XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 49 di lunedì 9 ottobre 2006

[frontespizio]
[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
[indice alfabetico]
[indice cronologico]
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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI

La seduta comincia alle 15.

MARCO BOATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 19 settembre 2006.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Amoruso, Aprea, Bafile, Bellanova, Bersani, Bindi, Boco, Bonino, Capezzone, Cento, Chiti, Colucci, D'Antoni, Damiano, De Brasi, De Piccoli, Di Pietro, Evangelisti, Fioroni, Folena, Forlani, Galante, Galli, Gasparri, Gentiloni Silveri, Lanzillotta, Levi, Martino, Melandri, Migliore, Minniti, Angela Napoli, Pagliarini, Parisi, Pecoraro Scanio, Pisicchio, Pollastrini, Prodi, Ranieri, Rivolta, Rocchi, Ruggeri, Sgobio e Visco sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono quarantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (ore 15,04).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, ho chiesto di intervenire in quanto ho ricevuto, al pari di altri colleghi, una e-mail con la quale si intendeva ricordare che ieri è stata celebrata la cinquantaseiesima giornata nazionale in ricordo delle vittime sui luoghi di lavoro. In tale e-mail si lamentava il fatto che la televisione e i giornali ne abbiano parlato pochissimo e, soprattutto, che le istituzioni non abbiano posto una adeguata attenzione al problema.
Per quanto di mia conoscenza, in ogni città si è svolta una manifestazione in ricordo delle vittime sui luoghi di lavoro; tuttavia, poiché l'auspicio era quello che almeno un deputato o un senatore in aula ricordasse l'evento, ho voluto svolgere questo intervento affinché rimanesse agli atti, anche in considerazione del fatto che - come ricordato anche dal Presidente Napolitano - sempre più spesso siamo costretti a piangere morti sul lavoro.

PRESIDENTE. La ringrazio, in quanto il suo intervento è assolutamente motivato. Riferirò al Presidente della Camera, nella convinzione che la Presidenza troverà il modo per corrispondere sollecitamente all'esigenza da lei rappresentata.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 27 settembre 2006, n. 260, recante misure urgenti per la funzionalità dell'Amministrazione della pubblica sicurezza (A.C. 1704) (ore 15,06).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione inPag. 2legge del decreto-legge 27 settembre 2006, n. 260, recante misure urgenti per la funzionalità dell'Amministrazione della pubblica sicurezza.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1704)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari di Forza Italia e dell'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, deputato Adenti, ha facoltà di svolgere la relazione.

FRANCESCO ADENTI, Relatore. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi deputati, è sempre più evidente - e non solo negli ultimi tempi - che il tema dell'ordine e della sicurezza pubblica costituisce una delle problematiche del nostro paese più sentite dai cittadini e che, per tale motivo, deve essere affrontata dal Governo con un impegno assolutamente straordinario.
Credo che ciascuno di noi, in prima persona, abbia potuto sperimentare un senso di insicurezza determinato dalla paura di fenomeni non solo relativi a furti nelle abitazioni, scippi e violenze, ma anche di più larga portata, come il terrorismo anche di matrice internazionale, che ha diffuso timori e preoccupazioni, in alcuni casi togliendo serenità alla nostra vita quotidiana.
Tuttavia, ciò che deve fare riflettere è che tali timori generano gravi conseguenze sociali e psicologiche, come la limitazione dei comportamenti e dei movimenti delle persone. I dati derivanti da una recente indagine condotta dall'ISTAT evidenziano in modo incontrovertibile che anche in Italia il senso di insicurezza per i fatti di criminalità, sia interna sia internazionale, non solo esiste fra la popolazione, ma è divenuto un fenomeno sociale che non si può né si deve sottovalutare.
Di fronte a questa situazione, lo Stato deve riconoscere la sicurezza come bene sociale e, per tale motivo, deve assumere un ruolo responsabile per sostanziare una risposta convincente, consapevole ed efficace a fronte di una crescente domanda di sicurezza da parte delle nostre comunità.
In questa direzione è indirizzato il provvedimento oggi al nostro esame. Certamente, esso non ha carattere strutturale e, tuttavia, all'interno di un quadro generale di carenza di risorse finanziarie, ha il pregio di assicurare il mantenimento delle attuali risorse per il più efficace contrasto del terrorismo, dell'eversione e della criminalità organizzata. Il disegno di legge di conversione in esame prevede il prolungamento fino al 31 dicembre 2006 del trattenimento in servizio di 1.316 agenti ausiliari della Polizia di Stato che hanno frequentato il sessantatreesimo e sessantaquattresimo corso di agente ausiliario. Essi sono gli ultimi poliziotti entrati nella Polizia di Stato dopo la cessazione della leva obbligatoria (ne sono stati incorporati 566 il 1o aprile del 2004 e 750 il 25 ottobre 2004) e, quindi, con un'anzianità almeno biennale nel corso della quale hanno potuto acquisire conoscenze, esperienze e professionalità che non possono essere sottovalutate e che non devono, soprattutto, essere disperse. Il provvedimento in esame consente così di mantenere in servizio questo nucleo consistente di agenti che sarebbe stato congedato entro il corrente mese di ottobre.
Tale provvedimento assume maggiore importanza in quanto gli agenti interessati a tale proroga sono impegnati in compiti operativi sul territorio, fra la gente, per garantire una visibile presenza dello Stato secondo l'obiettivo del Governo di mettere in atto azioni incisive per contrastare il terrorismo e la criminalità organizzata, anche attraverso il potenziamento della polizia di prossimità che, laddove è organizzata, determina una sostanziale diminuzionePag. 3della criminalità e una percezione di maggiore sicurezza da parte dei cittadini.
Diversi altri sono i motivi per i quali tale provvedimento risulta essere, a mio avviso, non solo necessario ma doveroso. Questo disegno di legge di conversione, infatti, se pur non strutturale, garantirà per i prossimi mesi i mezzi, soprattutto gli uomini, necessari alla Polizia di Stato per continuare la propria efficace azione di controllo del territorio, e contribuirà alla graduale immissione di giovani agenti a fronte del progressivo innalzamento dell'età media del personale in servizio - anche questo un problema non indifferente da affrontare - garantendo così un miglioramento generale della condizione lavorativa e del livello qualitativo dell'operato delle Forze di polizia.
Non possiamo omettere, poi, di considerare che predetto personale è stato reclutato in parziale sostituzione di quello annualmente cessato dal servizio per cui la loro eventuale mancata immissione in ruolo avrebbe come grave conseguenza la perdita di un'importante risorsa per l'amministrazione della pubblica sicurezza, che causerebbe l'inevitabile riduzione della forza effettiva della Polizia di Stato con incidenza negativa sulle esigenze di servizio e sulla funzionalità dei servizi stessi.
Infine, è necessario sottolineare come il mancato trattenimento in servizio di questo personale configurerebbe una scelta inopportuna anche sotto il profilo di una corretta gestione delle risorse umane, perché determinerebbe altrimenti un'indiretta perdita sull'investimento già sostenuto per la formazione di questi agenti che hanno sulle spalle, come già ricordato, almeno due anni di servizi operativi.
Il provvedimento ripropone nella sostanza il contenuto del decreto-legge n. 135 del 2006, convertito in legge nella fase iniziale della presente legislatura, nel quale si prevedeva il trattenimento in servizio fino al 31 ottobre 2006 degli agenti ausiliari frequentatori del sessantatreesimo corso. Il provvedimento risponde, altresì, all'impegno formulato in un ordine del giorno, riferito agli agenti ausiliari frequentatori del sessantunesimo, sessantaduesimo, sessantatreesimo e sessantaquattresimo corso, presentato nel corso dell'esame alla Camera del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 45 del 2005, ed accettato dal Governo.
Il disegno di legge che ci accingiamo a convertire consta di due articoli. Nel primo, per i motivi sopraesposti, si concede facoltà al ministro dell'interno di autorizzare il trattenimento in servizio degli agenti ausiliari frequentatori del sessantatreesimo e sessantaquattresimo corso che ne facciano domanda, entro il limite di spesa di 8.650 mila euro. Nello stesso articolo si indica che alla copertura dell'onere si provvede attraverso la riduzione del fondo per le esigenze correnti del Ministero dell'interno, di cui all'articolo 1, comma 27, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006). Si ricorda che il citato comma 27 ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, un fondo, da ripartire per le esigenze correnti, pari per il 2006 a 100 milioni di euro. La quantificazione del limite massimo di spesa è stato calcolato in base al trattamento previsto per gli agenti in servizio. I costi relativi all'accasermamento, all'equipaggiamento, alla motorizzazione e i trattamenti accessori sono già coperti dagli ordinari stanziamenti di bilancio in quanto personale già in servizio.
Ben venga, quindi, questo ulteriore prolungamento in servizio. La speranza è che esso sia l'ultimo della serie, e che questi agenti possano essere definitivamente assunti stabilmente in organico dalla Polizia di Stato, così com'è accaduto in passato per gli agenti ausiliari del sessantesimo, sessantunesimo e sessantaduesimo corso.
In tale prospettiva e nell'apprezzare i contenuti di questo provvedimento, chiedo che il Governo dia concrete garanzie perché nel corso del 2007 vi sia un impegno speciale a trovare adeguati finanziamenti per risolvere definitivamente questa situazione di precarietà, rassicurando questi giovani lavoratori e soprattutto la Polizia di Stato, che altrimenti siPag. 4troverebbe in grave difficoltà nell'assolvere i normali servizi di ordine e sicurezza pubblica. Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile un chiaro impegno, non solo del Governo, ma anche di questa Assemblea, nel destinare maggiori risorse finanziarie alle forze dell'ordine, che si traducano in maggiori risorse umane, in mezzi, attrezzature e tecnologie all'avanguardia. Per questo, vorrei richiamare la vostra attenzione sulla prossima legge finanziaria, su cui sta per iniziare la discussione, per valutare le possibilità di correggere la previsione dell'articolo 57, primo comma, che riguarda le assunzioni per i corpi di polizia di non oltre mille unità (contingente assolutamente non adeguato allo svolgimento di importanti, strategici e delicati compiti che sono loro attribuiti per mantenere l'ordine e la sicurezza nel nostro paese).
Per quanto riguarda il provvedimento in esame, la previsione della legge finanziaria non è in grado di garantire la definitiva immissione in ruolo di tutti gli agenti ausiliari.
In conclusione, anche alla luce delle premesse contenute nella relazione, desidero comunicare all'Assemblea che si appresta ad iniziare la discussione generale su questo provvedimento che la I Commissione ha espresso parere favorevole alla conversione in legge di questo decreto-legge presentato dal Governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, non ho molto da aggiungere a quello che il relatore ha già ricordato. Il provvedimento è necessario per prolungare la permanenza in servizio dei 1.316 agenti ausiliari interessati fino al 31 dicembre 2006. Gli altri temi, a cui ha fatto riferimento il relatore, con le relative conseguenze presenti nella legge finanziaria, per una soluzione a regime di tali questioni, potranno essere naturalmente affrontati nel corso della discussione della stessa.
Il viceministro Minniti, oggi impegnato con il Presidente del Consiglio in Calabria, potrà intervenire nel prosieguo del dibattito, laddove lo ritenesse necessario.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Allam. Ne ha facoltà.

KHALED FOUAD ALLAM. Signor Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi, la questione della sicurezza ovviamente da alcuni anni è al centro dell'attenzione delle grandi questioni politiche. L'attentato dell'11 settembre ha segnato in un certo senso l'entrata nell'era della sicurezza e la questione del potere politico fa da simmetria alle grandi questioni della sicurezza, che non hanno soltanto una portata teorica, ma che devono essere verificate sul piano concreto e sul piano delle forze dell'ordine.
È evidente che oggi siamo chiamati maggiormente a rispondere a questo bisogno di sicurezza dell'opinione pubblica. Il numero crescente di questioni relative alla sicurezza ci obbliga in un certo senso a razionalizzare tutto ciò che ha a che vedere con le forze dell'ordine su tutto il territorio nazionale. È evidente che anche in questi ultimi anni si è fatto fronte a questa esigenza soltanto con il ricorso a palliativi, come la proroga di questo decreto, ma occorrono altre misure. Prima o poi - credo comunque che sia l'ultima volta che si farà ricorso a questo tipo di strumento legislativo - una maggiore pianificazione generale delle forze dell'ordine si renderà necessaria.
Suggerirei soltanto al Governo di utilizzare i concorsi riservati per evitare di ricorrere ad altri palliativi, posto che la sicurezza è tema all'ordine del giorno.
In conclusione, mi dichiaro favorevole alla conversione in legge di questo decreto-legge.

PRESIDENTE. È iscritta parlare la deputata Santelli. Ne ha facoltà.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, il gruppo di Forza Italia è favorevole al provvedimento in oggetto. Tuttavia - senzaPag. 5nulla togliere al sottosegretario D'Andrea - avremmo preferito la presenza in questa sede del ministro dell'interno, vista la concomitanza del provvedimento medesimo con la legge finanziaria, in modo che il Parlamento potesse ascoltare la premessa con cui la discussione è iniziata.
Esiste un problema sicurezza e le forze di polizia devono essere blindate ed aiutate. Il provvedimento in oggetto costituisce un piccolo passo in questa direzione, anche se sarebbe meglio dire che esso non toglie ciò che già le forze di polizia hanno. Purtroppo, il decreto-legge in oggetto e le sue buone intenzioni sono totalmente disattesi dalla legge finanziaria che tra poco andremo a discutere.
Colleghi deputati, ho ascoltato la relazione dell'onorevole Adenti e l'intervento dell'onorevole Allam. Nelle nostre intenzioni è chiaramente presente una forte motivazione ad aiutare il più possibile le forze di polizia, che costituiscono oggi la prima frontiera per il mantenimento della sicurezza e dell'ordine pubblico in questo paese. Tuttavia, contemporaneamente, il Governo Prodi, per la prima volta ed in controtendenza con il Governo Amato e con quelli Berlusconi, sottrae alle forze di polizia l'indennità di sicurezza. Si tratta di una misura di gravità straordinaria; l'aver riconosciuto alle forze di polizia un'indennità peculiare che distinguesse gli operatori di pubblica sicurezza da quelli del pubblico impiego è stata una grande conquista. Quindi, il riappiattimento delle forze di polizia rispetto al pubblico impiego segna un'inversione di tendenza tanto pericolosa quanto politicamente inaccettabile. Inoltre, i tagli relativi alle forze di polizia e soprattutto quelli in capo alla Polizia di Stato sono terribili, come vedremo sicuramente nel prosieguo del discussione sulla legge finanziaria; tuttavia credo che già il dibattito in oggetto possa essere un momento opportuno per mettere sull'avviso noi parlamentari proprio sul tema dei tagli, già da domani mattina. Si finirà con il sopprimere una serie di presìdi territoriali dello Stato.
Poco fa, con il collega Fedele stavo discutendo sul fatto che in una regione come la Calabria, in cui si è appena recato il Presidente del Consiglio, accompagnato dal viceministro dell'interno (si è recato in due province delicatissime come Vibo Valentia e Crotone), in base alla finanziaria attuale saranno soppresse prefetture, questure e quegli organi dello Stato che costituiscono un presidio imprescindibile per il mantenimento non solo della sicurezza, ma del simbolo stesso dello Stato. Si tratta di una mossa non spiegabile con alcun taglio economico e politicamente suicida, non per l'attuale Governo o per la maggioranza, bensì per il sistema paese. Vengono soppresse le direzioni interregionali della Polizia di Stato che erano state ammesse nel nostro ordinamento dal Governo Amato. Per quale motivo questi ulteriori strumenti di presidio devono essere soppressi? Non abbiamo in proposito alcuna spiegazione; forse essa sarà data in seguito.
Alla Polizia di Stato viene chiesta una revisione totale dei servizi speciali e degli organici in senso restrittivo con l'obiettivo del contenimento di spesa pubblica, in controtendenza con altri corpi di polizia, che invece vengono beneficiati da altri articoli della legge finanziaria. A mio avviso, in materia di sicurezza del paese le differenze tra maggioranza ed opposizione dovrebbero per quanto possibile ridursi, sulla base di un interesse comune, come il mantenimento dello Stato.
Chiedo al sottosegretario D'Andrea di riferire questo aspetto nel corso dell'attuale dibattito sulla legge finanziaria, in particolare per quanto riguarda il Ministero dell'interno.
I colpi finora sono stati duri. Già con lo «spacchettamento» si è dato un duro colpo al «sistema Viminale» - e voi lo sapete - in termini istituzionali. Già stiamo discutendo in I Commissione di una fantomatica commissione G8 che dovrebbe portare alla sbarra la Polizia di Stato. Oggi, con la finanziaria, questo è un colpo in più. Ma non è un colpo alla credibilità del Governo; purtroppo è un colpo alla credibilità della sicurezza nazionalePag. 6e di quelle politiche di sicurezza integrate, a cui proprio poco fa si stava facendo riferimento.
Se questa discussione può essere un primo campanello di allarme per il Governo, anche per l'unitarietà di intenzioni che dimostra il Parlamento, forse questo campanello di allarme dovrebbe essere ascoltato con attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!

PRESIDENTE. Constato l'assenza della deputata Nicchi, iscritta a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1704)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Adenti.

FRANCESCO ADENTI, Relatore. Rinuncio alla replica, signor Presidente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni La Loggia ed altri n. 1-00029 e D'Alia ed altri n. 1-00037 sulle iniziative volte a far proseguire le procedure per realizzare il ponte sullo stretto di Messina (ore 15,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni La Loggia ed altri n. 1-00029 e D'Alia ed altri n. 1-00037 sulle iniziative volte a far proseguire le procedure per realizzare il ponte sullo stretto di Messina (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservata alla discussione delle mozioni è pubblicato nel vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate, in data odierna, la mozione Diliberto ed altri n. 1-00039 e la mozione Franceschini ed altri n. 1-00040, i cui testi sono in distribuzione, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni già all'ordine del giorno, verranno discusse congiuntamente.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritto a parlare l'onorevole Angelino Alfano, che illustrerà la mozione La Loggia ed altri n. 1-00029, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANGELINO ALFANO. Signor Presidente, noi abbiamo presentato questa mozione, che ha come primo firmatario l'onorevole La Loggia - il quale momentaneamente non è in Assemblea ed in sostituzione del quale quindi prendo io la parola -, per manifestare al Governo la nostra più assoluta non condivisione rispetto alla scelta, che questo Esecutivo ha reso evidente con la pubblicazione del decreto che sarà sottoposto al vaglio dell'Assemblea in questi giorni. Si tratta di una scelta che noi riteniamo grave ed insopportabile per la Sicilia e per i siciliani, e chiediamo pertanto al Governo di impegnarsi a riconsiderare e a ripensare la decisione assunta.
Infatti, immaginare di abbandonare la linea di costruzione del ponte è come immaginare di abdicare allo sviluppo dell'intero meridione. Noi siamo tra quelli che non ritengono che la possibilità di sostituire il ponte con altre opere per il Mezzogiorno sia equivalente, innanzituttoPag. 7perché non crediamo all'equivalenza economica, nel senso che non crediamo affatto che nel momento in cui quelle risorse dovessero essere distolte dal ponte potranno essere davvero reinvestite in territori, come quelli della Sicilia e della Calabria, che necessitano di questa grande opera, che reca grande beneficio al Mezzogiorno.
Inoltre, non crediamo all'equivalenza logistica ed all'equivalenza politica del ponte, rispetto ad altre opere. Pensiamo infatti che sia pura demagogia quella secondo cui, prima di costruire il ponte, bisogna realizzare altre opere. È demagogia, perché non esiste alcuna regola economica, né logistica, né infrastrutturale, che vieti il possibile parallelo, cioè di fare il ponte e nel frattempo anche altre opere. Come si può immaginare che si possa realizzare il corridoio 1, Berlino-Palermo, senza fare il ponte? Come si può immaginare che, in un momento in cui l'Europa ha bisogno delle grandi reti infrastrutturali, arrivati a Reggio Calabria occorra tuffarsi in acqua o prendere il traghetto per raggiungere il resto della Sicilia?
Come si può immaginare, quando è stata costituita una società, che ha già realizzato un proficuo lavoro, in relazione al quale si è già raggiunto un punto notevolmente avanzato dell'iter procedurale, tanto da avere individuato il general contractor, che si possa tornare indietro? È una logica paradossale per la Sicilia, per i siciliani e i calabresi, secondo la quale, durante la campagna elettorale del 2001, l'allora candidato Rutelli girò la Sicilia e il Mezzogiorno spiegando che, entro il 2011-2012 (anzi, che diede una data precisa) avremmo potuto inaugurare il ponte sullo Stretto, mentre, nella campagna elettorale successiva, ha negato quello che aveva detto precedentemente. Si tratta di un atteggiamento eticamente irresponsabile, politicamente sbagliato ed economicamente fallimentare, perché, per dare retta ad un certo tipo di sinistra massimalista, anche le forze moderate di questa maggioranza hanno preferito una scelta, a nostro avviso, irresponsabile, ossia quella potenzialmente legata alla necessità di pagare enormi penalità economiche ai contraenti, pur di non realizzare il ponte sullo Stretto.
Noi pensiamo che tale comportamento sia antieconomico e, soprattutto, antimeridionale. Abbiamo presentato questa mozione perché sono passati troppi anni di parole. Il Governo Berlusconi aveva fatto il primo atto concreto, perché era giuridicamente rilevante: un contratto che impegnava la Sicilia, l'Italia e l'Europa alla realizzazione del ponte sullo Stretto.
Il ponte sullo Stretto ha un valore incalcolabile per l'intero meridione d'Italia dal punto di vista economico. La regione Sicilia ha dato la propria disponibilità a finanziare il ponte anche con risorse proprie. L'Europa non ha detto di no, anzi.
Dunque, noi chiediamo al Governo, con grande forza, di riconsiderare questa scelta. Lo chiediamo facendo appello alle forze più responsabili della sinistra e del centrosinistra, ossia a quelle forze che in passato si erano pronunciate a favore della realizzazione del ponte sullo Stretto. Lo chiediamo facendo appello a coloro i quali, a cominciare dal Vicepresidente del Consiglio dei ministri Rutelli, nel periodo in cui era candidato, avevano manifestato il proprio favore. Lo facciamo dicendo che non è con i «no» ideologici e con i «no» estremisti che si risolvono le grandi questioni legate allo sviluppo del Mezzogiorno d'Italia.
Il Mezzogiorno d'Italia oggi ha bisogno del ponte sullo Stretto! Noi abbiamo già manifestato in piazza per il ponte sullo Stretto. La Sicilia non rinuncerà al ponte, perché non solo la Sicilia e la Calabria hanno la necessità di questo ponte, ma l'intero nostro paese ne ha bisogno. Un Governo che vuole rappresentare il paese non può rinunciare a questa grande opera (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Alia, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00037. Ne ha facoltà.

GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, credo che molto opportunamente ilPag. 8gruppo parlamentare dell'UDC, come i colleghi di Forza Italia, abbiano chiesto di discutere queste mozioni proprio in questo momento in cui si discute della legge finanziaria ed è all'esame della Camera il cosiddetto «decreto fiscale».
Dico «molto opportunamente» perché credo che sia necessario oggi fare chiarezza sulla realizzazione di questa grande opera, che - intendiamoci - ha un suo valore non solo per la Sicilia e per la Calabria, perché la sua importanza non è collegata solo alla realizzazione del manufatto di collegamento fisico fra le due sponde dello Stretto, ma, così com'è stato riconosciuto anche in sede europea, ha una sua rilevanza strategica per tutto l'asse dei trasporti dell'Unione.
La sua rilevanza è ancora più importante se consideriamo che, fino a qualche mese fa, fino a quando si è svolta l'ultima campagna elettorale ed è stato eletto il nuovo Governo Prodi, tale opera veniva riconosciuta di utilità strategica per il paese dalla stragrande maggioranza delle forze politiche del centrodestra e del centrosinistra.
A questo riguardo, proprio per sottolineare l'importanza di quest'opera, vorrei citare le parole del Presidente Prodi il quale, nel 1985, sostenne che il ponte sullo stretto di Messina avrebbe recuperato una cultura delle grandi opere pubbliche, che si era persa negli ultimi anni, e che la Sicilia era fortemente ostacolata da questa barriera naturale. Inoltre, egli affermò che, con un collegamento stabile, i costi sarebbero calati del 13 per cento e che si sarebbe realizzata una maggiore rapidità degli spostamenti poiché il risparmio, per ogni automobilista, sarebbe stato di 40 minuti, di 35 minuti per ogni autocarro e di 92 minuti per ogni treno. Così sintetizzava la questione, anche sotto il profilo dell'analisi costi-benefici relativa alla efficienza del sistema di trasporto pubblico nel meridione d'Italia, l'allora presidente dell'IRI, oggi Presidente del Consiglio dei ministri. Tuttavia, l'importanza strategica di quest'opera fu riconfermata dal Presidente Prodi nel 1996, quando inserì il relativo progetto nel programma di governo dell'Ulivo e quando, successivamente, avviò le procedure per la valutazione di impatto ambientale e per l'analisi costi-benefici dell'opera rispetto non soltanto alle due regioni interessate, ma all'intero territorio nazionale. Tanto è vero che il progetto di massima definito dalla società Stretto di Messina nei primi anni Novanta fu approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici nel 1997, cioè all'epoca del Governo di centrosinistra.
Ho citato questi precedenti perché è assolutamente evidente che la vicenda del ponte è questione politica e non riguarda né la valutazione in ordine alla fattibilità tecnica, né la valutazione in ordine alla convenienza economica e sociale dell'opera. Tutti questi passaggi, infatti, sono stati proficuamente consumati e lo sono stati al punto tale che si è arrivati, come ricordiamo nella mozione, alla individuazione del contraente generale per la redazione del progetto definitivo e per la scelta dei soggetti legittimati alla realizzazione dell'opera. Quindi, ad oggi, il tema che emerge, anche in questa Assemblea, è legato ad una questione di carattere squisitamente politico.
Meglio di me, sintetizzano il problema le due mozioni la cui presentazione è stata poc'anzi annunciata dal Presidente. Mi riferisco alla mozione Diliberto n. 1-00039 ed alla mozione Franceschini n. 1-00040. La mozione dell'onorevole Diliberto propone alla maggioranza di questa Assemblea ed all'intero Parlamento di cancellare totalmente la vicenda del ponte dall'agenda del paese, non soltanto dall'agenda politica di questo Governo o dal suo programma politico. Propone, cioè, di chiudere questa vicenda partendo dal presupposto di un giudizio negativo sull'opera e sulla necessità della sua realizzazione.

PRESIDENTE. Scusate, onorevoli colleghi. L'onorevole D'Alia non riesce a sviluppare con tranquillità il suo intervento.

