di suggerire: la prima è quella di indurre gli uffici ad effettuare un ulteriore esame dell'ammissibilità degli emendamenti in questione, stante che tra qualche ora dovrebbero essere discussi dalla Commissione; in secondo ordine, Presidente, dato che proprio sull'argomento dell'ammissibilità degli emendamenti è già stata convocata dal Presidente Bertinotti, per il 27 febbraio, una riunione della Giunta per il regolamento - Giunta di cui mi onoro di far parte proprio su chiamata del Presidente Bertinotti -, l'altra ipotesi potrebbe essere quella di anticipare, almeno su questo punto, la riunione della Giunta per il regolamento. Altrimenti, la risposta meramente burocratica che potrebbe essere data alla mia richiesta non potrà che essere giudicata totalmente insufficiente, inadeguata; stiamo parlando, peraltro, di un argomento di grandissimo rilievo che riguarda un'enorme quantità di cittadini.
Non vi è da parte mia - e lo confermo - alcuna intenzione di carattere ostruzionistico, ma solo la richiesta di esaminare nel merito emendamenti che riguardano proprio il cuore del provvedimento: altro che estraneità di materia! Concernono proprio la procedura autorizzativa. Ovviamente, tendono a rendere possibile una ulteriore semplificazione; ma questa è una scelta che si può accettare o meno, non certo respingere a priori, perché comunque rientra nella materia contemplata dal provvedimento.
Quindi, la pregherei, Presidente, di fare qualcosa, addivenendo o alla prima ipotesi o alla seconda - probabilmente la prima sarebbe molto più agevole -, per consentire un nuovo vaglio dell'ammissibilità degli emendamenti da esaminare in Commissione già dichiarati inammissibili.

PRESIDENTE. Onorevole La Loggia, le ricordo, a proposito della questione da lei Pag. 16sollevata - come lei sa bene - che la presidenza della X Commissione ha stabilito un termine per il ricorso contro le declaratorie di inammissibilità. Tale termine è scaduto nella giornata di ieri e le richieste di riesame sono state valutate dalla Presidenza, che ha ritenuto di confermare le decisioni già assunte dalla presidenza della Commissione.
Con riferimento specifico all'emendamento in questione, in questa fase la Presidenza, come più volte è stato rilevato, da ultimo nella seduta del 31 gennaio scorso, non può che ricordare che l'articolo 96-bis, comma 7, del regolamento, al fine di garantire il rispetto dei criteri stabiliti dalla legislazione vigente in ordine alla specificità e alla omogeneità delle disposizioni recate dai decreti-legge e ai limiti del loro contenuto, prevede per la valutazione dell'ammissibilità degli emendamenti criteri più rigorosi rispetto a quelli stabiliti nell'ambito del procedimento legislativo ordinario, stabilendo, in particolare, che devono essere dichiarati inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge.
Come specificato nella circolare del Presidente della Camera del 10 gennaio 1997, la stretta attinenza al contenuto del decreto-legge deve essere valutata con riferimento ai singoli oggetti e alla specifica problematica affrontata dall'intervento normativo. L'emendamento in questione è stato esaminato da parte della Presidenza alla luce di tali parametri ed è stato ritenuto estraneo sotto il profilo della stretta attinenza.
In ogni caso, lei ha formulato due proposte sulle quali non posso, evidentemente, darle una risposta immediata. Riferirò le sue osservazioni e le sue proposte alla Presidenza, che potrà valutarle in sede di ammissibilità degli emendamenti in Assemblea.

Sull'ordine dei lavori (ore 15,40).

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, come lei ha constatato, la maggioranza dell'Assemblea, con un colpo di mano ed instaurando un bruttissimo precedente, ha praticamente stravolto l'ordine dei nostri lavori, compiendo una sorta di puerile, per quanto iniqua, vendetta rispetto alla propria stessa carenza in termini di numero legale, come i colleghi Leone e Lussana hanno denunciato efficacemente poco fa. In conseguenza dell'ulteriore vulnus all'ordine dei lavori ed alle intese voluto dalla maggioranza di centrosinistra, si è proceduto all'inversione dell'ordine del giorno dando la precedenza al punto 5, che prevede la discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione del decreto-legge relativo alla proroga di termini.
Ora, devo dire che, a seguito di questo stravolgimento, si crea una differenza sostanziale anche nell'esercizio delle facoltà dei parlamentari, dei singoli parlamentari oltre che dei gruppi. Infatti, i parlamentari - non soltanto noi membri della I Commissione, ma tutti i parlamentari in genere - erano consapevoli e consci che, almeno sino alle ore 17, ci sarebbe stata la possibilità di presentare emendamenti in Assemblea, di svolgere insomma un'attività emendativa che è tuttora in fermento, in itinere. Si sta lavorando, per l'appunto. Qualcuno di noi ha già presentato emendamenti, altri si ripromettono di farlo o si accingono a presentarli. Ebbene, ci si chiederebbe a questo punto, con uno stravolgimento non solo formale ma, ancor peggio, di sostanza dell'ordine dei lavori, di dar luogo comunque, indifferentemente - come nulla fosse successo -, alla discussione sulle linee generali; oltretutto, sovrapponendosi i tempi, i parlamentari o seguono la discussione sulle linee generali o lavorano alla presentazione degli emendamenti.
Si finisce, quindi, con lo strangolare il tempo dedicato alla trattazione di questo provvedimento, i cui tempi sono già - come lei ben sa, Presidente - fortemente strangolati dal fatto che la scadenza non è Pag. 17lontana ma anche e soprattutto dal fatto che il testo ritorna dal Senato per il consueto palleggio che pure tante volte sacrifica le nostre facoltà.
Ora, non potendo sovvertire l'esito della votazione, pur assolutamente non condivisibile, fatta dall'Assemblea a questo riguardo, ritengo che la Presidenza, quanto meno, debba sospendere la trattazione di questo argomento, anche per la mera discussione sulle linee generali, che non può non rapportarsi anche alla situazione determinata dalla presentazione degli emendamenti. I deputati - lo dico tra parentesi - erano consapevoli che solo all'indomani si sarebbe proceduto alla trattazione e di certo alla votazione. Ritengo dunque che la Presidenza debba sospendere la trattazione di questo punto come minimo sino alle ore 17, a voler essere benevoli, ma forse per più tempo, perché altrimenti non solo violiamo formalmente l'iter dei lavori ma conculchiamo seriamente la possibilità sostanziale dei parlamentari di esercitare le proprie funzioni, a principiare da quella fondamentale di emendabilità del testo.
Quindi, invito veramente la Presidenza a rendersi conto che, pur rispettando l'iniquo voto dell'Assemblea effettuato a colpi di maggioranza, non può rendersi corresponsabile di una deprivazione dei deputati delle loro facoltà fondamentali. Da qui la richiesta che l'esame del provvedimento iscritto al punto 5 dell'ordine del giorno sia rinviato come minimo alle ore 17.

PRESIDENTE. Onorevole Benedetti Valentini, mi rendo conto delle sue osservazioni. Peraltro, desidero farle notare che non c'è incompatibilità fra l'avvio della discussione sulle linee generali e la mancata scadenza del termine per la presentazione degli emendamenti. Lei sa che normalmente, quando il lunedì la seduta comincia al mattino, il termine per la presentazione degli emendamenti è fissato per le ore 14 del giorno dopo; quando invece la seduta comincia il pomeriggio, come è nel caso di questa settimana, il termine viene posticipato alle ore 16 o 17. In questo caso il termine è stato fissato per le 17. Ciò è abbastanza normale. Accade, è accaduto frequentemente, che ci fosse questa sovrapposizione tra l'avvio della discussione sulle linee generali e la perduranza del termine per la presentazione degli emendamenti.
Quindi, pur rendendomi conto delle ragioni che lei ha sollevato, mi pare che non si possa configurare alcun vulnus, proprio perché ci sono precedenti e, soprattutto, perché è garantito il diritto sostanziale per i parlamentari di avviare la discussione sulle linee generali.

MAURO DEL BUE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURO DEL BUE. Mi aggancio anch'io alla questione regolamentare, sostenendo...

PRESIDENTE. Lei parla quindi per un richiamo al regolamento?

MAURO DEL BUE. Signor Presidente, la questione che intendo porre è analoga a quella sollevata dal collega intervenuto in precedenza.
Alla luce dello stravolgimento dell'ordine del giorno, ed anche alla luce del fatto che la maggioranza ha deciso, a maggioranza, di sospendere l'esame di una questione di così rilevante importanza civica come quella della violenza perpetrata contro le donne, in Italia, in nome di presunti principi religiosi, considerando prioritario, rispetto a tale argomento, l'esame di due disegni di legge di conversione di decreti-legge, occorrerebbe, a mio giudizio, sapere subito quando potranno avere luogo le dichiarazioni di voto e le votazioni sulle importanti mozioni, anche perché - e mi avvio alla conclusione - penso che si sia verificato, in quest'aula, un fatto politico. Tutti gli oratori che mi hanno preceduto hanno parlato di regolamenti. Ma, santo Iddio, onorevoli colleghi, un emendamento della Rosa nel Pugno, sottoscritto dall'onorevole Turco e sul quale il Governo aveva espresso parere favorevole, è stato respinto anche grazie Pag. 18alle astensioni ed ai voti contrari della maggioranza! Questo è un fatto politico, non regolamentare!
Allora, se in base all'esito della votazione la maggioranza chiede il rinvio dell'esame delle mozioni, il fatto ha un senso politico e non regolamentare; se, invece, il rinvio viene chiesto soltanto per un'esigenza che l'onorevole Quartiani ha avvertito improvvisamente, relativa alla priorità di alcuni decreti-legge rispetto alle votazioni sulle mozioni, noi non condividiamo la scelta. Rispettiamo la conversione improvvisa in nome delle predette esigenze di priorità, ma chiediamo, innanzitutto, che sia garantito a tutte le posizioni politiche presenti in quest'aula di esprimersi in merito a mozioni che, a nostro giudizio, hanno un valore morale e politico assai superiore alla conversione in legge di sia pure importanti e rispettabili decreti-legge (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno e Forza Italia).

PRESIDENTE. Onorevole Del Bue, lei sa bene che mi ha posto una domanda alla quale non posso rispondere: dipende dall'andamento dei lavori e dalla volontà dell'Assemblea.
Onorevoli colleghi, desidererei che non si riaprisse un dibattito di merito su una questione che è già stata definita, poco fa, dal voto che la Camera ha espresso in modo assolutamente corretto e rispettoso del regolamento.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative. Disposizioni di delegazione legislativa (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (A.C. 2114-B) (ore 15,48).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative. Disposizioni di delegazione legislativa.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2114-B)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle modifiche introdotte dal Senato.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari di Alleanza Nazionale e de L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Amici, ha facoltà di svolgere la relazione.

SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, il provvedimento in esame è stato già approvato dalla Camera ed è stato ulteriormente modificato dal Senato nella seduta del 15 febbraio 2007. Quindi, ritorna all'esame di quest'Assemblea un testo, sul quale i colleghi saranno nuovamente chiamati ad esprimersi anche mediante la presentazione di proposte emendative, che contiene ben sei nuovi articoli e complessivi 42 commi.
L'articolo 1, comma 1, del decreto-legge, nella riformulazione operata dal Senato, proroga al 31 dicembre 2007 gli effetti dell'articolo 5 del decreto-legge n. 97 del 2004. Il comma 4-bis del medesimo articolo fissa al 31 dicembre 2010 il termine di efficacia del comma 3 dell'articolo 57 del decreto legislativo n. 334 del 2000, concernente l'aggiornamento professionale del personale direttivo e dirigenziale della Polizia di Stato. Il successivo comma 6-bis è volto a differire al 31 dicembre 2007 il termine di cui all'articolo 16, comma 3, della legge n. 246 del 2005, che consente la mobilità volontaria presso i ruoli di amministrazioni pubbliche del personale del CONI in servizio al 7 luglio 2002. Il comma 6-terPag. 19differisce al 31 dicembre 2007 il medesimo termine, con particolare riferimento al personale del CONI, che presta già servizio presso le Federazioni sportive nazionali e che, in caso di trasferimento alle dipendenze delle stesse Federazioni, dovesse risultare in esubero e, quindi, fosse collocato in mobilità.
I commi 6-quater e 6-quinquies prorogano al 31 dicembre 2007 i comandi del personale dell'Istituto Poligrafico Zecca dello Stato. Il comma 6-sexies modifica le disposizioni recentemente dettate dalla legge finanziaria 2007, in materia di reclutamento dei dirigenti scolastici e di procedura transitoria delle nomine. Il comma 6-septies sopprime fino al 2011 il limite di cinque dirigenti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che possono essere collocati contemporaneamente in posizione di comando o fuori ruolo presso determinati organi costituzionali, uffici di diretta collaborazione dei ministeri e Presidenza del Consiglio.
Le modifiche apportate all'articolo 2, in relazione alla copertura degli oneri determinati dal differimento dei termini di pagamento dei contributi o premi previdenziali degli allevatori agricoli e delle imprese di macellazione del settore, sono volte a configurare la disposizione, non più come limite massimo di spesa, ma come mera previsione di spesa. Viene conseguentemente introdotta una clausola di salvaguardia, un nuovo comma 3-bis. Il comma 5-ter posticipa inoltre al 1o febbraio 2008 l'applicazione della disciplina del risarcimento, per i sinistri che coinvolgano le macchine agricole. Il comma 5-quater proroga al 30 aprile 2008 il termine entro il quale i consorzi agrari, ormai divenuti a tutti gli effetti società cooperative, devono adeguare le proprie norme statutarie a quelle del codice civile.
Il comma 3-ter dell'articolo 3 differisce al 1o gennaio 2008 limitatamente all'affidamento dei lavori e delle forniture per la manutenzione delle infrastrutture. Il comma 4-bis proroga al 31 dicembre 2007 la fase transitoria, durante la quale, in alternativa alle nuove norme tecniche per le costruzioni, può continuare ad applicarsi la normativa precedente.
L'articolo 3-bis fissa il termine del 31 dicembre 2009 per la realizzazione degli interventi a favore del comune di Pietrelcina.
L'articolo 3-ter incide sulla disciplina transitoria relativa alla qualifica di restauratore dei beni culturali. Al comma 2, aggiunto all'articolo 3-quater, già articolo 3-bis del testo approvato dalla Camera, si differisce al 31 dicembre 2007 il termine previsto dalla legge finanziaria, entro il quale i soggetti interessati dal sisma del 1990, che ha colpito le province di Catania, Siracusa e Ragusa, possono provvedere ai versamenti non ancora effettuati per definire la propria posizione tributaria.
L'articolo 3-quinquies, al comma 1, proroga fino ad esaurimento delle disponibilità finanziarie i termini per accedere ai finanziamenti agevolati per i titolari delle imprese nelle fasce fluviali soggette a vincolo derivante dalle delibere adottate dal comitato istituzionale dell'Autorità del bacino del Po. Il comma 2 dispone l'applicazione delle disposizioni, recate dal citato articolo 4-quinquies, anche ad aree a rischio di inondazione soggette a vincolo derivante da delibere regionali. Il comma 3 include, tra i soggetti, anche i titolari delle imprese aventi insediamenti ricompresi nelle fasce fluviali.
I commi 1-bis e 1-ter dell'articolo 4 novellano le disposizioni dell'ultima legge finanziaria relative all'istruzione, all'istituzione dell'agenzia per la formazione dei dirigenti e dipendenti delle amministrazioni pubbliche. Il successivo comma 4-bis proroga il termine per il completamento degli investimenti, per i quali è riconosciuto il credito di imposta, ai sensi dell'articolo 8 della legge finanziaria del 2001. Il comma 4-ter proroga di un anno il termine per l'emanazione di un decreto ministeriale, che deve stabilire le specifiche tecniche del formato elettronico per la presentazione dei bilanci di esercizio e degli altri atti a registro delle imprese.
Il comma 2-bis dell'articolo 5 proroga al 29 aprile 2008 i termini previsti dal Pag. 20codice ambientale per l'adeguamento degli statuti di alcuni consorzi per il recupero dei rifiuti e principi contenuti nel medesimo decreto.
Il comma 7-ter dell'articolo 6 dispone la non applicabilità, nelle province di Trento e Bolzano, della proroga di dieci anni rispetto alla data di scadenza prevista dalla vigente disciplina di tutte le grandi concessioni idroelettriche, in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 266 del 2005. Il comma 8, nel testo riformulato dal Senato, porta al 31 giugno 2007 il termine per l'emanazione del regolamento di realizzazione per il fondo di accompagnamento della riforma dell'autotrasporto e merci. La modifica apportata al comma 8-quater, in relazione alla copertura di oneri recanti dal comma 8-ter, proroga il termine per l'esenzione dalle imposte di bollo, registro, ipotecarie e catastali, nonché delle tasse di concessione.
Analoga modifica è apportata al comma 8-quinquies secondo periodo, mentre il successivo comma 8-terdecies è volto ad introdurre una clausola di salvaguardia finanziaria. Ulteriori modifiche sono apportate al citato comma 8-quinquies, che consente la concessione di benefici a favore di determinati enti non commerciali operanti nel settore della sanità privata ed in situazione di crisi aziendale.
Il comma 8-sexies dispone per l'anno 2007 la disapplicazione del divieto di procedere ad assunzione di personale a qualsiasi titolo, con qualsiasi contratto per gli enti che non abbiano rispettato il patto di stabilità interno per l'anno 2006. Il comma 8-septies reca una modifica alla disciplina del patto di stabilità interno per il 2006, il comma 8-octies reca una novella all'articolo 1, comma 687, della legge finanziaria in materia di patto di stabilità per gli enti locali per il 2007, estendendo le regole per l'applicazione del patto di stabilità agli enti locali istituiti nel 2006 anche alle nuove province istituite dalla regione autonoma della Sardegna. Il comma 8-novies novella il decreto-legge n. 266 del 2004, riguardante l'attuazione della direttiva CEE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti. Il comma 8-decies precisa conseguentemente che le disposizioni di cui all'allegato del decreto legislativo n. 146 del 2001, ai numeri 19 e 22, oggetto delle successive revisioni, acquistano efficacia nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal comma precedente a decorrere dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame. Il comma 8-undecies proroga al 31 dicembre del 2015 il termine relativo all'autorizzazione alla commercializzazione di farmaci omeopatici. Il comma 8-duodecies proroga al 28 dicembre 2009 il termine fissato per l'adeguamento delle disposizioni in materia di incenerimento dei rifiuti.
L'articolo 6-bis anticipa di due mesi, al 30 aprile del 2007, il termine oltre il quale dovranno costituirsi gli uffici periferici dello Stato nelle tre nuove province istituite nel 2004, Monza-Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani. L'articolo 6-quater limita al 31 marzo del 2007 la vigenza delle disposizioni della legge finanziaria per il 2007, che hanno introdotto un ticket sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale.
Il Senato, infine, ha introdotto due commi all'articolo 1 del disegno di legge di conversione recanti disposizioni di delega legislativa al Governo. Il comma 2 proroga di un anno il termine per l'adozione di provvedimenti integrativi e correttivi del decreto-legge n. 139 del 2006, recante il riassetto delle disposizioni relative al Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Il comma 3 delega il Governo ad adottare, entro il 31 luglio del 2007, uno o più decreti legislativi finalizzati a garantire l'adattamento dell'ordinamento giuridico italiano ai principi e alle norme della Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, siglata ad Oviedo il 4 aprile 1997, nonché alle disposizioni del protocollo addizionale del 12 gennaio 1998.
Avrei così concluso l'esame delle modifiche apportate dal Senato e vorrei semplicemente fare una chiosa finale, in quanto relatrice di questo provvedimento nella prima lettura alla Camera, per esprimere una valutazione che credo sarà oggetto di attenzione anche dei prossimi lavori parlamentari: ci siamo trovati di Pag. 21fronte ad una serie di emendamenti e, quindi, di modifiche votate dal Senato. Non voglio aprire in questa sede un giudizio di merito sulla legittimità del lavoro effettuato dall'altra Camera, quanto piuttosto sottolineare un problema che avevamo posto nell'ambito della prima discussione. Di fronte ad un meccanismo di procedura quale è quello della conversione dei decreti-legge, avevamo apprezzato inizialmente da parte del Governo un tentativo di omogeneità, perlomeno nella definizione del cosiddetto «proroga termini». Ci eravamo pertanto impegnati, all'interno di una discussione procedurale molto serrata, circa l'ammissibilità o meno di emendamenti che non avessero attinenza allo stesso titolo della materia. Nonostante questo e nonostante un lavoro rigoroso da parte della Presidenza della Camera, noi oggi ci ritroviamo con emendamenti, che, resi inammissibili da questo ramo del Parlamento, sono stati approvati nell'altro.
Questo ripropone un tema importante e serio, a cui credo debba essere data una risposta. Esso è legato soprattutto ai livelli della paritetica rappresentanza politica delle due Camere.
Di fronte alla situazione che oggi noi ci troviamo a discutere, l'imbarazzo non è solo di ordine semantico, ma anche politico, perché riguarda le modalità attraverso le quali si formano e si producono le leggi in questo paese, anche e soprattutto rispetto al lavoro parlamentare delle due Camere.
Ci auguriamo che la questione posta non arrivi ad aprire una discrasia che sarebbe - per così dire - lesiva di un diritto, vale a dire quello di rispondere ad un mandato nazionale dell'essere parlamentari (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo, Verdi e Misto-Minoranze linguistiche).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, il sottosegretario D'Andrea.

GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

LUIGI D'AGRÒ. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUIGI D'AGRÒ. Presidente, abbiamo ricevuto una comunicazione per via telematica con la quale si informa che i lavori della Commissione attività produttive avranno inizio alle ore 16.
La circostanza viene riferita come una cortesia fatta all'opposizione, ma io credo che questo contrasti abbondantemente con il regolamento e metta alcuni parlamentari che fanno parte di quella Commissione nelle condizioni di non poter rimanere in aula per seguire il dibattito ed intervenire.
Chiedo pertanto, signor Presidente, che la Commissione venga sconvocata e che non ci siano atteggiamenti di questo genere da parte della maggioranza che, superando abbondantemente il regolamento, afferma di farlo quasi per fare un favore all'opposizione.
Se questi sono i metodi, io non so dove andremo a finire (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Onorevole D'Agrò, lei sa molto bene che i termini regolamentari non precludono la possibilità che i lavori delle Commissioni si sovrappongano a quelli dell'aula, quando non siano previste votazioni.
Infatti, la Commissione, con il consenso dei suoi membri di maggioranza ed opposizione, si era riconvocata al termine delle votazioni. Questo è quanto semplicemente è accaduto. Capisco le esigenze dell'opposizione di introdurre anche degli elementi di rallentamento dei lavori in Assemblea, però il suo non è un richiamo che può essere accolto.
Non enumero i precedenti, ma mi limito ad osservare che il regolamento non preclude i lavori in Commissione quando non sono previste votazioni in aula.

Pag. 22

ANNA TERESA FORMISANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

ANNA TERESA FORMISANO. Sull'ordine dei lavori, Presidente.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANNA TERESA FORMISANO. Grazie, Presidente. Intervengo non tanto per contraddirla, ma per osservare che alle 15 si è verificato esattamente il contrario di quello che lei ha appena detto. Noi eravamo impegnati nei lavori della Commissione mentre in aula si stava votando.
Noi non abbiamo il dono dell'ubiquità e pertanto non abbiamo potuto votare. Come vede, ciò che lei ha appena detto viene smentito dai fatti. Allora, noi non siamo in grado di prevedere se da qui a mezz'ora ci potrà essere un'altra votazione.
Non possiamo essere presenti contemporaneamente in Aula e in Commissione: non credo che questo significhi svolgere correttamente il lavoro del parlamentare. È prassi consolidata che, se c'è un lavoro da fare in Commissione, si fa al termine dei lavori d'aula, ma non certo in concomitanza. Non si capisce perché si deve dar luogo ad un altro tipo di percorso.

PRESIDENTE. Se improvvisamente ed imprevedibilmente dovesse terminare la discussione generale perché si ritirano tutti gli iscritti - e le assicuro che ce n'è qualcuno -, la Presidenza si premurerà di sconvocare tutte le Commissioni prima di passare ai voti. In ogni caso, oggi non è previsto il passaggio ai voti.

LUIGI D'AGRÒ. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Onorevole D'Agrò, non possiamo dialogare all'infinito. Lei ha già parlato sull'ordine dei lavori e ha avuto una risposta dalla Presidenza. Non sia insistente, anche se capisco che possa non condividere le scelte fatte...

LUIGI D'AGRÒ. C'è un problema.

PRESIDENTE. Prego, parli pure...

LUIGI D'AGRÒ. Presidente, è stata decisa la convocazione della Commissione al termine dei lavori e non al termine delle votazioni in Assemblea. I lavori dell'Assemblea proseguono, mentre io, che avrei dovuto iscrivermi per intervenire in discussione generale, ovviamente non potrò farlo perché devo recarmi in Commissione. Quindi, mi viene preclusa la possibilità di svolgere la mia attività di capogruppo in seno alla Commissione attività produttive.

PRESIDENTE. Onorevole D'Agrò, il suo diritto sarà assicurato. Se intende intervenire in sede di discussione sulle linee generali, le assicuro che i lavori delle Commissioni termineranno molto prima che siano esauriti gli interventi programmati.
Vi chiederei la cortesia di insistere con altri mezzi. Mi pare non sia il caso di continuare...!

NICOLA BONO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

NICOLA BONO. Signor Presidente, vorrei intervenire per un richiamo al regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NICOLA BONO. Signor Presidente, mi permetto di dissentire da questa interpretazione, anche perché ho avuto modo di presentare diverse rimostranze, anche per iscritto, alla Presidenza in ordine all'incompatibilità, in linea di principio, di una interpretazione la quale, rispetto alla lettera della previsione regolamentare che fa riferimento ai lavori e non alle votazioni in Assemblea, consente per prassi che le Commissioni si possano riunire in pendenza dei lavori in aula.
Ciò viene, diciamo, «subìto» e risulta possibile quando le Commissioni che devono riunirsi hanno competenze diverse, Pag. 23ma credo non abbia precedenti il fatto che si apra un dibattito in fase di discussione sulle linee generali su un argomento, mentre non si consente ai membri della Commissione di merito di seguire il dibattito in aula, di intervenire nella fase della discussione generale con scienza e coscienza, acquisendo le informazioni e le notizie che derivano dal fatto di ascoltare le opinioni degli altri.
Questo è inverosimile e credo non sia mai accaduto! Che la Presidenza, sulla scorta di precedenti di altro tipo, voglia farci passare una violazione delle più elementari regole del confronto democratico è inaccettabile!
La Commissione non se ne può andare dall'aula, perché della stessa fa parte il relatore ed il relatore è obbligato a rimanere in aula, ad ascoltare gli interventi, a prendere eventualmente nota delle osservazioni e, se mai, a replicare.
Altrimenti, sapete cosa possiamo fare? Ci potremmo riunire in teleconferenza! Ce ne stiamo tutti a casa e ci convocate tramite una teleconferenza. Poi, con in mano un bottoncino, votiamo da casa! Questo è diventato un «votificio», non è un Parlamento!
È una cosa inaccettabile che i colleghi, anche di maggioranza, accettino questa interpretazione. Pertanto, Presidente, la invito - nel rispetto delle istituzioni, del ruolo e delle funzioni di ogni parlamentare - ad evitare questa sconcezza!
La Commissione di merito non può abbandonare l'aula, perché i componenti della stessa devono partecipare al dibattito sin dalla fase della discussione sulle linee generali (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Onorevole Bono, come lei può riscontrare, i componenti della Commissione di merito sono presenti in aula.
In ogni caso, la voglio rassicurare: non si tratta di riferirsi ai precedenti. Secondo la consuetudine, normalmente ci si è sempre comportati in questo modo; altrimenti, le Commissioni non avrebbero spazio per lavorare.

DARIO RIVOLTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

DARIO RIVOLTA. Per un richiamo al regolamento, se lei me lo consente.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DARIO RIVOLTA. Signor Presidente, la discussione che abbiamo appena ascoltato tocca un argomento di fondo che, invece, stranamente non viene mai affrontato: tutti noi parlamentari sappiamo con assoluta certezza che il vero lavoro parlamentare, quello di confronto e di approfondimento, viene svolto in sede di Commissione. In Assemblea, nella maggior parte dei casi, con lodevoli momenti di eccezione, non facciamo che ratificare o contestare il frutto del lavoro delle Commissioni.
Poiché ciò è evidente per ciascuno di noi e tutti coloro che svolgono la loro attività nelle Commissioni sanno quanto sia indispensabile quel lavoro e quanto sia di facciata quello che si svolge in questa sede, credo sia arrivato il momento di porsi il problema di dare maggiore spazio alle Commissioni stesse!
Non è umanamente né formalmente né per intelligenza possibile credere che il lavoro più importante, quello delle Commissioni, sia relegato ad un intervallo di tempo che intercorre tra la seduta antimeridiana e quella pomeridiana.
Le Commissioni hanno il diritto ed i parlamentari hanno il dovere di dedicare a quel tipo di lavoro di approfondimento il maggior tempo possibile!
Signor Presidente, ritengo necessario sottoporre ai presidenti di gruppo ed alla Presidenza l'ipotesi di poter organizzare differentemente i lavori del nostro Parlamento.
Noi, infatti, dobbiamo far sì, come si verificava due legislature fa, che un'intera mezza giornata venga dedicata ogni giorno Pag. 24al lavoro delle Commissioni e che l'altra mezza giornata serva a ratificare o a contestare tale lavoro. Altrimenti, vorrei si prendesse in considerazione l'ipotesi di varare una riforma ancora più radicale - anche se mi rendo conto che deve passare attraverso una modifica del regolamento -, impostando la nostra attività per sessioni, come stanno già facendo altri Parlamenti (come, ad esempio, quello europeo).
Signor Presidente, capisco che l'oggetto del mio intervento ecceda la funzione che sta esercitando in questo momento; tuttavia desidero approfittare della discussione che si è precedentemente svolta per evidenziare proprio la necessità di garantire una profonda serietà ai nostri lavori, dando alle Commissioni il tempo necessario allo svolgimento delle loro attività.
Sarebbe immorale, infatti, se facessimo finta di credere che il tempo rubato ai pranzi, nell'intervallo tra la seduta antimeridiana e quella pomeridiana - un'ora il martedì e due ore il mercoledì! -, sia sufficiente per compiere un esauriente approfondimento dei dibattiti (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. Onorevole Rivolta, vorrei segnalarle che, sul piano del dibattito generale, io personalmente - anche se non sono tenuto ad esprimere delle opinioni - condivido le sue osservazioni.
In merito all'organizzazione dei lavori del Parlamento europeo, vorrei rammentare (dal momento che è presente anche l'onorevole Azzolini) che ho partecipato personalmente al dibattito sulla riorganizzazione dell'attività del Parlamento. Ebbene, anch'io vedrei con favore una separazione, settimana per settimana, dei lavori delle Commissioni rispetto a quelli dell'Assemblea. Ciò, tuttavia, travalica l'ambito della discussione che stiamo svolgendo adesso.
Voglio solamente ricordarle, onorevole Rivolta, che la Giunta per il regolamento, competente a tale riguardo, si è occupata proprio della questione sollevata sia da lei, sia dall'onorevole Bono, nel corso di una riunione del 4 ottobre scorso ed ha confermato, proprio in seguito alle eccezioni di questa natura sollevate dall'onorevole Bono, la correttezza della prassi finora applicata.
Per il momento, dunque, su decisione unanime della Giunta per il regolamento, si procede in questo modo. Quindi, non mi sembra il caso di continuare ad insistere, fermo restando che, sul piano del dibattito politico generale, apprezzo personalmente quanto da lei affermato, onorevole Rivolta. In ogni modo, questo è il regolamento e queste sono le decisioni adottate dalla Giunta per il regolamento.

ANTONIO LEONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

ANTONIO LEONE. Sempre sullo stesso argomento, signor Presidente.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, vorrei rivolgerle una domanda. Secondo lei, è normale che qui in Assemblea si esamini un decreto-legge e che, contemporaneamente, nella Commissione competente si discuta lo stesso provvedimento? Lei parla di precedenti, Presidente, ma me li può trovare? Stiamo parlando della stessa Commissione, non di altre che possono riunirsi per trattare altri provvedimenti ed altri argomenti!
Il ridicolo di ciò che sta accadendo oggi, con questo modo schizofrenico di condurre i lavori della nostra Assemblea, è proprio questo: noi assistiamo alla impossibilità, da parte di componenti della Commissione di merito, di venire in aula per ascoltare il relatore e gli interventi dei deputati di tutti i gruppi, perché nella stessa Commissione sono in corso i lavori relativi a quel provvedimento!
Ma dove stiamo: in Uganda, signor Presidente? Dove stiamo? Lei mi deve dire...

PRESIDENTE. Stiamo nel Parlamento della Repubblica italiana e voglio ricordare...

Pag. 25

ANTONIO LEONE. Non ve ne siete accorti? Non ve ne siete accorti...?

PRESIDENTE. Voglio ricordarle, presidente Leone, che la Commissione di merito è presente qui in aula e sta seguendo i lavori...

ANTONIO LEONE. È stata convocata alle 16!

PRESIDENTE. ... mentre la X Commissione (Attività produttive) sta esaminando il cosiddetto decreto-legge Bersani. Si tratta di un altro provvedimento, e quindi non sussiste la fattispecie che lei ha ipotizzato!
È iscritto a parlare l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, essere il primo ad intervenire, dopo la cortese collega relatrice, nella discussione sulle linee generali del provvedimento in esame è un onore di cui mi compiaccio. Mi compiaccio un po' meno, come credo facciano tutti i parlamentari che si interrogano sul ruolo del Parlamento stesso, del modo con cui stiamo procedendo allo svolgimento di questa discussione. Ciò ha un rilievo politico: si tratta di una considerazione preliminare che desidero sottolineare con forza.
Non so se troverò orecchie attente e sensibilità da parte dei colleghi della maggioranza, ma spero di essere recepito almeno dall'opinione pubblica che ci sta ascoltando attraverso i mezzi di informazione.
L'ipotetica maggioranza di centrosinistra presente in quest'aula, poco fa è caduta miseramente riguardo ad una proposta di un suo stesso membro. Oltre alle molte responsabilità di cui la suddetta maggioranza di centrosinistra si sta caricando, vi è quella della vera e propria liquidazione sostanziale del Parlamento. Il Governo, facendosi forza della sua debolezza sta espropriando il Parlamento delle sue facoltà e ci costringe a lunghi dibattiti attraverso cui questa Camera confessa alla pubblica opinione la sua impotenza, l'avvitamento su se stessa.
Onorevole Presidente, poco fa, nel rivolgersi ad alcuni colleghi che avevano sacrosante ragioni da esporre, ha allargato le braccia sostenendo che, tutto sommato, le loro argomentazioni avevano qualche pregio e che, però, ella non era in grado di fare nulla. Di conseguenza, noi abbiamo un ordine dei lavori ed intese politiche che non valgono niente; tra l'altro, una norma ci informa che almeno un quarto degli argomenti debbono essere posti all'ordine del giorno su richiesta dell'opposizione, ma anche questo non vale niente. Le stesse Commissioni che dovrebbero occuparsi di argomenti trattati in Assemblea vengono depotenziate del loro ruolo e della loro facoltà, ovvero, se lo preferite, viene umiliata l'aula parlamentare. La volontà politica del Governo di centrosinistra sta assolutamente mettendo in ginocchio questo Parlamento; il parlamentare è, con violenza procedurale, messo in condizioni di non poter esercitare il suo mandato e il singolo deputato è diffidato dal compiere il proprio dovere. Ciò va denunciato perché rappresenta non solo una generica mancanza di rispetto per le istituzioni, ma un qualcosa che taglia l'erba sotto i piedi alla vitalità del mandato parlamentare e delle istituzioni stesse.
Gli appelli che, reiteratamente, lo stesso Presidente della Repubblica rivolge per promuovere corrette procedure parlamentari che permettano di arrivare ad un serio confronto politico restano delle grida nel deserto e delle confessioni di assoluta impotenza.
Detto questo, con la debita energia va anche detto, da parte di chi si trova nell'onorifica condizione di chi ha più legislature alle spalle ed un'età un po' meno esaltante, che ogni anno si pone il problema del cosiddetto provvedimento «mille proroghe»: esso, per un verso, rappresenta una necessità pratica; per l'altro, una scelta.
Noi che abbiamo una qualche esperienza in più, abbiamo netta la sensazione che il Governo, in un certo senso, qualifica Pag. 26la sua azione politica anche per il modo con cui utilizza questo rituale strumento annuale. Mi permetto di dire che il giudizio non pregiudiziale del mio gruppo e del modesto sottoscritto - già in Commissione sostenemmo che alcune norme potevano anche trovare una giustificazione pratica e, quindi, un teorico consenso da parte del nostro gruppo -, a causa della sostanza di alcune deliberazioni e del modo attraverso cui si è proceduto, è indubbiamente negativo riguardo all'azione del Governo e della pedissequa maggioranza appiattita sulle sue volontà e mortificata nel suo ruolo parlamentare.
Penso che non solo io, ma diversi altri parlamentari, prendendo la parola, non mancheranno di fare riferimento al parere reso dal Comitato per la legislazione, che è un'autorevolissima conferma di quanto i gruppi di opposizione hanno dichiarato in sede di prima lettura e nel corso dei lavori di approfondimento nella Commissione; per quanto sia necessario e senza ripetere l'una e l'altra testimonianza - quanto abbiamo detto e ciò che afferma oggi il Comitato per la legislazione -, intanto si ripropone un tema che non è liquidabile, onorevole Presidente, con un'elegante dissertazione o lettura, più o meno stanca, di speech predisposti dai nostri diligentissimi uffici per dire: non è la prima volta che... in fondo i vulnera non sono poi tanti o perlomeno fanno meno male, perché tanto di ferite ne abbiamo incassate molte al nostro costato parlamentare. No, no, non basta dire questo!
Siamo in presenza di un introibo a questo provvedimento che sancisce un nuovo atto di prepotenza governativa, laddove, con decreto, ci si intesta deleghe parlamentari! La questione non è di mera, elegante contrapposizione di tesi di diritto parlamentare, ma è una questione di sostanza, anche per le materie trattate, e deve pur vedere almeno una grave confessione di responsabilità da parte della maggioranza e, particolarmente, del Governo che, con prepotenza, impone queste norme alla sua maggioranza parlamentare.
Non è possibile che si protraggano termini delle proprie deleghe o ci si intestino nuove deleghe con un provvedimento di tipo decretale e addirittura che si faccia questo in aperta violazione, in impudente, in tracotante violazione della nostra Carta costituzionale, senza stabilire alcun criterio e alcun principio per l'emanazione della norma stessa, che prevede l'autoappropriazione di deleghe. Non è possibile! Questo viola la Carta costituzionale. C'è poco da fare celebrazioni e discorsi retorici!
Effettivamente, dobbiamo ricordare che il Comitato per la legislazione, presieduto dall'egregio collega che, certamente, fa parte della maggioranza ma si sforza - gliene do atto - di compiere un lavoro istituzionalmente corretto, ci dà atto che, in particolare nei commi 2 e 3 dell'articolo di ingresso, si configurano deleghe con riguardo alle quali, in ordine alla modifica del Senato, il Comitato afferma che si tratta di norme di carattere sostanziale (cito testualmente), il cui inserimento in un disegno di legge di conversione non appare corrispondente ad un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo rappresentato da tale tipologia di legge. E precisa in seguito: in particolare i commi 2 e 3 dispongono, rispettivamente, il differimento di un termine per l'esercizio di una delega ed il conferimento di una nuova delega al Governo, peraltro, senza l'espressa indicazione di principi e criteri direttivi. Più chiaro di così?
Le parole del Comitato per la legislazione mi esimono da ulteriori argomentazioni per dire che siamo di fronte ad una norma aberrante, fortemente e consapevolmente violativa del nostro ordinamento giuridico e parlamentare, un vulnus di livello costituzionale rispetto al quale il Governo continua bellamente a riconfermare la sua volontà; lascia che le proteste si levino, che le Presidenze cantino alla luna il loro grido di dolore, ma il cane abbaia e la carovana passa!
Ma questa carovana non può passare in questo modo, perché, con queste deleghe, si prevedono misure che, anche sul piano sostanziale, sono fortemente non condivisibili.Pag. 27
Ho detto - in questa sede, almeno - che non mi sarei soffermato più di tanto su singole disposizioni, perché si cadrebbe in una ripetizione rispetto all'esame dei singoli passaggi del testo, cosa che ci riserviamo di fare adeguatamente, ma mi corre l'obbligo, penso doverosamente, di fare qualche riferimento all'affermazione - che non è proterva, ma documentata - che ho fatto, ossia che il Governo si giudica anche da come si porge, da come si presenta all'appuntamento con il rituale «mille proroghe».
Che questo Governo si presenti male a questo appuntamento è giusto che sia, in qualche modo, specificato, motivato, che non resti un'affermazione apodittica né pregiudiziale, o inutilmente polemica. Basterebbe dire che, attraverso questo provvedimento, si sono messe le mani su una materia delicatissima, per la quale l'opinione pubblica è naturalmente in fervida attesa ed in attenta osservazione, ossia quella della partecipazione alle spese ed ai costi dell'assistenza sanitaria. Si parla della famigerata vicenda dei ticket, qualcosa sulla quale il Governo di centrodestra si era contenuto con estrema delicatezza, venendo incontro alle esigenze delle regioni e garantendo ai cittadini, specie ai meno abbienti, corretti livelli di assistenza e un supporto finanziario adeguato teso almeno al mantenimento - e, in alcuni casi, al potenziamento - dei livelli delle prestazioni sanitarie, incrementando anzi la dotazione delle regioni per ciò che è stato possibile - ma comunque incrementandola - dopo il lungo confronto avvenuto in sede di Conferenza Stato-regioni. Ora, invece, vi è questo Governo, che presumeva di rappresentare soprattutto i ceti popolari, che sta mettendo le mani pesantemente sulla spesa sanitaria, nel senso di scaricarla con forza sulle spalle dei cittadini e, prevalentemente di coloro che dispongono di redditi modesti, di poche risorse.
Ebbene, questo Governo antisociale ha fatto di più: in un provvedimento che dovrebbe essere eminentemente tecnico, di contenuto pratico, come un «salva termini», un «proroga termini», si è inventato una modifica in corso d'opera della situazione per la quale fa un annuncio, demagogico, secondo cui farebbe «sparire» i 10 euro di compartecipazione sulle prescrizioni sanitarie, ed altro. Ciò, tra l'altro, non precisando l'ambito in cui «sparirebbe» la compartecipazione del cittadino. Anche in proposito non sono parole mie, ma sono le Commissioni parlamentari che, nel fornire il parere alla I Commissione ed all'Assemblea, sottolineano che vi è incertezza assoluta sulle poste rispetto alle quali si verrebbe a far «sparire» la suddetta compartecipazione del cittadino. In aggiunta a ciò, il Governo si è inventato il marchingegno per il quale dice alle regioni: beh, però voi vi dovete inventare meccanismi alternativi di reperimento delle risorse; io non metto più il ticket dei 10 euro, però sopperite voi, ad invarianza del risultato; inventatevi qualche altro marchingegno, qualche altra gabella, qualche altra forma di spremitura del contribuente, del cittadino, ma dovete raggiungere lo stesso risultato.
Se un Governo centrale è serio nel fare ciò, voi me lo dovete spiegare. Anche voi, in particolare, colleghi di sinistra, che a volte agitate, in maniera non genuina, bandiere sociali, mi dovete spiegare se un Governo serio e sociale può fare di queste cose, fare finta. Non è il gioco delle tre carte - sarebbe già qualcosa - ma è il gioco delle «due carte», perché con una carta dice che toglie il ticket di propria iniziativa e con l'altra carta rifila l'obbligo di tartassare i cittadini alle regioni ed alle altre articolazioni locali. Ciò è contenuto nel cosiddetto «mille proroghe». Come vedete, si tratta di una misura che proprio non dovrebbe rientrare, né da capo, né da piedi, in un provvedimento «mille proroghe», e che invece, vi rientra a pieno titolo. Ciò è infatti previsto dall'ultimo articolo del provvedimento, che a mio avviso è però il primo per consistenza ed incidenza sociale.
Vi sono anche alcune «perle» importanti, sulle quali, signori della maggioranza, siete rimasti sordi ad ogni oggettiva richiesta di modifica. Pensate, ad esempio, alla norma che attiene alla legge n. 266 Pag. 28del 2005, che ha stabilito le grandi concessioni di derivazione idroelettrica. Noi ci siamo attivati, come gruppo di Alleanza Nazionale, per evitare tale stortura. Ci risulta che, a causa di alcune imposizioni da parte di determinati gruppi, minoritari ma certamente significativi, della maggioranza parlamentare, la disapplicazione della proroga prevista dalla legge n. 266 del 2005 per le province di Trento e Bolzano è considerata un imperativo categorico, non tenendosi presente che si stabilisce in tal modo un regime di grave disparità di trattamento dal punto di vista territoriale. Infatti, anche le altre regioni autonome avrebbero assolutamente buon titolo per richiedere una simile norma. Naturalmente, le risorse di natura energetica non appartengono a questo o a quel comune, a questa o a quella regione, a questa o a quella porzione del territorio nazionale ma costituiscono un unico patrimonio, un patrimonio comune di una nazione che abbia una visione organica, solidaristica e giuridicamente accettabile delle risorse energetiche, specialmente con i tempi che corrono, onorevoli colleghi. Bisogna anche tenere presente il fatto che gli operatori concessionari, anche sulla base della legge n. 266 del 2005, già hanno effettuato ingenti investimenti o versato un canone per la loro attività. La morale di tutto questo è che gli stessi operatori finiscono per trasferire sulla bolletta il costo di una operazione assolutamente non cristallina, come quella cui mi sto riferendo.
Ma non basta. Ci sono, infatti, alcune norme in questo provvedimento che non possono non lasciare sconcertati nella loro pratica applicabilità. Pensate, ad esempio, all'articolo 3-quinquies relativo alla riapertura dei termini per le agevolazioni finanziarie a favore di soggetti ubicati in zone colpite da calamità naturale. Ebbene, al termine del fondamentale articolo 3-quinquies, comma 1, si afferma che i termini per accedere ai finanziamenti agevolati relativi alle numerose normative intervenute a seguito di calamità naturali sono ulteriormente prorogati fino ad esaurimento delle disponibilità finanziarie assegnate. Mi dovete spiegare se questa è una proroga di termini! Un termine è costituito da una data, da un evento certo, quanto meno, che coincida con una data, con un termine temporale. Come si può affermare che il diritto di accedere ai finanziamenti vale finché ci sono le risorse? È come affermare: «salite pure sull'autobus, finché ci sarà posto per i viaggiatori; quando non sarà più possibile farli entrare, chiuderemo le porte»! Tutto questo è grottesco, non è certo un modo di legiferare. Come si può approvare una norma di questo genere? La segnalo alla vostra attenzione, onorevoli colleghi. Sto effettuando un florilegio, una esemplificazione, poiché mi sembra doveroso; altrimenti, si parlerebbe per grandi principi, per affermazioni preconcette.
Un altro esempio su cui richiamo la vostra attenzione è quello della normativa relativa ai dirigenti scolastici, che sicuramente - tutti lo hanno denunziato - creerà contenzioso relativamente a coloro che saranno ammessi alla graduatoria sub iudice, con riserva. In sostanza, si fa un trattamento differenziale tra coloro che hanno questa posizione e coloro che non ce l'hanno. Pensate a quale confusione si innescherà!
Altro esempio ancora è quello delle insufficienti o incomplete norme relative alle popolazioni alluvionate o terremotate. Noi interverremo in merito con riguardo alle popolazioni di alcune province siciliane che sono state colpite da calamità e per le quali si prevede una norma ma non si stabilisce se saranno abbuonati o meno i debiti di imposta dei contribuenti.
In sostanza, si tratta di osservazioni, a mio avviso, tutt'altro che trascurabili. Come ripeto, saremo più precisi, nel dettaglio, quando entreremo nel merito, quando esamineremo le singole norme. Tutto questo, signor Presidente, assume un retrogusto sgradevole, sul piano istituzionale oltre che politico, nel momento in cui siamo indotti, per le date e le procedure politiche comunque scelte dalla maggioranza, a svolgere un dibattito che, neppure tanto sommessamente, è stato preannunciato come blindato. Per carità (voi affermate)! Pag. 29Dite quello che volete, anzi avete anche ragione se criticate quella norma, che certamente non funzionerà. Però, c'è poco da fare, perché, diversamente, il provvedimento dovrebbe tornare al Senato e, secondo noi, i tempi non ci sono e il provvedimento potrebbe decadere. Quindi, tra inammissibilità, molto discutibili e numerose, e iugulazione del dibattito parlamentare, vorrei sapere quali sono gli spazi residui per confrontarci.
Vero è che c'è l'antico problema che sempre riemerge in questi casi, ossia se la maggioranza parlamentare e il Governo fossero disponibili ad accettare alcune modifiche su quelle tre o quattro questioni importanti che interessano non tanto l'opposizione in quanto tale, quanto i cittadini e gli utenti dei servizi, i tempi vi sarebbero per tutti. Infatti, quando si hanno dieci giorni - fossero anche nove -, il tempo ci sarebbe, perché, quando si sono volute approvare in una settimana delle norme, non soltanto di conversione di decreti-legge, ma anche norme di legge, ciò è stato fatto. Se si accolgono le tre o quattro questioni essenziali che porta avanti l'opposizione, mostrando e dimostrando che sono nell'interesse dei cittadini, non nell'interesse politico, anche in una settimana ben si può tornare ad una doppia deliberazione nelle due Camere. Ma, al momento attuale, questa maggioranza, che non dà segni di vita, né di ravvedimento, non sembra volerlo fare.
Per queste ragioni, in sede di discussione generale mi sono permesso, a nome del gruppo Alleanza Nazionale, di esprimere un giudizio complessivamente molto negativo su gran parte dei contenuti del decreto-legge.
Ovviamente, vi è qualche norma sulla quale residua un consenso. Ciò è oggettivo, c'è poco da fare. Ci sono alcune norme che, nella loro concreta praticità, non possono sicuramente essere avversate. Questo era in prima lettura e questo è in terza lettura. Non siamo così faziosi da modificare un giudizio di questo genere. Però, queste quattro o cinque norme, suscitando una così grave perplessità o, addirittura, una forte avversione, messe a confronto con la forzatura plurima sulla procedura che è stata attuata in sede di discussione sulle linee generali non possono che determinare un giudizio fortemente negativo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boscetto. Ne ha facoltà.

