XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 84 di lunedì 11 dicembre 2006

[frontespizio]
[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
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[indice cronologico]
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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI

La seduta comincia alle 12,35.

SERGIO D'ELIA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 6 dicembre 2006.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Albonetti, Amato, Aprea, Bersani, Bindi, Bocchino, Boco, Bonino, Cento, Chiti, Colucci, Damiano, De Castro, De Piccoli, Di Pietro, Duilio, Fabris, Fioroni, Galante, Gentiloni Silveri, La Loggia, Lanzillotta, Letta, Levi, Marcenaro, Melandri, Meloni, Meta, Minniti, Mosella, Mussi, Parisi, Paroli, Pecoraro Scanio, Pollastrini, Prodi, Ranieri, Realacci, Rigoni, Rutelli, Santagata, Sgobio, Stucchi, Tremonti e Visco sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono quarantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 12,38).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative per garantire un'adeguata ricezione di Radio BBS-Popolare network nella città di Roma n. 2-00167).

PRESIDENTE. L'onorevole Smeriglio ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00167 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).

MASSIMILIANO SMERIGLIO. Signor Presidente, si è ritenuto necessario utilizzare lo strumento dell'interpellanza urgente, sottoscritta da altri cinquanta colleghi, al fine di porre in rilievo la vicenda oggetto del presente atto di sindacato ispettivo.
Signor sottosegretario, da oltre due anni e mezzo un'emittente radiofonica di Roma, Radio BBS-Popolare network, attende di poter trasmettere senza interferenze nella capitale. Si tratta di una richiesta legittima, dato che l'emittente in questione è titolare di regolare concessione ministeriale ed è autorizzata alla prosecuzione dell'attività di radiodiffusione.
Nel corso degli ultimi anni, presso il Ministero delle comunicazioni si sono susseguiti incontri, tavoli tecnici e riunioni al fine di trovare una soluzione ai problemi interferenziali che riguardano Radio BBS-Popolare network. Nel luglio del 2004, sempre presso il Ministero delle comunicazioni, la RAI e gli editori privati coinvolti nel piano di compatibilizzazione hanno sottoscritto un accordo che prevede lo spostamento, nel bacino di Roma, di RAI Isoradio sulla naturale frequenza 103,300 MHz e il conseguente posizionamento di Radio BBS-Popolare network sulla frequenza 103,500 MHz.
Nella passata legislatura due ministri delle comunicazioni, Landolfi e Gasparri, si erano impegnati con atti ufficiali ePag. 2pubblici a risolvere i problemi interferenziali di Radio BBS-Popolare network. Lo scorso anno sia il consiglio comunale di Roma sia il consiglio regionale del Lazio hanno approvato all'unanimità due distinte mozioni per affermare il diritto di Radio BBS-Popolare network e per chiedere la soluzione dei problemi interferenziali. Ad oggi nulla è cambiato e l'emittente in questione continua a vivere nella precarietà, in attesa che la macchina burocratica del Ministero delle comunicazioni renda operativo l'accordo del luglio 2004.
In queste settimane il Ministero delle comunicazioni, in particolare la direzione generale guidata dal dottor Giovanni Bruno, sta perseguendo una soluzione tecnica che appare difficilmente praticabile. La direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica e di radiodiffusione ha autorizzato lo spostamento di RAI Isoradio e di Radio BBS-Popolare network, subordinandolo però - e qui c'è un aspetto delicato - ad un altro spostamento che dovrebbe avvenire mediante un accordo tra privati. Accordo, quest'ultimo, che potrebbe non solo rallentare, ma addirittura bloccare il progetto di compatibilizzazione generale. Per fare un esempio: il ministero ha già autorizzato lo spostamento di Radio Programma Italia da una postazione cittadina ad una montana, fatto che permetterà a quest'ultima emittente di ampliare notevolmente il suo bacino d'utenza. Certo è che Radio BBS-Popolare network ha dovuto attendere più di tre anni per arrivare alla prima fase del progetto di compatibilizzazione la cui realizzazione è ancora in divenire, mentre per Radio Programma Italia sono bastate poche ore e la disponibilità dei funzionari ministeriali.
Radio BBS-Popolare network è un'emittente di informazioni indipendente. Ogni giorno produce due giornali radio locali, una rassegna stampa cittadina, una trasmissione di approfondimento sui principali fatti del giorno, un rotocalco di cultura e spettacoli. A queste trasmissioni si aggiungono gli appuntamenti informativi di Radio Popolare network. Il 40 per cento della programmazione è dedicata all'informazione: una scelta forte, in controtendenza rispetto alle altre emittenti locali, in particolare romane, che investono solo o prevalentemente nell'informazione sportiva o nell'intrattenimento puro.
Il progetto editoriale è supportato da una redazione composta da oltre dieci persone, donne e uomini che lavorano con passione e professionalità nonostante la mancanza di risposte chiare da parte del Ministero delle comunicazioni ai problemi interferenziali che affliggono l'emittente.
La radio intende porsi come soggetto di comunicazione, informazione e cultura di interesse pubblico, scegliendo esplicitamente di interpretare in particolare gli interesse di quanti - sono la maggioranza della popolazione - sono costretti a subire i meccanismi dei processi informativi e non hanno strumenti né per incidervi, né per tutelarsene. Radio BBS fonda i presupposti della propria indipendenza nell'autonomia finanziaria, nella criticità, nella ricerca, nella scelta di guardare alla trasformazione, in quella di schierarsi, comunque, a fianco di coloro i cui diritti sono negati.
Quello di Roma è un bacino radiofonico affollatissimo, dove si intrecciano interessi per milioni di euro. Basti pensare che una buona frequenza sulla capitale può costare da 1 a 2 milioni di euro. Fondamentale, quindi, dovrebbe essere l'opera di controllo da parte dello Stato finalizzata a garantire a tutti gli editori lo stesso trattamento.
Solo con una gestione trasparente delle risorse radioelettriche sarà possibile avviare tutto ciò quale processo di riforma del sistema radiotelevisivo come inserito anche nel programma di Governo dell'Unione.
Da ultimo, potremmo ritenere soddisfacente la risposta se venissero definiti i tempi e le modalità per superare i problemi interferenziali di Radio BBS, in pratica, se venisse indicata una precisa tabella di marcia. Viceversa, riterremmo la risposta insoddisfacente se si facesse ricorso ad una serie di fattispecie generiche non vincolanti; ad esempio, se la soluzione del problema venisse rimandata ad unaPag. 3più ampia riforma del settore; in particolare, se si facesse riferimento ad una nuova pianificazione delle frequenze radioelettriche che sarebbe allo studio del Ministero delle comunicazioni, posto che per la pianificazione occorrono anni (basti pensare che, dal 1990, anno dell'approvazione della legge Mammì, nessun ministro è riuscito nell'impresa); se si dicesse che è allo studio un nuovo piano di compatibilizzazione delle forze operanti sul bacino di Roma, perché questo si tradurrebbe in ulteriori ritardi valutabili in due o tre anni per la risoluzione dei problemi interferenziali di Radio BBS; se, per giustificare la lentezza del ministero, si facesse riferimento ad un quadro oggettivamente difficile, in cui operano molte emittenti radiofoniche (sono tre anni che questo argomento viene utilizzato per rimandare l'operatività dell'accordo siglato nel luglio del 2004); se si facesse genericamente riferimento alla tutela del servizio pubblico radiotelevisivo; se, per giustificare la lentezza del procedimento, venisse citata come attore interessato alla compatibilizzazione un'altra emittente radiofonica privata operante su Roma (Radio Programma Italia): infatti, proprio quando si era ad un passo dalla soluzione dei problemi interferenziali di Radio BBS, ministero e ispettorato hanno tentato di inserire questa emittente nel quadro di compatibilizzazione generale, un fatto che ha ulteriormente ritardato qualsiasi decisione in merito.
Per concludere, si chiede quali strumenti si intendano attivare per arrivare all'immediata compatibilizzazione del segnale di Radio BBS permettendo, così, alla radio di essere finalmente ascoltata. Ringrazio il Presidente e il rappresentante del Governo per l'attenzione.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le comunicazioni, Giorgio Calò, ha facoltà di rispondere.

GIORGIO CALÒ, Sottosegretario di Stato per le comunicazioni. Signor Presidente, in relazione all'interpellanza parlamentare degli onorevoli Smeriglio ed altri faccio presente che l'associazione radiofonica culturale BBS Master ha censito, ai sensi dell'articolo 32 della legge n. 223 del 1990, un impianto radiofonico ubicato nella postazione di Montecelio Guidonia, ottenendo poi ai sensi della legge n. 422 del 1993, la concessione per il suo esercizio sulla frequenza 94,100 MHz.
Il medesimo impianto è stato poi autorizzato provvisoriamente ad operare sulla frequenza di 94,200 MHz per verificare la sua compatibilità, ai sensi della legge n. 122 del 1998, con quelli di Radio Subasio ubicati in Monte Mario a Roma, Tivoli Monte Ripoli, Albano e Vermicino, rispettivamente operanti su frequenza 94,000, 94,100, 94,200 e 94,250 MHz.
Nel tempo, l'emittente BBS ha presentato numerose istanze all'ispettorato territoriale del Lazio al fine di ottenere lo spostamento del proprio impianto da Guidonia Montecelio a Monte Cavo Rocca di Papa, ma tali richieste sono sempre state respinte dall'ispettorato perché non conformi a quanto prescritto dalla vigente normativa in tema di modifiche tecnico-operative degli impianti di trasmissione, in particolare per il sostanziale ampliamento dell'area di servizio censita ai sensi della legge n. 223 del 1990.
Da parte sua, il predetto ispettorato del Lazio ha esperito numerosi accertamenti al fine di attuare un'opera di compatibilizzazione per poter riposizionare l'impianto in modo da consentire la prosecuzione della sua attività. Quale soluzione fu proposto lo spostamento dell'impianto Radio BBS Master a Vermicino, ipotesi che, tuttavia, richiedeva una modifica delle frequenze utilizzate allo scopo di evitare l'insorgenza di stati interferenziali con altre emittenti.
La nuova postazione, dalla quale si era ipotizzato l'uso della frequenza 103,500 MHz, sebbene in larga parte equivalente alla vecchia come area di servizio, generava un'area interferenziale maggiore rendendo necessaria un'opera di compatibilizzazione più generale che coinvolgeva numerose emittenti.
Poiché, come è noto, il Ministero delle comunicazioni non può autorizzare modifiche che comportino interferenze a terzi,Pag. 4sono state sentite tutte le emittenti interessate - Radio Delta Velletri, Radio Dimensione Suono network, Radio Subasio, Isoradio RAI, Radio BBS Master - per esaminare le varie ipotesi di soluzione al problema senza, tuttavia, addivenire ad un definitivo appianamento della questione, ma soltanto ad un temporaneo accordo.
Dopo una serie di incontri tenutisi presso l'ispettorato del Lazio, è stata ipotizzata una soluzione che prevedeva l'utilizzo della frequenza 103,500 MHz da Vermicino da parte di BBS Master ed il contestuale spostamento dell'impianto della RAI da Monte Cavo Vetta in località Costarelle, con variazione della frequenza a 103,300 MHz. Tale soluzione non ha avuto seguito, atteso che la RAI non ha dato la sua approvazione finale in quanto con tale proposta l'area di servizio RAI avrebbe subito una riduzione nella zona pontina.
Al riguardo va precisato che, senza la riduzione dell'area di servizio RAI, lo spostamento della frequenza avrebbe creato interferenze all'emittente Radio Delta Velletri.
La successiva attivazione, da parte dell'emittente BBS Master, di un impianto operante da Vermicino sulla frequenza 103,600 MHz ha causato interferenze al servizio Isoradio RAI, inducendo la RAI a chiedere la revoca dell'autorizzazione sperimentale al suo esercizio. A seguito di ciò, i competenti organi ministeriali si sono nuovamente adoperati per trovare altre soluzioni, giungendo alla seguente conclusione: la RAI avrebbe dovuto sperimentare la frequenza di 103,300 MHz mentre l'emittente BBS Master avrebbe potuto continuare le trasmissioni sulla frequenza 103,600 MHz da Vermicino convenendo che, qualora vi fossero state segnalazioni di incompatibilità, sarebbe stata esaminata la possibilità di spostamento di BBS Master sulla frequenza 103,550 MHz dalla stessa postazione.
Tale sistemazione, insieme ad altre ipotesi successivamente valutate, non è parsa tuttavia in grado di tutelare completamente da interferenze il segnale RAI e quelli delle emittenti operanti su frequenze adiacenti. Il successivo impegno del ministero nella ricerca di una possibile soluzione che consentisse a tutti gli interessati di trasmettere senza subire interferenze nella propria area di servizio, ha conosciuto nelle ultime settimane un importante sviluppo.
Sono emerse infatti le condizioni affinché sia attivata, in via sperimentale, una soluzione che prevederebbe: Isoradio RAI sulla frequenza 103,300 MHz da Monte Cavo (con razionalizzazione degli impianti a raso già concordata); Radio BBS Master sulla frequenza 103,500 MHz da Vernicino; Radio Programma Italia sulla frequenza 103,700 MHz da Vermicino; la messa a disposizione di Radio Delta Velletri della frequenza 95,400 MHz da parte di Radio Subasio (con ciò si consentirebbe a Radio Delta Velletri di liberare la frequenza 103,300 MHz). L'ispettorato territoriale del Lazio del Ministero delle comunicazioni ha infine concesso, il 7 novembre ultimo scorso (Protocollo n. 3/IsoRai/103300/STR/06), un nulla osta provvisorio ad eseguire la sperimentazione sopraindicata.
Pur consapevole della complessità insita nell'opera di compatibilizzazione tra i numerosi impianti delle diverse emittenti interessate, il Governo giudica soddisfacente la proposta sopra illustrata (che consentirebbe fra l'altro di ripristinare l'isofrequenza per il servizio Isoradio RAI nel territorio romano) e non ha motivo di immaginare che sorgano impedimenti ad una sua tempestiva attuazione sperimentale, che permetta di verificare sul campo la sua auspicata idoneità a risolvere la locale situazione interferenziale, senza lesione degli interessi di alcun operatore coinvolto.

PRESIDENTE. L'onorevole Smeriglio ha facoltà di replicare.