GIANPIERO D'ALIA. Tale mozione pone la questione di chiudere totalmente il dibattito e di archiviare gli atti concreti che sono stati prodotti in questo paese al riguardo.Pag. 9
La mozione del collega Franceschini, viceversa, è più politica e di mediazione. Non si esprime, infatti, sulla attualità dell'opera e del suo progetto o sulla sua validità, ma liquida la questione con la stessa affermazione che troviamo nel programma dell'Unione, secondo la quale il ponte non sarebbe una priorità.
Si tratta di una questione squisitamente politica perché il testo dell'articolo 14 del cosiddetto decreto fiscale, quello del 3 ottobre di quest'anno, indica come il Governo ha inteso affrontare la questione. Ci sono due chiavi di lettura di questa norma perché, all'articolo 14 del decreto fiscale, il Governo cambia l'assetto societario della società Stretto di Messina, confermandone non solo l'esistenza, ma anche la missione, stabilendo l'uscita di Fintecna e la partecipazione azionaria della società Stretto di Messina riguarderà l'ANAS Spa, le regioni Sicilia e Calabria, nonché società controllate dallo Stato e da altre amministrazioni ed enti pubblici; inoltre, amplia la missione della società Stretto di Messina consentendole di poter intervenire anche all'estero per progettare, promuovere, realizzare e gestire infrastrutture trasportistiche ed opere connesse. In altre parole, da la possibilità alla società Stretto di Messina di progettare e realizzare ponti all'estero e trasferisce le risorse relative alla partecipazione azionaria di Fintecna al Ministero delle infrastrutture. Credo che siano circa 2 miliardi 400 milioni di euro le risorse funzionali per avviare, a seguito della stipula del contratto, tutte le attività relative alla redazione del progetto definitivo del ponte da sottoporre all'approvazione del CIPE per iniziare concretamente i lavori. Quindi, si sottraggono le risorse finanziarie necessarie alla società Stretto di Messina, stornandole per realizzare non meglio identificate e specificate opere infrastrutturali di tutela dell'ambiente e difesa del suolo in Sicilia e in Calabria, affidandone la programmazione non solo al ministro delle infrastrutture, ma anche - e noi riteniamo, purtroppo - al ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Se questa società non fosse più necessaria, se l'opera non fosse più valida, ci saremmo aspettati dal Governo, per coerenza, che accedesse alla tesi dei colleghi del gruppo parlamentare dei Comunisti italiani, cioè che sopprimesse la società, cancellasse dall'agenda politica e governativa di questo paese il ponte per dedicarsi ad altro. Ma questo non è avvenuto e noi lo valutiamo come un fatto positivo, però lo stesso Governo toglie contestualmente le risorse per realizzare la fase esecutiva dell'opera.
Ora l'Esecutivo deve chiarire - e lo deve chiarire al Parlamento - qual è, in realtà, la sua opinione su quest'opera perché delle due l'una (non ci possono essere zone grigie): o quest'opera è utile al paese e all'Unione europea, ed allora ha senso sostenere la mozione che dice di proseguire nell'opera già intrapresa e continuare con la redazione e l'approvazione del progetto definitivo e, quindi, con la cantierizzazione delle opere o, viceversa, tutto ciò non ha alcun significato ed allora non capisco quale sia la ragione - lo dico ovviamente in termini provocatori - per mantenere questa società, modificandone, peraltro, la composizione azionaria in maniera sbagliata. Infatti, se una società ha una partecipazione azionaria blindata e non permette l'accesso (né dei privati né, ad esempio, dell'azionariato sociale) per consentire il reperimento di risorse anche nel settore privato per la realizzazione dell'opera - posto che vi sia un problema di disponibilità di risorse finanziarie, che, in realtà, c'erano e sono state sottratte -, credo che non basti l'approvazione da parte della maggioranza di una mozione che nulla dice, se non eludere il tema politico per il quale noi siamo qui e per il quale l'UDC ha promosso questo dibattito parlamentare.
In altri termini, signor Presidente, cosa vuol dire che il ponte non è più una priorità? Vuol dire che non ci sono soldi per farlo? Se non ci sono i soldi per farlo, il Governo ed il Parlamento devono porsi il problema di trovare soluzioni che consentano, come dicevo in precedenza, l'accesso dei privati, ossia il reperimento di risorse in un settore diverso da quello dell'apparato pubblico. Poco importa se siPag. 10tratta di finanziamenti statali o comunitari, bisogna adeguare gli strumenti della società Stretto di Messina per metterla nelle condizioni - avendone, peraltro, ampliato la missione in termini internazionali, con la progettazione e la realizzazione di interventi analoghi a quelli relativi al ponte sullo stretto in altri paesi - di poter reperire risorse sul mercato.
Questo è il primo interrogativo che ci poniamo, sapendo che è evidente che la contraddizione politica di questo Governo sta tutta qui, è esemplificativa, riguarda il ponte sullo stretto, le grandi opere, ossia la necessità di trovare una soluzione compromissoria tra l'area moderata del centrosinistra, che ha un'idea diversa - simile alla nostra - sulla realizzazione di quest'opera, e l'ala radicale dello stesso schieramento di centrosinistra che, viceversa, ha posto un veto sulla realizzazione e sulla possibilità di discutere ed andare avanti su tale opera.

PRESIDENTE. Deputato D'Alia, si avvii a concludere.

GIANPIERO D'ALIA. Altro aspetto che vorremmo capire - e concludo rapidamente, signor Presidente - è il seguente: dopo la cessione delle quote da parte di Fintecna all'ANAS, e la modifica dell'assetto societario, cosa succede? Cosa pensa il Governo che si dovrà fare? Ci sarà un'interruzione del rapporto contrattuale con la Impregilo ed il general contractor, o si andrà avanti e, se si andrà avanti, in che termini? Il progetto definitivo dell'opera, che dovrebbe essere trasmesso al CIPE, e mi risulta essere in fase di definizione, andrà avanti o verrà bloccato? Se andrà avanti, con quali risorse e con quali percorsi? E, soprattutto, signor Presidente, come verranno utilizzate le risorse stornate da Fintecna? I fondi che sono stati trasferiti al Ministero delle infrastrutture e che genericamente si dice saranno utilizzati per la Sicilia e per la Calabria, come saranno impiegati? Ricordo che nel progetto preliminare dell'opera e negli interventi complementari previsti dalla legge finanziaria era programmata una serie di interventi per i tre nodi urbani di Messina, Villa San Giovanni e Reggio Calabria. Non mi sto riferendo esclusivamente alle cosiddette opere compensative o mitigative, ma a tutta una serie di interventi sostanziali di riqualificazione che riguardano tali territori. Nulla troviamo di tutto ciò nell'azione e nelle proposte del Governo, soprattutto se consideriamo che la città di Messina è soggetta da 40 anni alla «servitù di passaggio» dei cosiddetti traghetti privati e che su tale terreno è stata condotta, ad esempio da parte degli ambientalisti, una serie di battaglie. La città, infatti, ha pagato un prezzo, non solo economico, ma anche di vite umane e nulla viene proposto in alternativa che riguardi il recupero dell'affaccio al mare della città ed il completamento degli approdi fuori dal centro cittadino, che potrebbero rappresentare una misura importante a supporto di un intervento di riqualificazione ambientale, sociale ed economica.
Questa scelta del Governo condanna detti territori ad una situazione di disagio, di disarticolazione di carattere economico, sociale ed ambientale, non formula alternative concrete e sottrae risorse senza dare altre possibilità; in altri termini, demolisce senza costruire; demolisce un ponte che era arrivato alla sua fase realizzativa, e non sostituisce ciò con alcun intervento concreto, nonostante il lavoro che in questi anni gli enti locali hanno svolto per proporre una serie di interventi funzionali alla riqualificazione dei menzionati territori.
Signor Presidente, concludo dicendo che credo sia estremamente importante che questo dibattito si concluda con un momento di chiarezza sulla questione, perché ritengo non serva né al centrodestra né al centrosinistra proseguire in questa commedia degli equivoci, del ponte che si vuole, ma non si fa, o del ponte che non si vuole però si dice si farà. Credo sia necessario che ciascuna forza politica si assuma con chiarezza le proprie responsabilità di fronte agli elettori, considerato che vi sono diverse iniziative in campo riguardanti questa opera. Ne cito una per tutte: il referendum che la provincia diPag. 11Messina ha indetto sull'opera, con una mobilitazione da parte dei cittadini di quei territori. So che la regione Sicilia ha intenzione di promuovere iniziative analoghe e io credo che questo Parlamento ed il Governo debbano risposte molto più serie, concrete, costruttive ed efficaci della semplice enunciazione di un principio che poi, nella pratica quotidiana, viene costantemente disatteso (Applausi dei deputati dei gruppi Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro e Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ferdinando Benito Pignataro, che illustrerà anche la mozione Diliberto ed altri n. 1-00039, di cui è cofirmatario.

FERDINANDO BENITO PIGNATARO. Grazie Presidente. Colleghi deputati, il Governo in più occasioni, già dalla prima dichiarazione del ministro dei trasporti Bianchi da noi apprezzata, ha manifestato in modo chiaro ed inequivocabile il proprio no alla costruzione del ponte sullo stretto, non ritenendola un'opera prioritaria. Questa decisione è in netta discontinuità con la logica del precedente Governo di centrodestra, che ha tentato di imporre scelte infrastrutturali in contrasto con le strategie di sviluppo del nostro paese, senza coinvolgere le popolazioni interessate e le loro rappresentanze istituzionali, sottovalutando gli impatti ambientali, senza una logica di sistema dei trasporti e della mobilità delle persone e delle merci.
Con questa scelta si possono finalmente concentrare l'attenzione e gli interventi verso le opere che servono veramente: la creazione di una rete logistica intermodale e di politiche coordinate per la mobilità urbana, la razionalizzazione dei sistemi idrici, la prevenzione ed il contrasto dei dissesti idrogeologici, il risanamento e la qualificazione dei beni culturali, artistici e archeologici, la tutela e la valorizzazione del territorio, del paesaggio e dell'ambiente. Al contrario, fino ad oggi, le condizioni del nostro territorio sono state sottovalutate sia per ciò che concerne l'assetto idrogeologico sia rispetto alla qualità paesaggistica, deteriorata dall'eccesso di urbanizzazione e infrastrutturazione.
Il fallimento della legge obiettivo dichiarato dal Governo permette una grande inversione di tendenza rispetto agli interventi infrastrutturali e alle priorità, soprattutto del Mezzogiorno d'Italia. Inoltre, il preannunciato spostamento delle somme già stanziate per il ponte, nonché, complessivamente, i fondi necessari per la realizzazione dell'opera, verso opere che servono alla collettività e al sistema dei collegamenti tra il sud e il resto del paese, a partire dal completamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, chiudono definitivamente, per quanto riguarda i Comunisti italiani, la pagina del ponte sullo stretto. Anzi, riteniamo che occorra fronteggiare la carenza di infrastrutture, l'isolamento fisico e, spesso, economico di Calabria e Sicilia in modo strutturale, con una politica seria di programmazione delle risorse per il settore dei trasporti in una nuova logica che inquadra le infrastrutture come opere territoriali, opportunità per produrre esternalità positive, accrescere potenzialità di sviluppo locale. Per questo, le opere pubbliche vanno concordate, negoziate e non imposte dall'alto, inserite in un contesto, come parte di una rete ed elemento del sistema territoriale. Servono, insomma, per soddisfare anche i bisogni sociali delle imprese, per migliorare la qualità della vita e per rafforzare i potenziali di sviluppo endogeno, per favorire l'accessibilità e per strutturare il territorio. Insomma, tutto quello che il ponte non è. Oggi che il Governo ha assunto una decisione chiara è assurdo che alcuni sollecitino iniziative per indire un referendum che interessi le popolazioni siciliane e calabresi, mentre non si è sentito questo bisogno in passato, tentando di imporre dall'alto questa scelta ai territori interessati.
Ma per stare strettamente al merito, si sarebbe trattato - ed io ritengo che si debba cominciare a ragionare al passato - di un'opera faraonica, slegata dal sistema della mobilità, esageratamente costosa, ma assunta dal centrodestra come simbolo. Si è trattato del tentativo di Berlusconi diPag. 12farne un'opera di regime, senza tenere in alcun conto le valutazioni e le tante contraddizioni e controindicazioni.
La prima controindicazione, che non ha bisogno di interventi di esperti o tecnici, è che quest'opera deturpererebbe un'area di una grande bellezza naturale e paesaggistica, l'area dello Stretto, che, tra l'altro, ha delle enormi potenzialità, finora inespresse per l'assenza di politiche serie di programmazione integrata. Altro che ponte per favorire lo sviluppo del turismo! Si tratta invece di un'opera che penalizzerebbe le capacità turistiche dell'area.
La seconda controindicazione è la seguente. C'è grande incertezza sulla tenuta di un ponte di oltre 3 mila metri, 1.310 metri più lungo del ponte Akashi kaikyo, attualmente insuperato, per cui anche le tecniche più innovative rispetto alla stabilità aerodinamica e aeroelastica sono considerate dai ricercatori giapponesi di incerta affidabilità sulla scorta dei risultati sperimentali ottenuti.
Oltretutto, alle incertezze riguardanti le caratteristiche strutturali dell'opera si assommano l'interazione vento-struttura e l'affidabilità delle prove in galleria del vento. Fatto sta che il professor Majowiecki, uno dei massimi esperti in materia, ha affermato in una recente intervista che nessuno ha mai realizzato un ponte lungo 3.300 metri, con profilo aerodinamico, per cui nessuno può darci la garanzia assoluta del livello di sicurezza e affidabilità. Del resto, forti riserve sull'idoneità dell'opera progettata sono state espresse dalle delegazioni di alta sorveglianza dell'ANAS, delle Ferrovie dello Stato e del Ministero dei lavori pubblici.
Terzo motivo per bloccare definitivamente l'avvio dell'opera: l'esito negativo delle valutazioni di impatto ambientale e i tanti appelli sul deterioramento degli aspetti paesaggistici e sul depauperamento della ricchezza ambientale e naturalistica.
Inoltre, credo che sia assurdo che si insista sulla realizzazione del ponte in una zona di elevato rischio sismico, con equilibri molto precari sia a livello urbanistico che territoriale.
C'è un altro aspetto che riguarda la funzionalità: a causa del clima e per esigenze di manutenzione, il ponte resterebbe chiuso per circa 100 giorni all'anno, senza contare che non c'è contezza dell'incidenza dei venti sulla possibilità di percorrenza per lunghi periodi dell'anno.
Il 29 marzo del 2006 la società Stretto di Messina e la Impregilo, nel pieno della campagna elettorale, hanno sottoscritto il contratto per l'affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva per circa quattro miliardi di euro. Sul settimanale l'Espresso, qualche settimana prima, si rivelava la presenza di persone vicine ad Impregilo nella commissione per l'aggiudicazione. Ma, al di là di questo, è chiara la finalità elettoralistica della accelerazione delle procedure, così come oramai è chiarissimo che l'opera doveva realizzarsi esclusivamente con finanziamenti e risorse pubbliche, visto che, nonostante enfasi iniziali e proclami, i privati non si sono fatti avanti, in quanto non hanno ritenuto l'opera interessante, appetibile. Grande interesse invece destano nella 'ndrangheta e nella mafia siciliana l'enorme affare e i notevoli flussi economici che si sarebbero attivati, tant'è che la Direzione nazionale antimafia si era spinta ad ipotizzare una intesa tra Cosa nostra e 'ndrangheta.
Non siamo tra quelli che ritengono che le opere pubbliche utili non si debbano realizzare per paura delle infiltrazioni malavitose, poiché vorrei ricordare che sosteniamo, da sempre, legislazioni e controlli volti alla salvaguardia dei lavori pubblici. Ma vorrei rilevare che un'opera già inutile, che dovesse finire per foraggiare le cosche mafiose, sarebbe estremamente dannosa.
Infine, vi è un'altra controindicazione, con riferimento al rapporto costi-benefici, riguardo all'economicità dell'opera. Gli advisor nominati dal Ministero dei lavori pubblici nel 2000, infatti, avevano concluso il loro lavoro evidenziando il rischio di una sottoutilizzazione, poiché i volumi del traffico stradale sono in diminuzione. Stiamo parlando di traffici non sostitutivi di quelli aerei (i quali, invece, sono in aumento costante), mentre per le FerroviePag. 13dello Stato i costi di pedaggio e di mancato servizio dei traghetti propri costituiscono una diseconomia grave. Si tratta, insomma, di dati incontrovertibili, che caratterizzano negativamente la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina.
A questo punto, sono i sostenitori - e solo essi, si può concludere - ad avere un approccio esclusivamente ideologico e politicamente strumentale all'opera; intanto, la società Stretto di Messina Spa continua nell'opera di sperpero del denaro pubblico, spende e spande senza criteri e prosegue un'azione di marketing paradossale!
Vorrei osservare come alla Calabria ed alla Sicilia serva altro, partendo da una situazione deficitaria delle reti ferroviarie e stradali. Gran parte delle reti ferroviarie, infatti, sono senza elettrificazione e vi è scarsità di collegamenti. Occorre, pertanto, una politica di ammodernamento e potenziamento di tali infrastrutture.
L'intervento finanziario per la realizzazione del ponte sarebbe stato, inoltre, sostitutivo degli interventi strutturali destinati alle due regioni. L'autostrada Salerno-Reggio Calabria, la strada statale 106 jonica, l'alta capacità ferroviaria ed i collegamenti marittimi sono le vere priorità sulle quali concentrare gli sforzi.
Auspichiamo, dunque, che non si torni indietro rispetto alle decisioni assunte. Ciò significa non solo dire «no» alla realizzazione del ponte, poiché occorre continuare le intese finalizzate non alla soppressione, ma alla conversione della società Stretto di Messina, al fine di indirizzarla al perseguimento della riqualificazione dell'area, la quale, come abbiamo già affermato, possiede notevoli potenzialità di sviluppo.
Ricordo che, nell'articolo 14 del provvedimento collegato al disegno di legge finanziaria, è prevista la copertura per la realizzazione di tutte le opere essenziali per le due regioni che ho già indicato. Sia chiaro, tuttavia - e ci rivolgiamo al Governo con molta franchezza -, che deve essere netta l'esclusione del ponte dalle infrastrutture, contemplate nel citato articolo 14, che servono alle due regioni. Pensiamo, infatti, che occorra realizzare opere capaci sia di imprimere un impulso reale all'economia dell'intera area, sia di migliorare le infrastrutture già esistenti.
Chiediamo, in altri termini, che il Governo si impegni coerentemente, senza tentennamenti e passi indietro, a pronunciare con chiarezza un «no» definitivo alla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina (si tratta - ripeto - di un'opera inutile e, a nostro giudizio, dannosa) e ad avviare un severo controllo affinché le decisioni che assume vengano attuate, siano spese le risorse stanziate e le opere previste vengano realizzate contemporaneamente e tempestivamente.
Il gruppo dei Comunisti Italiani, condividendo gli indirizzi e le nuove strategie di crescita infrastrutturale qualificata, intende, se le decisioni saranno chiare e nette, sostenere le scelte compiute con fermezza (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rotondo, che illustrerà anche la mozione Franceschini ed altri n. 1-00040, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANTONIO ROTONDO. Signor Presidente, la questione della realizzazione del ponte sullo stretto di Messina non può esser affrontata a colpi di pregiudiziali ideologiche e di slogan propagandistici. Infatti, chi teorizza che, senza il ponte, non vi sarà sviluppo economico per intere generazioni di siciliani, presenti e future, afferma il falso; chi afferma che l'opera è a costo zero per la collettività e si paga da sé nega l'evidenza; chi sostiene che, se non venisse realizzato il ponte sullo Stretto, saranno deluse le aspettative di milioni di elettori forza la realtà.
La stragrande maggioranza dei siciliani assiste alle dispute con distacco, se non addirittura con scetticismo. I più avveduti sono palesemente infastiditi dalla piega ideologica che ha assunto il dibattito e vorrebbero che si decidesse sulla base di solide motivazioni razionali.
Le popolazioni più direttamente interessate, vale a dire quelle che vivono sullePag. 14due sponde dello stretto di Messina, considerano il ponte più una minaccia che un'opportunità.
La battaglia per il ponte, in verità, è solo una battaglia degli stati maggiori dei partiti siciliani della Casa delle libertà e della loro ristretta cerchia di attivisti. Ad essa sono legate in particolare le sorti politiche del presidente della regione siciliana Cuffaro e del leader del nuovo partito regionalista, Raffaele Lombardo.
Il primo, Cuffaro, dopo aver dilapidato tutto quello che c'era da dilapidare, si trova nell'impossibilità di replicare le politiche clientelari del passato e ha disperato bisogno di un diversivo per mettersi al riparo dal malcontento popolare.
Il secondo, Raffaele Lombardo, punta a radicare nella società siciliana il suo movimento sedicente autonomista, con uno spregiudicato rivendicazionismo localistico, preso a prestito dalla Lega di Bossi di cui, ricordiamo tutti, è stato alleato.
Per lo schieramento di centrosinistra il ponte di Messina non era una priorità prima delle elezioni e, a maggior ragione, non lo è oggi, una volta accertato che il disastro dei conti pubblici è superiore a qualsiasi pessimistica previsione. Il Governo Prodi non poteva non sospendere la realizzazione dell'opera e destinare i fondi così liberati ad altre iniziative infrastrutturali per tre buone ragioni. La prima: perché non sono chiare le basi economiche e finanziarie dell'operazione. La seconda: perché non ha senso fare il ponte se non ci sono prima le vie che portano ad esso. La terza: perché lo scenario, cari colleghi, in cui l'opera si collocava, è profondamente cambiato. Sostenere, come ci ripetono con stucchevole monotonia i colleghi dell'opposizione, che il ponte non costa nulla ai contribuenti, che i soldi ci sono e che in ogni caso vi avrebbe sopperito il gestore dell'opera è una colossale bugia.
I capitali su cui poteva fare affidamento la Società Stretto di Messina per finanziare la realizzazione dell'opera, se non fosse intervenuto lo stop del Governo, sarebbero provenute per intero dalle casse pubbliche. A essi contribuivano per il 94,8 per cento tre società del Ministero dell'economia: Fintecna, le Ferrovie, e l'ANAS, mentre il rimanente 5,2 per cento era a carico per metà della Regione Sicilia e per metà della Regione Calabria.
Il contributo del gestore, che in prima battuta non versava un solo euro, era tale solo sulla carta. Non è mai stato possibile fare chiarezza sui volumi di traffico attesi e sulla capacità del ponte di ripagare, attraverso gli incassi, il fabbisogno derivante dai mutui che si sarebbero dovuti accendere e i futuri costi di gestione.
Tutte le proiezioni presentate non apparivano allora, e non appaiono oggi, convincenti e alimentano il dubbio che i ritorni previsti siano molto, ma molto incerti.
La riprova? Il Governo Berlusconi, per convincere il futuro gestore del ponte a imbarcarsi nell'impresa, ha sentito il bisogno di concedergli un robusto paracadute aggiuntivo, come onestamente riconoscono nella loro mozione i colleghi D'Alia, Tassone e Volontè. Si tratta della garanzia dello Stato, qualora i pedaggi incassati fossero risultati insufficienti, a coprire le spese di gestione. Ecco qual è la garanzia del privato. Altro che autosufficienza finanziaria. L'espressione «cattedrale nel deserto» sarà anche abusata, ma nessuna descrive meglio il quadro che si sarebbe determinato qualora fosse stato dato il via libera all'opera.
Oggi non è agevole raggiungere, sia da nord che da sud, lo stretto di Messina. I cantieri della Salerno-Reggio Calabria sono in grave ritardo, perché i finanziamenti sono stati erogati finora con il contagocce. L'ammodernamento della ferrovia è finanziato solo fino a Battipaglia e inoltre ci vorranno inevitabilmente alcuni anni prima che esso sia completato. La TAV, che da Napoli dovrebbe arrivare allo stretto, è verosimilmente nella mente del Signore.
Il presidente Cuffaro, che si strappa capelli a ogni piè sospinto per il futuro del corridoio 1, il corridoio Berlino-Palermo, fa finta di dimenticare che, per collegare Berlino con il futuro ponte, bisogna prima disporre di una rete ferroviariaPag. 15degna di questo nome, che porti, appunto, da Napoli a Reggio Calabria.
Ancora peggiori sono i collegamenti dalla Sicilia allo stretto di Messina: nell'isola le ferrovie sono un vero e proprio buco nero, non c'è un collegamento veloce fra Palermo, Catania e Messina.
Il treno che da Vittoria, principale centro agricolo della Sicilia, e da Siracusa, sede del maggior polo industriale, porta allo stretto, è ancora ad un binario. Il sistema autostradale è la casuale sommatoria di tanti spezzoni tra di loro mal collegati e presenta vuoti piuttosto vistosi.
Solo attorno al 2010 - speriamo - con la realizzazione della Catania-Siracusa e della Siracusa-Gela saranno completati i collegamenti autostradali tra Messina ed il resto della Sicilia orientale; mentre sono ancora in attesa del via la Palermo-Agrigento e la Nord-sud siciliana.
In questo contesto, buon senso vuole che le scarse risorse disponibili siano prioritariamente destinate alle infrastrutture che portano all'ipotetico ponte, piuttosto che alla realizzazione di quest'ultimo: nel rapporto tra costi e benefici, un euro investito nelle ferrovie e nelle autostrade calabresi e siciliane ha un ritorno di gran lunga maggiore di un euro investito nella costruzione del ponte. Ciò per la semplice ragione, cari colleghi, che quell'euro ha una resa immediata e si traduce subito in migliore qualità della vita per le popolazioni interessate, in economie esterne e in maggiori opportunità di sviluppo per le imprese.
La resa di quello stesso euro resta, invece, congelata per anni se lo si investe nella costruzione del ponte. Perché esso generi ricchezza è necessario aspettare che siano realizzate - fra l'altro - anche le infrastrutture di collegamento che lo rendano realmente funzionale. La pausa di riflessione decisa dal Governo diventa poi ancor più opportuna se si riflette sulla rivoluzione in corso nella geografia dei trasporti: un vero e proprio cambio di paradigma che rende obsolete buona parte delle coordinate concettuali su cui abbiamo finora ragionato. L'esplosione dei commerci con il far east asiatico sta riportando il Mediterraneo al centro del mondo e sta radicalmente modificando scenari, flussi di traffico e calcoli di convenienza.
Le proiezioni sul ritorno del ponte sono state basate sul numero di camion e di auto che si presumeva vi sarebbero transitati nei prossimi decenni e davano per scontato che ancora per molto tempo le merci sarebbero state trasportare prevalentemente via gomma e che i turisti avrebbero continuato a spostarsi in macchina. È probabile, invece, che in futuro le merci viaggeranno soprattutto via mare e che il peso delle ferrovie nel trasporto merci aumenterà in maniera significativa e che i turisti privilegeranno gli aerei low cost.
Nei prossimi anni la vera occasione di sviluppo per la Sicilia e la Calabria dipenderà dalla capacità dei loro porti di inserirsi in questa rivoluzione, di sfruttare la felice posizione geografica di cui godono per intercettare, da un lato, fette crescenti di traffico provenienti dalla Cina e dall'India e per porsi, dall'altro, come terminale di un sempre più fitto reticolo di interscambi con gli altri porti europei e mediterranei. Invece di affidarsi al muro contro muro, l'opposizione farebbe meglio a discutere su come attrezzare i porti, su come connetterli tra loro e con le altre infrastrutture, su come consolidare i punti di forza e superare i punti di debolezza del sistema logistico. Se affrontato serenamente, un simile dibattito ci farebbe approdare ad un elenco di opere condivise.
Le priorità sono sotto gli occhi di tutti: il Mezzogiorno continentale ha bisogno di completare, nei tempi il più possibile brevi, l'ammodernamento sia dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria che della ferrovia Napoli-Reggio e di ridare slancio al porto di Gioia Tauro, che l'anno scorso, cari colleghi, è stato superato dal porto spagnolo di Algeciras come primo porto hub del Mediterraneo, a causa - lo dobbiamo dire - del reiterato blocco degli investimenti in atto praticamente dal 2001.
La Sicilia ha bisogno di velocizzare i collegamenti ferroviari tra Palermo, MessinaPag. 16e Catania, di completare le autostrade Catania-Siracusa e Siracusa-Gela, di realizzare la Palermo-Agrigento e la Nord-sud, di valorizzare il porto di Augusta, anche come porto hub: una scelta obbligata per non perdere quote nel traffico per il far east asiatico e per evitare che i porti dell'alto Adriatico - Ravenna, Venezia, Trieste - siano tagliati fuori dal rimescolamento in atto nelle direttrici di traffico.
Solo dopo aver fatto i conti fino in fondo con l'impatto che questa vera e propria rivoluzione avrà sulle modalità di trasporto, sarà possibile valutare con cognizione di causa il futuro del ponte di Messina e verificare, senza isterismi ideologici e senza riserve mentali, se abbia senso o meno mettere all'ordine del giorno la sua realizzazione. In un paese normale le grandi scelte infrastrutturali, il cui orizzonte temporale si misura in decenni, sono necessariamente bipartisan; cerchiamo - almeno una volta - di comportarci da paese normale (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. Colleghi, ricordo che ciascun gruppo, sulla base del contingentamento della discussione, ha a disposizione un tempo complessivo ripartito tra i diversi oratori iscritti a parlare; conseguentemente, non richiamerò chi, nell'ambito del tempo complessivo assegnato, dovesse prolungarsi, essendo implicito che l'intervento di tale deputato sottrarrà tempo a quello dei colleghi del suo gruppo iscritti a parlare.
È iscritto a parlare il deputato La Loggia. Ne ha facoltà.

ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, sarei dovuto intervenire per illustrare la mozione - per la verità, poi molto acutamente e brillantemente illustrata dal collega Angelino Alfano -, ma un contrattempo non mi ha consentito di essere puntuale; mi rammarico veramente e chiedo scusa della circostanza, ma ho cercato in ogni modo di giungere in tempo.
Mi limiterò quindi ora, in questa fase, solo ad alcune brevissime considerazioni.
Anzitutto, vorrei restasse agli atti di questa seduta la mia opinione, secondo la quale sarebbe poco auspicabile, su un argomento così importante, non trovare un'intesa per procedere a tale intervento, soprattutto tra quanti qui siedono in rappresentanza della Sicilia, per un verso, e della Calabria per un altro (ma mi riferirei anche all'intero Mezzogiorno del nostro paese, complessivamente 'toccato' dalla soluzione o meno di un problema che si trascina ormai da ben troppo tempo).
Farò al riguardo un paragone. Signor Presidente, signor sottosegretario, la Sicilia attese 85 anni per potere vedere riconosciuto il proprio diritto ad uno Statuto speciale. Sicuramente, lei ricorderà (peraltro, le scritte, in quest'aula, lo ricordano a tutti) che nel 1861 si svolse un referendum istituzionale in Sicilia - così come in tante altre parti d'Italia: qui, vengono ricordate le date una per una - per la costruzione di quella che poi diventò l'Italia unita sotto il regno sabaudo. Perché affermo che aspettammo 85 anni? Perché, quando fu chiamata al referendum istituzionale, la Sicilia doveva rispondere a due domande, non ad una sola. La prima, era: volete l'Italia unita? La seconda: volete lo Statuto speciale? I siciliani scelsero di dire «sì» ad entrambe, anche se ad interessarli era soprattutto la seconda domanda. Purtroppo Cavour, che aveva assunto quell'impegno, di lì a breve venne a mancare e la Sicilia attese appunto ben 85 anni - fino al 1946 - per vedere riconosciuto il proprio diritto allo Statuto speciale.
Ricordo tali fatti perché anche in quelle circostanze vi fu una divisione tra le forze politiche, che certamente agevolò la volontà dello Stato centrale di non dare una risposta immediata, come invece avrebbe dovuto fare. Tutto ciò finì poi per svilupparsi nel corso del tempo: vinsero gli autonomisti rispetto agli indipendentisti; trovammo interlocutori nazionali come De Gasperi, Sturzo e Vanoni i quali, anche se dopo avere giustamente evidenziato talune difficoltà, alla fine concessero che la Sicilia potesse avere questo Statuto.
Ebbene, del ponte ormai parliamo sin dall'inizio degli anni cinquanta; se vogliamo trovare una data simbolica, possiamo riferirci proprio al 1950. Sono dunquePag. 17passati già 56 anni: studi, altri studi, progetti di massima, verifiche di carattere ambientale, di carattere economico, rispetto alle correnti marine, all'intensità dei flussi d'aria (e, quindi, alle correnti d'aria), alla situazione sismica e rispetto a tutto quanto poteva giustamente costituire un problema che avrebbe dovuto sicuramente essere risolto prima di eseguire l'opera; studi di tutti i tipi.
Siamo giunti quindi al momento dell'aggiudicazione di tale opera e al reperimento dei fondi necessari e adesso sentiamo dire - e mi dispiace che tali affermazioni siano rese anche da colleghi siciliani e calabresi - che si tratta di un'opera faraonica e inutile, come dice il ministro Bianchi. Io credo che invece si tratti di un'opera strategica.
Non si tratta soltanto di un problema viario o ferroviario - questa è una maniera riduttiva di esaminare la questione -, ma di un problema relativo alla costruzione della più alta opera di ingegneria mai pensata e realizzata nella storia dell'umanità. Recenti studi hanno quantificato in più di 10 milioni le persone che ogni anno si recherebbero in quell'area anche solo per ammirare quest'opera.
Si parla di un problema ambientale. Facendo una battuta, ho detto che se duemila anni fa ci fosse stato il ministro Pecoraro Scanio, probabilmente avrebbe sostenuto che i templi di Agrigento non dovevano essere costruiti perché avrebbero deturpato le più belle colline del Mediterraneo o, più di cento anni fa, avrebbe detto la stessa cosa per la Tour Eiffel! Il problema di carattere ambientale non deve essere inquadrato alla luce di schemi precostituiti, ma talvolta occorre andare oltre, come in questo caso.
Inoltre, ho sentito dire - a dire il vero, non in quest'aula - che i soldi andrebbero a vantaggio della mafia.

FILIPPO MISURACA. È stato fatto...!

ENRICO LA LOGGIA. Davvero? Troppo comodo, non possiamo fare due volte il favore alla mafia: una volta perché non riusciamo a combatterla adeguatamente - anche se negli ultimi tempi siamo riusciti ad ottenere risultati straordinari - e un'altra volta perché, a causa della mafia, gli investimenti per il meridione non dovrebbero essere riconosciuti. No, la Sicilia non può sopportare questo tipo di ragionamento!
Invito anche i colleghi della sinistra a riflettere, al di là delle divisioni di schieramento o di bandiera, che lasciano il tempo che trovano rispetto alla reale volontà di riconoscere la possibilità di sviluppo e di occupazione per la nostra terra.
Si dice che vi è la necessità di altre opere, certamente essenziali ed utilissime. Nessuno nega tale necessità, che tuttavia dovrà essere soddisfatta insieme alla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina. Evidentemente, si potrà rivedere il piano finanziario, ma non si può sostenere che il ponte non si farà perché le risorse sono necessarie per altre opere. Quali opere, se persino il Comitato per la legislazione non riesce a fornire una risposta a tale domanda, citando addirittura una fonte giornalistica, vale a dire Il Sole 24 Ore del 29 settembre scorso, nel quale si dice che il ministro Padoa Schioppa avrebbe annunciato che il Tesoro ha intenzione di destinare al Mezzogiorno, in particolare a Calabria e Sicilia, i 2 miliardi previsti per la realizzazione del ponte sullo stretto?
Signor rappresentante del Governo, la risposta la vogliamo adesso, al termine di questo confronto e deve essere esauriente e chiara. Non si può affermare che si realizzeranno altre opere, non si può sostenere che intanto le risorse saranno utilizzate su altri fronti ma vorremmo quanto meno sapere quali sono questi altri fronti e quali sono i vantaggi alternativi rispetto alla scala di priorità nella quale il ministro Di Pietro afferma che il ponte non è certamente tra le prime opere da realizzare.
Dove? Quando? Quali i tempi? Abbiamo aspettato 85 anni per lo Statuto, dobbiamo aspettare altri 29 anni (56 sono già trascorsi), per il ponte sullo stretto? ÈPag. 18questo che la Sicilia merita dai propri rappresentanti in Parlamento e in seno al Governo? Non credo.
Concludo, almeno per il momento, dicendo che la correzione va fatta oggi! Va fatta nella finanziaria, e va fatta immediatamente, non possiamo aspettare che si svolgano altri dibattiti e altri confronti. Va fatta adesso, in questo contesto storico, qui, alla Camera dei deputati. Invito, quindi, i colleghi della sinistra che hanno a cuore questo problema a prendere posizione dopo un sereno confronto che vada oltre le contrapposizioni politiche e guardi soltanto agli interessi della Sicilia, della Calabria e dell'intero Mezzogiorno (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fedele. Ne ha facoltà.

LUIGI FEDELE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho sottoscritto anch'io insieme a tanti colleghi siciliani e calabresi la mozione a prima firma La Loggia. Abbiamo presentato questa mozione non tanto per parlare di questo argomento come se si trattasse di una questione ideologica. Assolutamente no, tanto meno perché il precedente Governo di centrodestra e, in particolare, il Presidente Berlusconi l'hanno voluta portare avanti.
Il ponte sullo stretto è un'opera di cui si sono già accertate la fattibilità tecnica e la compatibilità ambientale. È un'opera sulla quale si è già espletata una gara pubblica internazionale. La Impregilo, capogruppo della cordata vincitrice della gara, ha siglato un'intesa con la società Stretto di Messina Spa per procedere alla redazione del progetto definitivo e per la realizzazione dell'opera. Non si parla, quindi, di cose ancora da venire, ma di cose in dirittura di arrivo. Inoltre, come ricordava poc'anzi il collega La Loggia, non ci si venga a dire che l'opera non si può realizzare solo per problemi, per così dire, ambientali, quali la mafia. Ciò, non solo a mio avviso, ma di tutti i colleghi siciliani e calabresi del gruppo di Forza Italia e del centrodestra che hanno sottoscritto la mozione, è assolutamente inaccettabile perché è offensivo dell'intelligenza dei calabresi e dei siciliani.
Le somme necessarie alla realizzazione dell'opera, 4,9 miliardi di euro, erano state già reperite. Inoltre, non abbiamo mai sostenuto che si sarebbe dovuto realizzare soltanto il ponte ma abbiamo sollecitato anche la realizzazione di un'autostrada e di una rete ferroviaria adeguata. Faccio riferimento, in particolare, all'A3 i cui lavori sono stati sbloccati e portati avanti soltanto dal Governo Berlusconi. Con l'insediamento del Governo Prodi, con riguardo all'A3, si è parlato invece di blocco dei lavori e di taglio dei fondi. Altro che nuove autostrade! Noi, invece, siamo per la realizzazione delle autostrade, nonché dell'alta velocità ferroviaria per raggiungere Villa San Giovanni e la Sicilia. Tutto ciò, però, si può realizzare soltanto se il ponte sullo Stretto verrà costruito. Noi non pensiamo, pertanto, ad una realizzazione del ponte fine a se stessa, non siamo così stupidi da non comprendere che ciò non avrebbe senso. Questo noi sosteniamo e siamo d'accordo con i colleghi che sostengono tale tesi. Cerchiamo, allora, di essere veramente concreti e di andare avanti in questa direzione.
Prodi ha dovuto inserire la non realizzazione del ponte sullo stretto nel suo programma elettorale perché l'estrema sinistra è stata sempre contraria alla sua realizzazione. Non so fino a che punto una parte della sinistra non voglia veramente che il ponte sullo stretto rappresenti un'opera emblematica e il volano per un vero sviluppo del sud del paese. Al riguardo, non va trascurato che studi recenti hanno valutato in circa 40 mila le persone che ogni anno lavorerebbero, direttamente e indirettamente, alla realizzazione di quest'opera.
Non credo, quindi, che considerazioni di questo tipo possano essere trascurate in regioni come la Sicilia e la Calabria, ma tutto ciò, al contrario, va tenuto in grande considerazione. Noi calabresi, siciliani e meridionali in genere non possiamo accettare di essere tagliati fuori dalle grandi direttrici commerciali: dalla realizzazione di questa infrastruttura, anche il porto diPag. 19Gioia Tauro beneficerebbe di un incremento delle proprie attività; il ponte, inoltre, rappresenterebbe un'attrazione per milioni e milioni di turisti che verrebbero a visitarlo da tutto il mondo. Per noi, quindi, è un'opera indispensabile.
È indispensabile per lo sviluppo del sud, della Sicilia e della Calabria. Tra l'altro, si darebbe vita anche ad un laboratorio tecnico-scientifico, come in nessuna parte del mondo, con grande vantaggio per le nostre università. Vi sarebbero studi e progetti continui, non solo durante la realizzazione del ponte ma anche successivamente. Quest'opera potrebbe avere un grande impatto scientifico a livello mondiale. Il Governo sostiene che i relativi fondi andrebbero spostati da questa legge finanziaria su altre opere, ma vorremmo sapere quali sono le opere da realizzare, visto che l'autostrada in Calabria si sta già costruendo, con appositi fondi già stanziati. Quali sono le opere in Calabria che dovreste finanziare? Non siamo d'accordo sullo spostamento di fondi, ma vorremmo comunque capire dove andranno a finire questi soldi.
Da anni si parla dell'area metropolitana dello stretto, con l'integrazione tra le città di Messina e di Reggio Calabria con tutta l'area circostante. Potrebbe essere ancora più interessante se il ponte dello stretto riuscisse a legare in maniera fisica queste due realtà. Chiediamo soltanto di non essere tagliati fuori dallo sviluppo. Chiediamo con forza al Governo che riveda la sua posizione e che al più presto, già con questa legge finanziaria, cambi idea.
Proprio ieri, un grande economista italiano, Mario Monti, sosteneva sul Corriere della sera che l'economia ha un disperato bisogno delle infrastrutture ma che prevalgono logiche che le bloccano. Quale migliore sviluppo ci potrebbe essere per l'economia del sud se non la realizzazione del ponte sullo stretto? In questi minuti, in Calabria, c'è il Presidente Prodi, accompagnato da altri autorevoli esponenti del Governo. Di cosa parlerà? Farà soltanto l'ennesima passerella? Noi calabresi non ne abbiamo bisogno, ma vogliamo sapere se ci saranno dei fondi per il sud. Prodi dovrà darci una risposta, considerato che la legge finanziaria prevede tagli anche per i comuni, soprattutto per quelli piccoli. La collega Santelli ricordava bene come le prefetture di Vibo Valentia e di Crotone verranno tagliate fuori da questa legge finanziaria. Per lo sviluppo del sud abbiamo bisogno anche di infrastrutture e il ponte va in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, il Governo di centrodestra, durante la precedente legislatura, aveva assegnato un ruolo centrale alla realizzazione delle grandi opere pubbliche. A tal fine, aveva varato una legislazione del tutto speciale, incentrata sulla cosiddetta legge-obiettivo. Gli interventi di gran lunga più rilevanti avrebbero dovuto riguardare il settore dei trasporti, strade, autostrade e ferrovie, ma anche altri settori.
Purtroppo i risultati raggiunti dai governi Berlusconi sono chiari ed evidenti a tutti i cittadini. Al di là delle simboliche «pose» della prima pietra, il quadro è abbastanza chiaro e deludente. Opere iniziate, soprattutto nei trasporti, senza un'adeguata copertura finanziaria, discrezionalità di scelte che hanno finito per favorire l'individuazione dei lavori soprattutto nel nord del paese, se è vero com'è vero che solo l'8 per cento dell'avvio dei lavori ha fatto riferimento al Mezzogiorno.
Per la Sicilia le cose non sono andate bene e non vanno neppure bene in altri settori, in particolare per quel che riguarda l'approvvigionamento idrico. Pur essendo stato nominato un commissario straordinario, con poteri speciali per cinque anni, nella persona del presidente della regione, pur avendo avuto a disposizione finanziamenti cospicui, specialmente comunitari, ancora oggi ci sono città capoluogo in Sicilia dove l'acqua arriva tre giorni la settimana per soltanto tre ore.Pag. 20
Colleghi parlamentari, basterebbero soltanto queste considerazioni per avvalorare e supportare la nostra posizione. Oggi il ponte non è una priorità; la Sicilia e - ci permettiamo di dire - la Calabria hanno altre emergenze da affrontare, legate allo sviluppo e al lavoro. Quindi, vi è la necessità di dotare territori importanti del Mezzogiorno di infrastrutture stradali e di opere idriche.
Qualcuno, però, sostiene che questa sia una posizione di «non scelta» per coprire pregiudizi ideologici. Anche stasera è stato ripetuto che la scelta di non considerare una priorità la realizzazione del ponte sullo stretto sia strumentale per non entrare nel merito delle questioni concrete. Pur nei limiti di tempo concessimi, farò riferimento alle principali argomentazioni che sono state poste nel dibattito dai colleghi del centrodestra, presentatori delle mozioni, per rispondere con cifre e fatti ad alcune tesi che creano non poche perplessità.
È stato detto, anche nella discussione in corso, che il ponte si farà senza impegnare soldi pubblici. È falso, perché le risorse che erano state accantonate (2,5 miliardi di euro per l'aumento del capitale della «Stretto di Messina spa») erano denaro pubblico proveniente da una società a capitale interamente pubblico, la Fintecna, mentre il resto sarebbe stato tutto a rischio dello Stato, con l'impegno a saldare ai privati l'eventuale disavanzo tra i flussi di traffico - e quindi di reddito - previsti e quelli effettivi.
Si è aggiunto che i traffici su rotaia e su gomma sarebbero cresciuti grazie alla costruzione del ponte. È falso anche questo, perché gli advisor, una società inglese indipendente, hanno spiegato che il traffico su gomma attraverso lo stretto è in costante diminuzione: meno 6 per cento per le auto e meno 8 per cento per i camion, a fronte di un aumento del 45 per cento del traffico aereo dalla Sicilia e del 105 per cento del traffico commerciale marittimo.
Mai i colleghi hanno aggiunto che il ponte avrebbe creato 40 mila nuovi posti di lavoro. È falso anche questo, colleghi calabresi del Polo delle libertà. Anche in questo caso gli advisor dimostrano come l'occupazione non supererà le 15 mila unità, spalmate per tutta la durata dei lavori, con una postilla che i tifosi del ponte si guardano bene dal rendere nota: la percentuale dei lavoratori calabresi e siciliani sarà minima, al di sotto delle 1.600 unità. Si tratta, infatti, di lavori ad altissima specializzazione professionale, basata sull'utilizzazione di prefabbricati prodotti in altre parti del paese e d'Europa.
Infine, è stato detto che il ponte serve all'economia siciliana. Ci permettiamo di dire che anche su questo vi sono dati falsi. L'economia siciliana da molti anni preferisce spostarsi via mare, un sistema più economico e più rapido. Ogni giorno dalla Sicilia vengono imbarcate sui traghetti e sui mercantili 205 mila tonnellate di derrate, ossia il 70 per cento dell'intero traffico commerciale con il continente.
Le considerazioni svolte, quindi, non partono da un pregiudizio ideologico, bensì dal principio di precauzione che in economia è alla base di ogni progetto di fattibilità. Al principio di precauzione, ai flussi di traffico, alla crescita del PIL del territorio, all'effettiva ricaduta occupazionale, ai costi e ad altro - aspetti che hanno ispirato la nostra azione - potremmo aggiungere la preoccupazione (che riteniamo legittima, onorevole La Loggia) per gli interessi dei clan mafiosi siciliani, calabresi e di oltreoceano.
Tra l'altro si tratta di una preoccupazione consolidata dal fatto che un anno fa - lei lo ricorda bene - ci sono stati cinque ordini di arresto, notificati anche oltreoceano, di gruppi di Cosa nostra, che hanno interconnessione con Cosa nostra siciliana e con la 'ndrangheta calabrese. Non diciamo che le opere non si debbano fare perché c'è la mafia, bensì pensiamo che su quest'opera la mafia abbia già messo gli occhi.
Va considerato inoltre il pesante impatto ambientale, con la distruzione di ecosistemi di alto valore, ed il condizionamentoPag. 21urbanistico per le comunità dello stretto, dovuto alle lunghissime ed ingombranti rampe di lancio.
Per concludere, qualcuno ha fatto troppo populismo, troppa demagogia. Il ponte è diventato un mito, la soluzione di tutti i mali. Forse sì, serve per coprire le responsabilità di una certa classe dirigente di centrodestra in Sicilia, che invece di fare il proprio dovere dilapida risorse: una regione siciliana - governata da un presidente di centrodestra -, che si caratterizza per i propri buchi nella sanità e per il modo clientelare con cui opera.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Ascaro!

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Chiedo rispetto, perché questo vostro modo di discutere fa a pugni con quello che ha detto l'onorevole La Loggia, il quale ha richiamato ad un dibattito sereno e franco. Io sto esponendo la mia posizione. Ho detto che la Sicilia a mio parere non ha...

FILIPPO MISURACA. Sono attacchi personali!

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. ...gli interessi, oggi, tuttavia mi sono anche soffermato su temi, che sono stati motivi della vostra mozione e che ho respinto con dati, che eventualmente vi chiedo di smentire.
Aggiungo che secondo voi - onorevole Marinello - il modo di discutere è quello di indicare il nemico, di dire che chi è contro il ponte per motivazioni profonde è nemico della Sicilia e del Mezzogiorno! Questo è un modo assolutamente sbagliato di andare avanti. Siamo invece convinti che si debba rispondere, al di là della vostra demagogia e del vostro populismo, con i fatti. Noi abbiamo cercato di individuare alcune importanti opere infrastrutturali, al fine di determinare un interconnessione multinodale, per potenziare porti, interporti ed aeroporti - e questo lo vogliamo fare già con la prossima finanziaria -, per cercare di collegare il Mediterraneo con l'Europa e per aprire nuovi straordinari orizzonti di vera crescita economica e sociale per le nostre comunità (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Beltrandi. Ne ha facoltà.

MARCO BELTRANDI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, le argomentazioni che sono esposte nelle due mozioni all'ordine del giorno hanno una loro validità ed importanza. In effetti, la realizzazione del ponte sullo stretto era già stata decisa. Una gara era già stata vinta da una cordata di aziende capeggiata da Impregilo. I finanziamenti necessari a realizzare l'infrastruttura erano già stati reperiti - anche se ho sentito in quest'aula valutazioni diverse al riguardo -, tranne un 6 per cento, che è una percentuale che, di per sé, non è tale da spaventare alcuno, perfino la finanza disastrata del nostro paese.
L'oggetto delle due mozioni è un'infrastruttura che ha sicuramente una sua importanza, di cui in Italia si discute da decenni, e che probabilmente avrebbe effetti positivi, di per sé, sull'economia dell'Italia intera, oltre che sull'economia delle regioni interessate, anche se forse non nella misura che indicano gli estensori delle mozioni. È anche vero che il ministro delle infrastrutture, onorevole Antonio Di Pietro, nell'audizione in Commissione trasporti prima della sospensione estiva dei nostri lavori, aveva detto (per stabilire quali opere di quel libro dei sogni, che si è rivelata la legge obiettivo, andassero realizzate in via prioritaria) di voler utilizzare il criterio dello stato di avanzamento dell'opera, o per lo meno del suo progetto: prima si sarebbero dovute completare le opere i cui cantieri erano già stati aperti, poi quelle appaltate ed infine, via via, le altre opere che si trovavano in uno stadio ancora meno avanzato.
Allo stato di ciò che mi è dato sapere, appare altresì probabile che penali di non trascurabile importo dovranno essere versate al general contractor, Impregilo, inPag. 22caso di non realizzazione dell'infrastruttura; questo è un elemento che è stato certamente analizzato dai ministri competenti.
D'altro canto, la Rosa nel Pugno ha scelto e sceglie, senza tentennamenti, la via della modernizzazione del paese, e la questione della realizzazione delle infrastrutture di cui l'Italia difetta è essenziale per il sistema economico, così come per l'intera società italiana e per lo sviluppo dell'Unione europea. Ci batteremo per la realizzazione di infrastrutture nel nostro paese, naturalmente nel rispetto dell'impatto ambientale e attraverso la ricerca di un confronto e di soluzioni con le popolazioni locali interessate dalle opere.
Devo dare atto agli estensori delle due mozioni presentate dalle opposizioni di non aver prestato il fianco a strumentalizzazioni che, invece, avevamo individuato in precedenti mozioni relative ad altre opere infrastrutturali. Eppure, detto tutto ciò, ad una analisi che non sia superficiale tutto questo insieme di buone ragioni e di oggettività riguardanti la realizzazione del ponte sullo stretto non sono sufficienti per indurci ad esprimere un voto favorevole su queste due mozioni.
Noi ascolteremo il punto di vista del Governo e ci rimetteremo alle sue valutazioni e a quelle dei colleghi parlamentari. Siamo molto interessati a questo dibattito, al termine del quale decideremo quale voto esprimere. Nel frattempo, però, non possiamo non osservare come le buone ragioni esposte nelle mozioni non bastino di per sé a far considerare il ponte sullo stretto un'opera prioritaria rispetto alle altre, in un contesto in cui le risorse sono molto scarse rispetto ai progetti auspicabili.
Ad esempio, occorrerebbe chiedersi se la costruzione di questa opera, in assenza di strutture autostradali o ferroviarie di collegamento che abbiano una certa efficacia, possa davvero portare i miglioramenti alla mobilità sperati. Io ne dubito in buona misura, così come credo sia indifferibile riflettere su quale tipo di mobilità per merci e persone occorra favorire, se su gomma o su rotaia, e quali infrastrutture prevedere sulla base di questo tipo di decisioni. Anche da questo punto di vista, occorre riflettere non sull'utilità, ma sulla priorità del ponte sullo stretto.
Sono anche contrario a chi propone un referendum su questa materia, per la semplice ragione che la decisione in merito alla realizzazione o meno di una infrastruttura non può essere lasciata soltanto alle popolazioni locali. Esistono infatti infrastrutture, come il ponte sullo stretto, che hanno una rilevanza nazionale ed anche internazionale. Di questo aspetto occorre tenere conto, altrimenti magari realizzeremo anche il ponte sullo stretto, ma per altre infrastrutture (penso all'alta velocità in Val di Susa, oppure ai rigassificatori), che pure sono contrastate da parte delle popolazioni locali, con la via dei referendum riservati alle popolazioni locali non andremo da nessuna parte: sarebbe la fine del governo delle infrastrutture e del territorio nel nostro paese.
In ultimo, ma non per ultimo, c'è un programma elettorale, che l'Unione ha presentato e con il quale ha vinto le elezioni. Esso prevedeva, a torto o a ragione, l'esclusione di tale opera. Com'è noto, la Rosa nel Pugno, per riconoscimento pubblico del Presidente del Consiglio dei ministri nella scorsa primavera, non è stata messa nelle condizioni di partecipare, se non in minima parte, alla stesura di questo programma. Vi sono parti che non condividiamo, eppure il programma esiste e con la massima ragionevolezza va applicato, perché corrisponde ad un impegno preso con gli elettori.
Pertanto, per tutte le ragioni che ho indicato, ascolteremo il parere del Governo e dei colleghi e decideremo quale atteggiamento assumere, certi che il Governo saprà valutare le buone ragioni esposte a favore e contro la realizzazione prioritaria di questa opera.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Piro. Ne ha facoltà.