GABRIELE BOSCETTO. Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, sottoscrivo le argomentazioni del collega Benedetti Valentini, soprattutto per quanto riguarda l'aspetto generale dogmatico della vicenda normativa. Abbiamo discusso questo provvedimento, cosiddetto «mille proroghe», cercando di introdurre tutte le possibili cautele. Vi è stato un provvedimento, che non abbiamo esitato a definire storico, del Presidente Bertinotti in termini di ammissibilità e inammissibilità degli emendamenti.
Con quel provvedimento veniva analizzata tutta la problematica legislativa e regolamentare in materia di decreti-legge, di emendamenti agli stessi e ai disegni di legge di conversione; veniva infine stabilito che tantissimi emendamenti dovessero essere dichiarati inammissibili per le ragioni ben evidenziate nel provvedimento del Presidente della Camera.
Si era soprattutto ricordato come l'articolo 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400, vieti l'introduzione di deleghe al Governo in un provvedimento di conversione di un decreto-legge e si era evitato che emendamenti che attribuivano deleghe al Governo entrassero a far parte del testo approvato dalla Camera.
Si era anche detto che il Presidente del Senato sarebbe stato avvisato della situazione che si verifica alla Camera, ai sensi dell'articolo 96 del nostro regolamento e dei limiti di ammissibilità delle proposte emendative, per prassi più ampi in sede senatoriale.
Vi era l'intenzione, ad inizio legislatura, di far sì che le due logiche diventassero conformi, e che non potessero essere presentate proposte emendative, esaminate con rigore nell'aula della Camera, e invece più aperte per la prassi senatoriale, violando Pag. 30quindi la funzione paritaria dei deputati e dei senatori in una situazione di bicameralismo perfetto.
La risposta del Governo a tutto questo è stata quella di introdurre due deleghe direttamente nella legge di conversione, rispettivamente al comma 2 e al comma 3 dell'articolo 1.
Vi è una delega in materia di vigili del fuoco e di regolamentazione del loro sistema, che sappiamo essere stato introdotto con una recente normativa nella passata legislatura. Viene insomma introdotta la possibilità di riprendere la materia con questa ulteriore delega.
Ora, è chiaro, è comprensibile come nessuno di noi voglia ledere i diritti del benemerito Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Notiamo però che invece che andare a mettere in essere questi provvedimenti, così fortemente lesivi dell'assetto normativo, bisognava meglio ricordarsi per tempo che c'erano questi termini da prorogare, o da mettere in essere ex novo, perché succede anche questo.
Invece, nella dimenticanza di una materia così importante e di un corpo così importante per la vita del paese, addirittura non si è provveduto quando abbiamo discusso la legge finanziaria (che non era un decreto-legge e quindi non aveva queste limitazioni), ma si è arrivati di corsa a infilare le tutele in questa legge di conversione, nel modo chiaramente illegittimo che noi sappiamo.
La stessa cosa è accaduta al comma 3, con la Convenzione di Oviedo. Su questo argomento c'era, su Italia oggi di pochi giorni fa, mi pare in prima pagina, un importante articolo dal titolo: «Eutanasia del Parlamento». Attraverso questa norma, che conferisce deleghe e proroghe di deleghe già scadute in materia di diritti così delicati (come quelli riguardanti la biomedicina, correlata ai diritti dell'uomo), di cui alla Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, nonché alle disposizioni del Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, si va (invece di sottoporre al Parlamento i prossimi provvedimenti in questa delicatissima materia) a delegare al ministro della salute, senza indirizzi, la materia medesima, con la possibilità, come sostiene Italia oggi e io lo ripeto, - lo sanno tanti di noi, lo sanno soprattutto coloro che hanno inventato questa norma e l'hanno qui collocata - di far fare al ministro della salute quello che riterrà opportuno.
La Convenzione di Oviedo deve essere interpretata con riferimento ai suoi principi, che non sono univoci. Quindi, sarebbe stato necessario un lavoro parlamentare intenso, chiaro e preciso, non una delega al Governo. Di questo si rende così bene conto la Commissione giustizia, che suggerisce comunque che il testo adottato passi al vaglio delle commissioni parlamentari. Infatti, già si è commesso l'errore di aver sottratto la materia al Parlamento: se neanche si concedesse alle commissioni parlamentari di esaminare il testo adottato dal Governo, arriveremmo a risolvere questa materia delicatissima senza l'intervento del Parlamento, se non attraverso l'approvazione di questa norma di delega, illegittima perché inserita nell'ambito di uno strumento normativo così inidoneo.
Mi domando: se dobbiamo sempre arrivare a violare questi principi fondamentali, perché non presentiamo qualche proposta di riforma costituzionale? Avanzate voi qualche proposta di legge, predisponga il Governo qualche disegno di legge (spero non un decreto-legge) per riformare la Costituzione!
Signor Presidente, ricorderà quanto abbiamo discusso sui requisiti previsti dall'articolo 77 della Costituzione. Tale norma stabilisce che, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta provvedimenti provvisori con forza di legge; dopodiché, li deve presentare alle Camere. Liberiamoci da queste pastoie! Scriviamo che, in casi di necessità, quando il Governo ritenga utile alla propria azione utilizzare uno strumento veloce, può adottare un decreto governativo. Stabiliamo ciò con una legge costituzionale di modifica dell'articolo 77 della Costituzione!
Vogliamo continuare a portarci dietro la legge 23 agosto 1988, n. 400, e segnatamente l'articolo 15 con riferimento a questa materia? Questo articolo vieta espressamente Pag. 31- come ricordavo prima - la possibilità di inserire deleghe nei decreti-legge o nei disegni di legge di conversione. Ebbene, adottiamo con legge ordinaria una norma abrogativa di questa legge ordinaria e non avremo più problemi!
Credo che, alla fine, ciò che, detto da me, può sembrare un paradosso, finirebbe per diventare una cosa seria, nel senso che ci eviterebbe l'ipocrisia di rivolgerci a questi principi normativamente sanciti, per poi violarli tutte le volte.
Ho già espresso i miei complimenti per il lavoro svolto dal Comitato per la legislazione presieduto dall'onorevole Franco Russo. Tuttavia, non c'è una volta che i pareri del Comitato per la legislazione vengano rispettati. Non si può continuare così!
Noi abbiamo presentato due emendamenti soppressivi volti ad espungere, per ragioni di forma importantissime, ma anche di merito, i commi 2 e 3 dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione. Ci auguriamo che almeno questi emendamenti vengano approvati dall'Assemblea e che si possa trasmettere al Senato il provvedimento in discussione, senza questo sconcio legislativo.
Il Senato deve capire - lo dico da ex senatore - che non si può continuare a porre in essere provvedimenti difformi, in quanto si ledono, come dicevo prima, le prerogative dei parlamentari.
Se alla Camera per fondatissime ragioni non possiamo introdurre determinati emendamenti, alcuni dei quali vengono poi introdotti al Senato e tornano alla Camera, cosa possiamo dire noi ai nostri elettori, a coloro che rappresentiamo? E ancora, cosa dobbiamo fare noi, di fronte ad un decreto-legge che era formato da talune norme, che è stato emendato da noi secondo principi categorici di coerenza, di rispetto della sostanza e tra le diverse norme, che poi ci torna dal Senato con altre materie che non rientravano in alcun modo nel testo e nel titolo originario del decreto-legge? Dobbiamo conformarci alle nuove materie che ci vengono inviate e contenere, quindi, la nostra vis emendativa rispetto a quelle materie e a quelle logiche nell'ambito di quelle materie oppure anche noi possiamo rovesciarvi molte altre materie?
Infatti, una volta aperto il «vaso di Pandora» si potrebbe pensare che ciascuno possa fare quello che vuole, che questi decreti-legge, che hanno un titolo, una logica, la necessità di rimanere stringati, di avere norme su una linea iniziale, da cui non si possa deflettere, possano diventare quegli orribili omnibus dove entra tutto e il contrario di tutto, senza la possibilità seria di fare esaminare tali norme nelle competenti sedi, di farle verificare dalle competenti Commissioni, senza riuscire a fare un lavoro legislativo serio, di talché rischiamo di approvare norme che conosciamo poco o niente, anche nella fretta che contraddistingue i lavori parlamentari sul provvedimento in esame «mille proroghe», sia nella fase precedente, sia in quella attuale qui alla Camera.
Non abbiamo il parere delle Commissioni competenti, che sono formate da specialisti dei settori: rischiamo di far uscire norme sbagliate e, probabilmente, foriere di qualsiasi tipo di conseguenza negativa. È questo il servizio che il Governo e il Parlamento, ma soprattutto quest'ultimo, devono dare ai cittadini? Io ritengo proprio di no!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor presidente, mi associo ad una larga parte delle considerazioni puntuali e precise svolte dall'onorevole Boscetto in ordine al provvedimento in esame, che arriva dopo un precedente esame svolto alla Camera e dopo una lettura al Senato che è stata foriera di diverse novità: al Senato, infatti, sono stati introdotti sei nuovi articoli, per complessivi 92 nuovi commi.
Nella giornata di ieri, signor Presidente, in quest'aula avevo chiesto tempi più lunghi per iniziare la discussione generale di un provvedimento su cui il Senato ha concluso i lavori giovedì scorso e che è stato esaminato in fretta e furia dalle Pag. 32Commissioni parlamentari permanenti della Camera nella giornata di oggi. A tale proposito, ritengo che anche questo, in termini di metodo, sia qualcosa che dovrebbe essere in qualche misura sottolineato e stigmatizzato, visto che, in un sistema di bicameralismo perfetto, noi non siamo una Camera minore rispetto a quella del Senato.
Non vedo, dunque, il motivo per cui questa Camera debba pagare il prezzo politico dell'accordo che ogni volta la maggioranza va a trovare al Senato, un accordo spesso difficoltoso, che richiede tempi molto lunghi, a discapito di una discussione che, nell'aula di Montecitorio e nelle Commissioni permanenti di questo ramo del Parlamento, signor Presidente, viene ogni volta ristretta, con tempi che non solo non consentono un approfondimento serio e definito del testo, ma addirittura portano ad un affaticamento e ad una sovrapposizione con altri iter di altre proposte e ad un esame che, per questo motivo, signor Presidente, diviene fisiologicamente superficiale e inadeguato.
Oltre a questo, signor Presidente, mi preme sottolineare il fatto che abbiamo di fronte un provvedimento che è stato già oggetto di un'ampia discussione parlamentare in ordine alle inammissibilità che la Presidenza ha dichiarato su diversi emendamenti, alcuni già approvati in sede di Commissione nel corso della precedente lettura, che sono stati giudicati estranei per materia o incongrui o inammissibili e che sono stati reintrodotti - come previsto dal presidente Violante e da molti di noi nel corso dei nostri interventi - proprio per la discrasia interpretativa e regolamentare che vige tuttora tra Camera e Senato.
Signor Presidente, a questo mi permetto di aggiungere un altro elemento, ricordando all'Assemblea che un emendamento sulla previdenza integrativa, approvato nel corso dell'esame del decreto-legge in Commissione lavoro, più volte sollecitato e addirittura oggetto di un ordine del giorno durante l'esame della legge finanziaria - accolto peraltro dal Governo -, non è stato dichiarato ammissibile in questa sede dalla Presidenza. Si tratta di un emendamento, Presidente, che io e altri colleghi - alcuni componenti della Commissione lavoro - dell'opposizione ma anche della maggioranza avevamo sottoscritto. Ebbene, all'interno di un quadro generale in cui al Senato sono stati introdotti o reintrodotti elementi cassati dalla Presidenza della Camera per inammissibilità, non è stato introdotto quell'emendamento che pure vedeva un consenso assai largo; forse perché non è stato considerato necessario, forse perché il Parlamento non viene tenuto abbastanza in considerazione dal Governo. Non sappiamo quale sia la ragione specifica ma, nei fatti, il Governo viene meno all'impegno preso con l'accoglimento dell'ordine del giorno in finanziaria.
Presidente, potremmo stare qui a lungo a discutere delle norme che sono state inserite, delle deleghe o della proroga di deleghe, su cui si è dilungato con grande puntualità il collega onorevole Gabriele Boschetto. Credo che questo argomento sia già stato sviscerato quanto basta per mettere in evidenza l'incongruità e la non rispondenza del testo alla norma che presiede al rapporto tra decretazione d'urgenza e deleghe e che rende incompatibile la compresenza, anche nei disegni di legge di conversione, di meccanismi di delega, specialmente in questo caso, di fronte a deleghe che non hanno criteri e, quindi, in una situazione che viene ancora più aggravata da una indeterminazione di fondo.
Ma, signor Presidente, vorrei richiamare l'attenzione sua e dei colleghi, che con grande interesse ascoltano questa discussione, su un elemento che è stato aggiunto in sede di esame al Senato. Si tratta di un emendamento proposto dal relatore Vitali che reputo di grande gravità. Vedete, noi comprendiamo che la maggioranza che ha vinto le elezioni per uno scarto assai risicato di 24 mila voti, per giunta contestati, sia alla ricerca del consenso. Comprendiamo che sia stata inscenata nel Paese una campagna in cui il concetto di flessibilità è stato sovrapposto a quello di precarietà per preparare un'operazione del genere, vale a dire una Pag. 33sanatoria di massa nel pubblico impiego, con la quale tutti coloro che sono inquadrati con tipologie di lavoro a tempo determinato, flessibile, LSU, vengono inseriti nel grande calderone della sanatoria pubblica, con tutti i vizi di incostituzionalità dell'operazione. Ci preme ricordarlo in questa sede, perché qualcuno deve dirlo per evitare che, poi, quando ciò eventualmente succederà, qualcuno possa dichiarare: ah, ma voi non l'avete detto. Noi diciamo anche in questa sede che, a nostro avviso, in questa operazione ci sono profili palesi di incostituzionalità. Insomma, si preparava la strada ad una grande sanatoria.
Signor Presidente, nel contesto della legge finanziaria, abbiamo visto consumarsi, a spese della fiscalità generale, un'operazione mediante la quale si assumono oltre 300 mila cosiddetti precari delle pubbliche amministrazioni, a partire dai 150 mila insegnanti abilitati, che fanno supplenze, e via dicendo, fino a tutti gli altri che non hanno superato, nella maggior parte dei casi, alcun concorso pubblico (com'è previsto, invece, dall'articolo 79 della Costituzione). In questo senso, la legge finanziaria introduceva un meccanismo di rigidità, di contenimento della spesa e di oculatezza finanziaria, stabilendo che gli enti locali i quali non avessero ottemperato agli obblighi del patto di stabilità interno non avrebbero potuto procedere ad assunzioni di personale.
Ebbene, signor Presidente, nel corso dell'esame presso il Senato del cosiddetto «mille proroghe», a due mesi dall'approvazione della legge finanziaria e, di conseguenza, con l'occhio di Bruxelles evidentemente più distratto, in quanto volto verso altri elementi ed altre dinamiche (ad esempio, verso il fattore pensioni), verso altri fronti di carattere sociale e finanziario, il relatore Vitali ha presentato un emendamento all'articolo 6 che, sostanzialmente, fa saltare il vincolo del rispetto del patto di stabilità e consente a tutti i comuni, indiscriminatamente, di assumere le predette tipologie di lavoratori. Noi crediamo che il fatto sia assai grave. Peraltro, tra i rilievi formulati dal Comitato per la legislazione vi è, giustamente, anche quello secondo il quale si poteva sopprimere esplicitamente il comma 561 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007. In altre parole, anziché girarci intorno, prendendo di petto la norma, per così dire, si poteva affermare chiaramente: signori, ci siamo sbagliati; in quel momento, ci serviva dare la sensazione di un rigore finanziario che, ora, non vogliamo mantenere; quindi, buona assunzione a tutti! Cominciamo con l'assumere i portaborse dei sindaci, dei presidenti di provincia e degli assessori regionali, facciamo una grande sanatoria e mettiamo tutti dentro, in modo da riuscire a recuperare, forse, un po' di consenso! Si possono immaginare i problemi di natura finanziaria, gestionale e di legittimità costituzionale che un simile operato comporta!
Quindi, è stata inserita in maniera subdola nel «mille proroghe» una novità che, in questo ramo del Parlamento, sarebbe stata «cassata» per estraneità di materia. La maggioranza ha introdotto un meccanismo che, oltre ad essere contrario al buonsenso, trasforma gli enti locali, i comuni e le province, non in erogatori di servizi, ma in erogatori di stipendi pubblici e che pone ancora una volta al centro del dibattito la questione della flessibilità del precariato nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e dei privati.
Signor Presidente, poiché credo che questo atteggiamento sia assai grave, rivolgo un appello ai volenterosi, alle forze politiche di ispirazione riformista ed a quanti credono che il rigore finanziario sia non una follia del legislatore, ma una necessità per non imporre ai cittadini e, quindi, alla fiscalità generale, oneri che vanno al di là di ciò che è giustamente e naturalmente lecito e consentito all'interno di un rapporto sociale equo tra cittadino e fisco: mettiamo un argine a siffatta tracimazione della spesa pubblica, a simili norme!
In questa sede, abbiamo l'occasione di arginare il «buco», la voragine che si aprirà nei conti pubblici. Sappiamo benissimo che gli enti locali sono quasi totalmente Pag. 34fuori controllo; quindi, cerchiamo, con buona volontà - è un augurio in vista della discussione nel merito -, di arginare un problema che, signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, reputo di importanza fondamentale. Dobbiamo farlo se vogliamo agire nell'interesse non soltanto del Paese e dei cittadini che fruiscono dei servizi degli enti locali, ma anche di quei lavoratori che si trovano effettivamente - essi sì - in condizioni di precarietà: queste situazioni possono e debbono in qualche modo essere affrontate dal legislatore, ma non tutte, non in maniera indiscriminata e non a scapito della qualità della pubblica amministrazione e del sistema paese. Grazie.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giovanelli. Ne ha facoltà.

