XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 63 di lunedì 6 novembre 2006

[frontespizio]
[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI

La seduta comincia alle 10.

SILVANA MURA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 27 ottobre 2006.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Albonetti, Amato, Aprea, Bafile, Bersani, Bimbi, Bindi, Boco, Bonino, Brugger, Capezzone, Castagnetti, Cento, Chiti, Cirino Pomicino, Colucci, D'Alema, D'Antoni, Damiano, De Castro, De Piccoli, De Zulueta, Duilio, Folena, Galante, Galati, Gentiloni Silveri, Giovanardi, Gozi, Landolfi, Lanzillotta, Levi, Lucà, Marcenaro, Maroni, Mazzocchi, Melandri, Meta, Migliore, Minniti, Morrone, Mussi, Oliva, Parisi, Pecoraro Scanio, Piscitello, Pisicchio, Pollastrini, Ranieri, Realacci, Rutelli, Santagata, Scajola, Stucchi, Violante e Visco sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono cinquantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Su un lutto del deputato Valentina Aprea.

PRESIDENTE. Comunico che la collega Valentina Aprea è stata colpita da un grave lutto: la perdita del padre.
Alla collega la Presidenza della Camera ha già fatto pervenire le espressioni della più sentita partecipazione al suo dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Discussione del disegno di legge: S. 953 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 settembre 2006, n. 258, recante disposizioni urgenti di adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia di detraibilità dell'IVA (Approvato dal Senato) (A.C. 1808) (ore 10,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 settembre 2006, n. 258, recante disposizioni urgenti di adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia di detraibilità dell'IVA.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1808)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari di Forza Italia e de L'UlivoPag. 2ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, deputato Fogliardi, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIAMPAOLO FOGLIARDI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge 15 settembre 2006, n. 258, reca disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee emessa in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia di detraibilità dell'imposta sul valore aggiunto (IVA).
Tale sentenza ha sostanzialmente affermato l'incompatibilità con il diritto comunitario delle disposizioni contenute nell'articolo 19-bis1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, le quali stabiliscono l'indetraibilità dell'IVA relativa all'acquisto o all'importazione di ciclomotori, di motocicli e di autovetture e autoveicoli non adibiti ad uso pubblico o che non formino oggetto dell'attività propria di impresa, ovvero all'acquisto e all'importazione dei componenti e dei ricambi dei menzionati ciclomotori, motocicli, autovetture e autoveicoli.
Sul concetto di attività d'impresa la giurisprudenza è stata nel tempo molto varia; il legislatore è intervenuto molto spesso, ma tale concetto, come sappiamo, si presta ad interpretazioni notevolmente estensive.
La Corte di giustizia ha rilevato che le anzidette misure risultano incompatibili con l'articolo 17, paragrafo 7, della direttiva del Consiglio 77/388/CEE (VI direttiva del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari), in quanto per le proroghe del regime di indetraibilità intervenute successivamente al 2000 non risulta essere stata osservata la procedura di consultazione del Comitato consultivo IVA prevista dall'articolo 29 della suddetta direttiva. Inoltre, è stato rilevato che la medesima disposizione della direttiva non consente ad uno Stato membro di adottare provvedimenti che escludano alcuni beni dal regime delle detrazioni di tale imposta senza limitazione temporale, ovvero nel contesto di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio ed a consentire il rimborso del debito pubblico.
La sentenza riconosce pertanto il diritto di ottenere il rimborso dell'IVA, versata e non detratta, per gli anni successivi al 2000. La Corte ha inoltre escluso la possibilità di differire o limitare nel tempo gli effetti della sentenza. In proposito, l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge prevede che, ai fini del rimborso, i soggetti passivi che fino alla data della 13 settembre 2006 hanno effettuato nell'esercizio dell'impresa, arte o professione acquisti ed importazioni di ciclomotori, motocicli, autovetture ed autoveicoli, ovvero sostenuto spese per componenti e ricambi degli stessi (vale a dire i beni e servizi indicati nell'articolo 19-bis1, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972) devono presentare istanza di rimborso entro il 15 aprile 2007. Questo termine è stato modificato nel corso dell'esame al Senato, in quanto originariamente esso era previsto per il 15 dicembre 2006.
L'istanza di rimborso deve essere presentata su apposito modello, da approvarsi con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate. In proposito, sono state configurate alcune ipotesi per inserire tale istanza nel modello di dichiarazione annuale IVA; tuttavia, si potrebbe andare incontro ad alcune difficoltà perché, da un lato, si snellirebbe la procedura ma, dall'altro, si arriverebbe ad interpretazioni non possibili in merito ad una sorta di compensazione.
A seguito di modifiche introdotte nel corso dell'esame al Senato, si prevede altresì che con il medesimo provvedimento possono essere stabilite differenti percentuali di detrazione dell'imposta, per distinti settori di attività, in relazione alle quali è ammesso il rimborso in misuraPag. 3forfetaria. Resta comunque salva la possibilità di rimborsi in misura superiore a quella forfetaria. In questo caso essi possono essere richiesti dai contribuenti che, pur avendo presentato istanza di rimborso prevista dal primo periodo, non aderiscono al regime forfetario, stabilito a norma del quarto periodo, nonché da quelli che non presentano istanza di rimborso entro il termine del 15 aprile 2007. Costoro dovranno presentare istanza agli effetti della presentazione dei ricorsi presso le commissioni tributarie provinciali.
Sappiamo che il contenzioso tributario, anche per le altre imposte, segue nella prassi la procedura secondo la quale il contribuente che intende richiedere un rimborso presenta istanza alla competente Agenzia delle entrate; decorsi 90 giorni, in caso di silenzio assenso, lo stesso contribuente può esperire l'opportuna procedura innanzi alle commissioni tributarie. Si tratta di una procedura che in passato ha visto moltissime applicazioni, ad esempio nei rimborsi ILOR (ma anche per altre imposte) per agenti, rappresentanti e lavoratori autonomi. Tale procedura, eventualmente alternativa all'accettazione del rimborso forfetario, può essere esperita dal contribuente per ottenere il rimborso.
La domanda di restituzione dei tributi deve essere presentata, in mancanza di disposizioni specifiche, entro due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. Quindi, anche in questo caso si segue analoga procedura come per altre istanze simili.
Il comma 2 prevede che i rimborsi siano esclusi dalle procedure di detrazione e di compensazione tra debiti e crediti di imposta previste dal decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e dal decreto legislativo n. 241 del 1997. Come accennavo poc'anzi - avremo modo di valutare tale questione in fase di esame degli emendamenti - se, da un lato, potrebbe esser accettata l'ipotesi di uno snellimento della procedura per l'inserimento nel modello relativo alla dichiarazione annuale IVA di un apposito rigo che preveda questa sorta di rimborso, ciò, dall'altro lato, potrebbe trarre in inganno o presupporre una sorta di compensazione tra debiti e crediti di imposta, che in questo caso non è possibile.
Il comma 2-bis, aggiunto nel corso dell'esame presso il Senato, mira a ridefinire la disciplina complessiva della materia, novellando l'articolo 19-bis, comma 1, lettera c), del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 relativo alla indetraibilità dell'IVA sui veicoli aziendali, oggetto di censura da parte della Corte di giustizia europea. Relativamente a tali veicoli si prevede, pertanto, che l'IVA sia indetraibile nei limiti previsti dall'autorizzazione che sarà rilasciata dagli organi comunitari.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ALFIERO GRANDI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Sta bene.
È iscritta a parlare la deputata Germontani. Ne ha facoltà.

MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, esaminiamo oggi un disegno di legge di conversione che il Governo italiano ha presentato al Parlamento per recepire la sentenza della Corte di giustizia europea in materia di IVA.
In particolare, la Corte di giustizia europea è intervenuta nella controversia tra la società Strade e asfalti srl e l'Agenzia delle entrate riguardo alle pretese di rimborso di somme che la stessa società aveva indebitamente già versato dal 2000 al 2004 per l'acquisto, l'uso e la manutenzione di veicoli non rientranti nell'oggetto della propria attività.
La sentenza della Corte è stata favorevole alla società e il Governo ha dovuto così emanare il decreto-legge 15 settembre 2006, n. 258. La Corte ha inteso evitare che un'imposta come l'IVA finisse perPag. 4alterare, nei diversi paesi che fanno parte dell'Unione, le condizioni di parità tra gli operatori economici.
È chiaro che una disposizione volta a prevedere una correzione legislativa nel senso dell'armonizzazione della normativa italiana alle direttive europee va approvata sollecitamente e con lo strumento del decreto-legge. Tuttavia, è altresì chiaro che il Governo ha predisposto un provvedimento che, a nostro giudizio, è confuso e burocratico e che forse finirà per creare nuova confusione.
Infatti, da un lato, il decreto-legge oggi al nostro esame sembra prevedere o, meglio, ripristinare i criteri giuridici della detraibilità dell'IVA, ma, dall'altro lato, vanifica gli effetti positivi per gli operatori economici, riducendo in maniera consistente ed arbitraria le detrazioni.
Ciò ci consente fin d'ora di pronosticare in futuro un nuovo intervento della Corte di giustizia europea. Infatti, è vero che il provvedimento del Governo all'ordine del giorno riguarda la detraibilità dell'IVA, ma anche e più direttamente riguarda il percorso, davvero complicato, di una normativa preesistente, sulla quale è intervenuta la sentenza della Corte di giustizia.
Il Governo avrebbe dovuto emanare disposizioni normative chiare, prendendo atto della sentenza, e provvedere all'adeguamento della disciplina IVA alla sentenza stessa. Evidentemente, però, il Governo ha incontrato non poche difficoltà nel quantificare esattamente l'entità del mancato introito tributario derivante dal complessivo ammontare dei rimborsi, peraltro facilmente prevedibili.
Oggi qualcuno si domanda se siano o non siano 15 miliardi di euro, in detrazione dalle entrate. Il Governo è ricorso ad una formulazione ambigua, insistendo, tra l'altro, sull'utilizzazione delle procedure telematiche che presentano limiti concreti e comportano difficoltà burocratiche già condannate a più riprese dalla Corte di giustizia. Più volte, la stessa Corte si è espressa in senso contrario all'introduzione di limiti nella applicazione delle sue sentenze ed ha censurato qualsiasi atto, fatto o procedura che possa inficiare il principio di effettività. Ciononostante, anche in questa occasione avete insistito sull'utilizzazione delle procedure telematiche, denotando una preoccupante propensione a concezioni dirigistiche anche nelle questioni maggiormente operative. In altre parole, pretendete ancora di dire come e in quale misura si debbano muovere i cittadini contribuenti per potere affermare o riaffermare un loro diritto.
Le difficoltà escogitate dal Governo sono tali e tante che le singole imprese probabilmente saranno penalizzate. I benefici che si attendono, infatti, non ci saranno o saranno ridotti al minimo e dilazionati nel tempo. Evidentemente il Governo, emanando un decreto-legge sostanzialmente ambiguo, ritiene di attutire il colpo cercando in tutti i modi di evitare che il totale ammontare dei rimborsi IVA finisca per appesantire le casse dello Stato.
La verità, dunque, è che il decreto-legge all'esame di questa Assemblea non rispetta la citata sentenza del 14 settembre 2006 della Corte di giustizia ma ripropone, con effetto retroattivo, la detraibilità a valere dal 1o gennaio 2006. A questo punto, il quesito è semplice: il Governo può permettersi di ignorare le sentenze internazionali? Perché a questo mira, in realtà, il decreto-legge in esame.
In definitiva, si tratta di un comportamento che mette in discussione la nostra stessa reputazione quale Stato membro dell'Unione europea. È evidente che il Governo non ha voluto abrogare la norma condannata con sentenza dalla Corte di giustizia, ma si è limitato ad emanare un decreto-legge che, certamente, penalizzerà le imprese e la serietà dei singoli bilanci. La Corte di giustizia europea ha affermato l'incompatibilità della vigente normativa italiana con il diritto comunitario. In Italia, l'IVA relativa all'acquisto di autovetture, autoveicoli, ciclomotori e motocicli che siano riferibili ad attività proprie dell'impresa non è detraibile. In Europa è vero il contrario e la sentenza della Corte è inequivocabile. Tuttavia, la stessa Corte ha escluso anche la possibilità di differire o limitare nel tempo gli effetti della sentenza;Pag. 5invito, questo, che il Governo sembra ignorare se è vero, com'è vero, che con questo decreto-legge cerca di creare tali e tanti ostacoli in modo che risultino ridotte al minimo le istanze dei rimborsi IVA.
Esaminiamo, dunque, gli ostacoli frapposti dal nostro Governo. In primo luogo, i soggetti passivi possono presentare per via telematica, come abbiamo ricordato, entro il 15 aprile 2007, una apposita istanza di rimborso di quanto già pagato a titolo IVA e non più dovuto a seguito della sentenza della Corte di giustizia, sentenza che, come detto, ripristina la possibilità della detrazione. Questo è il primo ostacolo burocratico. Infatti, l'istanza di rimborso potrà essere presentata quando il direttore dell'Agenzia delle entrate avrà predisposto un apposito modello da compilare entro 45 giorni dall'entrata in vigore di questo decreto-legge. Qualcuno obietterà che si sta discutendo la conversione in legge di un decreto-legge che, come tale, ha piena validità di legge da subito. Evidentemente, il Governo prende tempo perché è stato colto impreparato dalla sentenza della Corte di giustizia. Inoltre, si stabilisce che il tipo di documentazione da allegare all'istanza di rimborso dell'IVA sarà decisa chissà quando.
Non sono neppure chiariti i criteri per eventuali rimborsi superiori a misure forfettarie: ditemi voi in che modo le singole imprese ed i dottori commercialisti potranno lavorare!
La cultura fiscale persecutoria del Governo si palesa in tutta la sua evidenza quando si vuole evitare un ingiustificato arricchimento dei contribuenti che possono richiedere un rimborso maggiore dell'IVA indebitamente pagata. Infatti, è una palese iniquità prevedere che il provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate potrà disciplinare i rimborsi in misura forfettaria individuando specifiche percentuali di detrazione in relazione a differenti settori di attività. Non siamo di fronte a criteri di detraibilità chiari e precisi, ma a facoltà, se non addirittura ad un arbitrio stabilito a livello non più legislativo. Evidentemente, il Governo rinuncia a stabilire criteri di detraibilità e si affida alle decisioni del direttore dell'Agenzia delle entrate.
Non si tratta soltanto di incongruenze, ma è di tutta evidenza la volontà di bypassare la sentenza stessa della Corte di giustizia europea. È corretto stabilire il termine del 15 aprile 2007 per la presentazione dell'istanza di rimborso. Non è corretto, però, escludere l'applicabilità delle procedure generali di detrazione dell'IVA disciplinate dall'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972.
Si vuole, poi, escludere l'esercizio del diritto alla detrazione in sede di dichiarazione annuale dell'IVA per il 2005. La Corte di giustizia è stata chiara, specie riguardo alla detraibilità dell'IVA sui veicoli aziendali, ma il Governo Prodi vuole negare la possibilità delle detrazioni ai contribuenti italiani. Questo decreto-legge non è altro che una «nebbia» che piomba sulle imprese, che crea confusione ed incertezze, invece che chiarezza. È mancato ogni serio intervento che prevedesse la compensazione fiscale; è mancata la possibilità di consentire la domanda in via ordinaria; è mancata, soprattutto, la fissazione di una data certa entro la quale erogare i rimborsi.
La contraddittorietà del provvedimento sta nelle confuse modalità applicative e dimostra la reale volontà del Governo di non dare corso alla sentenza europea, peraltro confermata dalla mancata abrogazione della norma oggetto della censura comunitaria. L'impossibilità, inoltre, di portare a compensazione o detrazione il rimborso spettante, ovvero l'incertezza sui tempi del rimborso stesso negano i principi sanciti dallo statuto del contribuente. Il decreto-legge viola il patto di lealtà tra Stato e contribuente e vengono disattesi i principi reali e fondamentali della democrazia. Il fatto di non poter portare a compensazione o detrazione il rimborso spettante e l'incertezza sui tempi, quindi, negano i principi dello statuto del contribuente, negano la democrazia, negano la capacità competitiva delle nostre imprese, delle partite IVA, di tutti coloro che stannoPag. 6andando avanti con grandi sacrifici e che verranno penalizzati ulteriormente e profondamente dalla vostra finanziaria.
In conclusione, l'abbattimento della detraibilità potrebbe risultare una manna dal cielo per il Governo perché eviterebbe la perdita di un gettito fiscale IVA stimato in 5,2 miliardi di euro per il 2007, ma suonerebbe un insulto allo spirito europeo tante volte sbandierato dal Presidente del Consiglio Prodi se, come cittadini italiani, ci dovesse essere negato quello che come cittadini europei la sentenza della Corte di giustizia ci ha riconosciuto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è al nostro esame un provvedimento che inizialmente il gruppo della Lega Nord Padania considerava con favore in merito alla sostanza. Noi proveniamo da una parte del paese dove molto spesso, se non sempre, la presenza dello Stato, della burocrazia, è vista in maniera invasiva nei riguardi delle imprese e delle categorie produttive, come un ostacolo alla volontà di fare intrapresa. Molto spesso la volontà di operare, di lavorare, di creare un valore aggiunto è limitata dalla presenza di leggi, di regolamenti e di norme che altro non fanno che affievolire tale volontà nella nostra parte del paese (mi riferisco, ovviamente, alla Padania), oltretutto all'interno di un sistema produttivo e di infrastrutture che non agevola affatto la volontà di creare impresa.
Il provvedimento oggi in discussione sembrava andare in controtendenza, in quanto aveva dato l'impressione che lo Stato, il Governo, la macchina amministrativa, a seguito di una sentenza della Corte di giustizia europea, facessero marcia indietro rispetto a decisioni assunte in tempi passati con riguardo alla possibilità di rimborsare l'imposta a chi non aveva detratto l'IVA sugli autoveicoli.
In un primo momento, quindi, il nostro gruppo ha considerato che, finalmente, lo Stato, l'ente pubblico avesse riconosciuto di avere sbagliato, essendovi una sentenza europea, e restituisse quanto indebitamente incamerato a chi non aveva potuto a suo tempo usufruire della detrazione dell'IVA sugli autoveicoli; nella sostanza, abbiamo considerato positivamente il provvedimento, riconoscendovi anche un messaggio che voleva essere inviato a quella parte produttiva del paese che ho prima citato.
Sembrava che lo Stato riconoscesse davanti a contribuenti, piccole e medie imprese, professionisti, di essersi sbagliato, rimborsando ciò che ingiustamente era stato pagato. Vi è una sentenza della Corte di giustizia europea che lo sostiene e lo Stato era pronto ad ammettere il proprio errore e fare marcia indietro rispetto ai provvedimenti assunti in precedenza. Adeguarsi ad una sentenza della Corte di giustizia europea è un atto dovuto e lo Stato italiano lo deve compiere, essendo noi nella Comunità europea. Quindi, si riconosceva un errore commesso e si dava seguito ad un atto dovuto: due aspetti che avevano visto un atteggiamento positivo da parte della Lega Nord Padania rispetto alla norma.
Tuttavia, abbiamo esaminato il provvedimento nel dettaglio ed abbiamo verificato che la sostanza del decreto-legge in esame, cioè il rimborso dell'IVA incamerata in maniera non dovuta dallo Stato, non viene realizzata o appena lo è in maniera poco chiara, non certa in termini di tempo e modalità.
Viene in pratica sancito un diritto nei riguardi delle imprese e dei professionisti senza tuttavia stabilire il modo in cui questo diritto può essere riconosciuto. In particolare, nel decreto-legge in esame, che si compone di pochi articoli, non vengono per nulla specificati i termini entro cui saranno rimborsate le imposte indebitamente versate, inducendo pertanto a ritenere che si tratterà di tempi molto lunghi. Non viene prevista la possibilità, tra l'altro, di utilizzare nel breve termine, con altre modalità diverse dal rimborso, queste somme.
In pratica, viene prevista una serie di norme che non danno nulla di certo: diPag. 7certo vi è soltanto un nucleo centrale volto a stabilire che il contribuente ha diritto ad un rimborso - per effetto della sentenza ripresa dal decreto-legge - ma, analizzando nello specifico, si scopre che di questo rimborso non si conoscono i tempi. Inoltre, le modalità con cui esso viene riconosciuto sono farraginose e tendono a limitare l'esercizio di questo diritto. In sostanza, il diritto viene sì riconosciuto, ma vengono messi dei «paletti tra le ruote» per fare in modo che il titolare del diritto stesso alla fine sia scoraggiato anche dal formulare la semplice richiesta di rimborso.
Il provvedimento di urgenza si compone di tre semplici articoli. In sostanza, si stabilisce che, ai fini dell'attuazione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, in sede di prima applicazione, i soggetti passivi che fino alla data del 13 settembre 2006 hanno effettuato nell'esercizio dell'impresa, arte o professione acquisti ed importazioni di beni e servizi, presentano in via telematica entro il 15 aprile 2007 - nella versione originale la data era molto più ravvicinata: il nuovo termine è frutto della discussione al Senato - apposita istanza di rimborso, utilizzando uno specifico modello, da approvarsi entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate. Con tale decreto possono essere inoltre stabilite le differenti percentuali di detrazione dell'imposta per distinti settori di attività in relazione alle quali è ammesso il rimborso in misura forfetaria. In pratica, lo Stato stabilisce il rimborso in misura forfetaria, previa richiesta da effettuare entro la data del 15 aprile prossimo, diversa per specifici settori di attività. Ci attendiamo quindi delle differenze significative a seconda dei settori interessati. Infatti, può essere richiesto anche un rimborso complessivo, se il contribuente lo ritiene opportuno, con un'altra modalità.
Già da questa sommaria lettura dei singoli articoli si evince che da parte dello Stato nel breve periodo non vi è la volontà di rimborsare quanto dovuto entro una data certa. Si stabilisce invece che occorre presentare una apposita richiesta di rimborso entro il 15 aprile 2007; dopodiché, qualora il rimborso sia dovuto, si potrà ottenere la restituzione delle somme a cui si ha diritto senza però che vengano stabiliti i termini precisi entro i quali l'erogazione dovrà avvenire. Non vi è, quindi, per il contribuente certezza del tempo entro cui avrà a disposizione queste somme. A nostro avviso, tale previsione scoraggia gli aventi diritto a presentare la richiesta di rimborso.
Anche in sede di discussione al Senato il nostro gruppo aveva avanzato delle proposte: sebbene non vi fosse certezza sui tempi del rimborso, almeno si sarebbe potuto pensare di concedere ai richiedenti la possibilità di detrarre o compensare il credito IVA (perché, al punto in cui siamo, si tratta proprio di questo). In altri termini, si sarebbe potuta concedere, in sede di dichiarazione annuale o di versamento trimestrale, la compensazione dell'IVA a credito, detraendola o compensandola con altri tributi nel momento in cui gli stessi devono essere pagati. Peraltro, se la sentenza è definitiva, si ritiene che, nel breve termine, si potrebbe richiedere una compensazione o una detrazione sull'IVA del rimborso previsto.
In sede di discussione al Senato ciò non è stato concesso da parte del Governo ed in questa sede, con specifici emendamenti, abbiamo riproposto tale questione: ciò affinché il contribuente possa avere la certezza che l'IVA ingiustamente pagata (e ciò lo stabilisce la sentenza) possa essere detratta a breve termine o compensata con altri tributi, poiché si tratta di un suo diritto. Con il provvedimento in discussione tale possibilità non viene concessa.
A nostro modo di vedere, ciò rientra nell'impostazione generale di questo Governo. Nella nota di aggiornamento al DPEF si afferma che questa sentenza comporterà maggiori oneri e costi per lo Stato. In particolare, si dice che ci sarà un minor gettito tributario (stimato in 3 miliardi e 700 milioni di euro) per il 2006. Nello specifico, in termini di indebitamento netto, la sentenza determina maggiori oneri stimati in 13 miliardi e 400 milioniPag. 8con il pagamento degli arretrati relativi agli anni 2003, 2004, 2005. Allora, in ragione di tale sentenza, secondo quanto si afferma nella nota del DPEF, nel 2007 si avrà un minor gettito tributario per circa 3 miliardi e 700 milioni.
Alla luce di questo dato, il Governo ha ritenuto di reperire risorse da un'altra parte: con il provvedimento collegato alla manovra finanziaria (il decreto-legge sul quale nelle scorse settimane è stata posta la questione di fiducia alla Camera e che ora è in discussione al Senato) ha ridotto la possibilità per determinati soggetti di dedurre i costi per le autovetture (ad esempio, si è passati dal 50 al 25 per cento per quanto riguarda i professionisti). E la possibilità di dedurre minori costi implicherà il pagamento di maggiori imposte. Lo Stato ha utilizzato questa modalità, che praticamente richiama alla mente il solito discorso della coperta troppo corta, che viene tirata da una parte ma lascia scoperta l'altra. Lo Stato fa questo ragionamento: si avrà un minor gettito per 3 miliardi e 700 milioni perché una sentenza della Corte di giustizia europea lo impone. Ma non è che questi soldi siano dovuti agli interessati: riconosciamo loro i rimborsi di tali somme, ma nel contempo sottraiamo risorse da un'altra parte.
Praticamente, è una partita di giro: alla fine, non è concesso alcun vantaggio per i soggetti che avrebbero dovuto vedere riconosciuti i propri diritti sulla base di una sentenza della Corte di giustizia europea.
In più, vi è un reale problema: da una parte, si impone da subito, in maniera retroattiva, di diminuire l'incidenza dei costi deducibili per gli autoveicoli (quelli di ammortamento, di manutenzione e via dicendo), e il contribuente si accorgerà subito che dovrà pagare maggiori imposte; dall'altra parte, non vi è alcuna certezza sui tempi di rimborso delle imposte indebitamente pagate che spetterebbe al contribuente in base alla sentenza. Quindi, da una parte si dice che i soldi vengono incassati subito; dall'altra, che i soldi saranno dati, ma non si sa quando. Si tratta di un'impostazione tipica di questo Governo - che, molte volte, abbiamo criticato e criticheremo -, che costituisce il leit motiv dell'Esecutivo dal momento del suo insediamento. In questo caso, si sarebbe potuto dare un segnale di apprezzamento nei confronti di queste categorie produttive, ma ciò non è accaduto.
Inoltre, si prevede che la richiesta di rimborso avvenga tramite una procedura telematica; si tratta di una modalità che abbiamo contestato già al Senato ed in ordine alla quale qui alla Camera abbiamo presentato uno specifico emendamento. Infatti, riteniamo che per determinati contribuenti possa risultare più semplice e meno oneroso procedere alla richiesta cartacea. Tra l'altro, si tratta di una richiesta una tantum e la modalità telematica potrebbe scoraggiare, in quanto molte volte non viene capita dallo stesso contribuente. Ad esempio, per quanto riguarda l'F-24 on line si utilizza la modalità telematica, anche se poi vi è stata una sostanziale retromarcia. In ogni caso, il fatto che in questo provvedimento sia previsto che per una singola richiesta si debba procedere in via telematica a nostro avviso non fa altro che rendere farraginosa la modalità di richiesta del rimborso.
Contestiamo pertanto questa norma che, a nostro modo di vedere, appare troppo burocratica e limitativa per i contribuenti; probabilmente, in tal modo si intende dissuadere i contribuenti dal presentare la richiesta di rimborso. Ripeto: con il provvedimento al nostro esame non vi è alcuna certezza per il contribuente il quale, anziché essere agevolato, appare maggiormente limitato.
Il comma 1 dell'articolo 1 del provvedimento in esame prevede dunque la presentazione in via telematica entro il 15 aprile 2007 dell'apposita istanza di rimborso, utilizzando uno specifico modello, da approvarsi entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate. Contestiamo il fatto che ciò debba avvenire attraverso un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate e, pertanto, abbiamo presentato uno specifico emendamento in base al quale tale compito è rimesso ad un decreto ministeriale.Pag. 9Ci sembra, infatti, che derogare e, comunque, affidare eccessivi compiti e poteri al direttore dell'Agenzia delle entrate conduca ad una valutazione molto spesso semplicemente burocratica ed amministrativa degli adempimenti dovuti. Dal Governo abbiamo avuto diversi esempi di decreti-legge - che, a nostro modo di vedere, non sono nemmeno stati letti dalla maggioranza di Governo, a volte nemmeno dagli stessi sottosegretari e, forse, sono stati letti dal ministro prima dell'entrata in vigore - al cui interno abbiamo visto delle chiare «pazzie» per quanto disposto in ordine a certe tematiche. Molte volte in determinati provvedimenti - specie nei decreti-legge, rispetto ai quali i parlamentari non hanno potuto intervenire con emendamenti, con la discussione in aula o in Commissione prima dell'entrata in vigore - è chiaramente emersa una visione eccessivamente burocratica ed amministrativa, che probabilmente arrivava da determinati uffici del Ministero, se non dell'Agenzia delle entrate.
Gli esempi sono stati chiari. Prima abbiamo evidenziato il caso dell'F-24 on line, con riferimento al quale la stessa maggioranza in Commissione ha criticato aspramente i termini ridotti ai quali i contribuenti si sarebbero dovuti adeguare per inviare tale modello, ha criticato l'eccessiva burocratizzazione del provvedimento ed ha fatto capire che, probabilmente, loro stessi non erano stati informati di quando fosse stato emanato. Forse anche qualche sottosegretario non lo sapeva, perché quel provvedimento arrivava da qualche ufficio di qualche direttore che aveva una visione semplicemente burocratica ed amministrativa, semplificando gli adempimenti per lo Stato, per la burocrazia, per l'amministrazione pubblica e non per i contribuenti.
Critichiamo fortemente che con queste norme si preveda un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate e, quindi, non della parte governativa e politica, che molto spesso conosce con maggior precisione le problematiche relative alle varie categorie produttive del paese. Anche su tale aspetto abbiamo presentato uno specifico emendamento diretto a derogare da quanto previsto, proprio perché non vorremmo correre il rischio evidenziatosi in altri casi, quando rispetto a determinati decreti-legge, entrati subito in vigore, la stessa maggioranza non era per nulla d'accordo su certe misure. Ad esempio, nel caso dello scontrino fiscale la stessa maggioranza ha dovuto, almeno in parte, fare retromarcia perché si era accorta che si trattava di una pazzia pensata in un ufficio di qualche apparato pubblico.
Il fatto che non ci sia una certezza sui tempi di rimborso ci porta ad avanzare una critica, che si ricava dalla semplicissima scheda di sintesi del Servizio studi distribuita ai deputati - quindi, non la inventiamo noi - sui rischi di questa decisione, cioè che la Corte di giustizia europea possa addirittura contestare che il rimborso non venga previsto in termini di tempo relativamente brevi. Basta leggere tale scheda nella parte in cui si parla dell'esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria.
Relativamente all'articolo 1, comma 2, si legge: «(...) il quale esclude l'applicabilità delle procedure ordinarie di detrazione e di compensazione per il recupero dell'imposta indebitamente versata. Si rileva l'opportunità di un approfondimento in rapporto alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, relativamente alle modalità di restituzione di un tributo dichiarato incompatibile con il diritto comunitario (...)». In questo caso si fa riferimento, ad esempio, alla sentenza sulla causa n. 197 del 2003, che pare andare in controtendenza con quanto specificato nel provvedimento, non essendo chiaro sui tempi e sui termini di rimborso dell'imposta che lo Stato deve ai soggetti interessati.
Esiste quindi il rischio che le modalità di adeguamento a questa sentenza siano contestate dall'Europa stessa. Tale rischio, che vogliamo manifestare in questa sede per la sua rilevanza, è determinato dall'assenza di tempi certi di rimborso.
Inizialmente abbiamo guardato con favore ed interesse al provvedimento in oggetto. Avremmo voluto essere d'accordoPag. 10con le disposizioni in esso contenute ed adottare conseguentemente un atteggiamento bipartisan, adeguandoci ad una sentenza della Corte di giustizia europea. Si trattava, quindi, di un atto dovuto, oltretutto rispetto ad un argomento molto caro a chi proviene dal territorio della Padania, dove si attende la possibilità di ricevere il rimborso dell'IVA indebitamente pagata allo Stato.
Successivamente abbiamo constatato che lo Stato italiano, ancora una volta, ha perso l'occasione di dimostrarsi accondiscendente, favorevole, disponibile nei confronti delle categorie produttive e fa di tutto pur di non riconoscere il diritto sancito dalla Corte di giustizia europea.
Questo Governo ha adottato una serie di provvedimenti. Si è partiti con il «decreto Bersani», che avrebbe dovuto essere il provvedimento sulle liberalizzazioni e sulla libertà economica in Italia. In realtà, esso riguardava le aspirine, i tassisti, i panettieri (ed è stato molto contestato dalle categorie interessate): si trattava del decreto fiscale del viceministro Visco, il decreto di «invadenza fiscale» nelle categorie produttive, nel mondo della piccola e media impresa, degli artigiani, dei commercianti e dei professionisti. Quindi, già in quel caso era stato lanciato un messaggio negativo al mondo delle partite IVA.
Si è poi arrivati al disegno di legge finanziaria, ormai contestato da tutti, tranne che dai sindacati, pagati con l'accordo sul pubblico impiego, e da Pallaro, perché gli sono stati dati 14 milioni a forfait. Si capisce l'invasività, il carattere vessatorio di questo provvedimento nei confronti delle categorie produttive e del mondo delle partite IVA in generale.
Dunque, i tre, quattro miliardi, anziché darli ai dipendenti pubblici per far star zitti i sindacati e per impedire loro di fare scioperi, potevamo concederli in termini di tempo relativamente brevi, necessari per capire chi veramente avesse diritto a questo rimborso, a chi aveva pagato indebitamente l'IVA! Invece, anche questa volta il Governo e la maggioranza hanno preferito prendere tempo, «dare legnate» (come piace dire a noi) sulla schiena del mondo delle partite IVA e limitarsi a sostenere che esiste il diritto al rimborso di ciò che è stato indebitamente pagato.
In questo caso non si tratta di evasori, ma di gente che ha pagato. Tuttavia, ancora li tartassate! Dovremmo soffermarci su questo aspetto: sappiamo che tartassate gli evasori - non siamo favorevoli all'evasione fiscale e siamo d'accordo che tutti debbano pagare le tasse -, ma non volete rimborsare chi le ha pagate!
Si tratta di un atteggiamento, ancora una volta, vessatorio. Questo semplice provvedimento composto di tre articoli poteva rappresentare un segnale, un piccolo riconoscimento dato a chi, da mesi e mesi di Governo, state vessando. Invece, nulla!
La Lega Nord Padania inizialmente poteva essere favorevole ad assumere uno spirito bipartisan sul provvedimento in oggetto, a favore di chi indebitamente ha pagato l'IVA allo Stato italiano (poteva esprimere favorevolmente il proprio voto, trovando un accordo con tutti). Tuttavia, verificando che questa volontà manca - esiste invece la volontà di dilatare i tempi e di andare a reperire ancora soldi con il decreto-legge collegato, diminuendo la possibilità di dedurre i costi - ci troviamo costretti a criticare fortemente il provvedimento - e ci dispiace di non potere essere costruttivi -, perché la maggioranza sembra chiusa nella volontà di approvarlo così come è stato trasmesso dal Senato. Dunque, la nostra contrarietà è manifesta e lo testimoniamo ancora una volta.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Elpidio. Ne ha facoltà.

DANTE D'ELPIDIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge che ci accingiamo ad approvare reca disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea che il 14 settembre scorso ha affermato l'inapplicabilità della disciplina italiana relativa all'indetraibilità IVA.
Il diritto alla detrazione dell'IVA consente ai soggetti passivi, imprese e professionisti,Pag. 11di recuperare l'imposta che viene loro addebitata in via di rivalsa al momento dell'acquisto di beni o servizi. Nel caso specifico, la sentenza ha sancito l'incompatibilità con il diritto comunitario delle disposizioni contenute nell'articolo 19-bis, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. Esse stabiliscono l'indetraibilità dell'IVA relativa all'acquisto di veicoli non adibiti ad uso pubblico o che non formino oggetto dell'attività propria dell'impresa.
Con questo decreto-legge il Governo si appresta a regolamentare il contenzioso che si è così venuto ad instaurare tra un gran numero di contribuenti e l'erario. Attraverso questo provvedimento, i contribuenti che fino al 15 settembre scorso hanno effettuato acquisti di beni e servizi indicati nel suddetto articolo 19-bis, comma 1, potranno presentare istanza di rimborso, a pena di decadenza, entro il 15 aprile 2007.
Ora, appare giustissimo il provvedimento del Governo: non si poteva fare altrimenti e noi lo appoggeremo con forza. È altresì un provvedimento urgente e pertanto è da giustificarsi il ricorso da parte del Governo allo strumento del decreto-legge. Infatti, appare necessario individuare nel più breve tempo possibile le modalità con cui i contribuenti potranno accedere al rimborso. Saranno così determinati i tempi e i modi del rimborso, che potrà essere quantificato solamente dopo la presentazione delle domande e l'individuazione del numero di esse, nonché di un successivo controllo della documentazione che il contribuente è tenuto a presentare per dimostrare il credito IVA richiesto a rimborso.
Non sarà inoltre consentito al contribuente applicare l'ordinaria procedura di detrazione o la possibilità di compensare i debiti d'imposta con il credito IVA maturato. Ciò è stato deciso perché non è immediatamente quantificabile il credito esigibile, in quanto l'importo dovuto dovrà essere ridotto dal vantaggio d'imposta già fruito in materia di imposte dirette, dato l'utilizzo dell'IVA indetraibile come spesa indeducibile.
Su questo tema del rimborso ho sentito qualche critica e qualche appunto. Infatti, è stato sostenuto che si vorrebbe continuare a vessare il «popolo delle partite IVA». Io mi chiedo se chi ci tiene tanto a proteggere questo «popolo» e questa categoria - cui l'attuale Governo peraltro ha dimostrato di rivolgere il massimo dell'attenzione - non avrebbe dovuto dimostrare questa stessa sensibilità e questa particolare inclinazione a favorire tali categorie produttive del nostro paese, non tanto restituendo oggi, ma non prelevando all'epoca!
Vorrei ricordare che questa sentenza comporta un enorme impatto per le finanze dello Stato, in quanto la maggiore spesa può essere quantificata in circa 13,4 miliardi di euro, vale a dire circa un punto di PIL per il pagamento degli arretrati relativi agli anni 2003-2005 e di 3,7 miliardi di euro per il solo 2006. In sostanza, si tratta di circa 4 miliardi di euro l'anno, dal 2003 al 2005, e di 3,7 miliardi di euro per il 2006.
Questa è una delle sentenze che producono effetti finanziari maggiori nella storia della Corte di giustizia, ma oltre al danno vorrei ricordare la beffa. Infatti, la sentenza della suddetta Corte di giustizia ha escluso, in questo contesto, la buona fede dello Stato italiano nella costituzione dei rapporti giuridici. Inoltre, si afferma che il Governo italiano non è riuscito a dimostrare l'affidabilità del calcolo in base al quale ha sostenuto, dinanzi alla Corte, che la sentenza rischierebbe, qualora i suoi effetti non fossero limitati nel tempo, di comportare conseguenze finanziarie rilevanti; pertanto, si è deciso di non porre un limite temporale agli effetti della succitata sentenza. Quindi la Corte, qualora accertasse che una propria decisione reca gravi effetti finanziari nei confronti di uno Stato membro, si riserverebbe di limitare l'applicazione della sentenza stessa solamente al futuro e non al passato. In buona sostanza, come accade per qualsivoglia controversia, la Corte di giustizia ha chiesto e dato termine per presentare una memoria difensiva che, attraverso un calcolo, deve dimostrare l'effetto, l'impattoPag. 12negativo che l'applicazione della sentenza può avere nei confronti delle già disastrate casse dello Stato.
Questa sentenza assorbe circa un punto percentuale del PIL; tale aspetto doveva essere spiegato, motivato, documentato nel momento in cui eravamo nella condizione migliore per stabilire che la sua applicazione avrebbe prodotto all'epoca - come d'altronde a tutt'oggi - effetti disastrosi sulla nostra finanza.
Adesso siamo costretti ad esporre le già fragili casse dello Stato ad un enorme esborso per l'insipienza del Governo che ci ha preceduto, il quale non è stato in grado di documentare correttamente il fabbisogno necessario. Quindi la Corte di giustizia, per la prima volta, ha deciso di estendere anche al pregresso il diritto al rimborso, nonostante ciò comporterà grave pregiudizio alle finanze degli Stati membri.
Ricordiamo infine che nel 2000 il Governo di centrosinistra si impegnò, in sede comunitaria, a rivedere dal 2001 il regime di indetraibilità, troppe volte prorogato; esso, infatti, ha generato la sentenza ed il provvedimento che si è ora reso necessario. Il compito sarebbe dovuto spettare nel 2001 al Governo Berlusconi che, nel frattempo, era subentrato alla guida del paese. In ogni caso, anche in quell'occasione nulla fu fatto ed ora chiediamo conto all'attuale opposizione del grave danno che l'Italia ha subito e di cui ci apprestiamo a pagare le conseguenze.
L'ho ribadito e mi preme sottolinearlo: già nel 2001 eravamo in presenza di una serie di proroghe che, bene o male, erano state accettate, tollerate, giustificate; quindi, la Corte nulla aveva rilevato in merito a questo problema.
Nel 2001 ci si è trovati di fronte alla scadenza di una serie interminabile di proroghe ed il Governo avrebbe dovuto adottare una decisione al riguardo: in sostanza, o motivare fortemente la necessità di prorogare il regime di indetraibilità dell'IVA sull'acquisto di determinati beni oppure porre fine alla sua temporaneità, transitorietà e validità fino ad una certa data. Ho effettuato, però, una quantificazione prima, parlando di cifre. I 4 miliardi di euro che affluivano nelle casse dello Stato e che oggi bisogna giustamente restituire e rimborsare a chi li ha versati indebitamente, facevano comodo, perché, come tutti ricorderanno, quello era il periodo in cui, tra condoni, gabelle e tasse di ogni genere, dissimulate in maniera molto creativa, si è raschiato il fondo del barile e si è andati anche oltre, cercando di reperire tutte le risorse possibili ed immaginabili (anche quelle, come in questo caso, non dovute), per motivare un rilancio e giustificare un'azione che poi il Governo precedente ha dimostrato di non poter assicurare e garantire.
Dico questo non per esprimere un giudizio politico ma perché, nell'esaminare un problema, non c'è miglior cosa che attenersi ai numeri. La storia del Governo che ci ha preceduto, in base ai numeri, emette la condanna ferma ed irrevocabile, analoga a quella della Corte di giustizia, che quello sviluppo che si doveva garantire ed assicurare, reperendo risorse in ogni modo, non c'è stato; al contrario, tutte quelle risorse sono state divorate da quella macchina vorace che è la spesa pubblica, aumentata progressivamente negli anni, raggiungendo livelli insostenibili.
Avendo, come membro della Commissione bilancio, partecipato ai lavori su questo decreto ed analizzato le problematiche relative alla legge finanziaria, che ci apprestiamo ad affrontare prossimamente in aula, ho riflettuto su alcuni atteggiamenti. Abbiamo ascoltato maestri e campioni di risparmio, di equità, di corretta amministrazione. Ciò che alcuni autorevoli esponenti dell'attuale opposizione, che fino a qualche tempo fa governava questa nazione, non hanno capito in cinque anni, lo hanno capito in tre mesi, perché ci hanno suggerito un elenco di ricette, di necessità, di opportunità, di rigore, di equità, di eguaglianza e di salvaguardia di tutte le categorie. Questo ci fa piacere, anche perché ogni vocazione, seppur tardiva, va presa in seria considerazione.
Ci risulta difficile, però, accettare insegnamenti da chi, quando era chiamato ad agire, ha sbagliato oltre i limiti di ciòPag. 13che si poteva sbagliare, non correggendo la curva di quel deficit e di quella spesa che crescevano inesorabilmente ogni anno, pur mitigati dagli effetti di quei 4 miliardi di euro che, ogni anno, entravano indebitamente. Eppure, nemmeno queste ulteriori risorse sono servite a mettere qualche pezza, qui e là, per evitare che si arrivasse ai livelli di oggi. Ecco, se già nel 2001 quel Governo si fosse posto il problema, dicendo: basta, non ci spettano più...