MASSIMILIANO SMERIGLIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, pur riconoscendo lo sforzo del nuovo Governo per giungere alla soluzione sperimentale qui accennata, siamo comunque parzialmente soddisfatti della risposta, perché, a due anni e mezzo dalla sottoscrizionePag. 5dell'accordo tra le emittenti coinvolte nel progetto di compatibilizzazione, il ministero ancora non riesce ad indicare tempi certi per la soluzione di questa vicenda.
Non solo. Da parte degli organi centrali e periferici del ministero registriamo un'estrema lentezza nell'affrontare questa compatibilizzazione; una lentezza che sta creando danni sia al servizio pubblico Isoradio RAI sia all'emittente di informazione Radio BBS-Popolare network. Anziché salvaguardare due canali d'informazione che svolgono un servizio importante sul bacino di Roma, il ministero - se non interviene con forza - rischia di lasciare la soluzione della vicenda ad un mero accordo tra privati, abdicando di fatto alla sua funzione di indirizzo e di gestione dello spettro radio-elettrico. Ci preme ricordare che oltre all'ultima soluzione tecnica indicata nella sua risposta esistono anche altre possibilità, che prevedono l'interessamento di un minor numero di soggetti e che quindi paiono di più facile e rapida attuazione.
Nel caso in cui l'ultima soluzione individuata dal ministero non dovesse andare a buon fine, chiediamo agli uffici di procedere in tempi rapidi con le soluzioni tecniche alternative, già ampiamente esplorate. Per essere più chiari, per quanto ci consta, Isoradio RAI è disponibilissima a spostarsi sulla frequenza 103,300 MHz (che è la frequenza nazionale), in modo da lasciare la frequenza 103,500 MHz a Radio BBS-Popolare network. Però Radio Delta Velletri deve lasciare la frequenza. Il ministero, con somma urgenza e tempi certi, dovrebbe quindi far spostare immediatamente Radio Delta Velletri.
Grazie, signor Presidente, grazie, signor sottosegretario.

(Progetto di realizzazione di una moschea nella zona di Colle Val d'Elsa in provincia di Siena - nn. 2-00254 e 2-00270) .

PRESIDENTE. Avverto che le interpellanze Paoletti Tangheroni n. 2-00254 e Ceccuzzi n. 2-00270, che vertono sullo stesso argomento, saranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).
L'onorevole Paoletti Tangheroni ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00254.

PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Un minareto svetterà sul colle: un minareto di 8,30 metri, con una cupola alta 6, da realizzarsi su 3.200 metri quadrati di terreno edificabile, di cui circa 600 di costruzioni. Sarà il più imponente edificio di culto islamico, dopo la moschea di Roma. Questa è la presentazione entusiasta sul sito www.mondoarabo.it.
Sta di fatto che non si tratta di un semplice edificio di culto. Lo si capisce dalle parole dello stesso Feras Jabareen, imam di Colle Val d'Elsa: nuovo centro islamico con annesso luogo di culto, non luogo di culto con annesso centro islamico.
L'intera superficie, prima della delibera del comune, era adibita a parco pubblico: il parco di San Lazzero. La superficie coperta sarà, per la precisione, di 576 metri quadrati e l'edificio sorgerà a ridosso di abitazioni civili, in una zona molto densamente popolata.
Esiste, dunque, un primo problema evidente: quello della scelta di una ubicazione fatta a detrimento di un parco pubblico. Questa scelta dell'amministrazione locale ha suscitato la reazione di almeno 4 mila dei 14 mila abitanti di Colle Val d'Elsa, i quali hanno chiesto, a varie riprese, addirittura un referendum, peraltro negato dall'amministrazione locale. A Colle Val d'Elsa - questo aspetto è veramente importante -, signor Presidente, esiste già una moschea, in piazza Bartolomeo Scala, utilizzata come luogo di culto, largamente sufficiente per l'esiguo numero di musulmani presenti a Colle Val d'Elsa (meno di 200) e, oltretutto, più che sufficiente per le poche decine di fedeli che frequentano abitualmente la moschea. Nel corso di una trasmissione televisiva, è stato possibile riscontrare che alla preghiera del venerdì, che corrisponde alla messa della domenica per i cattolici, c'era una decina di persone o poco più. Ciononostante, il nuovo centro culturale islamico costituirà un'imponente megastruttura.Pag. 6
Il comune, di fatto, finanzia, seppur indirettamente, la moschea, accollandosi tutti i lavori di sistemazione dell'area circostante: ben 250 mila euro, approvati con delibera del 10 maggio 2005, n. 94, di cui 200 mila elargiti dal Monte dei Paschi di Siena. Soprattutto, il comune cederà, per 99 anni, la superficie su cui sorgerà il centro islamico, a un canone di affitto annuo, simbolico, di 11.908 euro per 3.200 metri quadrati di area.
I cittadini di Colle Val d'Elsa, organizzatisi in un comitato promotore del referendum, temono che, a causa di tale iniziativa, il loro quartiere diventerà una zona utilizzata esclusivamente dalla comunità musulmana (così come è avvenuto a Porta Palazzo a Torino, a Sassuolo e in altre località: è un dejà-vu che conosciamo tutti) in quanto la moschea sarà un centro di attrazione per altri musulmani.
Sia chiaro che la questione per i cittadini non ha certo una rilevanza religiosa: la tolleranza è delicatissima tra le popolazioni ed è storicamente scontata in quei luoghi. La questione, invece, ha una forte importanza dal punto di vista sociale e dell'ordine pubblico. La collocazione del condendo centro islamico lo rende un elemento estraneo all'interno del quartiere colligiano della Badia e, per questo, viene percepito come una decurtazione imposta dall'alto alla comunità stessa. La moschea, infatti, è imposta ai colligiani, i quali, tuttavia, dopo aver tentato di fermare i lavori con un referendum e dopo aver vanamente cercato di trovare un accordo con le amministrazioni, non si arrendono ancora. Sa perché, Presidente? Perché sono di cultura occidentale e sperano, per la loro tradizione, che esista un giudice a Berlino e, quindi, continuano a sperare che questo obbrobrio non si realizzi, per posizioni falsamente assunte.
I problemi di ordine pubblico sono dunque concreti e sentiti dalla popolazione, che paventa il pericolo che il quartiere Badia si trasformi in una casbah del tutto avulsa dal contesto locale, abbandonata dai cittadini italiani o sostituita con una realtà diversa, come è successo a Porta Palazzo a Torino.
Esiste però - e ciò è interessante, Presidente - una significativa opposizione anche sul versante islamico, ad esempio da parte di Yassin Belkassem, vicepresidente della Federazione delle associazioni della comunità marocchina in Italia, nonché membro della consulta comunale di Poggibonsi in provincia di Siena, il quale considera la costruzione della moschea un errore per due ragioni.
In primo luogo, egli disconosce la rappresentatività della sedicente Comunità dei musulmani di Siena e provincia - alla quale, infatti, è estraneo -, affiliata all'Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche italiane (UCOII), un gruppo legato, come tutti ormai sappiamo benissimo, ai Fratelli Musulmani. Questi ultimi non rappresentano oggi, come non hanno mai rappresentato in passato, posizioni di moderazione.
In secondo luogo, Belkassem è contrario perché sostiene che vi siano per i musulmani priorità più importanti della costruzione di una mega-moschea, priorità quali la casa, il lavoro, la scuola, una sana integrazione.
La quiete del colle, comunque, è già stata notevolmente turbata se è vero, come è vero, che, il 24 novembre ultimo scorso, l'incontro con il giornalista Magdi Allam, in occasione della presentazione del libro Io amo l'Italia ma gli italiani la amano?, si è potuto effettivamente realizzare perché il luogo è stato presidiato dalle forze dell'ordine.
Si consideri che ciò potrebbe essere solo l'inizio; a Torino, in certe zone, gli immigrati provenienti dai paesi del Maghreb sono ormai padroni ed hanno imposto il loro stile di vita, con il risultato che le case di quei quartieri, oltre ad avere perso completamente il loro valore, sono state abbandonate dai cittadini italiani. Inoltre, gli scontri con le forze dell'ordine, come saprà sicuramente il rappresentante del Governo, sono abbastanza frequenti in quella zona perché l'assenza di controlli - anche del mero controllo sociale operato dagli abitanti - trasforma tali ambiti in luoghi dove si annidano malavitosi.Pag. 7
Mi permetta, Presidente, di svolgere qualche breve considerazione; le chiederei prima, però, se ho il tempo sufficiente per poterlo fare...

PRESIDENTE. Ha a disposizione ancora 7 minuti dei 15 concessi per illustrare l'interpellanza.

PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Mi consenta allora, Presidente, di svolgere qualche breve considerazione sui processi di integrazione e sulla predisposizione sistematica e - sembrerebbe di poter aggiungere - scientifica delle condizioni perché si formino anche da noi, in Italia, focolai destinati a produrre nuove banlieu.
Il ruolo della pubblica amministrazione diventa cruciale per la gestione dell'immigrazione; che esso abbia qualche cosa a che fare anche con le dispute sul conflitto di civiltà è apparso improvvisamente chiarissimo a tutti quando, nel novembre del 2005, le periferie parigine hanno preso a bruciare. Tarik Ramadan, nipote del fondatore del più importante movimento fondamentalista moderno, quello dei Fratelli Musulmani, è stato chiamato in causa perché lui predicava nelle banlieu parigine. Certo, non incitava alla violenza, ma noi conosciamo benissimo come agiscono i cattivi maestri, che sono abituati a lanciare il sasso ed a nascondere la mano. Quindi, Ramadan ha sicuramente predicato ed ha fatto comizi nelle banlieu; ma si obietta che quanto accaduto non riguarda l'Islam ed ha altre cause. Anzi, coloro che stabiliscono un nesso tra l'Islam e quanto accaduto nelle banlieu parigine farebbero un regalo ai terroristi perché una rivolta sociale diventerebbe una rivolta religiosa.
Ebbene, ciò sarebbe giusto se tutti avessero detto che esiste solo ed esclusivamente quella causa; non si possono disconoscere tante concause perché un'analisi seria di una situazione presuppone che si guardino vari elementi, come certamente la crescente disoccupazione, il disagio economico, anche il tracollo del sistema scolastico dei servizi francesi della Francia di Chirac, spesso troppo occupata a criticare la politica dei suoi vicini anziché a guardare il tracollo ed i fallimenti in casa propria. Il fallimento - mi rivolgo al Governo - è derivato dal fatto che, in questo caso, è stata utilizzata una strategia «del bastone e della carota» sicuramente fallimentare. Altrimenti non sarebbero arrivati a questo modello.
Tuttavia, se il metodo francese è fallito, è fallito anche il sistema multiculturalista degli inglesi, i quali avevano applicato alla politica interna il loro modo di gestire le colonie. Mi riferisco alla cosiddetta indirect rule, in base alla quale non si gestiva direttamente il cittadino ma lo si faceva gestire dal capo tradizionale. Se poi questi capi - che fossero i maharaja o i capi tribù - erano feroci e sanguinari o persone equanimi poco importava, bastava che l'interesse dell'Inghilterra fosse salvo. Nei nuovi quartieri degli immigrati, gli inglesi hanno adottato questo stesso sistema, cioè si è lasciata la gestione dell'ordine e dell'organizzazione ai capi tradizionali. Il risultato lo abbiamo visto: o questi capi erano fondamentalisti, oppure non erano in grado di gestire i fondamentalisti.
Tornando al modello francese, esso era basato sulla imposizione della laïcité ai musulmani, agli ebrei e ai cristiani. Si tratta di una laicità di tipo giacobino, per così dire, secondo la quale si deve andare assolutamente d'accordo con le istituzioni laiche. Se questo non avviene, ci pensa il gendarme. Il grave problema è che i gendarmi sono divenuti 100 per 10 mila musulmani. Quindi, questo sistema, che richiede che il gendarme controlli, ad esempio, se la bambina indossi o meno il velo - in quanto la laïcité si spinge fino a questo punto -, esplode e non funziona più.
Dunque, i due sistemi, quello inglese e quello francese, si dimostrano, come ripeto, assolutamente fallimentari. Allora - mi rivolgo ai membri del Governo - dovremmo forse rispolverare il nostro sistema, che non era del tutto impraticabile. Quanto meno, proviamolo! Diversamente da quelle inglese e francese, la soluzione italiana non è una soluzione all'italianaPag. 8che mescola, con buonsenso, «bastone e carota» ma un'offerta di integrazione diretta, anzitutto, ai singoli musulmani. Questa soluzione privilegia la loro integrazione per via politica, attraverso percorsi che portano alla cittadinanza e passano - come nell'esperienza canadese - attraverso corsi accelerati di educazione civica. La chiave è nella ricerca di soluzioni che si rivolgano direttamente al singolo musulmano aggirando l'ostacolo contro il quale si sono scontrati, registrando il fallimento, i modelli precedentemente citati, cioè le associazioni musulmane.
Quanto avviene a Colle Val d'Elsa, invece è un misto tra buonismo inglese verso i musulmani che devono gestirsi attraverso un'imprecisata autorità, non riconosciuta neppure dagli stessi musulmani, e una rigidità alla francese, una rigidità che, però, è rivolta verso i non musulmani, ai quali si chiede una laïcité che impone la rinuncia alla propria identità culturale, per sostituire le nostre campane con i moezzin.
Credo si debba fare molta attenzione a non innescare fenomeni di xenofobia - mi rivolgo al Governo - che poi è difficile controllare, signor Presidente. Gli italiani non sono assolutamente razzisti, ma occorre essere molto attenti alla xenofobia, che è altra cosa e nasce quando si percepisce una minaccia non ad una presunta superiorità biologica, ma semplicemente al proprio stile di vita o alla propria cultura. Io vivo in Toscana, a Pisa, ed ho una figlia che, nei suoi sogni di ventenne, vorrebbe percorrere la carriera diplomatica. Si tratta di una ragazza, quindi, predisposta all'apertura ed al confronto. Eppure, recentemente ho riscontrato in lei alcuni tratti di xenofobia che mi hanno molto preoccupato, in particolare perché si tratta di una ragazza adottata, di origini ruandesi, che vive in Italia, da italiana, ed è naturalmente pronta ad accogliere il diverso. Si deve stare molto attenti - rivolgo un appello accorato al Governo - perché la xenofobia è pericolosissima.

PRESIDENTE. Onorevole Paoletti Tangheroni...

PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente.
C'è una sorta di emblematica violenza nello scempio ambientale che la costruzione della moschea provocherà. È una violenza che potrebbe compromettere per sempre la possibilità di una reale e progressiva integrazione, che in primo luogo vuol dire rispetto reciproco.

PRESIDENTE. L'onorevole Ceccuzzi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00270.

FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, mi corre innanzitutto l'obbligo di illustrare la mia interpellanza perché, come lei spero potrà apprezzare, nel corso del mio intervento sarò in grado anche di fornire elementi di chiarezza, di ulteriore conoscenza e di precisazione rispetto all'esposizione di chi mi ha preceduto, che ha introdotto diverse imprecisioni, sulle quali, data la delicatezza della materia, mi vorrei soffermare.
Vorrei ringraziare l'onorevole sottosegretario per la sua presenza e la sua attenzione. Infine, mi corre l'obbligo di rivolgere un ultimo ma non meno sentito ringraziamento a ciascuno dei colleghi deputati dei diversi gruppi della maggioranza - L'Ulivo, Rifondazione Comunista, Popolari-Udeur e Italia dei Valori - che hanno sottoscritto questa interpellanza, consentendo così di discuterla con l'urgenza che essa merita.
Abbiamo ritenuto molto importante e, ad un certo punto, imprescindibile il pronunciamento odierno del Governo - l'esposizione distruttiva di chi mi ha preceduto conferma questa necessità, non certo per responsabilità dello stesso Governo o degli interpellanti - proprio nel luogo più solenne dell'aula parlamentare. Infatti, la vicenda della quale ci stiamo occupando e che mi accingo ad illustrare presenta dei risvolti tutt'altro che locali, per quanto sia ambientata in una tranquilla e gradevolissima - e tale rimarrà, probabilmente, per sempre - cittadina di oltre 20 mila abitanti (non 14 mila, comePag. 9diceva l'onorevole Paoletti Tangheroni) della provincia di Siena, cioè Colle Val D'Elsa. Colle Val D'Elsa è una città molto dinamica dal punto di vista demografico, che non risente certamente di quello che lei diceva, anzi gli abitanti continuano ad aumentare. Proprio a Colle Val D'Elsa sono iniziati da poche settimane i lavori per la costruzione di un nuovo centro culturale islamico, che comprenderà anche l'edificazione di un luogo di culto; un intervento conosciuto e volgarizzato nella pubblicistica come la nascita di una nuova moschea, ma che sarebbe del tutto limitativo descrivere così come in seguito avrò modo di argomentare.
La delimitazione del terreno dove si insedierà il cantiere - a compimento di un percorso trasparente, di garanzia e, peraltro, innovativo - ha provocato reazioni scomposte di diversi esponenti politici del centrodestra financo stamattina. In taluni casi, si è trattato di prese di posizione del tutto legittime, per quanto non assolutamente condivisibili sul piano politico e culturale; in altri casi, purtroppo - lo dico con rammarico - abbiamo ascoltato parole troppo forti ed obiettivamente pronunciate per alzare il livello dello scontro sino al «muro contro muro» tra uomini e donne di diversa etnia, religione e cultura.
Scaturisce da qui l'urgenza dell'interpellanza, motivata soprattutto dalle continue e ripetute strumentalizzazioni mediatiche e dagli incitamenti allo scontro tra civiltà e religioni, che non possono lasciare indifferente nessuna coscienza e tanto meno chi, come noi, ha l'onore di rappresentare la nazione. In questo contesto sono persino maturati atti vandalici inopportuni, come l'abbattimento nei giorni scorsi di alcuni pali di recinzione del cantiere appena aperto ed il tentativo, miseramente fallito, di far sollevare la popolazione locale contro la comunità islamica, facendo leva sui sentimenti di insicurezza e di diffidenza che ormai troppo spesso caratterizzano la scena internazionale a causa di tutti gli attentati terroristici che si sono verificati nel mondo dopo l'11 settembre 2001 e che hanno fatto migliaia di vittime innocenti, alle quali va il nostro pensiero commosso.
Anche in questa occasione, però, la popolazione di Colle Val D'Elsa ha dato l'ennesimo segnale di maturità democratica ed ha dimostrato di saper affrontare le sfide dell'integrazione, forte della sua identità di città aperta e solidale. Oggi in questa città fondata da sempre sui valori di civiltà, solidarietà, dialogo e democrazia risiedono più di mille immigrati, senza che si sia mai verificato alcun problema. Il percorso di conoscenza e di integrazione si è costruito ed arricchito nel corso degli anni con azioni quotidiane, fra cui l'attivazione di uno sportello di consulenza e di supporto ai cittadini stranieri, con la presenza di mediatori linguistico-culturali, il sostegno ai minori inseriti nelle scuole dell'obbligo per l'apprendimento della nostra lingua, la collaborazione dell'amministrazione comunale con associazioni di volontariato per l'attivazione di corsi di lingua e di cultura italiana per adulti. Questi, Presidente, sono solo alcuni degli atti che l'amministrazione comunale di Colle Val D'Elsa ha sostenuto e continua a sostenere per favorire la conoscenza e la consapevolezza della nostra cultura e delle nostre regole.
La principale convinzione alla base di tutto ciò, infatti, è che si possa combattere l'ignoranza, la paura del diverso e di ciò che non si conosce solo garantendo a tutti il diritto di espressione, attraverso un cammino di integrazione capace di produrre maggiore sicurezza e fiducia reciproca. È su queste basi che l'amministrazione comunale ha sempre promosso il dialogo verso popoli di cultura e origini diverse e, dunque, non solo, ma anche nei confronti della comunità islamica locale, presente da oltre dieci anni nella città di Colle Val d'Elsa, che ha condiviso e promosso sin dall'inizio un percorso fatto di iniziative culturali e religiose volte a favorire la conoscenza reciproca.
Sempre per conoscenza, tale comunità si costituisce in associazione con atto notarile del 10 marzo del 1999. Da alcuni anni questa comunità islamica locale aveva a disposizione un piccolo locale nelPag. 10centro della città, quindi non una moschea, ma una stanza in cui svolge quotidianamente le proprie attività, culturali e religiose, e dove, sempre più spesso, ha accolto scolaresche da zone diverse della provincia di Siena, studenti, ma anche semplici cittadini desiderosi di conoscere la cultura araba.
Nel 1999 la comunità chiese al comune un terreno per poter costruire una nuova struttura che fosse più adeguata al crescente numero di persone e che permettesse di ampliare le attività culturali svolte, promuovendo altre iniziative di conoscenza e di integrazione della loro cultura con quella occidentale. Questo delicato processo di dialogo e di collaborazione è divenuto, però, indubbiamente più complesso dopo l'11 settembre del 2001. La situazione internazionale creatasi dopo quei tragici attentati terroristici e la diffusione di sentimenti di insicurezza e di diffidenza verso popoli di cultura e religione diversa, in particolare islamica, hanno infatti reso molto difficile la vita di questo laboratorio di integrazione avviato a Colle Val d'Elsa. Tuttavia, nel 2003, con coerenza e coraggio, l'amministrazione comunale ha individuato e concesso in diritto di superficie per 99 anni un terreno in un quartiere alla periferia della città, su cui poter edificare la nuova sede del centro culturale islamico.
La proposta della nuova sede del centro culturale islamico ha anche animato la campagna elettorale; quindi il tutto non è stato fatto assolutamente di nascosto né è calato dall'alto, in vista delle amministrative del 2004, e ha visto tutti i candidati a sindaco di tutti gli schieramenti dichiararsi d'accordo sulla realizzazione di una simile struttura, pur restando dei distinguo sulla localizzazione stabilita in un parco adiacente ad un quartiere residenziale.
Per iniziativa soprattutto dei residenti di quel quartiere nacque una lista civica che elesse propri rappresentanti nel consiglio comunale e che ha continuato la sua legittima battaglia contro il centro culturale islamico, proponendo un referendum popolare che l'amministrazione comunale non ritenne pertinente per diverse e motivate ragioni, squisitamente giuridiche, peraltro ricorse senza esito, e non di merito politico.
In questo parco di San Lazzaro - e non di San Lazzero, come diceva prima l'onorevole Paoletti Tangheroni - il comune peraltro ha messo in campo un progetto di riqualificazione che ne rafforzerà la destinazione urbanistica e non la stravolgerà certamente. L'amministrazione comunale e la comunità islamica hanno quindi proseguito nel percorso, maturando l'idea - ed è qui la vera innovazione - di giungere alla stipula di una convenzione come una occasione per diventare attori comuni del processo di gestione della nuova struttura, condividendo così le regole di funzionamento, con la possibilità di farne un luogo aperto, quasi pubblico, cosa che non sarebbe stata possibile se il centro culturale islamico fosse stato realizzato con un'iniziativa spontanea e delocalizzata in una zona periferica della città. La comunità islamica di Colle Val d'Elsa, infatti (questo lo dobbiamo sottolineare) avrebbe potuto benissimo acquistare un terreno e realizzare una propria sede come una qualsiasi altra associazione del territorio, ma ha scelto di condividere la gestione della nuova struttura con l'amministrazione comunale. Questo importante elemento, inoltre, ha evitato una possibile e, io ritengo, pericolosa ghettizzazione ed emarginazione della stessa comunità islamica locale dal resto della società colligiana.
È proprio su questi elementi che si basa il protocollo d'intesa tra l'amministrazione comunale colligiana e la comunità islamica locale che fu firmato il 20 dicembre del 2004 alla presenza, tra gli altri, del presidente della regione Toscana, Claudio Martini. L'atto, unico nel suo genere in Italia, è stato stipulato dopo sei mesi di approfondite riflessioni e trova le sue radici nei valori fondanti di una società civile e democratica, quali dialogo, solidarietà, uguaglianza e libertà.
Tra gli elementi che rendono questo atto di notevole rilievo mi preme ricordare, in particolare, la costituzione di un comitato paritetico scientifico di garanzia che sarà composto da otto membri, di cuiPag. 11quattro scelti dall'amministrazione comunale tra personalità di comprovata esperienza dal punto di vista degli studi sociali, religiosi e culturali, e quattro dalla comunità islamica locale, individuati anch'essi tra alte personalità. Questo importante organismo avrà il compito di coordinare l'attività del centro, verificare l'attuazione del programma, ma anche verificare il bilancio economico del centro culturale islamico; inoltre, secondo il protocollo, all'interno del centro è previsto l'obbligo dell'adozione della lingua italiana.
Nel corso di questi anni, inoltre, la comunità islamica locale ha sempre condannato in maniera ferma e netta l'estremismo religioso, la violenza e il terrorismo. Il suo imam Feras Jabareen è stato uno dei promotori del manifesto per la vita e contro il terrorismo, molto noto a livello nazionale, firmato nel settembre del 2004 dagli islamici moderati e, con il passare del tempo, ha sempre confermato questa propensione verso un Islam moderato ed italiano, aperto al dialogo con le altre culture.
È in questo contesto che la comunità islamica colligiana ha promosso iniziative culturali e religiose volte a favorire l'incontro tra culture, come ad esempio una serata di preghiera con la comunità cattolica in nome della pace e due concerti di musica araba promossi in collaborazione con il consolato degli Stati Uniti a Firenze, che hanno coinvolto numerosi cittadini di Colle Val d'Elsa. A questo vorrei aggiungere che nella scorsa estate la comunità islamica colligiana ha preso immediatamente le distanze dal manifesto dell'UCOII contro Israele, condannando i toni e i contenuti, ribadendo il proprio «no» alla guerra e al terrorismo e lanciando, per tutta risposta, l'idea di una preghiera comune rivolta a cristiani, ebrei e musulmani. Se ciò un giorno verrà realizzato, sarà sicuramente un ulteriore segnale di rafforzamento del percorso di integrazione promosso a Colle Val D'Elsa.
La struttura sorgerà su un terreno pubblico, concesso in diritto di superficie per 99 anni alla comunità islamica dietro il pagamento di un canone annuo di 11 mila euro (che per quanto mi riguarda non è simbolico; non so per le altre possibilità economiche, ma per me 11 mila euro non sarebbero simbolici). Questo è un elemento che certamente non si rileva in un qualsiasi altro rapporto tra un'amministrazione comunale - penso non solo di Colle - ed una associazione che occupa un suolo pubblico; infatti, non sarebbe stato così per una associazione di volontariato o di qualsiasi altro tipo.
La realizzazione di un nuovo centro culturale islamico sarà finanziata, in misura largamente maggioritaria (circa il 70 per cento), con mezzi propri reperiti dalla comunità islamica locale attraverso sottoscrizione e con i fondi erogati dalla fondazione Monte dei Paschi di Siena, che ha valutato piena corrispondenza - essendo un soggetto di diritto privato - tra i propri fini istituzionali e la domanda di finanziamento ed ha stanziato una cifra che coprirà circa il 30 per cento dell'intervento.
Il percorso di integrazione avviato a Colle Val d'Elsa con la comunità islamica si fonda quindi su basi ormai consolidate e ci risulta che l'amministrazione comunale abbia informato puntualmente, nel corso di questi anni, il Ministero dell'interno sullo sviluppo di tali rapporti e sulla questione legata alla realizzazione di una nuova sede per il centro culturale islamico; comunque, per fugare ogni dubbio in proposito - e prima di tutto a noi stessi - chiediamo cortesemente conferma all'onorevole sottosegretario di quanto andiamo affermando relativamente ai rapporti tra il comune di Colle Val d'Elsa ed il Ministero dell'interno, naturalmente dall'anno 2001 in poi, quindi anche durante i due Governi Berlusconi.
Alla luce di tutto ciò emerge, con maggiore forza, l'unicità di questo percorso di integrazione e di dialogo; quindi, è sulla base di questi elementi che abbiamo ritenuto opportuno presentare questa interpellanza per sapere quali sono stati e quali sono adesso i rapporti formali intercorsi tra il comune di Colle e lo stesso Ministero dell'interno.Pag. 12
Il programma dell'attuale Governo ha dedicato inoltre una grande attenzione alle politiche di integrazione e di dialogo - di questo diamo atto del lavoro svolto dal sottosegretario, onorevole Marcella Lucidi - ed ha scelto di investire in questo settore, cercando di regolarizzare l'emigrazione esterna e di garantire il rispetto delle norme italiane con gli stessi diritti e doveri che hanno i cittadini italiani. Il percorso promosso a Colle Val d'Elsa rappresenta certamente un esempio anche per altre realtà.
Pertanto, attraverso questa interpellanza chiediamo al Ministero dell'interno come si collochi questo stesso processo nell'ambito delle politiche portate avanti dall'esecutivo in questa materia, ribadendo che l'interpellanza è volta a conoscere l'orientamento del Governo e non certo, come hanno scritto oggi taluni commentatori, a richiedere alcun sostegno pubblico che non c'è mai stato e che siamo certi non ci sarà.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Marcella Lucidi, ha facoltà di rispondere.

MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, ringrazio i due interpellanti, che nella presentazione dei loro atti di sindacato ispettivo hanno comunque sviluppato riflessioni che giudico importanti.
Esse sono già all'attenzione del Parlamento in un confronto comune che interessa un tema epocale come quello dell'immigrazione e si sviluppano in sede di Commissione Affari costituzionali di questa Camera nell'esame di due progetti di legge, quello sulla libertà religiosa e quello sulla cittadinanza. È evidente che la riflessione e il confronto, anche su posizioni e punti di vista diversi, appartengono fortemente alla dimensione più profonda, consapevole e responsabile che ciascuna parte politica intende sviluppare su tali materie.
Per quanto riguarda l'oggetto delle interpellanze - e quindi la costruzione del nuovo centro islamico di Colle Val d'Elsa - ricordo che la realizzazione di nuovi luoghi di aggregazione e di preghiera islamica deve essere considerata sotto un doppio punto di vista: sotto il profilo della libertà di culto, come più generale espressione del diritto di libertà religiosa, garantito dall'articolo 19 della Costituzione, e sotto il profilo dell'integrazione sociale degli immigrati, nella misura in cui il soddisfacimento della dimensione spirituale delle persone e delle comunità organizzate si inserisce in un quadro di ordinata e civile convivenza nella diversità, che implica ovviamente l'esercizio di diritti, ma anche l'assunzione di doveri.
Nel caso di Colle Val d'Elsa, il progetto cui fanno riferimento le due interpellanze riguarda la realizzazione, in località Badia, di un centro culturale islamico destinato a prendere il posto dell'attuale sede della comunità dei musulmani di Siena e provincia, risultata nel tempo angusta ed insufficiente a contenere i credenti islamici che in essa si ritrovano, provenienti perlopiù dalla Val d'Elsa e, in misura minore, dalla Val di Chiana e dal certaldese.
Vale la pena di ricordare che il territorio di Colle Val d'Elsa, come l'intera provincia di Siena, è interessato ormai da anni da flussi di immigrazione che hanno sollecitato l'amministrazione locale ad adottare specifici interventi tesi a favorire l'integrazione e la coesione sociale. La presenza sul territorio di quel comune di immigrati di religione islamica e di un centro culturale islamico risale ai primi anni Novanta. La costruzione del nuovo centro - come è stato già ricordato in sede di illustrazione - è prevista all'interno di un'area di circa 3.200 metri quadrati, concessa a titolo oneroso per 99 anni in diritto di superficie dal comune. L'edificio, che sarà collocato in un'ampia zona verde, consisterà in un unico blocco con percorsi pavimentati, destinati sia alla preghiera che ad altre finalità culturali. Il costo della sua realizzazione - oggetto dell'interpellanza a prima firma dell'onorevole Paoletti Tangheroni - verrà sostenuto dalla comunità, in parte con un finanziamento concesso dalla Fondazione Monte dei PaschiPag. 13di Siena, pari a 300 mila euro, in parte attraverso l'autofinanziamento degli stessi associati che versano a tal fine una somma di 516 euro l'anno.
La peculiarità dell'esperienza di Colle Val d'Elsa risiede peraltro nei contenuti dello strumento convenzionale che l'amministrazione comunale ha sottoscritto con la comunità dei musulmani di Siena e provincia per regolare i reciproci rapporti per tutta la durata del contratto di concessione. Il protocollo d'intesa, sottoscritto il 20 dicembre 2004, prevede tra l'altro che nel caso di violazione delle previsioni contenute nello stesso documento, di condotte illegali direttamente o indirettamente legate all'attività del centro culturale o di eventuali condanne penali a carico dei componenti l'organo direttivo della comunità, l'amministrazione comunale si riserva il diritto di risolvere il contratto di concessione, con conseguente acquisizione al patrimonio comunale di tutti i beni immobili realizzati.
Nel protocollo è specificato che le aree concesse dal comune di Colle Val d'Elsa per la realizzazione del centro culturale, oltre che tutte le opere strutturali ed infrastrutturali sulle stesse realizzate, saranno e rimarranno per tutta la durata della concessione di esclusivo uso pubblico e, compatibilmente con la pratica religiosa, resteranno sempre accessibili da parte di chiunque vi abbia interesse quale punto di riferimento e di dialogo tra culture e religioni.
Altro punto da sottolineare è l'impegno assunto dalla comunità musulmana, già in sede di statuto, a svolgere tutta la propria attività in lingua italiana, comprese periodiche predicazioni delle figure religiose di riferimento. Ricordava l'onorevole Ceccuzzi come sia prevista, inoltre, la costituzione di un organo paritetico di garanzia, che sarà scelto tra persone di comprovata esperienza nelle tematiche culturali e religiose, nominato per metà dal comune e per metà dalla stessa comunità, cui saranno demandati, tra l'altro, compiti di controllo sul programma delle attività e sui bilanci del centro. In tal modo, l'amministrazione comunale ha inteso porre più solide e regolamentate basi per un percorso di dialogo e confronto tra la comunità locale e quella islamica, finalizzato alla pacifica convivenza ed alla prevenzione di ogni possibile elemento di intolleranza e di insicurezza.
Sulla vicenda si è sviluppato un dibattito - lo avete ricordato - che ha avuto risonanza sulla stampa locale e nazionale ed ha avuto la sua espressione anche in iniziative politiche di dissenso al progetto. In ambito cittadino, il 20 agosto 2005 è stata presentata al comune di Colle Val d'Elsa, da parte del comitato promotore denominato «Per la salvaguardia del parco di San Lazzaro», istanza di referendum consultivo finalizzato alla revoca della deliberazione consiliare di concessione dell'area per la costruzione del centro. La stessa è stata dichiarata inammissibile dal collegio di garanzia e, successivamente, dal consiglio comunale. Nel marzo 2006 il comitato cittadino ha presentato presso il comune un nuovo quesito referendario contro la costruzione della moschea, dichiarato inammissibile dal collegio di garanzia di tale comune e, successivamente, per la seconda volta, dal consiglio comunale, il 27 aprile 2006. Nel mese di luglio 2006 il comitato ha presentato ricorso in tribunale contro il comune, attraverso una procedura d'urgenza ex articolo 700 del codice di procedura civile, per chiedere la disapplicazione e la sospensione della delibera comunale. Il tribunale di Siena ha peraltro rigettato il ricorso, con la conseguente motivazione: «La scelta del comune di venire incontro alle legittime istanze di una minoranza religiosa non può definirsi un progetto, bensì una realtà. Gli atti posti in essere dalla pubblica amministrazione hanno generato per la comunità di Siena e provincia un diritto soggettivo, che non può più essere disatteso dall'amministrazione comunale».
Tanto nella scorsa legislatura quanto in quella attuale, il sindaco di Colle Val D'Elsa ha scritto ai ministri dell'interno pro tempore per informarli sulle iniziative avviate da tale amministrazione e, in risposta, i titolari del dicastero hanno ribaditoPag. 14talune linee generali, peraltro ben note, cui hanno rispettivamente inteso orientare la loro attività di governo in tema di dialogo con l'Islam e di edilizia di culto, tema questo che rientra tra le aree di interesse della Consulta per l'Islam italiano, che fu costituita presso il Ministero. Non di rapporti formali in senso stretto può parlarsi, bensì di una corrispondenza di cortesia avente ad oggetto progetti, iniziative e deliberazioni amministrative ricadenti nella competenza propria dell'ente locale.
Ciò precisato, ritengo peraltro che l'esperienza di Colle Val d'Elsa, così come altre analoghe perseguite in altre aree del territorio nazionale, possa costituire una testimonianza ed un utile contributo di conoscenze e di approfondimento per individuare possibili vie e strumenti di integrazione e pacifica coesistenza, nel rispetto della legalità e dei diritti delle persone. Per quanto riguarda le preoccupazioni espresse dall'onorevole Paoletti Tangheroni, per le possibili ricadute della vicenda sull'ordine e la sicurezza pubblica, assicuro che la situazione viene attentamente e costantemente monitorata e che al momento non sussistono motivi di particolare allarme.
In data 20 novembre è avvenuta l'apertura del cantiere per l'inizio dei lavori di costruzione del centro, di fatto consistente nella sola recinzione della zona, con apposizione della cartellonistica, e nella predisposizione dell'impianto di videosorveglianza.
In concomitanza con l'inizio dei lavori per la costruzione del centro, ignoti, nella notte, hanno divelto parte della rete di recinzione in plastica che delimita l'area del cantiere. Da allora, però, non si sono più verificati ulteriori atti di vandalismo, tenuto anche conto dei continui controlli effettuati dalle forze dell'ordine.
Resta, peraltro, aperto - ciò è importante - il dialogo con quella parte della cittadinanza contraria alla realizzazione dell'opera, tant'è vero che il prefetto di Siena ha accolto una richiesta di incontro avanzata dai rappresentanti del comitato a La Badia per esprimere le loro preoccupazioni.
Non potendo escludere che la realizzazione del centro islamico possa in futuro richiamare nella zona un maggiore afflusso di stranieri, è all'esame anche la possibilità di elevare a tenenza l'attuale stazione dei carabinieri di Colle Val d'Elsa.

PRESIDENTE. L'onorevole Paoletti Tangheroni ha facoltà di replicare.

PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Lucidi per la consueta cortesia usata nella sua risposta, che del resto conoscevo. Tuttavia, non sarà lei quel «giudice a Berlino» nel quale sperano gli abitanti di Colle Val d'Elsa.
Mi preme anche dire, signor Presidente, che, se avessi tenuto atteggiamenti scomposti, forse lei mi avrebbe richiamato. Il nostro collega si era preparato un compitino, come me del resto: tra l'altro ho scritto San Lazzaro e non San Lazzero (potrà verificarlo); sapendo di doversi confrontare con una persona di centrodestra, quest'ultima doveva necessariamente essere scomposta e ignorante: fare confusione fra San Lazzaro e San Lazzero e tenere un atteggiamento scomposto. Non è così, mi dispiace per lei! Non accetto che lei mi dica che ho tenuto atteggiamenti scomposti, perché ciò non appartiene alla mia cultura. Quindi, signor Presidente, vorrei che fossero rivolte delle scuse: non è questo il piano, non è questo il tono, né il senso di tali confronti, come bene diceva l'onorevole Lucidi.
Pertanto, ci deve essere un confronto, ed io rappresento le persone cui non fa piacere vedere la moschea, considerandola come una violenza inflitta al proprio territorio.
Mi rivolgo al Governo: l'integrazione non si impone, si pratica. E si pratica con prudenza, con attenzione e, soprattutto, con la volontà di trovare punti di incontro e non momenti di scontro.
Soprattutto, una struttura di quelle dimensioni può divenire psicologicamentePag. 15ingombrante per molte persone. Quindi, credo che tale progetto debba essere praticato con tutta la prudenza necessaria.
A mio avviso, vi è un passo indispensabile: se davvero - come ha affermato il collega e come in parte ha ribadito con maggiore prudenza il Governo - c'è il grande desiderio di accogliere questa moschea, perché rifiutare per due volte il referendum, sulla base di cavilli, signor Presidente, che si possono superare? Di cosa si ha paura? Se sono poche le persone contrarie e tutti sono pronti ad accogliere questi paladini della pace nel mondo, che si faccia un referendum! In tal caso, sarei la prima a venire in questa sede (e mi impegno a farlo, se il referendum avrà esito positivo) per dire che avevate ragione e che, in quel luogo, l'integrazione non si può ma si deve attuare, poiché la maggioranza dei cittadini ha già la volontà di accogliere questa moschea fra gli ulivi. Ci sono le condizioni per poterlo fare: allora, facciamolo! Perché non si indice il referendum? Signor Presidente, vorrei concludere il mio intervento con questo interrogativo. Credo che il referendum si dovrebbe fare, perché, in tal modo, si darebbe la parola ai cittadini su questioni così delicate.
Lo ripeto: l'integrazione non si impone, ma si pratica.
Mi sarei aspettata - e con ciò concludo il mio intervento - che il Governo assicurasse la attuazione di un referendum per svolgere le dovute verifiche prima di procedere in questa direzione - in una situazione, comunque, montata -, senza strumentalizzazioni, perché la gente avverte questo problema (proprio per questo motivo è stata redatta una lista civica).
Facciamo un referendum e tagliamo - come si dice in Toscana, brutalmente, forse in maniera scomposta - la testa al toro!

PRESIDENTE. Non ho difficoltà, onorevole Paoletti Tangheroni, a darle atto di avere esposto le sue posizioni in modo assolutamente corretto.
L'onorevole Ceccuzzi ha facoltà di replicare.

FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, vorrei ringraziare l'onorevole sottosegretario Marcella Lucidi, perché la risposta mi trova completamente soddisfatto per ciò che riguarda sia l'attenzione con la quale il Governo sta seguendo questo percorso di integrazione sia il riferimento dell'onorevole Lucidi ai rapporti, non formali, ma di cortese corrispondenza - come la stessa ha ricordato - tra i ministri dell'interno, che si sono succeduti, e l'amministrazione comunale di Colle Val d'Elsa.
Infatti, vorrei ricordare a lei, signor Presidente, e a tutti noi, che qualche anno fa, nel corso del consiglio comunale, quindi in una sede assolutamente pubblica, il sindaco Polo Brogioni ebbe pregio di poter leggere ai consiglieri comunali e alla cittadinanza di Colle Val d'Elsa una lettera molto cortese del ministro, senatore Giuseppe Pisanu, con la quale si incoraggiava l'amministrazione comunale a proseguire, con grande attenzione, in questo percorso di integrazione.
In quella lettera non vi erano prese di posizione e dichiarazioni scomposte che abbiamo letto sulla stampa nazionale e toscana, con le quali, purtroppo, a mio parere (e questa è un'opinione della quale l'onorevole Paoletti Tangheroni non mi potrà privare, né in quest'aula né fuori), in maniera pericolosa si tende a ricercare lo scontro.
Ritengo che ciò non faccia giustizia nemmeno del lavoro molto importante che sta svolgendo il Parlamento e, in particolare, la I Commissione affari costituzionali (come ci ha ricordato il sottosegretario Lucidi) che sta cercando di approvare nuove norme sulle libertà religiose per sostituire la vecchia legge del 1929.
Ho avuto modo di leggere il resoconto dei lavori della Commissione e ho trovato molto interessanti alcuni spunti e riferimenti, tra cui un riferimento ad una sentenza della Corte costituzionale che, nel 2003, ha annullato una legge della regione Lombardia. Con questa legge la regione Lombardia intendeva ammettere ad agevolazioni solo quegli edifici di culto provenienti da associazioni che avessero stipulato una convenzione con lo Stato sulla base dell'articolo 8 della Costituzione.Pag. 16
Ebbene, la Corte costituzionale ha annullato quella legge. Quindi, come si vede, sulla base anche di una pronuncia della Consulta, l'associazione della comunità islamica della provincia di Siena avrebbe avuto diritto a costruirsi un proprio luogo di culto anche senza la stipula di una convenzione, come invece è stato fatto.
Per ciò che attiene al referendum, nel 2004 si è svolto un vero e proprio referendum sulla costruzione del centro islamico, perché è nata una lista civica che si è fatta promotrice di una netta opposizione a questo intervento ed ha chiesto ai cittadini di Colle Val d'Elsa un giudizio durante le elezioni comunali. Questo giudizio ha portato la maggioranza a perdere 5 punti percentuali pur prendendo il 64 per cento, con il quale è stato eletto il sindaco di Colle Val d'Elsa, Paolo Brogioni.
Mi sarei aspettato, infine, che entrambi avessimo preso le distanze da alcuni atteggiamenti, come quelli dell'onorevole Borghezio, che recentemente ha incitato la popolazione ad insorgere, a far sì che il cantiere non prendesse avvio (tant'è che, dopo qualche giorno, in questo contesto, certamente non per sua diretta responsabilità, i paletti del cantiere sono stati divelti).
Questa richiesta di sollevazione, mi dispiace, non ha trovato accoglimento, perché quella sera stessa abbiamo avuto l'impressione che, più che con manifestanti locali, avessimo a che fare con gitanti trasportati dall'onorevole Borghezio, perché la popolazione del posto era più interessata ad assistere ad una partita di basket a Siena che a quella manifestazione.
La ringrazio, Presidente, ringrazio il sottosegretario ed il Governo per l'attenzione con la quale si sta seguendo questa delicata vicenda, assolutamente positiva nel percorso dell'integrazione.