ORIANO GIOVANELLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, non condivido i toni apocalittici che sono venuti dai banchi dell'opposizione e dagli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto. Ritengo che ci troviamo di fronte ad un provvedimento che, per sua natura, è ibrido e, quindi, difficilmente riconducibile ad una visione che si rifà ad un atteggiamento purista rispetto alla norma, e ciò non perché esso sia sbagliato, ma perché mette insieme tante cose diverse. Credo che sia diritto della maggioranza pensare di poter concludere l'esame di questo decreto-legge prima della sua naturale scadenza con l'approvazione di un provvedimento di conversione, dopo che lo stesso è stato esaminato approfonditamente da questa Camera, in prima lettura, e dopo che il Senato ne ha ulteriormente approfondito l'esame, apportando anche modifiche importanti e significative. Proprio in nome di quel purismo che in tale sede è stato, in qualche modo, caldeggiato, la politica consiglierebbe, a mio avviso, di considerare che un provvedimento di questo genere meno rimane «aperto» e meglio è, proprio perché, più occupa lo spazio del dibattito parlamentare, più è forte la tentazione di aggiungervi parti. Da questo punto di vista, ritengo non solo che sia diritto della maggioranza chiudere l'iter di questo decreto nei tempi previsti, ma che ciò sia anche e soprattutto utile.
Per il resto, è accaduto quello che era prevedibile. Il Senato, nella sua autonomia, ha apportato al testo del decreto modifiche significative, le quali fanno anche riferimento ad emendamenti che quest'Assemblea si era vista nell'impossibilità di discutere ed approfondire, perché dichiarati inammissibili dalla Presidenza. Questo è un problema che è stato giustamente sollevato dal presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Violante, con una lettera al Presidente della Camera Bertinotti, e che credo non possa essere in alcun modo affrontato con la presunta superiorità del rigore di questa Camera rispetto all'altro ramo del Parlamento, che è assolutamente autonomo nelle sue valutazioni e nella visione dell'ammissibilità degli emendamenti. Sarebbe un atteggiamento sbagliato porsi in questa ottica e, invece, proprio un atteggiamento di questo tipo ho letto negli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto. Sarebbe, invece, molto più importante dar seguito ai primi contatti che sono stati avviati con la lettera dell'onorevole Violante e cercare di affinare l'atteggiamento dei due rami del Parlamento, in modo tale che sia progressivamente il meno dissimile possibile. In questo senso, però, ritengo sia utile magari che anche la nostra Presidenza non assuma un atteggiamento manifesto per affermare una ipotetica purezza, quando sa che l'altro ramo del Parlamento segue un altro tipo di criterio nel vagliare l'ammissibilità degli emendamenti. Non serve allontanare punti di vista; serve, invece, tra i due rami del Parlamento, un lavoro paziente per avvicinarli, finché avremo un bicameralismo perfetto, proprio per non trovarci nella condizione di sentirci un po' figli di un Dio minore, dato che le stesse proposte, che abbiamo presentato alla Camera, non si sono potute discutere e votare, mentre, nell'altro ramo del Parlamento, sono state presentate, discusse e, addirittura, approvate.Pag. 35
Detto questo, non credo neanche, come mi sembra abbia fatto invece palesare l'onorevole Boscetto nel suo intervento, che noi ci dobbiamo risentire del fatto che cose che avremmo potuto discutere e approvare noi sono state approvate dal Senato. Io ringrazio invece i colleghi del Senato per averci consentito di inserire nel decreto disposizioni che risultano utili al paese, che risultano in qualche modo corrispondenti alle aspettative di milioni di cittadini nel nostro paese. Penso sia un fatto positivo che noi dobbiamo sottolineare e in qualche modo, concludendo l'iter di questo decreto, sancire con il nostro voto. Mi riferisco ad aspetti rilevanti approvati dal Senato che io voglio sottolineare per la loro positività.
Tutti sapevano che era in animo del Governo, anche dopo un confronto con la Conferenza dei presidenti delle regioni, rivedere le norme sui ticket sanitari relativamente alle visite specialistiche, correggere una previsione della finanziaria che aveva suscitato grande allarme e preoccupazione fra i cittadini. Era diritto del Governo provare in qualche modo a correggere l'impostazione data nella legge finanziaria; il Senato ha approvato un emendamento che va in questa direzione ed io plaudo a questo provvedimento. Non vi è niente di cui stupirsi se questo provvedimento mantiene i saldi finanziari che comunque le regioni sono tenute a rispettare relativamente alla spesa sanitaria. Non è un gioco a scaricarsi le responsabilità fra Governo e regioni: è mettere nelle mani delle regioni, che hanno la primaria responsabilità in materia di organizzazione della sanità, la possibilità di evitare l'accensione di questi ticket trovando altre soluzioni, diverse da quella di pesare sui cittadini con una compartecipazione alle spese sulle visite specialistiche che finiva paradossalmente per privilegiare i laboratori di analisi private rispetto alle strutture ospedaliere.
Mi riferisco agli emendamenti che sono stati approvati, alcuni dei quali, con accenti diversi dal mio, sono stati ricordati da chi mi ha immediatamente preceduto. Essi sono relativi all'eliminazione delle sanzioni per lo sforamento del patto di stabilità relativamente al costo del personale e raccolgono - lo ribadisco - una volontà politica espressa dalla Commissione bilancio del Senato nel momento della lettura della legge finanziaria, che non era stata tradotta correttamente nel maxiemendamento sul quale è stata posta la fiducia. Trovo quindi giusto che si torni alla volontà politica parlamentare riportando, per così dire, le bocce al punto in cui il Parlamento le aveva collocate. Credo sia molto rilevante, proprio nella stagione che stiamo vivendo riguardo alla definizione dei bilanci degli enti locali in un contesto non facile, il fatto che si sia chiarito che il costo del personale dei servizi organizzati in istituzioni non rientra nel patto di stabilità, eliminando, quindi, una latente conflittualità con sezioni regionali della Corte dei conti che davano opinioni difformi. Bisogna stabilire un punto di chiarezza per evitare un inutile contenzioso, e questa norma, secondo me, lo fa giustamente.
Un collega dell'opposizione, nel corso della discussione sulle linee generali svoltasi quando abbiamo esaminato questo decreto-legge in prima lettura, aveva già sollevato la questione: come non dire, dunque, che sono state fatte salve le risorse per gli uffici decentrati dello Stato nelle istituende nuove province? A tutti noi è sembrato incongruente - magari sbagliando, infatti io non ho condiviso questa posizione - che nel momento in cui il Parlamento si era espresso per istituire nuove province, noi procedessimo a bloccare le risorse per istituire uffici decentrati dello Stato.
La questione era stata giustamente sollevata in quest'aula, mentre al Senato è stato posto successivamente un rimedio. Credo che ciò sia un fatto positivo e corrisponda alla volontà parlamentare. Ecco perché non condivido chi vuole accentuare la tesi di una sorta di violazione del primato del Parlamento rispetto all'iter di questo decreto. Al contrario, a me sembra che lo sforzo che il Parlamento ha fatto per incidere profondamente su questo decreto, facendosi carico di esigenze Pag. 36che corrispondono ad aspettative importanti che vi sono nel paese, dimostri che il Parlamento ha svolto fino in fondo il suo ruolo ed è stato messo in condizione di svolgerlo.
Certo, anche noi - e concludo - abbiamo parecchie perplessità relativamente alla scelta di inserire in un provvedimento di conversione di un decreto-legge la previsione di nuove deleghe e la proroga di quelle in atto, ancorché nel merito ci si riferisca a questioni assolutamente condivisibili. In questo senso, i tempi ristretti non ci consentono di modificare il decreto per una nuova lettura al Senato, ma rimandiamo alla responsabilità del Governo la volontà di astenersi dal ricorso a quelle deleghe inopportunamente inserite nel citato decreto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bono. Ne ha facoltà.

NICOLA BONO. Signor Presidente, ho chiesto di intervenire in discussione generale del decreto «milleproroghe», in quanto il Senato ha ritenuto di introdurre all'interno di esso una norma che io reputo inopportuna, oltreché gravemente lesiva degli interessi di decine di migliaia di contribuenti delle province di Siracusa, Ragusa e Catania, interessati alla corretta gestione della riscossione dei tributi sospesi in conseguenza del sisma della 1990, che colpì il territorio della Sicilia sudorientale.
Il Senato ha introdotto in maniera inopportuna un comma all'interno dell'Atto Camera 2114 ed esattamente il secondo comma dell'artico 3-quater, laddove vengono riaperti i termini per il condono dei tributi sospesi, che a suo tempo era stato disposto sulla base dell'articolo 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002. Con tale disposizione veniva stabilito che i contribuenti delle province di Siracusa, Ragusa e Catania, interessati agli eventi sismici del 13-16 dicembre del 1990 avrebbero potuto chiudere tutte le pendenze tributarie con il pagamento di un'imposta pari al 10 per cento di quanto dovuto nell'arco dei tre anni. Quel condono, che aveva affrontato in maniera positiva la necessità di chiudere una pendenza che aveva visto diversi contribuenti delle tre province nella difficoltà di poter affrontare i pagamenti, si poteva ritenere ormai definitivamente concluso. Gli uffici tributari successivamente avrebbero dovuto effettuare alcune verifiche su quei contribuenti, che si erano avvalsi del condono rispetto a quelli che non se ne erano avvalsi e che in precedenza non avevano neanche pagato il debito tributario, in modo da riscuotere i relativi importi con le dovute sanzioni e gli interessi previsti dalla legge.
Il fatto è che gli uffici non hanno emesso il ruolo esattoriale nei termini di legge, ma lo hanno fatto con qualche anno di ritardo ed esattamente nel luglio 2006.
Tuttavia, l'aspetto più grave della questione consiste nel fatto che nel luglio 2006 gli uffici tributari della Sicilia sudorientale hanno emesso ruoli esattoriali nei confronti di tutti i contribuenti residenti nelle tre province, dichiarandolo anche ufficialmente. Infatti, hanno affermato di non essere in grado di sapere chi aveva pagato e chi non lo aveva fatto.
Il viceministro Visco tante volte sui mass media ci ha deliziati con le sue teorie relative al maggior gettito tributario derivante dalla preoccupazione degli evasori dovuta al suo arrivo, grazie al quale sarebbero stati finalmente risolti i problemi della caccia all'evasione. Ebbene, al viceministro vorrei umilmente far rilevare che è piuttosto difficile che questi uffici, incapaci di accertare chi abbia pagato e chi non lo abbia fatto, preoccupino gli evasori. Non si è stato in grado di accertare quali siano i contribuenti che hanno presentato le dichiarazione dei redditi, ma che non hanno versato gli importi. Gli uffici hanno dichiarato di non essere in grado di sapere chi fosse a posto, avendo adempiuto all'obbligazione tributaria con il versamento di quanto dovuto, e chi non lo fosse.
A questo punto si dovrebbe dire: in dubio pro reo. Ed invece, nel dubbio, si è diventati tutti rei e tutti sospettati. Nel dubbio, sono stati emessi 165 mila ruoli esattoriali tra le province di Siracusa, Ragusa e Catania, in cui sono stati inseriti Pag. 37tutti i cittadini, che sono stati così messi nella condizione di dover dimostrare se aveva adempiuto o meno al proprio dovere. L'attribuzione al contribuente dell'onere della prova, con l'inversione del dovere di accertamento che dovrebbe essere a carico degli uffici (con il conseguente stravolgimento di un principio che dovrebbe operare a discarico del contribuente, costretto invece a dover dimostrare di essere stato corretto) è già di per sé un fatto grave, che viola le più elementari regole del diritto in generale, ed in particolare quelle delle norme tributarie. Essa viola i principi sanciti nello statuto dal contribuente ed anche le più elementari norme della Costituzione.
Tuttavia, l'aspetto ancora più grave che il Parlamento deve conoscere prima di esprimere un giudizio definitivo su questa norma è il fatto che si tratta di pagamenti di imposte, che risalgono agli anni 1990, 1991 e 1992. Quindi, si verte su pagamenti relativi a 14 anni da oggi. Nel diritto tributario non esiste alcuna norma che obblighi il contribuente a versare un solo centesimo di euro a distanza di oltre cinque anni dalla data di presentazione della dichiarazione. Quindi, non soltanto siamo in presenza di una violenza perpetrata nei confronti dei cittadini, perché si è invertito l'onere della prova e tutti i cittadini sono stati considerati evasori tanto da essere stati costretti a correre ai ripari e dimostrare di aver adempiuto alle obbligazioni, ma tale obbligo è stato imposto a distanza di oltre dieci anni dai termini utili a che gli uffici potessero esercitare tale diritto.
Fino a prova contraria (ma è duro dimostrare questo assunto), siamo ancora in uno Stato di diritto e non ripiombati in un sistema medievale di gestione feudale e di «assolutismo assoluto» da parte del signore; non siamo diventati sudditi, ma siamo ancora cittadini. Pertanto, credo che il Parlamento avrebbe dovuto compiere una semplice azione, cioè stabilire che questi ruoli siano annullati, essendo stati emessi illegittimamente.
Essi, infatti, hanno investito una serie enorme di persone perbene, le quali avevano adempiuto ai loro doveri, ma che sono state costrette a correre ai ripari ed a dimostrare qualcosa cui non erano affatto tenute. Pertanto, occorre agire in tal senso.
Per la verità, la Camera dei deputati è stata coerente circa tale aspetto. Infatti, in data 3 agosto 2006, la Commissione finanze della Camera, su iniziativa del sottoscritto, aveva approvato una risoluzione con la quale sospendeva i ruoli esattoriali emessi a luglio relativamente ai tributi sospesi a causa del sisma e dava agli uffici mandato di verificare la correttezza dei ruoli stessi.
In seguito all'approvazione di tale risoluzione, la direzione generale dell'Agenzia delle entrate aveva diramato, nell'autunno 2006, una direttiva in base alla quale i dieci uffici distrettuali delle entrate delle province di Siracusa, Ragusa e Catania avevano effettivamente emesso dei provvedimenti di sospensione dei ruoli. Noi ci troviamo ancora in pendenza di sospensione, poiché essa ha cominciato ad operare il 9 ottobre e scadrebbe il 7 marzo. In questi cinque mesi sono state congelate le procedure e non si è dato seguito ad ulteriori iniziative nei confronti dei contribuenti.
Ricordo che si è svolto un primo incontro con il direttore generale dell'Agenzia delle entrate, il dottor Romano. Nell'ambito di tale incontro, abbiamo verificato che l'accertamento da parte degli uffici ha potuto constatare che ben il 50 per cento delle posizioni era iscritto illegittimamente; che, tuttavia, la revisione era ancora in una fase avanzata e che, quindi, non si era in grado di avere una visione definitiva.
Tutto ad un tratto - come un fulmine a ciel sereno! - mentre era in corso la verifica da parte degli uffici, un comma aggiunto al provvedimento durante l'esame da parte del Senato pone un problema enorme. Sto parlando, per chi si fosse distratto, del secondo comma dell'articolo 3-quater del decreto-legge in esame. Tale disposizione, infatti, pone il problema di riaprire i termini del condono del 2002, facendo pagare non più il 10 per cento, ma Pag. 38elevando la quota da pagare per sanare le pendenze al 30 per cento. In tal modo, quindi, si triplicherebbe il costo finanziario che dovrebbe essere sostenuto dai contribuenti.
Ciò che è più grave, tuttavia, è che con questa procedura non vengono affatto esclusi, ma sono inclusi «di forza» i contribuenti che avevano pagato per intero. Tali cittadini, anziché vedersi sgravare la posizione o annullare i ruoli, secondo la norma in oggetto sarebbero costretti a versare un ulteriore 30 per cento in più per scongiurare l'avvio del contenzioso!
Questa non è una norma tributaria, ma vessatoria! Si tratta, infatti, di una sorta di «pizzo», che dovrebbe essere pagato all'erario per chiudere un contenzioso di cui i cittadini non portano alcuna responsabilità! Vorrei osservare che molti di essi non sono in grado di dimostrare di aver effettuato i pagamenti perché, a 16 anni di distanza, gli istituti di credito che hanno eseguito a suo tempo tali versamenti chiedono migliaia di euro per effettuare una ricerca storica e recuperare i dati dell'avvenuto pagamento!
Allora, non si può accettare di chiudere una vicenda in questo modo, perché ciò è sommamente ingiusto e rappresenta una sorta di prevaricazione! In tal modo, infatti, si considerano i cittadini come se fossero soggetti assolutamente privi di tutele, di diritti e di difese nei confronti di uno Stato che non può arrogantemente ritenersi «di diritto», quando consente che si consumino fatti di tale somma gravità! A tale riguardo, dunque, ho presentato due proposte emendative.
Un emendamento tende a riportare al 10 per cento l'importo da pagare, parificandolo a quello operante nel 2002. Infatti, non esiste ragione al mondo per cui, chi eventualmente decidesse, non avendo pagato a suo tempo, di chiudere questa pendenza, debba pagare il triplo di quanto avrebbe pagato cinque anni fa.
L'aspetto più grave, che sottolineo maggiormente, è quello che attiene i cittadini onesti, corretti, che, pur avendo adempiuto fino in fondo ai loro obblighi, senza utilizzare la norma di sospensione, avendo pagato sin dall'inizio e fino in fondo ciò che dovevano, si troverebbero ora costretti a pagare il 30 o il 10 per cento, a seconda dell'approvazione o meno dell'emendamento riduttivo. Ebbene, questi cittadini non devono pagare neanche un centesimo, perché non hanno nessun obbligo in tal senso e nessuno dovere di dimostrare di avere pagato: non possono insomma essere sottoposti ad alcuna costrizione, hanno solo il diritto di essere lasciati in pace e di vedere riconosciuta la loro correttezza.
Il secondo emendamento si rivolge proprio a questi cittadini, perché se si approva il principio della riapertura dei termini del condono - al 10 o al 30 per cento, così come si è deciso al Senato: questo aspetto è indifferente ai fini del pagamento - devono essere annullati i ruoli.
I ruoli vanno annullati in toto e vanno rimessi in termini coloro i quali lo desiderino ai fini del pagamento del condono: gli uffici, se sono in grado di farlo, devono verificare i pagamenti ed emettere nuovi ruoli solo nei confronti degli evasori, dei contribuenti morosi, di chi insomma non abbia adempiuto ai propri obblighi tributari, non nei confronti di coloro i quali sono a posto con la propria coscienza e con i propri doveri.
Ritengo che su questa questione anche la maggioranza debba riflettere attentamente e seriamente, poiché si sta parlando di principi generali di rispetto nei confronti del cittadino.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 17,35)

