XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 249 di lunedì 26 novembre 2007

[frontespizio]
[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
[indice alfabetico]
[indice cronologico]
[vai al resoconto sommario]
[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI

La seduta comincia alle 10,35.

ANTONIO MAZZOCCHI. Segretario, legge il processo verbale della seduta del 22 novembre 2007.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Amato, Bersani, Bindi, Boco, Bonino, Capodicasa, Cento, Chiti, Cordoni, D'Alema, D'Antoni, Damiano, De Castro, De Piccoli, De Zulueta, Di Pietro, Di Salvo, Duilio, Fioroni, Forgione, Galante, Gentiloni Silveri, Giancarlo Giorgetti, Giovanardi, Gozi, Holzmann, Landolfi, Lanzillotta, Letta, Levi, Maroni, Melandri, Minniti, Morrone, Mussi, Leoluca Orlando, Parisi, Pecoraro Scanio, Pisicchio, Pollastrini, Prodi, Realacci, Rutelli, Samperi, Santagata, Sgobio, Soro, Villetti, Visco ed Elio Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto, i deputati in missione sono complessivamente cinquantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale (A.C. 3178-A) (ore 10,38).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Ricordo che l'Assemblea ha deliberato nella seduta del 30 ottobre scorso, ai sensi del comma 3 dell'articolo 123-bis del Regolamento, di concluderne l'esame entro il 29 novembre.

(Annunzio di una questione pregiudiziale - A.C. 3178-A)

PRESIDENTE. Avverto che, ai sensi dell'articolo 40, comma 1, primo periodo, del Regolamento, è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità La Russa ed altri n. 1 (vedi l'allegato A AC 3178 - sezione 1), che verrà discussa e votata nella seduta di domani.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3178-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Pag. 2
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Alleanza Nazionale e Forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento, senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Sull'ordine dei lavori (ore 10,40).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, mi permetta prima di tutto di esprimere un sentimento di cordoglio per la perdita del maresciallo Paladini e rivolgere un sentimento di profonda e sincera solidarietà ai suoi familiari, amici e commilitoni.
I drammatici fatti degli ultimi giorni Afghanistan, che ancora una volta hanno listato a lutto il nostro Paese, spingono ad una profonda riflessione, necessaria quanto improrogabile, sulle strategie e sul vero senso della nostra missione. Questa tragica vicenda ci pone di fronte ad un punto di svolta. Infatti, anche in linea con le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, se al momento non è possibile prendere in considerazione il ritiro o il mancato rispetto di impegni internazionali, tale tragica vicenda ci pone tuttavia nelle condizioni di dover riflettere sul senso della nostra presenza in Afghanistan, così come in Libano e in altri teatri di crisi, affinché la pace e la stabilità politica ed economica, nonché lo sviluppo della democrazia e dei diritti umani possano radicarsi nel tessuto sociale di questi Paesi.
So bene che la questione che sto per sottoporre spetta alla valutazione del Governo e del Presidente del Consiglio. Tuttavia, nel momento in cui chiedo al Governo di venire a riferire in Aula, proprio perché la questione è stata definita «politica» dal Presidente del Consiglio, vorrei chiedere se non sia il caso che questa volta - di fronte all'ennesimo lutto - sia presente in Aula il Ministro degli esteri, piuttosto che quello della difesa, per riferire sulle condizioni complessive della nostra presenza e su quelle che hanno portato alla morte del maresciallo Daniele Paladini. La presenza del Ministro degli esteri appare soprattutto necessaria affinché egli illustri quali siano gli scenari e le prospettive di risoluzione che oggi, in seguito a questa vicenda, il nostro Paese è chiamato a considerare e ad affrontare per l'incolumità dei nostri uomini e per il rispetto degli impegni internazionali.
È chiaro che tanto è stato fatto per il popolo afghano, ma molto altro deve essere realizzato. Probabilmente, però, con un approccio e una visuale diversi, con mezzi differenti, ma sicuramente con analoghi principi e medesimi obiettivi. Alla luce di tali ragioni, chiedo, a nome del gruppo dell'Italia dei Valori, che possa essere il Ministro D'Alema a chiarire come poter rimodulare in questi termini la missione in Afghanistan.

PRESIDENTE. Innanzitutto la Presidenza, a nome dell'Assemblea, si associa sicuramente al cordoglio per il sacrificio, davvero eroico, del maresciallo Paladini. Credo che ci sarà anche un'occasione formale per ripetere il cordoglio di tutta l'Assemblea.
Riferiremo sicuramente al Governo la sua richiesta di svolgere un'informativa su quanto è accaduto, nonché la sua richiesta specifica. Sarà poi il Governo a valutare chi lo dovrà rappresentare in questa informativa e nel dibattito che seguirà.

GIORGIO LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, naturalmente mi associo alle sue parole e a quelle del deputato Evangelisti, prima di lei, per la scomparsa del soldato italiano.Pag. 3
La questione che volevo sollevare, invece, ha a che fare con la discussione del disegno di legge di cui sta iniziando ora l'esame in Aula. Noi leggiamo sui giornali che il Governo si prepara a modificare il testo del provvedimento su cui la Commissione lavoro riferisce oggi in Assemblea e parla esplicitamente di porre su di esso la questione di fiducia. Il Presidente del Consiglio autorevolmente ha detto, lo si legge sui giornali stamattina, che ci sono delle modificazioni rispetto al protocollo che forma la base dell'accordo. Il Parlamento è chiamato a discutere di un testo che sicuramente verrà modificato, in quanto probabilmente verrà posta la questione di fiducia, e sostanzialmente in quanto la maggioranza, come reca il titolo di un giornale, è sotto assedio.
In queste condizioni, signor Presidente, io credo che la soluzione che la Presidenza debba considerare sia quella di un rinvio dell'inizio della discussione sulle linee generali, chiedendo al Governo di voler esporre al Parlamento qual è la sua visione su questo problema. Una volta chiarito questo punto, si potrebbe procedere con i tempi previsti dal nostro accordo. In tal senso la pregherei di voler disporre la sospensione dell'inizio della discussione sulle linee generali.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, prendo atto del significato politico del suo intervento, lo comprendo bene. Il Governo potrà eventualmente replicare nelle forme che riterrà opportuno.
Dal punto di vista procedurale, ricordo che il termine per la presentazione degli emendamenti è fissato per le ore 14 di oggi e che il seguito dell'esame, con la discussione degli articoli e degli emendamenti, è previsto per la seduta di domani.
Noi oggi abbiamo in calendario - il calendario è fissato dalla Conferenza dei presidenti di gruppo - la discussione sulle linee generali del provvedimento. Pertanto ritengo che, fermo restando il senso politico del suo intervento cui ho fatto cenno, oggi noi dobbiamo procedere secondo il calendario predisposto dalla Conferenza dei presidenti di gruppo.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3178-A)

PRESIDENTE. Il relatore per la maggioranza, onorevole Delbono, ha facoltà di svolgere la relazione.

EMILIO DELBONO, Relatore per la maggioranza. Onorevole Presidente, colleghi, il disegno di legge che oggi è sottoposto all'attenzione dell'Aula dà attuazione, anche dopo le modifiche apportate dalla Commissione lavoro, all'accordo sulla previdenza, il lavoro e la competitività, stipulato tra Governo e parti sociali il 23 luglio scorso.
Il provvedimento interviene su molte materie, la previdenza, il mercato del lavoro, gli ammortizzatori sociali, norme sulla competitività, l'inclusione sociale, sempre dentro un orizzonte - come lo ha definito il Governo - di crescita e di equità. Su queste materie il Governo e una parte rilevante delle parti sociali (poiché - è inutile nasconderlo - non tutte le parti sociali hanno firmato il protocollo) hanno raggiunto un accordo su un complesso di interventi che considera in maniera equilibrata le esigenze sia dei lavoratori sia delle imprese, in modo da rendere i vari istituti giuridici vigenti più consoni alle istanze economiche e sociali del Paese, senza dimenticare la necessità di rafforzare la competitività del sistema produttivo in un panorama internazionale assai complesso.
Il Protocollo e il disegno di legge che lo recepisce partono dal presupposto che per essere veramente competitivo il sistema Paese dovrà utilizzare al meglio tutte le sue risorse, tramite il coinvolgimento nel mercato del lavoro di soggetti che oggi appaiono deboli e svantaggiati. Mi riferisco ai giovani, che sono i più penalizzati dal lavoro flessibile e, talvolta, da forme di vero e proprio precariato, per i quali il disegno di legge si preoccupa di creare i presupposti per assicurare loro maggiori opportunità di lavoro e prospettive pensionistichePag. 4 più adeguate, e alle donne, il cui livello di occupazione rimane ancora troppo basso rispetto alla media europea e agli stessi obiettivi di Lisbona, per le quali il disegno di legge prevede interventi volti ad aumentare le opportunità di occupazione, rendendo più facile la conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro e rafforzando le garanzie per un'effettiva parità tra uomo e donna nel mondo del lavoro. Faccio riferimento anche alle persone con disabilità, che incontrano tuttora grandi difficoltà nell'immettersi effettivamente nel modo del lavoro, per i quali il provvedimento dispone appositi interventi volti all'inserimento e al reinserimento lavorativo attraverso misure molto concrete, come la concessione al datore di lavoro di un contributo per l'assunzione di soggetti disabili, volto a coprire una parte del costo salariale di tali lavoratori.
Il provvedimento in discussione attua un disegno riformatore unitario che nelle materie affrontate cerca di contemperare i vari interessi economici dentro un orizzonte di crescita e di equità, ed è un provvedimento non isolato, ma si pone in continuità con l'azione del Governo Prodi e del suo Ministro del lavoro Damiano. È bene ricordare, infatti, il decreto-legge cosiddetto Bersani n. 223 del 2006, la legge finanziaria per il 2007 e, da ultimo, l'approvazione, avvenuta prima della pausa estiva, del testo unico sulla sicurezza sul lavoro. Sono tutti provvedimenti che vanno nella direzione giusta e che cominciano a dare ottimi risultati, e che hanno come obiettivo in modo particolare, la stabilizzazione dei lavoratori (in special modo di quelli precari), la lotta al lavoro nero, l'emersione del lavoro regolare e la tutela di alcune tipologie contrattuali particolarmente esposte (come i collaboratori a progetto). Tali provvedimenti iniziano ad essere un punto di riferimento costante dell'azione di Governo e danno dei buoni risultati.
Tutto ciò avviene nell'ambito della scelta di fondo della concertazione, che noi abbiamo fortemente rivalutato e che vogliamo in qualche maniera recuperare e promuovere. Concertazione che significa compartecipazione delle parti sociali ai grandi obiettivi utili al Paese e anche ritorno alla legittimazione e alla forza della rappresentanza delle stesse parti sociali, testimoniato dal referendum con il quale oltre 5 milioni di lavoratori e di pensionati, con l'85 per cento di voti favorevoli, hanno espresso un giudizio sul tipo di concertazione e sul suo esito.
Senza dubbio non sfugge all'Aula, al Governo e a tutti noi che la concertazione debba tuttavia tener conto dei lavori del Parlamento e del fatto che vi sono delle parti sociali che non hanno firmato il Protocollo, a cominciare dai lavoratori autonomi. Credo che ciò ci aiuti ad avere un atteggiamento più sereno e più ponderato nell'affrontare la discussione del provvedimento in esame.
Il disegno di legge in discussione ha alcuni contenuti rilevanti. Il primo articolo riguarda le norme previdenziali ed è particolarmente significativo, in quanto risponde esattamente all'impegno che la maggioranza e il Governo si erano assunti per superare la cosiddetta riforma Maroni. Infatti, è evidente che vi è l'obiettivo di superare lo «scalone»: mentre la disciplina introdotta da tale riforma Maroni, la legge n. 243 del 2004, allo scadere del 1o gennaio 2008, prevedeva l'innalzamento immediato di tre anni del requisito dell'età anagrafica - da 57 a 60 anni per i lavoratori dipendenti, da 58 a 61 per gli autonomi - e successivi innalzamenti, fino ad arrivare a regime, a decorre dal 2014, al requisito di 62 anni per i dipendenti e di 63 anni per gli autonomi, con il provvedimento in esame si sono introdotte modalità che abbiamo ridefinito e ribattezzato «scalini». Allo scadere del 1o gennaio 2008 si dispone un innalzamento di un solo anno del requisito in questione - da 57 a 58 anni per i dipendenti, da 58 a 59 per gli autonomi - mentre successivamente, si prevedono ulteriori innalzamenti fino ad arrivare a regime, a decorrere dal 2013, al requisito di una quota data dalla somma dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva, pari almeno a 97 per i lavoratori dipendenti, purché abbiano un'età anagrafica non inferiore a 61 anni, e pariPag. 5almeno a quota 98 per gli autonomi, purché abbiano un'età anagrafica non inferiore a 62 anni.
Pertanto, come è del tutto evidente, il provvedimento rende più favorevole, in particolare, la posizione di coloro che matureranno i requisiti per il pensionamento di anzianità nel periodo immediatamente successivo al 31 dicembre 2007, con un vantaggio che si affievolisce man mano che ci si allontana da tale data.
Ripeto, è un impegno che avevamo assunto e che è stato rispettato. Le stesse coperture sono state inalterate e la Commissione lavoro ha ritenuto di non toccare nulla della parte relativa al lavoro sugli «scalini».
Di particolare rilievo, inoltre, è la delega, da esercitarsi in tre mesi, per l'introduzione di un'apposita disciplina relativa al pensionamento anticipato dei soggetti che svolgono lavori usuranti e che riguarda i lavoratori rientranti in determinate categorie, ovvero quelli impegnati in mansioni particolarmente usuranti di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale del 19 maggio 1999, i lavoratori subordinati notturni, gli addetti alla linea a catena (non tutti, solo ad alcune tipologie previste dal provvedimento), i conducenti di veicoli pesanti adibiti ai servizi pubblici di trasporto di persone. In questi casi il beneficio è di accedere ad un pensionamento con un requisito anagrafico minimo ridotto di tre anni e, comunque, almeno pari a 57 anni di età, fermo restando il requisito minimo di anzianità contributiva pari a 35 anni.
Si tratta, com'è del tutto evidente, di un provvedimento che presenta due punti fermi e che la Commissione non ha toccato: la delega al Governo, il quale dovrà esercitarla in tre mesi e dovrà valutare, ponderando la platea dei destinatari secondo i criteri e i principi direttivi; e la copertura che noi non abbiamo in nessun modo alterato: sono, infatti, previsti 83 milioni di euro per il 2009, 200 milioni di euro per il 2010, 312 milioni di euro per il 2011, 350 milioni di euro per il 2012 e, a partire a regime dal 2013, 383 milioni di euro.
Un'altra rilevante misura, sempre all'interno dell'articolo 1, riguarda le cosiddette «finestre» per coloro che hanno 40 anni di contributi e che hanno raggiunto i sessantacinque anni di età per gli uomini e i sessant'anni per le donne. È del tutto evidente che questo era un tema particolarmente sensibile, soprattutto per i lavoratori precoci. Noi abbiamo garantito in qualche maniera un'uscita certa e senza prolungamento (assolutamente inaccettabile) dell'attività lavorativa una volta raggiunti i 40 anni di contributi.
Vi sono altre norme importanti in materia previdenziale, che citerò in modo molto rapido senza entrare nel merito. Sono previsti 3,5 miliardi di euro di risparmi nella razionalizzazione del sistema degli enti previdenziali, in linea con quanto affermato dalla Commissione bicamerale di controllo sugli enti previdenziali. Ciò è possibile attraverso un processo progressivo che il Governo dovrà valutare con la presentazione di un proprio piano industriale entro il 31 dicembre.
Inoltre, vi è la previsione di una revisione dei coefficienti di trasformazione attraverso l'istituzione di una commissione che devono tenere conto di alcuni criteri importanti, come le dinamiche demografiche migratorie, i percorsi per i lavoratori discontinui a tutela delle pensioni più basse (soprattutto dei giovani) e l'obiettivo di raggiungere un tasso di sostituzione non inferiore al 60 per cento. Si tratta chiaramente di indicazioni programmatiche affidate al lavoro della commissione e, successivamente, al Governo.
Sono, inoltre, previsti dei provvedimenti relativi al contributo di solidarietà a carico degli iscritti e dei pensionati delle gestioni previdenziali confluite nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti e nel Fondo volo. Vi sono anche alcuni provvedimenti certamente eccezionali e discutibili, ma che rappresentano gesti di solidarietà, come, ad esempio, una sospensione della rivalutazione automatica per l'anno 2008 per i trattamenti pensionistici superiori a otto volte il trattamento minimo dell'INPS. Vi sono norme relative ai benefici pensionistici per esposizione all'amianto riguardantiPag. 6 i lavoratori dipendenti di aziende già interessate dagli appositi atti di indirizzo emanati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
Desidero, infine, ricordare una norma particolarmente importante relativa al recupero del potere di acquisto degli indennizzi per danno biologico erogati dall'INAIL, tramite l'attribuzione di un aumento straordinario degli stessi indennizzi. È opportuno ricordare che, a tal proposito, vi è un appostamento di 50 milioni di euro. Si tratta di una norma straordinaria, ma la Commissione ha anche aggiunto una norma importante che riaffida al Governo la possibilità di rendere automatiche le rivalutazioni.
In ordine agli ammortizzatori sociali, è previsto un intervento importante in materia di indennità ordinaria di disoccupazione e si rideterminano sia la durata temporale, sia la percentuale di commisurazione alla retribuzione. Si tratta di un provvedimento oneroso e importante, ma che va nella giusta direzione.
Vi è, inoltre, una delega al Governo sulla riforma degli ammortizzatori sociali. È noto, infatti, che per noi quello della riforma degli ammortizzatori sociali è un tema strategico e gli obiettivi posti dalla riforma riguardano l'adozione da parte del Governo, il prima possibile, di uno strumento unico di indirizzo, volto al sostegno al reddito e al reinserimento lavorativo dei soggetti disoccupati. Si tratta di una previsione di contribuzione figurativa e di un legame stretto con le politiche attive del lavoro e i servizi per l'impiego.
Accanto alla delega alla riforma degli ammortizzatori sociali, abbiamo introdotto altre deleghe, riguardanti il mercato del lavoro e l'occupazione. In particolare, una delega riguarda i servizi per l'impiego, con l'obiettivo di rafforzare la centralità dei servizi pubblici; un'altra concerne gli incentivi per l'occupazione. È del tutto evidente, infatti, che abbiamo come obiettivo strategico quello di incrementare l'occupazione stabile; di migliorare il tasso di disoccupazione, soprattutto delle donne, dei giovani e degli over 50; di rivedere i contratti di reinserimento e, in qualche maniera, anche di svolgere una valutazione seria sui rapporti di lavoro a tempo parziale, affinché essi siano utilizzati bene e la loro applicazione venga estesa. Vi è anche una delega importante riguardante l'apprendistato, che dovrà essere esercitata dal Governo e dalle regioni (tale materia, infatti, rientra fra quelle di competenza concorrente), al fine di pervenire a standard nazionali di qualità della formazione stessa.
Su alcuni articoli importanti la Commissione si è soffermata; in modo particolare sull'articolo 11, che introduce una disciplina volta a limitare la possibilità di prevedere continui rinnovi dei contratti di lavoro a tempo determinato per lo stesso lavoratore, nella medesima mansione e con lo stesso datore di lavoro. Si è previsto, ovviamente, che, nella successione di contratti a termine e per lo svolgimento di mansioni equivalenti, il rapporto di lavoro non possa superare i trentasei mesi complessivi, comprensivi - come è del tutto evidente - di interruzioni e di rinnovi. Il Governo ha previsto una deroga al limite dei trentasei mesi, termine oltre il quale il lavoratore deve essere assunto a tempo indeterminato; non era, però, previsto un termine per tale deroga: la Commissione, in modo civile, ha ritenuto di stabilire un termine di otto mesi, ora all'attenzione del Parlamento e del Governo, che svolgeranno le proprie valutazioni. L'intenzione - è del tutto evidente - è quella di fissare un termine per la proroga. Si tratta di una fattispecie che riguarderà, con tutta evidenza, pochi casi. Essa si riferisce, infatti, ai lavoratori che lavorano per trentasei mesi terminati i quali non siano assunti a tempo indeterminato. Per costoro si prevede una possibile deroga con la stipula del contratto presso le direzioni provinciali del lavoro, in presenza di un rappresentante del sindacato maggiormente rappresentativo nel Paese.
Importante è anche la norma relativa alla disciplina del tempo parziale e all'abolizione dell'istituto del lavoro intermittente. Sia chiaro, non abbiamo reintrodotto il lavoro a chiamata (che è stato abrogato), ma abbiamo introdotto un articoloPag. 7 aggiuntivo, sottoponendo all'attenzione dell'Aula e del Governo una preoccupazione: è del tutto evidente, infatti, che nei settori del turismo e dello spettacolo vi sia la necessità di disciplinare le prestazioni temporanee, materia che abbiamo affidato nuovamente alla contrattazione collettiva. Questo ci è stato chiesto da molti colleghi di maggioranza e di opposizione e da molte realtà economico-produttive che si occupano di turismo, di ristorazione e di spettacolo nel Paese. Ovviamente, ciò sarà oggetto di una valutazione attenta.
Abbiamo ritenuto, tuttavia - sottoponendo anche questo aspetto all'attenzione dell'Aula e del Governo - di abolire lo staff leasing a tempo indeterminato. Si tratta di un istituto che, a seguito dei risultati dell'indagine conoscitiva che abbiamo analizzato e valutato, appare scarsamente utilizzato nel Paese, discutibile e che, sicuramente, non incide in alcuna misura sull'andamento del mercato del lavoro.
Proseguo nell'esame del provvedimento, citando le ultime norme. Vi è una parte importante relativa al settore agricolo: alcune norme sono relative alla disoccupazione agricola, al fine di rendere omogenea la disciplina dell'indennità ordinaria di disoccupazione e dei trattamenti speciali di disoccupazione per i lavoratori agricoli; altre recano incentivi per nuove assunzioni in agricoltura, attraverso i crediti di imposta; è prevista - ci sembra importante sottolinearlo - la possibilità di riduzione dei premi assicurativi fino al 20 per cento dei contributi per le imprese agricole che abbiano dimostrato di avere una bassissima percentuale di infortuni; e abbiamo in qualche modo incentivato la formazione continua, sempre nel mondo agricolo, destinandole la riduzione dello 0,30 per cento dell'aliquota contributiva.
Vorrei adesso richiamare due misure che il Governo ha voluto introdurre - che mi sembrano di grandissima rilevanza - sulle quali vi è stato uno scarso dibattito e che sono state poco valorizzate. In primo luogo, la possibilità di rendere interamente imponibile a fini previdenziali - e quindi anche pensionabile - la quota di retribuzione erogata a titolo di premio di produttività. Ciò, da un lato, permetterà ai lavoratori di beneficiare di un miglioramento dei trattamenti pensionistici e, dall'altro, di prevedere la concessione di uno sgravio contributivo per la medesima quota di retribuzione.
Questa misura è completata anche dalla detassazione per ridurre l'imposizione fiscale su tale quota di retribuzione, che, come è del tutto evidente, va a vantaggio dei lavoratori, che avranno un reddito disponibile più ampio. Il Governo ha anche previsto la soppressione del contributo aggiuntivo per l'utilizzazione del lavoro straordinario, misura che aiuterà sicuramente il sistema delle imprese e comporterà un'ulteriore riduzione del costo del lavoro.
Per quanto riguarda i giovani, cito solo tre misure. La prima riguarda l'accesso al credito per i giovani, per il quale sono stati previsti 600 euro mensili per alcune attività di natura imprenditoriale giovanile e un fondo di 150 milioni di euro per il 2008. Vi sono, inoltre, due misure importanti e molto citate dalla stampa: la totalizzazione dei contributi, al fine di recuperare i contributi ovunque versati nelle diverse gestioni, con la riduzione da sei a tre anni della durata minima dei periodi assicurativi che devono essere versati presso un'unica gestione; l'introduzione di norme che rendono meno oneroso e più conveniente il riscatto della durata dei corsi di studio universitari. Per questi obiettivi - totalizzazione e riscatto della durata dei corsi di studio universitari - sono stati stanziati 200 milioni di euro, che verranno utilizzati sicuramente a vantaggio dei giovani. Dopo tante parole e tanta retorica a favore dei giovani, non vi è dubbio che, finalmente, oltre alla retorica, siano previste misure e risorse.
In continuità con l'obiettivo del Governo, sono state anche aumentate progressivamente le aliquote relative ai collaboratori coordinati e continuativi o, meglio, ai contratti a progetto. L'aumento andrà dal 24 per cento, per il 2008, fino al 26 per cento, a decorrere dal 2010, perPag. 8chi non ha un'altra attività lavorativa. Per chi, invece, ha un'altra attività lavorativa è previsto il 17 per cento, a decorrere dal 2008. Ciò per un duplice obiettivo: garantire una pensione dignitosa con il sistema contributivo a molti di coloro che utilizzano questo istituto e seguire l'obiettivo strategico - attinente all'aumento del costo del lavoro per i lavori flessibili, sempre più vicino al lavoro subordinato - di far pagare meno il lavoro subordinato e un po' di più il lavoro flessibile, al fine di far sì che quest'ultimo venga utilizzato per necessità oggettive e non per la sua minore onerosità.
Sono previste, inoltre, importanti norme sull'occupazione femminile, che riguardano la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e la parità del lavoro tra donne e uomini, che, a mio parere, vanno particolarmente sottolineate.
Concludo con alcune considerazioni, visto che sta scadendo il tempo a mia disposizione.
Non ho citato le norme riguardanti l'indennità ordinaria di disoccupazione, per la quale sono stati stanziati 20 milioni di euro, anch'essi importanti, nel caso di eventi transitori, dovuti a situazioni temporanee di mercato. Non ho citato, inoltre, norme molto importanti a favore dei lavoratori portuali. Si avrà modo di esaminarle e discuterle nel corso della discussione in Aula, anche in occasione delle dichiarazioni di voto finale.
Vorrei terminare l'intervento - lo ripeto - con talune valutazioni conclusive. Ringrazio il Governo e, in modo particolare, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, che è qui presente, e il sottosegretario Montagnino, che ci ha seguito con grandissima attenzione durante i lavori in Commissione.
Credo che la Commissione abbia fatto un buon lavoro, utile e approfondito, di cui bisognerà tenere in qualche maniera conto. Infatti, abbiamo rispettato insieme l'accordo con le parti sociali, non abbiamo in alcun modo mancato di assicurare la copertura finanziaria, abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissi e perfezionato il testo. Consegniamo, quindi, un lavoro che, a mio parere, può essere complessivamente utile a tutti i destinatari del Protocollo, imprese e lavoratori.
L'importante è che questo provvedimento venga approvato entro il 31 dicembre prossimo, perché tutte le misure previste faranno crescere in termini di tutela di diritti e di opportunità, nonché di strumenti di competitività, l'intero Paese.
Auspichiamo, quindi, una rapida approvazione del provvedimento, senza modificazione alcuna rispetto al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Il relatore di minoranza, onorevole Barani, ha facoltà di svolgere la relazione.

LUCIO BARANI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, intervengo solo per dirle che mi riservo di intervenire al termine della discussione sulle linee generali, anche per conoscere l'opinione dei gruppi di maggioranza su previdenza, lavoro e competitività e, in particolare, per sapere se essi condividano quanto il relatore per la maggioranza, onorevole Delbono, ci ha testé illustrato. Peraltro, mi preme anche capire quante e quali saranno le modifiche che a questo disegno di legge dovranno essere apportate e se la data del 31 dicembre sarà davvero il termine entro il quale il Parlamento - la Camera e il Senato - approveranno questo disegno di legge.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ANTONIO MONTAGNINO, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Signor Presidente, credo che la Commissione lavoro abbia esaminato con impegno e con senso di responsabilità il provvedimento presentato dal Governo. Credo che l'abbia fatto avendo come obiettivo il rispetto del Protocollo del 23 luglio 2007, apportandovi alcune aggiunte e alcune modificazioni: le aggiunte hanno ricevuto il parere favorevole del Governo, mentre le modificazioni parere contrario.Pag. 9
Ritengo che, complessivamente, il provvedimento in esame disponga di qualità che non possono non essere valorizzate: è un provvedimento che, per la prima volta, distribuisce risorse senza alcuno scambio; è un provvedimento che rivolge la propria attenzione ai soggetti più deboli: i giovani, le donne e dipendenti di aziende in crisi; è un provvedimento che rispetta il programma dell'Unione, nel momento in cui abolisce lo «scalone», facendo in modo che l'età pensionabile aumenti gradualmente; è un provvedimento che si occupa anche di altri soggetti come i disabili, chi svolga lavori usuranti o sia stato esposto per tanti anni all'amianto.
Quindi, si tratta di un provvedimento autenticamente moderno, sicuramente di grande valore sociale, che contiene aspetti fortemente innovativi, guarda al futuro e in effetti realizza quegli obiettivi di equità e di competitività che ne rappresentano i capisaldi e il fondamento.
Ovviamente, l'Assemblea ha il compito di esaminare il lavoro che è stato compiuto.
Ciò che voglio affermare con grande chiarezza è che i punti controversi sono effettivamente pochi, e non scardinano, comunque, l'equilibrio complessivo raggiunto nel Protocollo. Ci sono poi delle modifiche aggiuntive su materie non trattate al tavolo con le parti sociali che sono obiettivamente positive.
Si tratta di un provvedimento atteso e di grande valore: se ricordate, il Patto per l'Italia, che fu siglato cinque anni fa, non ebbe fortuna e non fu applicato, in nessuna delle sue norme. Questa è la prima volta, probabilmente, che un patto siglato tra Governo e parti sociali viene portato dopo pochi mesi in Parlamento per l'approvazione. Credo che ciò costituisca il valore più grande, al di là dei giudizi e delle valutazioni certamente non univoci sul provvedimento in esame.
Tuttavia, in questa sede, come rappresentante del Ministero del lavoro e della previdenza sociale voglio sicuramente esprimere apprezzamento per il lavoro compiuto dal Governo con il provvedimento che recepisce il Protocollo del 23 luglio, ma anche dall'intera Commissione lavoro, con un'azione fortemente responsabile, a cui si è unita anche l'opposizione.
Dunque, è necessario discutere e dialogare. Il Consiglio dei Ministri ha autorizzato la richiesta della fiducia e si sta valutando se sarà attuata. Ritengo che, rispetto alle questioni controverse, in ogni caso, le soluzioni sono possibili nell'interesse generale: non si tratta di far prevalere una parte contro l'altra, ma si tratta di approvare un provvedimento che sia utile al Paese, ai lavoratori, allo sviluppo e che possa veramente concorre a far diventare il nostro Paese più competitivo e più equo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, avevo sollevato in apertura di discussione la questione dell'opportunità dell'inizio dell'esame del provvedimento da parte del Parlamento. Ho preso atto della sua risposta ovvero del fatto che proceduralmente dobbiamo rimetterci alle decisioni del Governo sull'apposizione della questione di fiducia. L'intervento del rappresentante del Governo però conferma ad abundantiam le ragioni della mia preoccupazione. Dalle poche parole pronunciate dal sottosegretario abbiano appreso che - lo sapevamo già, ma è stato ripetuto autorevolmente - le modifiche introdotte dalla Commissione lavoro hanno tutte ricevuto il parere contrario del Governo. Diventa legittimo allora chiedersi cosa intenda fare il Governo rispetto a queste modifiche e sarebbe stato legittimo che ciò fosse stato espresso dal sottosegretario nel suo intervento. Se il Governo ha espresso parere contrario sulle modifiche apportate dalla Commissione lavoro deve dire al Parlamento, se non vuole contribuire a determinare una perdita di tempo per il Parlamento stesso, se intende presentare degli emendamenti. Il Governo infatti non rappresenta una parte come un gruppo parlamentare; è il Governo della Repubblica: se è contrario a talune modifiche introdotte, dobbiamo sapere se si apprestaPag. 10a presentare proposte emendative che riproducano il testo originario cancellandole o se invece si appresta ad accettarle. Come facciamo ad affrontare una discussione se non conosciamo tali elementi al riguardo.
Ha aggiunto il sottosegretario - forse sbagliando nell'espressione - che comunque si tratta di modifiche intervenute su materie che non riguardano il Protocollo, materie non trattate nel Protocollo. Stiamo parlando signor sottosegretario di materie non trattate nel Protocollo? I lavori usuranti non sono trattati nel Protocollo? L'intera materia di cui stiamo discutendo non viene trattata nel Protocollo? Tutto ciò vuol dire che il Governo afferma che si tratta di materie aggiuntive? Signor Presidente, siamo di fronte a una confusione inaccettabile e perciò mi riservo di riproporre in tutte le circostanze possibili la questione di un rinvio della discussione.
Voglio affrontare nel pochissimo tempo che mi è rimasto anche la sostanza del provvedimento. Si tratta di un provvedimento sbagliato, onorevole Delbono. In tutto il mondo, nella vicina Francia come in Germania, l'età pensionabile viene aumentata mentre noi abbiamo un Governo che la fa diminuire (l'età di 60 anni prevista a partire dal primo gennaio 2008 viene riportata a 58 anni). Tutti ciò, onorevole Delbono avviene con dei costi giganteschi; il provvedimento stesso prevede, infatti, una spesa di molte migliaia di miliardi di euro. Molte volte Il Presidente del Consiglio aveva affermato che una tale operazione sarebbe stata finanziata mediante l'unificazione degli enti previdenziali, ma anziché dinanzi all'unificazione degli enti previdenziali siamo di fronte ad una misura ridicola: il Governo stabilisce nell'articolato del provvedimento l'adozione di un programma, un piano di lavoro che consentirà un risparmio di 3 miliardi e mezzo di euro nel giro di qualche anno. Ma non si fa più riferimento all'unificazione degli enti previdenziali. Perché non potete unificarli? Forse perché le organizzazioni sindacali vi hanno strutture e rapporti particolari? Affermare che si sta razionalizzando un sistema quando in sostanza si vanno ad appesantire i conti pubblici, si aumentano i contributi previdenziali non determinando un risparmio, è cosa abbastanza grave.
L'articolo 37, al comma 2, intervenendo sulla copertura finanziaria, rappresenta una norma straordinaria. In tale articolo si afferma che dall'emanazione dei decreti legislativi attuativi non devono derivare maggiori oneri a carico della finanza pubblica. La Commissione lavoro però, all'articolo 31, ha introdotto una norma che reca la revisione della vigente normativa in materia di congedi parentali estendendo la portata di tali benefici. Come potrebbe tale norma non comportare oneri qualora venisse applicata alla pubblica amministrazione? È chiaro che si tratta di un provvedimento privo di copertura adeguata. Per tutte queste ragioni, perché va contro l'interesse generale di una riorganizzazione del mercato del lavoro e poiché non sappiamo ancora bene di cosa si tratta, considero inevitabile il voto contrario sul provvedimento (Applausi del deputato Baldelli).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Murgia. Ne ha facoltà.

BRUNO MURGIA. Signor Presidente, colleghi, il fatto che il disegno di legge in esame sia sulle prime pagine di tutti i giornali dimostra la sua importanza nella vita concreta, ma il fatto che l'Aula sia così vuota, seppur nella fase della discussione sulle linee generali, non è piacevole, forse anche perché l'annunciata posizione della questione di fiducia di fatto strozza il dibattito. Tuttavia proverò a svolgere alcune considerazioni di carattere generale come se la questione di fiducia fosse solo paventata, e poi non effettivamente posta come, invece, riteniamo che effettivamente avverrà.
Si tratta di un dibattito lungo che ci ha impegnato per molti mesi, che riguarda il Protocollo del 23 luglio scorso, che comunque per noi è figlio di un enorme luogo comune e di una battaglia ideologica che si è scatenata nel Paese all'indomaniPag. 11dell'approvazione della legge Biagi, ma rappresenta anche il segno di una cultura conservatrice, che oggi comanda in Italia, segnatamente quella della sinistra italiana che risiede nelle sue case editrici, la quale non a caso - lo sappiamo - su questo tema ha costruito molti successi editoriali. Si tratta di una cultura che troviamo nei giornali, nelle scuole e nelle università del «baronato gerontocratico». È una cultura che per la verità è emersa già nel 1994, ai tempi della grande manifestazione contro la prima proposta di modifica delle pensioni e del Governo Berlusconi, e, qualche tempo dopo, anche contro l'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Taccio per carità di patria - non se ne parla più molto, ma rientra nel tema di questo dibattito - sull'omicidio del professor Biagi. Non ne parla più nessuno. È stato lasciato solo colpevolmente e la sua opera ovviamente si è conclusa senza che la riforma del mercato del lavoro potesse svilupparsi compiutamente come potevamo pensare. Taccio anche sugli spaventati riformisti della maggioranza che vanno a braccetto con i peggiori detrattori di Biagi, e che hanno accolto questo disegno di legge come l'unica possibile mediazione con la sinistra radicale.
Si tratta di una mediazione, che noi consideriamo al ribasso, che non ha futuro né volontà di cambiamento, e senza alcuna idea di vera guida se non quella di fare alcune piccole concessioni ora a un gruppo, ora all'altro. Per noi quindi i riformisti della maggioranza sono i veri sconfitti della partita, nella quale il pallino rimane sempre nelle mani della CGIL, con il benestare incomprensibile della Confindustria, la quale sostiene che non si può toccare niente altrimenti crolla tutto. Ma noi chiediamo agli industriali: non sarebbe stato meglio dire di «no» ad un testo che ci mette fuori dall'Europa e che è stato criticato in successione da tutti i principali istituti economici e finanziari? Siamo dunque condannati con questo Protocollo - la nostra visione è totalmente contraria a quella del centrosinistra - all'immobilismo, quindi parlare di precarietà e di cattiva occupazione è diventato un luogo comune, un motivo continuo, falso ma comunque insistente, confutabile con i dati ma considerato per assodato.
I dati parlano chiaro, colleghi: con la legge Biagi si sono realizzati circa tre milioni di nuovi posti di lavoro. La disoccupazione è calata al 6,5 per cento, ma la propaganda, continua negli ultimi mesi, che ha accomunato in modo becero Caruso e Beppe Grillo, ha soffiato sul vento della falsità. Quindi poco importa che, in una delle sue poche iniziative felici, il Ministro Damiano abbia regolarizzato 18 mila contratti a tempo nel settore dei call center proprio grazie ad uno dei cento articoli di quella famigerata legge. In Spagna l'incidenza dei dipendenti a termine sul totale è del 34 per cento - lo ripeto: 34 per cento -, mentre in Germania si viaggia intorno al 14 per cento e in Francia col sistema simile al nostro, che Sarkozy intende riformare, siamo al 13,5 per cento. Quindi i nostri dati sono assolutamente e perfettamente nella media.
La domanda è semplice: come possiamo migliorarli? Crediamo che questo Protocollo non vada nella direzione del miglioramento. Infatti, nella sua indecifrabile fumosità, e nel suo tentennamento continuo, il testo in esame abolisce lo staff leasing - lo ha detto il relatore - ovverosia l'affitto di piccoli gruppi di lavoratori da parte di un'azienda. Si tratta di una misura decisa dalla sinistra radicale in Commissione lavoro, ma riguarda una norma che - come è stato più volte detto - non è così rilevante all'interno della legge Biagi.
Abbiamo per fortuna recuperato alcune fattispecie di lavoratori a chiamata. Un emendamento votato in maniera trasversale ha salvato settori produttivi caratterizzati dalla stagionalità, come turismo, ristorazione e spettacolo: una norma di assoluto buonsenso.
Ci troviamo di fronte alla «scure» della questione di fiducia. Possiamo chiudere direttamente la partita senza, però, alcuna discussione. Abbiamo visto che il fine settimana è stato turbolento, pieno di minacce e di controminacce, ma se non pone la fiducia, il Governo non ha la maggioranza per far approvare il provvedimento.Pag. 12
Dunque, appare oziosa anche la proposta esposta in alcuni convegni del Partito Democratico: ad esempio, quella di Veltroni con il paventato contratto unico con le tutele crescenti. Questa intelligente idea nata dal professor Boeri, che campeggia nel sito www.lavoce.info, prevede tre tempi: prova, inserimento e stabilità. È un contratto a tempo indeterminato con un periodo di prova di sei mesi: come se abolissimo l'articolo 18 per i primi tre anni. Nel campo del Partito Democratico si discute questa proposta, mentre probabilmente domani verrà posta la questione di fiducia sul disegno di legge in esame.
È una base di partenza fondamentale che - paradosso dei paradossi - potrebbe essere studiata e applicata dal centrodestra, quando - speriamo presto - tornerà al Governo.
Anche qui le forche e i ruggiti della sinistra radicale non sono mancati: è inutile ricordare i sistemi dell'Europa del Nord, quelli social-democratici dove la flexsecurity garantisce, ad esempio in Danimarca, facilità di licenziamento, ma è stabilito un preavviso di quattro mesi, un sussidio finché non si trova lavoro, percorsi di formazione continua e l'obbligo di non rifiutare le occasioni di impiego. È un sogno probabilmente costoso, forse non applicabile alla nostra realtà.
Devo citare, però, il professor Giavazzi, che certo non è un esponente della destra, il quale ha detto che tali istituti sono decisamente migliori rispetto a tenere in vita l'Alitalia, navigare nel lavoro nero e permettere migliaia di baby pensioni.
Il quadro italiano è così delineato: un mercato del lavoro rigido senza la necessaria mobilità, con lavoratori garantiti dai sindacati (si guardi al referendum sul Protocollo), perché da essi traggono la forza per poter privilegiare i propri interessi, contro gli outsider che sono molti.
Il disegno di legge in esame, al contrario di ciò che è stato detto dalla maggioranza, è considerato da noi un attentato contro le giovani generazioni. È una miccia che potrebbe far esplodere la guerra tra padri e figli e non l'onesto compromesso descritto dai Ministri di questo Governo. Le uniche forme ragionevoli di riscatto dei contributi sono piccole cose rispetto al problema generale.
In un'Italia che è sempre più vecchia, nella quale l'unico vero ammortizzatore sociale funzionante è la famiglia, cosa «inventa» la sinistra? Vorrebbe abolire per legge la precarietà, imporre assunzioni a tempo indeterminato, come avviene con l'articolo 11, comma 2, che prevede la conversione in contratto a tempo indeterminato nel caso di successione di contratti a termine per più di 36 mesi. Nello stesso articolo è prevista una deroga per un'ulteriore successivo contratto per una durata non superiore a otto mesi, dove solo il sindacato è riconosciuto come soggetto in grado di tutelare il lavoratore. È una concezione vecchia che non fa leva sul fatto che oggi in Italia abbiamo bisogno di liberare energie ma non di imbalsamarle.
La sinistra certo non guarda ai dati demografici: tra vent'anni potrebbe avvenire che ad ogni trentenne corrisponda un pensionato. Nei calcoli pensionistici è un tempo infinitamente breve. Se consideriamo che ormai la vita media è di ottant'anni non possiamo permetterci assolutamente di mandare in pensione - come prevede questa proposta - un lavoratore a 58 anni: è un costo assurdo che significa più tasse e più spesa pubblica, perché le coperture, peraltro - è emerso ed emergerà nel dibattito - non sono garantite ma sono completamente evanescenti.
Dunque per parafrasare l'ultimo brillante saggio di Boeri e di Galasso, un economista di riferimento di Veltroni, Contro i giovani, la politica di questo Governo è «contro i giovani».
Le coperture - ribadisco - sembrano restare un mistero: un piano finanziario che sul capitolo pensioni - questo è il dato importante, saliente - mette a rischio i conti pubblici. Per il periodo che va dal 2008 al 2017, si prevede, al momento, una copertura di 10 miliardi.
C'è da notare, ovviamente, che i risparmi garantiti dal famigerato «scalone», che noi, invece, abbiamo considerato buono, sarebbero stati pari, nello stesso lasso di tempo, a circa 65 miliardi.Pag. 13
L'indicazione del reperimento di fondi fa quasi ridere, perché, ad esempio, si pensa di recuperare 3 miliardi e mezzo dalla razionalizzazione degli enti previdenziali.
Tuttavia, quanto è emerso anche nei lavori della Commissione lavoro, una Commissione di cui è membro l'onorevole Lo Presti, ha dimostrato che questo è impossibile e, anzi, all'inizio della paventata razionalizzazione, le spese potrebbero addirittura aumentare. Si tratta, dunque, a nostro avviso, di una copertura falsa alla quale il Governo pone il classico rimedio: se al 2011 il risultato non sarà raggiunto, scatterà un prelievo contributivo aggiuntivo dello 0,9 per cento a carico di tutte le categorie dei lavoratori e, molto probabilmente, così sarà.
Ma non è l'unica stranezza che riguarda questa incredibile riforma: per favorire i giovani, si propone una norma assurda che indica nel 60 per cento il tasso di sostituzione. Non si capisce come ciò possa avvenire; sicuramente i coefficienti di trasformazione verranno affidati ad un controllo che, fra qualche anno, sarà compiuto dalla solita commissione. Stiamo, di fatto, abbattendo il sistema contributivo per tornare a quello retributivo. Dati alla mano, è il quarantenne di oggi ad avere un futuro completamente incerto e a dover pagare la pensione del padre di 58 anni, il quale, dal 1o gennaio 2008, esce prematuramente dell'età lavorativa.
Si tratta, dunque, di un pasticcio che non trova sbocco neanche per il totem della sinistra radicale, ossia quella linea di confine rappresentata dal prepensionamento di migliaia di lavoratori usurati: prima, il tetto fissato era di 5 mila; poi, all'italiana, il tetto è stato sfondato e i calcoli della ragioneria dello Stato, dell'INPS e di uno studio del senatore Sacconi e di Giuliano Cazzola ampliano la platea fino a 25 mila unità. La copertura di 2 miliardi e mezzo di euro, paventata fino al 2017, salta e la realtà è che la somma effettiva potrebbe essere di circa di 12 miliardi di euro.
È incredibile, quindi, che non esista, ad oggi, ancora alcuna griglia per mettere un punto fermo sulla questione, dopo che in Commissione lavoro è saltata la soglia di 80 notti per la definizione di lavori usuranti. Un fatto è certo: questo protocollo non ha le coperture definite e aumenterà la spesa pubblica.
Torniamo per un momento ai giovani, a quella «generazione tuareg», come è stata descritta in un bel saggio di Francesco Delzìo, il direttore dei giovani imprenditori di Confindustria. Possiamo ricordare alla giovane generazione che l'attuale Ministro dell'economia e delle finanze, Padoa Schioppa, nel 2003 scriveva che oggi i pensionati trascorrono vent'anni in pensione, non più tredici come accadeva alla fine degli anni Sessanta e che, dunque, diventa un obbligo innalzare l'età pensionabile.
Tuttavia, verifichiamo l'andamento, guardando la realtà delle altre nazioni europee: in Spagna e in Olanda non si va in pensione prima di aver compiuto 65 anni; in Svezia ci vogliono 65 anni di età e 40 anni di contributi; in Germania 63 anni di età e 35 anni di contributi; in Svizzera 65 anni di età e 44 di contributi.
Pertanto, hanno vinto i sindacati, con buona pace di Pietro Ichino e dei suoi lucidi editoriali sul Corriere della sera. Hanno vinto, a nostro avviso, le lobby conservatrici, quelle stesse che permettono che il welfare non funzioni a dovere.
Circa il 62 per cento del nostro sistema benessere è assorbito dalle pensioni, contro la media europea pari a circa il 46 per cento; il 2 per cento - ripeto, il 2 per cento! - è destinato ai sussidi della disoccupazione, contro una media europea del 6,5 per cento. Solo il 28,5 per cento accede ai sussidi quando perde il lavoro, mentre il 22,5 per cento ha un'integrazione di reddito e per i due terzi non vi è niente. Inoltre, in Italia, solo tre famiglie su ventidue vengono aiutate dal sistema benessere, contro le diciotto famiglie su ventisei della Gran Bretagna. Pertanto, i soldi spesi male del protocollo sul welfare avrebbero potuto essere spesi molto meglio.
Infine, per quanto concerne la vicenda dei parasubordinati, anche in questo caso la nostra visione è diametralmente oppostaPag. 14ed è uno degli aspetti per cui voteremo «no» a questo protocollo. Le loro aliquote saliranno fino al 26,5 per cento in tre anni, più le tasse: dunque, la sinistra afferma di voler difendere il precariato, ma lo fa affossandolo e «facendo cassa» sulla pelle di questi poveri parasubordinati, ottenendo 3,5 miliardi di euro, che gravano come macigni sulle tasche del lavoro precario.
Quindi, nell'Italia conservatrice dell'epoca Prodi, questo è il quadro: in una università in mano a «stagionatissimi baroni», senza futuro per molti giovani ricercatori e con solo cinque docenti su mille con età inferiore a 35 anni, non c'è che da ribellarsi, mandare a casa questo Governo e sperare di averne un altro di tipo completamente diverso.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Buffo. Ne ha facoltà.