FRANCESCO PIRO. Signor Presidente, noi consideriamo fortemente condivisibilePag. 23la posizione assunta dal Governo, il quale non valuta il ponte sullo stretto come un'opera prioritaria e, al contempo, decide di trasferire i fondi attualmente disponibili in un fondo istituito presso il Ministero delle infrastrutture per destinarli ad opere necessarie in Calabria e in Sicilia. È una posizione equilibrata, che consente di riconsiderare la fattibilità e l'utilità del ponte, senza tenere tuttavia bloccati fondi preziosi per il miglioramento del sistema infrastrutturale del Mezzogiorno.
È una risposta positiva anche all'ondata di populismo cavalcata da forze politiche che agitano un confuso autonomismo sicilianista che ha bisogno di un nemico esterno, soprattutto per evitare di fare i conti con se stesso. Costoro mitizzano il ponte, vi individuano quasi una missione catartica - il riscatto della Sicilia - e ne esaltano i benefici sotto il profilo economico di attrattore di investimenti e di flussi turistici. Di contro, ne minimizzano, anzi, ne ignorano totalmente i costi a carico della finanza pubblica, il devastante impatto ambientale, i rischi connessi alla effettiva fattibilità dell'opera, la concentrazione di poteri criminali nell'area dello stretto e l'infiltrazione mafiosa nella gestione degli enormi flussi di denaro che la costruzione del ponte sarebbe destinata a generare. Quanto all'ultima considerazione, non si deve certo rinunciare ad investire per paura della mafia, però non si deve investire sapendo che una parte cospicua delle risorse può alimentare il circuito della accumulazione mafiosa. Di contro, l'esaltazione dei costi non può assurgere a ruolo di ideologizzazione del «no» che impedisce di verificare e valutare con attenzione le possibili positive ricadute del ponte.
Deve essere sviluppato, dunque, un ragionamento sereno che prenda in considerazione soprattutto gli scenari futuri. Il futuro del Mezzogiorno, e della Sicilia in particolare, si incide fortemente nella dimensione segnata, da una parte, dalla dichiarazione di Barcellona del 1995, che configura la realizzazione, nel 2010, di un'area di libero scambio nel Mediterraneo tra i paesi facenti parte dell'Unione europea e tutti gli Stati che sul Mediterraneo si affacciano e, dall'altra parte, dal cambiamento dei flussi delle merci a livello mondiale che, non interessando più prevalentemente l'Atlantico ed il Pacifico, hanno creato una nuova centralità del Mediterraneo. La Sicilia - basti solo questa banale osservazione - è al centro del Mediterraneo ed essa, insieme a tutto il Mezzogiorno, può davvero pensare di diventare ponte tra Europa e Mediterraneo. Lo sviluppo futuro dell'area si gioca su questo, sulla capacità di pensarsi come piattaforma di interconnessione tra Asia ed Europa, sulla capacità di porsi come una regione aperta per la quale le vie del cielo e del mare, soprattutto, saranno le vie non solo degli scambi commerciali ma anche della cooperazione internazionale e della cultura dell'integrazione. La Sicilia, terra che storicamente ha intrecciato tutti i flussi vitali nel Mediterraneo, può candidarsi autorevolmente ad un simile ruolo per il quale, però, è necessario attrezzarsi adeguatamente e tempestivamente.
Nel Mediterraneo, le persone si muovono in prevalenza in aereo e in nave e le merci sono movimentate attraverso le vie del mare. Un solo esempio, peraltro già richiamato in questa Assemblea: ogni giorno, dalla Sicilia partono via nave 205 mila tonnellate di derrate, circa il 70 per cento dell'intero traffico commerciale con il continente. Ecco perché riteniamo prioritario intervenire sul sistema degli aeroporti e sulle strutture portuali nonché sulle strategie integrate per lo sviluppo dei servizi legati alla logistica e delle aree retroportuali attrezzate, migliorare decisamente i collegamenti tra i porti e gli aeroporti e tra questi e le reti di traffico, intensificare la realizzazione delle autostrade del mare con navi e porti specializzati e, infine, prevedere strutture per gli scambi modali, interporti e piattaforme logistiche. Insomma, più che di un ponte che colleghi Sicilia e Calabria abbiamo bisogno di costruire ponti e collegamenti nel Mediterraneo e con l'est asiatico.
Ecco perché quella del ponte sullo stretto, prima ancora di essere una idea sbagliata, si rivela come un'idea piccola. IlPag. 24ponte finirebbe per assorbire energie e risorse che, molto più utilmente, potrebbero essere spese per realizzare gli obiettivi dianzi delineati che - questi sì - avrebbero un rilevante e positivo impatto sull'economia dell'isola e di tutto il Mezzogiorno. Non è vero, infatti, che il ponte sarebbe a costo zero per le finanze pubbliche; tutt'altro. Vi erano - possiamo parlare al passato - i circa 2,5 miliardi di euro già accantonati per l'aumento di capitale della Stretto di Messina Spa. Vi è, soprattutto, il rischio assunto dallo Stato, che si è impegnato a saldare ai privati gestori l'eventuale disavanzo originato dai flussi di traffico effettivi rispetto a quelli previsti, e quelli previsti appaiono certamente ottimistici e sovrastimati.
L'advisor ha spiegato che il traffico su gomma sullo stretto è in diminuzione, a fronte di un aumento del traffico aereo e marittimo da e per la Sicilia. Inoltre, il traffico stimato a regime di 18 mila veicoli al giorno è largamente inferiore alla capacità teorica del ponte, che è di circa 100 mila veicoli al giorno. Vi sono però altri due elementi da considerare. Il primo è legato ai costi di attraversamento, che sicuramente saranno largamente superiori ai ticket dei traghetti, non compensati peraltro - e questo vale per gli autoveicoli - dai tempi di percorrenza, che rimarranno, a causa dei 30 chilometri di collegamenti da percorrere, pressoché uguali nei periodi normali rispetto ai traghetti.
Il secondo elemento discende dai periodi in cui il ponte dovrà rimanere chiuso per esigenze di sicurezza ed atmosferiche. La stessa Impregilo ha chiarito che si prevedono periodi di chiusura fino ad 80 giorni l'anno per le auto, fino a 120 per i treni e fino a 140 per i furgoni e i camion telati. Quand'anche questi periodi di chiusura fossero meno della metà e meno della metà della metà, come si farà ad attraversare lo stretto? C'è qualcuno che pensa che sia davvero possibile smantellare gli invasi e togliere i traghetti? Allora, chi paga il mantenimento delle strutture e delle navi per i veicoli e per i treni? Con l'accordo di programma sottoscritto il 27 novembre 2003 è stato previsto che le Ferrovie verseranno alla società del ponte 100,6 milioni di euro all'anno, cifra che ogni anno verrà rivalutata. Non solo, è sancito anche che lo Stato verserà ogni anno alla società il contributo che attualmente eroga alle Ferrovie, pari oggi a 38 milioni di euro. In questo accordo, inoltre, è posto a carico delle Ferrovie l'onere della manutenzione ordinaria e straordinaria della parte ferroviaria del ponte. Lo Stato, in definitiva, assume il rischio di impresa, tutto il contrario di quello che è successo sulla Manica, dove la società del tunnel ha assunto su se stessa il rischio di impresa.
I costi di realizzazione sono sottostimati, solo se si consideri che il prezzo dell'acciaio - che rappresenta l'80 per cento del manufatto e incide sul 50 per cento dei costi - è in continuo aumento; e già oggi va aumentata la previsione di almeno un miliardo, a cui vanno aggiunti i costi derivanti dalle 35 prescrizioni tassative formulate dal CIPE per l'apertura dei cantieri.
Si è molto enfatizzato l'impatto sull'economia siciliana e calabrese e sull'occupazione. Occorre sapere che basta applicare una matrice intersettoriale per scoprire che il maggior valore aggiunto, in termini sia di sollecitazione economica che di attivazione di posti lavoro, si ottiene al nord del paese. Il ponte, si dice, è essenziale per l'alta velocità del Corridoio n. 1 Palermo-Berlino; ma si farà mai l'alta velocità sulla Salerno-Reggio Calabria, opera che costa non meno di 24 miliardi? In Sicilia c'è solo la velocità minima; la velocità commerciale media dei treni è infatti di 24 chilometri all'ora e la rete è composta al 95 per cento da un binario unico.
Si presta poca attenzione, inoltre, all'impatto che un manufatto di così gigantesche proporzioni è destinato ad avere sull'ambiente, sugli equilibri ecologici, sulla morfologia del territorio, sugli assetti urbanistici, sugli stessi stili di vita nell'aria. Non si dice, infine, che nessuna delle opere, stradali o ferroviarie, indispensabili per il ponte è stata fin qui neanche avviata; e sì che l'accordo di programmaPag. 25del 2003 prevedeva il completamento di alcune di esse addirittura alla fine del 2005.
Credo che a tutti coloro che si appassionano alla questione stia soprattutto a cuore uno sviluppo sostenibile della Sicilia, della Calabria e dell'intero Mezzogiorno. Proprio per questo, dunque, dobbiamo discutere, per evitare che tutti, favorevoli o no, operino in modo che il ponte diventi la più grande delle opere inutili, la più inutile delle grandi opere (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è dal 1987 che mi occupo di questioni infrastrutturali, tra cui quella del ponte sullo stretto di Messina, quindi conosco la storia del progetto e delle sue diverse fasi, iniziando proprio dal famoso bando per il miglior ponte da costruire sullo stretto, che ha visto prevalere il prototipo realizzato dallo studio Musumeci. Purtroppo, da allora ad oggi si sono susseguite maggioranze ed opposizioni ed ogni volta, da osservatore imparziale, da esterno, da studioso universitario o da presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, ho dovuto ascoltare le opinioni di coloro i quali erano nella maggioranza di Governo, in genere favorevoli a questa costruzione, e di coloro che erano all'opposizione, in genere oppositori della stessa, mentre altre volte è successo il contrario, come avviene oggi.
Debbo dire che gli argomenti ascoltati nel corso dell'odierno dibattito sono poco riportati nelle mozioni, nel senso che le due mozioni aventi come primi firmatari, rispettivamente, i colleghi La Loggia e D'Alia mi sembrano abbastanza motivate per una scelta positiva in quanto alla costruzione del ponte. Ho letto rapidamente anche le due mozioni presentate successivamente, l'una, avente come primo firmatario il collega Franceschini, vicina all'interpretazione più corrente del programma dell'Unione, e l'altra, avente come primo firmatario il collega Diliberto, di interpretazione molto più estrema.
Ho operato, in otto anni di presidenza del Consiglio superiore dei lavori pubblici, per la maggior parte approvando - o, comunque, valutando - le opere del centro-nord, perché al centro-sud erano scarsissime quelle progettate ed appaltate (taluno ha parlato di 8 per cento, ma la percentuale è stata bassa in tutto il periodo, e non solo negli ultimi cinque anni). Nel 1997 ho presieduto il Consiglio superiore dei lavori pubblici che ha approfondito - con cinque mesi di discussione, con una commissione di 30 membri formata dai più alti esperti italiani ed internazionali di tutti i settori, non solo di quelli tecnici - ed ha approvato il progetto del ponte, con numerosissime prescrizioni, che sono state le linee guida della progettazione successiva, arrivata ad un livello vicino al definitivo. Per quanto riguarda la progettazione, essa è di altissimo livello, ed è confrontata periodicamente con gli esperti di due università giapponesi che hanno realizzato i progetti di diciassette ponti, tra cui uno simile a quello di Messina il cui cantiere sarà avviato nel prossimo biennio.
È nota, quindi, la mia personale opinione su questa opera e non mi dilungo perciò nel merito tecnico, anche perché considero poco attendibile una discussione tecnica in Parlamento. Ci sono le sedi in cui si fa la discussione tecnica, ci sono i pareri sulla parte tecnica, paesaggistica e ambientale.
Non ritengo assolutamente accettabile l'idea che un'opera nuova debba per forza piacere a tutti dal punto di vista estetico o paesaggistico. Posso ricordare che all'epoca di Tito Livio, quando si stavano per realizzare alcuni degli acquedotti romani più alti in Europa, vi era una opposizione durissima alla costruzione di queste cattedrali nel deserto. Eppure, quando Goethe nel suo lungo viaggio in Italia è passato vicino a queste costruzioni, ha dichiarato che erano le opere più belle che aveva ammirato nel nostro paese. Ciò non vuol dire che il Colosseo adesso è bello perché sono passati duemila anni. Posso garantirePag. 26che anche allora sul Colosseo vi è stata una grandissima discussione, anche perché la sua costruzione ha comportato l'eliminazione di un bel laghetto. Per lungo tempo il Colosseo è stato abbandonato, diventando una discarica; oggi è l'opera simbolo di Roma e del mondo romano antico.
Io che le ho ascoltate continuamente per tutte le opere non credo sia giusto prendere a pretesto queste considerazioni di carattere paesaggistico, cosiddette ambientalistiche, per giudicare l'opportunità o meno di questa realizzazione.
Altra valutazione che io non credo debba prendersi a pretesto è il fatto che il ponte di Messina debba necessariamente essere finanziato con fondi privati. Ho seguito e in gran parte collaudato l'opera sotterranea più importante d'Italia, la Firenze-Bologna, con 79 chilometri di galleria, opera molto più importante del passaggio sotto il canale della Manica. A questa aggiungo la Brennero-Salerno e la Val di Susa-Trieste. Tutte queste opere valgono insieme oltre 45 miliardi di euro. Il fatto che gli stanziamenti per tali opere siano tutti pubblici non spinge nessuno a sostenere che invece esse debbano essere realizzate con fondi privati. Se si dovesse realizzare anche il ponte, non vedo per quale ragione non dovrebbe essere finanziato dallo Stato.
Mi meraviglio quando deputati della Repubblica parlano del quadruplicamento ferroviario della linea Salerno-Palermo con sufficienza. Non si tratta di un semplice adeguamento, si devono rinnovare le ferrovie dello Stato, quadruplicandole nelle aste principali, come in tutto il resto del paese, a carico dello Stato. Non si può dire, come fa Ferrovie dello Stato Spa, di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze, che fino a Salerno i costi sono inferiori ai benefici, mentre da Salerno in giù essi sarebbero superiori, perché non si tratta una società privata, ma di una società di proprietà pubblica che riceve i fondi dal Tesoro sia se opera a nord di Napoli sia se opera a sud. A me sembra assurdo che si venga assuefatti all'idea che nel Mezzogiorno è di là da venire l'alta velocità, che costa 22 miliardi di euro di fronte ai 45 già stanziati e agli altri 20 che devono essere investiti per il centro-nord.
Si continua ovviamente a portare il sud in una situazione infrastrutturale da terzo mondo. Questa è la vera questione: vogliamo portare l'alta velocità ferroviaria tra Salerno e Palermo? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre. In questo senso poi si può discutere se costruire il ponte, parte di esso, o no, se vogliamo traghettare il pendolino, che non può mai arrivare a Palermo senza un collegamento stabile, o no; è una discussione che si deve svolgere, ma non se ne deve fare una questione ideologica. I cittadini del sud, secondo me, finanziano il treno ad alta velocità in tutta Italia, mentre per la parte che li riguarda non lo possono fare.
Pertanto, considerato che il ponte sarebbe un'opera soprattutto ferroviaria, se manca la volontà politica, come è mancata a tutti i precedenti Governi - oggi non vedo neanche questo Governo prendere di punta la questione dell'avvio dello studio di fattibilità dell'alta velocità ferroviaria tra Salerno e Palermo (nessuno!) -, di realizzare il treno ad alta velocità al sud, è chiaro che il ponte diventa un'opera simbolica, un'opera a sé, con una funzione non solo dimezzata, ma addirittura ridotta ad un quarto delle potenzialità. È chiaro che segue la stessa sorte.
Questo è ciò che rimprovero alle mozioni presentate, anche se per quello che sostengono sono corrispondenti ad una logica che già è stata portata avanti con serietà dai Governi precedenti; parlo del Governo D'Alema, del Governo Prodi, del Governo Berlusconi, i quali hanno tutti approfondito le ragioni per la realizzazione del ponte, ma si sono dimenticati di avviare contemporaneamente gli studi di fattibilità dell'alta velocità verso il sud. Insistere, quindi, per ragioni di opportunità politica, sulla realizzazione del ponte, senza far cenno alla necessità di costruire il nuovo sistema ferroviario al sud e senza esprimere una valutazione su di esso significa avere un approccio ideologico, come quello di coloro che respingonoPag. 27l'idea. Devo dire che il Governo di centrodestra, che pure ha appaltato l'opera, si è disinteressato della ferrovia, dando spazio alle critiche di coloro i quali accusano il ponte di essere una cattedrale nel deserto. Respingo con forza le tesi di chi sostiene che il ponte, con il flusso di denaro, attira la malavita, la n'drangheta e la mafia, che si sono messe d'accordo, perché non è vero (Applausi di deputati del gruppo Forza Italia). La costruzione del ponte sarebbe un cantiere molto isolato, mentre vi posso dire che l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, che si dirama per 400 chilometri, è molto più permeabile, come non lo è Gioia Tauro, come non può esserlo un cantiere del ponte.

PRESIDENTE. La prego di concludere...

AURELIO SALVATORE MISITI. Concludo, Presidente. L'attuale Governo si trova ad operare con un programma in cui è scritto che l'opera ponte non è prioritaria. L'interpretazione di questa frase è libera; essa può voler dire che la parte di investimento pubblico sarà utilizzata per altre opere, come prevede la finanziaria, modificando la destinazione prevista in sede di liquidazione dell'IRI, oppure che, approfittando della scelta del Governo, si dovrà ricorrere al mercato internazionale per realizzare l'opera.
Sta di fatto che la rescissione del contratto con il contraente generale procurerà solo vantaggi economici alle imprese, il cui importo non è dato valutare con esattezza.
Quindi, a mio modo di vedere, sarebbe necessario che, anziché battersi una volta da una parte e una dall'altra a favore o contro, ci si sedesse intorno ad un tavolo (perché le grandi opere non hanno colore) al fine di valutare le modalità migliori per realizzare l'infrastrutturazione del sud, a partire dall'alta velocità ferroviaria.

PRESIDENTE. La prego di concludere...!

AURELIO SALVATORE MISITI. Vorrei rilevare che quando si sostiene che ci si concentrerà sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria si fa un'affermazione buona, ma non esaustiva. Noi vogliamo, infatti, che il sud sia dotato soprattutto di infrastrutture ferroviarie, con particolare riferimento alla Calabria ed alla Sicilia: questa sarebbe l'opera buona da realizzare. In tal senso, ovviamente, nutro molte perplessità anche sulle due mozioni presentate dai colleghi appartenenti alla maggioranza (Applausi di deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Dussin. Ne ha facoltà.

GUIDO DUSSIN. Signor Presidente, considerato il dibattito che si sta svolgendo in Assemblea, mi riservo di rappresentare in sede di dichiarazioni di voto sulle mozioni gli orientamenti complessivi del nostro gruppo. In questa fase, infatti, mi sembra opportuno intervenire sulla scia del discorso pronunciato dal collega Misiti (collega anche di Commissione), al quale va riconosciuto un certo coraggio, poiché ha parlato senza far leva su argomentazioni e proposte populiste.
Vorrei, a tale riguardo, evidenziare un aspetto testè richiamato dal collega Misiti. È ovvio, infatti, che se la mafia deve intervenire su una di queste opere - mi rivolgo ai colleghi del centrosinistra -, essa troverà un tessuto maggiormente «permeabile» (termine usato precedentemente dall'onorevole Misiti) in tanti piccoli cantieri.
Si parlava di populismo; tuttavia vorrei ricordare che, al posto del ponte sullo stretto di Messina, si propongono numerose altre opere per la Sicilia e la Calabria: anche ciò è populismo, poiché significa accontentare tanti altri soggetti e soddisfare numerose altre esigenze.
Ritengo, invece, che quelle di cui stiamo discutendo siano infrastrutture strategiche. Se quella in oggetto è un'opera strategica, così come l'ha ritenuta il Governo precedente, essa va inserita nell'ambito delle tante altre infrastrutture di cui abbiamo preteso la realizzazione.
La confusione di questi giorni, creata soprattutto da alcune componenti dellaPag. 28maggioranza (in particolar modo, da alcuni esponenti del Governo), mette oggi in discussione numerose altre opere. Infatti, per quanto riguarda il corridoio n. 5, l'alta velocità è messa parzialmente in discussione in val di Susa; allo stesso modo, vengono messi in forse il Mose a Venezia ed altre infrastrutture.
Vorremmo quindi che fossero garantite certezze anche su tale aspetto, poiché, parlando di un'opera strategica come il ponte sullo stretto di Messina, ritengo giusto e necessario confermare la realizzazione di infrastrutture fondamentali per il nostro paese.
A tale riguardo, sappiamo che vi è bisogno non solo di realizzare opere particolari, come quelle strategiche, ma anche di riformare il nostro paese, affinché non rimanga impantanato nelle pastoie della sua burocrazia. Occorre evitare, infatti, procedure di approvazione e di autorizzazione all'esecuzione di opere basate su metodi tipicamente parlamentari, ma che la gente sicuramente non comprende e non accetta.
Tali limiti ci faranno perdere competitività rispetto al contesto europeo. Infatti, l'Italia si trova e si troverà sempre più in difficoltà da questo punto di vista e rimarrà negli ultimi posti per quanto riguarda la realizzazione di grandi opere.
Vorrei ricordare, a tale riguardo, che la cosiddetta legge obiettivo aveva una grande missione: far ripartire ed avviare, anche celermente, le grandi infrastrutture strategiche. Oggi vediamo che queste vengono messe in discussione, con particolari tecniche e strategie.
Penso che il nostro sistema paese abbia bisogno di riforme che sblocchino gli ostacoli e favoriscano le richieste della vita produttiva e della vita quotidiana. Parlo quindi dell'ambiente, della vita sociale e della salute delle persone.
Chiediamo conferme sulle opere strategiche, in particolare per quelle che riguardano il nord, che vediamo messo in discussione. Chiediamo anche perché, se si mettesse in discussione la realizzazione del ponte (essendo questa opera strategica finanziata per una parte consistente con i soldi dello Stato), dovremmo necessariamente finanziare altre opere con quei soldi che rappresentano una disponibilità dello Stato. Se il ponte non sarà realizzato, i conseguenti finanziamenti dovranno rientrare nella disponibilità dello Stato. Questo è il nostro parere.
Ci riserviamo ovviamente di dare un contributo fattivo in fase di votazione; apprezziamo fin d'ora, per coerenza rispetto alle nostre passate decisioni, le due mozioni presentate dalla Casa delle libertà, in quanto gli impegni che ci siamo assunti ovviamente rimangono tali. Valuteremo il tutto in seguito, in base alle argomentazioni relative alle opere strategiche avviate.
Il nostro parere, per coerenza, non cambierà e sarà esteso a tutte le altre opere. Valuteremo, quindi, le opere che riguardano il nord; in particolare segnalo l'alta velocità per il corridoio n. 5, tutto il corridoio n. 5, e il Mose. A Roma capitale è stato assegnato un grandissimo contributo, molto probabilmente, anzi sicuramente perché c'è un sindaco diessino che fa richiesta ogni anno, mentre a Venezia sono stati decurtati i fondi della legge speciale. Credo che questo non sia il giusto modo di approcciarsi, per cui valuteremo il tutto alla fine della discussione. (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Intrieri. Ne ha facoltà.

MARILINA INTRIERI. Signor Presidente, colleghi, penso che il Governo abbia chiarito bene che il ponte non rappresenta una priorità e questa posizione è emersa chiaramente. È stato detto che il ponte non rappresenta una priorità per l'attività di questa legislatura, specie in considerazione del bilancio e delle risorse ereditate dalla precedente legislatura.
Nell'insieme urgono invece opere di maggior rilievo per il bene comune, come il completamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, la statale 106 ionica e il potenziamento di reti ferroviarie e autostradali siciliane. La costruzione del pontePag. 29distrarrebbe molti fondi che servono alla realizzazione di infrastrutture primarie veramente necessarie a Calabria e Sicilia, per far decollare lo sviluppo economico che tarda in queste regioni, lasciando quei territori nel degrado, nella povertà ed esposti alla mafia.
Il progetto del ponte, che fu affidato alla società Stretto di Messina, con compiti di progettazione, realizzazione, gestione, quale collegamento tra la Sicilia e la penisola italiana, ha registrato una posizione del Governo che, con il decreto-legge n. 262 del 2006, ha provveduto a modificare l'assetto azionario della predetta società, eliminando il vincolo della partecipazione, sia diretta che indiretta, dell'Istituto per la ricostruzione industriale, prevedendo la partecipazione dell'Anas al capitale sociale, delle stesse regioni Sicilia e Calabria, e di altri partner e partecipate pubbliche.
In quella stessa sede il Governo ha disposto che le risorse finanziarie inerenti agli impegni di Fintecna nei confronti della medesima società vengano attribuite al Ministero dell'economia e delle finanze, con versamenti in apposito capitolo di bilancio per opere infrastrutturali per la tutela ambientale e la difesa del suolo per le regioni Sicilia e Calabria.
Dunque, il progetto del ponte - inserito nella scorsa legislatura tra le infrastrutture strategiche previste dalla legge-obiettivo - è stato collocato dall'Unione europea soltanto al diciassettesimo posto tra le opere da realizzare per lo sviluppo del Mezzogiorno, seppure considerato come unico, vero intervento da promuovere nell'asse verticale Berlino-Palermo, che prevede invece un ampio sistema integrato in campo viario, ferroviario e marittimo.
D'altra parte, è stato anche ricordato da più colleghi intervenuti che gli stessi advisor, nominati dal Ministero dei lavori pubblici nell'anno 2000, nella valutazione del progetto hanno evidenziato come il ponte avrebbe una forte sottovalutazione e scarsa utilizzazione stradale. Esso non attrarrebbe nuovo traffico né lo sottrarrebbe a quello aereo o a quello marittimo.
Non vanno inoltre sottovalutate, a mio avviso, le preoccupazioni derivanti dalle segnalazioni della Direzione nazionale antimafia e dello stesso Ministero dell'interno, nonché degli organismi investigativi, sul grande interesse che 'ndrangheta e mafia - e il patto sancito tra loro - nutrirebbero nei confronti di quest'opera: ciò dovrebbe essere tenuto in considerazione, individuato e valutato da chi opera per la verifica di tali terribili fenomeni. Il ponte, purtroppo, rientra negli affari di queste due potenti organizzazioni criminali, al punto da far ipotizzare agli organi investigativi una forma d'intesa tra Cosa nostra e 'ndrangheta.
Credo che, a questo fine, sia stato opportuno firmare il protocollo d'intesa previsto dalla normativa antimafia, ma adesso è importante procedere velocemente verso la riconversione, signor rappresentante del Governo, della società Stretto di Messina, prevedendo l'utilizzo delle strutture presenti all'interno della nuova organizzazione ai fini di altri interventi infrastrutturali, per realizzare opere essenziali in Sicilia e in Calabria. In caso contrario, quell'impulso economico e sociale non arriverà nell'intera area del Mezzogiorno: per tale motivo sono più che mai urgenti interventi sulle autostrade, in relazione al recupero e alla tutela ambientale, vista la situazione di grande precarietà e pericolo per la difesa del suolo in queste regioni (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Francescato. Ne ha facoltà.

GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, il «no» dei Verdi al ponte sullo stretto viene da lontano: è stato ripetuto con assoluta coerenza nel corso di due decenni della nostra vita (siamo infatti nati vent'anni fa). È un «no» non ideologico né un rifiuto basato, caro La Loggia, su presunti eroici furori di un Pecoraro Scanio o di un Paolo Cento, bensì su tre soli ordini di motivazioni: ambientali, sociali ed economiche.Pag. 30
Ovviamente parto dall'ambiente, la cui tutela è uno degli assi portanti del nostro agire politico.
Questa opera mastodontica - 3 mila 300 metri: sarebbe il più lungo ponte ad un'unica campata del mondo, sospeso a due gigantesche twin tower di 382,6 metri, con annesso coacervo di 27 chilometri di raccordi stradali e 35 di raccordi ferroviari, con un immane volume di scavo, non inferiore ad 8 milioni di metri cubi - avrebbe un impatto devastante su uno degli ecosistemi più ricchi di biodiversità, più straordinari del Mediterraneo ma anche tra i più delicati. Un ecosistema nel quale il gioco tra le correnti - ricordate Omero: Scilla e Cariddi, che tre volte inghiotte e tre volte rigetta l'acqua del mare -, la conformazione particolare dei fondali, le differenze batimetriche hanno creato le condizioni per garantire una biodiversità assolutamente eccezionale; luogo prediletto per la riproduzione di tonni e pesci spada, ospita creature abissali, estinte altrove, e rare specie marine dai nomi evocativi, come il mollusco argonauta argo ed il bivalve pinna nobilis, e praterie sommerse di ondulate alghe laminarie. Naturalmente, immagino che il futuro di queste creature non sia in testa alla hit parade dei nostri problemi, ma al danno all'ecosistema marino bisogna aggiungere l'impatto disastroso su un tratto di costa ad alto rischio sismico, geologicamente fragile - ricordo al riguardo il detto di Giustino Fortunato, la Calabria come «sfasciume idrogeologico pendulo sul mare» -; un'area costellata di zone naturalistiche di gran pregio al di là e al di qua della stretto: ben undici siti di interesse comunitario, due zone di protezione speciale ai sensi della direttiva sugli uccelli, la riserva naturale regionale Capo Peloro-Ganzirri. Non è certo un caso che l'altolà dell'Unione europea alla costruzione dell'opera sia venuto proprio perché il progetto preliminare del ponte, come ricorderete, violava la già citata direttiva 79409, la direttiva Habitat, nonché, come tutti sappiamo, le norme comunitarie sulla VIA, gettate definitivamente alle ortiche dalla legge obiettivo varata dal Governo Berlusconi.
Ma vi sono anche ragioni di ordine sociale a motivare il nostro reiterato «no»: lo sconvolgimento del tessuto urbano e della qualità della vita di Villa San Giovanni, del sito di Ganzirri dove andrebbero ad aprirsi i cantieri. È un argomento che ho avuto modo di sviscerare in diretta poiché per due anni e mezzo sono stata consigliere comunale a Villa San Giovanni; la costruzione del ponte implicherebbe lo sfratto di centinaia di famiglie, lo sventramento di interi quartieri, lo sfascio geologico di colline già fragili e percorse da frane. Il tutto - al danno si aggiunge la beffa - senza che i cittadini di Villa o di Messina, messi fuori gioco dalla legge obiettivo che ha saltato a piè pari la fase della consultazione con gli enti locali, abbiano potuto esprimere la propria legittima opinione sul destino della loro comunità e del loro territorio.
Non torno sugli argomenti già trattati dai miei colleghi, quali le promesse di occupazione probabilmente molto gonfiate, l'ombra lunga della presenza mafiosa e l'addizionale beffa che il superponte risulterebbe largamente inutile perché il traffico automobilistico non è in crescita ma è in calo (i dati li avete già sentiti).
Veniamo ora alle motivazioni economiche del nostro «no»; a tale riguardo la grande opera si rivela per quello che veramente è, un grande imbroglio. Il costo annunciato - che dianzi era di 4,4 miliardi, con la base d'asta; ridotto poi a 3,9, con la vittoria di Impregilo nell'ottobre del 2005 - è destinato inevitabilmente a lievitare: basti pensare alla mancanza di meccanismi affidabili per compensare l'aumento dei prezzi dei materiali o agli incrementi dipendenti delle 35 prescrizioni di carattere tecnico-ambientale richieste dal CIPE (delibera n. 66 del 2003).
Per quanto riguarda, infine, la posizione dell'Europa, più volte chiamata in causa perché il ponte sarebbe il tassello di sistemi viari e ferroviari europei (vedi asse Palermo-Berlino), il meno che si può dire è che sia stata mal interpretata. È vero chePag. 31Bruxelles ha accettato di inserire il ponte nella lista delle reti TEN - e lo ha fatto su enormi pressioni del precedente Governo - ma è vero anche che non ha ritenuto di includere l'opera nella quick list, tra i progetti ritenuti veramente prioritari. E comunque l'Unione non ha rinunciato - lo dicevamo - ad aprire procedure di infrazione per violazione delle citate direttive comunitarie e per il mancato rispetto della procedura di VIA.
Sì, dobbiamo dirlo, noi Verdi: a lungo siamo stati soli in questa battaglia contro il ponte, ma negli ultimi anni il fronte del rifiuto ha guadagnato sempre più terreno; accanto ai Verdi, ambientalisti, costellazioni di comitati, associazioni e movimenti coagulati intorno alla sigla «no ponte», le perplessità e le ostilità alla grande opera si sono fatte strada anche all'interno di larghe fasce della società civile, delle forze politiche e sociali, a volte specie sul territorio - l'ho constatato personalmente - anche in maniera trasversale. Al punto che il «no» al ponte è entrato con forza nel programma dell'Unione - vi rimando alla pagina 210 del nostro programma -; tuttavia, questo «no» alla grande opera, o meglio al mito della grande opera, simbolo di una tecnologia che si vuole onnipotente, definita non a caso dal sociologo Osvaldo Pieroni dell'università di Cosenza come una tecnologia che mostra i muscoli, palestrata, vacua ed incensatoria, ebbene, il «no» a questa grande opera si deve trasformare in un «sì», anzi in molti «sì». Ciò accada anche grazie alla finanziaria; molti «sì» come hanno sempre chiesto i Verdi e come anche il programma dell'Unione ratifica: un «sì» alle opere veramente utili, come il potenziamento dell'autostrada del mare, l'ammodernamento della antiquata rete ferroviaria in Calabria ed in Sicilia, il raddoppio della tratta Messina-Palermo, il miglioramento delle reti idriche, l'impulso alle energie rinnovabili (pensate alla forza delle acque dello stretto, una fantastica fonte energetica come provano progetti di utilizzo già in corso), la difesa del suolo e del paesaggio, insomma tutta la gamma di interventi che si usa etichettare come sviluppo sostenibile e che rappresentano la vera, autentica, grande opera di cui il nostro sud ha bisogno (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e Comunisti Italiani).

PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Barani, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare il deputato Germanà. Ne ha facoltà.

BASILIO GERMANÀ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, in qualità di parlamentare mi occupo da quasi 12 anni di quest'opera e, tra i tanti atti parlamentari presentati, vorrei ricordare la mozione a mia prima firma sottoscritta da 85 senatori e assolutamente bipartisan. In quell'occasione, ricordo le difficoltà del Governo di sinistra allora in carica perché nessuno voleva intervenire in aula per fornire la risposta del Governo. Questa volta, a seguito della presentazione della mozione da parte del collega La Loggia, dopo dieci giorni ci viene fornita una risposta, mentre allora furono necessari quattro mesi, «sacrificando» il sottosegretario Bargone, il quale, leggendo una relazione stilata dagli uffici, affermò che il problema era costituito anche dalla resistenza ad agenti atmosferici, quali onde e vento. In quell'occasione gli feci notare che il ponte è sospeso a 64 metri di altezza e che onde di 65 metri, come nel caso dello tsunami, nel nostro mare non ne abbiamo. La «resistenza» in realtà veniva dai Verdi e da Rifondazione Comunista in quanto anche allora si era in presenza di un Governo di sinistra con diverse sfaccettature.
Onorevole Misiti, lei fa parte della maggioranza, ma, in qualità di ingegnere ed ex presidente della commissione superiore dei lavori pubblici, conosce bene il problema. Tuttavia, ha dimenticato di ricordare che il Governo Berlusconi, nel 2001, dopo aver emanato la legge obiettivo, diede incarico alla RFI di redigere un piano di fattibilità della tratta Battipaglia-Reggio Calabria, il cui costo risultò pari a 3,5 miliardi.
Ho grande rispetto per i Verdi e per Rifondazione comunista, in quanto, conPag. 32grande coerenza, si sono sempre dichiarati contrari alla realizzazione dell'opera. Al contrario, lo stesso rispetto non posso avere nei confronti di Prodi che, quando era presidente dell'IRI, sosteneva che il ponte doveva essere costruito. Allo stesso modo, non posso nutrire rispetto - caro collega Burtone - per l'onorevole Rutelli che, nel 2001, venne a Messina e imbrogliò gli elettori indicando anche la data nella quale sarebbe stata posta la prima pietra del ponte; questo non lo possiamo accettare (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
Nel 1996, anche qualcuno dei miei colleghi di coalizione era contrario alla realizzazione del ponte e allora spiegai il motivo economico che ne giustificava la costruzione. La Bulgaria, la Polonia e in generale i paesi dell'Est hanno avuto da sempre un rapporto economico privilegiato con la Francia e con la Germania; pertanto, l'Italia doveva guardare ai 21 paesi frontalieri dell'area mediterranea. Ciò era praticabile attraverso tre direttrici: quella turco-greca, quella spagnolo-portoghese e quella italiana a seguito della costruzione del ponte. Così, finalmente, anche l'Unione europea inserì tale opera tra quelle prioritarie.
La realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, insieme alle altre opere previste dalla RFI, farà guadagnare 80 minuti di tempo e in tal modo - mi rivolgo al parlamentare di Ragusa - anche i prodotti agricoli di Ragusa arriverebbero nei mercati generali 80 minuti prima di quanto arrivino oggi.
Vorrei ricordare, a chi non conosce esattamente il problema, che anche noi parlamentari siamo costretti a raggiungere Roma per via aerea, in quanto i tempi di percorrenza dei treni si sono addirittura allungati. A seguito della realizzazione del ponte, si potrebbe guadagnare 1 ora e 20 minuti per l'attraversamento dello Stretto.
Se si parla di linea ferrata, poi, di non inquinamento, occorre rilevare che, ad esempio, l'Eurostar non è scomponibile, e non potrebbe mai arrivare in Sicilia, che quindi si vede esclusa dall'alta velocità.
Volutamente, infine, non parlerò dei vantaggi, anche di carattere turistico, ai quali faceva riferimento in precedenza il collega La Loggia.
Ultima considerazione. Alcuni colleghi hanno fatto riferimento ai 2,4 miliardi di euro erogati a fondo perduto. Non è vero! È sufficiente leggere il decreto legislativo n. 144 del 2003 per comprendere che si tratta di una quota di fondi concessi, ma che sarà restituita alla società che era, tra l'altro, partner. Al riguardo, i colleghi possono controllare.
Vedi, collega Burtone, una volta le Alpi ci difendevano dagli invasori; oggi, noi dobbiamo aprirci al mercato economico costruendo i ponti e realizzando ciò che hanno fatto i paesi civili quali, ad esempio, la Norvegia, la Svezia e il Giappone. Questi sono i paesi che crescono, e non il nostro con voi, che ingessate tutto!
Esaminiamo ora le promesse che avete fatto. Voi dite che farete questo e quest'altro, ma nei sette anni e mezzo in cui siete stati al Governo, sia nazionale sia regionale, cosa avete fatto per la Sicilia?

FILIPPO MISURACA. Si sono fermati al pendolino!

BASILIO GERMANÀ. Sì, si sono fermati al pendolino. Il collega Burtone ha fatto riferimento anche alla crisi idrica, ma in quegli anni che cosa avete fatto per risolverla? Noi, grazie a Dio, con il nostro Governo, regionale e nazionale, qualche problema lo abbiamo risolto. Si pensi a Palermo!
Concludo, anche perché non voglio sottrarre tempo a chi parlerà dopo di me. Una volta, tornando in Sicilia, all'aeroporto lessi un cartello nel quale era scritto: «Se siete stati a Roma inutilmente, anche il vostro ritorno sarà inutile». Credo che alcuni di voi, che non credete in queste opere e nel futuro della Sicilia, dovreste procurarvi un biglietto per cercare di fare un ritorno «utile» in Sicilia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni - Commenti di deputati del gruppo Comunisti Italiani)!

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rao. Ne ha facoltà.

PIETRO RAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, ritengo che la discussione sulle mozioni presentate dai deputati del gruppo di Forza Italia e dell'UDC abbiano sollevato un problema che non è importante in quanto serve a portare a casa qualche voto in più, ma perché è venuto il momento di cambiare rotta. È venuto il tempo di dare l'opportunità ai siciliani di non rappresentare più quel popolo e quella regione che è stata fino ad oggi territorio di conquista da parte di tutti.
Mi dispiace e mi amareggia che oggi la discussione, per certi versi, si sia persa nei meandri dei tecnicismi. Devo rivolgere il mio personale apprezzamento all'onorevole Misiti il quale da tecnico non ha parlato in questa veste, ma in quella di politico; cercando di porgere un argine a chi si improvvisava, di volta in volta, economista, ingegnere, e a chi, in maniera ancora più intraprendente, siciliano per giunta, mago che, pur non avendo una palla di vetro davanti a sè, immaginava già quale poteva essere il futuro della Sicilia con la realizzazione del ponte sullo Stretto.
Signor Presidente, la nostra amarezza è soprattutto quella di vedere che alcuni deputati siciliani non si siano spinti nella discussione sul ponte sullo Stretto ad affrontare il problema reale dello sviluppo della Sicilia ma hanno, invece, cercato di arrampicarsi sugli specchi tentando di sostituirsi un po' al tribunale della santa inquisizione, oppure si sono improvvisati, come detto, ingegneri ed economisti. Questi colleghi hanno parlato di tutto e di più senza avere però la benché minima idea di cosa rappresentassero le argomentazioni che hanno portato in Assemblea, a cominciare dal ragionamento fatto a proposito dell'area di libero scambio. A tale riguardo, ad esempio, vorrei chiedere al deputato di Siracusa se sa bene il significato di quello che accadrà nel 2010 quando quel confine virtuale, che oggi esiste tra i paesi del nord Africa e i paesi europei del Mediterraneo (i paesi della bassa Europa, compresa quindi la Sicilia), non ci sarà più.
Probabilmente, dal porto di Pozzallo, i pescherecci - se ci sono - o le navi (quelle ci sono) partiranno per la Tunisia e per la Libia per caricare pomodorini o formaggi a basso costo e andranno a rivenderli nella nostra regione, già martoriata soprattutto nel campo agricolo e della pastorizia. Abbiamo solo un'opportunità e questa ci viene data dal ponte e dalle infrastrutture ad esso connesse. Non è casuale che la Comunità europea abbia deciso che lo sviluppo si dovrebbe muovere su assi che andavano da est a ovest e da nord a sud, in particolare sull'asse Palermo-Berlino.
Non è casuale, inoltre, che il canale di Suez venga oggi allargato; ciò avviene, come sappiamo, perché i flussi economici, delle merci, ma anche culturali - devo dirlo all'onorevole Piro - si muoveranno dal sud-est asiatico, per giungere in Sicilia. La Sicilia potrebbe davvero rappresentare una porta di ingresso per l'Europa, una piattaforma, se venisse arricchita di porti, interporti e, soprattutto, del ponte.
Se il ponte non si realizza, tutto il sistema crolla: l'unica vera opportunità di sviluppo è rappresentata da questa grande opera, assieme a tutte le altre. Mi pare che il Governo Berlusconi, al secondo punto del proprio programma, avesse collocato proprio la realizzazione in termini brevissimi, con precise scadenze, della linea ferrata in partenza da Battipaglia e in discesa verso il sud. Allora, se non abbiamo chiaro il concetto di sviluppo, se non è chiaro cosa vogliamo fare del Mezzogiorno e della Sicilia in particolare, che paga un prezzo per la sua condizione di insularità, se vogliamo capire quale sarà il domani, quando l'area di libero scambio non ci sarà più, se vogliamo capire quali sono le ragioni per cui la Sicilia è rimasta sempre non il sud dell'Italia ma il sud del mondo, allora...

PRESIDENTE. Onorevole, la invito a concludere.

PIETRO RAO. Concludo. Ci dovete spiegare le vere ragioni del «no», che nonPag. 34sono né numeriche né legate alle cifre, cui vi prego di non appellarvi, perché è giusto lasciarle ai tecnici, che sono più capaci. Oggi, signor Presidente, rimango veramente amareggiato, perché un ragionamento di questo tipo me lo sarei aspettato, dal puntuale intervento del collega comunista...

PRESIDENTE. Onorevole Rao, come sa, la Presidenza le ha concesso di intervenire pur non essendosi iscritto a parlare entro i termini. Non può sforare il tempo che le è stato assegnato, cosa che ha già fatto, superando di due minuti il tempo che le spettava.

PIETRO RAO. Me lo aspettavo, per certi versi, ma devo dire che ho molto apprezzato l'intervento del collega della Rosa nel Pugno, il quale, pur ribadendo che l'opera non è prioritaria secondo il programma di Governo, ha almeno detto che se ne può parlare. Invece un «no» detto come presa di posizione, o perché qualcuno deve venire qui per ingraziarsi la simpatia...

PRESIDENTE. Onorevole Rao, non mi costringa a toglierle la parola. Il regolamento parlamentare e i diritti sono uguali per tutti i deputati. Lei sta usando del tempo che non le spetta.

PIETRO RAO. Signor Presidente, le chiedo umilmente scusa.

PRESIDENTE. No, onorevole Rao. Un minuto fa ha detto che stava concludendo. Quindi, concluda brevemente oppure le tolgo la parola.

PIETRO RAO. Signor Presidente, concludo con una frase.
Faccio appello a tutti gli onorevoli e a tutto il Parlamento: ai siciliani possono togliere tutto, ma non la speranza per i nostri figli (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per le infrastrutture, Tommaso Casillo.

TOMMASO CASILLO, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture. Signor Presidente, onorevoli deputati, cercherò di far recuperare tempo all'Assemblea. Il Governo, fin dal suo insediamento, ha evidenziato di non considerare, attesa l'esiguità delle risorse economiche disponibili, il programma diretto alla costruzione del ponte sullo stretto di Messina come prioritario, ritenendo invece di dover rivolgere preventivamente la sua attenzione ed i relativi fondi alla realizzazione di altre iniziative infrastrutturali, considerate di maggior necessità per lo sviluppo del Paese ed in particolare per il rilancio della Sicilia e della Calabria.
Si è comunque da subito precisato come tale posizione non dovesse essere intesa nel senso di un giudizio di inutilità dell'opera, sebbene il problema del suo finanziamento, trascurato nel passato, unitamente ad altre esigenze strutturali a carattere essenziale, abbia imposto scelte volte a stabilire delle precedenze realizzative. Se ciò non significa che il Governo è intenzionato a chiudere definitivamente la questione «ponte», come peraltro dimostrano le iniziative assunte in sede di manovra finanziaria, nel cui ambito sono state effettuate scelte importanti a tal riguardo, si sta procedendo con una programmazione diretta a predisporre quanto infrastrutturalmente necessario nel contesto di una priorità di un'indispensabile riqualificazione infrastrutturale dell'intera area interessata a porre le basi per una futura realizzazione del ponte.
In particolare, ci si riferisce alla decisione di far uscire la società Fintecna dalla compagine azionaria dello Stretto di Messina, facendo rilevare la relativa quota da parte dell'ANAS, lasciando comunque in vita la società Stretto di Messina Spa, peraltro senza modificarne la missione originaria. Queste importanti decisioniPag. 35sono evidentemente finalizzate a garantire la realizzazione del programma di opere infrastrutturali di adduzione allo stretto, rendendosi necessario rimuovere l'elemento di rigidità costituito dalla previsione della riserva legale, di cui alla legge 17 dicembre 1971, n. 1508, cedendo il relativo ramo di azienda ad ANAS Spa, ferma restando la partecipazione al capitale sociale delle regioni Sicilia e Calabria nonché di altre società controllate dallo Stato e di amministrazioni ed enti pubblici. Si vuol fare riferimento, in particolare, alle cosiddette opere complementari, funzionali e compensative.
Si prevede, inoltre, che le risorse finanziarie inerenti agli impegni assunti da Fintecna nei confronti di Stretto di Messina per la realizzazione del collegamento stabile viario e ferroviario fra la Sicilia e il continente (una volta che le azioni di Stretto di Messina, possedute da Fintecna siano state trasferite ad altra società controllata dallo Stato) saranno attribuite al Ministero dell'economia e delle finanze ed iscritte in apposito capitolo nel bilancio dello Stato denominato «Interventi per la realizzazione di opere infrastrutturali in Sicilia e Calabria», il cui utilizzo è stabilito con decreto del ministro delle infrastrutture, di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze, di intesa con le regioni Sicilia e Calabria.
L'attivazione di tale meccanismo determina il rilancio del programma infrastrutturale nell'area di collegamento tra la regione Sicilia ed il continente, attraverso la realizzazione di opere di adduzione allo stretto senza onere alcuno per lo Stato e con notevoli implicazioni occupazionali.
È di tutta evidenza, quindi, che il Governo, con la manovra finanziaria, ha puntato soprattutto a salvaguardare quanto era irrinunciabile per la realizzazione delle infrastrutture ritenute prioritarie. Nel contempo, ha rivolto la sua attenzione a quelle misure dirette a fornire copertura ad opere che, ancorché programmate ed in fase di avanzata esecuzione, erano tuttavia prive di risorse impiegabili. Ora invece c'è almeno la certezza che i cantieri che si apriranno lavoreranno fino al completamento dell'opera. D'altronde, è notorio come l'attuale situazione in cui versa la finanza pubblica permetta di compiere un passo alla volta, stabilendo nell'ambito di una dettagliata programmazione di carattere generale, anno per anno, nei confronti di quali iniziative - necessarie a rilanciare la Calabria e la Sicilia - concentrare le risorse disponibili.
Gli sforzi del Governo e quindi del Ministero delle infrastrutture sono volti a recuperare il ritardo infrastrutturale attraverso un programma certo e trasparente, prevedendo altresì una leale collaborazione con le regioni e gli enti locali, allo scopo di mettere in campo tutte le risorse disponibili e responsabilizzare ogni livello politico e decisionale. L'obiettivo è quello di programmare un mosaico di interventi, in grado di ridisegnare quella parte dell'Italia meridionale compresa tra la Sicilia e la Calabria, facilitando la mobilità e rendendo efficienti i servizi per i cittadini.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale Boato ed altri; D'Elia ed altri; Mascia ed altri; Piscitello: Modifica all'articolo 27 della Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte (A.C. 193-523-1175-1231) (ore 17,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale d'iniziativa dei deputati Boato ed altri; D'Elia ed altri; Mascia ed altri; Piscitello: Modifica all'articolo 27 della Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

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(Discussione sulle linee generali - A.C. 193 ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari L'Ulivo e Forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, deputato Boato.

MARCO BOATO, Relatore. Signor Presidente, desidero iniziare ringraziando non solo il presidente della Commissione affari costituzionali, Luciano Violante, ma anche tutti i gruppi rappresentati nella Commissione e in quest'Assemblea, per aver convenuto unanimemente sull'opportunità e sulla necessità di affrontare già all'inizio di questa legislatura l'esame parlamentare del testo unificato di quattro proposte di legge costituzionale, che in questa materia sono state presentate con testo identico. Ringrazio anche la stessa Conferenza dei rappresentanti di gruppo che ha ritenuto opportuno, sotto la Presidenza del Presidente Bertinotti, inserire tempestivamente questa materia all'esame dell'Assemblea.
Come ho appena accennato, si tratta di quattro proposte di legge costituzionale: la prima a firma Boato, Leoni, Zanella; la seconda a prima firma del collega D'Elia e sottoscritta da moltissimi deputati sia del centrosinistra sia del centrodestra; la terza a firma della collega Mascia, con tutti i colleghi del gruppo di Rifondazione Comunista; infine, la quarta, a firma del collega Piscitello. Peraltro, incidentalmente vorrei ricordare che anche nella scorsa legislatura erano state presentate cinque proposte di legge; anche in quel caso una a firma del sottoscritto, una anche a firma dell'attuale Presidente della Camera Bertinotti, una a firma del collega Pisapia, un'altra a firma del collega Zanettin di Forza Italia, ed altre che forse adesso non ricordo. Anche due legislature fa erano state presentate analoghe proposte di legge.
Queste quattro proposte di legge costituzionale, che ho appena citato, sono identiche e sono finalizzate ad escludere definitivamente qualsiasi riferimento alla pena di morte nella nostra Costituzione. Come forse non tutti ricordano - non dico in quest'aula ma forse al suo esterno -, nella nostra Costituzione è rimasto un riferimento alla pena di morte, contenuto nel quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione, che recita con forza «non è ammessa la pena di morte», ma aggiunge «se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra».
Tutta l'impronta dell'articolo 27, in realtà - cito anche il terzo comma - è assolutamente fondamentale e condivisibile. Il terzo comma recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tutto questo, tra l'altro, va letto opportunamente e necessariamente alla luce del secondo principio fondamentale della nostra Costituzione, il cui incipit recita: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo». Il primo inviolabile diritto dell'uomo è proprio il diritto alla vita. Tuttavia - lo ripeto -, sia pure in questa forma di eccezione, ossia solo per le leggi militari di guerra, tuttora la nostra Carta costituzionale fa riferimento alla pena di morte, che tutte le proposte di legge che ho citato e quelle identiche presentate nelle precedenti legislature mirano ad abolire definitivamente.
Per tre legislature, nella XIII, nella XIV e attualmente, nella XV, questa materia è stata affrontata nell'aula della Camera e ciò è stato fatto tempestivamente, all'inizio di ciascuna legislatura e con una convergenza pressoché unanime di tutti i gruppi, nessuno escluso.
Purtroppo, nella XIII e nella XIV legislatura l'iter di questa proposta di legge costituzionale non ha avuto il suo compimento nell'altro ramo del Parlamento. Per evitare riflessioni che assumerebbero qualche aspetto polemico con qualche componente dell'altro ramo del Parlamento nelle due legislature precedenti, non ne ricorderò le circostanze, anche perché sonoPag. 37profondamente convinto che, questa volta, sia la Camera, sia il Senato, arriveranno ad approvare - me lo auguro - all'unanimità o con un'amplissima convergenza, come già avvenuto in passato, questa proposta di legge.
Credo sia giusto far capire a tutti quanto l'Italia possa e debba essere caratterizzata dalla scelta di escludere totalmente la pena di morte dal proprio ordinamento costituzionale, anche nel caso ipotetico delle leggi militari di guerra. Non occorre soltanto ricordare la straordinaria lezione del giovanissimo Cesare Beccaria nel XVIII secolo, ma basti ricordare che il primo codice penale dello Stato unitario, il codice Zanardelli del 1889, entrato in vigore nel 1890, aveva già abolito la possibilità della pena di morte.
Quindi, l'Italia è stato uno dei primissimi paesi al mondo a non prevedere la pena di morte nel proprio codice penale, già nel primo codice unitario, nel 1889-1890.
Purtroppo, come tutti sanno, la pena di morte venne poi introdotta durante il regime fascista e qualche anno dopo inserita organicamente nel codice penale del guardasigilli Rocco nel 1930-31.
Ancora nel corso dell'ultima fase della guerra, la pena di morte fu soppressa dal decreto legislativo luogotenenziale n. 244 del 10 agosto 1944. Essa, per una situazione di emergenza, fu temporaneamente ripristinata per un breve periodo con il decreto legislativo luogotenenziale n. 234 del 10 maggio 1945 e, quindi, fu definitivamente abolita in tempo di pace con il decreto legislativo n. 21 del 22 gennaio 1948 - tale data dice tutto -, ossia subito dopo l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, vale a dire il 1o gennaio 1948, che, come ho già detto all'inizio di questa mia relazione, al quarto comma dell'articolo 27 prevede che non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.
Del resto, è significativo che l'ultima esecuzione capitale - almeno così raccontano le cronache - fosse effettuata in Italia il 4 marzo 1947, ossia poco meno di un anno prima dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana.
Il citato decreto legislativo n. 21 del 22 gennaio 1948, intitolato «Disposizioni di coordinamento in conseguenza della abolizione della pena di morte», dispose l'abolizione della pena di morte prevista da qualunque legge diversa da quelle militari di guerra, compreso il codice penale militare di pace.
Soltanto nella XII legislatura, dopo reiterati tentativi già effettuati nel corso della X e della XI legislatura, il Parlamento italiano, con l'approvazione della legge ordinaria n. 589 del 13 ottobre 1994, arrivò ad abolire qualunque ipotesi di pena di morte prevista nel codice penale militare di guerra e in qualunque altra legge militare di guerra. Mi fa piacere ricordare due aspetti di questa legge: il primo è che la presentatrice - anche se moltissimi furono i firmatari - fu la senatrice Ersilia Salvato; il secondo aspetto è che ci fu, anche in quel caso, una convergenza unanime di tutti i gruppi, sia del centrosinistra, sia del centro destra. Dalla data della legge ordinaria che ho testé citato, cioè dal 1994, la pena di morte è totalmente scomparsa dal nostro ordinamento ma, purtroppo, non è ancora completamente scomparsa dal nostro dettato costituzionale. Fortunatamente solo in via di ipotesi astratta (nessuno lo ha proposto mai), ciò consentirebbe ancora oggi la reintroduzione della pena di morte nelle leggi penali militari di guerra, anche se questo porterebbe l'Italia al di fuori del consesso europeo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 18,05)