NICOLA BONO. Parliamo di principi che riguardano l'essenza stessa dello stato di diritto e del ruolo che ogni cittadino può e deve svolgere nell'ambito della società e del rapporto con la pubblica amministrazione.
La pubblica amministrazione non può mai essere messa nelle condizioni di esercitare una prevaricazione così violenta e ingiustificata nei confronti di una platea di soggetti assolutamente inermi ed innocenti.Pag. 39
Gli errori e la cecità degli uffici, che non sono in grado di esercitare dei controlli, non possono rappresentare una scusante per coinvolgere tutti quanti in un meccanismo perverso di sospetti e di valutazioni pregiudiziali nei confronti di chi si ritiene essere un evasore a tutti gli effetti.
È un fatto di giustizia sopprimere la parte che riguarda il 30 per cento, riducendo l'importo da far pagare al 10 per cento e credo rappresenti una somma iniziativa l'eliminazione di ogni provvedimento di coercizione, di riscossione, compresi i ruoli esattoriali emessi nel luglio del 2006 nei confronti di tutti i contribuenti delle province di Siracusa, Ragusa e Catania.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ronconi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO RONCONI. Signor Presidente, questo decreto è stato significativamente emendato dal Senato, anche se bisogna riconoscere che è stata rispettata in modo più puntuale la natura della proroga dei termini.
Tuttavia, questo non ci esime dal rilevare la vicenda politica che, a nostro avviso, rimane aperta e che il presidente Violante, nel passaggio alla Camera, ha voluto evidenziare. Anzi, la disponibilità ad emendare il testo, registrata al Senato, impone a noi deputati un impegno particolare per affrontare il problema politico che il presidente Violante dimostrò nel passaggio alla Camera di questo provvedimento.
Tra le proposte emendative presentate, alcune ci lasciano assolutamente perplessi e non ci trovano d'accordo. Mi riferisco, in modo particolare, a quella riguardante l'istituzione di una specie di seconda fascia nel reclutamento dei dirigenti scolastici. In questa specie di seconda fascia sono inseriti gli ammessi con riserva, con il risultato finale che il corso-concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici finirà per premiare non chi avrà più merito, ma chi avrà situazioni giuridiche più vantaggiose rispetto ad altri concorrenti. Evidentemente, si rispolvera un vizio antico, dove nei concorsi pubblici, troppo spesso, non si premiano i meritevoli, ma chi ha punteggi, anche di natura giuridica, superiori agli altri concorrenti.
Anch'io non posso non sottolineare la singolarità del premio che viene concesso a quegli enti locali mal gestiti da un punto di vista finanziario: mi riferisco alla deroga al patto di stabilità. Qui, evidentemente, c'è un grave e preoccupante allentamento di attenzione nella gestione della finanza locale, che è il tasto più debole di tutta la vicenda economico-finanziaria del nostro Paese.
Ho il sospetto che questo emendamento sia il diretto frutto proibito di una legge finanziaria in cui, grazie ad una fiscalità esasperata, sono stati rastrellati nuovi mezzi finanziari ed che oggi si inizi a distribuire questi mezzi finanziari, rastrellati appunto con la nuova fiscalità, in un modo assolutamente clientelare. Questo è il primo esempio di un metodo di Governo che la sinistra vuole inaugurare nel nostro Paese.
Ho sentito parlare positivamente (e mi accodo al coro, per carità) dell'emendamento che rende non più obbligatorio il ticket sulla specialistica ambulatoriale. Noi, come UDC, abbiamo condotto una battaglia sia alla Camera sia al Senato su questo argomento, perché riteniamo i ticket iniqui, soprattutto quando non risolvono il problema numero uno della sanità italiana, ospedaliera e non, ovvero quello delle liste di attesa.
Tuttavia, risolta in questo modo, la questione del ticket determina un altro problema altrettanto grave. Infatti, si offre alle regioni la possibilità di gestire in modo difforme l'organizzazione sanitaria, con la diretta conseguenza che, in alcune regioni, i cittadini continueranno a pagare il ticket sulla specialistica ambulatoriale, mentre in altre regioni, dove si decide in modo diverso e contrario, gli stessi cittadini italiani avranno una facilitazione sotto questo profilo. Si crea quindi una difformità regione per regione, a seconda Pag. 40delle regioni che riterranno opportuno abolire o mantenere il ticket sulla specialistica ambulatoriale.
Infine, abbiamo una novità negativa che già altri hanno rilevato (ed io non possono non sottolineare): per la prima volta, si rompe una consuetudine parlamentare che si perpetuava nelle precedenti legislature (nella passata legislatura e in quella precedente), vale a dire quella di non concedere deleghe attraverso decreti.
Faccio riferimento, in modo particolare, alla delega a decretare sulla Convenzione di Oviedo. In proposito, vi sono due aspetti sui quali esprimiamo una forte critica. Il primo aspetto l'ho già menzionato: si rompe una consuetudine parlamentare, ed è sempre un fatto negativo andare al di là della prassi, perché si aprono sempre scenari nuovi e non si sa dove tali scenari ci condurranno. Il secondo aspetto è che si dà una delega al ministro della salute su un testo che è «acqua fresca», perché si tratta di una convenzione rispetto alla quale si è dovuto trovare un accordo tra molti paesi che hanno tradizioni, culture ed impegni diversi. Si dà la delega al ministro della salute a decretare sulla Convenzione di Oviedo su materie di natura etica delicatissime e rispetto alle quali il Parlamento italiano ha il dovere, ma soprattutto ha il diritto, di discutere a fondo, senza alcuna limitazione. Dirò di più: soprattutto il popolo italiano ha il diritto di poter discutere e confrontarsi su questi temi etici.
Spero che il ministro della salute non debba, e non voglia, utilizzare questa delega su materie delicate quali l'eutanasia o gli embrioni. Se dovesse verificarsi il contrario, evidentemente l'opposizione dell'UDC sarebbe durissima, non soltanto in Parlamento, ma in tutto il Paese (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Adenti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, torna dunque dal Senato questo provvedimento, ossia la conversione in legge del decreto-legge n. 300 del 2006, dopo un passaggio molto sofferto alla Camera. Vorrei richiamare alcuni punti dell'intervento svolto in tale occasione, in cui sottolineavamo, come Popolari-Udeur, le nostre preoccupazioni ed esprimevamo anche alcune perplessità, da un punto di vista regolamentare ed anche giuridico, in ordine a come è stato gestito l'iter di questo provvedimento, pur in un quadro di correttezza, sia da parte del Presidente della Camera, che aveva dichiarato un gran numero di inammissibilità, sia da parte della I Commissione che, come è noto, aveva avuto pochissimo tempo per valutare il provvedimento. Avevo anche sottolineato, come molti altri colleghi, che la diversità dei criteri seguiti dalla Camera e dal Senato circa l'ammissibilità degli emendamenti comporta gravi distorsioni delle funzioni assegnate dalla Costituzione ai deputati e ai senatori. Inoltre, avevamo chiesto di avviare al più presto una procedura volta all'omogeneizzazione dei regolamenti delle due Camere. Il provvedimento giunto dal Senato con alcune modifiche, anche molto significative, alcune delle quali anche importanti e condivisibili, pone ancor di più l'esigenza di un maggior coordinamento tra i due rami del Parlamento sotto il profilo regolamentare.
Un altro aspetto che mi pare giusto rilevare è il nostro auspicio, al di là del fatto che si tratti di proroghe necessarie ed urgenti, che su singoli testi normativi inclusi in questo provvedimento vi sia la possibilità di discutere presto in Parlamento in modo più ampio, condiviso e con maggior tempo a disposizione.
Per quanto riguarda gli emendamenti approvati dal Senato, ve ne sono alcuni molto significativi. Uno di essi, che era stato presentato dal nostro gruppo, il gruppo dei Popolari-Udeur, ed era stato dichiarato inammissibile, riguarda i crediti di imposta per investimenti nelle aree svantaggiate. Ci sembra un emendamento molto significativo ed importante perché consente di prorogare il termine per il completamento degli investimenti per i quali era stato riconosciuto il credito di Pag. 41imposta ai sensi della legge finanziaria 2001. In base alla norma così modificata, quindi, per tutti i contribuenti che hanno ottenuto il riconoscimento del diritto al credito d'imposta negli anni 2005 e 2006 sono consentiti due anni di proroga, e questo ci sembra un contributo importante per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Un altro emendamento molto significativo - da molti era stato sottolineato il vuoto normativo al riguardo - riguarda la proroga dei termini per gli adempimenti amministrativi concernenti le province di Monza e della Brianza, di Fermo e di Barletta-Andria-Trani. Anticipare di due mesi il termine oltre il quale dovranno costituirsi gli uffici periferici dello Stato nelle tre nuove province e, soprattutto, mantenere in bilancio le risorse per l'istituzione di detti uffici costituiscono - ne sono convinto passaggi molto importanti per dare credibilità all'istituzione delle medesime province.
Pertanto, nel preannunciare fin da ora il voto favorevole del gruppo dei Popolari-Udeur su questo provvedimento, vorrei anche dichiarare che condividiamo la relazione svolta dall'onorevole Amici.
Preannuncio, quindi, il voto favorevole del gruppo dei Popolari-Udeur, che interverrà nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stucchi. Ne ha facoltà.

GIACOMO STUCCHI. Signor Presidente, credo che intervenire su questo provvedimento sia doveroso anche perché, dopo il passaggio al Senato, ci troviamo di fronte ad un testo completamente nuovo o, perlomeno, innovato per la sua maggior parte ed innovato in termini negativi, purtroppo. I colleghi Boscetto, Benedetti Valentini e molti altri già hanno illustrato le problematiche connesse ad alcuni emendamenti approvati dal Senato, in particolare riferendosi alle deleghe. Tra l'altro, il presidente della I Commissione, Violante, in una lettera al Presidente Bertinotti ha sottolineato ed evidenziato - il suo intervento è stato unanimemente apprezzato - la gravità di un comportamento diverso o, in altri termini, la gravità di una situazione in cui, mentre il regolamento della Camera prevede, per i deputati, determinate possibilità di intervento e determinate prerogative, il regolamento del Senato prevede, per i senatori, una più ampia possibilità di intervento, quando il testo giunge alla loro attenzione. Tutto questo potrebbe sembrare una sorta di contrapposizione, di gelosia, tra Camera e Senato, ma così non è. Ritengo che quando si tratta di prevedere nuove deleghe - come nel caso dell'articolo 1, commi 2 e 3, del disegno di legge di conversione - il comportamento corretto, l'iter corretto sia quello previsto dal regolamento della Camera, un iter più rigoroso e più rispettoso delle prerogative del Parlamento. Sappiamo tutti, infatti, che con lo strumento della delega il Parlamento nella sostanza è svuotato di alcune sue prerogative fondamentali, soprattutto quando si tratta di discutere su tematiche importanti, come quella della Convenzione di Oviedo, che attengono a scelte di non poco conto e afferenti, se vogliamo, alla coscienza personale. In ogni caso, sono questioni che non possono essere gestite in questo modo.
Ci troviamo, insomma, di fronte ad un testo che è stato molto modificato dal Senato. E il problema non riguarda soltanto questo Governo, perché sia io sia il collega Caparini siamo in quest'aula da undici anni e abbiamo visto tanti governi, e abbiamo riscontrato che questa prassi è abituale all'interno delle aule parlamentari. Come al solito, quando si tratta di proroghe, ad un provvedimento adottato con una determinata finalità, successivamente, si aggiunge di tutto, e qualsiasi tipo di iniziativa sia volta a soddisfare un desiderio, piuttosto che un'esigenza, viene ritenuta legittima, in una sede diversa da questa, e viene inserita nel provvedimento.
Ciò sicuramente non consente di razionalizzare il nostro sistema normativo, né di avere chiarezza nella stessa gestione delle nostre leggi. Infatti, diventa particolarmente difficile recuperare determinate disposizioni all'interno di una legge che reca un titolo completamente diverso rispetto all'argomento che è contenuto in Pag. 42uno specifico articolo o in uno specifico comma. Le singole disposizioni interessano le questioni più varie: penso alle disposizioni legate al CONI, piuttosto che alle questioni cui faceva riferimento precedentemente il collega Bono, o a tante altre questioni, come i ticket sanitari.
Anche quest'ultima è una decisione connessa alla gestione della finanziaria. Ieri, intervenendo in quest'aula su un altro provvedimento di conversione di un decreto-legge, abbiamo evidenziato come ci si trovasse a discutere perché vi era stata una gestione dilettantistica ed approssimativa della finanziaria, che aveva causato, con l'approvazione del maxiemendamento presentato dal Governo al Senato, una confusione talmente ampia da determinare l'inserimento di norme che, secondo il Governo, non ci dovevano essere, ma che qualcuno aveva inserito.
Allo stesso modo, oggi ci troviamo a dover dare delle indicazioni approvando delle norme che sistemano alcune questioni che non sono state gestite bene e modificando la previsione di termini temporali di riferimento che si sono rivelati sbagliati.
Da questo punto di vista, però, sarebbe opportuno fare un ragionamento: non diamo un buon esempio approvando decreti-legge di proroga dei termini, non solo per la sostanza del provvedimento, ma anche per un motivo di etica politica o, più semplicemente, di educazione civica. Quando approviamo leggi che stabiliscono dei termini, lasciando intendere ai cittadini, agli amministratori e alle persone interessate che, comunque, ci sarà un provvedimento di proroga dei termini, perché si dovrà prendere atto dell'inerzia da parte delle amministrazioni pubbliche, piuttosto che dei soggetti cui quel provvedimento è indirizzato, e, quindi, il Parlamento sarà costretto ad approvare una proroga per evitare di mettere tutti fuori legge, non diamo un buon esempio.
Uno Stato serio adotta delle leggi e stabilisce dei termini perentori, non ordinatori, che devono essere rispettati, e delle sanzioni, che devono essere applicate. Altrimenti, non serve nemmeno tornare al Manzoni o all'azzeccagarbugli, che, una volta, trovava all'interno delle leggi l'elemento che serviva per bypassare la sanzione prevista dalla legge. Si dice: fatta la legge, trovato l'inganno. In questo caso, non serve nemmeno quello: fatta la legge, trovata la proroga; fatta la legge, trovata la deroga!
Lo ripeto: ciò non vale solo per il Governo in carica e per questo provvedimento, ma per tutti i provvedimenti di questo tipo, che sono stati adottati in passato e che, probabilmente, saranno adottati anche nei prossimi anni.
Ritengo che tutti noi dobbiamo riflettere su questo fatto e sulla serietà della nostra azione e del nostro ruolo di legislatori, e capire, quando adottiamo determinati provvedimenti, se i termini previsti sono sostenibili e congrui con l'applicazione della norma, per non dover ricorrere, ogni volta, a provvedimenti di questo tipo.
Allora, senza ribadire tutte le critiche concernenti la questione delle deleghe, cui ho accennato all'inizio del mio intervento (che peraltro sono già state fatte dal collega Boscetto, il quale è il capogruppo di Forza Italia in Commissione affari costituzionali), devo osservare che anche in Commissione sicuramente vi è stato un dibattito interessante.
Anche negli emendamenti ci sono proposte interessanti. Dicevo però, senza ribadire tutto ciò che già è stato evidenziato, che il Governo e questa maggioranza devono dare un segnale di cambiamento. Tutti noi viviamo una situazione di sofferenza quando ci accorgiamo che le cose non funzionano, indipendentemente dall'appartenenza alla maggioranza o all'opposizione.
Tutti noi sappiamo che i parlamentari devono avere lo stesso diritto di incidere, e quindi nessuno vuole mettere in discussione le prerogative dell'altro ramo del Parlamento, ma se uguali siamo, dobbiamo avere gli stessi strumenti.
Quindi, il problema è anche regolamentare (nello specifico, per quanto riguarda la questione delle deleghe) e poi, come dicevo prima, la questione è anche sicuramente Pag. 43etica, perché il segnale che noi dobbiamo dare è quello di legislatori seri, legislatori che sanno fare le leggi e che hanno il polso della realtà e della società dove vivono, che cioè conoscono le esigenze ed anche le caratteristiche dei propri cittadini. A volte infatti ci nascondiamo dietro un dito. Quando ad esempio abbiamo a che fare con delle categorie sociali alle quali è indirizzata una legge, pensiamo che esse siano pronte a recepire quanto il Parlamento fa, e invece ci troviamo di fronte (e magari dovremmo saperlo fin da subito) a persone che cercano di posticipare o perlomeno di ridurre il danno che deriverebbe dall'applicazione di una normativa che può essere anche giusta o che sicuramente è giusta (penso, ad esempio, alle deroghe concesse per l'applicazione ed il recepimento delle direttive comunitarie).
Di fronte a questo malcostume dobbiamo dare un segnale. Per chiedere tuttavia un cambiamento alle categorie, ai cittadini, a tutti coloro che sono i destinatari delle norme che noi approviamo, dobbiamo essere noi i primi a dare un segnale di serietà. Non è sicuramente con un provvedimento di questo tipo, con tutti i peggioramenti introdotti al Senato, che noi diamo questo segnale.
Sulla base di queste considerazioni, rimandando ulteriori approfondimenti agli interventi che svolgeremo sugli emendamenti (ahimè, presumo non ci sarà la possibilità di approvare nessun emendamento, ma vedremo se con eventuali ordini del giorno si potrà comunque raddrizzare una situazione che a molti o a tutti qui non piace), in sede di esame delle proposte emendative forse riusciremo comunque a sottolineare aspetti particolari e a dimostrare quante delle modifiche proposte al Senato non possano essere condivise per ragioni pratiche, per ragioni, se vogliamo, anche logiche, che appartengono all'intelligenza, lasciatemi usare questo termine, di ognuno di noi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.

DAVIDE CAPARINI. Grazie, Presidente. Al di là delle valutazioni inerenti la necessaria operazione di igiene legislativa, che dovremmo essere chiamati ad effettuare e che purtroppo ritardiamo di legislatura in legislatura, vorrei citare due esempi riguardanti questo provvedimento, uno di razzismo strisciante, l'altro di ignavia. Si tratta di un provvedimento che, a fronte della vostra incapacità... Sottosegretario d'Andrea, quando ha parlato il mio collega lei era al telefono, ora chiacchiera con il relatore: io la rispetto...

GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario ai rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Per avere una risposta alla richiesta...

PRESIDENTE. Onorevole Caparini, non interloquisca con il Governo, che sta riprendendo il suo posto: la invito ad andare avanti. Grazie.

