XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 14 di martedì 27 giugno 2006

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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI

La seduta comincia alle 10.

GIUSEPPE MARIA REINA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 14 giugno 2006.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Albonetti, Azzolini, Bersani, Bindi, Boco, Bonino, Cento, Chiti, Cordoni, De Zulueta, Di Pietro, Fioroni, Melandri, Minniti, Paoletti Tangheroni, Pecoraro Scanio, Pollastrini, Rigoni, Rutelli, Sgobio, Visco e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono ventiquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 7 giugno 2006, n. 206, recante disposizioni urgenti in materia di IRAP e di canoni demaniali marittimi (A.C. 1005) (ore 10,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 7 giugno 2006, n. 206, recante disposizioni urgenti in materia di IRAP e di canoni demaniali marittimi.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1005)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Fincato, ha facoltà di svolgere la relazione.

LAURA FINCATO, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono tre gli articoli del decreto-legge che ci apprestiamo ad esaminare. Il primo riguarda i versamenti IRAP, il secondo i canoni demaniali marittimi e il terzo stabilisce l'entrata in vigore del provvedimento.
L'articolo 1 contiene disposizioni finalizzate ad assicurare la regolarità dei versamenti riguardanti l'imposta regionale sulle attività produttive. L'urgenza di provvedere risiede nell'esigenza di disincentivare fenomeni di ritardato ovvero di omesso versamento dell'imposta, con conseguenti possibili perdite di gettito, a ridosso della ravvicinata scadenza dei termini di versamento. Si ricorda che una disposizione analoga fu emanata in prossimità della scadenza del termine per il versamento del saldo IRAP relativo all'anno 2004 e dell'acconto relativo all'anno 2005. In particolare, si prevede che, per il Pag. 2versamento degli acconti per il 2006, nonché del saldo dovuto per il medesimo anno, non trovi applicazione l'istituto del cosiddetto ravvedimento operoso. Si esclude altresì l'applicazione della riduzione della sanzione per omesso versamento, nel caso di effettuazione del medesimo entro 30 giorni dal ricevimento dell'avviso dell'amministrazione finanziaria, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462. Resta ferma l'applicazione della medesima disciplina, con riferimento al saldo relativo al periodo d'imposta 2005, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 17 giugno 2005, n. 106, convertito con modificazioni dalla legge 31 luglio 2005, n. 156.
L'articolo 2 è una disposizione volta a garantire il razionale completamento delle procedure di verifica degli accertamenti tecnici necessari per pervenire alla rideterminazione dei canoni demaniali marittimi. La disposizione qui illustrata è volta a garantire il completamento delle procedure di verifica degli accertamenti tecnici, necessari per pervenire alla rideterminazione dei canoni. Il differimento, sempre in base alla relazione illustrativa, tenderebbe altresì ad evitare agli operatori delle strutture turistico-ricettive, nell'imminenza della stagione estiva, incertezze circa la misura dei canoni da corrispondere, anche pregressi. A tal fine, viene previsto un ulteriore termine per l'adozione del decreto ministeriale di cui all'articolo 32, comma 22, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, e successive modificazioni, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. L'entrata in vigore viene prevista il giorno stesso della pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale.
Forse vale la pena di fare qualche breve osservazione sulle due disposizioni: con la prima si vuole raggiungere l'obiettivo di scoraggiare un ritardato versamento dell'acconto IRAP da parte di quei contribuenti che, nel dubbio di vedere cancellato il tributo dal giudice comunitario per incompatibilità con l'IVA, preferiscono non anticipare somme, riservandosi di versarle solo dopo l'emanazione dell'eventuale sentenza sfavorevole, pagando sanzioni ridotte. L'obiettivo viene perseguito mediante la semplice disposizione della inapplicabilità del ravvedimento operoso, in caso di versamento tardivo.
Quanto al secondo punto, i canoni demaniali, è giusto fare una piccola ricostruzione dei fatti. Al fine di assicurare maggiori entrate, pari ad almeno 140 milioni di euro a decorrere dal 1o gennaio 2004, la legge finanziaria per lo stesso anno aveva previsto, con apposito decreto interministeriale, da emanare entro il 30 giugno 2004, la rivalutazione dei canoni demaniali marittimi e che i predetti canoni dovessero essere comunque rivalutati nella misura del 300 per cento.
Considerato che il primo termine indicato dalla norma per l'emanazione del decreto interministeriale in oggetto è decorso inutilmente, al fine di consentire il completamento degli accertamenti tecnici in corso, avviati con un tavolo tecnico presso la Presidenza del Consiglio per la rideterminazione dei canoni demaniali marittimi, sono stati adottati diversi provvedimenti urgenti di proroga, l'ultimo dei quali è scaduto il 15 dicembre 2005.
Se non vi fosse la nuova previsione di proroga, si applicherebbero le disposizioni concernenti la rivalutazione del 300 per cento dei canoni in questione. Tale innesco automatico dell'aumento forfettario dei canoni rischierebbe di compromettere la sopravvivenza non solo delle imprese che operano nel settore, ma dell'intero turismo balneare, con conseguenti ripercussioni negative sull'economia italiana.
Oltretutto, da una lettura molto tecnica dei diversi provvedimenti, si potrebbe affermare che la decorrenza del termine sopra indicato comporterebbe l'obbligo del versamento dei canoni rivalutati a decorrere dal 1o gennaio 2004, con conseguenze traumatiche sulle imprese che operano nel settore, soprattutto di micro e piccola dimensione.
Ritengo, quindi, in tal senso giustificato il presupposto di urgenza e necessità per il rinvio del termine concernente l'aumento Pag. 3dei canoni, almeno fino al momento in cui non saprò che sarà pronto il già citato decreto interministeriale.
Il relatore, a proposito dell'articolo 2 del provvedimento in esame (quindi, del termine fissato al 30 settembre 2006), preannunzia la presentazione di un proprio emendamento, al fine di differire alla data del 31 ottobre detto termine; si preannunzia, altresì, la presentazione di ulteriori proposte emendative riferite all'articolo 1 del decreto-legge, riguardanti i versamenti IRAP.
Ciò avverrà in sede di Comitato dei nove, già convocato per la tarda mattinata di oggi, in modo che le varie Commissioni interessate abbiano a disposizione i tempi tecnici necessari per esprimere i rispettivi pareri e consentire, dunque, il raggiungimento del fine che ci proponiamo, vale a dire la conversione in legge del decreto-legge in esame.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ALFIERO GRANDI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Sta bene.
È iscritto a parlare l'onorevole Tolotti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TOLOTTI. Signor Presidente, credo che abbiamo già discusso ampiamente, in sede di Commissione, il testo del decreto-legge in esame. Esso non rappresenta una novità assoluta, dal momento che, in realtà, è analogo ad un provvedimento d'urgenza già presentato l'anno scorso, con riferimento al pagamento dei saldi IRAP 2004 e degli acconti relativi all'anno 2005.
Ci troviamo di fronte, in altri termini, ad un problema che, in questa materia, l'attuale Governo ha ereditato. Si tratta, in buona misura, di un atto dovuto: infatti, in attesa che si pronunci la Corte di giustizia delle Comunità europee, il provvedimento si pone, fondamentalmente, l'obiettivo di salvaguardare il gettito derivante dall'IRAP; tale gettito, come sappiamo, svolge un ruolo importante a sostegno della spesa sanitaria delle regioni.
Ricordo, altresì, come la discussione in sede di Commissione abbia rappresentato l'occasione per svolgere qualche riflessione di carattere più generale in ordine a tale imposta. Si tratta, infatti, di una questione così rilevante che non può sicuramente essere esaurita nell'ambito della discussione sulla conversione di un provvedimento d'urgenza comunque circoscritto.
Vorrei segnalare come, sempre nella stessa sede, abbia comunque già avuto modo di ritenere positivo il fatto che, esaurito il clima «elettorale», l'atteggiamento delle diverse parti politiche in merito all'IRAP si sia «spogliato» di qualche eccesso di connotazione ideologica. Occorre, infatti, che tutti riconoscano la necessità di misurarsi con gli effetti distorsivi prodotti dalla composizione di tale imposta, soprattutto in relazione al fatto di gravare sul fattore lavoro. Al contempo (almeno in sede di Commissione finanze), considero positivo che tutte le parti siano consapevoli del fatto che si tratta non di abolire un'imposta, ma di rimodulare un tributo che ricordo essere alla base del sistema di finanziamento delle regioni in materia di politica sanitaria.
Mi pare che non ci sia molto più da dire e mi auguro che, al di là di qualche «giravolta» che si è avuta nel corso della discussione in Commissione, su un decreto di questo genere ci sia un'ampia convergenza; lo dico anche in relazione all'articolo relativo ai canoni demaniali marittimi, sui quali interverranno altri colleghi, dell'Ulivo in particolare. Anche in questo caso credo che l'intervento della relatrice, che ha preannunciato la presentazione di emendamenti che verranno valutati nel Comitato dei nove, abbia aperto lo spazio perché si concretizzino le condizioni di un'ampia convergenza sul testo.
Per quanto riguarda il problema dei canoni demaniali marittimi, va tenuto presente che si tratta di una vicenda ormai annosa, che attiene certamente alla necessità di meglio definirli. Peraltro, occorre Pag. 4tener presente che si tratta di una situazione estremamente eterogenea - quindi, richiede uno sforzo non insignificante -, che è aperta una possibile questione circa la competenza tra Stato e regioni e che, comunque, occorre davvero operare nei termini dell'esercizio finanziario di quest'anno. Quindi, anche le possibili richieste di spostamento dei termini, che credo saranno parzialmente accolte nell'emendamento che la relatrice ha annunciato, non possono andare certamente oltre il 2006, anzi debbono stare nei termini prescritti per la presentazione della legge finanziaria.
In Commissione si è discusso fondatamente dei problemi che si sono determinati per i contribuenti delle regioni che non hanno potuto rispettare i tetti della spesa sanitaria. Si è argomentato diversamente sulla necessità di evitare che questi contribuenti venissero penalizzati da una situazione di incertezza, in relazione al fatto che la legge finanziaria per il 2004, reiterata, prevede che per i contribuenti delle regioni che sforino i tetti di spesa sanitaria scatti automaticamente un aggravio dell'aliquota dell'1 per cento: ripeto, automaticamente perché c'è stata qualche polemica di troppo su questo punto. In realtà, non è facoltà né del Governo in questo momento, né delle regioni disporre una discrezionalità nella scelta per attuare il recupero dello sforamento della spesa sanitaria. L'aumento è automatico, a meno che le regioni non si impegnino a rientrare in tempi utili: mi pare che sia accaduto per la regione Liguria ed altre regioni hanno manifestato un impegno a che questo accada. Credo che occorra trovare una soluzione che eviti ai contribuenti gli oneri aggiuntivi di un'incertezza relativa ai versamenti, che si traduce poi in possibili spese supplementari, magari non dovute.
Ritengo che, da questo punto vista, l'emendamento che andremo ad esaminare nel Comitato dei nove possa dare una risposta a questi problemi e, quindi, mi auguro che su questa base il decreto possa essere apprezzato nella sua efficacia e nell'obiettivo che persegue e possa essere rapidamente approvato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gioacchino Alfano. Ne ha facoltà.

GIOACCHINO ALFANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come ha detto la relatrice, ci troviamo di fronte ad un provvedimento che si articola su due punti: uno riguarda l'IRAP e l'altro i canoni demaniali marittimi. Il collega Tolotti ricordava che in Commissione abbiamo anche affrontato le questioni di merito, ma bisogna puntualizzare che questo provvedimento si riferisce solo a termini. Quindi, per quanto riguarda l'articolo 1, abbiamo la conferma di un termine per l'IRAP e, per quanto riguarda l'articolo 2, abbiamo la proroga di un termine per i canoni demaniali marittimi. La relatrice e il collega Tolotti ci chiedevano anche di essere coerenti con quanto abbiamo fatto nella precedente legislatura, in quanto questo provvedimento è stato adottato anche da noi.
In effetti, la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, nel far prevedere un orientamento sfavorevole per il mantenimento dell'IRAP, avrebbe spinto i contribuenti ad evitare il pagamento, potendo utilizzare istituti di agevolazione che il diritto tributario prevede, quale ad esempio il ravvedimento operoso. Dunque noi siamo coerenti con quanto abbiamo fatto l'anno scorso. Tuttavia vi è una novità, cui si è accennato e che va tenuta presente, visto che parliamo di termini e che non possiamo invece intervenire sulla norma. Mi riferisco alla condizione in cui si trovano alcune regioni che, avendo sforato il tetto della spesa sanitaria, devono ricorrere al meccanismo automatico della maggiorazione IRAP.
Ebbene, i contribuenti di queste regioni non sapevano cosa dovevano pagare. Pertanto in Commissione avevamo chiesto che potesse essere applicato il ravvedimento operoso - avevamo addirittura chiesto un rinvio del termine di pagamento - o quanto meno che si potesse tenere conto dell'agevolazione consentita qualora si paghi entro il mese dalla scadenza (la maggiorazione dello 0,40 per cento). Si parlava Pag. 5della Liguria, ma anche altre regioni stanno cercando di dimostrare di poter uscire fuori da questa penalizzazione. D'altronde, il termine per il piano di risanamento da parte delle regioni è stato prorogato dal 31 maggio al 30 giugno.
Questa novità non vuole essere utilizzata per esprimere contrarietà al provvedimento. Essa piuttosto ci ha spinto a chiedere al Governo di dare un segnale ai contribuenti, affinché essi potessero pagare nella seconda rata di acconto o a saldo l'imposta dovuta. Il Governo ha risposto che il pagamento fatto in eccesso avrebbe potuto essere recuperato, ma questa era una puntualizzazione superflua.
Vi erano poi altre questioni che si aggiungevano a questa preoccupazione. Le regioni che dovevano maggiorare dell'1 per cento l'aliquota ordinaria potevano avere anche un aliquota ridotta. Quindi non si capiva se bisognava raggiungere sempre l'aliquota del 5,25 per cento o se invece solo l'aliquota dell'1 per cento. Sembra peraltro che su questo ci siano dei chiarimenti in corso.
Poiché il provvedimento in esame si riferisce a termini, noi intendiamo sottolineare che in Commissione avevamo parlato proprio di questi. Peraltro è indispensabile adesso fare riferimento alle date. Il provvedimento non è stato da noi predisposto e adesso arriva come vostro. È invece un provvedimento che si ripete. Il Governo lo ha emanato il 7 giugno; esso è stato assegnato alla Commissione finanze l'8 giugno ed abbiamo iniziato l'esame il 14 giugno. Il Governo ha sostenuto che bisognava pagare. Dunque il 20 giugno - che è lo spartiacque, dal momento che tutto si è fatto per garantire l'entrata del 20 giugno - i contribuenti dovevano pagare, così come la norma dettava. Adesso sento da parte della relatrice la volontà di presentare un emendamento che rinvii alla data del 20 luglio il pagamento, cioè con l'esenzione dal pagamento della maggiorazione dello 0,40 per cento. Noi a questo siamo favorevoli, come d'altronde eravamo favorevoli addirittura al rinvio a fine anno; tuttavia dobbiamo rilevare, così come è stato fatto tante volte nei nostri confronti, che si interviene con una proroga dopo la scadenza e non prima.
Noi il 14 giugno avevamo chiesto alla maggioranza e al Governo di poter fare ciò che adesso il Governo ha detto di voler fare. Questo ci sembra un atteggiamento non giusto, non tanto per quello che è stato detto in campagna elettorale o per quello che è stato detto nei nostri confronti nella precedente legislatura, ma perché gli italiani devono capire se alla scadenza bisogna pagare le imposte o meno. In questo caso noi diciamo agli italiani, dopo la scadenza, che ci sarà un beneficio se si pagheranno le imposte entro il 20 luglio.
A tale questione se ne aggiungono poi delle altre. Per esempio abbiamo chiesto al Governo, e lo richiediamo adesso, se ci sono differenze fra il calcolo dell'acconto con il metodo previsionale e quello con il metodo storico. Chiediamo anche se le regioni che hanno sforato la spesa sanitaria devono applicare la maggiorazione solo sulla parte aggiuntiva o su tutto l'importo. Leggeremo poi in sede di riunione del Comitato dei nove l'emendamento che la relatrice intende presentare.
Ribadiamo dunque le nostre richieste e in particolare continuiamo a sostenere che in questa incertezza è indispensabile rivedere l'impossibilità di applicazione dell'istituto del ravvedimento operoso.
Per quanto riguarda invece l'articolo 2, relativo ai canoni demaniali marittimi, puntualizzo intanto che, poiché parliamo di termini, non mi soffermo sulle questioni di merito. Ci è stato detto infatti in Commissione della difficoltà degli operatori ad intervenire nel pagamento di questi aumenti. Al riguardo, bisogna ricordare che l'aumento del 300 per cento è un aumento automatico, quasi una penalizzazione. Si sperava infatti di poter emanare un decreto interministeriale, che avrebbe dovuto tenere conto delle esigenze e delle potenzialità dei singoli operatori. Dunque il 300 per cento è una somma matematica, che ha imbarazzato anche noi.Pag. 6
Da quanto ho sentito, sembra che vi sia una proroga, ma che si tratti quasi di un rinvio con l'intento di arrivare all'eliminazione. Tranquillizzo il Governo: noi che abbiamo inserito questo adempimento non lo abbiamo mai considerato un'entrata, in quanto eravamo consci della difficoltà di poterlo incassare e quindi non sarebbe difficile eliminarlo, dato che quelle somme non sono neanche state impegnate. La difficoltà che abbiamo avuto riguarda i rapporti tra gli organi competenti e gli operatori interessati.
Premesso che, essendo una proroga, rimane un obbligo e gli importi dovuti si sommano, se il Governo intende prorogare al 30 ottobre il termine per l'adempimento, noi abbiamo già chiesto - e lo facciamo nuovamente - di rinviare al 15 dicembre. Potevamo anche strumentalmente chiedere di rinviare al prossimo anno, consapevoli dell'impossibilità, invece, prudentemente e con spirito di collaborazione, proponiamo una data entro l'esercizio, quindi il 15 dicembre, dichiarandoci disponibili per quella data, l'ultima utile, a rivedere e correggere la norma secondo l'orientamento e la disponibilità di tutti, anche degli operatori. Infatti, da quanto sappiamo, non è che non si vogliano adeguare i canoni demaniali marittimi, ma lo si vuole fare in modo giusto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, è un po' strano parlare oggi di IRAP, dato che si tratta forse dell'unica significativa forma di federalismo fiscale nel nostro paese, e farlo per di più all'indomani di un referendum che ha cancellato un «pasticcio» che poteva essere evitato, qualora coloro che erano realmente interessati ad una riforma in senso federalista avessero, invece, cercato di attuare e migliorare le forme di federalismo fiscale che possono introdursi nel nostro paese.
Il fatto che in questa discussione entri un caso di federalismo fiscale, diciamo così, alla rovescia, che riguarda le sei regioni che si troveranno inevitabilmente un aggravio, ci fa capire come il federalismo fiscale sia una risposta che non dobbiamo tralasciare (lo dico ai colleghi della maggioranza, di cui faccio parte). Anche la precedente riforma costituzionale del 2001 prevedeva un termine di tre anni affinché si rivedesse l'ordinamento fiscale in senso federale e, al di là di ciò che riguarderà la presentazione di una riforma costituzionale da condividere anche con l'opposizione, la legge che introduce forme di federalismo fiscale dovrà andare avanti. Qualche contribuente delle sei regioni che non hanno saputo abbattere il costo della sanità, forse, dirà che non ha avuto buoni amministratori e considero il concetto di responsabilità degli amministratori fondamentale per il futuro del nostro paese.
Non manca in questa vicenda una responsabilità, a mio parere assai grave, del precedente Governo. Ricordo che l'IRAP - ripeto che si tratta dell'unica, vera imposta in qualche modo di federalismo fiscale - era stata autorizzata dalla Commissione europea al tempo della sua introduzione. È un'imposta di cui tutti gli studiosi riconoscono il carattere di neutralità e, lo dico rapidamente, ha sostituito nove tasse e balzelli di vario genere.
Quindi, ha contribuito fortemente a semplificare il sistema fiscale del nostro paese e ha determinato una situazione di neutralità, che deriva dal fatto di disporre di un imponibile molto ampio - consistente essenzialmente nella somma delle remunerazioni dei fattori della produzione - e dal fatto che il 70 per cento di questa imposta deriva da società di capitali e più della metà dalle imprese di grandi dimensioni, mentre le piccole imprese contribuiscono solo per il 15 per cento.
Si sostiene che, se osserviamo come incide l'imposta sul reddito, si scopre che le capacità di elusione delle società di capitali e delle grandi società è molto più forte e che quindi si tratta di una tassa che colpisce meno le piccole imprese e che dunque non era poi così malvagia come qualcuno l'ha descritta. Soprattutto, di Pag. 7fronte a ciò, molti autorevoli studiosi hanno dimostrato che non si tratta affatto di una duplicazione dell'IVA.
La verità è che il Governo precedente non ha fatto nulla per difendere questa imposta di fronte alla Corte di giustizia; tant'è che, addirittura, ha chiesto un termine ulteriore per produrre la documentazione. Ciò dimostra che vi è stata la volontà di lasciar procedere la Corte di giustizia verso una condanna del nostro paese su questo punto.
In ogni caso, ritengo che, anche in caso di azzeramento dell'imposta, ciò non potrà avvenire se non con la riproposizione di un'imposta - qualcuno suggerisce che sarebbe sufficiente dividerla in due parti al fine di superare le obiezioni presentate in sede europea - che, inevitabilmente, colpirà gli stessi contribuenti che oggi sono soggetti all'IRAP.
Se questo decreto-legge consentirà di salvaguardare l'incasso da parte dello Stato dell'imposta, lo vedremo; in ogni caso è certo che ad ogni intervento di questo tipo corrisponderanno sempre più persone che o non pagano perché attendono la decisione a livello europeo o che, appena pagato, presentano immediatamente istanza di rimborso.
Per quanto riguarda i canoni demaniali marittimi, visto che l'aggiornamento dei criteri di calcolo dei canoni è pari al 2,85 per cento per l'anno 2005, ero curioso di sapere dal rappresentante del Governo - non so se potrà farlo oggi - se questi canoni incidono in misura rilevante nell'economia delle aziende che utilizzano questi beni e se, in questi anni, i prezzi medi praticati all'utente siano aumentati in misura pari all'inflazione oppure in misura maggiore.
Infatti, si dice che, senza un intervento come quello che stiamo immaginando, l'aumento sarebbe del 300 per cento. Se, tuttavia, dovessi scoprire che, in questi anni, i prezzi all'utente dei prodotti di quel tipo di imprese sono aumentati in misura molto ampia, forse mi verrebbe qualche dubbio sul fatto di continuare a procrastinare la definizione di questa vicenda, pensando quantomeno che i canoni possano essere aumentati in misura corrispondente all'aumento dei prezzi.
Non so se il rappresentante del Governo potrà fornire qualche indicazione in merito. Comunque, anche io avevo proposto un emendamento - successivamente ritirato - volto a differire il termine indicato: anziché quello proposto nel provvedimento, avevo immaginato un termine maggiore di un anno, anche se capisco bene che ciò avrebbe generato qualche problema in più in relazione all'annualità del bilancio dello Stato. Ho ritirato questo emendamento di fronte alla dichiarazione molto convinta del rappresentante del Governo secondo cui, prima della prossima scadenza, si porrà rimedio a questa situazione. Pertanto, prendo atto di ciò. Quanto al resto, mi riservo di intervenire in sede di dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro gruppo non condivide il disegno di legge iscritto all'ordine del giorno. Non lo condivide soprattutto per ragioni di carattere generale, di merito e di metodo.
Quello che oggi è in discussione è, forse, il primo provvedimento del Governo in termini di politica fiscale. Esso fa seguito ad una serie di dichiarazioni dei principali responsabili della politica economica, che hanno dipinto la «Caporetto» dell'economia italiana. Il ministro dell'economia, al pari del generale Cadorna, ha tratteggiato una situazione drammatica, come lo fu lo sfondamento delle linee italiane da parte degli austriaci. Ci è stato descritto un cumulo di macerie, ma nessuna indicazione sui tempi e le modalità di una loro rimozione.
Dopo tanti allarmi, che hanno prodotto l'effetto di aggravare la situazione finanziaria del paese, come dimostrato dall'atteggiamento sempre meno benevolo delle società di rating e dalla crescita dei differenziali di interesse nei confronti del bond tedesco, ci si aspettava che il primo Pag. 8provvedimento del Governo contenesse indicazioni precise sul «che fare, come fare e quando fare».
Ci saremmo accontentati di una indicazione di carattere generale del percorso da seguire per far fronte ad una crisi che, nelle sue caratteristiche essenziali, dura ormai dal lontano 1996. Da allora, sono trascorsi dieci anni, ma né la maggioranza del centrosinistra (Ulivo e Unione) né quella del centrodestra (Casa delle libertà), seppure per motivi diversi, sono riuscite ad individuare una giusta terapia.
Ci illudevamo che, dopo un decennio di analisi, osservazioni e discussioni, un ministro tecnico dalla lunga esperienza interna ed internazionale potesse far luce sul malessere oscuro che attanaglia l'economia italiana ed indicare la strada del relativo superamento. Invece, il viceministro Visco (su questo tornerò in seguito) partorisce il più classico dei topolini: due semplici articoli, che si limitano ad affrontare problemi minuti di manutenzione legislativa, prescindendo completamente da un quadro di carattere più generale, le cui tinte più fosche sono state tratteggiate proprio in queste ultime settimane.
La cosa che più mi ha sorpreso nel dibattito finora svoltosi è stata la posizione assunta dai colleghi della V Commissione. Da molte parti si è eccepito circa la mancanza di relazione tecnica al provvedimento che, come noto, è resa tassativa dalla legge n. 468 del 1978, a sua volta diretta attuazione dell'articolo 81 della Costituzione. Non si è trattato di una dimenticanza da parte del Governo, ma del tentativo di occultare, omettendola, la portata minuta del provvedimento. Se l'avessimo potuta leggere, avremmo tutti constatato che si trattava di qualche migliaio di euro, di fronte ad uno squilibrio nei conti pubblici dell'ordine di circa 40 miliardi di euro.
Perché, quindi, impegnare quest'aula a discutere di cose minimali, quando la casa brucia? È come se volessimo spegnere un incendio gigantesco con qualche bicchiere di acqua fresca. Non sarebbe stato meglio individuare, fin dall'inizio, un intervento risanatore e, quindi, all'interno di questa strategia più complessiva individuare le misure, anche di carattere legislativo, più opportune? Il Governo, invece, ha scelto una strada obliqua, nascondendo la testa nella sabbia e costringendo il Parlamento a parlare di quisquilie, mentre la situazione precipita, e ha scelto questa strategia solo a causa dei suoi grandi conflitti interni. Un conto, infatti, è parlare genericamente di lacrime e sangue, un altro è individuare le modalità attraverso le quali giungere ad un effettivo risanamento dei conti pubblici lungo una linea di crescita e di sviluppo dell'economia.
E non si venga a fare un arrischiato confronto con il 2001 per dimostrare che, come allora, il Governo non è ancora in grado di valutare l'esatta portata dei problemi! Sono ormai anni che i dati fondamentali della finanza pubblica sono noti agli esperti e alle forze politiche italiane: si leggono quotidianamente sui giornali. Il precedente Governo non ha mai negato la complessità della situazione e la necessità di un intervento rivolto a ridurre gli squilibri finanziari e a migliorare la performance complessiva dell'economia italiana. La stessa due diligence, voluta con tanta enfasi dal ministro dell'economia, non ha dato alcun elemento ulteriore di conoscenza. I fondamentali della finanza pubblica italiana e del quadro macro-economico erano noti da tempo e potevano costituire oggetto di una più attenta valutazione.
La situazione del 2001, che segnò il passaggio del testimone a favore della Casa delle libertà, era fondamentalmente diversa. L'ultimo DPEF del precedente Governo, firmato dal ministro del tesoro pro tempore Vincenzo Visco ed avallato dal Presidente del Consiglio Giuliano Amato, ipotizzava un deficit pari allo 0,8 per cento del PIL e prospettava per gli anni successivi un tasso di crescita del PIL in termini reali del 3 per cento. Tali dati avevano costituito il presupposto del programma di governo della Casa delle libertà, non solo un programma elettorale, ma un programma di governo capace di esprimersi nei primi 100 giorni della sua vita in concreti provvedimenti legislativi. La due Pag. 9diligence, allora richiesta dal ministro del tesoro Tremonti, si rese necessaria per valutare se quelle premesse erano fondate, tanto più che era stato lo stesso Presidente del Consiglio Amato a richiedere, prima delle elezioni, un supplemento di analisi alla Ragioneria generale dello Stato.
Il Governo Berlusconi si vide così costretto a fare i conti con una realtà che era profondamente diversa da quella teorizzata dai precedenti documenti governativi ed avallata dal Parlamento, realtà che si è dimostrò immediatamente ben peggiore delle più nere previsioni. Il neo ministro dell'economia ipotizzò, infatti, un deficit di bilancio di qualche punto superiore alle cifre indicate dal ministro Visco, ma nessuno poteva immaginare che l'ISTAT certificasse, qualche anno dopo, un deficit di bilancio pari al 3,1 per cento del PIL, del tutto fuori linea rispetto ai parametri di Maastricht.
Aggiungo che altrettanto irrealistico doveva dimostrarsi quel tasso di crescita del 3 per cento in termini reali. Anche senza i successivi attentati dell'11 settembre, quelle cifre erano solo il frutto di una campagna propagandistica volta a glorificare le sorti progressive del centrosinistra.
Oggi la situazione è diversa. Il deficit accertato dalla stessa due diligence, voluta dal ministro Tommaso Padoa Schioppa, non si discosta, se non di poco, dai documenti ufficiali del precedente Governo. La stessa Commissione europea ha certificato i bilanci del Governo italiano, indicando cifre che non spostano significativamente i termini della questione.
Il centrosinistra, quindi, già nel corso della campagna elettorale era in grado di avere contezza della reale situazione del paese. Poteva predisporre un programma di Governo adeguato, dirimendo tempestivamente le proprie controversie interne, per poi presentarsi all'elettorato con un programma di Governo effettivo, in grado di tradursi in successivi provvedimenti di legge. Ma ciò non è avvenuto.
Il poderoso programma elettorale è stato scritto non per far fronte ai problemi del paese, ma solo in funzione di una astratta mediazione tra le diverse componenti della maggioranza governativa, senza alcuna attinenza con i reali problemi del paese. Ora, giunti al momento della verità, si può scoprire facilmente che il re è nudo e che non ha alcuna proposta concreta per aggredire le cause della crisi.
La pochezza di questo primo atto del Governo è la conseguenza di queste contraddizioni di carattere più generale.
È comprensibile l'atteggiamento temporeggiatore di una maggioranza che ha poche idee diverse e, per giunta, confuse, che non riesce a trovare quel minimo di sintesi necessaria per governare un paese le cui difficoltà sono da tempo evidenti. Si prende tempo, quindi, in attesa di un miracolo che possa mettere d'accordo posizioni antitetiche, ma è un tempo che ha un costo perché la crisi non si arresta: ogni giorno che passa cresce il rischio di default, ogni giorno che passa il costo del risanamento diventa più oneroso.
La luna di miele del Governo è quasi finita e l'unico provvedimento a nostra disposizione sono due articoli che mirano a vessare ulteriormente i contribuenti senza offrire loro alcuna speranza di futuro. La responsabilità più grave è senza dubbio quella del ministro-viceministro delle finanze, figura ibrida: non sappiamo, infatti, se ci troviamo di fronte ad un semplice, per quanto autorevole, collaboratore del ministro dell'economia, oppure al vero ed unico responsabile della politica fiscale di questo Governo. Le deleghe che gli sono stato conferite e la loro esclusività nel campo della politica fiscale, di fatto, configurano uno sdoppiamento del Ministero dell'economia e delle finanze ed un ritorno all'indietro. Sarà, quindi, interessante vedere come il ministro Padoa Schioppa si comporterà nelle sedi internazionali: di fronte ad eventuali richieste in campo fiscale si vedrà costretto a prendere tempo per verificare preventivamente se il suo ministro-viceministro è in grado di accoglierle o respingerle.
Per il momento, sembra essere la «linea Visco» a prevalere: possibile che il ministro Tommaso Padoa Schioppa non si renda conto dell'atteggiamento schizofrenico che abbiamo denunciato, del contrasto Pag. 10stridente tra l'essere e il dover essere? Da un lato, le esigenze più generali dell'economia, dall'altro, la voglia di continuità del ministro-viceministro Visco con la sua passata esperienza di Governo. Non abbiamo dimenticato che è stato proprio Vincenzo Visco ad inventare l'IRAP, imposta che non trova riscontro nei sistemi fiscali più evoluti: era sbagliata quando fu istituita, lo è maggiormente oggi, nel momento in cui la Corte di giustizia della Comunità europea è pronta a pronunciarsi sulla sua incompatibilità con la disciplina dell'IVA.
Ebbene, nel momento in cui un organo giurisdizionale si accinge ad emettere una sentenza di condanna, cosa fa il ministro-viceministro Visco? Obbliga il contribuente, minacciandolo di sanzioni abnormi, a pagare un balzello che, con ogni probabilità, non dovrebbe essere pagato. Se mi è consentito un paragone azzardato, stiamo trasferendo nel campo della disciplina fiscale un istituto equivalente a quello che esiste in campo penale con la carcerazione preventiva: non importa se sei innocente o colpevole, tanto sarai ospite, per un certo periodo di tempo, nelle patrie galere, poi si vedrà. È la logica sottesa a questo provvedimento: tu contribuente quasi sicuramente l'imposta non la dovrai pagare, ma poiché io sono il sovrano ti obbligo a pagarla ugualmente e, se non ottemperi, ti erogo una pena pari al 30 per cento dell'imposta evasa, più gli interessi di legge. Con questa logica, si poteva ricorrere a pene molto più severe: si poteva pensare, ad esempio, a pene corporali, addirittura alla gogna, perché l'obiettivo non è quello della giustizia fiscale, ma quello di una vera e propria estorsione nei confronti del povero suddito. Forse non ci si rende conto della gravità di un simile atto.
È vero, il provvedimento reitera disposizioni di legge già varate dal precedente Governo, ma, se errare è umano, perseverare diventa diabolico. Senza contare, poi, che da allora è trascorso un anno, che la causa in sede comunitaria è andata avanti e quasi sicuramente si concluderà con una dichiarazione di incompatibilità e che, quindi, l'accanimento governativo si dimostra essere solo un atto di arbitrio.
Del resto, le attuali disposizioni già prevedono forti penalità in caso di mancato o ritardato pagamento. Un ritardo di 30 giorni comporta un onere pari al 3,75 per cento dell'imposta evasa, più gli interessi di mora: una cifra di gran lunga superiore all'onere mensile che lo Stato dovrebbe pagare sul maggior debito emesso a copertura del mancato introito. Tale cifra diventa, poi, pari al 6 per cento se il termine si allunga, per raggiungere fino al 10 per cento nell'eventualità di un controllo automatico da parte degli uffici.
L'eliminazione di questa disposizione altera profondamente i parametri di convenienza della singola azienda. Con le nuove disposizioni si incide direttamente sulle valutazioni del rischio da parte dell'imprenditore, aumentando notevolmente i costi di gestione, specie per le imprese più piccole e ad alto contenuto di manodopera.
Ma queste valutazioni non sono considerate dal potere fiscale, sempre più estraneo alla logica di mercato e dell'economia. È il vecchio peccato di origine dell'IRAP, voluta, a suo tempo, insieme a tante altre imposte stravaganti, dall'allora ministro e ora viceministro dell'economia.
È comprensibile che egli tenga in modo particolare ad una sua «creatura», anche se questa ha il volto e le fattezze di un moderno Frankenstein; ma tale «attaccamento» rischia di produrre danni ulteriori. Sappiamo benissimo che l'IRAP sostituì una serie di imposte, nove, che già gravavano sulla produzione e che erano state decise per finanziare la spesa sanitaria. Si trattò di una razionalizzazione? Abbiamo dei dubbi. La sanità, in Italia, ha una portata universalistica; è, cioè, a favore di tutti cittadini. Non si capisce, pertanto, perché debba essere finanziata solo a valere sui settori produttivi: forse, il singolo professionista senza dipendenti o il redditiero non godono degli stessi benefici senza essere chiamati al pagamento di un corrispettivo? Nello stesso tempo, nella sua attuale configurazione, l'imposta danneggia in proporzione maggiore le imprese Pag. 11che hanno un numero più alto di occupati e comporta, infine, un aggravio amministrativo che pesa sulle strutture delle aziende.
Già allora, dunque, era preferibile individuare una diversa fonte di finanziamento; tale, ad esempio, poteva essere l'IVA, come suggerisce la stessa Corte di giustizia della Comunità europea: avrebbe avuto il vantaggio di colpire i consumi e non la produzione e sarebbe stata, al tempo stesso, più coerente con le attività da finanziare. Non si dimentichi, infatti, che la sanità non significa soltanto erogazione di servizi; significa anche vero e proprio consumo, di farmaci e di medicine, spesso utilizzati non solo per motivi gravi ma anche per un più generico stato di benessere. Ecco, allora, che un finanziamento attraverso l'IVA sarebbe stato più coerente perché più generalizzato e, al tempo stesso, più congruo rispetto all'oggetto dell'attività da finanziare; senza considerare che tale soluzione avrebbe comportato minori complicazioni contabili per le aziende e un calcolo più facile, riducendo le possibilità di errori e di costi indiretti di gestione.
Troppo semplice per la complessa architettura teorica della «pseudosinistra»: la preminenza dello Stato sul libero mercato si manifesta soprattutto nei bizantinismi, nelle complesse alchimie della iper-regolamentazione, nella primazia del potere sovrano che non ammette contraddittorio. Anziché, approfittando proprio della congiuntura comunitaria, smantellare questo castello, il Governo lo rafforza, ricorrendo a nuovi balzelli e all'inasprimento delle pene, così penalizzando ancor di più il povero contribuente, salvo che si tratti di alleviare, come traspare da un emendamento proposto dalla maggioranza, quelle regioni che non hanno saputo contenere i costi della propria sanità. Due pesi e due misure: la carota per chi sfora i conti pubblici; il bastone per i singoli imprenditori.
Quest'ultima vessazione non può comunque trasformare il bronzo in oro; da un punto di vista macroeconomico, quella imposta era sbagliata ieri e lo è oggi: penalizza, infatti, le esportazioni e favorisce le importazioni.
Negli anni passati, il frequente ricorso alla svalutazione monetaria consentiva, nei momenti di crisi, di ripristinare l'equilibrio violato; lo faceva con grandi costi sociali, ma almeno riusciva ad interrompere il decorso della crisi. La nascita dell'euro ha occluso questa valvola di sicurezza e la situazione della bilancia dei pagamenti ha quindi assunto una valenza di grande rilievo. La permanenza di un'imposta come l'IRAP ne aggrava la dimensione, contribuendo, per parte sua, ad indebolire la posizione competitiva dell'Italia; proprio per questa ragione, avremmo dovuto cogliere l'occasione che viene dalla sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea per modificare rapidamente tali disposizioni, che si traducono in un danno rilevante per l'economia italiana.
Che fa invece il Governo? Mentre nei salotti buoni lancia proclami a favore delle aziende e dello sviluppo, nel chiuso delle aule parlamentari vara provvedimenti che ne negano in radice i presupposti. Non possiamo accettare questa doppiezza! La nostra denuncia contro un provvedimento che non solo non risolve, ma aggrava le condizioni del contribuente e dell'economia nazionale non potrà che risuonare ferma e chiara.
Il gruppo che rappresento è una piccola forza politica: non avendo scheletri nell'armadio e non avendo interessi precostituiti da difendere, è libero di dare a Cesare quello che è di Cesare e di sfidare il Governo ogni qual volta quest'ultimo si presenterà in Parlamento con provvedimenti incoerenti, calibrati più sull'esigenza di mantenere in vita un'alleanza di potere che su quella di rispondere alle esigenze del paese.
Il mio gruppo è consapevole della gravità della crisi economica; sa anche che le relative responsabilità sono diffuse e che nessuno è in grado di scagliare la prima pietra; ma proprio per questo manterrà Pag. 12una posizione intransigente, nella piena consapevolezza di adempiere un dovere di carattere nazionale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elpidio. Ne ha facoltà.

DANTE D'ELPIDIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge, presentato ai fini della conversione in legge, è stato emanato in virtù della straordinaria necessità ed urgenza di assicurare la regolarità dei versamenti in materia di imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) nelle more della pronuncia della Corte di giustizia delle Comunità europee in merito alla compatibilità comunitaria del tributo stesso, nonché per garantire il completamento degli adempimenti istruttori tecnici necessari alla corretta rideterminazione dei canoni demaniali marittimi.
L'urgenza di provvedere in materia risiede nell'esigenza di evitare tutti quei fenomeni di ritardato od omesso versamento dell'imposta e le consequenziali perdite di gettito a ridosso della scadenza dei termini di versamento. In concreto, nelle more della decisione che la Corte di giustizia pronuncerà (entro l'estate) in esito al noto contenzioso relativo alla legittimità dell'imposta, alla sua compatibilità con il regime comunitario ed alla presunta duplicazione dell'IVA, si vuole evitare la perdita di gettito scoraggiando il ritardato versamento dell'acconto IRAP da parte di quei contribuenti che preferiscono non anticipare tali somme, riservandosi di versarle soltanto dopo la pronuncia di una eventuale sentenza sfavorevole, pagando sanzioni ridotte. Se, infatti, si impedisce al contribuente, in caso di tardivo versamento di acconto IRAP, di avvalersi dell'istituto del ravvedimento operoso, applicando le sanzioni ordinarie (pari al 30 per cento del tributo), lo si invita implicitamente ad effettuare il versamento entro il termine ordinario.
Si ritiene, comunque, e la notazione è di non poco conto, che i contribuenti destinatari della norma non sopporteranno costi di conformità per adeguare la propria attività di gestione interna alle nuove disposizioni, mentre il beneficio da queste atteso consisterà nella loro idoneità ad assicurare la costanza del gettito tributario derivante dall'IRAP tramite la riduzione del fenomeno del ritardato od omesso versamento di tale imposta. Ciò deve essere certamente considerato condivisibile, in quanto il ricorso all'istituto del ravvedimento operoso da parte dei contribuenti, anche se concepito per svolgere una funzione di tutela dei contribuenti distratti o in difficoltà, ha avuto spesso l'unico fine di rinviare il pagamento delle imposte dovute.
Ai sensi del citato decreto-legge, dunque, non trovano applicazione le disposizioni in tema di riduzione delle sanzioni nel caso in cui il contribuente provveda a pagare le imposte dovute entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione dell'irregolarità riscontrata dall'Agenzia delle entrate (a seguito dei controlli automatici delle dichiarazioni presentate, ex articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973).
Il decreto-legge in esame prevede, inoltre, il differimento al 30 settembre 2006 del termine per la rideterminazione dei canoni relativi alle concessioni demaniali marittime, al fine di garantire il razionale completamento delle procedure di verifica degli accertamenti tecnici necessari per pervenire alla predetta rideterminazione. A tal fine viene previsto un nuovo termine per l'adozione del decreto ministeriale di cui all'articolo 32, comma 22, del decreto-legge n. 269 del 2003.
Si ricorda che per assicurare maggiori entrate, pari almeno a 140 milioni di euro, a decorrere dal 1o gennaio 2004 la legge finanziaria per il 2004 aveva previsto che, con apposito decreto interministeriale da emanare entro il 30 giugno 2004, dovessero essere rivalutati i canoni demaniali marittimi e che, in mancanza di tale decreto, i predetti canoni dovessero essere rivalutati nella misura del 300 per cento. Poiché il termine del 1o gennaio 2004 è decorso inutilmente, al fine di consentire il completamento degli accertamenti tecnici in corso per la rideterminazione dei canoni, Pag. 13sono stati adottati diversi provvedimenti urgenti di proroga, l'ultimo dei quali è scaduto il 15 dicembre 2005. Pertanto, se non intervenisse una ulteriore proroga al 30 settembre 2006, si applicherebbe la rivalutazione del 300 per cento dei canoni in questione, con il rischio di compromettere la sopravvivenza dell'intero settore del turismo balneare e di determinare ripercussioni negative sull'economia italiana. Inoltre, la decorrenza del termine del 15 dicembre 2005 comporterebbe l'obbligo di versamento dei canoni rivalutati a decorrere dal 1o gennaio 2004, con conseguenze traumatiche sulle imprese che operano nel settore, soprattutto di micro e piccola dimensione, che stabiliscono i prezzi dei servizi relativi alla stagione in corso alla fine dell'anno precedente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, discutiamo oggi, in quest'aula, del primo provvedimento in materia fiscale adottato dal Governo in carica. Si tratta di un provvedimento che, sostanzialmente, punta a «fare cassa». Francamente, avremmo voluto parlare della politica fiscale ed economica di questo Governo, ad alcune settimane dal suo insediamento, discutendo di aspetti più chiari e concreti e, appunto, delle politiche economiche e fiscali che realmente questo Governo intende perseguire. È ben vero che tra pochi giorni esamineremo il Documento di programmazione economico-finanziaria e comprenderemo in tale occasione quali sono le reali volontà di questo Governo ma, come ha già affermato in precedenza un altro collega, oggi parliamo per la prima volta di politica fiscale e di un provvedimento minimale, di un'inezia. Facciamo ciò dopo alcune settimane dall'insediamento del Governo. Solitamente, le prime settimane dell'insediamento di un Governo - i famosi «primi cento giorni» - dovrebbero essere quelle in cui il Governo dà la «prova di forza», fa capire al proprio elettorato ed al paese chi è e cosa intende fare, cosa propone, quali sono le politiche che intende perseguire e come intende risolvere le problematiche del paese. Invece, oggi ci troviamo, ripeto a diverse settimane dall'insediamento di questo Governo, a non avere alcun elemento chiaro sulle politiche economiche e fiscali che lo stesso Governo intende perseguire.
Leggiamo sui giornali dichiarazioni fatte «in libertà» di ministri, sottosegretari, politici con alte responsabilità, dalle quali si comprende che in materia economica un solo obiettivo questo Governo intende perseguire, e lo fa in maniera diversa rispetto a ciò che era stato fatto dal precedente Governo Berlusconi: quest'ultimo, appoggiato dalla Lega Nord, nei cinque anni in cui, sia a livello italiano, sia a livello europeo e mondiale si è riscontrata una crisi economica a tutti evidente, non ha messo una sola volta le mani nelle tasche degli italiani. In cinque anni, non una sola volta ha chiesto qualcosa di più di ciò che era già stato richiesto agli italiani in tema di tassazione, di imposte e contributi, riuscendo - nonostante tutte le menzionate difficoltà economiche - a raggiungere, anche se avrebbe voluto fare di più, una graduale diminuzione delle imposte e del gettito fiscale complessivo entrato nelle casse dello Stato. Ecco perché parlare oggi di un provvedimento che - sì, è ben vero - è stato proposto in precedenza anche dal Governo di centrodestra, che punta a «fare cassa», fa un po' specie, proprio perché discutiamo di un provvedimento che punta a «fare cassa», e da diverse settimane, tramite le dichiarazioni che sono apparse sui giornali, il Governo ci ha fatto capire che punterà ancora a «fare cassa», mirerà soprattutto a mettere le mani nelle tasche degli italiani. Lo farà rivedendo, a quel che sembra, le imposte sui BOT, la tassa di successione ed altre imposte che mai il Governo precedente si era sognato di modificare, pur in una situazione economica difficile, sia a livello europeo sia a livello mondiale.
Lo si fa oggi in una prospettiva, dicono gli economisti, di potenziale crescita economica. Nella giornata odierna stiamo discutendo del cosiddetto decreto salva-IRAP, Pag. 14e del suo primo articolo, il quale prevede di non applicare l'istituto del ravvedimento operoso; ciò al fine di non permettere ai contribuenti - i quali credono che nei prossimi mesi la Corte di giustizia europea dichiarerà illegittima l'IRAP ai fini comunitari - che oggi non pagano di far ricorso all'istituto suddetto per trovarsi di nuovo in regola e, quindi, in posizione legittima.
È questa, per sommi capi, la ratio del provvedimento, alla quale poi si è aggiunta la maggiorazione dell'1 per cento per i contribuenti di quelle regioni che non hanno rispettato la stabilità dei loro conti sanitari. Di questo si è discusso in Commissione nei giorni immediatamente precedenti la data del 20 giugno, scadenza del primo versamento. Da più parti si è fatta notare una certa confusione e incertezza nei contribuenti, poiché questi ultimi non sapevamo se pagare il 4,25 oppure il 5,25 per cento. Alcuni gruppi hanno richiesto di prevedere l'applicazione dell'aliquota del 5,25 per cento sulla seconda rata di novembre, ma questa ipotesi non è stata accettata; comunque, vi è stata poca chiarezza nei confronti dei contribuenti che, incerti, hanno pagato chi il 4,25 per cento, chi il 5,25 per cento, poiché, tra l'altro, nelle prossime settimane la loro regione di appartenenza metterà in bonus i propri conti sanitari. Quindi, lo ripeto, si è creata una certa incertezza, riscontrabile anche tramite la lettura dei giornali economici.
Come dicevo in precedenza, stiamo discutendo di un provvedimento che riguarda l'IRAP; al riguardo, il nostro partito ha sempre tenuto una posizione molto chiara. Si tratta di un'imposta iniqua che colpisce le piccole-medie imprese; essa, infatti, non prevedendo la possibilità di dedurre il costo del lavoro, danneggia quelle aziende che più fanno affidamento sul fattore produttivo lavoro.
Tra l'altro, stiamo vivendo un periodo durante il quale le nostre imprese - soprattutto quelle del settore manifatturiero, dove alta è l'incidenza del fattore produttivo lavoro - stanno entrando in crisi a causa della concorrenza internazionale. Ecco perché la Lega nord, quando era parte integrante del Governo Berlusconi, aveva proposto l'abolizione, seppur graduale, dell'IRAP ed una franchigia di 200 mila euro per il costo del lavoro sul calcolo della base imponibile. Ciò, per venire incontro a quelle piccole-medie imprese vessate da un'imposta iniqua, che colpisce lo stesso costo del lavoro, e dalla concorrenza sleale messa soprattutto in atto dai nuovi paesi emergenti.
Vi è stato anche chi ha sollevato l'ipotesi di emendamenti che contemplerebbero la possibilità, per le regioni che hanno sforato i propri costi sanitari, di non pagare lo 0,4 per cento sull'IRAP entro il 20 luglio; in altre parole, si tratta della possibilità di pagare il 5,25 cento entro il 20 luglio. Se da una parte questo può servire a fare un po' di chiarezza per quanto concerne i contribuenti, dall'altra la possibilità di non applicare lo 0,4 per cento non deve essere applicata su tutta l'imposta, ma eventualmente sull'1 per cento in più. Altrimenti, si verrebbe a creare una certa disparità tra le regioni che hanno - giustamente - rispettato il pareggio dei propri conti sanitari e le altre regioni che non lo hanno rispettato. Crediamo che, per fare chiarezza, si debba dare questa possibilità, ma non su tutta l'aliquota dell'imposta, bensì solo sulla parte addizionale, quella che va a colpire le regioni non in regola con i conti sanitari. Questo per non creare discriminazioni tra una regione e l'altra e, soprattutto, per non creare discriminazioni tra regioni con i conti in regola e regioni con i conti non in regola, che si tende invece, tra virgolette, a premiare consentendo loro di non pagare la maggiorazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cogodi. Ne ha facoltà.

LUIGI COGODI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come ben delineato nella gran parte degli interventi fin qui svolti, il disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 7 giugno 2006, n. 206, rappresenta, allo stato delle cose, una sostanziale misura di buonsenso. Ciò sia in ragione del carattere confermativo e Pag. 15cautelativo del provvedimento riguardante l'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), sia in ragione della fissazione di un nuovo termine per la ridefinizione dei canoni di concessione sul demanio marittimo.
Quanto al primo punto, la prevista regolarità dei versamenti IRAP, appare di tutta evidenza l'utilità complessiva ed oggettiva di evitare situazioni di incertezza, di confusione e di contraddittorietà circa il versamento e l'esigibilità dello specifico tributo.
In questa sede, poc'anzi, abbiamo sentito pronunciare parole pesanti. In particolare, si è parlato di vessazione, e addirittura di estorsione che il potere assoluto dello Stato eserciterebbe, in odio al povero contribuente indifeso. Si omette, però, di precisare che i destinatari di questo tributo non sono, come si suole dire, i poveri cristi, come spesso accade per tante forme di tassazione diretta e soprattutto indiretta, ma prevalentemente, come è stato ricordato ed esposto anche con cognizione precisa di dati, le società di capitali e le grandi imprese. Ma, se non vengono chiamati a pagare i tributi quelli che più hanno in questo paese, chi li dovrebbe pagare?
Anche per il fatto che pende sull'IRAP una controversa valutazione in sede comunitaria, appare per intanto più corretto definire una disciplina conforme e certa di fronte a tutti i contribuenti, piuttosto che alimentare uno stato di incertezza che inevitabilmente comporterebbe successive disparità di posizioni giuridiche fra contribuenti adempienti e contribuenti che si collocassero in una discutibile posizione di riserva in ordine al pagamento del medesimo tributo. Perciò, risulta chiaramente opportuna la prevista misura di esclusione, nella specifica condizione data, dei possibili benefici relativi al ritardato pagamento sia in ordine alla riscossione delle somme dovute a seguito di controlli automatici, sia in ordine al successivo ricorso al cosiddetto ravvedimento operoso. Peraltro, è nella natura stessa dell'istituto del ravvedimento operoso che esso possa agire nella normalità delle condizioni giuridiche e nella normalità dei canoni comportamentali; difficilmente questo istituto si attaglia ad una condizione specifica e particolare quale quella che si rappresenta oggi rispetto al previsto pagamento dell'IRAP. In buona sostanza, il ravvedimento operoso dovrebbe configurarsi come vero ravvedimento, e cioè come un riconoscimento di un proprio errore e di una determinazione successiva di volerlo correggere, e non invece come una preordinata azione esplicitamente rivolta al possibile mancato adempimento di un obbligo giuridico rispetto al quale si ha piena contezza della sua esistenza, nonché del dovere e della possibilità di adempiere.
Quanto al secondo punto, il differimento del pagamento con un aumento del 300 per cento dei canoni per la concessione d'uso del demanio marittimo, appare quanto mai opportuno che si provveda a fissare un nuovo termine. Appare, però, altrettanto opportuno procedere con urgenza, signor ministro e signori del Governo, ad una riconsiderazione seria della disciplina d'uso del demanio marittimo nel nostro paese, una disciplina che non potrà essere più improntata ad un prevalente interesse erariale a «fare cassa», ma dovrà principalmente puntare, invece, ai più complessivi vantaggi sociali, culturali ed anche correttamente economici che il buon uso del demanio marittimo può consentire, a beneficio, essenzialmente, dello sviluppo locale e della buona occupazione.
Il fatto stesso che si debba ricorrere alla quinta proroga nel volgere di tre anni - tra il 2003 e il 2006 - di una norma concepita inizialmente a mero scopo finanziario dimostra chiaramente la forte difficoltà applicativa e, forse, anche la sostanziale infondatezza di una previsione di entrata che si rappresenta più di carattere descrittivo, neppure tanto creativo, che di portata reale. Il fatto è che le aree e le pertinenze del demanio marittimo difficilmente sono assimilabili ad una qualsiasi merce da vendere. Esse costituiscono, invece, nel nostro paese, un patrimonio pubblico sicuramente grande, non solo per estensione e per valore venale Pag. 16quanto, piuttosto, per utilità sociale, per valore culturale ed ambientale e per innumerevoli forme di sana attività produttiva relativa al turismo, alla pesca, al tempo libero e liberato, e non solo.
Con disarmante motivazione, il legislatore è costretto ad ammettere, all'incirca ogni sei mesi, da tre anni a questa parte, che le proroghe sono necessarie - testualmente - per consentire il completamento degli accertamenti tecnici in corso, d'intesa con le regioni interessate (molte regioni non ne sanno ancora niente...), in relazione al numero, alla estensione, alle tipologie, alle caratteristiche economiche delle concessioni, alle attività ivi esercitate e all'abusivismo. È come dire - ed è anche esplicitamente affermato nelle proposte legislative - che sul demanio marittimo, cioè lungo le coste italiane, accade pressoché di tutto: forme economiche lecite ed illecite, uso, abuso e «maluso». Accade pressoché di tutto, lungo le coste italiane, in presenza di un potere pubblico che è costretto a dichiarare, nei suoi atti ufficiali, di non conoscere ancora, allo stato degli atti, né numero, né quantità, né qualità, né finalità, né legittimità di tutto quanto ivi si svolge, cioè in casa propria.
Per tutto ciò, forse, la materia meriterebbe, anzi, merita di sicuro, più che un mero rilevamento statistico, la più efficace esplicazione di una seria inchiesta conoscitiva circa il merito, le cause, le responsabilità e i rimedi necessari, a fronte di tanto evidente disordine, affarismo, spreco colpevole di beni pubblici così rilevanti, peraltro, per la vita delle comunità locali. Questo stato di cose riguarda, ovviamente, tutte le regioni italiane che hanno un confine con il mare. Tuttavia, vi sono regioni, in Italia, che sono chiamate a sopportare una permanente amputazione dei loro diritti fondamentali in materia di sano sviluppo per una gestione a dir poco dissennata nell'uso del demanio marittimo.
Considerate il caso di una regione italiana che, essendo un'isola, confina interamente con il mare e, quindi, è integralmente delimitata dal demanio marittimo. Ben si intende che un sistema concessorio cosiddetto aperto, teoricamente illimitato sino alla possibile devoluzione ad usi privati di tutta la fascia costiera, di fatto costituirebbe - e già, spesso, costituisce - una forma di imprigionamento di tutto il territorio interno e di tutte le comunità ivi insediate.
Si dirà che ciò, di fatto, non accade in una regione isola qual è anche la Sardegna (infatti vi sono anche altre isole in Italia) perché una specifica norma di attuazione dello statuto speciale di autonomia, l'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica n. 348 del 1979, ha delegato alla regione - delegato, non trasferito - le funzioni amministrative sul demanio marittimo di interesse turistico-ricreativo. Invece accade anche di peggio, perché la delega implica l'esercizio delle funzioni, e quindi obbliga alla dotazione di uffici e di personale ed al sostegno di procedure costose a totale carico della comunità regionale, mentre i corrispettivi monetari dei canoni di concessione vengono interamente introitati dallo Stato. Insomma, un bell'esempio anticipatore, si potrebbe dire oggi, di federalismo fiscale: tu, regione, operi e spendi ed io, Stato, definitivamente decido e incasso.
Mi limito a tale accenno in questa sede, signor Presidente e colleghi deputati, perché la questione - è ovvio - dovrà essere interamente ripresa in occasione dell'esame di merito e della necessaria organizzazione di una normativa seria, di carattere sostanziale, in ordine a tutta la materia trattata. Una questione almeno deve essere però esplicitata, sin d'ora, di fronte al Parlamento nazionale: quando accade che una regione della Repubblica italiana muove passi così innovativi e decisi in materia di tutela ambientale, di salvaguardia delle coste, dove esiste il demanio marittimo (soggetto all'esercizio del potere statale), quando una regione opera appunto in questo modo, anche in contrasto frontale rispetto all'abusivismo edilizio e ad ogni forma di abusivismo economico, questa regione deve essere agevolata e concretamente sostenuta dai poteri centrali dello Stato, e non invece ostacolata oppure lasciata sola.Pag. 17
Oggi, dopo il referendum popolare, siamo tutti corroborati (chi più chi meno, ovviamente) da rinnovato spirito costituzionale. Tra le norme di rango costituzionale ve n'è una, l'articolo 14 dello statuto di autonomia, che sancisce sin dal 1948 che la regione sarda - cito testualmente - nell'ambito del suo territorio succede (cioè è costituita erede legittima) nei beni e nei diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare ed in quelli demaniali. Vero è che da quella generale prescrizione statutaria, di valore costituzionale appunto, rimaneva allora escluso il demanio marittimo; ma ciò accadeva nel 1948, com'è certificato negli atti parlamentari, in ragione della funzione strategica, ai fini della difesa nazionale, che allora si attribuiva all'intero asse costiero dello Stato italiano. Ciò accadeva per ragioni di ritenuta utilità di difesa esterna, e non per altre ragioni di ordine economico e neppure di assetto istituzionale. Ben si sa che le strategie della difesa nazionale, oggi, sono totalmente mutate, per cui sostanzialmente non può che venir meno quella norma limitativa allora apposta solamente in via di eccezione.
Signor Presidente, signori componenti del Governo oggi presenti, signori deputati, non considerate l'accenno fatto alle specifiche implicazioni territoriali che la materia trattata comporta come un rischio di dispersione locale.
Sappiamo bene tutti che l'obiettivo della sufficiente provvista finanziaria nazionale rappresenta una questione di primaria rilevanza, al fine di realizzare un processo di vera riforma della politica e dell'economia nel nostro paese.
L'Italia, si dice (ed è vero), ha bisogno di una nuova unità e di una nuova solidarietà. Affinché ciò accada, servono sicuramente i grandi progetti di riordino istituzionale, ma occorre altresì scorgere, in ognuno dei provvedimenti specifici che il Parlamento adotta, il segno distintivo e risolutivo del riequilibrio territoriale e sociale necessario, nonché del riconoscimento dei buoni diritti di tutte le istituzioni di autonomia e di tutte le comunità di popolo. La questione, perciò, investe tutti, vale a dire tutte le regioni e tutte le comunità, ma le riguarda, però, alla pari.
Quando si riparlerà, nel merito, del riordino necessario del demanio marittimo, spero che avremo più chiaro che il tema dominante oggi non è più la quadruplicazione dei canoni delle concessioni d'uso (si tratta di concessioni comunque acquisite e date), bensì lo sviluppo locale, la buona occupazione, la tutela ambientale e la crescita culturale che il buon uso delle risorse territoriali di natura pubblica può consentire, in grande misura, a beneficio delle comunità locali, nonché dell'intera collettività nazionale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vichi. Ne ha facoltà.