MARCO BOATO, Relatore. Con l'approvazione della presente proposta di legge costituzionale, che risulta dal testo unificato di quattro proposte di legge, il quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione reciterebbe, semplicemente e senza eccezioni: «Non è ammessa la pena di morte». Sarebbe soppressa, appunto, in forza diPag. 38questa proposta legislativa, l'eccezione che, come ho già detto più volte, recita: «se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra».
Negli ultimi decenni è fortemente maturata, non solo in Italia ma a livello europeo ed internazionale, una crescente e profonda avversione alla pena di morte. Basti ricordare che, oggi, secondo gli ultimi dati - spero di non sbagliare - ci sono nel mondo 84 Stati totalmente abolizionisti e 24 Stati che l'hanno abolita de facto. Purtroppo, si contano ancora 76 Stati che la mantengono in vigore e 12 Stati che la prevedono in casi assolutamente eccezionali; quindi, gli Stati nei quali la pena di morte è ancora in vigore sono complessivamente 88. Comunque, il numero degli Stati abolizionisti totali o semplicemente abolizionisti de facto è cresciuto sempre più negli ultimi decenni e, nello stesso periodo, come ho ricordato, è fortemente aumentata la avversione alla pena di morte. Basti ricordare che fino agli inizi degli anni Ottanta, cioè fino a meno di trent'anni fa, essa era ancora prevista, ad esempio, in Francia, nel Regno Unito e in altri paesi del continente europeo. In tali paesi essa è stata, però, progressivamente soppressa e abrogata sia nei testi costituzionali (laddove ci sono, ovviamente, dato che nel Regno Unito non c'è una Costituzione scritta), sia nella legislazione ordinaria. Ad oggi, fortunatamente, l'esclusione della pena di morte è una delle precondizioni per poter far parte dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa.
L'Italia ha avuto un ruolo importante, nel 2002, anche per promuovere - erano proprio le settimane in cui esaminavamo, nel corso della precedente legislatura, questo testo nell'Assemblea della Camera dei deputati - l'istituzione, presso la sede della FAO, del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità ed il genocidio. Ebbene, lo statuto del Tribunale penale internazionale istituito a Roma nel 2002 esclude esplicitamente la possibilità di comminare la pene di morte anche per reati così spaventosamente gravi quali sono i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità e il genocidio.
Nella relazione scritta all'esame dei colleghi e dell'Assemblea - alla quale rinvio integralmente per una trattazione più sistematica - vengono richiamate le molteplici, innumerevoli iniziative contro la pena di morte, sia sul piano comunitario sia sul piano internazionale. Mi riferisco all'Unione europea per quanto riguarda la Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo, il Consiglio d'Europa, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ma anche - sia pure con minor forza - alle Nazioni Unite. A quest'ultimo riguardo, cito soltanto il secondo Protocollo facoltativo del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, che è stato adottato dall'Assemblea generale dell'ONU il 15 dicembre 1989 e che, per quanto riguarda l'Italia, è stato ratificato e reso esecutivo con la legge n. 734 del 9 dicembre 1994. Certo, è un Protocollo facoltativo, aggiunto al Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, ma esso stabilisce che nessuno Stato aderente a questo protocollo possa giustiziare alcun individuo soggetto alla sua giurisdizione; anche in questo caso, però, con l'unica eccezione della pena capitale in tempo di guerra, sia pure soltanto per reati di gravità estrema.
Sistematiche, invece, sono state negli ultimi decenni - in particolare, negli ultimi 15 anni circa - le iniziative, che sono tutte ricordate dettagliatamente nel testo scritto della mia relazione, contro la pena di morte da parte dell'Unione europea, nel quadro della promozione e protezione dei diritti umani, attraverso la comune politica estera e di sicurezza. Vorrei a questo proposito anche ricordare che già al Trattato di Amsterdam del 1998 venne allegata una dichiarazione relativa all'abolizione della pena di morte e che l'articolo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che è stata proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, stabilisce, al comma 2, che nessuno può essere condannato alla pena di morte né giustiziato. Come è a tutti noto, tale Carta è priva di unaPag. 39autonoma portata precettiva, anche se il suo contenuto è stato trasfuso integralmente nel Trattato che ha adottato una Costituzione per l'Europa, che dall'Italia è stato ratificato con la legge n. 57 del 7 aprile 2005, ma che, come sappiamo, non è ancora entrato in vigore a seguito dei referendum consultivi della Francia e dell'Olanda. Tuttavia, a livello europeo ormai questa posizione è totalmente consolidata.
Inoltre, di grande importanza sono stati - in questo caso, a livello del Consiglio d'Europa - dapprima il Protocollo aggiuntivo n. 6 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, concernente la pena di morte in tempo di pace (che è stato adottato nel 1983 e che dall'Italia è stato ratificato nel 1989), e successivamente il più recente Protocollo aggiuntivo n. 13 alla stessa Convenzione europea, concernente la totale abolizione della pena di morte in tutte le circostanze, ivi compreso il tempo di guerra. Il Protocollo aggiuntivo n. 13 è stato firmato da tutti gli Stati del Consiglio d'Europa a Vilnius il 3 maggio 2002. L'Italia, ovviamente, lo ha sottoscritto, ma allo stato attuale non lo può ancora ratificare finché non sarà soppresso definitivamente qualunque riferimento alla pena di morte, quale quello contenuto, sia pure in forma eccezionale, nel più volte citato quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione, che ci ripromettiamo di modificare. Anche nel quadro internazionale - forse è bene citare anche questo aspetto più drammatico -, così come si è modificato per la lotta contro il terrorismo, specialmente dopo le spaventose stragi dell'11 settembre 2001 a New York e a Washington, è continuata attivamente l'iniziativa europea, ancor più fortemente motivata dalle prese di posizione del Parlamento europeo, perché venisse comunque esclusa la pena di morte anche nel doveroso impegno internazionale della lotta contro il terrorismo.
Vorrei anche ricordare la meritoria azione nelle campagne internazionali per l'abolizione della pena di morte per arrivare, in via interlocutoria, ad una moratoria della pena di morte stessa. Su questo tema, pochi mesi fa, abbiamo approvato unanimemente una mozione in quest'aula. Vorrei ricordare, appunto, la meritoria azione di numerose associazioni internazionali e transnazionali. Sono molte, per fortuna, ma ne voglio citare emblematicamente due: a livello internazionale, Amnesty International; con sede in Italia, ma con attiva azione transnazionale, l'associazione Nessuno Tocchi Caino. Si tratta di un'azione finalizzata, nella prospettiva di una definitiva abolizione pena di morte, a realizzare quantomeno una moratoria delle esecuzioni capitali da parte degli Stati che prevedono ancora la pena di morte nel proprio ordinamento.
Tra gli innumerevoli documenti che sono citati nella relazione scritta, dell'Unione europea, del Parlamento europeo, del Consiglio d'Europa, dell'Assemblea parlamentare dello stesso Consiglio d'Europa, voglio citare, da ultimo, soltanto perché è molto recente, una raccomandazione, la n. 1760, adottata il 28 giugno di quest'anno, ossia pochi mesi fa. Con tale raccomandazione, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, nel confermare quanto già affermato in altri suoi documenti - sono numerosissimi -, raccomanda al Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa di invitare l'Albania e la Lettonia ad abolire la pena capitale per i crimini commessi in periodo bellico o durante gli stati di emergenza, di ribadire l'obbligo per la Federazione russa di ratificare il Protocollo n. 6 e di invitare gli Stati Uniti ed il Giappone a cancellare la pena capitale dai rispettivi ordinamenti. Questa raccomandazione chiede altresì al Comitato di sollecitare l'Unione europea ad affrontare la questione della pena capitale nel suo dialogo politico con la Cina (sappiamo che in quest'ultimo paese è enormemente alto, ogni anno, il numero delle esecuzioni capitali). L'Assemblea conferma, inoltre, il proprio impegno ad assistere gli Stati desiderosi di eliminare la pena di morte dal proprio ordinamento, con campagne di informazione e di sensibilizzazione. Nel 2001, del resto, il Consiglio d'Europa era stato promotore, insieme al Parlamento europeo, di unaPag. 40straordinaria riunione dei Presidenti di tutti i Parlamenti che sono a favore dell'abolizione della pena di morte e tale riunione si tenne a Strasburgo il 22 giugno 2001, presso il Parlamento europeo, sotto la Presidenza della Presidente Nicole Fontaine, e del Presidente dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, lord Russel-Johnston. Furono invitati tutti i Presidenti dei Parlamenti dell'Unione europea, nonché un gruppo di Presidenti rappresentativi delle diverse aree geografiche, selezionato sulla base del criterio della recente abolizione della pena di morte. Mi fa piacere ricordare che in tale solenne riunione, in nome del Parlamento italiano, partecipò Pier Ferdinando Casini, eletto da pochi giorni Presidente di questa Camera. Al termine della riunione, i Presidenti dei Parlamenti sottoscrissero un appello solenne sia per una moratoria universale della pena di morte, sia per l'abolizione totale della pena di morte nella legislazione interna di ciascun paese. Come ho già detto più volte, abbiamo abolito nella legislazione ordinaria anche l'ultimo residuo che vi era nel codice penale militare di guerra e nelle leggi di guerra, ma siamo ancora di fronte al compito, spero non più molto arduo, di abolire definitivamente tale riferimento per le leggi militari di guerra anche nella Carta costituzionale.
L'Italia, come ho detto all'inizio del mio intervento, la patria di Cesare Beccaria, lo Stato che fin dal codice Zanardelli del 1889-1890 aveva già abolito la pena di morte, l'Italia che nell'articolo 2 della Costituzione afferma che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo» - e quale tipo più inviolabile del diritto alla vita? - può finalmente abolire ogni riferimento alla pena di morte nella propria Costituzione, approvando le proposte di legge costituzionali al nostro esame in un testo unificato.
Considerazioni di ordine etico, giuridico e politico, nel senso più alto e nobile della parola «politico», inducono a ritenere inammissibile la pena di morte in uno Stato democratico, anche in ipotesi ormai veramente astratte. La pena di morte corrisponde ad una concezione della giustizia primitiva e vendicativa. La giustizia non può essere confusa con la vendetta e la pena non può avere uno scopo esclusivamente punitivo, ma deve tendere, come afferma lo stesso articolo 27 della nostra Costituzione, al comma 3, alla rieducazione ed a dare la possibilità ad ogni persona, che abbia subito e scontato una condanna, anche molto grave, di reinserirsi nella società e ciò, ovviamente, con la pena di morte non è mai possibile.
Per questo ritengo che approvare questa proposta di legge costituzionale significhi completare un cammino di civiltà politica e giuridica degno della miglior tradizione del nostro paese. Nessun ordinamento giuridico e nessun crimine, neppure il più efferato, anche in tempo di guerra, possono giustificare il fatto che lo Stato metta a morte un essere umano, dimostrando in tal modo di parlare lo stesso linguaggio dei criminali che ha condannato.
Con l'ingresso dell'Italia nel novero degli Stati totalmente abolizionisti, di fatto e di diritto, anche sotto il profilo costituzionale, il nostro paese potrà proseguire con ancora maggior forza la battaglia di civiltà che stiamo già conducendo da anni, affinché siano garantiti in tutto il mondo i diritti fondamentali dell'uomo, primo fra tutti il diritto alla vita (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, signori deputati, ho poco da aggiungere alla dettagliata ricostruzione che l'onorevole Boato, nella sua qualità di relatore, ma anche di persona che ha seguito con passione l'evolversi di questo dibattito e di questa iniziativa, ha proposto alla nostra attenzione questa sera. La sua relazione è partita dalle tesi e dalle previsioni del codice Zanardelli, questo straordinario statista e giurista diPag. 41scuola liberal-giusnaturalista, molto attento alle questioni dei diritti fondamentali e, quindi, anticipatore di una visione che si è poi imposta a livello internazionale, tendente ad escludere il ricorso alla pena capitale, per giungere fino a noi, attraverso le iniziative assunte in sede nazionale prima, con un decreto luogotenenziale per porre rimedio alla reintroduzione, prevista con il codice Rocco, della pena di morte, con l'articolo 27 della Costituzione repubblicana, poi con gli organismi europei e internazionali, che, a partire dalla ripresa di iniziative in materia di diritti umani e di dichiarazione dei diritti dell'uomo, hanno costantemente indicato un percorso di superamento della pena di morte.
Il Governo intende esprimere un vivo apprezzamento ai presentatori e a tutti coloro che hanno consentito, mi pare con consenso unanime e convergente, il riavvio dell'iter presso la Commissione affari costituzionali del provvedimento in discussione, nella speranza di poter giungere rapidamente all'approvazione definitiva senza ripetere il cammino interrotto nella passata legislatura.
Il testo al nostro esame è di grande rilievo dal punto vista giuridico e culturale: esso rappresenta una di quelle attività non ordinarie di un Parlamento, non solo perché si cambia la Costituzione, ma perché la si modifica in un punto che, ancorché ormai superato dalla legislazione ordinaria, lasciava un residuo ipotetico, così come definito dal relatore, di possibile ricorso successivo alla pena di morte.
Sono particolarmente lieto che a questa seduta partecipi una delegazione di giovani visitatori della Camera, a cui credo vada rivolto il nostro saluto, perché assistono ad un momento particolarmente rilevante della nostra attività.
Per il Governo è particolarmente importante l'approvazione di questo provvedimento perché, come è stato ricordato dall'onorevole Boato, l'approvazione della modifica del quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione ci consente di ratificare il Protocollo n. 13 del Consiglio d'Europa sull'abolizione della pena di morte in tutte le circostanze, firmato a Vilnius il 3 maggio del 2002, che noi, pur avendo sottoscritto, non abbiamo - per la verità - sottoposto a ratifica. Sono otto i paesi che hanno firmato ma non ratificato il Protocollo; tra questi, oltre all'Italia, ci sono anche paesi importanti di medesima tradizione, come la Francia e la Spagna, che hanno preannunciato la ratifica imminente, anche loro previa modifica degli impedimenti costituzionali che sussistono.
Questa modifica, che diventa quindi particolarmente opportuna, è stata richiesta più volte anche dal comitato interministeriale dei diritti umani, anche in relazione ad una possibile candidatura italiana al Consiglio dei diritti umani per il triennio 2007-2010, che naturalmente può essere supportata adeguatamente, come è negli auspici del Governo e dell'intero paese (vista la posizione convergente, che peraltro registriamo ancora una volta in quest'aula su questi temi) solo con atti concreti che ricollochino - lo dico con riferimento a Zanardelli - l'Italia in prima fila in questo campo.
A questo punto, non ci rimane altro che sollecitare l'iter parlamentare di questo provvedimento e augurarci che sia il più celere possibile, nell'auspicio che la realizzata convergenza parlamentare, peraltro anche coerente con le posizioni assunte dall'Italia, per la verità da Governi di diverso schieramento, in materia di moratoria internazionale generale per la pena di morte - che mi sembra abbiamo rilanciato proprio qualche settimana fa con l'approvazione di una mozione - possa consentire, ripeto, il più celermente possibile, l'approvazione definitiva di questo provvedimento di modifica della Costituzione, secondo l'iter previsto. In questo modo porremo il nostro paese nelle condizioni di esprimere al massimo anche questa sua iniziativa internazionale in questo campo, eliminando dalla Costituzione il retaggio di una concezione che abbiamo superato nella legislazione ordinaria (l'abbiamo espressamente abrogata), ma che permane in un riferimento, sia pure indiretto (talvolta addirittura contraddittorioPag. 42rispetto alla filosofia generale della Costituzione), nel testo costituzionale.
Con questo auspicio, rinnovo il mio apprezzamento, a nome del Governo, al relatore, ai presentatori della proposta di legge di modifica costituzionale e a tutti coloro che hanno sostenuto nell'avvio dell'iter parlamentare presso la Commissione affari costituzionali questo provvedimento, di cui sollecito l'approvazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'abrogazione dell'ultimo inciso dell'articolo 27, quarto comma, della Costituzione italiana - abrogazione contenuta nel progetto di legge costituzionale oggi al nostro esame - non avrà, sottolineo non avrà, effetti rilevanti, effetti pratici nel nostro paese.
Del resto, come correttamente ha evidenziato il relatore, già con legge n. 589 del 1994, la riserva di previsione della pena di morte per i codici penali di guerra è stata eliminata.
Inoltre, sappiamo che da decenni l'Italia non applica la pena di morte sul proprio territorio e che nel 1996, di fronte al noto caso «Pietro Venezia», la Corte costituzionale ha stabilito il principio per cui il nostro paese non può estradare imputati verso paesi che infliggerebbero loro la pena di morte.
L'auspicata approvazione del progetto di legge costituzionale in esame avrà, invece, un rilevante effetto culturale e politico. Avrà un effetto culturale perché, in primo luogo, sancisce il principio per cui la morte non è una pena che lo Stato può infliggere ai suoi cittadini. Con più coerenza di quanta ne mostrano taluni settori dell'integralismo religioso nel mondo, tale principio afferma il diritto alla vita nel suo senso vero: nessuna persona si può arrogare il diritto di sopprimere la vita di un altro essere umano.
Bandire dall'ordinamento civico la pena di morte significa, dunque, riconoscere il pieno diritto all'insopprimibile autodeterminazione umana ed alla contemplazione della finitezza del creato. Non vi è infatti concezione ideologica, millenaristica o mistica che possa giustificare l'imposizione di una redenzione sacrificale dal peccato. Ma, da noi, queste conclusioni le aveva già raggiunte Beccaria: solo l'oscura parentesi fascista, nel secolo scorso, aveva temporaneamente restaurato, in Italia, la barbarie della pena di morte.
Purtroppo, però, sappiamo che non è così in tutte le parti del mondo. Spiace, ad esempio, constatare che negli Stati Uniti, considerati giustamente la più grande democrazia del mondo, vi sia un giudice che abbia apertamente sostenuto che l'assassino non merita sorte migliore della sua vittima: di fatto, è la predicazione della legge del taglione!
Per la verità, si deve osservare che, negli Stati Uniti, il movimento abolizionista sta compiendo passi avanti notevoli: alcuni Stati, infatti, hanno già abolito la pena di morte, mentre altri che l'avevano restaurata, come lo Stato di New York, hanno tuttavia recentemente deliberato una moratoria. Vorrei ricordare, infine, che la Corte suprema, negli anni più recenti, ha successivamente dichiarato illegittima la pena capitale nei confronti sia dei disabili (la sentenza Atkins del 2002), sia dei minori di 18 anni (la sentenza Roper del 2005).
La modifica soppressiva che si propone all'articolo 27 della Costituzione, tuttavia, produrrà effetti rilevanti anche sotto l'aspetto politico, innanzitutto nel campo della politica estera. Essa, infatti, vincolerà la nostra diplomazia a confrontarsi con paesi che ancora contemplano la pena di morte, tenendo conto che quegli Stati non hanno ancora compiuto questo passo decisivo.
Penso, in primo luogo, alla Cina, oggetto di un recente viaggio guidato dal Presidente del Consiglio Prodi. Lo sviluppo economico, come sappiamo, è essenziale per il benessere dell'uomo, tuttavia esso è inutile, ai fini di una vera emancipazione, se non procede di pari passo con una sicura evoluzione democratica delle istituzioni politiche e giuridiche. I nostri rapPag. 43porti commerciali con la Cina, pertanto, devono rappresentare il veicolo per operare una graduale, ma costante pressione politica verso l'abbandono di forme medievali e barbariche dell'esercizio del potere sovrano.
I nostri interlocutori, infatti, dovranno capire che sia l'Italia, sia l'Europa (come nel corso dello svolgimento della relazione è stato giustamente ricordato) sono la culla di un umanesimo a tutto tondo per il quale la persona possiede una sfera inviolabile, che parte dalla vita stessa e si estende alle libertà di espressione, di culto, di associazione politica e di privacy.
Mi auguro tuttavia, signor Presidente ed onorevoli colleghi, che vi sia anche un effetto politico interno. Vorrei, infatti, che questa fosse l'occasione per avviare un serio confronto sul tema delle vittime dei reati. Disfarsi in toto della pena di morte è un passo necessario, ma ciò non deve assumere il senso di un garantismo a senso unico, che guarda sempre al disagio del delinquente e mai ai danni subiti dalla vittima.
Ciò anche perché, visto il generale consenso registrato in passato in quest'aula - e che, sono certo, vi sarà anche oggi e domani -, vorrei approfittare dell'occasione per operare un riferimento a quelle realtà del nostro paese dove la pena di morte è tuttora in vigore; anzi, ove vi è un doppio tipo di pena di morte.
Vi è quella eseguita, ad esempio, in Calabria negli ultimi due anni, dove si sono registrate ventotto vittime di agguati consumati nella sola Locride e vi è anche un'altra forma di pena capitale, che vorrei definire la pena di morte «civile», sempre comminata da organismi criminali che, in certe aree del nostro paese, si fanno Stato.
Vorrei approfittare del tempo che ho a disposizione per leggere un estratto da La stampa di ieri: «Ho sfidato la 'ndrangheta e ora vivo da appestato». È un ex sindaco che parla e che denuncia che anche lo Stato lo ha abbandonato. Leggo: «Il deserto degli infami e il luogo delle battaglie perse. L'infame Domenico Luppino, neanche un anno fa era un sindaco modello. Aspromonte: Sinopoli, paesino franoso di tremila abitanti. La lotta alla 'ndrangheta gli costa nove attentati in quattro anni e mezzo. Gli fanno esplodere la tomba del padre, gli ammazzano il cane, gli distruggono i campi di olivi, gli incendiano il furgone, lo obbligano a girare scortato, è costretto a trasferire la famiglia a Reggio Emilia. Il suo ultimo atto pubblico è l'adesione alla marcia di Locri. Il 5 novembre 2005 sfila con il gonfalone del comune contro la 'ndrangheta che ha appena ucciso Franco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale. Poi, a Sinopoli, tutto finisce improvvisamente. Tre settimane dopo si dimettono sette consiglieri. C'è chi ha problemi di salute, chi di lavoro, chi di famiglia. Il consiglio comunale si scioglie. Mi hanno dimissionato, dice Domenico, ho perso la mia battaglia. Eppure, egli non era cresciuto con la vocazione dell'eroismo, anzi, dice, sono cresciuto in un clima di minacce. La mia famiglia subiva attentati quando avevo soltanto dieci anni; solo per un caso fortuito, una volta, sventarono il mio sequestro. Abbiamo sempre cercato di mediare, come fanno in tanti, tentando di arrivare ad un compromesso. L'ho fatto anch'io, poi, a quarant'anni, mi sono stancato. Il punto è che la testa, Domenico, non l'aveva mai alzata. Quando mi hanno eletto pensavano che l'avrei tenuta bassa, come sempre. Perché sono stato eletto con i voti buoni e con i voti mafiosi. Bisogna capire: chi fa il sindaco qui ha sempre un conto da saldare. Io non l'ho mai saldato. Questo vuol dire alzare la testa, anche perché non ero andato in giro a chiedere voti, così il meccanismo si è inceppato. La 'ndrangheta pensa che la cosa pubblica sia un bene da razziare, ma di razzie, finché ero sindaco, non se ne facevano. Sciolto il consiglio comunale, terminata la stagione degli attentati, inizia quella della solitudine, quella che io chiamo appunto della morte civile. Il sindaco non è più sindaco, non conta più niente, è meno di un uomo, è un infame. La sua pena è l'isolamento totale, e rappresenta il massimo disvalore di un individuo: ogni cosa ti è preclusa, perdi qualsiasi dignità, e qualunque cosa ti accada, anche la peggiore, è legittima, te la seiPag. 44meritata: la scorta revocata due mesi fa, il resto della famiglia a Reggio Calabria, la sensazione di essere abbandonati persino dall'istituzione.
Avevo chiesto di lavorare in un qualunque organismo istituzionale, per contribuire alla crescita del senso civico, senza incarichi politici, senza compensi. Non ho avuto riscontri: anche le istituzioni mi hanno abbandonato. Quali? Guardi, se mi chiedesse il nome del mafioso, glielo farei, ma l'istituzione no, mi fa molto più paura, in molti hanno una mentalità mafiosa alla quale aggiungono i poteri dello Stato. Sono ancora più forti sia nell'isolarmi sia nel controllarmi». «E l'antimafia?» - è la domanda del giornalista - «Questi professionisti dell'antimafia la situazione la conoscono, non devono mica fare un favore a me, o c'è bisogno del morto ammazzato? Dopo nove attentati, anche in paese qualcuno si aspettava la reazione dello Stato. La sto aspettando anch'io. Nell'attesa, egli è rimasto completamente solo: incontra il postino, i dipendenti dell'azienda, qualche vecchio amico, tutto qui. L'isolamento al quale mi hanno ridotto, e la tranquillità che ormai dura da parecchio, rappresentano un messaggio chiaro: mi lasciano una possibilità. Una via d'uscita paradossale: conquistare il reinserimento sociale. Ho difeso la legalità e ora devo espiare la mia colpa con l'isolamento. Ho quarantadue anni, sono un imprenditore agricolo che porta avanti la sua impresa, sono fuori e vivo fuori dal contesto sociale, e non per mia volontà. Quasi nessuno mi saluta, è come se non esistessi. In questo messaggio c'è un solo spiraglio: adeguati e torneremo ad accontentarti.
Ma del mio passato non rinnego nulla, sento un grande vuoto, che mi spinge a mollare, a cercare altrove, perché io questo vuoto non riesco proprio a riempirlo, in nessuna maniera, salvo in qualche giornata di sole, quando la vista dei paesi dell'Aspromonte ti riempie l'anima. Di andare via, Domenico non ha nessuna voglia, sarebbe la sconfitta definitiva: significherebbe firmare la disfatta, invece resto qui, perdo con l'onore delle armi. E la 'ndrangheta me lo concede.
Non ho più incarichi, sono tagliato fuori da qualsiasi implicazione sociale. Capisce? Sono la rappresentazione vivente della loro forza; mi sono dovuto piegare al loro volere: non importa con quale mezzo, l'importante è che ci siano riusciti e senza reazione da parte dello Stato. Mi è rimasta solo una risposta: esco per strada, più di prima, più di quando ero sindaco e fisso la gente negli occhi. Fate finta di non vedermi? Fingete che io sia un fantasma? E sia: ma guardatemi bene, non ho abbassato la testa».
Ecco, nel momento in cui affrontiamo un tema così importante quale l'abrogazione di una norma fortunatamente desueta nel nostro paese, non possiamo non fare riferimento alla vita reale di intere aree del nostro paese, in questi anni in cui le iniziative sulla giustizia sono state quasi un disegno avverso alla prevenzione e alla repressione dei reati: paletti, pali, zeppe, ostacoli all'esercizio dell'azione penale e alla capacità investigativa delle Forze dell'ordine, riti premiali, preclusioni probatorie e, da ultimo, l'indulto.
In tutto questo, la vittima, la sua solitudine e la sua impotenza non trovano il conforto dello Stato, vince la sfiducia e sale la voglia di farsi giustizia da sé. In questo senso, non posso evitare di sottolineare la insanabile e odiosa contraddizione che passa nella posizione di quanti prima hanno votato per la modifica della legittima difesa, consentendo al proprietario, con il nuovo articolo 52 del codice penale, di sparare a vista a chi gli entra in casa e, poi, hanno votato per l'indulto che, probabilmente, riporterà - o ha già riportato - in libertà quelli che torneranno a fare le rapine in villa per esporsi, paradossalmente, alle reazioni armate dei proprietari.
In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi - che ringrazio per avermi ascoltato -, voglio dire soltanto che l'Italia dei Valori appoggerà convintamente questa proposta di legge costituzionale, auspicando, però, che si avvii veramente unaPag. 45riflessione sulle vittime dei reati, che guardano ancora allo Stato, alla magistratura e alle Forze dell'ordine per sentirsi persone sicure e libere.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elia. Ne ha facoltà.