DAVIDE CAPARINI. Abbiamo condiviso per cinque anni i lavori della Commissione bicamerale di vigilanza; so del suo impegno, non le chiedo di stare attento, ma perlomeno di non disturbare. In questo provvedimento state ponendo alcuni correttivi ad una manovra finanziaria, che ha dimostrato le sue lacune. Noi abbiamo avuto modo di stigmatizzare, di denunciare il fatto che avete stanziato altri 100 milioni di euro in tre anni per la ricostruzione post-terremoto del Belice, avvenuto nel 1968. Questi 100 milioni erano destinati a dei bandi, che addirittura scadevano il primo gennaio di quest'anno!
Avete stanziato 62 milioni di euro in tre anni per il terremoto dell'Irpinia del 1980 e per gli eventi calamitosi verificatisi in Campania, Basilicata, Puglia e Calabria nel 1981 e nel 1982. Avete stanziato anche fondi per il condono dei tributi con riferimento alla provincia di Catania.
Noi abbiamo parzialmente riparato ad una vera e propria ingiustizia perpetrata da parte vostra, consentendo perlomeno alle vittime dell'alluvione del novembre del 1994, che si è verificata nel nord d'Italia, Pag. 44di definire la loro posizione tributaria versando solo il 10 per cento delle imposte dovute, beneficio che era stato concesso solo per le province di Catania, Ragusa e Siracusa. Si trattava, tra l'altro, di territori colpiti dal sisma del 1990.
Ad ogni modo, questo Parlamento dovrebbe interrogarsi e recitare il mea culpa sui gravi ritardi con cui interviene rispetto agli eventi calamitosi, soprattutto con riferimento alla successiva ricostruzione.
Di fronte alla rideterminazione dei contributi che abbiamo concesso, ad esempio, con riferimento ai mutui richiesti dalle imprese danneggiate dalle alluvioni del 1994, vorrei capire perché questo Governo non abbia accettato di discutere e di predisporre misure altrettanto importanti a favore degli alluvionati della Lombardia del 2000, del 2002 e del 2004, nonché a favore delle vittime del sisma che ha colpito le province di Brescia e di Verona nei pressi del lago di Garda, nel 2004.
Non riesco a capire la ratio di tali decisioni, che sottende al fatto che ci siano sempre e comunque due pesi e due misure. Evidentemente, vi è la disponibilità a intervenire soltanto laddove vi sono evidenti lacune nella gestione dei fondi, nella capacità di intervenire e, quindi, di ricostruire. Soprattutto, non riesco a comprendere la mancanza di volontà di trattare eventi identici nello stesso modo.
Al di là di questo che - come ho avuto modo di sottolineare - potremmo definire un chiaro razzismo territoriale o una evidente discriminazione, vi è anche un'operazione di ipocrisia che avete portato avanti con la legge finanziaria e che tentate di correggere con questo provvedimento.
Faccio riferimento ai ticket sulla sanità. Il 28 ottobre 2006 avete stipulato con le regioni un nuovo patto per la salute, definendo un piano di rientro del debito sanitario nazionale. Avete stabilito di introitare 811 milioni di euro nel 2007, 834 milioni di euro nel 2008 e nel 2009. Per questo motivo avete istituito un ticket di 10 euro sulle prestazioni ambulatoriali. Si tratta di un ticket aggiuntivo alla compartecipazione regionale. Alla prova dei fatti, però, vi siete resi conto di aver calcato troppo la mano, in quanto alcune prestazioni, quelle che prevedevano più di 8 esami (e sono molte) costringevano il paziente a pagare da 20 sino a 72,50 euro per le analisi più costose. Vi siete anche resi conto che le prestazioni specialistiche, il cui prezzo variava a livello regionale dai 13 ai 25 euro, costavano il 50 per cento in più.
Voi che siete sostenitori della sanità pubblica paradossalmente avete messo, le prestazioni sanitarie pubbliche fuori mercato, tant'è vero che molti pazienti e cittadini hanno deciso, a ragione, di rivolgersi alle strutture private, proprio perché di gran lunga meno costose. Faccio un esempio: per quanto riguarda l'esame della glicemia, che un paziente diabetico deve fare regolarmente e che costava 3 euro, grazie al vostro ticket, quello della ministro Turco, era obbligato a pagarne 13! Vi siete resi conto, quindi, dell'abominio che avevate realizzato e siete corsi ai ripari, seguendo un iter lacunoso che, dal punto di vista normativo (è un argomento che è già stato affrontato da altri colleghi), lascia piuttosto a desiderare.
Al di là di come siete riusciti a modificare il decreto-legge al Senato, rimane il fatto che l'articolo 6-quater stabilisce «la possibilità per le regioni di non applicare il ticket di 10 euro a ricetta e di adottare altre misure di compartecipazione al costo delle prestazioni sanitarie equivalenti, quanto a gettito di risorse ed impatto sul controllo dell'appropriatezza». In altre parole, voi scaricate ancora una volta le vostre responsabilità sulle regioni; peggio, non avete nemmeno il coraggio delle vostre azioni: siete talmente ipocriti da dire che quello in questione è un ticket non obbligatorio, ma ben sapete che, avendo stipulato un accordo con le regioni e dovendo per forza di cose raggiungere un obiettivo economico e introitare quelle risorse, dite semplicemente a queste ultime che quel ticket è facoltativo, ma che comunque esse debbono versare allo Stato quegli importi.
Vediamo, allora, in quale realtà andrà ad inserirsi questo ticket. Prima ascoltavo Pag. 45un collega dell'UDC, Ronconi, che è eletto in Parlamento, ma che probabilmente vive in Svizzera o in un altro Stato, perché è da molto tempo che vi è un'autonomia gestionale delle regioni e una compartecipazione alle spese sanitarie; tant'è vero che la Lombardia, regione a cui mi pregio di appartenere, riceve da Roma molto meno della media nazionale: 1426 euro pro capite ed è sicuramente molto meno di quanto riceva un toscano (1520 euro) o un emiliano (1505 euro).
Vorrei sottolineare che in questa classifica le regioni storicamente amministrate da giunte rosse sono quelle che stranamente ricevono una quota maggiore di trasferimenti da parte dello Stato e che, tra le altre cose, sono anche quelle che prelevano una percentuale maggiore di ticket: infatti, in questa classifica la regione Lombardia per fortuna non primeggia, in quanto chiede molto di meno ai propri cittadini rispetto a regioni come la Toscana, l'Emilia o il Lazio.
Quindi, mentre in Italia la spesa sanitaria cresce ad un ritmo vertiginoso, tanto che negli ultimi anni è salita del 19,5 per cento, in Lombardia nello stesso periodo è aumentata solo del 10 per cento. Noi forniamo i migliori servizi ad un minore costo e chiediamo ai cittadini di contribuire nella compartecipazione regionale con una quota minore rispetto a quella di molte altre regioni.
I risultati sono quelli di una sanità dove un paziente su tre, curato per patologie cardiochirurgiche, proviene dalla regione Lombardia: per le prestazioni specialistiche vantiamo i minori tempi di attesa e nel 2004 la Lombardia ha effettuato il maggior numero di trapianti in assoluto rispetto a tutte le altre regioni. È questo il dato che volevo consegnare al vostro dibattito.
Parliamo di un sistema sanitario nazionale per il quale con l'ultima finanziaria avete stimato una spesa di 96 miliardi di euro. Poi vi siete trovati - e questo è facilmente verificabile dalle relazioni accompagnatorie alla finanziaria, laddove proprio una relazione tecnica del ministero dell'economia definiva in 103,786 miliardi di euro il reale fabbisogno nazionale - con una differenza di 7,7 miliardi di euro, che mancano all'appello. Da qualche parte dovevate reperirli e avete deciso di utilizzare vari strumenti tra cui quello del ticket. Vi siete poi resi conto che era uno strumento inappropriato, che ha portato una vera e propria sollevazione popolare, perché è certo che i lombardi sono abituati a lavorare, pagare e tacere, ma è altrettanto vero che non sono stupidi: non era quindi possibile propinare loro altri aumenti, come quello di 25 euro sul pronto soccorso per i codici bianco e verde e di 10 euro per le prestazioni ambulatoriali, senza che battessero ciglio. E così infatti non è stato. C'è stata una sollevazione popolare, ma soprattutto c'è stato quell'effetto distorsivo del mercato che non vi aspettavate e che non avevate considerato, per cui si è verificato un travaso di prestazioni private.
Ricapitolando, questo è un fatto che grida vendetta. Negli ultimi undici anni la Lombardia ha ricevuto da Roma qualcosa come 5,5 miliardi di euro in meno rispetto al pattuito per le spese sanitarie. Costiamo meno. La nostra sanità costa molto meno per lo Stato nazionale di quella di Toscana ed Emilia Romagna. C'è un buco sanitario di 7,7 miliardi di euro, che non abbiamo contribuito certamente noi a creare. Noi contribuiamo, invece, al fondo di solidarietà nazionale con 3 miliardi di euro ogni anno. E, in questo quadro, voi chiedete ai cittadini lombardi un ticket di 25 euro per il pronto soccorso e un ticket - che oggi ci dite essere facoltativo - di 10 euro per le prestazioni ambulatoriali.
Insomma, se questa non è un'operazione di vera e propria ipocrisia, non saprei come altro definirla, in quanto voi ancora una volta surrettiziamente utilizzate la leva fiscale, questo meccanismo perverso di accentramento delle risorse per discriminare i cittadini. Questa è la denuncia che voglio fare in sede di discussione sulle linee generali. Poi entreremo nel merito di altri aspetti di questo provvedimento, che purtroppo fornisce troppi spunti. Non vorremmo che fosse così, ma è così. Tuttavia, la denuncia rispetto al Pag. 46razzismo strisciante che anima i vostri provvedimenti deve essere fatta e grida vendetta (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Saglia, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signora Presidente, signor rappresentante del Governo, signora relatrice, colleghi deputati, la discussione che stiamo svolgendo in queste ore vede un po' a parti rovesciate - come spesso succede in questa materia - confrontarsi maggioranza ed opposizione - oggi, maggioranza di centrosinistra ed opposizione di centrodestra -, come in passato - lo ripeto - a parti rovesciate succedeva con provvedimenti analoghi nella scorsa legislatura.
Pertanto, a parte il merito specifico delle singole norme di un provvedimento che reca proroga di termini (adesso, pudicamente, ed è opportuno che sia avvenuto, è stato cambiato il titolo, nel quale si fa riferimento non più soltanto alla proroga di termini previsti da disposizioni legislative, com'era originariamente, ma anche a disposizioni di delegazione legislativa; quindi, il titolo dice del processo di «arricchimento» che il disegno di legge ha subito nel corso dell'esame parlamentare), avendo purtroppo - o per fortuna, non so... - una esperienza parlamentare abbastanza lunga, ho riascoltato, in quest'aula, considerazioni che erano state proposte molte altre volte, in passato, ma a parti rovesciate.
Poiché il mio gruppo voterà, ovviamente, a favore del disegno di legge, non voglio che il voto favorevole e la solidarietà consapevole di maggioranza politica facciano velo ad una valutazione di carattere più generale che, ahimè, ho avuto occasione di proporre in quest'aula tante altre volte, da deputato di opposizione e, prima ancora, da deputato appartenente a maggioranze di centrosinistra: quando si arriva ad adottare pressoché periodicamente, per non dire sistematicamente, richiamando i presupposti costituzionali della straordinarietà e dell'urgenza, decreti-legge recanti proroga di termini previsti da disposizioni legislative - e lo fanno tanto i Governi di centrodestra quanto quelli di centrosinistra, in modo pressoché sistematico, annuale -, si segna obiettivamente, chiunque governi pro tempore, un momento di difficoltà, per non dire una sconfitta dello Stato, dell'amministrazione dello Stato, sotto il profilo di un corretto rapporto tra Stato e cittadini e di quella certezza del diritto che dovrebbe portare un cittadino o un'impresa a considerare che l'entrata in vigore di una legge comporta - se il cittadino, l'impresa o il soggetto sociale od economico è coinvolto - adempimenti, comportamenti, anche vantaggi se del caso, certi, in un senso o nell'altro: si può trattare di sacrifici da sopportare, di contributi da dare o anche di vantaggi, di agevolazioni da ricevere, ma certi.
Invece, il fatto che da anni, da decenni (quindi, la mia valutazione non riguarda questo Governo ma, complessivamente, l'amministrazione dello Stato, chiunque sia pro tempore al Governo e qualunque sia la maggioranza) si avverta l'esigenza, la necessità, la straordinaria necessità ed urgenza di arrivare in limine e, a volte, anche oltre il limite, alla proroga di disposizioni legislative o ad altri interventi analoghi - lo dico con la pacatezza di chi ha preannunciato un voto favorevole, ma non vuole abdicare alla propria lealtà intellettuale ed anche politica - comporta una sconfitta, un indebolimento della credibilità dello Stato, tanto più accentuati in quanto le proroghe in parola non originano soltanto dalla difficoltà di mantenere gli impegni assunti, con disposizioni legislative, da parte dello Stato (gli impegni da mantenere possono anche essere stati assunti da un Governo precedente).
Noi parlamentari, soprattutto i componenti della Commissione di merito competente per materia (l'ingrato compito di occuparsi, di volta in volta, di questa materia spetta alla Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni), lo sperimentiamo quotidianamente: Pag. 47spesso siamo sollecitati (stavo per dire «bombardati», ovviamente tra virgolette, ma ho preferito adoperare un linguaggio soft) a presentare l'una o l'altra proposta emendativa, magari anche comprensibilmente, sulla base di ragioni fondate, da gruppi di cittadini, da singoli cittadini, da imprese, da soggetti sociali ed economici, e via dicendo. Quindi, si crea una sorta di effetto distorto. L'aspettativa che ci possano essere questo tipo di proroghe di disposizioni legislative comporta, non soltanto una critica sotto il profilo della credibilità della certezza dello Stato di diritto, ma anche l'ammissione di un venir meno, almeno nei tempi certi, ai propri compiti da parte dello Stato, nonché l'attivazione da parte di molti cittadini, a volte con ragioni comprensibili - voglio fare un discorso tutt'altro che demagogico -, che, di fatto (uso un'espressione recentemente utilizzata dal Pontefice per altri motivi), svolgono un po' di azione «lobbistica» nei confronti di chi fa parte del Parlamento.
Tutto ciò, ovviamente, non aiuta sia il Parlamento ad una buona legiferazione, sia il Governo ad avere il massimo rigore, al proprio interno, nell'adempimento dei propri compiti legislativi o amministrativi, e non aiuta neppure tutti noi ad un rapporto trasparente, corretto e responsabile nei confronti della società civile, perché spesso è proprio da quella società civile - che tanto, a parole, viene invocata come assolutamente pura, rispetto ad un sistema politico un po' più impuro - provengono questo tipo di sollecitazioni.
Ho voluto - per chi ha avuto la bontà di seguire il mio intervento - fare un ragionamento che non si ascolta in genere dalla bocca di un deputato di maggioranza e che non ho ascoltato neanche dai deputati della maggioranza nella scorsa legislatura. Da loro, ascolto ed ho ascoltato, fino a questo momento, le critiche che anche noi dell'opposizione facevamo all'epoca. Quando, però, erano in maggioranza, questi colleghi si guardavano bene dal fare il tipo di riflessioni critiche e di responsabilità che sto cercando di fare, accompagnando l'intervento di chi pure voterà a favore della conversione legge di questo decreto-legge.
C'è un secondo ordine di considerazioni, già riecheggiato più volte in quest'aula, che voglio riprendere più brevemente e che riguarda un tema approfondito, alla fine della sua relazione, dall'ottima collega Sesa Amici, che è un po' la vittima sacrificale di questo provvedimento. Dopo aver dato conto, con molta puntualità, rigore e precisione, delle innovazioni introdotte al Senato, la relatrice ha espresso - magari con qualche disattenzione degli altri colleghi, ma, almeno, così resta negli atti parlamentari o in chi magari ci ascolta dall'esterno -, per l'ennesima volta, la preoccupazione per la disparità di trattamento tra l'attività legislativa ed emendativa che si svolge alla Camera dei deputati e quella che si svolge al Senato della Repubblica, in un sistema costituzionale di bicameralismo paritario e perfetto, ma assai differenziato in relazione alle norme regolamentari ed alle prassi interpretative, ragion per cui, quello che non è dichiarato ammissibile e possibile alla Camera dei deputati diventa successivamente o preventivamente, a seconda di quando inizi l'iter di un provvedimento, ammissibile e possibile nell'altro ramo del Parlamento, con una situazione di disparità, non solo di trattamento, ma anche di rappresentanza politica; tutto ciò, inoltre, come giustamente rilevava la collega Amici, con una situazione imbarazzante, perché quello che è uscito dalla porta solenne delle dichiarazioni di inammissibilità del Presidente di questa Camera è rientrato, forse, da un'alta porta, forse, dalla finestra, ma non meno solenne, delle dichiarazioni di ammissibilità del Presidente dell'altro ramo del Parlamento.
Questa è una situazione che anche io ritengo opportuno riproporre alla nostra attenzione, ma non per fare demagogia, perché sto usando un tono pacatissimo - tanto pacato da essere sovrastato dalla telefonata della collega... - anche se la pacatezza rende forse più forti queste osservazioni non gridate.Pag. 48
Molte preoccupazioni sotto questo profilo sono contenute - ma in parte erano già contenute, sia pure in riferimento a disposizioni diverse, in sede di prima lettura - nel parere che il Comitato per la legislazione ha consegnato alla I Commissione e che ora è all'attenzione dell'Assemblea. Il Comitato ha una successione delle presidenze, ha composizioni paritarie fra maggioranza ed opposizione, ma per fortuna e per responsabilità mantiene una sua «giurisprudenza» in questa materia che non si adatta opportunisticamente a seconda che vi sia l'una o l'altra maggioranza con responsabilità di Governo. Non richiamandone il testo per ragioni di brevità posso dire di condividere pressoché alla lettera - ho trovato un piccolo errore nel testo da noi ricevuto; l'ho segnalato al presidente Franco Russo, che credo lo abbia già fatto correggere (un riferimento sbagliato ad un articolo, ma quando si lavora di corsa può succedere anche questo) - questo parere. Si tratta di un parere critico e preoccupato, che abbiamo ascoltato anche nella parte conclusiva della relazione, sia pur positiva, della collega Amici, più volte giustamente citata.
La terza considerazione che vorrei fare riguarda il fatto che ovviamente, al di là delle obiezioni di carattere procedurale e di questa disparità di trattamento fra Camera e Senato nell'attività emendativa, nel testo pervenutoci dal Senato della Repubblica vi sono alcune norme che in sé, al di là delle obiezioni richiamate prima, sono proceduralmente discutibili - probabilmente per le modalità, la sede ed il testo con cui il tutto è avvenuto - ma per altri aspetti condivisibili nel merito. Alcune di queste norme erano state presentate da alcuni di noi anche alla Camera dei deputati ed erano state dichiarate inammissibili per l'Assemblea o addirittura approvate in Commissione in sede referente e poi sanzionate dall'inammissibilità nel testo già approvato dalla Commissione in sede referente e portato in Assemblea.
Fra le molte - la collega Amici le ha citato tutte in modo assolutamente obiettivo senza dare giudizi di merito, come è giusto che faccia una relatrice - ritengo vi siano alcune norme che hanno un particolare interesse. Mi riferisco all'articolo 6, comma 7-ter (non applicabilità nelle province autonome di Trento e di Bolzano della proroga delle concessioni idroelettriche), perché questo comma va a rettificare quello che era stato un vero e proprio colpo di mano verificatosi nella finanziaria per il 2006, la legge n. 266 del 2005, dove era stata introdotta la proroga di tutte le grandi concessioni idroelettriche nella provincia autonoma di Trento e di Bolzano. Era stata disposta con l'articolo 1, comma 485. Vedete come anche allora le centinaia di commi di un unico articolo erano già entrate nella prassi parlamentare, anche se debbo dire che l'ultima legge finanziaria ha superato tutti i record da questo punto di vista.
Io credo che sia stato utile, al di là delle questioni procedurali che ho citato prima, che questa norma sia stata disposta. Lo stesso vale per l'articolo 6, commi 8-novies e 8-decies, relativo alla protezione degli animali negli allevamenti. In questo caso, le norme, sia pure in una formulazione parzialmente diversa, erano già state approvate in sede referente dalla Commissione affari costituzionali e da me allora proposte e poi sanzionate dall'inammissibilità, non tanto come emendamenti, ma addirittura come testo consegnato all'aula dalla sede referente di Commissione. Questa inammissibilità, come ho già detto altre volte, non è stata altrettanto rigorosa al Senato e, nel merito, queste norme sono rientrate nel testo.
Segnalo ancora l'articolo 6, comma 8-undecies, recante la commercializzazione di farmaci omeopatici, sul quale al Senato si è impegnato il collega senatore Giampaolo Silvestri che ha affrontato la questione. Tale commercializzazione sarebbe stata compromessa - per chi produce e per chi utilizza tali farmaci - in assenza di una norma di questo tipo.
Credo che, al di là delle critiche così virulente che poco fa il collega Caparini ha mosso - ed è legittimo da parte sua farlo, non me ne scandalizzo -, abbia un aspetto Pag. 49positivo l'articolo 6-quater che riguarda le modifiche in materia di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie.
Lasciando stare molti altri argomenti - uno per uno sono stati citati dalla relatrice Amici -, vengo in conclusione ad un tema di particolare delicatezza. Infatti, all'articolo 1 del disegno di legge di conversione, come molte altre volte è successo in passato da parte di Governi precedenti e una volta anche da parte di questo Governo - se non sbaglio -, sono stati introdotti nuovi commi (mi riferisco ai commi 2 e 3 che riguardano disposizioni di delegazione legislativa).
Uno di questi riguarda questioni relative al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, rispetto al quale è stata disposta una proroga del termine per l'adozione di provvedimenti integrativi e correttivi del decreto legislativo recante il riassetto delle disposizioni relative a tale Corpo.
L'altro è il comma 3, dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione del decreto-legge che riguarda la delega al Governo di adottare, entro il 31 luglio 2007, uno o più decreti legislativi finalizzati a garantire l'adattamento dell'ordinamento giuridico italiano ai principi e alle norme della Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, siglata a Oviedo il 4 aprile 1997, nonché le disposizioni del Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998. Ricordo che la Convenzione di Oviedo, ratificata fino ad oggi da venti Stati, è entrata in vigore a livello internazionale già il 1o dicembre delle 1999. È stata adottata in seno al Consiglio d'Europa e ha per oggetto i rapporti tra i diritti dell'uomo e la biomedicina. Il Protocollo addizionale, ratificato fino ad oggi da sedici Stati, è già entrato in vigore a livello internazionale il 1o marzo 2001. Esso reca invece il divieto di clonazione degli esseri umani.
È ovviamente discutibile, come ha sottolineato la collega Amici nonché il Comitato per la legislazione - e come io stesso dirò fra poco -, questo utilizzo del disegno di legge di conversione per provvedimenti di proroga o delegazione legislativa. Però, vorrei anche far rilevare ai colleghi del centrodestra, in particolare al collega Ronconi dell'UDC che ha parlato in modo molto stentoreo - infatti stiamo parlando di materie di grande importanza e delicatezza -, che la legge n. 145 del 28 marzo 2001, una delle ultime leggi del Governo Amato - se non ricordo male - della XIII legislatura, ha autorizzato la ratifica della Convenzione e del Protocollo addizionale, stabilendo che tali atti hanno esecuzione a decorrere dalla data della loro entrata in vigore. L'articolo 3 della stessa legge, inoltre, aveva delegato il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge (la n. 145 del 28 marzo 2001), uno o più decreti legislativi recanti ulteriori disposizioni necessarie ad adeguare l'ordinamento italiano, sia alla Convenzione di Oviedo che al Protocollo aggiuntivo, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari. Il termine per l'esercizio di tale delega era poi stato differito (siamo nel periodo del Governo Berlusconi) al 31 luglio 2003 dall'articolo 49 della legge 16 gennaio 2003, n. 3. Ebbene, come fa notare il dossier del Servizio Studi, dal quale attingo queste informazioni (sempre preziose), allo stato la delega non è stata ancora esercitata.
Discutiamo e discuteremo (io per primo) in merito all'inopportunità che all'interno non solo di un decreto-legge (in tal caso dovrebbe essere assolutamente impossibile, mentre in passato qualche volta è avvenuto) ma anche del disegno di legge di conversione del decreto-legge, si inseriscano norme di questo tipo, nonostante la loro grande importanza come nel caso dell'ordinamento del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e della Convenzione di Oviedo e del suo Protocollo aggiuntivo.
Mi associo quindi alle critiche espresse dalla relatrice Amici e dal Comitato per la legislazione, condivise da altri colleghi della maggioranza, oltre che da quelli dell'opposizione, in sede di Commissione affari costituzionali. Tuttavia, ai colleghi dell'opposizione che hanno molto alzato la voce su questo punto, censurando severamente questo modo di procedere (che censuro anch'io), vorrei ricordare tutti i precedenti della scorsa legislatura, limitandomi Pag. 50a quella: «Non sono stati pochi i casi di inserimento in sede di conversione all'interno di decreti-legge» - perfino di decreti-legge, aggiungo io - «o delle relative leggi di conversione di norme di proroga di termini, in qualche caso già scaduti, per l'attuazione di deleghe legislative. In alcuni casi il Parlamento» - personalmente vorrei aggiungere: «il Parlamento a maggioranza di centrodestra» - «ha altresì provveduto in sede di conversione di un decreto-legge a conferire formalmente nuove deleghe legislative al Governo». Vorrei citarne alcune: legge n. 290 del 2003, di conversione del decreto-legge n. 239 del 2003; legge n. 186 del 2004, di conversione del decreto-legge n. 136 del 2004; legge n. 109 del 2005, di conversione del decreto-legge n. 63 del 2005; legge n. 168 del 2005, di conversione del decreto-legge n. 115 del 2005; legge n. 51 del 2006, di conversione del decreto-legge n. 273 del 2005.
Ho citato una serie di casi analoghi - o in qualche caso addirittura più gravi, in quanto le deleghe sono state inserite nel decreto-legge e non solo nel disegno di legge di conversione -, tutti verificatisi nel corso della scorsa legislatura. Tuttavia, non ho sentito una sola volta i colleghi che hanno «strillato» (o, per meglio dire, che si sono lamentati) quest'oggi (magari nel merito giustamente) fare altrettanto quando si trovavano a sostenere la maggioranza di Governo, che tutte queste operazioni, sistematicamente, ha compiuto nel corso della scorsa legislatura.
Eppure, sono convinto che l'inserimento di tali norme, anche nel solo disegno di legge di conversione, non tenga fede all'articolo 15 della legge n. 400 del 1988, relativa alla Presidenza del Consiglio. Inoltre, sono convinto che abbia fatto bene in passato e che continui a far bene oggi il Comitato per la legislazione a ritenere inaccettabile tale metodologia, non solo nei decreti-legge (caso assai più grave), ma anche nello stesso disegno di legge di conversione.
Ragion per cui, nel ringraziare il rappresentante del Governo, che ha seguito la discussione con molta attenzione - anche se ha fatto alcune telefonate, che immagino siano dovute a consultazioni proprio sulle materie che stiamo trattando (almeno così era poco fa) -, intendo sottoporgli un'ipotesi.
Chiedo al sottosegretario D'Andrea, infatti, di verificare la possibilità - visto che, probabilmente, sarà impossibile emendare il decreto-legge in esame per rinviarlo ulteriormente al Senato, con il rischio che non venga convertito in legge nei termini costituzionali di sessanta giorni - che il Governo si predisponga ad accettare, in questo ramo del Parlamento, un ordine del giorno bipartisan, vale a dire trasversale. Tale documento di indirizzo impegnerebbe l'Esecutivo a non esercitare le deleghe che sono state «discutibilimente» inserite, dal Senato, nell'articolo 1 del disegno di legge di conversione del decreto-legge al nostro esame.
Sarebbe un atto di responsabilità del Parlamento proporre ciò attraverso un ordine del giorno, al di là delle distinzioni tra maggioranza ed opposizione. Sul piano procedurale, quindi, potremmo registrare un'ampia convergenza almeno su questo punto (anche se non sarà possibile su altri).
Costituirebbe, altresì, un atto di grande responsabilità del Governo - che so sta seguendo con attenzione questa mia riflessione ad alta voce - accettare tale ordine del giorno, impegnandosi a non esercitare quelle deleghe ed a seguire la via legislativa ordinaria per affrontare, eventualmente, le due materie cui ho testè fatto cenno.
La ringrazio, signor Presidente, dell'attenzione. Ringrazio anche il rappresentante del Governo e rinnovo i miei ringraziamenti ed i miei complimenti alla collega relatrice, onorevole Amici. Concludo quindi il mio intervento, che ho cercato di svolgere, pur evidenziando punti critici e magari polemici, con il massimo della serenità e della pacatezza (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Agrò. Ne ha facoltà.