GLORIA BUFFO. Signor Presidente, quella che arriva oggi in Parlamento e che campeggia sui giornali è una legge che interessa molti milioni di italiani: non li interessa soltanto come cittadini - fatto di per sé importante - ma li tocca da vicino come lavoratrici, lavoratori, donne e uomini che, avendo lavorato, hanno diritto alla pensione.
La qualità di un sistema sociale e la modernità di un Paese non si giudicano solo o innanzitutto dal PIL, ma dalla capacità di restituire sicurezza, servizi, reddito, dignità a chi lavora e produce la ricchezza. Lo Stato sociale non è un favore - come mi sembra di aver sentito affermare da parte di qualcuno -, che si fa a chi non è ricco, non è proprietario di impresa o non vive di rendita finanziaria e immobiliare: è solo la restituzione di qualcosa che gli appartiene, ovvero la ricchezza di un Paese, perché chi lavora ha contribuito a produrla.
La qualità e l'estensione dello Stato sociale sono indici della salute di una società, e sono anche fattori di sviluppo, tanto più in un Paese come l'Italia, dove la competitività è scarsa proprio perché si investe sulla mortificazione del lavoro anziché sull'innovazione produttiva. I limiti dello Stato sociale italiano e le gravi distorsioni nella complessiva distribuzione del reddito e della ricchezza, testimoniati dall'alto tasso di diseguaglianza che tutte le ricerche e gli studi ci attribuiscono, sono noti a tutti, anche se spesso volutamente dimenticati.
Tra i protagonisti della vicenda italiana colti da amnesia sul punto delle diseguaglianze c'è l'associazione più importante degli imprenditori, il cui presidente, in attesa di decidere se si dedicherà alla politica ufficialmente, visto che ufficiosamente lo fa già, lamenta ogni giorno che le imprese devono avere di più dallo Stato e dal fisco, ovvero dalla collettività, dimenticando però di dire che in Italia negli ultimi anni la «fetta della torta» andata ai profitti e alle rendite è molto cresciuta, mentre è scesa in modo insostenibile la porzione toccata al lavoro: una sproporzione e una distorsione che paga una parte decisiva del Paese, cui noi intendiamo dare voce.
Cinque anni di Governo Berlusconi hanno lasciato il segno: chi lavora oggi è più precario, molto spesso è sottopagato; e tutto ciò in un Paese in cui la vita è cara, e il diritto alla casa è carissimo. La precarietà naturalmente non è un'invenzione del cavaliere, che però le ha spalancato le porte mentre varava una controriforma delle pensioni iniqua, aggravata se possibile dalla viltà di rimandarne l'attuazione dopo la fine del suo Governo. Così restando le cose, il 31 dicembre di quest'anno per molti l'età pensionabile si dovrebbe spostare in avanti di tre anni in un colpo solo.
La situazione ereditata dal centrosinistra è dunque tutt'altro che rosea. Non va mai dimenticato che, come è scritto nel programma sul quale abbiamo chiesto il voto agli elettori, l'Unione si è impegnata con forza a invertire la direzione di marcia intrapresa dalla destra sul lavoro e sulle politiche sociali.
Con la trattativa tra le parti sociali e il Governo svoltasi quest'anno si è deciso, cancellando il cosiddetto «scalone», un ritocco dell'età pensionabile a nostro avviso accettabile; si è salvaguardata l'etàPag. 15pensionabile delle donne, si sono alzate anche se di poco le pensioni più basse e, dopo molti anni, si sono rese un po' meno ardue le carriere previdenziali dei più giovani. A nostro avviso si tratta di un buon compromesso, reso possibile dalla scelta di distinguere il lavoro più pesante (in gergo lo chiamiamo «usurante»), che non può essere trattato ai fini pensionistici come gli altri lavori.
Diverso però è il bilancio a proposito di contrasto della precarietà. Avremmo voluto di più. Si è promesso di più nel programma elettorale e si aspettava di più quel vasto mondo, non solo giovanile, che supera i quattro milioni di persone e lavora in modo discontinuo e precario. Nessuno del mio gruppo di Sinistra Democratica per il Socialismo europeo ha mai fatto dell'abolizione della legge n. 30 del 2003 un «feticcio», ma certo, per correggere la distorsione di un uso massiccio e improprio di tipologie contrattuali ultraflessibili, occorre toccare in modo deciso, più deciso, le norme che questo abuso hanno reso possibile.
L'esercizio della responsabilità ci ha fatto criticare i limiti dell'accordo per quanto riguarda la lotta alla precarietà, tuttavia, la responsabilità - e credo anche l'intelligenza politica - ci ha fatto cogliere che si tratta di un miglioramento rispetto alle norme vigenti. Sinistra Democratica per cultura, per scelta e per profilo politico, ha dato grande peso alla consultazione democratica svoltasi tra oltre 5 milioni di lavoratrici, lavoratori e pensionati sul testo dell'accordo. Abbiamo scelto un atteggiamento politico e parlamentare sobrio e pulito, teso a contribuire a tradurre in legge l'accordo, a garantire che i diritti in esso scritti siano esigibili e a specificare ciò che l'accordo stesso indica come obiettivo senza chiarirne tutte le implicazioni. È stato un lavoro utile, condotto, per quanto riguarda la precarietà, insieme al resto della sinistra che, senza stravolgere in nulla l'accordo, ha reso - con l'accordo di tutta l'Unione - il testo del disegno di legge più forte e coerente con la linea di contrasto alla precarietà enunciata dal Governo. In particolare, sul contratto a termine abbiamo contribuito, con il consenso del centrosinistra, a specificare che nei trentasei mesi della durata si conteggiano anche i periodi non continuativi e che la proroga di cui si parla nell'accordo ha un limite di otto mesi.
Abbiamo proposto - la maggioranza è stata d'accordo in Commissione - di scrivere, come afferma la direttiva europea, che il lavoro è, di regola, a tempo indeterminato (come ricorda il principio ispiratore di tutta l'attività riformatrice dell'Unione). Abbiamo chiesto - ed ottenuto - che a proposito di part time si confermasse la norma esistente, ovvero che il consenso del lavoratore alle forme elastiche di lavoro a tempo parziale è sempre necessario e che il rifiuto eventuale del lavoratore o della lavoratrice al part time elastico non può essere motivo di licenziamento, come peraltro già recita - lo ricordo a chi parla a sproposito di stravolgimenti del Protocollo - la norma esistente. Non abbiamo invece voluto né condiviso la riproposizione, per alcuni settori e con alcuni limiti, del lavoro a chiamata, voluta in Commissione dal Partito Democratico, dall'Udeur e dalla Rosa nel Pugno. La tesi sostenuta da questi nostri alleati - secondo cui l'abbassamento delle tutele vorrebbe dire aumentare il lavoro regolare e, viceversa, accrescerle significherebbe incoraggiare il lavoro nero - a nostro avviso, non dovrebbe far parte del corredo culturale della maggioranza del centrosinistra.
Le mediazioni sono sempre possibili - sono state possibili in Commissione - mentre l'esercizio di rimettere in discussione l'alleanza o scomporre la coalizione utilizzando il lavoro e la precarietà, come vorrebbe qualche componente molto minoritaria del centrosinistra, sarebbe davvero una cattiva politica. Gli strepiti levatisi da parte confindustriale su un presunto capovolgimento dell'accordo siglato dalle parti sociali sono infondati, strumentali e, se posso dirlo, anche un po' arroganti. A noi sarebbe piaciuto - sarebbe, infatti, stato necessario - scrivere che il contratto a tempo determinato è possibilePag. 16solo quando sussistono precise esigenze produttive ed organizzative, che in gergo chiamiamo le causali.
A noi sarebbe piaciuto - sarebbe stato importante - riformare il codice civile in modo da distinguere, una volta per tutte, il lavoro davvero autonomo da quello economicamente dipendente, perché oggi il mercato del lavoro italiano - e le sue regole - si fondano su un imbroglio, come tutti sanno. Ci sarebbe anche piaciuto - e sarebbe stato importante - scrivere nel testo del provvedimento cos'è usurante, quanto e qual è il lavoro notturno, senza delegarlo al Governo, ma siamo persone consapevoli del contesto politico e del recinto dell'accordo siglato tra Governo e parti sociali, e di ciò ci siamo fatti carico. Ricordo ai distratti che gli emendamenti sui congedi parentali, che ho ascoltato citare - mi pare - dall'onorevole La Malfa, sono stati votati su proposta dei gruppi della destra, e che sulla questione del lavoro notturno era stato presentato un emendamento dell'UDC per ridurre da ottanta a settanta il numero delle notti.
Come vedete, quando si entra nel merito bisogna anche avere il coraggio di riconoscere che non vi sono stati dei «cattivi», che volevano stravolgere ciò che è in realtà non è stato stravolto. Proprio per tali ragioni di merito e per quanto è davvero accaduto in Commissione non possiamo assistere, senza replicare, ad un attacco al lavoro serio e meditato fatto dal centrosinistra in Parlamento. Sinistra Democratica continuerà a lavorare seriamente e sobriamente in Aula, così come ha fatto in Commissione, affinché il provvedimento arrivi in porto con i chiarimenti e le specificazioni che la Commissione lavoro ha prodotto. Auspichiamo che nella legge finanziaria siano inserite altre norme a favore del lavoro dipendente - noi lavoreremo in tale direzione - cominciando dal lavoro femminile e da quello parasubordinato.
Ammortizzatori sociali, lavoro a tempo determinato, part-time, lavori usuranti, età pensionabile, ma anche amianto, disabilità, apprendistato e mobilità, sono parole per noi usuali. Per molti italiani queste parole sono la vita, le scelte quotidiane, la fatica, i progetti possibili o quelli negati. Per le donne tutto ciò è ancora più importante, in un Paese che offre loro poco lavoro, poche sicurezze e pochi servizi. Nel provvedimento in esame vi sono segnali positivi, soprattutto per i più giovani, anche se non ancora sufficienti. Variamo il provvedimento nel testo adottato dalla Commissione lavoro e prepariamoci a lavorare ad un altro pacchetto di riforme per contrastare più efficacemente la precarietà che ora non solo penalizza i giovani, ma disarticola la società (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fabbri. Ne ha facoltà.

LUIGI FABBRI. Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, permettetemi qualche considerazione di carattere politico prima di entrare nel merito del provvedimento in esame: non sappiamo ancora su quale testo discuteremo e tutta la stampa pubblica, da due giorni, articoli in ordine alla eventualità che il Governo ponga la questione di fiducia sul provvedimento in esame. Anche in questa occasione non vi è un grande rispetto per il Parlamento e tale circostanza è apparsa evidente anche in ordine alla votazione del provvedimento collegato alla manovra finanziaria approvato la scorsa settimana, perché anche in quel caso è stata posta la questione di fiducia.
In Commissione abbiamo assistito ai contrasti tra i riformatori e i massimalisti, e tra la coalizione che sostiene il Governo e lo stesso Governo, che tentava di difendere il testo dell'Accordo del 23 luglio scorso. Era veramente strano vedere il rappresentante del gruppo di Rifondazione Comunista chiedere, durante un'audizione, all'ex collega della CGIL il rispetto delle prerogative del Parlamento sovrano, qualora si fossero introdotti nel provvedimento elementi estranei all'Accordo - come l'abbattimento della soglia dei 5 mila usurati o la riduzione delPag. 17numero dei casi in cui è possibile stipulare un contratto a termine - e, nel contempo, pretendere il rispetto dell'Accordo stesso allorché veniva discusso un emendamento presentato dalla minoranza che reintroduceva, in alcuni casi, il cosiddetto lavoro a chiamata.
Ora il dilemma verte sulla circostanza se porre la questione di fiducia sul testo del Governo, che ha cercato di trasporre nel provvedimento in esame il contenuto delProtocollo del 23 luglio scorso, il quale aveva introdotto a sua volta elementi estranei all'accordo. In tal senso, cito per tutti l'articolo 6 del provvedimento in esame, che proroga i termini di presentazione delle domande per ottenere i benefici previdenziali per l'esposizione all'amianto. In realtà non vi è alcuna traccia di tale argomento nell'Accordo del 23 luglio. L'alternativa a tale possibilità consiste nel porre la questione di fiducia sul testo predisposto dalla Commissione lavoro o anche trovare una soluzione intermedia. Lo verremo a sapere, come al solito, dai giornali. Sappiamo solo che Confindustria e i sindacati desiderano un provvedimento che recepisca il testo dell'Accordo, altrimenti si troverebbero dinanzi ad un attentato alla concertazione. Inoltre, rammento che 5 milioni di lavoratori si sono espressi favorevolmente in ordine a tale Accordo.
Il leader della CGIL, Epifani, auspica che il tema degli usuranti venga risolto entro l'anno; non desidera il varo di una legge delega, perché vuole dare certezze ai lavoratori e ciò è giusto. Tuttavia, va fatto presente che il numero di tali lavoratori può variare da un estremo di un milione ottocentomila a 3 milioni e la spesa, di conseguenza, cresce. La maggioranza è smarrita e quando chiediamo informazioni ai colleghi otteniamo sempre risposte differenti. Il provvedimento, dopo l'esame in Commissione, è squilibrato dal punto di vista dei conti e, come si suol dire, attentare ai conti è il danno peggiore che si possa arrecare alla vita sociale.
Noi siamo contrari anche per questo motivo. I conti sono sbagliati; infatti, la revisione dello scalone costerà in un decennio 3 miliardi 800 milioni di euro più di quanto indicato nel provvedimento. La tutela del lavoro usurante, così come si configura dopo le modifiche in Commissione lavoro, costerà in un decennio da 10 a 12 miliardi e mezzo in più del previsto. L'incremento dell'aliquota contributiva per le categorie iscritte alla gestione separata presso l'INPS comporterà minori entrate. Infatti, si useranno sempre meno tali tipi di contratti perché troppo onerosi: le minori entrate sono stimate in un miliardo o un miliardo e mezzo.
Il provvedimento in esame ha trasposto un accordo tra le parti sociali, ma non tra tutte. Infatti, devo ricordare (citando alla rinfusa) che Confcommercio, Confartigianato, Confesercenti, Cassa Artigiani, che rappresentano il 60 per cento del PIL nazionale e il 40 per cento degli occupati, non hanno sottoscritto l'Accordo. L'impostazione, come abbiamo già detto, è troppo orientata alle pensioni e pochissimo (quasi per nulla) alle politiche attive del lavoro. Ancora una volta, siamo troppo lontani rispetto a ciò che avviene normalmente negli altri Paesi. La revisione dello scalone, come abbiamo visto, aggrava i conti pubblici e, tra l'altro, propone elementi di ingiustizia e di iniquità. Nel DPEF ed in altri documenti varati dal Governo ho sentito sempre parlare di equità e sviluppo sostenibile dal punto di vista finanziario. Ma quale equità vi è nel provvedimento, se i lavoratori autonomi sono discriminati rispetto ai lavoratori dipendenti? La copertura, quindi, è precaria e, come affermavo, vi sono soluzioni dirette a favorire alcune fasce di lavoratori a scapito di altre. Non a caso, i 10 miliardi di euro che Tommaso Padoa Schioppa ritiene necessari nel decennio per compensare il superamento dello scalone e per garantire i requisiti previsti ai lavoratori impegnati nelle attività cosiddette usuranti, vengono in parte coperti con l'aumento della pressione contributiva per i lavori parasubordinati. Ciò vuol dire che si avrà un inasprimento del costo del lavoro.
Inoltre, gli amministratori ed i soci di società si vedranno sottoposti ad una sorta di contributo di solidarietà senza la previsionePag. 18di un aumento della loro pensione. In pratica, questi lavoratori avranno nel 2008 un incremento contributivo superiore a 100 milioni di euro. Pensate alla cosiddetta clausola di salvaguardia, che il Governo ha previsto nel provvedimento in esame, in base alla quale se non vi saranno (come è probabile) i risparmi ipotizzati unificando gli enti previdenziali (3 miliardi e mezzo di euro) scatterà, a partire dal 2011, un ulteriore aumento contributivo generalizzato dello 0,09 per cento. Quindi è evidente che almeno la metà delle risorse necessarie per il superamento dello scalone e per l'agevolazione a favore dei lavoratori che svolgono attività usuranti sarà reperita attraverso l'aggravio della pressione contributiva. Quindi, siamo lontani dall'obiettivo di riduzione della spesa indicato, peraltro, nell'ultimo DPEF, ma è noto che i DPEF rappresentano il libro dei sogni.
Vengono rinviate scelte difficili, ma (ahimè!) necessarie come, per esempio, la revisione dei coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione determinata con il metodo contributivo. Cito da un testo di economia: «Con l'opposizione alla revisione dei coefficienti di conversione si vuole decretare la fine del metodo contributivo di calcolo delle pensioni, asse portante di un sistema pensionistico equo ed equilibrato. Questo metodo stabilisce che le pensioni dipendono dai contributi versati nel corso della vita lavorativa e dall'età alla quale si va in pensione. Il metodo prevede anche che, se nel corso del tempo la vita media si allunga, le persone potranno andare in pensione alla stessa età di quelle che le hanno precedute soltanto se saranno disposte ad accettare un assegno più basso o, in alternativa, potranno decidere di destinare al lavoro almeno una parte dell'allungamento della vita, ripristinando così pure i più alti livelli previdenziali». A ciò serve la revisione dei coefficienti, che mai cambierebbe le pensioni in essere. Essa è essenziale per il metodo contributivo, anzi vitale. Ebbene, si decide, invece, di spostare al 2010 la revisione dei coefficienti. Tuttavia faccio notare, come ho fatto in Commissione, che la revisione dei coefficienti di trasformazione è un atto dovuto per legge e non una scelta del Governo e delle parti sociali che la mettono in discussione.
È un obbligo di legge che purtroppo viene traslato in là e così lasceremo ai nostri figli un debito ancora più grande. Cosa dire a proposito dei figli, quando l'articolo 3 - è incontestabile - prevede che bisogna fare in modo che il 60 per cento del loro stipendio si trasformi nella loro pensione? Voglio ricordare a tutti voi che oggi con il sistema retributivo, quindi con un sistema molto più generoso, tolte le tasse, si arriva ad un tasso di sostituzione del 67 per cento. Come si fa a garantire il 60 per cento? Sicuramente ricorrendo alla fiscalità generale. È questo ciò che volete!
Vi è un altro argomento: per la prima volta nel nostro ordinamento viene subordinato il pensionamento di vecchiaia al meccanismo delle cosiddette finestre. La legge Maroni faceva andare in pensione tutti coloro che arrivavano a quaranta anni di contributi, normalmente subito dopo il raggiungimento di tale requisito. Viceversa, ora bisognerà attendere almeno tre mesi, anzi, per i lavoratori autonomi - alla faccia dell'equità! - addirittura fino ad un massimo di nove mesi. Stiamo parlando di vere e proprie iniquità. Infatti, in questo Protocollo ci sono diversi esempi di disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi. Più specificatamente, si mira a penalizzare il lavoro autonomo. Il disegno di legge in esame esclude espressamente proprio i lavoratori autonomi dai benefici pensionistici previsti per i lavoratori usuranti. Mi dite voi che differenza c'è tra un panificatore artigiano e uno dipendente, tra un autotrasportatore autonomo e uno dipendente? Costoro sono discriminati, non avranno i benefici previsti da questo provvedimento. Che dire poi dell'articolo 5, in cui si prevede la sospensione dell'indicizzazione della perequazione automatica? Si dice pomposamente che chi ha una pensione lorda pari a otto volte il minimo INPS (cioè 2.500 euro lordi, quindi chi ha 2 mila euro netti di pensione) viene ritenuto un signore molto ricco, per cui gli siPag. 19sospende l'indicizzazione. Quindi, ancora una volta si pensa alla Robin Hood che rubare ai cosiddetti ricchi per distribuire ai poveri sia l'unico metodo per ristabilire l'equità sociale. Che dire della questione dell'amianto, che aprirà una voragine, anche se si tratta solo di dare seguito agli atti di indirizzo dei sottosegretari degli ultimi Governi di centrosinistra della XIII legislatura? Che dire ancora del danno biologico? Si prevede di lasciare alla magistratura il compito di stabilire i danni, che molte volte sono pretestuosi.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, avete introdotto nuove rigidità per le imprese. Pensiamo al contratto a tempo determinato e al tetto dei 36 mesi rinnovabili soltanto una volta per altri 8 mesi, sulla base della modifica avvenuta in Commissione. Questo è il nodo gordiano che dovete sciogliere per produrre il terzo testo su cui porrete la questione di fiducia. Il tetto di 36 mesi è un'ulteriore rigidità: non avremo un nuovo occupato, ma un disoccupato in più se passerà questo provvedimento.
In questo modo, possiamo soltanto notare che avete introdotto automatismi e rigidità, che già in passato hanno scoraggiato le nuove assunzioni. Per quanto concerne il lavoro a chiamata, è vero che ne abbiamo votato in Commissione, insieme ad una parte della maggioranza, il ripristino e crediamo che abolirlo sia stato un grave errore. Ciò significa rispedire nel sommerso decine di migliaia di persone che fruivano di questo contratto ed erano riemerse. Parlo, per esempio, dei musicisti che sono 12 mila in Italia. Parliamo di coloro che lavorano nel settore del turismo e alberghiero. Siamo di fronte a 40-50 mila persone, che potrebbero fruire di questo contratto e che tranquillamente torneranno nel sommerso. Infatti, si pensa che tali contratti vengano utilizzati in modo surrettizio: bisogna fare controlli per verificare se tali contratti sono utilizzati bene o no. Lo stesso si dica per la penalizzazione economica nei confronti del part time sotto le dodici ore. Sono contratti il più delle volte genuini, normali, legittimi e leciti. Non si deve sempre pensare che non lo siano, basta fare le verifiche opportune. Dopotutto, il Ministero continua ad assumere - lo ha fatto anche adesso - nuovi ispettori del lavoro, fermo restando che sono gli ispettori delle ASL a fare più volentieri e più frequentemente le ispezioni. L'Unione europea afferma che i contratti a tempo determinato, a tempo parziale, di lavoro intermittente, a zero ore, quelli proposti ai lavoratori reclutati dalle agenzie di lavoro interinale, quelli di lavoro autonomo costituiscono parte integrante del mercato del lavoro di tutta Europa.
Cito il Libro verde dell'Unione europea, pubblicato il 22 novembre del 2006, un anno fa (quello che fa riferimento alla flexsecurity), che recita testualmente: «le sfide del futuro passano attraverso una progressiva modernizzazione del mercato del lavoro e non attraverso interventi legislativi che, portandoci indietro di decenni, irrigidiscono e paralizzano il mercato del lavoro». L'impianto di questo provvedimento smentisce assolutamente questa frase del Libro verde dell'Unione europea.
La delega relativa agli ammortizzatori sociali, l'infortunistica in agricoltura, le calamità naturali, l'articolo 28 che parla dell'occupazione femminile al 60 per cento (così come prevedono i parametri di Lisbona e Barcellona): ebbene, sono tutti libri dei sogni. Che dire poi dell'articolo 29, che non era assolutamente contenuto nel Protocollo sul welfare - lì si sono stati introdotti surrettiziamente argomenti che il Protocollo non aveva preso assolutamente in considerazione - dove non è contemplata l'indennità di disoccupazione per i lavoratori sospesi da imprese artigiane, cosa che invece è prevista per i lavoratori dipendenti della grande industria.
Fra l'altro, sempre per parlare di disparità - e concludo - quando si parla di consultazione delle parti sociali, ci si riferisce sempre alle organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti, mentre si escludono quelle dei datori di lavoro e del lavoro autonomo. In Commissione noi abbiamo cercato di introdurre questo riferimento,Pag. 20ma ci è stato bocciato senza che ci venisse mai spiegato il motivo, né dal relatore, né dal sottosegretario.
La «chicca» è l'articolo 32, comma 2, lo ha citato anche l'onorevole La Malfa, che dispone che dall'emanazione delle deleghe legislative inerenti agli ammortizzatori sociali, al mercato del lavoro e all'occupazione femminile, non devono derivare maggiori oneri a carico della finanza pubblica: è evidente che riforme su aspetti di così grande rilevanza sociale non possono essere effettuate a costo zero. Pertanto, così come è avvenuto in passato, c'è il rischio che queste riforme non possano essere varate, nonostante il Paese ne abbia una grande, grandissima, necessità (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cinzia Maria Fontana. Ne ha facoltà.

CINZIA MARIA FONTANA. Signor Presidente, colleghi deputati, signor Ministro e sottosegretari, voglio innanzitutto ringraziare il collega onorevole Delbono per la puntuale relazione svolta in quest'aula in merito al disegno di legge di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007, oggi in esame. L'illustrazione così dettagliata ed esaustiva delle diverse misure contenute nel provvedimento mi permette di concentrare il mio intervento sul disegno complessivo che caratterizza l'impianto delle norme.
Si tratta di un disegno riformatore, da attuare con diverse tappe temporali, che tiene insieme una coerenza di fondo sia con quanto previsto nel programma elettorale dell'Unione, sia con le scelte sulle quali il Governo ha impostato la propria azione in questo anno e mezzo. Un disegno unitario ed organico, perché i tre obiettivi di risanamento, crescita ed equità che hanno rappresentato, rappresentano e continueranno a rappresentare il segno più profondo della vera discontinuità con il passato, si fondono in un unico filo conduttore che attraversa e contraddistingue gli interventi nella loro complessità. Un disegno concreto perché il grande merito sta soprattutto nella scelta di affrontare i problemi reali del Paese, di fornire risposte alle condizioni sociali e materiali che il cittadino vive sulla propria pelle, che il lavoratore e l'impresa ci chiedono, di misurarsi con le sfide da cui dipende il destino comune degli italiani.
Globalizzazione, nuove tecnologie, pressioni competitive, cambiamenti demografici che ridisegnano le nostre società e le nostre economie, crescente richiesta di formazione: sono profondamente mutati i capisaldi su cui il secolo scorso sono state improntate le nostre politiche e, all'interno di ciò, il mondo del lavoro è uno degli ambiti più ricettivi dei cambiamenti in corso, dove con maggiore evidenza si polarizzano opportunità e disuguaglianze.
Il disegno di legge di attuazione del Protocollo del 23 luglio si pone interamente in questo quadro e rappresenta un'ulteriore tappa di continuità all'interno di una strategia complessiva che ha già prodotto ottimi risultati in soli diciotto mesi. Mi riferisco in modo particolare agli interventi contenuti nel decreto legge n. 223 del 2006, nella legge finanziaria del 2007, nell'anticipo dell'avvio della previdenza complementare, nella legge n. 123 dello scorso luglio in materia di tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro, nella legge n. 127 del 2007, il cosiddetto decreto extragettito, e nelle linee tracciate in materia di politica del lavoro nella manovra finanziaria del 2008.
Come ha sottolineato il relatore, si tratta di interventi a favore dell'emersione del lavoro nero e sommerso, volti a rendere meno vantaggioso il ricorso alle forme di lavoro più flessibile, di riduzione del cuneo fiscale, con un significativo impegno di risorse (pari a 5 miliardi di euro) a favore delle imprese che hanno alle proprie dipendenze lavoratori e lavoratrici a tempo indeterminato, misure per il miglioramento delle tutele per i lavoratori non standard, nonché a favore dei soggetti oggi socialmente deboli, quali i giovani, le donne, i lavoratori over cinquanta e i pensionati a basso reddito.
Ho voluto ricordare brevemente tali misure che, come ho già affermato, stanno già producendo concreti effetti positivi, perché testimoniano la scelta responsabilePag. 21della maggioranza di centrosinistra di prendersi carico dei problemi che affliggono il Paese e da qui costruire progetti che riguardino l'intero orizzonte delle politiche sociali ed economiche.
Ben diversa è stata, invece, negli anni passati l'attenzione su tali temi: di fronte a nodi strutturali il Governo di centrodestra ha, infatti, tentato di puntellare con misure di corto respiro soltanto la competizione di costo, cercando di scaricarla in particolare sui giovani, e ha rinviato, se non addirittura eluso, le riforme necessarie. L'avvio della previdenza complementare è stato posticipato al 2008, la delega al Governo in materia di sicurezza sul lavoro non ha mai visto la luce, la riforma degli ammortizzatori sociali, continuamente sbandierata come secondo pilastro della legge n. 30 del 2003, è rimasta lettera morta e la scadenza del 2005 per l'adeguamento dei coefficienti di trasformazione - un atto dovuto per legge, come ci ricordava l'onorevole Fabbri - è passata con un nulla di fatto.
Inoltre, con l'attuale Governo si era aperta la stagione della concertazione con le parti sociali, rilanciando così un metodo in cui le ragioni del lavoro e dell'impresa si misurano in un orizzonte comune di impulso allo sviluppo del Paese, perché da esso dipende il futuro di tutti e la realizzabilità degli stessi progetti di equità sociale. A tal proposito, mi preme evidenziare come il Protocollo sul welfare, non rappresentando un fatto isolato, ma un disegno complessivo che si inserisce in un più ampio percorso di confronto serio con le parti sociali, abbia già prodotto ulteriori e positivi accordi successivi al 23 luglio scorso. Mi riferisco al Protocollo sulla cooperazione del 10 ottobre, tra Governo e associazioni del mondo cooperativo, volto a realizzare un'efficace azione di contrasto al fenomeno delle cosiddette cooperative spurie, oppure al Documento su lavoro e previdenza dei giornalisti, nel quale si prevedono i trattamenti di maternità e malattia, la stabilizzazione dei collaboratori e si stabilisce l'armonizzazione, nell'arco di quattro anni, delle aliquote contributive dei collaboratori coordinati e continuativi iscritti all'albo dei giornalisti con quello dei collaboratori iscritti alla gestione separata INPS, assicurando così un migliore futuro pensionistico. Mi riferisco, altresì, all'Accordo sull'emersione del lavoro nero e sommerso in agricoltura, siglato il 21 settembre scorso da Governo, parti sociali, INPS e INAIL e interamente recepito nel capo IV del disegno di legge di attuazione del Protocollo sul welfare. Si tratta di interventi che l'agricoltura chiedeva da tempo, già con il primo avviso comune firmato nel 2004 ma mai recepito. Nel provvedimento oggi in esame si apporta una sostanziale modifica al sistema degli ammortizzatori sociali in agricoltura, trasformandolo in un sistema più adeguato all'attuale realtà produttiva del settore e superando un impianto che nel tempo ha creato pesanti distorsioni, in quanto ha incentivato, da una parte, l'evasione contributiva e, dall'altra, il lavoro fittizio. Si prevedono, inoltre, incentivi alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro, alla formazione continua dei lavoratori agricoli, assolutamente indispensabile per affrontare le continue trasformazioni tecnologiche, organizzative e produttive del settore e come investimento sul ricambio generazionale, nonché alla tutela dell'igiene e sicurezza sul lavoro, intervenendo in modo mirato a sostegno delle imprese agricole virtuose.
Si continua, perciò, quel percorso che vede nel sostegno all'impresa e nell'incentivo ai comportamenti socialmente responsabili la leva per incidere sul miglioramento del mondo del lavoro.
Per tutte le considerazioni sopra espresse, ritengo riduttivo il fatto che l'opinione generale si stia concentrando quasi esclusivamente su due aspetti: la previdenza e alcune forme di rapporto di lavoro, certo importanti ma non costituenti il tutto.
Minore sembra essere, invece, l'attenzione e la valorizzazione su altri capitoli che reputo particolarmente rilevanti e significativi: le misure a favore dei giovani e dell'occupazione femminile; gli incentivi per l'assunzione del personale con disabilità; le misure in materia di competitivitàPag. 22con il Fondo per gli sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello con la detassazione della retribuzione di risultato o con la soppressione della contribuzione aggiuntiva sul lavoro straordinario; gli interventi in materia di ammortizzatori sociali, grazie ai quali, a partire dal 2008, l'indennità di disoccupazione sarà aumentata sia per quanto riguarda la durata, sia per la misura e con la previsione di una delega per la riforma degli istituti a sostegno del reddito che andrà nella direzione della creazione di una rete universale di sicurezza e che si dovrà integrare strettamente con le politiche attive del lavoro, con i percorsi di formazione e di reinserimento lavorativo, con il potenziamento dei servizi per l'impiego, perseguendo così l'obiettivo di un welfare attivo, in grado di assicurare a tutti uguaglianza ed opportunità al posto di un vecchio welfare di risarcimenti.
È, quindi, fondamentale considerare il testo nella sua completezza, perché affronta l'allargamento del sistema a favore di chi, oggi, non ne fa parte, migliorando così l'inclusione sociale, la partecipazione al mercato del lavoro e la produttività. Unisce padri e figli anziché dividerli e consegna al Paese un sistema più equo e solidale in grado di assicurare la crescita nell'equità, coniugando ragioni produttive, esigenze di innovazione ed elementi di costo con una buona occupazione di qualità, garanzia essa stessa di vera crescita e sviluppo del Paese.
Poiché il cuore del Protocollo e del disegno di legge di attuazione si rivolge in maniera rilevante ai giovani, alle donne e alle loro condizioni lavorativa e previdenziale, esso rappresenta uno straordinario investimento per il futuro e una straordinaria occasione per superare l'attuale divario di opportunità personali e sociali e per rimettere in moto le migliori energie del Paese.
Il gruppo del Partito Democratico-L'Ulivo esprime, perciò, pieno e convinto sostegno al disegno di legge di attuazione del Protocollo del 23 luglio perché il provvedimento si pone l'obiettivo di riscrivere un patto tra le generazioni che per la prima volta nella storia era saltato; perché si disegna una società dove la precarietà non è la regola, dove non è l'incertezza a scandire, a ferire e a umiliare la vita delle persone; perché si riconosce che le politiche attive del lavoro, l'investimento sulla qualità del capitale umano, il rispetto della dignità della persona, la capacità di innovare contemporaneamente la piena valorizzazione dei soggetti oggi ai margini del mercato del lavoro, in particolare, donne e giovani, siano le leve in grado di accrescere la competitività e la produttività del nostro Paese e di apportare un contributo determinante allo sviluppo economico e sociale. Senza crescita, infatti, gli obiettivi dell'equità, delle opportunità e della redistribuzione sono destinati a soccombere, in quanto senza crescita la società rimane immobile e in una società immobile sono i giovani a pagare il prezzo più alto.
Lavoro, impresa e formazione, quindi, sono per noi le componenti di un nuovo patto sociale per assumere una comune responsabilità per il destino dell'Italia, per riuscire a realizzare insieme una società più aperta e più giusta affinché sulla paura e sulle incertezze prevalgano speranza e fiducia nel futuro.
Concludo soffermandomi su alcune considerazioni rispetto al testo che oggi siamo chiamati a discutere. Il disegno di legge presentato dal Governo recepisce in modo coerente l'accordo del 23 luglio, frutto di un importante, lungo e faticoso lavoro di concertazione tra le parti e approvato a larghissima maggioranza dagli oltre 5 milioni di lavoratori e pensionati che hanno partecipato al referendum promosso dalle organizzazioni sindacali. Un accordo, quindi, che rappresenta un equilibrio delicato, da cui non possiamo prescindere nelle nostre valutazioni per il rispetto delle parti contraenti che hanno raggiunto tale compromesso e per la serietà con cui hanno svolto il proprio ruolo nell'interesse del Paese.
Altrettanto importante e serio è stato, a mio avviso, il lavoro prodotto nelle scorse settimane dalla Commissione lavoro, pur con le diverse sensibilità politiche all'interno della stessa maggioranza, con una discussione responsabile e con propostePag. 23mai (sottolineo mai) tese a delegittimare il ruolo e il valore della concertazione, ma svolgendo a pieno il suo ruolo parlamentare. È pertanto assolutamente priva di senso l'accusa, questa sì delegittimante, di un Parlamento irresponsabile e squalificato.
Come gruppo Partito Democratico-L'Ulivo, abbiamo sostenuto in Commissione le ragioni del disegno di legge, condividendone l'impianto e difendendo il contenuto di ciascuno dei 32 articoli: continueremo a farlo in questi giorni in aula, convinti che le modifiche apportate rispettino pienamente sia l'equilibrio sia la sostenibilità economica, non stravolgano i pilastri fondamentali dell'intesa e, anzi, la rafforzino in alcune parti. Siamo altrettanto convinti che sia necessario contribuire, con profondo senso di responsabilità, nello sforzo - che deve essere comune - di trovare una sintesi positiva per tutte le parti.
Siamo favorevoli a perseguire tale obiettivo e, pertanto, ribadisco il pieno sostegno al disegno di legge in esame (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bodega. Ne ha facoltà.