ERMANNO VICHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, preannunzio che desidero intervenire limitatamente all'articolo 2 del provvedimento in esame, concernente il differimento al 30 settembre prossimo dei termini per l'adeguamento dei canoni relativi alle concessioni demaniali marittime, e vorrei notare che si tratta solo di quelle con finalità turistico-ricreative.
Mi riferisco ad un adeguamento, previsto dal decreto-legge n. 269 del 2003, che è stato successivamente prorogato nel tempo per cinque volte. Tale termine è stato differito innanzitutto per la forte contrarietà manifestata dalle categorie interessate: penso che ciò fosse quasi scontato e prevedibile. In secondo luogo, tale proroga è stata disposta a causa della misura dell'incremento previsto: credo, infatti, che una rivalutazione pari al 300 per cento sia un caso più unico che raro, e ritengo che tale rivalutazione abbia motivato e, in parte, anche giustificato la protesta sollevata dagli operatori.
Vorrei tuttavia rilevare che l'entrata in vigore di tali misure è stata rinviata soprattutto per l'indifferenza della rideterminazione dei canoni rispetto alla estensione, alla tipologia, alle caratteristiche economiche della concessione ed al tipo di attività esercitate; nell'ambito del citato decreto-legge, inoltre, non è stato minimamente affrontato il tema dell'abusivismo.Pag. 18
Si tratta, peraltro, di una complessità che è stata considerata nell'ambito del penultimo provvedimento di proroga (mi riferisco al decreto-legge n. 115 del 2005), la cui adozione è stata motivata proprio dall'esigenza di consentire i relativi accertamenti (accertamenti che, ovviamente, non hanno avuto luogo, oppure non sono stati completati). Vorrei osservare come tale ulteriore rinvio, infatti, si ricolleghi non all'ultimo della serie, ma al penultimo, richiamando, quindi, la necessità di procedere agli accertamenti.
Vorrei tuttavia notare, esprimendomi comunque a favore della conversione in legge del provvedimento d'urgenza in esame, come l'intera materia della gestione dei litorali e delle aree demaniali marittime dovrebbe essere rivisitata, tenuto conto di un nuova realtà rispetto alle leggi che la governano. Il decreto-legge n. 269 del 2003, nonché le successive proroghe, sono infatti solamente provvedimenti straordinari, finalizzati a «fare cassa». È chiaro che si tratta di un'esigenza importante, tuttavia sono altresì convinto che, attraverso un approccio diverso alla materia, si giungerebbe ad un considerevole aumento degli introiti, forse anche maggiore rispetto a quanto previsto.
Questa ulteriore proroga è inevitabile, e seppure risulta difficile pensare che, da oggi al 30 settembre (o ad un altro termine utile che potrà essere stabilito dall'approvazione di una proposta emendativa), sia possibile riordinare una materia così complessa - anzi, personalmente non ci credo affatto -, ritengo tuttavia possibile, in questi termini, cercare ed individuare, assieme alle regioni ed agli operatori del settore, le intese politiche sulle quali fondare i successivi provvedimenti che ci vedranno ulteriormente impegnati.
Le aree demaniali marittime sono oggi parte di una straordinaria e complessa industria turistica, ma questa industria non è percepita. Infatti, per un verso, la materia delle concessioni marittime è disciplinata dal codice di navigazione e dal relativo regolamento in un'ottica soprattutto di frontiera e di difesa (le spiagge sono considerate sostanzialmente il confine da difendere). Il decreto-legge n. 400 del 1993, che articola la misura dei canoni, rimane all'interno di questa logica: come dire, oggi abbiamo una grande risorsa produttiva per l'economia nazionale ma non riusciamo a darci un piano industriale per lo sfruttamento di questa struttura. Per un altro verso, però, con il decreto n. 616 del 1977 le competenze amministrative sui litorali e sulle aree demaniali sono demandate alle regioni e il decreto n. 112 del 1998 conferisce alle regioni stesse le funzioni relative alle concessioni: quindi, sulla stessa materia e sulla stessa realtà interagiscono più competenze e non sempre in maniera concordata. Nello specifico, noi determiniamo l'ammontare del canone, mentre i piani-spiaggia, che incidono sulla redditività dell'impresa e sugli investimenti, sono decisi dai comuni: vedete quali incongruenze. Allora, è essenziale, a mio parere, ricomporre la gestione della materia in capo alle regioni, regioni responsabilizzate a produrre gli effetti fissati di rendite di questo patrimonio pubblico e a recuperare le aree di evasione, che a volte è totale e, in maniera molto diffusa, parziale.
La seconda considerazione. Noi operiamo su una realtà che si è stratificata nel tempo in maniera spesso incoerente e che si sostanzia oggi in comparti turistici cosiddetti «maturi», cioè quei comparti che vogliono grandi trasformazioni e che coinvolgono anche le aree pubbliche (non per niente i piani-spiaggia sono il motore del rilancio dell'economia turistica balneare). Anche la politica delle concessioni dovrebbe tener conto di questa necessità e dell'abusivismo, il cui contrasto potrebbe consentirci intanto di far agire gli operatori in condizioni di maggiore equità e di recuperare larga parte di quelle maggiori entrate previste, ragione per cui è nata questa rivalutazione del canone.
La terza considerazione. Non c'è dubbio che gli aumenti dei canoni si trasferiranno sugli utenti, ed io non mi sentirei neanche di negare che il fatto di averli anche solo annunciati abbia concorso in alcuni casi a determinare questi aumenti. Inoltre, è stato un errore annunciarli Pag. 19senza avere poi la forza di applicarli in tutto o in parte. Infatti, quella componente dei costi ormai è già stata metabolizzata e adesso si riparte daccapo e noi dobbiamo cercare di limitare i danni. Come fare? Passando da una logica di intervento meramente finanziario in un sistema ingessato ad una logica di politica industriale dello Stato, che sa valutare la capacità economica complessiva delle aree concesse e che mette in relazione concessione e canone, perché la dimensione è solo uno dei fattori rispetto al complesso delle relazioni con il territorio e con le altre attività economiche.
Ho cercato brevemente di sottolineare i limiti del decreto n. 269 del 2003 e di collocare la questione in un orizzonte più vasto. Non immaginiamo di riordinare la materia entro il 30 settembre, ottobre o dicembre, perché non riusciremmo comunque a farlo entro l'anno in corso. Questo termine però deve servire a trovare con le regioni e con gli operatori almeno un'intesa ponte per la rideterminazione delle tariffe del 2007, che le aziende debbono presentare alle prossime fiere del turismo in autunno, ed un termine utile per convocare da subito un tavolo Stato-regioni-associazioni sindacali, naturalmente senza predeterminare qui i risultati. In sostanza, io vedo da subito una soluzione ponte, che chiude il problema del pregresso al 31 dicembre 2006 e che avvia però un progetto di settore per il futuro.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Jannone, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare l'onorevole Mungo. Ne ha facoltà.

DONATELLA MUNGO. Intervengo brevemente sul provvedimento in discussione perché molto è già stato detto dai colleghi. Stiamo esaminando un decreto-legge che è stato presentato per ragioni di urgenza, di indifferibilità e di necessità, soprattutto per quanto riguarda l'articolo 1, che dispone per i contribuenti IRAP l'esclusione dai benefici del cosiddetto ravvedimento operoso. Trattasi di un provvedimento di buon senso, necessario per evitare possibili perdite di gettito che, visto il momento non florido per le casse dello Stato, sarebbero particolarmente gravi.
In questo senso, non crediamo che si operi una discriminazione o una vessazione nei confronti di questi contribuenti, per il fatto stesso che la misura del ravvedimento operoso è, come dicevano prima altri colleghi, indirizzata al ravvedimento vero e proprio; quindi è una misura di favore prevista per i contribuenti. In questo caso, il rischio sarebbe quello di far sì che si ritardi o si ometta il pagamento, in attesa della definitiva sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in tema di IRAP.
Proprio di IRAP molti colleghi hanno parlato, utilizzando la discussione sul decreto-legge in esame per riaprire più in generale la questione IRAP. Siamo appunto in attesa della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, e quindi discuteremo successivamente del merito della questione; tuttavia sono certa che, qualunque sia la decisione della Corte di giustizia, il tema del reperimento di quelle risorse vada comunque affrontato. Infatti, in cinque anni di Governo di centrodestra, tale tema, pur spesso agitato, non è stato mai preso in considerazione, proprio perché il reperimento di quelle risorse attraverso l'IRAP è necessario, per il finanziamento ad esempio del Servizio sanitario nazionale. Dunque, il tema del reperimento delle risorse va affrontato, al di là del fatto che lo strumento utilizzato sia l'IRAP o altra imposta che dovrà essere elaborata al suo posto. Ricordo anche che l'IRAP ha preso il posto di altri tributi, e ciò per alcune categorie ha rappresentato un vero e proprio vantaggio. Questo si omette di dirlo, ma spesso parlando con i commercialisti, che si occupano di questi temi, si possono valutare le differenze esistenti per alcune categorie, in particolare per le piccole imprese.
Per quanto riguarda l'articolo 2, relativo alla proroga del termine per evitare l'automatica rivalutazione dei canoni demaniali marittimi del 300 per cento, anche in questo caso trattasi di misura di buonsenso, Pag. 20sulla quale ho poco da aggiungere rispetto a quanto già detto dagli altri colleghi. Ciò che mi sento di dire, soprattutto al termine dell'intervento del collega Vichi, il quale ha posto un tema importante sul futuro di questa materia - sono certa che ci ritroveremo a parlare di questo tema sia in Commissione sia in Assemblea -, è che appunto si tratta di una materia che è necessario rivedere, improntandola a criteri di equità fiscale, di garanzia di adeguato gettito per le casse dello Stato, di tutela ambientale e territoriale e di corretti rapporti tra lo Stato, le regioni, le autonomie locali e gli imprenditori. In questo senso, credo che una soluzione che ci veda impegnati in un'audizione dei soggetti interessati e nella messa a punto di un sistema che valuti diversi criteri e che consenta di stabilire effettivamente quali sono i parametri con cui approntare questa rivalutazione dei canoni demaniali marittimi possa essere argomento che la Commissione affronterà insieme con il Governo.
La discussione in Commissione sul decreto-legge, che oggi proseguiamo in Assemblea, è stata molto interessante ed ha offerto spunti che, sono certa, il Governo apprezzerà e rielaborerà in una proposta che, nei mesi prossimi, affronteremo insieme.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceroni. Ne ha facoltà.

REMIGIO CERONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Camera dei deputati deve convertire in legge il decreto-legge 7 giugno 2006, n. 206, recante disposizioni urgenti in materia di IRAP e di canoni demaniali marittimi. Guardando l'elenco dei provvedimenti che il Consiglio dei ministri ha adottato dalla nomina del Presidente del Consiglio ad oggi, i cittadini italiani hanno poco da stare allegri. Se è vero che «il buon giorno si vede dal mattino», non sono belle giornate, nonostante l'estate, quelle che attendono gli italiani.
Dopo la nomina del Presidente del Consiglio, il Governo ha preso forma con la nomina di ventisei ministri, dieci viceministri e sessantasei sottosegretari, per un totale di centrotré poltrone. Ciò rappresenta un record, quello di essere il Governo più numeroso della storia d'Italia. Secondo il giornale Italia Oggi, il Governo Prodi costa il 230 per cento in più di quello precedente (1.233.600 euro al mese a fronte di 535.400 euro), in quanto oltre alle persone in più vi sono persone non elette al Parlamento che siedono al Governo e devono essere pagate.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 11,40)

REMIGIO CERONI. Ciò ha impressionato molto negativamente l'opinione pubblica, nonostante i giornali abbiano fatto passare in sordina la questione. Di certo, l'operazione non ha fatto guadagnare consensi alla politica né recuperare credibilità. Non è un buon esempio di razionalizzazione e di contenimento della spesa pubblica.
Placati gli appetiti all'interno della maggioranza, avevamo pensato che il Governo si sarebbe messo a lavorare per trovare e proporre soluzioni ai tanti problemi che vive il nostro paese, ad incominciare dalle priorità: economia, lavoro, occupazione e sicurezza. Invece, il 1o giugno 2006, al primo Consiglio dei ministri utile, il Governo ha adottato il provvedimento in esame. Certo, ci vuole un bel coraggio, con i tanti problemi che ha il nostro paese, ad adottare un provvedimento così inutile, dal sapore vessatorio, atto ad incassare qualche centesimo in più. Da un lato, quindi, si spreca denaro pubblico a piene mani, dall'altro, si impone ai cittadini di pagare, senza incertezze e senza sconti di sorta.
Il provvedimento in esame, un provvedimento urgente è stato detto, contiene in sostanza due norme. La prima, all'articolo 1, prevede disposizioni dirette ad assicurare la regolarità dei versamenti concernenti l'IRAP. Con questa norma, il Governo intende scoraggiare il ritardato versamento od omesso pagamento dell'acconto Pag. 21IRAP da parte di quei contribuenti che, nel dubbio e nella speranza di veder cancellato il tributo dal giudice comunitario per incompatibilità con l'IVA, preferiscono non pagare, riservandosi di fare il versamento, se necessario, dopo la sentenza della Corte di giustizia europea, pagando eventualmente le sanzioni previste dalla legge.
In particolare, viene introdotta la norma che limita l'applicazione del cosiddetto ravvedimento operoso per i versamenti di acconto e di saldo relativi all'anno 2006. Sembrerebbe che la norma non riguardi l'anno 2005.
Presso la Corte di giustizia europea è in corso la causa sulle compatibilità dell'imposta regionale sulle attività produttive, a seguito del divieto imposto agli Stati membri dalla direttiva 77/388 della Commissione europea di fissare imposte sulle cifre di affari diverse dall'IVA.
Al riguardo si ricorda che l'avvocato generale presso la Corte di giustizia europea, Stix-Hackl, ha depositato il 14 marzo 2006 nuove conclusioni, nelle quali - allo stesso modo del suo predecessore - ribadisce che l'IRAP sarebbe incompatibile con la disciplina dell'IVA, in quanto incorrerebbe nel divieto previsto dall'articolo 33 della predetta direttiva 77/388, che vieta altri tributi nazionali che abbiano caratteristiche di imposta sulla cifra di affari. La sentenza della Corte sarà emessa a breve e, fin da ora, è facilmente prevedibile che sarà favorevole ai contribuenti.
Allo stato attuale, dunque, il decreto-legge appare inopportuno e palesemente in contrasto con lo statuto del contribuente e i suoi diritti. È vero che, nella passata legislatura, il Governo ha fatto ricorso ad una norma del genere, tuttavia occorre rilevare che il precedente esecutivo aveva varato alcune norme per ridurre la base imponibile dell'IRAP, specialmente sul costo della manodopera.
Pertanto, il presente decreto-legge poteva costituire l'occasione per esentare o prevedere ulteriori riduzioni per i professionisti privi di struttura organizzativa, che hanno presentato numerosi ricorsi alle commissioni tributarie con esiti spesso favorevoli dopo le due sentenze pronunciate in merito dalla Corte costituzionale.
Si sarebbero potute prevedere ulteriori deduzioni per il costo della manodopera e per le attività minori, al fine di mitigare il versamento dell'acconto. Inoltre, si sarebbero potute prevedere norme generali per tranquillizzare il contribuente, per fornirgli rassicurazioni, nel caso in cui l'IRAP dovesse essere dichiarata illegittima, in ordine ad un recupero rapido delle somme versate.
La norma è stata aggravata anche dal fatto che alcune regioni, avendo superato il limite di spesa in campo sanitario, potrebbero essere costrette ad applicare una maggiorazione IRAP dell'1 per cento per il 2006. Al riguardo il Governo aveva annunciato di voler monitorare la situazione prima di confermare tale aumento. Ma, improvvisamente, nella giornata del 14 giugno, ha comunicato che in sei regioni (Liguria, Sicilia, Abruzzo, Molise, Campania e Lazio - a queste aggiungo la regione Marche, nella quale l'aliquota del 5,25 è in atto già da diversi anni) l'aliquota di riferimento per il versamento del 20 giugno è salita dal 4,25 al 5,25. Tuttavia, alcune regioni hanno dichiarato di non voler applicare alcuna maggiorazione, creando una situazione di dubbi ed incertezze. Si tratta di una spesa media per azienda che va da 1.261 euro medi per il Molise a 2.266 euro per la regione Lazio.
In sostanza, il Governo pretende che i contribuenti versino gli acconti IRAP per il 2006, tenendo già conto delle maggiorazioni, anche se non vi è la certezza dell'aumento per tutte le regioni in deficit.
All'ingiustizia di una norma che sospende per ragioni di gettito altre due normative (in materia di ravvedimento operoso e di statuto del contribuente) si aggiunge quindi un versamento maggiorato al buio di un acconto che il Governo promette verbalmente ai contribuenti di poter recuperare nel secondo acconto di novembre, nel caso in cui le regioni non procedano all'aumento dell'IRAP, essendo in grado di rientrare dal deficit attraverso altre manovre di bilancio.Pag. 22
A nostro avviso, siamo di fronte alla più assoluta improvvisazione. Infatti, almeno per le maggiorazioni IRAP per coprire il deficit della spesa sanitaria delle regioni che hanno sforato, si poteva attendere il saldo.
Esistono infine ragioni tecnico-pratiche evidenziate da numerosi professionisti. Oggi i calcoli sono effettuati con sistemi informatici e, a versamenti già scaduti, non è possibile modificare in tempi così brevi i programmi predisposti per i calcoli.
La seconda norma contenuta nel decreto-legge differisce al 30 settembre 2006 il termine per l'adeguamento dei canoni relativi alle concessioni demaniali marittime, originariamente previsto dal decreto-legge n. 269 del 2003 con decorrenza dal 1o gennaio 2004 e più volte prorogato.
Le tariffe dei canoni di affitto sono ricavate dal decreto ministeriale n. 342 del 1998, con il quale si individuano tre aree della costa italiana per l'applicazione delle stesse: fascia A (alta valenza turistica), fascia B (normale valenza turistica), fascia C (bassa valenza turistica). In tutta Italia i canoni applicati sono quelli della fascia C, ovvero bassa valenza turistica.
La Corte costituzionale ha chiarito che lo Stato è proprietario del demanio marittimo e, quindi, può stabilire i relativi canoni; ma le regioni possono partecipare al meccanismo di determinazione con la classificazione delle aree secondo la loro valenza turistica.
È stato, peraltro, costituito un tavolo di confronto tra Governo, operatori del settore e regioni, al fine di superare l'ipotesi di un aumento collettivo e generalizzato uguale per tutti. Infatti, si dovrebbe consentire la graduazione dei canoni in base alle superfici e alla valenza turistica delle aree. Ciò presuppone un'attività di rilevazione che, comunque, non sembra possibile completare entro il 30 settembre 2006.
Nel complesso, siamo di fronte ad un provvedimento tampone, che denota il modo approssimativo e superficiale del Governo di affrontare i vari problemi sul tappeto. Noi riteniamo che siano necessari più di sei mesi per effettuare degli accertamenti tecnici di tale portata: un rinvio più lungo sarebbe stato auspicabile, per non ritrovarci qui, fra tre o quattro mesi, nella stessa condizione di oggi, a chiedere un'ulteriore proroga. A meno che il Governo non intenda incassare il 300 per cento di aumento: ma ciò significherebbe dare una «mazzata» a tutte le attività balneari che si svolgono sul demanio marittimo.
Si sarebbe potuto agire anche diversamente, avendo un po' più di coraggio, ovvero trasferire alle regioni la delega per determinare il canone della concessione e lasciare alle regioni stesse la relativa entrata per finanziare alcune funzioni trasferite: a ciò ha accennato anche il collega Vichi con il quale vi è una certa assonanza di idee.
Ci dispiace, infine, dover rilevare che, su entrambe le questioni, il Governo ha assunto un atteggiamento di chiusura, rifiutando qualsiasi tipo di contributo dell'opposizione. Per queste ragioni, il nostro giudizio sul provvedimento in discussione non può che essere negativo, così come già annunciato dai miei colleghi in Commissione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ci troviamo oggi a discutere sul disegno di legge del Governo in materia di IRAP. Chiaramente, si tratta di un provvedimento che si propone uno scopo tutt'altro che nobile, ossia quello di far cassa. In realtà, questa discussione ci riporta ad un nodo politico, ossia quello relativo ad una imposta che fu contestata dall'attuale schieramento dell'opposizione, che si trovava all'opposizione anche nel momento in cui il Governo del centrosinistra istituì questa tassa, che fu ribattezzata «imposta rapina». I frequentatori più anziani di quest'aula e coloro che hanno seguito i lavori di questa Assemblea in quegli anni ricorderanno come, allora, i voti furono espressi in maniera tale da far lampeggiare sui tabelloni delle votazioni la scritta «no tax».
In qualche modo, oggi ci si trova di fronte ad una contraddizione sostanziale, Pag. 23che si evidenzia in due elementi politici di fondo: il primo è quello secondo cui un'imposta del genere (che la direttiva europea n. 77/388 considera un'imposta sulla cifra d'affari sostanzialmente incompatibile con l'IVA) viene riproposta dal Governo e recuperata in una fase in cui sta per essere cancellata dall'Unione europea. In questo senso, vi è una disciplina molto contraddittoria: si chiede alle imprese di pagare questa tassa, pur sapendo che la stessa scomparirà.
Quindi, è legittimo e politicamente doveroso domandarsi se una tassa ingiusta debba effettivamente essere pagata ed essere richiesta.
In secondo luogo, vi è una contraddizione politica che l'attuale maggioranza racchiude al suo interno. Al netto della tecnicalità di questo provvedimento, ci ritroviamo ancora una volta a discutere di una odiosa imposta e non solo perché la maggioranza ancora non ha chiarito, dal punto di vista politico, il proprio orientamento in termini fiscali. Non si è discusso in questo Parlamento in maniera ampia e approfondita delle politiche fiscali e di dove il Governo prenderà i soldi per fare tutto ciò che ha promesso. Paradossalmente, invece, in una situazione in cui si promette la riduzione del cuneo fiscale, quest'Assemblea, ancora una volta, si ritrova a dover discutere su un provvedimento che riguarda una tassa, come l'IRAP, che oggettivamente costituisce un'imposta indiretta sul lavoro. Quindi, c'è una contraddizione fondamentale e sostanziale che emerge da questo quadro legislativo.
Si emana un decreto per fare cassa e, inoltre, per approvare una proroga sui canoni demaniali marittimi. Anche in questo caso, bisognerebbe capire quando finalmente si risolverà tale questione, dando certezza a chi deve pagare tali canoni sulla cifra fissa e sul quantum da pagare.
Continuiamo ancora con le proroghe. Si tratta di una proroga che prevede un termine entro il quale, credibilmente, le valutazioni opportune non saranno ancora svolte. Quindi, non sarà l'ultima proroga, ma una penultima o una terzultima. Continuiamo così. Continuiamo a discutere di questo, con una maggioranza che non ha una politica fiscale, con le «imposte rapina» e continuiamo a tassare indirettamente il lavoro. E poi parliamo di riduzione del cuneo fiscale...
Questo è il provvedimento che abbiamo avuto di fronte in Commissione. È stato respinto anche un emendamento presentato dall'opposizione sul ravvedimento operoso. Credo che la maggioranza debba riflettere, nel corso dell'esame degli emendamenti in Assemblea, sull'opportunità di mantenere questo atteggiamento contraddittorio sul provvedimento in esame e su tutta la politica fiscale.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1005)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Fincato.

LAURA FINCATO, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, tutti gli intervenuti hanno correttamente voluto sottolineare che questo provvedimento, con i suoi due articoli, ha una storia lunga. C'è chi si è soffermato a tracciare il percorso dell'IRAP dal momento della sua creazione ai suoi effetti, esprimendo attese e giudizi rispetto alle prossime valutazioni europee sul testo.
La relatrice non intende ripercorrere, perché è già stato fatto e perché, probabilmente, questo non è il luogo, il ragionamento sulla genesi e sul fatto che l'IRAP ha portato alla scomparsa di altre forme di tassazione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 12)

LAURA FINCATO, Relatore. Non voglio entrare in un discorso di ordine accademico, politico o economico riguardo al Pag. 24fatto che questa legge ha visto il suo protrarsi anche nel corso dei cinque anni di Governo precedenti. La battuta ai colleghi dell'attuale opposizione sarebbe facile: ciò che viene suggerito adesso avrebbe potuto essere fatto negli anni precedenti.
Ma fuor di polemica, perché questo non è stato l'intendimento in Commissione, né lo è in aula adesso, questo provvedimento, come veniva sottolineato da molti degli intervenuti, semplicemente è dovuto alla necessità di essere chiari e trasparenti e, possibilmente, tempestivi.
Forse non ci è riuscito fino in fondo, forse ci riuscirà di più presentando gli emendamenti annunciati e che verranno prodotti al Comitato dei nove. Probabilmente, tali emendamenti all'articolo 1 ed all'articolo 2 renderanno più chiaro l'atteggiamento nei confronti del contribuente.
Soprattutto per quanto riguarda l'articolo 2 le considerazioni svolte in quest'aula da molti degli intervenuti devono sicuramente essere ricomprese in un ragionamento attinente ai rapporti tra lo Stato e le regioni, in una riflessione globale, in un accertamento non solo tecnico di entità economica ma di qualità di quello che è stato definito il confine d'Italia: lo era nel tempo passato, oggi può essere un confine di qualità rispetto alle intraprese.
Signor Presidente, l'appuntamento è per il momento in cui verranno presentati gli emendamenti. Ora il relatore, sulla base di quanto ha ascoltato, interpreta il pensiero della maggioranza dei colleghi come favorevole alla conversione in legge del decreto-legge e, quindi, questa raccomanda.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ALFIERO GRANDI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, vorrei distinguere, innanzitutto, la natura del decreto-legge dall'oggetto di cui si è ragionato, in parte, con gli interventi dei deputati. Il decreto-legge non fa altro che riprendere un provvedimento adottato già il 17 giugno 2005 dal precedente Governo e, quindi, dalla precedente maggioranza con l'obiettivo di evitare che il versamento dell'IVA si trovasse in una condizione di difficoltà, cioè i contribuenti fossero nell'incertezza se versare o non versare, sulla base di una vulgata secondo cui tale versamento sarebbe stato non possibile per la presunta sentenza della Corte di giustizia, cui è stato fatto cenno anche nel dibattito di questa mattina. In ogni caso, se sentenza dovesse esserci, non sarebbe mai una sentenza sul passato, ma una sentenza sul futuro. Quindi, il pagamento a leggi vigenti non potrebbe che essere un atto dovuto e ha fatto bene il Governo precedente a garantirsi che non vi fosse confusione tra i desiderata e la realtà. Credo che noi abbiamo fatto altrettanto bene ad evitare che potesse esservi confusione tra quello che il contribuente può perfino legittimamente sperare e la realtà dei fatti: in ogni caso questa è una legge in vigore e, come tale, va rispettata.
Vi è anche una ragione politica che non posso sottacere rispetto alle difficoltà di fronte a cui si è trovato prima il Governo di centrodestra, attualmente il Governo di centrosinistra. Probabilmente con qualche leggerezza - ancora questa mattina un onorevole deputato ne ha fatto cenno - si è parlato di sentenza della Corte di giustizia. Può essere, perché fin tanto che la sentenza non sarà depositata è sempre possibile che sentenza arrivi, però intanto i dati che a noi risultano sono leggermente diversi. Ciò ci risulta, ad esempio, in ordine all'elemento di analisi tecnico-finanziaria che la magistratura europea ha utilizzato per capire se questo fosse o meno un tributo simile all'IVA ed in quale misura è stato un confronto tra i risultati dei due meccanismi: tali risultati indicano con chiarezza un diagramma divergente, che rende molto difficile sostenere che IRAP ed IVA siano la stessa cosa.
Non solo: il nostro Governo, contrariamente a quello precedente, ha ancora memoria del fatto che tale tributo - che, come ha ricordato correttamente anche l'onorevole Mungo, sostituisce i vecchi Pag. 25contributi sulla busta paga dei lavoratori dipendenti ed altri tributi - prima di essere introdotto fu esaminato con l'Unione europea da chi in quel momento era al Governo.
Quel tributo entrò allora in vigore in Italia sulla base di un «via libera» sostanziale preliminare dell'Unione europea; dopodiché, è sempre possibile che il contribuente lo contesti e che la Corte di giustizia giudichi diversamente in merito. Ma prima di dare per scontato il contenuto della sentenza, sarebbe bene osservare una qualche forma di prudenza. Ciò, anche per evitare di cadere nella situazione contraddittoria in cui si sono trovati il Governo e la maggioranza precedenti; non noi, che non abbiamo in questo momento un orientamento volto a demonizzare l'IRAP così come, invece, si è ora fatto. Al contrario, siamo aperti ad un perfezionamento del tributo; infatti, tra le ipotesi possibili di cui si ragiona, una prevede di agire sul costo del lavoro utilizzando lo strumento di un intervento sull'IRAP per ottenere degli sgravi in questa direzione. Cito al riguardo un dato che può interessare gli onorevoli colleghi: la percentuale complessiva del costo del lavoro sulla base imponibile dell'IRAP è del 67,9 per cento, anche se quella sui privati è solo del 56,6 per cento perché, per la parte pubblica amministrazione, praticamente la voce lavoro è il 100 per cento.
Quindi, tale dato conferma che modifiche della composizione e dell'incidenza dell'IRAP sono del tutto possibili e sono all'attenzione non solo dei colleghi ma anche del Governo, pur mancando, oggi, un orientamento in merito. Ma risistemare la base imponibile, con una rimodulazione per obiettivi di politica economica è misura radicalmente diversa da un intervento di pura e semplice abolizione. Anzi, avere raccolto l'idea di una abolizione, quanto meno un po' frettolosa, venuta da certi settori ha portato la maggioranza di centrodestra ed il Governo precedente ad una contraddizione palese: dire che l'IRAP era il demonio - IRAP che, nel 2005, vale 35 miliardi 995 milioni di euro - e scoprire poi di dover varare precipitosamente un decreto-legge per indurre i contribuenti a pagare il tributo. Noi abbiamo dovuto compiere in una certa misura un'azione simile perché in campagna elettorale si è riproposta la questione e di nuovo si è creata confusione al riguardo, sicché ci siamo trovati nell'esigenza di intervenire.
Ma - e mi rivolgo anche all'onorevole Borghesi, che aveva chiesto questo dato in Commissione: oggi sono in grado di darlo - il dato relativo al 2005 è che l'IRAP vale 35 miliardi 995 milioni di euro, una parte molto rilevante del finanziamento del sistema sanitario regionale. Consideriamo, invece, quanto valgono gli interventi di sgravio IRAP; al riguardo, ricordo che il documento presentato dal ministro Tremonti, all'inizio della scorsa legislatura, nel 2001, dichiarava che obiettivo del centrodestra era l'eliminazione del tributo. Ebbene, in cinque anni, gli interventi sull'IRAP - tributo il cui gettito è già calcolato in 35 miliardi 995 milioni di euro nel 2005 - ammontano, sempre nel 2005, ad 1,2 miliardi di euro. Il gettito dell'IRAP sarebbe stato, nel 2005, sostanzialmente di 37,2 miliardi mentre, praticamente, è di 36 miliardi. Questo demonio è stato, perciò, appena appena limato nelle unghie; francamente, l'obiettivo di eliminazione si è realizzato in questa formula, con una percentuale di riduzione che si attesta ad un trentesimo circa del complesso della tassa.
Il centrodestra, in realtà, ha dovuto ammettere che, anche volendolo fare, quel tributo non era così facilmente sostituibile come si dichiarava; e di conseguenza è sostanzialmente rimasto un tributo molto importante per finanziare il sistema sanitario regionale e per le entrate della finanza regionale. Questa è la ragione per cui il centrodestra ha dovuto ammettere che non poteva andare oltre e che poteva solo «limare» qualcosa; ma non è andato molto al di là di ciò.
Di conseguenza, abbiamo l'esigenza di confermare il valore del tributo e di considerare la possibilità di una sua evoluzione, sebbene tale evoluzione non sia nell'ordine né dei tempi né delle discussioni che siamo in grado di fare oggi.Pag. 26
Naturalmente, il tema è parte di un ragionamento che va nella direzione proposta anche dall'esito referendario. La bocciatura della riforma costituzionale del centrodestra lascia del tutto aperto, infatti, il problema della piena autonomia finanziaria - del federalismo fiscale, se così si vuole dire - delle regioni e degli enti locali. Il punto è nel programma dell'Unione, del centrosinistra, e se ne ragionerà. Al riguardo, ha ragione l'onorevole Borghesi quando afferma che la questione dell'IRAP fa parte degli strumenti finanziari che possono garantire la piena autonomia finanziaria delle regioni, di quel grande pacchetto che deve garantire l'autonomia finanziaria degli enti locali: avremo tempo e modo di discuterne quando affronteremo l'esame di provvedimenti di diversa ampiezza e portata.
Quindi, sostanzialmente, siamo di fronte ad un decreto-legge di proroga per quanto riguarda l'IRAP. Inoltre, riguardo alla parte che costituisce effetto di un provvedimento legislativo in vigore (la legge finanziaria per il 2006), vorrei ricordare che il problema delle regioni che presentavano un deficit sanitario irrisolto è stato affrontato dapprima con il decreto-legge in esame e, successivamente, con gli emendamenti preannunciati dal relatore, onorevole Fincato - con cui il Governo è totalmente d'accordo -, vale a dire con provvedimenti che, in sostanza, cercano di andare incontro ad una esigenza posta con molto forza da vari settori (quando le esigenze sono giuste, vanno recepite: non vi è alcuna ragione per opporsi).
Ad esempio, nella documentazione che ho raccolto vi sono lettere provenienti da commercialisti, da privati, da singoli, i quali chiedono, da un lato, perché i contribuenti che non hanno capito quanto devono pagare e pagano di meno debbano, di fronte ad una situazione convulsa dell'amministrazione, pagare la maggiorazione dello 0,40 per cento e, dall'altro, quale sia la base giuridica che fissa al 30 giugno la data alla quale le regioni possono tentare di rientrare per non far scattare né gli aumenti dell'IRAP né le addizionali all'IRPEF. Di tali richieste (un quotidiano autorevole come Il Sole 24 Ore si è addirittura fatto promotore di una campagna per l'abolizione della maggiorazione dello 0,40 per cento) noi abbiamo tenuto conto: ne ha tenuto conto il relatore, onorevole Fincato - e noi siamo d'accordo -, predisponendo un emendamento che elimina la maggiorazione.
Perché siamo arrivati a questa situazione? Colleghi del centrodestra, alcuni di voi hanno letto oggi - permettetemi la battuta - gli appunti che dovranno leggere in altra sede, in un'altra occasione, tra qualche giorno: con riferimento al provvedimento in esame, quegli appunti sono francamente destituiti di fondamento. Se siamo arrivati ad una situazione di confusione, lo dobbiamo ad una legge in vigore, la finanziaria per il 2006, che è stata approvata dalla maggioranza di centrodestra su proposta del precedente Governo (se non ricordo male, con un voto di fiducia e, quindi, secondo la logica del «prendere o lasciare»). In sostanza, fissando al 31 maggio la verifica relativa al deficit sanitario per il 2005, il precedente Governo ha inevitabilmente fatto cozzare la predetta verifica con il pagamento del 20 giugno.
Dovendo mantenere il valore della scadenza del 20 giugno, noi ci siamo inevitabilmente fatti carico del fatto che molti contribuenti potevano trovarsi in una situazione di confusione. Nel frattempo, una regione è rientrata e c'è sempre l'auspicio che altre regioni possano farlo: evidentemente, se ciò accadrà, i contribuenti avranno il diritto di vedere applicato un principio di razionalità (nelle condizioni date di confusione). Ebbene, il primo principio di razionalità è quello secondo il quale ogni somma versata in più andrà a conguaglio (questo è garantito). In ogni caso, se vi fosse un ritardo nel pagamento, non verrà applicata la sanzione dello 0,40 per cento (e questa mi pare cosa di non poco conto).
Altro punto importante che è stato chiarito è la base su cui vi è l'aumento dell'1 per cento, nonché la conferma delle esenzioni in essere, in modo tale - soprattutto - che settori della società particolarmente Pag. 27impegnati in opere sociali rilevanti non ricevano un gravame da un provvedimento di tale natura.
Si tratta, quindi, di lasciare il tempo ai contribuenti per il pagamento, quando ciò sia dovuto, e non gravare sui contribuenti stessi; ascoltare le osservazioni quando sono ragionevoli e provengono dalla società non è un atto di debolezza, ma di forza da parte del Governo e della maggioranza. Credo, quindi, che possiamo attribuirci un titolo di merito nell'avere avuto la capacità di ascoltare.
Affronto, quale ultimo aspetto, la questione dei canoni demaniali. Si sono svolti, in merito, interventi importanti e di grande interesse, perché alcuni deputati della maggioranza hanno posto in rilievo una difficoltà, che del resto era già stata sollevata in Commissione, in particolare da parlamentari dell'opposizione. Quando si riscontrano punti di convergenza, le diverse posizioni meritano di essere ascoltate. Il problema riguarda essenzialmente la più volte prorogata norma del 2003. Tale proroga reiterata non è casuale: dipende essenzialmente dal fatto che la norma è - diciamo la verità - impraticabile: un aumento del 300 per cento dei canoni si può prevedere in un provvedimento, ma successivamente non si riesce ad applicare. Questa è la triste fine di una norma di detto tipo!
È del tutto evidente che l'intenzione del Governo segnala l'obiettivo di modificare radicalmente la citata norma; prorogarla ad una data successiva non ha la finalità di farla entrare in vigore, ma di avere il tempo di modificarla. Avere il tempo di modificare tale norma - è stato affermato autorevolmente, anche da parlamentari dell'opposizione - non sarà facile, perché la mole di incontri e di lavoro che è stata compiuta da autorevoli esponenti del Governo precedente - segnalo, in particolare l'onorevole Conte, per citare solo un nome - testimonia una difficoltà reale nel mettere d'accordo diversi soggetti. È stato ricordato poc'anzi il ruolo delle regioni; si pensi ad una regione come la Sardegna, il cui territorio ha uno sviluppo costiero molto accentuato e che pertanto, da tale punto di vista, è particolarmente coinvolta. Si tratta di riuscire a risolvere il rapporto tra Governo centrale e regioni, anche dal punto di vista delle risorse, e di risolvere quello tra Governo, regioni ed enti locali, che debbono esprimere le loro valutazioni in materia. Affrontare il problema dei rapporti tra tale insieme istituzionale ed i diversi soggetti che sono interessati alla questione è effettivamente di una certa complessità. Dunque, il Governo è disponibile ad appoggiare l'emendamento presentato dall'onorevole Fincato, volto a prendere un po' di tempo in più, facendo sì che la legge finanziaria lavori, almeno in fase iniziale, «in parallelo» alla proposta di modifica di questo sistema (che non possiamo immaginare entri in funzione) e, di conseguenza, crei le condizioni per giungere ad una soluzione. Se il provvedimento sarà già in grado di essere autonomamente approvato, bene; altrimenti esso potrà essere meglio inserito all'interno del futuro disegno di legge finanziaria.
Ci è stata rivolta la richiesta di conoscere meglio una dinamica non semplice da affrontare, ossia quanto incidono i canoni sull'insieme dei costi e, di conseguenza, i rapporti con i prezzi in tale delicato settore del turismo con l'insieme delle opere che sono a concessione in terreni demaniali. Attualmente non sono in grado di rispondere a tale domanda, ma ritengo che nel lavoro che dovremo svolgere nelle prossime settimane con le competenti Commissioni di merito possiamo tentare di dare una risposta a tale quesito. Ho già chiesto agli uffici centrali di valutare se si riescano ad avere dati in merito, almeno nei primi stati di avanzamento, per rispondere a tale domanda, assolutamente giusta. Non so se si possa affermare, come è stato detto - può darsi che sia vero - che in qualche misura gli aumenti scontano già l'introduzione di tale canone. Riscontriamo effettivamente i dati e osserviamo le dinamiche e ciò costituirà un materiale molto importante per approvare il provvedimento successivo. Questa è Pag. 28la ragione per cui un'ulteriore proroga è probabilmente un atto dovuto e necessario.
Non possiamo andare oltre il 31 dicembre 2006 perché questo vorrebbe dire avere le condizioni per un'immediata copertura della posta di bilancio, anche se debbo dire che la Ragioneria dello Stato è sempre stata molto prudente su questo tema se è vero, come è vero, che nel 2005 - malgrado vi fossero 400 milioni di euro di canone di entrata - in realtà vi erano zero euro nella posta di bilancio relativa; infatti, nessuno ha mai creduto che questa norma potesse realmente entrare in vigore.
Quest'anno vi sono 140 milioni di euro, una cifra che, in qualche modo, deve essere coperta. Un allungamento ulteriore dei tempi per trovare la norma sostitutiva sia di carattere strutturale sia di carattere finanziario non implica il fatto di trovare in questo momento la posta di bilancio; in ogni caso, prevederlo fino al 31 dicembre ci obbligherebbe, per ragioni ovvie, ad operare immediatamente.
Noi abbiamo individuato nel 31 ottobre la data che ci può consentire, lo ripeto, di fare tutto il lavoro preliminare per il nuovo provvedimento e, in ogni caso, di avere la legge finanziaria, la quale può rappresentare la sede in cui eventualmente affrontare e risolvere il problema laddove non avessimo modo di farlo altrimenti. Questa è la ragione per cui dico ai colleghi di maggioranza e di opposizione che il provvedimento di legge che converte il decreto-legge oggi in discussione, se osservato con qualche oggettività e per quello che effettivamente afferma, merita di essere approvato non solo dalla maggioranza, ma anche dall'opposizione. Infatti, il Governo ha sostanzialmente lavorato sul solco di quello che ha fatto - magari bon gré mal gré - il Governo precedente, ragionando sulla base delle osservazioni che sono emerse ad una prima stesura del decreto-legge; di conseguenza, in accordo con il relatore, si è anche pensato ad alcune modifiche che appaiono assolutamente ragionevoli. In ultima analisi l'acconsentire ad una proroga un po' maggiorata rispetto a quella iniziale va incontro anche a richieste dei deputati dell'opposizione, oltre che della maggioranza. Per questo motivo sarebbe bene che il provvedimento in esame venisse approvato da tutta l'Assemblea.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 12 giugno 2006, n. 210, recante disposizioni finanziarie urgenti in materia di pubblica istruzione (A.C. 1092) (ore 12,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 12 giugno 2006, n. 210, recante disposizioni finanziarie urgenti in materia di pubblica istruzione.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1092)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Sasso, ha facoltà di svolgere la relazione.

ALBA SASSO, Relatore. Signor Presidente, oggi discutiamo la conversione in legge del decreto-legge 12 giugno 2006 n. 210, recante disposizioni finanziarie urgenti in materia di pubblica istruzione.
Questo decreto-legge è stato approvato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi e del ministro Fioroni e garantisce la corresponsione dei compensi per i docenti impegnati negli esami di Stato di questo anno scolastico.Pag. 29
Nella percezione di tanti, gli esami di Stato sono una tappa fondamentale nel percorso scolastico, ma direi nella vita, di ogni ragazzo e di ogni ragazza. Lo sono stati per tutti noi: letteratura, filmografia, senso comune - basta ricordare la celebre frase «gli esami non finiscono mai» - ne sottolineano l'importanza come momento di passaggio all'età adulta. Penso quindi che dovrebbe esserci maggiore attenzione per questo appuntamento, per il lavoro degli insegnanti e degli studenti.
Invece, anche quest'anno gli esami di Stato sono iniziati senza che ci fosse lo stanziamento dei fondi per pagare gli insegnanti, e mancano anche i fondi per completare il pagamento per gli esami dello scorso anno: è da anni che le risorse destinate agli esami di Stato sono erogate con il contagocce.
Quello al nostro esame è un provvedimento molto semplice, che rappresenta un atto dovuto. La stessa onorevole Aprea ha dichiarato in Commissione che, se il centrodestra fosse rimasto al Governo, avrebbe adottato lo stesso provvedimento. Si tratta di un atto dovuto per un motivo semplice, ovvio direi: ogni lavoratore ha diritto alla legittima retribuzione per il lavoro svolto. Il provvedimento in esame costituisce anche un segnale di attenzione da parte del nostro Governo, una piccola riparazione al disinteresse mostrato nei confronti dei docenti, delle loro condizioni di vita e di lavoro. Disinteresse più volte dimostrato nel corso di questi anni dal Governo e, spesso, anche dalla società. Credo che molti altri passi andranno fatti in questa direzione.
Il disegno di legge in esame intende adeguare lo stanziamento di bilancio per la corresponsione dei compensi ai componenti le commissioni per gli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore, al fine di commisurare le dotazioni all'effettivo fabbisogno e assicurare il regolare svolgimento della sessione d'esame per l'anno scolastico 2005-2006. Dove nasce il problema? Perché non ci sono i soldi per pagare gli insegnanti componenti le commissioni d'esame? Ritengo che il problema nasca dalle modifiche apportate alla disciplina degli esami conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore per le scuole del servizio nazionale di istruzione dall'articolo 22, comma 7, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002). Quella norma modificò la composizione delle commissioni d'esame prevedendo la costituzione di una commissione d'esame per ciascuna classe in luogo della precedente disciplina, che assegnava un presidente unico e commissari esterni comuni ogni due commissioni. Tale norma ha esteso inoltre la corresponsione dei compensi ai docenti delle scuole paritarie facenti parte delle commissioni di esame e fissato in 40,24 milioni di euro il limite di spesa per il compenso dei commissari. Quella norma, varata in finanziaria, nata come misura per il contenimento della spesa, in realtà ha aumentato notevolmente la spesa per le commissioni d'esame. Tant'è vero che già l'articolo 1, commi 2 e 3 del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 212, ha elevato il limite di spesa previsto, di 40,24 milioni di euro, di ulteriori 28, 411 milioni di euro, per un totale di 68, 651 milioni di euro per l'anno 2002 e di 44,608 milioni di euro, per un totale di 84,848 milioni di euro, per l'anno 2003. Lo stanziamento previsto, quindi, non aveva fatto i conti con la realtà. Questo ritengo sia un fatto abbastanza singolare.
Secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa del Governo, i monitoraggi effettuati dagli uffici scolastici regionali negli anni 2004 e 2005 hanno confermato l'impossibilità di soddisfare il fabbisogno con le risorse stanziate dalla citata legge del 2001. Di qui l'urgenza del provvedimento al fine di conformare il limite di spesa previsto dalla legge n. 448 del 2001 alle previsioni di spesa effettuate sulla base dei dati effettivamente rilevati.
L'articolo 1 del decreto-legge prevede quindi, al comma 1, che il limite di spesa per la corresponsione dei compensi ai componenti delle commissioni per gli esami di Stato sia elevato di 63 milioni di euro, per l'anno 2006, oltre l'importo previsto dalla normativa vigente, pari - come Pag. 30dicevo in precedenza - a 40,24 milioni di euro, per un totale di 103,151 milioni di euro, secondo quanto si evince dalla relazione tecnica. Il comma 2 del medesimo articolo prevede che al relativo onere si provveda mediante la riduzione dell'autorizzazione di spesa prevista dall'articolo 3, comma 92, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, la legge finanziaria per il 2004. Quest'ultima legge autorizzava, nell'ambito del piano programmatico di interventi finanziari previsto dalla cosiddetta legge Moratti, una spesa pari a 90 milioni di euro a decorrere dall'anno 2004, destinata ai seguenti interventi: sviluppo delle tecnologie multimediali, interventi di orientamento contro la dispersione scolastica e per assicurare il diritto-dovere alla istruzione e formazione, interventi per lo sviluppo dell'istruzione e formazione tecnica superiore e per l'educazione degli adulti e, infine, istituzione del servizio nazionale di valutazione del sistema di istruzione. Sempre secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa, attualmente dette risorse sono peraltro imputate al capitolo 1284 dell'unità previsionale di base 2.1.5.3 dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione per l'anno finanziario 2006, che reca le spese per compensare la funzione tutoriale dei docenti per un importo pari proprio a 63,8 milioni di euro.
L'articolo 1, comma 3, del decreto-legge in esame autorizza il ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le opportune variazioni di bilancio.
Infine, l'articolo 2 detta le norme relative all'entrata in vigore.
Per concludere, signor Presidente, voglio sottolineare che questo provvedimento è stato approvato all'unanimità in sede di VII Commissione proprio perché - come dicevo in precedenza - si tratta di un atto dovuto: pagare gli insegnanti per il lavoro che stanno svolgendo, per ora. Presto, però, si tratterà di affrontare anche più complessivamente il tema della riforma degli esami di Stato, a partire da una valutazione attenta e serena di quanto è avvenuto con le modifiche previste dalla legge n. 448 del 2001. Infatti, in questi anni, nonostante la buona volontà degli operatori e nonostante il lavoro delle scuole, le commissioni «tutte interne» non hanno migliorato la disciplina degli esami. Hanno alimentato «diplomifici» che hanno regalato promozioni e voti alti. Noi riteniamo che siano importanti il rigore e la serietà per quello che definivo un passaggio importante di crescita nella vita delle persone. Voglio ricordare che la scuola, nel passato, con le commissioni esterne o, perlomeno, miste, si confrontava con altre esperienze, si apriva e si sottoponeva ad una valutazione esterna.
A nostro avviso, la centralità dello studente - uno slogan spesso abusato - dovrà essere onorata con i fatti, con la riforma di questi esami, prevista dal programma dell'Unione, per restituire valore al lavoro dei tanti che nella scuola vivono ed operano e per dire che la scuola è importante per questo paese e che di essa occorre avere rispetto e cura.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Costantini. Ne ha facoltà.

CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci accingiamo ad approvare il primo intervento, nella XV legislatura, relativo all'istruzione, un intervento che credo contenga in sé l'espressione di una sensibilità e di una attenzione nuova ai problemi della scuola, che va ben oltre la natura apparentemente solo tecnica del decreto-legge n. 210 del 2006.
Come ha ricordato la relatrice, da un punto di vista tecnico, il decreto-legge serve ad assicurare copertura finanziaria alle disposizioni che, nel 2001, hanno modificato la disciplina degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio d'istruzione secondaria superiore, rendendo insufficienti i fondi che prima dovevano coprire i compensi destinati ai componenti le commissioni d'esame, ognuna delle quali era impegnata in due classi; oggi infatti gli stessi fondi dovrebbero coprire i compensi destinati alle medesime commissioni Pag. 31d'esame, ognuna delle quali, però, è impegnata per una sola classe, oltre ai compensi dei docenti delle scuole paritarie facenti parte delle commissioni d'esame costituite presso le stesse scuole.
Da un punto di vista politico, il decreto-legge esprime invece una evidente volontà di cambiamento. Negli anni passati, ed anche nell'ultima legge finanziaria, il Governo aveva costantemente dimenticato di assicurare la copertura delle somme necessarie per il pagamento dei compensi ai componenti le commissioni d'esame, scaricando le conseguenti tensioni sugli uffici scolastici regionali e sul sistema scolastico in generale. Per la prima volta dalle modifiche del 2001, ed a distanza di soli pochi giorni dal suo insediamento, il nuovo Governo di centrosinistra, che pure avrebbe potuto trovare tante motivazioni per non intervenire e per sottolineare le responsabilità di chi, ben conoscendo l'inadeguatezza degli stanziamenti, avrebbe dovuto trovare da tempo la copertura finanziaria dei costi di funzionamento delle commissioni d'esame, ha ritenuto invece di dover agire immediatamente ed iniziare questo nuovo corso assicurando, ad esami di Stato avviati, il diritto dei professori impegnati al pagamento dei compensi che proprio in questi giorni stanno maturando.
Rispetto ad una condizione quantomeno di scarso interesse, o comunque ad interventi costantemente tardivi, con conseguente costante trasferimento sulle scuole delle difficoltà che la scarsa disponibilità delle risorse necessarie per pagare i professori impegnati negli esami di Stato inevitabilmente determinavano, assistiamo invece oggi ad un'immediata assunzione di responsabilità da parte del Governo, a dimostrazione tangibile di una nuova sensibilità nei confronti del mondo della scuola che, tra le tante difficoltà che ogni giorno è costretto ad affrontare e a vivere, da quest'anno, risulterà liberato dal problema delle indisponibilità delle risorse necessarie per pagare gli insegnanti impegnati nell'esame di Stato.
È, come dicevo, un primo segnale significativo di cambiamento, è l'espressione di una ritrovata consapevolezza del ruolo e della funzione della scuola per le future generazioni, è la prima manifestazione concreta di quello che nel programma dell'Unione è definito come il bisogno di investire nella scuola. L'azione del centrosinistra per una completa ed efficiente riforma del mondo della scuola parte, quindi, dalla considerazione che la scuola non è un costo, ma un investimento. E l'investimento più importante che un paese può fare, per il suo sviluppo e per l'elevazione complessiva della sua società, è quello di rendere la propria scuola il perno del sistema formativo, capace di dare spazio alle differenti metodologie dell'apprendimento e di dare fiducia alle diverse capacità e modalità di crescita delle persone.
Un investimento sarà anche il rilancio dell'autonomia del sistema scolastico, non solo in funzione del decentramento burocratico e della flessibilità organizzativa, ma anche in funzione della costruzione di una nuova prospettiva del sistema-scuola, realmente capace di elaborare percorsi di studio flessibili e in grado di incontrare le esigenze degli studenti, con i loro diversi contesti territoriali, culturali, sociali ed economici e sempre in stretto rapporto con la realtà di un mondo del lavoro in continuo mutamento.
Un investimento sarà anche il costante, positivo ed aperto confronto con l'Europa, per puntare ad una reale modernizzazione del sistema scolastico e ad una forte sintonia, in un quadro di sussidiarietà e cooperazione tra Stato, regioni e scuole autonome, per stabilire le rispettive funzioni e le rispettive competenze.
Un investimento sarà la valorizzazione, per tutti i docenti, dell'autonomia professionale nello svolgimento dell'autonomia didattica, scientifica e di ricerca, per restituire alla figura dell'insegnante quella dignità che l'attuale sistema di reclutamento mortifica sin dall'inizio, costringendone decine di migliaia ad una condizione di precariato che, in alcuni casi, davvero non termina mai e che, quando termina, risulta comunque subordinata al continuo e contraddittorio succedersi di revisioni Pag. 32normative che hanno più volte provocato scavalcamenti e sovvertimenti delle posizioni in graduatoria.
Un investimento, ancora, sarà il definitivo superamento dell'esasperazione delle supplenze, che risultano per le scuole un onere più gravoso rispetto alle assunzioni a tempo indeterminato, danneggiano il percorso formativo dello studente e determinano una condizione di dequalificazione complessiva dell'istruzione.
Un investimento sarà rendere l'insegnamento una scelta appetibile per i migliori talenti, attraverso il loro coinvolgimento nei processi di riforma del sistema educativo, la costante valorizzazione delle loro professionalità e l'esplicita affermazione della loro dignità e del valore strategico della professione di insegnante per il futuro del paese.
Un investimento, infine, sarà la previsione di un nuovo stato giuridico degli insegnanti, che comprenda livelli di carriera da realizzarsi con un moderno sistema in grado di valorizzare le risorse umane.
Questi ed altri investimenti dovremo sostenere nella legislatura in corso, molto più con il coraggio di adottare scelte realmente innovative che con il reperimento di risorse finanziarie ragionevolmente sempre meno disponibili, nonché nella consapevolezza che l'obiettivo di un reale ed incisivo miglioramento del sistema scolastico possa consentire di incassare, nel corso dell'intera legislatura (e non solo oggi), il contributo costruttivo di tutte le forze politiche presenti in Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Garagnani. Ne ha facoltà.

FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, pur non addebitando al presidente della VII Commissione o ad altri un inconveniente che si è verificato, vorrei innanzitutto far presente alla Presidenza della Camera l'opportunità di significare, con una certa severità, a tutti i presidenti di Commissione il divieto di convocare le stesse quando siano contemporaneamente in corso sedute dell'Assemblea, poiché si tratta di un problema che si trascina sin dalla passata legislatura.
So bene che tutti noi abbiamo diversi problemi e mi rendo altresì conto che vi sono obblighi istituzionali connessi; tuttavia, come è stato affermato ad ogni piè sospinto anche nella passata legislatura, la dignità della Camera dei deputati, nonché dei parlamentari e del loro ruolo, richiede sia la valorizzazione dei lavori dell'Assemblea, sia la distinzione, necessaria ed indispensabile, tra l'attività delle Commissioni permanenti e quella dell'aula parlamentare vera e propria. Ciò per consentirci di svolgere il nostro lavoro nel rispetto delle nostre competenze e delle nostre conoscenze, garantendo soprattutto la possibilità di approfondire gli elementi di cui abbiamo bisogno per intervenire in sede di Assemblea.
Ribadisco che non addebito al presidente della mia Commissione il fatto che ci sia pervenuta la «sconvocazione» della Commissione stessa - so bene che il termine è improprio e brutto, Presidente, ma questo mi viene in mente -, tuttavia ritengo sia bene troncare una volta per tutte, all'inizio della legislatura, l'insorgere di possibili equivoci, precisando in modo tassativo quanto ho testé rappresentato. La invito pertanto, signor Presidente, a farsi carico della mia richiesta in sede di Ufficio di Presidenza.
Premesso ciò, ritengo innanzitutto di dover smentire quanto affermato dal relatore, il quale, anche esulando parzialmente dall'aspetto meramente tecnico della sua relazione sul provvedimento in esame (si tratta non di un addebito personale o particolare, ma di una valutazione di ordine politico), ha accusato l'opposizione, che era maggioranza nella passata legislatura, di disinteresse nei confronti dei docenti.
Vorrei allora evidenziare, in primo luogo, il fatto stesso della nostra presenza oggi in Assemblea; ricordo inoltre quanto dichiarato in sede di Commissione dall'onorevole Aprea, particolarmente impegnatasi nella passata legislatura, in qualità di sottosegretario di Stato per l'istruzione, Pag. 33l'università e la ricerca, in questa materia. L'onorevole Aprea ha infatti affermato, e noi tutti concordiamo con lei, che si tratta di un provvedimento conclusivo che, proprio per la sua valenza significativa, necessita di un voto favorevole anche da parte della minoranza (e, nel caso di specie, da parte del gruppo di Forza Italia).
Riteniamo, ovviamente, che gli esami di Stato siano una questione particolarmente significativa ed emblematica e non possiamo esimerci, pur essendo stato il provvedimento in esame adottato dall'attuale maggioranza, dal nostro dovere «tecnico» di convertirlo in legge, al fine di consentire a tutti gli studenti ed a tutti gli insegnanti di partecipare agli esami senza che vi sia alcun disguido.
In merito al decreto-legge in esame ed alle considerazioni che sono state svolte, vorrei rilevare che si tratta di un provvedimento estremamente limitato, il quale, tuttavia, fa riferimento ad una situazione delicata, poiché interessa la scuola italiana. Approfittando del fatto di stare in Assemblea, desidero allora chiedere ai componenti del Governo di rispettare la dignità dell'Assemblea. Affermo ciò in riferimento alle numerosissime esternazioni fatte dal ministro Fioroni, nonché da altri componenti dell'Esecutivo, su provvedimenti che il Governo dovrà adottare, ma senza che vi sia stato alcun riscontro con la Commissione competente, né tantomeno in sede di Assemblea.
Proprio perché parliamo di esami di maturità, abbiamo appreso dai giornali l'intenzione del ministro Fioroni di modificare in parte significativa la composizione delle commissioni di esame - o, perlomeno, di definire in modo diverso rispetto al passato i test -, e soprattutto di valutare in modo diverso la professionalità degli studenti e di definire la composizione delle commissioni. Questo è un esempio, al quale se ne sono aggiunti tanti altri, di tentativi e di preannuncio di modifica dell'attuale legislazione scolastica senza nessuna previa discussione in sede di Commissione. Rivolgo pertanto al ministro un addebito di scarsa considerazione delle competenze e del rispetto dell'Assemblea, anche a proposito di ciò che è stato detto in precedenza da alcuni colleghi della maggioranza, e soprattutto di scarsa considerazione delle componenti scolastiche. Infatti, questi annunci a gettito continuo sulla stampa prescindono non solo da un confronto corretto nella Commissione competente, ma anche da un confronto e da audizioni con le più variegate componenti della scuola: il complesso mondo docente, il sindacato, gli studenti. Di conseguenza, vi è mancanza di rispetto anche verso queste persone.
Entrando nel merito del provvedimento, proprio perché si fa riferimento alla composizione delle commissioni per gli esami di Stato, credo di dover innanzitutto precisare una cosa. Noi abbiamo dimostrato in questa sede - nel passato e, probabilmente, anche nel futuro, con la definizione in termini più precisi dello stato giuridico degli insegnanti, sul quale immagino si soffermerà la collega Aprea, che di fatto ha seguito più da vicino la complessa normativa e problematica del corpo docente - che ci facciamo carico in modo significativo delle esigenze dei docenti. Infatti, nella passata legislatura, da parte nostra sono venute numerose proposte per differenziare il trattamento normativo riservato ai medesimi, per non omologare in un'unica struttura indistinta il corpo docente, per selezionare all'interno dello stesso quelli che effettivamente hanno doti di professionalità elevata da coloro che, invece - esistono anche questi -, interpretano il loro lavoro come un puro compito privo totalmente di risvolti sociali e culturali, nella migliore delle ipotesi.
Allora, credo che non si possa dire che noi non ci facciamo carico di queste problematiche. Ce ne facciamo carico eccome, distinguendo e stabilendo anche una serie di misure contenute nei decreti attuativi della legge di riforma, che hanno introdotto per la prima volta il principio della meritocrazia, della valutazione dell'operato dei docenti e della possibile differenziazione anche in termini economici. Tutto ciò di fronte ad una situazione di Pag. 34completa frustrazione del corpo docente derivante dalla prevalenza della dimensione ideologica, dalla sua sindacalizzazione esasperata, dalla presenza in cattedra di numerosi «sessantottini» frustrati, che hanno interpretato la cattedra come un pulpito per fare azione politica ed ideologica. Allora, credo che anche su questo dobbiamo misurarci, distinguendo la parte del corpo docente che interpreta il proprio ruolo come una funzione altamente educativa dall'altra parte, pure presente, che interpreta il proprio ruolo come una pura missione politica, venendo meno al ruolo di lealtà verso lo Stato e le istituzioni che compete ad un docente e ad un dirigente scolastico.
Nella scuola italiana sono numerosissimi gli esempi di questo tipo, e credo che vadano una volta per tutte chiariti e definiti. So benissimo che questi esempi sono in sintonia con una parte dell'attuale maggioranza, ma questo non mi esime dal denunciarli pubblicamente, dal denunciare un'eversione continua presente nella scuola italiana in alcuni operatori - non tutti - particolarmente sindacalizzati e politicizzati, che si avvalgono della scuola medesima per fare opera di propaganda politica o, a volte, anche di invito all'eversione vera e propria delle istituzioni. Tutto questo è inaccettabile e va chiarito e sanzionato regolarmente: esistono gli strumenti che, ahimè, sono stati disapplicati anche troppo nella passata legislatura.
Questo per ribadire che sappiamo benissimo quanti insegnanti meritevoli ci siano - e non entro nel merito delle opinioni politiche dei medesimi -, però credo che la distinzione fra insegnanti che svolgono il loro lavoro nel rispetto della personalità del discente e insegnanti che invece non svolgono questa precisa funzione debba pur essere fatta, almeno in quest'aula, e mi auguro anche dagli organi preposti al controllo e alla tutela di queste situazioni.
L'aspetto fondamentale è però un altro. Di fronte ad una variegata composizione, ad un numero notevolmente elevato di insegnanti, credo sia ineluttabile porsi, prima che sia troppo tardi, anche il problema di una libertà di educazione che deve caratterizzare la nostra Repubblica, il nostro Stato. L'Italia è l'unico paese d'Europa - non mi stancherò mai di dirlo - in cui vige il monopolio statale della pubblica istruzione: una cosa che non si giustifica più, perché di fatto limita la libertà del singolo. E non mi si venga a richiamare in questa sede l'articolo 33 della Costituzione, perché basta leggere le relazioni che hanno accompagnato quell'articolo (anche il famoso emendamento Corbino) per interpretare quell'articolo in modo giusto!
La vera libertà scolastica, qual è quella riconosciuta dalla Costituzione, si avrà soltanto il giorno in cui, all'interno di un sistema pubblico, la scuola statale e la scuola paritaria potranno competere su un piano di efficienza e di offerta di un modello educativo alternativo, mettendo la famiglia e gli studenti in grado di scegliere il tipo di modello educativo - rientrante globalmente in alcune ipotesi definite a livello statuale - più confacente alla propria ispirazione culturale. Tutto ciò nell'ambito della legge dello Stato, perché qui non si parla di scuole confessionali o islamiche! Si parla di un modello culturale di tipo diverso, qual è presente in molti paesi d'Europa, mentre non lo è in Italia, dove ancora vi è una sorta di giacobinismo permanente, che invoca ancora, in pieni anni Duemila, la scuola di Stato - che non ha più ragion d'essere, almeno com'è nata, com'è cresciuta e come si è moltiplicata in questi anni -, forse perché in questi anni si è dimostrata troppo funzionale ai disegni egemonici della sinistra. Basta frequentare licei o scuole superiori per rendersi conto del livello di politicizzazione che la nostra scuola ha molto spesso raggiunto.
L'altra considerazione che voglio fare riguarda gli esami di maturità. Anche in questo caso dobbiamo essere particolarmente attenti nel proporre revisioni di un modello rispetto ad un altro senza misurarci sulla valenza, sull'utilità e sui risultati di questo modello. Le modifiche introdotte nel 2001 mi pare che abbiano risposto ad un'esigenza profondamente Pag. 35sentita, quella di elevare il livello di questi esami, che negli anni precedenti si erano ridotti ad una semplice «burletta»: poche materie, molto spesso sorteggiate, senza nessuna accentuazione di un particolare aspetto della formazione dello studente, per il tipo di scuola che frequentava.
La modifica che è stata introdotta e che è ancora in vigore ha risposto a mio modo di vedere a questa esigenza, definendo in maniera diversa la presenza della commissione interna. Le modifiche proposte dal ministro Fioroni saranno, se attuate, intempestive, in quanto prescindono da una valutazione complessiva, anche rispetto ai parametri europei, di ciò che è stato raggiunto con questo tipo di esame di maturità. Esse non ci forniscono un panorama completo delle necessità degli studenti maturandi, della loro preparazione e, soprattutto, come dicevo prima, esse non ci relazionano sui nuovi bisogni di questi studenti e sulla necessità di un esame di maturità che non può ripetere vecchi schemi ormai stantii e superati.
Questo è il problema di fondo. Non è che la presenza di un commissario esterno possa aumentare il livello di preparazione, ma soprattutto di selezione dei giovani che arrivano alla maturità!
In questo senso, invece, sarebbe più che mai opportuno (abbiamo predisposto un ordine del giorno in tal senso) riconsiderare l'automatismo di ammissione agli esami finali, prevedendo ad esempio la reintroduzione dello scrutinio finale del corso e le relative procedure di ammissione. Anche questo sarebbe un problema da tenere ben presente, nel momento in cui parliamo di una nuova dimensione da dare agli esami di maturità.
Ho definito gli obiettivi del gruppo di Forza Italia (che saranno ulteriormente precisati da altri colleghi del gruppo, in particolare dall'onorevole Valentina Aprea), dai quali traspare un miraggio, che poi non credo sia tale ma piuttosto un obiettivo di fondo, cioè far conseguire ai nostri studenti una maturità «vera», non soltanto in alcune materie tecniche, una maturità che permetta il loro inserimento nella collettività, li sappia rendere osservatori attenti e critici - sottolineo attenti e critici - nei confronti della società in cui vivono. Questo è l'obiettivo che dobbiamo porci, perché vogliamo non dei robot, preparati in tutto però incapaci di una dimensione critica, ma persone pronte non soltanto a recepire ma anche a criticare, attente ad ogni fenomeno ed in grado di essere particolarmente sensibili al nuovo che si muove nella società, con la consapevolezza di appartenere ad un'identità, ad una storia, ad una tradizione che non può essere facilmente dimenticata.
Proprio perché si parla di esame di maturità, mi sembra importante anche questo: i nostri studenti (mi pare che negli obiettivi dati alle scuole di ogni ordine e grado ciò sia fissato in modo significativo e mi auguro sarà confermato anche dalla nuova maggioranza) debbono essere consapevoli, nel rispetto dell'integrazione, della multiculturalità e della dignità di ogni persona, di appartenere ad un paese che ha una propria storia, una propria tradizione, una propria civiltà che non può essere dimenticata e che si richiama ai fondamenti della tradizione giudeo-cristiana.
Ritengo ciò essenziale ed indispensabile in presenza di una tendenza nichilista, pressappochista (chiamatela come volete) presente nelle scuole di ogni ordine e grado, anche in sede di esame di maturità, che tende a svalutare questo dato, per non dire a trascurarlo del tutto. Mai come in questo momento, in cui in ogni Stato europeo si cerca un'identità, si cerca la ragione dello stare insieme, è importante fornire agli studenti la consapevolezza di appartenere ad un popolo che ha una sua religione, una sua storia, una sua identità, non per chiuderlo in se stesso, ma perché soltanto partendo dalla consapevolezza delle proprie radici forti, se sono forti e sentite come tali, si potrà dialogare con altri ed essere considerati cittadini di uno Stato.
Queste sono le considerazioni che ho inteso svolgere, ampliando un po' il discorso (come del resto ha fatto chi mi ha preceduto) meramente tecnico relativamente al provvedimento, così da ribadire Pag. 36che, a monte dell'approvazione del decreto-legge, a monte di questo voto tecnico, vi sono valutazioni di fondo sulla scuola italiana che ci trovano nettamente dissenzienti dal centrosinistra, o quantomeno da una parte del medesimo, sulle quali vigileremo con costanza, con impegno e con tenacia, non permettendo che la legge sia violata. Ai componenti del Governo chiederemo, al di là delle loro idee, di essere rigidi tutori del rispetto della legge, che - ripeto - in molti casi non è stata rispettata.