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LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, per fortuna l'onorevole Boato è intervenuto in maniera serena e pacata. Nonostante la sua dichiarazione di voto anticipata - ha infatti annunciato che il suo gruppo voterà comunque a favore del provvedimento in esame -, va rilevato che egli ha tuttavia cercato di «stemperare» quella dichiarazione, laddove si considerino tutte le problematiche e le perplessità che ha sottoposto all'attenzione dell'Assemblea. Ciò anche se queste ultime sono state sicuramente «condite» da una capacità di evidenziare fatti storici, vista la sua lunga permanenza in quest'aula. Egli ha evidenziato, inoltre, che non avremmo sostenuto le posizioni espresse oggi se fossimo stati maggioranza, e viceversa. Ebbene, avendo ascoltato il suo intervento, svolto in maniera calma, tranquilla e serena, ho pensato gli fosse venuto qualche dubbio circa la valutazione positiva che aveva precedentemente espresso sul provvedimento.
Detto questo, inizierei la mia riflessione partendo dalla questione della certezza del diritto. In questo caso, infatti, mi è sembrato che sia la relatrice, sia l'onorevole Boato abbiano in qualche modo centrato il problema che, sul piano politico, è posto dal decreto-legge alla nostra attenzione. Molto pomposamente, infatti, il provvedimento in esame era stato declassato da «mille proroghe» a «cento proroghe», ed entrambe le parti dell'Assemblea avevano ritenuto di particolare interesse tale circostanza.
Avevamo infatti capito - e lo abbiamo capito tutti: è inutile «rilanciarci la palla» ogni volta! - che proseguire con questa azione di differimento dei termini mette i cittadini nella condizione di «farsi giustizia» in altri campi! Il diritto, infatti, si modifica e si «stiracchia»; manca la certezza dei termini, ed è inutile che il Parlamento continui a prorogarli perché, alla fine, autorizza la comunità, che vorremmo in qualche modo governare con le norme, a «spostarsi più in là» ed a vedere la furbizia fatta sistema!
C'è un dato più pregnante che, credo, sia stato rilevato con particolare attenzione dai colleghi. Mi riferisco alla capacità, dimostrata dal Presidente della Camera, di «asciugare» il provvedimento attraverso la dichiarazione d'inammissibilità di molte delle proposte emendative presentate sia dalla maggioranza sia dall'opposizione. Già in quell'occasione, avevamo fatto presente alla Presidenza della Camera ed al presidente della I Commissione, che per primo aveva individuato il pericolo, la possibilità che l'altra Camera provvedesse in maniera difforme; infatti, se analizziamo gli emendamenti più importanti esaminati dal Senato, ci rendiamo conto che si tratta di emendamenti dichiarati inammissibili dalla Presidenza della Camera.
Tra l'altro, vorrei ricordare alla relatrice ed all'onorevole Boato che la Presidenza della Camera sarebbe dovuta intervenire presso il Senato al fine di tentare un'armonizzazione che, se vi è stata, è andata ad esclusivo vantaggio della maggioranza; infatti, tutti gli emendamenti presentati dall'opposizione e dichiarati inammissibili non hanno avuto «audizione» al Senato, mentre gli emendamenti inammissibili presentati in quest'aula dal Governo e da esponenti della maggioranza hanno ricevuto tutt'altro trattamento. Non occorre che li elenchi, ma ne citerò alcuni: il comma 1 dell'articolo 1 era inammissibile ed era stato presentato dal Governo; il comma successivo 6-bis era stato presentato dall'onorevole Piazza; il 6-quater e il 4-bis dal Governo; il 4-ter da Lusetti; il 6-bis dell'articolo 5 dagli onorevoli Piazza e Franceschini. Tra l'altro, la Commissione aveva presentato - il fatto andrebbe puntualizzato pesantemente perché ha una valenza politica d'altra natura - il comma 7-ter che, dichiarato inammissibile, è stato invece ammesso all'esame del Senato. Vorrei anche ricordare l'8-septies, l'8-octies ed altri ancora, sempre presentati dal Governo: quindi, sotto questo aspetto, vi è stato un «doppiopesismo».
Questa Assemblea dovrebbe raccordarsi con le esigenze della società, evidenziandole nella maniera più giusta; non solo la maggioranza, ma anche l'opposizione dovrebbero contribuire a far sì che un provvedimento legislativo possa ricalcare le Pag. 52necessità del paese reale. Nel nostro caso, però, solamente gli emendamenti presentati dal Governo e dalla maggioranza hanno effettivamente trovato tutela. Se la relatrice, che è molto cortese, me lo permette, vorrei ricordarle, in particolare, l'emendamento della Commissione che è stato approvato; mi riferisco, al comma 7-ter dell'articolo 6.
Non vorrei che si trattasse di un problema di carattere strettamente politico. L'ho notato anche oggi, in Commissione attività produttive della Camera, dove, quando si tratta di presentare una proposta emendativa da parte delle forze autonomistiche, che sono rilevanti per il loro peso numerico al Senato, si trova una convergenza ed un'ampia disponibilità a sostenere le loro tesi.
Nel caso di specie, la disposizione introdotta al Senato in materia di concessioni per le centrali idroelettriche delle province di Trento e Bolzano non mi pare sia legata ad un problema riconducibile all'autonomia delle suddette province.
Quanti dibattiti abbiamo svolto per cercare di eliminare le contraddizioni presenti all'interno del Titolo V della Costituzione, come modificato, al fine di riportare la politica energetica del paese ad una condizione di uniformità? Sappiamo perfettamente che un'operazione di questo genere, in qualche modo, «svicola» da un atteggiamento riscontrabile nella Commissione di merito e che, quindi, va a rompere un equilibrio che le parti, maggioranza e opposizione, hanno trovato in tale sede e che perseguono con l'obiettivo del bene comune in questo settore.
Non vorrei che questo provvedimento, che peserà sulle bollette degli utenti, in qualche modo sia legato esclusivamente alla necessità di una captatio benevolentiae nei confronti delle ragioni degli autonomisti, i quali, anche in questo caso, portano a casa non tanto un quadro di riferimento normativo di tutela dell'insieme, quanto un'operazione di mero bagarinaggio politico.
Mi permetta ancora la relatrice di osservare che, se è vero, come ha detto l'onorevole Boato, che da parte nostra alcune azioni sono state ripetute nella precedente legislatura, non possiamo continuare a giustificare gli errori solo perché sono stati commessi dal precedente Governo. Credo che, se c'è una cosa che un Parlamento ed un Governo devono fare, è assumersi la responsabilità per ciò che accade in un certo momento, in un certo luogo e in una certa ora. Non è che continuando a raccontarci cosa è successo nella tornata precedente, dobbiamo giustificare moralmente le cose poco chiare che facciamo oggi. Effettivamente, per quanto concerne la possibilità di inserire in un decreto-legge una norma di delega, mi è apparso che, nella precedente tornata legislativa, il Quirinale si sia più volte «alzato», facendoci tornare indietro in una situazione di questo genere.
Vi è un altro aspetto che credo vada sottolineato e riguarda il principio dei termini: mai tramite un decreto-legge si potevano rinnovare termini sia pure scaduti il giorno prima o lo stesso giorno. In questo caso, si procede a siffatta misura. Allora, mi domando: perché continuiamo a cercare ed a trovare giustificazioni per situazioni che riteniamo irrituali e che vorremmo non ripetere per il bene della comunità o, comunque, per un rapporto corretto che dovrebbe esserci fra maggioranza ed opposizione?
Ecco, mi bastava dire questo, senza entrare nel merito dei singoli emendamenti, perché, alla fine, sono stati oggetto di trattazione nella Commissione di merito, essendo poi stati dichiarati inammissibili da parte della Presidenza.
Ho voluto svolgere queste considerazioni solo per introdurre una considerazione finale. Non so se siamo riusciti, con il testo licenziato dal Senato, che credo non sarà modificato dalla Camera, ad improntarci effettivamente allo spirito con il quale il provvedimento era partito da quest'aula circa una ventina di giorni fa. Credo di no; si è creata effettivamente una rottura con un sistema che mi pareva ancorarsi verso una nuova stagione. Ciò rispetto ad un provvedimento che abbiamo visto perpetuarsi in quest'aula sistematicamente ogni anno e che pensavamo potesse Pag. 53essere cambiato nella struttura, nella cultura e nella modalità di insieme. Ritengo che quanto è avvenuto al Senato sia peggiorativo rispetto a quanto la Camera aveva portato a compimento solo 20 giorni fa (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Reina. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, ormai siamo quasi giunti alle ultime battute di questo lungo dibattito, che per la verità va a chiudersi in modo svogliato, stanco, con un Parlamento quasi del tutto assente rispetto alla tematica che stiamo affrontando. Eppure, a ben vedere, quella sul tappeto è la tematica delle tematiche, è in altre parole l'elemento fondante che dovrebbe farci riflettere sulla nostra funzione di parlamentari. Cos'è un Parlamento, che non parlamenta e che decide scientemente di rinviare al Governo i compiti che gli appartengono, per i quali è stato eletto dal popolo e per i quali dovrebbe battersi, per le cui prerogative dovrebbe lottare, nell'interesse della nostra democrazia?
Abbiamo denunciato questa condizione, onorevoli colleghi, anche in occasione dell'approvazione della legge finanziaria, quando nel corso del dibattito conclusivo qualcuno ha iniziato ad aleggiare, sino ad arrivare ad alcune dichiarazioni fatte dallo stesso Capo dello Stato, l'idea che la procedura di approvazione della legge finanziaria fosse di per sé farraginosa, complicata e che, quindi, bisognasse semplificarla.
Da sempre ho un vivo timore nei confronti di chi, in uno Stato di democrazia, utilizza il termine della semplificazione delle procedure. Quando in una democrazia si è inclini ad arrivare a ciò, vuol dire che il sistema si sta involvendo, che siamo in una fase di decadenza culturale e politica. Il tema di questo provvedimento è, in fondo, esattamente questo, prima ancora del suo contenuto, delle molte questioni che pone, che pure sono rilevanti, in qualche circostanza anche fin troppo. Prima ancora di ciò, vi è infatti questo elemento, che provoca un depauperamento della funzione del Parlamento, un vulnus della dignità dei parlamentari e che, alla fine, è espressione dell'arroganza del potere del Governo, che in uno Stato di democrazia si trova ad essere pericolosamente esposto.
Onorevoli colleghi, noi del Movimento per l'autonomia possiamo ben dire a voce alta, senza bisogno di essere troppo stentorei, come qualche collega ripeteva poc'anzi riguardo ad altri interventi che si sono succeduti, che, non avendo praticamente alcuna esperienza di Governo alle spalle, possiamo guardare a questa questione in maniera molto più serena.
Cosa significa affermare che, in precedenza, decreti-legge come questo sono stati convertiti in legge da parte di coloro che oggi, dai banchi dell'opposizione, sollevano obiezioni nei confronti del provvedimento che abbiamo di fronte? Cosa significa affermare che, siccome nel passato così era, così dovrebbe essere anche ora e, probabilmente, in futuro? Mi chiedo, allora: per quale motivo le elezioni si svolgono? Il precedente Governo in che cosa peccava, quanto alle questioni di fondo e rispetto ai grandi temi che sottendono alla nostra democrazia e al suo sviluppo, se alla fine qui tutto si identifica, tutto diventa uguale e se i due schieramenti si assomigliano in maniera incredibile? In che cosa dovrebbe credere la gente? Che cosa significa essere di centro destra o di centrosinistra se nei dibattiti ci si insegue, sostenendo che qualcosa che già è stata fatta in precedenza da una parte, può essere ripetuta dall'altra parte? Nessuno si rende conto del fatto che, in tal modo, giorno dopo giorno diamo picconate terribili non soltanto al sistema della democrazia, ma anche alla nostra credibilità come soggetti politici e alla fiducia complessiva della gente nei confronti delle istituzioni. Lo affermo senza riserve.
Mentre tutto ciò avviene, i veri temi che interessano la gente comune sono purtroppo posti in secondo piano, passano ad un altro livello della nostra attenzione, del Pag. 54nostro intervento, del dibattito parlamentare. Prima, infatti, debbono assumere preminenza quei fatti che consentano al Governo di lavoricchiare quanto più è possibile, al di fuori dell'abbraccio di una maggioranza, che al Senato o, in generale, nel Parlamento, può esserci o meno.
Siamo di fronte ad una esperienza, che in altri tempi avrebbe potuto essere definita teatrale, se non fosse purtroppo così negativa per il nostro paese, per gli italiani e, soprattutto, per la parte di italiani, che più dell'altra soffre per la condizione nella quale si trova: mi riferisco al meridione d'Italia, alle isole e, in particolare, alla mia Sicilia. Queste condizioni complessive ci preoccupano perché evidenziano come il nostro paese (altro che prima e seconda Repubblica!) non sia uscito da una terribile crisi involutiva e questo non permette ad esso di stare al cospetto delle altre nazioni con la stessa dignità e la stessa forza.
Allora, dobbiamo avere il coraggio di ritornare indietro. Non c'è alcuna giustificazione, non ci può essere alcun altro interesse per giustificare la mancata difesa delle prerogative costituzionali e delle funzioni del Parlamento. Nessuna buona ragione può giustificarla. Sarebbe come accettare il principio - che in altri tempi si faceva passare come corretto - secondo il quale, nel corso dei conflitti e delle grandi guerre, in fondo la morte di qualcuno poteva essere utile alla pace e al beneficio di molti, senza tenere conto del fatto che la morte, di chiunque sia, comunque è un danno e un peccato capitale per l'umanità. Questo è il punto. Fin dove dobbiamo arrivare?
Quante deleghe dobbiamo dare a questo Governo affinché agisca nella pienezza di un potere ormai quasi assoluto? Vi è stata una finanziaria, che ormai non è più neppure un provvedimento omnibus, che ha rapinato totalmente il Parlamento della possibilità di attenzionare, di parlamentare e di decidere di approvare leggi su questioni fondamentali. Ora, adottate un decreto-legge di proroghe di termini, che nasconde larvatamente anche interventi massicci di modifica dell'impianto della finanziaria. A cosa ancora dobbiamo ancora assistere?
Probabilmente tra le norme nascoste tra le pieghe del provvedimento vi sono anche quelle che consentono certi comportamenti a soggetti come l'ENI, che è responsabile di fronte al Parlamento e al Governo, visto che con una nota l'altro giorno lo stesso ministro dell'economia e delle finanze ha negato la possibilità di essere in qualche modo interessato. Mi riferisco alla vicenda di Gela e al petrolchimico, dove per la trasformazione dei prodotti il sistema di energia elettrica viene alimentato attraverso un pericoloso e tossico rifiuto come il petcoke, che non trova utilizzo alcuno in nessun'altra parte d'Italia e probabilmente del mondo.
Per questa vicenda, il leader del Movimento per l'autonomia, da domenica 18 febbraio sta praticando uno sciopero della fame, nel silenzio dei grandi media e del circuito informativo più diffuso, che è collegato anche con questi grandi poteri.
Dopo una grande azione popolare svolta a Gela, assistiamo persino all'atteggiamento retorico e pericoloso dell'ENI, che minaccia che se non si fa così e in Sicilia non si prendono questa «minestra», si chiude. Contrabbandiamo in sostanza il pericolo di morte e di malformazioni tumorali e il degrado ambientale con la possibilità di lavoro! Quando uno affoga, non gli si dà neppure la mano per riuscire a risalire in superficie: deve accettare di stare ai bordi della nave, riuscendo in qualche modo a galleggiare, se ce la fa. Se non ce la fa più, crolla!
In questo mondo e in questo paese affrontiamo problemi come quelli che, in parte, sono stati posti questa sera, relativi alle proroghe di termini e alla funzione del Parlamento. Nella delega al Governo, quindi anche sul tema della funzione del Governo, c'è un atteggiamento del Parlamento ormai assolutamente prono rispetto al Governo, anche questo figlio di logiche e di scelte scellerate, come quella del sistema elettorale, che di fatto ha determinato una condizione per la quale i partiti sono ridotti a simulacri di ciò che Pag. 55un tempo furono: il fondamento e il tempio della nostra democrazia. Anche il tema della mancanza della preferenza è connesso a questo.
Carissimo Presidente, può sembrare che io vada un po' fuori tema rispetto all'argomento all'ordine del giorno, ma si pongono queste ed altre questioni non solo alla nostra attenzione, ma anche alla nostra libera coscienza, semmai ancora la possediamo, dentro e fuori quest'aula. È ad essa che mi rivolgo. Mi rivolgo a quei parlamentari, pochissimi, che sono qui dentro, ma anche a quelli che stanno fuori e che si trovano rintanati chissà dove o che, forse, molto più semplicemente, seguono questi lavori dal circuito televisivo interno, piuttosto che dall'aula. A loro mi rivolgo: state attenti!
Giorno dopo giorno, noi stiamo semplicemente «anchilosando» il sistema democratico, di cui dobbiamo invece essere i difensori strenui, e non solo per noi stessi (perché noi siamo poco o niente), ma per ciò che rappresentiamo, per quel popolo sovrano di cui spesso ci riempiamo la bocca quando, nei vari luoghi e nelle varie circostanze, ci ergiamo a suoi difensori, delle sue prerogative, dei suoi bisogni, delle sue aspettative.
Allora, signor Presidente, carissimi colleghi, se continuiamo ad accettare questo stato di cose, se perpetuiamo questa condizione, noi non abbiamo bisogno di immaginare che il Governo la tirerà più o meno lunga per due, tre, quattro, cinque anni, poco importa, perché saremo già morti, siamo già morti adesso! Non è necessario attendere mesi o anni, per fare l'analisi di ciò che oggi è diventato, di ciò che oggi è ormai risultato questo Parlamento.
Vedete, mi sovviene di dirvi anche un'altra cosa, che molti di voi ignorano, anche se è vero che ci sono state interpellanze e interrogazioni - e non vorrei essere equivocato - a proposito dei nostri tecnici che sono stati rapiti Nigeria.
Vedete, in Nigeria succede una cosa molto semplice: succede che mentre le grandi compagnie petrolifere in quel paese sfruttano il territorio, distruggendone e degradandone l'ambiente, perché prive di tutti quei grandi vincoli cui sono sottoposte nel resto del mondo, nelle cosiddette nazioni civili come la nostra, in quel paese si sequestrano persone. Perché? Ce lo siamo chiesti?
Gli autori dei sequestri non chiedono denaro, non vogliono denaro, vogliono il rispetto degli impegni assunti da queste compagnie petrolifere e dal Governo, il quale ultimo invece coadiuva il cammino delle medesime compagnie petrolifere in questa loro forsennata conduzione dell'azione.
Essi chiedono soltanto di avere strade, scuole, ospedali, recupero dell'ambiente, restituzione ai nigeriani di un ruolo importante nello sviluppo del loro paese.
Tra queste compagnie c'è l'ENI. Ma come, noi non siamo forse una democrazia evoluta? Non siamo forse un paese nel quale si è pagato lo scotto della democrazia attraverso una terribile guerra di liberazione? Dove sono finiti coloro che dicevano che la guerra di liberazione sarebbe continuata negli anni? Dove sono coloro che oggi stanno al Governo e che nel passato si sono riempiti la bocca di queste cose? Perché non consentono la liberazione del capo del MEND, per esempio, che sta in carcere senza beneficiare di assistenza da parte degli avvocati, senza avere il riconoscimento da parte della stampa, se non da parte di qualche giornalista che a rischio della propria vita fa questo? Vedete, in questo modo, paradossalmente, emblematicamente, la Nigeria del sud assomiglia al Meridione d'Italia. Vi sembrerà strano, eccessivo, questo paragone che vi faccio, ma purtroppo è vero. Nel nostro Meridione si viene, si rapina, si distrugge e si degrada l'ambiente, si costringe la gente a scegliere tra la morte e il lavoro, e poi ci si allontana dicendo che, se vogliamo, la condizione è questa, oppure non se ne fa niente.
Stiamo parlando di una società che nel 2000 aveva guadagnato 14 mila miliardi di vecchie lire e che nel 2002 diceva che non poteva andare avanti a Gela, perché altrimenti avrebbe avuto problemi di dissesto economico. Chiedo agli amici Verdi, alcuni Pag. 56dei quali sono rimasti in quest'aula, lo chiedo a loro: su quali temi volete condurre le vostre battaglie, se non ripartiamo da queste cose, se non ripartiamo da Priolo, se non ripartiamo da Gela, se non ripartiamo da Milazzo, dai luoghi dove si muore per poter avere il lavoro?! Dai luoghi dove ogni giorno il diritto è calpestato e la democrazia non esiste. Come pensate che il resto d'Italia possa andare avanti?
Come immaginate di poter tornare nelle vostre case, nelle vostre terre, dove ben altre sono le condizioni di tranquillità, di lavoro e di sviluppo, sapendo che dietro c'è tutto questo?
Colleghi, questa realtà ci appartiene. Appartiene non solo ai deputati del sud, non solo a noi meridionali, ma a tutti gli italiani ed al Parlamento, fin quando non saremo in grado di dare una risposta a tali questioni, non saremo in grado di esercitare veramente il nostro ruolo e di mettere l'Italia nella condizione di competere seriamente con le altre nazioni.
Ecco perché questo provvedimento è emblematico: esso rappresenta la misera condizione, il ghetto, nel quale rischiamo di essere culturalmente e politicamente ricondotti. Nessuna ragione di buon governo, nessuna ragione di mirato obiettivo può essere scambiata con il diritto-dovere di noi parlamentari di esercitare fino in fondo la nostra funzione. Questo ce lo hanno insegnato quei padri costituenti a cui ogni tanto, dall'una e dall'altra parte del Parlamento, qualcuno con aulici discorsi cerca di richiamarsi. Questo è il significato profondo dell'insegnamento che ci hanno lasciato, l'eredità più grande che ci è stata trasmessa. La stiamo disperdendo e distruggendo ogni giorno, rinunciando ad essere, prima di tutto, noi stessi, ciò che dobbiamo essere per il nostro popolo, per la nostra Italia.
Mi auguro che venga prestata attenzione (cosa che i mass media non hanno fatto) alla battaglia che stiamo conducendo per Gela e alla generosità di Raffaele Lombardo, che sta rinunciando seriamente, e non per facciata, ad assumere cibo. Non si tratta di uno sciopero della fame quali quelli qualche volta annunciati e, poi, condotti chissà come: è uno sciopero vero, reale!
Nei prossimi giorni incontreremo i Presidenti della Camera dei deputati e del Senato; incontreremo anche ministri del Governo per far comprendere loro che è giunto il momento di invertire la rotta. Questa rotta va cambiata a trecentosessanta gradi! Ciò non riguarda certamente la mia Sicilia, la mia terra, ma riguarda tutto il Meridione, la Calabria, la Campania, la Puglia, la Basilicata: tutte quelle regioni che si trovano realmente escluse da quella cintura di sanità che ha invece ritenuto di ricomprendere alcune regioni importanti, anche con questa legge finanziaria. Ciò nel presupposto antico - carissimi amici della sinistra, lo sottolineo: antico - di stampo democristiano che il Paese si possa salvare soltanto garantendo una parte di questo Paese, e mettendo alle strette il resto d'Italia. Se ci sono regioni o forze o aree territoriali che nel sud ce la fanno, bene; altrimenti, restano fuori. L'ENI docet: se volete un lavoro, dovete accettare di rischiare anche la vita. Questa stessa logica, quella che per anni avete combattuto, oggi l'avete sposata e ne siete interpreti! Questa è la vera vergogna del Paese e di questo Stato! Questa è la vera condizione di debolezza della nostra democrazia.
Ma sappiate che una nuova coscienza serpeggia nel sud del nostro Paese, la consapevolezza da parte di tanti giovani, di tantissimi giovani, di dovere riscattare la propria storia e la propria terra, di doversi ergere a difensori dei diritti, delle aspettative e contro tutte le nefandezze che sono state perpetrate e compiute contro questo popolo, non per inseguire sogni di scissione.
Noi abbiamo pagato il prezzo più elevato per l'unità del Paese: andate nei sacrari, andate a leggere i cognomi dei caduti, vedete quanti sono i siciliani che sono ricordati, i campani, i calabresi. Quelle battaglie le abbiamo combattute con il nostro sangue, e se abbiamo voluto partecipare alla costruzione di questo Stato unitario, ci crediamo noi per primi, Pag. 57ma non vogliamo che altri lo rapinino anche in nostro danno e in barba alle nostre speranze.
Invertiamo questa rotta! Il Parlamento dia un segnale al Governo e lo dia forte. Non ci sono deleghe che il Governo può esercitare: è assurdo che, da un lato, approviamo il decreto-legge al nostro esame e, dall'altro, presentiamo un ordine del giorno con il quale diciamo al Governo di stare attento però perché su alcune questioni di fondo esso dovrà comunque, in ogni caso, trovare il modo di confrontarsi con il Parlamento. Ma di che cosa andiamo «cianciando»? Di che cosa ci occupiamo? Di che cosa stiamo discutendo? Vi rendete conto che anche la proposizione culturale di questo è un modello di arretratezza politica?
Abbiamo deciso di abbandonare le armi, di non essere più deputati; e allora noi non abbiamo l'interesse di inseguire il Governo per creargli condizioni di crisi, perché sappiamo poi che comunque il prezzo più alto finiremo per pagarlo sempre noi... Noi vogliamo un Governo che governi, un Governo che eserciti il suo ruolo, che lo eserciti pienamente, ma che lo faccia rispettando l'Italia, tutta l'Italia, da nord a sud, non basandosi sulla surrettizia divisione tra centrosinistra e centrodestra, che ormai è propria solo dei dibattiti nel chiuso di quest'aula - cui la gente non crede più -, ma nella convinzione invece, nella consapevolezza, nella constatazione che il Paese, ancor più di prima e di sempre, dalla sua unità è diviso in centro-nord e in centro-sud.
Lavoriamo per recuperare questo gap, questa divisione, e per farlo dobbiamo rafforzare la centralità del Parlamento, il ruolo del Parlamento stesso. Dopo, soltanto dopo, avremo la possibilità di lavorare, affinché questo Paese possa realmente andare avanti nel migliore dei modi.
Io credo di dover concludere qui, signor Presidente. Ringrazio lei e tutti coloro che sono qui dentro, per avere ascoltato le mie parole, che non volevano essere stentoree, ma volevano soltanto essere un grido: perché no? Ogni tanto il grido serve, come anche serve la voce alta, perché significa che c'è qualcosa che ci fa male e noi vogliamo eliminare questo qualcosa che ci fa male!
Mi auguro che si possa intraprendere una nuova strada, ma, per le ragioni che ho richiamato, noi saremo fermamente contrari alla conversione in legge del decreto-legge al nostro esame (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle modifiche introdotte dal Senato.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2114-B)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice, onorevole Amici, rinunzia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Presidente, onorevoli deputati, svolgerò pochissime considerazioni in replica, anche per rispondere ad alcuni inviti che mi sono arrivati nel corso della discussione lunga, approfondita ed interessante che si è svolta nel pomeriggio di oggi.
Stiamo procedendo alla terza lettura di questo provvedimento. Sono stati sollevati alcuni temi più strettamente legati a questioni di procedura e di modalità di esame dei decreti-legge, che fanno seguito al dibattito già intervenuto in quest'aula in prima lettura, sia in sede di discussione sulle linee generali sia subito dopo la comunicazione delle decisioni della Presidenza della Camera, che aveva illustrato le motivazioni che l'avevano spinta a non considerare ammissibili molti - devo dire - degli emendamenti presentati e - come è stato ricordato - anche a proporre di espungere dal testo intanto licenziato dalla Pag. 58I commissione alcuni degli emendamenti che in quella sede erano stati approvati.
Già in quella sede ebbi a dichiarare che il Governo intendeva adeguarsi, apprezzandolo, all'indirizzo di maggior rigore che la Presidenza della Camera proponeva per l'esame dei decreti-legge. Già in quella sede - lo ricordo - emendamenti del Governo stesso erano stati dichiarati inammissibili e, di fronte all'inammissibilità di altre proposte emendative, per sua iniziativa il Governo aveva ritirato, prima delle determinazioni della Presidenza, altri emendamenti che, per il criterio che veniva applicandosi, sarebbero risultati inammissibili. Devo dire - anche per precisare - che, sulla scorta di questo atteggiamento assunto in sede di prima lettura e in relazione anche alla delicatezza della materia che si veniva profilando per la diversa applicazione dei regolamenti nonché per la diversa interpretazione della legge n. 400 del 1988 da parte della Camera e del Senato, il Governo non ha presentato al Senato alcun emendamento, dichiarando in anticipo che non riteneva di dover presentare emendamenti proprio per evitare di alimentare una qualche difficoltà nelle relazioni tra la Camera e il Senato e lo stesso Governo in questa materia.
Tutti gli emendamenti approvati dal Senato sono di iniziativa parlamentare, anche quelli che, dal punto di vista procedurale, sono stati qui segnalati come i più controversi, vale a dire quelli che fanno riferimento a deleghe o utilizzando la riapertura dei termini entro i quali esercitare i poteri correttivi ed integrativi oppure, come nel caso della delega relativa alla Convenzione di Oviedo, riaprendo i termini per l'esercizio di una delega ricognitiva e di coordinamento, come l'onorevole Boato ha avuto l'amabilità di ricordare. Ci è stata fatta presente dal Senato la consuetudine favorevole all'ammissibilità in sede di disegno di legge di conversione di riferimenti a processi di delega. Quindi, sia chiaro: non è stata un'iniziativa del Governo chiedere deleghe o riaperture di deleghe. Diciamo pure che non si è determinato oggettivamente alcun corto circuito, dal punto di vista sostanziale, tra il decreto-legge e la delega conferita al Governo. Si determina, invece, una qualche lesione della consuetudine richiamata soprattutto dalla Camera dei deputati di non ritenere ammissibile, sia in sede di decreto-legge sia di legge di conversione, qualsiasi riferimento alla riapertura di deleghe o a nuove deleghe. Per questo, l'onorevole Boato mi ha rivolto un invito a cui credo di poter corrispondere favorevolmente. E lo dichiaro già in questa sede.
Qualora fosse formalizzato un indirizzo dell'Assemblea, in sede di esame degli ordini del giorno (che, di solito, «accompagnano» i decreti-legge), il Governo rispetterebbe l'impegno a non esercitare i poteri di delega, naturalmente, io credo, anche con la sottolineatura della condivisione, da parte della Camera, dell'opportunità che, però, si intervenga nelle due materie oggetto del riferimento: nell'un caso, perché è indispensabile assicurare, attraverso un diverso procedimento, i provvedimenti correttivi ed integrativi in materia di riordino del Corpo dei vigili del fuoco; nell'altro, perché è veramente assurda la situazione determinatasi; pur avendo recepito, peraltro tra i primi, la Convenzione di Oviedo, mancando gli elementi di coordinamento tra la nostra legislazione e la decisione di ratificare la Convenzione medesima, sono rimaste in sospeso numerose questioni. Nel dibattito svoltosi in Senato, alcuni senatori, soprattutto quelli della Commissione sanità, hanno sottolineato che risolvere tali questioni sarebbe indispensabile anche per affrontare altri delicati problemi nel campo della biomedicina e della bioetica, compresi quelli che hanno attinenza con il cosiddetto testamento biologico. Per inciso, la proposta di modifica è maturata al Senato su iniziativa del presidente della Commissione sanità ma, in realtà, era supportata dall'intera Commissione; e questa era una posizione della quale dobbiamo politicamente tenere conto.
Sono stati fatti alcuni riferimenti anche al merito delle modifiche introdotte dal Pag. 59Senato - ripeto, tutte di iniziativa parlamentare -, riguardo alle quali il Governo ha preso atto della volontà emendativa che al Senato maturava. Occorre precisare che, così com'è avvenuto alla Camera in prima lettura, anche al Senato, durante la seconda lettura, il Governo ha mostrato grande disponibilità nei confronti delle proposte di modifica e delle aggiunte che potevano essere introdotte rispetto al testo iniziale del decreto-legge. Poiché uno degli intervenuti ha voluto elencare, una per una, le misure che, in sede di dichiarazione di inammissibilità, avrebbero visto più colpita l'opposizione che il Governo e la maggioranza (in realtà, le cifre, lette attentamente, non sarebbero quelle indicate), desidero ricordare che circa quindici degli emendamenti approvati dal Senato corrispondono ad iniziative dell'opposizione in quanto tale o ad iniziative alle quali l'opposizione ha attivamente partecipato (presentando emendamenti paralleli o sottoscrivendo un unico emendamento trasversale). Quindi, e lo dico affinché resti agli atti, le modifiche di merito introdotte al decreto-legge dal Senato sono state approvate in un clima molto costruttivo, del quale gli stessi rappresentanti dell'opposizione che sono intervenuti in dichiarazione di voto hanno voluto dare atto sia alla maggioranza sia al Governo.
Evidentemente, non c'è stato un uso di parte, per interessi della maggioranza o, come pure è stato detto, per la condizione particolare che caratterizza la vita della maggioranza al Senato (sotto il profilo dei margini numerici più ristretti), ma il tentativo di utilizzare questa occasione per affrontare alcuni dei temi che si è ritenuto meritevoli di attenzione. Ciò non esclude la necessità di continuare una riflessione - non più fine a se stessa, mi auguro, ma con contenuti operativi - che ci porti ad un coordinamento delle procedure delle due Camere e del Governo in ordine alla presentazione ed all'esame dei decreti-legge (con riferimento ai quali la questione assume un particolare rilievo).
Mi auguro che questo sia possibile. Toglierebbe, peraltro, il Governo dall'imbarazzo di dover decidere se debbano essere prevalenti alcune ragioni presenti nel regolamento e nella prassi della Camera o se debbano esserlo quelle del Senato. Tra l'altro, esse sono di diversa natura, in quanto su alcune materie sembra più rigoroso l'esame del Senato, mentre su altre sembra più rigoroso quello della Camera. Quindi, sarà proprio utile armonizzare questi due diversi procedimenti per arrivare ad un risultato positivo.
Desidero dire, a tale proposito, che è vero che sono stati adottati alcuni emendamenti che ripropongono i testi approvati o valutati già favorevolmente alla Camera e poi dichiarati inammissibili, ma, così come devo prendere atto dell'esame, come al solito, puntuale e rigoroso svolto dal Comitato per la legislazione, sui numerosi aspetti problematici di carattere procedurale che il decreto presenta, anche in questa sua terza lettura (e, forse, addirittura, in sovrappiù rispetto al testo iniziale), così devo prendere atto anche del giudizio favorevole che, nel merito, è stato espresso in alcuni pareri delle Commissioni, in alcuni interventi che ci sono stati nel corso della discussione generale e anche nelle sottolineature che la stessa relatrice ha dovuto fare, con riferimento al testo così emendato del decreto che viene al nostro esame.
Non senza ricordare - non per puntiglio, ma solo per una sottolineatura - che uno degli emendamenti più rilevanti, ovvero quello che fa riferimento al mantenimento da parte dei commissari delle risorse finanziarie tese a consentire la prosecuzione delle attività di impianto e di avvio delle nuove province, come ricorderemo tutti, fu adottato alla Camera su iniziativa di un parlamentare autorevole dell'opposizione e fatto proprio dalla maggioranza, rilevo che al Senato è stato ripresentato dal relatore, in realtà, certo, anche con la consapevolezza che era un provvedimento su cui si poteva realizzare una convergenza molto ampia.
Non voglio qui entrare nel merito di altre questioni. Per quel che riguarda le Pag. 60concessioni idroelettriche di Trento e Bolzano, rinvio agli argomenti molto precisi che ha adoperato l'onorevole Boato, il quale ha chiarito, una volta per tutte, la natura di quel tipo di provvedimento e anche di una serie di effetti negativi che si sarebbero avuti sull'intero sistema delle concessioni qualora non avessimo ripristinato tale deroga prevista (lo capiremo, poi, da quello che potrebbero maturare nei prossimi mesi, anche in sede di pronuncia su giudizi pendenti davanti all'Alta Corte, relativi a questo tema).
Credo che lo sforzo che abbiamo fatto complessivamente, prima nel passaggio alla Camera, poi al Senato, non è stato quello di presentare un provvedimento asciutto e poi di averne allargato le maglie a dismisura. Non abbiamo fatto questo e, in realtà, abbiamo mantenuto il carattere piuttosto asciutto del provvedimento, con un criterio abbastanza omogeneo di riferimento alle proroghe, che copre quasi il 98 per cento del testo, e con l'idea, probabilmente, anche di utilizzarlo per ridurre in futuro il ricorso ad ulteriori proroghe scadute o in scadenza.
Desidero dire all'onorevole Reina, che da ultimo ha sollevato, accanto ad alcuni temi che si riferiscono più direttamente al decreto, anche una delicata questione, quella della vicenda di Gela, che guardiamo con molta attenzione ad essa. Il Governo si riserva di esprimere le sue valutazioni nella sede più propria, ma non siamo né disattenti né sordi rispetto al significato della denuncia riproposta in quest'aula.
Desidero da ultimo soprattutto ringraziare l'onorevole relatrice per la puntualità del suo lavoro e comunque tutti i deputati per la costruttività della loro partecipazione al dibattito. Mi auguro che i prossimi decreti-legge abbiano un minore impatto negativo, almeno dal punto di vista procedurale e delle modalità, rispetto a questo, che sicuramente è già migliore dei primi che abbiamo presentato all'inizio della legislatura (Applausi dei deputati dei gruppi Ulivo e Verdi).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente (ore 19.42).