LORENZO BODEGA. Signor Presidente, l'onorevole Delbono ha messo in luce le caratteristiche di un provvedimento importante, sottoscritto dalle parti sociali, che deve essere approvato così come è in quanto stabilisce alcune misure fondamentali per il rilancio dello Stato sociale nel nostro Paese: un documento che farà crescere il Paese, che può contenere aspetti controversi (che però non sono molti) e atteso con ansia da tutto il Paese. Tutto ciò, consentitemi di affermare, per quanto mi riguarda, non è vero.
La battaglia sul welfare è diventata, a mio parere, uno strumentale confronto tra schieramenti: è davvero poco civile e politico che sull'impianto dello Stato sociale si badi ai giochi di parte e alle convenienze più che ai cittadini e ai primi destinatari di una riforma che vuole cancellare decenni di assistenzialismo. È in tal senso che il centrosinistra non ha capito il carattere innovativo, rivoluzionario e solidaristico della cosiddetta legge Maroni, che ha posto rimedio alla situazione devastante, sul piano sociale ed economico, del nostro Paese. Pensate a quante parole si sono consumate, sia per iscritto sia oralmente, sulla cosiddetta legge Biagi, strumentalizzando anche i giovani e caricandoli di attese e di speranze che il nostro sistema non può garantire: non può non essere strumentale l'attacco a una legge elaborata e studiata da un giuslavorista che non aveva certo una matrice ideologica conservatrice! Onestamente, credo di più al professore Ichino, che magnifica tale legge, rispetto a chi l'ha voluta affondare (o modificare in gran parte) senza conoscerne le conseguenze.
Valutiamo, poi, i fatti: in occasione del referendum promosso dai sindacati, il «sì» è provenuto soprattutto dai pensionati, mentre la categoria dei metalmeccanici - ossia l'aristocrazia operaia - ha detto in maggioranza «no», sia nel merito sia, soprattutto, perché non si riconosce in questo Governo. La riprova è stata la manifestazione di piazza che ha visto la sinistra manifestare contro il Governo, giustamente fiera di avere radunato a Roma un milione di persone.
Come si conciliano, allora, posizioni contrapposte, volendo mettere insieme i diritti sacrosanti dei lavoratori - secondo me pagati troppo poco - con la questione del precariato, agitato come una bandiera e una minaccia della quale i giovani rischiano di essere le prime vittime? Non si può «strappare» il «sì» di Confindustria e quello della sinistra massimalista (chiamatela come volete: forza antagonista, certamente comunista).
È una contraddizione che sta pagando il Paese ed è la prova che il Governo non può rappresentare gli italiani, perché è un Governo di minoranza. Bisognava immaginarlo subito, nel 2006, quando il pareggio elettorale ha fatto capire che 280 pagine di programma non si realizzano con i senatori a vita. Questa era onestà politica, che avrebbe risparmiato al PaesePag. 24una penosa odissea, giunta sino a far diventare sport nazionale le scommesse sulla caduta del Governo.
Come hanno già affermato i deputati che mi hanno preceduto, durante i lavori in Commissione, intensi e faticosi, sono state ascoltate molte voci, dalle organizzazioni sindacali alle associazioni di categoria, dagli enti di previdenza agli agricoltori. Vi sono stati passaggi molto delicati per questa maggioranza, per effetto dell'irrigidimento di alcune posizioni - che, come immagino, hanno fatto preoccupare molto il Governo - con Rifondazione Comunista, da una parte, e i diniani e il Partito Democratico, dall'altra, che hanno messo a rischio la tenuta di questo provvedimento.
Le fibrillazioni si sono avvertite anche in queste ultime ore nelle dichiarazioni dei sindacati, di Confindustria e di parte della stessa maggioranza, contrari a modifiche del disegno di legge che recepisce l'accordo firmato con il Governo nel luglio scorso su pensioni e mercato del lavoro. I liberaldemocratici di Dini e D'Amico, infatti, confermano che voteranno a favore del disegno di legge solo se sarà fedele al testo originario e, quindi, senza modifiche, peraltro apportate dalla Commissione lavoro della Camera, dove sono stati approvati alcuni emendamenti della sinistra radicale e della nostra minoranza.
Confindustria fa sapere, a chiare lettere, che il testo dell'accordo non deve essere minimamente modificato, perché cambiare il Protocollo significa uccidere la concertazione. Ma dove siamo? CGIL CISL e UIL avvertono che ogni cambiamento deve essere ridiscusso con loro.
Signor Ministro, ciò che speravo e mi auguravo non avvenisse - lo speravo veramente, con sincerità, ma purtroppo ormai la strada sembra essere questa - era che l'Esecutivo ponesse la questione di fiducia per far approvare il disegno di legge.
Per anni il centrosinistra ci ha dato lezioni sulla necessità che il Parlamento fosse il luogo delle decisioni. Mi ero illuso che si potesse dibattere ed entrare nel merito delle questioni e degli argomenti e anche - perché no - imparare.
Invece, constato, ancora una volta, che siamo davanti a una concezione burocratica della politica, che comporta solo: alzare o abbassare le mani, schiacciare pulsanti, dire «sì» o «no», manifestare meccanicamente la propria volontà.
Sento dire che occorre aprire il dialogo sulle riforme costituzionali, ma mi sento di affermare che, se non ci si esercita con la dialettica concreta e con il confronto, non è possibile coinvolgere il Parlamento nella sua interezza su leggi di vasta portata.
Con quale spirito si partecipa ai lavori dell'Assemblea se si procede in modo notarile? Avanti di questo passo, si arriverà ad accentuare la disaffezione verso le istituzioni. Ma questo Governo ha paura? Questo Governo è sotto scacco da parte dei sindacati o di Confindustria e perciò resiste e si oppone alle proposte di modifica avanzate dal mio movimento, la Lega Nord, e dal centrodestra? Ma perché? Si intende resistere a tutti costi, perché non importa nulla del disastro in atto nel Paese.
Cosa importa al Governo se il Paese si interroga sulla temperatura del suo inverno, visto che abbiamo cominciato a intaccare le scorte del gas? Cosa importa al Governo se la gente si interroga su come potrà arrivare alla fine del mese facendo fronte ai rincari di prezzi e bollette e se si augura, nel frattempo, che la sua casa non sia visitata dai ladri?
E i rumeni? Possono stare tranquilli, perché quella è una pagina già dimenticata. E anche la gente che muore sui luoghi di lavoro può tranquillamente continuare a morire?
Ma vi è di più, la violenza sulle donne, la circostanza che l'Italia è il Paese al terzo posto per consumo di droga in Europa e tralascio di aggiungere il resto.
Ma tutte queste, naturalmente, per il Governo sono emergenze vecchie, buone tutt'al più per qualche convegno.
Infatti, oggi il problema del Governo è solo quello della propria tenuta, della propria sopravvivenza, di accontentare i poteri forti e non la povera gente, di far approvare la versione originale del Protocollo del 23 luglio 2007 e di conseguenzaPag. 25ottenere l'approvazione del disegno di legge in esame senza alcuna aggiunta, modifica o stralcio.
Allora, che dire dei costi del provvedimento sottoposto alla nostra attenzione? Mettono in crisi l'equilibrio del sistema previdenziale, faticosamente raggiunto attraverso un decennio di interventi: non più 10, ma 23,8 miliardi di euro di maggiorazione di spesa, e potrebbero crescere ancora. A tanto ammonta la «bolletta», definiamola così, della riforma del welfare.
La sola trasformazione dello «scalone» previdenziale in tanti «scalini» - forse, lo ripeto, si tratta di concetti già espressi più volte - costerà alle casse pubbliche una fortuna.
Il Governo aveva previsto che in dieci anni vi sarebbero stati 345 mila pensionati in più, per effetto della riforma in esame, e 7,5 miliardi di euro di costi aggiuntivi per la previdenza: stando a proiezioni diverse, tuttavia, la realtà è che ai 345 mila pensionati previsti da palazzo Chigi andranno aggiunti almeno altri 174 mila pensionati.
Dobbiamo anche sottolineare che la modifica dell'età pensionabile, rispetto alla riforma Maroni, crea non poche difficoltà a chi, ad esempio, si è visto costretto ad optare per una mobilità lunga, che per molti lavoratori comporta l'anticipo della data del diritto alla pensione per un periodo che va da uno a quattro anni, con inevitabili riduzioni, quindi, della pensione e dell'assegno mensile.
Si dovrà poi prestare attenzione all'esito che avrà la vicenda dei lavori usuranti; mi riferisco a quei lavoratori che saranno esclusi da qualsiasi «stretta» sulle pensioni d'anzianità, considerato che il tetto delle cinquemila pensioni anticipate all'anno è stato superato, ed è rimasto solo un generico tetto di spesa, che potrebbe non reggere ai ricorsi degli esclusi.
L'eliminazione dei contratti a chiamata, anziché muovere il mercato e creare occasioni per i giovani, favorirà la disoccupazione e aumenterà ulteriormente il lavoro nero. Infatti, il lavoro intermittente ha dimostrato, in alcuni settori (turismo, servizi, commercio, assistenza alla persona, eventi sportivi), di poter rappresentare un valido strumento di contrasto al lavoro nero e irregolare.
Anche se forse l'espressione è un po' troppo forte, si tratta di un provvedimento che grida vendetta.
La sospensione dell'indicizzazione delle pensioni, prevista dall'articolo 5 del provvedimento in esame, è un fatto vergognoso. È un imbroglio affermare che vale solo per il 2008: chi è a conoscenza del funzionamento di tali meccanismi si sente preso in giro.
La razionalizzazione degli enti previdenziali è un'ulteriore presa in giro: in concreto, si tradurrà in un aumento della pressione contributiva per tutti i lavoratori. Come si fa ad affermare che nel 2011 vi sarà un aumento dei contributi, solo nel caso in cui non si verifichino risparmi di spesa per 3,5 miliardi di euro, a seguito di questa supposta razionalizzazione? L'unico modo per ottenere risparmi di tale tipo sarebbe quello di non pagare più le pensioni, ma non si può e quindi si dovrà aumentare la pressione contributiva, ancora una volta!
Analogamente è un'altra presa in giro garantire almeno il 60 per cento delle retribuzioni per chi andrà in pensione fra trenta o quarant'anni.
Il lavoro a tempo parziale è stato, nel corso degli ultimi anni e grazie alla legge Biagi, il motore della crescita occupazionale del nostro Paese, soprattutto per quanto riguarda le categorie critiche in termini di tassi di occupazione: donne, giovani e anziani. Un'inutile irrigidimento di tale normativa, oltre a penalizzare le imprese, finisce per ritorcersi contro gli stessi lavoratori e quanti sono in cerca di un'occupazione in grado di conciliare tempi di vita e di lavoro.
È fin troppo chiaro come il Protocollo sul welfare rappresenti un compromesso verso il basso che umilia e non nobilita le istanze degli uni e le prudenze degli altri. Si avverte netta la sensazione che non si sia tenuto conto delle esigenze delle categorie sociali in gioco, dei soggetti deboli in campo come i precari e i pensionati e si sia badato solamente a portare a casa delle convenienze per la propria parte politica. Al riguardo, onorevole Burgio,Pag. 26immagino che la sinistra radicale presenterà il recepimento legislativo del Protocollo come la capacità di aver messo alla corda i centristi e i moderati dello schieramento. Ma mi immagino anche come i moderati stessi mostreranno fierezza per non aver per ceduto alle pressioni dei massimalisti. Si tratta di una normale dialettica politica? No, si tratta semplicemente di contraddizioni esponenziali e inconciliabili. Tutto ciò si dimostra ancora più vero allorché siamo in presenza di un votazione di merito che non può essere espressa pena una spaccatura annunciata pronta a manifestarsi. La verità è che in ogni provvedimento quale che sia il suo peso ma in specie in quelli di maggior «calibro» il voto si esaurisce in un referendum pro o contro Prodi.
È per queste ragioni che il Paese non si riconosce in un Governo che ogni giorno fa la conta e si rende conto che la sopravvivenza della maggioranza comporta la deriva economica e sociale dell'Italia. Questo è l'aspetto essenziale, un Governo che non piace ad alcuno, nemmeno al senatore Dini, al senatore Bordon o al senatore Manzione che hanno già decretato la sua caduta politica.
Mentre ci si dibatte sugli schieramenti, sulle scomposizioni e ricomposizioni del quadro politico, la Lega Nord rivendica la propria coerenza richiamandosi alle identità, alle radici e agli obiettivi programmatici. Il Governo è sempre più in balia di se stesso e cerca di prendere fiato spostando il dibattito su questioni di schieramento e di riforma elettorale, dimenticando che il Paese va a rotoli e che a pagarne il prezzo maggiore sono quelle fasce sociali che il Protocollo sul welfare vorrebbe tutelare.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI (ore 12,30)

LORENZO BODEGA. L'altro giorno a Lecco, la mia città, si è svolto un concorso con 170 partecipanti per l'assunzione di un impiegato di III livello. Andate voi a raccontare quale futuro e quali certezze possono nutrire i 169 candidati non scelti. Si tratta di un esempio recente e del tutto casuale ma estensibile ad ogni latitudine del Paese, ad ogni concorso, ad ogni esame di Stato, ai test per accedere all'università. Prima ancora che sul posto di lavoro, nell'esistenza in generale, esiste un popolo di precari e di delusi. In un Paese che, invece di aggrapparsi al welfare, rischia di essere stracciato, bisogna intervenire con cambiamenti e trasformazioni. Esiste, infatti, un universo di lavoratori che cercano dignità prima ancora che il posto fisso. Dobbiamo occuparci dei giovani e delle donne di un Paese che secondo i dati odierni vede un precario ogni dieci lavoratori e in cui le donne occupate rappresentano solo il 46 per cento; le famiglie non possono vivere con un solo stipendio.
Non siete intervenuti sull'impianto strutturale del sistema lavoro ma vi siete limitati ad apportare «toppe», spesso più deleterie del buco! È una legislazione che non sa valorizzare i lavoratori autonomi e che liquida come «bamboccioni» i ragazzi costretti a restare a casa per farsi mantenere con vitto e alloggio come nelle pensioni in vacanza.
Concludendo, non posso non affrontare il tabù dell'età pensionabile che viene trattato «un tanto a pezzo». Non si capisce che altrove si va in pensione a 67 anni e che noi non possiamo andarci a 58 salvo consegnarci alla schiera dei Paesi senza più futuro.
Si è persa l'occasione di limitarsi a portare qualche correttivo alla cosiddetta legge Maroni, che, con le intuizione di Marco Biagi, riuscì a produrre una riforma all'altezza dei Paesi europei, così rispondente alle esigenze complessive da aver trovato larga parte del sindacato convinto e consenziente.

In ricordo del maresciallo capo Daniele Paladini (ore 12,32).

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea ed i membri del Governo). A seguito di un attentato occorso sabato scorso nei pressi di Kabul haPag. 27perso la vita il maresciallo capo dell'esercito Daniele Paladini. Altri tre militari del contingente italiano sono rimasti feriti. Si è trattato di una tragedia che ha colpito un nostro concittadino impegnato in una missione decisa dal Governo e dal Parlamento della Repubblica. Tutto il Paese è vicino alla famiglia di Daniele Paladini a cui va la nostra intensa solidarietà e la nostra partecipazione al dolore. La generosità che ha segnato il gesto costatogli la vita, e che ha permesso di preservarne molte altre, ci offre la testimonianza delle difficoltà in cui si trovano ad agire uomini come lui nei contesti più lacerati del mondo, e della straordinaria dedizione con cui nostri concittadini vi spendono il proprio impegno.
A fronte dello sgomento per questo nuovo drammatico evento le istituzioni democratiche hanno il compito di percorrere, con sempre maggiore intensità, la via della crescita della coscienza civile unitaria del Paese e della sua unità nei valori della Costituzione e nel primato della vita umana, e ciò tanto più in un tempo in cui le ragioni dell'uomo sono così duramente esposte alle offese del terrorismo, della guerra e della violenza, e così intenso si avverte il bisogno di costruire per la comunità umana le condizioni di una pace stabile e duratura.
La violenza oggi colpisce un militare dell'esercito italiano, un cittadino della Repubblica che qui ricordiamo con rispetto ed umana fraternità. La Camera dei deputati rinnova ai familiari del maresciallo capo Paladini i sentimenti del cordoglio più profondo, e, a quelle dei militari rimasti feriti, la più intensa solidarietà e vicinanza.
Invito l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio - Generali applausi).

Si riprende la discussione (ore 12,34).

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3178-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Burgio. Ne ha facoltà.

ALBERTO BURGIO. Signor Presidente, signori membri del Governo, colleghe e colleghi, su una considerazione, a mio avviso, siamo tutti d'accordo: l'Assemblea si accinge a discutere - se il Governo non prenderà la decisione, a nostro parere non opportuna, di porre la questione di fiducia - un provvedimento importante che comprensibilmente ha destato, fin dall'inizio, grande attenzione e anche polemiche.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 12,35)

ALBERTO BURGIO. Il disegno di legge in esame «tocca» aspetti molto rilevanti della condizione sociale e di quella lavorativa: dalla previdenza ad aspetti fiscali e retributivi, a figure contrattuali di primaria importanza. Data la sua complessità, il giudizio non può che essere articolato, d'altra parte la ristrettezza dei tempi ci impone in questa sede una valutazione riferita ai soli aspetti cruciali, sui quali si è concentrato anche l'esame della XI Commissione.
La decisione di porre la questione di fiducia, ventilata in questi giorni e ancora al vaglio del Governo, non ci sembra opportuna; non vediamo infatti la ragione di blindare il provvedimento, impedendo una discussione che si svilupperebbe con ogni probabilità in modo costruttivo, come è accaduto sin qui nella Commissione di merito.
Stiamo, dunque, seguendo un iter del tutto regolare e non vi è alcun bisogno di introdurre «blindature». Per tale motivo, chiediamo al Governo di non cedere a questa tentazione, almeno fin quando non vi sarà la «prova provata» che la Camera non è in condizione di rispettare il calendario che si è data.
In quel caso - ma solo in quel caso - la posizione della questione di fiducia rientrerebbe in una prassi regolare e sarebbe a nostro giudizio accettabile, purché - beninteso - il testo di riferimento fosse quello licenziato dalla Commissione che è, sino a prova contraria, l'istituzionePag. 28parlamentare che nel pieno delle proprie prerogative ha lavorato e deliberato sulla materia.
Una decisione diversa, che cancellasse questo lavoro, costituirebbe ai nostri occhi una forzatura incomprensibile, che rischierebbe di apparire lesiva delle prerogative del Parlamento, costituendo un precedente decisamente negativo. Il Ministro Ferrero ha parlato in proposito di uno sfregio all'ordinamento democratico e siamo del tutto d'accordo con tale giudizio.
Riguardo al lavoro della Commissione, sappiamo che proprio su questo si sono scatenate le polemiche di chi teorizza la presunta intangibilità del Protocollo. Sappiamo che si è preso a pretesto il lavoro della Commissione per sostenere che il Protocollo sarebbe stato stravolto. Sono state dette a tale proposito enormità anche da parte di personaggi molto autorevoli, che dovrebbero, in quanto tali, misurare attentamente le parole.
Secondo una tesi sostenuta in modo convergente da alcuni imprenditori e da taluni dirigenti sindacali, il Parlamento si sarebbe dovuto astenere da qualsiasi modifica, trattandosi di un accordo tra le parti sociali.
Si è aggiunto con toni vagamente minacciosi che qualunque cambiamento del testo del 23 luglio, peraltro già lievemente modificato, sarebbe responsabile di un crimine capitale: niente meno che la definitiva messa a morte - così si sono espressi sia il presidente della Confindustria, sia il senatore Dini - della concertazione.
Circa la concertazione possiamo avere opinioni diverse, ma lasciamo da parte questo discorso e occupiamoci della pretesa che il Parlamento si limiti a ratificare un accordo tra le parti sociali e il Governo. Tale pretesa mi pare rifletta una concezione corporativa, in base alla quale le leggi - perché di una legge stiamo parlando e non di un contratto - debbano essere emanate dai corpi intermedi, diretta emanazione degli interessi particolari. È una concezione che semplicemente nega in radice l'esistenza stessa di una società quale fonte dell'interesse generale e, per tale ragione, fonte della sovranità.
Si capisce che la tesi esposta piaccia agli industriali e alla destra; inquieta e allarma il fatto che seduca anche taluni dirigenti delle maggiori organizzazioni sindacali, che, evidentemente, non vedono i pericoli che si annidano in un modello del genere, qualora si affermasse. Infatti, se tutto si riduce al conflitto tra interessi particolari, è poi inevitabile che vinca l'interesse più forte, senza che possa darsi alcun terreno di regolazione, alcun intervento arbitrale sovraordinato.
Ad ogni modo, quanti in questi giorni «tuonano» e «s'impancano» a maestri di teoria politica, farebbero buona cosa a rileggersi la Costituzione, che - lo sappiamo - sta stretta a molti ma è ancora vigente: a Costituzione vigente le leggi sono emanate dal Parlamento.
Tuttavia, appare fondata una critica al metodo seguito dal Governo. Mi pare lo abbia riconosciuto anche l'onorevole Soro, che ha giustamente osservato che il Governo avrebbe dovuto cominciare il percorso dal Parlamento per ottenere una delega circostanziata, in base alla quale impostare il confronto con le parti sociali.
L'onorevole Soro ha ragione e dispiace che il segretario del neonato Partito Democratico si sia espresso su questa materia in modo difforme dal suo capogruppo. Sta di fatto che non si sarebbe dovuto dare al Protocollo uno statuto di per sé incompatibile con le prerogative costituzionali del Parlamento.
L'incontro e l'accordo tra le parti sociali è un elemento rilevante che fornisce al Parlamento importanti elementi di giudizio e di orientamento, ma non può precostituire un vincolo per il legislatore, al quale compete la piena sovranità sul piano normativo. Ciò andava detto con chiarezza fin dall'inizio del percorso, per prevenire le polemiche di questi giorni, facilmente prevedibili. Sarebbe, dunque, il caso di evitare ipocrisie e strumentalità.
Due sono le questioni sostanziali che dovrebbero contare, a nostro giudizio, per chi ha davvero a cuore i diritti e gli interessi dei lavoratori di questo Paese e non soltanto di una più o meno astratta economia.Pag. 29
La prima questione chiama in causa la maggioranza e il Governo: vi sono alcuni impegni del programma dell'Unione che attendono di essere onorati. Nel programma si prevede la cancellazione delle tipologie di lavoro più precarizzanti istituite dalla legge 14 febbraio 2003, n. 30, e si prevede, altresì, di introdurre vincoli ai contratti a termine ben più pesanti di quelli di cui stiamo parlando. Nel programma è scritto, testualmente, di motivazioni legate all'oggettivo carattere temporaneo delle prestazioni. Se questo è vero, le modifiche apportate dalla Commissione che si muovono in questa direzione dovrebbero essere considerate semplici atti dovuti e non già dare adito a polemiche politiche in seno alla maggioranza.
La seconda considerazione riguarda tutti coloro che intendono difendere i diritti del lavoro, a cominciare dalle organizzazioni sindacali: a nostro avviso, quel che conta non è tanto chi fa una cosa, chi sigla un accordo, chi propone una modifica o chi vara una norma; quel che conta, alla fine, è (o dovrebbe essere) il risultato, che dev'essere migliorativo nell'interesse dei lavoratori. In questo spirito ci siamo mossi e intendiamo continuare a muoverci, e con questo spirito ciascuno dovrebbe valutare il contributo fornito da tutti gli attori impegnati.
Veniamo, dunque, agli aspetti di merito, limitandoci - come dicevo - ai più importanti: per quanto concerne la previdenza, signor Ministro, non abbiamo mai nascosto il nostro giudizio non positivo sulla riduzione dei coefficienti, sulla triennalizzazione del ricalcolo e sul modo con cui si è modificato lo «scalone», limitandosi a diluirlo in tre anni e, anzi, ipotizzando persino un maggiore innalzamento dell'età pensionabile.
Non abbiamo condiviso queste misure per la semplice ragione che non è vero che i conti della previdenza siano in rosso. I conti, sulla base dei quali sono state varate le riforme previdenziali nello scorso decennio (le quali hanno ridotto drasticamente la copertura pensionistica per le giovani generazioni), si sono rivelati sbagliati. Tuttavia, ciò sembra non interessare al Governo, che si guarda bene - almeno sino ad ora - dall'applicare una legge del 1998 che dispone la separazione tra assistenza e previdenza, la quale aiuterebbe a fare chiarezza una volta per tutte e impedirebbe questo ciclico attacco alle pensioni dei lavoratori dipendenti.
Nondimeno, abbiamo proposto una modifica che, tenendo fermo il risultato, preveda la possibilità di raggiungerlo anche senza innalzare l'età. Perché non si è voluto ascoltare? Perché non si vuole riconoscere che, se un lavoratore ha lavorato uno o due anni più del minimo richiesto, ciò gli va riconosciuto, accettando una riduzione dell'età? Si parla di rigore, conti, finanza pubblica, ma temiamo che la realtà sia ben diversa: la realtà è quella di un Paese che diventa sempre più ingiusto e che, oltre tutto, proprio per questo, si sta impoverendo.
In questi giorni ero nel Biellese, un distretto del tessile in profonda crisi, dove ho incontrato decine di lavoratrici e di lavoratori: ve ne sono moltissimi, ormai, senza lavoro, che hanno più di cinquant'anni, con oltre trent'anni di lavoro alle spalle. Costoro vorrebbero trovare un impiego per poter andare in pensione, ma nessuno li vuole. Le aziende chiedono di alzare l'età e poi assumono solo chi ha meno di trent'anni. E noi, a queste persone, cosa rispondiamo? Innalziamo l'età pensionabile e li mettiamo in una situazione drammatica, senza vie d'uscita. Possiamo meravigliarci, senza ipocrisie, se per disperazione vanno a lavorare al nero e se poi ci scappa anche qualche morto, qualche suicidio, come è avvenuto ancora, qualche giorno fa, a Imperia?
Vi è poi la questione dei lavori usuranti, a proposito della quale la Commissione ha approvato una modifica importante, che elimina una clausola restrittiva, la quale avrebbe, di fatto, escluso la gran parte dei lavoratori notturni. Credo si tratti di uno dei risultati più significativi del nostro lavoro in Commissione e diamo atto - sia al relatore, sia al Governo - di averlo agevolato esprimendo parere favorevole sul relativo emendamento. Proprio per questo, non vogliamo nemmeno prenderePag. 30in considerazione l'ipotesi che tale modifica - al pari delle altre, migliorative, introdotte in Commissione - possa venire revocata da parte dell'Assemblea.
Vi sono ancora due questioni su cui mi sembra necessario soffermarmi prima di concludere. Si tratta di una misura sulla competitività, la decontribuzione dello straordinario e della partita dei contratti a termine.
Noi siamo sempre stati contro l'idea di dispensare le imprese dall'onere aggiuntivo previsto dall'articolo 2 della legge n. 549 del 1995 per il ricorso allo straordinario. Critichiamo questa decisione per svariate ragioni: ostacola la crescita dell'occupazione, va in direzione contraria alla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, asseconda le posizioni di chi pensa che le retribuzioni debbano essere sempre più commisurate alle prestazioni individuali e al salario di rischio. Dietro, intravediamo la pressione per ridurre l'incidenza dei contratti collettivi nazionali, un altro elemento che consideriamo del tutto negativo. Ed è per questo che non abbiamo apprezzato nemmeno gli incentivi alla contrattazione di secondo livello, che riguarda peraltro poco più del 20 per cento delle imprese italiane.
Siamo dunque contrari, e non per ragioni di poco conto. Riteniamo che molto meglio sarebbe stato e sarebbe detassare gli aumenti salariali, il che favorirebbe anche una rapida chiusura dei contratti. E tuttavia, signor Ministro, non abbiamo alzato barricate contro questa norma. Vorremmo che lo si tenesse presente: noi riteniamo questa misura sbagliata, la consideriamo un ennesimo regalo alle imprese su cui stranamente gli arcigni guardiani del rigore nulla eccepiscono, ma, pur dissentendo, siamo disposti in una logica complessiva ad accettare questa misura. Lo ripeto: si tenga conto di questo nostro comportamento costruttivo, perché non è possibile che le osservazioni avanzate dalle diverse componenti di questa maggioranza vengano vagliate di volta in volta in modo astratto, enucleandole dal contesto complessivo, senza considerare che a fronte di una richiesta ci sono altre aperture, altre disponibilità.
E veniamo alle misure sul lavoro, che non dovrebbero essere poste sotto il solo titolo «mercato del lavoro», che è quanto meno unilaterale, ma dovrebbero essere poste anche sotto quello di diritti del lavoro, nel quadro di una politica di sviluppo.
Il tema cruciale riguarda i contratti a termine. Che cosa abbiamo chiesto? È molto semplice: noi prendiamo sul serio le sue dichiarazioni, signor Ministro, di voler fare del tempo indeterminato la forma contrattuale normale. Infatti, nessuno di noi pretende l'abolizione del tempo determinato e non pretendiamo neppure, in questa sede, che vi siano contratti a termine solo in presenza di causali oggettive. E non basta ancora: accettiamo anche, appunto perché siamo consapevoli di non essere gli unici a decidere, un tempo di per sé lunghissimo, trentasei mesi, e persino la possibilità di proroghe in deroga, anche se non apprezziamo il coinvolgimento del sindacato ai fini della validazione dei contratti.
Solo che a questo punto osserviamo che, se non vogliamo scherzare, dobbiamo poi fare in modo che i lavoratori possano effettivamente arrivare ai trentasei mesi, altrimenti non sarebbe solo una presa in giro, in quanto soglia irraggiungibile, traguardo illusorio, sorta di supplizio di Tantalo, ma rischierebbe di essere persino un danno perché, lasciata libera, l'impresa avrà tutto l'interesse a sbarazzarsi del lavoratore giunto a trentacinque mesi. E così si rischia che una misura in sé giusta, com'è un limite alla durata massima del tempo determinato, si rovesci nel suo contrario, nella premessa della perdita del posto di lavoro.
Per questo chiediamo al relatore e al Governo di riflettere bene. Noi diciamo che, quando un lavoratore accede al rapporto di lavoro, deve essere messo in una sorta di corsia preferenziale che, pur mantenendo egli il carattere di lavoratore a termine, gli dia tuttavia qualche prospettiva certa e nella misura in cui l'impresa vorrà procedere a nuove assunzioni dovrà darePag. 31a lui un nuovo contratto a tempo determinato una volta che il precedente si sia concluso, e così fino al raggiungimento della soglia dei trentasei mesi.
A proposito del fatto che queste modifiche siano evidentemente a costo zero, vorrei aggiungere una breve considerazione. Questo semplice fatto dimostra che la «teologia del rigore», in nome della quale certi settori della maggioranza minacciano rappresaglie in caso di modifiche parlamentari del Protocollo, è un pretesto, peraltro a senso unico, visto che, come notavamo, nessuna protesta si leva quando un mucchio di denaro pubblico prende la strada delle imprese.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ALBERTO BURGIO. Concludo, signor Presidente.
Mi fermo qui, non voglio entrare nella discussione sull'abrogazione dello staff leasing. Potrei dire qualcosa forse sulla deroga inserita in tema di lavoro a chiamata, una deroga grave, e non tanto per il merito, ma per come è maturata, saldando un fronte tra maggioranza e opposizione, che soprattutto su queste materie si sarebbe dovuto viceversa evitare con cura; ma voglio astenermi da qualsiasi polemica.
Chiudo soltanto su un tema - quello della responsabilità - che è stato agitato molto in questi giorni: credo che evocarla abbia un senso, purché si chiarisca nei confronti di chi si avverte tale responsabilità, nei confronti di chi la si assume. L'ho detto in precedenza, ma mi sembra opportuno ribadirlo a conclusione del mio intervento. Disponendoci all'esame del provvedimento in discussione, prima in Commissione ed ora in Assemblea, noi abbiamo guardato solo a un obiettivo: accrescere le tutele...

PRESIDENTE. Deputato Burgio, la prego di concludere.

ALBERTO BURGIO. ...dei lavoratori, sia di quanti si approssimano all'età della pensione e non meritano di vedersi negato un diritto acquisito dopo una vita di lavoro, sia di quanti si trovano a combattere con una flessibilità che, troppo spesso, nel nostro Paese, si trasforma in una trappola di precarietà senza scampo. Noi continueremo a tenere questa responsabilità come la «bussola» del lavoro in Assemblea sul provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Burgio, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Prestigiacomo. Ne ha facoltà.

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, la discussione iniziata questa mattina in Assemblea è per molti aspetti paradossale: stiamo discutendo, infatti, al buio. Stiamo affrontando un testo di enorme importanza per il Paese che contiene, tra l'altro, la controriforma delle pensioni, ma rischiamo una discussione surreale o almeno accademica, considerato che, ad oggi, non sappiamo su quale testo il Governo porrà la fiducia da qui a ventiquattro ore.
Abbiamo letto in questi giorni le dichiarazioni di autorevoli esponenti dell'Esecutivo secondo cui la fiducia verrà posta sul testo del Protocollo approvato dalle parti sociali, il che significherebbe che in Commissione lavoro abbiamo di fatto speso settimane in approfondimenti, audizioni e dibattiti, ma che tutto ciò è stato inutile, privo di senso oltre che di utilità.
Ci sarebbe da argomentare, come pure qualcuno ha già fatto, che assegnare di fatto la funzione legislativa ad un accordo tra Governo e parti sociali è atto da sistema corporativo e non da democrazia parlamentare, ma tale argomento, certamente suggestivo, non coglie il cuore del problema che è ben lontano da una diatriba sulle forme di Stato e sui criteri di rappresentanza politica.Pag. 32
Signor Presidente, è evidente a tutti che siamo dinanzi ad un Governo che vive alla giornata e che la fiducia forse oggi è l'unico modo per sopravvivere un altro giorno, considerato che, da una parte, Mastella e Dini hanno detto che non voteranno il welfare con le modifiche che sono state apportate (che aumentano i già approssimativi tetti di spesa), e che dall'altra, invece, Rifondazione Comunista ha abbandonato il tavolo della trattativa nella maggioranza per chiedere ulteriori cambiamenti (e le dichiarazioni di Giordano di stamattina, con le quali egli si oppone alla posizione della questione di fiducia e chiede che le modifiche vengano apportate in Parlamento, sono al riguardo molto esplicite).
Leggiamo che il Premier Prodi è fiducioso sulla possibilità di raggiungere un'intesa in modo da non scontentare le diverse anime della sua maggioranza e mettere d'accordo anche le parti sociali, che sono state in questi giorni fermissime nel rifiutare ogni modifica al Protocollo firmato in estate paventando, come ad esempio ha già fatto Confindustria, la fine dell'era della concertazione. Sappiamo che il Governo ha una spiccata abilità nel trovare compromessi al ribasso per il Paese pur di sopravvivere, ma stavolta l'impresa ci pare più ardua, visto che il Protocollo sul welfare è lo snodo cruciale di due visioni politiche ed implica, peraltro, anche rapporti con uno degli azionisti di maggioranza della coalizione di centrosinistra, ossia il sindacato.
Restiamo, quindi, in attesa del maxiemendamento che ci farà sapere di quanto il Governo intende peggiorare un provvedimento che avrà già effetti pessimi per il nostro Paese e che la maggioranza è stata costretta ad adottare per saldare un «pagherò» politico con la sinistra radicale, una cambiale programmatica già gravosissima per i nostri conti pubblici che, peraltro, si regge su una contabilità molto virtuale, suscettibile di incrementi di spesa pesantissimi.
Ma, nelle more di conoscere l'espediente del Governo per sopravvivere fino a giovedì, credo sia utile affrontare in Aula il nodo politico di questo Protocollo che, in apertura del mio intervento, ho definito la «controriforma delle pensioni». Si tratta di una controriforma perché riporta indietro le lancette dell'orologio politico nel nostro Paese, stravolgendo non solo la riforma approvata dal Governo Berlusconi, ma anche quella varata dal Governo Dini. È una controriforma perché mentre in tutta Europa si allunga l'età lavorativa in relazione al prolungamento dell'età media della vita e dei precari equilibri dei sistemi previdenziali, in Italia discutiamo di un provvedimento che mira ad anticipare il pensionamento dei lavoratori e che avrà oneri pesantissimi per la collettività. Se, infatti, la riforma introdotta dalla legge n. 243 del 2004, la cosiddetta Tremonti-Maroni, perseguiva un obiettivo di equilibrio economico in linea con le indicazioni dell'Unione europea, con la drammaticità esplicita delle proiezioni della bilancia previdenziale, con l'esigenza di consegnare alle nuove generazioni conti in ordine e la speranza di percepire una pensione, l'attuale riforma si muove esattamente nella direzione opposta, perché carica la collettività di oggi - e, soprattutto, quella di domani - di un ulteriore fardello economico e drena verso il sistema previdenziale una quantità di risorse che, se diversamente impiegate, avrebbero consentito una qualificazione diversa e migliore della spesa, oltre a sostanziali miglioramenti del nostro debito pubblico.
Peraltro, come abbiamo sostenuto nel corso del dibattito in Commissione (ma è stato anche rilevato da osservatori dell'area di centrosinistra), la stima del costo della riforma in esame appare per molti versi sottovalutata e la copertura economica affidata a cespiti e risorse tutt'altro che certe. Si corre il rischio di approvare un provvedimento che costerà molto più di quanto prevede il Governo e che nei prossimi anni dovrà essere pagato con risorse a carico della fiscalità generale. Mi riferisco a quei 7,4 miliardi di euro che secondo stime prudenti potrebbero crescere, nell'arco di un decennio, di almeno altri 3 miliardi di euro, senza tener conto dell'aggravio di spesa derivante dall'eliminazionePag. 33 del tetto dei lavori usuranti, di cui parleremo tra poco. Dicevo della copertura finanziaria che si affida essenzialmente a due cespiti: il riordino degli enti previdenziali e l'aumento delle aliquote contributive per i parasubordinati. Quanto agli enti previdenziali, abbiamo ascoltato, nel corso delle audizioni in questa Camera, i responsabili degli istituti previdenziali che hanno spiegato come gran parte del processo di razionalizzazione dei costi che poteva essere svolto è stato già compiuto e che da ora in poi si corre il rischio di avere ulteriori costi, piuttosto che maggiori risparmi. Questa ipotesi è prevista tra le righe del provvedimento che infatti dispone che, ove i risparmi in questo campo non fossero raggiunti, nel 2011 verrà introdotto un prelievo contributivo aggiuntivo dello 0,09 per cento, a carico di tutti lavoratori.
Quanto poi al secondo cespite, l'aumento delle aliquote dei lavoratori parasubordinati in via esclusiva, ossia gli atipici e i cosiddetti precari, vanno svolte due considerazioni, una politica e una di carattere economico. Quella politica riguarda l'incongruità di una strategia complessiva del Governo che, fra legge finanziaria dell'anno scorso e l'attuale controriforma delle pensioni, intende aggravare, nell'arco di quattro anni, di ben nove punti l'aliquota contributiva per tali lavoratori. Si tratta di misure che da un lato colpiscono la fascia più debole del lavoro, proprio quella che la sinistra - a parole e nei cortei - dice di volere tutelare, e dall'altro indurranno inevitabilmente ad una riduzione di tale fascia di lavoratori. In tale contesto, passiamo alla considerazione economica. L'INPS, nel bilancio preventivo 2007, ha già indicato una flessione di 50 mila iscritti alla gestione separata. Se la platea dei lavoratori e, quindi, dei contributi versati diminuisce, inevitabilmente la stima di copertura finanziaria dovrà essere rivista ed i fondi dovranno essere trovati altrove. Siamo pertanto dinanzi ad una costruzione che si fonda, in gran parte, su un aumento del costo del lavoro per i lavoratori parasubordinati e che prevede, da oggi a tre anni, un ulteriore aumento, stavolta generalizzato.
Vorrei capire come tale impostazione si coniughi con le sbandierate esigenze di incremento della competitività del nostro sistema e di riduzione del costo del lavoro, uno dei principali vincoli alla capacità delle nostre imprese di essere concorrenti alla pari con i nostri competitor europei. La realtà è purtroppo sempre la stessa. A fronte di spese connotate politicamente, anzi direi ideologicamente, si risponde con la leva dei prelievi dalle tasche dei lavoratori e delle imprese. Passo al capitolo dei lavori usuranti. È stato rimosso l'odioso vincolo dei 5 mila l'anno, sostituito con un altro vincolo di natura finanziaria, di 2,52 miliardi di euro. Viene da chiedersi: perché un vincolo numerico è politicamente inaccettabile e un vincolo economico invece non lo è? Perché l'uno è ingiusto e antidemocratico e l'altro, invece, è equo e solidale? Se la questione fosse limitata a ciò saremmo ancora nei confini della propaganda politica. Purtroppo, la questione è diversa e più grave perché, anche in questo caso, siamo davanti ad una stima molto precaria, suscettibile di moltiplicazioni dagli effetti gravissimi per la finanza pubblica. Innanzitutto, si parla di lavori usuranti senza avere, ad oggi, contezza di quali siano e, soprattutto, di quanti lavoratori saranno interessati da questo provvedimento. In Commissione lavoro è stato eliminato il tetto delle 80 notti per la definizione del lavoro notturno, ampliando significativamente la platea degli aventi diritto al pensionamento anticipato. Analogamente indefinito è il numero degli aventi diritto a causa dell'esposizione all'amianto. Siamo, in pratica, dinanzi ad un'area grigia certamente molto sottostimata e difficile da definire esattamente. Sulla pubblicistica di questi giorni abbiamo letto che la platea dei cosiddetti usuranti è destinata a crescere di 4-5 volte, con una previsione di spesa fra i 10 e i 12,5 miliardi di euro, il che significa un costo fra 8 e 10 miliardi di euro superiore rispetto alle previsioni.
Proseguendo nell'esame degli ulteriori capitoli del Protocollo, desidero soffermarmiPag. 34 sulla riforma dello scalone, che potrebbe costare almeno 3 miliardi in più del previsto e sulle critiche avanzate anche dalle parti sociali che non hanno sottoscritto l'accordo e che rappresentano, anche esse, una fetta consistente del mercato del lavoro. Il punto è che il Governo e la maggioranza stanno chiedendo al Parlamento un atto di responsabilità politica costruito su carte false. Noi non intendiamo avallare tale tipo di atto di responsabilità e pensiamo di dover duramente contrastare il provvedimento in esame oltre che in Parlamento - ma porrete la questione di fiducia e non ce ne darete la possibilità - anche nel Paese. Prendiamo ora in esame quella parte del protocollo che riguarda il mercato del lavoro. Anche in questo caso deve essere fatta una premessa politica in materia di cambiali programmatiche. Infatti, questo Governo e questa maggioranza hanno una dote straordinaria: riscrivere la storia e, a volte, anche la cronaca. Mi vengono in mente quei sistemi autoritari che, di tanto in tanto, quando un leader o una scelta cadono in bassa fortuna, ripuliscono il proprio passato, ritoccano le foto e i libri di storia, fanno finta che una persona non sia mai esistita o un fatto mai accaduto. Lo stesso sta facendo il centrosinistra sul welfare. A leggere il Protocollo sembra che i cinque anni dal 2001 al 2006 noi ci siano stati e che in tali anni non sia stata messa in atto una campagna feroce e durissima contro la legge Biagi, indicata come la fonte di tutti i mali e di tutte le precarietà, come il totem da abbattere. Sembra che la campagna d'odio fomentata contro chi voleva modernizzare il mercato del lavoro non sia mai esistita. Invece, c'è stata. Chiedo qui e ora al centrosinistra un atto di onestà intellettuale (o, forse, di onestà tout court), perché il mercato del lavoro che questo Governo e questa maggioranza prefigurano nel provvedimento è sostanzialmente quello previsto dalla legge Biagi.
Certo è che qualche peggioramento è stato introdotto: ne parleremo tra poco. Tuttavia, l'impianto, la filosofia e gran parte della sostanza normativa sono quelle della riforma del Governo Berlusconi pensata da Marco Biagi, che per tali idee ha pagato con la vita. Vorrei che oggi preliminarmente, parlando di welfare, il Governo e la maggioranza rendessero giustizia e onore a Biagi e alla sua legge, dicendo in aula apertis verbis ciò che affermano nel Protocollo, ossia che tale legge era giusta, moderna ed opportuna (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia). Dovrebbero, inoltre, riconoscere che Marco Biagi aveva ragione, che invece sbagliavano loro e che hanno sbagliato ogni giorno, per cinque lunghissimi anni, coloro che hanno contestato con incredibile virulenza il provvedimento ed il suo autore.

PRESIDENTE. Onorevole Prestigiacomo, dovrebbe concludere.

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Concludo, signor Presidente. Passando al dettaglio del testo, credo che una breve riflessione vada anche fatta sulle misure a sostegno del lavoro femminile. Ho detto poc'anzi che il provvedimento contiene alcuni peggioramenti, anche alcune prese in giro. È il caso delle misure a favore delle donne. Ci troviamo infatti dinanzi ad una serie di pregevolissime manifestazioni di intenti, con un difetto non da poco: non c'è alcuna copertura di spesa per gli interventi previsti. Sono parole e basta: una strategia di annunci roboanti, di vuoto delle misure concrete che il Governo sta perseguendo con tenace lucidità nei confronti delle italiane, è una strategia che sta passando nel Paese, nella consapevolezza delle donne, che sanno bene ciò di cui ci sarebbe bisogno e vedono sulla propria pelle che altre sono le priorità del Governo.

PRESIDENTE. Onorevole Prestigiacomo, la prego di concludere.

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Concludo, signor Presidente. D'altro canto, se si investono 10 miliardi di euro per far andare in pensione uno o due anni prima 100 mila cinquantottenni, ciò che conta diPag. 35più per questa sinistra è chiaro e per le donne non restano che le briciole e, a volte, nemmeno quelle.
Signor Presidente, avviandomi a concludere...

PRESIDENTE. Onorevole Prestigiacomo, mi dispiace, ma deve proprio concludere.

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Concludo, signor Presidente, lasciando senz'altro alla collega Pelino, che parlerà dopo di me le contestazioni di merito che vengono avanzate anche sulla parte relativa al mercato del lavoro. Infatti, le modifiche approvate in Commissione e cioè l'eliminazione dello staff leasing e le modifiche al job on call di fatto penalizzano le donne.

PRESIDENTE. Grazie...

STEFANIA PRESTIGIACOMO. Quindi, la presa in giro è relativa al fatto che sulle misure per le donne non c'è copertura finanziaria e, pertanto, sono chiacchiere. Inoltre, tutte le modifiche apportate sulla flessibilità del mercato del lavoro di fatto impediscono alle donne che proprio di queste nuove misure si avvantaggiano...

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Turci. Ne ha facoltà.