PRESIDENTE. Onorevole Garagnani, relativamente alla questione da lei posta in apertura del suo intervento, le ricordo che è prassi consolidata la possibilità per le Commissioni di essere convocate quando in Assemblea siano in corso discussioni sulle linee generali. Tuttavia, mi rendo perfettamente conto delle difficoltà che la sovrapposizione tra i lavori dell'Assemblea e quelli delle Commissioni comporta e sottoporrò, pertanto, la questione da lei prospettata all'attenzione del Presidente della Camera.

PIETRO FOLENA, Presidente della VII Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIETRO FOLENA, Presidente della VII Commissione. Signor Presidente, lei ha già precisato che vi è una prassi ed è bene ricordarlo. Tuttavia, vorrei aggiungere che non vi è stata alcuna convocazione della VII Commissione durante la discussione sulle linee generali in corso e che la convocazione della Commissione è sempre stata prevista al termine dei lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Affronti. Ne ha facoltà.

PAOLO AFFRONTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i deputati Popolari-UDEUR salutano con favore la conversione in legge del decreto-legge in materia di rifinanziamento della pubblica istruzione, così come hanno accolto favorevolmente, due settimane fa, la decretazione d'urgenza in tale settore.
Infatti, siamo certi, data l'esperienza maturata negli scorsi anni, che le disposizioni finanziarie previste dall'articolo 22, comma 7, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, che dettano la nuova disciplina per la composizione delle commissioni per gli esami di Stato, non tutelano i membri delle commissioni d'esame sotto l'aspetto remunerativo, essendo insufficiente il compenso corrisposto ai membri delle suddette commissioni.
Siamo ormai al quinto anno consecutivo in cui, alla vigilia degli esami di Stato o in pieno svolgimento degli stessi, come in questo caso, ci si accorge che la dotazione finanziaria prevista relativamente alla corresponsione dei compensi ai membri delle commissioni non è adeguata.
Infatti - come già riferito dalla relatrice, onorevole Sasso -, la legge finanziaria del 2002, dopo aver dettato una nuova disciplina, ha anche disposto il raddoppio del numero dei componenti delle commissioni, prevedendo appunto la costituzione di una commissione per ciascuna classe impegnata negli esami di Stato, al contrario del precedente dettato normativo, che prevedeva una commissione ogni due classi.
Come già più volte sottolineato nella scorsa legislatura all'allora maggioranza parlamentare di centrodestra, siamo convinti che quella dell'allora ministro dell'economia non fosse solo finanza creativa, ma fosse - come poi si è rivelata - una carenza evidente dal punto di vista finanziario. Infatti, nel disposto della prima legge finanziaria presentata dal secondo Governo Berlusconi, si specificava lo sdoppiamento delle commissioni esaminatrici, stabilendo inoltre che i compensi previsti si sarebbero dovuti erogare anche ai docenti delle scuole paritarie, senza prevedere aumenti dello stanziamento di bilancio, come sarebbe stato logico aspettarsi all'interno dello strumento principe che stabilisce trasferimenti e dotazioni, qual è appunto la legge finanziaria.Pag. 37
Nonostante la carenza fosse evidente fin dal primo anno di attuazione della nuova disciplina in materia, l'allora maggioranza non ha mai accettato - come purtroppo troppe volte è successo nella scorsa legislatura - di modificare i testi normativi ricorrendo ai disegni di legge, preferendo sempre lo strumento della decretazione d'urgenza da parte del Governo.
Infatti, sia nel 2002 sia nel 2003, sempre attraverso un decreto-legge, è stata aumentata la dotazione finanziaria per far fronte all'aumento di spese che la stessa legge finanziaria del 2002 prevedeva. Inoltre, confermata anche per gli anni 2004 e 2005 l'impossibilità di far fronte al fabbisogno effettivo, si era tentato più volte, su suggerimento degli uffici scolastici regionali, di inserire già nel disposto del disegno di legge finanziaria per gli anni 2005 e 2006 quanto effettivamente necessario per soddisfare le esigenze economiche già emerse con la disciplina introdotta nel 2001.
Concludendo, il nostro gruppo ritiene indispensabile - come più volte dichiarato dal ministro Fioroni a mezzo stampa nei giorni scorsi - voltare pagina sin dal prossimo e ormai imminente anno scolastico, aprendo in tempi brevi un ampio dibattito, sollecitato in questa sede da tutti i colleghi.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.

PAOLA GOISIS. Signor Presidente, il decreto-legge in discussione rientra nell'ambito di provvedimenti aventi carattere d'urgenza. Si può affermare politicamente che la Lega Nord non ha mai smesso di impegnarsi affinché in forma strutturale vi fossero stanziamenti di fondi adeguati e necessari al decollo di una politica scolastica responsabile. A solo titolo di esempio, la Lega Nord ha introdotto alcune novità nella legge finanziaria del 2002, in particolare l'incremento stipendiale degli insegnanti legato al tasso programmato di inflazione, ben conoscendo la condizione umiliante della classe docente, relegata, fino ad allora, agli ultimi posti in Europa per quanto concerne il riconoscimento economico.
Per quanto attiene il finanziamento della riforma Moratti, storicamente la Lega Nord ha presentato importanti iniziative, impegnando il precedente Governo a prevedere un controllo parlamentare sulla definizione del relativo piano finanziario. A questo proposito, si ricorda che la precedente maggioranza di Governo, per non gravare sul bilancio dello Stato, ha disposto che ciascuno dei decreti legislativi attuativi della riforma Moratti sia corredato da relazione tecnica e che quelli che determinano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica possano essere adottati solo dopo l'approvazione di un'apposita legge di spesa che stanzi le occorrenti risorse.
È stato altresì previsto che sui decreti legislativi sia espresso non solo il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, ma anche quello relativo alle conseguenze di carattere finanziario.
Tutto ciò premesso, ci auguriamo che questo Governo continui nell'azione di riforma introdotta dalla legge Moratti. Al di fuori dell'eccezionalità di un provvedimento che comunque ci vede favorevoli, nel merito avanziamo l'auspicio che alla scuola siano sempre riservati stanziamenti strutturali adeguati, ben consapevoli del valore intrinseco della funzione del docente, che si relaziona non con macchine, ma con persone nella cui formazione culturale ed umana il docente ha tanta parte e tanta responsabilità.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Aprea. Ne ha facoltà.

VALENTINA APREA. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, Forza Italia - come ha già avuto modo di dire l'onorevole Garagnani, capogruppo in Commissione - esprime un «sì» tecnico ad una modifica tecnica (aumento dei tetti di spesa per il pagamento delle commissioni per gli esami di Stato) ad una nostra legge relativa alla modifica della composizione delle commissioni per gli esami di Stato.Pag. 38
Si è giunti a ciò solo ora, onorevole Sasso, non già per disattenzione nei confronti dei docenti, tant'è vero che suppongo il ministro Fioroni abbia trovato il provvedimento già pronto sul proprio tavolo. Si tratta, infatti, di una modifica tecnica che avevamo già studiato anche con il ministro Moratti e che era giusto presentare alle Camere. Il problema era quello di trovare le modalità per giungere ad una modifica di tipo legislativo.
D'altra parte, non avete neanche stanziato risorse economiche fresche: il ministro dell'economia e delle finanze Padoa Schioppa o il ministro Fioroni non hanno trovato finanziamenti per la copertura del provvedimento.
Pertanto, nell'ambito di questo confronto sereno, almeno in ordine ai provvedimenti in esame, vi pregherei di essere onesti. Onesti siamo stati noi: vorremmo onestà anche da parte della relatrice, della maggioranza e del Governo. Non vi è stata né disattenzione né volontà di ignorare le difficoltà che i docenti incontrano quando si assumono questa responsabilità, essendo nominati membri di commissione d'esame.
Tuttavia, Forza Italia esprime grandi riserve proprio sulla copertura finanziaria, che utilizza in modo leggero e disinvolto fondi destinati alla valorizzazione dei docenti, quelli accantonati per il compenso dei docenti tutor. È proprio così!
Il ministro Moratti ha rispettato la non volontà delle forze sociali di destinare questi compensi alla funzione dei docenti tutor. Però, non si è mai sognata e non ha mai voluto toccare questi finanziamenti, ancorché - lo ripeto - ci sia stata una sorta di non volontà ad utilizzare questi soldi, proprio perché erano fondi destinati alla valorizzazione dei docenti. Mi si potrebbe rispondere che, in fondo, si tratta di un lavoro aggiuntivo svolto dai docenti e, quindi, sicuramente esso rientra in una sorta di compenso dovuto. Non c'è dubbio; tuttavia, vorrei sottolineare anche questo aspetto.
Tutto questo per quanto riguarda la natura del finanziamento. Naturalmente, pur sapendo che i fondi presi in considerazione potranno essere riassegnati con il nuovo esercizio finanziario, resta il dubbio che, anche attraverso questo atto, si sia voluta depotenziare la riforma Moratti. Questo, semmai, è l'aspetto che ci preoccupa di più. Nel primo caso, quindi, si tratta di una questione di stile: noi non abbiamo toccato i soldi per la valorizzazione dei docenti. Nel secondo caso, invece, si tratta di un attacco politico, perché, evidentemente, la funzione tutoriale non sembra godere di molta popolarità tra la maggioranza e, forse, anche tra i membri del Governo. Comunque lo vedremo.
Da questo punto di vista, Forza Italia annuncia un'opposizione dura e severa, senza sconti, se il Governo, con i prossimi atti, intenderà svolgere la propria azione all'insegna di quanto è stato già annunciato dal ministro, che mi auguro possa presto venire a riferire in quest'aula e, prima ancora, in Commissione (è prevista un'audizione questa settimana). Il ministro Fioroni ha avuto modo di dire che è meglio abrogare che riformare: credo si tratti di un programma di Governo veramente minimalista. Comunque vedremo nei fatti cosa ciò vorrà dire.
Preoccupano, infine, gli annunci del ministro e della maggioranza in merito al ripristino della vecchia strutturazione degli esami di Stato, che riporterebbe indietro le lancette dell'orologio della scuola italiana - devo supporre - almeno fino alle modifiche introdotte dall'allora ministro Berlinguer. Stiamo parlando di modifiche di dieci anni fa: correva l'anno 1997!
Siamo in grado di dimostrare, invece, anche qui stamane, nel corso di questo dibattito, che le nostre scelte, anche con riferimento agli esami di Stato, sono state improntate a modernizzare l'impianto del sistema educativo, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche e degli standard europei. Successivamente, dirò qualche altra cosa rispetto ai modelli ideali.
Ma perché riformare gli esami di Stato? Cosa colpisce l'opinione pubblica? In questi giorni si è già aperto un grande dibattito sui giornali. L'esame di questo provvedimento coincide con lo svolgimento Pag. 39degli esami e cogliamo l'occasione per rivolgere gli auguri a tutti i ragazzi impegnati in questo momento nelle prove. Sostanzialmente, colpiscono due elementi: la composizione della commissione e l'alta percentuale di promossi, dai quali si dedurrebbe che l'esame non è più serio. Questo è ciò che abbiamo letto sui giornali.
La prima considerazione è come far sì che questi esami siano seri. Chi vuole che questi esami siano seri? Cosa significa proporre una formula che garantisca serietà all'esame?
Prima di tutto, un po' di storia. Devo dirvi, purtroppo, che gli ultimi esami «seri» di questo paese ci furono nel 1925. Ci provò Mussolini, nel 1925, con un esame «fascistissimo» - si può dire? Non lo so - che produsse in prima sessione ben il 75 per cento di bocciati. Lo ripeto: 75 per cento di bocciati! Ma Mussolini, in piena dittatura totalitaria, dovette cedere alle proteste di piazza organizzate dai comitati dei padri di famiglia. In effetti, durante il fascismo l'uomo contava di più, ma dietro vi erano le mamme dei giovanotti e questi comitati ottennero in un batter d'occhio l'istituzione di ben tre sessioni riservate per recuperare i bocciati. Alla fine, i ragazzi bocciati risultarono solamente il 25 per cento dei candidati. Era il 1925.
Da quel fatidico anno le cose sono andate sempre «migliorando» - lo dico tra virgolette - per quanto riguarda l'esito finale con una progressione costante fino al 98 per cento di maturati dello scorso anno, ma con punte anche del 99,99 per cento registrate negli anni scorsi e, soprattutto, negli anni di applicazione della legge Berlinguer che aveva modificato gli esami di Stato apparentemente riportando rigore poiché era stato ripristinato l'esame su tutte le materie. In realtà, quella legge aveva introdotto un meccanismo pazzesco di crediti e di punteggi: come disse Vertecchi nel suo rapporto del 2000 - il monitoraggio venne effettuato a tre anni dall'entrata in vigore della legge - anche gli studenti che avevano conseguito insufficienze gravi agli scritti, alla fine, con il sistema dei punteggi, dei crediti e dell'esame orale, venivano promossi.

ANTONIO RUSCONI. È così anche adesso!

VALENTINA APREA. Infatti, onorevole Rusconi, ci sto arrivando.
Stiamo parlando delle modifiche della cosiddetta legge Berlinguer e di un unico aspetto preso in considerazione dal dibattito nazionale: la composizione delle commissioni. Ora spiegherò quali altri provvedimenti abbiamo adottato nei cinque anni - non entrati ancora in vigore - che vanno ad insistere sulle altre variabili dell'esame di Stato se vogliamo che quest'ultimo diventi una cosa seria; altrimenti, lasciamo che gli intellettuali, di sinistra e di destra, che hanno fatto gli esami negli anni Trenta possano avere nostalgia del loro esame e svolgere un ragionamento che, però, guarda al passato e non al futuro.
Troppe persone - soprattutto i nostri intellettuali, come dicevo - sognano un esame selettivo, severo, esigente, impegnativo, una specie di rito di iniziazione per la maturità e l'età adulta. Sognano un vero e proprio massacro di giovani sacrificati sull'altare del merito. Ovviamente, questo esame dovrebbe essere riservato ai figli degli altri, e qui mi fermo perché sapete benissimo qual è il comportamento che, mediamente, viene tenuto dalle famiglie italiane: per i nostri figli l'esame dovrebbe essere sempre comprensivo, tollerante, pieno di piccole attenzioni.
Al di là di queste battute, esistono cause e motivazioni tecniche per cui oggi non possiamo parlare di esami seri. Innanzitutto, programmi di esame impossibili su tutte le materie: solo gli ipocriti possono pensare che un ragazzo normale affronti con completezza, impegno e serietà un esame in cui gli si chiede poco meno che il contenuto di un'intera enciclopedia. Un manuale di storia della letteratura italiana dell'ultimo anno (Ottocento-Novecento) supera le 3 mila pagine. È paradossale che questo grave difetto del Pag. 40nostro esame sia evidente a tutti ma nessuno sia disposto a rinunciare al fasto, alla fashion delle conoscenze per la modestia di poche, obiettive e controllabili competenze. Questo è quanto avviene nel resto del mondo, soprattutto in Finlandia, paese al primo posto di tutte le graduatorie, europee ed internazionali, in materia di competenze essenziali degli studenti. Sono i migliori perché quei ragazzi studiano la lingua madre, matematica e scienze per molte ore ed in modo continuativo, con approfondimenti e con verifiche costanti che noi ci sogniamo. Noi vogliamo sentirci gratificati dai grandi programmi che chiediamo ai nostri ragazzi, dalle tante ore di studio, però poi i ragazzi non riescono neanche a dare quel minimo che sarebbe legittimo pretendere dopo 13 anni di studio. Ciò non avviene in nessun paese civile e democratico!
Inoltre, vi sono prove non obiettive, non pertinenti con il programma, non valutabili seriamente e, soprattutto, oggettivamente. A fronte di prove uniche, quelle del Ministero, la correzione è soggetta a criteri diversi, a valutazioni soggettive. Poi tutto si aggiusta con il colloquio su tutte le materie, come ha dimostrato uno scienziato come Vertecchi che si è accorto - ma non poteva accorgersene prima? - della facilità di promuovere anche chi non raggiunge la sufficienza nelle prove scritte aggiustando il voto dell'orale. Questa operazione - sostiene Vertecchi nel rapporto del 1999 - riguarda almeno il 25 per cento dei candidati; anche questo non avviene in alcun paese civile e democratico.
Quanto all'inversione delle prove, ho la fortuna di ricordare il dibattito che si svolse nel 1997 con la modifica degli esami di Stato; ebbene, rammento che già allora suggerimmo all'allora ministro Berlinguer di tenere conto che la modifica interveniva in un settore dell'ordinamento profondamente mutato a seguito del riconoscimento dell'autonomia delle istituzioni scolastiche. Quindi, osservammo che probabilmente le prove dovevano essere strutturate in modo differente e che dovevano esserci prove di istituto e prove nazionali. Peccato che poi alla fine si decise di assegnare alle scuole la prova che, invece, avrebbe avuto senso solo a livello nazionale ovvero quella strutturata!
Dunque, noi adesso abbiamo affidato ai commissari interni la confezione della prova potenzialmente obiettiva e strutturata - per il momento, però, poiché, al riguardo, una modifica che non si è ancora sperimentata è recata da un provvedimento da noi proposto - e al Ministero, e anzi al ministro di turno, le prove che strutturalmente non possono essere corrette secondo i criteri universalmente condivisi dalla docimologia: oggettività, validità, pertinenza, fedeltà. In sostanza, quella che oggi si chiama la terza prova dovrebbe essere davvero nazionale, e non il solito tema che, tra l'altro, come si sa, è difficile anche da valutare, e via dicendo.
Quanto all'esclusione delle prove pratiche, si tratta di un'altra causa tecnica; in omaggio alla liceizzazione, tutte le prove, anche quelle degli istituti tecnici e professionali, sono di tipo teorico o meglio mnemonico. Persino l'educazione fisica viene piegata ad essere materia che si apprende sui libri e la cui conoscenza viene valutata in base all'apprendimento dei testi.
Dunque, si tratta di un'occasione perduta? L'attuale Governo, attraverso il ministro Fioroni, si appresta a varare la sua riforma dell'esame, a cominciare dalla reintroduzione delle commissioni miste? Ebbene, non voglio essere offensiva, ma osservo in senso tecnico la stupidità di tale esame. Come rileva il grande storico Cipolla, lo Stato danneggia gli alunni e gli insegnanti senza averne alcun vantaggio in termini di prestigio e fiducia. Si è scelta una strada che dovrebbe, secondo il ministro Fioroni ed i vari intellettuali, reintrodurre la serietà. Ma la questione della composizione delle commissioni è vecchia quanto la scuola italiana; ribadisco che è una delle tante variabili, ma è vecchia quanto la scuola italiana. All'inizio, erano formate dagli insegnanti universitari, poi da insegnanti di altre classi della stessa scuola; Gentile, la voleva tutta di esterni, con gli «universitari» in maggioranza e con un solo commissario interno; Bottai Pag. 41rivendicò una giuria composta dai giudici naturali, ovvero dagli insegnanti dei ragazzi; quindi, si tornò alla commissione tutta esterna, con il commissario interno in funzione di consigliere e avvocato difensore. Alla fine, il 1968 inventò la commissione mista, ma le materie vennero ridotte all'osso e quelle orali furono scelte dal candidato.
Comunque, nonostante tutto questo lavorio riformistico, i candidati continuavano ad essere promossi sempre più in massa. In realtà, la commissione mista che probabilmente vi accingete a ripristinare non ha nulla a che fare con la serietà dell'esame; mi basterebbe mandare questo messaggio, oggi, in questo dibattito. Una sola ragione, forse, vi spinge a premere l'acceleratore della riforma e risiede nella circostanza che la riforma, per così esprimermi, dice a nuora perché suocera intenda. In altri termini, essa viene proposta per fare dispetto alle scuola paritarie che, secondo una concezione diffusa - soprattutto tra gli intellettuali «giardinieri», come osserverebbe il sociologo Baumann - sarebbero l'erba selvaggia da estirpare dal giardino fiorito della scuola tutta statale. Tale pregiudizio non considera, invece, che le commissioni miste non hanno mai corretto o limitato i difetti di un'esame come il nostro e, quindi, sarebbero una falsa soluzione; costerebbero ancora di più dell'attuale esame, nonostante gli aumenti che oggi stanziamo, oltre tre volte il costo attuale; rischierebbero di restare sulla carta - nel 1998 il 40 per cento dei commissari esterni era scelto tra volenterosi supplenti iscritti in appositi elenchi che i CSA, ex provveditorati, tenevano a disposizione per la bisogna -; ricreerebbero situazioni imbarazzanti e dannose per i candidati, data la perfetta fungibilità del commissario esterno.
Ma vi prego! Premesso che so di parlare, almeno in parte, a deputati consapevoli di ciò che sto per dire, ecco l'insegnante di inglese del classico, la quale insegna cultura inglese, che si arrabatta a chiedere qualcosa di inglese commerciale in una scuola per ragionieri, o l'insegnante di sociologia che interroga in ragioneria, o l'insegnante di greco che pretende di colloquiare sul XX canto della Divina Commedia in un istituto professionale: è la festa dell'ipocrisia e dell'arrangiarsi! Già visto!
Infine, queste commissioni riprodurrebbero conflitti e contenziosi su tutto: criteri di valutazione, modalità di conduzione del colloquio, scelta delle prove, orali, rimborsi spese, calcolo delle missioni.
Per la verità, nessuno di questi commissari esterni, che dovrebbero essere la panacea di un esame ormai «bollito», sono veri esaminatori - questo è il punto! -, ma semplicemente insegnanti di altre scuole presi a caso, spesso non soltanto esterni, ma anche estranei al contesto che devono valutare (come ho cercato di dimostrare). Tra l'altro, non ha mai suscitato scandalo la decisione di introdurre, con riferimento all'esame di Stato della scuola media, la commissione tutta interna (nemmeno ora tale decisione viene messa in discussione).
Comunque, voglio essere costruttiva. Per il tipo di responsabilità che ha ricoperto, nell'ambito della maggioranza, nella precedente legislatura, Forza Italia vuole porre le premesse per un dialogo corretto, per un confronto corretto. Allora, non è vero, com'è stato detto in questi giorni (l'affermazione è stata ripresa dalla stampa), che l'unica riforma approvata dal Governo Berlusconi nella precedente legislatura abbia riguardato le commissioni, le commissioni interne: altri interventi modificano notevolmente il vecchio esame di Stato mantenendo la commissione interna, che è rispettosa, a nostro giudizio, dell'autonomia delle istituzioni scolastiche (vale a dire, dell'interpretazione che le scuole danno al proprio progetto educativo e, quindi, della flessibilità che, peraltro, viene loro riconosciuta).
Quali sono, secondo noi, le modifiche che andrebbero sperimentate prima di modificare la composizione della commissione d'esame (non l'esame di Stato, ma la commissione dell'esame di Stato)? Innanzitutto, viene in rilievo la disposizione contenuta nell'articolo 13, comma 4, del Pag. 42decreto legislativo n. 226 del 2005 (che, come sapete, è relativo al secondo ciclo di riforma della scuola superiore). Il comma in parola recita: «Al termine del quinto anno sono ammessi all'esame di Stato gli studenti valutati positivamente nell'apposito scrutinio». Come accennava l'onorevole Garagnani, la norma reintroduce lo scrutinio di ammissione malauguratamente cancellato dalla cosiddetta legge Berlinguer del 1997, l'unico vero strumento di selezione in mano al consiglio di classe: esso impediva che andassero agli esami quelli che si ispiravano al principio del «O la va o la spacca!».

ALBA SASSO, Relatore. E perché non l'avete modificato?

VALENTINA APREA. Adesso tutti vanno all'esame di Stato!
Se parliamo di serietà, un elemento che noi abbiamo previsto nel decreto sul secondo ciclo è la reintroduzione dello scrutinio di ammissione (prima selezione). Al riguardo, desidero sottolineare un dato storico: nel 1998, la percentuale dei non ammessi era almeno del 6 o 7 per cento. Ebbene, nessuno dice che l'esame inaugurato nel 1999 portò i promossi, con grande ira di Berlinguer, dal 92 al 97 per cento dei candidati: il salto fu più ampio in considerazione del fatto che non vi era più quel 6 per cento che, l'anno prima, veniva «fermato» dai consigli di classe. Insomma, una vera pacchia per un esame che lo stesso ministro (sempre Berlinguer) avrebbe voluto più rigoroso, impegnativo e severo del precedente.
La seconda disposizione che viene in rilievo è quella contenuta nell'articolo 14, comma 5, del citato decreto legislativo n. 226 del 2005, che recita: «I candidati esterni sono ripartiti tra le diverse commissioni degli istituti statali e paritari ed il loro numero massimo non può superare il cinquanta per cento dei candidati interni; nel caso non vi sia la possibilità di assegnare i candidati esterni alle predette commissioni, possono essere costituite, soltanto presso gli istituti statali, commissioni apposite». Questa è un'altra norma che limita ad un livello controllabile la corsa dei privatisti a sostenere gli esami nelle scuole paritarie. Ancorché bloccata, in questa sessione, dai ricorsi amministrativi (in quanto inserita in un decreto che non è ancora entrato in vigore), la norma può rispondere anche alle riserve - legittime od illegittime - che, magari, parti della nuova maggioranza o del Governo hanno nei confronti delle scuole paritarie.
Un'altra questione importante è relativa all'articolo 14, comma 1, che introduce, per la prima volta - sempre nel decreto legislativo relativo al secondo ciclo - nella struttura dell'esame di Stato una specificità esclusa da tutte le leggi precedenti - in modo particolare dalla legge n. 425 del 1997, meglio nota come riforma Berlinguer -: la possibilità di sostenere prove anche laboratoriali. Quindi, nel decreto relativo al secondo ciclo, con riferimento all'esame di Stato, è presente tale riferimento alla possibilità di sostenere prove laboratoriali per i licei ad indirizzo, dando pertinenza e significatività al rapporto tra il curriculum di studi, ossia ciò che si apprende, e la valutazione finale delle competenze, ossia ciò che si sa fare. Si tratta di un altro aspetto che si potrebbe sperimentare.
Infine vi è la disposizione, sempre del decreto relativo al secondo ciclo, contenuta nell'articolo 14, comma 3, che recita: «(...) sono altresì ammessi all'esame di Stato, nella sessione dello stesso anno, gli studenti del penultimo anno del corso di studi che nello scrutinio finale del primo periodo biennale abbiano riportato una votazione non inferiore alla media di sette decimi e nello scrutinio finale del secondo periodo biennale una valutazione non inferiore agli otto decimi in ciascuna disciplina, ferma restando la particolare disciplina concernente la valutazione dell'insegnamento di educazione fisica (...)», che frena il cattivo uso che alcune scuole, anche paritarie - in base a quanto contenuto nel rapporto che il ministro Moratti ha presentato alla Commissione cultura - hanno fatto della media dell'otto - si tratta degli «ottisti» famosi: ve ne ricordate? Ne abbiamo parlato in Commissione -, per Pag. 43anticipare l'esame a diciotto anni, anziché sostenerlo a diciannove. La commissione, tutta interna, magari avrà anche incentivato tale malcostume. La norma che abbiamo previsto rimanda all'obbligo di ottenere la media del sette in seconda e la media dell'otto in quarta; quindi, l'operazione truffaldina risulta quasi impossibile. Nessuno vi aveva mai pensato prima. Credo che ciò che è emerso da una serie approfondimenti e confronti che abbiamo svolto è un altro di quegli aspetti buoni che potreste salvare nella modifica degli esami di Stato. Queste sono le norme che vanno a modificare complessivamente l'esame di Stato.
Vi sono ancora tre questioni, le ultime, che voglio segnalare alla vostra attenzione. Su ciò, signor Presidente, mi piacerebbe aprire un dibattito in Commissione con il ministro competente.
Anzitutto vi è la questione che riguarda le prove d'esame e la corrispondenza dei criteri della certificazione delle competenze agli standard europei. L'Italia ha adottato Europass, insieme a tutti gli altri Stati europei. Ciò significa che noi possiamo dire ciò che vogliamo nelle nostre scuole, dare i voti che vogliamo negli esami di Stato, ma alla fine i ragazzi, per vivere pienamente la propria cittadinanza europea, la mobilità europea e sentirsi lavoratori dell'Europa dovranno dimostrare di possedere le competenze che sono state individuate quali assolutamente necessarie per essere cittadini europei, rispetto alle qualifiche professionali, alle professioni ed a tutto l'ampio e vasto mercato del lavoro. È su ciò che ci dobbiamo confrontare! Non basta dire: si chiama la commissione esterna e si fa attribuire a tutti il massimo dei voti, se successivamente a tali voti non corrisponde un determinato tipo di competenze certificabili e riconoscibili, a livello regionale per alcuni mestieri e nazionale per altri, ma sopratutto europeo ed internazionale, stiamo solo prendendo in giro i nostri ragazzi! Su ciò dobbiamo aprire il nostro confronto.
Vi è, poi, il nuovo ruolo dell'Invalsi; il superamento del ministro nel ruolo di insegnante, commissario, «seminatore d'Italia», di tutti ragazzi d'Italia! Lo stato educatore di Mussolini è finito! Probabilmente, è proprio la sinistra che vuole farlo vivere e rivivere con le predette scelte.
Abbiamo bisogno che l'Invalsi, l'Istituto nazionale di valutazione, si faccia carico delle prove strutturate finali. Quindi, non si tratta più di prove autoreferenziali e ministeriali, sottoposte al ministro e mandate alle scuole.
Abbiamo bisogno, proprio per svolgere il nostro ruolo di paese europeo che cerca il confronto internazionale, di sdrammatizzare - se volete - questo appuntamento, di rendere più laiche le prove mirandole e centrandole maggiormente sulle competenze.
L'Italia è ancora uno dei due paesi al mondo, l'altro è la Francia, in cui il ministro - come fece per la prima volta Gentile nel 1925 - sceglie le prove d'esame. La scelta di Gentile almeno era motivata dalla sua concezione dello Stato educatore, di cui il ministro era ed è la personificazione, ma aveva anche una ragione razionale, anzi due: una rispetto al numero di alunni che sostenevano gli esami di Stato e l'altra rispetto al tipo di cultura dei professori e di quella scuola. Ho parlato di numero degli alunni poiché, ovviamente, si trattava di una scuola di élite, quindi coloro che sostenevano l'esame di Stato erano pochi e selezionati - allora sì che vi era davvero una selezione per tutti gli anni, non soltanto quella grave, gravissima che vi è oggi al primo ed al secondo anno -. Come ripeto, si trattava di una scuola di élite, nell'ambito della quale contavano prevalentemente i licei classici. D'altra parte, Gentile, come tutti i ministri usciti dai licei e dalle università di allora, era perfettamente in grado di controllare le prove di un curricolo in fondo caratterizzato dalla cultura estetico-letteraria, con qualche aggiunta di cultura generale.
Attualmente l'esame riguarda anche i tecnici-professionali e 670 corsi, prove d'esame, vengono tutti gli anni autorizzati dal ministero; quindi quale ministro oggi può avere la pretesa, decisamente comica, Pag. 44di abbracciare curricoli che solo per la seconda prova esigono la conoscenza di almeno 500 materie specialistiche? Perché dobbiamo mantenere questo rito?
Dunque, ecco l'importanza di recuperare anche un altro aspetto che abbiamo introdotto sempre a modifica dell'esame di Stato; mi riferisco cioè alle prove organizzate dalle commissioni di esame su prove predisposte e gestite dall'Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione, sulla base degli obiettivi specifici di apprendimento del corso in relazione alle discipline di insegnamento dell'ultimo anno.
È questo quello che abbiamo fatto, mentre il Governo, invece di alimentare la solita ipocrisia di massa a cui ha chiamato a collaborare gli intellettuali - non so se lo ha fatto, ma gli stessi interessati lo avranno fatto spontaneamente - che, come dicevo, hanno sostenuto l'esame negli anni Trenta, dovrebbe utilizzare il tempo e le opportunità offerte dalla legislazione attuale per iniziare una vera e propria rivoluzione nell'organizzazione dell'esame finale di Stato del secondo ciclo!

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Aprea.

VALENTINA APREA. Insomma, per tutte queste ragioni, il nostro modello ha fatto riferimento - appare evidente - all'autonomia delle scuole, all'Europa e, soprattutto sul piano ideale ma non solo, al pensiero politico di don Sturzo. Egli, negli anni Cinquanta, affermava che, secondo i propri ideali, ogni scuola, qualunque sia l'ente che la mantenga, deve poter dare i sui diplomi non in nome della Repubblica, ma in nome della propria autorità. Dicendo questo, si riferiva sia alla scuoletta elementare di Pachino o di Tradate sia all'università di Padova o di Bologna.

PRESIDENTE. Onorevole, per favore...

VALENTINA APREA. Il titolo vale la scuola se quest'ultima ha una fama riconosciuta, una tradizione rispettabile: come ripeto, egli parlava negli anni Cinquanta.
Insomma, il nostro modello si ispira a tutto questo: voi a cosa vi ispirate? Dalle dichiarazioni del ministro e della maggioranza sembrerebbe che finora vi stiate ispirando ad una scuola del passato, non ancora di massa, ottusamente gentiliana, più fascista che democratica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rusconi. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUSCONI. Signora Presidente, onorevole sottosegretaria, colleghi, interverrò a nome dei componenti del gruppo dell'Ulivo in Commissione cultura e devo premettere che parlerò anche come docente tuttora in ruolo, perché ritengo che chi ha lavorato nel mondo della scuola conosce la concreta necessità di adottare con urgenza un provvedimento rispetto al finanziamento delle risorse sugli esami di Stato che stanno ultimando, dopo le prove scritte, le loro ultime fasi.
Mi si conceda una punta di sarcasmo: sarebbe opportuno che il Parlamento approvasse questo provvedimento prima della fine degli esami di maturità. Devo invece manifestare incredibile stupore per l'intervento svolto dall'onorevole Valentina Aprea che ci ha segnalato in un lungo - sicuramente eccessivo, visto che ha superato il tempo che le era consentito - intervento tutti i mali della scuola italiana, dimenticando però che fino a maggio 2006 lei era sottosegretario all'istruzione di questa stessa scuola italiana e, come tale, avrebbe dovuto e potuto magari accorgersi prima di questi errori e avrebbe dovuto e potuto proporre ai colleghi, che come me e come l'onorevole Alba Sasso erano in Commissione cultura, come rimediare ad essi.

VALENTINA APREA. Ma l'ho proposto...!

ANTONIO RUSCONI. Lo dico perché, anche qui senza voler fare polemica, ritengo che chi ama la scuola abbia il dovere di dare un di più di serenità. Oggi, forse, Pag. 45possiamo dare un di più di serenità dopo l'esito del referendum di ieri e dell'altro ieri proprio perché adesso sono chiari due aspetti. Innanzitutto il riferimento di valutazione sarà la cosiddetta legge Moratti - la legge n. 53 in caso di approvazione delle modifiche alla Costituzione doveva essere comunque rivista - e, soprattutto, abbiamo evitato allo Stato italiano un inutile costo di burocrazia, come ben ha evidenziato in numerosi interventi Galli Della Loggia. In particolare, avremmo evitato sia il male derivante dalla frammentazione culturale italiana sia l'assurdità di venti sistemi scolastici a fronte di quello che l'onorevole Garagnani ha opportunamente definito come l'unico sistema scolastico pubblico.
Invito i colleghi a leggere compiutamente don Sturzo. Io ho avuto la fortuna di avere un grande maestro come docente, il professor Rumi, che mi ha fatto amare don Sturzo il quale sosteneva che la scuola italiana ha unito questo paese e che essa non ha nulla a che fare - e dico ciò il giorno dopo l'esito del referendum che ha evitato di dividere il paese - con un sistema di autonomie locali cui si attribuiva un ruolo basato su un'idea di federalismo fatto per rompere: un patto che divide e non unisce. Non solo, ma noi abbiamo evitato con l'esito del referendum che entrassero in crisi i diritti della persona e, quindi, la prima parte della Costituzione, cui ha fatto riferimento l'onorevole Garagnani, ovvero gli articoli 32, 33 e 34 che riguardano la salute e l'istruzione che sono la garanzia data dalla Costituzione dei padri costituenti a tutti i cittadini italiani.
Dicevo che occorre restituire serenità alla scuola. A questo riguardo, riflettevo su alcune osservazioni fatte sugli emendamenti presentati al provvedimento su come trovare i finanziamenti e su alcune critiche emerse nel corso delle sedute della Commissione di merito.
Con la scelta compiuta con questo provvedimento non si vuole oggi discutere il ruolo del tutor; non ci sono cioè volontà abrogative di fare in fretta, come peraltro fu fatto per la legge n. 30 da parte del precedente Governo. Oggi giustamente non si chiede nessuna vendetta verso la legge Moratti, tranne poi dimenticare che la stessa cosa fu fatta in pochi giorni per la cosiddetta legge Berlinguer che era già in vigore.

GUGLIELMO ROSITANI. Ma quella non era completa!

ANTONIO RUSCONI. In realtà, il problema è dove trovare in pochi giorni risorse adeguate se non all'interno del mondo della scuola, mentre i vari ministeri stanno ancora verificando la situazione degli impegni economici assunti dal precedente Governo.
Devo ringraziare gran parte della minoranza per l'atteggiamento positivo tenuto in Commissione e, in particolare, l'onorevole Aprea per aver preannunciato, sempre in quella sede, il voto favorevole su questo provvedimento. Rimane il problema di trovare le risorse anche per gli anni precedenti. Il mondo dei docenti attende risposte concrete.
Penso - mi rivolgo ora ai colleghi della maggioranza - che il nostro impegno rispetto al programma presentato ed enunciato dal Presidente Prodi e dall'Unione debba essere di grande coerenza, soprattutto quando riafferma la necessità di dare un ruolo centrale agli insegnanti, la cui professione riveste una importanza strategica per il paese, e l'impegno a rendere l'insegnamento una scelta appetibile per i migliori talenti, uomini e donne, cosicché la qualità della scuola possa beneficiare della loro formazione e qualificazione. Altrove, si evidenzia come non c'è processo di riforma del sistema educativo - questo è l'errore della riforma contenuta nella legge n. 53 del 2003 - se non c'è coinvolgimento degli insegnanti che ne condividano progetto e percorsi. Quindi, sono necessarie politiche di valorizzazione della professionalità di coloro che operano nella scuola, per restituire loro la dignità e il senso di una professione strategica per il paese. Lo stato di forte disagio in cui versa il mondo della scuola deriva anche dal disconoscimento e dalla sottovalutazione Pag. 46della funzione e dell'autorevolezza sociale degli insegnanti. Non sono possibili riforme senza che i destinatari ne siano anche protagonisti, non si fanno buone riforme nonostante gli insegnanti.
Dico all'onorevole Garagnani, senza polemiche, che noi ci siamo impegnati nel nostro programma con gli insegnanti italiani per la loro valorizzazione perché siamo orgogliosi di quanto essi hanno fatto in questi anni, nonostante la politica e nonostante le leggi del Governo. Lo devo rivendicare, e non è una scelta, diciamo così, di lobby, di professione: ritengo che la scuola italiana sia una scuola valida e sarebbe assurdo affermare il contrario.
Infine, nello spirito di restituire serenità al mondo della scuola, a cinque anni dalla riforma degli esami di maturità, e seguendo il percorso che la democrazia parlamentare prevede - ho molto apprezzato l'intervento di insediamento del Presidente Napolitano, quando ha rivendicato il ruolo centrale e fondamentale del Parlamento -, penso che, dopo cinque anni di sperimentazione del nuovo esame di Stato, la VII Commissione, il Parlamento, il ministro Fioroni ed il Governo debbano svolgere una riflessione attenta ed una verifica di questa scelta, proposta nel novembre 2001 insieme alla legge finanziaria, votata il 28 dicembre 2001, e motivata, da un punto di vista didattico, da una circolare successiva. Infatti, lo schema era: prima togliamo i soldi in bilancio, poi andiamo a spiegare perché quei soldi non servono più.
Onorevole Aprea, non partirò dal 1925 perché l'età non me lo consente e il periodo non mi è di grande riferimento culturale. Almeno questo penso lo condivida.

VALENTINA APREA. È la storia del paese! L'esame di Stato nacque allora: non l'ho scelto io quel periodo.

ANTONIO RUSCONI. Onorevole Aprea, penso che tutti e due gli schieramenti presenti in Parlamento dovrebbero affermare che, per la democrazia del paese, da quel periodo abbiamo poco da imparare e poco da citare.

VALENTINA APREA. Lo penso anch'io.

ANTONIO RUSCONI. Sono contento che su questo sia d'accordo.
L'unico criterio che ho osservato in questi cinque anni e che mi è parso palese è stato il criterio del risparmio. C'era una sintonia, un criterio ragionieristico: il taglio delle supplenze e le 18 ore, con il taglio delle ore a disposizione. Secondo questo criterio ragionieristico, per cui il ministro Tremonti ogni tanto rischiava di assumere il ruolo di vero ministro dell'istruzione, si comprendeva chiaramente il perché si passava a questi esami di Stato solo con insegnanti interni. Io ho una valutazione che viene dalla mia esperienza di docente che ha fatto l'esame di Stato. Il mio dubbio è: didatticamente è valido e opportuno che gli stessi insegnanti, dopo un minimo di tre anni che esaminano gli stessi alunni, diano una valutazione - e dopo un'ulteriore prova, che in che modo debba essere diversa da quella stessa valutazione che hanno dato per tre anni riesce difficile da capire -, mantenendo il valore legale del voto?
Allora, cosa significa e cosa c'entra il modernizzare con questo? L'avete detto anche fino all'altro giorno, e il paese vi ha risposto chiaramente con un voto di democrazia. Cosa c'entra il modernizzare col fare gli esami di Stato con gli stessi insegnanti che hanno avuto gli stessi alunni minimo per tre anni? Vuol dire che ripeteranno le stesse valutazioni, con un rischio che è evidente in questi anni: una gara fra le stesse classi, magari dello stesso istituto, a cercare di dare le valutazioni più alte, affinché sembri, ad esempio, che un gruppo di insegnanti è più valido rispetto ad un altro. In più, c'è un altro fatto: in Commissione ho chiesto all'onorevole Aprea se l'importante obiettivo di risparmiare fosse stato calcolato bene, perché in realtà abbiano avuto, in questi anni, una commissione per ogni classe e non ogni due classi, come avveniva precedentemente. Sarebbe interessante - lo dico al sottosegretario anche ai fini della valutazione che la Commissione farà nei prossimi mesi - capire se questo tentativo Pag. 47di risparmio, oltre ad essere, a mio modesto parere, didatticamente negativo, non ha portato neppure a quella che era l'ambizione, cioè ridurre i costi degli esami di Stato.
Io penso che il ministro Fioroni non abbia fatto un'esternazione, ma abbia ripetuto quanto è contenuto nel programma dell'Unione. Questo era un programma pubblico e il centrodestra ha più volte evidenziato, con un sarcasmo incomprensibile, le sue 281 pagine, di cui una quindicina dedicate alla scuola; a nostro parere, il mondo della scuola ha diritto ad una serietà di approfondimento che meritava almeno quindici pagine e in queste c'è tale serietà, da parte del programma dell'Unione. Quindi, non vedo quale sia il problema dell'esternazione del ministro Fioroni e del passaggio all'esame di maturità riportando una parte della commissione ad essere esterna, per una valutazione più oggettiva e più obiettiva degli alunni. Allora, cosa c'entri questo con il modernizzare o con il guardare indietro è una valutazione di tipo didattico, rispetto alla quale penso ci sia spazio, anche in Commissione, per una riflessione e per un dibattito di vera democrazia. Quindi, da parte nostra, è opportuno al più presto portare avanti una riflessione al fine di pervenire ad una proposta condivisa ed aperta ai contributi che verranno da tutti i componenti della Commissione e, successivamente, da tutto il Parlamento.
Vedete, onorevoli colleghi, oggi iniziamo l'esame di un provvedimento - che probabilmente approveremo, mi auguro all'unanimità, nella seduta di domani - che sana una parte del passato, poiché gli esami di Stato di quest'anno sono già iniziati. Tale provvedimento, inoltre, non sana totalmente una parte della situazione pregressa: pertanto, e mi rivolgo all'onorevole sottosegretario di Stato, dovremmo reperire risorse finanziarie anche per gli anni precedenti, nei quali non erano previsti adeguati stanziamenti per i compensi dei membri delle commissioni.
In realtà, considerando le difficoltà economiche in cui vive l'Italia, che nessuno vuole nascondere o strumentalizzare, la domanda più seria che dobbiamo porci è se la scuola rappresenti una priorità per questo paese, vale a dire un investimento per il futuro. Questo, allora, potrebbe essere quel primo piccolo ed indispensabile segnale che è necessario lanciare, al fine di restituire orgoglio e dignità al mondo della scuola e ringraziare, per l'impegno continuo, tutti i soggetti (dirigenti scolastici, docenti ed ausiliari) che, comunque, offrono un contributo generoso di competenza e di passione a tale settore.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Del Bue. Ne ha facoltà.

MAURO DEL BUE. Signor Presidente, quando si ha di fronte un disegno di legge di conversione di un decreto-legge largamente condiviso, perché ritenuto necessario da tutte le forze politiche, in un sistema falsamente bipolare, nel quale vengono sempre esaltate le differenze e viene marcato il conflitto, si tende naturalmente ad «allargare il tiro», per approfondire tale provvedimento nell'ambito di un contesto che richiede una discussione più complessiva. Si tratta, in questo caso, della riforma della scuola e degli esami di maturità.
Innanzitutto, penso sia giusto attenersi al provvedimento legislativo in esame per sottolineare come, in questa fase di passaggio di consegne tra un Governo ed un altro, l'attuale esecutivo abbia varato giustamente il presente decreto-legge, così come avrebbe fatto un Governo di colore diverso. Riteniamo doveroso sottolineare, quindi, questo elemento di consenso generale, alla luce di tale valutazione oggettiva dei fatti, per spendere poche parole in ordine alla questione più generale della riforma della scuola e degli esami di maturità; reputiamo altresì doveroso affrontare, con riferimento al provvedimento in esame, alcune questioni particolari, soprattutto per ciò che riguarda - come ha precedentemente sottolineato, a mio avviso con correttezza, l'onorevole Aprea - il reperimento delle necessarie risorse finanziarie.
Senza andare troppo indietro nel tempo, basterebbe pensare alla mia generazione, Pag. 48quando nei licei, alla fine degli anni Sessanta, rivendicavamo una riforma della scuola volta a superare il vecchio ordinamento, voluto da Gentile durante gli anni del fascismo. In fondo, se ci pensiamo bene, in questo dopoguerra (e sono passati tantissimi anni, oltre sessanta, dalla Liberazione ad oggi) l'unica riforma organica del sistema educativo italiano è stata quella voluta, sotto il precedente Governo, dal ministro Moratti.
Di tale ministro si può pensare tutto il bene o tutto il male che si vuole, ma non si può non registrare questo elemento, vale a dire come l'unica riforma organica del sistema educativo di questi decenni - la cui mancanza è stata sottolineata, paradossalmente, proprio dai grandi movimenti di protesta degli anni Sessanta e Settanta e dagli studenti, tra i quali allora vi era chi vi parla - sia stata proprio il citato provvedimento adottato dal precedente Governo.
Su questo punto, allora, attendo che il Governo in carica pronunci al più presto una parola chiara; vorrei, cioè, che rispondesse al seguente interrogativo: qual è, concretamente, la sua posizione in merito alla riforma Moratti? In altri termini, desidero sapere quali sono le parti che l'esecutivo intende modificare, se è vero, come ha sostenuto più volte Prodi in televisione, che, rispetto alle leggi approvate dal Governo Berlusconi, egli userà non la tecnica «della ruspa», ma quella «del cacciavite» (modificandone, quindi, solo alcune parti).
Ebbene, noi attendiamo una risposta dal Governo - magari non oggi, ma al più presto - che ci dica con chiarezza, visto che sono state sospese le sperimentazioni previste dalla legge, qual è la sua opinione in merito a questa legge, quali parti intende cambiare, per quali ragioni intende cambiarle, aprendo così un dibattito nella Commissione cultura - presieduta dall'onorevole Folena e della quale faccio parte - e, più in generale, in quest'aula.
Per quanto riguarda la questione dell'esame di maturità, paradossalmente in Italia non si è mai riformata la scuola secondaria e primaria, mentre si è riformato quasi sempre l'esame di maturità: quando non si sa cosa fare, in questo paese si cambia l'esame di maturità. Io ho fatto la maturità classica nel 1971 e ricordo benissimo che allora l'orale si svolgeva sulla base di due materie: una scelta dallo studente e l'altra dalla commissione, con commissari tutti esterni, tranne un commissario interno. Poi si è cambiato, si è ritornati all'antico e si sono discusse tutte le materie con commissari tutti interni; adesso si parla di riformare ulteriormente questo esame, in particolare la commissione, introducendo commissari misti, in parte interni e in parte esterni.
Mi chiedo se si voglia davvero procedere ancora a riformare un esame anziché riformare la scuola, perché penso che l'esame sia un elemento - vorrei usare un termine desueto - sovrastrutturale rispetto alla struttura scolastica, all'ordinamento scolastico, alla vita di una scuola, dove prevalenti devono essere gli studenti, gli insegnanti, le materie da insegnare, i metodi di insegnamento, la capacità di apprendimento, i testi, e non questo momento di pathos, in cui uno studente deve rivelare la propria onniscienza attraverso un esame: meglio se con una commissione composta da commissari che conoscono lo studente, peggio se, invece, tale commissione è composta da commissari esterni che vedono lo studente per la prima volta.
Quindi, non valuterei positivamente questa ulteriore modifica dell'esame di maturità: in primo luogo, perché non sono d'accordo che si continui a modificare l'esame di maturità anziché la scuola; in secondo luogo, perché, se volessimo introdurre ancora i commissari esterni, si tratterebbe di tornare indietro. Io sono contrario in linea di principio all'esame di maturità, ma, se questo proprio deve esserci, almeno che non sia un elemento di selezione in mano a persone che non conoscono gli studenti ed una prova del fuoco a cui lo studente viene costretto, ma un bilancio di un ciclo di studi fatto dagli stessi insegnanti che hanno avuto uno studente come allievo nel corso degli stessi Pag. 49anni: questo mi sembra più logico, più giusto, più equo nei confronti dell'intera popolazione studentesca.
Sul decreto in oggetto non ho molto da aggiungere a quanto già è stato sottolineato da chi mi ha preceduto, se non che si tratta di un provvedimento che corrisponde ad un fabbisogno che non era stato stimato tale quando sono entrate in vigore le normative che, appunto, hanno introdotto una commissione di esame ogni classe al posto di una commissione d'esame ogni due classi. La spesa prevista era di 40 milioni di euro nel 2002, poi portata a 68 milioni di euro dal decreto-legge n. 25 dell'ottobre 2002, a 84 milioni di euro nel 2003 e, oggi, a 103,151 milioni di euro per corrispondere al pregresso, al passato, cioè al 2006, agli esami che, di fatto, si stanno effettuando e ai commissari d'esame che in questo momento stanno svolgendo gli esami in tutta Italia.
Si è obiettato che il reperimento di queste risorse va ad intaccare un punto nevralgico della normativa vigente, quello che riguarda i tutor dei docenti. Su questo punto vorremmo capire cosa pensa il Governo. Vorremmo cioè capire se intende abolire la figura dei tutor per i docenti, dal cui capitolo di spesa vengono sottratte le risorse. Infatti, queste risorse vengono reperite da tale capitolo di spesa per essere destinate alle finalità del provvedimento in esame, come ha giustamente sottolineato l'altro giorno l'onorevole Alba Sasso nella sua preziosa relazione in Commissione cultura. Resta dunque l'interrogativo di come finanziare questo capitolo di spesa, che prevede l'istituzione della figura dei tutor per i docenti. Oppure il Governo, attraverso il reperimento delle risorse per questo provvedimento proprio in quel capitolo di spesa, pensa invece di abolire per il futuro questa figura?
Questi sono gli interrogativi, a cui spero il Governo possa già da oggi fornire una qualche risposta. Queste sono le considerazioni che ho voluto svolgere a nome del mio gruppo, preannunciando peraltro sin da ora un nostro voto favorevole sul provvedimento in esame. Mi riservo naturalmente di tornare su questo argomento sia in Commissione cultura sia in Assemblea, quando la discussione si farà più completa attorno ai temi della riforma della scuola, e in particolare sulla posizione che il Governo vorrà assumere su questa complessa materia.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,10.

La seduta, sospesa alle 14,05, è ripresa alle 15,10.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Galante e Maroni sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono ventisei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1092)

PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame del disegno di legge di conversione n. 1092, sospeso nella parte antimeridiana della seduta.
È iscritto a parlare l'onorevole Tranfaglia. Ne ha facoltà.

NICOLA TRANFAGLIA. La discussione sul disegno di legge di conversione in esame ha messo in evidenza un problema che tutti abbiamo potuto constatare in questi cinque anni, cioè il fatto che il ritorno a commissioni di esame interamente composte da membri interni nelle scuole ha generato, nelle scuole paritarie, Pag. 50un aumento del numero delle maturità esponenziale ed ha provocato, a quanto sappiamo, fenomeni poco accettabili negli istituti scolastici.
D'altra parte nessuno di noi ritiene che si possa o si voglia ritornare alla scuola di élite. A differenza di quanto detto dall'onorevole Aprea, qui non vi sono persone che hanno fatto le scuole negli anni Trenta, che avrebbero più di cento anni, ma persone che le hanno fatte negli anni Sessanta, dunque non molto tempo fa, ed abbiamo potuto constatare, in quel periodo, che la formazione di commissioni con membri esterni e membri interni aveva mantenuto nelle scuole pubbliche, ma anche nelle altre scuole, un livello che si è perduto negli ultimi anni.
Si può discutere sulla materia d'esame e sul fatto che non si tratti, diciamo così, di chiedere agli studenti l'impossibile, anche se tutto dipende dal modo in cui ciò viene richiesto. Non mi pare che siano decisive le questioni relative all'anno o ai tre anni, oppure a tutte o alcune delle materie, perché la situazione dipende dal tipo di organizzazione e dalle modalità dell'esame. È certo, invece, che sia assolutamente necessaria un'attività di controllo che valga per le scuole pubbliche come per quelle paritarie.
Chi come me insegna da trent'anni nell'università sa perfettamente ciò che è avvenuto negli ultimi anni e come le matricole arrivino all'università in una situazione sempre più difficile, non tanto a livello di nozioni quanto di capacità di leggere un libro o di scrivere un testo, aspetti su cui l'università non può intervenire più di tanto per le caratteristiche dell'insegnamento universitario ed il rapporto che si stabilisce negli anni dell'università.
Siamo fortemente interessati ad arrivare ad una diversa composizione delle commissioni di esame ed al fatto che la maturità, senza essere una sorta di massacro, mantenga nelle scuole pubbliche come in quelle paritarie elementi di controllo e di livello necessari anche per quanto riguarda il proseguimento degli studi superiori.
Ritenevo necessario affermare questi concetti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ci troviamo ad affrontare il disegno di legge di conversione del decreto-legge presentato dal Governo con un aspetto tecnico relativo alla copertura degli esami di maturità.
Ritengo sia opportuno approfittare di questa discussione per porre al centro del dibattito politico alcuni elementi di chiarezza con riferimento alle problematiche della scuola e degli esami di maturità e con riguardo agli intendimenti che il Governo ha o dovrebbe avere in relazione a tutte le riforme varate dal precedente esecutivo, che costituiscono un complesso piuttosto organico di un ammodernamento della società che ci ha chiesto l'Unione europea e sul quale il paese non può tornare indietro.
Abbiamo il dovere, in primo luogo, di consentire agli studenti che l'uscita dalla scuola e dal percorso di formazione avvenga presto e bene, ponendoli in collegamento con il mondo del lavoro. Noi abbiamo costruito un impianto che, con la riforma Moratti e con la riforma Biagi, collega due mondi, riorganizza la flessibilità del lavoro e - a differenza di quanto affermato durante la campagna elettorale e anche in quest'aula da esponenti del Governo - esalta il ruolo della formazione professionale.
Oggi, in via incidentale, ci troviamo a discutere del tema degli esami di maturità e ritengo - avendoli sostenuti abbastanza di recente - che siano piuttosto inutili. Tuttavia, al di là dell'inutilità degli esami di maturità, mi ha sorpreso il tono duro della relatrice, quando affermava la necessità di rigore e serietà con riferimento a tali esami. Semmai, il rigore e la serietà sono necessari durante tutto il percorso formativo!

ALBA SASSO, Relatore. Stiamo parlando degli esami!

Pag. 51

SIMONE BALDELLI. Onorevole Sasso, lei è la relatrice del provvedimento ed è già intervenuta al riguardo; pertanto, quando parlano i colleghi dell'opposizione, la pregherei di non interrompere.
A nostro avviso, al centro del sistema scolastico vi deve essere la persona, lo studente. Quindi, ben venga la promozione del maggior numero di studenti e, nonostante non sia convinto dell'utilità degli esami di maturità, ritengo che non sia il membro esterno a fornire quel rigore e quella serietà che, secondo molti, manca a tali esami.
Diamo alla scuola un senso vero! Noi ci abbiamo provato, attraverso una riforma importante, sulla quale peraltro ancora non si è compreso quale sia la posizione del Governo. Come affermava in precedenza il collega Del Bue, non si capisce dove intendete modificarla, se intervenendo sui cicli scolastici o sulle commissioni d'esame. Il fatto è che esiste una riforma che sta entrando in vigore, che vi sono giovani il cui percorso scolastico e formativo dipenderà da ciò che si deciderà in merito alla scuola e al lavoro.
Sono mondi vicini e rappresentano, nell'ambito di un quadro generazionale, una faccia della stessa medaglia che, per altri versi, tocca anche il mondo della previdenza, che riguarda la competenza di altri ministri, ma dello stesso Governo. Anche in questo ambito vi sono visioni che difficilmente riescono a conciliarsi. La maturità non è il passaggio all'età adulta (che, peraltro, in Europa si raggiunge a 25 anni, molto tempo dopo rispetto a quanto accade in Italia). L'esame di maturità è un passaggio, senza inerpicarci sui tecnicismi e sulle coperture finanziarie. Cogliamo l'occasione di questo dibattito per capire cosa volete fare in ordine alla riforma Moratti ed al lavoro svolto da questo Governo! Fate anche tesoro di un consiglio che vi ha dato il Capo dello Stato, ossia quello di non affrontare in maniera pregiudizialmente distruttiva tutto ciò che ha fatto il Governo precedente.
È facile portare gli studenti in piazza e fare l'opposizione di piazza quando le associazioni studentesche sono finanziate dai sindacati, quando si scimmiottano vecchi slogan, quando si ripropone quel modello post-sessantottino per cui uno sciopero «val bene una messa», quando la contropartita dello scendere in piazza è quella di non andare a scuola.
È anche facile fare demagogia da questo punto di vista. Per cinque anni, abbiamo visto i sindacati ed una parte minoritaria ma assai chiassosa di studenti scendere in piazza contro il ministro Moratti, sbeffeggiata ed insultata in ogni modo possibile ed immaginabile. Anche voi siete stati appresso a tutto questo; anche voi, che oggi sedete nei banchi della maggioranza parlamentare (che non è maggioranza nel paese) e nei banchi del Governo con ruoli di responsabilità.
Mi auguro che questa farsa finisca, anche perché il ministro Moratti ha assunto il prestigioso incarico elettivo di sindaco di Milano. Oggi, la palla, in qualche modo, passa a voi. Noi difendiamo la nostra riforma, ne difendiamo le linee guida, il processo di ispirazione politica e difendiamo il principio per cui vi sia libertà di scelta per le famiglie e per gli studenti, perché crediamo che ciò sia giusto. Crediamo che la centralità della scuola implichi anche guardare il «prodotto» (si passi il termine, forse, un po' troppo aziendale), ossia la finalità della scuola, ossia la preparazione degli studenti.
Non parliamo solo della scuola e di ciò che ruota attorno ad essa: è fondamentale la preparazione degli studenti. Tale preparazione deve essere certificata, certificabile e riconoscibile. Per questo motivo, è stato creato un meccanismo come quello dell'Invalsi e per questo motivo si deve dare ai nostri studenti la possibilità di essere competitivi con i colleghi europei. Altrimenti, è inutile dare loro un esame di maturità così strutturato.
Quindi, attenzione a dove metterete le mani! Non intervenite in maniera pregiudiziale: pensate che c'è una ratio e che sono stati portati avanti alcuni adempimenti perché ce li ha richiesti l'Europa, Pag. 52dal momento che il mondo va in quella direzione. Non cerchiamo di fermare il mondo, perché si vuole scendere...!
Ancora, si è fatto riferimento agli insegnanti, insinuando che vi è stata disattenzione nei loro confronti. Tuttavia, ricordo che sono stati regolarizzati 117 mila insegnanti precari. Non vorrei aprire nuovamente la ferita del precariato degli insegnanti della scuola, che ha una storia lunga e travagliata, per certi versi tragicomica o drammatica, a seconda dei punti di vista. Ma credo sia un dato significativo che 117 mila insegnanti precari siano passati in ruolo.
Pertanto, rivolgo un appello in questo senso, affinché il Governo, da questo momento in poi, tenga presente che vi è la necessità di portare in Parlamento, nelle Commissioni e via dicendo, un quadro chiaro. Dovete dirci cosa volete fare, dove intendete intervenire e con quale tempistica. Soprattutto, vi invito a portare avanti un'azione politica che sia rispettosa non solo del lavoro svolto sino ad oggi (non so se questo appello cadrà nel vuoto), ma che sia intellettualmente onesta nel riconoscere quanto di positivo (moltissimo!) è stato fatto.
Vi invito a guardare la scuola un po' di più dal punto di vista degli studenti, di quelli veri, non di quelli che vengono pagati per andare in piazza a fare i cortei!

TITTI DE SIMONE. Avete una concezione della partecipazione democratica molto particolare!

SIMONE BALDELLI. Abbiamo la concezione di come vengono finanziate certe associazioni studentesche! Le consiglio di andare a vedere lo statuto!

TITTI DE SIMONE. Sarebbe meglio che guardaste ciò che finanziate voi!

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, se posso parlare...

PRESIDENTE. Onorevole De Simone, per cortesia... Onorevole Baldelli, si rivolga alla Presidenza.

SIMONE BALDELLI. Infatti, a lei mi sono rivolto, Presidente. Grazie.
Quindi, rivolgo un appello affinché si lavori dal punto di vista politico con onestà intellettuale. Credo che ancora oggi dobbiamo rendere grazie all'operato del Governo precedente. Ritengo che ormai la stagione in cui il centrosinistra scende in piazza tutti i giorni (per la scuola, per le pensioni o per il lavoro), con un ordine del giorno della piazza ancora da identificare, ma con la data dello sciopero generale già prevista in calendario, sia finita. Non ci sarà più una manifestazione degli studenti contro la Moratti, ma contro il ministro dell'istruzione di turno e contro la vostra ipotesi di riforma. Spero, almeno, che non riusciate a metterci contro gli studenti anche adesso che siamo all'opposizione.
Quindi, mi auguro che la stagione della piazza sia finita e che - è un augurio che vi faccio di cuore - vi assumiate la responsabilità di affrontare questo tema in maniera non demagogica, come abbiamo temuto ascoltandovi per tutta la campagna elettorale e in questi primi scampoli di legislatura (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Simone. Ne ha facoltà.

TITTI DE SIMONE. Signor Presidente, innanzitutto, vorrei tranquillizzare l'onorevole Baldelli, che è così preoccupato dei meccanismi di partecipazione democratica del mondo della scuola.

SIMONE BALDELLI. Tranquillissimo...!