MASSIMO MARIA BERRUTI. Ma ti sei trovato diecimila miliardi in più!

ALBERTO FLUVI. Dici una fesseria dietro l'altra!

DANTE D'ELPIDIO. Quando avrete la possibilità di intervenire, porterete le vostre ragioni. Io mi sto attenendo ai numeri...

MASSIMO MARIA BERRUTI. Dice falsità!

PRESIDENTE. La prego, onorevole! La prego, lasci concludere l'intervento.

ALBERTO FLUVI. Parla di cose serie!

MASSIMO MARIA BERRUTI. Non ci penso neanche! Sono falsità!

PRESIDENTE. Onorevole Berruti, la prego...

DANTE D'ELPIDIO. Io non sono interessato ad un dibattito politico, né tantomeno a scambiare un parere con lei, onorevole Berruti, che avrà modo, quando potrà svolgere il suo intervento, di contestare le mie affermazioni, di portare le sue ragioni e di spiegare agli italiani come mai quando c'era la possibilità di intervenire su questo versante non è stato fatto. Non mi spaventa ciò, perché se solo questa inadempienza fosse da addebitare al precedente Governo saremmo quasi sulla strada giusta, mentre invece ci dovremmo lamentare di molti altri aspetti, perché questa è quell'«eredità» di cui si parlava. Quando si parla dell'«eredità pesante», della «tassa di successione» del precedente Governo, allora io ci metto anche queste somme che bisogna restituire ai contribuenti, giustamente. Io ci metto anche le altre somme che nel disegno di legge finanziaria sono state reperite - e ci siamo dovuti sforzare di reperire - per rientrare nei parametri che l'Europa ci impone.
Pagata questa «tassa di successione», saldata questa pesante «eredità», noi preferiamo non continuare sulla strada delle polemiche e non ci procura meriti e vantaggi specifici e personali scaricare responsabilità. Come ogni eredità, in questo caso siamo stati costretti ad accettarla senza nemmeno il beneficio dell'inventario, ma ogni giorno, quando andiamo a fare l'inventario, quando andiamo ad ampliare la conoscenza dei numeri che erano stati abilmente scritti, ci rendiamo conto che la situazione è molto più grave di quella che ci aspettavamo.
Ed allora, mi chiedo a cosa abbia portato questa politica. Infatti, le politiche si giudicano dopo, osservando il risultato. Purtroppo, oggi non posso che constatare numericamente un risultato che porta ad un aumento della spesa pubblica considerevolissimo negli ultimi cinque anni, ad un aumento del deficit che non ha eguali e, quindi, in base a questi numeri, esprimo un giudizio negativo.
Ora vi è un'azione intrapresa con serietà, con responsabilità, ed è un'azione di rigore, di equità e di sviluppo. Non mi aspetto che questa manovra e questa azione, che l'attuale Governo, con responsabilità, vuole portare avanti, producano i propri effetti domani mattina. Così come ho capito le ragioni di chi, cinque anni fa, diceva che aveva bisogno di cinque anni per governare e per dimostrare ai cittadini la bontà della propria azione di governo. Quel tempo è stato concesso, quel tempo è stato utilizzato e, considerati i risultati, forse sarebbe stato più giusto darne di meno, così da limitare i danni prodotti.
Oggi la nostra azione e le nostre proposte spiegheranno effetti, produrranno una ripresa che noi ci auguriamo e vogliamo fortemente e ridaranno impulso adPag. 14un paese che era arrivato quasi al capolinea. Noi su questi effetti e su queste azioni siamo pazienti, lavoriamo quotidianamente, anche tra le incomprensioni, anche tra le proteste, ma sappiamo bene che quando si propongono misure impopolari nessuno è contento, nessuno accetta passivamente. Tutti siamo convinti che vi sia bisogno di rigore e di sviluppo e di fare sacrifici. Tuttavia, se il sacrificio lo fa il nostro vicino è meglio, se il sacrificio lo fa qualcun altro al posto nostro è cosa buona e giusta. Noi, invece, siamo convinti che siamo chiamati tutti a dare il nostro contributo e lo vogliamo dare. Questo sacrificio viene richiesto agli italiani, ma almeno lo si quantifica, affinché gli italiani sappiano quanto costa tale sacrificio. Infatti, se noi volessimo fare demagogia potremmo diminuire le tasse, potremmo concedere agevolazioni, potremo acquisire il consenso delle varie categorie, distribuendo bonus a destra e a manca, senza alcun criterio. Ma, se poi tutta quest'azione produce un aumento del deficit pubblico, io mi chiedo: quel deficit chi lo paga?
Lo pagheranno, come sempre, gli italiani. Difatti, quando con manovre economiche siamo costretti a reperire fondi, per rientrare nei parametri che l'Unione europea ci impone, tali risorse dobbiamo chiederle agli italiani. Noi, comunque, abbiamo dovuto e voluto dare l'esempio operando un contenimento dei costi della politica, adottando misure che hanno suscitato le proteste di molti. Faccio riferimento, in particolare, al taglio di risorse operato sui ministeri contenuto nell'articolo 53 del disegno di legge finanziaria. In tale provvedimento sono previste soluzioni che, alla fine, come detto, hanno scontentato un po' tutti. Ciò avviene perché non siamo abituati alla mentalità del sacrificio e della compartecipazione; in particolare, non siamo abituati a rinunciare a qualcosa affinché poi tutti possano ottenere qualche cosa in più.
In conclusione, l'azione seria, corretta ed equilibrata intrapresa dal Governo per dare slancio e sviluppo al paese è iniziata. Noi siamo pazienti e attenderemo che i risultati arrivino. Siamo certi che quella appena iniziata non possa essere considerata una ripresa economica stabile e, proprio per questo motivo, essa ha bisogno di essere sostenuta, incoraggiata e monitorata giornalmente in modo da rafforzarsi e fortificarsi così da produrre gli effetti che la classe politica chiamata a governare vuole ottenere per dimostrare di aver meritato il mandato ricevuto dagli elettori. Tale monitoraggio sarà quotidiano, inflessibile, pacato ed obiettivo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 11,20).

DANTE D'ELPIDIO. Noi non abbiamo bisogno di attribuirci medaglie e di fare facile illusionismo, così come non abbiamo bisogno di raccontare frottole agli italiani. Noi siamo convinti che gli elettori, così com'è avvenuto in passato, constatino sulla propria pelle gli effetti, positivi o negativi, delle scelte operate dal Governo che amministra il paese. Noi vogliamo ridare fiducia agli italiani, all'elettorato che ci ha premiato e che si attende da noi, pur nelle incomprensioni iniziali di una manovra che inizia ora a dispiegare i primi effetti, un cambio di rotta deciso e radicale. A questo fine, noi del gruppo dei Popolari-Udeur daremo il nostro contributo e non faremo mai mancare al Governo la bontà delle nostre idee e delle nostre proposte. La nostra coalizione, a differenza di quanto avvenuto in passato, non crea alcun prodotto preconfezionato ma elabora manovre sulle quali si può discutere. Le discussioni di questi giorni, forse, derivano proprio dal fatto che noi siamo aperti ad ogni tipo di confronto e di dibattito. Ognuno di noi può arricchire il lavoro con suggerimenti ed idee, dando così il proprio apporto.
Noi non riteniamo di possedere verità assolute, ma vogliamo semplicemente ridare agli italiani la speranza di un futuro migliore che essi senz'altro meritano.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gioacchino Alfano. Ne ha facoltà.

Pag. 15

GIOACCHINO ALFANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, proprio perché la verità non è assoluta, è importante chiarire come stanno veramente le cose.
Il provvedimento in esame è da noi condiviso per l'obiettivo finale che tende a raggiungere, ma non per la sua impostazione. A nostro avviso, non deve essere trascurato il dato storico, vale a dire che facciamo riferimento ad una questione iniziata nel 1979. La direttiva comunitaria cui si fa riferimento nel provvedimento - e il relatore lo ha spiegato bene - risale infatti al 1977.
Quindi, bisogna dire agli italiani che l'Europa, nell'ambito delle misure di regolamentazione dell'IVA nel 1977, ha stabilito un principio chiarissimo.
Tornando alla verità cui si faceva riferimento, nel 1979 l'Italia dichiarò la non detraibilità dell'IVA per le autovetture. Faccio presente che, pur parlando di autovetture, si fa riferimento anche ad altri mezzi di locomozione. Dal momento che si trattava di una dichiarazione permanente ed ordinaria, già allora la Comunità europea aveva fatto alcune eccezioni. Nel 1980 si stabilì che in Italia l'IVA era indetraibile, ma anche che tale circostanza era limitata soltanto a quell'anno. Tuttavia, di anno in anno, si è arrivati a prorogare tale indetraibilità sino al 2006.
Per le ragioni richiamate, in questa sede non è opportuno confrontarsi e dibattere su questo principio perché in base ad esso, nel corso degli anni, è stata perpetrata un'ingiustizia. L'altra circostanza che deve essere considerata dalla maggioranza riguarda il fatto che si è arrivati al decreto-legge in materia di detraibilità su ricorso di parte. Quindi, esso non è stato dovuto all'azione di un dato Governo in un certo periodo storico, ma a quella di un'impresa che ha avviato un'attività di contrasto a tale indetraibilità, riuscendo ad arrivare ad una sentenza. In questo contesto, non è forse opportuno dedicare la giornata odierna a modificare il decreto e recuperare un diritto leso? Bisogna ricordare che già dal 1980, quindi oltre 20 anni fa, è stato arrecato un vulnus ai diritti delle imprese e dei professionisti ed oggi, in base ad una sentenza della Corte, si vuole ripristinare tale diritto. Con queste premesse interveniamo nel corso del dibattito proprio per recuperare un diritto che è stato leso.
Qualcuno si è divertito ad affermare che la colpa di tale lesione ricade sul precedente Governo, passando dal 1980 al 2001 e stabilendo anche l'incapacità del passato Esecutivo. Allora, con il mio intervento in sede di discussione sulle linee generali, vorrei fornire alcuni elementi che possono convincere l'attuale Governo a modificare il decreto-legge con riferimenti storici utili al suo miglioramento. È stato detto che si tratta di un'infrazione che si doveva risolvere già in precedenza. Tuttavia, occorre chiedersi: quante sono le infrazioni tuttora in corso? Se il Governo di centrodestra non è riuscito ad intervenire tempestivamente su questa infrazione, quante sono quelle che ancora pendono sull'Italia? Quanti sono i richiami ancora in corso dai quali possono scaturire danni per lo Stato italiano, non solo economici ma anche organizzativi? Ebbene, essi sono numerosissimi, e bisogna sapere che soltanto nel settore economico esistono oltre 50 infrazioni in corso, di cui addirittura una risalente al 1985. Quindi, suggerisco di confrontarci in proposito senza affermare che negli ultimi anni l'Italia è stata distratta, con riferimento all'infrazione del provvedimento in oggetto. Infatti, tutti siamo a conoscenza del numero delle infrazioni che l'Europa ha in corso, non solo nei confronti dell'Italia, ma anche degli altri paesi membri. Quindi, se nel 1980 si è pensato di intervenire sulla delicata questione dell'indetraibilità, ma di anno in anno si è proceduto a forza di proroghe, il primo problema è quello di migliorare il recupero. Inoltre, se - come mi auguro - vogliamo essere onesti con noi stessi, occorre valutare l'intero ammontare delle infrazioni in corso a nostro carico. Infatti, mi auguro che il Governo in carica si riveli più efficiente e tempestivo del nostro, anche se in proposito nutro alcuni dubbi. Tali dubbi nascono dallaPag. 16storica difficoltà degli Stati membri di rispondere alle norme che regolano la Comunità.
Fatta questa premessa, che in realtà costituisce più che altro un invito, vorrei puntualizzare un'ulteriore questione prima di passare all'esame del decreto; mi riferisco all'incombenza della legge finanziaria, e non solo. Infatti, l'esame del provvedimento in oggetto avviene nell'imminente manifestarsi di due problemi. Il primo è costituito dalla sua scadenza, prevista per il 14 novembre (per questo motivo immaginiamo che si tenterà di approvarlo nel corso della giornata di oggi). Il secondo problema è invece costituito dall'imminenza dell'esame della legge finanziaria e pertanto già domani saremo chiamati ad esaminare una questione molto più complessa. Anzi, faccio notare che dedichiamo la giornata di oggi a norme che sono sicuramente importanti, ma non più di quelle, numerosissime, contenute nell'ambito della legge finanziaria. Anche la finanziaria, quindi, ci distrae da tali questioni e ci impone di concludere in fretta.
Il gruppo di Forza Italia ha un atteggiamento costruttivo, ma ribadisce la necessità di modificare il testo. Infatti, abbiamo presentato complessivamente circa 40 emendamenti, di cui, tolti i duplicati, ve ne sono circa 34 rilevanti. Spero che, di questi, almeno quelli più importanti vengano presi in considerazione ed approvati.
Pensando alla questione di merito, l'intervento dell'onorevole D'Elpidio, esponente della maggioranza, oltre alle varie questioni che ho già chiarito, fa riferimento alle modifiche richieste dalla minoranza che sono maturate in soli tre mesi. A questo proposito, ho studiato l'iter del provvedimento al Senato, che è stato assegnato il 21 settembre. Se esaminate i pareri espressi sul provvedimento dalle Commissioni affari costituzionali e bilancio, vi renderete conto che il provvedimento non è automatico, perché in quei pareri è stata espressa una critica non solo da parte della minoranza. Addirittura, il decreto giunge all'esame dell'Assemblea del Senato con un parere contrario rispetto al mandato del relatore. Infatti, la relazione in aula è stata svolta dal presidente della Commissione finanze e non dal relatore che doveva essere incaricato, perché la maggioranza non ha espresso un voto favorevole. Inoltre, è stato espresso un parere contrario dalla I Commissione del Senato.
Pertanto, se chiediamo una modifica nel merito del provvedimento, perché riteniamo che debbano essere introdotti dei cambiamenti per recuperare quel diritto leso, lo facciamo non solo perché siamo all'opposizione, ma perché ci sono dei problemi che sono stati messi in evidenza anche dalla maggioranza. Per esempio, sull'armonizzazione della normativa alla sentenza della Corte si creano dei problemi applicativi. Alcuni ritengono, addirittura, che su questo decreto e sulla sua applicazione si potrà aprire un'altra procedura di infrazione da parte della Comunità europea. Su questo aspetto tornerò successivamente.
Quando il provvedimento è stato trasmesso alla Camera ed assegnato alle Commissioni competenti, sono state sollevate delle eccezioni dalla I e dalla V Commissione. Questo è il paradosso più interessante, che ci conforta nelle nostre richieste: addirittura il Governo, nel rispondere in Commissione bilancio sui problemi di copertura, ha rinviato i chiarimenti in Assemblea. Per essere più precisi, rispetto alle eccezioni sollevate dalla Commissione bilancio, e formulate anche dai parlamentari di maggioranza, il Governo ha risposto rimandando la soluzione della maggior parte dei problemi al dibattito in Assemblea.
Le mie riflessioni, quindi, sono volte a far capire che è indispensabile un tempo più lungo rispetto a quello programmato, perché vi sono questioni aperte, riguardanti addirittura la copertura finanziaria della norma, che possono preoccupare i contribuenti che dovrebbero beneficiare di questo rimborso ed anche lo Stato, proprio per le questioni che richiamavo prima, ossia perché l'impatto della norma è abbastanza rilevante.Pag. 17
In Commissione finanze, abbiamo presentato una serie di richieste per modificare la norma. Mi sono appuntato alcune questioni che sono già state rilevate dalla Commissione. Per esempio, il decreto prevede il rimborso dell'IVA sulle autovetture su richiesta della parte interessata. A questo proposito, era stato stabilito il termine del dicembre 2006, che è stato prorogato ad aprile 2007. Non si riesce a capire con quale criterio sia stata stabilita quella data. Poiché abbiamo anticipato le dichiarazioni annuali IVA al marzo 2007, per quale motivo non è possibile far coincidere quella scadenza, ossia la dichiarazione annuale IVA, con quella relativa alla richiesta di rimborso? È veramente incomprensibile!
Perciò, il modello di rimborso dovrà essere predisposto e presentato nel mese di aprile 2007 mentre la dichiarazione annuale IVA dovrà essere effettuata in data precedente. Andate a verificare gli emendamenti da noi già presentati nei giorni scorsi, quando ancora non era stata formulata questa idea del rinvio. Avevamo rilevato come la scadenza fosse breve, ma noi stessi pensavamo che la procedura dovesse concludersi entro il 2006. Il Governo, invece, ha prorogato il termine per il rimborso al 2007. La nostra è una richiesta di minoranza che, però, tende ad abbreviare un termine.
Per quale motivo non è possibile riportare la scadenza al marzo 2007, in modo che il contribuente possa rivolgersi una sola volta ai consulenti e alle strutture competenti per le dichiarazioni, per risolvere una questione di suo interesse? Noi dobbiamo metterci nei panni del contribuente che si trova ad affrontare le numerose difficoltà che sono state create con le ultime norme che avete approvato. Si tratta di imprenditori o liberi professionisti i quali devono dedicarsi alle loro attività ed impiegare il minor tempo possibile per questioni che non sono ad esse direttamente connesse. Essi potrebbero rivolgersi alle strutture dedicate agli adempimenti fiscali sia per redigere la dichiarazione IVA, sia per presentare il modello di rimborso relativo ad un diritto leso, cioè il pagamento, non dovuto, dell'IVA sull'acquisto di autovetture. Invece, con questo provvedimento noi stabiliamo un'altra scadenza, in un altro periodo. Se ci fate caso, noi stiamo complicando la vita dei contribuenti i quali, seppure onesti, hanno una oggettiva difficoltà a seguire le scadenze degli adempimenti. Tale questione sicuramente non può essere interpretata come strumentale perché, addirittura, noi chiediamo di anticipare il termine del rimborso. Strumentalmente, quale opposizione noi dovremmo chiedere di posticiparlo, per dare il maggior tempo possibile al contribuente per usufruire di un credito vantato negli anni trascorsi.
Un'altra questione riguarda la presentazione del modello che è stata prevista debba avvenire per via telematica. Dal momento che ci riferiamo ad un periodo piuttosto lungo, dal 2003 al 2006, ritenevamo importante prevedere anche un modello di rimborso cartaceo. Anche a questo proposito, il parere espresso dal Governo in sede di Commissione è stato contrario. Speriamo che ci ripensi ma, da quanto abbiamo ascoltato, sembra che il suo orientamento rimanga contrario.
C'è poi la questione della compensazione. Avrei potuto iniziare il mio intervento affermando che noi chiediamo la compensazione del credito. In realtà, noi continuiamo a sostenere questa tesi. Com'è possibile giustificare un simile comportamento del Governo, che riconosce un diritto, un credito relativo ad anni passati, e al contempo afferma che non è possibile riscuotere subito tale credito, ma si può ottenere un rimborso? Sarebbe stato possibile compensarlo attraverso il modello F24. Non è solo questione di diritto, ma anche di spesa. Infatti, una cosa è compensarlo con una dichiarazione già possibile adesso, altra cosa è inventare una nuova procedura che comporterà una serie di spese e di impegni da parte dell'amministrazione finanziaria. Si tratta di questioni che, a mio modo di vedere, nascono non da una posizione strumentale o di principio, ma da uno spirito di collaborazione che abbiamo dimostrato ePag. 18stiamo dimostrando in tutte le Commissioni, rinviando in Assemblea il dibattito più prettamente politico.
Inoltre, abbiamo sottolineato un'altra questione al relatore, in sede di Commissione finanze, quella del diritto a detrazione per il contribuente che ha registrato la fattura. Il Governo, giustamente, ha affermato di riconoscere il diritto a un rimborso forfetario al contribuente che potrebbe avere difficoltà a dimostrare con un documento il suo diritto al rimborso. Perciò, gli si concede la possibilità di avere uno sconto semplificando la procedura. Per noi va bene. Tuttavia, se andiamo incontro ai contribuenti nel ridurre gli adempimenti, dobbiamo comunque conservare un elemento, cioè la certezza dell'acquisto e della registrazione della fattura. Anche a questo riguardo, le modifiche che proponiamo non possono creare problemi di copertura o nel rapporto fra maggioranza e opposizione. Sono modifiche sui provvedimenti che nascono dal lavoro svolto dai vari parlamentari in sede di Commissione per cercare di rendere quanto più efficace una disposizione. Si potrebbe affermare che il Governo ha redatto le norme a seguito di uno studio. Al riguardo, un altro elemento deve essere tenuto presente e, cioè, che la sentenza è stata depositata il 14 settembre 2006 e il Governo ha emanato il decreto-legge il 15 settembre 2006. Capisco che c'è stata una attenzione particolare per quella sentenza: il fatto che il Governo, già il giorno seguente, abbia emanato un decreto-legge dimostra certamente una volontà e, anzi, voglio fare i miei complimenti per essere stato pronto e rapido. Del resto, il decreto-legge permette tale rapidità. Tuttavia, il lavoro dovrebbe essere migliorato quando i provvedimenti del Governo passano al vaglio delle Assemblee parlamentari.
Un'altra questione è legata ai poteri che il decreto-legge attribuisce al direttore dell'Agenzia delle entrate. Entro 45 giorni il direttore deve predisporre i modelli per il rimborso. Ritengo che, poiché un modello può riportare degli elementi che possono causare delle difficoltà ai soggetti interessati al rimborso, dovrebbero essere definite prima le modalità concernenti l'operazione. Ripeto, diamo ad un soggetto terzo, rispetto al Governo ed al Parlamento, la facoltà di stabilire la procedura di rimborso. O si doveva stabilire che il rimborso venisse gestito dal direttore direttamente con un atto interno, visto che vi è una sentenza al riguardo, oppure si doveva decidere, nel momento in cui lo si faceva proprio, di entrare nel merito anche della tecnica del rimborso.
Questa mia riflessione, che potrebbe essere troppo tecnica, non deve distrarre l'attenzione, perché non è che il Governo ha corretto una norma errata secondo la sentenza della Corte di giustizia. Chiariamoci bene: vi era un principio di indetraibilità dell'IVA sulle autovetture e dopo che la Corte ha dichiarato l'inefficacia di quella norma non è che il Governo ha subito provveduto a modificarla. Il Governo ha predisposto una norma che tende a rimborsare un diritto leso, ma dal 1979, anno in cui si è stabilita l'indetraibilità, trasformata nel 1980 in divieto temporaneo, ad oggi, vi sono stati anche soggetti che non subivano il limite dell'indetraibilità. Penso, ad esempio, agli agenti di commercio che avevano diritto alla detrazione. La norma dal 1980 in poi ha subito delle modifiche, pertanto la sentenza dichiara un principio che dovrebbe essere riportato nella norma ordinaria sull'IVA; il Governo, invece, si è preoccupato giustamente di intervenire per cercare di coprire un buco di bilancio e ha pensato di agire velocemente, stabilendo un termine ed un principio e delegando il direttore dell'Agenzia delle entrate per tutto il resto (modello, allegati). Al riguardo, mi domando se la scadenza riguardi la presentazione del modello o anche quella dei documenti allegati per dimostrare il diritto al rimborso.
Abbiamo una finanziaria che contiene tante norme molto più importanti di queste che non permettono un lungo dibattito sul decreto-legge. Noi abbiamo voluto distinguere le questioni stabilendo un comportamento costruttivo. In Commissione, ho sostenuto che il comportamento costruttivo deve tendere a dare al contribuentePag. 19la sensazione che lo Stato - la maggioranza si dichiara spesso contro i condoni, ma solo sul piano teorico - vuole rendere chiara la posizione del contribuente onesto, perché io sono convinto che noi abbiamo un'idea confusa dell'evasore e del contribuente onesto. Noi siamo convinti che vi sia un popolo di evasori e un popolo di contribuenti onesti, quando invece sappiamo bene che l'evasione si ramifica all'interno del comportamento dei contribuenti italiani dove più e dove meno. Vi sono molti contribuenti onesti che si ritrovano evasori solo perché risultano nei loro confronti degli accertamenti. Possiamo stabilire il principio che un contribuente è evasore solo per il fatto che ha subito un accertamento?
Nella mia attività politica e professionale ricevo una serie di contribuenti che, purtroppo, vedono recapitarsi accertamenti che nascono da questioni che essi stessi vorrebbero evitare. Vi assicuro che anche questo decreto-legge, che tende a recuperare una posizione del contribuente, potrebbe portare non solo ad un contenzioso, ma anche ad una difficoltà di applicazione. Vi è un comportamento che tende all'evasione che nasce dalla scelta del contribuente e deve essere combattuto con tutte le nostre forze, maggioranza ed opposizione, ma vi è anche un comportamento che spinge all'evasione incosciente chi ha l'impossibilità di essere un contribuente onesto. Noi abbiamo una sentenza che stabilisce l'esistenza di un diritto leso da ben 26 anni; che senso ha dire al contribuente che lo dobbiamo risolvere in due mesi? La sentenza stabilisce questo? Se la sentenza impone allo Stato italiano un intervento veloce, bisognava spiegare ai contribuenti che il direttore dell'Agenzia delle entrate veniva intanto incaricato di stabilire le modalità di rimborso e che successivamente il legislatore sarebbe intervenuto per cercare di chiarire una posizione storica.
Si sta dicendo da alcuni giorni che avremmo potuto farlo noi cinque anni fa; in ogni caso si tratta di una storia che continua da 26 anni. Il contribuente che recepisce tale sentenza in pochi mesi deve organizzarsi e forse, come ho detto altre volte, deve portare l'autovettura all'ufficio delle entrate per farla vedere materialmente. Alla fine, un contribuente a cui è stato riconosciuto un diritto si vede catapultato addosso un provvedimento difficile e complicato, che non chiarisce la sua posizione. Mi sono permesso di dare merito al Governo per la tempestività ed al relatore per quello che sta facendo. Però non potete non ammettere che in questa fase, rispetto a provvedimenti che hanno un valore diverso, stiamo spostando l'interesse su questa norma perché riteniamo possibile fornire quelle risposte minime dirette a far diventare il suddetto diritto un diritto definitivo.
Ritengo che sia utile affrontare alcune questioni. Mi preoccupa, in particolare, l'applicazione futura di tale diritto. Quando il provvedimento fu esaminato in Commissione finanze avanzai una richiesta che provocò qualche preoccupazione: chiesi se potevamo stabilire un principio legato al vero utilizzo dell'autovettura. Se nel 1980 in Parlamento - cerchiamo di metterci nei panni dei nostri predecessori - si è cercato di stabilire che l'autovettura non era detraibile, vi era un motivo.
Dunque, attualizziamo la questione: sono convinto che l'autovettura come bene strumentale abbia un limite. Se il legislatore è intervenuto su quel bene, è perché già allora aveva capito che tale bene per molti imprenditori non è indispensabile o, seppure importante, non è fondamentale. Ad esempio, l'autovettura che si utilizza nell'impresa spesso la si adopera anche per l'attività privata. Addirittura, dissi che bisognava stabilire un criterio di controllo più efficace. Il contribuente che vuole avere l'autovettura e la vuole scaricare per essere tranquillo, desidera anche sapere quale sia la percentuale di detraibilità. Il Governo ha posto un quesito alla Commissione europea chiedendo, poiché vi sono condizioni diverse, cioè soggetti che hanno tale bene non fondamentale, se si possano stabilire percentuali di detraibilità. A mio avviso, sarebbe stato più importante riportare tale dubbio nel decreto-legge in esame, in modo da far sapere alPag. 20contribuente se il bene di cui stiamo parlando possa essere scaricato e, quindi, acquistato nell'esercizio dell'impresa o dell'attività professionale.
Anche quella testé trattata è una questione che ci ha portato ad avanzare alcune richieste. Come ho detto prima, abbiamo posto 34 questioni con la presentazione dei nostri emendamenti. Abbiamo anche predisposto alcuni ordini del giorno, ma speriamo che non debbano essere utilizzati perché si tratta di una richiesta residuale rispetto a quella di modificare nel merito la norma.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 11,48)

GIOACCHINO ALFANO. Non voglio andare oltre perché credo di avere utilizzato ampiamente il tempo assegnatomi in questa fase per chiarire la nostra volontà di migliorare il testo. Stamattina mi è stato chiesto se siamo contrari al rimborso dell'IVA per le autovetture. Non siamo contrari a tale rimborso, ma proprio perché siamo favorevoli riteniamo che il decreto-legge in esame debba essere modificato nel senso di dare un maggiore riconoscimento a chi si è visto ledere un proprio diritto (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. Considerato che alle 12 è previsto lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata e, dunque, non vi è il tempo per un ulteriore intervento in sede di discussione sulle linee generali, sospendo la seduta, che riprenderà alle 12.

La seduta, sospesa alle 11,50, è ripresa alle 12.

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderà il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Francesco Rutelli.

(Cessione dell'arsenale militare dell'isola La Maddalena - n. 3-00366)

PRESIDENTE. Il deputato Satta ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00366, per un minuto (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 1).

ANTONIO SATTA. Signor Presidente, signor Vicepresidente Rutelli, l'annunciata cessione dell'arsenale militare della Maddalena alla regione Sardegna, che va ad aggiungersi al definitivo addio della base NATO americana, apre una svolta a dir poco epocale per il futuro dell'isola e del suo arcipelago. Il nuovo scenario è ormai pienamente condiviso dall'intera popolazione isolana. Questo non toglie, però, che dalle nuove decisioni scaturiscano problemi seri e preoccupanti per quanto riguarda il futuro dei dipendenti. Sono in discussione 325 posti di lavoro, per i quali, al di là di una speranza, non viene garantita alcuna certezza per il loro futuro, almeno finora.
Signor Vicepresidente, le chiedo quali iniziative il Governo intenda assumere in merito ai 150 dipendenti pubblici del Ministero della difesa impiegati nell'arsenale della Maddalena e se non intenda ricollocare gli stessi nell'ambito di enti dello stesso Ministero, ovviamente sempre nella stessa isola di La Maddalena.
Inoltre, le chiedo se il Governo, per quanto riguarda...

PRESIDENTE. Deve concludere.

ANTONIO SATTA. ...i 175 dipendenti della base americana di Santo Stefano, intenda estendere i benefici della legge n. 98 del 1971, per garantire loro stabilità occupazionale.

PRESIDENTE. Il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Francesco Rutelli, ha facoltà di rispondere.

Pag. 21

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, ringrazio l'interpellante, onorevole Satta. Il tema è molto importante e sentito, non soltanto in Sardegna. Si tratta di governare la chiusura della base statunitense di Santo Stefano e la prospettiva della possibile cessione dell'arsenale militare di La Maddalena, soprattutto sul piano occupazionale e del lavoro.
Si stanno rivedendo, in piena collaborazione con la regione Sardegna, da parte del Ministero della difesa, tutte le questioni riguardanti le servitù militari, che gravano in misura molto significativa sull'isola e si stanno affrontando insieme, con vero spirito di cooperazione. Vi è un gruppo di lavoro che il ministro della difesa, Parisi, ha instaurato con il presidente Soru, proprio per armonizzare le esigenze della sicurezza, della difesa con quelle del territorio, portando a crescita economica anziché a situazioni di crisi.
Già il 25 ottobre scorso, il Governo ha avviato il tavolo di coordinamento interministeriale (lo fa presente il ministro del lavoro e della previdenza sociale) per fronteggiare con tutte le possibilità consentite i rischi che da questa attesa soluzione riguardante La Maddalena potrebbero derivare, anche non escludendo la possibilità di riattualizzare i benefici della legge n. 98 del 1971, cioè l'accesso di questi lavoratori ai trattamenti speciali di disoccupazione o all'indennità di mobilità, per cui è al lavoro il ministro competente.
Per quanto riguarda l'arsenale, si tratta di verificare che l'assegnazione all'agenzia industria e difesa consenta di recuperarne competitività economica e capacità produttiva. Anche in questo caso si sta studiando, d'intesa tra il Governo e la regione Sardegna, la possibilità di rilasciare la struttura alla regione.
Ricordo che la base di Santo Stefano sarà rilasciata entro il primo semestre del 2008. Come noto, il personale italiano impiegatovi è dipendente dal Governo degli Stati Uniti, assunto direttamente dal comando americano con un contratto di natura privatistica. Tuttavia, signor Presidente, la nostra dichiarazione è volta a chiarire con estrema precisione che il Governo italiano non intende che la dismissione certa e quella possibile, riguardante l'arsenale, si traducano in perdite di posti di lavoro, poiché vi sono tutte le potenzialità nel territorio (se si lavora assieme, Governo, regione ed enti locali) affinché tutte le posizioni lavorative siano tutelate.

PRESIDENTE. Il deputato Satta ha facoltà di replicare.
Ricordo al deputato Satta che ha due minuti di tempo a disposizione.

ANTONIO SATTA. Signor Presidente, le affermazioni espresse poc'anzi dal ministro, nonché Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Rutelli, danno sicuramente una grande speranza: che i 325 lavoratori dipendenti della base americana e dell'arsenale abbiano un futuro tranquillo.
Credo che ciò sia fondamentale. La popolazione de La Maddalena, la cui situazione economica da decenni è legata alla base militare americana e all'arsenale, guarda con grande attenzione ad un futuro diverso. Ma quest'ultimo può concretizzarsi solo se poniamo le basi per rendere sicuro ciò che già esiste: la stabilità dei posti di lavoro.
Credo che la garanzia offerta oggi in Parlamento dal Vicepresidente del Consiglio Rutelli sia ben accolta dalla popolazione dell'isola de La Maddalena, dai lavoratori e anche da chi vi parla, che si dichiara soddisfatto per la risposta.

(Investimenti programmati per sostenere la scuola, la formazione e la ricerca - n. 3-00367)

PRESIDENTE. Il deputato Mancini ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00367 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 2).

GIACOMO MANCINI. Signor Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio, vorrei citare due fatti. Il primo: durante una visita a Locri, in Calabria, il ministroPag. 22della pubblica istruzione è stato fermato da un giovane studente che gli ha detto: «ministro, nella mia scuola mancano i riscaldamenti». Il secondo: il rapporto della Commissione OCSE sullo stato delle politiche per l'istruzione nei paesi membri ha espresso un giudizio negativo sulla scuola italiana.
Sono due istantanee che fotografano il più grande ostacolo dinanzi a un futuro più prospero per il nostro paese. Noi vogliamo che l'Italia superi questo ostacolo. Per farlo, esiste un solo modo: investire in istruzione, formazione e ricerca. È questa l'unica ricetta per essere competitivi nella nuova economia basata sulla conoscenza.
Il Governo ha detto tante volte di condividere questa missione. Adesso, le chiedo quali siano i provvedimenti concreti che intende adottare per vincere questa sfida.

PRESIDENTE. Il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Francesco Rutelli, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, cercherò di fornire alcuni dati molto sintetici per dare conto dell'impegno e della determinazione del Governo, in particolare del ministro Fioroni, non solo per ottemperare agli impegni del Governo stesso, ma anche per raccogliere le tante preoccupazioni che il collega Mancini ha richiamato.
Gli impegni in materia di scuola previsti nella manovra economica per il 2007 hanno un carattere strategico. La manovra vuole rilanciare la scuola pubblica, rendere più efficace e incisivo il supporto all'autonomia scolastica, e ciò corrisponde alla strategia di Lisbona sull'economia della conoscenza. È stato definito un sistema di semplificazione e immediatezza nel trasferimento di risorse dal Ministero alle scuole autonome con l'attribuzione diretta di circa 2 miliardi e 700 milioni di euro, che serviranno a far camminare le scuole autonome con le proprie gambe, consentendo un esercizio concreto dell'autonomia didattica (che finora non è stato assolutamente possibile).
L'obbligo scolastico viene elevato a 16 anni con l'istituzione di un biennio unitario e il conseguente innalzamento dell'età per l'accesso al lavoro da 15 a 16 anni; si estendono le agevolazioni sull'acquisto dei libri di testo dalle medie inferiori anche al biennio delle superiori; il sistema dell'istruzione e formazione tecnica superiore è riorganizzato potenziando l'alta formazione professionale non accademica; l'educazione degli adulti entrerà a far parte dell'ordinamento nazionale dell'istruzione, rafforzando l'offerta per il recupero scolastico degli adulti, l'alfabetizzazione degli stranieri e la formazione lungo tutto l'arco della vita.
Signor Presidente, nel disegno di legge finanziaria ci sono molte misure volte a valorizzare il ruolo del personale della scuola e, in particolare, a dare stabilità ai docenti. In tre anni si assumeranno 150 mila docenti precari e 20 mila amministrativi, tecnici ed ausiliari, modificando anche le regole di reclutamento del personale docente, affinché non si formi nuovo precariato.
Sono stati stanziati 250 milioni di euro in tre anni per rifinanziare i piani per l'edilizia scolastica, dei quali il 50 per cento è destinato all'adeguamento e alla messa in sicurezza degli edifici da parte dei competenti enti locali. Chiaramente, dovranno intervenire anche le regioni e gli enti locali.
Per fornire sostegno al servizio pubblico svolto dalle scuole paritarie non solo sono stati ripristinati gli stanziamenti tagliati ma complessivamente essi sono stati incrementati di 100 milioni di euro e per le tecnologie informatiche destinate alla didattica sono stati stanziati 30 milioni di euro l'anno, introducendo la defiscalizzazione di mille euro per l'acquisto di personal computer da parte degli insegnanti, compresi i precari.
Avrei molto da aggiungere per evidenziare che si sta lavorando, anche se molto resta da fare.

Pag. 23

PRESIDENTE. Il deputato Mancini ha facoltà di replicare.

GIACOMO MANCINI. Onorevole Rutelli, ritengo che il Governo possa fare molto di più e molto di meglio. Fin da subito. Fin dalla legge finanziaria. Proprio per questo Enrico Boselli, insieme allo SDI e alla Rosa nel Pugno, ha rivolto al Governo una proposta molto chiara. Destiniamo un miliardo di euro in più per maggiori investimenti in istruzione, formazione e ricerca.
Le nostre idee sono quelle che hanno ispirato l'Agenda di Lisbona, tante volte osannata e troppe volte disattesa. Quindi, basta con i tagli agli stipendi dei ricercatori e dei docenti, basta con i tagli alle università, più incentivi per le nuove borse di studio per le eccellenze, più investimenti per la ricerca scientifica e tecnologica. Ancora, occorre finanziare il fondo per la competitività e lo sviluppo, sostenere la ricerca sulle biotecnologie in agricoltura, incrementare i finanziamenti per l'edilizia scolastica pubblica, favorire l'acquisto dei libri per le famiglie che non ce la fanno.
Lei, onorevole Rutelli, mi dirà: belle parole, ma dove troviamo i soldi? Le rispondo io: basta eliminare la spesa troppo frammentata che si perde in mille rivoli e che non risolve alcun problema.
Il messaggio che ha permesso all'Inghilterra di raggiungere i livelli di eccellenza e che ha regalato a Blair tre vittorie consecutive, è stato: education, education, education! È giunto il tempo che anche l'Italia segua questa rotta. La posta in gioco è alta, riguarda il futuro del nostro paese. Investiamo sui nostri ragazzi, liberiamo i nostri giovani talenti, rimettiamo in moto l'Italia!
Il Governo, se crede in questa sfida, ha davanti a sé una sola strada: accogliere e sostenere le proposte del nostro gruppo e porre le basi per una nuova scuola di qualità. Mi auguro che il suo Governo, onorevole Rutelli, che il nostro Governo intenda percorrerla (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno e Verdi)!

(Dichiarazioni del sottosegretario Luigi Manconi sulla pratica dell'eutanasia negli ospedali italiani - n. 3-00368)

PRESIDENTE. Il deputato Giovanardi ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00368 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 3).

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, il 27 settembre, nel corso della trasmissione Omnibus, in mia presenza, un autorevole membro di questo Governo, il sottosegretario Luigi Manconi, ha affermato che nelle cliniche e negli ospedali italiani è diffusa la pratica dell'eutanasia: si tratterebbe - secondo Manconi - di una pratica largamente applicata.
Mi dispiace che sia trascorso più di un mese, ma il Governo è sempre stato indisponibile a fornire una risposta in proposito nel corso del question time. Chiediamo dunque come, quando e dove risultino al Governo ospedali e cliniche italiane, pubbliche o private, dove medici e infermieri pongono fine volontariamente alla vita dei loro pazienti sopprimendoli, così come pubblicamente dichiarato dal sottosegretario Manconi.

PRESIDENTE. Il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Francesco Rutelli, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, potrei rispondere leggendo la nota trasmessami dal Ministero della salute. Secondo tale nota, nell'ambito delle funzioni istituzionali del Ministero, non sono mai emersi né stanno emergendo notizie o elementi riconducibili all'esistenza della pratica dell'eutanasia da parte di medici e infermieri di ospedali e cliniche del Servizio sanitario nazionale.
Ciò detto, mi fermo in quanto è chiaro che il collega Giovanardi mi chiede una risposta sostanziale, oltre che una rassicurazione formale.
La posizione del Governo è scritta con chiarezza nel programma dell'Unione delPag. 24centrosinistra, che si rifà alla posizione unanime assunta dal Comitato nazionale di bioetica, riguardante le cosiddette dichiarazioni anticipate di trattamento. Questa è la posizione a cui noi siamo favorevoli e per la quale siamo impegnati a perseguire uno strumento legislativo, di intesa con il Parlamento, in questa legislatura. Non si tratta e non si tratterà in alcun caso, quali che siano le posizioni espresse da singoli - in entrambi gli schieramenti politici si evidenziano sensibilità diverse su questa materia -, di aprire la strada all'eutanasia, perché siamo contrari. Voglio ricordare che l'eutanasia è l'azione o l'omissione che porta anticipatamente alla morte allo scopo di alleviare le sofferenze. Non dobbiamo confondere questa pratica - cui il Governo è contrario e per cui non si presterà ad alcuna interpretazione né legislativa né applicativa - con la rinuncia all'accanimento terapeutico, ossia a tutti quegli interventi sproporzionati e inutili rispetto alla possibilità di arrestare il processo della morte del paziente nel tentativo di prolungare la vita ad ogni costo, che procura un'insistenza sproporzionata e futile rispetto al raggiungimento di ogni obiettivo terapeutico: dunque, non è una pratica terapeutica.
Questo è il punto di differenza: combattere l'accanimento terapeutico e contrastare qualunque idea secondo cui l'uomo ha il diritto di togliere la vita ad una persona che abbia ancora una speranza di conservarla.