LANFRANCO TURCI. Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, i socialisti pongono la flex security al centro della loro visione delle politiche del lavoro. Consultando l'enciclopedia internet più consultata in questo periodo, Wikipedia, viene fornita questa definizione: «È un modello di Stato sociale con una politica del lavoro pro-attiva. Questo modello è una combinazione di facile assunzione e licenziamento (flessibilità per gli imprenditori), con alti benefici per i disoccupati(sicurezze per i lavoratori)». Inoltre, si ricorda che essa è stata implementata negli anni Novanta da Rasmussen, quando era Primo Ministro in Danimarca. Rasmussen, peraltro, è il presidente del partito socialista europeo e, proprio nei giorni scorsi, ha partecipato alla conferenza di programma che il partito socialista ha organizzato su tali temi. Debbo però dire che, al di là delle citazioni di attualità, non si tratta di temi nuovi ed inediti per la migliore cultura riformista italiana. Basterebbe pensare al rapporto Onofri del 1997, dove già veniva evidenziato il forte squilibrio della spesa sociale italiana sul versante previdenziale, a discapito delle politiche per gli ammortizzatori sociali e delle altre politiche sociali. Tali ammortizzatori sociali restano tuttora di un punto di prodotto interno lordo al di sotto della media europea. Su tale lunghezza d'onda si muoveva anche il libro bianco di Marco Biagi, imperniato su flessibilità, ammortizzatori sociali, formazione permanente e politiche attive del lavoro. Il fatto che queste ultime tre voci siano ancora del tutto insoddisfacenti non può certo essere addebitato al riformista socialista assassinato dalle Brigate Rosse, ancora oggi criminalizzato da quanti, come recentemente l'onorevole Caruso, hanno giudicato «assassina» la legge che porta, più o meno giustificatamente, il suo nome e il pacchetto Treu, che per primo ha aperto la strada alla regolamentazione delle forme flessibili del lavoro.
Semmai, si deve ricordare che proprio alla legge n. 30 del 2003 è dovuto un primo tentativo di contenere l'abuso del ricorso ai cococo attraverso la previsione di un progetto che dovrebbe vagliare il carattere autonomo e non dipendente del lavoro di tali figure. Tant'è vero che la trasformazione di una parte dei cococo dei call center in lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, operata dall'attuale Governo e dal Ministro Damiano, si deve proprio all'applicazione della legge Biagi. Comunque anche dopo le leggi Treu e Biagi siamo distanti anni luce da una buona e completa politica di flex security. Il Protocollo del 23 luglio arricchisce un po' l'intervento dell'indennità di disoccupazione, ma l'impegno finanziario maggiore va, ancora una volta, in direzione delle pensioni di anzianità, allargando ancor più il fossato tra spese per previdenza e spese per ammortizzatori sociali e innescandoPag. 36anche qualche ambigua aspettativa sulle pensioni future dei giovani, che parrebbero formulate in contrasto con i presupposti della riforma Dini, che peraltro il Governo mi pare ribadisca di voler difendere nel suo impianto essenziale. Dunque, un moderno sistema di ammortizzatori e una efficace rete di formazione e accompagnamento al lavoro restano capitoli in gran parte da costruire, di cui il Protocollo delinea solo un profilo di massima.
Il tema del lavoro richiama un altro tratto tipico della situazione italiana e di altri Paesi del sud Europa risolto, invece, nei Paesi del nord Europa. Mi riferisco al dualismo del nostro mercato del lavoro che, a partire dallo Statuto dei lavoratori, in particolare all'articolo 18, vede il mondo del lavoro diviso in due grandi aree, tra chi gode della piena protezione e chi invece gode di una protezione parziale, a cominciare, non dimentichiamolo, da tutti i dipendenti delle imprese sotto il tetto dei 15 dipendenti (chiedo scusa della ripetizione del termine). A questa prima divisione occorre inoltre aggiungere la vasta area dei precari, soprattutto dei lavoratori a termine e dei collaboratori continuativi. Si tratta, secondo l'ultimo rapporto del CNEL, di almeno 2,7 milioni di persone, non tutti giovani, anche se ovviamente c'è una gran parte di giovani e di donne, il cui stato di precarietà tende a cronicizzarsi. È un dato su cui dovremo riflettere, perché ho ascoltato in queste settimane, da parte di molti esponenti del centrodestra, l'esaltazione di tali forme di precarietà, come di forme inevitabilmente transitorie che poi metterebbero sulla via virtuosa della stabilizzazione. In verità, i dati e le analisi recenti ci dicono che c'è una tendenza alla cronicizzazione di queste posizioni, che aggrava il carattere di precarietà delle persone intrappolate in questi meccanismi. Invece di rappresentare, seppure impropriamente, una sorta di passaggio obbligato, e in qualche modo punitivo, per accedere al mercato del lavoro regolare, essi tendono invece a stabilizzare molti lavoratori in tale forma di flessibilità precaria. Cosa fare al riguardo? La posizione massimalista tradizionale vorrebbe limitarsi a cancellare con un tratto di legge tutte queste situazioni, tornando ad un passato irripetibile e passando sopra i problemi economici, sociali e tecnologici che, a partire dalla globalizzazione, hanno creato le condizioni per i ricordati sviluppi. La cultura riformista più innovatrice, invece, da anni ha posto il problema di cambiare il paradigma delle politiche del lavoro, passando dalla tutela del posto di lavoro alla tutela del lavoratore nel mercato del lavoro. È un passaggio che, se attuato compiutamente, con adeguate politiche attive del lavoro, come sopra indicato, e con alcune modifiche alla legislazione del lavoro vigente, darebbe ai lavoratori italiani le tutele di cui già godono i lavoratori dei Paesi europei più avanzati e assumerebbe anche un significato di libertà e di valorizzazione della persona del lavoratore.
Occorre, da questo punto di vista, redistribuire, come suggerisce, da tempo tra gli altri, il professor Ichino, le tutele tra le generazioni e tra le diverse situazioni lavorative. A breve si dovrebbero intanto prevedere alcune importanti modifiche. Anzitutto, è giusto porre un freno all'abuso dei contratti a termine in condizioni che non abbiano giustificazioni obiettive, quali la stagionalità o la presenza di particolari punte di lavoro. Poi, si dovrebbe pensare di introdurre alcuni criteri antielusivi più rigorosi nel campo delle collaborazioni coordinate e continuative, scoprendo le situazioni di lavoro dipendente mascherate da lavoro parasubordinato o autonomo.
Affinché queste misure, tese ad esempio a ridurre l'abuso del lavoro a termine e parasubordinato, non assumano solo un velleitario carattere repressivo - uso il termine «velleitario» perché non dobbiamo dimenticarci che la possibile alternativa a misure puramente repressive è il «sommergersi» delle posizioni lavorative nel lavoro nero o grigio - occorre proporre una riforma dell'istituto della prova. Da questo punto di vista, con un emendamento che non è stato accolto in Commissione, avevamo avanzato la proposta diPag. 37istituire una prova lunga che era diversa da quelle circolate nel dibattito svolto tra gli addetti ai lavori nelle ultime settimane, che ha coinvolto molti giuslavoristi e centri studi. Nel nostro emendamento sulla prova lunga, infatti, non recuperavamo né la proposta che potremmo definire Boeri-Garibaldi, dal nome degli studiosi che l'hanno avanzata, sostenuta di recente anche dall'ex Ministro del lavoro, il senatore Treu, né facevamo nostra la proposta che potremmo attribuire ad altri due studiosi, Ichino e Blanchard. Sono entrambe proposte più radicali, mentre la nostra proponeva di estendere fino a dodici mesi il periodo di prova, salvaguardando la giusta causa durante tale periodo e senza incidere sull'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Sotto questo profilo avevamo proposto, quindi, una formulazione precisa, così come quella finalizzata a modificare il codice di procedura civile per ridefinire l'area ambigua relativa alle collaborazioni coordinate e continuative, nella quale continuano a permanere centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori che svolgono un lavoro, di fatto, dipendente e subordinato, mascherato da lavoro parasubordinato.
Ieri sera su RAI3 è stato trasmesso un bellissimo servizio di Report, nel quale sono state esaminate tutte le situazioni diffusissime di precarietà nell'area pubblica e parapubblica. A Roma - ma non accade solo in questa città - arriviamo al punto che nella rete degli asili a gestione privata definiti con il bollino blu (ossia con un bollino di qualità), una serie di educatrici viene assunta con un contratto a progetto, semplicemente per pagare loro undici mesi lavorativi invece che dodici e per non retribuire loro le ferie; quindi, per ridurre le tutele e i costi di quel lavoro. È chiaro che stiamo aggirando un normale lavoro dipendente! Occorre, dunque, sgombrare più decisamente il campo da tali situazioni di ambiguità che alla fine determinano situazioni di precarietà inaccettabili.
Di fronte alle nostre due proposte sui cocopro e sulla prova lunga, nel dibattito in Commissione, anche da parte del Governo è stato risposto che il Protocollo del quale ci stiamo occupando non può reggere riforme di tale respiro. Può anche darsi che sia vero, ma allora - signor Ministro - occorre riflettere su quanto affidare ai protocolli e alle intese frutto della concertazione e quanto, invece, riservare proprio alla capacità d'iniziativa autonoma del Governo e del Parlamento, ossia alla capacità della politica.
Non ritengo che anche le scelte di fondo in materia di politica del lavoro siano totalmente delegabili alla concertazione; si deve partire da una visione riformatrice chiara e sulla base di questa aprire un confronto con le forze sociali per trovare le mediazioni necessarie, altrimenti si ripropone quell'inghippo nel quale ci troviamo in queste ore, tra l'intoccabilità del Protocollo e le esigenze emerse nel dibattito parlamentare e politico, che non sono tutte da relegare ai margini o definibili come modifiche che stravolgono il Protocollo. Anzi, dando atto alla relazione del collega Delbono, ritengo che non si possa affermare che il lavoro svolto in Commissione con il sottosegretario Montagnino e, in alcuni momenti, anche con il Ministro Damiano, abbia prodotto un testo che stravolge il Protocollo. Io stesso ho votato a favore dei due emendamenti relativi ai contratti a termine, mentre ho votato contro altri emendamenti presentati dai colleghi di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani sullo stesso argomento, che effettivamente lo avrebbero stravolto perché, come abbiamo potuto ascoltare anche nell'intervento del collega Burgio che mi ha preceduto, si proponeva di riconoscere a chi abbia lavorato per almeno sei mesi con un contratto a termine un diritto di precedenza nel rinnovo di quel contratto. È chiaro che in questo modo si finirebbe per determinare un irrigidimento insostenibile e per indurre le imprese a ricorrere a forme di elusione, se non addirittura a situazioni peggiori del contratto a termine. La prova lunga, invece, rappresentava il modo non per bloccare chiudere tutti i flussi possibili dell'acqua con catenacci e chiavistelli, ma per incanalare l'acqua inPag. 38un modo virtuoso verso una situazione flessibile e al contempo di maggiori garanzie per i lavoratori.
Voglio ricordare che, accanto ai due emendamenti non accolti e che ripresenteremo in Assemblea, abbiamo posto un problema preciso che i colleghi parlamentari, così come i rappresentanti del Governo, conoscono bene, in quanto ne abbiamo discusso ampiamente in Commissione. Il problema attiene alle collaborazioni continuative. A tale proposito il gruppo Socialista ha presentato al Senato, durante la prima lettura del disegno di legge finanziaria, un emendamento che il Governo ha chiesto di ritirare e di trasfonderne il contenuto in un ordine del giorno, dal Governo stesso poi accettato. Tale ordine del giorno prevedeva che il Governo si sarebbe fatto carico di proporre nell'attuale disegno di legge relativo al welfare sia una più precisa definizione del patto di servizio (ovvero l'obbligho di accettazione di politiche attive di formazione e di reinserimento lavorativo da parte dei lavoratori che fruiscono degli ammortizzatori), sia, soprattutto, una sorta di indennità di disoccupazione strettamente correlata con politiche di formazione e di reinserimento lavorativo per i giovani cocopro quando perdono il lavoro.
Faccio presente che per noi ciò è determinante, in quanto le figure dei collaboratori continuativi, soprattutto nel settore privato, sono quelle più precarie del mercato del lavoro, a meno che non si considerino i lavoratori totalmente in nero o gli immigrati clandestini che lavorano in nero nelle condizioni che ben conosciamo. Dopo queste due categorie, la più defedata nel mercato del lavoro è quella relativa ai giovani a collaborazione continuativa, soprattutto nel settore privato. Per questi giovani abbiamo proposto la misura ricordata, ovvero un'indennità di disoccupazione accompagnata a politiche di formazione e di reinserimento.
Ci aspettiamo, quindi, che il Governo onori l'impegno, assunto al Senato e ribadito in Commissione anche dal sottosegretario Montagnino, e lo traduca nei fatti sia con l'eventuale maxiemendamento su cui verrà posta la fiducia, sia con emendamenti articolati. Faccio presente che per noi questo è un tema decisivo, anche per il voto che esprimeremo sia in questa sede, sia in Senato.
Svolgo, infine, una considerazione. Non condivido la grande drammatizzazione fatta negli ultimi giorni soprattutto da Confindustria relativamente al Protocollo e alle modifiche ad esso apportate approvate in Commissione. Per dirla fuori dai denti ho l'impressione che vi sia un gioco delle parti tra l'area massimalista della nostra maggioranza, in particolare Rifondazione Comunista, e Confindustria. Vi è un'esasperazione dei contenuti effettivi di cui stiamo discutendo, per giocare, uno, la parte del difensore a tutti i costi del lavoro e, l'altro, la parte del difensore a tutti i costi del liberismo senza limiti.
Ho letto, ad esempio, sul quotidiano Il Sole 24 Ore un commento del professor Tiraboschi che mi lascia francamente perplesso. Tiraboschi si è stupito del fatto che nel testo approvato dalla Commissione abbiamo inserito l'affermazione (che discende dalla direttiva europea, oltre che dal buonsenso) secondo cui, di regola, i contratti di lavoro dipendente sono a tempo indeterminato. Se scandalizza, oggi come oggi, un'affermazione come questa, ritengo che la contrapposizione ideologica tra liberismo senza limiti e l'idea dei vecchi contratti catenaccio abbia raggiunto livelli inaccettabili per le forze riformiste.
Noi ci ispiriamo alla cultura riformista e non esaltiamo il conflitto di classe (che, quando c'è, è naturalmente fisiologico). La nostra politica, infatti, non mira ad esasperare il conflitto di classe, bensì le forme di collaborazione fra le parti sostenute da regole civili e da politiche attive del lavoro definite dallo Stato, dalla mano pubblica e, quindi, dalla politica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pelino. Ne ha facoltà.

PAOLA PELINO. Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il disegno di legge riguardante l'accordo su previdenza, lavoro ePag. 39competitività, sottoscritto il 23 luglio scorso tra il Governo e le parti sociali, avrebbe voluto raggiungere un obiettivo di grande rilievo: l'individuazione in piena condivisione delle misure da intraprendere per promuovere una crescita economica duratura, equilibrata e sostenibile dal punto di vista finanziario e sociale.
I settori d'intervento, secondo le intenzioni proclamate dal Governo, sarebbero stati riguardati attraverso una duplice prospettiva temporale, ovvero attraverso la necessità di un intervento riformatore di estrema ampiezza e di particolare profondità, volto a rendere gli istituti presi in considerazione più aderenti alle istanze sociali ed economiche oggi presenti.
Nel contempo, il Governo aveva dichiarato di aver provveduto a proiettare le modifiche delineate in un prossimo futuro - nel quale le stesse verranno a contatto con dinamiche diverse, delle quali dovranno reggere l'urto - rilevando di avere agito in modo strategico, avendo elaborato interventi volti tutti all'ottenimento, con diverse tappe temporali, di un disegno riformatore unitario e cementato dall'obiettivo comune di una maggiore crescita ed equità.
È emersa, invece, ben altra realtà: sin dal fitto ciclo di audizioni tenute presso la Commissione della quale sono membro, infatti, sono stati evidenziati - da parte sia degli istituti previdenziali, sia delle associazioni rappresentative di categorie e datoriali, sia degli stessi sottoscrittori dell'Accordo con il Governo - punti di criticità, anomalie e censure all'articolato: per citarne alcuni, mancanza di copertura finanziaria, disparità tra lavoro pubblico e privato, precariato nella pubblica amministrazione, carenza di compiuta regolamentazione normativa delle categorie di lavori usuranti, flessibilità occupazionali e, non da ultimo, situazioni dei salari, definiti tra i più bassi d'Europa.
Pertanto, appare evidente che il provvedimento attuativo del Protocollo sul welfare, varato dalla maggioranza, rivela lacune e anomalie e non dimostra certamente, di fatto, una posizione favorevole per i lavoratori, nonostante le eclatanti intenzioni programmatiche in tal senso. I dissensi e i contrasti tra le forze politiche sotto la spinta della sinistra estrema fanno il resto. Da parte mia, ho già espresso il mio dissenso attraverso emendamenti correttivi al provvedimento, in merito alle disposizioni riguardanti la materia dell'occupazione delle persone con disabilità, in quanto l'assunzione a tempo indeterminato è limitativa: aggiungendo altre forme di lavoro subordinato, pertanto, si amplia la possibilità di accesso al lavoro per i disabili, favorendo la categoria svantaggiata.
Altre disposizioni correttive dovrebbero essere apportate alle modifiche e integrazioni all'articolo 5 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, da riformulare al fine di omogeneizzarsi alle previsioni della direttiva 1999/70/CE, relativa all'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (che fissa i criteri per i citati contratti a termine), e in modo da non escludere l'applicabilità dell'articolo 1 dello stesso decreto legislativo, recante le ragioni oggettive e non limitatamente temporali dell'apposizione del termine.
Occorrerebbe eliminare, inoltre, l'articolo che sopprime le esenzioni e dà limitazioni quantitative per i contratti a tempo determinato (non rientranti nelle tipologie di cui al comma 7 dell'articolo 10 del citato decreto legislativo n. 368 del 2001) di durata non superiore a sette mesi, limitando, quindi, l'utilizzo flessibile della manodopera. Un emendamento ha limitato a otto mesi, in deroga, l'ulteriore successivo contratto a termine tra gli stessi soggetti.
Con riferimento, poi, alle norme in materia di lavoro a tempo parziale, evidenzio che le modifiche apportate dal provvedimento incidono negativamente sull'autonomia negoziale del lavoratore, sottraendo alle stesse parti del contratto di lavoro a tempo parziale la possibilità di stabilire le clausole flessibili, rimettendo invece detta facoltà in sede di contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentativePag. 40sul piano nazionale. Ciò, a mio avviso, è con chiara evidenza in danno alla libera contrattazione dei lavoratori.
Per di più, con un emendamento al testo del provvedimento è stata interamente sostituita la lettera c) dell'articolo 12, che dispone l'abrogazione del comma 2-ter dell'articolo 8 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 (relativo alle sanzioni), che stabilisce che, in assenza di contratti collettivi, datori di lavoro e prestatori di lavoro possono concordare direttamente l'adozione di clausole elastiche o flessibili, nell'ambito delle disposizioni di cui all'articolo 8, recanti forme e contenuti del contratto a tempo parziale. Anche in questo caso capitola l'autonomia negoziale del lavoratore.
Infine, andrebbe certamente soppressa l'abrogazione dell'istituto tipico del lavoro intermittente (articoli da 33 a 40 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276): verrebbe in tal modo abrogato, infatti, uno strumento di flessibilità della cosiddetta «legge Biagi», messo a disposizione delle imprese, che si è rivelato utile - anzi necessario - al fine di consentire opportunità di lavoro a determinate categorie di lavoratori (ad esempio del settore del turismo alberghiero, dello spettacolo e di altri) e che deve essere conservato senza limiti o condizioni.
Su questa linea, relativamente al decreto-legge n. 159 del 2007, in materia economico-finanziaria, anch'esso teatro di forti tensioni politiche ed archiviato con il ricorso alla questione di fiducia, ho presentato un ordine del giorno, volto ad impegnare il Governo a predisporre interventi che non disperdano i miglioramenti apportati al mercato del lavoro nella scorsa legislatura, sotto il Governo Berlusconi, quali, appunto, quelli dati dall'introduzione della flessibilità per incrementare l'occupazione.
Infatti, è noto e incontrovertibile che il tasso di disoccupazione è calato in tutto il Paese, che il lavoro nero è emerso e che, a seguito di ciò, è stato ottimizzato l'utilizzo dei lavoratori con i provvidenziali strumenti legislativi del compianto professor Biagi. Si è così favorito l'incontro tra domanda e offerta, tramite il punto di incontro degli strumenti di flessibilità lavorativa, ma inopinatamente alcuni emendamenti hanno introdotto l'abolizione dell'istituto della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (articolo 14) e previsto, ma solo per i lavoratori utilizzati per lo svolgimento di prestazioni discontinue nel settore del turismo e dello spettacolo (articolo 15), la stipula di specifici rapporti di lavoro solo per determinate esigenze e contingenze temporali, svincolati dalla normativa della legge Biagi e rimessi alla contrattazione collettiva. Rilevo, perciò, oltre alla soppressione dell'istituto del lavoro intermittente, la disparità di trattamento operata da siffatta previsione sostitutiva, che penalizza, con l'esclusione, i lavoratori addetti a ulteriori settori.
L'attuale Governo, con improvvidi provvedimenti, alimentati dalla criticità della situazione politica in seno alla stessa maggioranza, rischia di vanificare, sotto la spinta della sinistra estrema, dette provvidenze per i lavoratori e i benefici raggiunti, con i palesi risultati noti all'opinione pubblica. Inoltre, studi autorevoli rivelano che le modifiche al Protocollo sul welfare, volute dall'intemperanza della sinistra estrema, raddoppierebbero le spese aggiuntive, salvo ulteriori aggravi di costo per la finanza pubblica. Siamo in una situazione di impasse: la spesa, così come prevista e corretta dalla sinistra radicale, è più che raddoppiata; vi è il punto critico della definizione delle categorie usuranti, che comporterà un'ulteriore crescita di spesa; il Governo è stato battuto in Commissione lavoro su un emendamento inizialmente firmato dal centrodestra, che ha ottenuto anche voti favorevoli dall'Unione e l'avallo del relatore per la maggioranza Delbono; il Ministro Damiano è stato messo alle corde per gli aggravi di costi preoccupanti ed esponenzialmente incrementabili, tra «scalone» e «scalini», usuranti, contratti a termine, tutela dei precari e quant'altro e per la sconfessione, ventilata ma ineluttabile, della immodificabilità del testo; vi è stata la rottura dell'equilibrio della maggioranza, irrigiditaPag. 41su posizioni che reiterano, di fatto, la situazione critica dell'appena licenziato collegato alla manovra finanziaria.
Non giova ai lavoratori e non giova, mi preme evidenziarlo, alle lavoratrici: per le donne, il cui livello di occupazione rimane ancora, soprattutto nel Mezzogiorno, troppo basso rispetto alla media europea e agli obiettivi della Strategia di Lisbona, il disegno di legge in esame prevede interventi che andrebbero rafforzati, per perseguire l'obiettivo di aumentare le opportunità di occupazione, rendendo più facile la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, e di rafforzare le garanzie per l'effettiva parità di trattamento sul lavoro.
Oltre a rilevare che il provvedimento in esame, in detta materia, è molto oneroso e sprovvisto dell'adeguata copertura finanziaria - sicché la delega è esautorata di incisività - rilevo che le provvidenze, nell'articolo di delega governativa per il riordino dell'occupazione femminile, potevano essere più efficaci.
Da parte mia, ho contribuito con la proposta di un mio emendamento - con il parere favorevole del relatore e del Governo e in linea con il riesame in atto da parte della Commissione europea e della direttiva quadro sui congedi parentali - diretto a migliorare, per i beneficiari dell'importante strumento, la gestione della vita dal punto di vista personale, familiare e professionale.
Concludo e dunque chiedo: a chi giova tutto ciò? È una delle tante domande formulate al Governo che, purtroppo, non otterranno mai una risposta (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15 con il seguito della discussione sulle linee generali.

La seduta, sospesa alle 13,35, è ripresa alle 15.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Donadi, Pinotti e Tremonti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3178-A)

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali e si sono svolti alcuni interventi.
È iscritto a parlare l'onorevole Grimoldi. Ne ha facoltà.

PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, per parlare del disegno di legge sul welfare giova ricordare, e dal nostro punto di vista anche denunciare, il cosiddetto referendum che si è tenuto nelle fabbriche con il quale sono stati chiamati al voto oltre ai lavoratori anche i pensionati. Tutto ciò va ricordato e denunciato perché i pensionati sono andati a votare in un numero infinitamente superiore rispetto ai lavoratori e si è chiesto loro di esprimersi pro o contro l'aumento di un euro al giorno della propria pensione. È ovvio che in presenza di una tale scelta qualunque pensionato avrebbe votato «sì». Diverso è il discorso per i lavoratori che sono stati chiamati a esprimersi su alcuni provvedimenti che l'attuale maggioranza in campagna elettorale aveva promesso di modificare radicalmente (cosa che non ha fatto).
Volendo analizzare i contenuti del disegno di legge sul welfare dobbiamo procedere per gradi. Prima però di cominciare ad analizzare la misura della dilazione dello «scalone» bisogna ricordare l'esigenza che era alla base della riforma Maroni. Si trattò, infatti, di una riforma divenuta inevitabile a causa della situazionePag. 42 di crisi in cui era giunto il sistema previdenziale precedentemente vigente.
Per capire questa situazione è utile ricordare storicamente che negli anni tra il 1956 e il 1970 sono state introdotte le cosiddette baby pensioni. Nel 1969 vi è stata l'introduzione delle pensioni sociali e negli anni Settanta si imposero le politiche di sicurezza sociale per il sud con cui furono spesi miliardi in pensioni di invalidità, spesso e volentieri false, con politiche clientelari che dissanguarono le casse dell'INPS. Tutti quanti, al riguardo, ricordiamo i casi eclatanti degli invalidi ciechi colti alla guida di un taxi piuttosto che di una vettura privata.
Nel 1992 vi è stata la riforma Amato, nel 1993 l'attuazione delle deleghe nella legge finanziaria del Governo Ciampi, nel 1995 la riforma Dini, nel 1997 la riforma Prodi e nel 2004 quella Maroni.
La riforma Maroni - giova ricordare - non intacca assolutamente l'impianto della riforma Dini, perché è quest'ultima che presenta alla base il patto tra generazioni che ha modificato radicalmente il vecchio sistema. La riforma Maroni apporta solo dei ritocchi e degli aggiustamenti alla legge n. 335, dell'8 agosto del 1995, persegue l'obiettivo di risparmio dello 0,7 per cento sul prodotto interno lordo e garantisce la sostenibilità finanziaria raggiungendo due finalità condivise e suggerite dall'Europa: la liberalizzazione dell'età pensionabile e lo sviluppo della previdenza complementare.
Quello che noi denunciamo è il rischio di uscire dal solco della sostenibilità. Il rischio reale è che non ci sarà mai la pensione per i giovani o che, comunque, le nuove generazioni non percepiranno mai una pensione come la concepiamo oggi. Tutto ciò è talmente vero che abbiamo appreso nelle audizioni in Commissione lavoro che, nel 2050, per ogni lavoratore vi sarà un pensionato. Si tratta di un aspetto che va contro ogni «legge di gravità» e non è sostenibile come sistema.
Riteniamo inoltre che la dilazione dello «scalone» in «scalini» non rappresenti un problema prioritario. Sarebbe stato forse meglio investire 10 miliardi di euro - a tanto ammonta la spesa - per appianare lo squilibrio della spesa sociale, ad esempio attraverso la flexsecurity (flessibilità e sicurezza).
Lo stesso dottor Sassi, presidente dell'INPS, durante un'audizione in XI Commissione ha affermato testualmente: «Abbiamo una preoccupazione, quella della tenuta dei conti e della sostenibilità del sistema nel medio e lungo periodo. È indubbio che un disegno di legge che di fatto aumenta dello 0,1 per cento il tendenziale della spesa pensionistica, a fronte della normativa precedente che portava ad una diminuzione del tendenziale dello 0,6 per cento sul PIL della spesa pensionistica, abbia richiesto la nostra attenzione».
Insomma, mettete a rischio le pensioni dei giovani, tra l'altro, per andare incontro «esclusivamente» a 120 mila lavoratori rispetto ai milioni di lavoratori del nostro Paese.
Le cosiddette teste pensanti della sinistra sanno benissimo, come ha anche sottolineato il professor Ichino sul Corriere della sera con un articolo di fondo, che sarebbe stato comunque necessario conseguire l'obiettivo della Maroni. Infatti, l'accordo fra Governo e sindacati prevede l'identico risultato della riforma Maroni. Allora la domanda è ovvia: perché non avete riconosciuto, a suo tempo, al Ministro Maroni che stava andando nella direzione giusta?
Ringrazio il sottosegretario Montagnino per la sua disponibilità in XI Commissione ma, ascoltando il suo intervento di questa mattina, mi permetto di farle notare che è troppo facile chiedere la condivisione di questo disegno di legge dopo aver supportato sette scioperi generali a fronte delle riforme che stavamo realizzando e che, evidentemente, condividete alla base.
Ora usate miliardi di euro, spesi per un vostro errore politico contro il passato Governo, invece di usarli per politiche di sinistra, come ad esempio quelle che consistono nell'aiutare i salari più bassi, o gli anziani, oppure per il prepensionamento dei genitori di portatori di handicap (in XI Commissione ne sappiamo qualcosa, considerato che abbiamo dei progetti di leggePag. 43depositati, per i quali tuttavia manca sempre la copertura finanziaria), oppure per le infrastrutture.
Vi è poi il dato degli aumenti certi delle contribuzioni senza una riduzione certa dei costi degli enti previdenziali. La Lega Nord è tassativamente contraria all'aumento ulteriore della pressione fiscale, perché voi ragionate secondo il paradigma «più spese, più tasse», mentre noi siamo per il «meno Stato, meno spese, quindi meno tasse».
Ci inquieta altresì la clausola di salvaguardia, perché se non vi saranno risparmi dall'unificazione degli enti previdenziali (3,5 miliardi di euro, una bella «cifretta» che corrisponde a circa 7 mila miliardi delle vecchie lire), vi sarà un altro aumento contributivo generalizzato. Non possiamo essere d'accordo su tale aspetto e registriamo, tra l'altro, che quanto avete scritto nel Documento di programmazione economico-finanziaria, presentato la scorsa estate, è carta straccia.
Non si scioglie poi il nodo della disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti e quelli autonomi, penalizzando il lavoro autonomo, aspetto che solleva forti dubbi di costituzionalità.
Vi è poi il tema degli «usuranti», perché nell'Accordo del 23 luglio scorso vi sono risorse per cinquemila «usuranti» all'anno, ma la definizione di «usurante» per un certo tipo di lavoro crea diritti soggettivi in capo alle persone, che comportano il rischio dello sforamento, e a tal proposito mi chiedo come sia possibile risolvere l'eventuale problema della copertura finanziaria. In merito non abbiamo ricevuto risposte. Tale problema è stato denunciato da molte organizzazioni audite in Commissione.
Inoltre, vogliamo denunciare che il tema dei lavori usuranti non può mai riguardare i lavoratori autonomi. In altre parole a fronte di un lavoro, per esempio quello del camionista, considerato usurante, la definizione di lavoro usurante dipende dal fatto che il lavoratore possieda o meno la partita IVA. Quindi, di fronte a due camionisti con gli stessi orari di lavoro, alla guida dello stesso mezzo, i quali insomma fanno esattamente lo stesso lavoro, quello con partita IVA pagherà più contributi, andrà in pensione più tardi, e il suo lavoro non potrà mai definirsi usurante al contrario di chi invece non ha la partita IVA.
Per quanto riguarda la legge Biagi, ricordo che, solo un anno fa, essa era chiamata legge n. 30, con un certo disprezzo, da parte della vostra maggioranza, e si trattava di una legge da cancellare. Nel vostro programma si trova, infatti, scritto che si tratta di una legge da superare, come primo ostacolo da abbattere sulla via della nuova politica del lavoro. Invece, la legge Biagi rimane, come rimane lo «scalone», che viene solo dilazionato, ma tutto ciò ha dovuto attraversare sette scioperi generali.
Ricordo altresì che, per la prima volta nella storia, i sindacati CGIL, CISL e UIL si sono recati dal Presidente della Repubblica per fermare questi provvedimenti e queste riforme che ora voi mantenete, e che Cofferati disse «no» al libro bianco sul lavoro ancora prima di averlo letto (per sua stessa ammissione).
La domanda è scontata: quando CGIL, CISL e UIL sciopereranno almeno una volta contro il Governo Prodi, visto che rimangono sia la legge Biagi sia l'innalzamento dell'età pensionabile? Crediamo che la legge Biagi debba essere completata, non abrogata, tante sono le forme contrattuali che restano inapplicate e che non vanno diminuite, ma vanno rafforzate e applicate per offrire più opportunità.
Manca la riforma degli ammortizzatori sociali. Durante il Governo Berlusconi sono mancati i soldi richiesti dal sindacato. Era un periodo di vacche magre o magrissime: le richieste erano alte e non siamo riusciti a realizzarla. Ora questi soldi, però, vi sarebbero, perché il ciclo dell'economia è positivo, ma preferite sperperare questi fondi per errate scelte politiche e rischiate di gettare alle ortiche il ciclo positivo dell'economia per tornare indietro sulle politiche del welfare.
L'indagine conoscitiva presso la Commissione lavoro ha ampiamente dimostrato che la legge Biagi, finalizzata a darePag. 44più opportunità - con tanto di record storico degli occupati registrato nel nostro Paese - è una buona legge.
Tutti i dati in XI Commissione lo hanno testimoniato, ricordando tra l'altro che la legge Biagi nasce dall'esperienza positiva che hanno avuto altri Paesi europei. Marco Biagi ha compiuto una rivoluzione, perché i temi del lavoro sono da sempre dominio culturale di una concezione conflittuale e antagonista della società e dei rapporti di produzione. Il professor Biagi è riuscito nell'impresa di riprogettare il diritto del lavoro e le politiche sociali non come strumento di parte in una lotta di classe senza fine, ma come risposta pragmatica al fine di conciliare i valori della giustizia sociale e della solidarietà con il progresso e la competizione.
Per la prima volta è stata approvata una legge sul lavoro, non solo per la persona che lavora, ma anche per chi non lavora, per chi cerca un lavoro e per chi non ha opportunità di lavoro. Nella legge Biagi è presente il concetto di sussidiarietà che richiede di togliersi i «paraocchi» ideologici e calarsi nella realtà. Vale a dire che un soggetto pubblico interviene solo quando i privati e le comunità non possono o non sono in grado di svolgere una certa attività secondo determinati standard qualitativi e quantitativi.
Se non bastasse, l'Europa ci ricorda che il lavoro intermittente è parte integrante del mercato dei lavori europei. Nel libro verde dell'Unione europea è scritto testualmente: «le sfide future passano attraverso una progressiva modernizzazione del mercato del lavoro e non attraverso interventi legislativi che, portandoci indietro di decenni, irrigidiscono e paralizzano il mercato del lavoro», ma tutto ciò viene smentito dalle vostre intenzioni nel disegno di legge al nostro esame.
Che cosa avete intenzione di fare con questo disegno di legge? Volete la cancellazione dello staff leasing, quando anche Bonanni si è detto assolutamente contrario? La soppressione parziale del job on call? Allora puntate ad un gioco al ribasso sulla legge Biagi che dimostra la scarsa conoscenza da parte vostra della realtà lavorativa del nostro Paese. Non avete evidentemente mai guardato a quelli che vengono chiamati i picchi o i cicli stagionali, ad esempio, nei locali estivi che assumono solo in certi mesi dell'anno, o come nel caso dei bagnini, che lavorano solo in estate. Secondo voi, se andate a gennaio o a dicembre in una spiaggia sulle Marche, dovete trovare il bagnino che lavora perché per caso passa da lì uno della maggioranza di Governo? Non funziona così! È contro ogni logica di mercato ma, ancor prima, è contro ogni buon senso.
Senza il lavoro a chiamata penalizzate turismo e servizi e ciò che anche voi sapete, ma non volete ammettere per errori politici della passata legislatura contro il Governo Berlusconi, è che così facendo favorite il sommerso e, dunque, il lavoro nero.
La flessibilità non va normata, compito che va affidato all'autonomia delle parti sociali che hanno diritto e dovere di regolare al meglio i rapporti di lavoro. Il nostro è il Paese con i tassi di occupazione regolare per donne e giovani tra i più bassi d'Europa e voi giocate al ribasso sugli ottimi effetti della legge Biagi.
Vorrei fare un ultimo appunto, per capire l'approccio ideologico che travolge anche i lavoratori e punta a far penetrare i vostri sindacati nel nord. Tra i vari emendamenti, ve ne è stato uno sul rinnovo del contratto di lavoro: avete imposto che il lavoratore non potesse farsi rappresentare, nella contrattazione, da un avvocato, un consulente del lavoro o un proprio parente (se esperto di tematiche del lavoro), ma solo da CGIL, CISL e UIL, che - ricordiamo - non arrivano al 20 per cento della rappresentanza dei lavoratori del Paese. Avete rifiutato persino di concedere tale rappresentanza a sindacati diversi - minori o locali - e avete imposto che il lavoratore potesse avvalersi esclusivamente di quelli su piano nazionale (così testualmente è scritto) e quindi sempre e soltanto CGIL, CISL e UIL.
È questo, evidentemente, il vero motivo dei sette scioperi generali contro il precedente Governo, ed anche se ora non cambiatePag. 45 la sostanza e mantenete le ottime riforme da esso varate, stranamente non vi è, da parte di quei sindacati, neanche un picchetto contro il Governo Prodi che, nella sostanza, mantiene le riforme del Governo precedente.
Concludo ricordando che la precarietà - per i pochi casi in cui modificate l'odiatissima legge Biagi - non esisterà più perché, semplicemente, i tanti lavoratori non avranno un lavoro o, se l'avranno, sarà nel sommerso e in nero, senza opportunità, e la responsabilità sarà esclusivamente vostra (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mellano. Ne ha facoltà.

BRUNO MELLANO. Signor Presidente, colleghi, Ministro e sottosegretario, nella parte antimeridiana della seduta per La Rosa nel Pugno è già intervenuto il collega Lanfranco Turci, membro della Commissione lavoro, che ha affrontato la discussione di merito del provvedimento.
Io ho avuto l'opportunità di affiancare il collega Turci nei lavori di Commissione, per rappresentare anche più direttamente le istanze e le sensibilità dei deputati radicali de La Rosa nel Pugno. Noi abbiamo presentato in Commissione un nostro pacchetto di emendamenti che è stato, in linea di massima, bellamente bocciato (in alcuni casi, con zero voti al suo attivo).
In questa sede, devo rappresentare quella che è una nostra posizione convinta - come direzione dei radicali italiani, come attività di Governo del Ministro Emma Bonino e come partito - e che consiste in una difesa del testo del Protocollo redatto il 23 luglio e della sua traduzione in disegno di legge. Siamo, infatti, veramente convinti che il testo giunto al nostro esame (con una straordinaria mediazione ed una straordinaria attività di consultazione a livello territoriale, locale e nazionale, delle parti sociali) sia un compromesso utile per tenere assieme sia le diverse istanze e sensibilità della maggioranza di centrosinistra, sia i diversi interessi della società, nonché utile proprio per il lavoro svolto e il risultato ottenuto.
Per questo motivo, come radicali, abbiamo espresso una grave preoccupazione e amarezza per i risultati che, poi, sono stati raggiunti dalla Commissione lavoro. Quest'ultima, infatti, in alcuni casi, ha recepito le istanze di una sinistra conservatrice, la quale ha fatto di questa battaglia, una battaglia simbolica. All'una e mezza di notte, un membro della Commissione è «sbottato» su un emendamento: in ciò vi è tutto il simbolismo di una battaglia. Pertanto, invitiamo i colleghi della sinistra a superare questo simbolismo e, soprattutto, invitiamo il Governo a non essere soggetto al ricatto di un simbolismo veterocomunista, che si lega ad alcune bandiere, indipendentemente dalla realtà e dalla ragionevolezza della realtà stessa.
Abbiamo ascoltato, in Commissione, discussioni e dichiarazioni di principio legate, appunto, ai contratti che, di norma, devono essere a tempo indeterminato. Abbiamo visto recepita la centralità dei servizi pubblici all'impiego, indipendentemente dal fatto che tutte le analisi ci dicono che i servizi pubblici all'impiego, in Italia, svolgono attività di intermediazione appena per il 4 per cento dei cittadini che trovano lavoro nel nostro Paese.
Si è svolta una discussione sul 60 per cento dell'ultimo stipendio che dev'essere la base minima delle pensioni nel nostro Paese, discussione ambigua perché il testo, come è stato scritto, è una mera dichiarazione di principio, mentre si è tentata una lettura per molti versi legata a una testualità di impegno che non corrisponde ad esso; e poi sulla rappresentanza sindacale obbligatoria per la «triplice» anche delle contrattazioni locali. Si sono inoltre verificati fatti che ci hanno resi davvero insoddisfatti del lavoro svolto: l'abolizione dello staff leasing, che non era previsto, che non era concordato, che non era nel Protocollo e che aveva come giustificazione forte - pensate - il fatto che persino la Confindustria è favorevole al superamento di tale strumento, perché poco attuato, poco utilizzato. La nostra battaglia,Pag. 46 della sinistra, doveva essere non l'abolizione, ma la richiesta di attuazione fino in fondo anche di tale strumento, perché esso è - sarebbe, sarebbe stato - il mezzo per far uscire dal nero, dall'illegalità moltissimi contatti. Certo, come ho già detto, anche la Confindustria non era così favorevole ad esso, perché lo staff leasing, il contratto a somministrazione è più costoso, perché garantisce di più i lavoratori, perché prevede l'assunzione diretta e a tempo indeterminato dei lavoratori dalle agenzie che avrebbero poi fornito il servizio.
Vi è stata una discussione paradossale sull'abolizione del lavoro a chiamata. Noi abbiamo condiviso il lavoro che il Governo ha svolto, e che poi la Commissione ha recepito con un voto a maggioranza, per la reintroduzione di alcuni aspetti del lavoro a chiamata, per i settori che più necessariamente fanno uso di tale contratto - turismo, spettacolo, ristorazione - ma siamo convinti che la sua abolizione sia comunque un errore, una sconfitta rispetto ad una possibilità di apertura del mercato del lavoro che dimostri attenzione concreta rispetto al cittadino, al cittadino-lavoratore, al cittadino disoccupato, e non un'attenzione ideologica rispetto al mercato del lavoro.
Si è poi assistito ad un lavorio di emendamenti ed emendamentini sulla regolamentazione del lavoro a termine, che è stato pesantemente modificato rispetto all'impostazione del Protocollo del 23 luglio: il conteggio dei 36 mesi e, soprattutto, la limitazione a 8 mesi per l'eventuale contratto successivo ai 36 mesi maturati, sono un forte limite all'utilizzo di tale contratto, che permette anch'esso di far emergere molte situazioni dal nero, dalla clandestinità, dall'irregolarità. Inoltre, si è tenuta un'altra discussione molto campata in aria e poco legata ai numeri, quella dell'individuazione della platea dei cittadini lavoratori che avranno diritto di chiedere il prepensionamento in forza di un lavoro usurante espletato nel corso della propria carriera lavorativa. Sappiamo che il compromesso raggiunto nel luglio scorso prevedeva una soglia in denaro, stabilita in 2,5 miliardi di euro, per delimitare una platea, che non può certo essere definita «nero su bianco», in base a numeri, di persone che potranno chiedere il prepensionamento. Vi è stato uno sforamento che attualmente è quantificato in circa 3 miliardi di euro, ma non sappiamo ancora quanto incideranno gli emendamenti approvati nel corso del lavoro notturno di Commissione. Questo aspetto ci preoccupa molto, per via dell'impatto economico-finanziario del provvedimento in esame, che già ha costi altissimi a causa del superamento della legge Maroni e che, nel tenere insieme esigenze diverse, ha scelto di impiegare una consistente disponibilità di denaro per garantire alcune conquiste, per garantire alcune soluzioni condivise.
Noi chiediamo al Governo - e al Ministro presente oggi in aula - di avere la forza di tenere ferma la barra sull'accordo raggiunto e di non cedere al ricatto che in alcuni casi è stato davvero palese, plateale, plastico (un ricatto ideologico e di conservazione di una realtà non legata alla ragionevolezza e alla concretezza dei dati che anche in Commissione sono stati illustrati e che costituiscono un patrimonio condiviso). In merito a ciò, chiediamo al Governo uno sforzo di attenzione tale da garantirci di poter votare la fiducia su un testo che sia il più vicino possibile a quello realizzato con l'Accordo del luglio scorso e ad alcune modifiche largamente condivise; ciò non per svalutare il ruolo del Parlamento e della Commissione - che, invece, occorre valorizzare - bensì proprio per evitare al nostro Governo di ripercorrere gli errori del precedente Governo Prodi, di essere cioè ricattato e ricattabile da una parte politica che ha perso nel confronto sociale e che ha sostanzialmente ripercorso, in Aula e nei lavori in Commissione, una strada, ripeto, di recupero simbolico non legato alla concretezza del problema, né alla ragionevolezza del quadro istituzionale e politico. Per tali ragioni, restiamo in attesa di capire su quale testo potremo dare - rinnovare - la nostra fiducia al Governo, sapendo che stiamo ragionando di un tema delicatissimo edPag. 47importantissimo, che è all'attenzione di tutti, ma anche, alla nostra concreta e puntuale riflessione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Amoruso. Ne ha facoltà.