(Misure a favore della filiera agro-alimentare dello zucchero - n. 2-00268)

PRESIDENTE. L'onorevole Ceroni ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00268 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3).

REMIGIO CERONI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, il 24 novembre 2005, il Consiglio europeo, dopo una lunga maratona negoziale, ha approvato la proposta di riforma dell'OCM (Organizzazione comune dei mercati) zucchero.
L'OCM nel settore dello zucchero - regolamento n. 1009/67/CEE del Consiglio - era stata adottata nel 1967, con l'obiettivo di garantire un reddito equo ai suoi produttori ed approvvigionare il mercato con la propria produzione.
I dazi all'importazione garantivano una valida protezione nei confronti della concorrenza dei paesi terzi, mentre il settore veniva sostenuto attraverso prezzi remunerativi a carico dei consumatori. Il regime praticato non comportava spese per il bilancio comunitario. La produzione comunitaria era perfettamente inquadrata e regolata da quantità garantite - le cosiddette quote - corrispondenti alla domanda interna. I contributi riscossi presso i produttori e versati nel bilancio della Comunità dovevano coprire i costi per l'esportazione delle eccedenze della produzione rispetto al consumo.
Il regolamento n. 1009/67 ha subito, nel corso degli anni, poche modifiche. Nel 1975, a seguito dell'ingresso nella Comunità del Regno Unito, si è aperto il mercato comunitario ad un contingente di zucchero di canna proveniente da 19 paesi in via di sviluppo dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico. Altre modifiche si sono registrate nel 1995, a seguito dell'accordo sull'agricoltura dell'Organizzazione mondiale del commercio, al termine dell'Uruguay round e, nel 2001, con l'apertura del mercato comunitario ai Balcani. Il suddetto regolamento è addirittura passato indenne anche alla riforma della PAC.
Per quasi 40 anni dalla sua introduzione, l'OCM zucchero ha garantito sicurezza, stabilità, qualità dell'approvvigionamento e stabilità dei prezzi, nonché buoni redditi agli agricoltori e alle aziende saccarifere.Pag. 17
D'altra parte, l'OCM zucchero ha generato una produzione largamente eccedentaria rispetto ai consumi comunitari, smaltita sui mercati mondiali con oneri gravanti a carico dei contribuenti e dei consumatori che, in questi anni, avrebbero potuto pagare lo zucchero ad un prezzo decisamente inferiore; infatti, il prezzo mondiale dello zucchero è circa un terzo di quello europeo.
Da ciò è scaturita la necessità di procedere alla riforma dell'OCM zucchero che, tuttavia, se adottata per tempo, sarebbe stata meno drastica e dolorosa per tutte le componenti della filiera. La nuova OCM ha previsto per l'Italia, infatti, una riduzione della produzione del 50 per cento, determinando gravi problemi in termini occupazionali per gli addetti negli zuccherifici, sia nel settore agricolo, sia nell'indotto, con particolare riferimento all'autotrasporto.
Il precedente ministro dell'agricoltura, Alemanno, il 24 novembre, commentando l'accordo, dichiarò: «L'Italia non perderà nessun posto di lavoro». Inoltre, aggiunse: Siamo partiti dall'inferno, da una situazione che rappresentava la scomparsa del settore e siamo riusciti, dopo difficili trattative, a porre le condizioni per salvare un 50 per cento della produzione attuale, rendendola competitiva, e per convertire il restante 50 per cento (dal bioetanolo, all'isoglucosio, alla melassa). Se ci fossimo arroccati su una posizione negativa e di pura resistenza, saremmo stati tagliati fuori dall'accordo, messi in minoranza e non avremmo ottenuto i risultati importanti sui quali ora possiamo contare.
La stessa Coldiretti dichiarò che, grazie allo sforzo negoziale, sono stati ottenuti risultati nettamente migliori rispetto alla proposta iniziale, nonostante la grave responsabilità di quanti hanno impedito che la riforma si realizzasse in passato, per aspettare che il quadro comunitario peggiorasse la situazione.
Mi domando come mai la riforma dell'OCM zucchero non sia stata realizzata nel periodo in cui Prodi era Presidente della Commissione europea. Probabilmente, in questo caso, sarebbe stato più facile per l'Italia ottenere condizioni migliori!
Subito dopo l'accordo, il Governo Berlusconi, con il decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito nella legge n. 81 dell'11 marzo 2006, all'articolo 2, recante interventi urgenti nel settore bieticolo-saccarifero, ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un comitato interministeriale con precisi compiti, modalità e tempi operativi; inoltre, ha provveduto a mettere a disposizione del settore fondi nazionali per 65,8 milioni di euro. Ricordo che la Comunità europea ha messo a disposizione quasi 700 milioni di euro.
Nella seduta della Commissione agricoltura dell'8 febbraio 2006, il ministro, nel corso dell'audizione sulla riforma, ha riferito l'esito dell'incontro avuto con i vari gruppi industriali del settore saccarifero italiano, comunicando che, su diciannove stabilimenti in attività, solo sei sarebbero restati in produzione: lo stabilimento di Termoli (la regione Molise, in quanto azionista di maggioranza, ha dichiarato, addirittura, di voler procedere ad una ristrutturazione con l'incremento della produzione passando da 100 mila a 110 mila tonnellate, posizione, peraltro, condivisa dalla regione Puglia, per gli interessi che riguardano l'agricoltura pugliese); il gruppo Sadam, che manterrà in funzione gli stabilimenti di Jesi e di San Quirico, mentre riconvertirà tutte le altre produzioni (Russi, Fermo, Castiglion Fiorentino, Celano e Villasor); il gruppo Sfir, che manterrà aperto uno stabilimento a Pontelagoscuro o a San Pietro in Casale, dopo un confronto con la regione Emilia Romagna e lo stabilimento, che verrà chiuso e, che produrrà bioetanolo, mentre lo stabilimento di Foggia-Incoronata dovrebbe essere dedicato alla raffinazione e all'energia da biomasse; il gruppo Cobrop-Italia Zuccheri, che manterrà aperti gli stabilimenti di Minerbio e di Pontelongo, mentre Finale Emilia, Ostellato, Porto Viro, Bondeno, Casei Gerola saranno tutti riconvertiti.Pag. 18
Nel maggio scorso, la Conferenza Stato-regioni ha trovato anche l'accordo sulla ripartizione dei fondi messi a disposizione dall'Unione europea per sostenere la ristrutturazione della nostra filiera dello zucchero. Da maggio, però, onorevole sottosegretario, non è accaduto più nulla, tanto che i sindacati avevano proclamato una giornata di sciopero per il 28 settembre, che poi è stata revocata.
L'intero settore bieticolo-saccarifero è in subbuglio, perché, se è vero che le aziende proprietarie degli zuccherifici hanno assicurati la bellezza di 700 milioni di euro, per gli altri ancora si vede poco. Non mi pare che le altre componenti della filiera possano stare tranquille e serene, stante la mancanza non solo di certezze, ma anche di semplici assicurazioni.
L'interpellanza urgente dà quindi a lei, signor rappresentante del Governo, l'opportunità di fare il punto della situazione per riportare tranquillità nelle famiglie dei lavoratori e degli operatori interessati al settore bieticolo-saccarifero. Durante le elezioni politiche, vari «medici» sono accorsi al capezzale del settore malato (assessori regionali e presidenti di provincia), ma oggi le condizioni del malato sembrano essere peggiorate, anche perché il tempo passa e il piano per la riconversione dei tredici stabilimenti smantellati è ancora in alto mare. Ad oggi, non mi pare - almeno non ne siamo a conoscenza - che alcun provvedimento sia stato adottato e neanche programmato. Allora, cosa sta facendo il Governo per obbligare le aziende a predisporre progetti di riconversione?
Pochi giorni fa, ho letto un appello accorato del commissario Fischer Boel, che ha esortato i ministri dell'agricoltura europea a mettercela tutta per portare a buon fine il processo di ristrutturazione del settore dello zucchero nell'Unione europea, che ha l'obiettivo di ridurre la quota di produzione di circa sei milioni di tonnellate. Il ministro ha fatto presente che pochi paesi hanno ottemperato a questo accordo e la Comunità europea, nel tentativo di ridurre la produzione, ha stanziato circa 730 euro per tonnellata; questo contributo, però, non ha sortito l'effetto sperato, stante il fatto che solo 1 milione 150 mila tonnellate di quota sono state dismesse: 780 mila dall'Italia, mentre le altre nazioni hanno fatto «orecchie da mercante» (la Spagna ha tagliato 93 mila tonnellate, la Svezia 42 mila, il Portogallo 35 mila, mentre l'Irlanda chiuderà l'unico stabilimento che produceva meno di 200 mila tonnellate).
Non vorremmo che, su tale questione, a noi italiani toccasse, ancora una volta, di fare la figura dei fessi!
Vorrei inoltre evidenziare, signor sottosegretario, che, nell'ambito del disegno di legge finanziaria per il 2007, attualmente all'esame del Senato, sono contemplate, all'articolo 18, commi 697 e 698, disposizioni in materia di ammortizzatori sociali. Sono previsti, infatti, 460 milioni di euro a favore dei trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria, di mobilità e di disoccupazione speciale nel caso di programmi finalizzati alla gestione di crisi occupazionali, anche con riferimento ai settori produttivi di cui stiamo parlando.
Quante di queste risorse finanziarie, dunque, sono riservate al settore saccarifero? Infatti, è possibile, come è già avvenuto in passato, facendo ricorso alle provvidenze allo scopo stanziate, che il personale non necessario nei processi di riconversione possa essere utilizzato, ad esempio, dagli enti locali per lo svolgimento di lavori socialmente utili. Per fare ciò, comunque, serve una precisa volontà politica, ma che fino a questo momento non abbiamo riscontrato!
Qualora non saranno predisposti i progetti di riconversione, inoltre, quali prodotti potranno coltivare le aziende agricole, al fine di garantire la sopravvivenza delle loro famiglie, le quali traggono dal lavoro della terra le risorse necessarie al loro sostentamento?
Vorrei osservare, infine, che la situazione è preoccupante anche per il settore dell'autotrasporto. Numerosi autotrasportatori, infatti, ricavavano dal trasporto delle barbabietole importanti entrate per far quadrare i bilanci delle loro piccolePag. 19aziende, spesso costituite da un solo automezzo, guidato dal titolare della ditta stessa.
La pregherei, pertanto, signor sottosegretario, di farci conoscere lo stato dell'arte del settore, di farci sapere quali siano le reali intenzioni del Governo e di farci conoscere, infine, i tempi di attuazione dei suoi programmi affinchè le famiglie interessate possano trascorrere il loro Natale in assoluta tranquillità!

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Alfonso Gianni, ha facoltà di rispondere.