PRESIDENTE. Il deputato Giovanardi ha facoltà di replicare.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, avrei sperato che il Vicepresidente del Consiglio avesse trovato anche il tempo per censurare queste dichiarazioni rese da un esponente del Governo. Tutti conosciamo il metodo di diffusione delle notizie che, a quanto pare, sono false e infondate. Il ragionamento fatto non da un parlamentare, ma da un membro del Governo è che in Italia si uccidono già i pazienti negli ospedali pubblici e privati, l'eutanasia è una realtà di fatto e, quindi, tanto vale legalizzarla: questo è ciò che sconcerta. Un Governo che manda in piazza i sottosegretari a contestare l'azione del Governo stesso e il ministro del lavoro in manifestazioni di piazza non è un precedente che abbiamo già visto; ma in questo caso siamo in una materia ancora più delicata perché un autorevole membro del Governo ha diffuso una convinzione, propedeutica ad arrivare al risultato parlamentare della legalizzazione dell'eutanasia.
Mi sarei quindi aspettato una censura di queste avventate dichiarazioni ed anche un invito a non ripeterle più. Poi, concordo sull'esigenza di trovare una misura sull'accanimento terapeutico, che vogliamo contrastare, ma senza arrivare in maniera surrettizia a legalizzare la pratica dell'eutanasia, che vuol dire togliere volontariamente la vita ad una persona malata, cosa che noi contrastiamo decisamente. Contrastiamo altresì l'attività di alcuni membri del Governo che, scorrettamente, diffondono notizie false e tendenziose, offendendo anche il lavoro degli operatori sanitari, degli infermieri e dei medici negli ospedali e nelle cliniche private o pubbliche italiane. Ho piacere che il Vicepresidente del Consiglio abbia detto che, comunque, al Ministero della salute non risulta in Italia alcun caso concreto di applicazione dell'eutanasia.

(Rispetto della legalità nella gestione dei centri di prima accoglienza - n. 3-00369)

PRESIDENTE. Il deputato Lomaglio ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00369 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 4).

ANGELO MARIA ROSARIO LOMAGLIO. Signor Presidente, Vicepresidente del Consiglio, abbiamo appreso dalle pagine della stampa, in maniera particolare dal quotidiano la Repubblica, che nelle settimane scorse alcuni immigrati nordafricani hanno denunciato, dichiarando i propri nomi e le proprie identità, di esserePag. 25stati insieme testimoni e vittime di abusi e reati che sarebbero stati perpetrati nella struttura per l'accoglienza degli immigrati di Pian del Lago a Caltanissetta.
Tali abusi avrebbero coinvolto anche la responsabilità di chi gestisce il campo e, addirittura, di singoli agenti delle forze dell'ordine. Inoltre, in tale struttura convivono, con molti servizi in comune, nell'area di una ex caserma dell'esercito, un centro di prima accoglienza ed un centro di permanenza temporanea, che hanno finalità e caratteristiche che appaiono profondamente diverse e, probabilmente, incompatibili. Risulta, inoltre, che riguardo a tali fatti la magistratura di Caltanissetta abbia aperto un'indagine.
Chiediamo al Vicepresidente del Consiglio quali iniziative abbia assunto per verificare ed accertare i fatti che sono accaduti nel centro di Caltanissetta e se il Governo intenda promuovere, anche per rassicurare l'opinione pubblica, un monitoraggio per verificare il rispetto della legalità nella gestione dei centri di prima accoglienza.

PRESIDENTE. Il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Francesco Rutelli, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, si tratta di un caso certamente grave. Risultano violazioni sulla base di un articolo apparso su un quotidiano nazionale il 21 ottobre scorso. Il ministro dell'interno ha disposto immediatamente un'inchiesta amministrativa sulla gestione del centro di accoglienza di Caltanissetta e l'acquisizione di testimonianze presso il centro per i rifugiati di Agrigento.
Dalle testimonianze riportate apparivano soprattutto discriminazioni a danno di immigrati centro-africani da parte di immigrati di altri paesi e, in alcuni casi, dagli stessi operatori del centro, soprattutto mediatori culturali e traduttori.
Dopo una prima verifica, l'associazione di volontariato Albatros 1973, che gestisce il centro di Caltanissetta, ha respinto con fermezza come false queste accuse e tale circostanza va sottolineata, perché non sempre le critiche ai centri di permanenza e di accoglienza tengono conto del fatto che la gestione è affidata ad associazioni di volontariato.
Ricordo che gli ospiti dei CPA possono allontanarsi dalla struttura previa autorizzazione delle forze dell'ordine, perché è diverso il regime rispetto a chi è ospite dei CPTA (in quel caso, è destinatario di provvedimento di espulsione e, dunque, non può lasciare la struttura e deve essere obbligatoriamente rintracciato dalla polizia).
A proposito di questo episodio, due persone di nazionalità somala hanno formalizzato l'istanza di asilo politico e sono state ospitate nel centro di identificazione nella stessa area del centro di accoglienza, anch'essa separata da quella dedicata al CPTA e con autonomi servizi di vigilanza e di assistenza. Le altre otto persone di nazionalità eritrea sono titolari di permesso di soggiorno per protezione umanitaria e attualmente tutte sono ospitate presso il centro Acuarinto di Agrigento. Non risultano essere stati effettuati fermi di polizia nei confronti degli stranieri in questione, ma risulta invece che il 21 ottobre il personale di polizia abbia ascoltato i cittadini stranieri nei locali di questo centro nell'ambito dell'attività di indagine. Il 23 ottobre gli stessi sono stati condotti dinanzi all'autorità giudiziaria per un'ulteriore escussione richiesta dal magistrato.
Concludo ricordando che i centri di accoglienza localizzati in Sicilia sono inseriti nel programma di visita della commissione presieduta dall'ambasciatore dell'ONU, Staffan de Mistura, nel quadro delle indagini che il ministro dell'interno ha disposto per verificare il rispetto dei diritti umani e le condizioni di vivibilità dei centri per immigrati. Al termine di questa attività, la commissione presenterà una relazione con i risultati, che permetterà di definire strategie in grado di migliorare stabilmente questo sistema.
Devo aggiungere, Presidente, che l'autorità giudiziaria, il procuratore della Repubblica di Caltanissetta, ha chiesto di non fornire comunicazioni sulle indagini chePag. 26sono in corso, essendo queste indagini toccate da segreto, poiché occorre tutelare le parti.

PRESIDENTE. Il deputato Piro, cofirmatario dell'interrogazione, ha facoltà di replicare.

FRANCESCO PIRO. Signor Presidente, ringrazio il Vicepresidente del Consiglio, anche se consideriamo questa come una prima risposta, prendendo atto delle affermazioni che per ultimo il Vicepresidente ha reso sulle indagini e, quindi, sulla necessità di fornire ulteriori informazioni.
Prendiamo atto della condivisione della gravità di quanto denunciato da alcuni immigrati. Sono state dichiarazioni puntuali e dirette che, peraltro, hanno fatto seguito a precedenti anche gravi che, purtroppo, si sono registrati nei centri di permanenza temporanea. Vi è la necessità di un accertamento puntuale dei fatti, anche a tutela degli stessi operatori che, in gran parte, fanno sicuramente il loro dovere, spesso con passione e dedizione.
Insistiamo tuttavia, signor Vicepresidente del Consiglio, affinché a Pian del Lago, a Caltanissetta, si proceda ad una separazione effettiva tra le due strutture, le quali hanno finalità e modalità di trattamento completamente diverse e la cui permeabilità spesso può produrre fatti certamente spiacevoli.

(Iniziative normative volte alla riduzione dei costi della politica e della pubblica amministrazione - n. 3-00370)

PRESIDENTE. Il deputato Leoluca Orlando ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00370 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 5).

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, la mia interrogazione è volta a conoscere le eventuali intenzioni del Governo di predisporre una proposta organica di normativa che affronti il tema della riduzione dei costi della politica, della razionalizzazione della spesa connessa al funzionamento degli organismi elettivi e amministrativi centrali e periferici e della cancellazione degli enti inutili.
Il quesito si collega all'opera meritoria, anche se difficile, che il Governo sta portando avanti per il risanamento della finanza pubblica; un'opera che certamente deve consistere nella revisione di prelievi - aliquote da una parte e battaglia all'evasione fiscale dall'altra -, ma che deve soprattutto combattere i costi della politica, di enti amministrativi locali, periferici e centrali che aggravano notevolmente la finanza pubblica. Grazie.

PRESIDENTE. Il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Francesco Rutelli, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, è materialmente impossibile per me leggere - e quindi li farò avere al collega Orlando - tutti i documenti che mi sono stati trasmessi dai ministeri per documentare un grande sforzo che si sta facendo da parte del Governo per ridurre i costi delle amministrazioni pubbliche e quelli della politica.
È evidente che questo è un compito anche del Parlamento e delle altre istituzioni di rilievo costituzionale. Credo che delle cose giuste siano state avviate anche nell'ultima legislatura, con alcuni tagli e ridimensionamenti. Penso al taglio del 10 per cento dell'indennità per i parlamentari, cui si è aggiunta, da parte del Governo Prodi, una riduzione del 30 per cento delle indennità dei ministri e dei sottosegretari.
Lo dico difendendo questi provvedimenti in tempi di restrizione della finanza pubblica, ma non per dire che lo Stato debba dichiarare la propria ritirata. Le responsabilità pubbliche sono molto importanti ed io credo che noi dobbiamo essere in grado di fare degli sforzi di ridimensionamento, soprattutto con riferimento agli sprechi e alle inefficienze. Mi permetta l'onorevole Orlando di ricordare che non è una circostanza sana quella perPag. 27cui, in un paese come il nostro, l'amministratore di un grande ente pubblico abbia uno stipendio di venti volte superiore ad un deputato; ovvero che, quando viene mandato via, magari per cattivo rendimento, la sua liquidazione sia tale che, probabilmente, per un ministro di una Repubblica - in astratto - ci vorrebbero trent'anni di lavoro per ricevere quello che ottiene come benservito chi magari non ha ben servito le istituzioni pubbliche.
Voglio dire questo perché dobbiamo avere uno sguardo d'insieme ed in questo vi è sicuramente la necessità di ridimensionare i costi delle situazioni che sono venute proliferando a livello territoriale. Dunque, il Governo ha fatto una parte importante con il taglio dei trasferimenti ai ministeri e con un'imposizione molto precisa dei tagli a ciascun dicastero.
Per quanto riguarda la Presidenza del Consiglio dei ministri, segnalo che soltanto nel periodo maggio-dicembre vi è stato un risparmio di oltre due milioni di euro (e parlo solo della Presidenza del Consiglio).
Il censimento operato ha fatto emergere 738 organismi dell'amministrazione centrale che debbono essere ridimensionati. Il decreto Bersani ha previsto la riduzione del 30 per cento della spesa complessiva sostenuta dalle amministrazioni pubbliche e già nel 2006 si registra, alla fine dell'anno, un taglio del 15 per cento di queste spese.
Come si vede - e riservandomi, signor Presidente, di dare agli interroganti tutti gli atti che documentano un impegno molto forte e determinato del Governo - ribadisco: in tempi difficili, tutti debbono fare la propria parte. La deve fare la politica, come anche le regioni e gli enti locali, riducendo molti organismi che sono venuti crescendo negli ultimi anni; la deve fare il Governo, così come le pubbliche amministrazioni.
È giusto monitorare nel mentre si chiede agli italiani di fare la loro parte per rimettere i conti in ordine.

PRESIDENTE. Il deputato Leoluca Orlando ha facoltà di replicare.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Vicepresidente del Consiglio, ho difficoltà ad esprimere gratitudine per la sua risposta poiché lei ha espresso esattamente la nostra posizione, che condividiamo e sosteniamo. Certamente non è la riduzione simbolica, ancorché significativa, delle indennità dei ministri e dei sottosegretari a risolvere il problema che abbiamo sollevato.
Ci paiono scandalosi sprechi e liquidazioni, a livello centrale e periferico, di strutture che vengono ricondotte ai costi della politica in senso stretto, ma che in realtà finiscono per costituire un costo d'immagine.
Apprezzando la sua risposta ed i documenti che intende fornirci, vorrei sottolineare che la nostra iniziativa è stata originata da un evento interno ed esterno ai palazzi della politica. L'evento esterno è dato dalla presentazione di un referendum abrogativo della legge elettorale e l'evento interno dalla legge finanziaria che sta per essere esaminata dalle due Camere.
Noi vogliamo seguire queste vicende per stimolare il Parlamento e, come rappresentanti dell'Italia dei Valori, abbiamo deliberato, laddove ve ne fosse bisogno, di far ricorso ad un'iniziativa legislativa e ad un referendum popolare affinché possano essere eliminate norme inaccettabili che appesantiscono la finanza pubblica. Infatti, personaggi magari sconosciuti ricevono compensi senza alcun controllo circa la loro corrispondenza con l'efficienza dei compiti da essi svolti; sembra quasi che chi si comporta male vada via prima prendendo di più.

(Introduzione di un codice etico di responsabilità sociale delle imprese - n. 3-00371)

PRESIDENTE. Il deputato Camillo Piazza ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00371 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 6).

CAMILLO PIAZZA. Signor Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio, il codicePag. 28etico è uno strumento che vuole garantire, nella sottoscrizione di accordi commerciali, il rispetto dei diritti umani e sindacali, la tutela dei minori, la conservazione delle risorse naturali, l'assenza di pirateria di materiale biologico e la lotta alla corruzione. Si tratta di un percorso fondamentale in materia di responsabilità sociale delle imprese e di diminuzione sociale della globalizzazione.
Chiediamo al Governo in che modo intenda intervenire presso la Comunità europea e gli organismi internazionali per introdurre in Europa il pieno e assoluto rispetto dei diritti fondamentali delle persone e delle comunità, la protezione dell'ambiente e degli ecosistemi in tutto il mondo.

PRESIDENTE. Il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Francesco Rutelli, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, mi consentirà di richiamare l'accordo sulla direttiva «Servizi», raggiunto a fine maggio di quest'anno in seno al Consiglio europeo e che ha ripreso gli elementi essenziali del compromesso - approvato a larga maggioranza dal Parlamento europeo - e della successiva proposta riveduta presentata dalla Commissione europea.
Il testo finale del Consiglio europeo rappresenta un buon punto di approdo, per quanto riguarda la direttiva «Servizi», che consente di equilibrare e risolvere alcune delle preoccupazioni riguardanti il principio del paese d'origine e tutta una serie di materie che avevano sollevato tante preoccupazioni in campo sociale.
L'interrogazione del collega Camillo Piazza solleva un tema molto serio ed importante sul codice etico di responsabilità sociale delle imprese contenuto nel programma di Governo.
Ricordo che il sistema delle camere di commercio sta osservando il cosiddetto bilancio sociale per la certificazione dell'attività imprenditoriale e il controllo delle politiche di impresa e che si sta anche provvedendo alla prevenzione di atteggiamenti non corretti o illeciti da parte delle imprese.
Voglio assicurare che tutto il processo, in linea con il Libro verde «Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese» del luglio del 2001, approvato dalla Commissione Prodi, tocca molto da vicino l'impegno del nostro Governo. Si tratta di definire, a livello internazionale e di ISO, regole di orientamento destinate a tutti i tipi di organizzazione e non solo per le imprese di grandi dimensioni, finalizzate a fornire linee di salvaguardia per lo sviluppo compatibile e l'approccio etico (questa è la ISO 26000). È un cammino complesso, che avviene per gradi diversi, dall'ente locale al livello internazionale, e posso confermare la grande attenzione del Governo sul tema, in linea con quanto sollecitato dal collega Piazza.

PRESIDENTE. Il deputato Camillo Piazza ha facoltà di replicare.

CAMILLO PIAZZA. Ringrazio il Vicepresidente del Consiglio per l'impegno che il Governo sta mettendo in questo percorso. È del tutto evidente che occorre fare molto, molto di più. Spero che la questione della responsabilità sociale dell'impresa diventi un elemento della competitività delle imprese italiane. Credo sia sbagliato che le nostre imprese, che sottoscrivono accordi, anche volontari, sulla difesa dell'ambiente, sul lavoro minorile, sulle questioni legate all'ecosistema, vengano poi, in qualche modo, superate sul piano economico da imprese, in giro per il mondo, che di questi argomenti non hanno nemmeno preso visione. L'impegno non può essere soltanto dell'Italia, ma deve essere condiviso dalla Comunità europea.
Credo, però, che il Governo italiano debba giocare un ruolo importante, facendo in modo che le nostre imprese, che hanno un valore aggiunto davvero importante e che sono di qualità, possano avere veramente un interlocutore serio nel nostro Governo. Ritengo sia sbagliato andare sul mercato globale, quando qualcuno gioca in maniera sporca. L'impegno daPag. 29parte dei Verdi e, credo, di tutto il Parlamento, deve andare in questa direzione: fare in modo che, in Italia, le imprese che lavorano seriamente per l'ambiente e i diritti verso i minori possano avere veramente un interlocutore certo nel nostro Governo sui temi della globalizzazione internazionale.

(Iniziative per risanare la spesa sanitaria della regione Campania e per garantire il contenimento della spesa di tutte le regioni - n. 3-00372)

PRESIDENTE. Il deputato Taglialatela ha facoltà di illustrare l'interrogazione La Russa n. 3-00372 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 7), di cui è cofirmatario.

MARCELLO TAGLIALATELA. La Campania vive una situazione veramente strana, in quanto ha maturato nel 2005 il deficit più elevato (oltre un miliardo e mezzo di euro, che corrispondono a più del 30 per cento di tutto il deficit della sanità pubblica in Italia) e, contemporaneamente, non riesce a spendere, dal lontano 2000, per un accordo di programma, circa mille miliardi di euro, quindi 2 mila miliardi delle vecchie lire, per i fondi nazionali per l'edilizia ospedaliera (ex articolo 20). È come se avesse soldi per ristrutturare e mettere a norma le proprie strutture pubbliche, ma decidesse di continuare a spendere soldi per capitoli non compresi nei bilanci di prevenzione. Tenendo conto che si tratta di una responsabilità dell'attuale assessore Montemarano, che è stato direttore dell'azienda sanitaria locale Napoli 1, la quale ha prodotto, nel corso di quegli anni, il maggior deficit possibile...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARCELLO TAGLIALATELA. ...le chiedo, signor Vicepresidente, quali sono i provvedimenti che il Governo intende assumere per porre fine a questa situazione veramente incresciosa e pericolosa per la sanità dei cittadini in Campania.

PRESIDENTE. Il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Francesco Rutelli, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Lei sa che questa è una materia di intera responsabilità gestionale delle regioni. Tuttavia, già il precedente Governo è intervenuto con un criterio rigido, con il decreto del ministro della salute del 12 maggio 2006, che individua meccanismi estremamente stringenti, resi ulteriormente stringenti dal nostro Governo.
Per quanto riguarda la regione Campania, cui va riconosciuto un quadro delle risorse non commisurato, per ciò che concerne la popolazione, ai trasferimenti - ciò deve essere riconosciuto perché in termini di cifre di partenza è un elemento importante da considerare -, il nostro Governo ha già disposto la revoca degli interventi per i quali non sono pervenute le istanze di finanziamento entro i termini prescritti. Si tratta di 705 milioni di euro ed oltre. La regione ha chiesto la limitazione della revoca; ha avanzato le sue proposte; il ministro della salute ha fatto le sue controdeduzioni.
In questo momento, nell'ambito del protocollo firmato dal ministro dell'economia e delle finanze, dal ministro della salute e dalle regioni e province autonome, si sta negoziando un obiettivo per migliorare l'efficienza e l'appropriatezza delle prestazioni sanitarie, riconducendo la dinamica della spesa entro i vincoli della finanza pubblica. Il ministro della salute è impegnato a fare tale verifica con la regione Campania e con le altre regioni che hanno formulato piani di rientro, secondo le previsioni delle norme in vigore, e non vi è dubbio che se ciò si traducesse in un mancato rispetto degli obiettivi intermedi, la regione interessata potrebbe proporre misure che dovranno essere sottoposte all'attenzione dei ministri competenti.
Non ci nascondiamo che la situazione è difficile, onorevole Taglialatela. SappiamoPag. 30che ciò lo si deve alla serie storica dei bilanci della sanità in alcune regioni e, in particolare, in Campania. Colgo una piena consapevolezza del fatto che bisogna rendere il servizio ancora migliore e far tornare i conti pubblici. Decisione del Governo è che in questa legislatura ciò debba avvenire.

PRESIDENTE. Il deputato Taglialatela ha facoltà di replicare.

MARCELLO TAGLIALATELA. Signor Vicepresidente del Consiglio Rutelli, purtroppo la situazione in Campania è ancora peggiore di quella che le è stata, evidentemente, illustrata. Ci troviamo di fronte ad un già proclamato sciopero, per i giorni 27, 28 e 29 di questo mese, di tutte le strutture convenzionate, perché, a prescindere dai debiti pregressi, nell'anno 2006 nessuna struttura convenzionata ha ancora ricevuto un euro rispetto alle prestazioni rese e ciò dimostra come il problema non sia stato ancora affrontato. Infatti, parliamo di bilancio corrente.
È vero che questo è un problema che riguarda le regioni, ma quando è messa in discussione la possibilità delle prestazioni sanitarie a favore dei cittadini vi è un problema di carattere complessivo generale e penso che il Governo se ne debba fare carico, tenendo altresì conto che la regione Campania ha ulteriori elementi di negatività: è l'unica regione ad avere avuto una ASL sciolta per infiltrazioni camorristiche; è l'unica regione ad avere un'altra ASL (anch'essa della provincia di Napoli) messa sotto monitoraggio dal Ministero, sempre per infiltrazioni camorristiche; ed è anche una regione che ha elaborato un programma di pagamento dei debiti attraverso la creazione di una società che è ancora al vaglio, per quanto io sappia, della legittimità sia del Ministero dell'economia e delle finanze sia del Ministero della salute. Infatti, si tratta di un ulteriore indebitamento e non di un programma di risanamento.
Il problema è che fin quando non verrà approvato il piano di rientro non vi sono da parte di nessuno, nemmeno del Governo, certezze. Mi auguro che si possa stabilire, con un termine preciso, il momento in cui il piano di rientro, firmato dal Governo e dalla regione, imponga alla regione stessa le misure di monitoraggio e di controllo che evidentemente sono mancate. Altrimenti, non si riuscirebbe infatti a spiegare come mai nel 2004 un miliardo e 300 milioni di euro e nel 2005 un miliardo e 500 milioni di euro siano stati il frutto di una attività dissennata della finanza della sanità in Campania da parte di chi oggi ne ha la responsabilità.

(Iniziative per contrastare la criminalità organizzata e la microcriminalità a Napoli - n. 3-00373)

PRESIDENTE. Il deputato Elio Vito ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00373 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 8).

ELIO VITO. Signor Presidente, prima di parlare della criminalità a Napoli mi permetta di cogliere l'occasione per denunciare un fatto e chiedere alla Presidenza della Camera, ma anche al Vicepresidente Rutelli, che il Parlamento sia rapidamente informato su quanto sta accadendo di gravissimo a Venezia, in questi minuti, con l'occupazione da parte di alcuni manifestanti del palazzo della giunta regionale. Tali manifestanti hanno sfondato le porte di ingresso, vi sono due agenti contusi e l'occupazione è ancora in corso, impedendo la normale attività della regione e, soprattutto, creando gravi disagi ai dipendenti.
Ciò, purtroppo, si inserisce in un clima di violenza politica che in questi giorni colpisce Venezia, Padova e, in generale, la regione Veneto. Tutto ciò ci preoccupa molto e, conseguentemente, chiediamo al Governo che venga a riferire in Parlamento su tali vicende.
Per quanto concerne poi la nostra interrogazione, il Presidente Prodi e il ministro Amato si sono recati nei giorni scorsi a Napoli e, finalmente, si sono accorti della gravità di quella situazione.Pag. 31Napoli si è risvegliata da un sogno - si trattava, invece, di un incubo -, quello del «Rinascimento» di Bassolino e della Jervolino e di tutta la sinistra che avevano promesso ai napoletani di risolvere tutti i problemi, quali il traffico, l'immondizia e la criminalità che, invece, sono rimasti tali.
Noi abbiamo la sensazione che le misure annunciate nei giorni scorsi siano del tutto insufficienti. Per tale motivo, chiediamo al Governo se intenda assumerne altre e più radicali.

PRESIDENTE. Il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Francesco Rutelli, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, la situazione della città di Napoli ha conosciuto degli importanti cambiamenti e miglioramenti nel corso degli ultimi dieci anni. Dal punto di vista della sicurezza e dell'ordine pubblico, tutti siamo a conoscenza della gravità e della drammaticità di una situazione che, in molti casi, è legata alla capacità della camorra di incunearsi nelle difficoltà sociali, nella mancanza di lavoro, nell'incertezza di molti giovani e, dunque, di attirare tante e troppe persone nelle sue spire.
È evidente che quello assunto dal Governo è un impegno in primissima linea, d'intesa con il sindaco Jervolino, con il presidente della regione, Bassolino, e con la provincia. A questo fine è stata dedicata l'azione che il ministro dell'interno ha assunto in prima persona già dal mese di settembre insieme al viceministro Minniti, fino a firmare un patto, venerdì scorso, in prefettura a Napoli, ventiquattro ore dopo la visita in città del Presidente Prodi. Tale intesa non riguarda provvedimenti-«pannicelli caldi» che troppe volte sono stati adottati per cercare di risolvere una situazione tanto difficile, ma, al contrario, perseguono obiettivi strutturali.
Per contrastare la criminalità e sviluppare una cultura della legalità ci vuole tempo e l'impegno di tutti. Si deve superare la logica dell'emergenza che, con l'adozione di provvedimenti tampone e con «pannicelli caldi», non è riuscita a risolvere la situazione alla radice.
Le direttrici di intervento prevedono, in primo luogo, un rafforzamento e la riorganizzazione permanente delle attività di investigazione e di controllo del territorio; in secondo luogo, progetti concreti di riqualificazione urbana che vanno dalla videosorveglianza all'illuminazione; infine, in terzo luogo, una maggiore collaborazione tra tutte le istituzioni anche sul piano finanziario. In termini pratici, ci saranno circa mille agenti in più tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e guardie forestali, in parte provenienti da fuori città, in parte recuperati da compiti amministrativi, i quali saranno destinati al controllo del territorio e allo svolgimento di attività di investigazione. Quattrocento di essi costituiranno una forza di intervento rapida destinata a svolgere azioni straordinarie. Aumenteranno le pattuglie: settantanove in città e trentanove in provincia. Sarà costituita, inoltre, su mia richiesta, una squadra di controllo degli itinerari turistici. A questo fine, occorre che vi siano forze di polizia specializzate che conoscano quei territori e quei tragitti turistici. È necessario, in particolare, che tali forze di polizia conoscano quei territori e quei tragitti in permanenza perché se esse sono cambiate in continuazione non potranno avere quel controllo del territorio tale da rassicurare i turisti. Infatti, noi vogliamo che il numero dei turisti aumenti, perché non possiamo chiedere interventi strutturali per l'economia a Napoli se non potenziamo anche, d'intesa con gli enti territoriali, la capacità di offerta turistica e culturale.
Ci saranno, inoltre, più veicoli e più di cento motociclette con cui presidiare più efficacemente i vicoli. Al finanziamento di questi interventi concorreranno anche le istituzioni locali.

PRESIDENTE. Signor Vicepresidente del Consiglio dei ministri, deve concludere.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Presidente, utilizzoPag. 32venti secondi in più, che recupererò successivamente, per concludere il mio intervento. Saranno potenziati i presidi dei carabinieri su tutta l'area e verrà istituito un nuovo reparto territoriale nel sud-est della provincia.

PRESIDENTE. Signor Vicepresidente del Consiglio dei ministri, deve concludere: non si può accogliere la sua proposta di recuperare il tempo nel prosieguo dello svolgimento del question time.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Concludo, Presidente. Infine, Napoli e la provincia saranno la prima area interamente videosorvegliata ventiquattro ore su ventiquattro con un sistema di telecamere che riguarderà strade e scuole. Anche in questo caso, tutto ciò sarà realizzato d'intesa con la regione e la provincia.
Inoltre è previsto il potenziamento dell'illuminazione...

PRESIDENTE. Grazie, vicepresidente Rutelli: ha esaurito il suo tempo da oltre un minuto.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, mi accingo a concludere. Il viceministro Minniti ogni sei mesi farà un preciso rapporto perché si tratta non di agire solo nell'emergenza, ma di un impegno di legislatura.

PRESIDENTE. Il deputato Elio Vito ha facoltà di replicare.

ELIO VITO. Signor Presidente, mi dispiace, ma non è ammissibile che il question time si trasformi in una sede dove il Governo viene a fare i suoi spot oltre i tempi previsti dal regolamento.

PRESIDENTE. Anche a lei ho concesso un po' di tempo in più rispetto a quello previsto dal regolamento.

ELIO VITO. Signor Presidente, se permette, ho richiamato l'attenzione della Presidenza sui fatti gravissimi accaduti a Venezia...

PRESIDENTE. Tale richiamo poteva essere fatto in un'altra fase della seduta e lei lo sa.

ELIO VITO. Signor Presidente, mi dispiace questo suo modo di reagire e di rispondere. Non fa onore alla funzione che lei svolge, che deve essere imparziale nei confronti del Governo.
Vengo alla replica, che vorrei articolare in due punti, quello del Governo e quello degli enti locali. Gli annunci da lei fatti in questa sede, Vicepresidente Rutelli, non sono credibili per due ragioni. Intanto, contemporaneamente a tali annunci, il Governo non ha concesso gli aumenti richiesti e dovuti alle forze dell'ordine, creando con la legge finanziaria gravi turbamenti, disagi, malcontenti e proteste da parte delle forze dell'ordine stesse. Come pensate di annunciare aumenti delle forze dell'ordine, nuove macchine e nuove sedi quando contemporaneamente, con la legge finanziaria, non date i soldi che spettano, chiudendo caserme e commissariati di polizia anche in Campania e in provincia di Napoli? Inoltre, non siete credibili perché anche su questo siete vittime del ricatto delle forze estreme. Quando era stata avanzata la proposta di inviare l'esercito a Napoli, che avrebbe avuto un valore altamente simbolico, subito le forze estreme della vostra maggioranza ve lo hanno impedito.
Infine, quanto al punto relativo agli enti locali, faccio presente che la situazione a Napoli nel corso di questi dieci anni è solo peggiorata e che l'annunciato «Rinascimento» napoletano è stata solo propaganda per coprire il più violento, arrogante e protervo sistema di potere clientelare che mai si sia riscontrato a Napoli e in Campania. Il «sistema della sinistra» ha fatto sì che oggi Napoli e la Campania siano diventati peggio di una regione «rossa», dove non si lavora, non si guadagna, non si vincono appalti e nonPag. 33si entra nelle ASL se non si appartiene a quel sistema di potere clientelare. Questo è servito anche a distrarre l'attenzione del sistema pubblico dalla lotta alla criminalità che così ha potuto prosperare sino a giungere al dramma e alla tragedia dei giorni nostri di cui, finalmente, anche i ma|$$|Ax|fitre à penser della sinistra si sono accorti (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania).

(Misure volte a garantire la legalità e la sicurezza dei cittadini nel Mezzogiorno - n. 3-00374)

PRESIDENTE. Il deputato Neri ha facoltà di illustrare l'interrogazione Oliva n. 3-00374 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 9), di cui è cofirmatario.

SEBASTIANO NERI. Signor Presidente, ho ascoltato allibito la risposta fornita dal Governo all'interrogazione precedente. In questi giorni, Napoli si è trasformata in uno spot nazionale, dimenticando quello che il procuratore nazionale antimafia ha affermato, ovvero che l'emergenza criminalità non riguarda solo Napoli, ma tutto il sud. Gli omicidi e l'immanenza della delinquenza organizzata riguardano la vita di Napoli come quella di Catania, Palermo, Bari e di ogni grande centro dell'Italia meridionale.
La nostra interrogazione mira a conoscere quali impegni strutturali il Governo intenda assumere al riguardo. Infatti, ci troviamo di fronte non ad un'emergenza, ma ad una tragica quotidianità che non richiede misure straordinarie, bensì strutturali e permanenti, per assicurare un normale livello di civiltà e di sicurezza.

PRESIDENTE. Il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Francesco Rutelli, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, la risposta che ho cercato di dare è stata fortemente compressa dal tempo a disposizione. Quindi, ho potuto riferire solo alcune delle misure decise dal Governo ed è giusto che il Parlamento le controlli. Infatti, esso chiederà al viceministro Minniti e al ministro dell'interno Amato di riferire sull'andamento di tale impegni.
Perché allora questa risposta viene trattata come uno spot elettorale? Cosa c'entra? Vorrei rivolgermi in maniera molto amichevole ai colleghi interroganti. È evidente che abbiamo a che fare con una situazione molto difficile. Il caso sollevato con l'interrogazione, e relativo alla città di Catania, è molto serio ed il ministro della giustizia è intervenuto per ripristinare alcune risorse tagliate nel bilancio dell'anno in corso. Vorrei farle notare che stiamo gestendo il bilancio del Governo precedente e che i tagli da lei lamentati sono frutto del precedente Governo.
Io non sono venuto qui a fare una polemica con la destra che era al Governo nella passata legislatura, ma ho fatto lo sforzo di proporre, come è avvenuto, non una parata, come si sarebbe potuto dire se avessimo proposto di mettere agli angoli delle strade, dei soldati incompetenti (non conoscendo la problematica di un territorio complesso e difficile come, ad esempio, è quello di Napoli, citato nella interrogazione precedente), ma una serie di misure estremamente precise, come la videosorveglianza. Alla successiva interrogazione cercherò di rispondere indicando le misure di carattere sociale.
Ho parlato anche del tema del turismo. È chiaro che Napoli deve crescere, rassicurando i milioni di potenziali turisti che stimoleranno la creazione di imprese e di attività economiche permanenti.
Questa è la risposta che dobbiamo dare, oltre alle misure, cui ho già fatto riferimento, di aumento dei mezzi, degli uomini, delle capacità investigative e di un più forte coordinamento tra le istituzioni.
Mi è parso di dare una risposta onesta, non retorica o propagandistica. Spero che su un tema di questo genere si possa riscontrare una convergenza di tutti, perché è interesse di tutti contrastare ePag. 34sconfiggere la camorra, la mafia, la 'ndrangheta. Non parliamo poi della Calabria, della situazione che c'è in Puglia, in alcune parti di quella regione e, in generale, in troppi territori del nostro paese: è interesse della nazione che siano restituiti al rispetto della legalità e al buon funzionamento delle istituzioni.
Il Governo conosce queste situazioni problematiche, conosce la ristrettezza delle risorse, ma è fortemente determinato, d'intesa con chi è presente nel territorio, a voltare pagina.

PRESIDENTE. L'onorevole Neri ha facoltà di replicare.

SEBASTIANO NERI. Vicepresidente del Consiglio dei ministri, le soluzioni che lei ha prospettato rispetto alla precedente interrogazione e ribadite in risposta al nostro atto di sindacato ispettivo sono emergenziali, guardano alla contingenza. Esse non hanno una visione organica e strutturale del problema. Non si tratta di una emergenza, ma di una quotidianità che siamo costretti a registrare in tutte le città del Mezzogiorno.
Come si risponde? Noi abbiamo risposto con senso di responsabilità, presentando un emendamento alla finanziaria a costo zero, compatibile con i vostri saldi, che chiede l'impegno formale, per legge, della destinazione della maggior parte delle risorse in termini di nuove assunzioni nelle forze dell'ordine nel Mezzogiorno d'Italia. Aspettiamo di vedere cosa farà il Governo di questo nostro emendamento.
Noi proporremo una riforma dell'organizzazione degli uffici giudiziari sul territorio, perché le scellerate riforme degli ultimi anni, che hanno portato alla burocratizzazione dell'amministrazione della giustizia, con l'accentramento degli uffici, hanno spogliato il territorio di un presidio importante. Non esiste alcuna validità determinata e definitiva dell'azione delle forze dell'ordine se non c'è l'azione dell'amministrazione della giustizia che renda effettivi gli impegni delle stesse forze dell'ordine.
Abbiamo allontanato le istituzioni dal territorio. Ora bisogna riportarle nel territorio. Noi intendiamo questo quando parliamo di interventi strutturali che possano dare risposte definitive a queste emergenze.
Abbiamo anche sollevato un problema in più occasioni, che c'entra anche con questo tema, ossia quello della denunzia della sottrazione degli interventi per le infrastrutture nel Mezzogiorno. Infatti, finché si continua a sottrarre risorse al Mezzogiorno, impoverendolo ancora di più, si crea il terreno di coltura ideale per fare sviluppare le attività della criminalità organizzata. Disconoscere tutto questo e difendere le scelte scellerate che fin qui sono state fatte, mortificando il Mezzogiorno, significa perpetuare una situazione di degrado insostenibile (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia).

(Misure volte a potenziare i finanziamenti per le politiche sociali e per contrastare la povertà a Napoli - n. 3-00375)

PRESIDENTE. L'onorevole De Cristofaro ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00375 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 10).

PEPPE DE CRISTOFARO. Signor Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio, non c'è dubbio che la situazione di difficoltà della città di Napoli necessiterebbe innanzitutto un dibattito quanto più serio possibile e non strumentale come, purtroppo, viene fatto e come è stato fatto anche questa mattina.
Ritengo che questo elemento di difficoltà, come è stato richiamato giustamente, non si risolva semplicemente con misure di ordine pubblico. Certo, l'ordine pubblico è necessario e l'attività di coordinamento e di maggiore investigazione delle forze dell'ordine va sicuramente privilegiata, ma credo che questo elemento di difficoltà si risolva soprattutto intervenendo sul terreno sociale.Pag. 35
Chiedo al Governo quali misure intenda predisporre per contrastare fortemente quella povertà e quel disagio sociale che, in qualche modo, sono l'acqua melmosa nella quale la camorra vive e si riproduce, generando, purtroppo, le gravi difficoltà in cui vive la città.

PRESIDENTE. Il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Francesco Rutelli, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, l'onorevole De Cristofaro ha ragione, e sottoscrivo ciò che egli afferma. Evidentemente, se parliamo di misure strutturali ci riferiamo a interventi che avranno un impatto con il tempo. Siamo convinti che una serie di misure contenute nel disegno di legge finanziaria e nella manovra economica in discussione questa settimana vadano nella direzione giusta. Si tratta di interventi che recheranno beneficio al Mezzogiorno e, dunque, alla nazione. Infatti, il recupero, anche produttivo, del lavoro, della capacità e del tasso di produttività, oltreché del tasso di occupazione, del Mezzogiorno, rappresenta un beneficio per l'intero paese, senza eccezioni. È chiaro che la situazione nel Sud è quella che lei descrive: il 4,5 per cento delle famiglie povere italiane è censito nel nord, il 6 per cento al centro e ben il 24 per cento nel Mezzogiorno, dove risiede il 70 per cento delle famiglie povere del nostro paese.
Il disegno di legge finanziaria prevede una serie di interventi in diversi ambiti. Prioritario è lo sviluppo delle imprese ed il sostegno all'occupazione. L'intervento differenziato sul cosiddetto cuneo fiscale per le imprese del sud mi pare la scelta più decisa. Infatti, la riduzione del costo del lavoro, che non colpisce il lavoratore ma è a carico della fiscalità generale, sarà di 10 mila euro per ogni lavoratore a tempo indeterminato, rispetto ai 5 mila euro previsti per le imprese del resto del paese. Inoltre, sono previsti un credito di imposta per nuovi investimenti nelle aree svantaggiate e provvedimenti di incentivo ad hoc per l'occupazione femminile rivolti alle imprese che assumano donne, con una riduzione del costo del lavoro. In altri termini, nelle zone del Mezzogiorno, assumere una donna consentirà un risparmio ulteriore compreso tra i 150 e 170 euro al mese.
Inoltre, per promuovere lo sviluppo sono stati previsti interventi di recupero urbano delle aree e dei quartieri degradati delle città del Mezzogiorno, identificate come zone franche urbane, e si è istituito un fondo (si tratta di una innovazione da sperimentare), in cofinanziamento con i programmi regionali e d'intesa con l'Unione europea e con le regioni competenti, che riguarda le aree che si trovino in particolare situazione di degrado e di esclusione sociale.
Ho citato soltanto questi provvedimenti, onorevole De Cristofaro, proprio per dimostrare che intendiamo affrontare non con gli strumenti dell'emergenza i gravi problemi emersi, che riguardano la sanità, l'ordine pubblico e il lavoro, ma con misure che ci permettano, di qui alla fine della legislatura, di affermare, di intesa con le regioni e gli enti locali, che si è voltato pagina.

PRESIDENTE. Il deputato De Cristofaro ha facoltà di replicare.

PEPPE DE CRISTOFARO. Signor Presidente, prendo atto positivamente delle affermazioni rese dal Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Vorrei aggiungere che, già partire dalla manovra di bilancio e, certamente, nei mesi che verranno, il Governo effettivamente dovrà tentare di fare qualcosa in più. Nel corso di questi anni, c'è stata una vera difficoltà sul terreno sociale e anche dello sviluppo, dovuta al fatto che soprattutto il precedente Governo ha lasciato il Mezzogiorno e la città di Napoli in uno stato di autentico abbandono. Credo si debba voltare radicalmente pagina, intervenendo con misure concrete.
Ha fatto bene il Presidente del Consiglio dei ministri a recarsi a Napoli. Credo che adesso si debba ridiscutere, ad esempio,Pag. 36di come rimettere in piedi un piano come quello che fu denominato quale piano del reddito di inserimento. Se fosse possibile, si dovrebbe immaginare un cofinanziamento anche da parte del Governo centrale, oltreché degli enti locali, del reddito di cittadinanza. Insomma, sono necessarie quelle varie misure a sostegno del reddito che, in qualche modo, possano rappresentare un effettivo contrasto alla povertà.
Oggi, c'è un nesso molto forte tra la precarietà e la camorra e tra la precarietà e la violenza. La violenza e la camorra esistono esattamente perché esiste la precarietà.
Credo che dovremo prestare molta attenzione per ascoltare la voce di chi oggi combatte la precarietà, come qualche giorno fa lei ha ricordato in occasione di una grande manifestazione di piazza che si è svolta a Roma (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

(Iniziative volte a garantire l'uniformità delle posizioni delle prefetture italiane sulla normativa che vieta il travisamento in pubblico delle persone - n. 3-00376)

PRESIDENTE. Il deputato Garavaglia ha facoltà di illustrare l'interrogazione Maroni n. 3-00376 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 11), di cui è cofirmatario.

MASSIMO GARAVAGLIA. Grazie, Presidente. Secondo la prefettura di Treviso, non vi sono norme che vietano l'occultamento dei tratti somatici delle persone, se non in situazioni particolari di pregiudizio dell'ordine pubblico. In realtà, le norme vi sono e sono tante. In particolare, la norma che vieta il mascheramento risale ai cosiddetti anni di piombo, quando persone con il volto coperto da passamontagna hanno ucciso altre persone.
Ora, dato che è accertata la presenza di cellule terroristiche islamiche in Italia, la Lega Nord chiede se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti nell'interrogazione e quali provvedimenti intenda adottare al fine di uniformare le posizioni delle prefetture in merito alla normativa vigente, che inequivocabilmente vieta il travisamento in pubblico delle persone.

PRESIDENTE. Il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Francesco Rutelli, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO RUTELLI, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, credo che i colleghi si riferiscano alla copertura integrale del volto delle donne attraverso il burqa. Con molta chiarezza, voglio affermare che noi non riteniamo si debba concedere il riconoscimento del diritto all'espressione a tale tipo di abbigliamento. Se è pur vero che dal punto di vista formale si può affermare che né la normativa prevista nella cosiddetta legge Mancino - quella riguardante la copertura del volto attraverso caschi o altre modalità finalizzate all'occultamento dell'identità delle persone - né il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, che all'articolo 85 vieta di comparire mascherati in pubblico, possano assorbire questa fattispecie, la posizione del Governo è stata espressa con molta chiarezza dal Presidente del Consiglio Prodi. È giusto riconoscere, come avviene nella storia - anche il ministro dell'interno Amato ha ricordato che la figura religiosa femminile più cara a tutti noi porta il velo: Maria infatti ha un copricapo che però non nasconde il suo volto - che il velo può essere una scelta della donna per corrispondere ad una propria convinzione religiosa. Altra cosa è il nascondimento del viso. Non solo ciò non è consentito per quanto riguarda l'identificazione - voglio ricordare che non è consentito nemmeno per quanto riguarda le fotografie e le immagini da riportare sulla carta d'identità - ma a me sembra che, più che un problema di ordine pubblico, qui sia in gioco la dignità della donna.
Dunque, la risposta che può essere data, magari in modo sbrigativo, da un funzionario addetto all'ordine pubblico, si riferisce alle leggi in vigore, ma la sostanzaPag. 37del problema ci deve spingere, qualora le leggi in vigore non fossero giudicate sufficienti, ad adottare una normativa chiara e precisa che indichi la distinzione tra il diritto di manifestare le proprie convinzioni religiose, anche attraverso la decisione di indossare il velo, e la scelta, che non può essere giudicata accettabile nella nostra società, di un nascondimento totale della fisionomia della persona sia per rispetto della dignità della donna sia per motivazioni sociali più generali ed anche di sicurezza.
Se si valuterà che le norme vigenti non sono sufficienti, penso che si renderà opportuna una normativa che ci permetta di risolvere il problema, stabilendo che il nascondimento del viso non è consentito nel nostro paese.