FRANCESCO MARIA AMORUSO. Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, nella scorsa legislatura l'approvazione, da parte del precedente Governo, di due riforme importantissime - quella delle pensioni e quella del mercato del lavoro - non fu il frutto di una velleità ideologica, bensì il risultato dell'analisi attenta delle condizioni di un sistema previdenziale che ormai non aveva più in sé la forza della sostenibilità, dovuta anche al dato, molto positivo, dell'innalzamento della vita media. D'altro canto, vi erano anche le sollecitazioni che da parte dell'Europa venivano rivolte all'Italia per adeguare il proprio sistema pensionistico alla realtà del Paese.
Così fu anche per la legge sul lavoro, la cosiddetta legge Biagi, che andò proprio nella direzione di ridare dignità al lavoro temporaneo, di combattere realmente le forme di precariato che erano state inventate (basti ricordare, per tutte, quella relativa ai cosiddetti lavoratori socialmente utili) e di far sì che il lavoro nero potesse emergere, garantendo una maggiore e migliore occupazione. Questo fu il lavoro fatto, che in campagna elettorale le forze componenti l'attuale Governo - proprio a causa della deriva ideologica alla quale abbiamo fatto riferimento - affermavano e scrivevano che sarebbe stato necessario eliminare. Oggi, invece, ci troviamo di fronte ad un provvedimento contraddittorio che, nel suo complesso, rappresenta l'incapacità reale di superare le due predette riforme, ma che per soddisfare esigenze e spinte di natura ideologica, alla fine produce cambiamenti di carattere specifico che non incidono a fondo sui provvedimenti vigenti. Con riferimento, ad esempio, alla riforma pensionistica si passa dallo scalone agli scalini, mentre per quanto riguarda la riforma del lavoro si prevede solo l'eliminazione di alcune forme particolari, su cui ci soffermeremo tra poco.
Il Protocollo sul welfare, quindi, è un testo contraddittorio in cui per accontentare la sinistra radicale, da cui dipendono le sorti del Governo, si mischiano tendenze involutive e antiriformiste - si ricordi il macchinoso sistema degli scalini che sostituisce il cosiddetto scalone della riforma Maroni - a progetti pieni di retorica, ma di scarsa utilità sul piano concreto (si consideri, in proposito, quanto si dispone in merito al riordino degli enti di previdenza pubblica). Inoltre, si assiste ad un ritorno a forme di forte assistenzialismo come, ad esempio, l'estensione dell'indennità di disoccupazione nel settore agricolo, che costerà ben 451 milioni di euro nell'arco dei prossimi tre anni. Una soluzione, questa, che ritarda l'avvio di una riforma del sistema delle misure di contrasto alla disoccupazione in agricoltura, anche alla luce di tutti i fenomeni che stanno emergendo negli ultimi anni, tra cui le truffe ai danni dell'INPS, con misure ideologiche, tra cui l'abrogazione del lavoro a chiamata e dello staff leasing, che contrastano con la doverosa lotta al lavoro sommerso, che invece l'eliminazione di tali forme reintroduce pesantemente nel nostro sistema.
Il Protocollo rappresenta, quindi, un peso insopportabile per la finanza pubblica perché nella legge finanziaria si prevede, in favore della sua attuazione, l'istituzione di un apposito Fondo pari a 9 miliardi di euro per il periodo 2008-2010 e a 1,9 miliardi annui a decorrere dal 2012. Inoltre, si deve sottolineare come nell'articolo 27, in ordine al triennio 2008-2010, viene recuperata una cifra pari a circa un miliardo di euro tramite un aggravio della contribuzione a carico degli iscritti alla gestione separata dell'INPS e tale fatto comporterà non solo un onere maggiore per i lavoratori, ma anche - e soprattutto - un aggravio del costo del lavoro per le imprese. Tale disposizione infligge un duro colpo alla competitività che il nostro sistema Paese deve possedere e che dovrebbe acquisire tramite una politica che mira alla riduzione del costo delPag. 48lavoro. La predetta circostanza ha portato il vicepresidente di Confindustria a dichiarare, in un'intervista apparsa sui giornali, che il provvedimento in esame aiuta e favorisce maggiormente la delocalizzazione delle produzioni, piuttosto che l'incentivazione della competitività del nostro Paese.
Tali aspetti sono anche il frutto di divisioni e di contrasti interni alla stessa maggioranza di Governo. Basta leggere gli articoli apparsi sulla stampa degli ultimi giorni. Nessuno è soddisfatto del testo seguito all'esame in Commissione: i sindacati si lamentano, Confindustria deplora quanto stabilito in ordine ai contratti a termine e la stessa sinistra denuncia l'emendamento con cui si è reintrodotto il cosiddetto job on call in ordine ad alcuni aspetti particolari dei lavori in settori quali il turismo e lo spettacolo, dove era del tutto impensabile eliminare una simile forma di contratto. Chiaramente, siamo dinanzi ad una serie di contraddizioni che pesano notevolmente sul provvedimento in esame e che non gli forniscono la dovuta chiarezza di cui si avverte, invece, la necessità. I motivi di insoddisfazione in ordine a questo provvedimento sono dunque numerosi e il mio gruppo, Alleanza Nazionale, esprimerà voto contrario su di esso.
Concentriamo ora la nostra attenzione su alcuni aspetti particolari cui ho accennato in questa breve introduzione e che sono il segno del modo in cui si è operato nel provvedimento in esame. Uno degli aspetti importanti è l'abrogazione del cosiddetto scalone e l'introduzione degli scalini. Si tratta di una misura demagogica, perché si procede in una direzione opposta alla realtà di un Paese, il nostro, che possiede ormai un'aspettativa di vita pari ad 82 anni per gli uomini e, per fortuna, di ben 86 anni per le donne e che paventa i propri conti pensionistici a rischio di passività. Si è discusso anche di tale aspetto in Commissione lavoro.
Il rischio (anche di questo aspetto si è discusso in Commissione) non è rappresentato dal fatto che i giovani devono pagare oggi per quanto percepiranno domani, ma dal fatto che si faccia pagare loro per qualcosa che domani non potranno percepire. L'introduzione degli scalini è inutile. Che senso ha abolire l'innalzamento immediato ed introdurre avanzamenti progressivi di età che arriveranno addirittura a superare la previsione della riforma Maroni, ossia ben 62 anni? Si tratta di una misura dannosa per i conti pubblici, perché in tal modo si aumenta, come già sostenuto dallo stesso presidente dell'INPS in un'audizione svolta in Commissione, la spesa tendenziale pensionistica dello 0,1 per cento, mentre con il cosiddetto scalone Maroni si sarebbe avuta una diminuzione immediata dello 0,6 per cento. In termini concreti si tratta di un danno gravissimo perché, come ha calcolato un noto studioso quale Giuliano Cazzola, l'abolizione dello scalone non costerà i 10 miliardi di euro previsti dal Governo, ma più di 20 miliardi di euro.
Davvero non si capisce, al di là del confronto politico, la ratio del provvedimento in esame, solo poche settimane prima della prevista entrata in vigore, con la riforma Maroni, di un sistema che, al contrario, sarebbe stato estremamente razionale e vantaggioso sul piano dei costi tramite misure di abolizione della complicata fascia flessibile tra 57 e 65 anni della precedente riforma Dini come primo momento possibile per andare in pensione; fissazione a 60 anni per le donne e a 65 per uomini, con il requisito di 35 anni di periodo contributivo minimo; introduzione dei cosiddetti incentivi per chi avesse voluto posticipare il momento del pensionamento, nonostante il raggiungimento dei requisiti di età e di minimo contributivo.
Oltre a ciò, vi è poi un problema di aleatorietà introdotto dalla misura sui lavori usuranti. Non si capisce come la delega che impegna il Governo a trovare l'accordo con le parti sociali e che elimina (come è avvenuto in Commissione) il riferimento alle ottanta notti per la definizione dei lavori usuranti, possa convivere con le coperture presentate dal Governo per garantire i maggiori oneri che nel prossimo decennio deriveranno dalla definizione dei lavori usuranti (due miliardiPag. 49e mezzo di euro). Tali coperture, infatti, non sono fissate in base ad un numero massimo di lavoratori impiegati in attività usuranti, bensì in base ad un impegno di spesa. Insomma, lo scenario è del tutto incerto. Infatti, quando avremo lavoratori che saranno dichiarati usurati da sentenze del tribunale, nel momento in cui la spesa sarà esaurita, voglio vedere come, chi si troverà a gestire la cosa pubblica, dovrà fare per soddisfare tali giuste e legittime richieste. Nella stessa Commissione lavoro, l'8 novembre scorso, le predette situazioni di difficoltà furono sottolineate dallo stesso sottosegretario per il lavoro.
Vi è inoltre, il problema dei coefficienti di trasformazione. Il precedente Governo è stato accusato di non avere applicato ciò che prevedeva la riforma Dini del 2005, ossia la revisione dei coefficienti. Ebbene, qual è la soluzione adottata nel provvedimento in esame? Al di là della loro identificazione, i coefficienti di trasformazione vengono rinviati al 2010 e, nel frattempo, viene istituita una commissione che entro il 31 dicembre del 2008 dovrà presentare le valutazioni sulle modifiche dei criteri di calcolo dei coefficienti. Viene messo in discussione anche uno dei fondamenti stessi della legge Dini di riforma delle pensioni: la sostituzione del sistema retributivo con quello contributivo. Nel momento in cui viene fissato il limite minimo di grado di copertura (cioè il rapporto tra trattamento pensionistico e salario) è chiaro che si incide fortemente sul concetto del sistema contributivo, che prevede che le pensioni siano in funzione di quanto versa ognuno.
Non riusciamo, quindi, a capire quale sia la ratio di questo provvedimento se non questa confusa affabulazione di situazioni in funzione più ideologica che concreta.
Vi è, poi, un altro enigma: quello del riordino degli enti. Il Governo vuole unificare gli enti previdenziali pubblici, creando un grande polo previdenziale ed un polo assistenziale con un risparmio, previsto, di 3 miliardi e mezzo di euro. La CGIL, in Commissione, ha addirittura sostenuto che buona parte delle risorse necessarie all'ammorbidimento dello scalone (cioè all'introduzione di quegli scalini per i quali il Governo prevede una spesa di 10 miliardi di euro, ma che noi riteniamo sarà superiore ai 20) addirittura deve essere recuperata proprio attraverso un riordino degli enti di previdenza.
Riteniamo che questa sia solamente demagogia: un riordino degli enti, così come previsto, non porterà ad alcun tipo di risparmio. Ce lo hanno detto gli stessi presidenti nelle audizioni che abbiamo svolto ed è risultato dagli studi della Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale: il problema non è quello di unificare gli enti, ma di razionalizzare il funzionamento degli stessi.
Già in passato abbiamo più volte sottoposto all'attenzione del Parlamento la reale necessità di riformare gli enti sotto il profilo della loro struttura interna. Non è possibile che oggi esistano enti gestiti da cinque organi previsti in maniera autonoma: un presidente, un consiglio di amministrazione, un direttore generale, i revisori dei conti ed il Civ (che, al suo interno, ha anche un presidente che lavora e funziona in maniera autonoma).
Questo è uno dei fattori reali sul quale bisogna intervenire, così come bisogna intervenire sul numero esagerato di comitati che comportano spese per milioni e milioni di euro in termini di bilancio, ad esempio dell'INPS, per quanto riguarda la loro organizzazione ed il loro sostentamento.
Si deve tentare di risolvere le forme di gestione collegate tra i vari enti - questo sì - anche nella realtà delle loro sedi, ma da qui a dire che dall'unificazione si possa realizzare un risparmio reale di tre miliardi e mezzo di euro ce ne vuole.
Allora, occorre domandarsi quali siano realmente i risparmi che si possono avere e quanto questo riordino costerà, invece, in termini reali di efficienza e di servizi a carico dei cittadini.
Le peculiarità di IPSEMA, ENPALS, IPOST si disperderanno in un nuovo «megaente», mentre INPS, INPDAP e INAIL - che già oggi fanno fatica a seguire iPag. 50loro milioni di assistiti - si troveranno alle prese con un processo lungo nel tempo e dispendioso, in termini economici, per integrare, ad esempio, i loro complessi sistemi informatici e creare le giuste sinergie.
Il presidente dell'INPS - come dicevo prima - nell'audizione in Commissione lavoro ha spiegato i motivi della perplessità del maggiore ente previdenziale italiano sul riordino: le difficoltà nell'unire le due mastodontiche banche dati, i costi connessi all'unificazione delle sedi (anche alla luce del fatto che alcune dismissioni mobiliari hanno riguardato gli enti strumentali di questi enti) ed il fatto che un accorpamento a valle non serve, considerato che, in un ente unificato in questo modo, i dipendenti dei due enti continueranno a svolgere il lavoro di prima. Le stesse perplessità sono state ribadite anche da organismi neutri come la Ragioneria generale dello Stato.
Accanto a questi problemi collegati alla previdenza vi sono anche quelli collegati alla riforma della cosiddetta legge sul lavoro.
Si voleva abrogare la legge Biagi, ma si è solo stati capaci di eliminare il lavoro a chiamata e lo staff leasing, due iniziative che certamente non vanno nella direzione giusta.
L'abrogazione del job on call è davvero incomprensibile. Chiunque preferisce un lavoro dipendente stabile a un lavoro intermittente, ma la realtà del mercato del lavoro è questa; basti pensare che nel periodo 2000-2005 l'occupazione a termine è aumentata di 95 mila unità e che addirittura, solo tra il primo semestre 2005 e il primo semestre 2006, l'aumento è stato di 188 mila unità.
Vorrei ricordare anche il risultato di una missione che la Commissione lavoro ha svolto in un Paese, tra l'altro guidato dal centrosinistra, come la Spagna, dove oggi il lavoro a intermittenza ha una percentuale del 34,4 per cento, di molto superiore alla quota dell'Italia. Si tratta di una forma di lavoro naturale nei sistemi moderni; il problema è che vanno indubbiamente perseguite politiche di trasformazione di questo tipo di contratto verso il lavoro a tempo indeterminato. Nonostante ciò, il lavoro a tempo determinato - attraverso la legge Biagi che ha eliminato forme di sfruttamento che erano tipiche...

PRESIDENTE. Onorevole Amoruso, la invito a concludere.

FRANCESCO MARIA AMORUSO. ...di certe forme di precariato - è servito essenzialmente a fare emergere la realtà del lavoro nero.
Arrivo alla conclusione, signor Presidente. Un altro aspetto da considerare è stato quello relativo alle proroghe dei contratti a termine che ha fatto, questo sì, «inviperire» alcuni settori di Confindustria che hanno gridato al tradimento e al fallimento del sistema della concertazione, nel momento in cui in Commissione è stato stravolto il testo del Protocollo. Al di là di tutto, con queste brevi considerazioni non possiamo che sottolineare come questo provvedimento sia raffazzonato e non vada certamente nella direzione della salvaguardia dei conti pubblici. Ma la cosa peggiore, signor Presidente, è che questo provvedimento non presenta, per quanto ci riguarda, una seria copertura finanziaria, il che comporta gravi rischi per le casse dello Stato e per i lavoratori che saranno costretti a tornare a lavorare in nero.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pegolo, a titolo personale. Ne ha facoltà, per cinque minuti.

GIAN LUIGI PEGOLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, il Protocollo del welfare rappresenta uno degli atti più significativi e, al tempo stesso, più discutibili del Governo. Vi sono certamente aspetti positivi, come l'aumento delle pensioni basse, il miglioramento del sistema di rivalutazione delle pensioni, le norme sulla totalizzazione dei contributi, il riscatto della laurea, alcuni interventi sugli ammortizzatori sociali. Tuttavia, questi interventi non sonoPag. 51sufficienti per esprimere un giudizio positivo. Il Protocollo, infatti, come peraltro molti hanno sostenuto, non supera lo scalone introdotto dal Ministro Maroni, com'era previsto nel programma di Governo, ma rende solo più graduale l'elevamento dell'età pensionabile attraverso l'introduzione di un meccanismo in cui le quote si associano alla crescita dell'età minima. Non solo, a fine periodo si finisce con il peggiorare la stessa normativa prevista nello scalone.
Il giudizio negativo si estende anche ad altre parti, in particolare a quella riguardante i lavori usuranti, per i quali viene posto, a mio giudizio, un assurdo vincolo che definisce un massimo di cinquemila lavoratori l'anno. Sulla precarietà si deve constatare, nel testo inizialmente proposto, il sostanziale mantenimento della legge n. 30 del 2003. Vi è poi l'eliminazione della sovracontribuzione per il lavoro straordinario, con tutto ciò che questo implica, e la detassazione del salario aziendale che rappresenta, di fatto, una minaccia per quanto riguarda il contratto nazionale di lavoro.
Il fatto che il Protocollo scaturisca da un accordo tra le parti sociali e il Governo non fa venire meno queste criticità, né esse scompaiono per il fatto che nella consultazione sindacale la maggioranza dei lavoratori si sia espressa favorevolmente. Per questa ragione, ma anche per le prerogative riconosciute a questa Camera, non sono accettabili pressioni da parte di Confindustria o da settori del sindacato tese a limitare l'iniziativa autonoma del Parlamento.
All'origine delle polemiche sorte in questi giorni vi sono, come sappiamo, le modifiche introdotte dalla Commissione lavoro che, a mio avviso, non sono risolutive ma certamente apprezzabili. Penso al fatto che è stato messo nuovamente in discussione il tetto delle 80 notti per i turnisti, all'introduzione di una maggiore rigidità in merito alla proroga dopo i 36 mesi dei contratti a termine o all'eliminazione dello staff leasing. Tuttavia, va detto che è stata contestualmente peggiorata la norma sul job on call a seguito di un'inedita, e a mio parere inquietante, convergenza di settori del centrosinistra con il centrodestra.
Rispetto al nuovo testo emerso dai lavori della Commissione, però, non è ancora chiaro cosa intenda fare il Governo; essendo lo stesso sottoposto alle pressioni di Confindustria e di parti del sindacato, nonché al ricatto di alcuni settori moderati della stessa maggioranza, vi è il rischio che alla fine prevalga la volontà di peggiorare il testo licenziato dalla Commissione. In questo senso, il ricorso al voto di fiducia costituirebbe un'ulteriore forzatura, tesa a blindare un testo più arretrato di quello che è stato licenziato. Si tratterebbe di un esito, a mio giudizio, estremamente negativo.
Il punto è, invece, che le modifiche introdotte non solo sono giuste e doverose, ma sono ancora insufficienti, in quanto il dispositivo del disegno di legge mantiene un'impostazione inaccettabile sulla questione della previdenza, una forte aleatorietà per quanto riguarda i lavori usuranti e un impianto che resta ancora inadeguato in tema di precarietà. Occorre, quindi, migliorare il testo e non peggiorarlo. È mia convinzione, a tale proposito, che la tenuta dell'attuale maggioranza, prima ancora che sul piano politico, sarebbe messa a dura prova sul piano del consenso sociale se l'esito finale fosse negativo.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIAN LUIGI PEGOLO. Concludo, Presidente. In gioco vi è il consenso di ampie fasce di lavoratori, in modo particolare, dei giovani precari che in questo Esecutivo hanno riposto la loro fiducia che credo non possa essere ulteriormente delusa.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ulizia. Ne ha facoltà.

LUCIANO D'ULIZIA. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, l'Italia dei Valori esprimerà senz'altro una valutazione positiva sul provvedimento che stiamo esaminando; tuttavia, vorrei precisare che essa riguarderà il testo proposto dal Governo.Pag. 52 Le modifiche approvate dalla Commissione, infatti, non ci trovano d'accordo, se non nella parte che potrebbe essere condivisa sia da tutte le forze della maggioranza, sia dalle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto il Protocollo e la nostra impostazione deriva dal fatto che 5 milioni di lavoratori hanno esercitato la loro potestà di voto esprimendosi a favore dello stesso.
A nostro avviso dovremmo arrivare ad un esercizio virtuoso e funzionale, ovvero approvare il provvedimento che recepisce il Protocollo come proposto dal Governo e con le modifiche trasversalmente concordate e che non devono, quindi, suscitare contestazioni e reazioni di alcun tipo. Il presidente del gruppo dell'Italia dei Valori, in sede di dichiarazione di voto, confermerà questa posizione.
Vi sottopongo una lettura del provvedimento non squisitamente settoriale e tecnica. Come ho già affermato in sede di discussione sul decreto-legge fiscale, non può essere una lettura isolata, ma correlata: dobbiamo infatti leggere insieme il provvedimento che recepisce l'accordo sul welfare del 23 luglio, il disegno di legge finanziaria e il decreto-legge fiscale. Credo che dobbiamo essere grati al Presidente del Consiglio, Romano Prodi, per il fatto che vi sia una regia su questi provvedimenti, i quali hanno una progettualità complessiva e un'anima che il centrodestra vorrebbe negarci. Secondo il centrodestra, infatti, questi provvedimenti sono raffazzonati, estemporanei e improvvisati, ma ciò non è vero e con il tempo a disposizione cercherò di dimostrarlo, così come ho fatto già per il decreto-legge in materia fiscale.
Tuttavia, signor Presidente, colleghi, signor Ministro, non ho sentito in Aula, da parte dell'opposizione, riprendere il mio discorso per confutare l'anima progettuale e morale dei provvedimenti citati. Non dimentichiamoci, infatti, che in questi provvedimenti (in particolare nel decreto-legge in materia fiscale) vi è un'afflato umano.
Noi ci preoccupiamo, infatti, delle persone che muoiono di fame e che ci chiedono aiuto, in quanto noi proveniamo da questa cultura e abbiamo questa sensibilità, aspetti che non ritrovo assolutamente nel centrodestra! Vi sono spese ingenti per aiutare sia i Paesi in via di sviluppo, sia quelli che muoiono di fame. Quindi, questi provvedimenti hanno un'anima, ovvero l'anima del centrosinistra, della solidarietà e della mutualità.
Se osserviamo l'insieme dei provvedimenti, salvo errori ed omissioni, tra il disegno di legge finanziaria (che ancora non è al nostro esame, ma che tra poco giungerà in Aula e ne conosciamo sommariamente i connotati), il decreto-legge in materia fiscale e il Protocollo sul welfare, l'investimento ammonta a circa 20 miliardi di euro. Anche sotto il profilo del valore economico si tratta di un grande impegno che il Governo e la maggioranza stanno portando avanti.
In particolare, il provvedimento in esame per l'anno 2008 stanzia 1.264 milioni di euro, mentre per il quinquennio reca uno stanziamento molto vicino agli otto miliardi di euro. Alla lettura correlata dei tre provvedimenti aggiungerei anche il saldo di finanza pubblica, in quanto, come ho ricordato più volte, signor Presidente, occorre sempre fare «la prova del nove». Ciò significa che non adottiamo provvedimenti senza copertura, bensì con i saldi di finanza pubblica controlliamo se vi sono le coperture sufficienti.
Quindi, dovremmo correlare il disegno di legge finanziaria, il decreto-legge fiscale e il disegno di legge che recepisce il Protocollo con i saldi di finanza pubblica. Si tratta di un esercizio che ho provato più volte a svolgere e ho spiegato che, stando ai dati della Banca d'Italia, nel secondo semestre del 2007 abbiamo, per i primi due mesi, un'economia di gestione pari a 12 miliardi di euro.
Ciò vuol dire che, mentre nel primo semestre la massa del debito pubblico era pari a 1.632 miliardi di euro, nel secondo semestre del 2007 lo stesso debito pubblico era calato di 12 miliardi, ossia era pari a 1.620 miliardi. Le manovre che stiamo ponendo in atto sono virtuose: i dati matematici dei saldi di finanza pubblicaPag. 53dimostrano che stiamo svolgendo un'operazione saggia, non come faceva il Governo di centrodestra, che diminuiva impercettibilmente le tasse, scaricando tutto, però, sul conto del debito pubblico. I colleghi del centrodestra vadano a guardare i cinque anni del Governo Berlusconi, che ha generato enormi debiti, ha azzerato l'avanzo primario ed ha causato un terzo del debito pubblico oggi sulle nostre spalle. Questa è la verità!
La manovra che la maggioranza - e soprattutto il Governo - sta portando avanti ha un'anima e un progetto correlato. Ho definito le norme di attuazione del Protocollo sul welfare con le parole «riscoprire il valore del lavoro». Per noi il lavoro è al centro di tutte le nostre iniziative culturali, politiche ed etiche: lo abbiamo riscoperto conferendo diritti a chi non li aveva; dando continuità - almeno dal punto di vista previdenziale e assistenziale - ai precari; allo stesso tempo (si pensi al decreto fiscale e alla legge finanziaria) abbiamo dato alle imprese la possibilità di diventare competitive, perché abbiamo abbassato di cinque punti percentuali l'IRES, abbiamo diminuito l'IRAP, abbiamo creato un Fondo per l'innovazione tecnologica e un Fondo per lo sviluppo dell'esportazione.
Si tiene conto, cioè, del fatto che l'impresa deve essere competitiva sui mercati europei e mondiali, ma anche del fatto che il lavoro non deve essere sacrificato, non deve essere succedaneo, non deve essere schiavizzato: esso deve essere esaltato, premiato e tutelato. Viene fuori, allora, l'anima del provvedimento in esame e di tutta la manovra: l'uomo e il lavoro, l'uomo che intraprende.
Ancora, nella legge finanziaria - che ha correlazioni con il provvedimento che stiamo esaminando - è prevista una serie di misure che inducono il lavoratore a diventare imprenditore: con una serie di fondi si dà la possibilità a chi vuole intraprendere di poterlo fare. Qui si inserisce il discorso delle razionalizzazioni e delle solidarietà, che abbiamo introdotto con il decreto fiscale ma che è contenuto anche nel provvedimento oggi in discussione. Leggerlo in modo isolato, non correlarlo alla legge finanziaria e al decreto fiscale, a mio avviso è un errore che non ci possiamo permettere: dobbiamo avere una lente di ingrandimento unica per tutti i provvedimenti in questione e dobbiamo correlarli e «sinergizzarli», affinché essi producano il massimo per la nostra economia e soprattutto per la nostra socialità.
Sono previsti, pertanto, incentivi alle imprese - come ad esempio le detassazioni - che si riverberano a più livelli: sarebbe lunghissimo elencare gli incentivi alle imprese, che non sono solo la riduzione di cinque punti dell'IRES o l'abbattimento dell'IRAP. Vi sono, inoltre, fondi che aiutano le imprese ad impattare in maniera meno virulenta con il mercato.
Le azioni che definivo l'anima dei provvedimenti sono, per esempio, quelle nei confronti dei disabili e delle donne. Finalmente, abbiamo previsto un provvedimento che prende in seria considerazione la persona disabile, che, quando viene messa in condizioni di lavorare, è un lavoratore integerrimo, attaccato, più attento degli altri lavoratori, perché vede realizzata la sua volontà di concorrere al bene sociale, di dare e di produrre anche per gli altri, e di non essere un oggetto inanimato, ma un soggetto propulsivo e produttivo di effetti.
In questo provvedimento vi sono norme a favore dei disabili e delle donne. Non vorrei assolutamente essere frainteso per l'accostamento, e me ne scuso: si tratta di due aspetti completamente diversi. Il provvedimento contiene misure che ritengo molto serie e funzionali alle donne.
Inoltre, l'aspetto più importante attiene alla presenza di una serie di previsioni concrete a favore dei giovani, per le politiche occupazionali e per la stabilizzazione degli stessi. Dunque, l'anima del provvedimento emerge ed è un'anima correlata - come affermavo prima - a quella di tutti gli altri provvedimenti che sono, o sono stati, al nostro esame.
Signor Ministro, ciò che, invece, debbo lamentare è la scarsa esaltazione della funzione delle imprese cooperative e del movimento cooperativo. Il provvedimentoPag. 54prevede un Fondo per il lavoro autonomo che viene destinato anche alla cooperazione. Tuttavia, non sono soddisfatto, anche se credo che ci sia sempre tempo per recuperare. Presenteremo un ordine del giorno al riguardo (tutti conoscono il valore degli ordini del giorno, ma ritengo che il nostro Governo, molto più serio di quello che ci ha preceduto, terrà fede agli impegni assunti anche attraverso gli ordini del giorno, perché noi abbiamo un nostro modo di porci e di agire).
In questo provvedimento, a mio avviso, il ruolo della cooperazione avrebbe dovuto essere maggiormente esaltato. Se, infatti, guardiamo all'opera delle cooperative sociali, vediamo che riescono a recuperare i disabili e le fasce deboli del mercato. Pertanto, avrei fatto molto di più, esaltando il valore della cooperazione.
Signor Presidente, colleghi, ricordo che proprio nei giorni scorsi abbiamo qui discusso della questione cooperativa, del movimento cooperativo e delle imprese cooperative. In quella occasione, il Parlamento ha riconosciuto l'importanza della cooperazione, che ha dato molto al Paese e ha conseguito risultati importanti sul piano economico, occupazionale e sociale. Dunque, il Parlamento ha riconosciuto una funzione alta al movimento cooperativo e alle imprese cooperative. La difficoltà, però, sorge nel momento in cui si deve passare dall'enunciazione ai fatti. Se l'impresa cooperativa e il movimento cooperativo sono fattori di sviluppo insostituibili ed entità che riescono a creare più occupazione rispetto alle altre imprese, e se è vero che la cooperazione esercita una funzione anticiclica - come è stato affermato in sede accademica da molti centri universitari - non ritrovo una corrispondente posizione in questo provvedimento. La cooperazione, cioè, non viene utilizzata al meglio. Potevamo fare molto di più, su questo non vi è dubbio. Mi rendo anche conto delle difficoltà.
Chi ieri sera ha seguito la trasmissione Report si è fatto un'idea del movimento cooperativo completamente sbagliata. Nutro molte riserve su quel reportage, perché credo che parecchie notizie debbano essere precisate e non corrispondano esattamente a come sono state riportate, anche se non mi riguardano personalmente e direttamente.
Si tende a fornire un'immagine del cosiddetto fenomeno del movimento cooperativo - ormai infatti non è più un fenomeno, è una componente strutturale della nostra società e della nostra economia - e delle imprese cooperative molto inadeguata e comunque negativa. Forse il momento che stiamo attraversando condiziona i nostri provvedimenti.
Invito il Ministro a non farsi condizionare da tale atmosfera negativa sulla cooperazione. Signori, se non vi fosse stata l'economia cooperativa negli ultimi cinque anni, il nostro Paese sarebbe andato in recessione! Quando affermo che la destra non è capace di compiere una somma algebrica, lo affermo perché se facessero una somma algebrica si accorgerebbero che le imprese cooperative hanno salvato il Paese dalla recessione! È la verità: basta fare i conti.
Allora, caro Ministro, non facciamoci prendere da queste atmosfere negative e dalle campagne di stampa sulla cooperazione. Porterei i miei interlocutori - e sono a disposizione: questa è una sfida! - in alcune cooperative sociali: cari colleghi, quando entrate in quelle cooperative, uscite uomini diversi! Non conosco struttura pubblica che svolga quel lavoro, che assista i malati terminali, anzi, è la struttura cooperativa che si sostituisce alla struttura pubblica e, con un afflato umano, riesce a offrire ciò che spetta ad ogni uomo: il conforto prima della morte. Allora, come si fa ad affermare che la cooperazione è un elemento negativo della nostra società, come qualcuno dice? La cooperazione ha moltissimi meriti e deve essere utilizzata.
Pertanto, esorto il Governo a non farsi prendere da questa mania, anche perché alcune questioni verranno certamente chiarite. In questa sede, ho difeso i nostri dirigenti politici che si sono impegnati nella cooperazione, non perché andassero difesi, ma perché sono uomini seri, integri, che credono nel movimento cooperativo,Pag. 55come Fassino e D'Alema: hanno fatto ciò che hanno fatto perché credono nella prospettiva mutualistica e cooperativa. Hanno fatto errori? Non lo so, ma lo hanno fatto perché hanno fede nel movimento cooperativo, perché credono in un'economia alternativa a quella neocapitalista, che tanti danni sta ancora provocando. Noi non siamo contrari: sosteniamo che i due sistemi si devono confrontare, devono coadiuvarsi, devono completarsi. Ma se l'economia cooperativa viene messa all'angolo con manovre di piccolo cabotaggio, con campagne propagandistiche che tendono ad affievolirne l'efficacia e le prospettive, credo che non rendiamo un servizio al Paese.
Ritengo che il Protocollo del 23 luglio 2007 affermi alcuni concetti giusti sulla cooperazione: noi siamo contro la cooperazione spuria, che deve assolutamente scomparire, perché - porto il solito paragone banale, ma efficace - il vino cattivo scaccia il vino buono, la cooperazione cattiva scaccia la buona cooperazione. Quindi, è sacrosanto il dovere di perseguire le cooperative spurie.
Tutto ciò va realizzato nel massimo della trasparenza e della partecipazione democratica. Dunque, ha fatto bene il Ministro del lavoro Damiano - lo ringrazio - ad aver dato seguito al Protocollo sul welfare del 23 luglio. Chiedo però che gli osservatòri costituiti possano andare avanti, insieme a tutto il movimento cooperativo, che lo Stato italiano ha riconosciuto, e con tutte le organizzazioni sindacali, quelle che siedono nel CNEL, e che per questo sono state riconosciute, ovvero quelle che svolgono contrattualistica cooperativa.
Per tali motivi, l'Italia dei Valori presenterà un ordine del giorno in cui verranno recepiti questi ultimi argomenti. Tale ordine del giorno riguarderà il Protocollo sul welfare e la cooperazione, nonché gli osservatòri, che vanno integrati con le componenti che ne sono rimaste escluse.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galli. Ne ha facoltà.

DANIELE GALLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, voglio esprimere, al di là delle diverse posizioni, un ringraziamento particolare al sottosegretario Montagnino per la cordialità dei rapporti che ha dimostrato in Commissione.
Con questo provvedimento si assiste all'incondizionata resa della ragione all'ideologia e del bene del Paese alle logiche dell'estrema sinistra, e si rinuncia a un'impostazione del welfare sostenibile, per adeguarsi al progetto di uniformazione e appiattimento verso il basso. Le ali estreme di questa maggioranza ritengono infatti irrinunciabile l'instaurazione di un'impostazione, a mio giudizio vetero-comunista, che è aliena allo spirito riformista di cui ha bisogno la nazione. Il provvedimento, con le modifiche ideologiche volute dalla sinistra massimalista in Commissione lavoro, rappresenta la morte della concertazione, a voi tanto cara solamente a parole, in quanto poi effettivamente tradita nei fatti.
Il genere di concertazione da cui il testo iniziale del disegno di legge trae origine e ragion d'essere è di fatto antitetico alle procedure democratiche comunemente assentite. Dal testo originario, infatti, è derivato un testo che nasce viziato dalla discriminazione di alcune classi di lavoratori e di cittadini. Certo che vi è stata la concertazione, ma solo nei confronti dei lavoratori dipendenti, che spesso, loro malgrado, sono assuefatti al blocco sindacale.
Il provvedimento, destinato ad avere pesanti effetti su tutti gli italiani, è stato concertato solo con la rappresentanza sindacale dei lavoratori che voi considerate come tale, ovvero quella dei lavoratori dipendenti. Il vostro atteggiamento tradisce comunque anche questi interlocutori che finora avete privilegiato. Il ricorso al voto di fiducia infatti è necessario, e vi serve per contenere la deriva massimalista e il voto espresso nelle grandi fabbriche dagli operai che non hanno approvato il vostro provvedimento. Il ricorso alla fiduciaPag. 56rappresenta la morte della concertazione e la vostra concertazione è la morte della democrazia.
Per tali motivi, il vostro concetto di democrazia umilia i deputati della maggioranza della Commissione lavoro nelle loro funzioni rappresentative e nella loro libertà di voto. Lo voglio affermare, anche se si tratta di posizioni da me non condivise. Ci aspettiamo, di conseguenza, che il ricorso per la ventiduesima volta al voto di fiducia rappresenti anche la fine di questo Governo; è una conseguenza logica.
Un progetto di politiche sociali sostenibile e compatibile con le condizioni economiche del Paese è possibile. Su questa strada si era mosso il Governo Berlusconi, pagando fortemente in consensi l'aver posto concretamente in essere solo ciò che si poteva effettivamente fare nelle condizioni in cui era il Paese. Per voi tutto ciò non è pensabile. Attuate dei provvedimenti che comportano un'irresponsabile spesa senza una copertura effettiva, al solo fine di rilanciare il metodo della concertazione come strumento unico per l'elaborazione delle politiche sociali, nonostante tutti i limiti e le controindicazioni che il metodo da voi applicato comporta. In questa maggioranza si ripropone, ancora una volta, la netta contrapposizione fra la sinistra radicale e i blandi riformisti. Mentre avviene tutto ciò, i moderati minacciano di non votare il provvedimento se i cedimenti all'ala massimalista comporteranno ulteriori oneri per le finanze dello Stato o modifiche del disegno di legge originale.
La risposta di questo Governo a tali problemi è la questione di fiducia - lo ripeto -, la numero ventidue in diciotto mesi, senza avere la ragionevolezza di ripensare le proprie posizioni per il bene del Paese. A questo punto non vi sono altre spiegazioni: la fiducia occorre per assicurare la tenuta del potere. In una maggioranza non si può andare d'accordo a tutti i costi.
I principali elementi di criticità riguardano il capitolo «pensioni» (quello più a rischio, a mio giudizio, sul versante dei conti pubblici), in quanto le modifiche proposte mettono in crisi l'equilibrio del sistema previdenziale. La riforma attuata dal centrodestra nel 2005 - in perfezionamento della riforma Dini - che fu apprezzata dai vertici europei, avrebbe comportato dal gennaio 2008 un'età minima di sessanta anni con trentacinque anni di contribuzione per la pensione di anzianità. Si andava di pari passo con l'Europa e si adeguava la previdenza al trend demografico e all'aumento della vita media. La nostra riforma puntava sull'equilibrio nel tempo dei conti pensionistici e avrebbe garantito trattamenti certi per i giovani che cominciano o hanno appena cominciato a lavorare. Intanto avrebbe assicurato risparmi rilevanti e, a regime, nel 2011 questi ultimi sarebbero ammontati a 9 miliardi di euro. Preoccupazioni serie e fondate in tal senso sono state espresse dal presidente dell'INPS che, in sede di indagine conoscitiva sul disegno di legge in esame presso la XI Commissione, ha rilevato come, di fatto, l'eliminazione dello scalone Maroni aumenti la spesa pensionistica dello 0,1 per cento sul PIL tendenziale, a fronte di una diminuzione tendenziale dello 0,6 per cento portato dalla normativa vigente. È chiaro che la forbice crea la necessità, da parte vostra, di una compensazione e certamente le giustificazioni addotte in sede di disegno di legge finanziaria non sono tali.
La modifica dello scalone inoltre, proposta dal Governo, perpetua la differenziazione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi in materia di requisiti di accesso al pensionamento di anzianità, il cui caposaldo normativo di almeno trentacinque anni di contribuzione peraltro è rimasto invariato, a dimostrazione che lo stesso legislatore della riforma ritiene che tale periodo di attività lavorativa risulti congruo, sia sotto il profilo dell'usura psicofisica del lavoratore, sia sotto il diverso profilo finanziario di tenuta dei conti previdenziali in relazione alle aspettative di vita.
La disposizione lascia molte perplessità anche sul piano tecnico, in via generale, dal momento che introduce a decorrere dal 1o luglio 2009 il sistema di quote (etàPag. 57anagrafica e requisito contributivo) tale che, per effetto del requisito minimo di età anagrafica previsto, determina un aumento del requisito contributivo a trentasei anni. Nello specifico, inoltre, rimane immutata la differenziazione di un anno di età anagrafica tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, perpetuando, come sempre, la discriminazione tra di essi, ovvero tra lavoratori.
Tale differenza produce la conseguenza che dal 1o gennaio 2008 viene sostanzialmente a cessare la pensione di anzianità per le lavoratrici artigiane, ad esempio, ed esercenti attività commerciali, dal momento che per gli effetti combinati del previsto requisito anagrafico per la pensione di anzianità (cinquantanove anni) e la riduzione delle finestre di uscita a due, anch'esse differenziate tra lavoratrici dipendenti ed autonome, l'età anagrafica per le prestazioni di vecchiaia risulta più favorevole rispetto a quella per le prestazioni di anzianità. Si tratta, dunque, di un altro pasticcio.
Ugualmente preoccupante risulta il rinvio nell'applicazione dei coefficienti di trasformazione, che sono alla base del sistema previdenziale contributivo; in particolare, l'applicazione dei coefficienti diventa essenziale in un quadro demografico come quello attuale, dove, a fronte di un aumento dell'aspettativa di vita (sette anni in più negli ultimi venti anni), si registra in Italia una diminuzione drammatica del tasso di natalità.
Con demagogia, accogliendo le richieste della sinistra massimalista, la maggioranza, nel suo programma elettorale, si era impegnata a cancellare la riforma del centrodestra per lo scalone dei sessant'anni. Una volta al Governo, Prodi e altri esponenti dello stesso, si sono resi conto che l'abolizione pura e semplice dello scalone, ovvero il mantenimento dei cinquantasette anni di età minima per il trattamento di anzianità, avrebbe sfasciato il sistema rendendolo insostenibile. Ricordo che già siamo il Paese in Europa che spende di più per le pensioni (oltre il 14 per cento del PIL).
È nata così l'idea dello «scalino» dei cinquantotto anni e dell'innalzamento graduale e progressivo della soglia di età entro il 2012, che comunque, rispetto alla legge vigente, rappresenta un arretramento, con oneri rilevanti per la finanza pubblica e la certezza di futuri dissesti contabili dell'INPS. La previsione secondo la quale i lavoratori discontinui possano arrivare ad una pensione che sia almeno pari al 60 per cento dell'ultima retribuzione risulta problematica e in contrasto con l'essenza del metodo contributivo.
In questo caso, infatti, come in quello del rinvio nell'applicazione dei coefficienti di trasformazione, sembra che il Governo abbia voluto scegliere una terza via tra metodo retributivo e metodo contributivo nel pagamento delle pensioni. È una via che ci aliena rispetto ad ogni altro Paese europeo.
Resta il fatto che la trasformazione dello scalone in tanti «scalini» costerà alle casse pubbliche una fortuna e causerà un inevitabile e ulteriore incremento della pressione fiscale, in quanto questo Governo ha dimostrato di non saper praticare il risparmio. Mentre la sorte dei vari tesoretti dovuti all'extragettito dilapidati, non più contabilizzati, è il risultato più drammatico di questa gestione.
Il Governo inizialmente aveva previsto che in dieci anni vi sarebbero stati 345 mila pensionati in più per effetto della riforma e 7,5 miliardi di costi aggiuntivi per la previdenza ma, stando alle proiezioni, la realtà è ben diversa. Ai 345 mila pensionandi previsti dal Governo, andranno aggiunti almeno altri 170 mila pensionati.
Vi è inoltre la «bomba ad orologeria» degli usuranti: i lavoratori che saranno esclusi da qualunque stretta sull'anzianità. L'ala estrema dell'Unione per scelta ideologica ritiene che il diritto di andare in pensione a 57 anni sia intoccabile e intende, a mio giudizio, aggirare lo scalino dei 58 anni ampliando la categoria dei lavori usuranti, ovviamente e discriminatamente solo per i dipendenti. I lavoratori autonomi sono sempre dimenticati.Pag. 58
I lavoratori usurati potrebbero smettere di lavorare a 57 anni e più aumenta il loro numero, più si svuota di fatto il senso stesso della riforma: non solo la riforma Maroni, ma anche la riforma Dini essenzialmente.
Nel protocollo del 2007 era previsto un tetto di 5 mila pensioni anticipate all'anno, sempre con riferimento ai lavori usuranti, che nel disegno di legge in esame è scomparso. Ciò pone un grave di copertura in quanto l'entità delle risorse stanziate non risulta più compatibile con le maggiori spese derivate da tali modifiche.
Lo smantellamento della riforma Maroni e della riforma Dini e l'esclusione degli usurati aprirà le porte della pensione anticipata a 20-25 mila persone all'anno e non alle 5 mila previste. Sono chiare le ricadute sul sistema della finanza pubblica.
Un ulteriore elemento di preoccupazione è relativo alle politiche attive e alle politiche passive del lavoro: il disegno di legge in esame si pone come obiettivo quello di aumentare le risorse per le politiche attive, ossia quelle finalizzate a garantire un reddito ai lavoratori momentaneamente disoccupati nel quadro delle misure che garantiscano una riqualificazione e la possibilità di rientrare nel mondo del lavoro. Si tratta di una misura sacrosanta, ma per farlo sarebbe necessario che parte delle cospicue risorse che oggi vengono destinate alle politiche passive (disoccupazione, cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, mobilità) fossero impegnate nella riforma del sistema degli ammortizzatori sociali: non si può agire su una parte e trascurare l'altra.
La delega al Governo in materia non sembra andare in questa direzione nel momento in cui si estende la platea delle casse di integrazione. Inoltre, purtroppo, la sinistra massimalista, che vuole la cancellazione della legge Biagi, chiede di più sui contratti a termine, sui quali ha già incassato delle concessioni (i 36 mesi oltre i quali non si potrà rinnovare il contratto di lavoro potranno non essere continuativi e la deroga non potrà superare gli otto mesi). Si dimentica così, però, che il diritto al lavoro non sì può concedere per legge, ma vanno creati posti di lavoro, con oculate previsioni economiche, perché il lavoro a tempo è sempre meglio di niente o sempre meglio che fare rientrare determinati lavoratori nella galassia, purtroppo esistente, del lavoro nero.
A mio giudizio, questo provvedimento è caratterizzato solamente da una serie di concessioni prive di copertura finanziaria o, per le quali, tale copertura è molto dubbia. Tali concessioni sono dettate dall'esasperata necessità di mantenere alleanze e la coesione di Governo, nonché, purtroppo, dalla facile ricerca di bacini elettorali. In questo modo, incidete negativamente, senza risanare la spesa pubblica e per di più (e questa è la parte ancora più negativa) senza creare le condizioni economiche favorevoli allo sviluppo delle imprese in Italia.
Quando, nei prossimi anni, non vi sarà più la possibilità di avere l'extragettito fiscale - che ora c'è - e non sarà più possibile uno sviluppo nell'ambito del sistema economico italiano...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DANIELE GALLI. Ho quasi terminato, Presidente. Come dicevo, la situazione diventerà drammatica, perché gli impegni ci sono e il gettito fiscale non c'è.
Non vi sono solo i dubbi sulla copertura finanziaria di questo provvedimento, ma anche i dubbi di copertura del provvedimento cui è collegato. Il servizio bilancio della Camera, in un dossier di 530 pagine, punta il dito contro la documentazione fornita dal Governo, che è priva dei dati necessari per verificare l'impatto dei vari interventi.
Ticket sanitari, sanatorie, precari, ICI, IRES e studi di settore, a mio giudizio, sono a rischio e presentano forti dubbi di copertura. Il buco viene scavato più a fondo con queste concessioni: un welfare che si tradurrà, pesantemente, in maggiori oneri e tassazioni per le famiglie, nonché, purtroppo, in una riduzione dei consumi e in una retrocessione dell'economia, aumentando l'incapacità del sistema Italia diPag. 59essere concorrenziale. In pratica, andiamo verso uno sfacelo del Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lo Presti. Ne ha facoltà.

ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, signor sottosegretario, devo confessare che è francamente imbarazzante prendere la parola per discutere sulle linee generali del disegno di legge sul welfare, oggi all'esame della Camera dei deputati, sapendo perfettamente che tutto quello che è stato e che sarà detto, è tamquam non esset. Infatti, tra qualche ora, il Governo annuncerà la posizione della questione di fiducia su un testo diverso e, comunque, verrà vanificato ogni sforzo di questa Assemblea di ragionare sul provvedimento che stiamo approvando. Questa è la realtà.
Domani, probabilmente, sarà calato d'imperio un nuovo testo, rispetto a quello varato dalla Commissione, o il vecchio accordo sul welfare, e tutti i deputati di maggioranza e di opposizione non potranno più dire nulla: o prendere, con la fiducia, o lasciare, sfiduciando questo Governo.
Tuttavia, al di là delle posizioni espresse, è proprio il caso di dire che, in questa vicenda, il Parlamento è stato trattato peggio di un'assemblea di condominio: tanto lavoro per nulla (ma tornerò su questo argomento in conclusione).
Entrerò adesso nel merito del disegno di legge che oggi siamo chiamati a valutare e a votare. Mi atterrò, quindi, al testo risultato dal lavoro della Commissione, ma non lo farò prima di avere svolto una breve considerazione di carattere politico.
La filosofia di fondo che sostiene l'intero provvedimento è espressione di una visione economica e sociale antimoderna, proiettata a difendere l'esistente e chi è già tutelato, non collegata con gli orientamenti europei sullo Stato sociale; si tratta di una visione che, anziché puntare sui giovani - che sono la forza lavoro che, più di ogni altra, può garantire lo sviluppo futuro del Paese e la tenuta del sistema previdenziale -, li sacrifica di fatto, dicendo loro: chi vuol esser lieto sia, oggi (e cioè i quasi sessantenni, che già sono abbondantemente tutelati, approfittando del prepensionamento anticipato), ma del domani - per voi giovani, appunto - non vi sarà certezza!
Questa, infatti, è la realtà, cari colleghi della sinistra, onorevole Ministro. Voi, oggi, vi assumete la responsabilità storica di aprire un conflitto generazionale, mettendo a rischio la congruità delle pensioni future dei giovani. Commettete questo «genocidio pensionistico» solo per garantire a chi è ancora in grado di lavorare proficuamente di andare in pensione a 57 anni, con l'aggravante della vostra malafede sulla sufficienza della copertura finanziaria (che sapete bene essere fragilissima) e sull'impatto che l'abolizione dello scalone potrà avere sulla finanza pubblica, che sarà devastante.
Ma la cosa più grave è che per un vostro capriccio, populista e demagogico, la nazione sosterrà gli oneri enormi derivanti dall'abolizione dello scalone, per aver ritardato il momento del pensionamento ad un numero limitato di lavoratori. Tutto ciò è semplicemente aberrante, se si considera il fatto che l'Europa va da tutt'altra parte e ci chiede di seguirla, non foss'altro perché la crisi demografica dell'Occidente impone sul tema della previdenza una strada prioritaria, quella della elevazione dell'età pensionabile. Diversamente - lo affermano tutti gli studiosi più accorti -, il sistema non ce la fa, rischiamo il collasso, il default; ce lo ricordano l'INPS, l'INAIL, per rimanere agli enti più importanti del nostro sistema, ossia i maggiori attori della previdenza italiana, preoccupati per la tenuta complessiva del sistema previdenziale a causa di una politica in controtendenza con quelle dei Paesi dell'intero pianeta, non solo dell'Europa. Persino in Cile già da oltre vent'anni hanno cambiato sistema e stanno oggi, da questo punto di vista, meglio della più progredita nazione europea.
Con lo scalone avremmo risparmiato 75 miliardi di euro in dieci anni, lo 0,6 per cento del PIL, mentre ora ci prepariamo aPag. 60pagare nei prossimi dieci anni un aumento dello 0,1 per cento del PIL. Ma non basta: non sappiamo che effetti avrà la mancata applicazione dei nuovi coefficienti di trasformazione, che - ne siamo tutti consapevoli - si legano alle prospettive di vita della popolazione. Esse sono aumentate e ci attardiamo ancora ad aggiornare i coefficienti di trasformazione, che segneranno la fine della riforma Dini. Ciò manderà in soffitta la riforma Dini e assesterà un colpo mortale al sistema contributivo.
Abbiamo fatto una scelta nel 1995. Dovremmo perseguirla con coerenza e non lo potremo fare se non attiveremo immediatamente le procedure per cambiare i coefficienti di trasformazione, che, da più parti, vengono indicati come la chiave di volta almeno per garantire al sistema una tenuta nei prossimi anni. Lo affermano a chiare lettere - lo ripeto - i vertici dell'INPS, auditi in Commissione lavoro, non per loro volontà, ma perché gli studi dei tecnici dell'ente affermano che è necessario continuare sulla strada del sistema contributivo senza tentennamenti e sollecitano quindi la riforma dei coefficienti di trasformazione. Il loro mancato adeguamento comporterà a regime un aumento della spesa pensionistica di almeno due punti di PIL e questo evidentemente è il preludio al collasso dei conti pubblici, che è dietro l'angolo.
Rischiamo il collasso anche con un'altra parte della normativa approvata in Commissione, nonostante il voto contrario di tutti i partiti dell'opposizione, di Alleanza Nazionale e di tutta la Casa delle libertà. Rischiamo il collasso perché non abbiamo saputo individuare e contenere la platea dei lavori usuranti, che rischia di dilatarsi senza limiti. Altro che 5 mila unità, signor Ministro! Con quanto è stato approvato in Commissione rischiamo che essa aumenti di quattro volte nel corso del decennio. Non sarete d'accordo, lo ha già affermato il sottosegretario Montagnino, perché ritenete che non siano questi i dati; vedremo in futuro cosa accadrà, lo vedremo, purtroppo, a spese dell'intero Paese, e non si tratta di una cosa bella.
A proposito dei lavori usuranti, le valutazioni sono veramente drammatiche.
Quanto alla spesa prevista per tale aumento della platea, spetterà poi al Ministro individuare i criteri in base ai quali potranno esseri classificati come lavoratori usurati questi o quegli altri; ma allora, signor Ministro, se lei sarà ancora in carica, non vorrei essere nei suoi panni, perché ovviamente lei sa benissimo che ciò aprirà la strada ad un contenzioso infinito, con migliaia di cause che invaderanno tutti i nostri tribunali. Vi sarà, allora, un bel da fare, per il Governo e per i giudici, nel contrastare quanto evidentemente si preannunzia con chiarezza, anche perché vorrei capire sulla base di quale crinale e di quale discrimine si potrà escludere questo lavoratore e fare entrare quell'altro. Nonostante i criteri che abbiamo tentato di definire in Commissione siano infatti, in qualche modo, oggettivamente accettabili, è chiaro che il margine e la discrezionalità creeranno, a nostro avviso, gravi scompensi e problemi.
Ma veniamo a quello che, secondo il nostro punto di vista, è il vero punto debole del provvedimento in discussione. Detto per inciso, l'unica cosa positiva che, almeno dal nostro punto di vista, siamo riusciti a realizzare in Commissione è stata quella di far approvare un emendamento proposto dall'opposizione che, a proposito dell'apprendistato, garantisce il beneficio contributivo previsto per l'apprendista per tutto il periodo in cui è previsto lo svolgersi di tale rapporto, anche se prima della scadenza il rapporto viene stabilizzato.
Si tratta dell'unica norma positiva che, in qualche modo, alleggerisce le imprese dal carico contributivo, ed è questo l'unico fiore all'occhiello che in qualche modo ci vantiamo di avere portato a segno e di avere stabilito in Commissione, attraverso un emendamento che, in un primo tempo, era stato sottovalutato, ma che poi è stato accolto ed approvato.
Chiuso l'inciso, il vero punto debole della riforma e del provvedimento al nostro esame risiede proprio nella questione relativa alla copertura finanziaria.Pag. 61
Su questo argomento evidentemente sarò più preciso nel dettaglio non appena verrà discussa la questione pregiudiziale di costituzionalità che, come gruppo di Alleanza Nazionale, abbiamo presentato, ma intendo svolgere oggi qualche considerazione.
La copertura prevista - o almeno i punti più importanti di essa - consiste in 3,5 miliardi di euro che dovrebbero derivare dalla razionalizzazione degli enti previdenziali; 3,6 miliardi di euro provenienti dall'aumento di quote contributive per gestioni separate dei parasubordinati; 1,4 miliardi di euro risultanti dalla sospensione dell'indicizzazione delle pensioni superiori di otto volte al minimo.
Quanto al primo punto, vi è da dire anche che, se non sarà raggiunto l'obiettivo che ho indicato, addirittura il provvedimento prevede che dal 2011 scatterà un prelievo contributivo forzato aggiuntivo dello 0,09 per cento a carico di tutte le categorie dei lavoratori (in altre parole, si tratterà di nuove tasse).
Tuttavia, al di là di queste considerazioni, come potete immaginare di raggiungere nel breve termine di dieci anni un risparmio di 3,5 miliardi di euro - e quindi, a partire dal 2008, un risparmio di 350 milioni annui per i prossimi dieci anni - dalla razionalizzazione del sistema previdenziale, per il quale ancora non esiste un piano industriale che indichi le coordinate da seguire per arrivare a tale risparmio e che, quindi, è ancora nella mente del Governo, che dovrebbe esitare detto piano industriale entro il 31 dicembre di quest'anno?
Voi sapete benissimo che questi risparmi non potranno essere realizzati, e che quindi tale grossa, importante ed imponente copertura è assolutamente virtuale; essa rappresenta un grande imbroglio che si sta perpetrando ai danni delle imprese e dei lavoratori che evidentemente confidano - quelli che hanno votato in buona fede il documento sul welfare - nella buona fede e nella correttezza delle previsioni contenute nel provvedimento al nostro esame.
Si tratta di un imbroglio che avete architettato ai danni dei lavoratori e delle aziende, purtroppo con la complicità e il silenzio di chi dovrebbe imporvi l'altolà. Non capisco perché non sia intervenuto il Ministero dell'economia, la cui ragioneria generale in ordine a tale argomento ha puntualmente affermato a chiare lettere che non si prevedono, nell'immediato, risparmi dalla razionalizzazione degli enti e che, se mai un risparmio dovesse esservi, questo non potrà essere utilizzato per coprire le spese del welfare.
Pertanto, mi chiedo come mai chi dovrebbe darci e darvi l'altolà non sia intervenuto. Tale fatto mi «stranizza» molto e mi «stranizza» anche il malcelato silenzio degli uffici della Camera che, peraltro, qualche piccola protesta in proposito hanno elevato e che dovrebbero essere, invece, più chiari in ordine a tale punto. Infatti, tutti abbiamo letto del disagio che qualche funzionario della Camera prova nel valutare la congruità finanziaria del provvedimento in discussione e nel fornire un parere oggettivo sulla inesistenza di copertura in ordine alla parte principale di quanto previsto nel provvedimento in esame. Questa è la situazione; vedremo se, nei prossimi giorni, qualche appunto in tal senso si svilupperà.
Al di là del merito, di cui ho parlato sinora, concludo il mio intervento con una domanda, sicuramente retorica, ma che rivela il profondo disagio che, a mio avviso, ciascun parlamentare vive di fronte ad eventi come quello di cui stiamo discutendo. Lo ribadisco: non mi riferisco al merito, ma al modo in cui si sta sviluppando il dibattito a proposito di un provvedimento concernente una materia così delicata. La mia domanda retorica è la seguente: signor sottosegretario - mi rivolgo a lei perché in aula è rimasto solo lei e mi spiace che il Ministro si sia allontanato e che manchi anche il relatore - chi comanda in Italia? Il Governo o le associazioni sindacali, di categoria, le lobby industriali, che sono evidentemente in grado di imporre, da una parte e dall'altra, tirando la coperta, ora da un lato, ora dall'altro, il diktat al Governo ePag. 62al Parlamento? Il Parlamento può subire un affronto del genere? Può essere escluso dal partecipare, come invece dovrebbe essere, al processo legislativo, di cui è l'unico titolare, solo perché si alzano improvvisamente i leader della CGIL o della UIL e vi danno l'altolà, o peggio il leader di Confindustria che vi impone di tornare indietro o di non fare nulla?
Francamente, credo che sia un disagio che noi tutti parlamentari dovremmo avvertire, al di là del merito della questione che affrontiamo. Non so come si concluderà tale vicenda, cosa accadrà domani, quale posizione assumeranno Rifondazione Comunista, alla Camera, ed il presidente Dini, al Senato. Tuttavia, siamo sicuri di un fatto: da questa vicenda esce sconfitto il Parlamento, il cui ruolo viene mortificato e diminuito nel prestigio.
Si tratta di una considerazione amara che consegno alla riflessione di tutti i colleghi, sperando in un futuro migliore, quando potrà essere recuperato il ruolo del Parlamento che è stato, invece, in questi anni molto spesso e in tutti i sensi, anche con una maggioranza di segno diverso dalla vostra, mortificato e non tenuto in alcuna seria considerazione.
Vedremo in futuro cosa riserverà l'iter del provvedimento in discussione. Tuttavia, siamo determinati a svolgere la nostra parte, la nostra dura battaglia di opposizione, soprattutto per denunziare al Paese il grande imbroglio che si cela dietro questo provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rossi Gasparrini. Ne ha facoltà.

FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento in discussione è di grande rilievo per il nostro Paese ed è frutto di un preciso accordo intercorso fra il Governo e la maggioranza delle parti sociali interessate. Ciò significa che il contenuto del disegno di legge è stato concertato e che, soprattutto, rispecchia la volontà di molte categorie di cittadini, come confermato del resto dall'approvazione referendaria.
Conseguentemente, sin da subito, la linea del Governo, come è noto, è stata quella di non alterare la struttura del provvedimento (certamente perfettibile) e di non stravolgerla, onde garantire l'approvazione di un testo che risponda fedelmente alle necessità dei soggetti interessati.
Il disegno di legge è caratterizzato da diversi interventi che spaziano dalla sfera della previdenza, all'inclusione sociale, al mercato del lavoro e alla competitività ed è diretto ad agevolare i soggetti deboli della nostra società che incontrano serie difficoltà di inserimento nell'ambito lavorativo come le donne, i giovani e gli ultracinquantenni. Sono tutti interventi di importanza enorme per un Paese che non intende privarsi di preziose energie lavorative, né abbandonare le categorie svantaggiate.
Durante l'esame nella Commissione competente per materia (la Commissione lavoro della Camera dei deputati) che ha operato con serietà e competenza, è stato ritenuto necessario introdurre alcune razionali puntualizzazioni. Anche noi Popolari-Udeur abbiamo contribuito a rendere il provvedimento più adeguato agli scopi che intendeva raggiungere.
A tal proposito, desidero ricordare - con riferimento al dibattito in questi giorni all'attenzione di tutti i cittadini sulla necessità o meno, sul diritto o meno della Camera dei deputati di introdurre modifiche, pur nel rispetto totale dei voti espressi da cinque milioni di lavoratori - che il Parlamento è stato eletto da tutta la cittadinanza e, pertanto, reputo che abbia il diritto di operare interventi non pesanti e che migliorino il provvedimento.
Quando Confindustria, nella persona del presidente, dichiara che nulla è modificabile, nel dare atto all'industriale Luca di Montezemolo di una grande capacità perché ha saputo risollevare la Ferrari e la FIAT, devo rilevare che il mondo dell'impresa ha un regolamento diverso ed un obiettivo: il business. Diverso è il compito di un Parlamento che è già - sul puntoPag. 63concordo con le dichiarazioni di Vacca - talvolta costretto a legiferare poco, pur avendo voglia di fare di più.
Noi Popolari-Udeur, nei due emendamenti presentati e approvati in Commissione lavoro, abbiamo voluto dare rilievo alle richieste di un importante nucleo di lavoratori costituito dalle casalinghe: otto milioni di cittadine che, per la loro peculiarità, non siedono al tavolo della concertazione di Palazzo Chigi.
Quindi, quando si tratta di importantissimi tavoli come quello che reputiamo essere il tavolo della concertazione, ci troviamo di fronte ad un'ingiustizia plateale che consiste nell'escludere otto milioni di lavoratrici. Abbiamo proposto, quindi, due emendamenti che la Commissione ha accolto e mi permetto di porgere un ringraziamento per l'attenzione con cui la presidenza della Commissione e il Governo, sempre presente in Commissione, hanno seguito tali emendamenti.
Il primo è diretto a recuperare le esperienze e le competenze delle donne che, avendo privilegiato gli impegni familiari e di cura, oggi si trovano escluse dal mondo del lavoro in cui, invece, vorrebbero rientrare. Il secondo emendamento restituisce alle casalinghe la possibilità di effettuare versamenti non solo fissi, ma anche saltuari sulla propria posizione previdenziale complementare.
La norma precedente prevedeva, infatti, tale possibilità. Purtroppo, sotto il Governo Berlusconi è stata eliminata. La presente proposta emendativa non ha costi, non comporta oneri, ma è molto importante restituire alle donne tale opportunità, perché non possono vantare un reddito fisso, nonostante il fatto che il lavoro in casa sia considerabile come il vero motore dell'economia italiana.
A conferma di ciò, un articolo pubblicato sabato 24 novembre dal quotidiano la Repubblica ha riportato risultati estremamente importanti, elaborati su dati scientifici. Gli economisti de lavoce.info hanno calcolato che il lavoro svolto dentro le mura domestiche equivale a 433 miliardi di euro l'anno. Quindi, un terzo del PIL annuale del Paese. Stiamo parlando di qualcosa di più di un tesoretto, è un grande tesoro, una produzione ombra che nessuno paga o vuol pagare o, di fatto, considerare.
Valutando, infine, la disposizione che prevedeva l'abrogazione del lavoro a intermittenza, anche detto lavoro a chiamata, noi del gruppo Popolari-Udeur, oltre ai due precedenti emendamenti, abbiamo voluto sostenere - attraverso un voto che poi ha portato all'approvazione dell'emendamento - la non cancellazione, ma anzi il ripristino, del lavoro a chiamata. Infatti, tale tipologia di lavoro è molto utile per i periodi limitati di enorme richiesta per il settore del turismo e dello spettacolo. Temiamo, infatti, che la soppressione di questo strumento avrebbe potuto incentivare il lavoro nero, a discapito dei giovani e degli studenti, ma soprattutto a danno delle casse dello Stato: perchè consideriamo che il lavoro nero equivalga all'evasione fiscale.
Siamo stati, dunque, favorevoli all'approvazione di un emendamento che va in tale direzione, perché rispondente alle richieste avanzate dal gruppo Popolari-Udeur anche in un question time dell'onorevole Mauro Fabris.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rocchi. Ne ha facoltà.

AUGUSTO ROCCHI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, stiamo discutendo - e nei prossimi giorni cominceremo a votare - un provvedimento importante e significativo, frutto di un lavoro intenso, che ha portato alla stipula di un accordo da parte del Governo con le parti sociali, tradotto poi nel disegno di legge in discussione.
Il primo aspetto su cui fare chiarezza in questo dibattito è che un lavoro di tal genere viaggia sicuramente su un punto di equilibrio complicato. Da una parte il rispetto della trattativa che vi è stata con le parti sociali e sulla quale si sono pronunciati con referendum milioni di lavoratori, lavoratrici e pensionati e, dall'altra parte, il legittimo spazio di autonomia ed il ruolo del Parlamento. Penso chePag. 64il lavoro che abbiamo prodotto non abbia rotto tale equilibrio, e sarebbe un errore pensare di sciogliere questo equilibrio con un voto di fiducia e non con una discussione di merito, che porti il Parlamento ad apprezzare, discutere ed intervenire sul contenuto di tale provvedimento, sapendo che tutti dobbiamo muoverci dentro quell'equilibrio che prima ho richiamato.
Infatti, se avessi dovuto riproporre, per quello che mi riguarda, l'opinione del mio gruppo politico su quell'accordo, avrei dovuto riprodurre posizioni che portavano ad una drastica modificazione della soluzione sullo schema pensionistico.
A parte il positivo superamento dello scalone Maroni, penso che sia stato un errore - è noto - prevedere in quell'accordo un meccanismo, che in parte condivido (poteva essere socialmente equo), ossia quello delle quote, per accedere, in sommatoria tra età personale ed età contributiva, e andare in pensione; credo comunque che sia stato un grave errore avere agganciato al meccanismo delle quote quello dell'età. Tale meccanismo produce delle ingiustizie. Provengo da una terra ricca di lavoro industriale, come Sesto San Giovanni, e tutte le mattine incontro lavoratori che hanno fatto quella storia e che mi pongono domande del tipo: «è giusto, ad esempio, che, quando scatta quota 95 o 96, qualcuno, solo perché ha qualche anno in più di età e magari ha uno o due anni in meno di lavoro rispetto a me, ha diritto ad andare in pensione, mentre io solo perché ho 58 anni di età, anche se ho iniziato a lavorare precocemente e magari ho più anni di lavoro, non ho questo diritto?» Penso che la soluzione trovata sia socialmente ingiusta rispetto alla realtà del mondo del lavoro per quella che è.
Tuttavia, pur ribadendo il nostro giudizio critico, tenendo conto che era stata raggiunta un'intesa, vi era stato un referendum, non abbiamo riproposto emendamenti che stravolgessero quell'accordo. Abbiamo tutti lavorato unitariamente e positivamente, anche se con opinioni diverse e con una certa dialettica, per affrontare e risolvere quei punti che potessero offrire, dal punto di vista interpretativo, delle certezze e non delle ambiguità, senza stravolgere il senso, la logica, l'equilibrio che l'accordo aveva raggiunto.
Vorrei citare due esempi di modifiche intervenute. Ogni mattina - lo ripeto - vengo fermato da lavoratori e lavoratrici che mi dicono: «Augusto, perché insisti così in un giudizio critico? È un accordo importante per noi. Io lavoro su tre turni, conduco una vita faticosa e il sindacato mi ha detto che, io che lavoro su tre turni, ho diritto ad andare in pensione con 57 anni (quindi non con lo scalino a 58) e manterrò i miei tre anni di riconoscimento di gravosità del lavoro per la pensione anticipata rispetto agli altri». Ebbene, noi riteniamo ingiusto aver mantenuto la delega al Governo, con un riferimento che non sia un riferimento legislativo che svuoterebbe, quasi totalmente, la possibilità per chi lavora su tre turni, continuativamente nell'arco di sette anni negli ultimi dieci, per metà dell'attività lavorativa, di poter godere di questo riconoscimento per la fatica e la gravosità del lavoro. Ripeto, senza forzare l'accordo, non viene introdotta un'altra soglia, un altro meccanismo rispetto a ciò che era previsto. Viene espunto l'esclusivo riferimento di una legge che prevede le ottanta giornate lavorative di notte, perché tutti sappiamo che un metalmeccanico, un chimico (e potrei andare avanti nell'elenco) che lavorano su tre turni per tutta la vita, per effetto delle turnazioni e così via, hanno un andamento medio delle giornate di lavoro notturno nell'arco dell'anno lavorativo tra le 70 e le 76 giornate di lavoro.
Dopo di che, nessuno ha voluto forzare l'accordo: non è stato indicato il numero di giornate; si è mantenuta la delega al Governo; il Governo sa che vi è un vincolo dal punto di vista del costo a regime di questa manovra; tuttavia, si dovrà dare attuazione alla normativa con le parti sociali. Noi non avremmo voluto la delega; il Governo sa che avevamo proposto di cancellare la delega al Governo e di varare immediatamente la norma attuativa. Si è detto che le parti sociali avrebbero dovutoPag. 65concorrere all'attuazione di quell'aspetto, si è tolto quel vincolo di riferimento e si è lasciata la cifra di spesa.
Pertanto, non capisco quando sento sollevare obiezioni dal punto di vista dei costi. Vorrei ricordare a questo Parlamento che dal centrodestra, da cui viene sollevata l'obiezione dei costi e delle coperture finanziarie, qualcuno aveva proposto un emendamento, presentato a firma degli onorevoli dell'UDC, per prevedere rigidamente settanta notti.
Uno come me ha votato contro l'approvazione di tale emendamento, rimanendo fedele ad un patto e ad un equilibrio trovati nella maggioranza sul mantenimento della delega al Governo e sul ruolo del confronto con le parti sociali. Tolto il «cappio» delle ottanta giornate, si è poi detto che il Governo sulla base dei costi e nel confronto con le parti sociali individuerà il punto di equilibrio attuativo. In cosa consistono le polemiche sulle rotture dei margini di spesa? Lo ripeto: quando le polemiche provengono dall'interno della maggioranza non le capisco perché non si è alterato alcun margine di spesa; quando, invece, provengono dall'opposizione mi fanno sorridere, perché l'opposizione stessa ha proposto emendamenti di «splafonamento» totale della spesa, si pensi, ad esempio, all'applicazione di una norma rigida come quella sulle settanta notti, che ho citato prima, che è stata proposta in un emendamento dell'UDC.
Espongo le altre due questioni sulle quali intendo soffermarmi. La prima riguarda il programma dell'Unione: il Ministro e il Governo, in base al programma dell'Unione, hanno sempre dichiarato che due erano le forme più abnormi di precarizzazione del lavoro presenti nella legge n. 30 del 2003 che il Governo si impegnava ad abrogare: il lavoro a chiamata e lo staff leasing. Non si tratta di opinioni del gruppo di Rifondazione Comunista; io vorrei l'abrogazione integrale della legge n. 30, quindi, la mia opinione è un po' più radicale di quella del Governo!
Con l'Accordo sul welfare finalmente, dopo più di un anno di vita dell'attuale Esecutivo, arriviamo ad abrogare il lavoro a chiamata. Noi l'abbiamo proposto e si è discusso e convenuto insieme che, in applicazione del programma dell'Unione, si introducesse l'abrogazione dello staff leasing. Il programma dell'Unione riguarda anche il senatore Dini o solo il sottoscritto? Lo dico considerate le polemiche giornalistiche e le tante discussioni che si fanno sul punto. A mio avviso, finalmente il Governo attua una parte del programma in questa materia, in piena coerenza con gli impegni assunti con gli elettori.
Seconda questione: il Governo ha sempre affermato di voler condurre una strategia di lotta alla precarietà. Se vi è un aspetto della condotta del Governo che a volte, anche personalmente, ho criticato aspramente, è che quest'azione talvolta sia troppo lenta; spesso mi è stato risposto che occorre un'intera legislatura per realizzare misure ampie e coerenti che vadano in questa direzione. Manteniamo la diversità di giudizio, ma tutti abbiamo convenuto di lavorare per valutare come attuare le norme contro la precarietà.
L'Accordo raggiunto tra le parti sociali contiene un'idea; si sostiene, infatti, di iniziare a costruire un percorso che, almeno in relazione ai contratti a termine, porti a un ragionamento di uso non indiscriminato della precarietà: si tratta dei famosi trentasei mesi ai quali aggiungere la deroga. Ritengo che anche su questo aspetto siamo intervenuti con due proposte interpretative che non mutano di una virgola l'equilibrio e il senso di quell'Accordo. Abbiamo sostenuto che per conteggiare i trentasei mesi non si potesse usare la formula continuativa, perché vorremmo che nel Parlamento e nelle nostre discussioni ogni tanto risuonasse la vera condizione di vita delle persone, non l'eco di dibattiti un po' politicisti e astratti!
In Italia non vi è alcun datore di lavoro che concluda i contratti a termine uno dietro l'altro. Grazie alla cosiddetta legge Biagi, con una pausa di interruzione tra un contratto e l'altro, che parte da un minimo di cinque giorni ed arriva fino a venti giorni, i datori di lavoro hanno la possibilità di sancire, anche a fronte di un'eventuale causa di tutela del lavoratore,Pag. 66che non vi è la continuità. Ciò premesso, sostenere che i periodi di riposo, ossia di non lavoro, non valgano niente, ma che i periodi di lavoro che il lavoratore ha realmente prestato si sommano tra loro e non vengono azzerati da una pausa di cinque o di venti giorni, è qualcosa in grado di stravolgere l'accordo? Non penso proprio! Parlo con rispetto per le grandi organizzazioni anche imprenditoriali e capisco che a volte occorre misurarsi anche con la realtà oggettiva del lavoro dell'impresa e non si può far finta di non tenerne conto, ma se taluno mi dice che, avendo sostenuto ciò, si è fatta una rivoluzione stravolgente, penso che allora voleva imbrogliare quei cinque milioni di lavoratori e di lavoratrici.
Se, infatti, si voleva intendere che era sufficiente la pausa di cinque giorni, o di venti giorni, affinché il periodo lavorato non contasse più niente, nessuno avrebbe mai sommato i 36 mesi.
Si parla, inoltre di una deroga. Noi abbiamo previsto alcuni aspetti, con un po' di buon senso in base alle direttive europee e alle quantificazioni nel tempo delle direttive europee con riferimento al passaggio da un lavoro flessibile alla stabilizzazione, invece che dal lavoro flessibile alla precarietà. Mi chiedo da chi sia nata l'idea di quantificare la deroga in un tetto massimo di otto mesi che, quindi, non esclude, non cambia e non stravolge!
Forse qualcuno pensava che la deroga significasse disporre di altri 36 mesi per continuare ad assumere con i contratti a termine? Non sono abituato ad usare le parole a sproposito, ma siamo veramente di fronte a venditori di bugie o a quei giocatori delle tre carte che ogni tanto si incontrano nei mercati per «fregare» a qualche povero allocco le 50 mila lire puntate sulla carta in cui sotto si trova il giochino? Se qualcuno pensa ciò è fuori dallo spirito dell'accordo, non chi, dentro lo spirito dell'accordo, ha posto un tetto alla deroga per garantire coerenza.
Mi lamento di non avere ricevuto la risposta dal Governo su altre due questioni, anzi, la risposta è stata negativa e la reputo totalmente coerente con questo passaggio. Se, infatti, dopo 36 mesi non si pone il vincolo del diritto di precedenza all'assunzione anche sul rinnovo di eventuali contratti a termine, sapete qual è il rischio concreto che si correrà nel Paese? Che un datore di lavoro prenderà il giovane, lo terrà per 36 mesi e se sa che dopo i 36 mesi deve chiedere la deroga - quindi, confrontarsi con i sindacati ed entrare in un percorso di futura stabilizzazione - dirà al giovane di stare a casa, ne prenderà un altro e ricomincerà con altri 36 mesi, poi un altro e così via.
Una clausola di salvaguardia coerente con lo spirito dell'accordo avrebbe previsto che, se il datore di lavoro avesse assunto con un altro contratto a termine, colui che ha fatto quel periodo precedente avrebbe avuto un diritto di precedenza all'assunzione anche con un contratto a tempo determinato. Non capisco perché il Governo ci abbia risposto di «no», ma riproporremo tale questione in Aula, presentando un emendamento.
Tuttavia, vorremmo che si obiettasse a ciò con delle argomentazioni di merito e in base al merito del problema posto. L'altra questione è quella che attiene al calcolo dei 36 mesi. Vorrei che fosse chiaro a tutti che stiamo parlando di una persona che svolge lo stesso tipo di lavoro, la stessa mansione per lo stesso datore di lavoro. Se si è svolto il lavoro per una parte dei 36 mesi con il contratto a termine, per un'altra con il lavoro interinale - ora si dice «a somministrazione» - e per un'altra ancora con il contratto di collaborazione, svolgendo sempre lo stesso lavoro, mi chiedo cosa cambi.
Giuridicamente lo so anch'io che si tratta di tre rapporti di lavoro diversi. Non sono così sciocco da non sapere che con il contratto di somministrazione si è dipendenti di un'agenzia, che quello di collaborazione è un contratto di lavoro autonomo e parasubordinato. Tuttavia, come si può sostenere che questi due profili da cui ci aspettiamo delle risposte non siano coerenti con lo spirito dell'accordo?
Questa è la ragione per cui, in base al lavoro positivo svolto dalla Commissione, se avessi dovuto esprimere il mio votoPag. 67finale in Aula mi sarei pronunciato per un voto favorevole su quell'ipotesi di intesa, pur mantenendo i dissensi (in parte anche radicali su alcune parti dell'accordo) e cogliendo il lavoro positivo che in parte è stato svolto già con il testo presentato dal Governo e con le precisazioni presentate dalla Commissione.
Oggi, invece, mi devo sentire dire che tutto il lavoro svolto è «stravolgente», ma di che cosa? A ciò non si risponde. Si parla di costi, ma i costi non esistono. Vi sono anche proposte emendative approvate dalla Commissione, che pongono rilevanti problemi ipotetici di costi. Potrei citare quello a favore degli apprendisti per le piccole aziende: mi fermo qui, ma ve ne sarebbero altri.
Ritengo che domani il Parlamento debba iniziare una discussione di merito sulla base del testo approvato dalla Commissione, non si debba utilizzare lo strumento del voto di fiducia e, attraverso la discussione parlamentare, si debba giungere ad un voto positivo. Così come la Commissione ha svolto bene il suo lavoro, confido nel ruolo del Parlamento italiano (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e del deputato Baldelli).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prima di passare all'analisi del Protocollo sul welfare, del quale si sta discutendo in queste ore, occorre svolgere innanzitutto una premessa di ordine politico, anche se in parte riprenderò ciò che è già stato affermato da vari colleghi appartenenti - lo sottolineo - ad entrambi gli schieramenti, ossia maggioranza e di opposizione.
Innanzitutto, rivolgo una richiesta pressante al Governo affinché non ponga la questione di fiducia in modo pregiudiziale. Di solito la questione di fiducia - almeno, per quello che mi risulta - viene posta perché l'opposizione di fatto esercita l'ostruzionismo su qualche provvedimento e il rispetto dei tempi previsti dalla legge impone di accelerare l'iter parlamentare. In questo caso, invece, siamo davanti ad una fiducia annunciata, senza prima aver verificato le intenzioni dell'opposizione e senza soprattutto sapere su quale testo si pone la fiducia. Ciò denota una totale sfiducia nei confronti di una parte del Parlamento che va sottolineata.
In secondo luogo, come si può preliminarmente porre la fiducia senza neanche sapere su quale testo si dovrà votare? Questa è una mancanza di serietà, a mio avviso, senza precedenti, che va denunciata. In realtà, si ricorre alla fiducia per ricomporre un quadro di Governo che non c'è e per ricompattare una maggioranza riottosa che non si mette d'accordo praticamente su nulla. Si ricorre alla fiducia come estremo strumento per cercare di tacitare tutti i dissidenti (oggi se ne sono sentiti gli echi in quest'aula) e per ricompattare necessariamente una maggioranza in chiara difficoltà.
Il Ministro Mastella, un leader, un Ministro di questo Governo, ha dichiarato: «Sul welfare siamo al paradosso: da una parte c'è un referendum fra i sindacati che sottoscrivono un patto con il Governo; dall'altra c'è la sinistra radicale, quella più vicina alle organizzazioni sindacali, che manifesta contro di loro. E, ora, un'indecisione mai vista, che rischia di rimettere tutto in discussione. Questa non è un'azione di Governo, è qualcosa di surreale». Parole del Ministro Mastella. Non solo, ma il Ministro afferma che pacta sunt servanda e quindi i patti decisi con le parti sociali vanno assolutamente rispettati, altrimenti, afferma il ministro, si prenda atto che non c'è più coabitazione nel Governo. Sul welfare, prosegue il Ministro Mastella, il partito di Rifondazione Comunista deve scegliere se essere un partito di sinistra europeo di Governo oppure seguire il movimentismo di cui ha beneficiato fino a oggi, così come altri partiti su altre questioni, perché non si può continuare a inseguire il miraggio del momento senza avere alcuna prospettiva: si tratterebbe di decisioni sempre imminenti perché il quadro politico è cambiato. E viaPag. 68seguitando. Queste sono parole di un Ministro, ripeto, non di un esponente dell'opposizione. Sono parole gravi, che rivelano la mancanza di fiducia all'interno del Governo, di cui il Paese intero è ormai ben consapevole.
La questione che dilania l'opposizione è la contrapposizione tra che sostiene l'intangibilità del Protocollo e chi sostiene che è il Parlamento a dover approvare le leggi. È il classico caso in cui tutti hanno ragione o - meglio - in cui tutti hanno torto, perché se da un lato è vero che milioni di operai e di lavoratori hanno sottoscritto quel Protocollo - e quindi non vanno traditi - dall'altro è vero che il Parlamento non può essere esautorato e non può ridursi a sottoscrivere passivamente un testo blindato, solamente perché firmato dalle parti sociali e dal Governo.
È una pretesa assolutamente inaccettabile. È un pasticcio irrisolvibile - da qui nasce la necessità della questione di fiducia - che non si sarebbe verificato se il Governo avesse iniziato la discussione su tali delicate questioni nelle aule parlamentari e non con le parti sociali. È uno stravolgimento delle regole democratiche, che crea pericolosi e ambigui precedenti. Una legge varata fuori dalle aule parlamentari costituisce, in realtà, una violazione della Costituzione, così come la modifica del Protocollo sancirebbe la morte della concertazione, tanto difesa e voluta dal Governo Prodi. Sono aspetti noti, ma è bene ribadirli, per sottolineare il modo di procedere del Governo, che è chiaramente in uno stato confusionale.
Con l'accordo sulla previdenza, il lavoro e la competitività, il Governo ha inteso non solo rilanciare il metodo della concertazione, dando - lo ripeto - la precedenza alle parti sociali, ma ha voluto porre i riflettori sullo sviluppo e la competitività del Paese, che è certamente un argomento importante. Peccato, però, che si agisca in controtendenza rispetto all'Europa. Questo disegno di legge è stato giustamente considerato non un provvedimento qualsiasi, sia perché è il risultato di mesi di concertazione e di confronto tra Governo e parti sociali, a cui tutti abbiamo assistito, sia perché è stato sottoposto al referendum, di cui ho parlato in precedenza.
Nonostante le buone premesse iniziali e gli ambiziosi progetti di accrescere la competitività del Paese attraverso il miglioramento del mercato del lavoro, si è giunti a un provvedimento che va in controtendenza rispetto all'Europa. Il nostro Paese continua a muoversi in modo negativo rispetto al resto dell'Europa, non allineandosi con i sistemi di sviluppo e di lavoro internazionali e continuando a potenziare, con disposizioni normative come quelle in esame, molte debolezze strutturali di questo sistema. Mi chiedo se ci si renda conto di ciò e se si sia consapevoli del rischio che il Paese sta correndo.
Come è noto, uno dei dati portanti della riduzione del tasso di sviluppo dell'economia italiana è la scarsa crescita della produttività del lavoro. È un problema ancora più grave se si considera in un contesto più esteso, a livello europeo, dove la produttività del lavoro non solo non è diminuita, ma è addirittura aumentata, con importanti tassi di crescita, al contrario di quanto avviene in Italia.
Disegni di legge come quello in oggetto non portano al raggiungimento di tassi di crescita significativi, come molti esperti hanno sottolineato, ma, al contrario, incentivano l'effetto di penalizzazione della competitività delle imprese. Non è un mistero che l'Italia non riesca a raggiungere i tassi di occupazione previsti dalla strategia di Lisbona. Durante il periodo della concertazione si è a lungo parlato di mercato del lavoro, nel tentativo di evidenziare il ruolo centrale dei lavoratori, inseriti in un contesto non più di esclusiva emergenza lavoro, ma inteso come struttura portante di garanzia, assistenza economica e riqualificazione professionale.
Purtroppo non è così. Questo provvedimento non risponde alle esigenze manifestate. Inoltre, sono stati contraddetti i presupposti base che lo hanno animato e che animano questa maggioranza. La riforma del mercato del lavoro varata nella scorsa legislatura ci ha portati a un mercato del lavoro flessibile, ma regolato.Pag. 69Invece, con il provvedimento in esame assistiamo al rinvio di scelte difficili ma necessarie, secondo la tattica diffusa di questo Governo di rinviare ad aeternum decisioni difficili. Ne è un esempio la revisione dei coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione, considerata, già nel 1995, e quindi più di dieci anni fa, l'architrave del sistema contributivo. Tale revisione, come è noto, avrebbe dovuto essere realizzata nel 2005 ed è stata rinviata al 2010, con enormi aggravi di spesa per il nostro Paese.
Per la prima volta nel nostro ordinamento, il pensionamento di vecchiaia è subordinato al meccanismo delle finestre: è previsto l'aumento dell'età pensionabile nella misura di almeno tre mesi per il lavoratore dipendente e di almeno sei mesi per il lavoratore autonomo, creando una chiara disparità a livello previdenziale. Si è tentato di arginare tali dispositivi, per quanto è stato possibile, nel corso dell'esame in Commissione, e ne è una prova l'emendamento sull'apprendistato, che ha come primo firmatario l'onorevole Compagnon. L'apprendistato, così com'è stato più volte evidenziato, è un contratto dalla cui applicazione potrebbero giungere significativi successi in termini di occupazione giovanile, ma che ancora oggi presenta un meccanismo farraginoso.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prima di passare all'analisi del Protocollo sul welfare, del quale si sta discutendo in queste ore, occorre svolgere innanzitutto una premessa di ordine politico, anche se in parte riprenderò ciò che è già stato affermato da vari colleghi appartenenti - lo sottolineo - ad entrambi gli schieramenti, ossia maggioranza e di opposizione.
Innanzitutto, rivolgo una richiesta pressante al Governo affinché non ponga la questione di fiducia in modo pregiudiziale. Di solito la questione di fiducia - almeno, per quello che mi risulta - viene posta perché l'opposizione di fatto esercita l'ostruzionismo su qualche provvedimento e il rispetto dei tempi previsti dalla legge impone di accelerare l'iter parlamentare. In questo caso, invece, siamo davanti ad una fiducia annunciata, senza prima aver verificato le intenzioni dell'opposizione e senza soprattutto sapere su quale testo si pone la fiducia. Ciò denota una totale sfiducia nei confronti di una parte del Parlamento che va sottolineata.
In secondo luogo, come si può preliminarmente porre la fiducia senza neanche sapere su quale testo si dovrà votare? Questa è una mancanza di serietà, a mio avviso, senza precedenti, che va denunciata. In realtà, si ricorre alla fiducia per ricomporre un quadro di Governo che non c'è e per ricompattare una maggioranza riottosa che non si mette d'accordo praticamente su nulla. Si ricorre alla fiducia come estremo strumento per cercare di tacitare tutti i dissidenti (oggi se ne sono sentiti gli echi in quest'aula) e per ricompattare necessariamente una maggioranza in chiara difficoltà.
Il Ministro Mastella, un leader, un Ministro di questo Governo, ha dichiarato: «Sul welfare siamo al paradosso: da una parte c'è un referendum fra i sindacati che sottoscrivono un patto con il Governo; dall'altra c'è la sinistra radicale, quella più vicina alle organizzazioni sindacali, che manifesta contro di loro. E, ora, un'indecisione mai vista, che rischia di rimettere tutto in discussione. Questa non è un'azione di Governo, è qualcosa di surreale». Parole del Ministro Mastella. Non solo, ma il Ministro afferma che pacta sunt servanda e quindi i patti decisi con le parti sociali vanno assolutamente rispettati, altrimenti, afferma il ministro, si prenda atto che non c'è più coabitazione nel Governo. Sul welfare, prosegue il Ministro Mastella, il partito di Rifondazione Comunista deve scegliere se essere un partito di sinistra europeo di Governo oppure seguire il movimentismo di cui ha beneficiato fino a oggi, così come altri partiti su altre questioni, perché non si può continuare a inseguire il miraggio del momento senza avere alcuna prospettiva: si tratterebbe di decisioni sempre imminenti perché il quadro politico è cambiato. E viaPag. 68seguitando. Queste sono parole di un Ministro, ripeto, non di un esponente dell'opposizione. Sono parole gravi, che rivelano la mancanza di fiducia all'interno del Governo, di cui il Paese intero è ormai ben consapevole.
La questione che dilania la maggioranza è la contrapposizione tra che sostiene l'intangibilità del Protocollo e chi sostiene che è il Parlamento a dover approvare le leggi. È il classico caso in cui tutti hanno ragione o - meglio - in cui tutti hanno torto, perché se da un lato è vero che milioni di operai e di lavoratori hanno sottoscritto quel Protocollo - e quindi non vanno traditi - dall'altro è vero che il Parlamento non può essere esautorato e non può ridursi a sottoscrivere passivamente un testo blindato, solamente perché firmato dalle parti sociali e dal Governo.
È una pretesa assolutamente inaccettabile. È un pasticcio irrisolvibile - da qui nasce la necessità della questione di fiducia - che non si sarebbe verificato se il Governo avesse iniziato la discussione su tali delicate questioni nelle aule parlamentari e non con le parti sociali. È uno stravolgimento delle regole democratiche, che crea pericolosi e ambigui precedenti. Una legge varata fuori dalle aule parlamentari costituisce, in realtà, una violazione della Costituzione, così come la modifica del Protocollo sancirebbe la morte della concertazione, tanto difesa e voluta dal Governo Prodi. Sono aspetti noti, ma è bene ribadirli, per sottolineare il modo di procedere del Governo, che è chiaramente in uno stato confusionale.
Con l'accordo sulla previdenza, il lavoro e la competitività, il Governo ha inteso non solo rilanciare il metodo della concertazione, dando - lo ripeto - la precedenza alle parti sociali, ma ha voluto porre i riflettori sullo sviluppo e la competitività del Paese, che è certamente un argomento importante. Peccato, però, che si agisca in controtendenza rispetto all'Europa. Questo disegno di legge è stato giustamente considerato non un provvedimento qualsiasi, sia perché è il risultato di mesi di concertazione e di confronto tra Governo e parti sociali, a cui tutti abbiamo assistito, sia perché è stato sottoposto al referendum, di cui ho parlato in precedenza.
Nonostante le buone premesse iniziali e gli ambiziosi progetti di accrescere la competitività del Paese attraverso il miglioramento del mercato del lavoro, si è giunti a un provvedimento che va in controtendenza rispetto all'Europa. Il nostro Paese continua a muoversi in modo negativo rispetto al resto dell'Europa, non allineandosi con i sistemi di sviluppo e di lavoro internazionali e continuando a potenziare, con disposizioni normative come quelle in esame, molte debolezze strutturali di questo sistema. Mi chiedo se ci si renda conto di ciò e se si sia consapevoli del rischio che il Paese sta correndo.
Come è noto, uno dei dati portanti della riduzione del tasso di sviluppo dell'economia italiana è la scarsa crescita della produttività del lavoro. È un problema ancora più grave se si considera in un contesto più esteso, a livello europeo, dove la produttività del lavoro non solo non è diminuita, ma è addirittura aumentata, con importanti tassi di crescita, al contrario di quanto avviene in Italia.
Disegni di legge come quello in oggetto non portano al raggiungimento di tassi di crescita significativi, come molti esperti hanno sottolineato, ma, al contrario, incentivano l'effetto di penalizzazione della competitività delle imprese. Non è un mistero che l'Italia non riesca a raggiungere i tassi di occupazione previsti dalla strategia di Lisbona. Durante il periodo della concertazione si è a lungo parlato di mercato del lavoro, nel tentativo di evidenziare il ruolo centrale dei lavoratori, inseriti in un contesto non più di esclusiva emergenza lavoro, ma inteso come struttura portante di garanzia, assistenza economica e riqualificazione professionale.
Purtroppo non è così. Questo provvedimento non risponde alle esigenze manifestate. Inoltre, sono stati contraddetti i presupposti base che lo hanno animato e che animano questa maggioranza. La riforma del mercato del lavoro varata nella scorsa legislatura ci ha portati a un mercato del lavoro flessibile, ma regolato.Pag. 69Invece, con il provvedimento in esame assistiamo al rinvio di scelte difficili ma necessarie, secondo la tattica diffusa di questo Governo di rinviare ad aeternum decisioni difficili. Ne è un esempio la revisione dei coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione, considerata, già nel 1995, e quindi più di dieci anni fa, l'architrave del sistema contributivo. Tale revisione, come è noto, avrebbe dovuto essere realizzata nel 2005 ed è stata rinviata al 2010, con enormi aggravi di spesa per il nostro Paese.
Per la prima volta nel nostro ordinamento, il pensionamento di vecchiaia è subordinato al meccanismo delle finestre: è previsto l'aumento dell'età pensionabile nella misura di almeno tre mesi per il lavoratore dipendente e di almeno sei mesi per il lavoratore autonomo, creando una chiara disparità a livello previdenziale. Si è tentato di arginare tali dispositivi, per quanto è stato possibile, nel corso dell'esame in Commissione, e ne è una prova l'emendamento sull'apprendistato, che ha come primo firmatario l'onorevole Compagnon. L'apprendistato, così com'è stato più volte evidenziato, è un contratto dalla cui applicazione potrebbero giungere significativi successi in termini di occupazione giovanile, ma che ancora oggi presenta un meccanismo farraginoso.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 17,30)