TITTI DE SIMONE. Fra l'altro, oggi abbiamo sentito dai banchi dell'opposizione anche alcuni richiami, da questo punto di vista, un po' tardivi. Mi riferisco all'intervento dell'onorevole Garagnani, del tutto condivisibile, sulle prerogative del Parlamento riguardo alla discussione di merito in tema di scuola. Peccato, onorevole Garagnani, che nei cinque anni precedenti, su questi temi, nel momento in cui il Governo aveva del tutto scippato il Parlamento di qualsiasi forma di discussione Pag. 53e non si era distinto per confronto democratico con le parti sociali, lei non abbia avuto la preoccupazione di sollevare tale questione né in quest'aula, né in Commissione.
Volevo tranquillizzare il collega Baldelli sul fatto che noi siamo sempre per la partecipazione libera, spontanea e democratica della società organizzata e del mondo della scuola...

SIMONE BALDELLI. Mandate i bambini in piazza! Altro che partecipazione!

TITTI DE SIMONE. ...sia quando siamo all'opposizione, sia quando siamo nella maggioranza di Governo.
Credo che questa dovrebbe essere una buona abitudine generale di tutte le forze politiche. Noi riteniamo che il confronto con il mondo della scuola in questi cinque anni di legislatura, anche per quanto attiene al lavoro di noi parlamentari, si svolgerà, al contrario dei cinque anni precedenti, nel segno di un reale ascolto, del dialogo e dell'incontro, per un lavoro comune e costruttivo. In questo solco noi ci muoveremo.
Questo provvedimento, naturalmente, avrà il nostro voto favorevole, perché è un atto dovuto. Si tratta inoltre di un provvedimento urgente.
Non è il giorno delle polemiche. Vorrei dirlo qui, anche se questa discussione, ovviamente, è stata attraversata anche da richiami polemici dei colleghi dell'opposizione. La discussione di oggi ha un po' travalicato il tema del provvedimento in oggetto, perché stiamo esaminando un decreto urgente che riguarda la disponibilità economica rispetto ai commissari di esame. Naturalmente, la discussione, invece, si è estesa a temi che riguardano i meccanismi di funzionamento delle commissioni e la riforma dell'esame di maturità. Penso che ce ne occuperemo al momento opportuno e che svolgeremo un regolare confronto, aperto - come deve essere - e partecipato.
Come dicevo, non è questo il giorno delle polemiche, però, onorevole Aprea, onorevole Baldelli, onorevole Garagnani, inviterei i colleghi dell'opposizione ad esercitare, qualche volta, una capacità di ascolto di ciò che avviene nella società e che è anche segnato da passaggi politici importanti. Ieri si è svolto un referendum costituzionale che ha avuto un risultato eclatante, nettissimo. Credo che questo debba indurre - lo dico sommessamente - le forze politiche ad una riflessione sul segnale netto ed inequivocabile provenuto dal paese, dall'elettorato, su una materia così importante. Peraltro, la riforma in questione aveva una ricaduta generale sul sistema istituzionale e sui meccanismi di partecipazione, ma anche sul sistema scolastico. Infatti, la devolution richiamava ad un sistema di carattere federalista che avrebbe avuto ripercussioni concrete sul sistema scolastico, dividendolo in tanti sistemi di carattere regionalistico. Penso che il segnale provenuto ieri dall'elettorato di bocciatura di tale riforma prenda spunto anche dalla preoccupazione fortissima del nostro elettorato di rompere quei principi costituzionali fondamentali che sono alla base di un sistema pubblico ed unitario, così come è scritto nella nostra Carta costituzionale. Credo che tali passaggi debbano invitarci tutti ad una riflessione molto profonda, al di là delle argomentazioni più o meno dotte oggi richiamate anche con excursus molto lontani storicamente e culturalmente dalla fase che viviamo.
Voglio dire molto chiaramente all'onorevole Aprea e all'onorevole Garagnani che noi non abbiamo bisogno di escamotage. Cosa pensiamo della vostra riforma ve lo abbiamo detto per cinque anni in quest'aula, ve l'abbiamo detto in Commissione e, più di noi, ve l'ha detto il mondo della scuola nelle sue varie ed ampissime articolazioni. Noi abbiamo un programma politico, un programma di Governo, che è un atto pubblico. Dunque, è noto a tutti - anche a voi, naturalmente - quali sono i principi fondativi di tale programma per quanto riguarda la scuola. Non abbiamo bisogno di un escamotage come prendere i soldi del tutor e metterli da un'altra parte per dire che non vogliamo il tutor. Non è questo il modo in cui intendiamo muoverci. Pag. 54Quando discuteremo tale aspetto della riforma, lo faremo molto chiaramente nel solco di quanto prevede il nostro programma di governo, che noi intendiamo onorare e che vogliamo sviluppare.
Per una questione di onestà intellettuale - mi sembra doveroso nei confronti del mondo della scuola, da questo punto di vista non ci vogliamo attribuire alcun vantaggio -, vorrei dire che il dipinto rose e fiori che emerge dagli interventi dell'opposizione sulla situazione della scuola pubblica italiana mi pare francamente poco onesto. Diciamo chiaramente che, ad esempio, i soldi per i compensi dei commissari d'esame quest'anno non erano previsti, cioè di fatto non era sufficiente quanto predisposto dal precedente Governo per fare fronte quest'anno a tale questione. Ci risulta, peraltro, che vi siano anche alcune pendenze del precedente anno scolastico in cui i pagamenti, onorevole Aprea, non sono stati onorati. C'è una situazione sicuramente non positiva, non solo da questo punto di vista.
Queste risorse, peraltro, erano state accantonate per una materia oggetto ancora di discussione e di confronto sindacale; quindi, probabilmente, esse non sarebbero state neanche spese. Pertanto, a noi sembra logico e sensato che sia stato predisposto tale tipo di intervento per far fronte ad un'esigenza reale ed immediata del mondo della scuola al fine, anzitutto, di restituire ad esso serenità. A mio avviso, infatti, di ciò la scuola in questo momento ha molto bisogno: di serenità, di segnali chiari e di discontinuità rispetto ad una politica - portata avanti nei trascorsi cinque anni di Governo del centrodestra - di tagli alle risorse, di riduzione degli organici, di aumento del precariato, di riduzione del tempo-scuola. Come osservava anche la relatrice, onorevole Sasso, affronteremo - dovremo farlo: certo, non oggi ma nel momento opportuno - una discussione che riguardi il tema della riforma degli esami di Stato. Ritengo, però, che servano approcci non ideologici - quali invece sono stati quelli sentiti ampiamente stamattina - ma di buonsenso e anche di conoscenza della realtà dei fatti, per cercare di porre dei rimedi ad un sistema che oggettivamente non funziona.
I dati sono a disposizione di tutti; sappiamo che il ricorso alle commissioni interne ha determinato una serie di difficoltà per il sistema e che vi è stato un aumento esponenziale del numero di diplomati nelle scuole private riconosciute. Vorrei che al riguardo ricordassimo tutti, maggioranza ed opposizione, che già nella precedente legislatura qualche problema si era registrato in ordine a queste scuole e agli accreditamenti ricevuti. Quindi, è necessario condurre una verifica su tale terreno; anche in questi giorni di esami di maturità, le cronache hanno registrato casi non belli di situazioni illegittime.
Dunque, ritengo che dobbiamo rispondere con provvedimenti che garantiscano, innanzitutto, la trasparenza, la puntualità ed il buon funzionamento del sistema, nonché gli interessi degli studenti. Ritengo che ciò rappresenti il punto principale; gli interventi, peraltro, dovrebbero certamente provvedere nella direzione opposta a quella di un sistema federalista spinto - mi si permetta l'espressione -, stamattina suggerito dall'onorevole Aprea. Utilizzare la strada che lei indicava, onorevole, citando anche, erroneamente, le parole di don Sturzo...

FABIO GARAGNANI. Sei la meno adatta a parlare di don Sturzo!

VALENTINA APREA. Erroneamente? Ho letto don Sturzo: sono le parole di don Sturzo!

MARILDE PROVERA. Presidente!

TITTI DE SIMONE. Devo osservare che quanto va certamente garantito, contrariamente alle indicazioni venute dai colleghi dell'opposizione, è il valore legale del titolo di studio; è, infatti, del tutto evidente che, se miniamo il sistema incidendo sui fondamentali meccanismi di garanzia del valore legale del titolo di studio e apprestando un sistema quale quello prefigurato Pag. 55dalla collega Aprea, noi rechiamo un danno complessivo alla scuola pubblica e agli studenti.
Comunque, avremo modo di confrontarci, onorevole Aprea, sui temi che sono cari al mondo della scuola e che sono oggetto del nostro programma; è chiaro, infatti, quale sia il nostro obiettivo.
Noi intendiamo smantellare l'impianto legislativo - e culturale, oserei dire - della riforma Moratti realizzando un progetto, del tutto alternativo ad essa, che riassegni una posizione centrale alla scuola pubblica, quella della Costituzione, la scuola della Repubblica, e che dia un segno di discontinuità rispetto a quanto è stato fin qui prodotto: in termini di risorse, di organizzazione dei tempi della scuola, di organici, di innalzamento dell'obbligo e di meccanismi di reclutamento. Un'attenzione specifica richiedono le questioni del precariato, che, anche grazie alla vostra azione di «istituzionalizzazione» - diciamo così -, ha raggiunto livelli che non sono mai stati raggiunti prima nel nostro paese e che di certo non fanno bene al sistema.
Desidero rassicurarvi, colleghi: la nostra è un'idea tutt'altro che conservatrice; è l'idea di una buona scuola, della scuola tratteggiata nei principi della nostra Costituzione (che, forse, bisognerebbe applicare in misura maggiore quanto alla sua prima parte, impegnandosi al riguardo con maggiore attenzione), di una scuola che unisce anziché dividere, della scuola che per noi è pubblica, della Repubblica, della scuola laica (onorevole Garagnani, siamo in un paese dove non vi è una religione di Stato). Peraltro, la nostra scuola pubblica è chiamata a rispondere, oggi, ad esigenze di integrazione, di confronto e di dialogo tra culture e religioni diverse e, di conseguenza, deve svolgere un ruolo delicato ed essenziale. Per parte nostra, dobbiamo aiutare la scuola pubblica ad adempiere questo importante ruolo.
Debbo aggiungere che non capisco i richiami dell'onorevole Garagnani agli interventi del Governo. Onorevole Garagnani, vorrei ricordarle che, nella precedente legislatura, siamo andati avanti con la politica degli annunci, che è stata il leit motiv, la prerogativa del ministero guidato dalla Moratti, e che abbiamo avuto la «fortuna» di poter ascoltare il ministro in Commissione soltanto a distanza di mesi dall'insediamento del Governo, dopo che quel Governo aveva compiuto un atto - mi riferisco al decreto-legge n. 255 del 2001, recante disposizioni urgenti per assicurare l'ordinato avvio dell'anno scolastico 2001-2002 - che costituì un passaggio fondamentale del processo di riforma che avete continuato a perseguire negli anni successivi.

VALENTINA APREA. In attuazione delle sentenze!

TITTI DE SIMONE. Il ministro Moratti venne a riferire in Commissione - lo ripeto - dopo che erano trascorse molte settimane dall'adozione del predetto decreto-legge. Mi pare molto tempestiva, invece, l'azione di confronto di questo Governo: il ministro Fioroni verrà in audizione in Commissione cultura nei prossimi giorni e, in quella sede, avremo modo di confrontarci sulle linee programmatiche del Governo.
Quindi, penso che il provvedimento in esame, al quale dobbiamo guardare con senso di responsabilità, costituisca un atto dovuto per la scuola pubblica. Credo, peraltro, che su tutte le questioni che sono state sollevate oggi sui temi programmatici avrà luogo un ampio confronto sia in Commissione sia in Assemblea.
Mi preme sottolineare che noi ci muoveremo nel solco della difesa di una scuola pubblica laica e della Repubblica, per recuperarne il ruolo essenziale nella crescita culturale e sociale del paese e nella lotta alle disuguaglianze (che sono riaffiorate, in questo paese, in maniera molto grave ed evidente). La scuola è chiamata a dare risposte ed a svolgere un ruolo essenziale in tale direzione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcazzan. Ne ha facoltà.

PIETRO MARCAZZAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto, desidero Pag. 56dire che anche il gruppo dell'UDC ha votato in Commissione a favore del provvedimento in esame, testimoniando, in tal modo, la sua sensibilità nei confronti della scuola, sicuramente molto cara a tutti noi, anche perché essa rappresenta un investimento. È doveroso, pertanto, tenere sempre desta, al riguardo, la nostra attenzione. Quindi, occorre sensibilità da parte di tutti, indistintamente.
Mi sento di affermare che la nostra scuola, il nostro sistema scolastico, nonostante tutto, nel corso degli anni ha compiuto veri e propri miracoli, checché se ne dica. E ciò lo dico non tanto per chissà quali impianti o nostalgie, ma perché ho avuto modo di vivere personalmente esperienze scolastiche diverse, da quelle dell'ex Unione sovietica - a Mosca -, a quelle degli Stati Uniti e di altri paesi europei. Quindi, tutto sommato, mettendolo a confronto con i diversi sistemi, il nostro apparato scolastico nulla ha da invidiare agli altri, pur con tutte le difficoltà, i disagi ed il disorientamento che in esso oggigiorno riscontriamo (e ciò non lo possiamo negare).
A parte il provvedimento tecnico in esame, che ha riscontrato un consenso unanime da parte di tutte le forze politiche, sicuramente nei prossimi mesi e nei prossimi anni si registrerà un dibattito molto ampio sulla scuola. Mi auguro che se davvero la scuola ci è cara, come affermiamo, ci ricorderemo di mettere sempre gli studenti al primo posto. Anch'io sono insegnante e, quindi, provengo dal mondo della scuola. Nel modo della scuola vi sono alcune correzioni da apportare e credo sia indispensabile l'apporto e l'intelligenza di tutte le forze per far sì che davvero l'investimento che faremo si riveli un patrimonio per l'intero paese. Quindi, è vero, oggi sono state espresse - legittimamente - posizioni divergenti in merito e tutte sono valide e vanno rispettate. Noi, come gruppo dell'UDC, auspichiamo per il futuro che si riesca davvero a guardare avanti, che si riesca a fare tesoro delle esperienze, della riforma del passato, e quindi ad integrare, migliorare e correggere, ma soprattutto tenendo bene a mente che gli studenti - gli studenti anzitutto - sono i protagonisti della scuola, insieme agli insegnanti, alle famiglie, ed a tutto il tessuto sociale nel quale sono inseriti [Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rositani. Ne ha facoltà.

GUGLIELMO ROSITANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho ascoltato con molta attenzione gli interventi dei colleghi dell'attuale maggioranza, in particolar modo quelli del collega Rusconi e della collega Titti De Simone: la prova provata che anche sulla scuola, da domani in poi, avremo grandi problemi da risolvere, non solo problemi per quanto riguarda gli insegnanti e gli studenti, ma anche problemi di contrasto e di fondo che esistono nell'attuale maggioranza tra la parte radicale e la parte cosiddetta moderata.
Mi sono adoperato, nei cinque anni che abbiamo lavorato in Commissione cultura, per far giungere ai colleghi, con l'umiltà necessaria, il messaggio che gli argomenti di cui si interessa, in genere, la stessa Commissione cultura sono materie in cui è accettabile l'impostazione ideologica, ma non sono accettabili atteggiamenti faziosi, pregiudizialmente presi e che vanno, comunque, al di là dell'interesse oggettivo - della scuola, in questo caso - e, quindi, dei soggetti interessati. Dunque, il messaggio che la precedente maggioranza aveva trasmesso all'opposizione era la serenità nel trattare gli argomenti della cultura e della scuola in particolar modo. Ci siamo trovati di fronte ad un atteggiamento negativo, pregiudizialmente negativo, chiuso ad ogni tipo di colloquio, per cui oggi ci si accusa di aver varato la riforma della scuola da soli per nostra scelta. La verità è l'opposto!
A me fa piacere ripetere oggi ai colleghi, nuovi e vecchi, che l'aria che ho respirato nelle prime sedute della Commissione cultura, presidente Folena, non mi è piaciuta.
In particolar modo, mi riferisco all'audizione dei precari. In ogni caso, come Pag. 57detto, si tratta delle prime esperienze, dei primi atteggiamenti: con calma ci conosceremo e sapremo come lavorare. Ciò, me lo auguro di tutto cuore come uomo di scuola e di cultura perché mi sono interessato di questi problemi per larga parte della mia esistenza.
Oggi i colleghi della minoranza vogliono sapere cosa si intende fare di questa riforma, ed una risposta del Governo - che speriamo verrà data già nel corso di questa giornata - è stata ripetutamente sollecitata. Nelle risposte di alcuni colleghi della maggioranza - in particolare, mi riferisco agli interventi degli onorevoli Rusconi e Titti De Simone - non abbiamo trovato sintonia, convergenza. L'onorevole Rusconi è stato possibilista circa un incontro, una discussione ed ha parlato di una revisione non a tutti costi; egli ha interpretato il messaggio contenuto nel programma dell'Unione in modo estremamente elastico e possibilista. Di contro, l'intervento della collega Titti De Simone è stato caratterizzato da discontinuità, rottura totale, cambiamento radicale. Quindi, capite perfettamente che un uomo come me, presente ormai da tanti anni in questa aula, è preoccupato poiché, giorno dopo giorno, ha esercitato per gran parte della sua esistenza la professione di professore. Quando sento questi discorsi, ovviamente, ne soffro non tanto come uomo politico, ma come padre di famiglia, come uomo che sta a contatto con la gente comune dalla mattina alla sera per svolgere, nel miglior modo possibile, il suo ruolo di rappresentante del popolo.
Colleghi dell'attuale maggioranza, rinnovo allora l'invito alla serenità dei giudizi e delle impostazioni, alla moderazione e all'equilibrio poiché si tratta di argomenti, di materie - parlo della scuola - sui quali non sono consentite a tutti costi deviazioni di ordine ideologico.
Il provvedimento oggi in esame, come ha potuto osservare la gran parte dei colleghi che mi hanno preceduto, rappresenta in sostanza un atto dovuto, quindi evitiamo anche in questo caso di sollevare polemiche circa la sua predisposizione, anche se personalmente sono propenso a rispondere affermativamente.
Attualmente la previsione della spesa viene fatta con una scelta che onestamente, lasciando da parte gli atteggiamenti pregiudiziali, ha creato delle perplessità, delle preoccupazioni. Indubbiamente si tratta di una decisione che solleva un minimo di preoccupazione poiché tecnicamente, a mio parere, è sbagliata.
Stiamo parlando, infatti, di un finanziamento pluriennale e non annuale, quindi - a mio modesto avviso - il Governo, secondo il principio di opportunità, non sarebbe dovuto intervenire su quella spesa; in ogni caso, l'avete fatto e l'onorevole Titti De Simone ha affermato che tanto quei fondi non si sarebbero spesi. Quindi, evidentemente, avete effettuato una scelta. Allora abbiate il coraggio di dirci quest'oggi in aula qual è questa scelta; infatti, o ha ragione il relatore o ha ragione l'onorevole Rusconi o ha ragione l'onorevole Titti De Simone. Vogliamo sapere il perché di quella scelta e, comunque, che fine dovrà fare l'esperienza del tutor, poiché se lo stanno chiedendo in questi giorni anche i sindacati.
Cari amici, fino a ieri era tanto facile, tanto comodo fare opposizione e voi siete maestri in questo campo: questo lo riconosco, anche se non so se sarete altrettanto maestri nell'esercitare il ruolo di maggioranza.
Responsabilmente non vi posso augurare una cosa simile, ma come cittadino italiano spero che ve la caviate a rappresentare la maggioranza così come avete esercitato l'opposizione. Al riguardo però ho qualche dubbio, qualche riserva non dico mentale, ma di natura culturale.
Ebbene, vogliamo sapere se è stata fatta veramente questa scelta: i sindacati vi chiedono cosa volete farne di questa esperienza. Si tratta di una domanda, a mio parere, legittima che personalmente ribadisco e ripeto in questa circostanza.
Il provvedimento al nostro esame è un atto dovuto che riguarda un argomento che è stato in questa sede abbondantemente approfondito: quello degli esami di Pag. 58Stato. Qualche perplessità in ordine agli interventi fin qui svolti mi è sorta. Non voglio fare il giudice - ci mancherebbe altro, ritengo di essere la persona più umile di questo mondo -, ma la leggerezza con la quale è stato affrontato questo argomento mi preoccupa ora più di prima.
Ho fatto per trent'anni il commissario d'esame trovandomi ad applicare vari metodi, ognuno dei quali presenta sia aspetti positivi sia aspetti negativi. Al di là della riforma Gentile e di quel tipo di esami che era una conseguenza logica della impostazione di quella riforma, in questo caso non c'è, a mio avviso, un corpo estraneo che dev'essere posto lì, cioè un nuovo organismo preposto agli esami di Stato. No, la commissione, la sua composizione, nonchè i criteri di formazione e quelli di valutazione debbono essere il frutto consequenziale di un'impostazione scolastica che parta dalle scuole elementari e termini alle scuole superiori. Non si può, quindi, trattare di un corpo estraneo posto lì artificialmente che decida come formare la commissione d'esame.
Voi avete sospeso l'esperienza del ciclo della scuola secondaria. A questo riguardo sono molto preoccupato perché potrei avere anch'io delle riserve su come questi esami venivano svolti, ma ciò, evidentemente, era il frutto di un'impostazione culturale che trovava il logico sbocco in quella impostazione degli esami. Ecco perché, onorevoli colleghi, per noi è importante sapere che cosa volete fare. Poi, eventualmente, parleremo della riforma della commissione d'esame e di tutta l'impalcatura che riguarda l'esame di Stato. Non vi mettete a pensare oggi alla modifica dei criteri di formazione della commissione dell'esame di Stato, perché qualunque scelta fosse adottata si commetterebbe, a mio avviso, un errore perché tale modifica dovrebbe essere collegata almeno all'impostazione della scuola secondaria superiore. E ciò sarebbe il frutto di una scelta di natura principalmente culturale, ma anche organizzativa. Su questo, quindi, vi invito ad andare cauti altrimenti finiremo per scontrarci, e poi a pagarne le conseguenze sarebbero i nostri figli che devono sostenere gli esami. Qui non dobbiamo dimostrare di essere i primi della classe, ma bisogna trovare la soluzione più intelligente e più adeguata in modo tale che si possa raggiungere l'obiettivo, da un lato, di garantire che nel corso degli esami lo Stato possa verificare le capacità degli alunni e, dall'altro, che a questi ultimi e alle loro famiglie sia garantita la massima serenità e tranquillità. Noi su questo argomento attendiamo vostre risposte.
Per quanto concerne la decisione di sospendere l'esperienza del ciclo della scuola secondaria superiore, anche qui, onorevole rappresentante del Governo, vogliamo conoscere il motivo di questa scelta, anche perché il vostro programma di Governo noi lo abbiamo letto, sebbene le interpretazioni che i vari partiti hanno dato su questa tematica, sia durante la campagna elettorale sia tuttora, non vi trovano d'accordo. Noi dobbiamo conoscere, lo ripeto, il motivo della scelta di sospendere il ciclo della scuola secondaria superiore. Correttezza avrebbe voluto, e qui non faccio paragoni con altri, che il ministro, prima di adottare un provvedimento che modifica una riforma in atto e, come tale, costituisce un atto importantissimo per il futuro della scuola italiana, fosse venuto in Commissione per informarci delle intenzioni del Governo su questa materia (ma ciò evidentemente attiene al modo di concepire la politica da parte dei vari ministri e dei vari personaggi) in modo tale che il Parlamento fosse stato messo al corrente in tempo utile.
È un modo come un altro di far politica e ognuno si assume le proprie responsabilità.
Non intendo dilungarmi. Tuttavia, onorevoli colleghi, in questi giorni ho letto alcune dichiarazioni con le quali il ministro dell'economia rivolgeva accuse precise alla realtà della scuola. Secondo queste dichiarazioni rese, a mio parere, a ruota libera, ci sarebbero tre insegnanti per dodici alunni, e ciò sarebbe uno spreco ed una vergogna. Sono molto preoccupato per questo, colleghi della maggioranza, perché, se questa è la premessa, altro che precari, Pag. 59onorevole Titti De Simone! Vi auguro di riuscire a realizzare quello che abbiamo fatto noi, in cinque anni, riguardo ai precari perché noi, se non altro, più o meno 150 mila unità, tra amministrativi ed insegnanti, le abbiamo immesse in ruolo.
Vi auguro di tutto cuore di riuscire ad effettuare gli stessi investimenti che il centrodestra ha effettuato nell'edilizia scolastica e nella ricerca, quella che voi sempre avete criticato. Vi auguro di tutto cuore di riuscire a fare, almeno, quello che noi abbiamo fatto. Il mio è un augurio piccolo piccolo: così come noi siamo riusciti a far iniziare l'anno scolastico dal primo giorno, auguro anche a voi di riuscire a farlo funzionare nello stesso modo.
Perciò, vi aspettiamo alla verifica. Da parte nostra - potete stare tranquilli - non organizzeremo manifestazioni con i bambini di sei o sette anni, per dire bugie sulla scuola dell'obbligo e sulla scuola d'infanzia. Questo non lo faremo mai perché abbiamo una nostra impostazione - con tutto il rispetto per la vostra - nel fare politica. Qualche volta vi invidio, perché sono predisposto a quel tipo di polemica e di politica ma, onestamente e responsabilmente, devo dire che noi non lo faremo. Indubbiamente, organizzeremo manifestazioni con contenuti diversi, seri ed in ambienti di grande responsabilità. La Commissione cultura e le Assemblee della Camera dei deputati e del Senato sono le sedi opportune in cui queste idee devono essere espresse.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, Alleanza nazionale certamente voterà a favore di questo provvedimento. Vi auguriamo di saper lavorare come noi abbiamo fatto. Vi aspettiamo alla verifica dei fatti. Mi auguro che il Governo, questa sera, ci dia risposte su quelle domande che da parte di tutti i gruppi sono state formulate, in modo tale che, da domani, ci renderemo conto di quale dovrà essere il nostro atteggiamento nei confronti dei provvedimenti che verranno dopo e, comunque, nei confronti degli atteggiamenti e del comportamento di questo Governo che, a mio parere, ha cominciato un po' male la sua attività.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1092)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Sasso.

ALBA SASSO, Relatore. Signor Presidente, come sempre quando si parla della scuola, si accendono gli animi e le passioni perché essa fa parte della nostra vita, della nostra storia, dei nostri desideri e, forse, anche delle nostre nostalgie. Sicuramente, il dibattito è stato molto interessante ma siamo andati un po' al di là dei termini dello stesso provvedimento. Il decreto-legge in esame, lo ripeto, era un atto dovuto: bisognava stabilire che ci fossero i soldi per i docenti che stanno svolgendo gli esami di Stato. A questo proposito, ringrazio tutti i colleghi della maggioranza e dell'opposizione che hanno preannunciato il loro voto favorevole su questo provvedimento, così come avevano già dichiarato in sede di Commissione, due settimane fa. Credo, quindi, che questo disegno di legge di conversione sarà approvato all'unanimità, almeno stando alle dichiarazioni fin qui rese.
Vorrei svolgere, quindi, una replica su alcune questioni, restando nel merito del provvedimento in esame.
Voglio rispondere, in primo luogo, all'onorevole Aprea, che lamentava il fatto che, nella mia introduzione, avessi parlato di mancanza di attenzione nei confronti della scuola e dei docenti. Con molto garbo devo ribadire tale disattenzione, onorevole Aprea, in quanto il provvedimento per finanziare l'esame di Stato di quest'anno non è stato varato fino al 27 di aprile, data fino alla quale il suo Governo ha continuato a legiferare sulla scuola; l'onorevole Aprea dice: «Lo avremmo fatto». Pag. 60Ma quando? Sicuramente un minimo di disattenzione c'è stata nei confronti di chi, come i docenti, sia l'anno scorso, sia quest'anno, correvano il rischio di non avere tutto il dovuto rispetto al loro lavoro. Questa è una prima questione.
La seconda questione, e anche qui voglio rassicurare gli onorevoli colleghi dell'opposizione che hanno sollevato il problema: nessun escamotage per attaccare la figura del tutor. Perché sono state prelevate queste risorse dal fondo per le attività tutoriali? Voglio anche ricordare che questi 90 milioni stabiliti da un piano pluriennale, onorevole Rositani, non erano finalizzati alle attività tutoriali. Devo forse rileggere a quali finalizzazioni erano destinati? Sviluppo delle tecnologie multimediali; interventi di orientamento contro la dispersione scolastica per il diritto-dovere di istruzione e formazione tecnica superiore; istituzione del servizio nazionale di valutazione del sistema di istruzione, eccetera. Questi soldi, che l'onorevole Aprea dice siano destinati alla valorizzazione della funzione docente, in realtà non dovevano essere finalizzati alla funzione tutoriale.
Per quanto riguarda la figura del tutor, vi prego di concedermi un minuto per chiarire alcune questioni rispetto ad essa. Tale figura è stata introdotta, come l'onorevole Aprea sa bene, dal decreto legislativo n. 59 del 2004, in attuazione di quanto previsto dalla legge n. 53 del 2003, che definiva le norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione. La successiva circolare del MIUR del 5 marzo 2004, n. 29, ha poi demandato a successivi approfondimenti e confronti nelle sedi competenti la definizione delle modalità di svolgimento della funzione tutoriale. Quindi, non stiamo parlando di una figura giuridica, il tutor, ma della funzione tutoriale, che è altra cosa. Però, voglio ricordare che, a questo riguardo, con la sentenza n. 279 del 15 luglio 2005, la Corte costituzionale ha chiarito che le questioni concernenti il tutor riguardano il rapporto di lavoro del personale statale; e su questo punto è il caso di ricordare che il contratto collettivo ha previsto, all'articolo 43, una norma di rinvio a successivi accordi che si rendessero necessari in relazione all'entrata in vigore della citata legge n. 53 e delle connesse disposizioni attuative. Quindi, la funzione e le competenze del tutor, eventualmente, sono da definire con il contratto di lavoro, dunque a seguito e non come definizione di legge. La questione del tutor già queste norme l'hanno rimandata ad un successivo contratto di lavoro, e bisogna vedere se viene individuata la necessità di questa figura, che non è prevista da nessuna norma giuridica. Non vogliamo eliminare il tutor attraverso questa strada, con la mancanza di un finanziamento, ma perché esso non è previsto come figura giuridica. Questo è uno dei temi del nostro programma di Governo. Questo è il punto.
La seconda questione che voglio sottolineare è stata sollevata, tra gli altri, anche dall'onorevole Aprea. Si è affermato, infatti, che con il finanziamento recato dal provvedimento in esame si vogliono punire le scuole paritarie, anzi, si vuol fare un dispetto a tali scuole.

VALENTINA APREA. No, no!

ALBA SASSO, Relatore. Ricordo che già nella scorsa legislatura abbiamo sollevato, in sede di Commissione, il problema di come fosse aumentato a dismisura il numero dei «privatisti» presso le scuole paritarie e di come non vi fosse stato un controllo, cui il Governo era invece tenuto, sull'applicazione della legge n. 62 del 2000. Il Governo di centrodestra doveva esercitare un'azione di controllo in ordine alla questione della cosiddetta piramide rovesciata, vale a dire alunni privatisti che si iscrivevano all'ultimo anno della scuola senza aver seguito il normale percorso di studi. Ciò ha alimentato a dismisura comportamenti illegittimi, tant'è vero che sono state presentate anche alcune denunce alle procure della Repubblica.
Pertanto, vogliamo colpire non le scuole paritarie - che, come prevede la stessa legge n. 62 del 2000, fanno parte del sistema nazionale di istruzione -, ma le Pag. 61irregolarità che si sono manifestate, in questi anni, nello svolgimento degli esami di Stato, favorite anche - e ciò va detto - dalla composizione tutta interna delle commissioni.
Ritengo che non sia questo il momento per discutere degli esami di Stato in generale, nonché della riforma, urgente e necessaria, che vogliamo realizzare in questo settore: ne parleremo quando verranno varati i provvedimenti ad hoc. Voglio ricordare, altresì, che l'audizione con il ministro Fioroni in VII Commissione avrà luogo giovedì 29 giugno, in un momento in cui non è stato ancora adottato alcun provvedimento formale in materia scolastica, se non quello in esame, che tutti hanno riconosciuto essere un atto dovuto.
Credo, pertanto, che avremo modo di discutere in sede sia di Commissione, sia di Assemblea, aprendo un dibattito sulle questioni che riguardano il settore scolastico, nonché sui provvedimenti concernenti gli esami di Stato. Farò omaggio agli onorevoli Garagnani, Rositani e Baldelli del fascicoletto che riguarda il programma dell'Unione sulla scuola; anzi, a tale proposito vorrei invitare l'onorevole Garagnani - che non vedo più in aula - a denunciare alle procure della Repubblica tutti gli atti «eversivi» che egli ha riscontrato nelle scuole. Infatti, se egli afferma che vi sono soggetti e persone che, in ambito scolastico, svolgono attività eversiva, lo invito, da parlamentare, a denunciare tali fatti.
Come dicevo, discuteremo le questioni inerenti la scuola sia in Assemblea, sia in Commissione. Ciò perché vogliamo restituire al Parlamento, nell'ambito dei provvedimenti da adottare, il ruolo che è giusto che assuma: questa è la nostra intenzione. Realizzeremo il nostro programma continuando una pratica di ascolto del mondo della scuola (studenti, insegnanti e famiglie), poiché solo in questo modo si potrà veramente avviare quel processo di riforme di cui il sistema scolastico italiano, nonché il paese, hanno bisogno.
Permettetemi di formulare un'ultima osservazione. Quando si parla di rigore e di serietà della scuola e degli esami, vorrei osservare che non si tratta di bocciare. La scuola seria e rigorosa, infatti, non è la scuola che boccia, ma quella che promuove e che aiuta a crescere: questa, a mio avviso, è la scuola seria e rigorosa!
Devo riconoscere che continuo a provare un certo fastidio - scusatemi il termine - quando sento affermare che gli esami sono seri solo se si registra una percentuale di bocciature pari al 25 per cento degli esaminandi. Vorrei osservare che, se vi è una quota di alunni bocciati del 25 o del 30 per cento, allora vuol dire che la scuola non ha funzionato.
La scuola, a mio avviso, deve essere altro. L'esame, infatti, deve essere non una selezione, bensì l'occasione per gli studenti di dimostrare, nei fatti, di possedere la capacità di utilizzare e di ragionare in base alle competenze acquisite. Esso non deve rappresentare la scelta del sistema scolastico a favore dell'enciclopedismo o del nozionismo.
L'esame è un'altra cosa. Onorevole Baldelli - che non vedo più in aula -, c'è una competenza dell'esame, una responsabilità dell'esame e quest'ultimo è sempre un momento di crescita, per gli studenti e spesso anche per i docenti. Era solo questa osservazione che mi ha portato ad andare un po' avanti rispetto ai termini del provvedimento, che, ripeto, è un atto dovuto. Un atto che riporterà - questo sì, onorevole Rositani - un po' di serenità nella scuola, un po' di rispetto per la scuola e per gli insegnanti, che da sempre si rimboccano le maniche ed anche se non ci sono molti soldi riescono a far andare avanti quella grande macchina e quel grande apparato che è il sistema dell'istruzione nel nostro paese.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

MARIA LETIZIA DE TORRE, Sottosegretario di Stato per l'istruzione. Signor Presidente, innanzitutto rivolgo un ringraziamento da parte del Governo per tutti gli interventi, ricchi ed alcuni anche appassionati, che sono stati formulati, che hanno anche fatto un excursus storico Pag. 62sulla recente attività del precedente Governo. Credo che tutto quello che è stato detto sia utile, comunque è utile per cominciare a parlarci e a dialogare. Anch'io mi ero segnata una frase, che poi è stata espressa anche dall'onorevole Baldelli: onestà intellettuale. Credo che dobbiamo trovare il modo di parlarci con grande onestà intellettuale, ed allora riguardo a questo vorrei rassicurare sui tre timori che sono stati sollevati.
In primo luogo, è stato espresso il timore che si voglia cancellare tutto con un colpo di spugna: assolutamente no. Le dichiarazioni del ministro fatte a tante persone in pubblico ed in luoghi politici lo possono chiarire senz'altro. In secondo luogo, è stato paventato che qualsiasi provvedimento, scelta o pronunciamento voglia in qualsiasi modo danneggiare il sistema delle scuole paritarie: assolutamente no. Nemmeno una prima idea di rivedere la composizione della commissione d'esame: assolutamente no. Crediamo, invece, che insieme con le scuole paritarie bisogna lasciarci sfidare da questo momento perché si crescerà come sistema di istruzione, che è a responsabilità pubblica, solamente se ci si metterà tutti quanti in gioco. In terzo luogo, non esiste un noi e un voi, non esiste una categoria di amico-nemico, e tanto meno si potranno spingere i giovani in questa categoria di amico-nemico: speriamo di no perché saremmo davvero degli adulti irresponsabili.
Comunque, non voglio addentrarmi nei temi e rispondere alle domande che legittimamente sono state fatte al Governo perché, se avessi la risposta, mi metterei in quella logica che l'opposizione ha chiesto di non avere, cioè quella di offrire un pacchetto pronto diverso da quello che era stato precedentemente perseguito: assolutamente no. Invece, dopodomani il ministro verrà in Commissione cultura alla Camera e sarà la prima occasione per cominciare un dialogo più ampio con tutta l'onestà intellettuale di cui saremo capaci.
Non vorrei allargare il discorso perché, come ha detto l'onorevole Garagnani, altro è il punto fondamentale della questione: in questo caso stiamo trattando semplicemente di come poter pagare gli insegnanti che fanno gli esami di maturità in questi giorni. É importante che ci fermiamo a questo concetto perché, così si dice in matematica, tutti i problemi complessi devono essere scissi in problemi elementari ed allora riusciamo a risolvere tutto. Oggi parliamo di questo, è un atto dovuto, ma vi assicuro che non è stato assolutamente facile reperire le risorse. È sicuramente vero che il ministro appena arrivato si è trovato sulla scrivania questo problema, ma accanto non c'erano dei soldi accantonati e stanziati per tutto ciò. Quindi, è stata un'operazione complessa reperire le risorse, ma l'importante è che si sia riusciti a farlo.
Ovviamente rimane scoperto tutto il pregresso, soprattutto dei due anni precedenti, in cui non erano stati accantonati i soldi aggiuntivi, rispetto ai 40,27 milioni di euro che erano stati previsti dalla legge; e comunque anche negli anni successivi rimangono dei crediti, che le scuole di tutta Italia vantano rispetto al Governo. Dunque questo sarà un problema assolutamente di non facile soluzione.
Voglio assicurare che di questo provvedimento sono stati messi al corrente, come ho già detto in Commissione, sia le associazioni degli studenti sia quelle dei genitori, spiegando loro da dove venivano prese le risorse e chiarendo peraltro, come è stato detto in quest'aula, che ciò non significava compiere alcuna scelta, bensì significava solo pagare delle persone che in questi giorni lavorano e che è d'obbligo pagare.
In Commissione questo provvedimento è stato votato all'unanimità. Anche in Assemblea penso che accadrà lo stesso. Spero che questo sia un segnale di una ripresa forte di dialogo sulla scuola. Sono infatti convinta che un paese che è diviso sulla formazione delle future generazioni sia un povero paese, e l'Italia non può essere un povero paese. Dobbiamo tirare fuori tutta la ricchezza delle diverse posizioni. Ho la ferma convinzione che dobbiamo cominciare, nei luoghi e con i modi opportuni e pur mantenendo convinzioni Pag. 63diverse, ad avviare un dialogo che crei unità nel paese sul tema della scuola.
Per concludere, mi sembra che tutto sia stato così ben chiarito che non occorre aggiungere altro, ma solo ringraziare i colleghi per tutti gli interventi che sono stati svolti.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Elio Vito ed altri n. 1-00003 concernente misure per ridurre i costi della politica, con particolare riferimento all'aumento del numero dei ministeri (ore 16,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Elio Vito ed altri n. 1-00003 concernente misure per ridurre i costi della politica, con particolare riferimento all'aumento del numero dei ministeri (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Leone, che illustrerà anche la mozione Elio Vito n. 1-00003, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Nella passata legislatura, il Governo Berlusconi ha inteso condurre un'azione politica, in difficili condizioni congiunturali, finalizzata al risanamento dei conti pubblici. Si è riusciti ad evitare il superamento dei limiti massimi di deficit fissati dall'Unione europea, a differenza di quanto accaduto in altri paesi, come la Francia e la Germania, che avevano superato largamente e ripetutamente tali limiti. A tale riguardo, va ricordato che la causa maggiore del perdurare degli squilibri dei conti pubblici è costituita dall'enorme stock di debito pubblico accumulato nel paese nel periodo della cosiddetta prima Repubblica.
Questo pesantissimo precedente storico-politico ci porta a considerare con preoccupazione il fatto che l'attuale maggioranza di centrosinistra, in netto contrasto con il rigoroso impegno del Governo Berlusconi nel ridurre le spese, abbia esordito con un decreto-legge che eleva il numero dei ministeri da 14 a 18, altresì conferendo numerosissimi incarichi di viceministri e sottosegretari, fino ad arrivare al livello record di 102 incarichi ministeriali, superando persino l'ultimo Governo Andreotti, tanto vituperato a suo tempo - anche per i numeri, che all'epoca esso aveva - dalla stessa sinistra, che allora, ma ritengo continui ad esserlo (almeno quando la convenienza ad essere dall'altra parte c'è ancora), era malata di giacobinismo.
Siamo di fronte ad una coalizione che risulta, almeno dai primi passi, rissosa e piena di contraddizioni sia politiche sia culturali, senza alcun coordinamento, tanto è vero che le uscite del Presidente Prodi con convocazioni di riunioni, nel tentativo di limitare le esternazioni dei vari ministri, viceministri e dei variopinti sottosegretari, hanno trovato poi uno sbocco, un esito, che è quello di essere egli stesso paradossalmente il primo a continuare ad esternare, e in maniera contraddittoria, così come avevano fatto i componenti del suo stesso Governo.
L'aumento indiscriminato dei posti di ministro, viceministro e sottosegretario è stato deciso (ed è sotto gli occhi di tutti) soltanto per ragioni di clientela e di potere, insomma di poltrone nel vero senso della parola.
Infatti, il Presidente del Consiglio ha dovuto accontentare le innumerevoli richieste dei tanti partiti e «partitini» che compongono la variegata coalizione che lo sostiene, dimenticando in tal modo completamente le esigenze di buon governo e della buona amministrazione e contraddicendo il proposito di contenere la spesa Pag. 64pubblica, così come era invece nelle intenzioni, rimaste tali, scritte nel programma di Governo.
E non ci si venga a raccontare che tale operazione è a costo zero o a costi limitati, come si afferma senza pudore nella relazione tecnica del decreto-legge cosiddetto di spacchettamento dei ministeri, perché dividere ministeri, aumentare il numero dei viceministri e dei sottosegretari comporta necessariamente maggiori spese per il personale addetto, per i locali, per i servizi telefonici ed informatici, per le consulenze e, dulcis in fundo, per le auto blu. Vi è stato solo un personaggio che è riuscito a compiere la moltiplicazione dei pani a costo zero, ma ritengo che il paragone sia irriguardoso.
Tutto ciò, tra l'altro, è in stridente contrasto con una riforma, varata due legislature fa, proprio da un Governo di centrosinistra, la cosiddetta legge (ei fu) Bassanini, che aveva accorpato alcuni ministeri per ridurre proprio i costi del sistema pubblico. Di conseguenza, i due Governi Berlusconi della passata legislatura avevano diligentemente e disciplinatamente proceduto ad un accorpamento di vari ministeri.
L'aumento dei ministeri contrasta anche con il programma di Governo - lo dicevo già prima - che la maggioranza di centrosinistra ha annunciato in campagna elettorale. Siamo di fronte ad un'azione del Governo Prodi spregiudicata, a cui assiste esterrefatta la maggioranza dei cittadini, anche di coloro tra quelli orientati a sinistra che vorrebbero vedere limitati i costi della politica. Vi è sicuramente un problema di moralità e di etica pubblica che il Governo di centrosinistra non si è posto, pensando al contrario solo ad accontentare le esigenze fameliche dei partiti e «partitini» della coalizione che lo sostiene, per sopravvivere in maniera stentata.
La mozione Elio Vito ed altri n. 1-00003, presentata dai deputati del gruppo di Forza Italia, ha un rilievo significativo e si pone in sintonia con la sensibilità dell'ampia maggioranza dei cittadini che assistono con preoccupazione e crescente distacco all'avvio stentato, molto, molto lento e difficoltoso dell'attività di questo Governo. Alla faccia dei primi cento giorni! Ridurre le spese, recuperare efficienza e moralità politica, evitare pratiche clientelari: questi sono gli obiettivi della mozione presentata. È necessario, a questo proposito, ricordare che la legge finanziaria per il 2006 del Governo Berlusconi ha ridotto gli emolumenti dei parlamentari. È stata una storica decisione per essere stata votata dagli stessi parlamentari che si sarebbero visti ridurre i propri emolumenti.
La mozione in discussione è in linea, quindi, con le proposte politiche che intendiamo realizzare: meno sprechi, meno clientele, meno spese inutili e più efficienza e trasparenza nella vita pubblica e politica.
La nostra azione di opposizione, a questo proposito, sarà dura ma seria e non consentiremo, sul fronte delle spese, alcuno sconto al Governo di centrosinistra, un centrosinistra che ha occupato a colpi di maggioranza tutte le istituzioni più rappresentative, non considerando che la metà degli elettori del nostro paese ha espresso il proprio consenso per la Casa delle libertà.
Vogliamo uno Stato più efficiente, più moderno e meno centralista. Vogliamo realizzare in pieno il principio di sussidiarietà ed evitare gli sprechi e la demagogia del centrosinistra, secondo cui, oggi, a differenza di qualche mese fa, quando era in carica il Governo Berlusconi, nel nostro paese, grazie alla bacchetta magica, tutto va bene. I problemi esistono ma il catastrofismo del centrosinistra durante il Governo Berlusconi è stato, a dir poco, becero e chiaramente strumentale.
Anche durante la campagna elettorale il dibattito politico è stato troppo duro, superando il limite del «politicamente corretto», con continui attacchi al Presidente del Consiglio Berlusconi, del tutto fuori misura.
Oggi, con la mozione in esame, intendiamo porre all'attenzione del paese ed alla prova il nostro impegno per moralizzare la vita pubblica e politica, proponendo Pag. 65di ridurre i costi vivi della politica, che sono in forte crescita a livello centrale, regionale e locale. Ciò è avvenuto sia in conseguenza del proliferare di cariche ed incarichi pubblici sia a seguito dell'aumento ingiustificato delle consulenze esterne per funzioni che potrebbero essere svolte agevolmente dai pubblici dipendenti.
Ricordo le parole del segretario Bonanni, il quale, invitando il Governo ad evitare che i sacrifici fossero sostenuti solo dai lavoratori e dai pensionati, indicava come una delle soluzioni da adottare quella, appunto, di intervenire sulle consulenze. Il 23 giugno scorso, lo stesso Bonanni parlava di 140 mila consulenze di cui si potrebbe fare a meno.
Chiediamo, inoltre, al Governo di adottare iniziative volte a ridurre progressivamente, fino alla completa eliminazione, tutte le consulenze esterne delle pubbliche amministrazioni, a tutti livelli, utilizzando in loro luogo le professionalità esistenti.
Infine, è opportuno che il Governo in carica riveda il patto di stabilità interno, affinché le regioni e gli enti locali riducano sensibilmente i costi diretti ed indiretti della politica, che sono crescenti e pesantissimi a livello regionale e locale ed assolutamente incompatibili con l'esigenza del risanamento delle finanze pubbliche. Il paese ha bisogno di trasparenza e di efficienza e solo attraverso una drastica riduzione delle spese superflue e degli sprechi si potrà risanare stabilmente la finanza pubblica.
In definitiva, con la mozione in esame chiediamo al Governo di rivedere il deleterio provvedimento dello «spacchettamento» dei Ministeri e di ridurre da subito il numero complessivo della sua pletorica compagine. Solo se il Governo cambierà immediatamente rotta, prendendo finalmente atto dello sconcerto che questo suo primo provvedimento ha suscitato anche presso i propri sostenitori, sarà possibile avviare una politica di risanamento. In caso contrario - che riteniamo sia il più probabile -, i propositi di risanamento della finanza pubblica espressi dagli esponenti di punta del Governo potranno considerarsi soltanto «grida» di manzoniana memoria, che finiranno per non essere attuate se non attraverso pesantissime stangate fiscali per i cittadini.
Del resto, appare assolutamente ridicolo e paradossale che anche sul decreto relativo allo «spacchettamento» dei Ministeri, che costituisce l'atto iniziale di questo Governo, sia stata posta la questione di fiducia. Siamo di fronte ad una situazione kafkiana se il primo atto del Governo, che rappresenta la sua stessa organizzazione, formerà oggetto del voto di fiducia. Chiedetevi cosa vuol dire tutto questo!
Attraverso la mozione in esame stiamo semplicemente chiedendo che la maggioranza si adegui ad una linea che aveva proposto agli elettori in sede di campagna elettorale e che aveva contemplato nel suo programma elettorale. Considerato che la nostra mozione è assolutamente in linea con quanto voluto dalla stessa maggioranza, non vedo perché quest'ultima non dovrebbe esprimere sulla stessa un voto favorevole. Quindi, sono certo che la mozione troverà consenso in quest'aula, anche attraverso il voto favorevole dell'attuale maggioranza.
Il Governo ha già assunto un impegno in questa direzione; dunque, è necessario che lo assuma anche in questa sede. Infatti, il Parlamento è sovrano e rimarrà sempre vigile sull'azione di Governo, per fare in modo che le chiacchiere siano sostituite da fatti.
Le ultime sono quelle pronunciate oggi pomeriggio dal Presidente Prodi a proposito delle vittorie, dei salti tripli e carpiati, dei «tre a zero», degli «otto a zero», dell' «otto a uno», del «sei a due»: tutte le chiacchiere riguardanti le vittorie di questo Governo devono essere poi tramutate in fatti concreti.
Vogliamo che questo Governo non vinca calcisticamente, ma vinca realmente anche rispetto alle tasche dei cittadini. È questo che vi chiediamo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Dato. Ne ha facoltà.

Pag. 66

CINZIA DATO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, mi rivolgo in particolare agli onorevoli Leone ed Elio Vito, primo firmatario di questa mozione. Di cosa stiamo parlando esattamente, onorevole Leone? Vorrei davvero dividere concettualmente gli aspetti interessanti emersi nella vostra mozione.
Il Governo Berlusconi portò il totale dei ministeri e dicasteri da 22 a 24; il Governo Prodi lo porta da 24 a 26, peraltro con un aumento percentuale inferiore a quello del Governo Berlusconi. Ma è questo lo scandalo oppure state soltanto agitando uno spauracchio qualunquista? Il precedente Governo aveva modificato l'organizzazione dei ministeri - come voi diceste - per allinearla alla nuova Costituzione, che per voi si identificava con la devolution (termine, peraltro, così poco elaborato che non è stato neanche tradotto). Vista la saggezza del popolo sovrano, questa strana creatura si è trasformata in una chimera. Allora, permetteteci di riordinare le cose secondo i criteri vigenti, come voi faceste allora, ispirandovi al progetto di devolution.
Come il Governo Berlusconi, anche l'attuale Governo propone un'organizzazione della struttura ministeriale funzionale alla propria azione. Allora, ricordo che furono modificati decreti mai entrati in vigore; oggi, la riorganizzazione è fondata sull'esperienza. L'organizzazione prevista - come lei stesso ha detto, onorevole Leone - non comporta un aggravio finanziario per lo Stato. Il principio di invarianza delle spese è esplicitato nella relazione che accompagna il disegno di legge di conversione. Peraltro, onorevole Leone, il numero dei ministri non implica - come lei ha affermato or ora - l'aumento dei costi, perché le strutture ed il personale che si utilizzano sono gli stessi, diversamente organizzati. Nella vostra mozione vaticinate costi della politica ingigantiti. Tuttavia, i dati da voi citati, come vedremo, sono relativi ai vostri anni di Governo, così come l'allarme dei sindacati che lei ha evocato poc'anzi. Ma, forse, nel vaticinare questo aumento dei costi, eravate consapevoli dell'impatto economico che la sconsiderata riforma costituzionale, votata frettolosamente da una maggioranza sotto il ricatto di una propria minoranza, avrebbe comportato: un enorme aumento dei costi e, soprattutto, un ulteriore innalzamento degli stessi (già in aumento) sul piano regionale, un innalzamento progressivo che chissà quando si sarebbe arrestato.
Per fortuna, i cittadini italiani hanno bocciato con sicurezza questo mostro.
Tra le questioni che voi citate vorrei iniziare da una in particolare, onorevole Leone, proprio per separare analiticamente i vari temi.
Per quanto riguarda i parlamentari, richiamate il vostro tentativo di ridurne dal 2016 il numero. Ricordate inoltre che la legge finanziaria per il 2006 ha diminuito lo stipendio dei parlamentari del 10 per cento: si tratta non già di un risparmio bensì di un pericolosissimo precedente. Per la prima volta, infatti, i parlamentari hanno deciso con riferimento ai propri emolumenti, oggi impercettibilmente diminuiti ma che domani potrebbero essere vistosamente incrementati, così infrangendo, solo al fine di realizzare una manovra demagogica, il rilevantissimo principio in base al quale i parlamentari stessi non decidono sui propri emolumenti.
Premetto, onorevole Leone, che io vorrei che distinguessimo, a proposito dei costi, tra quelli di funzionamento di una democrazia basata sulla rappresentanza ed altri costosi orpelli che costituiscono un vizio o alimentano un sistema clientelare; vi è poi il problema del costo eccessivo di strutture amministrative da snellire e semplificare.
Non si risparmia, onorevole Leone, sulle fondamenta di un palazzo. La rappresentanza parlamentare costituisce il fondamento più importante, le fondamenta più storicamente significative della nostra democrazia. Noi siamo stati i primi, come centrosinistra, a proporre la diminuzione dei parlamentari, con disegni di legge e in sede di Bicamerale. Tutto questo fu votato insieme. Nel programma dell'Unione è prevista una diminuzione peraltro Pag. 67assai più significativa di quella proposta dalla vostra riforma costituzionale.
Onorevole Leone, ciò che è inaccettabile è che il tema della riduzione dei parlamentari si ponga in relazione alla diminuzione dei costi della politica o dei costi - peggio ancora! - della democrazia. Rispetto a questo, mi auguro che non cederemo: non lo faremo, e se proponiamo la riduzione dei parlamentari è in ragione della logica della rappresentanza del paese e della possibilità di migliorare il funzionamento delle istituzioni, non dei costi, onorevole Leone - lo ripeto -, non dei costi! Ciò per varie ragioni. La più banale è che i costi del Parlamento, che sono ben lungi dal rappresentare il grave appesantimento dei costi del nostro sistema, non subiscono l'impatto dello stipendio dei parlamentari se non per una quota bassissima. Al Senato sono al di sotto del 25 per cento, per esempio. Quindi, non è comunque lì che va cercata la ragione dell'aumento dei costi del nostro sistema. Su questo, la prego, onorevole Leone, non dobbiamo indulgere verso facili, demagogiche e populistiche esortazioni, che sviano gli italiani dalla percezione reale dei problemi.
Noi abbiamo bisogno di una società civile sana, forte e non bombardata da messaggi immaturi...

ANTONIO LEONE. La riduzione dei costi è prevista nel vostro programma!

CINZIA DATO. ...da conquistatori del potere a tutti i costi e che utilizzano i mezzi della comunicazione, sui quali la nostra democrazia dovrebbe riflettere con maggiore consapevolezza. Quindi, diminuire i costi del sistema è fondamentale ed è una priorità assoluta del nostro Governo, come vedremo. Ma, dopo l'aggressione che avete portato a tutte le istituzioni del nostro paese e della nostra democrazia e a tutti i più importanti organi di garanzia, dalla magistratura al Parlamento, al Presidente della Repubblica, giocare ancora la carta - mi perdoni, onorevole Leone -, davvero vile e incosciente, dell'attacco alla rappresentanza politica, che è alla base della nostra democrazia, svalutandola (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia), a meno che non ci troviamo...

ANTONIO LEONE. Ma dove vivi...?

PRESIDENTE. Onorevole Leone, per cortesia...
Onorevole Dato, dovrebbe rivolgersi alla Presidenza, per cortesia. Grazie.

Testo sostituito con errata corrige volante CINZIA DATO. Ha ragione, Presidente: lo faccio molto volentieri.
Vede, Presidente, la democrazia richiede che ci si trovi su due sponde diverse ma di una stessa democrazia. Alcune vostre scelte hanno fatto sì che esponenti del vostro schieramento non si siano più potuti identificare nella vostra sponda perché hanno temuto che fosse quella di un'altra democrazia.
Desidero adesso ripercorrere alcuni momenti della vostra mozione. Lei parla della posizione della questione di fiducia. Si è parlato di numerosi emendamenti; il nostro paese ha bisogno di funzionare rapidamente ed il Governo ha la responsabilità di farlo funzionare. Ha parlato anche di esigenze fameliche e condizionanti: non vorrei entrare in questa discussione, ma ricordo quanto peso ha avuto sulla situazione attuale l'adozione di un sistema elettorale che ha visto aumentare la presenza di forze politiche il cui consenso non si è incrementato, un sistema elettorale che lo stesso Calderoli, suo strenuo sostenitore, ha definito con un termine di indimenticabile eleganza.
Nella mozione affermate che il risanamento della finanza pubblica deve tener conto degli impegni assunti nei confronti dell'Unione europea che, nella scorsa legislatura, sarebbero stati sempre rispettati. A tale proposito vorrei ricordare che nel periodo 2001-2005 il valore medio dell'indebitamento netto rispetto al PIL è stato pari al 3,4 per cento del prodotto: un valore, dunque, ben superiore al parametro europeo del 3 per cento. Nel 2006 l'indebitamento netto potrebbe raggiungere un valore del 4 per cento, secondo alcune stime, e superare il 5 per cento, Pag. 68secondo altre. In breve, pare che anche quest'anno non sarà possibile rispettare gli impegni assunti nel luglio del 2005 dal Governo Berlusconi in sede europea, come non sono stati rispettati negli altri anni. L'avanzo primario, che rappresenta un indicatore importantissimo, è passato dal 3,2 per cento del PIL, allo 0,5 per cento nel 2005, e pare che questo sia stato ottenuto grazie a interventi una tantum senza i quali non avremmo avuto neanche lo 0,5 per cento.
Voi dite che la causa maggiore del perdurante squilibrio dei conti deriva dall'enorme debito pubblico accumulato negli ultimi anni dalla cosiddetta prima Repubblica che, grazie a Dio, c'è ancora. Vorrei ricordare che nel periodo del Governo di centrosinistra il rapporto debito-PIL, grazie ad un'incessante azione di risanamento della finanza pubblica, è stato ridotto di quasi 12 punti percentuali. Invece, la negligenza e l'inefficacia dell'azione del Governo del Polo, proprio in tema di risanamento della finanza pubblica, è chiaramente dimostrata dalla dinamica del debito pubblico negli ultimi anni di Governo. L'incidenza del debito sul PIL, dopo un decennio di costante riduzione, è tornata a crescere nel 2005. L'eredità che ci lascia in termini di debito il Governo Berlusconi è pesante: oggi molte stime di diversi autorevoli istituti prevedono un aumento del debito oltre il 108 per cento, dopo anni - ripeto - straordinariamente virtuosi.
Opportunamente nella mozione affermate che la politica di risanamento deve basarsi, tra l'altro, sull'eliminazione delle spese inutili e di tipo clientelare, e questa è una cosa molto seria. Scrivete anche della riduzione dei costi connessi al «proliferare di (...) incarichi pubblici» e all'«aumento ingiustificato delle consulenze esterne (...)». Ebbene, pur tralasciando di menzionare le assunzioni, le nomine, i bandi dell'ultima ora fatti dal vostro Governo malgrado la legge contro lo spoil system, vorrei però ricordarvi quante volte la Corte dei conti ha richiamato l'attenzione su costose e inutili consulenze e sugli incarichi esterni conferiti dallo Stato e dalla pubblica amministrazione. Secondo stime del marzo 2006, la pubblica amministrazione spende non meno di 750 milioni di euro per 200 mila esterni; tali sono i dati dopo gli anni del vostro Governo!
Secondo fonti sindacali, che anche lei ha citato e che si riferiscono ai dati degli anni del vostro Governo, la cifra delle consulenze addirittura avrebbe sfiorato quota 300 mila, e la metà di esse sarebbero state stabilite presso regioni ed enti locali: sapete quale è la regione in testa a tutte, che assorbe il 25 per cento del totale? Ohibò, la Lombardia...!
Ebbene, dopo tutto ciò, dopo lo scandalo delle consulenze d'oro al Ministero della giustizia e in molte altre amministrazioni dello Stato e periferiche, ancora oggi, dopo la «cura» proposta dalla finanziaria per il 2006, nei soli ministeri sono state contate oltre 43 mila automobili di Stato. Sto parlando degli anni del vostro Governo! Peraltro, secondo dati forniti da consulenti - ripeto: consulenti... - del Governo Berlusconi, il costo, durante gli anni del vostro Governo, delle auto blu in Italia è calcolato intorno ai 10 miliardi di euro l'anno!
È inoltre possibile dimostrare come anche un Governo con un alto numero di ministri e sottosegretari possa contribuire al risanamento finanziario ed alla riduzione degli sprechi. È stato già annunciato dall'esecutivo il piano per la riduzione delle consulenze: non saranno rinnovate quelle che vengono a scadenza. Si sono previsti il contenimento al minimo degli staff ed un deciso ed effettivo - e questa volta siamo certi che vi sarà - taglio delle scorte e delle auto blu. L'impegno del Governo - peraltro già reso pubblico - è di ridurre le spese per gli uffici di diretta collaborazione dei ministri in misura non inferiore al 10 per cento; ciò, anche per consentire la formazione a costo zero dei gabinetti dei nuovi ministri. Ma saranno attivate anche misure per contenere le spese di mostre, manifestazioni, rappresentanza e pubblicità.
Tutto ciò è contenuto nella circolare del ministro dell'economia e delle finanze appena emanata, dove si annunciano precisi interventi: riduzione del 50 per cento Pag. 69rispetto al livello del 2004 delle spese di rappresentanza, pubblicità e per compensi a consulenti esterni.
A tale proposito, non posso non ricordare la grande confusione che si fa tra comunicazione pubblica e propaganda a spese del pubblico; non posso non ricordare i libretti che tutti gli italiani hanno ricevuto a casa, per esempio, dal ministro Matteoli, che ci raccontava quante «cose belle» ha fatto - guarda caso, in coincidenza con le elezioni europee -; non posso non ricordare che il ministro Lunardi ci ha inviato un libretto di poesie sulla strada mentre il nostro paese è nelle condizioni che ben conosciamo.
Non posso non ricordare di quanti fondi per comunicazioni e pubbliche relazioni abbia disposto il ministro senza portafoglio Prestigiacomo e mi chiedo se, con quel denaro, non sarebbe stato meglio rifinanziare la legge per l'imprenditoria femminile, se questa non sarebbe stata una migliore pubblicità anche per il Governo.
L'attuale Governo ha annunciato anche la decurtazione del 10 per cento dei gettoni di presenza e delle indennità destinate a coloro che fanno parte di consigli di amministrazione, di organi di indirizzo e controllo e di commissioni di qualunque genere; ha annunciato l'abolizione dell'indennità di missione per chi viaggia sul territorio nazionale, per i viaggi all'estero di tutti i dirigenti pubblici (compresi dirigenti e capi dipartimento, i quali viaggeranno in classe economica); riduce del 30 per cento le diarie dei funzionari della Farnesina in missione all'estero, ed altro ancora. Allora, abbiamo un programma preciso, impegni già esplicitati, una linea d'azione volta con sicurezza al risanamento: dei conti e della morale pubblica del paese, a cui il Presidente Berlusconi ha prestato, con testardaggine, un'attenzione appassionata in ogni suo intervento...
Ultimo punto: nella mozione, impegnate il Governo ad attivarsi affinché sia rivisto il patto di stabilità interno, in modo che regioni ed enti locali riducano sensibilmente i costi. In tema di patto di stabilità, la vostra finanziaria per il 2006 ha fissato vincoli alle spese in conto corrente e in conto capitale degli enti locali e territoriali che dovrebbero portare un risparmio di 3,3 miliardi di euro.
Ora, colleghi, il tetto di spesa imposto dal Governo Berlusconi alle autonomie restringe in modo drastico le risorse per i servizi essenziali (si pensi ai trasporti, all'istruzione, alla formazione) e, anziché concorrere alla competitività del paese, produce effetti negativi: il taglio di questi servizi, infatti, è un taglio al reddito disponibile delle famiglie, che, non potendo più disporre di sufficienti servizi pubblici locali, dovranno acquistare servizi privati sostitutivi. Se un Governo costringe le amministrazioni locali a tagliare i servizi, sta facendo molto peggio di come farebbe aumentando le tasse, perché aumenta le tasse - in modo iniquo - ai cittadini che hanno bisogno di usufruire di quei servizi, impoverisce un paese, impedisce il rilancio e la crescita del paese.
CINZIA DATO. Ha ragione, Presidente: lo faccio molto volentieri.
Vede, Presidente, la democrazia richiede che ci si trovi su due sponde diverse ma di una stessa democrazia. Alcune vostre scelte hanno fatto sì che esponenti del vostro schieramento non si siano più potuti identificare nella vostra sponda perché hanno temuto che fosse quella di un'altra democrazia.
Desidero adesso ripercorrere alcuni momenti della vostra mozione. Lei parla della posizione della questione di fiducia. Si è parlato di numerosi emendamenti; il nostro paese ha bisogno di funzionare rapidamente ed il Governo ha la responsabilità di farlo funzionare. Ha parlato anche di esigenze fameliche e condizionanti: non vorrei entrare in questa discussione, ma ricordo quanto peso ha avuto sulla situazione attuale l'adozione di un sistema elettorale che ha visto aumentare la presenza di forze politiche il cui consenso non si è incrementato, un sistema elettorale che lo stesso Calderoli, suo strenuo sostenitore, ha definito con un termine di indimenticabile eleganza.
Nella mozione affermate che il risanamento della finanza pubblica deve tener conto degli impegni assunti nei confronti dell'Unione europea che, nella scorsa legislatura, sarebbero stati sempre rispettati. A tale proposito vorrei ricordare che nel periodo 2001-2005 il valore medio dell'indebitamento netto rispetto al PIL è stato pari al 3,4 per cento del prodotto: un valore, dunque, ben superiore al parametro europeo del 3 per cento. Nel 2006 l'indebitamento netto potrebbe raggiungere un valore del 4 per cento, secondo alcune stime, e superare il 5 per cento, Pag. 68secondo altre. In breve, pare che anche quest'anno non sarà possibile rispettare gli impegni assunti nel luglio del 2005 dal Governo Berlusconi in sede europea, come non sono stati rispettati negli altri anni. L'avanzo primario, che rappresenta un indicatore importantissimo, è passato dal 3,2 per cento del PIL, allo 0,5 per cento nel 2005, e pare che questo sia stato ottenuto grazie a interventi una tantum senza i quali non avremmo avuto neanche lo 0,5 per cento.
Voi dite che la causa maggiore del perdurante squilibrio dei conti deriva dall'enorme debito pubblico accumulato negli ultimi anni dalla cosiddetta prima Repubblica che, grazie a Dio, c'è ancora. Vorrei ricordare che nel periodo del Governo di centrosinistra il rapporto debito-PIL, grazie ad un'incessante azione di risanamento della finanza pubblica, è stato ridotto di quasi 12 punti percentuali. Invece, la negligenza e l'inefficacia dell'azione del Governo del Polo, proprio in tema di risanamento della finanza pubblica, è chiaramente dimostrata dalla dinamica del debito pubblico negli ultimi anni di Governo. L'incidenza del debito sul PIL, dopo un decennio di costante riduzione, è tornata a crescere nel 2005. L'eredità che ci lascia in termini di debito il Governo Berlusconi è pesante: oggi molte stime di diversi autorevoli istituti prevedono un aumento del debito oltre il 108 per cento, dopo anni - ripeto - straordinariamente virtuosi.
Opportunamente nella mozione affermate che la politica di risanamento deve basarsi, tra l'altro, sull'eliminazione delle spese inutili e di tipo clientelare, e questa è una cosa molto seria. Scrivete anche della riduzione dei costi connessi al «proliferare di (...) incarichi pubblici» e all'«aumento ingiustificato delle consulenze esterne (...)». Ebbene, pur tralasciando di menzionare le assunzioni, le nomine, i bandi dell'ultima ora fatti dal vostro Governo malgrado la legge contro lo spoil system, vorrei però ricordarvi quante volte la Corte dei conti ha richiamato l'attenzione su costose e inutili consulenze e sugli incarichi esterni conferiti dallo Stato e dalla pubblica amministrazione. Secondo stime del marzo 2006, la pubblica amministrazione spende non meno di 750 milioni di euro per 200 mila esterni; tali sono i dati dopo gli anni del vostro Governo!
Secondo fonti sindacali, che anche lei ha citato e che si riferiscono ai dati degli anni del vostro Governo, la cifra delle consulenze addirittura avrebbe sfiorato quota 300 mila, e la metà di esse sarebbero state stabilite presso regioni ed enti locali: sapete quale è la regione in testa a tutte, che assorbe il 25 per cento del totale? Ohibò, la Lombardia...!
Ebbene, dopo tutto ciò, dopo lo scandalo delle consulenze d'oro al Ministero della giustizia e in molte altre amministrazioni dello Stato e periferiche, ancora oggi, dopo la «cura» proposta dalla finanziaria per il 2006, nei soli ministeri sono state contate oltre 43 mila automobili di Stato. Sto parlando degli anni del vostro Governo! Peraltro, secondo dati forniti da consulenti - ripeto: consulenti... - del Governo Berlusconi, il costo, durante gli anni del vostro Governo, delle auto blu in Italia è calcolato intorno ai 10 miliardi di euro l'anno!
È inoltre possibile dimostrare come anche un Governo con un alto numero di ministri e sottosegretari possa contribuire al risanamento finanziario ed alla riduzione degli sprechi. È stato già annunciato dall'esecutivo il piano per la riduzione delle consulenze: non saranno rinnovate quelle che vengono a scadenza. Si sono previsti il contenimento al minimo degli staff ed un deciso ed effettivo - e questa volta siamo certi che vi sarà - taglio delle scorte e delle auto blu. L'impegno del Governo - peraltro già reso pubblico - è di ridurre le spese per gli uffici di diretta collaborazione dei ministri in misura non inferiore al 10 per cento; ciò, anche per consentire la formazione a costo zero dei gabinetti dei nuovi ministri. Ma saranno attivate anche misure per contenere le spese di mostre, manifestazioni, rappresentanza e pubblicità.
Tutto ciò è contenuto nella circolare del ministro dell'economia e delle finanze appena emanata, dove si annunciano precisi interventi: riduzione del 50 per cento Pag. 69rispetto al livello del 2004 delle spese di rappresentanza, pubblicità e per compensi a consulenti esterni.
A tale proposito, non posso non ricordare la grande confusione che si fa tra comunicazione pubblica e propaganda a spese del pubblico; non posso non ricordare i libretti che tutti gli italiani hanno ricevuto a casa, per esempio, dal ministro Matteoli, che ci raccontava quante «cose belle» ha fatto - guarda caso, in coincidenza con le elezioni europee -; non posso non ricordare che il ministro Lunardi ci ha inviato un libretto di poesie sulla strada mentre il nostro paese è nelle condizioni che ben conosciamo.
Non posso non ricordare di quanti fondi per comunicazioni e pubbliche relazioni abbia disposto il ministro senza portafoglio Prestigiacomo e mi chiedo se, con quel denaro, non sarebbe stato meglio rifinanziare la legge per l'imprenditoria femminile, se questa non sarebbe stata una migliore pubblicità anche per il Governo.
L'attuale Governo ha annunciato anche la decurtazione del 10 per cento dei gettoni di presenza e delle indennità destinate a coloro che fanno parte di consigli di amministrazione, di organi di indirizzo e controllo e di commissioni di qualunque genere; ha annunciato l'abolizione dell'indennità di missione per chi viaggia sul territorio nazionale, per i viaggi all'estero di tutti i dirigenti pubblici (compresi dirigenti e capi dipartimento, i quali viaggeranno in classe economica); riduce del 30 per cento le diarie dei funzionari della Farnesina in missione all'estero, ed altro ancora. Allora, abbiamo un programma preciso, impegni già esplicitati, una linea d'azione volta con sicurezza al risanamento: dei conti e della morale pubblica del paese, a cui il Presidente Prodi ha prestato, con testardaggine, un'attenzione appassionata in ogni suo intervento...
Ultimo punto: nella mozione, impegnate il Governo ad attivarsi affinché sia rivisto il patto di stabilità interno, in modo che regioni ed enti locali riducano sensibilmente i costi. In tema di patto di stabilità, la vostra finanziaria per il 2006 ha fissato vincoli alle spese in conto corrente e in conto capitale degli enti locali e territoriali che dovrebbero portare un risparmio di 3,3 miliardi di euro.
Ora, colleghi, il tetto di spesa imposto dal Governo Berlusconi alle autonomie restringe in modo drastico le risorse per i servizi essenziali (si pensi ai trasporti, all'istruzione, alla formazione) e, anziché concorrere alla competitività del paese, produce effetti negativi: il taglio di questi servizi, infatti, è un taglio al reddito disponibile delle famiglie, che, non potendo più disporre di sufficienti servizi pubblici locali, dovranno acquistare servizi privati sostitutivi. Se un Governo costringe le amministrazioni locali a tagliare i servizi, sta facendo molto peggio di come farebbe aumentando le tasse, perché aumenta le tasse - in modo iniquo - ai cittadini che hanno bisogno di usufruire di quei servizi, impoverisce un paese, impedisce il rilancio e la crescita del paese.