PRESIDENTE. Il deputato Garavaglia ha facoltà di replicare.

MASSIMO GARAVAGLIA. Signor Rutelli, la sua risposta non ci soddisfa pienamente per un motivo molto semplice. Secondo la Lega Nord non è possibile modificare le regole per andare incontro sempre e comunque alle istanze del mondo islamico. Sulle regole e sui valori non si tratta e non si può trattare.
Rammento la formula che deve recitare la persona che vuole diventare cittadino italiano: «Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato». Questa formula ricalca sostanzialmente l'articolo 54, articolo fondamentale della nostra Costituzione, posto al termine della parte prima della Costituzione, quella sui diritti ed i doveri dei cittadini. Appunto: non si tratta solo diritti, ma anche di doveri. Ci domandiamo se tutte le nuove persone che volete far diventare cittadini in soli cinque anni - e non si capisce bene perché - abbiano letto la nostra Costituzione. Ricordo solo alcuni articoli: l'articolo 3 stabilisce che tutti i cittadini hanno uguale dignità, quindi donne e uomini sono uguali; l'articolo 29 stabilisce che il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza giuridica e morale dei coniugi; l'articolo 37 riguarda il lavoro e dice sostanzialmente che se il tuo capo è una donna devi accettare gli ordini che la donna ti dà come sottoposto; l'articolo 33 stabilisce che l'educazione anche in scuole paritarie deve essere equipollente, cioè avere gli stessi contenuti ed essere approvata dallo Stato. Potrei fare altri esempi, ma mi fermo qui.
Il problema è il seguente: se davvero i nuovi cittadini accettano tutte le nostre regole ed i nostri valori sono benvenuti, altrimenti è meglio che tornino al loro paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,30.

La seduta, sospesa alle 13,10, è ripresa alle 15,40.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Casini, Di Pietro, Evangelisti, Fabris, Letta, Martino, Pagliarini, Pinotti, Prodi, Villetti ed Elio Vito sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono settanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori.

ANDREA GIBELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREA GIBELLI. Intervengo sull'ordine dei lavori per una cortesia. Signor Presidente, sarò estremamente breve.Pag. 38
Vorrei ricordare all'Assemblea che sabato mattina è morto Enrico Morandi, la guardia giurata che, a Lodi, è stata vittima di un brutale assassinio a seguito dello speronamento del mezzo portavalori e della conseguente sparatoria. L'emozione che ho nel cuore è dovuta al fatto che si tratta di una persona che tutti conoscevamo in città, molto disponibile, che a cinquant'anni dava la sua vita nel lavoro e che ora è mancata all'affetto dei suoi cari.
Al di là del mio ruolo di parlamentare, mi sono sentito in dovere di intervenire per questioni umane e per ribadire al Parlamento (lo farò anche al Presidente Bertinotti) la richiesta di calendarizzare il provvedimento di riforma in materia di guardie giurate e polizie private; ma questo è un aspetto tecnico che andrà affrontato nelle sedi opportune.
Desidero ora ricordare all'Assemblea una persona che ha pagato con la vita, a qualche anno dalla fine del proprio lavoro, ed è morta in modo tragico. Ringrazio il Presidente per la cortesia di avermi permesso di intervenire fuori dalle convenzioni parlamentari (Applausi).

PRESIDENTE. Sono io a ringraziarla per questo ricordo. La Presidenza della Camera si unisce al cordoglio manifestato, che considero da lei rivolto a nome di tutti noi. La ringrazio ancora.

Si riprende la discussione (ore 15,45).

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1808)

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare il deputato Fluvi. Ne ha facoltà.

ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il decreto-legge al nostro esame assume una grande importanza, in quanto si propone (come è già stato detto più volte questa mattina) di regolare il rapporto fra una serie di contribuenti, imprese, liberi professionisti e l'erario, a seguito della nota sentenza della Corte di giustizia europea in materia di detraibilità dell'IVA sulle autovetture. Userò anch'io, per convenzione, solo il termine «autovetture», pur nella consapevolezza che la norma riguarda, più in generale, i mezzi di trasporto.
Il relatore, questa mattina, ha illustrato ampiamente le ragioni che hanno portato il Governo ad approvare il decreto-legge in questione, che oggi siamo chiamati a convertire: il percorso del ricorso presentato dall'impresa italiana, la sentenza di primo grado e quella della Corte di giustizia europea.
Come è stato ricordato, il decreto-legge interviene a valle di un pronunciamento della Corte di giustizia, che ha contestato l'applicazione di una norma italiana in contrasto con la VI direttiva IVA. Va da sé che tutti gli Stati membri sono tenuti a conformarsi alle disposizioni della VI direttiva IVA.
La normativa prevede che, nel caso in cui una esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente alle procedure indicate all'articolo 17, n. 7, della direttiva medesima (cioè le procedure della consultazione), le autorità tributarie dei singoli Stati non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroghi dal principio del diritto alla detrazione dell'imposta. Per effetto della sentenza, l'IVA sostenuta per le spese di acquisto, funzionamento e manutenzione delle autovetture è detraibile.
Si apre quindi, come i colleghi possono ben immaginare, uno scenario impegnativo sia sotto il profilo qualitativo sia sotto quello quantitativo. Proprio per questo motivo, ritengo vada apprezzata innanzitutto la tempestività con la quale il Governo ha inteso regolare la materia.
Il decreto-legge riconosce i crediti dei contribuenti, fissa un termine per la presentazione delle domande (tra l'altro, posticipato al Senato rispetto al testo originario approvato dal Governo, anche suPag. 39richiesta dell'opposizione), vieta le compensazioni fra il credito pregresso e i debiti d'imposta correnti.
Sostanzialmente, si afferma un quadro di certezze per i diversi soggetti in gioco: le imprese, i liberi professionisti e l'amministrazione finanziaria. Il Governo risolve un problema di non poco conto.
Dico ciò perché non c'è dubbio che le pronunce interpretative di norme vigenti da parte della Corte di giustizia hanno efficacia erga omnes e sono, quindi, idonee a far sorgere diritti e, comunque, posizioni giuridiche qualificate. Ma è altrettanto vero che dette sentenze non attribuiscono ai contribuenti l'automatica possibilità di ritenersi titolari di un diritto certo e immediatamente esigibile, bensì legittimano gli stessi ad azionare la pretesa davanti al giudice italiano, che dovrà nel caso specifico anche procedere all'accertamento della situazione sostanziale.
Ecco, quindi, che l'aver disposto una procedura ricognitiva del diritto ha permesso e permetterà a numerosissimi contribuenti interessati di ottenere il rimborso senza essere costretti ad attivare una procedura giudiziaria.
Quindi, altro che complicazioni normative! Con il decreto-legge in discussione si è prodotto un giusto riconoscimento e non un restringimento degli interessi e dei diritti dei contribuenti, i quali potranno ottenere, in via amministrativa, senza dispendio di energie, di tempo e di denaro, il rimborso IVA dovuto.
Onorevoli colleghi, sono convinto che, se pure sospinto anche dalla necessità di evitare effetti dirompenti sulla finanza pubblica, l'intervento del Governo vada apprezzato, proprio perché definisce i rapporti sorti antecedentemente la sentenza e ne fissa i tempi e le procedure per il riconoscimento dei crediti.
Come potete immaginare, l'influenza potenziale di questa sentenza sulla finanza pubblica sarebbe stata di oltre un punto di PIL se non fosse intervenuto questo decreto-legge teso ad individuare un modo per risolvere, prima di tutto, i problemi del passato e, poi, naturalmente, gettare le basi per affrontare il tema del futuro.
Dal momento della sua emanazione ad oggi, autorevoli esponenti dell'opposizione hanno denunciato la carenza di copertura finanziaria del provvedimento. È stato sostenuto e contestato che il Governo avrebbe dovuto individuare immediatamente una fonte di copertura dell'onere finanziario, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione. Credo, invece, che Governo e Parlamento stiano compiendo un ottimo lavoro anche relativamente alla corretta postazione in bilancio dell'onere finanziario scaturito dalla sentenza della Corte di giustizia delle comunità europee.
Ipotesi come quelle che stiamo discutendo sono previste e disciplinate dalla legge di contabilità. La legge prevede infatti che, nel caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali suscettibili di determinare maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, il ministro dell'economia e delle finanze riferisce al Parlamento con una propria relazione ed assume le conseguenti iniziative legislative.
La ratio di tale norma di contabilità è evidente: Governo e Parlamento non possono rincorrere la giurisprudenza ogni volta che questa emana pronunce interpretative su norme generatrici di oneri a carico del bilancio dello Stato.
Allora, bene ha fatto il Governo a seguire la procedura indicata nel decreto, bene ha fatto a comunicare al Parlamento gli effetti finanziari della sentenza della Corte nelle sedi proprie, vale a dire nella nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria che quest'Assemblea ha approvato all'inizio di ottobre.
Con la nota di aggiornamento si è informato il Parlamento dell'impatto finanziario della vicenda di cui ci stiamo occupando; impatto stimato in 3,7 miliardi di euro per il 2006 e, in ragioni di competenza economica, in maggiori oneri stimati in 13,4 miliardi di euro per il pagamento degli arretrati relativi agli anni 2003-2005.
Tali ingenti oneri hanno effetti - e non potrebbe essere altrimenti - sull'indebitamento netto, che in tal modo si colloca alPag. 404,8 per cento del PIL, con un aggravio rispetto alla stima precedente di oltre un punto di prodotto interno lordo.
Gli oneri conseguenti ai rimborsi relativi agli anni 2003-2005 sono stati ricompresi tra le regolazioni debitorie, che pertanto troveranno adeguata collocazione nella Tabella A della legge finanziaria. Invece, gli oneri conseguenti al nuovo regime di detraibilità piena dell'IVA trovano copertura per l'anno 2006 nel miglioramento dei saldi a legislazione vigente mentre, a partire dal 2007, gli oneri sono considerati nel decreto fiscale che abbiamo appena approvato.
Questi sono i fatti, rispetto ai quali non comprendo l'atteggiamento dell'opposizione, le cui critiche appaiono francamente strumentali. E, se questi sono i fatti, diventa ancora più incomprensibile l'atteggiamento ostruzionistico che vi apprestate ad assumere nell'iter di conversione del presente decreto.
Il Governo ha agito doverosamente per uniformarsi pienamente a quanto previsto dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, ha agito tempestivamente per non lasciare spazi di incertezza interpretativa e per mettersi in condizione di governare le conseguenze derivanti dall'impatto della sentenza sui conti della finanza pubblica, che non sono certo poca cosa. Mi sembra, in sostanza, che il Governo abbia agito in nome del buonsenso e della prudente ed oculata amministrazione della cosa pubblica.
Fatte queste considerazioni, tuttavia, mi corre anche l'obbligo di entrare un po' più nel merito della sentenza della Corte europea e, leggendo il testo di tale sentenza, ho la sensazione che, dopo le modifiche introdotte nel 2001 - le detrazioni al 10 per cento -, il Governo sia stato sostanzialmente immobile. Nel mezzo - l'ho già ricordato all'inizio -, vi sono stati la contestazione dell'impresa, la sentenza del giudice tributario e poi l'appello alla Corte di giustizia e, oggi, la sentenza che conosciamo.
Non c'è dubbio, a mio avviso, che vi è stata una debolezza nell'affrontare, con provvedimenti seri ed adeguati, i problemi che questa sentenza avrebbe probabilmente posto, come di fatto sta ponendo, né è bastato portare nell'anno vigente dal 10 al 15 per cento la possibilità di detrazione. In sostanza, la sentenza dice ad ogni piè sospinto che il problema di fondo è la mancata consultazione, prevista dalla direttiva stessa, del comitato che deve autorizzare il legislatore nazionale in materia. Il fatto di non aver innovato dal punto di vista legislativo, limitandosi a ritocchi percentuali sulle detrazioni, ha creato le condizioni per l'esplosione del problema che oggi siamo chiamati ad affrontare e risolvere.
Colleghi del centrodestra, se non c'è ipocrisia anche nel vostro atteggiamento, andrebbe quanto meno riconosciuta l'esistenza di un corposo profilo di concorso di responsabilità riferibile al Governo della passata legislatura. Come si evince dalla lettura del paragrafo 66 della sentenza, la pronuncia della Corte discende dal mancato raggiungimento di un accordo fra il Governo italiano e l'apposito comitato consultivo previsto dalla direttiva comunitaria, al quale avrebbe dovuto essere comunicata l'intenzione, da parte dell'Esecutivo che era in carica a quella data, di adottare misure nazionali in deroga al regime generale delle detrazioni IVA, in linea, del resto, con quanto è avvenuto senza particolari problemi dal 1980 a pochi mesi fa.
Non so se ci sia stato un errore tecnico oppure una volontà politica; in ogni caso siamo in presenza di un evidente concorso di responsabilità su cui avete troppo disinvoltamente glissato.
Signor Presidente, il paragrafo 76 della sentenza della Corte reca, inoltre, che il Governo italiano non è riuscito a dimostrare l'affidabilità del calcolo in base al quale ha sostenuto dinanzi alla Corte che la presente sentenza rischierebbe, qualora i suoi effetti non fossero limitati nel tempo, di comportare conseguenze finanziarie rilevanti. Non voglio polemizzare né fare dietrologie; tuttavia, in questo paragrafo la Corte afferma che era pronta a limitare gli effetti temporali, ma, poiché il Governo italiano non è stato in grado diPag. 41dimostrare che le conseguenze della retroattività sarebbero state gravi, non ricorre a tale limitazione e consente, quindi, che la sentenza produca i suoi effetti anche con riferimento al passato.
Tuttavia, cari colleghi del centrodestra, il paragrafo 76 della sentenza della Corte di giustizia europea produce un danno per il contribuente italiano di circa 13,4 miliardi di euro. La Corte afferma, in sostanza, di non aver acconsentito alla richiesta di limitare gli effetti temporali perché il Governo italiano non ha prodotto informazioni tali da dimostrare la rilevanza di tali effetti. Ho detto che non intendevo fare dietrologie e non lo faccio, mi è sufficiente però evidenziare il dato di fatto; del resto, colleghi, non è la prima volta che dobbiamo rimettere a posto la finanza pubblica del nostro paese.
Anche in questo dibattito stiamo assistendo ad una situazione che rischia di apparire paradossale. Dai vostri interventi e dal dibattito svoltosi prima in Commissione e poi in aula al Senato, sembra quasi che negli ultimi cinque anni la responsabilità del Governo non sia stata vostra, ma sia ricaduta sulle spalle del centrosinistra.
I colleghi scuseranno un minimo di vena polemica, ma quando vi ergete a paladini del cosiddetto popolo delle partite IVA o di quelle microaziende, di quella miriade di piccole imprese, che, in qualche modo, sarebbero frenate dai provvedimenti di questo Governo, mi viene da chiedere: ma voi dove eravate fino ad oggi?
Avete consentito un peggioramento dello stato della finanza pubblica - basta prendere i dati che sono a disposizione di tutti -, del rapporto debito-PIL, che è cominciato a crescere dopo anni di continua discesa, del rapporto deficit-prodotto interno lordo, che ha sforato ampiamente i parametri di Maastricht, della spesa corrente, che è fuori controllo, dell'avanzo primario, che è stato pressoché azzerato. E non siete neppure riusciti, nonostante lo sfondamento della finanza pubblica, a stimolare l'economia del nostro paese, ad essere punto di riferimento autorevole per il sistema economico italiano.
Il 2005 ha segnato una crescita pari a zero; in cinque anni il prodotto interno lordo è cresciuto di poco più di due punti. Abbiamo assistito, cari colleghi, al più lungo periodo di stagnazione economica degli ultimi anni di vita della nostra Repubblica.
Le critiche ai provvedimenti del Governo, quindi, dal decreto Bersani al disegno di legge finanziaria, a quello che stiamo discutendo, appaiono, prima di tutto, fuori luogo. Tutt'al più, non fanno altro che registrare il fallimento di cinque anni del vostro Governo.
Con il decreto Bersani abbiamo cercato di dare una prima, forte spinta alle liberalizzazioni; con il disegno di legge finanziaria cercheremo di stimolare la crescita e di avviare il risanamento dei conti pubblici e di farlo con equità.
Vedete, quando criticate la nostra attenzione ai provvedimenti tesi a contrastare l'evasione fiscale, quando criticate la nostra attenzione allo stato dei conti pubblici, quando criticate la nostra attenzione verso l'equità, lo fate perché avete davanti il fallimento di cinque anni del vostro Governo e avete soprattutto ben chiara ormai - e dovrebbe esserlo - quella fotografia che dimostra come un sistema senza regole non funziona e la riprova sono i vostri cinque anni di crescita zero.
L'evasione fiscale è il maggior ostacolo alla concorrenza, è il maggiore ostacolo al rafforzamento di quel senso di appartenenza ad una comunità così prezioso quando è necessario uno sforzo collettivo per rimettere in moto il sistema economico nazionale.
Non vi rendete conto che i conti pubblici sotto controllo rappresentano la base sulla quale far poggiare una solida ripresa economica. Non vi rendete conto che il paese ha bisogno di tutte le sue forze per riprendere a crescere e a camminare verso il futuro. Per questo l'equità è così importante.
Allora, se siete così interessati a difendere il popolo delle partite IVA o quella miriade di piccole e piccolissime imprese che rappresentano l'ossatura del nostro sistema produttivo, dovete sapere che, inPag. 42questi cinque anni, non siete riusciti a far crescere il PIL di questo paese, non siete riusciti a far crescere la ricchezza di questo paese. Allora, posizioni demagogiche e strumentali lasciano il tempo che trovano.
Abbiamo avuto l'esperienza di questi cinque anni. Il paese ha bisogno di provvedimenti che spingano la crescita economica. Ci stiamo provando, dal decreto Bersani al disegno di legge finanziaria che discuteremo nei prossimi giorni. Lo stiamo facendo anche con questo provvedimento, con il quale affermiamo, prima di tutto, un quadro di certezze, certezze per l'impresa, per il libero professionista, per tutti i soggetti in gioco; ed è anche per questo che sosteniamo con convinzione questo provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Filippi. Ne ha facoltà.

ALBERTO FILIPPI. Oggi, signor Presidente, per la prima volta dopo sei mesi di Governo Prodi i contribuenti avrebbero potuto sorridere, invece piangono ancora. E a piangere in questo paese sono coloro che lavorano, non i ricchi. Infatti, la sentenza della Corte di giustizia europea aveva dato a questo Governo l'occasione di fare chiarezza sulla detraibilità dell'IVA per gli autoveicoli, i servizi e i mezzi di consumo dei beni in questione; in ogni caso, ancora una volta l'Italia ha maltrattato i contribuenti ed è stata iniqua nei loro confronti, non permettendogli di detrarre l'IVA sugli autoveicoli. Quindi, artigiani, imprese e professionisti - fino ad oggi trattati violando i principi fiscali adottati dall'Europa - si vedono risarciti di questo sopruso: e qui, signor Presidente, casca l'asino, come si suol dire. Infatti, il Governo perde l'occasione e continua la battaglia, la convivenza dialettica, l'ostilità nei confronti del contribuente, anzi nei confronti di alcuni contribuenti: sempre quelli, sempre gli stessi, guarda caso sempre quei contribuenti che lavorano, che creano il PIL (artigiani, professionisti, piccole e medie imprese). Il Governo prima si vede costretto ad adeguarsi alla sentenza della Corte di giustizia europea poi, invece di sostanziare quanto imposto, si preoccupa solo delle proprie entrate ed inizia a scoraggiare gli aventi diritto introducendo mille complicazioni burocratiche, trasmettendo la solita incertezza sui rimborsi e la certezza del contrario. Il contribuente, infatti, saprà che fin da subito, anzi in modo retroattivo, dovrà pagare; coloro che dovrebbero avere diritto a ciò che era stato loro maltolto non potranno dedurre sulle auto ciò che deducevano in passato.
Per il contribuente vedere tutelati i propri diritti diviene un'utopia e ogni volta che si ritrova a dover avere giustizia, se l'altra parte è lo Stato diviene un dramma. Ogni volta inizia una corsa ad ostacoli dove i paletti, le regole vengono fissati dallo Stato, questo Stato: tutto ciò è assurdo. Coloro che ora avevano il diritto di vedersi riconosciuto il rimborso del denaro, non solo non lo avranno più, ma addirittura non sapranno quanto potranno riscuotere le somme a loro dovute. A chi poteva detrarre l'IVA sulle auto spettava una certa somma di denaro; ebbene, attraverso il fisco, con poca fantasia, si è pensato bene di non ammettere più tali beni in deduzione - come in passato - quanto alla competenza del costo, creando così una partita di giro che presenta pure dei vantaggi sotto il profilo della liquidità. Infatti, l'IVA sarà restituita non si sa quando, mentre i costi non dedotti, essendo di competenza del 2006, verranno incamerati dallo Stato già da quest'anno.
Non mi soffermerò a spiegare cosa prevede il provvedimento, considerato che la cosa è già stata chiarita in maniera sufficiente grazie ai precedenti interventi. Vorrei invece concentrare la mia attenzione sui punti principali del dissenso che la Lega Nord non può non manifestare nei confronti di questo atteggiamento governativo, sempre e solo ostile, ingiusto nei confronti di alcune categorie; ciò, anche quando i loro rappresentanti hanno ragione e la Comunità europea impone di fare giustizia. Ebbene, anche in questi casi - oggi ne abbiamo un esempio - ingiustizia è fatta.Pag. 43
Vorrei riassumere in pillole il nostro dissenso; in primo luogo, la norma dovrebbe prevedere tempi certi di rimborso a tutela del soggetto passivo, ma non è così!
In secondo luogo, sono escluse esplicitamente dal comma 2 dell'articolo 1 le normali procedure di detrazione e compensazione dell'IVA; ancora, le istanze di rimborso devono essere presentate in via telematica, aggiungendo burocrazia costosa per le strutture piccole; la disciplina dei rimborsi, poi, è affidata ad un decreto del direttore dell'Agenzia delle entrate, mentre sarebbe preferibile un decreto ministeriale; dovrebbe essere stabilita una soglia di detraibilità per il rimborso forfettario; infine, ancora una volta, si deroga in materia fiscale all'articolo 4 dello statuto del contribuente; infatti la non deducibilità dei costi parte già dall'inizio del 2006.
È ora di smetterla. È ora di smetterla, perché, in un mondo civile, legiferare in tal modo è incivile e non si può continuare a trattare così il contribuente, specialmente in considerazione del fatto che uno dei padri fondatori dello statuto del contribuente è proprio un membro di questo Governo, ed è il sottosegretario Visco.
Andiamo ad analizzare comunque alcuni di questi punti. La stessa sostanza della copertura per questa restituzione IVA lascia i brividi sulla schiena. Infatti, togliete agli stessi soggetti, ai quali, indebitamente, avete già tolto la detrazione IVA, la possibilità di scaricare i costi per gli stessi identici beni. Ma, a questo punto, viene proprio da dire che siete diabolici. L'Europa vi ha appena dettato le regole e vi ha appena spiegato cosa è giusto e cosa è ingiusto fare, cosa è tollerato e cosa non lo è. Vi ha appena spiegato che, in Europa, solo l'Italia non permetteva sull'argomento auto la detrazione dell'IVA. Bene, neanche dopo la lezione, si impara. Voi direte: vi ridò l'IVA e mi prendo la detrazione dei costi. Vi posso dire, a questo punto, che sbagliare è umano ma perseverare è diabolico, oppure che non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire. Il punto, però, è che l'Europa vi guarda e mi sembra che, nelle ultime settimane, di figuracce questo Governo ne abbia collezionate tante e troppe. Ma l'attuale Esecutivo persevera e insiste. Insiste pur di mandare avanti quella guerra sempre contro le stesse categorie. A questo punto, si potrebbe capire perché poi «le iene» facciano il tampone ai parlamentari. Qualche spiegazione deve ben esserci a scelte legislative di questo tipo. Nel leggere soluzioni come queste, è facile, anzi è facilissimo ed inevitabile che sorgano dubbi circa la lucidità di chi propone tali provvedimenti.
Un altro punto che vorrei focalizzare è il comma 2-bis dell'articolo 1, introdotto nel corso dell'esame al Senato, volto a ridefinire la disciplina complessiva della materia, intervenendo sull'articolo 19-bis1, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, concernente l'indetraibilità dell'IVA sui veicoli aziendali, oggetto di censura da parte della Corte di giustizia. In particolare, la disposizione prevede che l'IVA sia indetraibile nei limiti previsti dall'autorizzazione, che è stata richiesta in sede comunitaria, in data 6 ottobre 2006. Qualora la deroga richiesta dall'Italia venga autorizzata, l'indetraibilità risulterebbe parziale e la misura di essa sarebbe precisamente individuata nella decisione del Consiglio dell'Unione europea, cui fa rinvio la novellata lettera c). In base alla novella apportata dal comma 2-bis, infatti, la riduzione della detraibilità si applicherà nei termini ivi previsti e senza possibilità da parte del contribuente di fornire la prova contraria, a far data dalla pubblicazione dell'autorizzazione accordata dall'Italia nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea. L'abbattimento della detraibilità, qualora accordato, consentirebbe allo Stato italiano di ridurre la perdita del gettito IVA, stimata, al 2007, in 5,2 miliardi e coperta dal decreto-legge, collegato alla manovra finanziaria, con la modifica della deducibilità dei costi delle auto aziendali agli effetti dell'imposta sui redditi.
Quindi, il sottosegretario Alfiero Grandi si è preoccupato e si preoccupa di chiedere a Bruxelles se si potrà avere unaPag. 44detrazione parziale dell'IVA, così da risparmiare qualche «miliardino», alla faccia dei diritti del contribuente.
Signor sottosegretario, lei si chiama pure Alfiero, ma credo che se si continua così il soprannome più adatto a lei, mi consenta la battuta, potrà essere esclusivamente «Al», considerato che da essere «fieri», in questo Governo, ce ne rimane poco.
Mi chiedo: se un'imposta è ingiusta, se è scorretta, se è iniqua, se è dichiarata sbagliata, se non è etica per l'Europa stessa, perché insistere? Perché tanto accanimento? Ed allora, proviamo a pensarci un attimo: l'auto in questione non serve per andare in vacanza, non serve per andare al mare, al lago, in montagna, non serve per passeggiare sui colli o andare a fare lo shopping con la dolce metà. L'auto in questione serve per andare a lavorare, serve mentre si lavora, è uno strumento indispensabile per poter fare quanto si deve fare per svolgere il proprio lavoro, la propria professione. Serve per portare a casa la pagnotta, per creare il PIL a questo povero paese, quella ricchezza che poi, comunque, verrà in più modi tassata. L'attuale Governo, ancora una volta, dimostra con i fatti di accanirsi contro i padri di famiglia che lavorano, contro i cittadini onesti ed operosi, purché siano artigiani, piccoli imprenditori e professionisti. Dopo sei mesi di governo, oltre ad alzare le tasse a queste categorie, il Governo Prodi e questa maggioranza hanno regalato: 1) F24 on line; 2) tassa di successione anche per le aziende; 3) scontrini «killer»; 4) studi di settore; 5) invio elenchi clienti e fornitori; 6) controllo dei pagamenti bancari (quindi, ha creato il Grande Fratello fiscale); 7) controlli preventivi per aprire la partita IVA (manca solo che ti facciano l'esame del DNA per aprire la partita IVA!); 8) per pagare oltre 100 euro assegni e bonifici (anche perché mi sa che soldi in tasca ormai ne son rimasti pochi); 9) invio dei corrispettivi quotidiani all'Agenzia delle entrate (per far ciò, vorrei ricordare che bisogna acquistare i soliti strumenti che, all'incirca, costano 500 euro; quindi, per andare incontro alle esigenze del fisco, che aumenta le imposte e le tasse, bisogna anche pagare, non solo in termini di tempo, questa nuova burocrazia, ma anche in termini economici. Dunque, alle tasse si accumulano spese inutili). E si potrebbe andare avanti, ma lasciamo stare perché l'argomento oggi sono le auto e l'IVA sulle stesse.
Sono un imprenditore e so come la pensano i miei colleghi. Se ci si chiede un sacrificio, bene, lo facciamo, ne abbiamo fatti, però una volta per tutte, che dopo sia finita: lasciateci lavorare! Va bene, vi saranno anche procedure assurde, costose, ingiuste, ma se poi si risana il paese ci si porta pazienza, non è un problema, ma in queste ore si sta definendo anche il disegno di legge finanziaria per l'anno 2007 e si legge dove finiscono i soldi! Un esempio che è diventato ormai famoso, più che per l'entità, per il modo spudorato di gestire ad personam i soldi pubblici, è dato dall'emendamento Pallaro: quattordici milioni di euro, moltiplicati per tre, da destinarsi come Pallaro ha preteso! Quattordici milioni di euro, moltiplicati per tre, per pagare il suo voto al Senato! Quattordici milioni di euro, moltiplicati per tre, da destinare anche alle aziende estere che faranno concorrenza a quelle italiane, che pagano e continuano a pagare anche per sostenere i propri concorrenti: assurdo!
Parliamo, poi, di compensazione. Ditemi: perché non è prevista la compensazione? La compensazione, ossia lo strumento adottato, tra l'altro, nel regime IVA, dovrebbe far risparmiare a tutti tempo e denaro e dare - anzi, ridare - quanto ingiustamente tolto. Invece, la compensazione viene negata. Ed allora non vi è rapporto di equa reciprocità e quando manca la reciprocità siamo di fronte ad un'altra ingiustizia, ingiustizia dello Stato; la fame di soldi dello Stato viene prima dei diritti dei cittadini. Questo noi non lo possiamo accettare! Noi su questo sicuramente daremo battaglia. Noi continuiamo ad essere sempre più opposizione e sempre più opposizione faremo, anche perché, permettetemi, siamo opposizione e siamo sempre più opposizione forte, maPag. 45siamo anche sempre meno minoranza, considerato che nel paese il consenso ormai voi lo avete perso quasi tutto (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Berruti. Ne ha facoltà.

MASSIMO MARIA BERRUTI. Signor Presidente, colleghi, la Corte di giustizia delle Comunità europee, con sentenza del settembre 2006, ha finalmente posto fine all'annoso problema che si trascinava da 27 anni, da quando, nel 1979, venne introdotta nel nostro ordinamento l'indetraibilità dell'IVA sugli acquisti degli automezzi - li definisco anch'io automezzi, ma tutti sappiamo che non si tratta soltanto dei semplici veicoli ed autoveicoli che tutti i giorni vediamo sulle strade - di cui alla lettera c) del primo comma dell'articolo 19-bis1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. La decisione ha evidentemente travolto le disposizioni di cui alla successiva lettera d) del citato comma relative agli acquisti di carburante e di prestazioni di servizi connessi all'utilizzo degli automezzi in questione.
Che la limitazione al diritto alla detrazione dell'imposta fosse notoriamente contraria alle disposizioni della VI direttiva CEE era arcinoto a tutti, tanto è vero che, con la legge 23 dicembre 2000 n. 388, si era tentato, con l'escamotage - che tutti ricordiamo - di una detrazione ridotta e parziale, in luogo di quella totale, di ammorbidire le censure che continuavano, periodicamente, ad essere riproposte dalle autorità europee.
Peraltro, l'andamento dell'istruttoria dibattimentale faceva largamente presagire che le posizioni italiane, su questa base, erano assolutamente perdenti. In sostanza, esisteva tutto il tempo necessario allora, e a maggior ragione ve ne sarebbe stato adesso, per apprestare un provvedimento più meditato, che comunque consentisse di affrontare la situazione avendo riguardo a molti altri aspetti. Aspetti che ora, proprio per questa mancata attenzione, si presentano come interrogativi ai quali non riusciamo a dare una risposta concreta.
Segnali inequivocabili dell'insufficiente preparazione della misura adottata sono non soltanto il fatto che si sta per approvare un testo stravolto nel passaggio al Senato - peraltro, si tratta di vicenda conosciuta - ma anche la circostanza che, formalmente, le norme contenute nell'articolo 19-bis1, allo stato, non sono ancora state abrogate.
Colleghi, ritengo, dunque, che il disorientamento dei nostri contribuenti, a tale punto, sia totale, anche perché, nell'ambito della manovra complessiva per il prossimo anno, vengono continuamente annunciate nuove disposizioni per far fronte all'emergenza con sicuri inasprimenti della indeducibilità dei costi aziendali.
Ci sembra, quindi, di capire che la mancanza di coordinamento imporrà presto l'adozione di nuovi provvedimenti di urgenza per correggere manchevolezze che a noi appaiono del tutto evidenti.
Tutto sommato, molte misure recate da questo decreto sono da noi condivisibili, ma dobbiamo entrare un po' più nel merito del provvedimento; quel merito cui nessuno della maggioranza ha osato guardare con attenzione con riferimento alla presentazione delle nostre proposte emendative, tese non tanto a modificare le disposizioni quanto ad addolcirle. Ebbene, il decreto prevede due vie per consentire ai contribuenti di recuperare la maggiore imposta della quale sono stati gravati per effetto delle limitazioni censurate dalla Corte di giustizia: in sostanza, si prevedono un sistema analitico ed un metodo forfettario.
Ora, se in linea di massima, come ho precedentemente affermato, si può anche convenire su tali impostazioni, vorrei tuttavia osservare che il punto debole del provvedimento (a parere non solo mio, ma anche di molti di noi e di numerosi contribuenti) è rappresentato dalla delega, conferita al direttore dell'Agenzia delle entrate, volta ad individuare gli altri tributi che, influenzati dall'esistenza di una minore base imponibile determinata dall'imposta non detratta, hanno dato luogo ad un minor carico fiscale.Pag. 46
Ritengo più significativa, in tal senso, la discrezionalità che viene lasciata al citato direttore nell'individuare le diverse percentuali di forfettizzazione per i distinti settori di attività. È vero che i contribuenti che dovessero rilevare un trattamento deteriore possono optare per il sistema analitico; tuttavia, essi - e credo che, in questo caso, si crei un vero e proprio paradosso - non devono soltanto neutralizzare l'eventuale arricchimento che conseguirebbe da un rimborso al lordo delle minori altre imposte pagate, ma devono anche provare la misura dell'effettivo utilizzo nell'esercizio dell'attività «in base a criteri di reale inerenza» (cito dal testo del provvedimento in esame). Affronterò comunque più avanti tale aspetto.
Facendo un passo indietro, credo che disposizioni di questo genere si prestino, in linea di massima, alla formulazione di due considerazioni. La prima riguarda la misura della restituzione (se vogliamo ragionare a contrario, la determinazione della base imponibile su cui, alla fine, verrà commisurata l'imposta reale), la quale è rimessa ad un provvedimento amministrativo. Tale atto, ovviamente, è totalmente sottratto al controllo parlamentare. Per chi nutre un minimo di attenzione e di sensibilità per la Costituzione «reale», l'imbarazzo è veramente forte!
In secondo luogo, dobbiamo domandarci quale sia quell'amministrazione che, sotto il controllo dell'Esecutivo, deciderà la misura della forfettizzazione e quindi, in ultima analisi, l'onere a carico del bilancio dello Stato. Posso fare una domanda, come diceva qualcuno? Ma chi è la persona, l'ente o l'organismo che assicurerà che il saldo tra gli inasprimenti in fase di definizione e le restituzioni derivanti dal decreto-legge in esame, sarà in pareggio? Chi potrà farlo? Quale ente o organismo potrà realizzare ciò?
È evidentemente una domanda retorica, poiché la risposta è: nessuno! Scusate, ma per caso non si è trattato di introdurre, ancora volta, una nuova imposta senza definirla tale? Non sarà l'ennesima tassazione? Non si tratterà dell'ulteriore tassa occulta decisa da questo Governo? Lascio a voi la risposta!
Sarebbe inutile, allora, sostenere che al contribuente è sempre lasciata la scelta di adottare il sistema analitico piuttosto che il metodo forfettario. Ciò perché, in caso di opzione per il metodo forfettario, le prove richieste appartengono alla categoria della cosiddetta probatio diabolica: di fronte a questa, non rimane che arrendersi tutti! In sostanza, si induce ad una scelta forfettaria di massa senza che il Parlamento sia stato messo in grado di valutarne gli effetti!
Vorrei adesso tornare ad affrontare il sistema analitico, che ho precedentemente accantonato. Credo che il cosiddetto sistema analitico sia afflitto, in realtà, da una incomprensibile «biforcazione»: la sua «messa in moto», infatti, è demandata a due apposite istanze.
La prima deve essere presentata entro il 15 aprile 2007 ed è «figlia» della sensibilità del direttore dell'Agenzia delle entrate, il quale deve identificare i vantaggi che sarebbero stati prodotti dalle mancate detrazioni dell'IVA. L'altra istanza, soggetta ai termini previsti dalle disposizioni in materia di contenzioso tributario, sembra, sì, sottratta agli «umori» del direttore dell'Agenzia delle entrate, tuttavia richiede quelle famose prove di cui ho precedentemente parlato e che, detto in breve, non si può ben sapere in cosa effettivamente consistano!
Se la biforcazione resta confinata nella irrazionalità - e forse ha solo una giustificazione in termini di demagogica ostentazione di senso di giustizia e di equilibrio! - non si può però comunque comprendere perché non sia stata prevista la revocabilità della liquidazione forfettaria; questo, qualora il contribuente dovesse accorgersi di aver intrapreso una strada troppo penalizzante e riuscisse successivamente a raccogliere le prove, che invece potrebbero portargli giovamento.
In definitiva, colleghi, si tratta di una materia che solo indirettamente ha natura tributaria. Così come ci si preoccupa, con il decreto, di prevenire indebiti arricchimentiPag. 47a danno dell'erario, l'amministrazione dovrebbe altrettanto preoccuparsi di tutelare i contribuenti dagli eventuali indebiti arricchimenti a favore dell'erario, cosa che invece non leggiamo in questo decreto. Sempre in tema di arricchimenti illeciti, c'è un aspetto che mi incuriosisce moltissimo. Tutti sappiamo che una parte del gettito dell'aliquota IVA - mi sembra il 10 per cento - è destinato all'Unione europea. Non vi è dubbio che i limiti della detraibilità dell'imposta afferente ai costi hanno sicuramente determinato un maggior gettito, del quale di conseguenza ha beneficiato l'Unione europea, perché se lo Stato membro deve dare il 10 per cento e noi abbiamo avuto un maggior gettito, allora noi, considerando il gettito effettivo, avremo dato un 10 per cento in più all'Unione europea.
Pertanto, la domanda che pongo al Governo è la seguente. Perché il Governo non affronta questo argomento in sede di Unione europea, fornendo poi i chiarimenti del caso? Non potrebbe in questa maniera risolvere qualche problema di copertura? Perché non utilizza questa strada, invece di continuare a spremere il contribuente? Stiamo parlando di miliardi di euro, stiamo parlando del 10 per cento del gettito IVA afferente in questo caso all'indetraibilità sugli automezzi!
Se non sono stato chiaro, vorrei esemplificare quello che sto dicendo. Secondo gli accordi in sede europea, il 28 febbraio di ogni anno lo Stato membro, e quindi l'Italia, deve versare all'Unione europea il 10 per cento del gettito IVA afferente al volume d'affari IVA del precedente anno. Nel 2007 faremo questo versamento con riferimento al gettito IVA del periodo 1o gennaio 2006 - 31 dicembre 2006. Siccome rileviamo che vi saranno delle nuove detrazioni IVA, noi andiamo a versare all'Unione europea una quantità di IVA maggiore rispetto a quella effettivamente spettante, e si tratta di euro. Allora perché non andiamo a recuperarli? Perché non pensiamo di giocare una compensazione su tale importo? Non risolveremmo così un po' del problema di copertura di questa manovra finanziaria?
Il comma 2 dell'articolo 1 del decreto, nel passaggio al Senato, non ha subito alcuna modificazione, sebbene tocchi argomenti che non sono assolutamente di poco conto. Esso infatti esclude le procedure di rettifica delle detrazioni previste dalla disciplina IVA - e su questo si può convenire -, ma elimina anche la possibilità di utilizzare i rimborsi a compensazione dei pagamenti di imposte dovute in futuro, e su questo invece non si può convenire. Atteso che il decreto non prevede alcun termine per l'effettuazione dei rimborsi e nulla dice sulle modalità con le quali saranno effettuati, la liquidazione, così com'è prevista, appare assolutamente vessatoria!
Era una questione da valutare; su questo argomento abbiamo presentato vari emendamenti (il primo firmatario è Alfano), ma in Commissione da parte della maggioranza non c'è stata assolutamente la volontà di ascoltare. In questo quadro sconfortante dal punto di vista del metodo, sono stati proposti emendamenti che tendevano a lenire questi effetti, ma abbiamo trovato un ambiente di assoluta negatività. Gli emendamenti miravano a rendere oggettiva, per esempio, l'individuazione delle parti rilevanti ai fini del rimborso, a semplificare e ad accelerare gli adempimenti a carico dei contribuenti, a spostare a livello politico la responsabilità dell'individuazione delle basi e della commisurazione delle restituzioni, a rendere più snello il processo di neutralizzazione dei vantaggi derivanti dal riconoscimento delle maggiori detrazioni, a delimitare la discrezionalità della normativa secondaria, a ricostituire il diritto alle compensazioni, a fissare un termine per i rimborsi, infine ad assicurare almeno il tetto minimo delle restituzioni.
Abbiamo chiesto solo questo; ma vi sembra così scandaloso? La nostra parte politica può condividere una serie di questioni importanti di questo decreto, ma non siamo riusciti a capire - lo spiegheremo bene fuori da quest'aula - perché è mancata la volontà di recepire emendamenti di principio e di buonsenso. Parliamo di trentaquattro emendamenti, sarebbePag. 48bastato recepirne quindici-venti per limitare i danni che verranno causati al contribuente italiano.
Devo concludere, ma, credetemi, provo un po' di dispiacere, perché condividevamo e condividiamo molto di questo provvedimento. Purtroppo, ancora una volta, non si è avvertita alcuna sensibilità per la certezza del diritto e per le esigenze dei contribuenti italiani (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Garavaglia. Ne ha facoltà.