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del regolamento, in sede referente, alla IX Commissione (Trasporti):
«Conversione in legge del decreto-legge 19 febbraio 2007, n. 14, recante disposizioni urgenti in materia di installazione su particolari veicoli di strisce retroriflettenti» (2280) - Parere della I Commissione.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani, anche a seguito di quanto stabilito nell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo.

Mercoledì 21 febbraio 2007, alle 9,30:

(ore 9,30 e al termine dello svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata)

1. - Seguito della discussione delle mozioni Mura ed altri n. 1-00095, Sereni ed altri n. 1-00096, Balducci ed altri n. 1-00098, Cioffi ed altri n. 1-00102, Frias ed altri n. 1-00103 e Lussana ed altri 1-00104 sulle iniziative per contrastare le Pag. 61violazioni delle libertà individuali della donna in nome di precetti religiosi.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1236 - Conversione in legge del decreto-legge 27 dicembre 2006, n. 299, concernente abrogazione del comma 1343 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante disposizioni in materia di decorrenza del termine di prescrizione per la responsabilità amministrativa (Approvato dal Senato) (2200).
- Relatore: Dato.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative. Disposizioni di delegazione legislativa (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (2114-B).
- Relatore: Amici.

4. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
MAZZONI; MASCIA ed altri; BOATO e MELLANO; DE ZULUETA: Istituzione della Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (626-1090-1441-2018-A/R).
- Relatore: Mascia.

5. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale:
ANGELA NAPOLI; LA RUSSA ed altri; BOATO; ZACCARIA ed altri: Modifica all'articolo 12 della Costituzione in materia di riconoscimento dell'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica (648-1571-1782-1849-A).
- Relatore: Bocchino.

6. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti di indagine (1638-A)
e delle abbinate proposte di legge: JANNONE; MIGLIORE ed altri; FABRIS ed altri; CRAXI ed altri; NAN; MAZZONI e FORMISANO; BRANCHER ed altri; BALDUCCI (366-1164-1165-1170-1257-1344-1587-1594).
- Relatore: Tenaglia.

(ore 15)

7. - Svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.

La seduta termina alle 19,45.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 2
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Moz.Lussana ed a. 1-104-em.1/1-104 Mancanza numero legale NO
2 Nom. Moz.Lussana ed a. 1-104-em.1/1-104 361 211 150 106 95 116 71 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.