ALFONSO GIANNI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, le domande che ci sono state sottoposte sono diverse: vedremo se le risposte che mi accingo a fornire cercheranno almeno di venire incontro alla sostanza delle questioni poste dagli onorevoli interpellanti.
Comincerei con il ricordare che la riforma dell'organizzazione di mercato del settore dello zucchero è stata definita a seguito dell'accordo politico preso in seno al Consiglio agricolo del novembre 2005 e del relativo regolamento comunitario n. 318/2006, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero.
La rinuncia al 50 per cento della quota di produzione detenuta dall'Italia, inoltre, è stata decisa sulla base degli accordi raggiunti al tavolo di filiera bieticolo-saccarifero, attraverso il protocollo quadro nazionale per il settore industriale saccarifero dell'8 febbraio del 2006, nonché delle consultazioni condotte dalle imprese saccarifere nell'ambito della riorganizzazione comune dei mercati nel predetto settore.
Si precisa che, ai sensi del regolamento della Comunità europea n. 320/2006, relativo alla ristrutturazione dell'industria dello zucchero nella Comunità, le imprese che hanno rinunciato in parte alla quota di produzione hanno presentato un piano di ristrutturazione per lo smantellamento totale degli impianti di produzione dismessi. Tale regolamento non prevede che siano presentati progetti di riconversione.
Le risorse messe a disposizione dalla Comunità europea a carico del fondo di ristrutturazione dell'industria dello zucchero sono pari a 511.630.340,40 euro per gli aiuti alla ristrutturazione per tonnellate di quote, a 56.847.815,60 euro per gli aiuti riservati ai coltivatori di barbabietola da zucchero ed ai fornitori di macchinari ed a complessivi 127.907.585,10 euro per gli aiuti alla diversificazione e gli aiuti supplementari alla stessa.
Le risorse nazionali a disposizione del settore sono unicamente quelle autorizzate nell'ambito degli aiuti di Stato temporanei. Per la campagna 2006-2007, tali risorse sono pari a 65 milioni e 800 mila euro, inerenti alla legge n. 81 del 2006, che ha convertito in legge il decreto legge n. 2 del 2006.
Per la campagna 2007-2008 lo stanziamento è stato inserito nella legge finanziaria per il 2007 a carico delle risorse del Ministero delle politiche agricole e forestali.
Le imprese saccarifere italiane, secondo quanto rilevato dal Ministero delle politiche agricole, cioè Eridania Sadam, Coprob Italia Zuccheri e Sfir, hanno presentato i rispettivi piani di ristrutturazione comportanti lo smantellamento totale di tredici stabilimenti produttivi. Allo stato attuale, pertanto, risultano operativi sei stabilimenti saccariferi.
Per quanto concerne le misure di salvaguardia dei lavoratori degli stabilimenti che saranno smantellati, nei giorni 6, 7 e 8 febbraio è stato siglato un protocollo quadro nazionale per il settore industriale saccarifero finalizzato a tutelare gli attuali livelli occupazionali degli zuccherifici oggetto di chiusura e di riconversione.
A seguito di tale protocollo, in data 2, 3 e 8 marzo 2006, le imprese saccarifere Eridania Sadam, Coprob Italia Zuccheri e Sfir hanno concluso gli accordi sindacali per la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Successivamente, in data 16 marzo 2006, sono state concordate le misure da adottare perPag. 20affrontare lo stato di crisi del settore saccarifero, finalizzate a permettere l'accesso agli ammortizzatori sociali della cassa integrazione guadagni straordinaria ai datori di lavoro dei settori esclusi e per consentire agli avventizi e agli stagionali di ricorrere alla mobilità. Con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale dell'agosto 2006 sono stati concessi i trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria e mobilità, previsti dalla legge n. 266 del 2005, in favore dei dipendenti delle società del settore saccarifero.
Con riguardo alla possibilità di offrire all'industria saccarifera e alle connesse produzioni agricole mercati alternativi ai consueti impieghi alimentari, tra i quali rientra certamente la produzione di biocarburanti, vale a dire di carburanti di origine vegetale, si evidenzia che detta possibilità era stata considerata, in effetti, anche nell'ambito della citata legge n. 81 del 2006.
La predetta legge, oltre a prevedere interventi urgenti nel settore bieticolo-saccarifero, recava ulteriori disposizioni riguardanti le agroenergie finalizzate ad ampliare significativamente il mercato di biocarburanti (e, in particolare, del bioetanolo, biocarburante producibile a partire, tra l'altro, dalla barbabietola da zucchero), mediante imposizione di un obbligo, in capo ai produttori di carburanti convenzionali, di immissione in consumo di quote minime crescenti di carburanti di origine vegetale provenienti da intese di filiera o da contratti quadro. Tale previsione è rimasta inapplicata, nella scorsa legislatura, per la mancata emanazione, nei tempi stabiliti (26 maggio 2006), dei previsti provvedimenti attuativi. Ciò è avvenuto, probabilmente, anche a causa della dubbia compatibilità delle disposizioni della legge con le norme europee e, soprattutto, dell'impossibilità pratica di adeguare il sistema agricolo e di produzione di biocarburanti nei tempi e con le modalità fissate dalla legge.
Il Governo, dunque, ha ritenuto di agire rapidamente e in modo organico sul tema biocarburanti, con un articolato intervento legislativo presentato nell'ambito del disegno di legge finanziaria per l'anno 2007, attualmente in discussione al Senato. In particolare, le disposizioni presentate nel disegno di legge finanziaria per il 2007 riguardano i seguenti aspetti: riformulazione in modo realistico, ma coerente con gli obiettivi indicati in sede comunitaria, degli obblighi di immissione in consumo di quote minime di carburanti di origine vegetale, secondo obiettivi di sviluppo di filiere agroenergetiche e dando comunque priorità ai carburanti di origine vegetale provenienti da intese di filiera o da contratti quadro; rimodulazione e riordino delle esenzioni da accisa già vigenti su limitati contingenti di carburanti di origine vegetale (bioetanolo, etbe e biodiesel), in modo da evitare sovracompensazioni vietate dalle norme comunitarie e, nel contempo, incrementare l'entità dei contingenti; dei predetti contingenti una quota significativa viene riservata a carburanti di origine vegetale provenienti da intese di filiera o da contratti quadro; l'impiego, a sostegno dei biocarburanti, di circa 16,7 milioni di euro, disponibili a seguito dell'emanazione di sanzioni pecuniarie da parte dell'autorità garante per la concorrenza ed il mercato; l'incremento delle risorse per 73 milioni di euro l'anno, per il triennio 2008-2010, specificatamente a sostegno del bioetanolo e dell'etbe, biocarburanti producibili, come detto, anche a partire dalla barbabietola da zucchero.
Il Governo, quindi, si sta impegnando per la risoluzione delle difficoltà riguardanti il settore agroalimentare e dello zucchero, pur tenendo conto dei problemi tecnici legati sia alla riconversione del settore, sia alla scarsezza delle risorse disponibili, considerando anche mercati alternativi ai consueti impieghi alimentari.
Guardando le questioni da un punto di vista più generale, vorrei ricordare agli onorevoli interpellanti che il programma dell'Unione, diventato, con il voto degli italiani, programma di Governo, prevede un particolare impegno sul versante delle nuove fonti rinnovabili (eolico, a biomasse, fotovoltaico, solare a concentrazione, solare termico, idrogeoelettrico di piccolaPag. 21taglia, geotermia). Nell'arco della legislatura, vorremmo che tali fonti fossero almeno raddoppiate, in modo da raggiungere nel 2011 il 25 per cento di produzione elettrica da fonti di energia rinnovabili. Si tratta di un obiettivo certamente ambizioso, rispetto al quale le biomasse devono dare un contributo maggiore rispetto al passato.
Tuttavia, chi si occupa di tali questioni sa bene che le riconversioni a biomassa sono complesse e non permettono facili scorciatoie. Per esprimere un giudizio di fattibilità occorre sapere, prima di tutto, che cosa la centrale si propone di bruciare. Ogni produzione agricola e forestale produce materiali combustibili di diversissime qualità, composizione, contenuto di acqua e potere calorifico.
Bisogna, quindi, preventivare un piano di coltivazione di piante da biomassa. Questo tema si congiunge con quello della costruzione di progetti innovativi in campo industriale, connessi con il mondo dell'agricoltura. In sostanza, la produzione da fonti energetiche rinnovabili, anche da biomasse, necessita di percorsi partecipati e di un ruolo intenso degli organi politici.
In particolare, la riconversione a biomassa non può non avvenire se non all'interno di una programmazione energetica nazionale che favorisca il detto sviluppo di energie rinnovabili, in particolare quelle ottenute da biomasse, in un rigoroso quadro di sostenibilità ambientale e sociale.
Inoltre, questa riconversione deve attuarsi attraverso la messa a punto di un sistema di certificazione che assicuri che le biomasse possano portare reali benefici climatici o avere effettiva riduzione di emissioni di CO2, che le biomasse non arrechino danni a specie ed habitat nella fase di coltivazione, che la materia prima sia prelevata in loco, libera da ogm, nel massimo rispetto degli equilibri ambientali e, comunque, in un'ottica di agricoltura multifunzionale e che l'energia avvenga in impianti di piccola taglia, con il consenso di amministrazioni e popolazioni locali. Si tratta di un programma vasto, al quale il nostro Governo si è impegnato a dare realizzazione. Con questi elementi completo la mia risposta.

PRESIDENTE. L'onorevole Ceroni ha facoltà di replicare.

REMIGIO CERONI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, la sua risposta è stata lunga ed articolata, però è carente in riferimento alle questioni più importanti che avevo sollevato.
Non sono pronti, al momento, confermando le nostre preoccupazioni, i progetti di riconversione dei tredici stabilimenti che sono stati chiusi. Per cui, i dipendenti, gli autotrasportatori e i lavoratori stabili o avventizi, in questo momento, non hanno alcuna speranza di tornare al lavoro, se non quella di usufruire delle provvidenze per i settori svantaggiati, come la cassa integrazione e la mobilità.
Io penso che, a distanza di più di un anno dall'accordo europeo, si poteva fare di più. Infatti, se non hanno possibilità di impiego nell'ambito del processo di trasformazione degli stabilimenti, i lavoratori possono cercare occupazione altrove; dobbiamo, quindi, chiarire loro se sia il caso di accettare i contributi che le aziende saccarifere propongono per abbandonare l'attività e licenziarsi oppure attendere la trasformazione degli stabilimenti. Dal suo intervento, signor sottosegretario, mi sembra che una tale indicazione non emerga; quindi, la risposta è articolata ma non soddisfacente proprio sulla questione fondamentale riguardante gli addetti al settore.

(Progetto di soppressione del centro di Villejuif e dell'ospedale Pompidou di Parigi - n. 2-00264)

PRESIDENTE. L'onorevole Gianni Farina ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00264 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).

GIANNI FARINA. Signor Presidente, farò un breve excursus storico sulla vicendaPag. 22dei centri di riferimento italiani; inizierò proprio da quell'ufficio parigino presso la Gare de l'est ove svolgevo ogni giorno uno tra i tanti impegni difficili e complessi cui sono stato spesso chiamato. Rispondevo io stesso - ma non solo io - agli appelli appassionati di tanti nostri connazionali, che erano alla ricerca di un aiuto, un'informazione, un consiglio, un approdo, una «stampella» cui aggrapparsi per riprendere quello che io definisco il cammino della speranza. Erano malati spesso terminali, parenti e familiari che cercavano in me, in noi, una parola di conforto, una motivazione ancora più forte per continuare la lotta per la vita.
Dalla consapevolezza di dover fare qualcosa - produrre un'idea, intraprendere un'iniziativa per dare una speranza, infondere fiducia, rispondere all'attesa di tanti nostri connazionali -, scaturì la proposta di creare i centri di accoglienza italiani dell'ospedale di Villejuif e dell'ospedale Georges Pompidou a Parigi nel giugno del 1990.
Lodevole fu - e bisogna ricordare e valorizzare la circostanza - l'iniziativa del consolato generale italiano di Parigi e dell'allora console generale, in collaborazione con l'associazionismo democratico diffuso dall'italianità parigina e francese e dai patronati, la cui opera, per i nostri connazionali, è stata ed è così preziosa per la tutela e la promozione della comunità nazionale.
L'iniziativa portò, poi, alla firma della convenzione tripartita tra il consolato italiano di Parigi, l'Assistance publique française e la Croix rouge parigina, con l'obiettivo di regolare e razionalizzare il flusso di malati italiani assicurando il legame con i centri regionali di riferimento. Strutture, queste ultime, create in Italia dal Ministero della sanità, aventi il compito di valutare le domande dei pazienti che desideravano e desiderano farsi curare all'estero o sono costretti a decidere in tal senso, con aggravi consistenti a carico del servizio sanitario nazionale.
Si doveva fornire, in caso di ricovero, l'assistenza necessaria a livello amministrativo, mantenere un contatto con i pazienti ricoverati, assicurare i legami tra i medici francesi e quelli italiani per le terapie a seguire, svolgere, in definitiva, una preziosa assistenza morale ed umana.
Si tratta del primo esempio in Europa di collaborazione tra strutture sanitarie locali europee e italiane per evitare inutili spostamenti dei pazienti e delle loro famiglie, disagi umani ai malati e ai loro parenti e carichi economici non indifferenti al sistema sanitario nazionale. La collaborazione con i centri ad alta specializzazione di Parigi e della regione parigina per quanto riguarda le patologie di straordinaria gravità è di rara preziosità.
A questo proposito, mi sembra utile attirare l'attenzione, pur nel contesto di terapie similari in tutti i paesi occidentali, sulla peculiarità del personale medico francese, in riferimento, soprattutto, alle malattie tumorali, e del suo atteggiamento, per così dire, più cartesiano e meno fatalista di quello che si riscontra in altri paesi, compresa l'Italia. Da questa realtà deriva l'invocazione di un aiuto da parte dei pazienti, a causa della gravità del loro stato (lo definisco il viaggio della speranza), per farsi curare in Francia, mancando in Italia, a volte, ogni ulteriore proposta terapeutica.
Il ruolo dei centri di riferimento è stato sempre quello di rispondere all'appello nella preoccupazione di evitare al paziente e ai suoi familiari elevati disagi umani ed economici e, il più delle volte, un costo suppletivo per il servizio sanitario nazionale. Da ciò deriva la richiesta del dossier di ogni singolo paziente, il parere dei centri ad alta specializzazione oncologica francesi e l'instaurazione di contatti tra i centri parigini e francesi e i medici curanti in Italia.
Tale pratica è stata ed è prassi quotidiana, così come l'utilizzazione dei moderni mezzi di comunicazione per evitare ai pazienti disagi aggiuntivi: oltre 25 mila contatti negli ultimi cinque anni. Migliaia di pazienti, dopo un breve periodo di cura in Francia, hanno continuato le loro cure in Italia, avendo il centro assicurato la più ampia disponibilità ad intervenire in qualunque momento fosse necessario. Si trattaPag. 23di un rapporto umano di incalcolabile valore tra i pazienti e il personale del centro, che posso sintetizzare in poche cifre: dal 2001, a fronte di migliaia di contatti, soltanto in 387 casi si è ritenuto indispensabile il trasferimento del paziente a Parigi; ciò è dovuto all'attività dei centri. In tutti gli altri casi, si è attuato il prezioso consiglio terapeutico francese in Italia evitando ogni ulteriore dispendio di energie fisiche e morali al paziente, esosi esborsi ai curanti e alle loro famiglie ed aggravi al servizio sanitario nazionale.
Intendo sottolineare, particolarmente, che il lavoro dei due centri si avvale unicamente della disponibilità a tempo parziale di un medico e di quella a tempo pieno di due segretarie, il cui compito è anche quello di aiutare i nostri connazionali sul piano logistico, amministrativo e nell'interpretariato, di estrema utilità quando ci si reca all'estero. In molti casi, infatti, viene rilasciato il modello E 112 senza che siano consultati i centri di accoglienza.
Nonostante i 16 anni di attività, è fattibile di miglioramenti, perché a tutt'oggi non pienamente efficace, la collaborazione tra le ASL italiane e i due centri di accoglienza parigini creati dal ministero competente. Non si tratta, quindi, di concludere il rapporto convenzionale ma di rafforzarlo ulteriormente, come già insistentemente auspicato dalla nostra comunità, nell'interesse dei pazienti, dell'italianità parigina in Francia e nell'interesse del sistema sanitario italiano, quindi della Repubblica, dell'Italia.
D'altronde, il ricorso dei cittadini italiani a prestazioni mediche in regioni o paesi differenti da quelli di origine rappresenta una realtà di dimensioni nazionali e internazionali, che è stata raramente affrontata in maniera sistematica. Parigi e la Francia per gli italiani spesso sono e sono stati il «villaggio della speranza». Dal 1990 i centri di accoglienza sono strutture di ricerca e analisi della realtà migratoria e sanitaria italiana, per conoscere a fondo i problemi, analizzare i flussi, per proteggere i pazienti da situazioni confuse e dallo sfruttamento che c'è stato e che può ancora essere esercitato nei confronti dei nostri connazionali da persone senza scrupoli, come avveniva in forme vergognose sino ai primi anni '90, con costi economici, organizzativi e psicologici altissimi in quei «viaggi della speranza» intrapresi per sottomettersi a cure spesso altrettanto efficaci in Italia. Ecco la funzione del centro: evitare che questi viaggi avvengano inutilmente.
Varie sono le motivazioni alla base dei comportamenti spesso irrazionali che portano i pazienti italiani a ricercare individualmente e soggettivamente una risposta a malattie che minacciano drammaticamente la loro esistenza. Gli stessi mass media mettono spesso in evidenza episodi isolati di malasanità nel nostro paese, innescando processi generalizzati di ricorsi a strutture estere, nel caso Parigi e la Francia.
Il disorientamento e la disperazione sono tanto più elevati quanto più gravi sono le patologie e le conseguenti implicazioni psicologiche. Ecco tutta l'importanza del ruolo che i centri di accoglienza hanno svolto in questi 16 anni di attività, il consistente risparmio per il Servizio sanitario nazionale, l'aiuto sociale ed umano per tanti nostri connazionali che, attraverso le ASL o individualmente, hanno inteso, intendono o intenderanno godere di un parere o di una peculiare specializzazione in Francia.
Esprimo l'appello e l'auspicio per la continuazione di un'importante e straordinaria esperienza, un maggior legame tra i centri di accoglienza italiani a Parigi e i centri regionali di riferimento in Italia. Tale esperienza, a mio parere, non solo non può e non deve essere conclusa, ma dovrebbe essere estesa, almeno nelle grandi metropoli, all'insieme delle nazioni dell'Unione europea, con l'obiettivo comune di razionalizzare i flussi migratori, dare alti e concreti significati ai «viaggi della speranza», evitare oneri economici ai servizi sanitari nazionali e, ancora più importante, dare risposte all'altezza dell'aiuto umano e morale che ci viene richiesto. Non ho dubbi che la comunitàPag. 24italiana si aspetti che questo mio sincero appello venga accolto, rinnovando la convenzione che ho illustrato.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Gian Paolo Patta, ha facoltà di rispondere.