CARLO CICCIOLI. È la soglia di sopportabilità!

CINZIA DATO. Mi dolgo delle labilità! Quello proposto da voi è un sistema rudimentale e poco efficiente. Disponete una diminuzione generale della spesa senza distinguere tra spese buone e spese cattive. Prendete a riferimento spese del passato, in un periodo arbitrariamente limitato che premia, di fatto, gli enti che hanno speso di più. Sospendete, solo temporaneamente, una spesa che riesploderà quando verranno tolti i tetti, perché quella spesa sostiene servizi necessari. Proponete, e di fatto imponete, un federalismo alla rovescia: se è vero che deve aumentare l'autonomia e, quindi, il trasferimento delle funzioni, aumenteranno gli oneri relativi e l'incremento relativo della spesa periferica dovrebbe essere maggiore di quella del centro.
Per gli enti locali passare dall'obiettivo di rispetto di un saldo in termini di disavanzo, ossia di differenza tra entrate e spese - ciò che sostanzialmente ci chiedono i vincoli di Maastricht -, ad un altro criterio soffoca, di fatto, i comuni più Pag. 70piccoli - quelli del Mezzogiorno, ve lo ricordo - e quelli più bisognosi ed impedisce ai comuni più forti e più ricchi di aumentare le proprie entrate.
Il risultato della situazione attuale, degli sprechi, delle inefficienze siamo convinti sia il risultato di un portato storico di decenni del nostro paese, ma è un risultato assolutamente ed evidentemente aggravato dagli anni di vostro Governo.
Ricordo le parole del ministro Frattini, che ci diceva: «Credo che l'esecutivo abbia il diritto politico di scegliere come organizzare la pubblica amministrazione». Io credo quindi che l'onorevole Frattini voterà contro questa mozione, in coerenza con il diritto da lui sostenuto per il suo Governo di darsi le regole migliori di organizzazione, coerenti con la propria azione di governo. Non continuo il discorso dell'onorevole Frattini - non vorrei citarlo tutto -, rammento solo che egli si rifiuta di prendere lezioni di democrazia, vantando una cultura di Governo di cui la vostra maggioranza, secondo l'opinione del nostro paese, non ha dato prova particolare. Noi, invece, siamo disponibili, e lo siamo sempre di più - considerato il bisogno del paese di realizzare importanti riforme -, ad un dialogo aperto, limpido e forte tra le nostre parti, appunto per il bene del paese e per il bene della democrazia, ma dobbiamo parlare davvero della stessa democrazia. Vi prego, smettiamola con le demagogie più populiste, pericolosissime per il nostro paese, anche se devo rilevare che il comportamento degli italiani al referendum di ieri ha dato a noi classe politica un esempio di grandissima maturità. Cogliamolo insieme, facciamo lavorare il Governo Prodi, lo giudicheremo in cammino ed a consuntivo (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo e dell'Italia dei Valori)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Leone, onorevole Dato, abbiamo parlato di demagogia e di populismo; sembra che il problema attinente ai costi della politica si riduca ad una gara parlamentare suicida tra chi riduce di più il numero dei parlamentari. Le 170 unità proposte dalla Casa delle libertà vengono ora battute dal rilancio delle 200 unità da parte del Governo Prodi. Mi domando se già ora noi non ci sentiamo inutili, e verrebbe da proporre in quest'aula di far alzare la mano a tutti coloro che si sentono di costituire una spesa viva e superflua della politica, suggerendo magari ai medesimi di andarsene.
È vero: le cariche ministeriali, il costo delle consulenze, il numero delle auto di servizio ed i costi diretti ed indiretti di regioni ed enti locali sono un problema che riguarda il contenimento dei costi pubblici e la moralità politica. Il ministro dell'economia e delle finanze sa perfettamente che l'indebitamento sommerso degli enti locali e della sanità, se emergesse, porterebbe al totale fallimento anche dell'attuale Governo. Ma il problema non è solo morale e di spese vive; è anche di forte ritardo strutturale; è questo, onorevoli colleghi, il problema! I cittadini credono a ciò che vedono e toccano nel loro quotidiano. I medesimi vedono e toccano che i servizi, le politiche, le sicurezze fornite dal pubblico costano e non corrispondono agli standard di qualità richiesti, anzi spesso sono un intralcio alle loro necessità e ai loro desideri; sanno, inoltre, che non vi sono alternative perché la politica è invasiva e domina il libero mercato nazionale.
E dove la politica non controlla ecco subito affacciarsi i «furbetti del quartierino» che «pittano» la loro deregulation. Il ministro Livia Turco, due ore fa, in audizione alla XII Commissione, ha presentato quello che ha definito il patto per la salute. Ci ha detto che ha la delega a portare avanti il programma dell'Ulivo, ma non si è resa conto che, invece, è ministro della Repubblica e non un ministro dell'Ulivo, quindi non si può permettere di essere il ministro della felicità del Governo Prodi! A parte il fatto che ha concluso consegnando a tutti la sua relazione e terminando con la previsione dell'aumento del numero degli spinelli; personalmente Pag. 71mi sono spaventato, pensando: «Sta a vedere che porta uno spinello anche a noi membri della Commissione!».
Inoltre, in nome di un malinteso concetto di contenimento della spesa ecco che ex aziende pubbliche tagliano servizi essenziali allo stato sociale come, ad esempio, sta avvenendo per le Poste italiane Spa che stanno chiudendo uffici in aree disagiate come la montagna italiana, in questo modo rendendo precaria anche la sola sopravvivenza in quei territori; così ha già fatto Trenitalia e le aziende di erogazione del gas.
Una classe politica seria è chiamata ad affrontare questo problema strutturale della politica, a liberalizzare e mettere in concorrenza dove è utile che questo avvenga, togliendo le sue «manacce consociative» da un mercato che non è oggettivamente libero ma, allo stesso tempo, deve equilibrare il controllo strategico sullo stato sociale per fare in modo che non siano soprattutto le fasce deboli a pagare.
Non condivido completamente l'analisi semplicistica fatta dalla mozione Vito sulla causa maggiore dello squilibrio dei conti pubblici da attribuire alla prima Repubblica. Vi è in questa mozione una strana atmosfera di radicalismo, la quale mi fa sospettare che più che a Forza Italia l'onorevole Vito appartenga al partito radicale.
Nella prima Repubblica, pur con i tanti mali e limiti della partitocrazia, che non possiamo negare, la politica affrontò anche le grandi sfide, seppe dare una democrazia al nostro paese, guidò la ricostruzione ed il boom economico, inaugurò la stagione dei diritti e delle riforme, seppe resistere, a parte Prodi, alla minaccia eversiva interna e al totalitarismo internazionale, modernizzò il paese e con il Governo Craxi divenne la quinta potenza economica mondiale.
Gli anni Novanta hanno posto la necessità di un cambiamento strutturale anche in rapporto alle nuove condizioni geopolitiche e alla globalizzazione. La verità è che l'Italia non ha saputo darsi una svolta epocale come i tempi richiedevano, scendendo in tal modo, posizione su posizione, di prestigio internazionale e aumentando i ritardi al proprio interno. Questo non è imputabile alla prima Repubblica, questo è colpa della incapacità delle attuali classi dirigenti che non hanno saputo compiere atti di grande coraggio, dimostrando solo una forte aggressività nei rapporti.
L'attuale risultato è quello che vediamo: eccessiva proliferazione di enti inutili, eccessivo protezionismo e favoritismo politico, eccessiva burocrazia da parte dello Stato, scarsa modernizzazione. Questi sono i veri costi della politica sul paese, non il numero dei deputati, non il numero delle auto blu, che incidono dello 0,00000000 - all'infinito - 1 per cento! E se qualcuno se ne fosse dimenticato, pur avendo tutti applaudito, voglio qui ricordare alcuni passi della recente relazione del Governatore della Banca d'Italia, che cito testualmente: "L'intensificazione della concorrenza, l'ampliamento dello spazio per l'esplicarsi dei meccanismi di mercato sono necessari al rilancio produttivo e complementari a scelte di equità. La concorrenza costituisce il migliore agente di giustizia sociale in un'economia, in una società come quella italiana nella cui storia è ricorrente il privilegio di pochi fondato sulla protezione dello Stato. La produttività dei servizi è essenziale per la crescita dell'economia: essi rappresentano nei paesi dell'OCSE oltre il 70 per cento del valore aggiunto. Sono utilizzati nella produzione di tutti gli altri settori, sono più diffuse nel terziario rendite monopolistiche che mantengono alti i prezzi, ostacolano l'innovazione e la produttività, deprimono la competitività del sistema. Le imprese di produzione e distribuzione dei servizi di pubblica utilità erano in Italia interamente di proprietà pubblica ancora nella metà degli anni Novanta. L'ampia privatizzazione che le ha coinvolte ha contribuito a ridurre il debito pubblico in rapporto al prodotto interno lordo. La liberalizzazione di questi mercati non ha progredito in eguale misura. Nei servizi pubblici locali la stessa privatizzazione ha fatto pochi passi avanti; la liberalizzazione Pag. 72manca quasi del tutto tanto che la gestione può essere affidata senza gara a società pubbliche o miste. Infine, le amministrazioni locali detengono ancora il controllo di molte imprese operanti nella fornitura dei servizi pubblici e, in taluni casi, ambiscono ad ampliare la gamma dei servizi offerti innescando fenomeni di ripubblicizzazione. Ostacoli alla concorrenza derivano anche da normative restrittive che in più settori danneggiano la generalità dei consumatori e dei lavoratori. Nel commercio al dettaglio il numero medio di dipendenti delle imprese è circa la metà di quelli dell'area dell'euro».
In conclusione, onorevoli colleghi, è questo che dovremo urgentemente affrontare e non perdere tempo sulla questione del numero dei parlamentari, dei ministri e dei sottosegretari e sulla quantificazione in termini percentuali delle macchine blu che c'erano prima, dopo, ieri e ieri l'altro. È ciò che sapremo produrre che interessa il paese, non in quanti saremo a dimostrare quello che sapremo fare (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, la presentazione di questa mozione ci induce a riflettere su un provvedimento che rappresenta soprattutto la spia di come il Governo Prodi intenda operare sul fronte della gestione delle funzioni di Governo e dell'approccio che si dà alla pubblica amministrazione.
Il decreto Bassanini, come voi tutti ricordate, prevedeva dodici ministeri. Successivamente questi ministeri sono stati aumentati con il Governo Berlusconi, con la introduzione di due nuovi ministeri: quello delle comunicazioni e quello della salute. Il Governo Prodi, che avrebbe dovuto dare una decisa accelerazione per il rilancio di questa politica e avrebbe dovuto soprattutto incidere su quelli che sono i costi della politica e l'efficienza della pubblica amministrazione, ha creato invece quattro nuovi ministeri: quello del commercio internazionale, quello dei trasporti, quello dell'istruzione e quello dell'università e della ricerca, più tutte le deleghe che sono state «spacchettate» ai vari ministeri e attribuite ai ministri senza portafoglio.
Questo tipo di approccio noi non possiamo certo condividerlo. Riteniamo che esso sia l'espressione di un veterocentralismo, di un vecchio modo di concepire lo Stato e la politica. Lo sanno tutti, e lo capisce facilmente anche un bambino: questi ministeri ed anche i ministri senza portafoglio non sono stati istituiti per rispondere ad un criterio di efficienza ma semplicemente per risolvere dei problemi interni alla maggioranza, problemi di poltrone, di equilibrio, finendo così per costruire poltrone, poltroncine e strapuntini che potessero dare quell'assetto che ha consentito al Governo Prodi di ottenere stentatamente la fiducia dopo un risultato elettorale oltremodo stentato. E il fatto che la istituzione di questi ministeri non risponda assolutamente a criteri di efficienza, ma invece porti ad un'inefficienza lo dimostrano le scelte nel loro merito. Faccio riferimento, ad esempio, allo «spacchettamento» delle funzioni che prima erano raggruppate in seno al Ministero del lavoro e della previdenza sociale e che ora vedono l'attribuzione al ministro della solidarietà sociale di funzioni nuove in tema di immigrazione, di politiche sociali, delle politiche del lavoro e dell'occupazione, più il controllo degli enti di previdenza.
Tali scelte non rispondono, certo, a criteri di efficienza ma portano ad un accavallamento di competenze che è già sfociato, nei primi giorni di attività del Governo, nelle dichiarazioni di singoli ministri i quali, oltre a dire cose che non stavano né in cielo né in terra, si contraddicevano l'uno con l'altro. Come non ricordare le prime dichiarazioni del ministro Ferrero il quale, recandosi a visitare, insieme ad un sottosegretario di Stato, il centro di permanenza temporanea di Lampedusa, subito ha predicato l'immigrazione libera ed ha affermato che bisogna regolarizzare oltre 500 mila immigrati Pag. 73presenti nel nostro territorio, dimenticando che esisteva un «decreto flussi» e che esistono norme ben precise poste dalla legge Bossi-Fini!
In un'altra occasione, il sottosegretario Lucidi - c'è una serie di competenze che non si capisce bene come siano attribuite, con tutti questi «spacchettamenti» - ha dichiarato, davanti alle coste della Libia: prego, cittadini della Libia, accomodatevi sul nostro territorio perché concederemo a tutti il diritto di asilo. Bei messaggi per contenere il fenomeno dell'immigrazione clandestina! In quei paesi, le organizzazioni criminali si determinano a partire o a non partire, si organizzano in un modo piuttosto che in un altro a seconda del tipo di politica svolta nel paese in cui dovrebbero andare. Ovviamente, ove si attui una politica basata sul pugno di ferro - io direi, semplicemente, sul rispetto delle regole - sono scoraggiati; se, invece, l'immagine che si offre è quella di un paese in cui le regole sono, per così dire, un optional, evidentemente è difficile combattere l'immigrazione clandestina.
Inoltre, vi è stata l'attribuzione di alcune competenze al Ministero per le politiche giovanili e l'attribuzione di altre competenze del Ministero del lavoro, al Ministro senza portafoglio per le politiche per la famiglia, al ministro Bindi. Anche in questo caso, l'attribuzione di una serie di competenze ed un'azione che è stata svolta nel corso della precedente legislatura, e che ha raccolto decisi consensi al di fuori del mondo della politica, rischiano di essere completamente vanificate.
Anche qualcos'altro mi ha colpito in modo particolare e lo affermo perché, nell'ultimo periodo della scorsa legislatura, sono stato sottosegretario e, per qualche tempo, ho avuto la delega al turismo. In tutta questa operazione di poltrone, infatti, la delega al turismo è stata sottratta alle competenze del Ministero delle attività produttive per passare al Ministero dei beni e delle attività culturali. Guardate che questo tipo di operazione ci porta indietro, è uno schiaffo al nostro sistema turistico, che spera di poter competere avendo il tipo di qualificazione che merita e, cioè, la qualificazione di industria. Nell'ultimo decreto sulla competitività, noi siamo riusciti ad inserire il comparto turistico tra le industrie e questo è stato un segnale importante, suffragato, poi, da alcuni provvedimenti come la riforma dell'ENIT che il Governo, nella scorsa legislatura, è riuscito ad abbozzare. Se vogliamo che il paese tragga dal turismo il giusto profitto o, meglio, quelle giuste energie per far sviluppare alcuni territori - penso al sud ma anche ad alcune zone del nord e lo affermo in quanto piemontese, dato che il nostro sistema produttivo non ha più soltanto le industrie - noi dobbiamo considerare il turismo come una industria. Portare il turismo tra le competenze del Ministero per i beni e le attività culturali ha veramente il sapore di passato, di vecchio, di borbonico, di un paese che non vuole andare avanti ma vuole tornare indietro, schiacciato dallo statalismo e dall'assistenzialismo.
Oltre alle inefficienze, ci sono indubbiamente i costi. Si dice che questo tipo di provvedimenti è a costo zero, ma mi pare che anche la Commissione bilancio del Senato abbia detto che non è assolutamente così. A parte che è tutto da dimostrare che si riducono i gabinetti di alcuni ministri per assegnare il personale al gabinetto di altri ministri - io penso che, alla fine della fiera, ci sarà un'esplosione generale delle assunzioni e dei posti - lo stipendio dei ministri e dei sottosegretari, per esempio, è sicuramente un costo aggiuntivo che è anche attinente a quel famoso articolo 81 della Costituzione, dal momento che avrebbero dovuto essere indicati i fondi a copertura di questo provvedimento.
Noi abbiamo ministri e sottosegretari in più che prendono uno stipendio in più; abbiamo ministri e sottosegretari che, sempre per le stesse logiche di poltrone, si sono dimessi dalla carica di parlamentare; anzi, le dimissioni sono state loro richieste, da parte della maggioranza, per poter gestire i lavori parlamentari. A proposito, colgo anche l'occasione per ribadire che, come parlamentare, vorrei lavorare: sono due mesi che siamo in questo Parlamento Pag. 74e ancora non abbiamo iniziato a farlo, perché - evidentemente - il Governo non sa come gestire i lavori parlamentari (più che non vuole, non può gestirli). Dunque, ambiremmo a lavorare e a poter discutere i provvedimenti.
Per quanto riguarda l'ultima parte della mozione - e mi avvio alla conclusione - è giusto il richiamo con riferimento al contenimento delle spese per quanto riguarda gli enti locali. Vorrei soltanto far notare che il modo migliore per arrivare ad un contenimento di queste spese, non è tanto limitarle ad un certo livello quanto aumentare l'efficienza degli enti locali. Spesso, infatti, c'è il problema che i soldi si spendono, ma poi non arrivano ai cittadini dal punto di vista dell'efficienza dei servizi. L'unico strumento è il federalismo fiscale: esso consente di mantenere le risorse sul territorio e di attuare anche una responsabilizzazione della classe politica attraverso una chiarezza delle competenze. In questo modo, finalmente, quando ci saranno amministratori che non spenderanno in maniera non efficiente i soldi dei cittadini (e sarà più facile se riusciremo in qualche modo, nonostante l'esito dell'ultimo referendum, ad arrivare, un giorno, al federalismo fiscale, per il quale noi non smetteremo mai di continuare la battaglia), ci sarà la possibilità di controllare in maniera più diretta e trasparente anche le spese degli enti locali.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, Italia dei Valori ha posto fin dal primo momento all'Unione il tema della riduzione del costo della politica e ha trovato nel Presidente del Consiglio Prodi un'attenta ed immediata risposta favorevole, affinché il programma contenesse già tutta una serie di indicazioni. Io penso che questa mozione dell'onorevole Vito - siamo in un periodo in cui si parla tanto di calcio - sia un clamoroso autogol: credo che molti di noi potrebbero sottoscriverne le conclusioni per intero tranne che per la prima parte; e tuttavia sono false le premesse con cui si arriva ad esse, in un modo così evidente ed eclatante che rappresenta - ripeto - un vero e proprio autogol.
Non ho capito bene l'intervento dell'onorevole Barani, ma mi pare che persino lui che non fa parte della maggioranza, tutto sommato, abbia fatto più che altro rilievi critici piuttosto che sposare le premesse contenute nella mozione. Essa - e non ripeterò alcune cose che sono state già dette da altri colleghi - parla del rispetto degli impegni assunti nei confronti dell'Unione europea, che sono sempre stati rispettati.
Mi pare che il commissario europeo Almunia, nell'ultima riunione, abbia pressappoco affermato di aver capito che il Governo Berlusconi avesse truccato i conti. Allora, questa asserzione, che rappresenta uno dei primi capoversi della parte motiva della mozione in esame, forse non è realistica, poiché l'Unione europea riconosce che, se qualcosa non quadra, ciò è stato compiuto nel passato.
Nella mozione in esame si afferma, inoltre, che la causa dello squilibrio dei conti pubblici deriva dal debito accumulato nel corso della cosiddetta prima Repubblica. Scusate, ma i dati contenuti nella relazione annuale del Governatore della Banca d'Italia, nonché in tutte le riviste di carattere economico, che ciascuno può analizzare, dimostrano che il Governo Berlusconi ha preso in mano questo paese quando si registrava un incremento annuo del prodotto interno lordo pari al 2 per cento e lo ha portato allo zero.
Quando tale Governo si è insediato, l'avanzo primario del bilancio dello Stato veleggiava intorno al 5 per cento del PIL, ma adesso ce lo restituisce con un livello pari a zero! Vorrei osservare che, quando si azzerra l'avanzo primario del bilancio dello Stato, ciò vuol dire che non vi sono più risorse finanziarie per pagare gli interessi sul debito pubblico, e che lo stesso debito aumenta.
Ricordo che la relazione presentata dal ministro dell'economia e delle finanze, il Pag. 7514 giugno, nel corso dell'audizione presso le Commissioni bilancio di Camera e Senato, che ho con me, dimostra in modo incontrovertibile che il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, che nel periodo 1996-97 - vale a dire, negli anni del primo Governo Prodi - aveva iniziato una lenta e costante diminuzione, oggi è risalito. La collega precedentemente intervenuta ha già illustrato tali dati, ed io non intendo citarli nuovamente.
Il Governo Berlusconi ha preso in mano le redini di questo paese quando si registrava un avanzo della bilancia commerciale pari a 10 miliardi di euro, ma oggi ci restituisce un disavanzo pari a 10 miliardi di euro! La causa del debito, allora, sono stati i Governi precedenti? È evidente, invece, che la responsabilità principale di questa situazione appartiene al Governo Berlusconi.
È vero che l'azione di risanamento del bilancio deve sicuramente basarsi non sull'inasprimento delle imposte, bensì sul contenimento delle uscite e sull'eliminazione delle spese inutili e di tipo clientelare; tuttavia, vorrei osservare che lo afferma il rappresentante di una coalizione che, nei cinque anni in cui ha governato, ha praticamente raddoppiato le spese a carico del bilancio dello Stato. Sono di formazione liberale, e credo che la concorrenza sia il metodo migliore per far procedere una economia e per farla sviluppare, ma vorrei evidenziare che chi crede nel liberalismo immagina che il bilancio dello Stato tenda a contrarsi nel tempo, non certo a raddoppiare!

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 17,31)

ANTONIO BORGHESI. La verità è che siamo stati in presenza di un Governo che non ha sostenuto la vera imprenditoria, vale a dire quella che crea sviluppo. Penso, infatti, che un Presidente del Consiglio dei ministri che riconosce che un terzo dell'economia italiana è sommersa e che non intraprende una seria azione affinché il settore sommerso riemerga abbia già dichiarato che la propria maggioranza di Governo intende favorire, in realtà, gli imprenditori che preferiscono rifiutare la concorrenza e rimanere nell'area sommersa dell'economia.
Vorrei altresì rilevare come, nella mozione in esame, si affermi che le prime spese da ridurre, anche per evidenti ragioni di moralità politica, sono proprio i costi della politica. Nessuno più del gruppo dell'Italia dei Valori ritiene che i costi della politica debbano essere ridotti, tuttavia vorrei leggere all'Assemblea un brano di una relazione della Corte dei conti.
Prendo atto che i deputati dell'opposizione non sono più presenti in aula, ma non importa; resta il fatto che la Corte dei conti, con riguardo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio (del precedente Governo, ovviamente), ha scritto che «(...) il 56,5 per cento delle risorse attribuite al Ministero dell'ambiente per la difesa del suolo e per la tutela ambientale è assegnato agli uffici del ministro (...)». Lo stesso discorso vale per i fondi destinati alle grandi opere assegnati al ministro delle infrastrutture dei trasporti e per quelli dell'amministrazione della difesa. Vorrei sottolineare che non lo sostengo io, ma lo scrive la Corte dei conti.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha moltiplicato i dipartimenti e, con essi, il personale: Protezione civile, Innovazione tecnologica e tecnologie, Ufficio nazionale per il servizio civile, Dipartimenti antidroga ed editoria, Alto commissariato anticorruzione, per i quali la Corte dei conti ha chiesto assolutamente notizie sull'attività svolta. Allora, anche questa risulta una premessa che non è vera.
Nelle premesse si afferma ancora che la riforma costituzionale - ieri il popolo italiano ha respinto, in modo chiaro, quella che era stata proposta, anche se sappiamo che dobbiamo trovare delle intese per alcune innovazioni - pone come elemento grandioso la riduzione del numero dei componenti del Parlamento. Quello che è più grave è che il Presidente del Consiglio ha preso in considerazione solo questo Pag. 76elemento per inviare una lettera a tutti gli italiani, non già il resto della riforma; l'unico elemento che è stato portato a conoscenza dei cittadini italiani è stata la riduzione del numero dei parlamentari, senza neppure avere l'onestà di dire che sarebbe avvenuta nel 2016. Quindi, siamo in presenza di premesse assolutamente inaccettabili, e ricordo che anche esponenti dell'opposizione, in particolare di Alleanza Nazionale, lo scorso anno, più volte, hanno invitato il Governo, il loro Governo, ad attuare forme di riduzione dei costi della politica (Alemanno, Buontempo). In questo caso, tra le premesse si cita ancora come esempio il fatto che la legge finanziaria 2006 ha ridotto gli emolumenti dei parlamentari, ma non si dice che a gennaio quella riduzione è stata immediatamente cancellata.
Il collega Barani ha citato in modo molto chiaro ed efficace tutto quello che ha scritto il Governatore della Banca d'Italia; ma chi è responsabile se non si è fatto nulla per favorire una più forte presenza di mercato e di concorrenza, ed invece si è agito in modo clientelare attraverso le consulenze? Mi si dice che, forse, un ministro chiederà una riunione di Commissione secretata, perché pare che, guardando quello che è avvenuto nel suo ministero, ci siano alcune cose poco chiare proprio nel campo delle consulenze: allora, fare la morale con una mozione come questa mi pare veramente che rappresenti un autogol! Comunque, faccio una proposta seria all'onorevole Vito: se mettessimo a posto le premesse, potrei anche sottoscrivere i tre passi finali dell'articolato. Tuttavia, so che il Governo è già impegnato su questa strada e le misure che ha già citato la collega intervenuta prima vanno davvero nel senso di una riduzione del costo della politica, che ovviamente deve assumere connotati molto più globali e deve riguardare non solo il Parlamento. Andate a leggere i bilanci delle istituzioni politiche, della Camera e del Senato, negli anni del Governo e della maggioranza che oggi propone questa mozione e guardate se si sono ridotti o se sono cresciuti, e come sono cresciuti. Allora, un po' di dignità, onorevole Vito, vorrebbe che lei ritirasse questa mozione. Ribadisco che, se accettasse di modificare le premesse, anch'io potrei firmare la parte finale, e forse lo farebbero anche altri miei colleghi di Italia dei Valori (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione.

(Intervento e parere del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, Luigi Nicolais, che esprimerà altresì il parere sulla mozione all'ordine del giorno.

LUIGI NICOLAIS, Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione. Signor Presidente, onorevoli deputati, con la mozione in questione l'onorevole Elio Vito, richiamata l'attenzione sulla necessità ormai improrogabile di una severa azione di risanamento dei conti pubblici che, lungi dall'effettuare operazioni sul lato delle entrate, sia incentrata prevalentemente sull'efficace contenimento delle spese, intende impegnare il Governo ad effettuare una riduzione sia delle cariche ministeriali, in stretta connessione con un contestuale accorpamento dei ministeri recentemente «spacchettati», sia delle consulenze esterne, sia delle auto di servizio.
Inoltre, il Governo dovrebbe impegnarsi, secondo l'onorevole Vito, ad una revisione del patto di stabilità interno, con l'obiettivo di un'ulteriore sensibile riduzione da parte di regioni ed enti locali dei costi della politica. A tale riguardo, rilevato come non si possa non condividere il richiamo, contenuto nella mozione, ad un massimo rigore nell'opera di risanamento dei conti, in particolare per ciò che concerne la necessità di una drastica diminuzione di tutte quelle voci che con una Pag. 77generalizzazione è possibile far rientrare nella definizione dei costi della politica, si deve anche considerare il negativo andamento dei conti pubblici negli ultimi anni. Si tratta di un andamento che evidenzia con chiarezza la netta inversione di tendenza dei conti pubblici nel nostro paese nell'ultimo quinquennio, rispetto al quadro finanziario di assoluto rispetto dei parametri di Maastricht lasciato in eredità dal centrosinistra nel 2001.
Con riferimento poi alle osservazioni riguardanti la presunta, costosa proliferazione delle cariche ministeriali ai sensi del recente decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, si ritiene opportuno sottolineare come il nuovo assetto organizzativo individuato da quest'ultimo si fondi sul rispetto assoluto del principio di invarianza della spesa. Questo principio, per espressa previsione della relazione tecnica allegata al provvedimento, si concretizzerà attraverso l'adozione di una serie di misure di razionalizzazione delle strutture e di redistribuzione del personale che le amministrazioni definiranno in sede di emanazione dei provvedimenti di attuazione, ai sensi dei commi 10 e 23 dell'articolo 1 del decreto-legge stesso. Il sopraccitato comma 10, al fine di consentire la pronta operatività delle nuove strutture ministeriali, stabilisce che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze e sentiti i ministeri interessati, si procede all'immediata ricognizione in via amministrativa delle strutture trasferite ai sensi del presente decreto, nonché all'individuazione in via provvisoria del contingente minimo degli uffici strumentali e di diretta collaborazione, garantendo in ogni caso l'invarianza della spesa.
Queste proposte attuative, corredate da apposite relazioni tecniche e da preliminari atti di intesa tra le amministrazioni interessate, dovranno consentire al Governo di valutare la reale portata compensativa dei provvedimenti adottati dalle singole amministrazioni, nel quadro generale degli interventi. A tale proposito, si sottolinea che il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha segnalato come la consistenza degli organici e le risorse attualmente assegnate ai ministeri presentino adeguati margini di sostenibilità finanziaria, nel presupposto che vengano adottate le necessarie misure compensative di razionalizzazione e di riorganizzazione degli uffici, tenuto conto che l'organizzazione dei ministeri, anteriormente al riordino operato dal citato decreto-legge n. 181 del 2006, derivava dall'accorpamento di più strutture ministeriali.
Per maggiore chiarezza, si può sintetizzare che il rispetto della regola dell'invarianza della spesa poggia sull'adozione delle seguenti misure, indicate nella relazione tecnica allegata al citato decreto-legge n. 181 del 2006: una ripartizione degli organici tra le varie amministrazioni coinvolte, nel limite delle attuali dotazioni e della spesa corrispondente, mediante una razionale redistribuzione del personale, a seguito dello spostamento delle competenze, che dovrà anche tener conto della necessità di assicurare le funzioni di supporto in relazione alle nuove strutture ministeriali; limitazione dei contingenti di personale di diretta collaborazione, nonché rideterminazione dei compensi e dei trattamenti economici dei responsabili degli uffici di staff (capo gabinetto, capo ufficio legislativo, eccetera), in relazione anche ai mutati assetti organizzativi, secondo quanto espressamente disposto dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 giugno; contenimento delle risorse strumentali utilizzate nell'ambito di quelle attualmente in dotazione ai dicasteri esistenti, garantendo il livello di spesa negli attuali parametri (in particolare, le sedi destinate alle nuove strutture dovranno essere quelle già utilizzate per lo svolgimento delle competenze nella pregressa organizzazione).
Il rispetto del principio dell'invarianza è garantito, ovviamente, anche dal coinvolgimento, con poteri interdettivi, del Ministero dell'economia e delle finanze, con la previsione dell'intesa del ministro sui provvedimenti adottati, che dovranno essere corredati dalle relative relazioni tecniche, Pag. 78volte a dimostrare analiticamente la neutralità finanziaria degli interventi posti in essere.
In tale direzione, a conferma di un mirato percorso esecutivo idoneo ad evitare indesiderati effetti di spesa aggiuntiva, in data 19 giugno è stata adottata la sopra ricordata direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri e con tale atto di indirizzo sono state definite le seguenti misure. In primo luogo, è stata definita la preventiva individuazione, da parte dell'amministrazione coinvolta, delle strutture interessate dal riordino, con specificazione delle risorse finanziarie strumentali ed umane attualmente utilizzate, nonché delle eventuali strutture tecniche coinvolte nella gestione. Ciò al fine della predisposizione del DPCM, previsto dall'articolo 1, comma 10, del decreto-legge, con il vincolo che, a seguito di tali attività, non vengano create nuove strutture rispetto a quelle esistenti né introdotti maggiori oneri.
In secondo luogo, è stato definito il ricorso all'istituto dell'avvalimento, di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, nell'ipotesi di strutture che svolgano funzioni strumentali a supporto di più dicasteri. Si precisa al riguardo che, sin dall'emanazione del DPCM, in via transitoria, tutte le funzioni continueranno ad essere svolte dagli uffici precedentemente competenti. Pertanto, i nuovi ministeri utilizzeranno, sotto forma di avvalimento, le risorse umane e strumentali in dotazione agli uffici originari, che provvederanno a fornire ogni elemento utile per la ricognizione delle strutture, delle risorse e del personale trasferito.
Infine, è stata definita la riduzione della spesa complessiva degli uffici di diretta collaborazione per tutti i ministeri e per la Presidenza del Consiglio, ivi compresi i trattamenti economici e i compensi dei responsabili e del personale degli uffici stessi, di una percentuale non inferiore al 10 per cento della spesa vigente anteriormente all'entrata in vigore del decreto-legge. A tale riguardo, si è precisato che tutte le amministrazioni dovranno predisporre un'ipotesi di contenimento della spesa delle strutture in argomento della misura minima predetta, fermo restando che le amministrazioni direttamente interessate dovranno contenere il contingente relativo al personale di supporto nei limiti di quello assegnato alle preesistenti amministrazioni. Tali amministrazioni più direttamente coinvolte dovranno, pertanto, predisporre una proposta congiunta nel rispetto dei vincoli finanziari precedenti.
Con riferimento, poi, al contenimento delle spese per studi ed incarichi di consulenza e per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture di servizio, si ricorda che nella direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 giugno 2006, recante «Definizione dei criteri di carattere generale per il coordinamento dell'azione amministrativa di Governo intesi all'efficace controllo e monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica per l'anno 2006», è stato ribadito l'obbligo delle amministrazioni interessate al rispetto dei limiti di spesa stabiliti dalla legge finanziaria per l'anno 2006, provvedendo, se necessario, alla rinegoziazione dei contratti in essere, anche riducendo il livello delle prestazioni previste dal preesistente rapporto contrattuale.
A tale proposito, è opportuno ricordare che la Corte dei conti, con deliberazione n. 6 del 15 febbraio 2005, richiamata da ultimo dalla circolare del ministro dell'economia e delle finanze del 14 giugno 2006, n. 28, nel prevedere la possibilità di ricorso a consulenze, ha stabilito rigorosi criteri al riguardo, prevedendo che le amministrazioni possano avvalersi di consulenze esterne solo in casi sporadici ed eccezionali ed adeguatamente motivati. Peraltro, il cosiddetto fenomeno delle consulenze, che costituisce una realtà radicata e diffusa su tutto il territorio nazionale e riferita ad ogni livello di governo, è attualmente oggetto di un piano di attuazione del Dipartimento della funzione pubblica che si articola in un insieme di interventi di ampio respiro. In particolare, tenuto conto della diffusione del fenomeno, soprattutto, a livello di regioni ed enti locali, nonché del vigente assetto costituzionale, Pag. 79e delle note pronunce della Corte costituzionale in materia, tale piano di intervento non opererà, come per il passato, attraverso la fissazione di tetti di spesa, ritenuta costituzionalmente illegittima nei confronti degli enti substatali, ma mediante un intervento restrittivo sui presupposti di base per il ricorso a consulenze esterne.
È altresì intenzione del Governo costruire un osservatorio per analizzare le cause che generano il ricorso alle consulenze (scarsa professionalità, esigenze della politica, assenza delle strutture organizzative) e per monitorare il fenomeno in modo ampio ed approfondito.
Al riguardo si ricorda che, al fine di garantire la trasparenza e il rispetto della normativa sull'affidamento degli incarichi, l'articolo 53, commi 14, 15 e 16, del decreto legislativo n. 165 del 2001, dispone che le pubbliche amministrazioni che si avvalgono di collaboratori esterni o affidano incarichi di consulenza retribuita sono tenute a comunicare semestralmente l'elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza con l'indicazione della ragione dell'incarico e dell'ammontare dei compensi corrisposti.
Ancora oggi vi sono regioni - come la Sicilia, ad esempio - che non comunicano all'anagrafe della Presidenza del Consiglio i dati relativi, analogamente a quelli sul pubblico impiego. In proposito, è intenzione del Governo rendere noto il nome degli enti e delle amministrazioni inadempienti. Al contempo, si intende predisporre un piano di ispezioni che preveda un'azione congiunta dell'Ispettorato della funzione pubblica e della Guardia di finanza presso tale amministrazione.
Infine, è in corso di predisposizione una circolare del Dipartimento della funzione pubblica in materia di consulenze e collaborazioni finalizzata a richiamare le amministrazioni ad un utilizzo corretto di tali strumenti, al rispetto dei ricordati obblighi di pubblicità degli incarichi, nonché ad una interpretazione restrittiva in materia di onnicomprensività del trattamento economico dei dirigenti per gli incarichi ricoperti dagli stessi nell'amministrazione di appartenenza.
Per altro verso, il Governo intende procedere ad una adeguata valorizzazione delle risorse umane esistenti, mediante interventi di formazione continua e di formazione informatica ad ogni livello, nonché mediante nuove forme di riconoscimento del merito nell'ambito dei rinnovi contrattuali, al fine di coinvolgere in modo adeguato i dipendenti pubblici nel percorso di modernizzazione della macchina amministrativa, con investimenti non inferiori al 2 per cento del monte-salari. Tale valorizzazione ed il conseguente miglioramento dell'utilizzazione delle risorse umane contribuirà ulteriormente a ridurre il ricorso a consulenze e a forme di collaborazione esterne alla pubblica amministrazione.
Infine, con riferimento all'obiettivo di una ulteriore sensibile riduzione da parte di regioni ed enti locali dei costi della politica, occorre evidenziare che la citata direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 giugno ultimo scorso stabilisce, anche per le regioni e gli enti locali, l'obbligo di improntare l'azione amministrativa al più rigoroso contenimento della spesa.
In tale prospettiva il Governo intende sottoporre il problema della revisione delle regole del patto di stabilità interna, con particolare riferimento, appunto, alla riduzione dei costi diretti ed indiretti della politica a livello locale, all'attenzione di una delle prossime sedute della Conferenza Stato-regioni ed autonomie locali. A tal fine, nel prescrivere l'adozione di comportamenti altamente selettivi nella gestione delle spese, la direttiva impone l'attuazione di tutte le misure di contenimento e razionalizzazione della spesa contenute nella legge finanziaria 2006, anche sulla base di indicazioni fornite dal Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, i cui uffici continueranno ad assicurare le tempestive e necessarie iniziative di monitoraggio previste.
Il Governo invita i presentatori a ritirare la mozione in oggetto, in quanto - Pag. 80come evidenziato nell'intervento - ritiene di avere già svolto ed adempiuto le attività che la mozione intende conseguire. In subordine esprime parere contrario sulla stessa per i motivi precedentemente esposti.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge Boato; Lumia; Forgione ed altri; Angela Napoli; Lucchese ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare (A.C. 40-326-571-688-890) (ore 17,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge d'iniziativa dei deputati Boato; Lumia; Forgione ed altri; Angela Napoli; Lucchese ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 40 ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Popolari-Udeur e Forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare la relatrice, deputata Amici.

SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, anzitutto chiedo alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della relazione predisposta dai relatori sul testo unificato delle proposte di legge in discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Amici, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

SESA AMICI, Relatore. La ringrazio, mi limiterò, pertanto, ad illustrare in maniera molto sintetica alcuni aspetti di rilievo relativi a questo importante provvedimento in materia di istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle problematiche relative al fenomeno della mafia, che apre la nostra legislatura. Si riconferma, quindi, la costituzione di una Commissione parlamentare antimafia e, soprattutto, se ne assumono fondamentalmente alcuni degli aspetti più notevoli. Si tratta di un fenomeno che, nel corso degli anni, ha conosciuto un notevole sviluppo ed ha consentito una maggiore comprensione del sistema legato alla infiltrazione mafiosa. Inoltre, grazie alle varie Commissioni istituite negli ultimi anni, si è verificato un dato di notevole importanza: l'assunzione di una maggiore responsabilità nell'aggredire un fenomeno capace di mutare all'interno delle condizioni economiche e sociali del paese, assumendo rilievi di grande negatività sul piano della legalità e, soprattutto, dell'attentato ad alcune condizioni di ordinamento democratico del nostro paese.
La Commissione nel corso degli anni ha anche sviluppato un'attività di monitoraggio, di ricerca, di individuazione, di messa in discussione e di verifica di elementi legislativi che l'azione parlamentare di volta in volta ha accentuato come obiettivo strategico dell'azione del Governo per individuare elementi che potevano tendere fondamentalmente alla riduzione di questi fenomeni.
In particolare, in sede di Commissione si è sviluppata una discussione molto stringata, assumendo come testo base del testo unificato la legge n. 386 del 2001, poiché le proposte di legge abbinate presentavano una larga convergenza in ordine Pag. 81a questi aspetti. Abbiamo assunto questi elementi introducendo due grandi novità di rilievo, che l'intera Commissione ha discusso ed esaminato approfonditamente e che vorrei ricordare perché riguardano anche fondamentali aspetti dell'attività su cui la nuova Commissione sarà chiamata a riflettere.
Il primo elemento è relativo alle integrazioni volte ad introdurre una specifica procedura aggravata per l'adozione da parte della Commissione di provvedimenti limitativi dei diritti di libertà costituzionalmente garantiti. Il secondo aspetto è quello di prevedere un limite massimo per le spese annualmente sostenute dalla Commissione d'inchiesta.
Questi due aspetti nascono nell'ambito di un ragionamento sulla fattualità di tali proposte in considerazione di quanto avvenuto nella scorsa legislatura per quanto riguarda la Commissione antimafia. Ci è sembrato ragionevole assumerli come dati di integrazione e di novità perché al riguardo si possa aprire un dibattito che ne potenzi gli elementi di garanzia e, contestualmente, si assumano elementi di moralizzazione anche nella spesa pubblica. È un segnale che si lancia rispetto al rigore delle Commissioni d'inchiesta; ma, soprattutto, è anche una risposta data al paese circa l'assunzione di grande responsabilità anche dalla parte politica.
Inoltre, nel corso della discussione sono stati approvati una serie di emendamenti che ci hanno permesso di arricchire il provvedimento che - lo ricordo ancora - ha assunto come testo base la legge n. 386 del 2001, istitutiva della Commissione antimafia nella precedente legislatura. In particolare, è stato espressamente previsto che la Commissione avrà il compito di verificare l'attuazione delle disposizioni relative all'applicazione del regime carcerario di cui all'articolo 41-bis alle persone imputate o condannate per delitti di mafia.
È stato, inoltre, esteso l'ambito dell'attività di accertamento e valutazione di competenza della Commissione, con riferimento ai processi di internazionalizzazione e cooperazione delle organizzazioni mafiose con altre organizzazioni criminali finalizzati alla gestione di nuove forme di attività illecite, anche alle attività svolte contro i diritti di proprietà intellettuale. Ciò quasi a testimonianza che i lavori svolti nel corso degli anni arricchiscono ed impegnano la parte politica a comprendere che, relativamente alla questione della mafia, vi sono oggi grandi novità. È giusto che la parte politica si interroghi e le analizzi, e che in qualche modo le verifichi anche alla luce dell'approvazione delle normative vigenti.
Il secondo aspetto riguarda la questione di come ci si debba orientare relativamente ad un maggiore controllo del territorio, perché i fenomeni criminali di oggi attaccano fondamentalmente le realtà degli enti locali. Questo monitoraggio deve essere capace di individuare i tentativi di condizionamento e di infiltrazione mafiosa che avvengono proprio negli enti locali e proporre misure idonee a prevenire e contrastare tali fenomeni, verificando l'efficacia delle disposizioni vigenti in materia, anche con riferimento alla normativa concernente lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e la rimozione degli amministratori locali.
Alla luce di questo ragionamento, in Commissione è stato esaminato uno degli aspetti che costituivano una parte importante di una proposta di legge, nella quale veniva istituzionalizzato un elemento che già era prassi nei lavori della Commissione antimafia, ossia l'ascolto di associazioni cittadine che combattono questo fenomeno. Ci è parso di poter assumere tale novità perché all'interno di questo fenomeno ci fosse l'assunzione di responsabilità da parte non solo dei commissari dell'antimafia e degli organi preposti, ma anche di associazioni che su questo terreno possono contribuire ad una comprensione maggiore del fenomeno e alla corresponsabilità, da parte della cosiddetta società civile, di una lotta che riceva dal sistema della legalità un contributo notevole e, forse, anche più incisivo nei confronti delle generazioni più giovani.
Rinviando, anche per la ristrettezza dei tempi, al resoconto dei lavori della Commissione, Pag. 82vorrei sottolineare che, insieme al collega D'Alia, abbiamo ascoltato con grande attenzione gli elementi che provenivano dalla formulazione degli emendamenti. Credo che l'aver proposto un testo unificato sul quale abbiamo ricevuto il mandato da parte della Commissione sia l'elemento più prezioso che dobbiamo tenere presente nella discussione. La costituzione della Commissione antimafia, infatti, rappresenta, per l'insieme del sistema politico, un punto rispetto al quale nessuno può vantare elementi di soggettività o di primato.
Abbiamo bisogno che sulla questione della criminalità, in particolare, del sistema mafioso l'insieme del sistema politico torni ad essere un elemento centrale di garanzia per tutti i cittadini. A tale proposito, è necessario l'impegno ad un reciproco ascolto, ad una chiarezza di obiettivi, alla determinazione dei compiti che qui vengono elencati e al mantenimento di alcune di queste funzioni. Credo che questo sia anche un modo per restare nell'ambito del dibattito generale, guardando ad un fenomeno che negli anni ha avuto la capacità di modificarsi, di infiltrarsi e di rendere più debole il nostro sistema di garanzie e di democrazia.
Alla classe politica e alla discussione da parte del Parlamento oggi è affidata una grande responsabilità: la questione della lotta alla mafia riguarda tutti noi, che abbiamo l'impegno di guardare a questo fenomeno con le sue novità e i pericoli, ma, soprattutto, assumendoci la responsabilità di utilizzare questa Commissione non per un teatro della politica, ma fondamentalmente al servizio dello Stato e della democrazia in questo paese (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole D'Alia.

GIANPIERO D'ALIA, Relatore. Signor Presidente, rinunzio a svolgere la relazione e mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUIGI SCOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, anch'io mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Forgione. Ne ha facoltà, per trenta minuti.

FRANCESCO FORGIONE. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi deputati, abbiamo contribuito al dibattito e ai lavori preparatori per la definizione del testo unico in esame con una nostra autonoma iniziativa legislativa. Oggi possiamo dichiararci soddisfatti non solo del testo giunto in quest'aula, ma anche della volontà comune a tutti i gruppi politici di giungere in tempi brevi all'approvazione e successivamente all'insediamento della Commissione parlamentare antimafia.
Il Parlamento ha bisogno di un proprio strumento di analisi, di studio, di comprensione di un fenomeno come quello mafioso, ma anche di una rinnovata e ritrovata volontà nell'azione di contrasto a livello istituzionale e territoriale, di una nuova capacità propositiva dal punto di vista legislativo, di una diversa chiave di lettura dei processi economici e sociali e delle relazioni tra questi, le azioni di Governo e le scelte normative per provare a prosciugare, per quanto riguarda l'azione istituzionale, il brodo di cultura, politica e sociale, nel quale le mafie trovano alimento, sostegno, coperture trasformandosi da emergenze in fattori strutturali e di sistema.
Le cronache politiche e giudiziarie ci offrono ogni giorno uno spaccato del Mezzogiorno e del paese che, proprio in rapporto alla forza delle organizzazioni criminali, alla loro capacità di adeguamento alle trasformazioni sociali e politiche, al loro peso nelle dinamiche del mercato e del sistema delle imprese, alla loro pervasività sociale sul territorio, evidenzia una cresciuta soggettività politica, economica e finanziaria della presenza mafiosa.
Ad ogni straordinario risultato degli apparati investigativi e delle Forze dell'ordine, dall'ultima grande operazione palermitana Pag. 83che ha svelato lo scontro di potere ed i nuovi nascenti equilibri del dopo-Provenzano, fino ai primi importanti risultati sull'omicidio Fortugno in Calabria, corrisponde un'acquisizione di conoscenze e di informazioni che supportano la tesi di questa capacità di trasformazione e di ricambio, nonostante i colpi subiti, delle mafie sul territorio. Diversi elementi e diversi dati informativi ci parlano di una crisi che potremmo definire di bassa militanza, ma tutte le informazioni che emergono dalle inchieste evidenziano altrettanto una forza economico-finanziaria crescente, una capacità di penetrazione nella politica e nelle istituzioni mai prima conosciuta, un'attitudine ad internazionalizzare le proprie attività che, proprio partendo dai dati del PIL mondiale delle attività criminali, superiore alla somma del PIL mondiale del commercio del ferro e dell'acciaio, potremmo ormai definire nella soggettività grande che le mafie hanno nei processi di globalizzazione economica su scala mondiale. A questo livello di analisi, di studio, di contrasto la nuova Commissione parlamentare antimafia dovrebbe collocare la propria attività.
È un fatto positivo che il testo in discussione, innovando la legge della passata legislatura, inserisca questo filone di attività, di analisi, di ricerca e iniziativa istituzionale della Commissione. È davvero l'elemento su cui vorremmo insistere: se produrre e accumulare ricchezza, trasformarsi in impresa è fattore non più di arretratezza e sottosviluppo, ma elemento dinamico di un processo di modernizzazione e di un modello di sviluppo drogati del Mezzogiorno e del paese, usando la sua forza economica e finanziaria per condizionare la politica, la società, le libertà e gli individui, allora è oggi questo il tratto fondamentale della natura delle mafie. Proprio per questo è necessario aggredire i patrimoni, i capitali, le ricchezze mafiose per colpirne l'essenza, indebolirne la forza, incrinarne la pervasività, fermarne la crescente soggettività politica, sconfiggerne la struttura militare. Si tratta quasi di cambiare paradigma, e vorrei proporlo senza essere equivocato. Nell'azione di contrasto - e dovrebbe occuparsene anche la nostra futura Commissione - si tratta oggi di partire dalla pericolosità sociale dei patrimoni, delle ricchezze, dei capitali dell'impresa criminale mafiosa e non più e non solo dalla pericolosità sociale degli affiliati alle cosche stesse, contro i quali, ovviamente, non va per un solo momento abbassata la guardia. È questa grande massa di capitali, questa ricchezza accumulata con le attività criminali che in intere aree del paese rende l'economia, la politica, la società dipendenti, e nasce da qui quella soggettività di Cosa nostra, della 'ndrangheta, della camorra, della Sacra corona unita che, attraverso la rappresentanza diretta o grazie a politiche compiacenti, cambia le regole della democrazia, altera il rapporto tra rappresentanti e rappresentati.
Nella sua prima relazione annuale il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha scritto: nel rapporto tra mafia e società è rinvenibile un blocco sociale mafioso che è, di volta in volta, complice, connivente o caratterizzato da una neutralità indifferente. Tale blocco - continua il procuratore Grasso - comprende una borghesia mafiosa fatta di tecnici, di esponenti della burocrazia, di professionisti, di imprenditori e politici che sono strumenti o interagiscono con la mafia in forma di scambio permanente fondato sulla difesa di sempre nuovi interessi comuni. La cosiddetta zona grigia - conclude - rappresenta la vera forza della mafia.
Ecco il punto: il carattere di sistema, non emergenziale, politico e sociale prima che giudiziario, della ricostruzione di un'Antimafia che prefiguri un'alternativa di società per intere aree del Mezzogiorno e del paese. È questo sistema che ci interroga anche sulla politica e sul rapporto tra rappresentanti e rappresentati nel Mezzogiorno; serve davvero una svolta: oserei dire, una rottura. Non solo nel modo di essere della politica e delle istituzioni, ma anche nel lavoro della stessa Commissione parlamentare antimafia rispetto alla passata legislatura.
Se rileggo l'ultima relazione di maggioranza approvata in Commissione - la Pag. 84rimozione di ogni rapporto tra la mafia e la politica e la riduzione della mafia quasi ad un fenomeno di sporadica criminalità - e poi considero non le vicende di questi anni ma le cronache di questi giorni, dalla Sicilia alla Calabria, mi chiedo quale sia stata la reale volontà politica di quella Commissione, di cosa si sia realmente occupata, quale supporto normativo e propositivo abbia realizzato, di quale mafia si sia interessata.
Non ne sto facendo una questione di schieramento, colleghi deputati; so bene, dopo anni di impegno politico e anche di lavoro di inchiesta, che la mafia non ha ideologia, se non quella dell'accumulazione della ricchezza e del potere (anche il suo storico anticomunismo è sempre stato funzionale a questo suo fine). So, altresì, bene che proprio per tale ragione le forze di Governo oggi sono esposte a tentativi di penetrazione e di ricerca di interlocuzioni. Perciò, serve rigore; una svolta profonda, dopo gli anni del liberismo senza regole che ha abbattuto ogni forma di trasparenza e di controllo, ha favorito i condoni e le sanatorie, da quelle urbanistiche a quelle ambientali e fiscali, piuttosto che il rispetto delle regole e della legalità, rendendo palpabile, per i cittadini, per le imprese e per lo stesso mercato, che è più utile l'illegalità della legalità.
Abbiamo bisogno di rompere definitivamente il sistema delle impunità; lo sostengo io che non sono sospettabile di tendenze liberiste. Dobbiamo batterci in intere aree del paese per la libertà effettiva del mercato; in questi anni, sono crollate le denunce per il racket e per l'usura, non perché il fenomeno sia diminuito - anzi, è ormai totalmente diffuso, dal sud al nord del paese - ma perché, come ha spiegato in I Commissione affari costituzionali il presidente della Confindustria calabrese Callipo, la gente ha paura ed in intere regioni lo Stato e le istituzioni non sono in grado di tutelare chi trova il coraggio di ribellarsi al controllo mafioso. Ma dobbiamo anche aggiungere che esiste un problema complessivo di fiducia nelle istituzioni e nello stesso tempo di autoriforma dei comportamenti sociali. Se un imprenditore denuncia il racket ed il pizzo e la sua associazione, la Confindustria, non espelle i suoi dirigenti che hanno condanne già passate in giudicato per associazione mafiosa, ciò significa che esiste un sistema nel quale le mafie non solo sono tollerate ma sono organiche ad un modello di relazioni sociali e di accumulazione della ricchezza e del profitto. Spesso, come in Calabria, chi denuncia, quando non muore, viene anche accusato di ostacolare i processi di sviluppo.
Insomma, siamo di fronte ad un salto di qualità nel rapporto tra la mafia e la società e tra la mafia e la politica; molti di noi hanno trovato un po' ridicola la trasmissione della RAI dal covo di Bernardo Provenzano, con tanto di profumo di formaggio, di ricotta e di cicorie bollite. Ma prima ancora di quel covo, tutte le inchieste su Provenzano hanno portato ad un grumo di interessi e di potere che la mafia ha saldato con la politica e con l'imprenditoria, utilizzando la grande massa di risorse della privatizzazione della sanità. E dopo quell'arresto, è partita la grande operazione che ha individuato il tesoro di Ciancimino negli Stati di mezza Europa, con investimenti miliardari nei paesi dell'est e nei paradisi fiscali distribuiti in tutto il mondo.
Quando emerge la mappa dei nuovi capimafia, a fianco degli storici latitanti «viddani», come venivano definiti i vecchi corleonesi, troviamo avvocati, laureati e, guarda caso, ancora medici e primari, come il boss di Brancaccio, Guttadauro; tutti con una propensione accentuata ai rapporti politici. Ecco, in passato, quando si pensava ai rapporti tra la mafia e la politica si pensava ai politici come referenti; ma le entità erano due: la mafia e la politica rimanevano separate, seppure in un sistema di scambi e di collusioni. Oggi, in intere aree, questo confine non si avverte più e in tale situazione bisogna intervenire con forza; la nuova Commissione antimafia può contribuire con analisi e proposte.
Del resto, negli ultimi anni, sia la commissione presieduta dal professore Fiandaca sia quella guidata dal professore Pag. 85Grosso si sono cimentate con il tema del rapporto tra la responsabilità politica e quella penale, che poi riguarda quel blocco sociale e quella borghesia mafiosa senza i quali le mafie, oggi, non avrebbero la forza che hanno.
Siamo davvero ad una fase di passaggio del potere mafioso; e la nuova Commissione parlamentare d'inchiesta dovrebbe coglierne i tratti salienti, svolgendo una funzione di analisi e di proposta, per costruire quella svolta che in tanti si attendono.
È tempo di giungere ad un testo unico delle norme antimafia e ad un testo unico delle norme antiriciclaggio. Sappiamo bene che i danni di questi anni sono stati notevoli. Il reato di falso in bilancio, al di là della specifica fattispecie, permetteva l'apertura di indagini su reati finanziari e rappresentava una sorta di Cavallo di Troia per il sistema imprenditoriale e finanziario, anche per quello apparentemente legale delle mafie. Averlo abolito ha reso tutto più difficile ed ha favorito la copertura di attività economiche illegali, così come il rientro dei capitali illecitamente esportati ne ha favorito il «lavaggio».
Occorre cambiare registro! La Commissione parlamentare può avere un ruolo attivo, anche di stimolo oltre che di denuncia. Si dice, in occasione di ogni convegno, che vanno potenziate le indagini patrimoniali e, poi, si impedisce alla Banca d'Italia - per legge - di riferire all'autorità giudiziaria le anomalie riscontrate nell'attività ispettiva; anzi, non si riesce a scardinare neanche il segreto bancario, se è vero che la legge del 1991, istitutiva dell'anagrafe dei conti correnti e dei depositi, è rimasta sino ad oggi inapplicata a causa dell'assenza dei decreti attuativi. Lo stesso vale per la cosiddetta legge Mancino del 1993 sui trasferimenti di proprietà di immobili e terreni, visto che, fino ad oggi, non si è mai trovato un solo notaio o commercialista disposto a collaborare con la giustizia, ma tanti, tantissimi, invece, organici alle cosche.
La Commissione parlamentare d'inchiesta dovrebbe contribuire all'elaborazione di una normativa in grado, con coraggio, di svincolare le misure di prevenzione patrimoniale da quelle di prevenzione personale, proprio per evitare che il carcere, che, ovviamente, agisce sulla pericolosità dei soggetti mafiosi, lasci intatta la pericolosità sociale dei loro patrimoni e delle loro ricchezze.
Ho molto insistito su questi aspetti, colleghi, perché credo che essi rappresentino il corpo di azione prioritario della futura Commissione, e perché davvero avverto come un macigno quel monito lanciato nell'omelia pronunciata ai funerali di Francesco Fortugno dal vescovo di Locri. Disse il vescovo: «Per il sud ed il paese, oltre che una purificazione etica, serve una forte purificazione economica». Ecco, credo che questo sia il centro del nostro lavoro: non vuol dire non agire, nell'analisi e nel contrasto, sulle nuove attività criminali, sulla presenza delle nuove mafie internazionali sul nostro territorio (queste stanno mutando non solo la mappa delle attività, ma anche la geografia del controllo criminale del territorio nazionale).
Sappiamo bene, altresì, che servono un monitoraggio di diverse leggi - di quelle sulla confisca dei beni e del loro utilizzo sociale - ed una verifica delle leggi riguardanti la pubblica amministrazione ed i processi di privatizzazione e, soprattutto, delle leggi sugli appalti, la cui ispirazione liberista, unita alle immense possibilità di deroghe previste in nome di urgenze inesistenti, rappresenta uno dei favori principali concessi a quel sistema di imprese malato che, in Sicilia ed al sud, vive del ciclo del cemento. Ed è noto come, senza ciclo del cemento, non esista processo di accumulazione mafiosa.
Sto parlando del sistema degli appalti con l'1 per cento di ribasso e degli appalti assegnati a condizioni tali da avere la certezza o che la proprietà delle imprese usufruisca di capitali illegali o che esse pratichino lavoro nero o, come spesso avviene al sud, sia l'una che l'altra. È davvero ipocrita piangere lacrime di coccodrillo quando succedono tragedie come quella verificatasi a Siracusa qualche giorno fa, quando tutti, al sud, conoscono Pag. 86quanto tutto ciò faccia parte della normalità. Sarebbe significativo se la futura Commissione parlamentare antimafia assumesse i temi delle condizioni di lavoro al sud e del rapporto tra imprese, lavoro nero e sfruttamento minorile come temi della legalità e della lotta alla mafia!
Allo stesso modo, una verifica attenta andrebbe condotta anche sugli effetti delle attuali norme antiproibizioniste in materia di sostanze stupefacenti (così come innovate dall'ultima legge n. 49 del 2006), in rapporto proprio al fatturato mafioso del traffico e del commercio della droga, che ormai ammonta - le cifre sono di ieri - ad oltre 8 miliardi di euro all'anno.
Insomma, con una comune volontà del Parlamento, possiamo, ad inizio di legislatura, definire il profilo di un'Antimafia che assuma il primato di un'iniziativa istituzionale e dell'azione sociale come scelta di autonomia dall'azione giudiziaria, alla quale, comunque, vanno assicurati tutto il sostegno nella sua azione di legalità e tutte le garanzie per la sua iniziativa, la sua autonomia e la sua indipendenza.
Concludendo, come già avvenuto in Commissione, so bene che, nel corso del dibattito e, poi, in sede di valutazione degli emendamenti, emergeranno diversi punti di confronto tra noi; ne riprendo uno, non solo perché ha già avuto un'eco sulla stampa, ma perché rimanda ad un tema più generale: possono parlamentari sui quali gravano indagini, precedenti penali, rinvii a giudizio per le diverse tipologie di reati di mafia far parte della futura Commissione parlamentare? È un tema posto con forza dai deputati di Alleanza Nazionale ed anche da alcuni colleghi del centrosinistra, che ne propongono l'incompatibilità. È un tema difficile, che chiama in causa le prerogative dei parlamentari e del Parlamento previste dalla Costituzione, così come la presunzione di innocenza dei singoli sottoposti a procedimento penale sino alla sentenza definitiva. È, tuttavia, una questione cruciale che ha che fare non con questa o quella norma del codice penale o della legge istitutiva della Commissione parlamentare antimafia che ci accingiamo a votare, ma con la natura della politica, del rapporto tra la politica e il consenso, del rapporto tra i rappresentanti ed i rappresentati.
Chi conosce me e la mia parte politica sa bene che in Sicilia sono stato e siamo stati protagonisti, spesso solitari, di una battaglia radicale contro il sistema di collusione e di scambio tra la mafia e la politica; eppure oggi non credo sia sostenibile la posizione dei colleghi di Alleanza Nazionale. Perché consegnare alla magistratura la composizione di una Commissione parlamentare? E se ci avviassimo su questa strada, non sarebbero anche incompatibili quei colleghi deputati che, svolgendo la professione di avvocato, potrebbero essere difensori di mafiosi e boss di alto calibro e, considerata la condizione di privilegio del far parte di questa Commissione, avere accesso ad informazioni di cui potrebbero beneficiare nello svolgimento delle proprie funzioni professionali? E come sarebbe compatibile un veto in tal senso con quel diritto alla difesa sancito dalla nostra Costituzione? Non dobbiamo perdere per un solo attimo, credo, quell'ispirazione garantista che in passato ha reso grande la storia dell'antimafia sociale, quell'antimafia che già nel dopoguerra aveva come protagonisti contadini, capilega e sindacalisti.
Certo, garantismo, dopo lo scempio fatto in questi anni, è una parola che va rinominata, ricostruita di senso, ma noi non ce la sentiamo di sostenere la tesi di chi, con disinvoltura ed ipocrisia, propone veti a Roma e prima sostiene, ed ora si accinge a governare con un presidente della regione, in Sicilia, già sotto processo per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Né possiamo dimenticare che, quando il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso fece appello ai partiti, prima delle elezioni, a non candidare persone indagate o rinviate a giudizio per mafia, fu accusato da tutta la Casa delle libertà - e, devo dire, per primo, incautamente dall'ex Presidente della Camera - di ingerenza nella vita dei partiti. No, cari colleghi, l'accoglimento di tale invito avrebbe affrontato il tema posto alla radice, almeno nel rapporto tra politica e rappresentanza, Pag. 87e da tale punto credo dobbiamo partire. Le vicende della mafia, come quella della corruzione, ripropongono l'esigenza della ricostruzione di un'etica pubblica. Per questo, anche sulla scelta dei componenti la Commissione parlamentare, è giusto consegnare la responsabilità ai partiti, alla loro coerenza, alla trasparenza dei loro comportamenti, perché tutto sia esplicito di fronte al Parlamento e di fronte al paese, quella coerenza di comportamenti alla quale ci richiamano ancora le parole di Danilo Dolci, la sua denuncia: «Chi tace è complice».
Signor Presidente, colleghi deputati, non ho descritto un'antimafia rituale. Sappiamo che senza una grande riforma morale e senza una grande riforma sociale la lotta alla mafia non potrà che rimanere rinchiusa nelle aule dei tribunali e sarebbe davvero - e definitivamente - la sua sconfitta sociale e politica; ma noi oggi, discutendo di come e cosa fare, anche attraverso i poteri e l'istituzione della nuova Commissione parlamentare, per ricostruire un diverso e più proficuo rapporto con la società civile, proviamo ad evitare che ciò avvenga (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, de L'Ulivo e dell'Italia dei Valori)!

PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Boscetto, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare il deputato Li Causi. Ne ha facoltà.

VITO LI CAUSI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi Popolari-Udeur riteniamo primario combattere la criminalità organizzata che ostacola lo sviluppo del nostro territorio e mina le basi della nostra Repubblica.
È essenziale, in questa XV legislatura, a norma dell'articolo 82 della Costituzione, garantire la continuità da parte dello Stato nella lotta contro le organizzazioni criminali, attraverso l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sulle problematiche relative al fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari.
Le sette Commissioni che si sono succedute negli anni, a partire dal 1962, avvalendosi di poteri variamente definiti dalle rispettive leggi istitutive, hanno posto al centro delle proprie indagini e delle proprie iniziative il fenomeno della mafia nelle sue diverse espressioni: nella sua morfologia, nei suoi collegamenti con la vita sociale e politica.
Desidero ricordare che alla prima Commissione, istituita nel 1962, venne attribuito il compito di esaminare la genesi e le caratteristiche del fenomeno della mafia e proporre le misure necessarie per reprimere le manifestazioni ed eliminarne le cause.
La suddetta Commissione ha avuto un ruolo fondamentale, in quanto ha acquisito un ampio patrimonio conoscitivo; ciò avveniva in una situazione in cui, a quei tempi, il contributo di accertamento proveniente dalle autorità giudiziarie era, per la verità, poco sufficiente.
La seconda Commissione, istituita nel 1982, non può essere annoverata fra le Commissioni parlamentari d'inchiesta perché ad essa era attribuito soltanto il compito di verificare l'attuazione delle leggi antimafia, di accertare la congruità della normativa vigente e della conseguente azione dei pubblici poteri e di suggerire al Parlamento misure legislative ed amministrative.
È bene ricordare l'enorme contributo che diede questa Commissione al pool antimafia dell'ufficio istruzione di Palermo.
La terza Commissione venne istituita nel marzo 1988 ed oltre ai poteri d'inchiesta della prima Commissione le vennero attribuiti anche poteri di controllo. La citata Commissione ha avuto un ruolo fondamentale nell'attività propositiva, soprattutto perché il periodo che va dal 1988 al 1992 coincise con gli anni in cui l'attività giudiziaria subì profonde battute di arresto, che culminarono con lo smantellamento del pool antimafia. Ed ancora, erano anni in cui il fenomeno mafioso subiva profonde modifiche. Infatti, si avvertiva un cambiamento dei rapporti mafia-società e mafia-istituzioni, si era notevolmente Pag. 88accresciuto il volume di affari gestiti o controllati dalle grandi organizzazioni criminali, erano mutati i rispettivi gruppi dirigenti e l'attacco allo Stato era divenuto sempre più insidioso, anche se si registra in quegli anni un notevole impegno delle istituzioni e delle Forze dell'ordine.
La quarta Commissione antimafia, istituita con poteri di inchiesta nell'agosto del 1992, ha svolto i suoi lavori per circa 16 mesi soltanto, in quanto la XI legislatura si è conclusa anticipatamente. Però, per la prima volta, vennero affrontati temi di connessione tra le organizzazioni mafiose ed il sistema politico-istituzionale. Inoltre, sono state approvate a larghissima maggioranza due relazioni, la prima sul fenomeno Cosa nostra, la seconda su quello della camorra, ponendo in luce le interrelazioni fra di esse. Si è data, altresì, rilevanza al fenomeno della presenza mafiosa straniera.
La quinta Commissione antimafia, istituita nel giugno del 1994, ha svolto i suoi lavori per la durata della XII legislatura e ciò che più caratterizzò la sua attività fu la rilevante eccezione contenuta nell'articolo 3, comma 2, della legge istitutiva del 1994, n. 430, in forza del quale articolo i fatti di mafia sono qualificati come eversivi dell'ordine costituzionale al fine di escludere a tale riguardo la possibilità di opporre il segreto di Stato.
La sesta Commissione antimafia, istituita nel 1996 nella XIII legislatura, ha compiuto importanti passi avanti nella sua lotta alla criminalità organizzata. Così, anche per la settima Commissione antimafia, istituita nel 2001, proseguendo la scia della precedente e contribuendo al conseguimento dei recenti successi.
Signor Presidente, alla luce di quanto esposto finora, noi Popolari-Udeur riteniamo che il lavoro fin qui svolto dalle precedenti Commissioni debba proseguire con continuità, forti del bagaglio acquisito dai lavori delle Commissioni che si sono succedute nel corso degli anni e che ho sinteticamente citato.
Onorevole Lumia, onorevole Violante, non solo chi sta parlando ma tutto il gruppo dei Popolari-Udeur condivide pienamente l'impostazione che è stata data da chi mi ha preceduto negli interventi. E attraverso questi interventi nasce in noi ciò che abbiamo dentro, vale a dire costruire attorno a questo argomento una proposta di legge che possa essere forte e robusta nel perseguire gli interessi generali. Noi la sosterremo in ogni azione, nell'interesse delle istituzioni e della centralità dei cittadini italiani.
Si deve, in conclusione, aggiornare l'analisi e soprattutto verificare la funzionalità degli strumenti istituzionali più adeguati per porre in essere un'azione di contrasto efficace, perché, comunque, il pericolo mafioso è ancora ben presente nel nostro territorio. A tale proposito, sarebbe opportuno che la Commissione svolgesse un lavoro di riordino in un testo unico di tutta la complessa legislazione antimafia, in modo da individuare gli strumenti più idonei per rafforzare ed incentivare la presenza dello Stato sul territorio. Infatti, la Commissione antimafia, esaminando ciò che succede nel territorio e cogliendone gli aspetti e leggendone i segni, dovrebbe avere il potere di agire in tempi brevi con un riscontro immediato e provvedere, dopo lo svolgimento delle audizioni, a risolvere situazioni anomale che non riescono ad essere rimosse con sollecitudine da chi ne ha il compito.
Diverse sono le problematiche da affrontare, per cui sarebbe anche necessario addentrarsi più profondamente nelle strutture più intime e segrete della mafia e della criminalità organizzata, in modo da eliminare il patto scellerato criminalità organizzata-politica-impresa. È necessario valutare attraverso indagini specifiche il rapporto fra le diverse organizzazioni criminali e il sistema economico, da un lato, e la rappresentanza politica, dall'altro, in modo da individuare un'azione di contrasto così efficace da evitare che le ingenti risorse che si investiranno negli anni a venire nel Mezzogiorno d'Italia siano speculate dalle organizzazioni criminali stesse.
Infine, è necessario affiancare all'intervento repressivo, proprio delle Forze dell'ordine, Pag. 89uno strumento adeguato di politica sociale e promuovere e diffondere nelle scuole di ogni ordine e grado programmi di attività con cui rafforzare tra i giovani la cultura della legalità costituzionale. Tutto ciò, allora, rende necessario un intervento che preveda una strategia nazionale e internazionale tra più livelli di iniziativa, quelli legislativo, economico, culturale, sociale, giudiziario e - perché no? - repressivo.
Perciò, noi Popolari-Udeur riteniamo che sin dall'inizio di questa XV legislatura ci si debba adoperare per la immediata approvazione della proposta di legge oggi in discussione, affinché si abbia una continuità ed un maggiore e doveroso impegno del Parlamento italiano nella lotta contro la mafia e tutte le altre organizzazioni criminali (Applausi del deputato Violante).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe e colleghi deputati, già all'inizio della precedente legislatura, quando eravamo all'opposizione, avevo presentato, a nome dei Verdi, una proposta di legge per ricostituire tempestivamente la Commissione d'inchiesta antimafia. Quella proposta fu approvata nell'ambito di un testo unificato, come avviene oggi, cioè con la legge n. 386 del 2001. Mi è sembrato, parimenti, doveroso, anche all'inizio di questa legislatura, nella quale appartengo, come gli altri colleghi dell'Unione, alla maggioranza, ripresentare, il primo giorno della legislatura, una proposta di legge ricostitutiva della Commissione antimafia.
Credo che sia giusto da parte di tutti noi, e anche da parte dell'opinione pubblica, all'esterno, prendere atto con soddisfazione, in primo luogo, della decisione assunta dalla Conferenza dei presidenti di gruppo della Camera di calendarizzare tempestivamente l'esame in Assemblea di questo insieme di proposte di legge, tutte finalizzate a ricostituire tempestivamente la Commissione antimafia. Tutto questo, del resto, in parallelo con quanto sta avvenendo anche per le proposte di legge - una delle quali io stesso ho presentato - ricostitutive della Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite connesse.
Anche a seguito di questa decisione unanime della Conferenza dei presidenti di gruppo, la nostra Commissione, la Commissione affari costituzionali, sotto la presidenza del presidente Luciano Violante, ha svolto nei giorni scorsi, e sta svolgendo ancora oggi, complessivamente un buon lavoro, io credo, in sede referente. Ha fatto bene, a mio avviso, il presidente Violante a nominare due relatori - l'una appartenente alla maggioranza, la collega Sesa Amici, l'altro appartenente all'opposizione, il collega D'Alia - in modo da dare un segnale anche di tipo istituzionale, oltreché politico, dell'ampia e, mi auguro, unanime convergenza che si può verificare in questo Parlamento nel raggiungere, nel giro di pochi giorni o di poche settimane dall'inizio della legislatura, l'obiettivo della ricostituzione della Commissione d'inchiesta antimafia.
La Commissione affari costituzionali ha svolto un buon lavoro anche perché, assumendo come riferimento il testo approvato all'inizio della scorsa legislatura, tuttavia ha approvato una serie di emendamenti migliorativi del testo, come è giusto che avvenga dopo cinque anni di esperienza. Anche oggi, essendosi riunito, il Comitato dei nove, che rappresenta in Assemblea la Commissione affari costituzionali, ha valutato ulteriori nuovi emendamenti che potremmo insieme votare, nelle sedute di domani o dopodomani, perfezionando ulteriormente il testo.
La collega Amici, che è intervenuta anche a nome dell'altro relatore, D'Alia, ha opportunamente messo in evidenza, nella sua relazione iniziale, alcuni di questi aspetti relativi all'aggiornamento, miglioramento ed approfondimento del testo sotto il profilo degli obiettivi e delle finalità.
Ne indico alcuni che anche la collega Amici ha già citato.Pag. 90
In primo luogo, la verifica dell'attuazione delle disposizioni relative all'applicazione del regime carcerario di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, che - come tutti sanno - è l'ordinamento penitenziario, per quanto riguarda le persone imputate o condannate per delitti di mafia. Questa è una norma di particolare gravità e rilevanza ed è giusta una corrispondente attenzione da parte della Commissione. È stato esteso, inoltre, l'ambito dell'attività di accertamento e valutazione di competenza della Commissione, con riferimento ai processi di internazionalizzazione e cooperazione delle organizzazioni mafiose con altre organizzazioni criminali; si è anche espressamente attribuito alla Commissione il compito di analizzare e di verificare l'adeguatezza delle strutture preposte alla prevenzione e al contrasto dei fenomeni criminali, nonché al controllo del territorio, e, inoltre, il compito di svolgere il monitoraggio sui tentativi di condizionamento e di infiltrazione mafiosa negli enti locali, in modo da proporre misure idonee a prevenire e a contrastare tali fenomeni, verificando l'efficacia delle disposizioni vigenti in materia, con riguardo anche alla normativa concernente lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e la rimozione degli amministratori locali. Anche qui ci sono, da una parte, esigenze di tutela della legalità e di sicurezza e, dall'altra parte, il rispetto delle garanzie dello Stato di diritto: sono norme di particolare delicatezza, su cui è opportuno che ci sia una speciale attenzione da parte della prossima Commissione antimafia.
Dopo che, in sede di ufficio di presidenza allargato, i rappresentanti dei gruppi della Commissione hanno ascoltato il dottor Callipo, presidente degli industriali calabresi, che ci ha portato una drammatica testimonianza in prima persona della situazione della criminalità organizzata nella sua regione, abbiamo deciso, di comune accordo, su proposta dei colleghi relatori, di inserire fra i compiti della Commissione d'inchiesta anche quello di verificare l'impatto negativo dell'attività delle associazioni mafiose sul sistema produttivo, con particolare riguardo all'alterazione dei principi di libertà dell'iniziativa economica privata e di libera concorrenza nel mercato, di libertà di accesso al sistema creditizio e finanziario, di trasparenza della spesa pubblica comunitaria, statale e regionale, finalizzata allo sviluppo e alla crescita del sistema delle imprese.
Questi sono alcuni dei principali aspetti innovativi che abbiamo introdotto - devo dire con amplissima convergenza tra maggioranza e opposizione - all'interno del testo che è sottoposto ora all'esame dell'Assemblea.
C'è un altro aspetto innovativo, sotto il profilo dell'attività di inchiesta e di consultazione che la Commissione antimafia sistematicamente mette in atto. Non è una novità, dal punto di vista della prassi, perché già in precedenza la Commissione antimafia aveva ascoltato associazioni, soggetti, realtà associative appartenenti alla società civile, particolarmente impegnati nella realtà concreta, nella battaglia contro la criminalità organizzata; ma l'aver esplicitamente previsto la possibilità di consultare anche tali soggetti, realtà associative a carattere nazionale o locale, che operano contro le attività delle organizzazioni criminali di tipo mafioso e similari - ripeto: averlo esplicitamente previsto nel testo di legge -, valorizza il ruolo importante che queste realtà associative hanno all'interno della società civile. Infatti, è a tutti chiaro che la lotta contro la mafia è un impegno che - ovviamente - comporta l'attività, in primo luogo, degli apparati dello Stato, degli apparati di polizia, di sicurezza e giudiziari, ma anche una grande responsabilità da parte delle forze politiche, di quelle sindacali, imprenditoriali, economiche, sociali e anche da parte delle espressioni della società civile. Valorizzare questo elemento, anche in modo esplicito nel testo istitutivo, della Commissione antimafia credo sia stato giusto.
Ci sono alcuni particolari aspetti su cui la nostra comune riflessione si è espressa e che potranno comportare, forse (nel voto dell'Assemblea su qualche singolo emendamento), Pag. 91qualche opposizione legittimamente differenziata, ma che mi auguro consentano alla fine - credo di esserne certo - una convergenza pressoché unanime nel voto finale sul testo. Uno di questi aspetti riguarda l'elezione del presidente della nuova Commissione antimafia. Vorrei infatti segnalare che era stata anche ipotizzata, da parte di qualcuno, non l'elezione, bensì la nomina da parte dei Presidenti delle Camere.
Ci è parso opportuno, comunque, non seguire tale strada, dal momento che, ormai da alcune legislature (vale a dire, dal 1994 in poi), i Presidenti delle Camere appartengono entrambi allo schieramento di maggioranza pro tempore in quella legislatura; pertanto, ritengo sia stata opportuna e saggia la scelta, da parte della I Commissione e dei relatori, di proporre che sia la stessa Commissione di inchiesta ad eleggere il suo presidente al proprio interno.
Nel corso del dibattito sono emerse valutazioni diverse, e forse emergeranno anche nelle proposte emendative che saranno presentate, su quale sia il tipo di maggioranza sulla base della quale il presidente debba essere eletto. Ricordo che, nel testo presentato dalla maggioranza di centrodestra nella scorsa legislatura (ma che, devo riconoscere, è stato approvato in modo unanime), si prevedeva il requisito della maggioranza assoluta dei voti. Si tratta di un termine concettualmente un po' imperfetto, per cui oggi, in sede di Comitato dei nove, si è registrato un largo accordo nel senso di precisare meglio che la maggioranza che si richiede, almeno nella prima votazione, è quella assoluta dei componenti la Commissione, con eventuale, successivo ballottaggio laddove tale maggioranza non dovesse sussistere.
Segnalo che altri colleghi, in particolare alcuni deputati del centrodestra, propongono invece, nelle prime votazioni ipotizzabili, di elevare il quorum per l'elezione del presidente; tuttavia, è stata mossa da alcuni l'obiezione - forse risentiremo tali argomentazioni nel momento di votare i testi in Assemblea - per cui creeremmo in questa Commissione una situazione un po' anomala rispetto ad altre Commissioni di inchiesta, che non richiedono quorum particolari per l'elezione del loro presidente. Credo che prevedere l'elezione del presidente a maggioranza assoluta dei componenti rappresenti una garanzia sufficiente: l'importante è che le candidature siano di alto prestigio ed abbiano un'alta capacità politica ed istituzionale.
Un secondo aspetto particolare sul quale ci siamo soffermati in sede referente, già riecheggiato in quest'aula, riguarda la delicatezza della composizione della Commissione, composta da venticinque deputati e da altrettanti senatori (si tratta, quindi, di una Commissione d'inchiesta molto ampia). È emersa, ovviamente, la valutazione politica - difficile che possa essere posta in termini giuridici - sulla responsabilità che hanno tutti i gruppi parlamentari, sia della Camera sia del Senato, di proporre ai rispettivi Presidenti persone che possiedano una particolare adeguatezza rispetto al compito che sono chiamate a svolgere nella Commissione di inchiesta.
Sotto questo punto di vista, i relatori hanno opportunamente proposto un testo unificato che fa riferimento, al momento della nomina, alla necessità di tener conto della specificità dei compiti della Commissione antimafia, ma non sono andati oltre; altri colleghi, appartenenti sia al centrodestra, sia qualcuno al centrosinistra, hanno invece presentato proposte emendative molto più determinate e «determinanti» nel prevedere possibili esclusioni formali in ordine alla possibilità di far parte della Commissione stessa.
Sono convinto che sia probabilmente inopportuno, e forse anche costituzionalmente assai dubbio, andare oltre quanto è previsto nel testo oggi all'esame dell'Assemblea - vale a dire la necessità di tener conto della specificità dei compiti della Commissione -, perché, come ci ha fatto notare il parere molto motivato ed articolato espresso, in sede consultiva, dalla Commissione giustizia, si potrebbero prospettare seri profili di incostituzionalità nello stabilire status diversi per i parlamentari Pag. 92in relazione alla partecipazione alla Commissione di inchiesta in oggetto.
Sta di fatto che, se da una parte dobbiamo rispettare le garanzie costituzionali di tutti i parlamentari, dall'altra dobbiamo pacatamente e senza demagogia, ma con fermezza, sottoporre all'attenzione dell'Assemblea, dei gruppi parlamentari e dei Presidenti delle due Camere la necessità di valutare con senso di responsabilità le proposte che saranno avanzate per l'ingresso in questa Commissione, in modo che i nominati siano all'altezza dei compiti e della delicatezza degli impegni istituzionali e politici che tale Commissione di inchiesta prevede.
Abbiamo anche inserito una novità assoluta nel testo relativo a questa Commissione di inchiesta, e credo che qualcosa di analogo sia previsto anche per la Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti; quindi, probabilmente, questa nuova ipotesi sarà destinata ad entrare a far parte di tutte le proposte di legge che dovessero istituire nuove Commissioni d'inchiesta. Abbiamo previsto un quorum particolarmente elevato nell'ipotesi che la Commissione d'inchiesta debba assumere provvedimenti limitativi delle libertà personali. È chiaro a tutti che l'articolo 82 della Costituzione prevede che le Commissioni di inchiesta agiscano con gli stessi poteri e gli stessi limiti dell'autorità giudiziaria. Comunque, per quanto riguarda l'autorità giudiziaria, la richiesta di un provvedimento restrittivo deve essere sottoposta al vaglio di un giudice terzo - che in qualche modo è una garanzia dal punto di vista istituzionale -, mentre ovviamente un ente terzo che valuti le eventuali richieste di provvedimenti da parte di una Commissione di inchiesta non c'è e non ci può essere. Quindi, la proposta che viene presentata all'Assemblea - credo abbia trovato l'unanimità dei consensi - è che eventuali provvedimenti limitativi delle libertà personali vengano assunti dalla Commissione con la maggioranza dei due terzi dei componenti della stessa e con atto motivato.
Mi pare che questa sia un'ipotesi positiva, da condividere, che da una parte mantiene, come non poteva che essere, questo potere - eventuale, straordinario ed eccezionale, ma c'è - in capo alla Commissione di inchiesta in forza dell'articolo 82 della Costituzione, ma dall'altra impedisce che provvedimenti limitativi delle libertà personali possano essere utilizzati dalle maggioranze politiche pro tempore. Tale ipotesi prevede che ci sia una valutazione più ampia da parte dei componenti della Commissione sull'opportunità/necessità di assumere eventualmente provvedimenti di questo tipo, per evitare anche polemiche strumentali o l'uso strumentale di questi provvedimenti.
Vi è un altro aspetto che costituisce una novità assoluta in questo testo ed anche in quello, parallelo, relativo alla Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, cioè la previsione di una limitazione programmata delle spese che possono essere sostenute dalla Commissione di inchiesta. Abbiamo sentito poco fa il dibattito svoltosi sulla mozione che ha preceduto l'esame di questa proposta di legge, concernente gli impegni istituzionali a contenere al massimo le spese per la politica. In questo caso, c'è una norma - sia pure in un ambito abbastanza ampio, in modo da non impedire il lavoro della Commissione, il che ovviamente sarebbe controproducente - che prevede un tetto alle spese della Commissione di inchiesta ed anche, come è opportuno che sia, un certo grado di elasticità e la possibilità di superare, eventualmente, del 30 per cento quel tetto qualora ci sia l'autorizzazione da parte dei due Presidenti delle Camere. Anche questa è una novità assoluta per quanto riguarda le Commissioni di inchiesta. Siccome nella scorsa legislatura si sono verificati casi, lo dico senza troppa demagogia, di dilatazione abnorme delle spese di qualche Commissione di inchiesta, forse è stato opportuno inserire questa nuova norma, come atto di autoresponsabilizzazione del Parlamento, all'interno del testo al nostro esame.
Non mi soffermo oltre, signor Presidente e colleghi, sugli altri articoli che riguardano la richiesta di atti e documenti, l'obbligo del segreto, l'organizzazione interna, Pag. 93e così via (articoli 5, 6 e 7), perché sono temi che, in qualche modo, ricalcano la struttura e il modo di funzionare di un'organizzazione interna o norme che debbono essere rispettate sotto il profilo dell'acquisizione di documenti, da una parte, e del rispetto del segreto, dall'altra: ripeto, ricalcano norme delle precedenti leggi istitutive delle Commissioni di inchiesta, sia di questa che di altre Commissioni.
Concludo, signor Presidente, colleghi e amici relatori, ringraziandovi per il lavoro che avete fatto in questi giorni e che continuerete a fare. L'auspicio è quello di un rapido esame da parte della Camera dei deputati, in modo da rendere possibile un tempestivo completamento dell'iter parlamentare anche da parte dell'altro ramo del Parlamento prima della pausa estiva. Esprimo inoltre l'auspicio, che credo si verificherà, che, al di là di alcune valutazioni diverse che potremo avere su specifiche proposte emendative - come è ovvio e normale che sia nel dibattito parlamentare -, alla fine la Commissione antimafia possa essere istituita dal Parlamento con una convergenza sostanzialmente unanime (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lumia, al quale ricordo che ha 15 minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE LUMIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come gruppo de L'Ulivo, all'avvio della nuova legislatura abbiamo subito presentato una proposta di legge perché riteniamo che l'istituzione della Commissione in oggetto sia un fatto rilevante della vita del nostro Parlamento. All'inizio della legislatura, mettere come uno dei primi punti dei lavori della nostra Assemblea l'approvazione della legge istitutiva della Commissione antimafia ci pone nelle condizioni di fare bene, di raggiungere un grado elevato di unità e di provare a partire nella lotta alla mafia con il piede giusto.
La Commissione di merito ha svolto un ottimo lavoro, confermando la struttura portante che è stata utilizzata nelle legislature scorse, ed ha anche introdotto dei punti di innovazione molto interessanti: uno per tutti, com'è già stato ricordato, riguarda la possibilità della Commissione di procedere istituzionalmente alla consultazione di coloro che, nell'associazionismo antiracket (ricordiamo la FAI), nel mondo del volontariato (ricordiamo Libera) e nelle altre organizzazioni, in questi anni hanno prodotto esperienza e sapere, nonché una dimensione progettuale interessante, con risvolti legislativi che possono interessare il lavoro della Commissione.
Nella nostra storia abbiamo avuto sette Commissioni parlamentari. Ognuna di esse, tra alterne vicende e con alti e bassi, ha provato ad offrire al Parlamento ed alle istituzioni tutta una serie di letture sulla presenza mafiosa e ad aprire anche la vita del nostro paese a quello che realmente succede in tanti nostri territori. Tutte, alcune con relazioni unitarie, altre con relazioni di maggioranza o di minoranza, hanno evidenziato l'estrema pericolosità delle mafie, il carattere collusivo con settori della società italiana, con pezzi delle istituzioni e della politica, e con settori altrettanto importanti dell'economia. Ci sono stati momenti importanti, con inchieste ed indagini che hanno aperto gli occhi a molti italiani, denunciato gravissime responsabilità politiche e istituzionali, proposto soluzioni legislative ed indirizzi di governo.
Un dato è da sottolineare: le Commissioni hanno espresso il meglio di sé quando sono state capaci di stare un passo in avanti rispetto alle logiche, spesso chiuse, di appartenenza, alle dinamiche politiche oppure, peggio, ai giochi strumentali di maggioranza ed opposizione. Quando invece le Commissioni sono state gestite burocraticamente, supine ai vizi delle classi dirigenti, preoccupate di coprire le responsabilità politiche dei vari sistemi di collusione, pronte ad utilizzare la clava per colpirsi a vicenda, con accuse spesso poco trasparenti e poco fondate, si sono ottenuti risultati scadenti, privando il paese e il Parlamento di un forte ed autorevole punto di riferimento nel colpire Pag. 94le mafie, al meglio delle possibilità presenti nella società e nelle istituzioni democratiche.
Dobbiamo recuperare la buona memoria, evitare errori e distorsioni, avviare una forte e qualificata capacità progettuale ed operativa, che la Commissione antimafia può tracciare e stimolare. Ci avviamo verso l'ottava Commissione parlamentare. Le mafie tuttavia rimangono un nodo strutturale della vita del nostro paese. Siamo chiamati a fare un vero salto di qualità. È possibile farlo? Certo. Oggi conosciamo più che mai cosa sono le mafie, come agiscono, quale forma di accumulazione utilizzano, il grado di collusione, i rapporti internazionali, la capacità di riproduzione ed organizzazione militare, sociale, economica e politica. Nessuno può più dire «non sapevo» oppure stupirsi, o ancora peggio sottovalutare oppure, ancora, pensare che la soluzione sia quella di convivere con esse.
Oggi, nessuno può sostenere che le mafie non siano un serio danno ed una minaccia di primo piano per la vita sociale, economica ed istituzionale. Prendiamo, ad esempio, la parte economica: il Censis, pochi anni fa, colpì al cuore la vecchia e rovinosa idea che le mafie, tuttavia, sono pur sempre un fattore di sviluppo e di crescita occupazionale. Non è vero! Le mafie nel sud non solo hanno tolto opportunità e diritti, ma hanno anche bloccato una certa crescita del PIL, che si stima pari almeno al 2 per cento della ricchezza prodotta, cancellando ogni anno ben 170 mila posti di lavoro e bloccando la propensione al mercato di fasce intere dell'imprenditorialità legale.
Così, è anche sbagliato pensare che le mafie fossero semplicemente legate al sottosviluppo, tenute in vita da società antiche, premoderne. No! Soprattutto oggi, le mafie sono ancorate a fenomeni - ahimè - di modernizzazione, di sviluppo e crescita economica. Certo, uno sviluppo senza qualità, senza legalità, capace di accumulare ricchezza mal distribuita, in grado di produrre profonde disuguaglianze, distorsioni della libera concorrenza e delle stesse potenzialità del mercato.
In sostanza, la lotta alle mafie fa bene alla crescita di uno sviluppo sostenibile, in grado di fare della legalità una risorsa e non un vincolo alle dinamiche produttive e sociali dei nostri territori più martoriati dalla presenza mafiosa.
Inoltre, sappiamo con certezza che le mafie sono forti perché colludono anche con la politica. Qui il discorso si fa delicato e, spesso, carico di strumentalità, ma, per quanto complesso e delicato, questo nodo va sciolto. Dobbiamo con forza recuperare la consapevolezza della funzione della responsabilità politica, ben diversa dalla responsabilità penale. La Commissione antimafia non è il quarto grado di giudizio, non deve rincorrere l'azione penale, non deve forzare un giudizio, in un verso o nell'altro, di assoluzione o di condanna. La Commissione usa i poteri dell'autorità giudiziaria per svolgere inchieste, conoscere meglio, dare indicazioni al fine di individuare le responsabilità politiche di chi ha consapevoli e sistematici rapporti con le cosche, di chi omette di fare scelte contro le mafie, di chi facilita il compito delle infiltrazioni negli appalti, nelle istituzioni, di chi allaccia rapporti inconfessabili e devastanti con i clan, anche in momenti elettorali.
La politica non deve attendere, guardarsi la scena, per poi dividersi in tifosi o detrattori dell'azione penale. La Commissione, certo, deve verificare se l'azione penale è libera, approfondita, supportata da mezzi e risorse e soprattutto da buone leggi che rendano efficace e forte l'azione di prevenzione e repressione dello Stato. La Commissione potrebbe supportare la politica anche in positivo, sull'esempio dei codici etici di autoregolamentazione, nel selezionare le classi dirigenti e le candidature. Le notizie intorno alle inchieste giudiziarie di questi mesi e di questi anni confermano quanto sia necessario avere più coraggio, più determinazione, e procedere lungo queste scelte.
In tal senso, la questione della scelta dei membri da mandare in rappresentanza dei gruppi in Commissione è quanto mai delicata, ma vera. Un meccanismo di selezione va previsto, non invasivo naturalmente Pag. 95delle prerogative democratiche e costituzionali dei parlamentari e dei gruppi che li designano. Si potrebbe trovare una soluzione condivisa, potenziando i poteri discrezionali dei Presidenti delle Camere nel verificare le varie compatibilità di coloro che, per gravi condizioni o per incompatibilità professionale, rendono inopportuna la loro presenza rispetto al lavoro che deve svolgere un componente della Commissione, un Commissario appunto, che viene a conoscenza di atti giudiziari segreti e che deve essere libero e privo di condizionamenti per svolgere al meglio la propria funzione parlamentare all'interno della Commissione antimafia.
Ritengo che la soluzione individuata dalla Commissione e gli emendamenti proposti potrebbero rappresentare il terreno per svolgere un passo in avanti serio e rigoroso in tale direzione.
Cari colleghi, possiamo organizzare le istituzioni e la politica per prevenire e colpire le mafie e le loro collusioni. Si tratta di un'occasione che non dobbiamo perdere, per fornire una corretta e preparata risposta. Certo, la strada è in salita, in quanto le mafie sono ancora forti e ben radicate, ma si può vincere.
Il Presidente Ciampi diceva che le mafie «non basta combatterle, dobbiamo sconfiggerle». Allora, è necessario organizzare i poteri e le funzioni della Commissione per passare dall'antimafia del «giorno dopo» (l'antimafia del giorno dopo le stragi, l'antimafia del giorno dopo l'omicidio Fortugno, dei grandi delitti, delle azioni di collusione, di controllo del territorio, dei traffici internazionali) all'antimafia del «giorno prima», all'antimafia dell'antiriciclaggio, che sa individuare quali risorse - sempre meno, per la verità - sono reinvestite sul territorio, condizionando in negativo la vita economica di quel territorio nonché gli stessi diritti e le opportunità. Quell'antimafia dell'antiriciclaggio che è in grado di cooperare sul piano giudiziario internazionale per anticipare i grandi flussi che velocemente si inseriscono all'interno dei paradisi fiscali dei paesi off-shore.
Dobbiamo passare all'antimafia del «giorno prima» dell'antiracket che, oggi, nel nostro paese è realizzabile avendo ottenuto risultati positivi, dimostrando che attraverso l'associazionismo, la denuncia, la fiducia, da porre al servizio degli operatori economici, si possono produrre risultati non solo penalmente rilevanti, ma anche di grande pregio economico. L'esperienza dell'associazionismo antiracket, guidata da Tano Grasso, ci dimostra che al riguardo diversi obiettivi si possono ottenere.
Dobbiamo passare all'antimafia del «giorno prima» dei beni confiscati, di quelle esperienze che Libera, guidata da don Ciotti, e tante altre associazioni, insieme a prefetti e comuni, hanno organizzato sul nostro territorio; di quei beni confiscati già produttivi, che già forniscono risultati, e di quei tanti altri beni confiscati - sono ancora migliaia - che attendono una risposta moderna per essere strappati alla gestione delle mafie e inseriti nuovamente in un circuito sociale e produttivo al meglio delle potenzialità.
Dobbiamo passare all'antimafia del «giorno prima» del controllo degli appalti e della lotta al lavoro nero, che spesso impediscono la celere realizzazione di grandi infrastrutture e di piccole opere pubbliche, al fine di evitare che le imprese colluse siano le vere protagoniste attraverso i subappalti, il controllo della filiera del cemento, del ferro e, in molte occasioni, dell'intermediazione della manodopera.
Dobbiamo passare all'antimafia del «giorno prima» della cooperazione internazionale, del testo unico delle norme antimafia, del potenziamento del ruolo dei testimoni di giustizia e della tutela della funzione dei collaboratori di giustizia, dei processi veloci e in grado di garantire l'efficacia dell'azione penale, in rapporto con le giuste garanzie degli imputati e anche delle vittime. Per tale motivo, dobbiamo liberare la lotta alle mafie dall'emergenzialità e dal ritmo episodico che spesso questa assume, per recuperare sistematicità, continuità, territorialità e globalità.Pag. 96
Colleghi, la sfida delle mafie rimane aperta. Oggi è possibile. Risultati inediti potrebbero senz'altro arrivare, ma guai a sottovalutare le caratteristiche e la forza del radicamento sociale e culturale, economico e finanziario, politico e istituzionale, tanto sul piano locale che internazionale, dei vari poteri mafiosi: di Cosa nostra come della 'ndrangheta, della camorra, così come della Sacra corona unita, delle altre mafie straniere - quella albanese, cinese, russa, nigeriana, slava - e di quelle globalizzate che trafficano uomini, donne e bambini, riducendoli spesso in condizioni di vera e propria schiavitù, sappiamo di più. Ma sappiamo anche che hanno una forte capacità di riproduzione; ecco perché occorre rendere la lotta alle mafie una vera e sostanziale priorità nella vita del Parlamento e del Governo. Raramente ciò è stato fatto; oggi, dobbiamo riprovarci!
Riguardo alla minaccia terroristica, nella storia del nostro paese, ci siamo riusciti più volte; riguardo a quella mafiosa, ancora no. La minaccia terroristica è stata affrontata con coraggio, determinazione, senza lesinare risorse e con interventi legislativi severissimi, ai limiti dei sistemi di garanzia previsti dalla nostra Costituzione. Ciò è stato possibile anche perché le organizzazioni terroristiche, che sono state isolate nella società o sono rimaste sostanzialmente estranee al sistema politico e istituzionale del nostro paese, non godevano di ampio consenso, non erano in grado di condizionare la vita istituzionale di interi territori. Il nemico rimaneva sempre visibile e, rispetto ad esso, si potevano adottare le giuste misure, definendone i caratteri organizzativi, militari ed il grado di contatto con la politica e le istituzioni.
Le mafie sono, invece, un nemico più subdolo: stanno all'interno della società e sanno mimetizzarsi bene, spesso più di quanto si pensi. Sanno farsi percepire come una realtà che dà anche delle utilità, per quanto false, rispetto a cui, a volte, si ritiene valga la pena scambiare favori e servizi. Esse intrattengono un antico rapporto con la politica ed il potere economico, che si ridefinisce, di volta in volta, in rapporti di mediazione o di rappresentanza diretta.
Ecco perché è necessario compiere uno sforzo in più, impegnare il meglio delle nostre energie democratiche e dare giusto rilievo al lavoro da svolgere.
La Commissione può facilitare questo compito. Ecco perché siamo pronti a collaborare in Assemblea sugli emendamenti ed a garantire, per quanto ci riguarda, una veloce approvazione del provvedimento in discussione (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, come ben ricordato nelle tre proposte di legge presentate in questa legislatura, a partire dal 1962, ben sette Commissioni di inchiesta parlamentari hanno lavorato e posto al centro del dibattito sulla legalità e sullo Stato di diritto il fenomeno mafioso nelle sue diverse espressioni.
Attraverso la lettura degli atti e delle relazione prodotte, riusciamo a tracciare il divenire storico di mezzo secolo di subculture criminali e a definire come le classi politiche dell'Italia repubblicana succedutesi hanno affrontato il problema, con alcuni successi e molte delusioni (compresa, ovviamente, quella relativa all'impossibilità di inquisire per mafia il senatore Andreotti).
Mentre ancora ci prepariamo ad affrontare la sfida con l'ottava Commissione di inchiesta, già sono presenti o si affacciano dal mondo della globalizzazione e del fenomeno immigratorio nuove transculture criminali che stanno mettendo radici nel nostro paese, che sono preda delle organizzazioni criminali locali o si affiancano ad esse, trovando una giustificazione alla propria esistenza seguendo comuni principi etnici, religiosi, socioeconomici e politici e dando vita a nuove stratificazioni criminale su cui c'è ancora molto da comprendere.Pag. 97
Da ciò si deduce che non sarà l'ottava Commissione d'inchiesta a concludere in modo definitivo il lavoro iniziato nel 1962 e che la lotta alla criminalità organizzata mafiosa o similare sarà un impegno ed un'emergenza costante, organica e prioritaria per il nostro paese, sentita come tale anche da tutti i cittadini.
Quindi, se siamo tutti convinti di tale priorità, chiedo se non sia opportuno superare la necessità di presentare una proposta di legge per l'istituzione di tale Commissione, per giungere, invece, ad una forma stabile ed istituzionale: di fatto lo è già da quarant'anni, ponendosi come XV Commissione permanente mista.
In tal senso, ho proposto al Presidente della Camera dei deputati e agli onorevoli colleghi una modificazione del capo V, articolo 19, del regolamento della Camera e del capo VI, articolo 22, del regolamento del Senato. Ho inviato tale proposta al Presidente della Camera Bertinotti. È strano come un parlamentare non abbia alcun mezzo per parlare con il suo Presidente. Non si capisce bene come si possa fare: si può interrogare il Governo, ma non il Presidente della Camera. Istituire una XV Commissione permanente mista è molto difficile e farraginoso.
Mi dispiace che l'onorevole Forgione non sia più presente in aula, ma credo - lo dico anche all'onorevole Boato - che il fatto che si debba sempre nominare una nuova Commissione di inchiesta sulla mafia faccia crescere la mafia stessa. Il mio sospetto è che in campagna elettorale molti dicano che le Commissioni non si fanno più e che la mafia non vuole la Commissione permanente. Quindi, non istituire una Commissione permanente, di fatto, alimenta la mafia.
È per questo che mi sento di suggerire due temi. Non li ho presentati come emendamenti, ma come suggerimenti, che non trovo nella relazione svolta dal relatore Amici, né negli interventi dell'onorevole Boato e degli altri colleghi che mi hanno preceduto.
I due temi non compaiono nelle relazioni conclusive della settima Commissione di inchiesta e nelle intenzioni di lavoro per l'ottava, tra l'altro segnate anche da troppi distinguo e da troppe differenze anche ideologiche, troppe accuse tra la maggioranza e la minoranza di allora.
In primo luogo, onorevoli colleghi, dobbiamo chiederci se il Parlamento ha il diritto e il dovere di indicare alla magistratura quali siano le priorità, anche di spesa, nella lotta alla illegalità e al crimine. Dobbiamo chiarire se le risorse economiche dello Stato sono illimitate su questo punto, oppure limitate senza priorità, o limitate con delle priorità. In altre parole, dobbiamo chiarire se la lotta ai fenomeni mafiosi e similari è veramente importante e quanto lo Stato intende investire per sostenerla, comunicandolo alla magistratura e chiedendo di agire di conseguenza.
Credo che, di fronte ai costi dello Stato per le sole intercettazioni telefoniche, noi siamo rabbrividiti: quasi un miliardo e mezzo di euro in cinque anni e un milione e mezzo di persone intercettate in un anno. Mancheranno sicuramente, come ci si lamenta sempre, la carta e la benzina per le auto dei magistrati, ma, certamente, non mancano gli investimenti per il nostro gossip quotidiano.
Sembra che la perversione e l'impotenza di alcuni nostri magistrati trovino eccitazione dall'ascolto di intercettazioni a sfondo sessuale, inventandosi anche la famosa concussione sessuale. Va a finire che, prima o poi, accuseranno anche certi partiti politici di concussione transgender...
Ebbene, non ci possiamo più permettere questa spesa che tocca i cittadini, come diritto alla nostra camera da letto, come diritto stesso della democrazia. Allora, dovremo fare delle scelte sulla coperta, che - lo sappiamo - o copre i piedi, o copre la testa. In buona sostanza, dovremo decidere se pagare per spiare le «cornette» dei Savoia e i pruriti di avanspettacolo di certi giudici, o se scegliere di dare priorità ai soldi per la lotta alla mafia, al terrorismo e alla grande criminalità finanziaria, che ingentissimi danni economici ha portato ai risparmiatori.Pag. 98
Apro una parentesi: si continua a parlare dei Savoia e li si chiama «principi». Ricordatevi che il re Umberto si è fatto seppellire con il collare e il sigillo e che, quindi, ha posto fine alla sua dinastia. Non c'è più la dinastia dei Savoia in Italia per volontà di Umberto.
Ecco, allora, che la precondizione alla lotta del fenomeno mafioso, oggetto di dibattito per la settima Commissione di inchiesta, sta nel decidere se il Governo e il Parlamento debbano indicare delle priorità all'azione giudiziaria e, quindi, destinare alla magistratura le risorse concrete e possibili che ci possiamo permettere per raggiungere gli obiettivi prefissati da tali priorità e che, allo stesso tempo, si dica molto chiaramente che lo Stato e i cittadini non possono permettersi di pagare le prime pagine dei giornali ad alcuni giudici.
Se ciò viene fatto, la politica torna sulle barricate dello Stato di diritto. Se, viceversa, continuiamo a delegare, come avviene troppo spesso, tali compiti alla sola magistratura, non lamentiamoci se poi i giudici decidono per noi o, meglio, come dice il ministro Di Pietro, se i giudici diventano i Catoni che danno lezioni morali a tutti noi, anche se di lessico e grammatica molti di loro non sanno granché.
Il secondo punto riguarda la scuola e voglio introdurlo con una frase di Paolo Borsellino: la lotta alla mafia non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolga tutti, che tutti abitui a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità. Queste sono le parole di Paolo Borsellino che spesso e volentieri si dimenticano.
Le Commissioni parlamentari antimafia hanno più volte scelto l'incontro con la scuola e con tutti i soggetti che in essa agiscono proprio perché la miglior prevenzione nei confronti dei fenomeni mafiosi riguarda la cultura, la mentalità, il rapporto del giovane con se stesso prima ancora che con gli altri e perché fondamentale è l'opera pedagogica dell'insegnante. Condivido le osservazioni svolte da Tiziana Maiolo quando dice: delicatissimo è il compito della scuola, sconsigliabile rifugiarsi nella cultura dello Stato etico con la pretesa di plasmare le menti dei cittadini sudditi, difficile indicare la strada delle regole, che devono essere poche e rigorosamente osservate. È una questione di metodo, mai di ideologia; è una questione che porta la legalità senza avere la pretesa di educare alla legalità. Non credo, infatti, che ci possa essere un'educazione di Stato alla legalità e all'etica. Credo, tuttavia, che oggi si debba andare oltre lo sportello antimafia ed i concorsi saltuari fatti nelle scuole, per giungere ad un'educazione generalizzata alle regole. Come dice Don Ciotti, cultura di legalità vuol dire ricostruire le regole nella società, nelle istituzioni, nell'economia e nell'informazione. Sì, anche nell'informazione: senza regole crescono i poteri oscuri e arroganti, la criminalità più o meno in doppio petto, la politica inquinata, l'informazione drogata e disonesta.
In modo particolare, suggerisco di mettere a frutto nella scuola italiana tutta, con un vero impegno programmatico, il grande patrimonio di esperienze acquisito da tanti insegnanti ed educatori che da anni si battono per inserire nella scuola in modo sistematico la cultura della legalità e delle regole e da cui si può trarre la giusta azione didattica. Cito solo un esempio rappresentato dall'associazione Scuola e cultura antimafia, fondata nel 1983 da alcuni insegnanti e presidi siciliani. Scuola e cultura antimafia è un'associazione che ha guidato e guida gli insegnanti sulla didattica antimafia e sull'educazione della legalità. Quando l'associazione è nata la regione Sicilia aveva da pochi anni approvato una legge che affidava alle scuole il compito di formare una coscienza civile contro la criminalità mafiosa. La legge era stata votata sotto la spinta emotiva dell'uccisione del presidente della regione Mattarella da parte della mafia. Tuttavia, essa si stava dimostrando un completo fallimento perché molti insegnanti avevano paura di attuarla, altri non sapevano come Pag. 99e cosa fare in classe, altri ancora diffidavano della regione e di questa legge stessa. Scuola e cultura antimafia creò un coordinamento per l'applicazione della legge regionale n. 51 e, a poco a poco, trasformò gli atteggiamenti degli insegnanti e le loro competenze professionali su questo campo.
Ecco, per concludere, i punti fermi dell'associazione di cui la scuola italiana, nel suo complesso, deve farsi carico: l'attività antimafia deve costituire parte integrante dell'intera programmazione didattica; la scuola deve rinnovare metodologie e contenuti per lo sviluppo di una coscienza critica degli alunni; il fenomeno mafia può essere compreso e combattuto solo attraverso lo studio complessivo della realtà in cui essa si muove e con cui ha relazioni. Bisognerebbe istituzionalizzare il cosiddetto consiglio comunale e il sindaco dei giovani a mo' di vaccinazione civica.
Come le vaccinazioni contro le malattie infettive ci danno gli anticorpi affinché, quando entriamo in contatto con il germe, riusciamo a reagire e ad isolarlo, così tale vaccinazione civica riesce a far sì che vi siano nei nostri giovani, quando entrano in contatto con situazioni mafiose, quegli anticorpi che impediscono che esse penetrino al loro interno.
Onorevoli colleghi che parteciperete ai lavori della Commissione d'inchiesta antimafia, io credo che non potrete prescindere da questi due temi fondamentali. Buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Loggia. Ne ha facoltà.

ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, onorevoli deputati, un argomento di grande rilievo, certo, meriterebbe in quest'aula una maggiore partecipazione da parte di tutti i colleghi; lo sostengo non perché venga sottovalutato il tema - non potrei nemmeno immaginare tale ipotesi! - ma, forse, perché (e in ciò sono in qualche modo d'accordo con il collega Barani) il ripetersi di questa procedura, legislatura per legislatura, può avere dato a qualcuno, certamente inducendolo in errore, la sensazione quasi di un rito ripetitivo.
Mi rendo conto di quanto sia complessa e difficile l'istituzione di una Commissione permanente. Ricordo, naturalmente, il dibattito - devo riconoscere, più o meno sincero - che si svolse quando si introdusse nel nostro ordinamento l'articolo 416-bis del codice penale; ricordo, altresì, il dibattito svoltosi più recentemente, proprio nella scorsa legislatura, a proposito dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario. Si trattava della possibilità di rendere in qualche modo continuo nel tempo un atteggiamento di ferma contrapposizione che potesse disporre anche di strumenti adeguati.
Non vi è dubbio - e mi rivolgo così al collega Barani - che una Commissione permanente, laddove fosse proposta, susciterebbe immediatamente il seguente interrogativo: se la Commissione stessa in qualche modo conclamerebbe la permanenza nel tempo, quasi perpetuandolo, di un fenomeno così drammaticamente presente nel nostro paese o se, al contrario, darebbe piuttosto la sensazione di un atteggiamento di rigore. Un atteggiamento che vuole protrarsi, certo, nel tempo ma con l'auspicio - sottinteso o, nell'ipotesi migliore, esplicitato - che trovi un punto finale nella sconfitta definitiva del fenomeno mafioso. In tale ultima evenienza, certamente si giustificherebbe, quindi, la cessazione tanto del vigore degli articoli 416-bis e 41-bis citati quanto, eventualmente, della stessa Commissione permanente.
Mi rendo conto, dunque, che soltanto evocare una proposta di questo genere può suscitare immediatamente questo tipo di duplice interpretazione; al riguardo, chiarisco subito il mio pensiero. Infatti, sono stato d'accordo sul 416-bis, lo sono stato, e anche molto esplicitamente, sul 41-bis e sarei altresì d'accordo sull'istituzione di una Commissione permanente superando, ovviamente, i problemi - legislativi, per un Pag. 100verso, e regolamentari, per un altro - che si frapporrebbero rispetto al raggiungimento di tale risultato.

MARCO BOATO. Non potrebbe essere una Commissione d'inchiesta?