MASSIMO GARAVAGLIA. Signor Presidente, ci troviamo oggi pomeriggio a discutere di questo importante provvedimento con qualche certezza e una montagna di dubbi. Sgombriamo subito il campo da un equivoco: per noi questo è un intervento assolutamente positivo, da valutare con favore; il problema - avremo modo di argomentarlo - è che si poteva fare di più e di meglio. Tanti sono gli aspetti non positivi di questo provvedimento.
Innanzitutto, notiamo come, forse per l'ennesima volta, l'Unione europea interviene nella legislazione dello Stato italiano (in questo caso in maniera positiva, tante altre volte lo ha fatto in modo negativo). Si assiste, di fatto - e questo è un problema più generale che meriterebbe qualche riflessione, che qui accenno soltanto per non occupare il tempo con questioni che non c'entrano -, ad una situazione paradossale: a fronte di uno scarico di competenze verso l'alto, verso l'Europa, e a uno verso il basso - solo teorico, purtroppo -, verso le regioni, la complessità dell'azione del Parlamento diventa oggettivamente sempre più grande.
In questo caso, l'intervento dell'Unione europea è positivo, perché risolve una questione che da trent'anni ingiustamente penalizza una fetta enorme di contribuenti (il cosiddetto popolo delle partite IVA).
Venendo alle ombre del disegno di legge, preferisco arrivare subito alla conclusione: il problema reale è che si è persa una grande occasione per far ripartire l'economia. Il provvedimento muove enormi risorse: 17,1 miliardi di euro rappresentano una cifra davvero importante, imponente. Attenzione, però: questi quattrini, questi 17,1 miliardi di euro sono non dello Stato, ma dei contribuenti! Spesso ci si dimentica dell'aspetto chiave di tutta la faccenda: l'IVA è stata incassata indebitamente dallo Stato; di conseguenza, si è avuto un arricchimento indebito dello Stato a danno dei cittadini. Questo è il punto chiave!
Com'è stato risolto il problema dell'indebito arricchimento? Facendo un pasticcio! Era un'occasione storica per dare un'iniezione di liquidità, per far ripartire gli investimenti e per far crescere il PIL. Invece, cosa si è fatto? Si è ragionato in maniera distorta. Lo Stato ha deciso considerando i 17,1 miliardi di euro come se fossero soldi dello Stato e non dei legittimi proprietari, cioè dei contribuenti: c'è un «buco»? Tappiamolo! La cosa è ancora più paradossale perché il «buco» è stato tappato a danno dei contribuenti: poiché c'era un'uscita da coprire, è stata dimezzata la percentuale di detraibilità per i contribuenti. Questo non è sbagliato: è sbagliatissimo, perché i contribuenti hanno fatto i loro conti!
Prendiamo il caso di un professionista che abbia acquistato un'auto aziendale tenendo conto della detraibilità al 50 per cento. Ebbene, lo Stato, con una decisione improvvida e, per di più, retroattiva (ormai, è un'abitudine inveterata di questo Governo quella di non tenere conto dell'articolo 4 dello Statuto del contribuente), dice al contribuente: hai sbagliato i conti, perché la detrazione deve essere del 25 per cento. Ma non è vero: quel professionista i conti li aveva fatti bene e, magari, fino all'ultimo euro, per non rischiare di avere uno scoperto in banca. Invece, no! Poiché c'è da tappare un «buco» per l'interesse generale dello Stato, chi se ne frega del singolo contribuente!
Un altro esempio concreto: chissà quante schede per l'acquisto di carburanti non avrà compilato il professionista in questione. Poiché l'IVA si poteva detrarrePag. 49parzialmente, il contribuente non stava lì a diventar matto: compilava le schede che poteva portare in detrazione, e basta. Moltissime schede non sono state compilate per questo motivo. Chissà, poi, quante fatture per l'acquisto di pneumatici o per manutenzioni sono state buttate via o sono andate perdute: era inutile conservarle tutte, perché l'IVA era detraibile fino ad una determinata soglia.
Il problema è sempre lo stesso: lo Stato ha sempre ragione ed il cittadino-suddito ha sempre torto. Si tratta di un'impostazione mentale distorta che caratterizza questa maggioranza.
Poiché ci stiamo occupando, in questo periodo, del disegno di legge finanziaria e sentiamo parlare tanto di sviluppo, spesso a sproposito - si tratterebbe, invece, di uno dei pilastri della finanziaria -, apro una parentesi per fare opera di comunicazione. In questi giorni, si sente dire, infatti, che il problema della maggioranza di sinistra è la poca comunicazione relativamente al contenuto del disegno di legge finanziaria. Il problema è che c'è poca comunicazione? Quando vi sarà una comunicazione completa, allora sì che saranno dolori per il centrosinistra!
Vediamo qualche esempio. Quella del cuneo fiscale è una operazione fantastica con un impatto assolutamente minimale, limitato rispetto alla stragrande maggioranza delle imprese italiane. Il 25 per cento di tutto il beneficio derivante dall'operazione del cuneo fiscale andrà nelle casse di sole 700 aziende: solo 700 aziende incasseranno un quarto di tutta l'operazione relativa al cuneo fiscale! Per di più, il cuneo fiscale andrà a beneficio solo di quella parte di lavoratori assunti a tempo indeterminato. Vengono perciò ad essere penalizzate tutte le piccole e medie imprese che, necessariamente e prioritariamente, per ragioni di flessibilità, procedono ad assunzioni a tempo determinato di dipendenti che solo successivamente vengono regolarizzati. Il risultato di questa operazione sarà una ulteriore complicazione per queste aziende.
Occorre, inoltre, tenere conto del fatto che il beneficio in quanto tale, pari a 30 euro per dipendente, costituisce una misura ridicola per le aziende con pochi dipendenti. La cosa peggiore, che va vista in stretto collegamento con la pazzesca ipotesi di copertura del buco creato dalla sentenza CEE, è che si è voluto penalizzare in maniera molto forte le imprese più piccole, gli artigiani, i commercianti, le piccole e medie imprese.
L'effetto combinato del cuneo fiscale, che offre qualche beneficio ma a partire da un certo numero di dipendenti, e dell'aumento delle aliquote contributive, comporta che fino a nove dipendenti il costo del lavoro aumenti incredibilmente dello 0,9 per cento! Allora, fate una bella opera di comunicazione: andate a comunicare che per le aziende fino a nove dipendenti il costo del lavoro aumenta quasi dell'1 per cento! Questa sì che è una bella opera di giustizia e di verità.
Poi, ad onor del vero, l'incremento del costo del lavoro diminuisce, poiché fino a 49 dipendenti è solo dello 0,2 per cento, fino a sparire per le aziende che hanno più di 50 dipendenti, ma per le quali interviene l'altra «genialata» dello scippo del TFR e siamo punto e daccapo. Per le aziende che hanno più di 50 dipendenti, l'altra fascia di aziende che costituiscono il tessuto portante del nostro sistema paese (cioè quelle fino a 250 dipendenti che realizzano praticamente la totalità del PIL di questo sciagurato paese), avviene lo scippo del TFR con effetti nefasti sostanzialmente per la tenuta della liquidità d'impresa e soprattutto per la funzione di volano che questo TFR ha sempre svolto, per il modo in cui è strutturato il nostro sistema imprenditoriale, sugli investimenti. Chiudo con questo una parentesi che era importante, perché si parla di sviluppo e di una occasione che è stata bellamente persa.
Dicevamo prima del ruolo dell'Unione europea che, da mostro burocratico con un ruolo ancora imprecisato, se non per aspetti incidentali come quelli di cui ho parlato poco fa, assume decisioni una volta a favore e una volta contro. Ora ad esempio - ed è un dubbio che nessuno riesce ancora a sciogliere - non abbiamoPag. 50ancora capito come mai sia stata ritrattata la posizione sull'IRAP. Noi tutti ci aspettavamo dall'Unione europea, così come per l'IVA - e alla fine ci siamo arrivati -, anche per l'IRAP la dichiarazione giusta, e cioè che si tratta di una tassa, anche quella, sostanzialmente illegittima. Invece no: abbiamo fondati sospetti che purtroppo si sia trattato di una decisione sostanzialmente politica. Non si poteva dare un'altra mazzata ai conti pubblici italiani e politicamente si è deciso, con una sentenza di poche righe, che l'IRAP va bene così com'è, tanto è vero che il cosiddetto beneficio del cuneo fiscale andrà in conto IRAP, contribuendo a ridare alle imprese ciò che nella realtà era già loro.
Torniamo al merito del provvedimento.
Il provvedimento in esame contiene solo due articoli, ma ciò che conta è la parte economica. Dal punto di vista della copertura - oggi è stato chiarito molto bene in sede di Commissione -, l'emendamento 1.4 del Governo al disegno di legge finanziaria garantisce la copertura massima per tutto il periodo. Vi è, quindi, un costo (ribadisco il concetto che, piuttosto che un costo, si tratta di una restituzione del «maltolto») di 17,1 miliardi: per la precisione, 3,7 per quanto riguarda il 2006 e la rimanenza, 13,4, concernente il periodo 2003-2005.
Ciò che non va di questo provvedimento è molto ben evidenziato negli emendamenti proposti nelle varie Commissioni. Mi riferisco, in primo luogo, ad un emendamento che va ad ampliare il numero del periodo di imposta; quindi, si ritiene opportuno fare riferimento a ciò che prevede il codice civile. Ciò, secondo noi, è importante e bisognerà tenerne conto in sede di votazione dell'emendamento che dovrebbe essere approvato.
Inoltre, vi sono emendamenti che vanno a sostituire il comma 2, consentendo l'immediata compensazione e detrazione delle imposte. Ciò, a nostro avviso, rappresenta un punto fondamentale, perché non è possibile pensare che lo Stato abbia sempre ragione ed il contribuente sempre e solo torto. Infatti, nel caso di un contenzioso tra lo Stato ed i contribuenti, il contribuente deve immediatamente dimostrare e pagare; qualora dovesse risultare che il contribuente ha ragione, non gli è dovuto il rimborso delle spese, ma egli deve comunque effettuare il pagamento. Quindi, il contribuente paga sempre e comunque, tant'è che, spesso e volentieri, i commercialisti consigliano a noi poveri e autonomi professionisti, che non abbiamo altra idea che frodare il fisco, di lasciare perdere, poiché costa più la pratica che effettuare il pagamento richiesto. Quante volte il lavoratore autonomo si è sentito dire dal commercialista: lascia perdere e paga, perché ti costa meno? Sarebbe bello fare una stima di una situazione simile (nel tempo approfondiremo la questione).
L'altra cosa che non quadra è il cambio delle regole in corso d'opera (è una prassi consolidata dello Stato). Non sollevo una polemica con questo o quel Governo: purtroppo, tutti i Governi si comportano sempre male nello stesso modo. Devo dire onestamente che i Governi di sinistra sono ideologicamente impostati in modo da far peggio dei Governi di centrodestra, ma, in generale, vi è sempre questa mentalità di fondo distorta. Ciò avviene perché, spesso, si fanno scrivere le norme dai burocrati, da gente che non è sul campo. Perché non far esaminare la norma al commercialista prima di redigerla? Vi sono alcuni aspetti che non quadrano e sono di tutta evidenza!
La questione dell'invio telematico va bene. Tuttavia, non è così vero che tutti dispongano di Internet. Trattandosi di un provvedimento una tantum, perché non si può inviare una raccomandata? Stiamo parlando di un provvedimento una tantum, non di un'operazione da compiere tutti gli anni.
Inoltre, è demandato al direttore, al solito burocrate di turno, l'emanazione del modello dei dati e quant'altro da dichiarare. Al riguardo, sappiamo già come andrà a finire: verrà fuori il solito modello con mille dati da restituire per la centesima volta, dati che il fisco ha già in mano.Pag. 51Nonostante ciò, bisognerà dichiarare nuovamente il codice fiscale, l'abitazione ed altre informazioni.
Purtroppo, è una brutta abitudine di questo Stato complicare volutamente le cose, sempre nell'ottica, da un lato, di disincentivare le richieste di rimborso e, dall'altro, di una pura distorsione e di una mentalità burocratica che non tiene conto di come si lavora.
Spesso, da noi, quando abbiamo incontri pubblici sul territorio e parliamo di fisco e di fiscalità, la lamentela che riceviamo dai nostri imprenditori non riguarda tanto il fatto che si paghino tante tasse (si è anche contenti di pagare le tasse, perché vuol dire che si sta guadagnando bene) quanto come si paghino, quanto tempo bisogna perdere e quanta carta bisogna tenere in casa. Siamo davvero alla follia.
Altra cosa che non quadra è la tempistica. Mi risulta che i rimborsi fiscali siano arrivati agli anni 1997, 1998. Oggi, il fisco sta ridando ai contribuenti il maltolto del 1997-1998. Il maltolto del 2006, forse, i contribuenti lo riavranno tra almeno cinque, se non sette, anni. Questo è ciò che non quadra. Sapendo che vi è un simile arretrato, è profondamente ingiusto non consentire la compensazione e la detrazione diretta di tali imposte dovute in restituzione. In questo modo, si scatena un effetto perverso per cui, a fronte di una restituzione di IVA, che sono soldi che devono essere ridati ai proprietari, che forse avverrà tra qualche anno, si obbliga a pagare da subito, perché si dimezza la possibilità di dedurre i costi. È ovvio che quando andate nelle piazze, gli artigiani, i commercianti, i professionisti ce l'abbiano a morte con voi. È scontato. Basterebbe fare un minimo di ragionamento.
Un'altra considerazione è legata ad un'impostazione che sta prendendo piede con il provvedimento in esame e con la manovra finanziaria, cioè colpire ciò che è più facile. Fino a qualche anno fa, le manovre finanziarie si realizzavano aumentando il prezzo della benzina e delle sigarette. Ora, vi è stata un'innovazione. Poiché la gente sta fumando meno, le sigarette sono aumentate poco e si tocca ciò che è più semplice colpire: le automobili. Non si aumenta la benzina perché vi sono più macchine a gasolio e così nel disegno di legge finanziaria avete inserito l'incremento dell'1 per cento del gasolio. È ovvio e scontato.
Certo, non è una grande azione di equità e solidarietà sociale, ma sono considerazioni che lascio a voi.
Il problema è quanto e come si colpiscono le automobili e le moto. Farò alcuni esempi. Vi è stata la modifica delle tasse di successione, introdotta sciaguratamente da questo Governo, in un primo momento, in una versione completamente folle, perché prevedeva l'imposizione a partire da 250 mila euro, limite al quale con un paio di appartamenti tutti arrivano, ancora di più con un negozio o una piccola impresa. Avete pensato di «mettere una toppa» a ciò, ma il rimedio non sta in piedi, perché portando la soglia da 250 mila ad un milione di euro, si è creato un buco. Ciò è scontato perché la manovra finanziaria che state mettendo in piedi non ha né capo né coda. Essendo composta tutta da entrate e da una piccola parte, alquanto dubbia, di tagli alla spesa, modificare un'entrata comporta necessariamente trovare una copertura con un'altra entrata.
Ecco, quindi, la fregatura che è emersa con la tassa di successione: l'introito previsto nella folle versione originale è di circa 240 milioni; aumentando di un milione di euro l'importo, vengono a mancare circa 140 milioni di euro. La soluzione che viene trovata è la più semplice: l'aumento dei bolli per gli autocarri (quindi, si colpisce ancora il settore produttivo: gli autonomi, gli artigiani e quant'altro) e - questa è la cosa più assurda di tutte - per i vecchi motorini immatricolati «euro 0» o «euro 1» (in pratica, i Ciao, i Garelli, i motorini di vent'anni fa). Si pensa di recuperare 60 milioni di euro tassando i vecchi motorini!
Ma a qualcuno di voi non è venuto in mente che, magari, a usare il Ciao per andare a lavorare non sono i grandi imprenditori, gli impiegati, i quadri diPag. 52un'azienda o di una pubblica amministrazione, ma chi ha talmente poche disponibilità che non riesce neanche a cambiare il motorino?

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 17)

MASSIMO GARAVAGLIA. Oltretutto, alla demagogia si aggiunge anche uno scarso raziocinio. Mi rivolgo ai colleghi Verdi che, probabilmente, hanno sostenuto questa operazione. Si dice che un motorino di vecchia generazione a due tempi inquini di più rispetto a un motorino di nuova generazione. Sta bene: ma vi siete mai chiesti quanti chilometri deve fare un vecchio Ciao per inquinare tanto quanto inquina uno nuovo? È una cosa tremendamente banale, che però probabilmente nessuno considera. Se qualcuno usa il Ciao per andare a lavorare e percorre 10 chilometri al mese, non ha senso sostituire quel vecchio motorino con uno nuovo. Ma queste sono considerazioni che lascio al buonsenso.
L'altra grande operazione che viene effettuata con questa grande manovra finanziaria consiste nell'aumento dei bolli auto: anche in questo caso, si ricorre alla demagogia dell'inquinamento; in realtà, l'obiettivo è banalmente quello di fare cassa. Non so di preciso a quanto ammonti l'incasso previsto: nella versione precedente mi pare fosse di circa 300 milioni di euro; nella nuova versione lo vedremo. Si tratta anche di capire quali siano le versioni: infatti, sostanzialmente stiamo lavorando su un determinato testo, mentre sui giornali si parla di un testo di là da venire. Quando porterete in Assemblea qualcosa di concreto, ne riparleremo. Di sicuro, in Commissione non abbiamo visto un fico secco! Pare che il testo originario sia cambiato; o meglio, pare vi sia l'intenzione di cambiarlo. Poi, quando qualcuno di voi avrà la bontà di spiegarci le modalità, probabilmente sarà tardi.
Tuttavia, fingiamo che sia in vigore la nuova versione. Quest'ultima prevede per le auto immatricolate «euro 0» un incremento del 16,3 per cento del bollo per ogni kilowatt fino a 100 cavalli. Se la macchina ha più di 100 cavalli, la fregatura è tremenda, perché in questo caso l'incremento è del 74,4 per cento.
Per quanto riguarda i veicoli immatricolati «euro 1», si prevede un incremento del 68,6 per cento per i veicoli sopra i 100 kilowatt e, progressivamente, si scende; per un veicolo immatricolato «euro 3» l'incremento è del 57 per cento sopra i 100 kilowatt e del 4,7 per cento sotto i 100 kilowatt.
Vorrei fare due banali considerazioni, di cui una di carattere meramente tecnico. Spesso e volentieri si sente parlare di auto da 100 kilowatt come se fossero delle Formula uno. In realtà, già la Stilo 1.9 diesel, che non è una grande macchina (sebbene a qualcuno piaccia: per amor di Dio, non voglio offendere nessuno!), supera i 100 kilowatt. Quindi, non parliamo di macchine, per così dire, di lusso.
Oltretutto, in questo modo, si colpisce ben l'85 per cento del parco mezzi circolante. Inoltre, si colpiscono ancora i poveri diavoli che non hanno i quattrini per sostituire i veicoli immatricolati «euro 0» con i nuovi «euro 4», magari con una Punto dell'amica FIAT. Non si capisce, davvero, dove sia quell'equità tanto sbandierata in certe dichiarazioni del Governo!
Quindi, di equità se ne vede ben poca in questa manovra!
Oltre alla questione delle moto, dei motorini e delle auto tassate in modo così insensato e dell'aumento del gasolio per autotrazione, vi sono altri esempi che dimostrano l'assoluta mancanza di equità; laddove per equità si intendono tassazioni previste per agevolare le fasce più deboli.
È evidente che le tasse sulla casa - che aumenteranno - colpiscono penalizzando le fasce più deboli. Ad esempio, la tassa di scopo - fino a mezzo punto di ICI - viene pagata sia dalla vecchietta vedova sia dal miliardario e, anche per quanto riguarda l'aumento dei valori catastali, l'ICI è uguale per tutti indipendentemente dal reddito. Inoltre, la tassa sulle vacanze - 5 euro in più a notte per andare in albergoPag. 53- non tiene conto anch'essa del reddito, colpendo in maniera molto più pesante le famiglie con reddito basso.
L'investimento che una famiglia fa avendo un minimo di disponibilità è quello di acquistare i BOT; ebbene, avete previsto un incremento dei BOT dal 12,5 per cento al 20 per cento. Il problema è verificare se poi tali risorse vengono spese in maniera adeguata.
Il terzo pilastro della manovra è costituito dal rigore nella spesa, dalla tenuta dei conti pubblici per rientrare nei parametri di Maastricht. Si tratta di una bugia colossale, in quanto la manovra fa perdere mezzo punto di PIL nell'anno venturo; sarebbe bastato non fare nulla e si sarebbe rimasti all'interno di tali parametri.
Concludo con una perla sul rigore. Quando abbiamo visto un emendamento presentato dal relatore Ventura che prevede per il Belice ancora 760 milioni di euro, abbiamo capito che il rigore non esiste proprio! Io non ero ancora nato quando c'è stato il terremoto in Belice (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceroni. Ne ha facoltà.

REMIGIO CERONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, la Camera dei deputati è chiamata a convertire in legge il decreto-legge 15 settembre 2006, n. 258, recante disposizioni urgenti di adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee emessa in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia di detraibilità dell'IVA.
La Corte di giustizia europea, III sezione, ha emesso appunto una sentenza con la quale ha bocciato il regime italiano di detraibilità dell'IVA per le vetture aziendali. In particolare, la Corte ha dichiarato inammissibile la deroga al diritto di detrazione dell'imposta sul valore aggiunto sui veicoli aziendali concessa nel 1979 solo con carattere temporaneo e giustificata da motivi congiunturali e poi prorogata di anno in anno fino ai giorni nostri.
La pronuncia ha rivoluzionato il settore.
I soggetti passivi che hanno subito l'applicazione illegittima dell'articolo 17 della VI direttiva IVA 77/388/CEE hanno, quindi, pieno diritto a ricalcolare il proprio debito IVA nella misura in cui i beni e i servizi in questione sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta effettuate nell'esercizio dell'attività dell'impresa. Quindi, la detrazione comprende, ad esempio, il caso di veicoli utilizzati per il trasporto dei lavoratori, ma non quelli assegnati come benefit ad uso privato ai dipendenti aziendali. Il Governo è corso ai ripari approvando, per gli adempimenti conseguenti alla sentenza, il decreto-legge n. 258 del 15 settembre 2006 oggi in discussione. La domanda di pronuncia pregiudiziale ha avuto per oggetto l'interpretazione dell'articolo 17, paragrafo 7, della VI direttiva del Consiglio n. 388 del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazioni delle legislazioni degli Stati membri relativa alle imposte sulla cifra d'affari.
Tale domanda era stata presentata nell'ambito di una controversia tra la società a responsabilità limitata Stradasfalti e l'Agenzia delle entrate, ufficio di Trento, in merito al rimborso dell'imposta sul valore aggiunto che la Stradasfalti ha sostenuto di avere indebitamente versato negli anni dal 2000 al 2004 per l'acquisto, l'uso e la manutenzione di veicoli da turismo che non formavano però oggetto dell'attività propria di tale società. Per fare chiarezza, bisogna spiegare l'articolo 17 della VI direttiva, il quale è intitolato «Origine e portata del diritto a deduzione». Tale articolo dispone al paragrafo 2, lettera a), che nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall'imposta di cui è debitore l'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo. Sono, comunque, escluse dal diritto a deduzione le spese non aventi un carattere strettamente professionale, qualiPag. 54le spese suntuarie, di divertimento o di rappresentanza. La stessa direttiva, all'articolo 29, paragrafi 1 e 2, ha istituito per l'appunto un comitato consultivo dell'imposta sul valore aggiunto che può accordare eventuali deroghe al principio generale della detraibilità. Con la sentenza, la Corte di giustizia ha ribadito che la consultazione del comitato IVA, previsto all'articolo 29, costituisce un'imprescindibile condizione procedurale per l'esercizio delle deroghe congiunturali relative all'IVA. Tale consultazione permette alla Commissione e agli Stati membri di controllare l'uso da parte di uno Stato membro della possibilità di derogare al regime generale delle detrazioni dell'IVA, verificando in particolare se la misura nazionale di cui trattasi soddisfi la condizione di essere stata adottata per motivi congiunturali. L'articolo 17, paragrafo 7, della direttiva prevede, quindi, un obbligo procedurale che gli Stati membri devono rispettare per potersi avvalere della norma derogatoria da esso stabilita. Quindi, la consultazione del comitato IVA risulta essere un presupposto fondamentale per l'adozione di qualsiasi misura derogatoria.
La misura in questione è stata introdotta nella legislazione italiana nel 1979 come norma permanente. Tuttavia, a partire dal 1980 è stato fissato un limite temporale alla sua efficacia, limite che, come ho già detto, è stato sistematicamente prorogato. Il comitato IVA della Comunità europea fin dal 1980 ha costantemente segnalato al Governo italiano come la deroga in questione non potesse giustificarsi in base all'articolo 17, paragrafo 7. Il Governo italiano nelle riunioni del 1999 e del 2000, quando era Presidente del Consiglio l'onorevole D'Alema, aveva assunto l'impegno di riesaminare e modificare la misura a partire dal 1o gennaio 2001. Tuttavia, nulla è stato fatto in questo senso. Quindi, la decisione della Corte di giustizia europea appare del tutto giustificabile. Bene ha fatto a stroncare questa norma vessatoria nei confronti delle imprese e dei professionisti in italiani.
Di questa sentenza possiamo aver chiaro un aspetto, ossia che esiste l'obbligo procedurale di consultazione del comitato medesimo nel caso che i paesi membri intendano adottare una misura nazionale che deroghi al regime generale delle detrazioni di imposta sul valore aggiunto, come esiste l'obbligo di fornire a tale comitato informazioni sufficienti per consentire di esaminare la misura con cognizione di causa.
Non fa male ribadire tutto questo, perché mi pare che, ad oggi, il Governo non abbia capito questo aspetto. Con la sentenza la Corte ha ribadito che l'articolo 17, in prima fase, deve essere interpretato nel senso che nessuno Stato membro è autorizzato ad escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni di imposta sul valore aggiunto senza aver prima consultato il comitato consultivo istituito dall'articolo 29 della direttiva stessa. Inoltre, nessuno Stato membro è autorizzato ad adottare provvedimenti in tal senso, neanche quando essi siano temporali e, o, facciano parte di provvedimenti mirati a ridurre il disavanzo di bilancio o a consentire il rimborso del debito pubblico.
Qualora una esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita, conformemente all'articolo 17 della direttiva 77/388/CEE, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione di imposta. Nel qual caso, il soggetto passivo deve essere messo in condizione di ricalcolare il suo debito di imposta sul valore aggiunto conformemente alle disposizioni dell'articolo 17.
La pronuncia della Corte, quindi, è chiara ed inequivocabile, ma il Governo, ancora una volta, si è posto in posizione palesemente contraria alla direttiva europea e al mondo delle imprese e delle professioni.
La sentenza della Corte di giustizia europea ha sancito che alle imprese e ai professionisti italiani competono la detrazione dell'IVA sulle spese inerenti ad operazioni imponibili relative all'esercizio dell'attività dell'impresa. Imporre in Italia una norma contraria a questo principio significa violare la direttiva europea, lederePag. 55il principio della libera concorrenza, penalizzare le imprese italiane, perché non poter detrarre l'IVA per l'acquisto dei mezzi che servono all'attività significa infliggere un altro duro colpo alla competitività delle nostre imprese; infine, significa aprire un'altra serie imponente di contenziosi.
Non sfugge ad alcuno che le imprese italiane sono le più tartassate del continente per effetto di tante norme. Vorrei ricordare: l'IRAP, imposta di rapina, istituita due legislature or sono; il costo del lavoro, che, in Italia, è tra i più alti d'Europa; il costo dell'energia, che le imprese acquistano e che è tra i più alti in Europa; la carenza di infrastrutture, che fa aumentare i costi di produzione delle merci italiane di oltre il 5,10 per cento.
Allora, domando al Governo: come pensate di rendere competitive le imprese italiane sui mercati internazionali, se ogni occasione è buona per penalizzarle?
Il Governo doveva, quindi, con calma, con ponderazione, con buonsenso, adottare un provvedimento per stabilire le modalità e i termini con cui i soggetti interessati provvedono a ricalcolare il proprio credito d'imposta, prevedendo la possibilità di compensare il credito con eventuali debiti maturati.
Neanche in questa occasione, il Governo, che passerà alla storia del nostro paese per essere stato (il passato è d'obbligo) il Governo più «tassaiolo» della storia della Repubblica, ha voluto smentire se stesso. Infatti - diciamocelo -, questo Governo, fin dalla sua costituzione, malgrado il buon andamento delle entrate fiscali derivanti degli effetti positivi delle politiche economiche e finanziarie attuate dal precedente Governo Berlusconi per oltre 15 miliardi di euro, ha prodotto una serie di pesanti norme in materia fiscale, norme occhiute, sgradevoli, poliziesche e vessatorie nei confronti dei contribuenti, con particolare accanimento nei confronti di alcune categorie meno generose con il centrosinistra nelle passate elezioni politiche.
Il giorno dopo la pronuncia della Corte di giustizia europea, a tempo di record, il Governo ha adottato il provvedimento che stiamo discutendo in una versione che ci pare spicciativa, superficiale, confusa, poco chiara e con il preciso intento di vanificare e di aggirare, almeno parzialmente, la sentenza.
Tornando al provvedimento in esame, le imprese ed i professionisti per effetto delle norme in questione hanno versato allo Stato, a partire dal 1979, una quantità di imposte non dovute. La maggior parte delle imposte versate per effetto di queste norme capestro non possono essere oggetto di una richiesta di rimborso poiché i termini si sono prescritti. Quindi, un governo dotato di buon senso e di maggiore rispetto per i diritti del contribuente e per il mondo delle imprese e delle professioni avrebbe adottato un provvedimento attraverso cui, in primo luogo, ribadire il termine ordinario decennale per dar corso alla prescrizione del diritto al rimborso, così come prescritto dall'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972; ciò, tra l'altro, è ribadito da tante sentenze, ma ne citerò solamente alcune.
La recente sentenza n. 87/36/05 della commissione tributaria regionale del Lazio afferma: «Premesso che l'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 prevede che, nel caso in cui dalla dichiarazione annuale IVA presentata dal contribuente risulti un importo di versamento dell'imposta in eccedenza rispetto a quanto sarebbe effettivamente dovuto, questi ha la facoltà di scegliere tra una detrazione di pari importo nella dichiarazione dell'anno successivo oppure il rimborso dell'intero credito o di una parte dello stesso». In questo senso, anche la Corte di cassazione si è pronunciata con la sentenza n. 19510 del 19 dicembre 2003 affermando espressamente: «Il termine di prescrizione decennale del diritto al rimborso decorre a partire da due anni e tre mesi dalla data di presentazione della dichiarazione annuale». Voi avete completamente ignorate queste sentenze, infatti la norma prevede che gli interessati possono avere diritto al rimborso solo a partire dal 2003; quindi, tutto quello che hanno versatoPag. 56dal 1979 in poi è andato completamente perso. Inoltre, nel decreto-legge avete fissato al 15 dicembre il termine per la presentazione della domanda di rimborso. Oggi non vi sono neanche i modelli, il decreto-legge non è ancora stato convertito, ma il termine di scadenza per presentare la domanda di rimborso era stato fissato al 15 dicembre. Solo grazie alla battaglia che l'opposizione ha sostenuto al Senato tale termine è stato poi spostato al 15 aprile, questa volta in maniera ragionevole senza dar corso ad alcuna prescrizione: cioè, se un soggetto non presenta la domanda, comunque al momento non perde il credito. Tra l'altro, non si capisce perché il termine non è stato fatto coincidere con quello relativo alla presentazione annuale della dichiarazione IVA: mi riferisco alla data del 30 marzo.
Successivamente, siete intervenuti per ridurre gli effetti della norma, perpetrando un autentico imbroglio attraverso i commi 25 e 26 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 262 del 3 ottobre 2006, con il quale avete introdotto un limite alla detraibilità.
Mi pare fin troppo ovvio che nel procedere a questa limitazione del diritto alla detrazione dell'IVA pagata per gli autoveicoli, per i servizi e per i mezzi di consumo relativi a questi strumenti il Governo doveva chiedere il parere della commissione di cui all'articolo 29, ma ciò neanche questa volta è stato fatto.
Voi rischiate di approvare una legge che sarà di nuovo impugnata dalle aziende e sconfessata dalla Unione europea.
È davvero incredibile, infatti, che il Governo, nel momento in cui è costretto a dare attuazione ad una sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea, alleggerisca le norme in materia di detraibilità dell'IVA per i lavoratori autonomi e le imprese, con un beneficio finanziario per i contribuenti di circa 5 miliardi di euro l'anno, e contestualmente, con il decreto-legge n. 262, disponga inasprimenti di pari importo in materia di detraibilità, ai fini delle imposte sul reddito, per l'acquisto e le spese di esercizio di autoveicoli. Il Governo, quindi, con una mano dà e con l'altra, immediatamente, il giorno dopo, toglie ciò che ha dato. Non ci sono davvero parole per giudicare il comportamento scorretto del Governo.
Avete fatto, poi, ancora di più: avete deciso di far operare queste norme recanti limiti alla detrazione con effetto a valere dal 1o gennaio 2006, quindi con effetto addirittura retroattivo, contravvenendo allo statuto del contribuente e calpestando i suoi più elementari diritti.
Desta sconcerto anche la scelta di escludere la possibilità di detrarre o compensare il credito IVA con le altre imposte dovute alla scadenza, cosa che, invece, come indicano alcune sentenze, doveva essere fatta. Ciò è palesemente in contrasto con le norme comunitarie e soprattutto con il buon senso. Escludendo la possibilità di compensare i tributi da versare con quelli già versati in eccedenza, si aprirà un nuovo contenzioso, che comincerà nelle commissioni tributarie, nei tribunali, per finire, ancora una volta, presso la Corte di giustizia europea.
Come sappiamo, ogni legge deve avere la copertura finanziaria. È dunque davvero clamoroso che questo decreto-legge non l'abbia. Come si fa a sostenere che, agli effetti contabili, il decreto non produce oneri a carico del bilancio dello Stato? Se è previsto che al contribuente vada rimborsato quello che è stato versato in eccedenza, come si può pensare che questo decreto non comporti oneri?
Quello, poi, che più mi meraviglia è che questo disegno di legge è presentato dal Vicepresidente del Consiglio dei ministri D'Alema, il quale dice proprio che il provvedimento non comporta nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Ma, rappresentante del Governo, quando è stato predisposto questo provvedimento, il Vicepresidente del Consiglio lo ha visto? Lo ha firmato veramente lui? Perché, se, come si dice in giro, sostituirà presto Prodi alla guida del paese essendo il nuovo Presidente del Consiglio designato, qui effettivamente si mette in discussione la sua capacità. Penso chePag. 57anche un bambino capisca che questo decreto-legge ha effetti economici sul bilancio dello Stato.
Nella nota di aggiornamento del DPEF, che è stata predisposta dopo la sentenza, in nessuna voce, sono stati inseriti i 17 miliardi di euro presunti, necessari per restituire al contribuente quanto dovuto, a meno che non pensate di far fare al contribuente le domande di rimborso, tenerle nel cassetto e lasciare a qualche Governo futuro di trovare le risorse necessarie per rimborsare i crediti che i contribuenti hanno maturato. Questa è un'ipotesi tanto plausibile che, nel decreto, non è stato previsto alcun termine entro il quale lo Stato deve provvedere al rimborso.
Non sono solo queste le osservazioni da fare al provvedimento. Queste erano le più importanti. Ci domandiamo, ad esempio, per quale motivo il contribuente sia obbligato ad inviare la domanda di rimborso solo per via telematica. Ci domandiamo perché debba essere il direttore dell'ufficio delle entrate a stabilire il modello e le differenti percentuali di detrazione dell'imposta.
Infine, francamente, non siamo riusciti ancora a capire quale sia il valore economico reale di questa sentenza, in altri termini - sarebbe opportuno che il rappresentante del Governo lo chiarisse - a quanto ammontano le minori entrate per effetto di questa sentenza e a quanto i rimborsi da effettuare. Sono andato a ricercare qualche indicazione nel disegno di legge finanziaria.
Nel documento predisposto dagli uffici, Dati sulla manovra 2007, n. 5, del 16 ottobre, viene detto che la manovra per 34,8 milioni di euro non comprende le risorse necessarie a rendere neutrali gli effetti della sentenza, che ammontano a 5,3 miliardi di euro. Inoltre, nel documento, sempre predisposto dagli uffici, Manovra di finanza pubblica per il 2007 e Bilancio 2007, Atto Camera 1746-bis e Atto Camera 1747, del 12 ottobre, si afferma che la sentenza ha comportato, o comporterà, un minor gettito tributario stimato in 3.700 milioni di euro per il 2006 e maggiori oneri, in termini di indebitamento netto, pari a 13.400 milioni di euro per il pagamento degli arretrati relativi agli anni 2003-2005. Insomma, stiamo proprio dando i numeri (mai come questa volta l'espressione è stata più esatta): peccato che non possano essere giocati su nessuna ruota!
Provengo da un'altra esperienza, quella del consiglio regionale, e mi domando: come si fa a discutere di un provvedimento senza avere l'esatta dimensione degli effetti economici che il medesimo determina? Io penso che voi facciate un uso troppo disinvolto e spregiudicato dei numeri. I numeri sono numeri, non sono opinioni, ed il tentativo di giustificare le vostre scelte, buttando là ogni volta numeri diversi è un errore. Non è certo questo il modo corretto di operare, perché voi, quando dovete dimostrare che la sentenza reca un grave colpo agli equilibri di bilancio, allora dite che la stessa ha un impatto economico incredibile e «pesa» 20 miliardi di euro; quando, invece, dovete minimizzare l'entità della manovra finanziaria, allora la sentenza stessa vale solo circa 5,3 miliardi di euro!
In conclusione, non si capisce l'ostinazione del Governo nel non voler accogliere le proposte di molti colleghi, che sono state avanzate in Commissione finanze. Sono suggerimenti necessari a dare a questo provvedimento una forma diversa ed una maggiore credibilità e sono dettati soprattutto dal buonsenso. Noi, purtroppo, di questo provvedimento possiamo condividere solo il titolo. Un collega in precedenza diceva: noi l'avremmo pure condiviso, ma così com'è non possiamo esprimere sullo stesso un voto favorevole. Allo stato delle cose, se verrà approvato così com'è, noi possiamo condividerne, come detto, solo il titolo. Quindi, se farete una votazione sul titolo, esprimeremo un voto favorevole, per il resto, il nostro voto non potrà che essere assolutamente contrario (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.