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. In Commissione abbiamo voluto dare rilevanza al rapporto di apprendistato, convertendolo in rapporto a tempo indeterminato, ferma restando l'utilizzazione del lavoratore in attività corrispondenti alla formazione conseguita e al completamento dell'obbligo formativo. Siamo ancora distanti, molto distanti rispetto a quanto realizzato in altri Paesi europei. Inoltre, la revisione dello scalone inciderà sicuramente in maniera negativa sulla tenuta del sistema previdenziale e rischia di riproporre ingiustificati elementi di iniquità per i lavoratori autonomi.
Ciò che ci preoccupa, e su cui non daremo il nostro assenso, è l'inserimento di meccanismi perversi, che rischiano di generare maggiori spese. La riforma, anziché razionalizzare il sistema pensionistico nella sua interezza, interviene con una soluzione diretta a favorire alcune fasce di lavoratori a scapito di altre, e ciò che è evidente è che si sta decidendo di procedere - insisto - in controtendenza rispetto all'Europa, varando una riforma che abbassa l'età pensionabile (mentre in tutta Europa è più alta), accrescendo quindi in maniera imprevedibile la spesa pensionistica.
Il Protocollo, secondo stime ottimistiche - vi sono studi che affermano che tali stime non sono assolutamente veritiere - pare che abbia un'incidenza di 10 miliardi di euro sulla spesa pubblica. L'onere finanziario sarebbe compensato dall'aumento dei contributi sul lavoro, che si traduce nell'aumento del costo del lavoro per le imprese e in maggiori oneri per i lavoratori. Anche la razionalizzazione degli enti previdenziali sembra che non solo non porterà risparmi, ma rischia di causare aggravi di spese.
Dopo diverse trattative, siamo arrivati alla sostituzione del famoso scalone pensionistico della riforma Maroni, che dal 1o gennaio 2008 innalzava da 57 a 60 anni l'età minima pensionabile. Va precisato che la platea che è stata accontentata eliminando lo scalone della riforma Maroni è di portata molto ridotta, perché sono stati eseguiti calcoli in base ai quali risulta che tale abolizione interessi alcune decine di migliaia di lavoratori: al contrario, quanti giovani delle future generazioni e quanti lavoratori saranno penalizzati? Si è voluto introdurre un sistema che è un mix tra età anagrafica e quote.
L'articolo 1 del provvedimento in esame conferisce al Governo una delega per definire la platea dei lavori usuranti: anche in questo caso, abbiamo assistito a una prova veramente non qualificabile e non qualificante da parte del Governo. Il tema dei lavori usuranti ha tormentato tutti noi, l'opinione pubblica e i giornali per settimane e per mesi. Si è allargata laPag. 70platea in maniera assolutamente impensabile, ed è saltato anche il vincolo delle famose ottanta notti, che definiva il lavoro usurante.
Attraverso una delega è stato conferito al Governo il compito di specificare un nuovo criterio, e se questo sarà più generoso, come immagino, si aprirà il rischio di un aumento di spesa in dieci anni di altri 2,8 miliardi di euro. Risulta evidente che, cambiando le opzioni da cui si era partiti, almeno la metà delle risorse necessarie per il superamento dello scalone e per le agevolazioni a favore dei lavoratori che svolgono attività usuranti sarà reperita attraverso un aggravio della pressione contributiva. Siamo lontani dall'obiettivo della riduzione della spesa pubblica, che rappresenta un principio reiteratamente affermato anche nel DPEF.
La preoccupazione dell'aumento della spesa pubblica non è solamente dell'UDC, ma a lanciare l'allarme è lo stesso presidente dell'INPS, Giampaolo Sassi. Si stima oggi, infatti, che i maggiori oneri per le finanze pubbliche siano pari a 1.264 milioni di euro per il 2008, 1.500 per il 2009, 3.048 per ciascuno degli anni 2010 e 2011 e 1.900 a decorrere dal 2012: si tratta di cifre ingentissime. Così facendo si rischia di produrre effetti opposti a quelli previsti dall'intesa iniziale, ispirata da un approccio ideologico, e addirittura contrari a quelli dell'equità fiscale e della tutela dei più deboli. Sono previste deleghe legislative riguardanti, fra l'altro, gli ammortizzatori sociali e il mercato del lavoro femminile.
Riguardo a questi provvedimenti, a parte i 5 milioni che hanno approvato il Protocollo, si è cercato di capire che cosa pensano realmente i lavoratori dei lavori atipici? Quanto allo staff leasing (somministrazione di lavoro a tempo indeterminato) vi è da dire che le forze politiche della maggioranza si stanno strenuamente battendo per la sua cancellazione. Ma tali forze politiche si sono premurate di capire e di quantificare il fenomeno? Hanno provato a sondare i lavoratori che prestano quest'opera? Hanno cercato di capire cosa vogliono questi lavoratori? Si tratta di lavoratori assunti a tempo indeterminato che godono di tutti i diritti, compreso l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e che quindi tanto precari non sono. A proposito dei lavoratori a chiamata, si è considerato adeguatamente che l'alternativa a questa tipologia contrattuale non è un posto fisso ma è il lavoro nero fuori da ogni regola? È in grado il Governo di fornirci delle risposte sul fenomeno delle false cooperative negli appalti di mano d'opera, nei quali i lavoratori sono molto più esposti a ogni tipo di sopruso? Ci viene risposto che nel programma dell'Unione era previsto che lo staff leasing fosse abolito e che per tale ragione, senza nessun'altra argomentazione, verrà abolito.
Credo che questi lavoratori avrebbero meritato maggiore rispetto, e voglio sottolineare altresì che non esistono degli studi seri da parte del Governo e dell'attuale maggioranza per rispondere a queste domande. Vi sono degli studi, invece, anche in mio possesso, con i quali si dimostra che la nuova disciplina proposta per la tutela dei lavoratori adibiti a mansioni usuranti, per l'ampiezza della platea interessata, potrebbe superare di quattro o cinque volte lo stanziamento previsto. Si stravolge in questo modo l'impianto fondamentale della riforma del 1995, si ampliano le figure coinvolte e si trovano tutti i sistemi per rimanere alla fine approssimativamente nella stessa condizione precedente. Tutto ciò avviene senza che nessuno abbia avuto il coraggio di apportare quelle sostanziali, serie, dolorose e faticose modifiche, necessarie per il futuro del nostro Paese e per le future generazioni.
Sono argomentazioni serie, richiamate in quest'Aula anche da altri colleghi, ed è per questa ragione che non potremmo dare la nostra fiducia (qualora venga posta la questione di fiducia) e comunque non possiamo approvare il provvedimento in esame.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, oggi ci troviamo ad affrontare la discussionePag. 71sulle linee generali del disegno di legge di attuazione del Protocollo sul welfare. Si tratta di una discussione generale assolutamente assurda e paradossale, per una ragione principale: il Governo ha già annunciato pubblicamente, da qualche giorno, che porrà la questione di fiducia sul provvedimento in esame. Il dato politico - che rappresenta l'assurdità di questa situazione - è che il Governo ancora non ha dichiarato né in quest'Aula, né fuori - perché probabilmente ancora non lo sa - su quale testo intende porre la questione di fiducia.
Tutto ciò ha alimentato un dibattito, in larga parte interno alla maggioranza ma anche nel Paese e tra le forze sociali, piuttosto ampio e anche duro, di cui abbiamo avuto qualche esempio durante la discussione odierna, quando, alla presenza del sottosegretario Letta e del Ministro Damiano, il collega Rocchi, con coerenza e determinazione, faceva presente che Rifondazione Comunista difende le scelte operate in XI Commissione relative al nuovo testo del provvedimento in esame. Si tratta di un testo differente da quello trasmesso dal Governo alla Camera ed esaminato dalla Commissione, e probabilmente differente, almeno in parte, dal testo del Protocollo dello scorso 23 luglio.
L'origine di questo provvedimento sciagurato è nota, e si tratta di un'origine nefasta. Quando il centrosinistra scelse di dare corso al superamento dello scalone Maroni, in campagna elettorale scrisse nel programma che avrebbe attuato il superamento dello stesso, non precisando bene in cosa potesse consistere tale superamento, se in un'abolizione tout court, oppure in un meccanismo di trasformazione della riforma previdenziale Maroni con il passaggio dallo scalone agli «scalini». È su tale problema che si è verificata l'origine di una questione che ancora oggi permea il dibattito politico e che sembra quasi portare ad una crisi e ad un'implosione della maggioranza, su un tema rispetto al quale da sempre denunciamo una spaccatura storica tra il centro del centrosinistra e l'ala massimalista e comunista della coalizione. Si tratta di una spaccatura che esiste da sempre, e che in questa circostanza emerge in tutte le sue contraddizioni e in tutta la sua forza politica dirompente.
In questo senso crediamo che essersi infilati in un vicolo cieco, quello dell'abolizione dello scalone, da parte della maggioranza, e annettere a questo tema (che già a nostro modesto avviso rappresenta un errore politico) una serie di altre questioni con cui poi la maggioranza e il Governo sono andate sempre più «incartandosi» nel Protocollo, costituiscano degli sbagli che hanno determinato la situazione attuale.
Molto più banalmente, e molto più furbamente, l'attuale maggioranza avrebbe potuto ammettere che il Ministro Maroni aveva realizzato una riforma delle pensioni coerente con l'impronta della riforma Dini, quindi con un sistema contributivo.
Si è poi avviata la fase del secondo pilastro della previdenza complementare, anche in tal caso in maniera abbastanza dubbia, ovvero sfilando all'XI Commissione della Camera un provvedimento già incardinato e già all'esame della stessa, per inserirla in qualche modo in un altro provvedimento all'esame del Senato. Tuttavia, al di là di tale situazione, avreste potuto ammettere, sottosegretario Montagnino ed esponenti della maggioranza, che questa riforma ormai era stata realizzata.
Si tratta di una riforma che, tutto sommato, ci avvicina all'Europa. Il Governo Berlusconi e lo stesso Maroni non sono certo degli «affamatori» di lavoratori; essi, in una valutazione generale, hanno semplicemente ragionato sul fatto che, se in Europa l'età pensionabile si stava alzando verso i 65 anni, forse l'Italia avrebbe potuto cominciare - lo sottolineo: cominciare - ad adeguarsi e ad avere un rapporto più equo con le nuove generazioni, le quali saranno costrette a lavorare il doppio delle precedenti e a guadagnare la metà.
Infatti, considerati i ritardi di questo Paese nella riforma delle pensioni e nelle riforme che, già dal 1994, sarebbero andate verso una maggiore sostenibilità delPag. 72sistema e una riduzione generalizzata della pressione fiscale (poiché molte delle entrate che sono derivate dalle manovre finanziarie di questi anni sono servite a sostenere il sistema), si sarebbe potuta prendere quella riforma, darla per scontata e, magari, stanziare risorse per qualcosa di costruttivo, come la costruzione di veri ammortizzatori sociali o l'applicazione e il completamento della seconda parte della riforma Biagi. In altre parole, si sarebbe trattato di abbinare flessibilità a meccanismi di ammortizzatori sociali attivi (e non a sussidi di disoccupazione tout court) per quei lavoratori che, all'interno dei meccanismi di flessibilità, non avessero trovato risposte di continuità, eludendo così la tentazione della mera e pura assistenza, per andare verso quel genere di intervento.
Invece, ciò non si è fatto: si è toccato il cosiddetto scalone e lo si è superato, tra l'altro finanziandolo per un terzo con i contributi dei cosiddetti precari. Non si capisce perché, poi, questa maggioranza ami chiamarli «precari» quando si affrontano questioni relative a tipologie di lavoro, legge Biagi e flessibilità, mentre, quando si tratta di mettere loro le mani in tasca per prendere quei contributi da una gestione separata dell'INPS (finalmente attiva), li chiama «parasubordinati». Si tratta, dunque, di una «norma fregatura» nei confronti dei giovani.
Questa è l'origine; in più, vi è il Protocollo: una serie di accordi che il Governo ha stipulato con le parti sociali e con le organizzazioni che lo hanno sottoscritto. Qui veniamo all'altro nodo: come affermava il collega Rocchi in un comunicato di qualche giorno fa, attraverso un'immagine che ho utilizzato anch'io (questo la dice lunga sulla credibilità di questo Governo), avete dato la sensazione dei giocatori del gioco delle tre carte: quelli che si mettono fuori dai mercatini, nei posti ove vi è grande traffico di persone, con le tre carte e i compari.
Vorrei esprimere una considerazione in quest'Aula, per lasciarne memoria, anche in presenza del Ministro Damiano, il quale - diamogliene atto - da questa mattina segue con attenzione i lavori relativi a questo provvedimento.
In Commissione è stato modificato il testo che era il risultato del cosiddetto accordo, che, tra l'altro, ha incontrato difficoltà di traduzione (basti vedere il ritardo con cui il Governo lo ha trasmesso al Parlamento). Gli accordi, infatti, vanno tradotti e, quando lo si fa, non si possono raccontare fandonie ai propri sostenitori dicendo di aver «strappato» questa o quell'altra cosa; quando un accordo si traduce, va fatto per iscritto, servono i soldi, servono coperture finanziarie (che, peraltro, non ci sono); insomma, la difficoltà di tradurre l'accordo si è manifestata nel ritardo con cui il Governo è riuscito a trasmetterlo al Parlamento.
Quando, in Commissione, al testo che era il frutto di tale accordo sono state apportate modifiche - seppure con il parere contrario del sottosegretario Montagnino -, non è successo nulla! Il relatore Delbono, con il parere favorevole, ha espresso l'assenso all'approvazione di emendamenti firmati dal presidente Pagliarini o dai colleghi della cosiddetta «cosa rossa», dei Comunisti, dei Verdi e della Sinistra Democratica. Tali emendamenti oggi costituiscono la pietra dello scandalo di cui le parti sociali - Confindustria e altri sottoscrittori del Protocollo - si lamentano recandosi a Palazzo Chigi per protestare contro il Governo, che li rassicura dicendo loro di non preoccuparsi, in quanto risolveranno il problema (ma non hanno ancora capito come!).
Ebbene, quando tutto questo accadeva, non vi è stata una volta, signor Ministro, che la Commissione abbia interrotto i propri lavori.
Se in Aula il Governo fosse sconfitto, con il parere favorevole del relatore, si aprirebbe una crisi nella maggioranza tale che lei, signor Ministro, si dimetterebbe nello stesso istante! In Commissione, al contrario, ciò non è mai successo! E lo sa perché? Perché era una presa in giro, era una pantomima, era un accordo che il Governo aveva stretto con quella parte della maggioranza che voleva approvarePag. 73quei provvedimenti in quel modo, così come risultano nel testo in esame, che voi vorreste sostituire con un testo che ancora non si è ben capito quale sia, ma che probabilmente rispecchia il testo originario che avete presentato al Parlamento.
Ma non venite a dirci che il parere contrario formale espresso dal sottosegretario Montagnino in Commissione costituiva la difesa dell'accordo da parte del Governo. Non c'era nessuna difesa dell'accordo, è stata fatta una difesa d'ufficio! Non voglio mettere in difficoltà il sottosegretario Montagnino: voglio semplicemente dire che, quando il parere del relatore è favorevole, evidentemente c'è un accordo. A meno che non siate veramente una banda di sprovveduti. Non credo che questa sia la verità.
La verità è che voi sapevate e che vi siete permessi di spostare a sinistra il Protocollo, nella speranza che nessuno se ne accorgesse o che nessuno sollevasse una questione politica o un problema. Ma quando la questione politica è stata sollevata, quando il problema è stato posto, quando Montezemolo è venuto a tirarvi le orecchie a Palazzo Chigi, quando la Confcommercio si è fatta sentire sul job on call e quando i sindacati si sono fatti sentire sullo staff leasing (dicendovi che era scritto che non si aboliva e voi lo abolite con un colpo di mano), allora sì: da un lato, c'è il rispetto del Parlamento ma, dall'altro lato, c'è il rispetto degli accordi e questi accordi li avete fatti voi, sia con il Protocollo, sia in Parlamento! Il parere contrario è stato solo formale: non si sono sospesi i lavori della Commissione lavoro neanche per un minuto, non c'è stata una riunione di maggioranza: era tutto chiaramente concordato. Questo è ciò che è successo e questo è il motivo per cui siamo oggi in Aula a svolgere una discussione sulle linee generali su un testo che non conosciamo.
C'è una questione di fondo: in questa sede emerge una spaccatura storica, che abbiamo visto da sempre nel centrosinistra. Nel 1998 siete caduti - questa maggioranza e Prodi in persona - perché Rifondazione comunista vi ha tolto la fiducia. Oggi la questione viene riproposta: voi dovete decidere se scontentare Lamberto Dini o Augusto Rocchi. Questa è la scelta, che forse, Ministro, può far sorridere: magari, è più facile scontentare Augusto Rocchi, visto che è deputato della Repubblica, ma credo che Augusto Rocchi abbia dei corrispettivi anche al Senato. Credo che una maggioranza tenga se si fa chiarezza con onestà intellettuale.
Il job on call è stato abolito, con un emendamento che, peraltro, riprende anche alcuni miei emendamenti sul settore del turismo e dello spettacolo, ed è stato poi in maniera fittizia reintrodotto, sebbene dopo la contrattazione tra le parti. Credo, signor Ministro, che lei dovrebbe spiegarci perché in un'audizione, nel corso di un'indagine sul precariato alla Camera (di cui la informo che non abbiamo ancora visto la relazione conclusiva: il problema non la riguarda direttamente, forse riguarda di più il presidente Pagliarini e la maggioranza in Commissione, che probabilmente non ha voluto scrivere nero su bianco che non è possibile fare l'equazione «precarietà uguale flessibilità», e quindi «legge Biagi uguale precarietà»), afferma che lo staff leasing e il job on call sono tipologie precarizzanti, mentre la stessa maggioranza e il relatore scrivono in un emendamento (che di fatto reintroduce, anche se in maniera surrettizia, il job on call) che la sua reintroduzione serve ad impedire a tanti lavoratori di ricadere nel sommerso, mentre il sindacato solleva la testa e protesta perché è stato abolito lo staff leasing. Diciamoci la verità: quante persone riguarderà? Comunque, si tratta del punto di diritto, di principio, signor Ministro. Sono tipologie precarizzanti o sono norme che permettono ad alcuni lavoratori di non essere abbandonati al sommerso? Sono norme che tutelano i lavoratori o sono norme precarizzanti? Delle due l'una, signor Ministro!
Allora, siamo chiari: noi non crediamo che tali istituti siano precarizzanti; crediamo che questo sia l'ennesimo gioco delle parti per sacrificare qualcosa di poco significativo in termini numerici sul tavolo della contrattazione con una forza politicaPag. 74che ha fatto della precarietà e dello sbandieramento di bugie sulla precarietà, sulla legge Biagi e anche sul pacchetto Treu il proprio cavallo di battaglia.
Non a caso si sono definiti Treu e Biagi due «assassini». Chi ha fatto di tutto questo una bandiera pretende ora sul tavolo e sull'ara della trattativa il sacrificio di un «pezzo» della legge Biagi, che perfino i sindacati considerano importante.
Allora, dobbiamo fare chiarezza. Dovete trovare il coraggio di compiere uno scatto di orgoglio, ma non credo che lo abbiate, perché il comportamento che avete tenuto in questa sede dà la misura e la cifra politica di una coalizione che ha difficoltà nelle politiche sul lavoro, a tutelare i più giovani e a non cedere alle esigenze, alle pretese e ai diktat della sinistra del centrosinistra.
Servirebbe uno scatto di onestà intellettuale e ci piacerebbe che lei, Ministro - o qualcuno di questo Governo, da Enrico Letta a Romano Prodi -, si alzasse e rivolgendosi ai colleghi di Rifondazione e dei Comunisti Italiani dicesse: «Cari compagni, diciamo la verità: la legge Biagi è una buona legge».
Smettiamola, allora, con la farsa di dover togliere e sacrificare qualche «pezzo» della legge Biagi per dire di aver combattuto la precarietà: la precarietà è il lavoro nero, il sommerso. Quella è la precarietà! Ma voi non avete questo coraggio.
Oggi stiamo vivendo un momento che, se voi porrete la questione di fiducia, sarà l'unica occasione di discussione e mi auguro - rivolgo un appello in questo senso alla Presidenza - che, qualora il Governo dovesse porre la questione di fiducia, si trovi, nell'ambito del Regolamento parlamentare, un'occasione (e ve ne sono) di poter far discutere comunque il Parlamento, senza limitare la discussione sul provvedimento esclusivamente alla fase della discussione sulle linee generali, anche nel periodo delle ventiquattro ore all'interno delle quali si sospendono normalmente le attività delle Commissioni ed il resto dei lavori parlamentari.
Credo, infatti, che tale dibattito sia molto importante e rilevante per il Paese, riguardando i temi sociali in maniera così forte che non si possa impedire al Parlamento di discutere. Se il Governo ha l'esigenza di chiudere la bocca alla propria maggioranza, lo facesse pure per serrare i ranghi e cercare di far mandare giù questo amaro boccone al centro del centrosinistra o alla sinistra estrema, ma eviti perlomeno di chiudere la bocca al Parlamento.
Vi sono questioni importanti che riguardano tanti lavoratori. Ho presentato, signor Ministro, sottosegretario Montagnino - ma lo dico anche al relatore -, emendamenti soppressivi di alcune parti che sono state approvate in Commissione, con il nostro voto contrario, ma con quello chiaramente favorevole della vostra maggioranza, di fronte alle quali state tornando indietro. Affrontiamo, allora, queste parti, proviamo a migliorare il testo, esprimete parere favorevole su questi emendamenti! Vediamo se su questo terreno potete cogliere la sfida!
Vi è poi la diversa questione relativa alla copertura di bilancio. Vi risparmio di ripetere ciò che è stato già detto sui lavori usuranti, in ordine ai quali si è soltanto rimandato ad una commissione che seguirà il provvedimento il compito di definire quali e quante saranno le spese. Ma quando illustri esponenti vengono a riferirci che si tratta di un moltiplicatore del tetto inizialmente previsto dei 5 mila, chi ha a cuore la sostenibilità del sistema e i conti dello Stato sa bene che ci si trova di fronte ad una situazione che può degenerare.
Vi sono elementi - nel Protocollo e nel testo al nostro esame - che danno la misura di una concezione centralista ed assolutamente sbagliata del mercato del lavoro e di una nozione del mondo del lavoro che è ben diversa e contraria da quella di «mercato» del lavoro, che è altra cosa. Perché dobbiamo immaginare che possano esistere concetti di precedenza per i lavoratori che hanno lavorato, anche in maniera flessibile, in un'azienda? Crediamo veramente che si debbano scrivere liste di precedenza e che un'azienda nonPag. 75sappia da sé se si è trovata bene o no con un lavoratore e che, se si è trovata bene, non abbia l'interesse - ancora prima che la bontà - di riassumerlo? Noi crediamo di sì e riteniamo che l'impostazione secondo la quale aumentare i contributi rappresenti uno dei modi per stabilizzare il sistema del lavoro sia sbagliata e che vada nella direzione assolutamente contraria.
In altri termini, un maggiore costo del lavoro spinge i datori ad un maggior ricorso alle forme di lavoro flessibile. Nell'ultima audizione svolta nel corso della nostra indagine conoscitiva sul precariato, alla fine di maggio, fu proprio lei, signor Ministro Damiano, a dire che uno dei motivi per cui si ricorre al lavoro flessibile, oltre a quelli legati alla stagionalità e ad alcune esigenze effettive di flessibilità, è il costo del lavoro.
Forse, per guardare la luna e non il dito, bisognerebbe chiedersi in che modo ridurre i costi del lavoro, non come aumentarli. Non si deve avere un approccio dirigista.
Signor Ministro, mi rendo conto che la sua posizione è molto complicata e difficile. Lei, con grande eleganza parlamentare, si è sottratto in qualche modo al dibattito violento degli ultimi giorni, sebbene la parola ultima e definitiva spetti al Presidente del Consiglio. Infatti, la forza e la rilevanza sociale di uno scontro in ordine ad un Protocollo come quello in discussione, che di per sé è un grande pasticcio e con il quale si è compiuto il miracolo di scontentare tutti, meritano una parola e un'autorevolezza che il Presidente del Consiglio in questo momento non possiede, ma che tuttavia dovrebbe avere per risolvere un pasticcio che lo stesso Governo ha compiuto, trattando aspetti diversi su più tavoli.
Con una situazione simile credo che il rischio di implosione, di cui molti hanno parlato, possa essere dietro l'angolo. Il provvedimento in esame non dispone di coperture finanziarie. La razionalizzazione del sistema previdenziale che avete auspicato, come ha affermato lo stesso presidente dell'INPS, è di ardua realizzazione e, forse, ancora più difficilmente porterà le entrate da voi previste.
Abbiamo presentato tante altre proposte che sono state rifiutate senza essere prese neanche in considerazione o sono state apprezzate in privato, ma cassate in pubblico, durante lo svolgimento dei lavori della nostra Commissione.
Crediamo che ora l'iniziativa spetti a voi. Infatti, ricordo che oggi si sta svolgendo la discussione sulle linee generali del provvedimento, ma non si sa bene né perché né in ordine a cosa si discute, e l'unica seria valutazione politica che si può compiere, al di là degli incontri che nel frattempo si svolgono tra Lamberto Dini, la senatrice Finocchiaro, Enrico Letta ed altri soggetti ancora (dimostrando che qualcuno si mette al lavoro per cercare di spegnere l'incendio che voi stessi avete innescato), è quella di ricostruire la storia di questo provvedimento sciagurato.
Tuttavia, un ultimo elemento di chiarezza è necessario. Il sottosegretario Montagnino ha detto che i punti che si discostano dal testo originale dell'accordo sono costituiti da materie non trattate nello stesso accordo. Sottosegretario Montagnino, tale affermazione non mi sembra plausibile. Infatti, non mi pare fosse prevista, ad esempio, l'abrogazione dello staff leasing. Non mi sembra affatto! Evidentemente vi sono alcune questioni che sono state sollevate da Rifondazione Comunista e su cui dovrete fornire risposte.
Lei ha vantato il fatto che, per la prima volta, un patto arriva in Parlamento. Di questo passo, sottosegretario Montagnino, sarà pure la prima volta, ma probabilmente anche l'ultima, perché avete dimostrato scarsa serietà e scarsa affidabilità come interlocutori politici, con i vostri partiti di maggioranza, e vi siete rivelati scarsi interlocutori istituzionali con le categorie, le confederazioni e i sindacati che pure hanno sottoscritto l'accordo in un quadro in cui, evidentemente, ciascuno poteva avere degli interessi e delle convenienze. Come diversi soggetti hanno confermato nelle audizioni svolte, ad ognuno di tali interlocutori è stato detto chePag. 76l'accordo conteneva alcuni aspetti, ma poi nel testo del provvedimento gli stessi elementi non erano più presenti. Questa circostanza fornisce la misura della vostra credibilità.
Invito i rappresentanti del Governo che sono oggi in aula a svolgere una riflessione politica, perché se superate tale ostacolo - ed ancora non è detto - ponendo la fiducia su tale provvedimento, qui alla Camera, il problema politico, così come era presente prima, continuerà a sussistere.
Continuerà ad esserci in modo ancora più importante, finché non avrete il coraggio di affrontare gli elementi del dibattito con onestà intellettuale e chiarezza, finché non avrete il coraggio di dire la verità sulla legge Biagi, finché non avrete il coraggio di dire ai Comunisti dove sbagliano, oppure dare loro ragione ed in tal modo perdere tutta la parte del dialogo con i riformisti ed i moderati che da sempre sono l'anima portante del confronto liberale nel Paese. Questa è la grande sfida...

PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, la invito a concludere.

SIMONE BALDELLI. Se intendete affrontarla con dignità, non ponete la questione fiducia, discutiamo del provvedimento e osserviamone il risultato nella sovranità del Parlamento, ma anche nel rispetto degli accordi. Altrimenti, ponete pure la questione di fiducia, ma con il grande auspicio che sia l'ultima, davvero (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pellegrino. Ne ha facoltà.

TOMMASO PELLEGRINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sicuramente il Protocollo sul welfare rappresenta uno dei provvedimenti più importanti ed attesi soprattutto per l'impegno che abbiamo assunto all'inizio della legislatura.
Mi fa piacere, da subito, sottolineare un impegno, presente nel protocollo, rappresentato dall'abolizione dello scalone. Si tratta sicuramente di un punto particolarmente qualificante e non possiamo assolutamente farlo passare inosservato solo perché è ancora molto vivo il confronto, anche all'interno della maggioranza, su una serie di punti importanti del protocollo.
Sicuramente si va verso un miglioramento della struttura previdenziale del nostro Paese, del mercato del lavoro, degli ammortizzatori sociali, della competitività e dell'inclusione sociale.
Mi fa piacere sottolineare il difficile, articolato e concreto lavoro svolto dalla XI Commissione e non possiamo, sia nel rispetto del Parlamento, sia nel rispetto dei deputati che hanno lavorato in Commissione nei giorni scorsi, fare finta di nulla rispetto alle modifiche apportate e ad alcuni miglioramenti realizzati in Commissione. Mi riferisco, in particolare, alla platea dei lavoratori usurati che potranno andare in pensione ancora a 59 anni con 35 anni di contributi. Infatti, è stato soppresso il tetto minimo di 80 notti lavorative all'anno per accedere a tale beneficio.
Un altro importantissimo miglioramento è rappresentato dal fatto che il tetto di 36 mesi si calcoli indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l'altro.
Inoltre, desidero ricordare che la definizione di una sola proroga rispetto ai 36 mesi (quella di otto mesi) rappresenta un altro punto importante del provvedimento e che si tratta di un miglioramento importante apportato dalla Commissione lavoro.
Con il provvedimento in discussione, oltre ad intervenire sulla previdenza, siamo intervenuti soprattutto sul fenomeno che maggiormente riguarda tantissimi giovani del nostro Paese: il lavoro precario. In questi anni abbiamo assistito alla proliferazione di diverse tipologie contrattuali, molte delle quali hanno generato nei giovani incertezza e, molte volte, anche tanta sfiducia proprio nei confronti delle istituzioni.
L'obiettivo più serio che ci siamo posti all'inizio di questo lavoro difficile è statoPag. 77proprio restituire fiducia ai tanti giovani italiani, cercando di fornire loro anche qualche certezza in più, con particolare riferimento al futuro, tante volte visto con incertezza ed insicurezza. Abbiamo cercato di realizzare una stabilizzazione vera del lavoro dei giovani, riducendo in modo significativo il precariato imperante che esiste nel nostro Paese.
Il processo di stabilizzazione non si esaurisce con il provvedimento in discussione; vi sono ancora molti aspetti da migliorare e settori ai quali dobbiamo guardare più attentamente. Signor Ministro, mi rivolgo anche a lei che so essere particolarmente sensibile a diversi settori della nostra società nei quali vi sono ancora troppe forme di contratto anomalo, sulle quali chiaramente deve essere fornita una risposta forte da parte di questo Governo e di questa maggioranza.
Penso, ad esempio, al settore della sanità (tra l'altro, proprio per oggi e domani è stato indetto uno sciopero che coinvolgerà molti operatori), dove esiste un grosso problema riguardante le diverse forme di contratti atipici. Noi del gruppo Verdi riteniamo che tale tema rappresenti una priorità importante e già con il primo provvedimento successivo a quello sul welfare, mi riferisco alla legge finanziaria per il 2008, dobbiamo intervenire. Tra l'altro, abbiamo preparato e presentato delle proposte emendative in tale direzione.
Trovo singolare che si possa affermare e pensare che, all'interno del protocollo sul welfare, il centrosinistra non abbia dato la giusta attenzione ai giovani. Penso che proprio ai giovani abbiamo rivolto la maggiore attenzione nella definizione delle regole per il mercato del lavoro. Proprio ai giovani abbiamo pensato rivedendo le norme riguardanti la previdenza, fissando delle regole e delle certezze, anche per ciò che concerne la loro pensione. Proprio ai giovani abbiamo pensato per garantire loro qualche certezza sul loro futuro. Sono numerosi i giovani in Italia che tante volte si rivolgono alla politica e alle istituzioni chiedendo di avere qualche certezza in più nel mondo del lavoro. Penso che i protagonisti assoluti di tale provvedimento siano i giovani del nostro Paese.
Abbiamo tenuto in considerazione le esigenze sia dei lavoratori sia delle imprese. Debbo dire che anche i miglioramenti che stiamo chiedendo - e in parte ottenendo - non solo come Verdi, ma come sinistra unitaria, partono proprio dalle richieste pervenuteci dai tantissimi lavoratori. Infatti, stiamo cercando di intervenire rispetto ad alcune norme solo fittizie: l'obiettivo è di cercare - anche attraverso delle modifiche - di rendere quelle norme concrete e di metterle a disposizione dei lavoratori italiani per creare quelle certezze.
Sicuramente saranno proprio i lavoratori a dover utilizzare gli strumenti che mettiamo loro a disposizione con l'intervento legislativo in discussione, al fine di avere quelle certezze e qualche possibilità in più rispetto alle condizioni di lavoro nelle quali vivono.
Non abbiamo certamente dimenticato che è necessario anche rafforzare e potenziare lo sviluppo economico del nostro Paese, troppe volte frenato proprio dalle condizioni di lavoro precarie e particolari esistenti nei contesti nei quali vivono.
Inoltre, è necessario sottolineare che in un sistema concorrenziale internazionale non possiamo certamente non essere all'altezza di un processo di rapida evoluzione del mercato del lavoro, nel quale proprio i lavoratori rappresentano la risorsa più importante. E solo migliorando le loro condizioni, attraverso le certezze e la stabilità, riusciremo ad essere più competitivi a livello internazionale.
Infatti, con l'attuale sistema legislativo, in materia di lavoro, sono ancora troppi i soggetti svantaggiati e, inevitabilmente, quelli che sono stati più penalizzati in assoluto sono stati proprio i giovani.
Altri aspetti importanti sono rappresentati dal rendere effettiva la parità di trattamento sul lavoro tra uomini e donne, dall'eliminazione dei diversi ostacoli che incontrano diverse persone disabili per l'inserimento nel mondo del lavoro. È chiaro che il protocollo va anche nellaPag. 78direzione di un forte e deciso contrasto al lavoro nero. Anche in questo caso debbo dire che, in tante e troppe realtà del nostro Paese, vi è un lavoro sommerso che certamente non fornisce sicurezza ai lavoratori. Ciò è dimostrato anche dal numero degli incidenti sul lavoro registrati negli ultimi tempi: tanti incidenti sul lavoro si sono verificati nell'ambito del lavoro precario ma anche del lavoro sommerso particolarmente radicato in alcune regioni e in alcuni territori, dove purtroppo molte volte diventa quasi la regola.
Penso che il provvedimento in esame vada anche e soprattutto in tale direzione: un deciso e forte inizio, un primo contrasto al fenomeno del lavoro nero.
In conclusione, desidero evidenziare una discontinuità molto forte con le norme varate dal precedente Governo. Questo è sicuramente un punto importante. Soprattutto, tutto ciò è in perfetta coerenza con quanto previsto dal programma elettorale dell'Unione, con l'obiettivo principale di normalizzare finalmente l'assunzione a tempo indeterminato. Infatti, questo deve essere l'obiettivo di un Paese civile come il nostro: fare intendere il lavoro a tempo indeterminato come normale, non più come un'eccezione, come abbiamo visto in questi ultimi anni.
D'altra parte, l'altro obiettivo che ci siamo posti è stato quello di condurre una lotta incondizionata a tutte le forme di lavoro precario presenti nel nostro Paese. Ciò che chiediamo noi Verdi è che in questo provvedimento il Governo tenga in forte considerazione tali esigenze e il lavoro svolto nella XI Commissione, soprattutto per ciò che concerne il lavoro a tempo determinato e il lavoro usurante.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cordoni. Ne ha facoltà.