ENRICO LA LOGGIA. Non potrebbe essere una Commissione di inchiesta, collega Boato; potrebbe essere un organo diverso che avesse, comunque, lo stesso valore e, siccome questo tipo di misure, nel nostro paese, si decidono con legge, non escludo che si possa anche immaginare di varare una legge siffatta, articolata adeguatamente con tutti i requisiti che occorrono perché sia costituzionalmente ineccepibile. Ma la mia affermazione era legata solo alla necessità di dare una risposta motivata all'osservazione, che mi è sembrata pertinente, del collega Barani.
Ciò che, invece, mi sembra ancora più opportuno sottolineare è come questa lunga guerra - che, tra mille incomprensioni e mille contrapposizioni, si è sviluppata nell'arco di diversi decenni, ancor prima che fosse istituita, nel 1962-1963, la prima Commissione antimafia - non abbia sempre trovato rispondenza in una univoca azione da parte di tutti coloro i quali avrebbero dovuto svolgerla. Lo dico con rammarico, con dolore, ma credo non possa essere sottaciuta la circostanza che, in questa lunga guerra, non sempre tutte le forze politiche si sono ritrovate dalla stessa parte. Spesso, il contrasto all'interno della politica ha determinato un sostanziale vantaggio, al di là, ovviamente, delle intenzioni - ci mancherebbe altro! -, proprio a favore di quelli che volevamo maggiormente combattere.
Eppure, non sono mancati i risultati - brillanti, importanti ed anche recenti -, che hanno fatto esclamare al Procuratore Grasso: «Abbiamo dato una botta decisiva al fenomeno mafioso». Io non sono in condizione di valutare quanto sia stata decisiva la «botta», ma certamente l'insieme dei risultati raggiunti (la cattura di Riina, quella di Provenzano di qualche settimana fa e l'arresto di numerosi esponenti operato a Palermo soltanto qualche giorno fa) dà la sensazione di un cambio di ritmo, di un intensificarsi degli interventi e di un'efficacia maggiore che, indubitabilmente, stanno portando un'enorme quantità di risultati positivi.
A questo punto, però, è necessario porre la seguente domanda: l'impegno che, nell'arco della storia meno recente e recente, ha portato ai predetti risultati, attraverso un impegno continuo, mai sospeso o ritardato, delle nostre Forze dell'ordine e della magistratura, ha sempre trovato nelle istituzioni un'adeguata risposta? Desidero porre questa domanda proprio qui, in quest'aula, a questa Camera dei deputati, per rivolgere un richiamo a tutti noi, ai rappresentanti delle istituzioni, ai rappresentanti politici nelle istituzioni.
Colleghi, sono rimasto molto colpito nell'ascoltare, non più tardi di venerdì scorso, la relazione - come dire? - non ordinaria ed un po' fuori dai riti che il generale Marchetti ha svolto, a Palermo, in occasione della celebrazione della Festa nazionale della Guardia di finanza. Sono rimasto colpito perché il generale Marchetti ha sviluppato alcune valutazioni ed ha offerto una ricostruzione storica che mi è sembrata degna di attenzione e che ha suscitato il mio interesse e quello di tutti i presenti, rimasti colpiti, come me, dalla non ordinarietà della relazione e dalla sua interna efficacia. A un certo punto, il generale ha evocato la figura di un ignoto finanziere che, più di cinquant'anni fa, era perito in un agguato mafioso con la convinzione di avere svolto per intero il suo dovere, di essere rimasto fermo nei suoi principi, saldo, incrollabile, di aver affrontato a viso aperto, da solo, una coppia di malavitosi, dai quali era stato ucciso, appunto, nell'adempimento del suo dovere. Perché mi ha colpito? Perché non è un eroe noto, quelli cui facciamo tutti riferimento con rispetto e riconoscenza, ma un eroe poco noto - o meno noto - come i molti e molti eroi che non ricordiamo a memoria, che non abbiamo l'abitudine di commemorare all'interno delle aule del Parlamento, che non vengono ricordati anno per anno, ma che sono l'essenza più Pag. 101genuina e pura di quella che dovrebbe essere l'azione delle istituzioni nel contrasto alla criminalità organizzata.
Credo che quel richiamo non fosse soltanto rivolto ad una immagine quasi «allegorica», per evocare la coralità di un impegno, ma fosse proprio rivolto a noi. Io l'ho sentito per me e credo che ciascuno di noi abbia il dovere di sentirlo per sé, perché i cittadini che osservano, che restano coinvolti, emotivamente talvolta, e talvolta con l'impegno ragionato di chi dichiara di schierarsi con coraggio contro il fenomeno mafioso ed a favore della presenza dello Stato, sono sempre più numerosi e rischiano, rischiano del proprio, rischiano per la loro vita, per quella della loro famiglia, per i loro beni. Non credo di fare alcuna scoperta, né di dire nulla di nuovo se affermo che in alcune parti del territorio il suo controllo, pur essendo enormemente migliorato nel corso degli ultimi anni, dà ancora spazio alla presenza di fenomeni criminali. Ci vuole coraggio, ma ci vuole anche formazione, ci vuole anche cultura, ci vuole anche incoraggiamento, ci vuole un intervento univoco da parte delle istituzioni. Insisto molto su tale punto: ci vuole un atteggiamento univoco, che sia convinto, che attraversi in maniera trasversale tutte le forze politiche e che induca ciascuna delle forze politiche, - ripeto, ciascuna delle forze politiche - a fare anche una valutazione su scelte compiute in passato, una constatazione e una considerazione su quanto di più e di meglio si sarebbe potuto fare, ma non per un atteggiamento di maniera, bensì per quel senso del dovere, per quel rispetto delle istituzioni e per quella coerenza rispetto ai principi ed ai valori che dovrebbero trovare, proprio qui, nella politica, il massimo dell'espressione, attraverso l'azione di ciascuno di noi. Dunque, è per tale motivo che auspico un cambiamento, che ritengo sostanziale e che ho anche tradotto nella presentazione di un emendamento a questo provvedimento, ossia che il presidente della Commissione venga eletto con una maggioranza qualificata e non con quella semplice, che vi possa essere il riconoscimento della politica di un'unità di intenti. Dunque simbolicamente, ma non soltanto simbolicamente, la circostanza che il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare raccolga il consenso non soltanto della propria maggioranza ma anche dell'opposizione credo faccia fare un salto in avanti enorme rispetto al segnale, rispetto alla compattezza, rispetto al messaggio che dobbiamo dare all'esterno di quest'aula, per essere più vicini, più sintonici rispetto alle istanze che provengono da tutto il paese. Quello mafioso, infatti, non è soltanto un fenomeno siciliano.
Ricordo bene il dibattito che si svolse proprio in quest'aula nel 1982, in occasione della discussione del disegno di legge La Torre-Rognoni, e le difficoltà che allora si presentarono per far comprendere ai siciliani che il fenomeno non poteva essere circoscritto soltanto a quella regione. Infatti, tale fenomeno aveva da molto tempo ben varcato i confini di quella regione divenendo manifestazione nazionale e, purtroppo, anche internazionale. Su questo volevo richiamare ulteriormente la vostra, la nostra attenzione e mi rivolgo a tutte le forze politiche affinché su tale materia si possa fare un ragionamento e assumere un nuovo impegno, un nuovo sforzo che rappresenti realmente un salto di qualità, dal punto di vista culturale, rispetto alla grave situazione che dobbiamo affrontare.
Signor Presidente, mi consenta due ultime osservazioni. Affinché non vi sia dubbio alcuno - mi rivolgo in particolare al presidente Violante - l'articolo 1, lettera f) del provvedimento al nostro esame parla di accertare le modalità di difesa del sistema degli appalti e delle opere pubbliche, eccetera. Desidererei fosse chiaro - è già chiaro, ma è meglio che resti ufficialmente a verbale poiché credo che la cosa possa essere utile anche per una successiva interpretazione - che stiamo parlando di tutte le norme, quindi anche di quelle a carattere regionale e di quelle che vengono originate da leggi di regioni a statuto speciale; ci riferiamo cioè a tutte le Pag. 102norme e non soltanto alla normativa nazionale. Nel provvedimento non si parla specificamente di legge nazionale, quindi la lettera della norma mi suggerisce che anche le normative regionali debbono essere sottoposte a questo accertamento. Se così è, non occorre modificare nulla, se così non è o vi fosse un qualche dubbio forse sarebbe il caso di chiarificarlo, poiché siamo ancora in tempo per farlo.
Tratterò infine di un ultimo argomento, che so essere anche particolarmente spinoso - ne ho già parlato in Commissione -, affinché ne resti traccia. So bene quali sono i limiti che caratterizzano i rapporti tra il Parlamento - incluse le Commissioni d'inchiesta, tra cui quella di cui stiamo trattando - e l'autorità giudiziaria e so bene che, se vi è un decreto motivato per ragioni inerenti l'ufficio svolto e le indagini in corso da parte della magistratura, ci può essere anche l'esigenza, ne sono ben consapevole, di non dare un documento o di ritardare la sua trasmissione.
Ebbene, credo - anche di questo avevo parlato in Commissione - che comunque dovremmo trovare un sistema di revisione dell'eventuale diniego o ritardo. Mi riferisco cioé a qualcosa che ci possa mettere nelle condizioni di non restare inerti rispetto al diniego, ma ci dia la possibilità di un riesame rispetto al diniego stesso. Infatti, un'opinione legittimamente espressa dal magistrato può essere anche superata da una valutazione più completa e diversa rispetto alla richiesta, motivata anche quella, che arriva da parte della Commissione antimafia.
Credo che anche in questo potremmo dare un ulteriore segnale di una diversa cultura nell'affrontare un fenomeno devastante come quello della criminalità organizzata che, signor Presidente, meriterebbe un'ulteriore attenzione.
Non so se sia mai stata fatta l'analisi del costo in termini monetari, rispetto al mancato sviluppo, alle aspettative evase, alle esigenze non soddisfatte - non parlo solo per il popolo siciliano ma, ovviamente, per tutto il paese -, causato dalla presenza devastante del fenomeno mafioso. Sto parlando sia del lucro cessante sia del danno emergente, cioè il mancato sviluppo e i mancati investimenti rispetto allo sviluppo di quelle zone.
Credo, ma so bene che non è compito della Commissione antimafia se non in maniera molto generica, che un'analisi e un'indagine di questo genere possa e debba essere fatta a parte. Ciò renderebbe, a mio avviso, ancora più chiare ai cittadini italiani e in specie ai cittadini che si trovano nelle regioni dove è maggiormente presente il fenomeno criminoso, le ragioni che stanno alla base della nostra convinzione di non dare tregua al fenomeno in questione fino a quando lo stesso non sarà definitivamente sconfitto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la lotta alla mafia e alle altre organizzazioni criminali radicate sul nostro territorio è e deve essere un obiettivo dello Stato. Va evitato, però, che la Commissione antimafia si occupi soltanto di alcuni fenomeni e ne tralasci altri e che l'utilizzo di tale strumento sia, in maniera parziale, foriero di strumentalizzazioni politiche piuttosto che di un'azione adeguata, dal punto di vista dell'indagine e dell'inchiesta e, quindi, del contrasto ai fenomeni criminali. A questo proposito occorre agire, ed in parte è stato fatto durante il lavoro di Commissione, sotto due aspetti. Un primo aspetto è collegato al meccanismo di formazione e ai poteri della Commissione, sebbene sappiamo che ci muoviamo in larga parte su un binario già prefissato, anche nel corso della passata legislatura, dalla legislazione e dalla prassi. A questo riguardo, condivido le argomentazioni addotte dal collega La Loggia in merito al fatto che sia necessario dare un carattere di permanenza a questo tipo di Commissione superando le attuali difficoltà legislative collegate ai poteri della stessa. D'altronde, se in tutte le legislature la sua istituzione è tra i primi atti compiuti dal Parlamento, ciò significa che la sua costituzione è ritenuta assolutamente necessaria. Conseguentemente, Pag. 103non possiamo nasconderci dietro al dito del regolamento e non affrontare il problema.
Quanto poi al meccanismo di composizione e ai poteri della Commissione, affinché la stessa non possa e non sia utilizzata in maniera strumentale, desidero richiamare alcune argomentazioni. Una di queste fa riferimento alla maggioranza qualificata necessaria per eleggere il presidente della Commissione. L'ideale sarebbe avere in una Commissione come questa, che presenta determinate caratteristiche, un presidente dell'opposizione. Come si suole dire, in subordine è auspicabile una maggioranza particolarmente qualificata che consenta l'individuazione di una figura di presidente che possa considerarsi assolutamente super partes. Ciò proprio perché la Commissione in esame ha una serie di poteri, anche di indirizzo, che indubbiamente hanno un'attinenza non solo con fenomeni particolarmente delicati, ma anche con diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini. In questo senso è corretta l'impostazione data di richiedere una procedura particolarmente attenta quando l'operato della Commissione tocca diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini - mi pare non sia mai successo, salvo in un'occasione in ordine ad una testimonianza per la quale vi era l'obbligo di accompagnamento - prevedendo cautele e maggioranze particolari.
L'altro aspetto, invece, attiene all'ambito di operatività di questa Commissione. Svolgiamo, allora, alcune considerazioni. Innanzitutto, le organizzazioni criminali che debbono essere oggetto di indagine e, quindi, oggetto di attenzione da parte del Parlamento, alla quale corrisponda una azione di prevenzione, repressione e sradicamento dal territorio, non possono essere soltanto quelle ubicate in una parte del territorio. In tal modo si realizzerebbe quel binomio tra inchieste sulla mafia e inchieste su organizzazioni che sono ubicate soltanto al sud o in Sicilia. Invece, noi dobbiamo assolutamente fare in modo che non ci siano, per così dire, spazi di impunità in altre parti del territorio che, magari, siano forieri di fenomeni di cosiddetta emigrazione criminale, con la creazione di colonie di organizzazioni criminali mafiose, ad esempio, al nord e in altre zone produttive. Deve essere assolutamente evitata questa focalizzazione su una zona territoriale ed anche l'analisi della presenza di organizzazioni criminali, soprattutto nelle aree produttive, deve essere assolutamente effettuata. Questo noi lo abbiamo rimarcato in sede di Commissione, al fine di non lasciare gli imprenditori del nord da soli e privi dell'attenzione politica e, forse, anche dell'attenzione da parte degli altri organi competenti.
Come ulteriore considerazione, sottolineo l'esistenza di organizzazioni criminali straniere che, ormai, hanno preso piede sul nostro territorio. A queste organizzazioni deve essere indirizzata l'attenzione e devono essere oggetto di indagine. Si tratta di organizzazioni criminali straniere di matrice slava, di matrice cinese o provenienti da paesi musulmani che sono border-line e, spesso, presentano strutture di carattere terroristico. Non possiamo chiudere gli occhi e far finta che questo tipo di presenze malavitose non esista sul nostro territorio, in nome di un generalizzato buonismo o in nome della cosiddetta integrazione a tutti i costi. Anche su questo, in sede di Commissione, noi abbiamo chiesto l'inserimento di un punto specifico, che è stato inserito.
Inoltre, dev'essere detto che esistono molte organizzazioni criminali sul nostro territorio che agiscono nell'ambito dello sfruttamento dei flussi migratori. Il gruppo della Lega Nord Padania ha presentato un emendamento a questo proposito, chiedendo che l'oggetto di indagine si estenda a questo tipo di fenomeni con particolare attenzione. Noi riteniamo che questa impostazione debba trovare anche un riconoscimento nella stessa denominazione della Commissione parlamentare di inchiesta, per fare in modo che tale fenomeno, il quale, ormai, ha assunto un radicamento criminoso intollerabile, abbia un riscontro tra le finalità principali che questa Commissione deve avere. A questo Pag. 104proposito, devo anche affermare che bisognerebbe richiamare un'impostazione diversa sulla questione dell'immigrazione rispetto a quella data dal Governo Prodi, nei primi giorni della sua attività. L'immigrazione, cioè, non può essere considerata come qualcosa di ineluttabile, da guardare con un buonismo che, nei fatti, la favorisce - con particolare riferimento, ovviamente, all'immigrazione clandestina - ma deve essere regolamentata e gestita, essendo un diritto-dovere dello Stato la regolamentazione e la gestione dei flussi migratori.
È ovvio che certe dichiarazioni che sono ispirate a questo tipo di filosofia non sono certamente utili, ma oltremodo dannose, sia dal punto di vista delle potenzialità che portano anche ad alimentare e a dare fiato a questo tipo di organizzazioni, sia poi anche dal punto di vista delle conseguenze pratiche: se esistono delle leggi, i primi che debbono chiedere il rispetto di esse dovrebbero essere proprio i componenti del Governo, soprattutto in una materia così delicata come quella della lotta e del contrasto alla immigrazione clandestina. È chiaro che, laddove esiste immigrazione clandestina, esistono organizzazioni criminali che commettono dei reati ed esistono anche dei reati commessi sul territorio: la presenza di immigrati clandestini sul nostro territorio, cioè di persone che non hanno un lavoro e una casa, ovviamente è foriera di attività criminose. Non possiamo pensare che questa gente alla fine della giornata non mangi: debbono mangiare e quindi si procurano il sostentamento, ovviamente non attraverso i canali della legalità.
Un altro punto che noi abbiamo evidenziato in sede di lavori della Commissione con la presentazione di un emendamento che è stato accolto, è quello legato alla presenza, sul nostro territorio, di una criminalità, molto spesso straniera, collegata alle attività di contraffazione dei prodotti e di violazione dei diritti della proprietà intellettuale. Questi ultimi non rappresentano fenomeni marginali, ma possono essere stimati intorno ai 7 miliardi di euro: cifre pari a quelle di una finanziaria di un piccolo Stato o, quantomeno, di una regione di medio-grandi dimensioni.
Di fronte a questi fenomeni occorre reagire con fermezza. La contraffazione e la violazione dei diritti di proprietà intellettuale rappresentano una piaga che sta colpendo i nostri imprenditori, soprattutto quelli del nord. Questo tipo di violazioni spesso fa capo ad organizzazioni criminose che si sviluppano all'estero, ma che hanno anche impiantato una presenza radicata sul nostro territorio, magari anche in sinergia con organizzazioni criminali locali. Tale tipo di attività, lungi dall'essere marginale, è diventata centrale per queste organizzazioni ed è una vera e propria industria del crimine, con un giro d'affari vertiginoso e con conseguenze sulla vita di tutti i giorni. Certamente quando un prodotto viene contraffatto segue un mercato parallelo, illegale, che danneggia, da un lato, gli altri imprenditori che invece si muovono nel rispetto delle regole, ma anche i consumatori perché la vendita di questo tipo di prodotti coincide spesso con la vendita di prodotti pericolosi e non sicuri, che fanno danni soprattutto allorché sono beni di largo consumo e non più soltanto beni di lusso.
Anche per questo motivo, abbiamo presentato un emendamento - che peraltro è stato accolto - perchè non possiamo permetterci di lasciare soli i nostri imprenditori di fronte a queste difficoltà ed a queste aggressioni.
C'è qualcuno che pensa di trasformare il nostro territorio in una sorta di base per l'ingresso indiscriminato non soltanto di prodotti cinesi, ma anche di catene di distribuzione made in China. Ebbene, non possiamo e non dobbiamo consentirlo: dobbiamo difendere i nostri imprenditori e le nostre industrie!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Turco. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signor rappresentante del Governo, avrei voglia di leggere integralmente un documento che è Pag. 105praticamente scomparso, poiché si trova solo nelle emeroteche. Si tratta dell'ultima intervista del giudice Falcone, apparsa, pochi giorni dopo l'attentato nel quale perse la vita assieme alla sua scorta ed alla moglie, su Panorama il 7 giugno 1992.
Vi risparmierò tale lettura. C'è di fatto che, a sentire oggi questi discorsi e queste impostazioni, penso si sia perso molto di quelle che erano le analisi di Giovanni Falcone e di quella che è stata, soprattutto negli ultimi tempi, la strada che egli ha tentato di tracciare nella lotta alla mafia. Da una parte, vi era il tentativo di comprendere cosa significassero tali organizzazioni nel tessuto vivo della società civile; dall'altra, si voleva denunciare anche un certo modo di fare giustizia, nonché un certo tipo di organizzazione della magistratura. Si tratta di qualcosa che, nonostante il trascorrere degli anni, è tuttora vivo, concreto e reale.
Ho seguito, attraverso i verbali, il lavoro svolto dalla Commissione antimafia nella scorsa legislatura, e vi dico di aver letto pagine davvero incredibili, che non fanno onore allo Stato di diritto, alla democrazia ed a quelle che sono le regole che, come Stato, ci siamo dati, e rispetto alle quali, talvolta, rischiamo di derogare, diventando simili a coloro che, proprio in nome delle istituzioni che vogliamo rappresentare, vorremmo combattere.
Penso che la stabilizzazione dell'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sia stata una pagina nera. Si tratta di una decisione che è stata appresa attraverso le agenzia di stampa, con pentiti che facevano dichiarazioni incredibili, rispetto alle quali la Commissione antimafia non si è mai peritata di attendere le decisioni della magistratura. Sull'articolo 41-bis questo Parlamento, e la Commissione antimafia in particolare, non ha mai voluto leggere e comprendere le sentenze emanate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Non ha neanche fatto in tempo a leggere, perché è uscito da poche settimane, il rapporto sulla situazione delle carceri nel nostro paese redatto dal comitato europeo per la prevenzione della tortura istituito nell'ambito del Consiglio d'Europa, con particolare riferimento al regime di cui al citato articolo 41-bis.
Credo che la nuova Commissione antimafia, così come è peraltro previsto, debba valutare ed approfondire ulteriormente gli effetti reali, ai fini della lotta alla mafia, di questo regime di detenzione particolare.
Dovremmo andare a vedere quanto di quello che è stato scritto - a mio avviso, per fare pressione su questo Parlamento per stabilizzare il 41-bis - ha avuto un riscontro in termini di sentenze nelle aule di tribunale. Anche tutto questo cercare di evocare una situazione ed un rapportarsi ad una realtà che è sicuramente importante e rappresenta qualcosa con la quale lo Stato ha il dovere di confrontarsi, poi, si disperde nel provincialismo, quasi fosse questione semplicemente siciliana, calabrese, pugliese, campana, forse italiana; si evocano le mafie di altri paesi, però ci si ferma di fronte a quelle che sono le strutture attraverso le quali è possibile fare le transazioni finanziarie a livello internazionale. Noi abbiamo appreso in questi giorni solo grazie ad uno scandalo che c'è una cooperativa belga che raccoglie praticamente 7 mila tra banche ed istituzioni finanziarie e che ha collaborato con il Governo americano per controllare buona parte di queste transazioni in nome della lotta al terrorismo: la società Swift.
Non so quante delle indagini in nome della lotta alla mafia hanno avuto l'apporto da parte di questa società o quante volte a questa società è stato chiesto un aiuto. Non so quante volte, di sicuro negli atti parlamentari non ho mai letto la parola Clearstream o Euroclear, le camere di compensazione internazionali attraverso le quali è possibile fare transazioni finanziarie senza aver necessità di conoscere chi è il soggetto che compie queste transazioni. Quindi, se c'è un compito, più che nuovo direi antico, che la nuova Commissione antimafia dovrebbe affrontare è davvero quello del controllo e dell'indagine rispetto a queste strutture.
Così come credo dovremmo, attraverso questa Commissione di inchiesta, tentare di comprendere che cosa è successo, magari Pag. 106per dare una data indicativa, dal giorno della morte del giudice Falcone nella politica delle prescrizioni. Penso che sarebbe utile a tutti avere un quadro di coloro i quali - rappresentanti istituzionali nei comuni, nelle province, nelle regioni, a livello nazionale - hanno visto i loro processi prescritti e per quali reati. Penso che sarebbe utile per comprendere non quel terzo livello, ma come la giustizia in questo paese non è uguale per tutti; per comprendere se l'obbligatorietà dell'azione penale è uno strumento di giustizia o se, invece, è uno strumento che consente discrezione e, quindi, privilegi.
Penso che sia questo il lavoro che una Commissione antimafia dovrebbe fare. Lo dico convinto anche del fatto che proprio Giovanni Falcone, secondo me, aveva tracciato con chiarezza quella che secondo lui era la linea di demarcazione tra lo Stato e la mafia: la mafiosità è il pretendere come privilegio ciò che spetta per diritto. Penso che è rispetto a tutto questo che dovremmo riflettere e calibrare i compiti di questa Commissione, per esempio a cominciare dal bilancio di fatto delle organizzazioni mafiose.
È stata citata la contraffazione o l'immigrazione illegale, ma dobbiamo ricordare anche che i due grossi cespiti di queste organizzazioni sono la vendita illegale delle armi e della droga. Non c'è stato mai un momento per riflettere sul fatto che attraverso la proibizione di talune sostanze stupefacenti si sarebbero arricchite le varie mafie. Non voglio qui mettere in discussione quelle scelte. Penso però che quelle scelte e quelle leggi siano nei fatti criminogene e che abbiano rafforzato le mafie, rispetto alle quali poi non abbiamo (o non vogliamo avere) gli strumenti per agire.
Faccio un'ultima considerazione su quanto è stato detto da diversi oratori, rispetto a coloro che in quest'aula hanno diritto o meno, in termini di opportunità e in alcuni casi di opportunismo, di partecipare ai lavori di questa Commissione. Si è parlato di essere all'altezza dei compiti e comunque di avere la giusta trasparenza. Al riguardo, credo che questo elemento non possa essere esibito in questa sede, trattandosi di argomenti che vanno esibiti altrove. Penso che la capacità di ciascun deputato di riuscire a distinguere o meno le opportunità sia un qualcosa che attiene alla responsabilità individuale. Tuttavia, se si sospetta che ci sia qualcuno che, anziché qui dentro, dovrebbe essere altrove, è bene che ce lo si dica chiaramente.
Non è attraverso le mezze parole che è possibile tagliare quel filo che lega mafia e politica. Penso che sia acquisito da tutti che il terzo livello non esiste. Ci sono sicuramente diversi rapporti con la politica e possono esistere anche delle trame trasversali, ma di sicuro non c'è una regia occulta. Allora, il nostro dovere è quello di fare chiarezza nelle sedi opportune, dove credo debba farsi sentire forte anche il senso di quello Stato di diritto, che oggi vede utilizzare l'articolo 41-bis e la carcerazione, nonostante tutte le denunce a livello internazionale contro l'Italia e nonostante tutte le previsioni degli strumenti giuridici internazionali; quello Stato di diritto che oggi vede utilizzare l'articolo 41-bis come un sistema finalizzato al pentimento del detenuto, cosa che è esclusa e condannata da tutti gli strumenti giuridici internazionali. Penso che dovremmo fare una riflessione su questo aspetto.
Credo inoltre che la Commissione antimafia possa lavorare molto diversamente da come ha lavorato negli scorsi anni e che possa andare oltre il provincialismo che l'ha caratterizzata, colpendo così frontalmente e direttamente i veri centri di potere, che consentono a queste organizzazioni di misurarsi con lo Stato.
Se vogliamo davvero batterci contro queste organizzazioni, dobbiamo sicuramente continuare a cercare nelle stalle e nelle baracche di lamiera, ma vi sono anche altri luoghi in cui la maturazione della forza di questa organizzazione trova la linfa necessaria per insinuarsi nei luoghi del potere (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tranfaglia. Ne ha facoltà.

Pag. 107

NICOLA TRANFAGLIA. Ritengo già significativo che la discussione in corso per l'istituzione della Commissione antimafia, dopo le sette che già vi sono state nell'Italia repubblicana, abbia un così scarso interesse nella maggioranza dei deputati della Camera. Non intendo essere pessimista, ma certamente non è una rappresentazione particolarmente incoraggiante.
Mi sembra, inoltre, che negli ultimi dieci anni, in Italia, non sia stata condotta una grande lotta alla mafia, se per ciò si intende, accanto alla repressione giudiziaria, una lotta culturale e di educazione delle nuove generazioni. D'altra parte, io che ho conosciuto i giudici che hanno perduto la vita nella lotta contro la mafia so che loro stessi erano pienamente consapevoli dell'importanza e centralità della lotta politica e culturale contro le associazioni mafiose. Dicevano sempre che la repressione giudiziaria interveniva dopo e che non era in grado di cambiare la mentalità collettiva ed i rapporti di potere alla base della forza delle associazioni mafiose.
Questa legislatura, iniziata con la vittoria dell'Unione, dovrà impegnarsi particolarmente in questo lavoro, che dovrà essere di accompagnamento ed insieme di autonomo lavoro rispetto alle organizzazioni giudiziarie, ma che dovrà diventare anche un grande sforzo di educazione dei giovani e delle masse, perché emergano i legami sotterranei che danno così tanta forza sia alle associazioni mafiose, che possiamo definire italiane, sia alle associazioni che da altri paesi sono venute in Italia e che negli ultimi anni hanno assunto, in determinate regioni, un ruolo importante anche dal punto di vista economico.
Dovrà essere un lavoro che impegni le energie migliori dei due rami del Parlamento. Da questo punto di vista, non vi è dubbio che è opportuno che chi si trovi in una situazione di indagini giudiziarie a suo carico per questioni che riguardano reati di corruzione contro la pubblica amministrazione o addirittura di collusione con le associazioni mafiose non sia presentato da nessuno dei gruppi, e tantomeno sia scelto dai Presidenti delle Camere, perché ciò introdurrebbe un elemento assai poco opportuno ed adeguato alla delicatezza dei compiti della Commissione antimafia.
Chi guarda all'opera finora svolta dalle Commissioni antimafia può dire chiaramente che, in alcuni casi, le Commissioni antimafia hanno preceduto la consapevolezza da parte del paese di determinati problemi e, in altri casi, hanno seguito o addirittura non sono state significative rispetto al dibattito politico del paese.
Quindi, la Commissione che si intende istituire - io sono pienamente d'accordo su tale istituzione - ha di fronte questa scelta e questa difficoltà di lavoro, cercando di rendere consapevole l'opinione pubblica italiana dei problemi esistenti.
Da questo punto di vista, anch'io sono convinto della necessità di una battaglia diversa sul fronte della lotta agli stupefacenti. Infatti, a mio avviso, quanto realizzato negli ultimi anni non ha favorito la lotta alle organizzazioni che prosperano sul traffico degli stupefacenti. O si cambia questo tipo di lotta o corriamo il rischio di non vedere un elemento fondamentale di tale lotta.
Inoltre, occorre tener conto del fatto che l'attività della Commissione antimafia non può essere limitata ad un'analisi di ciò che accade sul territorio italiano. In una situazione come questa, tale Commissione deve porsi i problemi che riguardano l'Europa e il mondo.
Dunque, mi auguro che vi possa essere una composizione adeguata sul piano politico e sul piano culturale in ordine alle competenze specifiche di questa Commissione (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rocco Pignataro. Ne ha facoltà.

ROCCO PIGNATARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il recente arresto di Bernardo Provenzano dopo quarant'anni di latitanza, oltre a confermare l'alta professionalità delle nostre Forze dell'ordine, ha ribadito che lo Stato non Pag. 108intende abbassare la guardia davanti al fenomeno delle associazioni criminose di stampo mafioso, contro il quale ha anzi intensificato la propria azione e il proprio sforzo di comprensione, anche a partire dall'istituzione della prima Commissione parlamentare di inchiesta, nel lontano 1962.
Allora si sapeva ben poco della mafia, della sua struttura interna, dei suoi rapporti con le altre organizzazioni malavitose internazionali e, soprattutto, dei suoi legami con i gangli vitali della società italiana. Oggi sappiamo molto di più, grazie alle analisi di giudici come Giovanni Falcone, alle confessioni di molti affiliati finiti nelle mani della giustizia e ai risultati conseguiti dalla stessa Commissione antimafia. Sappiamo soprattutto che la criminalità organizzata ha una grande capacità, vale a dire quella di cambiare pelle e di sapersi adeguare, come i camaleonti, al mutare delle stagioni.
La mafia del dopoguerra era un'organizzazione legata al territorio, un'organizzazione per lo più di tipo contadino che faceva affari nell'edilizia e nello sfruttamento delle risorse idriche. Il salto di qualità è avvenuto, prima, con il riciclaggio dei rifiuti e, poi, con il traffico di droga ed ha avuto quale effetto rovinoso e a catena l'imbarbarimento delle azioni contro uomini e cose, fino agli anni della grande sfida diretta allo Stato, gli anni dell'assassinio del giudice Chinnici, del prefetto di Palermo Dalla Chiesa e dei giudici Falcone e Borsellino.
La forza acquisita dalla mafia è stata tale che il termine «mafia» ha ormai una valenza internazionale. Oggi, infatti, è di uso corrente parlare di mafia americana, mafia cinese, mafia russa, mafia canadese. Resta da capire quanto intensi e capillari siano gli intrecci tra la criminalità organizzata italiana e quella di altri paesi, ma è certo che le nostre organizzazioni hanno dimostrato inaspettate capacità di trasformazione e di aggiornamento, che hanno loro consentito di adattarsi ai mutamenti socio-economici e politici della società.
Proprio tale attitudine rende ancora oggi necessario proseguire quell'opera di studio e di approfondimento delle dinamiche di tali associazioni che si è dimostrata così efficace nelle scorse legislature, al fine di approntare una risposta del Parlamento a sostegno dell'azione sul campo svolta dagli inquirenti.
Pur colpita gravemente, la mafia in tutti questi anni ha sempre trovato il modo di rialzare la testa ed oggi resta sospesa come una minaccia sulla vita dei cittadini nelle sue quattro articolazioni territoriali: Cosa nostra, la camorra, la 'ndrangheta e la Sacra corona unita. Nata in un periodo piuttosto recente, intorno all'inizio degli anni Ottanta, all'interno degli istituti penitenziari pugliesi dove erano reclusi soggetti appartenenti a sodalizi criminosi della 'ndrangheta e della camorra, la Sacra corona unita risulta essere organizzata orizzontalmente con una serie di clan autonomi nella propria area di influenza, ma tenuti a rispettare regole comuni. Far parte di questa associazione criminosa significa essere membro di una vera e propria holding improntata a meccanismi ben precisi, valori e interessi condivisi e con una struttura fortemente gerarchica. La peculiarità di tale organizzazione è di aver saputo rendersi autonoma rispetto alle altre mafie, soprattutto grazie ai rapporti che via via ha instaurato con le organizzazioni dell'Europa dell'est. Si è rivelata, infatti, il primo vero esempio di integrazione criminale interetnica, specialmente con l'arrivo delle organizzazioni criminali albanesi coinvolte nella tratta degli esseri umani e nel traffico di stupefacenti.
Le organizzazioni criminali pugliesi, infatti, manifestano e hanno manifestato un crescente dinamismo nel commercio della droga, confermando la funzione delle coste pugliesi quale principale luogo di smistamento per i traffici clandestini provenienti dai paesi di oltre Adriatico. La Sacra corona unita opera, inoltre, nei settori del contrabbando di sigarette e della frode ai danni dell'Unione europea (coltivazione di pomodori, produzione di oli e vino), dell'usura, della contraffazione di banconote e dei reati tipici della mafia tradizionale, quali l'estorsione e l'intimidazione. Pag. 109Come se non bastasse, la Sacra corona unita manifesta anche una grande capacità di infiltrazione nelle istituzioni, muovendosi in particolare nel settore degli appalti e dei subappalti. Non è certo un caso se numerosi enti comunali sono stati sciolti per inserimenti mafiosi, tesi a favorire determinate ditte per l'effettuazione di opere pubbliche.
Quindi, la Sacra corona unita si è inserita nello smaltimento dei rifiuti urbani, collaborando, quando necessario, con Cosa nostra, la camorra e la 'ndrangheta. Il fenomeno, onorevoli colleghi, come è evidente, desta una crescente preoccupazione per il livello di sviluppo che questa organizzazione ha dimostrato di poter raggiungere, tanto da suscitare un vero e proprio allarme sociale anche per i rapporti internazionali che le associazioni criminali pugliesi sono riuscite ad acquisire.
Noi del gruppo dei Popolari-Udeur riteniamo, quindi, che il Parlamento italiano abbia il dovere e la responsabilità di non disperdere quel patrimonio di conoscenza acquisito fin qui mediante la Commissione parlamentare di inchiesta, proseguendo la sua attività di vigilanza sull'evoluzione del fenomeno mafioso nel paese, sia rispetto ai suoi radicamenti sul territorio, sia per quel che riguarda i processi di internazionalizzazione e cooperazione con le altre organizzazioni criminali che in questo momento sono la sua principale caratteristica (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà. Ricordo all'onorevole Santelli che ha undici minuti di tempo a disposizione.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, innanzitutto, vorrei ringraziare i relatori ed il presidente della Commissione per il lavoro svolto in tale sede e per la disponibilità manifestata nel dibattito. Credo sia importante che, dopo tante legislature in cui si è prorogata la Commissione antimafia, il dibattito relativo al disegno di legge istitutivo di tale Commissione rimanga vigile, per cercare di recuperare le idee e le innovazioni da apportare sul lavoro.
Per ovvi problemi di tempo, nel mio intervento mi limiterò a svolgere solo alcuni brevi cenni. Vorrei soltanto segnalare un'innovazione che mi sembra molto importante, relativa all'ascolto degli enti locali e ad una vicinanza rispetto agli stessi, raccogliendo le proteste degli amministratori di frontiera, che spesso si sentono abbandonati dal livello romano. Credo che un segnale di questo tipo da parte del Parlamento abbia un importante valore simbolico.
Un'altra delle innovazioni che introduciamo, e che mi auguro nel corso dei lavori della Commissione possa essere realmente seguita con cura, è quella di approfondire non solo il concetto di criminalità, ma anche la connessione fra criminalità e sviluppo nelle regioni meridionali. Parliamo sempre di due binari che corrono paralleli, ma spesso arriviamo tardi, quando già i soldi, forse, sono fuggiti e quando il male già è stato fatto e poco si può fare per recuperare.
Mi auguro, in questo senso, che la Commissione voglia impostare il suo lavoro più che inseguendo i fenomeni già accaduti, facendo spesso, in qualche modo, da spalla e da ausilio ad una attività che, forse, non le è propria (come quella di autorità giudiziaria), veramente come un organo di prevenzione politica, con la capacità di captare i fenomeni che si infiltrano, portando in Parlamento in anticipo provvedimenti che possano contrastare con nuove formule di interventi i nuovi campi in cui le organizzazioni criminali vanno ad innestarsi.
Credo che, nell'ambito dell'esame degli emendamenti, potremo affrontare alcuni aspetti che sono rimasti insoluti in Commissione. Per il momento, posso esprimere un giudizio positivo sul lavoro svolto. Credo che si tratti di un impianto generale che può realmente soddisfare le attuali emergenze in questa materia, con una sola annotazione.
Abbiamo parlato più volte, nel corso dei lavori della Commissione, delle connessioni Pag. 110tra terrorismo e criminalità e delle possibili estensioni della sfera di azione della Commissione antimafia. La preoccupazione fortissima è che un allargamento eccessivo dei temi porti ancora di più la Commissione antimafia ad essere meno vigile su ciò su cui realmente deve vigilare. I fenomeni mafiosi, purtroppo, sono ancora forti e spesso la Commissione antimafia, da una parte, ma, forse, anche l'autorità giudiziaria, dall'altra, non sono state in grado di captare in tempo le nuove frontiere da combattere (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Incostante. Ne ha facoltà.

MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, si è discusso, non solo oggi e non solo tra gli addetti ai lavori, sui compiti e sull'efficacia delle azioni messe in campo dalla Commissione parlamentare antimafia.
Si tratta di una Commissione di inchiesta in relazione all'articolo 416-bis del codice penale e sulle altre associazioni criminali similari, la cui funzione e attività, a mio avviso, vanno ulteriormente rilanciate e rafforzate, concentrando le iniziative e raffinando le analisi e, soprattutto, mettendosi in relazione dinamica con i mutamenti in atto per quanto attiene sia i fenomeni mafiosi, sia la trasformazione delle organizzazioni criminali. Essa dovrà fornire - credo che questo sia un punto decisivo - non solo elementi di indagine e conoscenza, ma anche altrettanti indispensabili strumenti e proposte volti a rafforzare l'azione legislativa del Parlamento in questo campo.
Questo è ciò che si propone il testo portato all'esame dell'Assemblea, arricchito di alcuni emendamenti, come si evince dall'introduzione dei relatori e dal testo, che presenta alcune innovazioni necessarie per estendere il campo delle indagini rispetto ai mutamenti dei fenomeni e delle organizzazioni.
Assistiamo, infatti, a mutamenti della struttura organizzativa che variano da una organizzazione criminale all'altra: da Cosa nostra, organizzata più come una commissione decidente centralizzata, ad alcune organizzazioni camorristiche, caratterizzate, invece, da livelli intermedi con maggiori gradi di autonomia.
Si legge, nella sentenza del 2003 della corte di assise di Napoli, sezione III, che «si sono determinati elementi di rottura rispetto alle organizzazioni criminali tradizionali, con forti forme di decentramento, con squadre suddivise su vaste zone territoriali, che entrano in azione anche senza autorizzazione preventiva, per evitare perdite di tempo per colpire gli obiettivi avversari».
Appare evidente che i clan, anche se possono apparire talora frammentati, si strutturano in maniera duttile ed efficace, preservano talvolta i capi da iniziative giudiziarie e creano catene lunghe, di cui è difficile ricostruire tutte le intermediazioni e, a volte, il comando.
Sul versante dell'espansione della caratterizzazione dei fenomeni mafiosi, possiamo dire che anche questi presentano due facce. Una faccia è legata agli affari illeciti - come è stato detto molto ampiamente nel dibattito - relativi ai proventi della droga, delle armi, racket, usura, prostituzione e tante altre attività criminali. L'altra faccia, non meno inquietante ed allarmante, che permette sempre di più l'estendersi ed il rafforzarsi di tali fenomeni, sia dal punto di vista economico, sia per quanto riguarda la pervasività, è quella legata alle attività legali, alle attività lecite.
Le ultime azioni portate avanti dalla procura di Napoli con le indagini condotte dai ROS hanno ricostruito intorno alla camorra una rete di società e di prestanomi che controlla un impero economico, per il momento valutato in oltre 50 milioni di euro e che tenta di intervenire sugli appalti della TAV, della Alifana, del centro radar della NATO: un fiume di denaro che vede, però, investimenti in piazze sicure come l'Emilia e la Lombardia ed in città tranquille come Parma, con teste di ponte nell'economia legale del luogo. Dalle indagini - come ha sottolineato il procuratore - sono emersi rapporti collusivi con ambienti dell'imprenditoria e della pubblica Pag. 111amministrazione, una camorra che fa impresa, che reinveste il fiume di denaro, che punta decisamente al nord del paese ed all'estero (si parla di investimenti in Scozia, in Inghilterra, negli Stati Uniti). Dichiara Roberti, capo del pool della DDA, che da molti anni la criminalità colloca i propri business nella ristorazione, nella ricezione alberghiera, nel commercio al minuto ed all'ingrosso, nelle proprietà immobiliari attraverso transazioni economiche e finanziarie.
Se tutto ciò avviene, non può sfuggire a nessuno che avviene attraverso la complicità e le azioni di uomini che definirei di cerniera, di snodo: professionisti, imprenditori, finanzieri, uomini politici e delle istituzioni. Senza queste cerniere, questi snodi, i passaggi tra illegale e legale non sarebbero così fluidi e non sarebbero, così come oggi avviene, sicuri. Allora, mi domando: questo Parlamento, il mondo politico, le istituzioni, gli apparati dello Stato, le nostre stesse leggi forniscono mezzi, uomini, strumenti adeguati all'evoluzione, alla dinamicità, alla complessità di tali fenomeni? Può, allora, la Commissione antimafia, anche interloquendo con soggetti istituzionali, sociali, associativi, del mondo economico, dell'impresa, della finanza, approfondire la sua analisi proprio sugli snodi che mettono in comunicazione circuiti legali ed illegali? Credo di sì, credo che si debba rafforzare l'analisi e, soprattutto, sforzarsi di mettere in campo strumenti per un'azione legislativa adeguata alle novità, alla velocità di trasformazione dei fenomeni mafiosi. Perciò, nel testo si parla di internazionalizzazione, di cooperazione delle organizzazioni mafiose, di investimenti dell'Unione europea, del mondo dell'impresa e di tant'altro.
Oggi, quindi, c'è una nuova frontiera di azione ed è nella contiguità fra mercati leciti ed illeciti, tra società civile e società mafiosa: è su questo terreno che si gioca una partita nuova tra Stato democratico e potere mafioso. Le tre parole chiave sono globalizzazione, mimetizzazione e contiguità. Su questo terreno appare indispensabile dispiegare ogni energia ed il Parlamento, munendosi di un proprio strumento, la Commissione d'inchiesta che si vuole istituire, può fare un buon lavoro.
Mentre la magistratura accerta le responsabilità penali e personali, la politica, attraverso la Commissione, si deve riappropriare del suo ruolo: non essere preda di iniziative estemporanee né di parte. La politica non ha necessità di accertare responsabilità penali, il cui accertamento soggiace a rigide regole processuali, però ha maggiori possibilità di comprendere il fenomeno in tutta la sua complessità, le sue strutture, i suoi riflessi sulla libertà dei cittadini e sull'economia. La capacità di penetrazione mafiosa nelle istituzioni, nell'economia è una materia che solo una Commissione antimafia ben organizzata e motivata nell'impegno può affrontare con dovuti strumenti e necessaria serietà.
Con una Commissione ad hoc il Parlamento potrà acquisire una conoscenza più ampia del fenomeno mafioso, ma anche e soprattutto interrogarsi, e questo è previsto nel testo, come anche nei testi precedenti, investigare sull'adeguatezza della legislazione, sulla sua efficacia, sulla capacità di contrasto espressa dagli organi statuali a ciò deputati - Forze dell'ordine, magistratura, società civile e politica -, a mezzo di iniziative messe in campo anche dai comuni, dalle regioni, dalle province, dall'associazionismo.
Con la ricostituzione della Commissione antimafia, il Parlamento dà e deve dare un segnale chiaro di massima attenzione al fenomeno mafioso; tale atteggiamento, infatti, può trasmettere ai cittadini una maggiore fiducia, innescando un circolo virtuoso e sviluppando iniziative della società civile che possono, in qualche modo, mettere in campo valore aggiunto. Dunque, solo in sede di Commissione si potrà attribuire maggiore funzionalità al sistema di contrasto della criminalità organizzata in modo da assicurare tempestive risposte anche alle richieste di giustizia che provengono dai cittadini. È infatti ovvio come, talvolta, i tempi intollerabili e lunghi della giustizia penale e civile contribuiscano non poco al rafforzamento Pag. 112di istanze alternative nella composizione delle controversie, tipiche del sistema mafioso.
Solo attraverso questo strumento il Parlamento potrà valutare se l'attuale legislazione antimafia sia ancora adeguata a contrastare le nuove forme della criminalità mafiosa, le sue contiguità e complicità; potrà, altresì, valutare se non sia giunto il momento di recuperare un approccio sistemico - già adottato da una commissione ministeriale - nella prospettiva di un coordinamento della legislazione antimafia addivenendo, in ipotesi, alla predisposizione di un testo unico o rafforzando comunque altre legislazioni (quali quelle sul sequestro e sulla confisca dei patrimoni) in modo da adeguarle alle nuove strutture imprenditoriali e dinamiche della mafia; potrà, inoltre, considerare se gli apparati repressivi siano adeguati per quantità e qualità a contrastare il fenomeno.
Ecco, tutto ciò potrà essere possibile attraverso l'istituzione di questa Commissione. Con l'approvazione di questa legge, il Parlamento dimostrerà, infatti, che non vuole deludere la speranza di chi opera sul terreno accidentato dell'antimafia.
Vorrei concludere il mio intervento con un'ultima citazione, quella di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, il quale, a proposito di un campo di grano incendiato a Mesagne - un campo che era stato sottratto alla criminalità organizzata - ha dichiarato in questi giorni: «Le fiamme non fermino il riscatto della legalità» perché «non si deve cedere alle intimidazioni (...). A Mesagne (...) è stata seminata la speranza» e «il raccolto anche se poco sarà comunque fruttuoso». Insomma, «ciò che conta è che il processo di ripristino della legge e di partecipazione civile che è stato avviato possa proseguire».
Ritengo che il Parlamento, attraverso l'istituzione di questa Commissione, possa contribuire a questo cammino di speranza e di riscatto (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morrone, al quale ricordo che ha a disposizione tredici minuti. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE MORRONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono alla mia prima legislatura parlamentare; però, ho una lunga esperienza nell'amministrazione regionale calabrese, fatta a fianco di Francesco Fortugno, amico carissimo, uomo leale e coraggioso con il quale ho combattuto molte battaglie per la legalità e la trasparenza nella commissione antimafia regionale. Posso perciò, con cognizione di causa, affermare che la sconfitta delle organizzazioni mafiose imperanti nella mia regione e nel Mezzogiorno d'Italia è assolutamente decisiva per la crescita economica, sociale e culturale della nazione.
Di fronte ad un'organizzazione, poi, come quella calabrese - che ha ormai il monopolio europeo del traffico della cocaina, produce una ricchezza pari al prodotto interno lordo di uno Stato medio europeo, ricicla, alterando il libero mercato, somme immense di denaro ed è fortemente inserita nel tessuto istituzionale regionale -, lo Stato mette in gioco la propria credibilità ed è chiamato a decidere quale sarà il futuro di un'intera popolazione.
Dal 1962 ad oggi, si sono susseguiti i lavori di sette Commissione di inchiesta; il fenomeno maggiormente analizzato è stato quello della associazione siciliana Cosa nostra, l'organizzazione ritenuta, fino a qualche anno fa, la più ramificata e la più pericolosa per la sua forte penetrazione nel tessuto economico ed istituzionale. Solo la settima Commissione antimafia, quella che ha concluso i suoi lavori all'inizio di quest'anno, ha preso atto del rilievo assunto dalla 'ndrangheta. Negli ultimi vent'anni, è passata dalle tradizionali attività parassitarie - estorsioni, imposizione della guardiania, accaparramento della proprietà fondiaria e, quindi, riconversione del settore turistico - al più redditizio traffico di sostanze stupefacenti, grazie anche ai collegamenti con le filiali d'oltreoceano - Stati Uniti, Canada e Australia - costituite da immigrati calabresi residenti da molto tempo in quei paesi.Pag. 113
Il passaggio a questo nuovo settore illecito, che ha comportato un pesante pedaggio di omicidi, ha consentito alla 'ndrangheta di porsi ai vertici delle associazioni delinquenziali internazionali. E la 'ndrangheta è dispotica, signor Presidente, in tutte le sue forme: non cerca il consenso; impone la paura ed il terrore; è feroce e brutale (l'ultimo omicidio, l'omicidio Fortugno, ne è una dimostrazione diretta).
Rispetto alla mafia siciliana, la 'ndrangheta ha un'arma in più: l'impermeabilità. Le cosche, con un esercito di migliaia di affiliati, sono in gran parte costituite da parenti. Quindi, è difficile che vi siano pentiti: dissociarsi significa tradire il padre, il fratello, il cognato, lo zio, i parenti stretti. Si tratta di una sorta di ordinamento giuridico alternativo e concorrente a quello statale, che comprende i poteri di determinare ed imporre regole di comportamento, di assumere decisioni immediatamente operative e di applicare anche violente sanzioni a seguito di giudizi inappellabili. Ove, poi, si aggiunga a tutto questo il potere di dichiarare e condurre guerre che si svolgono su ampi territori e che hanno durata pluriennale, allora si avrà un quadro completo della gravità del fenomeno mafioso e della sostanziale impunità raggiunta da tale organizzazione.
È vero che, negli ultimi anni, abbiamo assistito a grandi successi delle Forze dell'ordine e della magistratura, che hanno portato all'arresto ed all'inquisizione dei capi delle cosche più importanti. Ciò dimostra che lo Stato è in grado di rispondere con efficacia al potere della mafia e che può vincere la guerra. Sarebbe, comunque, un errore imperdonabile ritenere che, con i capi in carcere, l'organizzazione sia allo sbando. Se la manovalanza delle cosche viene reclutata in quello che, un tempo, era definito il proletariato, i figli dei capi e dei loro consiglieri vengono mandati a studiare nelle migliori scuole ed università, non tanto per voglia di riscatto, quanto per preparare un volto pulito alle famiglie: quello che rappresenterà la 'ndrangheta del domani.
Lo Stato deve allora intervenire in maniera forte. Di fronte ad una criminalità che ha un elevato livello di scontro, l'istituzione deve intervenire sul piano repressivo, ma anche e soprattutto sui piani preventivo ed economico.
Sul piano preventivo, la politica deve intervenire per tendere al superamento dello stato di bisogno e di disagio sociale. La sicurezza delle città e dei quartieri, il sostegno alle persone ricattate ed estorte, la cultura della legalità e la creazione di infrastrutture indispensabili per lo sviluppo del mercato e dell'economia sono attività certamente antimafia. La Commissione deve farsi garante e promotrice di un progetto: il progetto della cittadinanza attiva e partecipe che non ha bisogno più degli atti di eroismo e del sacrificio delle persone.
Sul piano economico, va ribadito che le associazioni criminali di tipo mafioso tendono ormai sempre più verso il guadagno, verso la ricchezza. L'obiettivo deve essere, allora, quello di infliggere un colpo mortale alle ricchezze operando su due livelli: il primo è quello di concentrare uomini e mezzi alla ricerca dei patrimoni mafiosi, ai fini della confisca; il secondo, simbolicamente importantissimo, è quello di assicurare che i patrimoni e gli immobili sequestrati vengano destinati a servizi sociali (scuole, presidi delle Forze dell'ordine, strutture di svago per i minori).
Non si deve sottacere, tuttavia, e non può certo farlo, alla luce degli ultimi gravi fatti criminali, un parlamentare calabrese, che la mafia è ancora fortemente inserita nel tessuto amministrativo ed istituzionale: ne è la prova l'elevato numero di consigli comunali sciolti per infiltrazione mafiosa. La mafia tradizionale non si considera una mera organizzazione criminale, ma un vero e proprio ordinamento giuridico, che si sostituisce in tutto e per tutto allo Stato, di cui sfrutta gli amministratori ed i funzionari soltanto quando le fa comodo, e per rafforzare il proprio potere.
L'azione di contrasto deve rivolgersi, quindi, anche ai gruppi criminali di origine straniera che sono insediati in numerose regioni. Tale insediamento determina Pag. 114una interazione tra i gruppi stranieri e gli autoctoni, con diverse caratteristiche ed esiti dipendenti dalle singole realtà criminali. Si assiste, così, al potenziamento delle attività illecite attraverso la costituzione di nuovi mercati criminali, alcuni dei quali del tutto negletti, in precedenza, sia da Cosa nostra sia dalle mafia storiche (si pensi all'immigrazione clandestina ed allo sfruttamento della prostituzione, solo per citare i fenomeni più visibili).
In questo quadro, appare pertanto necessaria l'istituzione della Commissione di inchiesta sulla mafia e sulle associazioni similari, con funzioni di analisi, propulsive e di controllo, a favore della quale voterà il nostro gruppo parlamentare.
Sarà necessario approfondire le conoscenze, tenuto conto che i fenomeni criminali di tipo mafioso si sono modificati profondamente in estensione e forme d'azione, anche per effetto del processo di globalizzazione e delle innovazioni tecnologiche. Sarà necessario comprendere se gli strumenti predisposti dall'ordinamento siano adeguati al nemico da sconfiggere, sia sul piano legislativo, sia su quello amministrativo. Sarà necessaria un'attività continua di stimolo e di controllo, tendente non a porre sotto controllo l'azione di altri pubblici poteri, ma a collaborare con loro costantemente per la risoluzione dei problemi che concretamente si porranno.
La lotta alla mafia - ed ho concluso - nelle regioni meridionali e soprattutto nella mia regione, è uno snodo vitale. Senza una reale incidenza dello Stato, non vi è futuro. Abbiamo l'obbligo di dare il nostro contributo (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur)!

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 40 ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Amici.

SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, la replica sarà svolta dall'altro relatore, onorevole D'Alia.

PRESIDENTE. Sta bene.
Prego, onorevole D'Alia, ha facoltà di replicare.

GIANPIERO D'ALIA, Relatore. Signor Presidente, intervengo molto brevemente per svolgere due considerazioni, ringraziando anzitutto il presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Violante, la collega Amici e gli altri componenti la Commissione per il lavoro che è stato svolto nella medesima Commissione, che si conferma costruttivo e produttivo, anche a chiusura di questa discussione sulle linee generali.
Sono due i binari su cui, con la collega Amici, ci siamo mossi. Il primo è cercare di fornire uno strumento adeguato alle esigenze di contrasto alle mafie ed a tutte le forme di criminalità organizzata, anche internazionale, che sono radicate nel nostro territorio ed hanno le stesse caratteristiche delle nostre associazioni criminali. Fornire uno strumento significa che bisogna, ovviamente, cercare sempre di adeguare lo strumento conoscitivo e d'inchiesta all'evoluzione del fenomeno. Credo che, come è emerso anche dal dibattito che si è sviluppato in sede di discussione sulle linee generali del provvedimento in esame, abbiamo recepito tutte le proposte miranti a specificare la missione della istituenda Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare, con riguardo, ad esempio, al tema sollevato dal collega Forgione, della cosiddetta pericolosità sociale dei patrimoni mafiosi - un tema oggettivamente anche di drammatica attualità -, ed anche con riferimento alla normativa sugli enti locali ed alla necessità di un adeguamento della normativa in materia di scioglimento e di rimozione degli amministratori locali e, ancora, recependo alcuni suggerimenti provenienti dai colleghi della Lega Nord, con riguardo alla circostanza che si è sviluppata nel tempo una sinergia criminale tra le nostre Pag. 115associazioni e le associazioni criminali straniere che hanno un loro radicamento anche in territori non tradizionalmente interessati dal fenomeno. Abbiamo, inoltre, considerato la sinergia tra organizzazioni criminali interne e straniere che utilizzano il traffico di migranti quale strumento di profitto per finanziare attività illecite nel nostro territorio ed anche - circostanza emersa nel corso del dibattito di oggi pomeriggio nel Comitato dei nove riguardo ad un emendamento presentato dal collega Boato - il riferimento ad alcuni aspetti della cooperazione tra associazioni criminali, ad esempio tra quelle di matrice terroristica, che utilizzano proventi illeciti per finanziare la propria attività e sviluppano sinergie - potenziali ed a volte reali - anche con nostre organizzazioni criminali.
Per quanto riguarda il secondo binario, ho apprezzato la considerazione che l'onorevole Lumia ha svolto in sede di discussione sulle linee generali del provvedimento, ossia l'impegno che con la collega Amici abbiamo profuso nello sviluppare un concetto che credo sia fondamentale, cioè l'unità delle forze politiche nella lotta alla mafia. Tanto più il sistema della politica riesce ad essere impermeabile ed a confrontarsi su un terreno di valori condivisi nella lotta alla criminalità, tanto più forte è la risposta dello Stato, tanto più credibile è la risposta che il medesimo Stato dà. Saremo capaci di compiere ulteriori salti di qualità su tale fronte se avremo la possibilità di condividere un percorso e di sottrarre alle asperità del confronto politico strumentale tale tema, così delicato per la vita democratica del paese. Queste sono state, come detto, le due direttrici di marcia su cui ci siamo mossi.
Non voglio tornare su altre questioni, se non aggiornare i colleghi sul lavoro che abbiamo svolto sugli emendamenti presentati in sede di Comitato dei nove, perché abbiamo tentato di sciogliere alcuni nodi, visto che in Commissione non era stato possibile farlo.
In questo contesto, la prima questione - posta anche dal collega La Loggia - riguarda l'elezione del presidente della Commissione. Intanto, abbiamo ritenuto di accogliere un emendamento del collega Boato, il quale precisa che l'elezione del presidente della Commissione avviene a maggioranza assoluta dei componenti e stabilisce il ballottaggio per l'eventuale prosieguo della votazione, dello scrutinio: infatti, nel testo della vecchia legge istitutiva questo concetto non era chiaro. Si tratta di un piccolo passo in avanti, anche se sotto forma di precisazione tecnica; ci siamo riservati circa la richiesta all'Assemblea di pronunciarsi sulla possibilità di introdurre una maggioranza qualificata per l'elezione del presidente, posto che su questo tema non vi è stato un accordo di carattere politico.
L'altra questione che ci è parso di dover affrontare riguarda i requisiti di accesso e di nomina dei componenti della Commissione. Abbiamo preso atto, com'era giusto che fosse, del parere della Commissione giustizia, che su questo tema ha posto una questione oggettivamente rilevante sotto il profilo costituzionale e del rispetto delle prerogative e della dignità del Parlamento.
La circostanza secondo cui si sarebbe potuto sostanzialmente immaginare - per questo non abbiamo aderito alla proposta di alcuni colleghi di Alleanza nazionale - un meccanismo in forza del quale alcuni parlamentari potevano essere esclusi dalla nomina a componente della Commissione per alcuni procedimenti penali, per alcune tipologie di reato, ancorché in linea di principio si tratti di una petizione assolutamente condivisibile, sotto il profilo costituzionale oggettivamente incide sullo status di parlamentare. Chi ha i requisiti per essere eletto parlamentare ha i requisiti per disimpegnare tutte le funzioni che il mandato parlamentare comporta, ivi compresa quella della partecipazione alle Commissioni permanenti e bicamerali. Proprio in questa logica, e anche per l'errata formulazione delle proposte emendative, abbiamo chiesto il ritiro o, comunque, la bocciatura degli emendamenti di questo tipo. Ad esempio, ci sembrava, ci sembra singolare che un soggetto sottoposto Pag. 116ad un procedimento penale per un delitto contro la pubblica amministrazione non possa avere accesso alla Commissione, mentre un soggetto condannato per i cosiddetti reati comuni possa avere accesso. Tutto ciò, quando sappiamo bene che la commissione di questi reati può costituire, a volte, uno strumento di partecipazione indiretta anche ad un'associazione. Ed ancora, la circostanza dell'elencazione di una casistica delle tipologie, delle ipotesi, delle fattispecie di reato avrebbe comportato oggettivamente una soluzione ridicola - se mi si passa il termine - sotto il profilo del rispetto delle prerogative parlamentari ed anche della logicità della previsione normativa.
Abbiamo, però, tentato di cogliere il senso e lo spirito di queste proposte sottolineando, con un emendamento approvato in Commissione e mantenuto nel testo, la necessità che i gruppi parlamentari e i relativi presidenti alzino il livello di attenzione e di valutazione sotto il profilo dell'opportunità, che non costituisce un vincolo giuridico, nella designazione dei componenti.
Queste sono le questioni sulle quali ci siamo intrattenuti anche oggi nell'ambito del Comitato dei nove ed io credo che domani o dopodomani l'Assemblea sarà nelle condizioni di poter affrontare con serenità e, ci auguriamo, con efficacia la definizione di questo provvedimento, che tutti auspichiamo trovi una rapida approvazione (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

LUIGI SCOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, a nome del Governo ringrazio i relatori, il presidente della Commissione e gli onorevoli parlamentari per il notevole contributo offerto e, soprattutto, per la convergenza su un testo che raccoglie pressoché la totalità dei consensi nell'ambito della Commissione e delle forze politiche.
Ringrazio anche per i miglioramenti rispetto ai testi delle precedenti legislature, quindi per aver portato più avanti l'intensità e lo sforzo riguardo alla conoscenza del fenomeno della mafia e la lotta contro la criminalità organizzata.
Poche ore fa il ministro Mastella, nel riferire alla Commissione giustizia del Senato (domani riferirà davanti alla Commissione giustizia della Camera), si è impegnato a fornire il massimo contributo organizzativo in ordine agli aspetti concernenti la lotta alla criminalità organizzata e, soprattutto, a far studiare, nell'ambito del suo dicastero, la soluzione di quei nodi che talvolta fanno intrecciare il procedimento penale con i procedimenti di prevenzione per l'applicazione delle misure personali e soprattutto delle misure reali.
In conclusione, ancora un ringraziamento, con l'augurio che si possa giungere ad un voto unanime per la istituzione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle problematiche relative al fenomeno della mafia e alle altre associazioni criminali similari.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge Realacci: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse (A.C. 17); e delle abbinate proposte di legge Boato; Paolo Russo; Foti ed altri; Pezzella ed altri (A.C. 39-51-397-472) (ore 20,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa del deputato Realacci: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse; e delle abbinate proposte di legge d'iniziativa dei deputati Boato; Paolo Russo; Foti ed altri; Pezzella ed altri.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Pag. 117

(Discussione sulle linee generali - A.C. 17 ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, deputato Stradella.

FRANCO STRADELLA, Relatore. Signor Presidente, rinvio alla relazione che accompagna il testo del provvedimento, nella quale sono chiarite le ragioni per le quali su questo provvedimento vi è l'unanimità delle forze politiche presenti in Parlamento data l'importanza che riteniamo abbia la Commissione di cui si chiede la istituzione, in particolare nell'ambito dell'individuazione dei rapporti tra malavita e ciclo dei rifiuti.
Si tratta di un'esperienza ormai ripetuta sia nella XIII sia nella XIV legislatura. Il testo adottato come testo base comprende tutte le esigenze dell'alta funzione che viene delegata a questa Commissione.
Ritengo di non avere altro da aggiungere, se non invitare i colleghi iscritti a parlare - vista l'ora e visto soprattutto che si tratta di un argomento condiviso - a chiedere alla Presidenza l'autorizzazione a far pubblicare in calce al resoconto della seduta odierna il testo dei loro interventi.

PRESIDENTE. Onorevole Stradella, grazie anche per quest'ultimo suggerimento cui sia associa la Presidenza, fermo restando il diritto dei colleghi ad utilizzare tutto il tempo a loro disposizione.
Ha facoltà di parlare il rappresentante Governo.

GIANNI PIATTI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio. Signor Presidente, condividiamo l'obiettivo della istituzione della Commissione in questione e le valutazioni già svolte dal relatore, che sono state ampiamente discusse in Commissione.
Come è stato ricordato, la Commissione di cui si chiede l'istituzione ha già lavorato nel corso delle due passate legislature ed ha svolto un buon lavoro. A questo proposito, ricordo che la Commissione ha svolto delle missioni conoscitive (più di trentuno), mille persone ascoltate, centosettantotto sedute, nove i documenti inviati ai Presidenti delle Camere. Un buon lavoro che è necessario riproporre. Cito, ad esempio, dalla relazione finale inviata al Parlamento, i temi della nozione giuridica di rifiuto, del rapporto con la normativa europea, il tema dei rifiuti speciali, quello delle bonifiche e la vicenda della Somalia, il fenomeno chiamato delle navi a perdere (ossia quegli affondamenti programmati e realizzati di navi cariche di rifiuti tossici). Come si vede, si tratta di temi importanti richiamati sia nella relazione sia in questa sede dal relatore e noi ci associamo all'obiettivo di istituire la Commissione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, concordo sulla istituzione di una Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. La Camera dei deputati, già nel corso della XII legislatura, aveva istituito una Commissione di inchiesta di questo tipo, che ha lavorato senza l'apporto dei colleghi del Senato. Poi, nella XIII e XIV legislatura sono state istituite altre Commissioni analoghe.
In questo periodo, sono stati compiuti enormi passi in avanti nel paese per quanto riguarda la questione dei trattamenti di rifiuti, sia quelli civili sia quelli industriali, e sono stati compiuti passi in avanti anche nella cultura del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti stessi. In particolare, si è capito che il ciclo avrebbe dovuto essere integrato e tale da aiutare i cittadini a migliorare la propria condizione di vita. È noto che la produzione del rifiuti è in rapporto anche al livello di vita delle popolazioni.
I risultati di queste attività, però, leggendo gli atti parlamentari, non mi sembrano eccezionali anche perché, a mio Pag. 118avviso, c'è stata una commistione tra l'attività di queste Commissione di inchiesta e l'attività delle Commissioni di Camera e Senato che si occupano dello stesso problema. Per quale motivo? Sulla stessa denominazione ho qualche perplessità, anche se apprezzo moltissimo quanto è stato fatto dalla Commissione da ultimo istituita e da quelle precedenti. Ritengo, tuttavia, che si tratti di una denominazione fuorviante nel senso che l'argomento «ciclo dei rifiuti» sembra accostarsi ed equipararsi alle attività illecite. È come se nella circostanza ricordata dall'onorevole Boato, quando si è pensato, a seguito dell'audizione di Callipo, di estendere l'oggetto di attività della Commissione antimafia alle attività produttive, quest'ultima fosse stata denominata Commissione attività produttive e illeciti connessi.
Credo sia giusto non confondere coloro che si occupano del ciclo dei rifiuti con coloro che si occupano della cosiddetta ecomafia, delle attività illegali. Pertanto, ritengo sia meglio riformulare la denominazione della Commissione apportando qualche cambiamento, nel senso che essa dovrebbe essere denominata Commissione di inchiesta sulle attività illecite nel ciclo dei rifiuti e non Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite connesse. Una cosa di questo genere, è chiaro, può sollevare qualche confusione. Si possono aggiungere anche le attività irregolari, oltre a quelle illecite, perché è giusto che la Commissione indaghi pure sulle attività che non hanno rilevanza penale. Certamente, però, è giusto focalizzare l'attività della Commissione sugli illeciti e sulle irregolarità e non sull'intero ciclo dei rifiuti, perché ciò è compito della VIII Commissione permanente e della corrispondente Commissione del Senato.
Tutto questo lo affronteremo nella discussione successiva. Mi riservo di presentare alcuni emendamenti che possano corrispondere a questa mia convinzione, cioè che è meglio apportare alcune modifiche perché così la nostra attività sarebbe ancora più efficace. Trattandosi di una Commissione di inchiesta non possiamo che occuparci delle illegalità e irregolarità e non del ciclo dei rifiuti e delle illegalità connesse.
Quindi, ritengo sia giusto istituire questa Commissione e, forse, modificarne la denominazione e anche l'oggetto della sua attività, per migliorarla rispetto al passato, dato che i risultati del passato non li ritengo soddisfacenti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Anzitutto, chiedo alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione del testo integrale del mio intervento in calce al resoconto della seduta odierna.

PRESIDENTE. La Presidenza la autorizza, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

LUCIO BARANI. Grazie. Prendo la parola, signor Presidente, molto brevemente, soltanto per spiegare di che tipo di intervento si tratta. Volevo semplicemente dare un apporto, un suggerimento alla Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, avendo ricoperto la carica di sindaco per 16 anni, ed essendo stato a contatto con le necessità di tutti i giorni dei cittadini e dell'amministrazione e dovendo anche gestire quotidianamente il ciclo dei rifiuti.
Con il mio intervento intendevo porre l'accento solo sul problema del passaggio dalla TARSU alla TIA, cioè da una tassa sui rifiuti ad una tariffa di igiene ambientale, e chiudevo con un suggerimento, sottolineando che la futura Commissione d'inchiesta dovrà porre mano al cambiamento disposto dal decreto-legge n. 22 del 1997 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999, al fine di chiarire molti aspetti dubbi, consentire ai comuni di applicare tali norme, modernizzare la gestione programmatica del servizio e, infine, rendere giusto e consapevole quanto chiedono i cittadini, ma soprattutto quanto chiediamo ai cittadini. Consegno alla Presidenza il testo integrale dell'intervento. Grazie.

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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Francescato. Ne ha facoltà.