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BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, oggi l'onorevole Visco ha rilasciato una dichiarazione segnalando la propria soddisfazione per il fatto che il gettito fiscale aumenta oltre l'aumento del PIL. Dico ciò perché il viceministro Visco non ha perso occasione, anche in relazione al provvedimento di cui stiamo discutendo, per polemizzare, oltre il ragionevole e contro la realtà, con il Governo precedente, dichiarando che la decisione della Corte di giustizia europea sulla detraibilità dell'IVA relativa alle autovetture aziendali è l'ennesima, pesante eredità lasciata dal Governo Berlusconi al centrosinistra. Sono parole che si commenterebbero da sole, considerato anche ciò che dicevo in precedenza, ossia che il viceministro Visco, prima o poi, dovrà arrendersi al fatto che, almeno per quanto di sua competenza specifica, l'eredità del Governo Berlusconi e del ministro Tremonti tutto è tranne che pesante.
L'aumento di gettito fiscale cui abbiamo assistito in questo 2006, infatti, non può essere attribuito sicuramente alla paura che, in qualche modo, si sarebbe impossessata dei contribuenti italiani al semplice arrivo del viceministro Visco; piuttosto, tale incremento si è determinato in conseguenza delle misure varate dal precedente Governo, in particolare con l'ultima legge finanziaria. Quindi, non è vero che l'eredità sia pesante e, particolarmente, non lo è in relazione al tema specifico della indetraibilità dell'IVA per i costi - sia di acquisto sia di uso e manutenzione - sostenuti per le autovetture aziendali. Come sappiamo benissimo - è stato asserito decine di volte e lo ribadisco anch'io in questa discussione -, si tratta di un tema che, per così dire, ci portiamo dietro fin dal 1980; soprattutto, si tratta di una questione che gli ultimi Governi di passate legislature (in particolare, l'ultimo Governo Amato) si erano impegnati ad affrontare - impegno assunto con l'Unione europea - già a partire dal 2001, quindi con la finanziaria scritta e votata dall'Ulivo nel 2000. Si tratta perciò di una questione che anche il centrosinistra, pur in presenza di un impegno assunto alla fine di quella legislatura, ha scaricato sul successivo Governo. Quindi, mi sembra che le parole del viceministro Visco siano frutto di polemica sterile; infatti, non si tratta, in tal caso, di capire se sia stato Amato che ha scaricato su Berlusconi una sorta di polpetta avvelenata o se ciò sia invece accaduto in seguito, da parte dell'ultimo Governo della passata legislatura. La verità è che si è trattato di una vicenda che nessun Governo ha voluto affrontare fino a quando è scattata la 'tagliola' della sentenza della Corte di giustizia. Caso mai, ci si potrebbe e ci si dovrebbe interrogare sul perché, in questo paese, tale tipo di provvedimenti giungono sempre quando proprio è inevitabile che vengano assunti perché scatta qualche tagliola, una procedura di infrazione o, come in questo caso, una sentenza della Corte di giustizia di Lussemburgo.
Ciò premesso, ritengo non sia possibile non inserire questa discussione - ed anche il voto contrario che il centrodestra si appresta ad esprimere sul provvedimento - nell'ambito più generale della questione fiscale così come affrontata dal disegno di legge finanziaria e dai decreti-legge collegati, provvedimenti sulla cui discussione e votazione il Parlamento - nello specifico, la Camera dei deputati - è attualmente impegnato.
Una questione fondamentale è relativa al rapporto tra fisco e contribuente. Infatti, come è stato sottolineato più volte nell'ambito di questa discussione - poi, brevemente, mi soffermerò su tale punto anch'io toccando alcuni dei temi centrali affrontati dai colleghi dell'opposizione -, vi è un problema complessivo di rapporto tra fisco e contribuente. Tale provvedimento, nel suo piccolo, poteva essere l'occasione per dare un segnale di chiarezza, di trasparenza e di immediatezza; infatti, nel momento in cui, per una volta, è il fisco dalla parte del torto, si poteva dare il segnale che il fisco reagisce con prontezza e con rispetto (in questo caso, in riferimento ad una sentenza della Corte di giustizia europea).
Quindi, senza alcun tipo di artificio e senza fare melina, si poteva giungere aPag. 59definire un provvedimento di rimborso effettivo, certo e rapido nei tempi e nelle modalità. Tale scelta non è stata perseguita e ritengo che ciò abbia costituito un grave errore, specie nel momento in cui si poteva, invece, dare un segnale diverso. Del resto, la via seguita è invece coerente con l'idea di uno Stato che opera con due pesi e due misure per cui, quando è in mora, il contribuente deve scattare sull'attenti mentre, quando in mora viene messo lo Stato, si fa in realtà melina e si cerca in ogni modo di diluire l'impegno nel tempo, e con modalità tutt'altro che semplici ed efficaci.
Ma da un Governo che ha intrapreso la via dell'adozione di misure vessatorie e «di polizia» per affrontare il problema dell'evasione fiscale, anziché fermarsi e riflettere un attimo, non ci si poteva attendere altro. Tra l'altro, vorrei osservare che esso non si è reso conto che, forse, sarebbe stato meglio cavalcare l'onda della crescita del gettito tributario e comprendere il motivo per cui ci troviamo di fronte a tale aumento: a mio avviso, infatti, siamo di fronte ad un paese che, anche sotto il profilo fiscale, sta reagendo alle storture del passato.
Questo Esecutivo, invece, ha voluto affrontare ideologicamente la questione, a partire dal cosiddetto decreto Bersani-Visco. Tale provvedimento, infatti, ha previsto una serie di misure vessatorie per i contribuenti e, come ho precedentemente affermato, «di polizia»; esso, inoltre, ha puntato alla creazione di un clima non di reciproca fiducia, ma di paura e di terrore.
In questo caso, ahimè, credo di essere facile profeta di sventura, poiché vorrei sottolineare che tale impostazione produrrà effetti controproducenti ed opposti a quelli desiderati dal viceministro Visco.
Oltre alle misure vessatorie di cui ho prima parlato, si è passati direttamente - e questa è la cifra, ormai nota agli italiani, della manovra di finanza pubblica che stiamo discutendo - all'inasprimento delle imposte, attraverso l'aumento sia delle aliquote IRPEF, sia dei contributi previdenziali. Credo si tratti della via peggiore che possa essere seguita, dal momento che è destinata soprattutto - ed è ciò che mi interessa maggiormente - a dare i peggiori risultati in termini di incremento del gettito tributario. Infatti, si vogliono aumentare le entrate attraverso non l'allargamento della base imponibile e l'erosione degli spazi di evasione fiscale, ma l'inasprimento delle aliquote.
Tutto ciò è stato già sostenuto, ed intendo ricordarlo brevemente, prima di formulare qualche puntualizzazione sul decreto-legge in esame, nonché sulle ragioni per cui esprimeremo un voto contrario alla sua conversione in legge: si trattava, infatti, di un provvedimento che aveva tutte le caratteristiche per essere «automatico», e quindi in grado di poter godere dell'appoggio tanto della maggioranza quanto dell'opposizione.
Vorrei rilevare che tutto questo inasprimento fiscale è volto non a correggere il deficit del bilancio statale (per tale scopo, infatti, sarebbero bastati 10 o 15 miliardi di euro al massimo), ma a finanziare una pletora di interventi che si afferma essere destinati allo sviluppo economico.
Anche in tal caso, saremo facili profeti, ancorché di sventura: tali misure, infatti, incideranno ben poco sullo sviluppo, poiché ritengo che le aspettative generate dall'impostazione di politica fiscale adottata da questo Governo, che molto incidono sulla crescita economica, in realtà deprimeranno la crescita in misura maggiore rispetto a quanto potranno fare le singole misure volte a stimolare il dinamismo dell'economia del paese.
Mi riferisco, ad esempio, alla riduzione del cuneo fiscale, di cui si è già parlato nel corso della nostra discussione. Ho ascoltato un economista membro di questo Parlamento, l'onorevole Nicola Rossi, affermare che tale riduzione potrà produrre effetti per un anno e mezzo o due (forse io sarei stato un po' più generoso), dopodiché essa verrà assorbita. Ricordo inoltre che è stato sostenuto, da parte di autorevoli analisti ed economisti, che la riduzione del cuneo funziona un po' come una svalutazione: si tratta di una piccola iniezionePag. 60di «droga» in una parte dell'economia che verrà successivamente riassorbita, fermi restando i problemi strutturali che minano la competitività delle aziende italiane, i quali non sono rappresentati dal costo del lavoro o dal citato cuneo fiscale.
A tale riguardo, desidero aprire una parentesi: se non avessimo il sistema previdenziale assurdamente più generoso del mondo, non avremmo tale problema. Ricordo, infatti, che in Italia il cosiddetto cuneo fiscale è rappresentato soprattutto da aliquote contributive obbligatorie pari al 32 o 33 per cento, il cui gettito finanzia il sistema previdenziale pubblico. Preannunzio che, successivamente, svolgerò una riflessione molto breve sul trattamento di fine rapporto (TFR).
Questa è l'impostazione sbagliata: si sceglie la polizia fiscale, si sceglie l'aumento delle aliquote per finanziare provvedimenti di sviluppo, senza considerare il fatto che questi aumenti e queste misure fiscali deprimeranno molto di più, rispetto a quanto può invece incentivare il provvedimento di riduzione del cuneo fiscale. Un provvedimento, quest'ultimo, che peraltro fotografa una situazione produttiva come quella italiana attuale, non incentivando i settori più innovativi perché agisce sul costo del lavoro e spesso le aziende che sono riuscite a ridurlo sono proprio le aziende più innovative, che dunque si trovano di fronte ad un incentivo che funziona in modo perverso, che cioè premia coloro che meno andrebbero premiati.
Parlavo prima della questione previdenziale. Uno dei capisaldi di questa manovra finanziaria è il trasferimento, di imperio, all'INPS del TFR inoptato, per una parte delle aziende, quelle che hanno più di 50 dipendenti. Credo che presto si rivelerà un grave errore pratico e concettuale. Intanto la follia di reintrodurre un'ulteriore soglia, nell'ambito delle tante soglie burocratico-normative esistenti nell'approccio normativo e fiscale dello Stato nei confronti delle aziende italiane. Ecco, credo che di tutto si sentisse il bisogno, tranne che di una nuova soglia fissata a 50 dipendenti, che produrrà effetti perversi: chi ha 51 dipendenti cercherà immediatamente di arrivare a 40, mentre chi ne ha 49 difficilmente salirà a 50 o 51, per evitare di sobbarcarsi ulteriori oneri finanziari derivanti dallo spostamento del finanziamento dal TFR, che sta dentro le aziende, a finanziamenti di natura bancaria, perché poi questa sarà la realtà.
Dietro la questione del TFR c'è anche una grande mistificazione, quella che il trasferimento delle quota di TFR ai fondi pensione funzionerà per consentire il decollo della previdenza integrativa. Questa è una grande mistificazione, sulla quale è necessario fare chiarezza, e credo che in sede di discussione sulla finanziaria bisognerà intervenire. A mio avviso, è una mistificazione sostenere che con il trasferimento della quota di TFR ai fondi pensione, anziché alla liquidazione aziendale, si creerà quella massa critica necessaria a far decollare i fondi pensione. Questo non è vero, perché chiunque conosca i mercati finanziari sa che non è assolutamente necessario raddoppiare o triplicare o decuplicare la quantità di risorse investite, per aumentare i rendimenti (che sono l'unico aspetto che dovrebbe preoccupare, in termini strettamente previdenziali, chi ha a cuore le sorti dei lavoratori italiani)!
È una mistificazione sostenere che avere più investitori istituzionali serve come volano per l'economia italiana. Stando così le cose, credo che le società di gestione del risparmio, ai cui fondi chiusi - peraltro, a mio avviso, è stato un errore del centrodestra aver previsto solo i fondi chiusi - devolveranno le risorse dei fondi pensione, si comporteranno come si comportano i gestori di fondi comuni di investimento italiani, cioè devolveranno le risorse dove i rendimenti sono maggiori e, stando così le cose, comunque non in Italia.
Terza mistificazione: si punta sul trasferimento del TFR alla previdenza integrativa, pensando che questo per i lavoratori sia un vantaggio. Questo ovviamente non è assolutamente vero, se non nella misura marginale dell'incremento di rendimento, che si presuppone i fondi pensione avranno rispetto al TFR; ma se un lavoratore alla fine della propria carrieraPag. 61lavorativa va con la propria liquidazione presso una società finanziaria o presso una grande assicurazione ottiene una rendita, che presumibilmente non si discosterà molto da quella garantita dal TFR.
Quindi, il conferimento del TFR ai fondi pensione, se non si incide sulla previdenza obbligatoria, non è un vantaggio per i lavoratori, se non in misura del tutto irrisoria. Quindi, il problema vero della previdenza italiana, che è la previdenza pubblica obbligatoria, resta tale e quale. Queste sono considerazioni di natura generale.
Il provvedimento, purtroppo, risponde alla filosofia complessiva del «tassa e spendi», senza attenzione ad un rapporto nuovo tra fisco e contribuente, filosofia che è propria di questa manovra finanziaria.
Volevo sottolineare - non utilizzerò tutto il tempo a disposizione - alcuni elementi che sono già stati affrontati in questo dibattito da diversi colleghi, come l'onorevole Alfano, l'onorevole Ceroni, l'onorevole Fugatti, che è intervenuto questa mattina.
C'è un primo elemento, sottolineato in particolare da Ceroni poco fa, che è relativo alla mancata previsione di una misura di compensazione, per cui si arriva al seguente paradosso: si riconosce giocoforza il diritto al rimborso delle cifre versate impropriamente dai contribuenti, ma questo diritto non viene certificato nei tempi e viene reso farraginoso nelle modalità; a fronte di questo diritto, il Governo si cautela inasprendo dal punto di vista fiscale l'utilizzo - non solo quello, naturalmente - degli autoveicoli. Con il decreto fiscale, da poco approvato dalla Camera, viene ridotta infatti la possibilità di detrazione retroattiva (al 1o gennaio 2006). A fronte di costi certi nell'utilizzo dei veicoli aziendali, in termini di minor detraibilità dei costi stessi, è da capire quando avverrà il rimborso delle cifre pagate - e non dovute - per l'IVA. Credo che questo sia un modo inaccettabile di procedere. Alla fine, la sentenza della Corte di giustizia europea viene utilizzata come alibi per far partire da subito - anzi, da prima ancora, dal 1o gennaio 2006 - un aumento del carico fiscale sulle aziende, sui liberi professionisti, mentre per i rimborsi, che sono dovuti, si vedrà in che tempi agire. Questo è un aspetto paradossale e grottesco della misura di cui stiamo discutendo.
Esiste poi un problema relativo al ruolo affidato al direttore generale dell'Agenzia delle entrate. Credo che si sarebbe dovuto scegliere quanto meno la via del decreto ministeriale, non sottraendo alla responsabilità politica un passaggio così delicato come quello della definizione delle modalità attraverso le quali i contribuenti debbano accedere a questo rimborso. Credo che si sarebbe dovuto scegliere la via costosa - «costosa» per il bilancio dello Stato - della compensazione, ma questo è il minimo di dignità di comportamento: nel momento in cui si riconosce un credito, si dà immediatamente la possibilità di defalcarlo dai debiti (sempre nell'ambito delle dichiarazioni IVA), a maggior ragione, lo ripeto per la terza volta, nel momento in cui si è già prevista, dal gennaio 2006, sulla stessa problematica della detraibilità dei costi dell'autovettura, la compensazione per i maggiori oneri.
C'è poi la questione, già sollevata, della necessità di una dichiarazione telematica per la richiesta dei rimborsi. Non ho nulla contro le dichiarazioni telematiche, ma credo che sia piuttosto singolare che l'obbligo venga previsto anche per questo tipo di richiesta di rimborso, peraltro retroattiva di tre anni.
Solo di tre anni perché, comprensibilmente, non si è voluto essere più generosi di quanto necessità imponesse a seguito della sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea . Questo è un altro elemento sul quale ci si poteva confrontare. In particolare, si potevano accettare gli emendamenti da noi presentati, allo scopo di giungere ad un voto condiviso anche dall'opposizione. E dire che c'era una disponibilità di fondo: si trattava, infatti, di un atto dovuto e, per quel che riguarda me ed i miei colleghi, di tasse da rimborsare ai contribuenti - per una volta! - anziché di tasse in più da versare.Pag. 62
Le poche considerazioni di merito che ho esposto - tanti altri aspetti sono stati approfonditi dai colleghi intervenuti in precedenza - servono a spiegare il motivo per il quale noi voteremo contro il provvedimento in esame.
Ovviamente, non siamo contrari al rimborso dell'IVA non dovuta: ci mancherebbe! Il fatto è che, anziché cogliere l'occasione per dare un segnale nuovo, per creare un diverso rapporto tra fisco e contribuente, basato sulla fiducia e sulla trasparenza invece che sul sospetto (come anticamera della verità: così verrebbe da aggiungere, parafrasando un motto che, per altre e, sotto alcuni profili, più gravi questioni, è tipico della sinistra giustizialista), da un lato, si è scelta la via burocratico-amministrativa, senza prevedere una responsabilità politica, per quanto riguarda la definizione del regolamento, dall'altro, non è stata scelta la via della compensazione, com'era nelle legittime aspettative dei contribuenti e, dall'altro ancora, è stata scelta (si tratta di aspetto minimale, ma non meno significativo) esclusivamente la via telematica (ed è piuttosto singolare che non possa accedere al rimborso il contribuente che spedisca istanza e modello con raccomandata).
Si consideri, inoltre, che si è scelto (e la scelta è stata compiuta con il decreto fiscale) di utilizzare un provvedimento imposto da una sentenza della Corte di giustizia europea come alibi per rendere ancora più pesanti, per imprese e liberi professionisti (mediante la previsione di minori detrazioni), le imposte collegate all'utilizzazione di autoveicoli.
Per queste ragioni, signor Presidente, e concludo, mi unisco alle considerazioni già svolte dai colleghi intervenuti prima di me, che sottoscrivo: esse spiegano il voto contrario mio e dei deputati del gruppo di Forza Italia al provvedimento in esame. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole D'Ippolito. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante IDA D'IPPOLITO VITALE. Grazie, Presidente.
Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, nei numerosi interventi che ho ascoltato, i colleghi che mi hanno preceduto, con diverse sensibilità e da diverse angolature, hanno offerto innumerevoli spunti di riflessione e di approfondimento relativamente alla struttura, all'oggetto, ai limiti, alle finalità del decreto-legge oggi al nostro esame. Sicché, sforzandomi di ripercorrere argomenti già affrontati, limiterò le mie osservazioni alle questioni di merito e di metodo che sono, a mio giudizio, più rilevanti.
Ben si comprendono le ragioni alla base del decreto-legge ove si consideri, all'indomani della nota sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in materia di detraibilità dell'IVA, la necessità e l'urgenza di adeguare al diritto comunitario la normativa nazionale, per l'asserita, evidente incompatibilità delle disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 con esso.
Questione nota, una soluzione diventa però non più differibile. La condanna europea del nostro paese ad una profonda riconsiderazione di disposizioni limitative della possibilità della detrazione dell'IVA, relativa all'acquisto o all'importazione di ciclomotori e simili, non adibiti ad uso pubblico, o di ricambi e di componenti dei menzionati veicoli, oltreché di quelli non inerenti all'attività propria d'impresa, renderebbe comprensibile, anzi doverosa, l'iniziativa del Governo, volta a sanare, a beneficio dei contribuenti - così si immaginerebbe -, una disparità di trattamento tra paesi membri all'interno dell'Unione europea.
Del resto, è abbastanza evidente che il necessario adeguamento della legislazione nazionale a quella sentenza crea difficoltà al Governo per i maggiori oneri a carico dello Stato collegati proprio all'obbligo di rimborso dell'IVA indebitamente versata; un quantum peraltro ancora da definire nella sua consistenza effettiva, posto che incerto è il termine di decorrenza del diritto di rimborso. Sul punto sarebbe perciò utile un chiarimento per stabilire se debba intendersi l'anno 2000, come sembraPag. 63evincersi dalla citata sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, ovvero il triennio 2003-2005, cui fa riferimento il DPEF 2007-2011.
Tuttavia, appare singolare - lo voglio sottolineare - lo strumento utilizzato dal Governo per il recupero delle somme volte a garantire la copertura di quei maggiori oneri, vale a dire l'emanazione di misure restrittive (articolo 7, commi 25 e 26, del decreto-legge n. 262 del 2006) per un importo pressoché uguale al beneficio previsto dalle nuove norme, con una previsione di incasso maggiore però di circa 84 milioni di euro.
Certo, era prevedibile una compensazione degli effetti della sentenza della Corte, soprattutto a fronte degli attuali e gravi problemi di finanza pubblica, ma non si può giustificare in alcun modo lo stratagemma per quel maggior guadagno a danno dei lavoratori e delle imprese. Si vanifica, di fatto, un'importante sentenza della Corte europea; se ne violano lo spirito e le finalità; si manifesta un'evidente contraddizione con l'affermata volontà di non appesantire la politica fiscale nazionale, senza mancare di sottolineare, aldilà delle quotidiane professioni di fede europeistica, il ricorso ad una furbizia di ben troppo facile evidenza, che probabilmente non sfuggirà al severo giudizio dei partner europei.
Così, il divieto di utilizzare la compensazione per i versamenti futuri del credito maturato, in applicazione della pronuncia comunitaria, costituisce una scelta grave, non condivisibile e lesiva, dei diritti dei contribuenti italiani; una scelta diversa avrebbe invece potuto garantire ai beneficiari, con maggiore certezza, l'effettività del rimborso dovuto.
Non ha perso l'occasione - e me ne rammarico - questo Governo di ribadire una linea ed un'impostazione culturale che vede lo Stato lontano dal cittadino all'interno di una visione politica invasiva e penalizzante. Nella fattispecie, la forte contrazione delle detrazioni, ai fini IRES, IRAP e IRPEF, delle spese di acquisto e gestione sui veicoli in uso ad imprese e lavoratori autonomi, per di più con effetto retroattivo dal 1o gennaio 2006, risulta sicuramente dannosa per i conti economici di innumerevoli piccole e medie aziende abituate a programmare il proprio budget in base alle normative vigenti.
Siamo di fronte ad una palese violazione non solo dello statuto del contribuente, ma di consolidati principi giuridici, che sanciscono l'efficacia delle norme ex nunc, e che ordinariamente la escludono ex tunc, ancor più se sfavorevoli.
Rimane il rammarico per l'andamento del dibattito in Commissione che ha visto sacrificati tutti gli emendamenti proposti dall'opposizione, con evidente pregiudizio della possibilità di miglioramento del testo e di un diverso atteggiamento dell'opposizione nella fase finale che oggi stiamo vivendo.
Alle perplessità sulle rigidità introdotte dal decreto, con la previsione della modalità telematica quale strumento esclusivo di inoltro della richiesta di rimborso e con l'esclusione della procedura cartacea che rappresenta ancora per molti lo strumento più facile sul presupposto - ahimè - irrealistico di una già compiuta modernizzazione informatica della società, si aggiunge quella sulla compatibilità costituzionale della disciplina introdotta dallo stesso decreto. Si tratta, infatti, di una deroga alle disposizioni vigenti in materia di rimborsi dei crediti IVA derivanti da pagamenti indebitamente effettuati che rischia di delineare ingiustificate disparità di trattamento fra contribuenti, talché risulterebbe assai utile l'abrogazione delle norme incompatibili con il diritto comunitario, ancora non attuata, oltre che una più complessiva rivisitazione del regime di detrazione fiscale che auspichiamo venga presto realizzata.
Per concludere, assolutamente scontato e condivisibile è l'adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di detraibilità IVA, non solo per gli evidenti benefici derivanti ad aziende e lavoratori autonomi, altresì alla luce della nostra visione liberale dell'economia che mira ad incentivare la politica degli investimenti, a sostenere, non a deprimere, la ripresa economica già avviatasi nel nostro paese aPag. 64partire dal Governo Berlusconi, al di là delle polemiche e dei diversi punti di vista - lo dimostra tra l'altro l'aumento del gettito fiscale prima richiamato dal collega intervenuto precedentemente -, ad incoraggiare, non a vessare, le categorie produttive ed il ceto medio in generale.
Del pari, risulta assai difficile la condivisione della scelta di questo Governo di perdere una occasione di costruttivo confronto parlamentare per mettere il nostro paese in linea con l'Europa, per fare chiarezza in un settore delicato ed importante, nel rispetto dei diritti dei contribuenti, ma nell'interfaccia esigente rispetto a doveri ben definiti nella sostanza, nelle procedure, nei centri di responsabilità.
Questioni, dunque, di merito e di metodo che credo possano rendere sufficiente ragione della contrarietà personale e del partito che rappresento a questo provvedimento.
IDA D'IPPOLITO VITALE. Grazie, Presidente.
Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, nei numerosi interventi che ho ascoltato, i colleghi che mi hanno preceduto, con diverse sensibilità e da diverse angolature, hanno offerto innumerevoli spunti di riflessione e di approfondimento relativamente alla struttura, all'oggetto, ai limiti, alle finalità del decreto-legge oggi al nostro esame. Sicché, sforzandomi di non ripercorrere argomenti già affrontati, limiterò le mie osservazioni alle questioni di merito e di metodo che sono, a mio giudizio, più rilevanti.
Ben si comprendono le ragioni alla base del decreto-legge ove si consideri, all'indomani della nota sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in materia di detraibilità dell'IVA, la necessità e l'urgenza di adeguare al diritto comunitario la normativa nazionale, per l'asserita, evidente incompatibilità delle disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 con esso.
Questione nota... una soluzione diventata non più differibile. La condanna europea del nostro paese ad una profonda riconsiderazione di disposizioni limitative della possibilità della detrazione dell'IVA, relativa all'acquisto o all'importazione di ciclomotori e simili, non adibiti ad uso pubblico, o di ricambi e di componenti dei menzionati veicoli, oltreché di quelli non inerenti all'attività propria d'impresa, renderebbe comprensibile, anzi doverosa, l'iniziativa del Governo, volta a sanare, a beneficio dei contribuenti - così si immaginerebbe -, una disparità di trattamento tra paesi membri all'interno dell'Unione europea.
Del resto, è abbastanza evidente che il necessario adeguamento della legislazione nazionale a quella sentenza crea difficoltà al Governo per i maggiori oneri a carico dello Stato collegati proprio all'obbligo di rimborso dell'IVA indebitamente versata; un quantum peraltro ancora da definire nella sua consistenza effettiva, posto che incerto è il termine di decorrenza del diritto di rimborso. Sul punto sarebbe perciò utile un chiarimento per stabilire se debba intendersi l'anno 2000, come sembraPag. 63evincersi dalla citata sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, ovvero il triennio 2003-2005, cui fa riferimento il DPEF 2007-2011.
Tuttavia, appare singolare - lo voglio sottolineare - lo strumento utilizzato dal Governo per il recupero delle somme volte a garantire la copertura di quei maggiori oneri, vale a dire l'emanazione di misure restrittive (articolo 7, commi 25 e 26, del decreto-legge n. 262 del 2006) per un importo pressoché uguale al beneficio previsto dalle nuove norme, con una previsione di incasso maggiore però di circa 84 milioni di euro.
Certo, era prevedibile una compensazione degli effetti della sentenza della Corte, soprattutto a fronte degli attuali e gravi problemi di finanza pubblica, ma non si può giustificare in alcun modo lo stratagemma per quel maggior guadagno a danno dei lavoratori e delle imprese. Si vanifica, di fatto, un'importante sentenza della Corte europea; se ne violano lo spirito e le finalità; si manifesta un'evidente contraddizione con l'affermata volontà di non appesantire la politica fiscale nazionale, senza mancare di sottolineare, aldilà delle quotidiane professioni di fede europeistica, il ricorso ad una furbizia di ben troppo facile evidenza, che probabilmente non sfuggirà al severo giudizio dei partner europei.
Così, il divieto di utilizzare la compensazione per i versamenti futuri del credito maturato, in applicazione della pronuncia comunitaria, costituisce una scelta grave, non condivisibile e lesiva, dei diritti dei contribuenti italiani; una scelta diversa avrebbe invece potuto garantire ai beneficiari, con maggiore certezza, l'effettività del rimborso dovuto.
Non ha perso l'occasione - e me ne rammarico - questo Governo di ribadire una linea ed un'impostazione culturale che vede lo Stato lontano dal cittadino all'interno di una visione politica invasiva e penalizzante. Nella fattispecie, la forte contrazione delle detrazioni, ai fini IRES, IRAP e IRPEF, delle spese di acquisto e gestione dei veicoli in uso ad imprese e lavoratori autonomi, per di più con effetto retroattivo dal 1o gennaio 2006, risulta sicuramente dannosa per i conti economici di innumerevoli piccole e medie aziende abituate a programmare il proprio budget in base alle normative vigenti.
Siamo di fronte ad una palese violazione non solo dello statuto del contribuente, ma di consolidati principi giuridici, che sanciscono l'efficacia delle norme ex nunc, e che ordinariamente la escludono ex tunc, ancor più se sfavorevoli.
Rimane il rammarico per l'andamento del dibattito in Commissione che ha visto sacrificati tutti gli emendamenti proposti dall'opposizione, con evidente pregiudizio della possibilità di miglioramento del testo e di un diverso atteggiamento dell'opposizione nella fase finale che oggi stiamo vivendo.
Alle perplessità sulle rigidità introdotte dal decreto, con la previsione della modalità telematica quale strumento esclusivo di inoltro della richiesta di rimborso e con l'esclusione della procedura cartacea che rappresenta ancora per molti lo strumento più facile sul presupposto - ahimè - irrealistico di una già compiuta modernizzazione informatica della società, si aggiunge quella sulla compatibilità costituzionale della disciplina introdotta dallo stesso decreto. Si tratta, infatti, di una deroga alle disposizioni vigenti in materia di rimborsi dei crediti IVA derivanti da pagamenti indebitamente effettuati che rischia di delineare ingiustificate disparità di trattamento fra contribuenti, talché risulterebbe assai utile l'abrogazione delle norme incompatibili con il diritto comunitario, ancora non attuata, oltre che una più complessiva rivisitazione del regime di detrazione fiscale che auspichiamo venga presto realizzata.
Per concludere, assolutamente scontato e condivisibile è l'adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di detraibilità IVA, non solo per gli evidenti benefici derivanti ad aziende e lavoratori autonomi, altresì alla luce della nostra visione liberale dell'economia che mira ad incentivare la politica degli investimenti, a sostenere, non a deprimere, la ripresa economica già avviatasi nel nostro paese aPag. 64partire dal Governo Berlusconi, al di là delle polemiche e dei diversi punti di vista - lo dimostra tra l'altro l'aumento del gettito fiscale prima richiamato dal collega intervenuto precedentemente -, ad incoraggiare, non a vessare, le categorie produttive ed il ceto medio in generale.
Del pari, risulta assai difficile la condivisione della scelta di questo Governo di perdere una occasione di costruttivo confronto parlamentare per mettere il nostro paese in linea con l'Europa, per fare chiarezza in un settore delicato ed importante, nel rispetto dei diritti dei contribuenti, ma nell'interfaccia esigente rispetto a doveri ben definiti nella sostanza, nelle procedure, nei centri di responsabilità.
Questioni, dunque, di merito e di metodo che credo possano rendere sufficiente ragione della contrarietà personale e del partito che rappresento a questo provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccuzzi.

FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, dal momento che la discussione è stata approfondita ed esauriente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Ceccuzzi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Alessandri.

ANGELO ALESSANDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, nel merito i colleghi del mio gruppo che mi hanno preceduto hanno già spiegato nel dettaglio quali sono le storture che sono a monte di questo provvedimento. Vi sono state diverse interpretazioni al riguardo; vi è stata una bocciatura, cui è seguita una nuova disciplina del testo (al Senato è stato anche piuttosto contrastato). Oggi ci ritroviamo di fronte ad una versione che crea non pochi problemi all'interno di un quadro già di per sé problematico e di un maxiquadro - diventa quasi un quadro astratto -, nel quale i problemi sono ancora maggiori.
Devo rilevare, da artigiano, da lavoratore con partita IVA, da presunto evasore, alcuni aspetti e lo farò cercando di utilizzare poco tempo. Intendo rimarcare due o tre aspetti.
Questa mattina, ho letto, come il collega Della Vedova, le dichiarazioni di Visco, quasi contento ed esultante perché entravano soldi, soldi sempre soldi. Sembra come quei re arroccati nel proprio castello che vedono arrivare le derrate, i risparmi dei contadini dalla campagna e, di fronte ai lai di qualche povero contadino che protesta perché gli è stato portato via tutto, dicono di fregarsene perché sono re e tutto devono avere e prendere.
Non si può essere felici perché vi è gente in difficoltà che paga. Stiamo facendo una finanziaria, o meglio la state facendo voi, tutta tasse, bastonate, lacci e priva di speranza, che porta il paese con la fiducia ridotta al minimo. Poi, vi è il decreto-legge in esame che riguarderebbe l'IVA. Mi viene da dire che bisognerebbe ribattezzare questa imposta e chiamarla, in luogo di imposta sul valore aggiunto, «Immaginate Visco Allegro».
Immaginare Visco allegro mi rende enormemente triste. L'uomo che si trova a monte di Padoa Schioppa dice che la cura da dare al paese deve durare altri due anni e guai se Prodi si fermerà, e che bisogna continuare ad avere rigore ed a bastonare e colpire chi già paga. Mi stanno tremando le vene ed i polsi, direbbe Dante, che, però, di fronte ad una classe politica come questa, che pecca della capacità di saper interpretare le esigenze del proprio popolo, metterebbe, per legge di contrappasso, questi politici in un girone di ignavi, se non di lussuriosi politici, se mi consentite di crearlo all'interno dell'Inferno.
Siamo di fronte alle solite manovre. Molti economisti hanno detto che sarebbero stati sufficienti 12, 14 miliardi di euro per rimanere nel Patto di stabilità europeo. Ora, sono diventati, secondo l'ultimo conto fatto, 45, o persino 60, senzaPag. 65considerare gli aumenti derivanti dagli enti locali. I comuni aumenteranno le tasse comunali, le province e le regioni le proprie. L'ICI aumenterà, con le revisioni degli estimi catastali, aumenteranno le accise sul petrolio, sulla benzina e sul gasolio, aumenterà il bollo per le auto (l'85 per cento del parco auto subirà un aumento). Chissà cosa avrete il coraggio di raccontare, alla fine, a qualche cittadino, magari appartenente a quelle categorie meno abbienti, che sperava in una sinistra che difendesse il lavoratore e chi sta peggio. Avete creato negli ultimi tempi una sorta di dicotomia sociale tra il padrone ed il lavoratore, ma il lavoratore sta aprendo gli occhi e vede che il minimo di guadagno che potrebbe avere dalla manovra finanziaria tout court sarà mangiato e diventerà una sorta di enorme tassa.
L'ipocrisia deve finire. Bisogna stare vicino alla gente, quella gente che la mattina si vuole alzare presto per lavorare, intraprendere, investire, rischiare, che crede che la politica non debba sempre e solo essere un ostacolo, che la classe politica non debba sempre e solo essere una sorta di UFO, un oggetto non identificato che arriva sotto Natale con la legge finanziaria per prelevare nuovi soldi o creare nuova burocrazia e che, anche quando ammette di avere sbagliato, non dà subito indietro i soldi, ma inventa formule meccaniche, algebriche, algoritmiche, addirittura forfettarie ed analitiche, per dire che forse, non si sa quando, li darà indietro. Non fa nemmeno le cose più semplici. Se proprio si devono dare questi soldi indietro, permettete di compensare la detraibilità dell'IVA con l'IVA che si dovrà versare a dicembre o gennaio. No, non è possibile. Si toglie anche la soglia di detraibilità per le auto, per fare in modo che i soldi che dovrebbero essere obbligati a risarcire non siano più dovuti. È uno Stato che fa pietà.
Qualcuno ha detto che il Governo - diciamo così - era alla canna del gas. Penso che il Governo possa tirare avanti ancora un poco, comprandosi qualche voto al Senato come fa con Pallaro. Per rimanere vicino a casa vostra, non ha l'accento sulla «o» finale e non ha la «b» iniziale, non è Ballarò, ma qualcosa di più tremendo. Non è un film né una trasmissione televisiva.
È un parlamentare eletto all'estero, e non sappiamo se si trovi a Roma o in spiaggia all'estero. Ha chiesto 14 milioni di euro attraverso i giornali: voi lo avete accontentato e ciò vi darà un voto. Ma sta passando un principio pericoloso: se ogni senatore ve lo chiede, pagheremo 14 milioni di euro per ciascun voto? Ciò è molto pericoloso!
Nel contempo, chi lavora e vuole continuare a farlo viene controllato. L'ho scritto e lo ripeto: chi di controllo fiscale e tributario ferisce, poi di controllo tributario e fiscale perisce! Poi, non si lamenti, Prodi, se vi è qualche «groviera» all'interno del sistema tributario! Peraltro, il messaggio di Visco era questo: dobbiamo controllare tutti, dobbiamo fare in modo che chi lavora non abbia più risorse, dobbiamo ridurre a zero il credito bancario e stabilire nuove tasse per tutti. Alla fine, ritenete che chi lavora continui a fare il lavoratore autonomo?
Credo che, nei vostri onirici deliri politici, vi sia l'idea che tutti dobbiamo diventare soci lavoratori di un consorzio cooperativo, magari gestito dalla Legacoop e dai compagni. Se è così, credo sia giusto che i cittadini, a partire da oggi, comincino a svegliarsi ed a scendere in piazza per dimostrarvi che le cose non vanno bene; credo sia giusto che comincino a ribellarsi. Noi li inviteremo nei prossimi giorni a Bologna, sotto casa di Prodi; e daremo loro un bigliettino su cui scrivere cosa pensano di questa maggioranza, di questo Governo e di questo Presidente del Consiglio. Credo sia importante che voi leggiate quei messaggini di «C'è posta per Prodi», e che vi rendiate conto che la società civile, i lavoratori, la gente onesta non sta dalla vostra parte. Forse, sarebbe meglio che un passo indietro con un minimo di dignità - se ancora vi è rimasta - lo faceste!

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Annunzio di un'informativa urgente del Governo (ore 18,20).

PRESIDENTE. Avverto che alle 19, dopo la discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione n. 1808, avrà luogo un'informativa urgente del Governo sull'aggressione subita dall'onorevole Ascierto e dal signor Enzo Vanzan al termine di un convegno sulle Forze armate organizzato dalla federazione padovana di Alleanza Nazionale.

Si riprende la discussione (ore 18,21).

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1808)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ulizia. Ne ha facoltà.

LUCIANO D'ULIZIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in quest'aula non ho sentito parlare di un aspetto fondamentale, ossia del principio di slittamento e del principio di trascinamento della spesa. Sono due principi che il centrodestra ha adottato continuamente. Infatti, nel luglio 2006, abbiamo dovuto realizzare una manovra correttiva; e il decreto-legge che ci apprestiamo a convertire in legge sulla detraibilità dell'IVA, nonché il provvedimento collegato sulla fiscalità non sono altro che dei rimedi che il centrosinistra ha dovuto adottare per riparare alla situazione di déb|$$|Axacle creata dal centrodestra.
In quest'aula, ho dimostrato, con i conti alla mano, che il Governo Berlusconi ha indebitato il paese di oltre 500 miliardi di euro. Circa l'ammontare totale del debito pubblico, tra il momento in cui è entrato in carica il Governo Berlusconi ed il momento in cui ha lasciato la differenza è di oltre 300 miliardi di euro. Inoltre, vi sono cinque punti di azzeramento dell'avanzo primario; aggiungendo il resto, che è costituito dall'ulteriore cartolarizzazione dei beni pubblici, ci accorgiamo, cari colleghi e signor Presidente, con una somma algebrica dimostrabile da dati ufficiali, che il Governo Berlusconi ha creato un milione di miliardi di nuovo debito pubblico.
Quindi, purtroppo, abbiamo avuto questa funzione-antifunzione di squilibrio dei conti pubblici, dovuta al trascinamento e allo slittamento.
Cari colleghi, chi impediva al Governo Berlusconi di assumere un provvedimento che recepisse la sentenza oggi in discussione che all'epoca era in itinere? Se il Governo Berlusconi avesse voluto effettivamente dare quel respiro e quello sviluppo alle piccole e medie imprese avrebbe potuto agire in tal senso. Ciò non è avvenuto e costituisce una delle eredità lasciate all'attuale esecutivo di centrosinistra.
Dunque, oggi, dobbiamo riparare ad una situazione catastrofica, e ci si viene a dire che, grazie all'aumento del gettito fiscale, avremmo potuto predisporre una finanziaria da 15 miliardi di euro! È un errore pazzesco, anzi i 35 miliardi sono insufficienti, perché poi ci si accorgerà che non sarà possibile rimanere al di sotto del 3 per cento e garantire uno sviluppo pari al 2 per cento. Probabilmente, riusciremo a realizzare l'equità di cui stiamo discutendo, ma sulle fasce basse e non su quelle medio-basse.
Occorrerebbe avere una visione più completa sia in termini di finanza pubblica sia in termini di macroeconomia. Questo modo di fare politica, nel quale il centrodestra deve sempre e comunque distruggere qualsiasi tesi sostenuta dal centrosinistra, distrugge la politica. Non mi vergogno ad affermare che, quando il centrodestra propone iniziative plausibili, io le approvo. Allora, non deve essere considerato scandaloso se un deputato del centrosinistra si permette di indicare al Governo una modalità diversa per fornire un servizio al paese. Infatti, se i dati della finanziaria non sono sufficienti a raggiungere una dimensione del deficit al di sotto del 3 per cento o non sono sufficienti a raggiungere uno sviluppo del 2 per cento, il deputato che indica la strada per raggiungerePag. 67tali obiettivi non lo fa di certo per ostacolare l'azione di Governo, ma per corroborarla.
Invece, qui vedo un muro contro muro. Ad esempio, gli slogan della destra: «Più tasse per tutti», mentre una volta si diceva: «Più tasse per Totti». Non dobbiamo dimenticare che partiamo da una situazione di finanza pubblica allo sbando. Il centrosinistra, con tutte le manovre e con tutti i decreti collegati, sta cercando di riportare la finanza pubblica sotto controllo, anche se probabilmente non sarà possibile raggiungere tali obiettivi. Quindi, dobbiamo fare in modo che in corso d'opera la cassetta degli attrezzi venga adeguata.
È vero che vi è stata una sentenza sfavorevole sull'IVA, ma vi è stata anche una sentenza favorevole da parte della Corte di giustizia, quella sull'IRAP, che ci sarebbe costata molto di più.
I riflessi di questa sentenza positiva non li vedo nelle previsioni. Vi erano centinaia di migliaia di aziende che, in attesa di quella sentenza, non pagavano l'IRAP e presentavano ricorso. Oggi quel gettito è importante e va valutato anche ai fini della legge finanziaria: quindi, abbiamo bisogno di un quadro macroeconomico e di finanza pubblica completo e complessivo. Questa è l'operazione che dobbiamo fare stasera e domani con la legge finanziaria, per trovare quei rimedi che siano funzionali e produttivi per il paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vichi. Ne ha facoltà.

ERMANNO VICHI. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1808)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Fogliardi.