SERGIO D'ELIA. Presidente, colleghe e colleghi, con l'approvazione di questo testo unificato di proposte di legge di modifica costituzionale noi cancelliamo, finalmente, dal nostro ordinamento un retaggio della pena di morte ancora presente e con esso anche la possibilità, seppure teorica, di una sua reintroduzione. Una possibilità teorica perché i colleghi sanno che dal 1984, con l'approvazione della legge che abolisce la pena di morte dai codici militari, il riferimento alla pena di morte che è ancora presente nella Costituzione, ammessa nei casi previsti dalle leggi militari di guerra, non potrebbe trovare applicazione pratica nel nostro paese.
Dunque, questa contraddizione e questa discrepanza tra Costituzione e codice militare attende di essere superata fin dal 1984. In ventidue anni il Parlamento non ha mai trovato il tempo di approvare proposte di legge presentate nelle ultime tre legislature da tutti i gruppi e volte a cancellare dalla Costituzione le ultime vestigia di un passato che io ritengo non abbia un futuro nella coscienza politica e civile del nostro paese.
È un passaggio simbolico - certo -, ma anche di coerenza interna al nostro ordinamento e, credo, anche (e forse ancora di più) di coerenza e credibilità internazionale del nostro paese. Nel 1984, proprio un mese dopo l'abolizione della pena di morte dai codici militari, l'Italia ha iniziato un cammino importante che l'ha portata ad essere il paese più attivo e più impegnato a livello internazionale contro la pena di morte per fermare le esecuzioni capitali.
Su impulso dell'associazione «Nessuno tocchi Caino», della quale sono segretario, e del partito radicale - ma, devo aggiungere, grazie soprattutto ad una convergenza straordinaria registratasi nel nostro Parlamento tra maggioranza ed opposizione, caso raro nella nostra vita politica e parlamentare -, il nostro paese ha avuto quanto meno il merito, per così dire, di smuovere le acque a livello internazionale; non si è accontentato dell'abolizione della pena di morte nel proprio ordinamento interno, ma ha inteso proiettare questa sua posizione abolizionista anche nei confronti dei paesi che ancora praticano la pena di morte. In tal modo, nella sua lotta contro la pena capitale e a favore della moratoria, ha incontrato - e forse è davvero un caso più unico che raro - il sostegno crescente ed il riconoscimento di paesi di tutti i continenti.
Ricordo che nel 1994 il Governo Berlusconi ha portato per la prima volta all'attenzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite una risoluzione per la moratoria delle esecuzioni che fu respinta per pochi voti, solo otto. Nel 1995 - lo ricordava il collega Evangelisti -, la Corte costituzionale italiana ha emesso una sentenza sul caso di Pietro Venezia che impedisce al nostro paese di estradare in luoghi dove rischino la pena di morte non solo i cittadini italiani, ma anche quelli di altri Stati i quali vivano sul nostro territorio. Si è così posta davvero una riserva assoluta, superando il sistema in vigore fino al 1995, ovvero quello secondo il quale si poteva estradare a condizione che i paesi richiedenti l'imputato di un reato «capitale» fornissero assicurazioni sufficienti che non sarebbe stata applicata la pena di morte né, tanto meno, sarebbe stata eseguita. No, la Corte costituzionale ha dichiarato che non era sufficiente il sistema delle garanzie sufficienti ma occorreva una riserva assoluta, un divieto assoluto; è stata una sentenza che ha fatto storia, non soltanto nel nostro paese. Dopo quella decisione, infatti, molti paesi dell'Unione europea hanno accettato il principio secondo il quale chi rischi la pena di morte in qualche parte del mondo non debba in qualche modo riceverla attraverso la complicità o la collaborazione di paesi che l'hanno abolita, i quali invece devono proiettare questa loro posizione ovunque nel mondo. È un modo anchePag. 46concreto per giungere, poi, a porre la questione laddove il problema esiste e spingere quei paesi a compiere il passo verso l'abolizione.
Successivamente, nel 1997, fu proprio il Governo Prodi a ripresentare una proposta di risoluzione per la moratoria delle esecuzioni dinanzi alla Commissione dei diritti umani di Ginevra; allora erano contrari tutti i partner europei, ma il Governo Prodi decise ugualmente di andare avanti. La circostanza va sottolineata perché si tratta di una vicenda utile, oggi, per comprendere gli attuali sviluppi dell'iniziativa parlamentare di circa due mesi e mezzo fa quando, con una mozione votata all'unanimità, il Parlamento italiano ha chiesto al proprio Governo di portare all'attenzione dell'ONU la proposta di risoluzione per la moratoria. È bene, infatti, che il Parlamento conosca quanto sta accadendo in queste ore, perché si tratta di sviluppi contrari a quel mandato parlamentare rivolto al Governo; ma ne parlerò tra breve.
Ebbene, nel 1997 il Governo Prodi ottenne dalla Commissione dei diritti umani l'approvazione di una risoluzione - votata a maggioranza assoluta - che chiedeva la moratoria delle esecuzioni capitali. Per la prima volta, un organismo dell'ONU stabiliva che la pena di morte è questione che attiene non alla giustizia penale o alla politica criminale di un paese ma, e pienamente, alla sfera dei diritti umani. La Commissione ONU affermava che l'abolizione significa un rafforzamento della dignità umana e un progresso nel sistema dei diritti umani.
Da allora, ogni anno e per nove anni consecutivi, la Commissione di Ginevra ha adottato la risoluzione ed è stata tale continuità nell'iniziativa a produrre un effetto molto tangibile: i paesi che nel 1994 erano maggioranza nel mondo - stragrande maggioranza - sul fronte del mantenimento della pena di morte, oggi sono diventati minoranza.
Pertanto, dal 1997 ad oggi, sono stati 45 i paesi che hanno deciso di rinunciare alla pratica della pena di morte, o abolendola totalmente oppure introducendo alcune moratorie. Non si è trattato dunque di una evoluzione naturale e scontata di un processo storico, ma del risultato di una campagna politica - promossa da «Nessuno tocchi Caino» e dal partito radicale - fatta propria dal Parlamento e credo che di questo il nostro paese debba andar fiero.
In questo caso l'Italia ha mostrato al mondo forza e autorevolezza; ma perché ciò guadagni maggiore coerenza interna e prestigio internazionale occorre compiere ancora due passaggi. In primo luogo, quello che stiamo già affrontando attraverso l'abolizione dei riferimenti alla pena di morte ancora contenuti nella nostra Costituzione e, in secondo luogo, quello relativo alla moratoria universale delle esecuzioni capitali.
Questo passaggio, colleghe e colleghi, è ancora ad una fase critica. Ritengo che il Governo sia sul punto di riuscire ad impedire, con atti omissivi e dilatori, la conquista di un risultato storico quale sarebbe quello di un pronunciamento dell'Assemblea generale a favore di una moratoria universale delle esecuzioni capitali come strumento, pragmatico ma politico, per giungere all'abolizione della pena di morte. Tutti i paesi che, negli ultimi 10-15 anni, hanno abolito la pena di morte sono passati sempre attraverso la via non proibizionistica tout court della pena di morte, ma pragmatica della moratoria delle esecuzioni capitali.
I colleghi sanno che il 27 luglio scorso quest'Assemblea ha approvato all'unanimità una mozione il cui dispositivo, chiaro e stringente, impegnava il Governo a presentare quest'anno una proposta di risoluzione al Palazzo di vetro consultando i partner europei, ma senza vincolarsi ad un consenso unanime dell'Unione europea. La Camera impegnava il Governo anche ad operare in modo tale da assicurare alla risoluzione ONU la copromozione di paesi membri dell'Unione europea, e non necessariamente di tutti i paesi dell'Unione europea, nonché il sostegno di paesi rappresentativi di tutti i continenti, mettendo in atto da subito tutte le iniziative necessarie a livello bilaterale per ottenere ilPag. 47massimo sostegno, cosponsorizzazioni o, quanto meno, voti favorevoli o astensioni nel caso in cui qualcuno fosse indeciso a sostenere la risoluzione pro moratorie.
Ebbene, in due mesi e mezzo, il Governo è riuscito soltanto a consultare l'Unione europea, non dando seguito ad un dispositivo che lo impegnava a fare altro. Certo, l'Esecutivo ha consultato l'Unione europea e ha anche operato al fine di assicurare alla risoluzione ONU la copromozione dell'Unione europea in quanto tale; una cosa che il dispositivo non richiedeva, ritenendo sufficiente il sostegno di alcuni paesi dell'Unione europea.
Dopo due mesi e mezzo non ha fatto la cosa fondamentale, che avrebbe rappresentato l'alternativa al veto che noi, di Nessuno tocchi Caino, già sapevamo sarebbe giunto dall'Unione europea. Dal 1999 ad oggi, l'Unione europea in almeno tre occasioni ha preso in giro il nostro paese e il nostro Governo chiedendo di discutere e di trovare sulla proposta un consenso unanime, guadagnando così tempo e, quindi, vanificando l'iniziativa del Governo e, soprattutto, il mandato del Parlamento. Ora sta accadendo la stessa cosa: il Governo italiano si sta impegnando non sui punti chiari e precisi della mozione, ma in un'opera di consultazione per giungere ad un consenso unanime dell'Unione europea che non arriverà mai perché in Europa ci sono i duri e puri dell'abolizione della pena di morte, che la vogliono abolire tutta e subito e che non concepiscono le moratorie.
Tutto ciò dobbiamo dire chiaramente ed il Governo deve correggere - si è ancora in tempo per farlo - questo comportamento: l'ultima data possibile per presentare una risoluzione all'Assemblea generale dell'ONU è il prossimo 2 novembre. Abbiamo, quindi, il tempo per rimediare, a voler essere buoni, ad un errore, ad un comportamento complice di coloro i quali nell'Unione europea non vogliono che si passi attraverso la moratoria, per giungere all'abolizione della pena di morte. I paesi della ex Unione Sovietica, il Sudafrica e molti paesi che hanno abolito la pena di morte negli ultimi anni sono passati attraverso una moratoria delle esecuzioni. Evidentemente, si accetta che nel mondo vi sia la pena di morte, perché le organizzazioni abolizioniste abbiano una mission da compiere per i prossimi dieci, venti o trenta anni. Noi vogliamo che il processo storico dell'abolizione della pena di morte, che comunque è in atto, registri un'accelerazione per il tramite della via politica, dell'impegno coerente di paesi che decidono di fare a livello internazionale quello che il proprio Parlamento decide debba essere fatto.
Quello che è più grave - mi rivolgo al rappresentante del Governo qui presente, che non fa parte del Ministero competente, tuttavia, nei prossimi giorni avremo altre occasioni, anche con iniziative parlamentari, per far sì che il Primo ministro e il ministro degli affari esteri di questo siano investiti - è che il 6 ottobre scorso il Governo italiano ha deciso di sostenere, in una riunione svoltasi al Palazzo di vetro a New York, dove i rappresentanti dell'Unione europea erano chiamati ad esprimere un parere sulla proposta italiana di risoluzione a favore della moratoria, una controproposta spacciata come proposta di mediazione, di compromesso, avanzata dal rappresentante francese. In alternativa ad una risoluzione, ha proposto una semplice dichiarazione di intenti (tecnicamente si definisce una dichiarazione di associazione), quale avvio della campagna per presentare poi una risoluzione in una prossima Assemblea generale dell'ONU tutta da stabilire e da definire. Non era questo il mandato del Parlamento al Governo! Una tale dichiarazione di intenti, infatti, non sarebbe sottoposta al voto, non avrebbe cioè il valore politico e formale di una risoluzione che, invece, sarebbe sottoposta al voto dell'Assemblea generale. La stima fondata, paese per paese, sui risultati di quel voto è chiarissima. A scanso di qualsiasi rischio, la stragrande maggioranza dei paesi voterebbe a favore di una risoluzione per la moratoria, mentre i contrari sarebbero dai 60 ai 65 (questo noi stimiamo). Si sta, quindi, cercando di impedire una vittoria.Pag. 48
Questa dichiarazione serve a prendere tempo. Sappiamo già quale sarà lo scenario dei prossimi giorni. Domani 10 ottobre, a Bruxelles è prevista una riunione degli esperti dell'Unione europea nella quale si porrà sul tavolo la proposta francese. È probabile che si trovi un accordo, ma non è certo, perché l'Inghilterra mantiene ancora una contrarietà assoluta non soltanto sulla risoluzione, ma anche sulla dichiarazione di intenti. Il risultato probabile sarà un ulteriore rinvio in sede politica, al prossimo Consiglio degli affari generali, con i ministri degli esteri dell'Unione europea, con un ulteriore grave pregiudizio rispetto ai tempi tecnici (sappiamo che la data ultima per la presentazione della risoluzione è il prossimo 2 novembre).
Chiedo al Governo, che è sostenuto dalla Rosa nel pugno, alla maggioranza di cui faccio parte, al Presidente Prodi (che, intervenendo alcuni mesi fa nel dibattito sulla fiducia, ha espresso una posizione netta e un impegno preciso volto a portare quest'anno la risoluzione in Assemblea generale - lo ha fatto proprio su richiesta della Rosa nel pugno e questo è stato un punto che abbiamo condiviso e per cui lo abbiamo applaudito) di portare a compimento il suo impegno. Non posso accettare che il Governo di cui faccio parte, di cui la Rosa nel pugno fa parte, che la maggioranza di cui faccio parte tradisca questo impegno.
È inaccettabile, e non voglio che avvenga qualcosa di peggio rispetto alla scorsa legislatura, quando il Governo Berlusconi non fece ciò che aveva promesso; ma non aveva nemmeno lo strumento parlamentare per farlo. Ricordo infatti che il dispositivo fu cambiato da un voto parlamentare: quello strumento non era sicuramente stringente, puntuale ed impegnativo come quello che abbiamo approvato all'unanimità in quest'aula.
Non possiamo non abolire ogni riferimento alla pena di morte nella nostra Costituzione. Il Governo non può venire in aula a dire che si impegna a portare una risoluzione in Assemblea generale delle Nazioni Unite e poi cambiare nella prassi, con atti omissivi e dilatori, il contenuto puntuale di quella mozione e di quel dispositivo! È un problema non solo di coerenza, ma anche di credibilità internazionale del nostro paese che esercita un mandato e poi accetta che tale mandato sia tradito in maniera così plateale. Grazie (Applausi di deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.

JOLE SANTELLI. Grazie, Presidente. Credo che l'approccio a questa proposta di legge possa avere due posizioni diverse. La prima è quella più riduzionistica, per cui rendiamo la Costituzione italiana conforme alla prassi nel nostro paese, facendo con ritardo qualcosa che già nei fatti esiste. La seconda comporta un approccio politico più problematico, da cui trarre alcune lezioni, innanzitutto proprio sul lavoro del Parlamento. L'onorevole Boato, in una chiacchierata tra di noi, ha osservato che per tre volte la Camera dei deputati ha approvato questa proposta di legge e che il ritardo non è addebitabile a questo ramo del Parlamento. È un dato di fatto però che da tre legislature, ossia dal 1994, persistono dei principi che sono previsti in leggi ordinarie e collidono o comunque sono in contrasto con la Carta fondamentale del paese. Vi è un ritardo enorme anche in termini di principi generali del nostro Stato, e da questo tutto il Parlamento dovrebbe trarre una lezione.
L'adeguamento della Carta costituzionale ha un valore diverso, perché l'identità di un paese non può che essere rintracciata nella Carta costituzionale, al di là delle legislazioni collegate. Molti colleghi che mi hanno preceduto hanno parlato in termini costituzionalistici, ma mi riferisco più a teorie di diritto penalistico.
Sostanzialmente il diritto penale discute di pena di morte sulla base di tre impostazioni, abbastanza definite. La prima è di tipo possibilista e considera la pena di morte una delle sanzioni che uno Stato può prevedere all'interno del suo ordinamento. La seconda è invece più fortemente abolizionista e risponde ad unPag. 49diverso principio costituzionale secondo cui la pena di morte incide sul diritto fondamentale alla vita, che lo Stato invece deve tutelare; pertanto, non si può trasformare lo Stato in un assassino. Esiste poi un'impostazione intermedia secondo la quale si abolisce la pena di morte, ma con determinate eccezioni. Di fatto la nostra Costituzione, nonostante una netta affermazione di principio in favore dell'abolizione tout court, nel momento in cui limita questa formula assoluta con un vulnus all'interno del codice penale militare in caso di guerra, si pone in una posizione intermedia rispetto a quella dell'abolizionismo totale. In questa Camera stiamo tentando di mettere rimedio proprio a ciò e porre con forza tale tema in un'altra dimensione.
Ricordavo, sulla base dell'intervento svolto dall'onorevole D'Elia, che non è di poco la posizione assunta da questo paese. Se, infatti, nella nostra Costituzione è presente un'impostazione intermedia, secondo cui la condanna a morte è una pena come le altre e rappresenta come tale una riserva statale di ordinamento giuridico, allora lo strumento internazionale a disposizione di ogni paese è meno definito e meno forte. Si tratta di uno strumento di trattativa internazionale per rivolgersi ad un altro Stato con maggiore circospezione, magari cercando altre alleanze.
Se, invece, non si tratta - come è ovvio, e su questo siamo tutti d'accordo - semplicemente di una delle pene possibili, bensì di un principio generale ed assoluto, la situazione cambia totalmente. Uno Stato, dinanzi ad un principio generale ed assoluto, utilizza tutti gli strumenti a disposizione e valuta ogni possibilità affinché questo principio generale di democrazia venga realizzato ovunque.
Sembra strano parlare di pena di morte nel 2006, ma forse può sembrarlo meno se si pensa che la prima disputa sulla possibilità di applicazione della pena capitale non risale a Beccaria, ma addirittura all'antica Grecia. Infatti, fu proprio nell'antica Grecia che per la prima volta si pose il problema se uno Stato possa o meno prevedere la pena di morte nell'ambito delle sue «competenze». Se usciamo dai confini del nostro paese e guardiamo ad un mondo diverso, comprendiamo l'attualità dell'argomento di cui stiamo trattando, forse non più stringente in Italia che altrove. Tuttavia, rimane attuale in Italia visto che - come prima i colleghi hanno ricordato - abbiamo dovuto aspettare il 1996 per dare alle nostre autorità un riferimento preciso nei confronti di paesi stranieri. Mi riferisco alla sentenza cui hanno fatto riferimento gli onorevoli Boato e D'Elia.
Tale sentenza rappresenta una pietra miliare ed un riferimento importante sulla strada di questa emancipazione. Essa si basa sulla prevalenza dell'articolo 2 della Costituzione rispetto alle altre norme dell'ordinamento, articolo che fornisce un'indicazione precisa alle autorità italiane quando si confrontano con gli altri Stati per la richiesta di estradizione in occasione della pena di morte. In quel caso, abbiamo un ulteriore passaggio in avanti. Quelle che prima erano considerate garanzie di tipo internazionale, diventano garanzie assolute. Non basta la verifica discrezionale di un'autorità politica, che decide attraverso trattati internazionali o attraverso rapporti internazionali di concedere l'estradizione per un reato in cui è prevista in un altro paese la pena di morte, ma serve qualcosa di più.
Per rendere attuale tutto ciò - ricollegandomi a quanto detto dall'onorevole D'Elia -, oltre ad approvare una modifica costituzionale, questo paese ha un dovere in più. Anche perché - lo abbiamo detto con un deciso orgoglio - è il paese di Beccaria, è il paese che per primo, con il codice toscano, ha vietato la pena di morte...

MARCO BOATO. Nel 1787!

JOLE SANTELLI. ...è il paese che nel primo codice unitario cancella la pena di morte. È però anche il paese, come correttamente ricordato dall'onorevole Boato, che nel 1945 condanna a morte 88 persone. Dunque, è un paese con una storia che, purtroppo, presenta anche sprazzi diPag. 50follia, sebbene eccezionali. Evidentemente, il legislatore italiano è stato schizofrenico. Penso che il decreto luogotenenziale, di cui spesso abbiamo parlato, sia il massimo dell'incoerenza: l'abolizione della pena di morte ed al tempo stesso la sua previsione in casi eccezionali, per garantire l'ordine pubblico. Si tratta di due principi totalmente incoerenti. Tralasciando quegli sprazzi di follia, sicuramente il nostro è un paese che ha una tradizione ed una storia in questa materia. Ed è un paese che riconosce come interlocutori quei paesi che hanno lo stesso livello di civiltà e di democrazia, e in questo concetto di civiltà e democrazia rientra ovviamente il riconoscimento di principi basilari, come quello della tutela della vita.
Tutto ciò comporta che questo paese recuperi fortemente un'iniziativa a livello internazionale, che abbia una sua consistenza, in quanto convinta dei propri principi, al di là degli accordi diplomatici. Sembra spaventoso dirlo in questa sede, perché si viene sempre tacciati di essere antieuropeisti, ma il problema che si è posto prima l'onorevole D'Elia, e che è giusto porre al Governo è questo: dinanzi ad un principio che riteniamo fondamentale, sul quale l'intero Parlamento ha dato un mandato pieno al Governo, è più importante la lotta per questo principio (che può anche essere una lotta che fallisce), oppure la necessità di discutere a livello europeo per evitare di toccare la suscettibilità di altri paesi?
Siamo chiamati, il Governo lo è ovviamente in primo luogo, a rispettare l'indirizzo politico espresso dal Parlamento in una materia del genere a dare un criterio di priorità alla sua stessa identità. Si può sacrificare la lotta per un principio che viene ritenuto fondamentale al fatto di mantenere buoni rapporti per evitare attriti o perché si vuole mantenere una posizione di basso profilo su questo punto? Si tratta di una scelta da fare. Peraltro, mi auguro che questa discussione possa proseguire presto anche al Senato; al riguardo, collega Boato, credo che dovremmo stare bene attenti, vigilando affinché l'altro ramo del Parlamento sia assiduo e segua i lavori di questa Camera, sperando che in questa legislatura almeno questo obbrobrio possa essere cancellato.
Anche questi lavori serviranno e spero possano essere utili per farci comprendere quale sia realmente la posizione del Governo sul punto, assumendo proprio dal Parlamento la forza che gli deriva da un indirizzo politico ben definito, anche per azioni che - lo ribadisco - forse potrebbero non avere soluzioni favorevoli. Infatti, non è detto che una risoluzione venga accolta dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, ma le battaglie si devono combattere indipendentemente dalla loro vittoria. Le battaglie sono giuste di per sé ed è difficile altrimenti comprendere il giusto se, come risvolto, si deve contemplare esclusivamente una vittoria da portare a casa come pennacchio (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante SIMONE BALDELLI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, oggi affrontiamo la discussione generale di questo provvedimento recante la modifica dell'articolo 27 della Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte.
È un provvedimento assai breve, malgrado le sette pagine di relazione, illustrate con competenza dal collega Boato. Esso consta di un solo articolo, di quattro righe. Mi si permetta la battuta: guardando, invece, il testo della legge finanziaria presentato dal Governo, con oltre 200 articoli, verrebbe da immaginare che esista una legge non scritta che stabilisce che la qualità di un testo legislativo è inversamente proporzionale alle dimensioni del testo stesso. In realtà, sappiamo che non sempre è così; comunque questo testo, nella sua brevità, ha un significato politico molto importante per il nostro ordinamento e per il Parlamento che lo discute, per le conseguenze che esso comporta.
La storia della pena di morte nel nostro ordinamento, dal ventennio in poi, ripercorsa Pag. 51anch'essa con grande lucidità e nelle sue tappe salienti dal relatore, Boato, con questo provvedimento raggiunge una fase terminale, con la soppressione del riferimento contenuto nella Carta costituzionale.
Si tratta di un percorso che si accompagna ad una serie di iniziative intraprese anche a livello internazionale. Abbiamo ricordato il secondo Protocollo facoltativo sui diritti civili dell'Assemblea generale dell'ONU, il Protocollo n. 6 del 1983, il Protocollo n. 13 del 2002. Abbiamo ricordato tutte le iniziative intraprese dalle istituzioni comunitarie (dal Parlamento europeo, dal Consiglio d'Europa e dalla Commissione europea) sia per quanto attiene la necessità da parte degli Stati membri o degli Stati osservatori e del Consiglio d'Europa di non avere all'interno dei propri ordinamenti la pena di morte, sia con riferimento a tutti quegli atti di indirizzo e di persuasione rispetto agli Stati terzi volti a sospendere le esecuzioni e ad indurli a modificare la contemplazione della pena di morte nel loro ordinamento.
Si tratta quindi di un impegno delle istituzioni comunitarie che si mantiene costante nel tempo e che segue la linea di questa proposta di legge costituzionale, facendone un termine ultimo di adeguamento non solo ad una giurisprudenza, ma anche ad un indirizzo politico dell'Unione europea.
È evidente che, per chi ha una formazione liberale e una certa idea del rispetto della vita, ci sia qualche obiezione da sollevare. È evidente che il liberale non può riconoscere ad uno Stato di diritto la possibilità di togliere la vita ad alcuno.
È altrettanto evidente che il dibattito sulla pena di morte, che è un dibattito di antica memoria e ha fatto dividere l'opinione pubblica su tanti aspetti, spesso è stato utilizzato in qualche modo anche - mi auguro che non siano né questa né altre le occasioni - per puntare il dito, magari, contro paesi come gli Stati Uniti. Certamente, questi ultimi non possono essere equiparati ad altri paesi che ugualmente contemplano tale istituto nel loro ordinamento, dal momento che sono una nazione democratica nella quale vige un sistema giuridico di un certo tipo; quindi, la previsione della pena di morte negli Stati Uniti chiaramente non è la stessa cosa della medesima previsione in paesi come la Cina. In questo senso, condivido e sposo la battaglia per l'abolizione della pena di morte, sulla quale Forza Italia si è dimostrata sensibile, anche in relazione al provvedimento in esame.
Come il relatore Boato ricordava con grande onestà intellettuale, analoga proposta di legge era stata presentata nella precedente legislatura dall'onorevole Zanettin e da altri colleghi della Casa delle libertà. Si tratta di un provvedimento sul quale siamo unanimemente concordi. Evidentemente, lo stesso provvedimento non è fine a se stesso ma, come ricordava il collega D'Elia, a fronte di una mozione approvata all'unanimità da questa Camera il 27 luglio di quest'anno è necessario che il Governo dia seguito ad alcuni indirizzi politici che il Parlamento ha assunto.
Inoltre, c'è la necessità di continuare a battersi non soltanto sul filone, sia pure importantissimo, della pena di morte ma anche nel settore più ampio dei diritti civili, rispetto al quale la pena di morte costituisce un rivolo di un più grande fiume. In questo senso, delude un po' il ritorno a mani vuote dalla recente missione in Cina del Governo. Tale missione, forse, è stata funestata, come dire, da accidenti di natura diversa e più nostrani: penso al caso Telecom. Credo tuttavia che l'impegno a 360 gradi sui diritti civili debba essere mantenuto, anche a partire dall'approvazione di questa proposta di legge costituzionale che ci auguriamo sarà unanime, come lo è stato il voto della Commissione affari costituzionali e lo sono stati i pareri favorevoli delle Commissioni giustizia e difesa.
Ci auguriamo, quindi, che si giunga ad un risultato definitivo, che metterà una pietra tombale su questo argomento per quanto concerne l'ordinamento italiano e la modifica alla nostra Costituzione, e crediamo che questo debba essere ancora di più motivo propulsivo per l'impegno, siaPag. 52a livello parlamentare, sia a livello governativo, in favore dei diritti civili in Italia e nel mondo.
SIMONE BALDELLI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, oggi affrontiamo la discussione generale di questo provvedimento recante la modifica dell'articolo 27 della Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte.
È un provvedimento assai breve, malgrado le sette pagine di relazione, illustrate con competenza dal collega Boato, e consta di un solo articolo, di quattro righe. Mi si permetta la battuta: guardando, invece, il testo della legge finanziaria presentato dal Governo, con oltre 200 articoli, verrebbe da immaginare che esista una legge non scritta che stabilisce che la qualità di un testo legislativo è inversamente proporzionale alle dimensioni del testo stesso. In realtà, sappiamo che non sempre è così. Comunque questo testo, nella sua brevità, ha un significato politico molto importante per il nostro ordinamento, per il Parlamento che lo discute e per le conseguenze che esso comporta.
La storia della pena di morte nel nostro ordinamento, dal ventennio in poi, ripercorsa Pag. 51anch'essa con grande lucidità e nelle sue tappe salienti dal relatore, Boato, con questo provvedimento raggiunge una fase terminale, con la soppressione del riferimento contenuto nella Carta costituzionale.
Si tratta di un percorso che si accompagna ad una serie di iniziative intraprese anche a livello internazionale. Abbiamo ricordato il secondo Protocollo facoltativo sui diritti civili dell'Assemblea generale dell'ONU, il Protocollo n. 6 del 1983, il Protocollo n. 13 del 2002. Abbiamo ricordato tutte le iniziative intraprese dalle istituzioni comunitarie (dal Parlamento europeo, dal Consiglio d'Europa e dalla Commissione europea) sia per quanto attiene la necessità da parte degli Stati membri o degli Stati osservatori e del Consiglio d'Europa di non avere all'interno dei propri ordinamenti la pena di morte, sia con riferimento a tutti quegli atti di indirizzo e di persuasione rispetto agli Stati terzi volti a sospendere le esecuzioni e ad indurli a modificare la contemplazione della pena di morte nel loro ordinamento.
Si tratta quindi di un impegno delle istituzioni comunitarie che si mantiene costante nel tempo e che segue la linea di questa proposta di legge costituzionale, facendone un termine ultimo di adeguamento non solo ad una giurisprudenza, ma anche ad un indirizzo politico dell'Unione europea.
È evidente che, per chi ha una formazione liberale e una certa idea del rispetto della vita, la pena di morte sia inaccettabile. È evidente che il liberale non può riconoscere ad uno Stato di diritto la possibilità di togliere la vita ad alcuno.
È altrettanto evidente che questo è un dibattito di antica memoria che ha fatto dividere l'opinione pubblica su tanti aspetti e che spesso è stato utilizzato in qualche modo anche - mi auguro che non siano né questa né altre le occasioni - per puntare il dito contro gli Stati Uniti. Certamente, gli USA non possono essere equiparati ad altri paesi che ugualmente contemplano tale istituto nel loro ordinamento, dal momento che sono una nazione democratica nella quale vige un sistema giuridico di un certo tipo; quindi, la pena di morte negli Stati Uniti chiaramente non è paragonabile a quella della Cina. In questo senso e con questo distinguo, condivido e sposo la battaglia per l'abolizione della pena di morte, sulla quale Forza Italia si è dimostrata sensibile, anche in relazione al provvedimento in esame.
Come il relatore Boato ricordava con grande onestà intellettuale, un'analoga proposta di legge era stata presentata nella precedente legislatura dall'onorevole Zanettin di Forza Italia e da altri colleghi della Casa delle libertà. Si tratta di un provvedimento sul quale siamo unanimemente concordi. Evidentemente, lo stesso provvedimento non è fine a se stesso. Come ricordava il collega D'Elia, infatti, a fronte di una mozione approvata all'unanimità da questa Camera il 27 luglio di quest'anno è necessario che il Governo dia seguito agli indirizzi politici che il Parlamento ha assunto.
Inoltre, c'è la necessità di continuare a battersi non soltanto sul filone, sia pure importantissimo, della pena di morte ma anche nel settore più ampio dei diritti civili, rispetto al quale la pena di morte costituisce un rivolo di un più grande fiume. In questo senso, delude un po' il ritorno a mani vuote dalla recente missione in Cina del Governo. Tale missione, probabilmente, è stata funestata, come dire, da accidenti di natura diversa e più nostrani: penso al caso Telecom. Credo tuttavia che l'impegno a 360 gradi sui diritti civili debba essere mantenuto e rinvigorito dall'approvazione di questa proposta di legge costituzionale che ci auguriamo sarà unanime, come lo è stato il voto della Commissione affari costituzionali dopo i pareri favorevoli delle Commissioni giustizia e difesa.
Ci auguriamo, quindi, che si giunga ad un risultato definitivo, che metterà una pietra tombale su questo argomento per quanto concerne l'ordinamento italiano e la modifica alla nostra Costituzione, e crediamo che questo debba essere ancora di più motivo propulsivo per l'impegno, sia Pag. 52a livello parlamentare, sia a livello governativo, in favore dei diritti civili in Italia e nel mondo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Adenti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in riferimento alla proposta di legge costituzionale oggi in esame, relativa alla modifica dell'articolo 27, quarto comma, della Costituzione, voglio esprimere il pieno consenso da parte mia e del gruppo dei Popolari-Udeur, che rappresento. La pena di morte per i reati comuni militari in tempo di pace fu abolita in base alla nostra Carta costituzionale, mentre con la promulgazione della legge n. 589 del 13 ottobre 1994 è stata abolita la stessa pena prevista nel codice penale militare di guerra ed è stata sostituita con la massima pena prevista dal codice penale.
Lo spirito del provvedimento che stiamo esaminando ci spinge, quindi, oltre la semplice abolizione della pena di morte e, attraverso l'intervento sulla Costituzione e, quindi, sulla legislazione di rango primario, intende renderne impossibile la reintroduzione. Su questa proposta di legge di revisione costituzionale si è registrata, già nella scorsa legislatura, una convergenza di intenti da parte tutti gli schieramenti politici: una amplissima maggioranza approvò un testo unificato identico a quello su cui, oggi, ci troviamo a discutere. Anche nella presente legislatura, infatti, nel corso dell'esame in sede di Commissione affari costituzionali si è registrata l'unanimità dei consensi. Anche i celerissimi pareri favorevoli delle Commissioni giustizia e difesa dimostrano che si tratta di una scelta di valore condivisa dalle forze politiche presenti in Parlamento, senza ragioni di schieramento, che non può non far parte del patrimonio dei valori della stragrande maggioranza degli italiani.
Il nostro giudizio favorevole deriva senza dubbio da importanti principi che ispirano la nostra azione politica - ovvero il rispetto dei diritti dell'uomo, delle libertà fondamentali e l'affermazione del valore della vita -, principi che ci vedono accogliere favorevolmente un progetto di modifica costituzionale teso a bandire dal nostro ordinamento ogni possibilità di affermazione di una cultura della vendetta e della morte, ovvero una pena che costituisce la sintesi di tutte le violazioni strutturate della vita umana.
Questo provvedimento - che si rifà, come è stato ricordato, alla più alta tradizione giuridica del nostro paese - contribuisce indubbiamente a riaffermare la nostra piena adesione al processo politico, in atto a livello internazionale, di affermazione della democrazia dei diritti dell'uomo. Senza dubbio, tale processo passa anche per l'abolizione della pena capitale ed è una tappa fondamentale segnata dalla firma da parte dell'Italia e di altri 30 Stati membri dell'Unione europea, nell'ambito del Consiglio d'Europa, del Protocollo n. 13 della Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali, che proibisce la pena di morte in ogni circostanza - compresi i crimini commessi in tempo di guerra o di imminente pericolo di guerra -, colmando la lacuna del precedente Protocollo n. 6, che proibiva la pena di morte ad eccezione degli atti commessi in tempo di guerra o di imminente pericolo di guerra.
Credo soprattutto che il valore di tale scelta risieda principalmente nel fatto che un paese che intende tutelare i diritti dell'uomo affermi con vigore che nessuno può arrogarsi arbitrariamente il diritto di decidere della vita e della morte di un altro essere umano in quanto costitutivo della sua libertà. La difesa della vita, tema caro al nostro gruppo politico, potrà essere certamente più forte dopo questo provvedimento che bandisce anche l'ultima eccezione: si tratta di difendere il diritto da cui tutti gli altri diritti derivano, cioè la vita.
La modifica costituzionale che ci accingiamo a votare è, come sostiene anche il collega Boato, il punto di partenza di un comune percorso culturale e politico che i parlamentari di quest'aula non possono esimersi dal compiere. Tale percorso,Pag. 53senza dubbio, contribuisce a chiarire l'assunto dell'articolo 2 della nostra Costituzione, escludendo ogni possibile relativizzazione della libertà di vivere, diritto inalienabile, ad una scelta arbitraria del singolo, intento quest'ultimo che sono convinto sia ampiamente condiviso dai cittadini del nostro paese al di là di ogni differenza culturale, politica, religiosa e sociale, in quanto massima espressione del patrimonio valoriale su cui si fonda la nostra Repubblica. Sono altresì convinto che il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali costituisca uno degli obiettivi generali della politica, che noi, parlamentari della Repubblica, dobbiamo perseguire con grande convinzione e determinazione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.

GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, anch'io voglio esprimere apprezzamento per la relazione del collega Boato, un apprezzamento per l'excursus, per la storia che ha voluto sottolineare ed anche per la determinazione con cui ha sempre tentato questa modifica costituzionale. La sottolineatura del fatto che da ben tre legislature si tenta di introdurre questa modifica senza successo ci fa riflettere non solo sulle ragioni - che poi hanno fatto registrare, di fatto, una condivisione unanime ogni volta che ne abbiamo discusso in quest'aula -, ma anche sulla responsabilità che ancora una volta ci assumiamo, affinché finalmente questa modifica possa arrivare a compimento in modo positivo. Questa responsabilità che avverto rende ancora più importante la nostra discussione, per il merito naturalmente, ma anche per quello che può determinare dal punto di vista simbolico sul piano più generale, sul piano europeo ma soprattutto internazionale.
Come è stato detto, questa modifica eliminerebbe in modo definitivo, ed io spero irreversibile, la pena capitale nel nostro ordinamento e porrebbe finalmente fine ad una contraddizione presente nell'articolo 27 della Costituzione laddove, da una parte, si proclama il principio della finalità rieducativa della pena e di come essa non possa consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e, dall'altra, si prevede, sia pure nella sola ipotesi dei casi previsti dal codice penale militare in tempo di guerra, la possibilità della pena capitale.
Abbiamo più volte rilevato come considerazioni di carattere etico, morale, giuridico e pratico conducano a ritenere inammissibile la pena di morte in uno Stato democratico. Tale pena corrisponde ad una concezione della giustizia primitiva e vendicativa. La giustizia non può mai essere confusa con la vendetta e la pena non può avere uno scopo esclusivamente punitivo, ma deve tendere alla rieducazione, come dice la nostra Costituzione, e dare, quindi, la possibilità ad ogni persona che abbia subito una condanna di reinserirsi nella società.
Non è, del resto, un caso che il nostro paese si sia battuto con successo affinché lo statuto istitutivo del Tribunale penale internazionale escludesse esplicitamente la possibilità di comminare la pena di morte. Ciò è particolarmente significativo se si considera che tale tribunale sarà chiamato, quando finalmente entrerà in vigore, a giudicare proprio dei crimini più gravi, quali quelli contro l'umanità. L'intendimento di espungere definitivamente la pena di morte dall'articolo 27 della Costituzione - è stato sottolineato - è di tutte le forze politiche presenti in quest'aula e fa riferimento - molti colleghi lo hanno richiamato - ad una civiltà giuridica che già fin dalla fine del XIX secolo, riprendendo l'insegnamento di Cesare Beccaria, ha negato il diritto dello Stato di condannare i cittadini alla pena capitale.
Il collega Boato ed altri hanno richiamato la storia della pena capitale anche rispetto ai decenni più recenti, con la sua reintroduzione nel periodo del fascismo e, poi, con l'abolizione definitiva, così com'è prevista oggi dall'articolo 27 della Costituzione, pur con i limiti e le contraddizioni di cui parlavamo in precedenza.
Questa scelta contro la pena di morte, come è stato giustamente detto, accomunaPag. 54molti paesi e molte organizzazioni a livello internazionale. In questo senso si muovono le politiche delle Nazioni Unite e dell'Unione europea. Infatti, il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali costituisce uno tra gli obiettivi generali della politica estera e della sicurezza comune e, quindi, anche gli accordi stipulati con i paesi terzi vanno nella direzione dell'abolizione della pena di morte. Si è parlato della dichiarazione allegata al Trattato di Amsterdam, della Carta di Nizza in cui si prevede che nessuno possa essere estradato verso uno Stato in cui esiste il rischio di condanna a morte o di tortura o di altre pene o di trattamenti inumani o degradanti; tuttavia, come altri colleghi hanno sottolineato, vi sono ancora moltissimi - troppi - paesi del mondo in cui viene comminata la pena di morte (mi pare ottantasei). Penso che, a questo proposito, si possano esprimere due considerazioni.
La prima è quella che richiamava il collega D'Elia, ossia la responsabilità del nostro Governo per una moratoria internazionale sull'esecuzione della pena capitale. I paesi che hanno abolito dai propri ordinamenti la pena capitale sono passati, infatti, proprio attraverso una moratoria. A noi interessa che si vada in questa direzione concretamente e, dunque, il richiamo al Governo è obbligatorio, sia per la serietà e la credibilità delle istituzioni e del Parlamento, che ha votato questo impegno stringente per il nostro Governo, sia per gli effetti pratici che ciò può avere e deve avere.
Vi è anche un'altra ragione, e più di un collega richiamava il fatto che, dal punto di vista concreto, nel nostro paese non avrebbe conseguenza questa modifica della nostra Carta costituzionale. Non l'avrebbe dal punto di vista concreto, ma penso che sotto il profilo simbolico e culturale ciò mantenga un proprio valore, in quanto vi è l'esigenza di introdurre una moratoria delle esecuzioni capitali, per spingere verso l'abolizione totale della pena di morte, presente ancora in troppi paesi del mondo, soprattutto in questo momento in cui, ad esempio, la tortura è stata posta quale tema all'ordine del giorno sul piano internazionale di fronte all'emergenza del terrorismo.
Io penso che non vi sia emergenza alcuna che giustifichi la violazione dei diritti umani e, quindi, discutere oggi di una moratoria nelle Nazioni Unite significa affrontare anche questi temi. Questa modifica, di valore giuridico per un problema che noi non avvertiamo come concreto, per quanto di valore simbolico, può avere sia rispetto alla cultura generale nel nostro paese sia rispetto al dibattito internazionale una enorme importanza. Penso che a volte nel nostro paese si debba assolvere al compito di andare controcorrente, specie quando siamo chiamati a discutere di questioni come queste. È capitato che a volte, in presenza di reati tra i più efferati, la popolazione di fronte alle paure ricorra a invocazioni di luoghi comuni come soluzione di problemi complessi; la pena di morte o l'aggravamento delle pene spesso sono tra questi, come se essi potessero ridurre o risolvere i problemi della sicurezza. Penso che le istituzioni abbiano anche il dovere di informare e dire la verità facendo ragionare sulla concezione della pena. Tutti i dati e le statistiche del mondo mostrano che le strategie a tolleranza zero sono fallite e che, al contrario, sono proprie quelle politiche che tendono al reinserimento - vi sono esempi molto significativi e interessanti nel Nord Europa - e che considerano il carcere l'ultima ratio per situazioni di estrema pericolosità sociale a dare i risultati più positivi e importanti per la sicurezza di tutti.
A volte è difficile poter sostenere queste tesi, perché è più facile fare demagogia e annebbiare le paure dentro i luoghi comuni. Ritengo che questa occasione possa essere utile anche in questo senso. Veniamo da un dibattito acceso sulla questione dell'indulto, ci sono state polemiche e disinformazione. Anche in questo caso le statistiche dicono molto chiaramente che si torna a delinquere quattro volte in meno quando vi sono delle misure alternative. Sono proprio l'idea della concezione della pena, non solo il fatto che loPag. 55Stato possa togliere la vita, il valore della vita in sé e la giustizia intesa non come vendetta che possono essere posti all'ordine del giorno, anche attraverso la modifica dell'articolo 27 della Costituzione, per ribadire appunto che la sicurezza non dipende dall'aumento delle pene o da una maggiore penalizzazione carceraria, ma, al contrario, da politiche sociali che cercano di prevenire.
Arrivo a dire che se questa modifica, come tutti auspichiamo, giungerà finalmente a compimento con questa legislatura, in seguito dovremo avere il coraggio di affrontare il tema dell'ergastolo. Molti hanno scritto in questi anni: fine pena mai. Eppure, occorre lasciare sempre un margine, una speranza a chi ha commesso dei reati. Chi è stato condannato deve sempre avere la possibilità di reinserirsi nella società.
Credo che, coraggiosamente, il compito di coloro che siedono negli scranni più importanti delle istituzioni debba essere quello di introdurre delle modifiche legislative, ma, insieme a questo, anche quello di fare cultura politica e cultura civile.
Penso che un paese persino senza ergastolo - sicuramente senza la pena di morte, che non può esistere in uno Stato democratico -, sarebbe un paese più civile; non voglio dire più sicuro, ma sicuramente non meno sicuro.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Nicchi. Ne ha facoltà.

MARISA NICCHI. Signor Presidente, con questa proposta di legge di modifica costituzionale ci accingiamo a cancellare la pena capitale prevista nelle leggi militari di guerra.
Si è parlato in altri interventi di ultimo anacronistico riferimento alla pena capitale presente nella nostra legislazione. Infatti, la possibilità prevista all'articolo 27 della Costituzione di autorizzare l'uso della pena capitale nei casi previsti dalle leggi militari di guerra limita le parti dello stesso articolo in cui la si esclude esplicitamente (quando si afferma che non è ammessa la pena di morte). È già stata richiamata in altri interventi un'altra contraddizione con le parti in cui la Costituzione, sempre all'articolo 27, afferma che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, cioè devono essere umane ed avere finalità riabilitative.
Oggi, con questa discussione e con la conseguente approvazione, si rimedia a queste contraddizioni, a questi limiti, e si sancisce finalmente il carattere totalmente abolizionista del nostro paese.
Il Parlamento sceglie - ci auguriamo e auspichiamo fortemente all'unanimità - la strada del ripudio assoluto - questa è la nostra strada -, non ammette nessuna eventualità, neanche eccezionale, di ricorrere all'uccisione legale.
Senza questa modifica costituzionale ciò non si poteva affermare. La sentenza della Corte di Cassazione del 1977 infatti sancisce che la norma dell'articolo 2 della Costituzione - articolo fondamentale - sul riconoscimento dei diritti inviolabili dell'uomo non pone il divieto assoluto della pena di morte, che è ammessa all'articolo 27.
La contraddizione continua ad essere stridente anche con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, quando all'articolo 2, citato nella relazione dell'onorevole Boato, si afferma che nessuno può essere condannato alla pena di morte o giustiziato.
Questa riforma - anche questo è da ricordare - era attesa dal 1994 - molti anni -, quando, con l'approvazione della legge n. 589, furono abolite le norme che prevedevano la pena di morte nel codice penale militare di guerra. È giusto ricordare l'impegno dell'onorevole Ersilia Salvato, che si è distinta in questa battaglia. Ripeto: era il 1994 sono trascorsi molti anni da allora.
All'epoca fu un passo simbolico significativo e anche concreto, perché i nostri militari erano già allora coinvolti in molte missioni all'estero. Dobbiamo ricordare, infatti, che ancora nel 1993, come nel 1941 (molti anni prima, nel fuoco della seconda guerra mondiale), secondo norme fasciste,Pag. 56erano punibili con la morte 48 reati diversi, che potevano commettere i nostri soldati impegnati in spedizioni, anche in tempo di pace. Quel passo fu importante e deve essere oggi completato con questa modifica costituzionale.
La relazione dell'onorevole Boato ha richiamato l'attività dei diversi organismi europei internazionali - ad essa rimando - e giustamente ha citato l'appello per l'abolizione totale sottoscritto dai presidenti delle assemblee parlamentari europee, compresa la nostra.
Oggi la Camera dei deputati fa proprie tali iniziative istituzionali e, soprattutto, dà rappresentanza ad un'opinione democratica che è maturata nel paese grazie non solo all'insostituibile impegno di numerose associazioni, come Amnesty International o «Nessuno tocchi Caino», ma anche ad una larghissima iniziativa sociale diffusa.
L'opinione pubblica, infatti, è molto cambiata rispetto a questo tema, se pensiamo che solo pochi anni fa eravamo in presenza di campagne che volevano reintrodurre la pena di morte e che, come è stato ricordato, facevano leva su primordiali emozioni collettive di vendetta facili da evocare.
Pensiamo anche che gli stessi partiti, solo pochi anni fa, erano molto più divisi. Attualmente si registra - o almeno così auspichiamo - l'unanimità su tale questione, ma vorrei semplicemente ribadire che qualche anno fa non era così. Oggi la cancellazione definitiva della pena capitale rende sicuramente impossibile, e ci auguriamo irreversibile, la possibilità di reintrodurla.
Come ha già evidenziato il rappresentante del Governo, bisogna sottolineare anche un effetto importante prodotto dalla nostra riforma costituzionale. Approvandola, infatti, l'Italia si mette in condizione di aderire pienamente al nuovo Protocollo n. 13 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, il quale si propone l'abolizione, senza «se» e senza «ma», della pena capitale. Si tratta di una abolizione che non vuole né autorizzare deroghe, né ammettere riserve.
La modifica costituzionale proposta, dunque, aumenterà fortemente la credibilità, la legittimità e l'autorevolezza del nostro paese, il quale ha intrapreso numerose iniziative per la tutela dei diritti umani ed il rispetto della vita ovunque nel mondo. Vorrei rammentare - e mi riferisco al dibattito svolto in questa Assemblea - l'importanza dell'iniziativa che il Parlamento, nel luglio scorso, ha assunto al fine di impegnare il Governo a presentare, alla prossima Assemblea generale dell'ONU, la risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali. Si tratta, infatti, del primo passo per la messa al bando della pena di morte nel mondo.
È una decisione molto importante, e vorrei associarmi alle considerazioni anche critiche che sono state formulate in questa sede, ricordando che l'azione del Governo su tale materia deve essere coerente con quanto è stato scritto nel documento di indirizzo approvato dal Parlamento: si tratta, infatti, di un'iniziativa che deve essere assunta insieme ai paesi europei, ma senza essere ad essi vincolati.
Ricordo che l'Italia ha scelto, da tempo, la tutela dei diritti umani quale carattere fondante della propria politica nazionale ed estera ed ha ottenuto anche un successo fondamentale: mi riferisco all'approvazione della risoluzione della Commissione per i diritti umani dell'ONU nella quale, per la prima volta, la pena di morte viene riconosciuta, politicamente e giuridicamente, come pratica contraria ai diritti umani universalmente riconosciuti.
Dopo tale votazione, provocata anche dall'iniziativa portata a termine con successo dal nostro paese, l'abolizione della pena di morte è diventata un indirizzo della comunità internazionale. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, del quale, ricordo, fanno parte anche paesi che mantengono la pena di morte (come la Cina e gli USA), ha infatti escluso la pena di morte dallo statuto dei tribunali internazionali istituiti per giudicare i crimini commessi in Rwanda e nella ex Jugoslavia. Così, la Conferenza plenipotenziaria dell'ONU, riunita a Roma nel luglio del 1998, ha approvato lo statuto del TribunalePag. 57penale internazionale escludendo la comminazione della pena di morte anche per i crimini più indicibili (mi riferisco, ad esempio, al genocidio).
La pena di morte è stata espunta definitivamente dal diritto delle organizzazioni internazionali, anche se dobbiamo sapere che, purtroppo, le esecuzioni sono paradossalmente aumentate pur essendo diminuiti i paesi che ricorrono alla pena capitali.
È stato già ripetuto - ma dobbiamo ribadirlo ancora - che niente giustifica che lo Stato usi il proprio potere per stroncare una vita umana, neanche gli atti più abominevoli, ed io vorrei aggiungere che neanche il tempo di guerra legittima un tale potere dello Stato. Che la vita umana valga meno in guerra non è una implicazione necessaria della guerra, bensì è uno degli effetti più efferati e brutali di essa.
Un ordinamento giuridico civile non può usare gli stessi mezzi dei criminali che combatte e che condanna. È un tragico controsenso uccidere chi uccide per dimostrare che non è giusto uccidere. Ciò vale per la Nigeria, che lapida le donne addirittura per adulterio, ma anche per la democrazia degli Stati Uniti.
Altro che scontro di civiltà! Noi dobbiamo lavorare con tutta la nostra iniziativa e la nostra forza, piuttosto, per operare un cambiamento di civiltà, che metta ovunque in discussione il rapporto tra uso della violenza e giustizia, tra uso della tortura, o di mezzi degradanti, come veniva ricordato, e qualità della democrazia.
Uno Stato che mantiene la pena di morte per i suoi cittadini, con il macabro rito che la caratterizza, priva la vita umana di valore assoluto, assume un potere ingiustificabile, inconciliabile con il dubbio necessario, anche perché perfino il sistema di giustizia giuridica più avanzato ha sempre un margine di incertezza sulle responsabilità del condannato, non è infallibile, tanto più in tempo di guerra, quando è sicuramente più facile l'errore giudiziario.
L'Italia, anche con questo atto che stiamo compiendo, continua un cammino di civiltà, che ha iniziato per prima (vorrei ricordare anche il Granducato di Toscana, ancora prima dell'unità); continua questo cammino di civiltà perché la pena di morte viola il diritto alla vita, non serve a dissuadere e porta a commettere l'errore più inaccettabile, giacchè si tratta di un errore irreversibile.
A questi principi si ispira il nostro progetto di riforma. Dovremo vigilare - accolgo in questo la preoccupazione di tutti, a partire dall'onorevole Boato - affinché questa legislatura sia la legislatura del compimento dell'iter.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 193 ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Boato.

MARCO BOATO, Relatore. Qualunque replica sarebbe inutile e pretestuosa, perché si è trattato di un bellissimo dibattito, in cui i colleghi - che ringrazio - Evangelisti, D'Elia, Jole Santelli, Baldelli, Adenti, Graziella Mascia e, da ultimo, Marisa Nicchi, con motivazioni diverse, e con sottolineature anche diverse, di carattere etico, storico, politico, culturale e giuridico, sono stati tutti convergenti nella scelta che ci accingiamo a fare. Li ringrazio quindi tutti, e replicare sarebbe da parte mia addirittura presuntuoso.
Ringrazio anche il sottosegretario in rappresentanza del Governo, Giampaolo Vittorio D'Andrea, che non solo ha seguito tutta la discussione, ma ha svolto un intervento che ritengo tutt'altro che rituale, interloquendo direttamente con i problemi più rilevanti che sono alla nostra attenzione. Proprio perché egli ha dimostrato questa attenzione, mi permetto anch'io, come ha fatto poco fa la collega Marisa Nicchi, e hanno fatto altri - anche Graziella Mascia - di attirare la sua attenzione su un tema che non riguarda ilPag. 58contenuto di questa proposta di legge costituzionale, ma che attiene al prestigio e al ruolo dell'Italia sul piano internazionale in materia di iniziative per la moratoria della pena di morte.
Io, come tutti in quest'aula, il 27 luglio scorso, ho votato a favore della mozione che è stata presentata e che ha impegnato il Governo sul punto; sarebbe veramente sbagliato che non ci fosse una iniziativa sufficientemente coerente e conseguente da parte del Governo.
Pertanto, poiché ho visto che il sottosegretario ha anche preso appunti sul tema, ed essendo egli anche sottosegretario per i rapporti con il Parlamento, mi limito, per concludere, a sollecitare da parte sua - ma sono certo che lo farà - la trasmissione delle preoccupazioni espresse in quest'aula (che mi paiono unanimi) sul fatto che non vada persa questa grande e forte iniziativa che abbiamo promosso tutti insieme nel luglio scorso. Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, signori deputati, intervengo per rassicurare l'onorevole Boato che, da ultimo, raccogliendo le preoccupazioni espresse dai colleghi intervenuti nel dibattito, ha invitato il Governo a mantenere la posizione prevista dalla mozione approvata il 27 luglio scorso in quest'aula, relativa alla moratoria internazionale. Provvederò a segnalare tale preoccupazione al ministro degli esteri nella giornata di domani ovvero in serata, se possibile.
Ricordo peraltro l'esplicito impegno assunto dal Presidente del Consiglio dei ministri all'atto della presentazione del Governo, quando, in sede di replica, tenne a sottolineare la volontà di rilanciare un'iniziativa italiana per la moratoria. Credo che sia dovere del nostro Governo battersi non solo perché la pena di morte venga abolita in tutti gli ordinamenti, ma anche per una moratoria che intanto impedisca le esecuzioni in quei paesi che non lo hanno ancora fatto.
D'altra parte - e concludo - basterebbe rileggere il dossier che il Servizio studi della Camera ha predisposto. Vi sono due parti che, se sfogliate, fanno venire i brividi alla schiena. Sono le parti relative al codice penale di guerra abrogato in Italia, cioè quelle che prevedevano le modalità di esecuzione anche della pena di morte, nonché alla rassegna di numerosi paesi che ancora oggi mantengono la pena di morte con modalità di esecuzione assolutamente raccapriccianti. Abbiamo il dovere di tentare di evitare il più possibile che tali modalità vengano tradotte in realtà.
Con questo spirito, perfettamente conforme all'iniziativa che è stata sottoposta al nostro esame, ribadisco l'impegno del Governo a muoversi nella direzione auspicata.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 10 ottobre 2006, alle 10:

1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Discussione del disegno di legge (per l'esame e la votazione delle questioni pregiudiziali presentate):
Conversione in legge del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioniPag. 59urgenti in materia tributaria e finanziaria. (1750).

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 27 settembre 2006, n. 260, recante misure urgenti per la funzionalità dell'Amministrazione della pubblica sicurezza. (1704).
- Relatore: Adenti.

4. - Seguito della discussione delle mozioni La Loggia ed altri n. 1-00029, D'Alia ed altri n. 1-00037, Diliberto ed altri n. 1-00039 e Franceschini ed altri n. 1-00040 sulle iniziative volte a far proseguire le procedure per realizzare il ponte sullo stretto di Messina.

5. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale:
BOATO ed altri; D'ELIA ed altri; MASCIA ed altri; PISCITELLO: Modifica all'articolo 27 della Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte. (193-523-1175-1231-A).
- Relatore: Boato.

La seduta termina alle 19,55.