GIAN PAOLO PATTA, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, con riferimento alla richiesta di procedere all'annullamento del mandato al Consolato generale italiano di Parigi di concludere il rapporto convenzionale oggetto dell'atto parlamentare, deve essere fatta una premessa. La durata della convenzione è annuale e, pertanto, per sua natura soggetta a valutazioni e possibili cessazioni. Nel corso degli ultimi anni, peraltro, l'opportunità di continuare il rapporto convenzionale è stata messa in discussione sia in relazione agli sviluppi della scienza e della tecnologia italiana nel campo della clinica e della diagnostica medica, sia in relazione all'accreditarsi di strutture di eccellenza in varie regioni italiane.
La recente visita a Parigi (2-3 maggio 2006) di una delegazione di questo Ministero, con la consulenza del direttore del Centro nazionale trapianti, ha permesso di evidenziare una scarsa collaborazione, in termini tecnico-sanitari, tra il Centro italiano presente nell'ospedale Paul Brousse e l'ospedale stesso. In particolare, le prestazioni sanitarie erogate dal suddetto ospedale non sono state oggetto da parte del citato Centro di valutazioni ed analisi, necessarie a verificare le motivazioni che inducono ancora cittadini italiani a recarsi all'estero (ad esempio, tempi di attesa, esisti più favorevoli), oltre a consentire di conoscere l'alta specializzazione richiesta a Parigi in rapporto a quella offerta da analoghe strutture italiane.
Per quanto riguarda la gestione amministrativa, è da sottolineare che il servizio di segreteria ed interpretariato svolto dalle due segretarie, se rivolto ai cittadini autorizzati, non influisce sulla spesa pubblica in termini di contenimento del flusso migratorio; se il servizio è rivolto a cittadini che autonomamente decidono di recarsi a spese proprie per cure all'estero, poiché è erogato in forma gratuita, non influisce sulla spesa per l'assistenza sanitaria all'estero in assenza della prescritta autorizzazione. Permane, invece, a carico della spesa pubblica il costo del personale (circa 210 mila euro l'anno).
L'atto parlamentare sottolinea, inoltre, il flusso di contatti telefonici relativo ai primi 10 mesi dell'anno 2005; si ritiene, peraltro, che il semplice dato numerico, senza alcuna indicazione della tipologia e motivazione dei contatti stessi, non sia sufficiente a motivare l'attività dei centri. Inoltre, i dossier, fino ad oggi esaminati dal dottor Alberto Mambelli, provengono direttamente dagli interessati, particolarità che lascia supporre che gli stessi dossier siano stati già oggetto di valutazione contraria al trasferimento all'estero da parte dei centri regionali di riferimento in Italia. Il consulto medico del professionista sanitario potrebbe ovviare ad inutili spostamenti di cittadini che intendono a proprie spese recarsi in Francia, ma la spesa sostenuta (retribuzione del medico) non può gravare sul bilancio dello Stato.
Relativamente al rilevante risparmio al quale fanno cenno gli onorevoli interroganti, si deve sottolineare che il modello E112, da cui consegue una spesa per il Servizio sanitario nazionale, viene rilasciato dalla ASL, previo parere del competente centro regionale di riferimento, a prescindere da una preventiva valutazione del Centro italiano in Francia, come sembrerebbe invece dall'atto parlamentare.
La decisione del Ministero è inoltre coerente con la strategia in atto in ambito europeo sulla mobilità di cittadini e pazienti, mirata a migliorare l'accesso all'assistenza sanitaria tra gli Stati membri nei casi di trattamenti e situazioni particolari, nonché a promuovere forme dirette di collaborazione scientifica tra le strutture europee di eccellenza.
Per gli aspetti sopra illustrati, il Ministero della salute conferma, pertanto, l'impossibilità di giustificare la prosecuzione del rapporto convenzionale in esame e diPag. 25non poter annullare il mandato al nostro consolato a Parigi per la relativa cessazione.

PRESIDENTE. L'onorevole Gianni Farina ha facoltà di replicare.

GIANNI FARINA. Signor Presidente, lo dico con rammarico contenuto, nella forma, ma non nella sostanza naturalmente; anzi, il rammarico è profondo per quello che noto nella risposta. Noto una particolare insensibilità nella risposta; alcune delle argomentazioni erano già insiste nella mia presentazione.
Io parlo con esperienza; infatti, io stesso sono stato in passato responsabile di strutture sociali e ho orientato centinaia e centinaia di nostri connazionali, che telefonavano dall'Italia o avevano parenti a Parigi e in Francia, verso questa nostra struttura che non può essere così definita in astratto in una risposta. Quando parlavo di 25 mila contatti, che sono una cosa straordinaria, e di 387 che, dopo il consulto, purtroppo hanno avuto bisogno di andare a Parigi per farsi curare, non ho inventato niente, ma questo non implica che non esistano strutture d'eccellenza in Italia; anzi, proprio nella mia interpellanza sottolineavo il fatto che l'opera del centro è stata fondamentale per valorizzare le strutture di eccellenza italiane, che esistono e di ciò sono pienamente convinto.
Credo, quindi, che una informazione giusta, doverosa, importante e quotidiana eviti che i pazienti, che non avevano o che non hanno ancora fiducia nelle strutture di eccellenza italiane, debbano venire a Parigi per farsi curare. Io sono d'accordo su questo ed è proprio per tale motivo che quel centro andrebbe persino rafforzato non solo a Parigi, ma - come ho affermato nella mia interpellanza - in Francia e nelle più grandi nazioni europee.
Si parla di 210 mila euro, si parla di una struttura che è stata fondata su invito pressante del movimento dell'associazionismo democratico italiano in Francia, che ha sempre avuto verso questa struttura una fiducia incalcolabile. Una fiducia incalcolabile non solo nella struttura, ma anche nelle istituzioni italiane di quel paese, come hanno dimostrato anche i cittadini che hanno partecipato in massa alle ultime elezioni di aprile.
Spero che ci sia ancora lo spazio per una riflessione seria e, lo dico con amarezza, per una riflessione che dia una risposta concreta a questi nostri cittadini e ai malati che dall'Italia vanno a Parigi per farsi curare.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 17.

La seduta, sospesa alle 14,35, è ripresa alle 17.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Capezzone, D'Antoni, Folena e Pisicchio sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono quarantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della mozione Realacci ed altri n. 1-00006 sull'istituzione della giornata internazionale del volontariato europeo nel giorno dell'anniversario dell'alluvione di Firenze.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Realacci ed altri n. 1-00006 sull'istituzione della giornata internazionale del volontariato europeo nel giorno dell'anniversario dell'alluvione di Firenze (Vedi l'allegato A - Mozione sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussionePag. 26della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Realacci, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00006. Ne ha facoltà.

ERMETE REALACCI. Signor Presidente, tengo innanzitutto a dire che questa mozione, di cui sono primo firmatario, è stata sottoscritta da esponenti di maggioranza e di opposizione e credo che interpreti una posizione ampiamente condivisa all'interno dell'opinione pubblica italiana. Essa prende spunto dal quarantennale, ricordato quest'anno, dell'alluvione di Firenze, che colpì questa città, e non solo, il 4 novembre 1966. Tale anniversario è stato caratterizzato da molte iniziative; in particolar modo si è voluto far ritornare sul luogo dell'alluvione di Firenze i volontari che allora accorsero al capezzale delle popolazioni colpite dall'alluvione ed anche dei monumenti e dei beni culturali che subirono una ferita molto pesante e, per certi aspetti, non ancora del tutto rimarginata. Ad esempio, una parte dei volumi colpiti dall'alluvione richiede ancor oggi opere di restauro e ciò vale anche per alcune opere d'arte.
Nell'occasione del quarantennale si è dunque partiti dal rientro dei volontari di allora (definiti gli «angeli del fango»), i ragazzi che allora accorsero al capezzale della città e dei monumenti feriti, per fare il punto sulla situazione nel nostro paese riguardo alla salvaguardia e alla tutela idrogeologica, alla sicurezza delle popolazioni, dei territori e del nostro straordinario patrimonio storico-culturale. Sotto questo punto di vista, sappiamo che c'è ancora molto da fare non solo nell'intero paese, ma anche in quella regione. Infatti, se si verificassero oggi precipitazioni come quelle registrate nel novembre 1966, mentre sarebbe relativamente al sicuro il tratto dell'Arno a sud di Firenze, che tramite il canale scolmatore mette in sicurezza Pontedera e Pisa, la città di Firenze sarebbe investita un'altra volta da un'onda di piena molto pericolosa.
Inoltre, è stata anche l'occasione per ricordare quello che allora fu un impegno spontaneo, generoso e straordinario che ha segnato un'epoca, portato da migliaia e migliaia di volontari, italiani ed europei - in qualche caso venuti anche da più lontano - accorsi in quella città. Quell'iniziativa spontanea - per certi versi un segno dei tempi e dell'impegno civile che attraversava l'Italia, l'Europa, il mondo e che gli anni successivi avrebbe prodotto grandi movimenti giovanili - è da molti considerata oggi la vera e propria data di nascita del volontariato di protezione civile nel nostro paese. Nel corso di questi anni tale volontariato ha sviluppato le proprie capacità di intervento anche sul piano tecnico. Il nostro paese ha affrontato molti lutti e tragedie ed altri momenti difficili (basti ricordare il terremoto dell'Irpinia) anche sul fronte delle alluvioni e di tragiche vicende che avrebbero potuto comportare un peso inferiore, in termini di vite umane perdute ed anche di danni, se il territorio fosse stato programmato in maniera migliore, investendo nella prevenzione e nella manutenzione anziché combattendo soltanto gli effetti delle catastrofi.
In molti casi si sono dovute registrare morti che, con un sistema di protezione civile efficiente e ramificato sul territorio avrebbero potuto essere evitate: penso a quanto accaduto nel 1994 durante l'alluvione del Po, quando vi furono persone che morirono a 20 ore di distanza dalla prima onda di piena che si era registrata a monte, perché stavano guardando sui ponti la piena che arrivava e non si erano allontanate dalle aree a rischio; penso a quanto accaduto a Soverato nel 2000, quando 13 persone morirono travolte dalla piena di un torrente, perché un campeggio era collocato, per l'appunto, nell'alveo di un torrente che aveva caratteristiche alluvionali; penso a quanto accaduto due anni prima a Sarno, quandoPag. 27159 persone - tra Sarno, Quindici e Bracigliano - persero la vita a fronte di un evento che avrebbe potuto essere meglio governato. Ricordo tali lutti per dire che non tutto si è risolto dall'oggi al domani, ma possiamo affermare, osservando quanto accaduto nel passato, che oggi, fortunatamente, il sistema di protezione civile italiano e l'intreccio che si è raggiunto tra attività dei corpi dello Stato, le prefetture, le forze dell'ordine ed i vigili del fuoco - che sono sempre un corpo di straordinaria efficienza in tali occasioni, e lo furono anche all'epoca dell'alluvione di Firenze - ed il volontariato organizzato ha raggiunto nel paese livelli di efficienza molto avanzati. Non penso sia retorica sostenere oggi che il sistema di protezione civile italiano è uno tra i migliori al mondo, forse il migliore, proprio per l'intreccio che si è realizzato tra capacità dello Stato e sistema del volontariato di protezione civile. Per tale motivo, è questo il senso della mia mozione n. 1-00006 - condivisa, lo ripeto, sia da esponenti della maggioranza sia da esponenti dell'opposizione - è utilizzare la ricorrenza dell'alluvione di Firenze - ricordo che la mozione in esame era stata presentata prima della scorsa estate, ma l'occasione era il quarantennale dell'alluvione di Firenze, trascorso da poche settimane - per organizzare ogni anno a Firenze un raduno del sistema di protezione civile europeo, in particolar modo dei volontari impegnati nel medesimo sistema di protezione civile.
Si è discusso e si discute molto della necessità che l'Europa consideri il proprio processo di integrazione legato non solo ad una discussione sui rapporti tra Stati, sulle norme, sulla moneta e sulla politica estera comune, aspetti tutti importanti, ma anche alla necessità di mettere in comune le strutture, di far dialogare i popoli, di mettere in comune l'impegno dei cittadini, dei giovani e non solo dei giovani. Ebbene, quale terreno è più favorevole del servizio civile in generale e, in particolar modo, del volontariato di protezione civile, per segnalare tale unità civile dell'Europa, che ragiona - lo afferma anche, ed è ricordato nella mozione in esame, la stessa Costituzione europea - della necessità di integrare il sistema di protezione civile come uno dei servizi che l'Europa stessa mette a disposizione dei propri cittadini, e non solo? Voglio ricordare, da tale punto di vista, che il nostro sistema di volontariato si è dimostrato in grado di intervenire con grande tempestività anche in paesi del mondo colpiti da eventi molto gravi. Ciò è dovuto, lo ripeto, ad un'efficienza particolare, che non è correlata soltanto alla qualità della dirigenza di tale sistema. Sicuramente oggi Bertolaso è uno tra i funzionari dello Stato più apprezzati ed alcune volte si è dovuto occupare anche di vicende delicate quali la questione dei rifiuti in Campania, come è recentemente avvenuto. Tale sistema di volontariato è spesso stato in grado di intervenire rapidamente anche in momenti molto difficili. Ricordo, ad esempio, che quando lo tsunami colpì popolazioni e terre molto distanti dell'Asia, l'Italia fu tra i primi paesi ad inviare soccorsi ed una tra le prime équipe a partire fu proprio un'équipe volontaria, di emergenza di chirurgia composta da dipendenti dell'ospedale di Pisa. Altri casi del genere si sono succeduti nel corso degli ultimi anni. Fuor di retorica, dovrebbe essere fonte di orgoglio per il nostro paese disporre, oggi, di un sistema di volontariato di protezione civile che effettivamente è un indicatore del livello di efficienza dello Stato.
Quando, nel settembre 2005, il violentissimo uragano Katrina ha colpito la città di New Orleans, nelle nostre case abbiamo visto le immagini di una popolazione gravemente ferita da tale alluvione. Dopo giorni e giorni la situazione era tremenda: gli ospedali pubblici di New Orleans, ancora privi di luce e di acqua e con dei morti all'interno, non venivano evacuati; mentre, inizialmente, erano stati evacuati gli ospedali privati. Infatti, il sistema di protezione civile americano si era limitato, essenzialmente, ad avvertire i cittadini del rischio che stava sopraggiungendo. Pertanto, chi era stato raggiunto dal messaggio e vi prestò fede, potendo recarsi in qualche luogo, si spostò; ma decine di migliaia di cittadini più poveri, in grado diPag. 28amministrare la propria sicurezza in misura minore, rimasero in balia di quell'uragano.
Solo dopo qualche giorno intervennero i corpi della guardia civile americana, più che altro in funzione di protezione dalla delinquenza, dagli atti vandalici, dai rischi per le persone. Ma non è intervenuto un grande sistema di protezione civile per prevenire i danni alle persone. Ebbene, si può sicuramente dire che una cosa del genere, oggi, nel nostro paese, non sarebbe possibile. Nel nostro paese, oggi, non sarebbe possibile che, a fronte di un evento previsto, non ci sia da parte dello Stato e del sistema Stato-volontariato una risposta in grado di ridurre i danni e i rischi.
Per questo motivo - e mi avvio alla conclusione, signor Presidente - riteniamo che un impegno del Governo (ovviamente, in collaborazione con le istituzioni locali, la regione, la provincia, il comune e quant'altro per quanto riguarda la regione Toscana), volto a utilizzare questa ricorrenza per fare dell'Italia, e segnatamente di Firenze, un alto punto di riferimento della costruzione di un'Europa, che guardi ai diritti e alla sicurezza come uno dei capisaldi della convivenza e della coesione civile, sarebbe un'occasione positiva.
Aggiungo anche, signor Presidente, che ho chiesto di modificare leggermente il dispositivo della mozione, affinché non ci siano dubbi: qui ci si riferisce all'ipotesi di un appuntamento legato al volontariato di protezione civile. Vi saranno altre occasioni per ragionare di volontariato più in generale; ma l'occasione avrebbe un senso se legata a questo appuntamento, proprio per valorizzare e discutere, anche tecnicamente, dei passi necessari per estendere tale esperienza a livello europeo, per coordinarsi con le esperienze europee esistenti, per rafforzare questo tessuto di convivenza, di impegno generoso, di capacità di risposta rispetto ai momenti difficili, che fa dell'Italia e dell'Europa una risorsa per i propri cittadini e anche per il mondo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elpidio. Ne ha facoltà.