GIAMPAOLO FOGLIARDI, Relatore. Signor Presidente, intervengo per ribadire quanto già esposto nella relazione di questa mattina. Di fronte ad una sentenza della Corte di giustizia il Governo doveva intervenire e lo ha fatto nella maniera più celere ed esaustiva in una questione così delicata. Sono molte le valutazioni tecniche che ho sentito e che lasciano alquanto perplessi anche dal punto di vista tecnico. Spesse volte sono stati chiamati in causa i tecnici e i commercialisti. Svolgo tale lavoro nella vita privata e posso dire che su alcune questioni avremmo da dilungarci e dibattere molto, ma sappiamo che i tempi sono molto ristretti. Per cui, nel ribadire la nostra posizione e quanto già approvato al Senato, rimando alla mia esposizione di questa mattina.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ALFIERO GRANDI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, la discussione ha fatto rilevare alcuni aspetti che conviene riprendere. Anzitutto, la sentenza della Corte interviene su un rimborso IVA per riparazioni, carburante e quant'altro per auto che sono sì delle aziende, ma non sono usate solo per i compiti strettamente aziendali. Questa distinzione è importante per capire di cosa stiamo ragionando, perché non si tratta delle auto per uso aziendale in senso stretto, ma molto spesso di auto o mezzi di altro tipo che vengono usati per scopi anche diversi, che naturalmente l'azienda può ritenere anche legittimamente utili ai fini dei propri compiti. Proprio per intervenire sulla sentenza della Corte - che ha giudicato l'Italia in termini negativi, con una sentenza che crea un problema finanziario molto ma molto consistente e che disapplica norme italiane in materia diPag. 68IVA -, è stato adottato il decreto-legge. Il testo della norma oggi all'esame dell'Assemblea della Camera non è quello originario del Governo. Infatti, il decreto-legge è stato modificato sulla base di discussioni e di osservazioni che sono venute anzitutto dal Senato della Repubblica, che ha esaminato in prima istanza il testo, ma anche da parte di soggetti che hanno rappresentato problemi e questioni. Quindi, criticare in modo indifferenziato il testo di oggi come il testo originario del decreto-legge è, a mio giudizio, una forzatura impropria; una forzatura che posso comprendere nel novero della polemica politica pregiudiziale, ma sinceramente non corrisponde al testo del decreto così come è stato modificato dal Senato e come oggi stiamo esaminando per la conversione definitiva alla Camera.
Il decreto si è reso necessario per evitare un'emorragia nei conti pubblici italiani di 17,1 miliardi di euro. Se questo fosse avvenuto, avremmo dovuto aumentare del 50 per cento la legge finanziaria o, detto in altri termini, dedicare il 50 per cento della legge finanziaria che stiamo per discutere semplicemente al pagamento di questi rimborsi.
Mi pare del tutto evidente che non potevamo accettare un improvviso impoverimento dei conti pubblici italiani. Per di più, come ha stabilito benissimo il DPEF, approvato anche dalla Camera, nella nota di variazione, aver consentito tale compensazione avrebbe reso questa emorragia immediata. Ciò avrebbe aumentato di circa un punto il deficit corrente, creando una condizione molto delicata in rapporto al sentiero del rientro, che sappiamo essere uno dei problemi che dobbiamo affrontare con il disegno di legge finanziaria, ossia il rispetto dei parametri concordati con l'Unione europea (lo dico perché i parametri li ha concordati il Governo precedente; noi siamo impegnati a rispettare ciò).
La compensazione, quindi, non poteva essere accolta; per di più, se fosse stata accettata, ciò avrebbe creato un altro problema, ossia una condizione di indebita detrazione. A quel punto, molte imprese avrebbero dovuto fare un difficile conto con quanto avevano già detratto in sede di dichiarazione dei redditi di impresa.
Di conseguenza, questo decreto ha evitato un'emorragia finanziaria dello Stato, ha creato le condizioni perché i contribuenti avessero piena consapevolezza di quanto effettivamente gli era dovuto sulla base della sentenza, creando le condizioni perché vi fosse chiarezza anche rispetto al valore di un criterio che qui ho sentito essere discusso o posto in termini che effettivamente non possono essere accolti, ossia la detrazione non può essere su tutte le spese, ma deve essere sulla quota di spese inerenti l'attività dell'azienda e questo, quando non c'è una forfettizzazione, è un vincolo inderogabile anche a livello aziendale. Quindi, azienda per azienda, si sarebbe dovuto verificare quanto era dovuto effettivamente alle aziende sulla base della sentenza.
In un primo tempo, la scadenza recata dal decreto è stata portata al 15 dicembre, differendo al 15 dicembre tutto l'esito delle compensazioni e quant'altro; poi è stato posticipata al 15 aprile. La data del 15 aprile dovrebbe essere salutata come un risultato collettivo di tutta la discussione svoltasi al Senato e delle richieste che sono venute da diverse parti, perché tutti ritenevano che ci dovesse essere un tempo congruo tra quando il direttore dell'Agenzia delle entrate predisporrà il modulo telematico e le sue caratteristiche e quando il contribuente effettivamente sarà chiamato a dare le risposte. Invece, anche questo termine viene considerato una dilazione, dimenticando che è stato chiesto da tutte le parti, sia dalla maggioranza sia dall'opposizione, e che il Governo ha adeguato il testo esattamente a questa richiesta.
Perché si è arrivati a tale condizione? È stato posto il problema delle ragioni per cui si è arrivati a questa condizione deprecabile del nostro paese. Allora, ricordiamo che Stradasfalti Srl ha sottolineato, prima in sede giurisdizionale poi con la Corte europea, il problema della possibilità di detrarre - quindi contestando la norma italiana - nel corso del 2004; chePag. 69la sentenza della Corte è arrivata nel 2006, ma era largamente annunciata; che questo problema è stato lasciato marcire e che - lo ripeto -, in questi termini, è nato nel 2004 e non a caso su un periodo di contribuzione tra il 2001 e il 2004.
Aver lasciato marcire questa situazione ha creato un'evidente difficoltà. Infatti, l'azienda che ha sollevato il problema, sicuramente, ha esercitato un diritto, ma questo diritto era pienamente evidente, prima alla Corte di Trento e successivamente alla Corte europea; naturalmente lo Stato italiano, in particolare il Governo italiano dell'epoca, avrebbe dovuto creare tutte le condizioni per poter adeguatamente resistere. E l'espressione «adeguatamente resistere» non stava nella risposta data, da ultimo, elevando semplicemente di un 5 per cento il diritto di detrazione.
Infatti, c'era un cuore nelle osservazioni poste dall'azienda, le quali, a loro volta, costituiscono il cuore della sentenza europea. Quest'ultima costituisce, infatti, una sorta di musica rap, poiché rimprovera al Governo italiano di non aver ascoltato i giudizi dell'Unione europea, del nucleo di valutazione creato dalla VI direttiva. Non aver ascoltato quella valutazione, aver rifiutato di affrontare il problema e - come ha giustamente detto il viceministro Visco (lo ribadisco in quest'aula) - aver, sostanzialmente, affibbiato a chi avrebbe vinto le elezioni dopo aprile la soluzione del problema, ha creato le condizioni per una piena condanna da parte della Corte europea, avente addirittura carattere retroattivo; infatti, viene sostanzialmente rimproverato all'Italia di non aver affrontato per tempo la soluzione legislativa del problema.
Oggi dobbiamo affrontare la questione rispondendo positivamente alla sentenza della Corte: l'Italia non può fare altrimenti. È falso sostenere che questa normativa sarà di nuovo soggetta a sentenza per inadempienza: non è così, questa preoccupazione non sussiste poiché è stata data piena risposta ai problemi posti. Contemporaneamente, il provvedimento in discussione oggetto dell'iniziativa del Governo italiano non può essere affrontato da solo poiché, come sappiamo, esso blocca una situazione che poteva rivelarsi veramente difficile per la finanza pubblica italiana e crea un elemento di certezza per i contribuenti; infatti, si stabilisce esplicitamente che i contribuenti con diritto al ristoro riceveranno una risposta positiva e si creano, al contempo, le condizioni per affrontare il passato ed il futuro. Affrontare il passato significa farsi carico di 17,1 miliardi, cioè la stima di quanto le aziende, sulla base del pregresso a partire dal 2003, avranno diritto a richiedere.
La legge finanziaria che verrà discussa in quest'aula nei prossimi giorni stabilisce la piena regolazione debitoria del passato. Quest'ultima, per le regole comunitarie e per le regole legate al sistema SEC di vigilanza sul bilancio degli Stati facenti parte dell'Unione europea, verrà considerata come una regolazione debitoria relativa ad un debito pregresso, Di conseguenza, è previsto che nell'arco di tre anni (2007-2008-2009) vi siano non soltanto i tre miliardi già previsti originariamente dal Governo, ma anche un ulteriore incremento di 2,7 miliardi che porteranno il totale a 5,7 miliardi per tre anni, pari per l'esattezza a 17,1 miliardi di regolazione debitoria del pregresso, fino cioè alla data della sentenza: 13 settembre 2006.
Affermare che ciò rappresenta una sorta di premio per le aziende o un atto dovuto nei loro confronti è un'esagerazione francamente discutibile. Infatti, non si può sottovalutare che questa sentenza, di fatto, obbliga il sistema finanziario italiano a trovare ingenti risorse non solo per il pregresso, ma anche per il futuro. È del tutto auspicabile che l'Unione europea accetti la proposta avanzata dal Governo italiano, come del resto avviene in altri paesi europei, volta ad applicare il principio dell'inerenza con l'effettiva attività aziendale sulla base non solo di una dimostrazione analitica aziendale, ma anche di un criterio forfettario, di settore. Abbiamo cioè proposto che a livello di settore venga individuata la quota percentuale: in questo modo le aziende potranno vedersi restituire quanto loro dovuto e in seguito regolare anche la futura detrazione.Pag. 70
La quota forfettaria rappresenterebbe un'importante soluzione poiché consentirebbe alle aziende di scegliere tra la via analitica e l'adozione di un sistema molto più semplice per lo Stato e per loro dal punto di vista della contabilità.
Non avendo possibilità di fare da soli, per non violare, di nuovo, il principio di rapporto corretto con il nucleo di valutazione europeo, abbiamo sottoposto la richiesta alla Commissione europea che risponderà nell'arco di alcuni mesi (si spera entro la fine dell'anno o, al massimo, l'inizio dell'anno prossimo). Nel frattempo dobbiamo prevedere il tutto, sul passato e sul corrente. Ecco perché, insieme alla previsione della finanziaria di oltre 17 miliardi, sia pure come tetto massimo di erogazione sul passato, è prevista anche una erogazione per compensazione nell'immediato, cioè nel corrente, che viene valutata in 5,2 miliardi l'anno. Per poter effettuare questa compensazione, è intervenuto il decreto-legge, approvato dalla Camera qualche giorno fa e attualmente all'esame del Senato, con cui si rende normale e corrente la possibilità di arrivare anche alla compensazione. Ricordo che la compensazione viene calcolata nel deficit corrente. Era necessario prevedere, a fronte di un'uscita certa, una entrata certa, sempre tenuto conto che, oggi, non siamo autorizzati dal nucleo europeo a forfettizzare alcunché, e, quindi, il totale. Pertanto, era inevitabile che ci fosse una soluzione all'interno del sistema fiscale dell'impresa, il quale, evidentemente, ha oggi la possibilità di maggiore detrazione nel settore IVA, per ciò che riguarda auto e assimilati, ma che, inevitabilmente, deve contemporaneamente sopportare una diversità per ciò che riguarda il sistema di tassazione diretto.
Voglio dire, però, che già nel decreto è stata inserita una norma che consente, nel caso in cui venisse approvato il sistema di forfettizzazione, con una prevedibile uscita inferiore, la possibilità di riconsiderare percentualmente che alle imprese venga restituito il di più che, a questo punto, è accantonato, a fronte dell'esigenza di consentire la compensazione ordinaria. Mi pare, quindi, che il decreto, combinato con la finanziaria e con il decreto-legge fiscale, abbia consentito di risolvere sia le partite finanziarie precedenti sia le partite finanziarie correnti, per dare piena attuazione alla sentenza europea. A questo punto, emerge il problema di come tutto ciò verrà implementato. È stata osservata l'istanza telematica. Voglio ricordare che stiamo parlando di aziende che hanno, già oggi, largamente innestato il sistema telematico per ciò che riguarda i rapporti con il sistema fiscale e non ci risulta che ci siano tutti questi problemi nel condurre per via telematica le considerazioni che riguardano il rapporto con l'amministrazione fiscale. Verrà definito un modulo, che verrà inviato dall'azienda, che ritiene di avere diritto al rimborso; di conseguenza, questo verrà inviato entro il 15 aprile. Ciò non vuole dire che l'azienda deve produrre immediatamente tutta la documentazione, per due buone ragioni: innanzitutto, perché, se fosse approvata dall'Unione europea la possibilità di forfettizzare, potrebbe essere possibile che quella azienda non avrà mai bisogno di presentare la documentazione; in secondo luogo, soltanto ove l'agenzia delle entrate non fosse convinta delle risposte che verranno date attraverso il modulo telematico, potrà chiedere successivamente la documentazione che dimostri, in via analitica, la quantità effettiva di restituzione fiscale che l'amministrazione dovrà rendere. Ecco la ragione per cui c'è l'indicazione di un documento di natura telematica, che avrà un carattere semplice, nell'ambito del quale verranno indicate le grandi quantità delle aziende. Naturalmente, poi, il resto del percorso sarà di natura successiva.
Mi pare che, in questo modo, abbiamo risposto positivamente allo statuto dei diritti del contribuente. Ci sono i sessanta giorni richiesti di rapporto tra l'emanazione del modulo e la domanda che il contribuente deve fare. La data del 15 aprile salvaguarda ampiamente i termini previsti dallo statuto dei diritti del contribuente.
Certo, vi è una possibilità di distorsione per ciò che riguarda il sistema delle imprese;Pag. 71sono il modo in cui è stata emessa la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e le caratteristiche che la stessa introduce nel sistema dei bilanci delle imprese a provocare effettivamente una distorsione. È auspicabile che tale distorsione, anche grazie al sistema di forfettizzazione, venga largamente limitata.
Vi è, poi, nel testo del decreto-legge in esame la possibilità di trovare non solo la risposta ai problemi finanziari, ma anche le condizioni per avere certezza che vi sia il pieno rispetto della sentenza: è un'indicazione molto chiara, di carattere quasi programmatico, che il Governo ha fatto con questo provvedimento. Vi è, inoltre, la garanzia che i conti pubblici, sia pregressi sia futuri, restino in ordine e, se l'Unione europea consentirà, con la norma di forfettizzazione, di garantire la via più semplice, sarà anche possibile avere contemporaneamente una garanzia di maggiore semplicità per le aziende e, nello stesso tempo, un beneficio per le finanze pubbliche, sia per il passato (perché il passato è debito dello Stato), sia per il corrente (perché il corrente è deficit pubblico). Di conseguenza, deve essere garantito un saldo zero tra le entrate e le uscite per l'applicazione di questa norma e contemporaneamente un rapporto tra il contribuente ed il sistema fiscale che sia assolutamente trasparente e semplice. Lo ripeto, qualcuno ha immaginato che vi fossero scatoloni di fatture che giravano per quanto riguarda le entrate. Nulla di tutto ciò. Soltanto nel caso in cui la richiesta non sia convincente vi sarà una richiesta dell'analitico, sempre che naturalmente non vi sia la possibilità di utilizzare il sistema forfettario.
Ecco la ragione per cui credo che il Governo possa a buon titolo chiedere la conversione in legge definitiva di questo provvedimento, un decreto-legge che ha evitato una condizione molto difficile per le finanze pubbliche italiane, il cui finanziamento è previsto per la parte pregressa dal disegno di legge finanziaria e per la parte corrente attraverso i meccanismi contenuti nel decreto-legge in materia fiscale che consentono di far fronte ad una situazione che altrimenti sarebbe diventata molto delicata. Questa è una situazione che si poteva affrontare in precedenza. Il Governo precedente ha ritenuto di non doverla affrontare ed ha consegnato all'attuale esecutivo un problema. È orgoglio di questo Governo avervi fatto fronte, anche in nome delle mancanze di quello precedente.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 18,48).

PRESIDENTE. Comunico che nell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo si è convenuto di non modificare l'organizzazione dei lavori per la sessione di bilancio, a suo tempo prevista. Per quanto riguarda il seguito dell'esame del disegno di legge n. 1808 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 settembre 2006, n. 258, recante disposizioni urgenti di adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia di detraibilità dell'IVA (approvato dal Senato - scadenza 14 novembre 2006), esso proseguirà nella giornata di mercoledì 8 novembre (antimeridiana, comunque al termine della discussione congiunta sulle linee generali, e pomeridiana, con prosecuzione notturna) ed eventualmente nelle sedute successive.
Mercoledì 8 novembre avrà luogo altresì la votazione relativa alle dimissioni del deputato Boco.

Modifica nella composizione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione (ore 18,49).

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato, in data 3 novembre 2006, ha chiamato a far parte del ComitatoPag. 72parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione il senatore Sergio De Gregorio, in sostituzione del senatore Aniello Formisano, dimissionario.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 19 con l'informativa urgente del Governo sull'aggressione subita dall'onorevole Ascierto e dal signor Enzo Vanzan al termine di un convegno sulle Forze armate organizzato dalla federazione padovana di Alleanza Nazionale.

La seduta, sospesa alle 18,50 è ripresa alle 19.

Informativa urgente del Governo sull'aggressione subita dal deputato Ascierto e dal signor Enzo Vanzan al termine di un convegno sulle Forze armate organizzato dalla federazione padovana di Alleanza Nazionale.

PRESIDENTE. Avrà ora luogo lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sull'aggressione subita dall'onorevole Ascierto e dal signor Enzo Vanzan al termine di un convegno sulle Forze armate organizzato dalla federazione padovana di Alleanza Nazionale.
Dopo l'intervento del rappresentante del Governo interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.

(Intervento del sottosegretario di Stato per l'interno)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'interno, Ettore Rosato.

ETTORE ROSATO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella tarda serata di venerdì 3 novembre, in piazza dei Signori a Padova, all'esterno della sala del consiglio del quartiere 1, dove poco prima si era svolta un'iniziativa di Alleanza Nazionale in onore del caduto in Iraq Matteo Vanzan, l'onorevole Filippo Ascierto ed il signor Enzo Vanzan, padre del caduto, ed un altro simpatizzante di Alleanza Nazionale sono stati improvvisamente aggrediti con calci e pugni da alcuni giovani che si sono poi dati alla fuga.
Un agente di polizia municipale, presente sul posto, è riuscito a bloccare momentaneamente uno degli aggressori ma è stato a sua volta subito strattonato e colpito da un altro giovane che, dopo essere riuscito a liberare l'aggressore, ha tentato anch'egli di fuggire, venendo però bloccato e tratto in arresto nell'attigua via Soncin da una volante immediatamente intervenuta. L'arrestato in flagranza di reato è un pregiudicato di 24 anni già noto per essere un frequentatore del centro sociale Pedro, con precedenti per lesioni personali e detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti.
Oggi, il GIP ha convalidato l'arresto della persona, disponendo la sua scarcerazione e l'applicazione della misura cautelare dell'obbligo di presentazione dinanzi alla polizia giudiziaria. L'attività investigativa, comunque immediatamente attivata, ha inoltre consentito il riconoscimento e l'identificazione di altri due giovani anch'essi gravitanti nell'ambiente del centro sociale, che sono stati denunciati all'autorità giudiziaria per lesioni personali ed uno anche per resistenza a pubblico ufficiale. Le indagini proseguono allo scopo di individuare altri eventuali soggetti coinvolti nell'episodio.
Le vittime dell'aggressione e l'agente di polizia municipale intervenuto, subito medicati presso il locale pronto soccorso, hanno riportato contusioni guaribili in sette giorni.
Nel testimoniare all'onorevole Ascierto ed alle vittime dell'aggressione la massima solidarietà, a nome del Governo ma anche mia personale, desidero esprimere anche la più ferma riprovazione e condanna per l'inqualificabile episodio, ribadendo nelPag. 73contempo la forte determinazione del Governo a contrastare senza esitazione ogni forma di violenza e di intolleranza a fine politico.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor sottosegretario.

(Interventi)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Signor Presidente, l'informativa con la quale il Governo ha poc'anzi espresso non solo la riprovazione ma anche il netto contrasto circa le forme di intolleranza manifestatesi con l'episodio dell'aggressione subita dal collega, onorevole Ascierto, nonché da Enzo Vanzan, padre di Matteo, un giovane lagunare ucciso a Nassiriya nel maggio del 2004, rivela, anche per il gruppo dell'Ulivo, che siamo in presenza non solo di un atto in seguito al quale è doveroso testimoniare estrema solidarietà, ma anche di una situazione che richiede una riflessione più generale.
Fenomeni nei quali la violenza torna ad essere l'unico strumento al quale ci si rivolge per testimoniare il proprio dissenso in una dialettica che non vede più nella politica il mezzo della discussione, ci inducono a considerare, nel dibattito parlamentare, l'intolleranza come una delle manifestazioni di una crisi vera della democrazia. Vorrei, non solo per aprire una polemica, ricordare che, nemmeno una settimana fa, un altro esponente, ministro di questa Repubblica, era stato interrotto, sempre nel nord-est, a Venezia, durante un convegno. È quasi un filo rosso che lega le due espressioni, che sono tipiche di chi, dinanzi a questi fenomeni, guarda agli atti di intolleranza come all'unico elemento di espressione del proprio dissenso politico (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo e di deputati del gruppo Forza Italia).
La riprovazione e la solidarietà diventano unanimi in questa Assemblea, nella considerazione di questi fenomeni come lesivi dell'esercizio della dialettica politica e della democrazia.
Ma, soprattutto, debbono dare al Governo la netta sensazione che, su questo punto, non esistono solo divisioni parlamentari. Infatti, siamo pienamente convinti che contrastare con determinazione tali fenomeni possa rappresentare un aiuto concreto per rimettere al centro delle nostre discussioni, al di là delle differenze esistenti tra maggioranza ed opposizione, la dialettica politica, il senso della stessa politica e, soprattutto, il rispetto della democrazia e delle opinioni diverse.
Per questo motivo, grande solidarietà si esprime non solo ad Enzo Vanzan - poiché si trova ad essere vittima di una violenza dopo aver subito un lutto che, in genere, è difficile da superare -, ma anche al collega Ascierto, al di là delle posizioni politiche che, in altri momenti, ci vedono anche contrapposti. Ciò proprio a testimonianza di un valore che ci deve accomunare tutti (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Milanato. Ne ha facoltà.

LORENA MILANATO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario di Stato Rosato per l'informativa che ha testé reso. Si assiste, da qualche tempo, ad un'inquietante recrudescenza della violenza politica, in particolar modo nella nostra regione, il Veneto (si tratta di una regione vicina anche alla sua, signor sottosegretario). Ciò evoca i fantasmi di un passato violento che, ormai, credevamo sepolto per sempre. Particolarmente odiosa, però, è stata l'aggressione, avvenuta venerdì sera a Padova, contro l'onorevole Filippo Ascierto ed Enzo Vanzan, padre del lagunare ucciso, a Nassiriya, dai terroristi islamici.
Si tratta, per l'appunto, di un fatto vergognoso, e sembra che il massimo sacrificio che un genitore possa subire, vale a dire la perdita di un figlio, per qualcuno non valga assolutamente nulla. Ad Ascierto e Vanzan va la solidarietà delPag. 74gruppo di Forza Italia ed agli aggressori lo sdegno di tutta l'Italia seria ed operosa.
In particolar modo, vorremmo che nessuno minimizzasse ciò che è accaduto a Padova, perché tale aggressione, consumata da parte di alcuni gruppi no global molto presenti nella regione Veneto, non può essere bollata semplicemente come un atto vandalico o violento. Questo fatto deve far aprire gli occhi su una situazione che si sta creando nel nostro paese, con alcune frange di una sinistra più estrema che, in spregio non solo alla legalità, ma anche al semplice rispetto per le persone, agiscono indisturbate.
La violenza nei confronti di un avversario politico è sempre una cosa orribile - quindi, ribadiamo ancora la nostra solidarietà al collega Ascierto -, ma che vittima della violenza sia stato addirittura il padre di un nostro soldato, un ragazzo che ha indossato la divisa dell'esercito italiano, è ancor peggio. Oggi leggiamo ancora le dichiarazioni di quel leader dei gruppi dei centri sociali e dei no global veneti, il quale afferma che forse il signor Enzo Vanzan non era stato riconosciuto, che forse si trovava nel posto sbagliato o che, forse, si trovava nel posto sbagliato con le persone sbagliate.
Nel nostro paese - in particolare nel Veneto, come dicevo - si sta registrando questa preoccupante escalation di violenze, che vanno dalle aggressioni dei no global alle incursioni al convegno in cui era presente, come testé ricordato dalla collega, il ministro del lavoro, fino all'occupazione degli uffici della giunta regionale avvenuta oggi. Per l'intera giornata, infatti, tali uffici sono stati bloccati, non è stato permesso lo svolgimento dell'attività dell'amministrazione, vi sono stati danni materiali e, soprattutto, si sono riscontrati anche due feriti tra le forze dell'ordine.
Ovviamente, per me che sono padovana e veneta, viene naturale pensare anche che forse il bersaglio dell'aggressione è stato proprio l'onorevole Ascierto, in virtù del suo impegno a difesa delle forze dell'ordine e della sua battaglia sulla sicurezza, proprio per dare un significato politico ancora maggiore a questo gesto.
Quando le forze di una certa sinistra estremista scelgono la violenza politica, è ancor più necessario non solo il biasimo di prassi del Governo, ma anche l'assunzione urgente di scelte politiche che non siano equivoche. Deve esservi, quindi, la più totale condanna non solo con le parole, ma anche con i fatti di questo tipo di contestazioni.
Chiediamo all'Esecutivo, pertanto, che ripristini la legalità e la certezza del diritto e che non si mostri debole ed indulgente contro la violenza politica di questa sinistra. Non vorremmo infatti che oggi, di fronte a queste evidenti avvisaglie di violenza politica, si commettessero quegli stessi, tragici errori di sottovalutazione che si sono compiuti nel passato.
Per questa ragione chiediamo quindi un'azione forte e chiara del Governo, per reprimere la violenza e per perseguire con urgenza e senza nessun indugio i responsabili dell'aggressione [Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gasparri. Ne ha facoltà.

MAURIZIO GASPARRI. Prendiamo atto che, alla tempestività del Governo nel rispondere alla sollecitazione di vari gruppi, tra cui ovviamente il nostro, di fornire elementi su quanto si è verificato venerdì sera a Padova, non ha corrisposto però un intervento che ci possa soddisfare sul piano della convinzione della condanna di questo episodio. C'è stata una trattazione alquanto burocratica di questa vicenda allarmante. Alcuni colleghi hanno poc'anzi ricordato i commenti che, anche nelle ultime ore, alcuni esponenti dell'estrema sinistra hanno rivolto, sprezzanti e offensivi, nei confronti dell'onorevole Ascierto. Uno di questi esponenti dell'ultrasinistra, Casarini, ha detto che il signor Vanzan - al quale ovviamente, anche qui dalla Camera dei deputati, rinnoviamo la nostra piena solidarietà, oltre a rinnovarla al collega Ascierto, prima vittima di quella aggressione, e ai militanti della destra,Pag. 75anche della nostra organizzazione giovanile Azione Giovani, che sono stati aggrediti dagli esponenti dei centri sociali - si trovava nel posto sbagliato, con la gente sbagliata, quasi per addurre una sorta di giustificazione, dal tono assai infelice, che aggiunge all'aggressione nei confronti di persone di idee diverse l'ulteriore vergogna di un'aggressione ad una persona che dovrebbe essere rispettata ancora di più per ciò che rappresenta.
A Padova, purtroppo da tempo, direi da decenni, si assiste ad una costante violenza dell'estrema sinistra, ripresa negli ultimi tempi. Proprio l'onorevole Ascierto, che è ancora a Padova e con il quale mi sono sentito poc'anzi, mi confermava lo stato di degrado e di occupazione fisica di numerose zone della città da parte dell'estrema sinistra e di questi centri sociali. Tra l'altro, noto che Casarini non siede in questo Parlamento a sostegno della maggioranza attuale solo per una scelta sua personale, perché vi sono in quest'aula persone che con Casarini hanno condiviso comportamenti violenti e aggressioni nei confronti di persone di idee diverse. Quindi, forse è stato lo stesso Casarini a rifiutare un seggio, che certamente taluni gruppi gli hanno offerto, anzi così ricordo di avere ampiamente letto. C'è quindi una sottovalutazione complessiva nei confronti della violenza politica, di questo ritorno di violenza politica che si è manifestata in tanti episodi di aggressioni a giornalisti e scrittori che presentavano libri scomodi e ad esponenti della nostra parte politica di centrodestra che affrontavano argomenti non graditi (probabilmente non solo a Casarini, ma anche a questa maggioranza!).
Voglio cogliere questa occasione per ricordare che il 12 novembre ricorrerà il secondo anniversario delle drammatiche vicende di Nassiriya e dell'uccisione di numerosi militari. Non ci risulta che l'attuale Governo abbia assunto apposite iniziative di ricordo e di commemorazione. Anzi, nei giorni scorsi, quando si è sollevato questo problema, si è detto che nella ricorrenza dei morti tutto era ricompresso! Questo è un atteggiamento inaccettabile da parte del Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e Lega Nord Padania)!
Il giovane lagunare Vanzan non fu ucciso in quell'eccidio a Nassiriya, ma è caduto come altri militari a Nassiriya o in altre operazioni che sono state in questi anni promosse per esportare i diritti e la democrazia (che purtroppo perfino in Italia viene minacciata!). Dunque cogliamo questa occasione anche per rendere omaggio alla memoria di quel giovane lagunare che non cadde in quell'eccidio del 12 novembre, ma che morì in situazioni analoghe a quelle che si verificarono proprio a Nassiriya.
La nostra parte politica, non solo il mio gruppo parlamentare ma direi tutta l'area del centrodestra, ricorda quei militari e proprio il 3 novembre a Padova si è svolta un'iniziativa sgradita a taluni. Rendiamo anche atto agli operatori delle forze dell'ordine di avere individuato ed arrestato uno degli aggressori; tuttavia, riteniamo che le autorità politiche forse abbiano mostrato poca attenzione a questi episodi. Nelle ore precedenti, qualcuno aveva strappato dei manifesti proprio nei pressi della sala, peraltro pubblica, dove si è svolta la manifestazione alla quale ha partecipato il signor Vanzan, proprio per onorare le Forze armate.
C'è quindi un clima che non ci piace: il perdonismo, l'indulto...! Peraltro, mi pare che proprio in queste ore il Consiglio superiore della magistratura abbia denunciato la vanificazione di centinaia e migliaia di processi, conseguenza indiretta dell'indulto, di cui beneficieranno sicuramente anche coloro che danno luogo ad aggressioni che rientrano in questo tipo di fisiologia di reati, troppo facilmente perdonati.
Voglio infine ricordare che da parte di alcuni gruppi ci saranno iniziative per ricordare, il 12 novembre, i caduti di Nassiriya e anche uomini come Vanzan. È una vergogna che in Italia il padre di un eroe venga aggredito; questa è un'Italia che forse deve chiedere scusa. Credo che anche il Governo debba farlo con maggiorePag. 76convinzione, forse ripristinando qualche iniziativa di omaggio alle Forze armate.
Inoltre, voglio rinnovare la richiesta che proprio l'onorevole Ascierto ha rivolto al ministro dell'interno Giuliano Amato - e concludo, Presidente - di partecipare personalmente ad una riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza, che si svolgerà a Padova, dove i fenomeni dell'immigrazione clandestina e della violenza politica hanno assunto in questi mesi, con un'amministrazione locale - ahimè! - forse inadeguata, una particolare virulenza.
Manifestiamo tutta la nostra preoccupazione per quanto sta avvenendo e per le sacche di contiguità che anche nell'attuale maggioranza parlamentare questi movimenti violenti ottengono [Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, dico subito che il concetto principale che voglio esprimere in questa sede è la solidarietà mia e del mio gruppo nei confronti del signor Vanzan, che ritengo sia stato oggetto di una intollerabile aggressione, violenta, ingiustificata, che porta alla luce una idea dei rapporti umani e del rispetto dei sentimenti altrui assolutamente condannabile sul piano culturale, politico e morale. Voglio che arrivi al signor Vanzan l'espressione e la rappresentazione di uno sdegno profondo, che ho provato nel momento in cui ho letto di questa aggressione, e allo stesso modo voglio esprimere solidarietà al collega Ascierto per essere stato colpito da questa azione.
Voglio aggiungere una considerazione. Come diceva giustamente l'onorevole Amici, questo episodio, che fa parte di una costellazione, di una catena infinita di atti di violenza politica, ci pone un grande problema: l'incapacità della politica di ritrovare - o di trovare forse per la prima volta in Italia - luoghi, metodi, pratiche di confronto che rendano possibile il dialogo, la comunicazione, anche a partire da posizioni diversissime. Come i colleghi e le colleghe sanno, io sono stata e continuo ad essere avversa alla missione militare italiana in Iraq, ma questo ovviamente non mi impedisce di sentire con grande disagio e dolore l'affronto fatto al padre di un militare caduto in quella missione.
Credo che esista un blocco della comunicazione addirittura umana, che impedisce un confronto civile e porta poi a conseguenze assolutamente barbariche.
Quindi, rinnovo, anche a nome del mio gruppo, la solidarietà al signor Vanzan e mi auguro che il collega Ascierto non abbia conseguenze negative per l'aggressione subita.
Concludo sottolineando che l'impostazione un po' onnicomprensiva che ha espresso l'onorevole Gasparri non ci aiuta molto. Infatti, la questione della violenza politica va ben oltre le sacche presenti in certe parti della sinistra antagonista e dei centri sociali; ci sono episodi che si manifestano violenti e che hanno anche conseguenze letali che avvengono sotto altre bandiere. In realtà, abbiamo un problema politico, che esiste ancora nel paese e che andrebbe affrontato con capacità di dialogo e di confronto, analizzando come certe problematiche politiche vengano vissute sul territorio e dai soggetti.
Mi pare che un'impostazione come quella proposta dal collega Gasparri ci aiuti poco. Sostanzialmente, egli individua le colpe tutte da una parte ed attribuisce alla sua parte un profilo di vittima che non può essere attribuito soltanto ad essa: gli episodi sono molteplici (Commenti di deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale) ed hanno dislocazioni molto diverse, come le cronache anche recenti ci hanno dimostrato.

ELISABETTA GARDINI. Ma se avete dedicato l'aula a Giuliani! È chiaro da che parte state!

ELETTRA DEIANA. La collega può intervenire. Io ho concluso, signor Presidente. Grazie.

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PRESIDENTE. Grazie, onorevole Deiana.
Ha chiesto di parlare l'onorevole D'Agrò. Ne ha facoltà.

LUIGI D'AGRÒ. Signor sottosegretario, ho ascoltato con particolare attenzione la sua descrizione dei fatti.
Veda, signor sottosegretario, raccontare i fatti in quest'aula va bene. È stata anche meritoria l'azione della polizia. Tuttavia, sarebbe estremamente importante che il Governo si domandasse perché quei fatti si sono verificati e che fossero indicati, in qualche modo, una ragione ed un dato politico, allo scopo di affrontare il problema.
Conosciamo tutti, perché lo frequentiamo, l'onorevole Ascierto. Mi domando perché questa attenzione violenta nei suoi confronti. Forse perché, in questi anni, egli ha sempre preso a cuore le istanze, i valori e, in ogni caso, gli interessi delle forze dell'ordine? Credo che la domanda sia legittima quando viene attaccata l'operatività istituzionale di chi subisce violenza. Se quella che ho indicato è una possibile risposta, resta da vedere quali azioni il Governo vorrà intraprendere a tutela di parlamentari che sono esposti nella battaglia quotidiana.
Non conosciamo personalmente il signor Vanzan, nel senso che non abbiamo avuto modo di stringergli la mano, né di scambiare con lui alcune valutazioni. Allora, perché? Un perché potrebbe essere questo: perché il figlio è caduto in Iraq. Se è questa la risposta, la valutazione da parte del Governo deve essere, anche in questo caso, più puntuale. Capisco che ci sia la voglia di sfuggire e di collocare la violenza in una logica più ampia. Nella logica generale, però, si rischia di perdere la dimensione del caso specifico e, insieme, la possibilità di governare i processi reali con maggiore attenzione. Sono dell'avviso che il papà di Matteo Vanzan sia stato colpito proprio per materializzare un atto di contrarietà alla presenza italiana in Iraq e, peggio ancora, per offendere, ancora una volta, l'umanità di una persona già profondamente percossa a causa della perdita del figlio.
Signor sottosegretario, cercare le risposte ai suddetti perché ci impone di chiederci cosa sia capitato e cosa stia capitando nel nostro paese in questo periodo: un revisionismo dei dati storici impedisce agli uomini di cultura, ai letterati, di esprimere il loro pensiero in piena libertà e ministri della Repubblica sono sottoposti ad aggressione soltanto perché dissentono da quel radicalismo che affiora, talvolta, non solo negli ambiti parlamentari, ma anche nelle esternazioni politiche di parti di questo Governo. Per non parlare, poi, delle «attenzioni» indebite nei confronti delle istituzioni (mi riferisco a quanto già detto dall'onorevole Milanato a proposito dell'aggressione al luogo, all'istituzione regione, com'è avvenuto oggi)!
Tutto può essere giustificato. Anche in quel caso vi sono dei motivi: quelli della precarietà e della mancata risposta - mi viene detto -, ma non possono essere queste le giustificazioni che vanno ad ammantare di moralità gli atti di violenza. Ed è questo il tema drammatico per il quale il Governo dovrebbe dichiarare fino in fondo e con precisione, e non soltanto in maniera burocratica, la propria indisponibilità a leggere gli eventi e i fatti in chiave soltanto letteraria e non invece anche in chiave di valutazione politica.
Mi associo ai colleghi che hanno avuto parole di solidarietà nei confronti del collega Ascierto, e lo faccio a nome dell'intero gruppo cui appartengo. Vorrei però rivolgere un saluto particolare ad Enzo Vanzan, perché in un paese civile, che ha rispetto dei valori, della bandiera, del 2 novembre, del 4 novembre e dei simboli della civiltà della propria patria, non può esservi alcuna giustificazione: un atto di grande solidarietà e di profonda amicizia va rivolto a quest'uomo che, in solitudine, stava andando a testimoniare, in fin dei conti, solidarietà e attenzione per altri colleghi di suo figlio in luoghi così lontani come l'Iraq (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia,Pag. 78UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Alessandri. Ne ha facoltà.

ANGELO ALESSANDRI. Innanzitutto, vorrei esprimere la piena solidarietà da parte del gruppo della Lega Nord Padania al collega Ascierto e, soprattutto, al padre di Matteo Vanzan, Enzo. Mi trovo però in difficoltà perché vedo i banchi dell'estrema sinistra completamente vuoti e credo che questo sia un messaggio politico della tensione, della voglia di chiarezza e anche delle tensioni politiche che governano questa maggioranza, in particolare l'estrema sinistra.
Ci hanno fatto ascoltare le dichiarazioni di una simpatica onorevole, che però ci ha detto tutto e il contrario di tutto. Penso invece che sia importante partire dal fatto avvenuto, ricordare gli avvenimenti, svolgere una considerazione ed anche una conclusione su questa vicenda, e cercherò di farlo in cinque minuti.
È stato picchiato il padre di un eroe, di un ragazzo che svolgeva il suo dovere di lagunare, che è partito sicuramente convinto di andare a svolgerlo per il proprio paese: è morto. In questo paese mi trovo in difficoltà, poiché provengo da una provincia e da una terra, Reggio Emilia, dove ci hanno insegnato fin da piccoli che non vi sono morti di serie A e morti di serie B, che non vi sono ragioni solo da una parte e dove ci hanno spiegato fino a stancarci come sia nato il fascismo. Onestamente, pensare che vi sia qualcuno che esprime le proprie idee tranquillamente e in modo democratico, che viene malmenato e picchiato e che poteva rischiare anche qualcosa di più: questo è «fascismo»...!

ELETTRA DEIANA. Sono d'accordo!

ANGELO ALESSANDRI. Nacque così! La considerazione da svolgere è che questo Parlamento, ma anche il Governo che ne ha la responsabilità, non deve giocare al gioco delle tre carte, ma deve fare ciò che veniva spiegato bene oggi riguardo a quanto avvenuto con il ministro Damiano, alle istigazioni che avvengono a Bologna con Cofferati ed a ciò che accadde con Marco Biagi: nessuno si è mai voluto veramente accollare la responsabilità di un omicidio verificatosi nell'ambito di un clima di terrorismo totale, di cui qualcuno politicamente un minimo di responsabilità dovrebbe comunque assumersi.
Se non fermiamo queste persone, il pericolo è che il fascismo dilaghi, che continuino a fare impunemente ciò che vogliono. Gli regalate anche l'indulto, così sono anche tranquilli! Qualcuno da quei banchi dichiarò che fu una liberazione di prigionieri: 7 mila prigionieri dei centri sociali rilasciati; e per fare cosa? Diventa poi facile capirlo e il messaggio politico viene dato in modo del tutto negativo. E non vorrei che questo Governo e questo Parlamento facessero poi una sorta di Aventino e di fronte a questa escalation di criminalità, chiudessero gli occhi.
Oggi ricordiamo l'aggressione al palazzo regionale del Veneto, come quella a Vanzan, come la pseudo aggressione al ministro Damiano, che ha fatto scalpore perché avvenuta contro una parte politica che dovrebbe essere - in teoria - amica, ma non dimentichiamo l'aggressione di pochi giorni fa con Otello Montanari, ex parlamentare, quella di Pansa, che ha provato a dire qualcosa di diverso (e la sinistra di solito fa fatica ad aprire le orecchie: ne apre una, e ne chiude un'altra!). Hanno svolto aggressioni dopo Biagi contro tutte le sedi - mi ricordo - della Lega Nord. Sono stato per alcuni anni nel programma di protezione per le Brigate rosse e vi erano i centri sociali che inneggiavano.
Non ho mai dimenticato la frase: «Dieci, cento, mille Nassiriya»!
Questa parte politica non ha mai detto nulla, ma è rimasta sempre in silenzio. Io sono stato oggetto di aggressioni da parte di molti centri sociali, ma mai che un politico di sinistra avesse detto: sono compagni che sbagliano! Almeno questo mi sarei aspettato! Di fronte ad una classePag. 79politica di sinistra che tace e che fa finta di niente, per forza i delinquenti continuano a prosperare e ad andare avanti!
Diciamo «basta» e questo episodio ci deve spingere a dire: chi va a fare gli espropri proletari, chi distrugge il bene altrui, chi mette a soqquadro una città, chi continua a non rispettare le regole, chi continua a fregarsene anche semplicemente delle regole di convivenza sociale e politica deve essere fermato! Ma tocca a voi dirlo, non a noi!
Siamo di fronte a due sinistre: quella di Governo, che vorrebbe provare a governare ma non sa mai cosa fare, e quella di piazza che vi sta scappando di mano, che sta diventando squadrismo e fascismo rosso. Assumetevi, per una volta, la responsabilità!
Dico molto onestamente, avendo subito svariate minacce, che sono preoccupato. Vi è una frase che tutti conosciamo: «Io non condivido le tue idee, ma sono pronto a morire perché tu le possa esprimere». Non vorrei che vi fosse gente, che viene tutelata o quanto meno non perseguita in questo paese, che parafrasasse questa frase e la traducesse in tal senso: «Io non condivido le tue idee, ma sono pronto ad accopparti perché tu non possa esprimerle»!
Se facciamo passare questo, allora lo Stato è finito! È finita la convivenza! È finito questo Parlamento! È finito questo Governo e ci troveremo di fronte ad un'emergenza che poteva essere in qualche modo fermata, ma che stiamo alimentando!
Parisi ha pronunciato una frase che ho già ripetuto quattro volte in quest'aula: «Guai ad un popolo, ad un Parlamento, ad un Governo che si scorda il proprio passato, perché vuol dire che non ha imparato niente e vive nel terrore o nell'ignavia del presente! Quello è un popolo che non può avere un futuro»!
Io sono in questo Parlamento per cercare di dare un futuro a questo popolo, al mio popolo, in particolare, per cui lotto. Mi piacerebbe che, da parte di chi ha delle responsabilità, finalmente si dicesse: basta, fermiamoli (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania, Forza Italia e Alleanza Nazionale)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Donadi. Ne ha facoltà.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, vorrei innanzitutto aggiungere le mie parole di solidarietà al partito di Alleanza Nazionale: non parole di circostanza o dovute, ma parole convinte, perché credo anch'io che non sia stato un caso che questo episodio sia accaduto proprio al collega Ascierto: un collega che da sempre si batte perché alle Forze armate e alle forze dell'ordine vengano riconosciuti i diritti, il ruolo di grande forza democratica che spetta loro in un paese come l'Italia. Allo stesso modo, è difficile non vedere un collegamento nella presenza di Enzo Vanzan, padre di Aldo, caduto a Nassiriya.
Siamo convinti e fermamente determinati nell'affermare in questo paese il ruolo, l'importanza e la dignità delle Forze armate e delle forze dell'ordine. Per questo, noi crediamo che, al di là del fatto umano, esista anche un fatto politico ugualmente significativo. Non è tollerabile ciò che è successo!
Signor sottosegretario, credo che l'episodio non sia casuale. È da anni che, purtroppo, in Veneto una certa frangia, da lei definita di intolleranza politica, a mio avviso, della criminalità o del non rispetto sistematico delle regole, utilizza la politica come strumento per esprimere la sua pulsione completamente antisistema e antidemocratica.
Si è troppo tollerato il crescere di questo fenomeno! Vi è stata troppa copertura politica; vi è stato troppo silenzio e addirittura da parte di certe forze politiche si è arrivati letteralmente a «coccolare» questa realtà. Questo è il prezzo che poi si paga!
Quello che succede oggi è il frutto non di qualcosa di sporadico o di casuale, ma di un atteggiamento non accettabile, non tollerabile che la politica di centrosinistra troppe volte ha tenuto nei confronti diPag. 80forme che sono e restano esclusivamente criminali.
Per questo motivo, il Governo dovrebbe, con determinazione, convinzione e atti concreti, che, indubbiamente, non sono e non saranno mai quelli dello scambio di prigionieri, che pure qualcuno in quest'aula o fuori ha invocato in occasione dell'indulto, ma quelli della certezza della pena, dell'inflessibilità nei confronti di chi mette in discussione i valori fondamentali della convivenza civile, fornire delle risposte a quest'Assemblea ed a tutto il paese!
Crediamo in questi valori profondamente e speriamo che possano diventare patrimonio di tutto il centrosinistra, perché la legalità, le Forze armate e le forze di sicurezza che garantiscono le libertà ed il benessere di tutti cittadini italiani non possono e non debbono essere (mi dispiace, ma su molte cose che ha detto non concordo con la collega Deiana) patrimonio di una parte contro il patrimonio dell'altra, perché sono patrimonio di tutti i cittadini italiani. Noi ci batteremo sempre per difenderli (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori e di deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, vorrei in primo luogo ringraziare il rappresentante del Governo, il sottosegretario Rosato, per aver tempestivamente accolto l'invito a riferire sollecitamente in Assemblea sul grave episodio, avvenuto il 3 novembre scorso, a Padova e di averlo fatto in termini pienamente adeguati, a differenza di quanto sostenuto dal collega Gasparri, che ha parlato di trattazione burocratica allarmante.
Vorrei anche esprimere, da parte di tutto il gruppo, come del resto ho già fatto in altre circostanze analoghe (a cui forse il collega Alessandri non ha avuto occasione di partecipare) la solidarietà con chi è stato vittima di questo episodio di aggressione, il signor Enzo Vanzan, padre del caporale Matteo Vanzan, morto in Iraq, ed il collega Filippo Ascierto, che legittimamente porta avanti le proprie posizioni politiche in modo democratico, anche quando (molte volte lo abbiamo visto in quest'Assemblea) non le condivido. Proprio nello spirito positivo di una frase evocata a rovescio, mi batto perché chi ha idee diverse dalle mie le possa liberamente esprimere.
Ho condiviso totalmente l'intervento della collega Amici ma, avendo ascoltato altri interventi in Assemblea, posso dire che è stata persa un'occasione - anche se non si tratta di una grande occasione - in cui in quest'aula, come è avvenuto in altri casi positivamente, si sarebbe potuto trovare unità nella solidarietà nella denuncia dell'episodio, evitando inutili e sbagliate strumentalizzazioni politiche.
Ho sentito il collega Gasparri evocare il «perdonismo» dell'indulto, forse dimenticando che l'indulto è stato votato dall'intero gruppo di Forza Italia e dall'intero gruppo dell'UDC...

MAURIZIO GASPARRI. Non da noi!

MARCO BOATO... oltre che dal centro sinistra...

MAURIZIO GASPARRI. Siamo sempre stati contrari!

MARCO BOATO. Non l'ho interrotta, collega.

MAURIZIO GASPARRI. Fai la lezione a qualcun altro!

MARCO BOATO. Ho sentito parlare di «trattazione burocratica allarmante» da parte del Governo e mi sono appuntato le frasi del sottosegretario Rosato. Egli ha espresso la più ferma riprovazione e condanna da parte del Governo e, ha aggiunto, anche sua personale, ovviamente, per l'inqualificabile episodio. Ha confermato la forte determinazione del Governo a contrastare, senza esitazione, ogni forma di violenza e d'intolleranza a fine politico.
Evidentemente, non vi è peggior sordo di chi non vuole neppure ascoltare espressioniPag. 81di solidarietà, che vengono tempestivamente rivolte in quest'aula a chi è stato vittima di un'aggressione, e di denuncia di qualunque episodio di violenza politica.
È sbagliato - lo ha fatto anche la collega Milanato e mi dispiace - strumentalizzare episodi di questo tipo contro la sinistra (Commenti del deputato Gasparri). È sbagliato, collega Alessandri, affermare che i banchi vuoti dell'estrema sinistra sono vuoti, quando su quelli dei rappresentanti di Alleanza Nazionale vi è un solo deputato, forse due, ed è un collega che è stato anche vittima di questa aggressione (Commenti del deputato Gasparri). Si tratta di penose e ridicole strumentalizzazioni.
Resta da parte mia e del gruppo cui appartengo il ringraziamento al Governo per la tempestività dell'intervento e la conferma non solo della solidarietà verso chi è stato vittima di un'aggressione assolutamente inaccettabile, ma l'impegno contro qualunque forma di violenza politica (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi, L'Ulivo e Popolari-Udeur).