GRAZIA FRANCESCATO. Anch'io mi limiterò ad un flash breve, data l'ora.
Signor Presidente, colleghi deputati, i Verdi hanno sostenuto e sostengono con forza la necessità di dare continuità all'intenso lavoro che è stato svolto dalla Commissione nella XIII e XIV legislatura, avendo presentato, per iniziativa dell'onorevole Marco Boato, una proposta di legge, l'A.C. 39, il cui testo collima peraltro in maniera quasi totale con il testo della proposta di legge A.C. 17, scelto in Commissione come testo base per il seguito dell'esame in sede referente.
Voi sapete bene, colleghi, che il problema dei rifiuti è sicuramente in testa alla hit parade delle questioni chiave per garantire la tutela ambientale e la sostenibilità dello sviluppo, a livello non solo nazionale, ma planetario. Qualche giorno fa ho partecipato a Vancouver, in Canada, al World Urban Forum, che ha siglato il trentesimo anniversario - probabilmente lo ricorderete - della prima conferenza Habitat sugli insediamenti umani, svoltasi nel 1976 sempre a Vancouver. Quest'anno l'appuntamento era dedicato alla sfida di rendere sostenibili le nostre città: una sfida più che mai attuale, perché sapete bene che ormai è stato attuato il sorpasso, cioè la popolazione urbana del pianeta è di gran lunga superiore a quella rurale. È stata quindi data specifica attenzione alla corretta impostazione del ciclo dei rifiuti e si è ribadito più volte nei documenti finali il concetto che occorre rilanciare e dare piena attuazione all'ormai famosa - e spesso dimenticata, quasi mai realizzata - strategia delle tre «r» (ridurre i rifiuti all'origine, riutilizzare e riciclare), al fine di promuovere quella che è stata chiamata l'extended producer responsability. Quest'ultima implica che la responsabilità di chi produce deve essere quella di pensare prima all'intero ciclo di vita del prodotto, dalla culla alla tomba, per essere sicuri che esso sia costituito da componenti il più possibile riciclabili, come peraltro chiedono anche le direttive europee in materia - che voi ben conoscete - e come chiedeva e chiede il cosiddetto decreto Ronchi.
A questo proposito, vorrei dire che mi sembra fondamentale tornare all'impostazione originale di tale decreto, che persegue, per l'appunto, gli obiettivi della riduzione all'origine dei rifiuti, della selezione e della raccolta differenziata e del recupero delle materie seconde, nell'ambito di una corretta gestione del ciclo dei rifiuti che monitori e controlli i vari passaggi dall'origine al recupero e allo smaltimento finale. Occorre cancellare una serie di norme specifiche (io ne ho fatto qui un lungo elenco, ma ve ne faccio grazia) che sono state approvate nella XIV legislatura e che, di fatto, hanno smantellato e demolito l'impostazione originaria del cosiddetto decreto Ronchi. Tra parentesi, esse sono in gran parte oggetto di procedure d'infrazione aperte dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana per violazione delle normative comunitarie in materia di rifiuti. Vi ricordo che le violazioni sono ben 77, tra cui appunto parecchie in materia di rifiuti. È chiaro che si tratta di disposizioni specifiche e ne cito solo una per darvi un esempio: penso alla legge n. 405, riguardante gli interventi urgenti in materia di spesa sanitaria, in cui è stabilito che i rifiuti sanitari pericolosi, dopo un semplice processo di disinfezione, siano promossi, di fatto, a rifiuti urbani e, quindi, possano essere smaltiti insieme a questi nelle discariche comunali o conferiti agli inceneritori per RSU.
Voi capite bene che tale tipo di disposizioni (vi faccio grazia, come già detto, del lungo elenco che avevo redatto) possono creare, di fatto, un terreno favorevole allo sviluppo di attività illecite in questo settore, e comunque rendono di sicuro più difficile spezzare il legame perverso tra gestione del ciclo dei rifiuti ed organizzazioni criminali.
Non è un caso che tale legame si sia rafforzato negli ultimi tempi, come accertato da un recente rapporto di Legambiente, nonché da una serie di dossier presentati dalle associazioni ambientaliste. Pensate che il business dei rifiuti è cresciuto Pag. 120del 17 per cento: in pratica, vengono commessi tre reati ambientali all'ora. Ben 202 sono i clan coinvolti, per un volume d'affari pari a 22 miliardi e mezzo di euro l'anno. Particolarmente preso di mira, oltre alle regioni meridionali, tradizionalmente afflitte da tale fenomeno, è anche il nord d'Italia.
Di fronte a tale situazione, quindi, i Verdi ritengono imprescindibile ed urgente la ricostituzione di una Commissione di inchiesta in grado di monitorare, in maniera puntuale e permanente, l'intero ciclo dei rifiuti, di far luce sugli eventuali rapporti con la criminalità organizzata, di accertare la legittimità e la congruità dei comportamenti della pubblica amministrazione e di proporre soluzioni per arginare un fenomeno che costituisce un grave attentato non solo all'integrità dell'ambiente, ma anche alla legalità nel nostro paese.
Per questo motivo, a nome del gruppo dei Verdi raccomando la tempestiva approvazione della proposta di legge per la ricostituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse; tutti noi, naturalmente, auspichiamo la sua successiva e rapida approvazione definitiva anche da parte dell'altro ramo del Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi e de L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Picano. Ne ha facoltà.

ANGELO PICANO. Signor Presidente, anzitutto chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento, del quale vorrei comunque riassumere brevemente i contenuti.

PRESIDENTE. Onorevole Picano, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

ANGELO PICANO. La prima considerazione che vorrei svolgere, signor Presidente, concerne il fatto che la lotta alla criminalità, specialmente nel settore dello smaltimento dei rifiuti, debba cominciare dalle buone leggi che il Parlamento deve elaborare e proseguire, successivamente, nella correttezza della pubblica amministrazione nell'assegnazione degli appalti.
La seconda considerazione che vorrei sviluppare è che è necessaria, a mio avviso, un'opera di educazione alla raccolta differenziata dei rifiuti sin dalle scuole elementari.
In terzo luogo, ritengo necessario incrementare ed incoraggiare un utilizzo delle moderne tecnologie, soprattutto i termovalorizzatori. A tale riguardo, dal momento che vi è una grande difficoltà nella scelta dei siti, perché tutti i comuni si oppongono all'impiego di tali tecnologie nel loro territorio, suggerisco di pensare a navi messe al largo ed opportunamente attrezzate: mi riferisco a piattaforme stabili, distanti 30 o 40 chilometri dalla costa, in modo da allontanare tutte le preoccupazioni avvertite dalle popolazioni. Siamo altresì del parere che i commissariamenti nella gestione dei rifiuti rappresentino uno strumento transitorio e che occorrerebbe abolirli, tornando alla normalità.
L'ultimo consiglio che vorrei rivolgere è quello per cui ritengo necessario rafforzare sempre più e meglio le strutture delle Forze dell'ordine, poiché stanno compiendo un'opera meritoria; naturalmente, più esse sono robuste ed attrezzate, più la criminalità viene scoraggiata. Su queste linee, signor Presidente, il gruppo dei Popolari-Udeur si dichiara favorevole alla istituzione di una Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Dussin, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Cacciari. Ne ha facoltà.

PAOLO CACCIARI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, visto che i precedenti oratori sono stati rapidi nello svolgimento dei loro interventi, prenderò un po' più di tempo...! Sto scherzando, signor Presidente: sarò anch'io brevissimo, ma consentitemi di svolgere alcune considerazioni.Pag. 121
Associandomi al collega Misiti, vorrei ribadire anch'io che dieci anni di attività delle diverse Commissioni parlamentari di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse hanno visto accrescere notevolmente le nostre conoscenze. I lavori compiuti, infatti, sono stati molto validi, e le indagini, le audizioni ed i sopralluoghi sono stati molto approfonditi; tuttavia, ahimè, le ecomafie sono anch'esse aumentate.
L'onorevole Francescato ha testé citato alcuni dati diffusi da osservatori delle associazioni ambientali. Ricordo che gli illeciti in materia ambientale sono davvero impressionanti: solo nel 2005, infatti, sono state interessate dal fenomeno diciannove regioni (quasi tutta l'Italia); le aziende coinvolte sono state 247, mentre sono in corso quaranta inchieste giudiziarie. Mi sembra, pertanto, che nessun angolo del paese si sia salvato.
La Commissione parlamentare è servita a fare emergere pratiche usuali e diffuse di occultamento, trasferimento, smaltimento illecito perché, oltre a distruggere ecosistemi naturali, ha messo e sta mettendo a rischio intere comunità di popolazioni. È giusto, quindi, continuare a tenere in tensione gli apparati preposti alle autorizzazioni, le autorità di controllo e di vigilanza. Bisognerà, quindi, mantenere attivo un sistema di osservazioni sulle innumerevoli filiere lungo cui le materie prime si trasformano, si utilizzano, degradano e vengono infine confinate e restituite all'ambiente.
C'è ancora molto da capire sui cicli di vita di ogni frazione di materia che viene impiegata nei cicli produttivi e nelle trasformazioni delle materie in merci e in oggetti comuni. Credo che noi non ci dobbiamo arrendere e rassegnare ad inseguire una tendenza all'aumento della produzione di rifiuti e che sia, invece, necessario alzare l'allarme che non possiamo venire soffocati dai rifiuti che produciamo. Servono, quindi, serie politiche di contenimento, di risparmio, di riutilizzo, di riciclaggio e qui viene, permettetemi, una nota critica. Penso che dopo 10 anni di inchieste svolte seriamente sia venuto il momento di chiederci che effetti hanno prodotto queste inchieste, che ascolto hanno avuto, quali provvedimenti legislativi hanno davvero ispirato.
Tutte le raccomandazioni - mi sono letto anche la relazione finale di quest'anno - scaturite dai lavori delle precedenti Commissioni di inchiesta vanno nella direzione di aumentare la trasparenza e la tracciabilità dei processi e delle filiere produttive. Ciò all'evidente scopo di poter sempre risalire al produttore e di responsabilizzarlo sugli effetti che si generano nel tempo, anche dopo la dismissione e la perdita di valori d'uso delle merci che i produttori realizzano.
Questa comunque era la filosofia del decreto legislativo n. 22 del 1997, i famosi decreti Ronchi, e delle direttive europee che prevedono appunto precise gerarchie nel trattamento dei rifiuti. Si ha l'impressione che negli ultimi anni il legislatore italiano abbia scelto la strada opposta, cioè quella della facilitazione allo smaltimento comunque esso avvenga, quasi per disperazione. La preoccupazione, del passato Governo in particolare, sembra essere stata quella di sottrarre dal regime dei rifiuti la più grande quantità dei residui generati dalla produzione e dal consumo, ma ciò crea un'ampia zona di incertezza nell'interpretazione delle norme e larghe maglie attraverso le quali passano anche azioni illecite e criminali di smaltimento, quali la contraffazione delle analisi, il cambio delle bolle di accompagnamento, la miscelazione di materiali tossici con conglomerati utilizzati nell'edilizia e così via.
Il dato più inquietante che emerge dalle letture delle audizioni è proprio il formarsi di una criminalità dai «colletti bianchi», che si arricchisce senza sporcarsi le mani, ma con il traffico di certificati e di bolli. Voglio ricordare anch'io uno degli ultimi provvedimenti che, secondo me, vanno quanto prima bloccati perché in controtendenza rispetto agli auspici delle Commissioni. Nel decreto del Ministero delle attività produttive, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 maggio di quest'anno, si insiste sul tentativo di manipolare Pag. 122la denominazione giuridica di rifiuto, nonostante i richiami ripetuti della Commissione europea, cioè il gioco di cambiare il nome ai rifiuti. Cambiare il nome ai rifiuti, una vera e propria derubricazione da rifiuti in combustibili, che si dice di origine biogenica o fossile, ma salvo i metalli non c'è materiale al mondo che non sia in qualche modo un derivato del carbonio.
C'è un gioco raffinato sul filo psicologico circa il modo in cui i produttori e i consumatori percepiscono i rifiuti e adeguano i loro comportamenti soggettivi alle leggi e alle regole del mercato. Si rende quindi sempre più labile il confine per stabilire quanto è rifiuto indesiderato e quanto è un sottoprodotto riutilizzabile, cioè, con un brutto ossimoro, una materia prima seconda. È inutile dire che tutto ciò provoca incertezze, legittime interpretazioni differenti, su cui si aprono varchi per speculatori e malavitosi. Si fa il miracolo di Re Mida, quando appunto riesce a trasformare la «mondezza» in oro!
Sempre sul decreto del 31 maggio, in attuazione della legge delega ambientale, si attua una forzatura, assimilando il rifiuto ad una fonte energetica rinnovabile. Anche questo è un altro ossimoro, essendo la perdita di materia la negazione di ogni possibile riutilizzo. Infine, si incentiva la sua termodistruzione con lauti certificati verdi, una sorta di sovrapprezzo che paghiamo tutti noi in bolletta, essendo assolutamente antieconomica la termovalorizzazione dei rifiuti, oltre che energicamente dissipativo bruciare plastica e materiali organici per produrre elettricità.
Ci sarebbero altri fallimenti da ricordare, ma lasciatemi solo citare la reiterazione delle gestioni commissariali in Calabria, Puglia, Campania, e non so quant'altro: gestioni, che non solo non ci hanno fatto uscire dall'emergenza, ma non hanno nemmeno messo al riparo alcuni uffici pubblici da gravi inchieste giudiziarie.
In conclusione, auspico che la prossima Commissione riesca ad adottare una linea di marcia meglio indirizzata a fornire al Parlamento, alle regioni, alle province, agli operatori pubblici tutti, soluzioni organiche ed efficaci, utili insomma a stringere le maglie del sistema e ad interdire sul nascere ogni tipo di business criminale sui rifiuti, che è un business pericoloso per l'ambiente, ma anche per la salute.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Angelis. Ne ha facoltà.

GIACOMO DE ANGELIS. Partirei da una prima considerazione, cioè che sulla validità della Commissione bisognerebbe spendersi ancora ulteriormente, perché credo che il lavoro svolto nella precedente legislatura abbia dimostrato che si è svolto un buon lavoro. Ci sono però dei problemi che vanno affrontati con calma e quindi nel momento in cui questa Commissione verrà istituita penso si dovrà ragionare meglio anche su alcuni aspetti che ritengo fondamentali. Pertanto, per non perdere molto tempo, partirei da questa considerazione.
L'istituzione anche in questa legislatura di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse rappresenta una scelta che risponde alla necessità di proseguire un lavoro positivo, svolto nella precedente legislatura, ma soprattutto vuole - credo che questo sia il messaggio - rappresentare una forte sensibilità al tema dell'ambiente da parte dell'intero Parlamento. Si tratta di un lavoro che ha evidenziato come in questo settore delicato troppe persone spregiudicate, in molti casi per conto di organizzazioni criminali, si arricchiscono sulla pelle dei cittadini: distruggono, inquinano vasti territori, spesso nell'indifferenza e nell'incapacità sospetta di organi preposti al controllo e alla vigilanza.
Il lavoro svolto dalla precedente Commissione d'inchiesta deve essere una guida per l'attività futura. Bisogna proseguire quel lavoro, per scavare ulteriormente sulle cause delle gravi disfunzioni della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, che spesso, come si è accertato, mettono a rischio la salute dei cittadini.
Quest'attività d'indagine deve sempre avere uno sbocco propositivo. I suggerimenti, Pag. 123le proposte che nascono dal rapporto diretto con i territori e con le autorità locali devono diventare scelte vincolanti per il Parlamento. La stessa relazione annuale che la Commissione presenterà al Parlamento deve avere la forza e la capacità di stimolare un dibattito vero e costruttivo e nel contempo individuare risposte legislative ed approvare norme conseguenti.
Affermo ciò, anche in riferimento a precedenti interventi, perché ritengo che non basti verificare l'attuazione delle norme vigenti, i comportamenti della pubblica amministrazione, le modalità di gestione del servizio di smaltimento rifiuti da parte degli enti locali. Non basta indagare sul rapporto tra le organizzazioni criminali - cosa importantissima, ovviamente - e la gestione dell'intero ciclo dei rifiuti, ma credo sia necessario che questo lavoro faccia crescere una sensibilità, una coscienza su una tematica tanto delicata che, per troppi anni, è stata trascurata ed abbandonata nell'indifferenza generale.
La mole di lavoro prodotto in questi anni ci ha portato ad alcune conclusioni da tenere in stretta considerazione. Questo è il primo punto che, spero, anche nella discussione di domani emergerà con forza.
È necessaria una maggiore attenzione al delitto ambientale, poiché per troppo tempo la distruzione dell'ambiente è stata considerata un reato minore, sanzionabile con misure amministrative, ed è arrivato il momento, invece, di voltare pagina. A questo proposito, molte indicazioni giungono dall'Unione europea e dalla recente sentenza della Corte di giustizia. Dobbiamo pensare a modifiche legislative che tutelino l'ambiente, fondate sull'obiettivo della prevenzione, del contrasto, della sanzione e del ripristino.
Ritengo non più rinviabile l'introduzione, nel sistema penale italiano, di norme certe che individuino la natura del delitto ambientale e che più efficacemente tutelino l'ambiente, norme giuridiche certe che non lascino dubbi sull'interpretazione e, soprattutto, non diano la possibilità a persone senza scrupoli di trovare i soliti cavilli giuridici per sfuggire alla legge. Bisogna ritornare al concetto di rifiuto, chiarirne il significato, rimodellarlo in coerenza delle direttive dettate dalla Comunità europea, anche per rispondere alla procedura di infrazione contro il nostro paese, ma soprattutto per uniformare il nostro ordinamento al diritto comunitario in materia di rifiuti.
La capacità di una strategia sanzionatoria deve basare la propria forza sul principio irrinunciabile per il quale «chi inquina paga». Occorre garantire l'obbligo di risarcimento dei danni ambientali provocati e l'obbligo di ripristino dello stato dei luoghi danneggiati. Questo meccanismo può diventare un freno per potenziali attività illecite, ma anche un incentivo a tanti operatori onesti che vogliono lavorare nella legalità e nel rispetto dell'ambiente.
In questi anni, anche grazie al lavoro degli organi inquirenti, è emerso che tutte le regioni italiane sono toccate dalle rotte del traffico illecito di rifiuti sia urbani sia speciali. Infatti, se fino a poco tempo fa si diceva che le regioni meridionali erano i terminali di un traffico proveniente dalle grandi aree industriali del nord, oggi si scopre che questo materiale viaggia anche dal sud verso il nord. Si tratta di materiale pericoloso, che viene smaltito in discariche non autorizzate, in cave dismesse, in specchi d'acqua profondi o, peggio, nascosto nel sottosuolo di fondi anche a destinazione agricola.
In alcune indagini si è scoperto che tonnellate di rifiuti, soprattutto speciali, venivano inviate in impianti di produzione di compost per l'agricoltura e poi rimessi nuovamente sul mercato. L'ultimo episodio criminoso risale a qualche settimana fa, nella provincia di Caserta, dove il Corpo forestale dello Stato ha scoperto un nuovo filone «creativo» di smaltimento di rifiuti tossici, che hanno denominato «fertirrigazione», cioè fertilizzanti per l'irrigazione, ovvero l'immissione sul terreno di materiale tossico classificato come concime o come antiparassitario. Dalle indagini effettuate emerge che l'azienda zootecnica, con un patrimonio di 1.467 capi di bestiame, soprattutto bufali, avrebbe smaltito, Pag. 124in un anno, circa 6 mila tonnellate di liquame che veniva prima mescolato con rifiuti liquidi pericolosi di tutti i tipi e poi utilizzato per irrigare il terreno dell'azienda che ha un'estensione di 54 ettari.
Lo stesso titolare dell'azienda è accusato di aver scaricato in un torrente, attraverso una condotta sotterranea, enormi quantità di acque reflue, liquami e rifiuti zootecnici. Un giro di affari enorme, di decine di milioni di euro all'anno, gestito ormai da anni da un sistema affaristico e criminale in regime - oserei dire - monopolistico.
Occorre rompere questo sistema, che si basa anche sul controllo sistematico di interi territori e sulla complicità di amministratori compiacenti. Questa Commissione può e deve svolgere un ruolo fondamentale, dando continuità al pregevole lavoro svolto già nella passata legislatura, ma anche incoraggiando con la propria presenza quelle comunità, quei cittadini che amano la propria terra e che sono disposti a ribellarsi ai continui crimini che danneggiano e distruggono il territorio, arrecando danni irreversibili alla salute.
Tutto ciò non basta. I cittadini si aspettano da noi anche risposte, vogliono sentire la presenza dello Stato; non basta solo ascoltare, occorre costruire soluzioni praticabili in tempi certi. Ritengo che questo sia l'unico modo per far crescere una coscienza civile e democratica nel nostro paese, l'unica in grado di arginare ed isolare una cultura imperante di malaffare e corruzione. Potenziare gli apparati investigativi, favorire il coordinamento permanente di tutti gli apparati dello Stato interessati alla problematica, utilizzare nuove tecnologie che aiutino l'attività investigativa sono scelte irrinunciabili per invertire tale rotta.
In questo quadro assume una forte rilevanza il ruolo dell'Agenzia regionale di protezione ambientale e dell'APAT, che devono essere libere da qualsiasi condizionamento politico, valorizzando la loro autonomia gestionale, favorendo un processo di qualificazione e di specializzazione del proprio personale, investendo in risorse finanziarie necessarie e creando le condizioni ottimali affinché le stesse possano fornire un contributo tecnico, scientifico e di controllo sull'intero ciclo dei rifiuti.
La lettura della relazione conclusiva della Commissione della precedente legislatura lascia aperti - e non poteva essere diversamente - troppi interrogativi, ai quali la nascente Commissione dovrà tentare di fornire risposta. In primo luogo, vi sono la funzionalità e i benefici apportati dall'istituzione di commissariamenti straordinari in materia di rifiuti, soprattutto nelle regioni meridionali che hanno gestito per decenni le situazioni emergenziali. Su tale aspetto la relazione ribadisce tutte le perplessità e le critiche per situazioni di anomala ordinarietà della gestione commissariale. Un giudizio pesante che ci spinge a ridefinire i tempi e le prerogative di tale istituto, ma soprattutto i benefici di questa scelta. In Campania, ad esempio, la gestione dei rifiuti è gestita da oltre dieci anni da un commissario straordinario e, a mio avviso, non si sono fatti molti passi in avanti; anzi in questi giorni riviviamo l'ennesimo incubo dell'emergenza, con le città sepolte dai rifiuti, con montagne di rifiuti incendiati nelle strade, con gli impianti saturi incapaci di smaltire le quantità accumulate in questi giorni. E l'unica soluzione prospettata dal commissario è quella di riaprire le discariche!
Mi chiedo e vi chiedo a cosa sia servito tale commissariamento, se non a sperperare soldi pubblici, a deresponsabilizzare la politica, gli enti locali e tutti gli organi preposti. Occorre uscire dalla straordinarietà; si ritorni ai poteri ordinari! Gli enti locali devono assumersi le proprie responsabilità in materia di controllo del territorio e, insieme alle popolazioni locali, individuare le soluzioni più idonee.
In secondo luogo, occorre riflettere sull'incapacità, nella stragrande maggioranza dei casi, di far partire nel Mezzogiorno la raccolta differenziata, che non supera in media il 5 per cento reale, a fronte di una più consistente percentuale, pari al 29 per cento, presente al nord. Occorre capire - questo è un altro interrogativo al quale la Commissione dovrà tentare di fornire risposta Pag. 125- quali sono le responsabilità degli enti locali e quale ruolo hanno svolto i vari commissari straordinari che si sono succeduti in questi anni.
In terzo luogo, un'attenta verifica e un'attenta indagine vanno sicuramente svolte sulla non funzionalità del sistema impiantistico, che periodicamente provoca il collasso dell'intero ciclo di smaltimento dei rifiuti.
Il fatto ancora più grave è che si determinano oggettivamente le condizioni favorevoli affinché, ogni anno, circa un terzo dei rifiuti prodotti venga dirottato nel circuito illegale dello smaltimento.
Per quanto concerne la questione della bonifica dei siti inquinati, dopo un lavoro di individuazione e censimento e la formulazione del piano nazionale di bonifica, ci si chiede come e quando tale attività inizierà e quali saranno le priorità: più tempo passa e maggiori saranno i danni prodotti. Tutti sappiamo che questi siti inquinati, oltre a rappresentare un pericolo costante per l'ambiente, sono una seria minaccia anche per la salute umana, in quanto le sostanze tossiche contaminano i suoli, il sottosuolo, le risorse idriche ed entrano drammaticamente nella catena alimentare. Sono troppi i casi esaminati che hanno dimostrato la veridicità di queste affermazioni.
Infine, nel corso della discussione sulle linee generali, vorrei sottoporre a questa Assemblea un interrogativo, che spero di riproporre anche nella giornata di domani: mi chiedo se l'emergere di forti legami fra il ciclo dei rifiuti ed il territorio, l'utilizzo criminoso di cave abbandonate, di terreni incolti ma spesso anche agricoli e di corsi d'acqua non ci debba sollecitare ad ampliare la funzione di questa Commissione, a parlare più chiaramente di Commissione parlamentare di inchiesta sui crimini ambientali. Questo interrogativo nasce dalla consapevolezza che su questo tema non si può più tenere un atteggiamento lassista. È in gioco un bene prezioso quale la vita umana, messa fortemente in pericolo da criminali senza scrupolo, il cui unico interesse è quello di accumulare soldi ai danni dell'ambiente.
In conclusione, crediamo che questo Parlamento sia chiamato a dare certezze e serenità ai cittadini italiani, a costruire un futuro per le nuove generazioni. Questo è l'impegno che i comunisti italiani si assumeranno nel momento in cui si istituirà la nuova Commissione parlamentare. Ovviamente, auspichiamo un interesse maggiore da parte dell'intero Parlamento, affinché tutto il lavoro che questa Commissione svolgerà - come dicevo prima - si traduca in scelte concrete che il Parlamento stesso dovrà fare nell'interesse dell'Italia e dei cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gentili. Ne ha facoltà.

SERGIO GENTILI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei pronunciare poche parole per sottolineare come l'istituzione di una Commissione bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse (ho citato appositamente il titolo del provvedimento) sia un fatto importante, che segnala il carattere positivo di uno dei primi atti del Parlamento italiano.
Abbiamo dato anche un contributo come Commissione, poiché tale proposta - come ha affermato l'onorevole Stradella - è stata sostenuta all'unanimità dalla Commissione stessa, nell'ambito di una discussione effettiva ed interessante, che abbiamo potuto ascoltare anche in questa sede, seppure in pillole.
Sul fronte del ciclo dei rifiuti (che è cosa diversa dalla illegalità del sistema), si registra nel nostro paese una situazione di forti squilibri: vi sono situazioni molto avanzate ed altre in forte ritardo rispetto ai parametri minimi europei. Anzi, sempre con riferimento alla parte ordinaria del sistema del ciclo dei rifiuti, metà dell'Italia, il sud d'Italia e, in particolare, la Puglia e la Campania da tredici anni, la Sicilia e la Calabria da quasi dieci anni vivono in uno stato di commissariamento permanente. Lì, in tutto questo periodo, la legge dello Stato che governa il ciclo dei rifiuti non è stata applicata dalle regioni, Pag. 126dagli enti locali, dai comuni e dalle province.
Questa situazione è molto seria e credo che tra gli obiettivi di questa Commissione vi debba essere proprio quello di dare un contributo determinante, fin dai primi mesi, per superare questa situazione di commissariamento. Abbiamo visto - la legge indica benissimo le funzioni, i ruoli e i compiti - che deve esserci un'anima in questa Commissione. L'anima deve essere costituita da alcuni obiettivi politici di modernizzazione ecologica del nostro paese. Non vorrei, fra cinque anni, che il nuovo Parlamento dovesse nuovamente istituire la Commissione per i medesimi problemi. Questo tema deve essere risolto il più presto possibile.
Da questo punto di vista, credo che dobbiamo operare una svolta politica rispetto al passato, che consiste in un rapporto di sintonia tra Governo e Commissione, di vera sintonia politica e di concordanza in ordine agli obiettivi da realizzare.
Noi siamo anche eredi del lavoro egregiamente svolto dalla Commissione nella passata legislatura ed io ho raccolto alcuni nodi che hanno caratterizzato lo studio, la ricerca e il lavoro di indagine. Tali nodi ci dicono che il sistema sanzionatorio è assolutamente inadeguato, che esiste un'insufficiente possibilità di svolgere indagini al più alto livello tecnico nelle investigazioni, che la prescrizione di questi reati è troppo frequente, che c'è stato un nostro contributo, a livello europeo, sulla definizione dei rifiuti, che c'è una proposta di legge predisposta dalla Commissione stessa relativamente alla possibilità di introdurre nel codice penale il delitto ambientale.
Queste cose sono state indicate dalla Commissione e sono rimaste lì. Qui il problema non è della Commissione - lo dico all'onorevole Misiti -, ma è politico, ossia di un Governo e di un Parlamento che devono raccogliere i contributi della Commissione e tradurli in leggi, in atti e in azione di Governo.
Questo è l'obiettivo, ossia l'anima che dobbiamo dare a questa Commissione. Ciò significa chiedere anche una corresponsabilità per quanto riguarda l'azione di Governo.
Ciò per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti in bianco, normale. È necessario applicare le leggi ed essere in sintonia con l'Europa. Poi vi è la partita dell'illegalità, ma sta emergendo anche un nuovo fenomeno, che già segnalava la scorsa Commissione, ossia quello di soggetti imprenditoriali che bypassano le regole e i percorsi normali per poter lucrare, causando ovviamente un danno ambientale. Qui nasce quel nuovo fenomeno che è stato segnalato da Legambiente e da altre associazioni, dalla stessa magistratura e dalle indagini delle Forze dell'ordine, ossia una fascia grigia in cui bianco e nero si mischiano e si incontrano. Noi non possiamo fare l'errore di confondere le attività legali con quelle illegali, anzi, la Commissione deve avere proprio la funzione di distinguere bene cosa è legale, ma va riformato e rinnovato, e cosa è illegale e va perseguito e colpito.
Oggi ci troviamo in questa fascia, che sta spostando anche verso il nord fenomeni di traffico illegale dei rifiuti.
Qui vedo un'azione specifica e importantissima di questa Commissione, una sua specificità. Mettere insieme il ciclo dei rifiuti con le attività illecite è la fotografia di una situazione. Pertanto, dobbiamo necessariamente partire da qui per fare quell'operazione di diversificazione. Sappiamo benissimo che dietro il ciclo dei rifiuti esiste una grande potenzialità di sviluppo industriale, di ricerca scientifica, di valorizzazione della concezione del nostro modo di consumare, e non voglio andare oltre.
In conclusione, a questa Commissione vogliamo dare un'anima, quindi darle obiettivi precisi, e farla diventare uno strumento in più per creare quel collegamento fra enti locali, popolazioni, forze sociali che si battono per avere, da una parte, un ambiente migliore, cicli produttivi più avanzati, consumi sobri e, dall'altra, la possibilità di vivere nella legalità e nelle regole.Pag. 127
Ci aspettiamo che si possa creare un rapporto positivo e di sintonia tra Parlamento, Governo e la stessa Commissione e che quest'ultima possa individuare i punti critici del sistema dei rifiuti, indicare le illegalità ed i soggetti con precisione, dare suggerimenti e promuovere atti legislativi, stare in sintonia con l'Unione europea ed informare il Parlamento ed il paese. È uno strumento in più, una funzione che il Parlamento, nello scegliere di istituire tale Commissione, si dà, e credo sia un atto estremamente significativo ed importante per la democrazia italiana.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.

LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, non dirò che parlerò pochissimo perché poi potrei rischiare di fare il contrario, come è successo questa sera ad altri colleghi che, appunto, hanno parlato moltissimo.
Ringrazio il relatore per la sua relazione sulla Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Ritengo che il dibattito svoltosi in quest'aula sulle questioni riguardanti le problematiche dei rifiuti abbia dimostrato senza ombra di dubbio che vi è la necessità di procedere all'istituzione della Commissione stessa.
Credo che la Commissione possa lavorare serenamente e tranquillamente per dare risposte ai cittadini che si aspettano un ambiente diverso e la possibilità di debellare le questioni di ecomafia. Credo che la Commissione sia in grado di operare con dovizia e con grande celerità, come ha fatto nella scorsa legislatura ed in quella ancora precedente.
Dunque, come si vede, tale Commissione era necessaria e verrà istituita con molta rapidità, sperando che anche domani, nella discussione sulla proposta di legge in esame, non vi siano tempi lunghi. Come Rosa nel Pugno riteniamo che con riferimento a tale Commissione ci si debba muovere con rapidità con riguardo alla sua istituzione e al suo insediamento per poter operare al più presto.
Per tali motivi siamo fortemente favorevoli al provvedimento affinché la Commissione possa operare rapidamente secondo i suoi compiti istituzionali.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 17 ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Stradella.

FRANCO STRADELLA, Relatore. Signor Presidente, ho ascoltato la discussione con molto interesse poiché sono state svolte valutazioni molto interessanti. A mio avviso, tuttavia, non si è tenuto conto di un elemento: la Commissione è composta di parlamentari; quindi, tutti i consigli espressi dai vari colleghi intervenuti possono benissimo far parte del bagaglio che ogni collega porterà quando sarà nominato componente della Commissione medesima, in modo da produrre il lavoro che il Parlamento si aspetta.
Per non fare come coloro che, non potendo più dare cattivo esempio, si limitano a dare buoni consigli - in tal caso, peraltro, si possono dare cattivo esempio e anche buoni consigli -, basterà essere nominati membri della Commissione; dopodiché, l'opera è compiuta. La Commissione, infatti, non è delegata ad altri se non agli stessi parlamentari, che hanno quindi tutta la possibilità di esercitare la loro professionalità, la loro conoscenza, la loro esperienza e le loro intelligenze, come è stato dimostrato dagli interventi di questa sera.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole relatore, oltre che per la sobrietà, anche per il distillato di buonsenso, frutto anche dell'esperienza parlamentare.
Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Pag. 128

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 28 giugno 2006, alle 9,30:

(ore 9,30; dopo l'esame della dichiarazione di urgenza di cui al punto 6 e al termine dello svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata)

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 7 giugno 2006, n. 206, recante disposizioni urgenti in materia di IRAP e di canoni demaniali marittimi (1005).
- Relatore: Fincato.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 12 giugno 2006, n. 210, recante disposizioni finanziarie urgenti in materia di pubblica istruzione (1092).
- Relatore: Sasso.

3. - Seguito della discussione della mozione Elio Vito ed altri n. 1-00003 concernente misure per ridurre i costi della politica, con particolare riferimento all'aumento del numero dei ministeri.

4. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
BOATO; LUMIA; FORGIONE ed altri; ANGELA NAPOLI; LUCCHESE ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare (40-326-571-688-890-A).
- Relatori: Amici e D'Alia.

5. - Seguito della discussione della proposta di legge:
REALACCI: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse (17-A)

e delle abbinate proposte di legge: BOATO; PAOLO RUSSO; FOTI ed altri; PEZZELLA ed altri (39-51-397-472).
- Relatore: Stradella.

(ore 13)

6. - Dichiarazione di urgenza del disegno di legge n. 1041.

(ore 15)

7. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

DISEGNO DI LEGGE DI CUI SI RICHIEDE L'URGENZA

Abrogazione delle norme in materia di partecipazioni in società operanti nel settore dell'energia elettrica e del gas naturale (1041).

La seduta termina alle 21,55.

RELAZIONE SUL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE N. 40 ED ABBINATE

La I Commissione Affari costituzionali ha esaminato in sede referente le proposte di legge nn. 40 e abbinate in materia di istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare. Il testo che si sottopone all'esame dell'Assemblea è stato elaborato dalla Commissione sulla base delle diverse iniziative legislative presentate in materia, da deputati appartenenti a gruppi sia di maggioranza sia di opposizione, e aventi un contenuto largamente omogeneo.
Pag. 129
Nel corso dell'esame in sede referente i relatori hanno predisposto un testo unificato che è stato adottato dalla Commissione come testo base ed è stato successivamente integrato con l'approvazione di alcuni emendamenti.
I relatori, tenendo anche conto dell'orientamento fatto proprio dai proponenti di alcune proposte di legge, nell'elaborazione del testo unificato hanno assunto quale testo di riferimento la legge n. 386 del 2001, istitutiva della Commissione antimafia nella precedente legislatura, cui hanno ritenuto opportuno apportare alcune rilevanti integrazioni volte, in particolare, a introdurre una specifica procedura aggravata per l'adozione, da parte della Commissione, di provvedimenti limitativi dei diritti di libertà costituzionalmente garantiti e a prevedere un limite massimo per le spese annualmente sostenibili dalla Commissione di inchiesta.
L'articolo 1 del testo elaborato dalla I Commissione assegna alla istituenda Commissione di inchiesta i medesimi compiti ad essa attribuiti dalle legge n. 386 del 2001. Tali ambiti di competenza sono stati ulteriormente specificati a seguito dell'approvazione di alcuni emendamenti.
In primo luogo, è stato espressamente previsto che la Commissione avrà il compito di verificare anche l'attuazione delle disposizioni di cui alla legge 23 dicembre 2002, n. 279, relativamente all'applicazione del regime carcerario di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, alle persone imputate o condannate per delitti di mafia.
È stato inoltre esteso l'ambito dell'attività di accertamento e valutazione di competenza della Commissione, con riferimento ai processi di internazionalizzazione e cooperazione delle organizzazioni mafiose con altre organizzazioni criminali finalizzati alla gestione di nuove forme di attività illecite, anche alle attività svolte contro i diritti di proprietà intellettuale.
Con l'approvazione di ulteriori emendamenti sono stati poi espressamente attribuiti alla Commissione di inchiesta sia il compito di verificare l'adeguatezza delle strutture preposte alla prevenzione e al contrasto dei fenomeni criminali nonché al controllo del territorio, sia quello di svolgere il monitoraggio sui tentativi di condizionamento e di infiltrazione mafiosa negli enti locali e di proporre misure idonee a prevenire e a contrastare tali fenomeni, verificando l'efficacia delle disposizioni vigenti in materia, con riguardo anche alla normativa concernente lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e la rimozione degli amministratori locali.
Tenuto conto delle risultanze dell'attività istruttoria svolta in materia, i relatori hanno, infine, presentato un emendamento, approvato dalla I Commissione, volto ad assegnare alla Commissione di inchiesta il compito di verificare l'impatto negativo delle attività delle associazioni mafiose sul sistema produttivo, con particolare riguardo all'alterazione dei princìpi di libertà dell'iniziativa economica privata, di libera concorrenza nel mercato, di libertà di accesso al sistema creditizio e finanziario, di trasparenza della spesa pubblica comunitaria, statale e regionale finalizzata allo sviluppo e alla crescita e al sistema delle imprese.
Per quanto attiene all'organizzazione dei lavori, l'articolo 1, oltre a prevedere che la Commissione può organizzare i propri lavori attraverso uno o più comitati, costituiti secondo il regolamento interno, come già previsto dalle precedenti leggi istitutive, stabilisce anche che, nello svolgimento delle sue funzioni, essa può consultare anche soggetti e realtà associative, a carattere nazionale o locale, che operano contro le attività delle organizzazioni criminali di tipo mafioso e similari. Quest'ultima previsione, che rappresenta una novità rispetto alla legge n. 386 del 2001, è stata introdotta a seguito di un approfondito confronto in Commissione che ha riguardato, sostanzialmente, l'opportunità di stabilizzare espressamente questa forma di consultazione, come previsto specificamente dalla proposta di legge n. 571, d'iniziativa dei deputati Forgione ed altri.Pag. 130
L'articolo 2 disciplina la composizione della Commissione e le modalità di elezione dei componenti l'ufficio di presidenza, mantenendo sostanzialmente inalterato il testo della legge n. 386 del 2001. Si prevede infatti che la Commissione è composta da venticinque senatori e da venticinque deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato e dal Presidente della Camera in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento.
L'esame in sede referente si è soffermato essenzialmente sulle modalità di elezione del presidente della Commissione e sulla opportunità di stabilire criteri per la nomina dei componenti.
Sotto il primo profilo è stata ampiamente dibattuta la proposta, avanzata da alcuni deputati dell'opposizione, di prevedere quorum rinforzati per l'elezione del presidente; la Commissione ha ritenuto, tuttavia, di lasciare inalterato il sistema di elezione previsto dalle precedenti leggi istitutive, riservandosi di svolgere un ulteriore approfondimento della questione nella fase di discussione in Assemblea.
Un ampio confronto si è poi svolto sulla seconda questione, originata da una disposizione, contenuta nella proposta di legge n. 688 d'iniziativa del deputato Angela Napoli, volta ad escludere che possano fare parte della Commissione di inchiesta coloro nei confronti dei quali sia aperto un procedimento giudiziario per reati di stampo malavitoso o contro la pubblica amministrazione. Tale proposta, non inclusa nel testo unificato predisposto dai relatori e ripresentata in forma emendativa al testo base, ha suscitato forti perplessità sia nel merito sia sotto il profilo della sua compatibilità costituzionale. Sotto il profilo del merito è emersa, in particolare, la difficoltà di discernere tra i diversi casi di possibile incompatibilità con la partecipazione ai lavori della Commissione di inchiesta, che potrebbe riguardare non solamente coloro che si trovano sottoposti a procedimento giudiziario per reati di associazione mafiosa, ma anche coloro, ad esempio, che svolgono attività professionale in difesa di tali soggetti, e, soprattutto, di stabilire la disciplina applicabile nel caso in cui un componente la Commissione dovesse venire a trovarsi nella condizione descritta nel corso del mandato oppure nel caso in cui un componente la Commissione dovesse essere strumentalmente denunciato ai sensi dell'articolo 416-bis al fine precipuo di escluderne la partecipazione all'inchiesta parlamentare. Ulteriori perplessità sono state manifestate in riferimento alla ingiustificata disparità di trattamento che si verrebbe a determinare tra soggetti condannati per alcune tipologie di reato (ad esempio di matrice terroristica), che potrebbero partecipare ai lavori della Commissione, e soggetti condanati per altre tipologie di reato (ad esempio abuso di ufficio), che per effetto della norma proposta si verrebbero a trovare in una situazione di incompatibilità. Ancora più rilevanti sono stati, poi, i rilievi critici espressi in riferimento alla compatibilità costituzionale di una disposizione volta a prevedere specifiche forme di incompatibilità per la partecipazione alla Commissione di inchiesta. Alla luce di tali considerazioni la I Commissione, nonostante la condivisione dell'obiettivo perseguito dalle proposte emendative presentate in materia, ha ritenuto opportuno prevedere esclusivamente che la nomina dei componenti la Commissione di inchiesta da parte dei Presidenti dei due rami del Parlamento debba tenere conto della specificità dei compiti assegnati alla Commissione medesima. Va ricordato, in proposito, che la II Commissione Giustizia ha espresso perplessità, sotto il profilo della compatibilità costituzionale, anche in riferimento a tale disposizione, che a suo avviso configurerebbe una sorta di «status» di componente della Commissione d'inchiesta che non trova alcun fondamento nella Costituzione, e ne ha conseguentemente richiesto la soppressione, apponendo una specifica condizione al parere da essa espresso sul testo elaborato in sede referente. La I Commissione, tuttavia, tenuto conto della rilevanza della Pag. 131questione, non ha ritenuto di aderire immediatamente alla condizione soppressiva, ritenendo più opportuno svolgere un ulteriore approfondimento della materia nella fase di discussione in Assemblea.
Per quanto concerne le audizioni a testimonianza e la disciplina del segreto, l'articolo 3 ripropone le disposizioni già recate in materia dalla legge n. 386 del 2001, prevedendo che per i segreti professionale e bancario si applicano le norme vigenti, mentre in nessun caso per i fatti rientranti nei compiti della Commissione può essere opposto il segreto di Stato o il segreto di ufficio.
La I Commissione ha poi diffusamente esaminato la problematica, già emersa nel corso della precedente legislatura nell'ambito di alcune Commissioni di inchiesta, relativa all'opportunità di stabilire procedure aggravate per l'adozione di deliberazioni aventi ad oggetto i provvedimenti incidenti sui diritti di libertà costituzionalmente garantiti, al fine di prevedere forme adeguate di tutela dei soggetti destinatari di tali provvedimenti.
Alla luce dell'articolo 82 della Costituzione, che stabilisce che le Commissioni di inchiesta procedono alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni della autorità giudiziaria, non si è dubitato della possibilità che tali Commissioni possano, ad esempio, disporre intercettazioni di comunicazioni, ma ci si è posti il problema delle relative garanzie, considerato che per le Commissioni di inchiesta non possono trovare applicazione le garanzie previste per l'adozione degli atti aventi la medesima natura da parte dell'autorità giudiziaria. Infatti, mentre in sede giudiziaria l'autorizzazione a disporre intercettazioni è data da un organo terzo rispetto a quello che procede nelle indagini e che ne fa richiesta, nelle Commissioni di inchiesta non è dato configurare analogo meccanismo di garanzia, non potendosi attribuire un potere autorizzatorio ad organi esterni alla Commissione.
La soluzione individuata, pertanto, con il nuovo articolo 4 è stata quella di rafforzare le maggioranze richieste per la deliberazione di tutti i provvedimenti incidenti sui diritti di libertà costituzionalmente garantiti, stabilendo che tali deliberazioni debbano essere assunte con la maggioranza dei due terzi dei componenti, con atto motivato e nei soli casi e modi previsti dalla legge. È stato poi previsto che, in caso di necessità e di urgenza, tali deliberazioni possono essere adottate dall'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, con il consenso dei rappresentanti di gruppi la cui consistenza numerica sia complessivamente pari almeno ai quattro quinti dei componenti la Commissione, e che esse devono essere convalidate dalla Commissione, con la maggioranza dei due terzi, entro le quarantotto ore successive.
È da rilevare in proposito, tuttavia, che la II Commissione Giustizia, intervenuta sul punto nell'ambito del citato parere, pur condividendo in linea di principio la previsione di una procedura aggravata, ha ritenuto che debba essere salvaguardata comunque la competenza esclusiva della Commissione di inchiesta nell'adozione di tali provvedimenti. In sostanza la II Commissione non ha condiviso la scelta di rimettere all'ufficio di presidenza le deliberazioni in materia in casi di necessità e di urgenza e ha chiesto, con espressa condizione, di individuare per i predetti casi una diversa procedura. Anche su questo punto la I Commissione ha ritenuto opportuno rinviare la definizione di una soluzione adeguata in materia a un ulteriore approfondimento da svolgere nella fase di discussione in Assemblea.
Gli articoli 5 e 6 disciplinano, rispettivamente, la richiesta di atti e documenti all'autorità giudiziaria e il regime del segreto per i partecipanti, a qualsiasi titolo, alle attività della Commissione, secondo modalità identiche a quelle già previste dalla legge n. 386 del 2001.
L'articolo 7 reca, infine, le norme sull'organizzazione interna. Esso contiene una novità di grande rilievo che riguarda le spese della Commissione di inchiesta. Al fine di garantire un contenimento dei costi per lo svolgimento dell'inchiesta, la I Commissione ha ritenuto di introdurre un Pag. 132limite massimo alle spese annualmente sostenibili, il cui ammontare è stato stabilito nella misura di 300.000 euro annui, con la possibilità, rimessa alla valutazione congiunta dei Presidenti dei due rami del Parlamento, di aumentare tale importo in una misura comunque non superiore al 30 per cento, a seguito di richiesta formulata dal presidente della Commissione per motivate esigenze connesse allo svolgimento dell'inchiesta.
L'importo è stato stabilito sulla base dei costi mediamente sostenuti dalle precedenti Commissioni di inchiesta sulla mafia nelle passate legislature, che si sostanziano essenzialmente in spese per missioni e per consulenze esterne. Sulla disposizione è stato acquisito il parere favorevole della V Commissione Bilancio, la cui competenza consultiva in materia è stata attivata ai sensi dell'articolo 73, comma 1, del regolamento.
L'articolo 8, infine, disciplina l'entrata in vigore del provvedimento, prevista per il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Sesa AMICI e Gianpiero D'ALIA, Relatori.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI LUCIO BARANI E ANGELO PICANO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 17 ED ABBINATE

LUCIO BARANI. Onorevoli colleghi, credo che la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse dovrà necessariamente porsi il problema delle nuove tariffe che i cittadini pagheranno e del piano finanziario in materia ambientale.
Come risulta da numerosi studi effettuati da osservatori specializzati, primo fra tutti l'Osservatorio nazionale sui rifiuti, il passaggio dalla Tassa sui rifiuti (Tarsu) alla Tariffa di igiene ambientale (TIA) comporta una riflessione sulla revisione della struttura tariffaria, sulle semplificazioni, sulla metodologia e, in buona sostanza, sulla filosofia di fondo che dovrebbe stare alla base di un servizio fondamentale per i cittadini.
Con la Tassa di igiene ambientale prevista dal decreto legislativo n. 22 del 1997 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999 cambia la tipologia economica dell'entrata: si passa da una tassa ad un'entrata patrimoniale che è in rapporto alla qualità del servizio di cui l'utenza gode.
Cambia inoltre la causa dell'entrata: da prelievo connotato dai costi del gestore, diviene strumento di servizio ambientale e fattore di programmazione ambientale per gli enti locali.
Le cause del ritardo della piena entrata in vigore della TIA dipendono da indecisioni nelle politiche di programmazione generale e da impreparazione degli interventi di carattere ambientale da parte dell'ente locale.
Indicazioni in tal senso sono recentemente avvenute nel corso di un seminario svolto presso il Ministero dell'ambiente il 22 giugno 2005.
Ricordiamo che il principale limite dell'attuale metodo tariffario sta nel non considerare gli incentivi legati all'efficienza gestionale dato che, allo stesso tempo, sono assenti meccanismi di verifica dei risultati raggiunti e controlli sulla bontà dei metodi di gestione.
Non disponiamo e rischiamo di non disporre, per il futuro, di una tariffa moderna, perché non è semplice, perché non è supportata da metodi scientifici di marketing, perché non comunica ai cittadini l'equità di ciò che stanno pagando.
In altre parole continua a rimanere un «balzello» basato su «costi del servizio», sui quali non vengono definite le eventuali inefficienze e sui quali spesso non vengono applicati moderni metodi controllo, con il risultato che la tariffa viene caricata anche delle inefficienze stesse attinenti alla gestione.
Nel dettaglio, con l'introduzione della tariffa si sarebbero dovuti perseguire gli obbiettivi di seguito elencati.Pag. 133
La sostenibilità economica, derivante da un giusto equilibrio tra entrate e costi reali del servizio, indicando anche la quota di investimenti necessari alla tecnologia e modernizzazione del settore. La sostenibilità economica impone di attribuire correttamente i costi sostenuti senza che il gestore trasferisca al consumatore i costi delle proprie inefficienze o che fornisca servizi di qualità inferiore al prezzo richiesto.
La sostenibilità ambientale, ottenibile con il reale rapporto tra rifiuti prodotti e esborso dei cittadini, anche agendo su incentivi. Questa è il miglior mezzo per ottenere comportamenti virtuosi, pago per ciò che consumo; meno consumo, meno pago, conosco quello che consumo.
L' equità contributiva è finalizzata a far sì che un cittadino paghi per quello che realmente gli rende un servizio. La trasparenza dei costi e la facilità didattica della spiegazione di questi costi rende il cittadino consapevole di quello che gli viene chiesto come esborso.
L'efficienza gestionale che incentiva l'ottimizzazione dell'uso delle risorse, individua il giusto equilibrio tra risorse produttive impiegate e risultati ottenuti. Pone inoltre un tetto massimo ai ricavi dei gestori e privilegia la miglior funzionalità del servizio, compresi quegli aspetti di universalità, continuità e qualità che sono necessari.
La semplificazione amministrativa che persegue il massimo livello di chiarezza e semplicità nei rapporti con il cittadino-utente, facilitandogli i passaggi burocratici. Obiettivo che viene definito dagli esperti molto delicato e non semplice da raggiungere per i parametri economici-aziendali da utilizzare.
Quindi, come rilevato dall'Osservatorio nazionale sui rifiuti, definire correttamente il costo del servizio, incentivare l'efficienza della gestione, ottimizzare la portata ambientale della tariffa, ripartire equamente il costo e individuare i criteri presuntivi più aderenti a specifiche tipologie di utenti sono le questioni aperte sul tema dell'introduzione della nuova Tariffa di igiene ambientale che dovranno essere affrontate dalla nuova Commissione.
Il suggerimento sta dunque in una completa revisione di tutta l'architettura di fondo della nuova Tariffa di igiene ambientale, passando da un concetto di costo a un concetto di valore del servizio, quindi di uscire da una logica di «rimborso» per giungere ad una moderna strategia di regolazione incentivante del servizio stesso.
Il metodo del valore presuppone anche diversi risvolti a carattere locale, poiché è diversa la tipologia del servizio rispetto alla specificità del territorio, perché si può offrire maggior flessibilità in materia agli enti locali, perché possono essere studiati meccanismi finalizzati a premiare progetti di sviluppo o metodi di controllo e misurazione dei rifiuti prodotti.
In altre parole è giusto che l'ente locale entri in merito ai costi del servizio oggi dichiarati unicamente dal soggetto gestore, e quindi possa dire la sua anche sulle inefficienze del gestore e sulle strategie di agevolazione basate su forme di recupero ed efficienza.
Il metodo del valore presuppone quindi un duplice intervento: c'è una parte che rientra nell'interesse generale e di conseguenza le tariffe devono essere disciplinate da principi generali e da normative nazionali; c'è invece una parte che ha implicazioni locali e specificità territoriali e che riguarda precise scelte degli enti locali, e di conseguenza le tariffe devono trovare indicazioni di disciplina a livello regionale e locale.
Questo metodo permette di migliorare la percezione del servizio da parte dell'utenza finale, permette una maggior flessibilità nelle politiche del servizio che possono essere riviste localmente di anno in anno, rafforza il ruolo funzione di calmieratore, come deve avere il soggetto regolatore.
Istruttive a questo proposito sono state alcune simulazioni fatte dall'Osservatorio nazionale dei rifiuti a realtà del centronord Pag. 134con gestioni che effettuano la raccolta di carta, cartone, plastica, vetro ed organico.
Dai dati applicativi del metodo del valore, ci si è accorti che lo scostamento tra il valore del servizio e i costi dichiarati dal gestore è stato dell'11 per cento, caricato ulteriormente sulle spalle dei cittadini.
Altre considerazioni approfondite da parte della Commissione d'inchiesta sui rifiuti dovranno essere fatte sugli strumenti previsti dai decreti citati.
Parlo in particolare del piano finanziario, del regolamento comunale e del modello unico di dichiarazione ambientale.
In modo particolare il piano finanziario in materia ambientale diventa uno strumento di pianificazione, poiché permette la corretta governance sia della gestione del servizio, sia degli interventi da realizzare; è strumento di trasparenza e controllo, poiché permette di individuare correttamente i costi per il servizio, mettendo al centro il ruolo proprio dell'ente locale; è strumento di conoscenza, poiché aiuta a comprendere meglio la realtà dell'industria dei rifiuti urbani e le priorità tecnologiche; è strumento di competizione, attraverso la corretta individuazione dei costi di servizio attraverso le caratteristiche della qualità e quantità, percentuali di crescita, tempi di raggiungimento.
Ma tutto questo non è ancora chiaro; non è chiaro infatti da quale soggetto debba essere predisposto il piano finanziario (ente locale? Soggetto gestore?). Vengono richiesti dati che spesso i piccoli comuni non dispongono; le relazioni sono spesso lacunose; non sono previsti meccanismi sanzionatori per il mancato invio.
Onorevoli colleghi, queste brevi osservazioni sono per dire che la futura commissione dovrà mettere mano al «combinato» disposto del decreto-legge n. 22 del 1997 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999 per chiarire molti aspetti dubbi, per rendere i comuni in grado di applicarlo, per rendere infine moderna la gestione programmatica del servizio e infine giusto e consapevole quanto chiediamo ai cittadini.

ANGELO PICANO. La riproposizione in questa legislatura di una Commissione d'inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti e le connessioni con la criminalità organizzata deriva dalla consapevolezza che le analisi e le indicazioni fatte nella passata legislatura hanno dato buoni risultati, però, la complessità delle situazioni, in continuo mutamento, richiede un'attenzione costante del Parlamento.
L'inchiesta parlamentare rappresenta lo strumento più adatto del quale le Camere dispongono per acquisire conoscenza. L'articolo 82, secondo comma, della Costituzione dispone infatti che la Commissione parlamentare d'inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria. L'illegalità ambientale, oltre ad essere un tema di assoluta attualità, riveste un indiscusso interesse istituzionale anche alla luce dei fenomeni criminali che ad essa si ricollegano. Dall'esperienza operativa, infatti, emerge come i grossi interessi finanziari connessi alla gestione dei rifiuti abbiano destato l'attenzione di sodalizi organizzati, anche di tipo mafioso, il che ha comportato un deciso ampliamento del relativo scenario criminale: azioni intimidatorie nei confronti dell'imprenditoria e delle pubbliche autorità, riciclaggio dei proventi illeciti, massiccia evasione fiscale ed internazionalizzazione delle stesse strategie criminali. L'interesse nel settore è giustificato dalla connotazione economica del bene ambiente, che non può più essere considerato un bene dall'offerta illimitata, ma un vero e proprio bene economico.
Del resto, il legislatore ha opportunamente previsto all'articolo 18 della legge 8 luglio 1986 n. 349, istitutiva del Ministero dell'ambiente, l'obbligo del risarcimento per l'autore del danno ambientale. La connotazione economica e la scarsità del bene ambiente consentono di definire il comparto come un vero e proprio mercato, nell'ambito del quale una funzione fondamentale è svolta dallo Stato, titolare per conto della collettività e delle generazioni future, dei diritti sull'ambiente.Pag. 135
Strettamente correlato al mercato dell'ambiente è il mercato dei servizi di disinquinamento e di gestione dei rifiuti pericolosi e non pericolosi: si tratta di un mercato dalle rilevantissime potenzialità di sviluppo alla luce della crescente attenzione alla tutela ambientale. Secondo dati forniti dall'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente, in Italia si producono annualmente oltre sessanta milioni di tonnellate di rifiuti. Le attività illecite legate alla smaltimento dei rifiuti hanno avuto negli ultimi anni un allarmante sviluppo.
Ormai le ecomafie e la criminalità ambientale puntano ad insediarsi in ogni angolo d'Italia e a svolgere un ruolo centrale a livello nazionale e internazionale. La magistratura e le forze dell'ordine svolgono un'opera meritoria conseguendo successi decisivi ma servono contromisure immediate anche sul piano della volontà politica, a cominciare dal pieno inserimento dei reati ambientali nel codice penale. Alle forze dell'ordine vanno date più risorse, più uomini e nuove tecnologie disponibili.
Oggi dobbiamo essere consapevoli che non esiste politica o normativa in materia ambientale che non sia di derivazione europea. Il percorso europeo è stato lungo ed importante: dalla prima Comunicazione in materia di ambiente del Consiglio europeo che, nel 1971, afferma per la prima volta che la protezione e il miglioramento dell'ambiente devono ritenersi parte dei compiti assegnati alla Comunità ed obiettivi delle politiche adottate, all'articolo 6 del Trattato dell'Unione europea che stabilisce che la tutela dell'ambiente deve essere integrata alle politiche di azione comunitaria e afferma con forza che le azioni e gli interventi dell'Unione devono operare anche al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile, fino alla Costituzione europea che recepisce correttamente principi espressi più volte a livello comunitario. Questi principi si concretizzano poi con i programmi e le azioni ambientali e l'ormai copiosa normativa europea:direttive, regolamenti, decisioni.
L'Italia, però, di tutto questo finora non è stata protagonista, se non attraverso la sottoscrizione e il recepimento puramente formale di alcuni trattati, convenzioni internazionali e direttive europee, ma negli ultimi anni ha raggiunto il poco inviabile primato che la pone tra i paesi con il più alto numero di procedure di infrazione da parte dell'Unione europea per la violazione della normativa comunitaria ambientale (circa 80). È urgente, quindi, regolarizzare la situazione e riavviare una corretta cooperazione dell'Italia con gli organi europei ad iniziare dalla Commissione europea. Nonostante la legislazione del settore, a partire dal decreto Ronchi, abbia profondamente innovato l'approccio al problema, privilegiando, dove possibile, il recupero ai fini di una riutilizzazione nei cicli produttivi, l'attuale sistema di gestione dei rifiuti in Italia evidenzia una profonda dipendenza dalle cosiddette discariche: infatti lo smaltimento costituisce ancora la fase finale più diffusa dell'intero processo di gestione dei rifiuti.
Da un punto di vista meramente aziendalistico, la gestione dei rifiuti derivanti dai processi produttivi rappresenta per le imprese un costo che negli ultimi anni si è incrementato notevolmente con il crescere dell'attenzione delle istituzioni e del legislatore alla tutela ambientale. Di conseguenza la propensione all'illecito smaltimento si è sempre più accresciuta ed è aumentata la presenza nel mercato illegale della criminalità organizzata attratta dalla possibilità di realizzare ingenti guadagni.
Il ricorso allo smaltimento illecito da parte delle imprese determina una concorrenza sleale, con effetti distorsivi sul mercato, che ha indotto comportamenti emulativi nelle aziende di settore, portando al dilagare del fenomeno.
Paradossalmente, quindi, alla necessità di regolamentare in modo più rigoroso il ciclo dei rifiuti, investendo tra l'altro il produttore di specifiche responsabilità ha fatto riscontro una recrudescenza del fenomeno criminale, peraltro favorita da una serie di fattori fra cui: le situazioni di emergenza che, spesso, le autorità competenti hanno dovuto affrontare, trovandosi Pag. 136a dover smaltire enormi quantità di rifiuti in assenza di idonei impianti autorizzati; le conseguenti difficoltà incontrate dalle pubbliche amministrazioni soprattutto in determinate aree geografiche nel predispone una sistematica ed efficace azione di controllo sul ciclo dei rifiuti; lo scarso sviluppo dell'imprenditoria sana nel mercato dei rifiuti, spesso a causa delle insormontabili barriere all'entrata erette dalla criminalità organizzata; i comprensibili interessi delle collettività locali, le quali mal tollerano la vicinanza di discariche o di impianti che trattano rifiuti.
Tutt'altro che marginale poi, è l'evasione fiscale connessa agli illeciti ambientali: l'illegale smaltimento da parte delle imprese, l'occulto riversamento dei rifiuti in discariche autorizzate, la gestione di vere e proprie discariche abusive hanno come necessario comune corollario la sottrazione di ingenti somme all'erario, assai spesso a mezzo del massiccio ricorso alla fatturazione per operazioni inesistenti.
In tale contesto, la criminalità organizzata ha trovato un terreno favorevole, disponendo, soprattutto in determinate aree geografiche, di un sufficiente controllo del territorio unito ad un'elevata forza di intimidazione.
L'ingresso nel comparto degli illeciti ambientali, dei sodalizi criminali ha determinato un inevitabile salto di qualità, con l'internazionalizzazione della condotta criminale mediante il controllo di vere e proprie rotte transfrontaliere di rifiuti, anche radioattivi, destinati all'illecito smaltimento. Ciò è stato favorito indubbiamente dalla disgregazione dell'ex blocco sovietico e dalla crisi economica di quelle aree: ingenti quantità di rifiuti altamente inquinanti, frutto di attività di riconversione di una obsoleta produzione industriale ed energetica, sono state riversate nel mercato illecito al fine di evitare gli elevati costi di un corretto smaltimento.
Nel corso della XIV legislatura la Commissione parlamentare d'inchiesta appositamente istituita ha potuto appurare l'esistenza di una estesa illegalità, caratterizzata in alcuni ambiti territoriali da situazioni di vera e propria emergenza.
Le audizioni svolte hanno consentito di acquisire soprattutto dagli uffici giudiziari maggiormente impegnati nelle indagini sui traffici illegali delle cosiddette ecomafie, ulteriori e preoccupanti riscontri circa la penetrazione della criminalità organizzata nelle attività di raccolta e di smaltimento dei rifiuti di ogni tipologia.
La Commissione della scorsa legislatura, a conclusione della propria attività, aveva auspicato: l'avvio da parte del Ministero dell'ambiente di un'ampia indagine sui rifiuti speciali, con particolare attenzione a rifiuti pericolosi; lo svolgimento, da parte dello stesso ministero, di programmi di education nei confronti del sistema delle imprese; il completamento a livello locale del sistema dei controlli Anpa-Arpa-Appa; la redazione di un testo unico in materia di legislazione dei rifiuti per fornire un quadro di riferimento certo e meno farraginoso della normativa a tutti gli operatori del settore, alle amministrazioni, alle imprese agli organi giudiziari; il coordinamento tra tutte le forze addette al contrasto ed alla repressione delle ecomafie in campo nazionale, favorendo lo sviluppo di appositi settori di intelligence e di analisi economica.
I settori che consentiranno di marginalizzare le attività illecite nel ciclo dei rifiuti e di aprire la strada ad una gestione integrata sono costituite da una maggiore efficacia ed efficienza dei controlli amministrativi, da una normativa penale con reale funzione di deterrenza e dalla adozione delle tecnologie migliori per l'abbattimento degli inquinanti.
Una delle tecnologie meno inquinanti e che produce anche energia è quella dei termocombustori. Si fa fatica però a utilizzarla in pieno perché nessun paese vuole la localizzazione nel proprio territorio. Si potrebbero perciò o utilizzare delle navi a largo delle coste appositamente attrezzate o costruire delle piattaforme a trenta-quaranta chilometri dai litorali in modo da avere un ambiente più pulito, rapidità nell'attuazione degli investimenti e tranquillità dei cittadini.
I tre pilastri fondamentali di una corretta impostazione di qualunque sistema Pag. 137di gestione dei rifiuti, previsti, tra l'altro, anche dalle norme vigenti sono da individuare nella riduzione del volume, della quantità e della pericolosità dei rifiuti, e nello smaltimento attraverso sistemi mirati, in primo luogo, al recupero di materia, energia e calore e, solo residualmente, all'abbandono in sicurezza.
Per quanto riguarda l'istituto del commissariamento straordinario in materia di rifiuti, da sempre si sottolineano le perplessità e le critiche per le situazioni di anomala ordinarietà della gestione commissariale, auspicando un rientro nel regime ordinario di gestione.
Ciò si desume dall'esperienza di regioni quali Campania, Calabria, Puglia e Sicilia sottoposte a commissariamento ad all'interno delle quali la criminalità organizzata è sempre più presente e radicata. Per ciò che concerne in particolare la Campania, si sottolinea la gravità della situazione in ordine all'intera gestione del ciclo dei rifiuti, partendo dal profilo programmatorio, passando per quello gestionale e sanitario per poi arrivare a quello criminale.
Qui, nonostante l'attribuzione di poteri straordinari ai commissari ed ai vicecommissari che si sono succeduti nel tempo, il raggiungimento di risultati di apprezzabile sufficienza appare ancora molto lontano.
Accanto però ad iniziative di repressione delle ecomafie bisogna lanciare un grande piano di educazione nazionale che cominci dagli asili facendo maturare la coscienza di tutti al rispetto dell'ambiente in modo che sia prassi naturale la raccolta differenziata dei rifiuti. Le spese per unta, tale campagna avrebbero un immediato ritorno. Infatti le regioni che presentano un elevato tasso di criminalità sono quelle dove la cultura della protezione e del rispetto delle tematiche ambientali è particolarmente bassa.
Per questi motivi, il gruppo parlamentare dei Popolari-Udeur è favorevole all'istituzione di una Commissione d'inchiesta sui rifiuti.