DANTE D'ELPIDIO. Signor Presidente, ho accettato di buon grado di intervenire, chiedendo all'amico e collega Realacci di poter sottoscrivere la mozione che egli aveva presentato insieme ad altri colleghi. Il mio non è un intervento di parte. Chi si occupa di volontariato, quale esso sia, quale ne sia la dimensione e l'ambito, non può che mostrare la propria sensibilità in ordine a certi temi che investono la responsabilità di ognuno di noi.
Per questo motivo, anch'io vorrei partire da quel tragico episodio di Firenze, che forse ha caratterizzato le successive impostazioni ed il modo in cui ci si pone di fronte alle necessità, alle calamità naturali e alle emergenze.
In quella occasione, senza un'organizzazione preventiva, in molti hanno sentito il bisogno di dare una mano. Si sono recati a Firenze per aiutare le popolazioni colpite da un grave evento, quale quello dell'alluvione e dello straripamento dell'Arno, che aveva procurato non pochi danni alle persone, ai beni culturali e alle abitazioni.
Da quel momento, probabilmente, si è sviluppato l'iter e l'organizzazione si è affinata. Nel dare uno stimolo e un'organizzazione, l'Italia non è mai stata seconda ad altri paesi europei. Infatti, il nostro servizio civile, atto a fronteggiare queste emergenze, attribuisce responsabilità anche a livello locale, cosa che non accade in altri paesi europei, dove le responsabilità sono accentrate nelle mani di determinate autorità, enti o strutture, che, forse, agiscono in modo meno incisivo.
Grande stimolo diede in seguito anche il Presidente Pertini che, rivolgendosi agli italiani direttamente con un messaggio, sollecitò l'impegno personale di ogni cittadino a dare una mano nei territori martoriati dal terremoto in Irpinia e in occasione di altre sciagure.
Quello che mi fa aderire a quest'iniziativa (ed è la sola considerazione di parte che mi concedo) è anche il ricordo (ed il collega Realacci lo ha sottolineato) di quel tragico evento che, a Soverato, ha coinvolto alcuni volontari dell'Unitalsi, che rimasero vittime di un evento disastrosoPag. 29quasi come quello di Firenze, non tanto per l'intensità e per la gravità, quanto perché si trattò dello straripamento di un fiume che travolse un campeggio.
Al di là della cronaca, che conosciamo, quando mi soffermo a riflettere su queste sciagure, perché non accadano e perché ci insegnino qualcosa, mi piace sottolineare l'impegno di persone al servizio di altre persone. Mi riferisco non solo ai volontari dell'Unitalsi, ma a quelle persone che non hanno risparmiato la propria vita per salvare la vita di persone disabili; alcuni ragazzi e ragazze sono morti per salvare degli ammalati, persone in carrozzella, che altrimenti non si sarebbero potute salvare.
Questo insegnamento per me significa molto. È uno stile di vita che chi fa volontariato deve cercare di adottare. Se noi riuscissimo a trasmettere questo insegnamento anche ai nostri figli, sicuramente, faremmo una buona azione. Si tratta di educare alla cultura del servizio gratuito e disinteressato agli altri.
Con queste forme di incentivazione della partecipazione al servizio civile, al volontariato, o ad altre forme di impegno, forse (e lo constatiamo dalle risposte che i giovani forniscono a queste proposte), riusciamo a offrire qualcosa di serio e a coinvolgere quei giovani che, spesse volte, ingiustamente, accusiamo di non aver ideali e motivazioni forti e di non impegnarsi.
Io, invece, ho scoperto che, quando si hanno queste motivazioni e si compiono azioni concrete al servizio degli altri, a volte, si sfocia nell'eroismo e si mette a repentaglio la propria vita pur di salvare quella degli altri.
Quello di Firenze, dunque, è un appuntamento al quale le istituzioni devono dare forza e vigore, altrimenti, come sempre succede e come spesso è accaduto, al volontariato affidiamo una serie di compiti e di interventi che difficilmente possono essere organizzati da una struttura centrale che occupi solo di questo.
Per alcune azioni, infatti, occorre la sensibilità, la dedizione e la generosità di chi si offre per prestare questo tipo di servizio.
Vorrei concludere, Presidente, raccomandando anche che si sottolinei un forte incentivo a convogliare le nostre forze, soprattutto quelle dei giovani, verso la partecipazione attiva a qualsiasi tipo di servizio e di impegno nell'ambito del sociale e del volontariato. Forse, in tal modo, si riuscirà a dar vita ad una società più attenta alle esigenze di chi ha più bisogno, dei deboli, degli ultimi.
Con questo spirito dichiaro l'adesione mia e del mio gruppo, cercando di portare il nostro contributo e quello delle associazioni che rappresentiamo sul territorio, affinché si possa attribuire a questo appuntamento l'importanza e il risalto che esso merita.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione presentata.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per la solidarietà sociale, Cristina De Luca.

CRISTINA DE LUCA, Sottosegretario di Stato per la solidarietà sociale. Signor Presidente, con la mozione oggi in discussione, si chiede al Governo di impegnarsi affinché il 4 novembre, giorno dell'alluvione di Firenze, si adottino le iniziative opportune per la proclamazione della giornata internazionale del servizio civile in protezione civile.
La maggioranza delle nazioni ha dato ampio rilievo all'azione dei volontari e delle loro organizzazioni nel mondo, che operano senza discriminazioni etniche o economiche o religiose. A questo riguardo occorre anche menzionare alcune iniziative già ampiamente consolidate, come la Giornata internazionale del volontariato, che si celebra il 5 dicembre di ogni anno e che proprio in questi giorni abbiamo visto celebrata in varie città d'Italia in maniera diversa e che segna anche la vitalità del mondo del volontariato nellePag. 30sue varie accezioni; o il 15 dicembre, che è dedicato invece alla celebrazione della Giornata internazionale del servizio civile, perché ricorda la proclamazione della legge sull'obiezione di coscienza.
Occorre, dunque, riconoscere grande risalto a tali riconoscimenti, che mirano a valorizzare l'attività di volontari, sia giovani sia adulti, che rispondono alle emergenze della società. Al riguardo bisogna precisare che l'azione di pianificazione della risposta all'emergenza e le connesse attività esercitative costituiscono gran parte del lavoro della Protezione civile. Quest'ultima, intesa in senso moderno - e lo sviluppo avuto in questi anni ne fornisce testimonianza -, non significa soltanto soccorso in fase di emergenza, ma anche studio del territorio, monitoraggio dei fenomeni, tutela e salvaguardia ambientale, secondo una prospettiva di attenuazione dei rischi.
Se la Protezione civile italiana registra un progressivo ampliamento verso i campi della politica sociale, del territorio e dell'ambiente, secondo una linea evolutiva che la distacca dagli iniziali concetti di tutela della sicurezza pubblica e di difesa civile, in cui era originariamente assorbita e ricompresa, il termine «servizio», seguito dall'aggettivo «civile», indica la finalizzazione e l'oggetto di questa funzione pubblica, mentre l'attività di tutela è riferita alla comunità sociale insediata sul territorio.
Nella maggioranza dei paesi europei, la protezione civile è un compito assegnato ad una sola istituzione o a poche strutture pubbliche; in Italia, invece, in questa funzione è coinvolta tutta l'organizzazione, centrale e periferica, dello Stato, l'intero sistema degli enti locali nonché tutta la società civile, attraverso le organizzazioni di volontariato.
Pertanto, da vera e propria funzione politica di governo, a cui consegue un'attività amministrativa, è divenuta una funzione aperta alla partecipazione della comunità. In questa nuova dimensione si inserisce sempre di più l'azione delle organizzazioni umanitarie e di volontariato.
Le azioni di volontariato devono essere incoraggiate e devono essere considerate come partecipazione attiva nel processo di sviluppo. Volontari, organizzazioni di volontari, reti di volontari sono risorse importanti, che hanno bisogno di essere riconosciute propriamente quali partner legittimi dello sviluppo.
Sul piano nazionale, il sistema del volontariato italiano di protezione civile è costituito attualmente da circa tremila associazioni, localizzate in tutte le regioni e province autonome del paese e risulta che il numero dei volontari della Protezione civile, che prestano la propria attività presso queste associazioni, sia circa un milione di unità, di cui circa trecentomila pronte e formate per intervenire in casi di emergenza.
Al riguardo, è necessario anche aggiungere che la protezione civile italiana è divenuta, in questi, anni un punto di riferimento internazionale di molte altre strutture europee ed extraeuropee, che guardano al nostro sistema e alla sua capacità di organizzazione territoriale come ad un modello replicabile ed il volontariato della protezione civile è in questo ambito un punto di forza.
Si deve, peraltro, far presente che la Commissione europea sta adottando un importante piano di potenziamento del sistema europeo di protezione civile, finalizzato a politiche di reciproca assistenza, in caso di gravi calamità naturali o derivate dall'uomo, nel corso delle quali il paese interessato non sia in grado di intervenire con le proprie risorse. Quindi, la disponibilità di risorse umane preparate e qualificate si rende, oggi più che mai, necessaria e una giornata dedicata a queste persone può essere un'occasione per stabilire importanti relazioni e scambi di sinergie positive.
È importante, infine, ricordare che gli «angeli del fango» hanno certamente contribuito a scrivere la storia del volontariato italiano ed europeo di protezione civile e istituire una giornata che ricordi una delle pagine più significative del volontariato italiano, oltre a vederci pienamente consenzienti, contribuirà non solo aPag. 31celebrare un episodio eroico della nostra storia, ma sarà di impulso a far riflettere sulla necessità di sviluppare una cultura di rispetto e di solidarietà verso gli altri. Tale riflessione non può che avere una dimensione internazionale, come internazionali sono attualmente i rischi con cui la comunità si deve confrontare.
È opportuno, ad ogni modo, nel manifestare il nostro parere favorevole, tenere conto che, in considerazione delle giornate celebrative già esistenti e del fatto che il centro europeo del volontariato, proprio quest'anno, ha pubblicato il manifesto del volontariato europeo e si è posto l'obiettivo di istituire la giornata e l'anno europeo della cittadinanza attiva, la scelta della definizione deve essere quanto mai appropriata. Quindi, proprio per rimarcare l'azione solidale delle associazioni di volontariato e di protezione civile, nel cui ambito operano i volontari del servizio civile nazionale ed europeo, il Governo è favorevole all'istituzione di una giornata europea dedicata al servizio volontario di protezione civile il 4 novembre.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 12 dicembre 2006, alle 9,30:

(ore 9,30, con eventuale prosecuzione al termine delle votazioni)

1. - Discussione del testo unificato delle proposte di legge (per la discussione sulle linee generali):
MAZZONI; MASCIA ed altri; BOATO: Istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (626-1090-1441-A).
- Relatore: Mascia.

2. - Discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale (per la discussione sulle linee generali):
ANGELA NAPOLI; LA RUSSA ed altri; BOATO; ZACCARIA ed altri: Modifica all'articolo 12 della Costituzione in materia di riconoscimento dell'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica (648-1571-1782-1849-A).
- Relatore: Bocchino.

(ore 15)

3. - Deliberazione in merito alla costituzione in giudizio della Camera dei deputati in relazione ad un conflitto di attribuzione sollevato innanzi alla Corte costituzionale dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00026, Pedrizzi ed altri n. 1-00027, Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033, Volontè ed altri n. 1-00052, D'Elia ed altri n. 1-00053, Bonelli ed altri n. 1-00054, Venier ed altri n. 1-00057, Maroni ed altri n. 1-00059 e Sereni ed altri n. 1-00063 sulle iniziative volte a sostenere il rispetto dei diritti umani in Cina.

5. - Seguito della discussione della mozione Bandoli ed altri n. 1-00041 sulle iniziative volte a sostenere l'approvazione, da parte dell'Assemblea generale dell'ONU, della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni.

6. - Seguito della discussione della proposta di legge:
MAZZONI: Modifiche agli articoli 15 e 16 della legge 3 agosto 2004, n. 206, in materia di benefìci per le vittime del terrorismo (616-A).
- Relatore: Giovanardi.

Pag. 32

7. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
PECORELLA*; FORGIONE e DANIELE FARINA; DE ZULUETA ed altri; SUPPA ed altri: Introduzione dell'articolo 613-bis del codice penale in materia di tortura (915-1206-1272-1279-A).
- Relatore: Pisicchio.
*In data 5 ottobre 2006 il deputato ha ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge.

8. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
MAZZONI; MASCIA ed altri; BOATO: Istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (626-1090-1441-A).
- Relatore: Mascia.

9. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale:
ANGELA NAPOLI; LA RUSSA ed altri; BOATO; ZACCARIA ed altri: Modifica all'articolo 12 della Costituzione in materia di riconoscimento dell'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica (648-1571-1782-1849-A).
- Relatore: Bocchino.

10. - Seguito della discussione della mozione Realacci ed altri n. 1-00006 sull'istituzione della giornata internazionale del volontariato europeo nel giorno dell'anniversario dell'alluvione di Firenze.

La seduta termina alle 17,30.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 6 dicembre 2006, a pagina 89, seconda colonna, prima riga, le parole «onorevole Buffo» si intendono sostituite dalle seguenti: «onorevole Burgio».