MAURIZIO GASPARRI. Che grande intervento!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fabris. Ne ha facoltà.

MAURO FABRIS. Signor Presidente, intervengo a nome del mio gruppo anche per ringraziare il Governo per aver risposto immediatamente alla richiesta avanzata da alcuni gruppi oggi pomeriggio, nel corso della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, di rendere un'informativa sui vergognosi fatti verificatisi a Padova venerdì scorso.
Naturalmente, ci uniamo alle espressioni di sdegno per la vergognosa aggressione di Padova ed esprimiamo, ovviamente, al collega Ascierto tutta la nostra vicinanza e la nostra solidarietà politica, così come la esprimiamo al padre di Vanzan.
Tale vicenda odiosa è capitata a Padova, una città che, purtroppo, da decenni vede la destra e la sinistra darsele di santa ragione (per chiamare le cose con il loro nome) e che ha visto episodi intollerabili susseguirsi negli anni. Tali episodi oggi rischiano di ripetersi.
Come giustamente ha affermato il collega Boato, credo che questa occasione ci debba portare a riflettere con calma sulla necessità, avvertita da tutti, di evitare che si ricrei, non solo in quella città ma più in generale in Veneto e in tutta Italia, quel clima che purtroppo ognuno di noi ha toccato con mano nei cosiddetti anni della tensione politica, quelli che hanno visto la città di Padova, e non solo, travolta dagli opposti estremismi, dalle dure guerre combattute tra le diverse ed opposte fazioni politiche.
Tuttavia, signor sottosegretario, ci saremmo aspettati che oggi il Governo in questa sede - l'ho detto anche in Conferenza dei presidenti di gruppo - rispondesse anche sul rischio che si corre in Veneto rispetto al ricrearsi di un clima pericoloso.
Dopo le vicende che hanno coinvolto il ministro Damiano il 3 novembre e dopo l'aggressione che si è verificata oggi presso la giunta regionale (anche in questo caso, esprimiamo la nostra solidarietà al ministro, alla giunta regionale ed ai poliziotti coinvolti nei fatti di Venezia, in occasione dell'aggressione a Damiano e in quella dell'assalto alla giunta regionale), ci aspettiamo dal Governo - lo dico chiaramente - una risposta rispetto ad alcuni proclami, riportati in questi giorni sui giornali del Veneto, di un professionista della rivolta. Mi riferisco a Casarini, il quale ha dichiarato con molta chiarezza che per i movimenti è ripresa una nuova stagione di lotta.
Allora, se questa è la nuova stagione di lotta che annuncia Casarini, credo che lo Stato non possa rimanere fermo ad aspettare che capiti qualche altro fatto, magari ancora più grave. Casarini e i suoi compagni, con qualche copertura di troppo anche all'interno della giunta comunale di Venezia, annunciano già alcuni appuntamenti, come quello del 2 dicembre a Vicenza contro il previsto ampliamento della base americana. Annunciano nuove violenze e nuovi attacchi alla legalità, alloPag. 82Stato, alla civile convivenza e al diritto di ognuno di esprimersi liberamente e di testimoniare il proprio credo, in questo caso politico.
Signor sottosegretario, come rappresentante di un partito di maggioranza, sottolineo che la questione non va ridotta a un episodio. La collega Deiana non ha capito nulla di quello che sta capitando in Veneto. Glielo dico con molta chiarezza. Oppure, l'ha capito e non lo vuole ammettere (Applausi di deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
Allora, da questo punto di vista, siccome la maggioranza ha una sua articolazione, per quanto ci riguarda non abbiamo mai dato copertura a simili episodi e non intendiamo farlo. Vogliamo anche avvisare la maggioranza e il Governo che, in questo caso, deve dimostrare un atteggiamento diverso rispetto a quanto sta capitando in Veneto in maniera molto concreta, chiara e netta.
Personalmente, il fatto che Casarini dica che non ci considera un Governo amico mi fa solo piacere. Non vorrei che qualcun altro pensasse di seguirlo su quel terreno, perché questo non è il terreno su cui saremo disposti a seguire chi volesse rincorrere questo tipo di atteggiamenti politici.
Pertanto, signor sottosegretario, le chiedo non solo di tornare in quest'aula a riferire anche sugli altri fatti (mi riferisco, ad esempio, all'assalto alla giunta regionale del Veneto), come alcuni gruppi hanno già chiesto, ma di dire in maniera molto chiara in quell'occasione, più in generale, come il Governo intenda atteggiarsi rispetto a ciò che sta accadendo in Veneto.

ANTONIO LEONE. Verrà in aula il sottosegretario al lavoro!

MAURO FABRIS. Sempre il noto Casarini dichiara che, se in altre parti d'Italia i movimenti sono stati ricondotti ad una logica più politica, in Veneto - anzi, più in generale, nel Nord Est, che lei conosce molto bene - ciò non accadrà.
Allora, non possiamo rimanere silenti. Credo che ciò debba essere oggetto di una profonda e seria riflessione da parte del Governo. Purtroppo, vi sarà l'occasione per farlo, poiché quest'ultimo è stato chiamato a riferire sulla vicenda che ha coinvolto la giunta regionale del Veneto. La invito, in maniera molto chiara, a dire cosa il Governo intenda fare - non solo in Veneto - per tutelare il diritto di ognuno a testimoniare le proprie idee politiche, per garantire a tutti la libertà e per garantire che, come è già capitato, non siano pochi con la copertura di taluni a impedire ad altri di testimoniare ciò in cui credono (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur e di deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Onorevole Fabris, in relazione alla sua richiesta, desidero informarla che domani, alle 14, si svolgerà un'informativa urgente del Governo sugli episodi di violenza occorsi durante una manifestazione di protesta di lavoratori del Petrolchimico di Porto Marghera presso la sede della regione Veneto.

ANTONIO LEONE. Chi viene a riferire, Presidente?

PRESIDENTE. Il Governo non ha ancora comunicato il nominativo del suo rappresentante designato a rendere l'informativa.

ANTONIO LEONE. Si dice che dovrebbe venire il sottosegretario al lavoro: che c'entra il sottosegretario al lavoro?

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Nardi. Ne ha facoltà.

MASSIMO NARDI. Signor Presidente, sono qui ad esprimere, a nome della Democrazia Cristiana e del Nuovo Partito Socialista, la più ampia solidarietà all'onorevole Ascierto e al signor Vanzan e, nel contempo, sono anche qui ad esprimere la più ferma condanna per un fatto che, a mio giudizio, è di una gravità incredibile.
Tale gravità deriva non tanto e non solo dal fatto che alcuni facinorosi, più o meno inquadrati in un organismo di estremaPag. 83sinistra, hanno compiuto un atto deplorevole, ma dal fatto che è stato aggredito un parlamentare della Repubblica, una persona che si è sempre spesa a favore e a sostegno delle forze dell'ordine - quasi che si volessero colpire le forze dell'ordine - e soprattutto perché si è colpito il padre di un soldato morto a Nassiriya.
Cosa avrà pensato quel genitore, che ha dato alla patria il proprio figlio, che è stato picchiato per aver fatto ciò? Cosa possono aver pensato tutti gli altri genitori che hanno avuto un figlio caduto in guerra? Qual è il ringraziamento del popolo italiano? Infatti, a seguito di quel gesto, sembrerebbe quasi che esista una parte di italiani che pensa di dover picchiare i propri eroi.
Ciò ingenera in ognuno di noi un'emozione fortissima. Ho immaginato di essere padre in quella condizione e mi sono domandato cosa avrei provato e cosa avrei voluto facesse lo Stato a fronte di tale avvenimento. Credo che avrei voluto segnali forti e non più soltanto parole.
Voglio ringraziare i rappresentanti della maggioranza che, almeno in quest'aula, hanno voluto esprimere la loro solidarietà al padre del nostro soldato e all'onorevole Ascierto. Voglio ringraziarli perché attraverso la loro dichiarazione immagino che, una volta per tutte, abbiano assunto una posizione importante per dire al paese che occorre voltare pagina.
Allora, non bastano le discriminazioni tra destra e sinistra, non basta il tentativo di voler coinvolgere nell'eventuale critica frange estreme di destra per giustificare quanto accade a sinistra. Bisogna prendere posizione insieme, cominciando a condannare non soltanto quanto accaduto a Padova o nel Veneto, ma anche quando parlamentari o rappresentanti delle istituzioni irrompono insieme a dei facinorosi nelle sedi istituzionali o quando si spaccano vetrine! È allora che vorrei sentire dai banchi della sinistra: condanna, condanna, condanna! Purtroppo, quando ciò accade, si registra un silenzio assordante, si cercano giustificazioni per quanto avvenuto. Se non vi è la condanna, il risultato è l'assenso, la condivisione di una lotta politica fatta di imposizioni e di violenza.
Allora, non possiamo più lamentarci se la politica sta diventando quello che sta diventando, se davanti ad azioni emergono reazioni. Occorre che tutti insieme diciamo basta all'illegalità ed impariamo a riconoscere coloro che dell'illegalità fanno un proprio cavallo di battaglia e che fanno della violenza il proprio scudo!
Noi siamo democristiani, siamo parlamentari, siamo gente che vuole difendere e valorizzare questa Italia. Se non lo facciamo tutti insieme - è inutile che ci diciamo tante belle cose -, l'Italia finirà per diventare un campo di battaglia. Non ci venite a dire che voi non facevate parte di questa guerra!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Reina. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il rito che stasera compiamo, per la verità, non è molto dissimile da quello posto in essere quando ci si ritrova a commemorare la tragica e cruenta scomparsa di uomini e donne che hanno testimoniato e lasciato un segno positivo nella vita del paese; quando, cioè, alla morte violenta - che è il più grave degli oltraggi che può essere compiuto verso la persona umana - vogliamo opporre la vividezza e la forza della nostra coscienza civile. Tuttavia, un paese che non onora i propri martiri è un paese senza memoria, e chi è senza memoria - o, peggio, la rinnega - esce dal percorso della storia dell'uomo. Nell'aggressione perpetrata c'è tutta la debolezza e, insieme, l'infamità di una cultura che si pone al di fuori di ogni forma di rispetto dell'uomo e dei suoi bisogni, materiali e spirituali. L'oltraggio non è rivolto al concetto astratto della patria nella sua più comune accezione, ma all'intera comunità nazionale, che nel complesso dei suoi valori identificativi, così come conclamati dalla Carta costituzionale, esalta il valore della vita umana come l'epicentro di tutti gli interessi da salvaguardare con priorità assoluta.Pag. 84
Per tali ragioni, non può esistere una violenza politica, di qualunque colore essa possa essere epitetata, poiché ogni forma di violenza non può che negare in nuce la politica. Noi dobbiamo ergerci a difensori di questo principio, se vogliamo essere coerenti con noi stessi e con ciò che rappresentiamo in questa sede e fuori da questa sede.
Anche noi del Movimento per l'Autonomia esprimiamo solidarietà alle persone che sono state oggetto di questa aggressione, ma non siamo convinti - e lo diciamo con tutta franchezza - che si tratti di un'aggressione «colorata» proprio per le cose che ho appena detto. È un'aggressione che deve farci riflettere perché nel paese si sta lentamente ingenerando una forma di non rispetto verso alcuni valori che un tempo hanno legato l'identità della nazione e della comunità nazionale.
Stiamo lentamente scivolando lungo una china dalla quale possiamo non riuscire a venir fuori: la china della non identificazione come popolo, come nazione.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIUSEPPE MARIA REINA. Abbiamo il dovere di combattere contro tutto questo e non semplicemente rifugiandoci nel facile qualunquismo - che vuole che la violenza sia di destra, di sinistra, di centro o di quant'altro -, ma soltanto esaltando i valori della politica e insegnando ai nostri giovani, anzitutto nelle scuole ma ancor prima nelle famiglie, ad avere un rispetto sacrale per la vita, soprattutto per l'altrui vita e per l'altrui libertà (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Movimento per l'Autonomia, Forza Italia e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo, a conclusione della quale consentite anche a me di associarmi alle espressioni di solidarietà nei confronti del collega Ascierto e del signor Vanzan per la grave aggressione subita e alla ferma condanna dei loro aggressori.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 7 novembre 2006, alle 9:

(ore 9 e al termine dell'informativa urgente del Governo)

1. - Discussione congiunta dei disegni di legge:
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) (1746-bis-A).
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2007 e bilancio pluriennale per il triennio 2007-2009 (1747).
- Relatori: Ventura, sul disegno di legge 1746-bis-A e Piro, sul disegno di legge 1747.

(ore 14)

2. - Informativa urgente del Governo sugli episodi di violenza occorsi durante una manifestazione di protesta di lavoratori del petrolchimico di Porto Marghera presso la sede della Regione Veneto.

La seduta termina alle 19,55.

INTERVENTI DEI DEPUTATI FRANCO CECCUZZI ED ERMANNO VICHI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1808

FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo il provvedimento all'esame dell'Aula prende, certamente, le mosse dalla necessità di dare esecuzione immediata ad una sentenza della Corte di giustizia dello scorso 14 settembre e che il Governo ha prontamente affrontato conPag. 85una riunione straordinaria, del Consiglio dei ministri, che si è tenuto l'indomani, 15 settembre.
Un'assunzione di responsabilità che mette il Parlamento in condizione di esaminare una soluzione ordinata per gestire le domande di rimborso che verranno presentate dai contribuenti, in attesa di affrontare e risolvere il problema a regime.
Vorrei sottolineare che, pur trattandosi di gestire l'ennesima pillola avvelenata lasciata in eredità dal Governo precedente, il disegno di legge da oggi all'esame dell'Aula può, legittimamente, essere inserito in una nuova attenzione che il nostro paese sta mostrando, dopo il cambio di governo, rispetto alla dimensione europea ed internazionale della politica fiscale.
Richiamo il quadro generale e gli obiettivi dell'attività di governo per sottolineare come il modo migliore per evitare in futuro tali incidenti, assai onerosi per le casse dello Stato, e forieri di disagi per i cittadini - che a me non piace chiamare contribuenti - sia quello di lavorare con maggiore convinzione di quanto non abbia fatto il Governo precedente sul terreno dell'integrazione delle politiche fiscali.
Lo scorso 12 ottobre il Viceministro dell'economia e delle finanze, onorevole professor Vincenzo Visco, nel corso dell'audizione presso le Commissioni finanze di Camera e Senato, ha infatti affermato che per il Governo italiano la regolazione sopranazionale delle relazioni fiscali è uno dei capitoli principali della sfida dell'integrazione europea. L'approvazione di normative comuni a livello europeo e, quanto meno, la cooperazione fiscale tra Stati deve consentire di ridurre la «competizione fiscale dannosa», come viene definita nel linguaggio della Commissione Europea.
Va nella giusta direzione il progetto di introduzione di una base imponibile comunitaria comune per la tassazione del reddito delle società. Tale soluzione comporterebbe notevoli vantaggi, tra cui una minore necessità di fare ricorso a regimi anti-elusivi all'interno della Ue. La competizione fiscale diventerebbe più trasparente, in quanto si sposterebbe dalla definizione della base imponibile per concentrarsi sulle aliquote e sulla concessione di crediti d'imposta e trasferimenti. Il Viceministro Visco ha concluso ribadendo l'impegno del Governo italiano affinché il tema del contrasto alla competizione fiscale dannosa torni al centro dell'agenda della Commissione Europea e del Consiglio. «Il decreto - ha spiegato lo stesso Visco - è stato quindi varato per evitare che si andasse a un disordinato meccanismo di autocompensazione. Si è intervenuti con un decreto di urgenza in relazione a una sentenza arrivata a ridosso di una scadenza tributaria».
Il flusso di risorse che sfugge alle casse degli erari dei 25 paesi Ue è ingente. Secondo le stime della Commissione Europea l'evasione fiscale si assesta tra il 2 ed il 2,5 per cento del Pil europeo, pari ad una cifra che oscilla tra i 200 ed i 250 miliardi. Si tratta molto probabilmente di una sottostima per larghissimo difetto, dal momento che una cifra di questo tipo potrebbe prodursi soltanto in un solo paese dei 25 e precisamente nel nostro.
Nei primi sei mesi di attività il Governo italiano si è distinto con due provvedimenti: l'adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia di detraibilità dell'IVA, oggi in discussione e lo schema di decreto legislativo recante il regime fiscale comune delle società madri e figlie, di recepimento della direttiva 2003/123/CE del Consiglio, che modifica la direttiva 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, sul quale la Commissione finanze ha già espresso il parere favorevole.
Il solo adeguamento della nostra legislazione a quella dell'Unione europea relativamente ai due provvedimenti suddetti è assai consistente ed aumenta l'indebitamento con il quale questo Governo si è dovuto misurare, per oggettiva responsabilità di quello che lo ha preceduto.
Il recepimento della normativa sulle società madre e figlia - gli ultimi paesi rimasti sono Italia e Lussemburgo - producePag. 86conseguenti minori entrate, stimate in 16 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006 e 2007, in 13 milioni di euro per l'anno 2008, e in 23 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009.
L'interpretazione errata delle norme comunitarie, peraltro, può costare molto cara, e soprattutto in campo fiscale dove si gioca una consistente fetta del livello di competitività di un paese.
È questo il caso della suddetta sentenza che comporta - secondo la nota di aggiornamento del Dpef - un minor gettito stimato in circa 3.700 milioni di Euro per il 2006, ed in ragione della competenza economica, maggiori oneri stimati in 13.400 milioni per il pagamento degli arretrati relativi agli anni 2003-2005.
Come si vede, le ripercussioni sul bilancio pubblico della sentenza sono pesanti e non eludibili, anche in considerazione degli effetti retroattivi. All'indomani della sentenza della Corte di giustizia è stato convocato d'urgenza il Consiglio dei ministri, proprio allo scopo di dare a quella sentenza immediata esecuzione e mettere subito i contribuenti interessati in condizione di sapere come devono comportarsi. È proprio a questo fine che è stato emesso il decreto-legge n. 258 la cui conversione, dopo l'esame del Senato, è oggi alla nostra attenzione.
Per inquadrare in maniera esauriente la congiuntura europea è necessario ripercorrere in sintesi le fasi che hanno portato alla sentenza, non soltanto per chiarirne meglio i caratteri d'urgenza ma anche per sottolineare ancora una volta che si tratta di una grave e perdurata inadempienza da parte del precedente Governo.
Il 29 ottobre 2004 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di proposte relativo all'ammodernamento del sistema IVA. Il testo comprende tra l'altro alcune proposte che semplificano gli obblighi di detraibilità, disciplinano il rimborso dell'IVA per i soggetti di imposta che risiedono in un altro Stato membro ed hanno come obiettivo l'introduzione di modalità di cooperazione tra le amministrazioni finanziarie nazionali coerenti con l'introduzione dello sportello unico.
Il pacchetto di proposte è stato esaminato dal Parlamento europeo in lettura unica il 7 settembre 2005. Il 7 giugno 2006 il Consiglio, nell'ambito della procedura di consultazione, ha deciso la continuazione dei lavori sugli altri elementi del pacchetto di misure IVA, allo scopo di giungere ad un accordo globale entro la fine dell'anno.
Lo scopo principale del pacchetto di proposte è quello di alleggerire l'onere amministrativo a carico dei soggetti che, in ragione della propria attività economica, devono assolvere obblighi IVA in un paese diverso da quello nel quale risiedono. A tal fine, tra l'altro, la Commissione ha preso in esame le spese per le quali non è possibile ottenere una detrazione totale dell'IVA, con l'obiettivo di ravvicinare le normative nazionali, che in proposito divergono notevolmente. La Commissione ha infatti individuato specifici capitoli di spesa, come ad esempio spese di divertimenti e di rappresentanza, spese relative a viaggi, alloggio, alimenti e bevande, diverse da quelle sostenute dal soggetto passivo nell'esercizio della sua attività che non necessitano di detraibilità.
Al contrario, le spese relative ai veicoli stradali a motore utilizzati nell'esercizio dell'attività professionale sono stati introdotte fra i costi detraibili.
Coerentemente con queste linee di indirizzo, il 16 marzo 2005 la Commissione europea ha inviato all'Italia una lettera di messa in mora in relazione al trattamento IVA applicato in Italia all'IVA detraibile assolta dai soggetti passivi non stabiliti nel territorio italiano prima della loro registrazione in Italia ai fini IVA.
I tempi per uniformare la normativa sono stretti: il 7 novembre prossimo 2006 è previsto l'accordo politico del Consiglio in vista dell'adozione definitiva della proposta.
Non possiamo quindi sottacere - cari colleghi - come quella sentenza fosse in realtà attesa e prevedibile, dopo che la Commissione si era pronunciata in modo chiaro sui limiti della detraibilità dell'Iva per le vetture aziendali, tanto che nella XIII legislatura, quella governata dal centrosinistra, per intenderci, l'Italia avevaPag. 87avviato subito le trattative per compiere un graduale rientro nella regola europea, stabilendo già nel 2001 una prima riduzione del limite di indetraibilità che, originariamente, riguardava il 100 per cento dei costi. Purtroppo quel percorso di rientro dei costi è stato completamente abbandonato nella legislatura successiva, ignorando anche la presentazione del ricorso alla Corte di Giustizia promosso, nel 2004, dalla Stradasfalti srl avverso l'Agenzia delle entrate, ufficio di Trento.
La sentenza ha affermato l'incompatibilità con il diritto comunitario delle disposizioni contenute nell'articolo 19-bis.1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, le quali stabiliscono l'indetraibilità dell'IVA relativa all'acquisto o all'importazione di ciclomotori, di motocicli e di autovetture e autoveicoli non adibiti ad uso pubblico o che non formino oggetto dell'attività propria di impresa, ovvero all'acquisto e all'importazione dei componenti e dei ricambi dei menzionati ciclomotori, motocicli, autovetture e autoveicoli.
La Corte di giustizia ha rilevato che tali misure risultano incompatibili con l'articolo 17, paragrafo 7 della direttiva del Consiglio 77/388/CEE («sesta direttiva del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari») in quanto, per le proroghe del regime di indetraibilità intervenute successivamente al 2000, non risulta essere stata osservata la procedura di consultazione del Comitato consultivo IVA prevista dall'articolo 29 della suddetta direttiva.
Inoltre è stato rilevato che la medesima disposizione della direttiva non consente ad uno Stato membro di adottare provvedimenti che escludano alcuni beni dal regime delle detrazioni di tale imposta senza limitazione temporale ovvero nel contesto di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico.
La sentenza riconosce pertanto il diritto di ottenere il rimborso dell'IVA versata e non detratta per gli anni successivi al 2000. La Corte ha inoltre escluso la possibilità di differire o limitare nel tempo gli effetti della sentenza.
In proposito, l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge prevede che, ai fini del rimborso, i soggetti passivi che fino alla data del 13 settembre 2006 hanno effettuato nell'esercizio dell'impresa, arte o professione, acquisti ed importazioni di ciclomotori, motocicli, autovetture ed autoveicoli, ovvero sostenuto spese per componenti e ricambi degli stessi (vale a dire i beni e i servizi indicati nell'articolo 19-bis.1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972) debbono presentare istanza di rimborso entro il 15 aprile 2007 (il termine è stato modificato nel corso dell'esame presso il Senato; il termine originariamente previsto era quello del 15 dicembre 2006).
A seguito di modifiche introdotte nel corso dell'esame al Senato, si prevede altresì che con il medesimo provvedimento possono essere stabilite differenti percentuali di detrazione dell'imposta per distinti settori di attività in relazione alle quali è ammesso il rimborso in misura forfetaria.
Resta comunque salva la possibilità di rimborso in misura superiore a quella forfetaria. Possono chiederlo i contribuenti che, pur avendo presentato l'istanza di rimborso prevista dal primo periodo, non aderiscono al regime forfetario stabilito a norma del quarto periodo, nonché i contribuenti che non presentano l'istanza di rimborso entro il termine del 15 aprile 2007. Essi dovranno presentare un'istanza agli effetti della presentazione dei ricorsi alle commissioni tributarie provinciali. La domanda di restituzione di tributi deve essere presentata, in mancanza di disposizioni specifiche, entro due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
Il comma 2 prevede che i rimborsi siano esclusi dalle procedure di detrazione e di compensazione tra debiti e crediti di imposta previste dal decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e dal decreto legislativo n. 241 del 1997.Pag. 88
Il comma 2-bis, aggiunto nel corso dell'esame presso il Senato, mira a ridefinire la disciplina complessiva della materia novellando l'articolo 19-bis. 1, comma 1, lettera c), del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, sull'indetraibilità dell'IVA sui veicoli aziendali, oggetto di censura da parte della Corte di giustizia europea. Relativamente a tali veicoli si prevede pertanto che l'IVA sia indetraibile nei limiti previsti dall'autorizzazione che sarà rilasciata dagli organi comunitari.
Il provvedimento al nostro esame assume, dunque, grande rilievo poiché si propone, com'è noto, di regolare il rapporto tributario tra una moltitudine di contribuenti, esercenti, attività di impresa e professionisti, e l'erario.
Se non fosse per l'enorme rilevanza dell'ammontare del debito erariale scaturito dall'accertamento giudiziale suddetto e se il contenuto del decreto non ponesse complessi problemi afferenti alla gestione del bilancio dello Stato, il provvedimento non meriterebbe estesi ed approfonditi commenti e valutazioni.
Infatti, il disegno di legge che siamo chiamati ad approvare si limita a regolare le modalità attraverso le quali rendere certi e liquidi i crediti dei contribuenti, a fissare un termine per la presentazione delle domande, a vietare compensazioni tra il credito pregresso e i debiti di imposta correnti, in tal modo affermando certezze a favore ed a carico delle imprese, dei professionisti e dello Stato.
In realtà, dietro il dato contenutistico del provvedimento, relativamente semplice, si nascondono le sopraindicate complesse problematiche, che è il caso di evidenziare in questo dibattito.
Innanzi tutto, credo meriti apprezzamento la tempestività con la quale il Governo ha inteso regolare la vicenda che è venuta a determinarsi nel modo predetto. Seppure sospinto dall'esigenza di evitare effetti dirompenti sulla finanza pubblica e possibili abusi derivanti dalla teorica possibilità di compensazione da parte dei contribuenti, l'intervento del Governo va sottolineato proprio perché esso è idoneo a definire i rapporti sorti antecedentemente alla sentenza, fissando tempi e procedure di riconoscimento dei crediti.
È sì vero che le pronunce interpretative di norme vigenti della Corte di giustizia hanno efficacia erga omnes, e sono quindi idonee a far sorgere diritti e comunque posizioni giuridiche qualificate, ma è altrettanto vero che dette sentenze non attribuiscono al cittadino l'automatica possibilità di ritenersi titolare di un diritto certo ed immediatamente esigibile, bensì legittimano gli stessi ad azionare la pretesa avanti al giudice italiano, che dovrà nel caso anche procedere all'accertamento della situazione sostanziale sottostante. È necessario comprendere che cosa accade quando la Corte europea si pronuncia perché questo di per sé spiega la necessità e l'urgenza alla base del decreto.
Quando la Corte di giustizia delle Comunità europee si esprime, dichiara il diritto europeo. Quando la regola nazionale è incompatibile prevale la superiorità del diritto europeo: una situazione che produce quindi conseguenze nell'ordinamento interno.
L'effetto non è quindi l'annullamento della regola giuridica nazionale, perché la Corte di giustizia delle Comunità europee non ha questo potere. Si tratta di una conseguenza che tecnicamente possiamo definire come appartenente ad una fattispecie di disapplicazione: vale a dire che il giudice nazionale, chiamato a risolvere una controversia, dovrà disapplicare la regola nazionale e applicare, invece, il principio di diritto europeo, come dichiarato dalla Corte di giustizia.
La conseguenza principale è che, a seconda dei casi, dopo la pronuncia della Corte può essere messa in dubbio la certezza del diritto. Il Governo ha voluto quindi tutelare il cittadino contribuente, dare immediata certezza al rapporto tra cittadino e fisco, cercando di evitare ogni sviante tentativo di interpretazione giuridica.
L'urgenza e la necessità del provvedimento stavano proprio in questo: dare certezza, tutelare il contribuente, rendere chiari i percorsi attraverso i quali si potevaPag. 89da subito aspirare a vedere applicata la regola così come dichiarata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee.
Ecco quindi che l'aver disposto una procedura ricognitiva del diritto non soltanto ha evitato immediati e negativi effetti sul bilancio dello Stato, ma ha anche permesso e permetterà ai numerosissimi contribuenti interessati di ottenere il rimborso, in moneta o mediante futura compensazione, senza essere costretti ad attivare una procedura giudiziaria.
Ed anche la già citata proroga per la presentazione di istanza di rimborso spostata al 15 aprile 2007 ed introdotta da Senato rappresenta una scelta precisa per venire incontro alle esigenze del cittadino che avrà più tempo a disposizione per richiedere il rimborso del credito. Un provvedimento che introduce un periodo più lungo e che recepisce, tra l'altro, un suggerimento dalla stessa Commissione dell'Unione Europea.
Si è prodotto dunque un ampliamento, ovvero un giusto riconoscimento e non un restringimento, come è stato sostenuto da rappresentati dell'opposizione, dell'interesse dei diritti dei contribuenti, i quali potranno ottenere in via amministrativa e senza dispendio di energie, di tempo e di denaro ciò che avrebbero potuto pretendere soltanto in sede giudiziaria.
In secondo luogo, è senz'altro utile rilevare che il Governo e il Parlamento stanno facendo buon uso del loro potere di legiferare anche relativamente alla corretta appostazione in bilancio dell'onere finanziario scaturito dalla sentenza di cui ci stiamo occupando.
È stato sconcertante, anche in questa occasione, il comportamento delle forze di minoranza che hanno caratterizzato i lavori parlamentari con interventi demagogici e strumentali pretendendo di sostenere i diritti di quei cittadini a cui avevano precedentemente negato la detraibilità.
È stato inoltre sostenuto e contestato da parte dei colleghi dell'opposizione, nel dibattito al Senato, che il Governo prima e il Parlamento dopo avrebbero dovuto individuare immediatamente una fonte di copertura dell'onere finanziario, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione e della legge di contabilità; così non è per le ragioni che sono state già sostenute dalla maggioranza in Commissione bilancio al Senato e che qui è il caso di riaffermare sinteticamente.
Ipotesi come quella di cui ci stiamo occupando sono esattamente previste e disciplinate dalla legge di contabilità, che al comma 7 dell'articolo 11-ter prevede, appunto, che nel caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali, recanti interpretazioni della normativa vigente, suscettibili di determinare maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, il ministro dell'economia e delle finanze riferisce al Parlamento con propria relazione e assume le conseguenti iniziative legislative.
Si badi che detta procedura esclude l'obbligo di prevedere apposita copertura finanziaria, siccome i diritti che generano oneri a carico del bilancio dello Stato, accertati in sede interpretativa, giudiziale, devono ritenersi già riconosciuti dall'ordinamento e quindi non necessitano dell'emanazione di norme positive, attributive del diritto medesimo, nel quale caso, sì, occorrerebbe individuare la copertura, seguendo il normale iter di formazione delle leggi.
La ratio di tale norma di contabilità è evidente: il Governo e il Parlamento non possono rincorrere la giurisprudenza ogni volta che questa emana pronunce interpretative su norme generatrici di oneri a carico del bilancio dello Stato. Si determinerebbero, in tal caso, conseguenze aberranti e incidenti anche sull'autonomia costituzionale del Parlamento.
Allora, bene ha fatto il Governo a seguire la procedura disciplinata con il decreto; bene ha fatto a comunicare al Parlamento gli effetti finanziari della sentenza della Corte di giustizia nella sede propria, cioè con la Nota di aggiornamento al DPEF. Con essa, infatti, si è correttamente reso edotto il Parlamento dell'impatto finanziario della vicenda di cui ci stiamo occupando, stimato in 3,7 miliardi di euro per il 2006, e, in ragione della competenza economica, maggiori oneri stimati in 13,4 miliardi di euro, per il pagamento degli arretrati relativi agli anni dal 2003 al 2005.Pag. 90
Tale ingente onere ha effetti - e non potrebbe essere altrimenti - sull'indebitamento netto, che in tal modo viene a collocarsi al 4,8 per cento del PIL, con un aggravio rispetto alla precedente stima dell'1,2 per cento.
Si riconosce un diritto e i termini dei rimborsi non potranno che essere successivamente fissati, anche in ragione dell'esatta quantificazione dell'onere che scaturirà dalle domande che saranno presentate dai contribuenti; si disciplinano le modalità di presentazione delle istanze; si rileva l'impatto sul debito pubblico. Non si vede cos'altro il Governo avrebbe dovuto fare e non ha fatto.
Le attuali opposizioni dovrebbero spiegarci perché il Governo Berlusconi non ha inteso mantenere l'impegno, che fu assunto in sede comunitaria nel 2000, di riesaminare la misura limitativa di cui stiamo discutendo a partire dall'anno 2001, modificando il regime restrittivo del diritto alla detrazione dell'IVA, per troppo tempo prorogato.
Anche questa, colleghi dell'opposizione, è dunque un'eredità del vostro Governo, che avrebbe potuto e dovuto attivarsi in sede comunitaria negli ultimi cinque anni, per modificare la norma in questione.
Per queste ragioni, sosteniamo con convinzione questo decreto.
Oggi non possiamo che attenerci alla norma richiamata e alla prassi parlamentare in passato formatasi. Non possiamo che ribadire il nostro sostegno convinto a questa iniziativa legislativa, che introduce chiarezza e certezza nel rapporto tra contribuenti e amministrazione finanziaria, che recepisce una statuizione del massimo organo di giustizia comunitario e che registra l'impatto sull'indebitamento dello Stato, peggiorato non certo per responsabilità di questo Governo e di questa maggioranza che, anzi, si sono immediatamente attivati anche con la finanziaria e il decreto-legge in materia fiscale ad essa collegato per porre rimedio a tale pesante eredità.
L'influenza potenziale, quindi, di questa sentenza sulla finanza pubblica italiana, come è scritto precisamente nella Nota di aggiornamento al DPEF, sarebbe stata di oltre un punto percentuale di PIL, cioè gran parte della manovra finanziaria, se non fosse intervenuto questo decreto per cercare di identificare un modo per risolvere anzitutto i problemi del passato e poi naturalmente gettare le basi per affrontare il tema del futuro.
Non c'è dubbio che c'è stata una debolezza nell'affrontare con provvedimenti adeguati i problemi che questa sentenza avrebbe probabilmente posto, né è bastato portare dal 10 al 15 per cento nell'anno vigente la possibilità di detrazione, perché la sentenza della Corte è una sentenza «rap»; in sostanza, dice ad ogni piè sospinto che il problema di fondo è la mancata consultazione, prevista dalla direttiva, del comitato che deve autorizzare le legislazioni nazionali in materia. Il fatto di non avere innovato dal punto di vista legislativo, limitandosi a dei ritocchi percentuali sulle detrazioni, ha creato il problema che noi oggi dobbiamo affrontare. Il decreto ha bloccato non solo la possibilità di compensare fino al 15 dicembre, ma ha anche evitato che il contribuente potesse compensare, nell'incertezza di dovere poi restituire, cioè ha cercato di fare chiarezza.
Come si evince dal paragrafo 66 delle motivazioni della sentenza e come altri hanno già richiamato, la pronuncia della Corte discende dal mancato raggiungimento di un accordo tra il Governo italiano e l'apposito comitato consultivo, previsto dalla direttiva della CEE, al quale avrebbe dovuto essere comunicata l'intenzione, da parte dell'Esecutivo che era in carica a quella data, di adottare misure nazionali in deroga al regime generale delle detrazioni dell'imposta sul valore aggiunto, in linea con quanto avvenuto, senza particolari inconvenienti, dal 1980 al 2000.
Con questo decreto si porta a soluzione una questione antica che si trascina da 27 anni ed è particolarmente grave che nei 5 anni trascorsi il Governo precedente non abbia fatto nulla per risolvere questo problema. Che si tratti di negligenza, di imperizia o di irresponsabilità poco importa. Quello che è innegabile è che siamo di fronte ad un'altra coda avvelenata del Governo Berlusconi. Tanto più che il ricorso ePag. 91la causa relativa, come già spiegato, sono stati innescati nel 2004 e dunque il problema si poteva tentare di risolvere.
Nel nostro paese la detraibilità dell'auto aziendale era impedita al 100 per cento, mentre nell'Unione Europea è ammessa una detrazione parziale anche per una questione di equità con chi non ha una partita Iva e dunque non può detrarre alcunché. L'Italia era chiamata a rientrare progressivamente dal 100 per cento di indetraibilità al 50 per cento. Il percorso lo aveva iniziato il Governo Amato già del 2001 scendendo al 90 per cento, e poi si sarebbe progressivamente scesi sino ad andare a regime.
Ancora una volta emergono le differenti visioni delle due coalizioni. Da un lato, il centrodestra che con sotterfugi, condoni, promesse mancate di risanamento ha tentato inutilmente di rammendare i buchi di una fallimentare politica economica e sociale; a danno dei cittadini e soprattutto di quel popolo della partita Iva che il centrodestra ha contribuito a creare per nascondere il precariato.
Dall'altro, il centrosinistra che si è posto l'obiettivo di dare stabilità e certezze ai cittadini assumendosi la responsabilità, come in questo caso, di interventi gravosi e pesanti per la finanza pubblica. Interventi comunque necessari per un paese moderno in linea con le regole dell'Unione Europea.
Nel concludere voglio quindi riaffermare la coerenza con la quale questo Governo ha affrontato il problema, dopo appena 24 ore dal momento in cui esso si è manifestato, incardinandolo all'interno dei tre principi basilari della sua politica economica che sono: risanamento, crescita, equità. Risanamento perché come nel bilancio di ogni famiglia anche lo Stato deve sapere con esattezza il debito che deve pagare, ed oggi dopo i trucchi dell'ex ministro Tremonti tutto ci è noto e trasparente, crescita perché senza di essa non esiste alcun presupposto per la redistribuzione del reddito e per l'estensione delle tutele, equità perché le ingiustizie oltre che intollerabili sul piano dei convincimenti etici, sono anche esse fonte di vincoli alla crescita economica, ma anche civile e sociale di un grande paese, come l'Italia.
Tutto questo troverà piena attuazione quando il decreto fiscale, ora all'esame del Senato, ed il disegno di legge finanziaria, all'attenzione di questa Aula, saranno diventati legge e dispiegheranno i loro effetti accompagnando un necessario, per quanto doloroso, risanamento con le misure per lo sviluppo e la giustizia sociale.
Con il decreto n. 258 del 2006 da oggi all'esame dell'Aula facciamo un piccolo passo in avanti in questa direzione restituendo certezza del diritto, facendo fronte agli impegni di fronte all'Unione Europea e trovando una appropriata copertura finanziaria. Quello che deve fare un Governo che abbia a cuore, come il nostro ha a cuore, le sorti del paese.

ERMANNO VICHI. Il decreto è stato illustrato con grande competenza dal relatore e non avrebbe bisogno di ulteriori precisazioni. Ma, poiché talvolta si potrebbe essere tentati di uscire da situazioni non facili per il bilancio in modo non lineare, generando altri contenziosi e altri ricorsi, intervengo anch'io con alcune raccomandazioni.
Con la sentenza del 14 settembre 2006, la terza sezione della Corte di giustizia europea affronta e risolve (definitivamente?) una questione annosa. Il Giudice comunitario censura, infatti, come ingiustificate le limitazioni vigenti, da circa 27 anni, nel nostro ordinamento, in materia di detraibilità sul valore aggiunto sugli autoveicoli di proprietà dell'impresa o del professionista che non siano esclusivamente destinati all'esercizio dell'attività.
La sentenza trae origine dal ricorso di un privato che ha chiesto la condanna dell'Agenzia delle entrate a rimborsare le imposte corrisposte (indebitamente) negli anni 2001-2004, ed ha eccepito la legittimità della normativa nazionale per contrasto con la specifica direttiva comunitaria (633/1972). Si tratta di una direttiva finalizzata a favorire l'armonizzazione della legislazione degli Stati membri ed a creare un sistema comune di imposta sul valore aggiunto. Quella direttiva dice che, nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette a imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurrePag. 92dall'imposta di cui è debitore. E si dice anche che nel termine di quattro anni il Consiglio avrebbe determinato le spese che non danno diritto a deduzione sul valore aggiunto, escludendo comunque le spese non aventi un carattere strettamente professionale. Fino all'entrata in vigore di quelle norme, ogni Stato membro avrebbe mantenuto tutte le esclusioni previste dalla sua legislazione nazionale.
Ho ricordato, per sintesi estrema, i dati della questione per notare, intanto, che la direttiva europea non introduce una generica ed immotivata deduzione dell'IVA, ma una scelta ragionata, che è stata interpretata al peggio.
La direttiva è stata in parte recepita in Italia (decreto del Presidente della Repubblica 24/79), introducendo nel decreto istitutivo dell'IVA (decreto del Presidente della Repubblica 633/72) la disciplina dell'imposta sul valore aggiunto per tutta una serie di fattispecie in ordine alle quali è prevista una deroga totale o parziale al regime di detrazione disciplinato. Nel particolare, si è disposto che l'imposta relativa all'acquisto di autoveicoli che non formano oggetto dell'attività propria dell'impresa non è ammessa in detrazione, salvo che per gli agenti e rappresentanti di commercio. Si è fatta, cioè, la scelta non di applicare, ma di aggirare; non la scelta ragionata, ma della deroga totale al regime di detrazione. Una scelta rimasta in vigore fino al 2000, per essere poi prorogata, ripetutamente, fino ad oggi (388/2000), seppure attenuata, prima con una limitazione al 90 per cento, poi all'85 per cento.
Tutto ciò per dire che, anche per i tributi, non ci si può mettere solo dalla parte delle esigenze della cassa; prima ancora, occorre mettersi dalla parte del cittadino, tanto più in presenza di una direttiva europea.
Un'ultima annotazione. Il Governo ha immediatamente provveduto a regolamentare le conseguenze con un occhio alla cassa (non poteva fare altrimenti!) e considerata la prevedibile corsa al rimborso da parte di un numero elevato di contribuenti, ha escluso, in prima battuta, la possibilità di recuperare l'imposta nei modi consueti, e prevedendo una procedura apposita, nello specifico un'istanza in via telematica entro il 15 aprile 2007.
Ora, poiché la sentenza in oggetto non riconosce comunque una detrazione dell'IVA correlata all'autovettura, quanto, piuttosto, vuole eliminare un divieto di detrazione imposto in sfregio alla direttiva europea, l'Agenzia delle entrate dovrà stabilire quanto si potrà percentualmente mettere in capo all'utilizzo professionale ed imprenditoriale dei mezzi: da una lato, perseguendo abusi e frodi, ma tenendo conto, dall'altro, con misura e serenità, della situazione, non penalizzando sussidi importanti per la professione e l'impresa. Ma, soprattutto, adottando percorsi lineari, senza predisporre percorsi ad ostacoli per riconoscere il diritto del contribuente; un diritto che ora è sancito anche da una sentenza (largamente prevista e prevedibile). Un percorso ad ostacoli che potrebbe rappresentare un'ulteriore violazione delle disposizioni comunitarie.
Una raccomandazione, la mia, che non è connessa a questo decreto ma, ovviamente, agli atti successivi dell'amministrazione.