ELENA EMMA CORDONI. Signor Presidente, signor Ministro, credo che la discussione che stiamo facendo rischia di non considerare la realtà che stiamo affrontando. Si brandiscono dati, si minacciano veti, senza far capire al Paese che stiamo affrontando uno degli elementi della politica del Governo di centrosinistra: non tutto comincia con il collegato sul welfare e non tutto finisce con questo provvedimento. Questo è uno degli strumenti messi in campo di una manovra più complessiva in cui si possono leggere i tratti di una politica economica e di una politica di redistribuzione nel suo complesso. Non si può leggere un provvedimento sganciandolo dal resto di quelli che il Parlamento si trova ad affrontare.
La discussione di oggi, invece, tenta in modo strumentale di dare un'idea diversa da quella che ci troviamo ad affrontare. Certo, oggi discutiamo il protocollo sul welfare, un testo che ha alle sue spalle un lungo percorso di concertazione, una consultazione dei lavoratori che ha dato fiducia all'accordo e che ha testimoniato la capacità di rappresentanza delle organizzazioni sindacali. Sappiamo anche che ottenere quel risultato non è stato semplice, perché quando si mettono insieme diversi campi di intervento c'è sempre un equilibrio nelle mediazioni che si incontrano. Sappiamo, inoltre, che ci sono delle sofferenze aperte verso il mondo delle imprese, prevalentemente, e anche qualche problema non risolto rispetto al mondo del lavoro. Tuttavia, alla fine, quell'accordo ha prodotto il disegno di legge che stiamo affrontando.
Molti colleghi lo hanno detto, desidero ripeterlo: io ritengo che in queste ore si stiano usando parole particolarmente pesanti che, ritengo, non facciano del bene a nessuno, né alla democrazia di questo Paese, né a coloro che ce le prospettano. Siamo in presenza di una concertazione, di un accordo tra il Governo e le parti sociali, di un problema politico di rispetto di quegli impegni. Io non nego tutto questo, ne sono consapevole. Ma non credo che si possano usare espressioni verso il Parlamento come «disappunto»; si sostiene che, se si approva un testo diverso, salta la concertazione; si parla di input al Governo con l'invito a tornare al testo originario. Ritengo che dietro a queste parole vi sia una visione della democrazia italiana diversa da quella scritta nella nostra Costituzione. C'è un ruolo dellePag. 79parti sociali autorevole e importante, nessuno lo vuole sottovalutare né banalizzare. Ma c'è anche un ruolo del Parlamento e questo non è soltanto un problema nostro, non è solo dei parlamentari: riguarda il modo in cui è stata concepita la democrazia nel nostro Paese.
Sembra che si voglia mettere in campo una diversa idea di Costituzione materiale e per questo si mette in discussione l'equilibrio tra i poteri e tra coloro che hanno la responsabilità di legiferare. Ritengo che vadano respinti i toni e i moniti che ci vengono rivolti in queste ore e in questi giorni, che vadano ascoltati gli argomenti, affrontandoli nel merito, ma che non si possa certamente accettare un'impostazione di questo tipo. Pertanto, invito tutti ad abbassare i toni e a ritrovare la funzione e il compito propri di ciascuno, nonché i luoghi e le sedi ove ribadire posizioni e contenuti, con la consapevolezza che siamo in una democrazia parlamentare e che il lavoro svolto dalla Commissione lavoro è autorevole e significativo al pari di quello svolto da coloro che hanno sottoscritto il Protocollo e della volontà dei lavoratori consultati. Trovare un punto di equilibrio tra il ruolo dei diversi soggetti coinvolti è nella responsabilità politica di ciascuno di noi, ma il modo con cui in queste ore si sta svolgendo la discussione in Aula non può essere accettato in alcun modo. Non va bene affermare: «si torni al testo originario», né: «o così o salta la concertazione»; si trovi un modo che assicuri il rispetto dei ruoli e delle funzioni di tutti.
Vedete colleghi, quando si legge sui giornali l'accusa rivolta alla Commissione lavoro di avere reintrodotto il lavoro a chiamata e di aver peggiorato le condizioni dei lavoratori di questo settore, ritengo che si sia in presenza di elementi di esagerazione. Noi non abbiamo pensato a ciò che sostiene la Confcommercio, ma a quelle tipologie di lavoro che altrimenti vanno a nero ed è questa la ragione per cui ci siamo sentiti di ripresentare in forma nuova e diversa da quella precedente una regolamentazione del lavoro a chiamata. Abbiamo anche introdotto un elemento che dovrebbe essere apprezzato dal sindacato e non capisco perché non sia così, considerato che abbiamo rinviato l'applicazione del lavoro a chiamata ai contratti nazionali e, dunque, ai rapporti fra le parti. Tale aspetto della disciplina, infatti, non è contenuto in una norma perché vi è un rinvio alla contrattazione. Credo che questo sia un elemento sottovalutato e non sufficientemente qualificato; anche perché non consiste in ciò la differenza tra il pacchetto Treu e la legge n. 30 del 2003? Non abbiamo criticato questo strumento, perché eliminava il ruolo della contrattazione sindacale e costruiva un rapporto tra lavoratori e imprese in modo impari? Non abbiamo, anche in altre norme modificate attraverso il tavolo della concertazione, reintrodotto il ruolo della contrattazione? Ebbene, lo ha fatto anche il Parlamento con riferimento al lavoro a chiamata. Ritengo che questo sia uno di quegli esempi da rispettare e da utilizzare come elemento positivo di quello sforzo in avanti che si è compiuto. Analoghe considerazioni possono essere svolte se si analizzano altri aspetti disciplinati nelle normative del settore in discussione.
Un altro elemento della discussione è costituito dal tema dei conti in equilibrio: ci accusano di mandare all'aria il bilancio dello Stato e di caricare tutto sulle giovani generazioni. Devo dire che mi fa piacere che dal centrodestra provenga questa preoccupazione per il bilancio dello Stato; meglio tardi che mai, visto ciò che abbiamo alle spalle e l'eredità che ci hanno lasciato! Ma chiedo a loro se sia mai possibile che un problema come quello della previdenza che attraversa tutte le società europee, venga affrontato in questo modo.
Come mai quando l'opposizione era al Governo ha scelto di rinviare al 2008 il superamento e l'applicazione del requisito dei sessant'anni? Perché ha rinviato la previdenza complementare e l'adeguamento del calcolo dei coefficienti rispetto al sistema contributivo? Certo, sono state scritte delle norme e poi si è pensato che qualcun'altro il giorno successivo le avrebbe attuate, perché si era compresoPag. 80che, intervenendo su tali questioni, si sarebbe aperto un conflitto con il Paese. Convinto com'era di perdere le elezioni, il centrodestra ha pensato di lasciare questa eredità al Governo di centrosinistra; perché allora oggi l'opposizione ci richiama al rispetto del sistema contributivo, alla questione legata all'opportunità di non abbassare l'età pensionabile e a tutta una serie di argomenti che l'opposizione stessa, quando era al governo del Paese, aveva la possibilità di realizzare immediatamente, se era così convinta che si trattava di decisioni giuste ed equilibrate?
Certamente, vi è il problema dell'invecchiamento, dell'aspettativa di vita e della sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale. Non credo, tuttavia, che possiamo gettare un allarme su tale capitolo, in quanto da anni si sono attuate riforme che ci danno una certa tranquillità sul piano della sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale, anche se forse non abbiamo la tranquillità sul livello dell'adeguatezza del livello pensionistico. Questo è il capitolo che si dovrà affrontare e trovo importante avere insediato una commissione ad hoc che dovrà valutare anche l'adeguatezza del nuovo sistema pensionistico.
Quando avremo i dati e le proiezioni e quando usciremo dagli slogan rispetto al tasso di copertura del livello pensionistico, saremo in grado di capire se il sistema, che abbiamo pensato e voluto noi del centrosinistra, regge non solo dal punto di vista della sostenibilità, ma anche dell'adeguatezza.
Permettetemi di sottolineare che vi è un errore e lo dico a livello personale, come l'ho spesso detto in qualunque parte fossi. Maroni ha eliminato un elemento dalla riforma previdenziale introdotta da Dini e mi piacerebbe che il Presidente Dini riassumesse la difesa di questo tema, ovvero l'introduzione della pensione flessibile e non un'uscita rigida dal lavoro, come se tutti i lavoratori fossero identici, come se tutti i loro percorsi di vita fossero uguali, come se il loro carico nella vita, o il loro stato di salute fosse identico.
Avevamo costruito, infatti, un sistema flessibile dell'uscita, capace di ricomprendere in uno spettro di anni le storie lavorative dei lavoratori e delle lavoratrici italiane. Si è, invece, reintrodotto a partire da Maroni un sistema rigido e anche in questo protocollo non siamo stati capaci di reintrodurre quel concetto. Credo, quindi, che dovremo tornare su tale problematica nel tempo, in quanto a regime il sistema pensionistico non potrà essere così. È necessario, infatti, costruire sistemi flessibili, capaci di costruire e di riconoscere le diverse tipologie del lavoro.
Mi chiedo come si possa polemizzare sulla questione dei sessant'anni o dell'anticipo a cinquantasette anni, pensando che il mondo del lavoro sia tutto identico. Diciamo piuttosto che siamo stati tutti responsabili, nei Governi che si sono succeduti dal 1992 ad oggi, di non avere mai saputo affrontare il capitolo dei lavori usuranti. Ciò era previsto nella disposizione del 1992, in quella di Dini del 1995, in quella del Governo di centrosinistra e in quella di Maroni, ma oggi siamo di nuovo a riaffrontare il tema dei lavori usuranti.
Spero che sia l'ultima volta e che riusciamo a definire cosa sia un lavoro usurante, in quanto credo che nessuno possa sostenere che l'allungamento e le aspettative della vita siano uguali per tutti. Altrimenti, ciò diventa la «media di Trilussa», in quanto vi sono ancora tipologie di lavoro volte in un'altra direzione. Se riusciamo, quindi, ad effettuare questo percorso, avremmo dato un contributo affinché la discussione non sia soltanto ideologica, ma sia capace di conoscere le differenze delle diverse tipologie di lavoro. Si tratta del concetto della flessibilità.
Ciò deve passare attraverso il lavoro usurante e lo dobbiamo fare con serietà, affinché sia riconosciuto da tutti i lavoratori che stiamo parlando di un lavoro veramente usurante. Questo è il modo per renderlo serio, permanente e praticabile. Il centrodestra, inoltre, ci domanda come possiamo realizzare questo provvedimento, in quanto costa alla finanza pubblica e dice che noi siamo capaci solo diPag. 81aumentare i contributi e di pensare e scrivere cose che non si realizzeranno.
Ci dicono, inoltre, che abbiamo scritto che in dieci anni si potranno avere 3,5 miliardi di euro di risparmi dal cambiamento e dalla riorganizzazione degli enti previdenziali. Anche su ciò vi è un lavoro svolto dal Parlamento e la Commissione che presiedo ha offerto al Parlamento e alle parti sociali una possibile trasformazione degli enti previdenziali, affinché siano più efficienti e più efficaci, ma anche capaci di produrre i risparmi scritti nella delega.
Sono convinta e spero che lavoreremo tutti affinché ciò che è scritto nella delega sui risparmi, nei prossimi dieci anni, sia velocemente messo in piedi. È vero che i risparmi non si realizzano nel primo momento o nel giorno «x», ma è necessario un programma di piano di fattibilità industriale che porti all'unificazione di alcuni enti e ad un lavoro di sinergia di alcune funzioni. È necessaria una forte scelta in una precisa direzione, e noi saremo capaci non solo di produrre i risparmi che sono necessari anche per sostenere il Protocollo sul welfare, ma anche di dare all'Italia un sistema pensionistico con degli enti gestori più efficienti e più efficaci per i loro utenti, siano essi lavoratori o imprese.
Ci dicono, inoltre, che, per sostenere tali scelte, aumentiamo i contributi delle giovani generazioni. Ma come si fa ad affrontare così questo tema? Sapevamo che i contributi pagati dai giovani erano insufficienti per cercare di maturare una pensione adeguata e, quindi, che stavamo costruendo un livello pensionistico inadeguato. Credo che lo sapessero tutti: oggi, invece di apprezzare e di valorizzare la scelta che perseguiamo di rendere le aliquote contributive simili - o uguali - a quelle del lavoro dipendente, si dice che aumentiamo i contributi. Lo facciamo pensando proprio alle giovani generazioni, delle quali si parla sempre: dobbiamo pensare alla loro pensione, partendo anche - e non solo - da queste scelte.
Abbiamo introdotto anche diritti (tali aspetti si ricordano troppo poco): nella scorsa legge finanziaria, ad esempio, abbiamo introdotto il diritto alla maternità e alla malattia, l'applicazione del congedo parentale, gli incentivi alla stabilizzazione (penso alle imprese e alla stabilizzazione del pubblico impiego). Non è vero che il Governo e la maggioranza non stanno lavorando per le giovani generazioni. Certo, vi è ancora molto da fare, ma pensiamo di rimanere al Governo fino al 2011: ne abbiamo ancora di strada e di proposte da mettere in campo! Non si fa tutto in un secondo!
Quando decidiamo di aumentare i contributi, lo facciamo proprio perché abbiamo in mente la strategia, lo scenario ed i risultati ai quali mi riferivo. Come ho affermato in precedenza, ritengo che il lavoro e il dibattito svolti in Commissione, in sede di discussione sul merito (in cui sono emerse opinioni diverse anche della stessa maggioranza), vadano rispettati e condivisi, anche rispetto ai percorsi che il Governo stabilirà nelle prossime ore. Non si può annullare quella discussione e non si possono cancellare gli interventi svolti dalla Commissione.
Ciò che preoccupa maggiormente in merito alla nostra discussione è il fatto che, in queste ore, facciamo di nuovo credere al Paese che il Protocollo sul welfare significhi soltanto scalone e tempo determinato, cancellando tutti i contenuti della nostra riforma. Non si dice che, per l'ennesima volta, stiamo cercando di conferire al Governo una delega per la riforma degli ammortizzatori sociali in un senso universale. Spero che questa sia la volta buona, perché le deleghe sono state conferite con diverse maggioranze e in diverse legislature.
Abbiamo bisogno di questo salto di qualità per costruire risposte per tutto il mondo del lavoro: al di là delle tipologie contrattuali, dobbiamo costruire una protezione sociale nel mercato del lavoro, che sia capace di rispondere a tutte le fattispecie in esso esistenti. Dobbiamo spingere e lavorare affinché si possa realizzare tale delega: nel provvedimento in esame, affrontiamo di nuovo, aggiorniamo e mettiamo a tema il collocamento obbligatorioPag. 82per le persone più deboli che hanno problemi di handicap; interveniamo sulla disciplina del part time, cercando di rispondere a quei lavoratori malati che avrebbero bisogno di ricorrere a questo strumento in alcune fasi della loro vita: affermiamo che diventa un loro diritto poterlo ottenere e poter tornare al tempo pieno nel momento in cui hanno superato i momenti di difficoltà.
Abbiamo anche costruito un tempo più lungo per modificare la disciplina del part time attraverso la contrattazione, affinché le lavoratrici e i lavoratori che lo scelgono per motivi di cura possano organizzare la propria vita: abbiamo introdotto il diritto al «lavoro di cura» per quelle donne e per quegli uomini che hanno figli fino a dodici anni di età, affinché essi, in quel modo, possano affrontare i compiti di cura. Abbiamo conferito al Governo una delega affinché aggiorni le norme sui congedi parentali - previste dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 - rendendoli più praticabili e utilizzabili. Abbiamo anche reso permanente la rivalutazione del danno biologico per gli invalidi del lavoro.
Il provvedimento in esame contiene numerosi interventi: sarebbe sbagliato rappresentarlo al Parlamento soltanto come il provvedimento che tratta argomenti significativi e importanti, come quelli relativi all'età pensionabile, ai lavori usuranti o al tempo determinato. Nel provvedimento vi sono anche altre risposte: ritengo sia giusto che, a partire dalla maggioranza, non si oscurino i contenuti né del provvedimento in esame, né della manovra finanziaria, perché fanno parte di questa manovra anche la cosiddetta quattordicesima per i pensionati e il cosiddetto bonus per gli incapienti. Spesso lo abbiamo fatto.
Molti lo hanno ottenuto e lo stanno ottenendo, ma tutto ciò non sembra far più parte degli obiettivi previsti e dei risultati conquistati.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ELENA EMMA CORDONI. Mi avvio alla conclusione. Rischiamo di non far capire al Paese fino in fondo qual è la politica di questo Governo. Questa è anche una responsabilità della maggioranza e credo che un dibattito come questo debba essere capace di riconsegnare al Paese una reale rassegna dei provvedimenti che stiamo adottando (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3178-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Barani.

LUCIO BARANI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, ho fatto bene questa mattina a chiedere di parlare al termine della discussione, per rendermi conto delle diverse posizioni dei gruppi. Ho ascoltato i gruppi di minoranza, che hanno assunto posizioni uniformi, esprimendo un giudizio negativo su questo disegno di legge, ma ho avuto anche la fortuna di ascoltare con le mie orecchie, roba da non credere, i gruppi di maggioranza, che la pensano uno diversamente dall'altro: non vi sono due gruppi d'accordo fra loro. Eppure, sono otto o nove i gruppi di maggioranza intervenuti. Qualcuno invoca e implora il Governo e, in particolare, il Ministro Damiano, qui presente, a non porre la questione di fiducia. Forse, abbiamo svolto una discussione sulle linee generali su un testo che non sarà quello definitivo, perdendo tempo, come Parlamento. Forse, anche il lavoro svolto in Commissione, che si è impegnata molto, e il grande sforzo compiuto dal relatore Delbono saranno stati inutili, in quanto il testo che sarà votato in Aula sarà diverso da quello approvato dalla Commissione.
Dunque, la sinistra massimalista afferma che bisogna per forza approvare il testo che è stato approvato dalla Commissione, mentre altri gruppi, come l'Udeur, l'Italia dei Valori e La Rosa nel Pugno laPag. 83pensano diversamente. In particolare, La Rosa nel Pugno si è divisa in due, con i socialisti dello SDI che la pensano in un modo e i radicali che, con Mellano, la pensano in maniera diversa, affermando che bisogna ritornare al testo del Governo.
Vi è poi una grande protesta all'interno dei gruppi, poiché sarebbe stato invertito il processo democratico, ossia, invece di iniziare dalla via parlamentare, si è voluto iniziare con l'accordo con le parti sociali, peraltro non con tutte, ma solo con gli amici sindacati, CGIL CISL e UIL, tralasciando l'altro 50 per cento dei lavoratori italiani, che non hanno firmato - bisogna sottolinearlo ed è emerso - il Protocollo sul welfare.
Facendo riferimento al contenuto del disegno di legge in discussione, esso innanzitutto dispone, in luogo del più deciso aumento a sessanta anni dell'età anagrafica prevista per la pensione di anzianità, un innalzamento graduale a cinquantotto anni per i lavoratori dipendenti. Viene tralasciata l'equità con i lavoratori autonomi, visto che per essi, a parità di trentacinque anni di anzianità contributiva, è prevista un'età anagrafica superiore di un anno nel 2008, fino ad arrivare a sessantuno anni nel 2013.
Nel contempo, questo provvedimento rende flessibile l'accesso al pensionamento, subordinandolo al raggiungimento di quote determinate derivanti dalla somme dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva, pari a 95 dal luglio 2009, fino ad arrivare al 97 nel 2013.
La maggiore gradualità dell'innalzamento dell'età necessaria per conseguire il diritto alla pensione di anzianità determina oneri ingenti, di circa 7 miliardi. Chi più chi meno ha parlato di 7 miliardi di euro nell'arco del decennio 2008 - 2017. Sono, inoltre, previste esenzioni da questi limiti per i lavoratori che svolgano attività usuranti, per la cui individuazione viene conferita una delega al Governo. Non sappiamo quali e quanti saranno, ma comunque la spesa si aggrava di circa 3 miliardi di euro. Il tutto avviene in controtendenza rispetto ai più importanti Paesi dell'Unione Europea.
Se è vero, com'è vero, che per la prima volta dal dopoguerra la spesa pubblica ha superato il 51 per cento del PIL - unico paese della zona euro - siamo, economicamente, sull'orlo di un baratro. Approvare il disegno di legge in esame, signor Ministro, così come ci viene presentato, significa compiere un grosso passo in avanti e quindi far cadere l'azienda Italia dentro questo baratro senza ritorno.
Dunque, non vi è più il patto generazionale tra generazioni diverse: le generazioni più giovani saranno costrette ad andare in pensione più tardi e ad avere pensioni dimezzate rispetto ad oggi. Non è possibile che, per evitare ai lavoratori attuali il sacrificio di rispettare la riforma Maroni, la legge Biagi e la legge Treu, che effettivamente hanno dato un segno di cambiamento, apportando un attivo dello 0,6 per cento, si accetti di scendere al meno 0,1, quindi invertendo effettivamente la tendenza, ma in senso negativo. Inoltre, il rinvio al 2010 dell'aggiornamento dei coefficienti di trasformazione determina oneri aggiuntivi per il sistema pensionistico, rispetto a quelli derivanti dalla normativa vigente, che ne prevedeva l'applicazione dal 2005.
La riduzione da dieci a tre anni della cadenza stabilita per la revisione dei coefficienti è invece da apprezzare, in quanto riduce lo sfasamento temporale intercorrente tra il momento dell'innalzamento della speranza di vita e quello dell'adeguamento della rendita da circa quattordici anni a circa sette anni. Tale modifica non appare tuttavia sufficiente ad assicurare l'equilibrio tra prestazioni e contributi, che rischia di essere compromesso dal continuo innalzamento della speranza di vita, non adeguatamente e prontamente colto dai meccanismi attualmente previsti per la revisione dei coefficienti di trasformazione, sia per la scarsa tempestività, sia per l'inadeguatezza degli strumenti utilizzati.
Il provvedimento in esame non modifica i parametri attuariali utilizzati per la rivalutazione dei contributi e per la liquidazione della rendita previsti dalla riforma Dini (e Dini, poi, ci aspetta alPag. 84Senato della Repubblica, signor Ministro, non si smuove ed è determinante: nonostante poniate la fiducia in questo ramo del Parlamento, al Senato la fiducia non passerà), che costituiscono la principale causa del prevedibile squilibrio che, in prospettiva, si determinerà tra prestazioni e contributi.
Il parametro utilizzato per la rivalutazione dei versamenti contributivi, cioè l'aumento del prodotto interno lordo, ingloba anche l'aumento dell'occupazione, al quale in prospettiva corrisponderà un aumento dei pensionati.
Le nuove norme inserite nel provvedimento sottoposto alla nostra attenzione prevedono inoltre politiche attive, che favoriscano il raggiungimento di un tasso di sostituzione non inferiore, al netto della fiscalità, al 60 per cento. L'introduzione di tale limite minimo mina alla base il principio della corrispondenza tra contributi e prestazioni, introdotto con la riforma del 1995: la pensione dovrebbe infatti essere commisurata ai contributi versati, secondo una stretta equipollenza attuariale.
Il provvedimento in esame contiene altresì un insieme di misure dirette ad elevare le pensioni di importo più contenuto e a potenziare gli ammortizzatori sociali. Tali norme, nell'attuale contesto di difficoltà di gran parte delle famiglie, sono ovviamente da condividere.
Il finanziamento delle maggiori spese è affidato fondamentalmente ai risparmi connessi alla razionalizzazione del sistema degli enti di previdenza, da cui dovrebbero scaturire economie per 3,5 miliardi di euro nell'arco di un decennio. È inoltre prevista l'elevazione dell'aliquota contributiva riguardante i lavoratori iscritti all'assicurazione obbligatoria dello 0,09 per cento, a decorrere già dal 2011.
Inoltre vengono disposti, limitatamente alle pensioni di importo superiore a otto volte la pensione minima dell'INPS, vale a dire ai trattamenti che si aggirano intorno ai tremila euro, il mancato riconoscimento dell'adeguamento al costo della vita dovuto per il 2008 (intervento di dubbia costituzionalità, in quanto assimilabile ad una forma di tassazione che incide su una specifica categoria di redditieri) e, infine, l'ammortizzazione dei fondi speciali.
Da questi due interventi dovrebbero derivare risparmi per oltre 2 miliardi di euro. Nelle attuali condizioni della nostra economia sarebbe stato molto più utile utilizzare le risorse reperite per ritardare l'innalzamento dell'età di pensionamento per anzianità, per l'ammodernamento del sistema produttivo, per la ricerca, per lo sviluppo, nonché per un'azione più incisiva, rispetto a quella prevista nel provvedimento, sulla formazione del capitale umano. Si tratta di interventi indispensabili per rafforzare le prospettive di crescita, e da cui scaturirebbero riflessi positivi sui conti pubblici. Era questo quello che si doveva fare e che non si è fatto.
Oggi siamo al buio, e non sappiamo su quale testo verrà posta la fiducia: è certo che governare così non è sicuramente governare bene. Siamo sull'orlo, l'ho già detto, non fateci fare un grosso passo in avanti, perché il baratro ci impedirebbe di ritornare indietro.

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la maggioranza, onorevole Delbono, rinuncia alla replica.
Ha facoltà di replicare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano.

CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei cercare nelle mie brevi considerazioni di svolgere un ragionamento che sia attinente ai fatti. Non intendo rinunciare, come è logico, ad un'interpretazione di parte, ma cercherò sempre di considerare tutti gli argomenti. Credo, intanto, che non abbiamo assolutamente perso tempo in questa discussione, e del resto il Governo ha voluto essere presente fin dall'inizio. Personalmente ho apprezzato la qualità della discussione, i contributi e i diversi punti di vista che sono stati espressi. Tutto ciò dimostra che abbiamo svolto un lavoro utile.
Non vedo motivo di particolare sorpresa nel fatto che il Governo abbia annunciatoPag. 85 la possibilità di porre la fiducia. La discussione in corso ci consentirà di prendere le opportune decisioni, fermo restando che si è svolta la discussione su un testo sul quale il Governo si riserva delle valutazioni conclusive. Comunque la si metta, stiamo discutendo di un importante atto di Governo, forse tra quelli più importanti prodotti sul versante sociale e della competitività. A nessuno sfugge che tale provvedimento, quando verrà approvato, porterà al Paese nei prossimi dieci anni una distribuzione di risorse che si avvicina alla cifra di 40 miliardi di euro. Si tratta di risorse che andranno prevalentemente a vantaggio dello Stato sociale e della competitività, e che per la prima volta da quando esiste la concertazione in Italia, dal lontano 1983 con il primo Protocollo Scotti, non contiene alcuna logica di scambio. Vi è solamente una logica di redistribuzione a vantaggio dello Stato sociale. Ritengo che i fatti contino più di tante parole, e un fatto è che già nel mese di ottobre 3,5 milioni pensionati, ovvero coloro che avevano meno di 670 euro di pensione mensile, hanno ricevuto una quattordicesima.
Abbiamo guardato alla parte debole del reddito delle pensioni e abbiamo distribuito circa un miliardo di euro. A questa cifra, sotto il profilo sociale, si aggiunge un'altra cifra importante, una tantum, per i cosiddetti incapienti - parte dei quali sono gli stessi pensionati di reddito basso che hanno già ricevuto la citata quattordicesima - di 150 euro per la persona e per il numero delle persone a carico. Si tratta di un altro piccolo segnale, importante, di attenzione ad una parte debole: circa due milioni di questi pensionati avranno anche questo nuovo beneficio.
Quindi ritengo che, al di là di tutto, quello che conta, come sempre, siano i fatti. I fatti si producono e il Governo sta producendo fatti che pian piano, non senza difficoltà - non lo nascondo - l'opinione pubblica potrà apprezzare. Questo frutto, di cui stiamo discutendo oggi, è quello della concertazione che abbiamo fatto rinascere dalle sue ceneri, e ritengo che, diversamente da quanto ho sentito, noi abbiamo svolto una concertazione con tutti i soggetti sociali.
Noi non abbiamo guardato soltanto ad una parte, ovvero ai sindacati, come genericamente si dice (a parte il fatto che le organizzazioni sindacali sono plurali). Noi abbiamo guardato ai sindacati, quindi alle associazioni del lavoro, ma anche alle imprese e alle associazioni di impresa, agli artigiani, ai commercianti, alle cooperative e alle piccole e grandi imprese, sapendo che naturalmente le parti sociali hanno una libertà di scelta, e non tutte le parti hanno ritenuto di condividere questo Protocollo, ma la gran parte delle associazioni, di larga rappresentanza, hanno condiviso tale frutto della concertazione. Voglio anche aggiungere che non è un fatto secondario - va valorizzato e difeso - che più di cinque milioni di lavoratori e pensionati abbiano ratificato questo accordo, all'80 per cento, consolidando in questo modo un risultato utile al Paese, ai lavoratori e ai pensionati.
Consiglio - si tratta dell'orientamento che ho sempre tenuto, e che cercherò di tenere anche nelle prossime attività e iniziative del Governo - di abbassare i toni. Ho sentito infatti dei toni un po' esagerati nel corso di queste giornate a proposito dell'attuale discussione. Inviterei tutti - un po' è il mio modo di fare, e non pretendo che sia quello di tutti, ci mancherebbe - di passare dai simboli ai contenuti. In altre parole, guardiamo le cose per quello che sono. Capisco che in politica il valore dei simboli non vada trascurato e che ciascuno di noi ha le sue bandiere da sostenere, ma giunge poi il momento in cui dal simbolo si passa al contenuto, cioè si vede la realtà, altrimenti corriamo il rischio di essere un po' come dei bambini che al buio della notte vedono le cose più grandi di quanto al mattino esse non appaiano. Quindi, inviterei tutti a dimensionare effettivamente i problemi.
Non trovo utile una sterile contrapposizione tra il ruolo della concertazione e delle parti sociali e le prerogative del Parlamento e dell'XI Commissione. Mi sembra francamente un esercizio inutile,Pag. 86così come mi sembra inutile un richiamo improprio a un ritorno allo Stato corporativo, che non ci appartiene. Le parti sociali esercitano il loro ruolo, il Governo esercita il proprio ruolo, il Parlamento a sua volta ha un ruolo da esercitare, un ruolo che deve essere sanamente dialettico. Non mi preoccupo se alle volte sono messo in minoranza, e mi pare che ciò faccia parte delle regole del gioco. Abbiamo assistito anche in questo caso ad una sana dialettica che, senza stravolgere a mio avviso i contenuti del Protocollo, ne vuole applicare la sostanza, e al tempo stesso valorizzare assolutamente il ruolo esercitato dalle parti sociali e quello del Parlamento.
Vorrei che anche a tale proposito non dimenticassimo di cosa stiamo parlando: stiamo parlando di un disegno di legge complesso. Io sono un uomo pratico: cinquanta pagine di testo non sono cinque righe. Non stiamo parlando di un singolo comma o di un emendamento né di un codicillo.
Stiamo parlando di un argomento assai complesso, delicato e fatto di molti equilibri, altrimenti non si spiegherebbe come questo testo sia stato oggetto, da più di sei mesi (ormai ci avviciniamo all'anno), di un confronto forte, duro e a rischio di rottura tra Governo e parti sociali, nel tentativo di arrivare - come si è arrivati - ad una composizione molto importante.
Stiamo parlando di 32 articoli sostanzialmente condivisi in questo percorso parlamentare e di 600 emendamenti esaminati dalla Commissione lavoro. Se poi la discussione, oggi, verte su pochi quesiti - se le formule relative ai lavori usuranti costino o meno un euro in più; se sul contratto a termine si possa o meno apporre un termine alla proroga; se sia giusto o meno cancellare lo staff leasing; se sia giusto ripristinare in parte il job on call - ebbene, se di questo si tratta (e di questo si tratta), non mi pare che tutto ciò, in rapporto alla quantità e alla qualità delle questioni che abbiamo discusso, rappresenti di per sé lo scardinamento di un'azione estremamente complessa e profonda che riguarda temi importanti.
Infatti, abbiamo trattato temi che vanno dalla previdenza allo scalone (un'eredità pesante per questo Governo), ai lavori usuranti (un'altra eredità pesante che si trascinava da molte legislature e che, questa volta, può avere una definizione congrua), fino ai temi degli ammortizzatori sociali (una questione incompiuta anche rispetto al passato), degli incentivi alla contrattazione decentrata e dell'ampliamento delle tutele a vantaggio della parte più debole del mercato del lavoro.
Potrei continuare in una lunga enumerazione di contenuti che non sono semplicemente e casualmente accostati dal Governo, ma rappresentano il disegno organico e riformatore di un Governo che ha voluto tracciare un grande profilo sociale nella sua attività. E questo profilo sociale - credo che ciò vada detto con chiarezza - sta emergendo.
Questo non vuol dire che non vi siano stati, o non vi siano, contrasti o contraddizioni; del resto, a differenza di quanto è stato sostenuto in modo non formale, il Governo si è espresso negativamente su alcuni emendamenti: dal termine di otto mesi per quanto riguarda l'unica proroga, alla modifica relativa allo staff leasing e al job on call, perché il Governo preferiva mantenere il testo originario. Tuttavia - lo ripeto -, tutto ciò è riconducibile ad una logica di mantenimento di quegli elementi di dialettica che sono necessari.
Come sapete, in queste ore il Governo è impegnato a trovare un giusto punto di equilibrio e prosegue i suoi contatti con le forze politiche e le parti sociali, perché non solo vogliamo tenere la rotta e mantenere la sostanza di quel protocollo, che condividiamo profondamente, ma vogliamo trovare, attorno a tale rotta, la massima convergenza.
Per questo motivo, ritengo che il dibattito sia stato utile e che ci consentirà, nelle prossime ore, di prendere le opportune le decisioni: guai se fallissimo questo obiettivo! Del resto, l'azione del Governo si è mossa sempre con una logica molto precisa, quella di collegare tre termini: risanamento, sviluppo ed equità. Credo che ci siamo mossi in questa direzione.Pag. 87
Ora stiamo esaminando - e poi voglio rapidamente concludere - un protocollo, un accordo molto importante (quello del 23 luglio del 2007) del quale stiamo valutando il profilo sociale e il sostegno alla competitività. Tuttavia, vorrei che, ad un certo punto, non concepissimo questo protocollo come una sorta di azione a sé stante. No: l'azione del protocollo si inserisce in un contesto nel quale prima, durante e dopo il Governo ha manifestato la sua azione coerente - vorrei ricordarlo - a sostegno dello sviluppo del Paese e della competitività.
Nessuno dimentichi il significato di un'azione come quella della riduzione del cuneo fiscale, vale a dire uno sconto sul costo del lavoro a tempo indeterminato che vale, per il 2008, quando sarà a pieno regime, una cifra che si avvicina ai 5 miliardi di euro a vantaggio del sistema delle imprese, con il duplice obiettivo di sostenere la competitività attraverso una diminuzione del costo del lavoro e di diminuire il costo del lavoro del lavoro a tempo indeterminato, come applicazione di uno dei principali punti del programma dell'Unione, laddove si afferma - a ciò credo profondamente - che il lavoro a tempo indeterminato, come ci ricorda l'Unione europea, deve diventare la forma normale di impiego, senza per questo far venire meno la nostra attenzione alla buona flessibilità, di cui le aziende devono poter disporre nella globalizzazione e nel nuovo mercato della produzione e del lavoro.
Così come non possiamo dimenticare l'azione della precedente legge finanziaria sulle coperture per i lavoratori discontinui in termini sociali (la malattia o la maternità) o il fatto che questo protocollo intervenga fondamentalmente a difesa delle figure più deboli, a livello sociale, nel mercato del lavoro (i pensionati di basso reddito, i giovani del lavoro discontinuo, le donne che faticano a entrare nel mercato del lavoro, chi perde il lavoro dopo i cinquant'anni).
Si tratta, quindi, di un complesso di iniziative che si innestano in un'azione del Governo, ad esempio, che ha portato a compimento un programma molto importante: penso alla legge delega sul tema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e alla lotta al lavoro nero, che sono la testimonianza di un operare efficace.
Sul lavoro nero, ricordo sempre che, grazie al pacchetto sicurezza, che ho voluto inserire nel pacchetto Bersani dell'agosto del 2006, con le norme che prevedono la sospensione dell'attività delle aziende nel settore dell'edilizia nelle quali si scopre più del 20 per cento dei lavoratori in nero, in 14 mesi abbiamo sospeso 2.800 aziende e, secondo i dati dell'INAIL, abbiamo portato a conoscenza dell'Istituto un numero di lavoratori dell'edilizia pari a 190 mila, come gli abitanti della città di Brescia.
Sono azioni importanti, che testimoniano coerenza: non si faccia l'errore di immaginare un'azione del Governo discontinua, disomogenea o disorganica sui temi sociali della protezione del lavoro e della lotta contro il lavoro nero e contro la precarietà.
Di analogo segno, oltre a quello del 23 luglio, vorrei ricordare altri importanti protocolli: il protocollo sull'agricoltura, che innova dopo trent'anni il mercato del lavoro agricolo, combattendo anche il lavoro fittizio e il lavoro nero in un settore estremamente delicato; le norme sul mercato del lavoro che riguardano il settore dell'editoria e del giornalismo (purtroppo, non siamo riusciti a far concludere il contratto in quel settore, ma mi auguro che di questo passo io possa portarlo a una soluzione in tempi brevi); le norme condivise con le parti sociali per quanto riguarda la lotta contro le cooperative spurie, e un'attività, anche in questo caso, di regolarizzazione in un campo assolutamente di alto valore produttivo e sociale, come quello della cooperazione.
Tutto ciò fa parte di un'azione generale del Governo: il protocollo è perfettamente inserito in essa. Il nostro obiettivo è quello di approvarlo integralmente entro i tempi della legge finanziaria. Sono convinto - come sempre sono ottimista - che questo obiettivo sia raggiungibile e sono anchePag. 88convinto che sapremo mantenere la rotta che abbiamo stabilito e la sostanza di questo protocollo. Infatti, questo Governo, nel proseguire la sua attività, avrà nuovi compiti da affrontare sotto il profilo sociale.
Quindi, con questo auspicio e con questa convinzione, ritengo che la discussione che abbiamo svolto oggi sia stata molto importante e che aiuterà sicuramente il Governo a prendere le sue decisioni.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 30 ottobre 2007, n. 180, recante differimento di termini in materia di autorizzazione integrata ambientale e norme transitorie (A.C. 3199-A) (ore 19,03).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 30 ottobre 2007, n. 180, recante differimento di termini in materia di autorizzazione integrata ambientale e norme transitorie.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3199-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il presidente della VIII Commissione, onorevole Realacci, ha facoltà di svolgere la relazione, in sostituzione del relatore, onorevole Camillo Piazza.

ERMETE REALACCI, Presidente della VIII Commissione. Signor Presidente, il relatore Camillo Piazza non ha potuto essere presente, quindi riferirò io all'Assemblea circa la discussione approfondita che si è svolta grazie all'impegno del relatore, di tutta la Commissione e del sottosegretario Piatti, in particolare, che ha seguito per conto del Governo il provvedimento al nostro esame, il decreto-legge n. 180 del 2007, rispetto al quale raccomandiamo all'Aula l'espressione di un voto favorevole.
È stata una discussione molto approfondita, signor Presidente, ma al tempo stesso devo confessare onestamente che si tratta di uno di quei provvedimenti che vorremmo non dover votare. Ricostruisco la storia delle cause che hanno determinato la necessità del decreto-legge in discussione e della sua approvazione.
Una normativa dell'Unione europea risalente al 1996 - la direttiva 96/61/CE - prevedeva l'introduzione dell'autorizzazione integrata ambientale, la quale vale per una serie importante di attività produttive (le attività energetiche, la produzione e la trasformazione di metalli, l'industria dei prodotti minerali, l'industria chimica e la gestione dei rifiuti di allevamenti animali).
Tale autorizzazione era stata resa necessaria - e proposta dall'Unione europea - per avere un approccio integrato alle emissioni industriali in aria, acqua e suolo. Era il 1996. Come spesso capita, il nostro Stato ha recepito tale normativa con un notevole ritardo. La legge di recepimento è costituita dal decreto legislativo n. 59 del 2005, che fissava un termine entro il quale era necessario fornire risposta alle imprese che presentavano le domande di autorizzazione integrata ambientale, individuato nella fine di ottobre di quest'anno.
È accaduto, però, che le oltre 8 mila aziende che avevano l'obbligo di presentare l'autorizzazione integrata ambientale, che doveva essere esaminata in parte rilevante dalle regioni (per circa l'80 per cento) e per il 20 per cento dallo Stato centrale - ossia dal Ministero dell'ambiente e tutela del territorio e del mare -, non hanno avuto risposta nei tempi prefissati.Pag. 89
Quindi, ci troviamo oggi nella necessità di dover approvare un provvedimento che, se non venisse approvato, porterebbe alla possibile cessazione delle attività di una parte importante del sistema produttivo italiano, a sanzioni amministrative e penali, e tutto ciò, in questo caso, non per una colpa del sistema delle imprese, ma per il mancato funzionamento dei nostri organi pubblici, delle regioni e dello Stato centrale.
È chiaro che si tratta di una situazione imbarazzante, perché la norma di cui stiamo discutendo prevedeva, a livello comunitario, come data ultima, la fine dell'ottobre di quest'anno (è in corso, quindi, una discussione delicata con l'Unione europea sul differimento che proponiamo). Come Commissione abbiamo esaminato la materia, grazie anche - ripeto - alla collaborazione del Ministero dell'ambiente e tutela del territorio e del mare, del sottosegretario Piatti e delle altre Commissioni. Racconterò poi rapidamente del recepimento dei pareri favorevoli espressi dalle Commissioni e delle modifiche che abbiamo accolto con attenzione al provvedimento, che - lo ripeto - è un provvedimento assolutamente centrale e che non possiamo che approvare. Abbiamo cercato, in particolare, di rafforzare il provvedimento in termini di comprensione: vi erano dei punti, infatti, la cui modifica, in alcuni casi, è stata richiesta anche dal Comitato per la legislazione ai fini di un chiarimento rispetto al fatto che effettivamente, nelle more dell'esame delle domande, non vi fossero rischi di cessazione dell'attività da parte delle imprese interessate. Abbiamo, inoltre, cercato di ridurre al minimo e di rendere reale il differimento di termini.
Il termine che noi abbiamo fissato per l'esame delle domande è quello del 31 marzo 2008, ma abbiamo cercato di rafforzare, grazie alle modifiche apportate in Commissione, anche la strumentazione che consente di rendere reale questo termine.
Infatti, alcune regioni non hanno neanche indicato l'autorità competente ad esaminare tali domande ed anche il Ministero dell'ambiente non si è dotato di strutture adeguate. Pertanto, in qualche maniera, abbiamo introdotto e rafforzato la possibilità da parte del Ministero dell'ambiente di adottare dei poteri sostitutivi nei confronti delle regioni che non dovessero attrezzarsi per esaminare le domande. È chiaro che, se vogliamo rendere credibile la data del 31 marzo 2008 come termine ultimo per l'esame di tali domande, i poteri sostitutivi dovranno essere attribuiti al più presto. Mi rivolgo al sottosegretario Piatti, che è presente: ritengo che un bilancio della capacità delle regioni di esaminare e rispondere a tali domande di autorizzazione vada compiuto, al massimo, entro l'inizio del prossimo anno. In caso contrario, non è realistico che i poteri sostitutivi siano effettivamente esercitati.
Al tempo stesso, abbiamo accolto il parere della XIV Commissione politiche dell'Unione europea, che invitava il Governo a presentare una relazione in ordine allo stato di attuazione di questa normativa.
Infine, abbiamo accettato la richiesta proveniente dalla X Commissione attività produttive di includere nel provvedimento in esame una proroga non relativa all'effetto pratico, ma agli adempimenti burocratici che una serie di aziende, legate al mondo agricolo e che utilizzano gli essiccatori, erano chiamate ad effettuare, entro il mese di ottobre; in tale fattispecie il tempo di adeguamento reale è il mese di aprile del 2009 e perciò non vi sono conseguenze in ordine alle politiche ambientali. Ricordo che anche in questa circostanza, in diverse fattispecie non era stata comunicata neanche ai diretti interessati quale fosse l'istituzione deputata ad accogliere tali domande.
Signor Presidente, siamo dinanzi ad un provvedimento necessario, che durante l'iter svolto in Commissione è stato migliorato, tentando di renderlo effettivamente praticabile. Pertanto, auspichiamo che il termine indicato svolga effettivamente una funzione di garanzia, sia per le imprese, sia, soprattutto, per i cittadini e per l'ambiente. Tuttavia, esso rimanda ad una inefficacia complessiva della nostraPag. 90macchina pubblica e dell'apparato burocratico, nonché alla nostra capacità di recepire e di applicare le normative dell'Unione europea, che sono indispensabili per una politica ambientale avanzata.
Chiediamo con convinzione l'approvazione del provvedimento in esame. Tale richiesta, tuttavia, è formulata con l'imbarazzo di chi non ha svolto, fino in fondo, il proprio dovere - mi riferisco allo Stato - e che deve cambiare passo per rendere effettive le norme di cui si dota per costruire un futuro migliore per tutti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIANNI PIATTI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, come ha ricordato il presidente della Commissione ambiente, onorevole Realacci, che intendo ringraziare insieme a tutta la Commissione per il contributo offerto al miglioramento del provvedimento in esame, l'intervento normativo d'urgenza che proponiamo con la conversione in legge del decreto-legge 30 ottobre 2007, n. 180, trova le sue motivazioni nel fatto che il 30 ottobre è scaduto il termine previsto per l'adeguamento delle prescrizioni sugli impianti soggetti a tale disciplina, mentre ancora oggi, come ricordava l'onorevole Realacci, nessuna autorità competente ha concluso tutti i procedimenti pendenti. Tali procedimenti, in ordine agli impianti esistenti, dovevano essere conclusi in tempo utile per consentire alle imprese (da quelle di gestione dei rifiuti, alle vetrerie, alle cartiere, alle industrie chimiche, ai cementifici, alle raffinerie ed ai macelli) di conformarsi alle prescrizioni dell'AIA, entro il 30 ottobre 2007, come si è ricordato.
Tale lavoro, davvero enorme, ma importante per l'innovazione delle imprese, per l'ambiente e per la salute, si concretizza nell'esame di circa 8.500 domande.
Tali domande sono ripartite fra la competenza del Ministero dell'ambiente e la tutela del territorio e del mare (circa il 20 per cento, costituito soprattutto da imprese di idrocarburi, gomme, gas, fertilizzanti) e quella delle regioni (più dell'80 per cento).
Nonostante le imprese abbiano presentato le domande entro le scadenze previste, molte amministrazioni non sono state in grado di soddisfare tale impegno ed hanno sollecitato questa proroga al Ministero, anche perché le inadempienze comporterebbero profili sanzionatori gravissimi.
La cautela nell'indicazione della data di riferimento - lo ricordava il presidente - al 31 marzo 2008 trova le sue motivazioni nell'esigenza di evitare procedure d'infrazione per violazione della normativa europea, anche se sono molti gli Stati membri a trovarsi nella situazione di difficoltà verificatasi nel nostro Paese.
La volontà di operare efficacemente e rapidamente ha motivato la discussione svolta in Commissione ambiente e ha dato origine ad ulteriori precisazioni e arricchimenti. Un esempio è fornito dalla previsione che le domande di autorizzazione integrata ambientale debbano essere presentate in ogni caso entro il 31 gennaio 2008 all'autorità competente o dall'articolo 2 per ribadire la validità e l'efficacia delle autorizzazioni di settore fino alla scadenza del termine fissato per l'attuazione delle relative prescrizioni.
Il lavoro in atto, quindi, non solo non è differito, ma deve essere intensificato.
La Commissione ambiente ha anche elaborato un emendamento che autorizza il Governo ad utilizzare il potere sostitutivo di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ove necessario, applicando le procedure di urgenza al fine di rispettare i termini della nuova proroga.
Infine, anche allo scopo di fare emergere con chiarezza la delicatezza di questa nuova fase, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministro per le politiche europee, presenta ogni quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in discussione una relazione al Parlamento sullo stato di attuazione delle disposizioni previste dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59.Pag. 91
In sostanza il decreto-legge in discussione, mentre prevede un differimento di termini per l' autorizzazione integrata ambientale, precisa le norme transitorie e dispone che il lavoro per la piena gestione dell'AIA deve essere intensificato in un più efficace rapporto di collaborazione fra Stato e regioni.
L'Italia è sicuramente il Paese che utilizza maggiormente le regioni nell'attuazione di direttive europee. Dobbiamo operare affinché tale scelta, che può essere potenzialmente positiva, non si traduca, all'opposto, in rallentamenti burocratici ingiustificati, quando non in inerzia.
Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche con la partecipazione della Commissione ambiente e dell'Aula, intende operare attivamente per gestire nei tempi previsti e con efficacia l'autorizzazione integrata ambientale, che consideriamo uno strumento fondamentale per l'innovazione delle imprese e dell'ambiente.
Naturalmente, ha ragione il presidente Realacci: una proroga segna sempre un limite - se non errori o inerzie - soprattutto quando si tratta di direttive europee. Per tali ragioni, occorrerà gestire questa fase con grande attenzione e anche con la partecipazione e lo stimolo della Commissione ambiente e dei suggerimenti che possono venire da quest'Aula.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, la presente discussione non solo è imbarazzante, ma può suscitare grande preoccupazione. I dati che ha appena fornito il sottosegretario Piatti, che erano già a nostra conoscenza, non ci fanno stare tranquilli affatto.
Infatti, effettivamente non si può improvvisare una struttura - ad esempio presso il Ministero dell'ambiente, già carente per molti versi - che possa affrontare il lavoro del 20 per cento di 8.500 domande. Occorre prestare attenzione, poiché queste sono le domande fino ad ora pervenute. Infatti, è evidente che, estendendo il termine fino al 31 gennaio 2008, tali domande cresceranno sicuramente di numero. Quindi, sono preoccupato non solo per le regioni, ma anche per il Ministero, che difficilmente potrà affrontare la parte principale del lavoro. Pensate che le regioni si suddividono circa 6.500 pratiche, mentre il Ministero ne deve affrontare da solo 2.500.
Quindi, la questione è molto seria perché è chiaro che il differimento di termini al 31 marzo, secondo me, è addirittura non realistico, perché a quella data saremo costretti a prendere altri provvedimenti. Né ci può consolare il fatto che altri Paesi si trovino nella nostra condizione. Certamente, circa la metà dei Paesi europei non si trova proprio nelle nostre condizioni (salvo solo due o tre); gli altri stanno male, ma non certamente peggio di noi.
Quindi, è evidente che, intanto, è necessario e indispensabile convertire in legge il decreto-legge in esame, con la consapevolezza che ciò non è sufficiente, perché non basta nemmeno che ogni quattro mesi il Ministero debba relazionare al Parlamento. Tale previsione è certamente utile, ma a mio avviso, è necessario fare qualcosa di più. Infatti, molte regioni non hanno ancora nemmeno individuato chi dovrebbe esaminare le carte. È chiaro che non si tratta di un lavoro soltanto burocratico, ma molto serio, di indagine, di sopralluoghi. È anche un lavoro tecnico-scientifico approfondito e impegnativo che deve essere svolto da parte di strutture ministeriali. Ma non ne abbiamo al Ministero dell'ambiente, che addirittura dovrebbe commissariare le regioni. Insomma, sarebbe necessario commissariare il Ministero! Quindi, dobbiamo auspicare e suggerire al Ministro e al sottosegretario di rafforzare le proprie strutture. Il Ministero deve fare di tutto per dotarsi delle strutture per poter esaminare questo ingente numero di pratiche, valutarle e portare avanti tale attenzione verso le imprese, che rappresentano il fulcro dell'attività economica del nostro Paese.
Ciò evidentemente non significa che non dobbiamo fare la nostra parte. IlPag. 92Parlamento fa la sua parte. Noi del gruppo Italia dei Valori voteremo a favore del disegno di legge di conversione del decreto-legge che fortunatamente (dal momento che i termini europei sono già scaduti) oggi è in vigore.
Occorre intraprendere immediatamente una discussione con gli altri Paesi europei - e soprattutto con la Commissione europea - in modo tale che non solo non si aprano procedure di infrazione, ma che in qualche maniera si affronti congiuntamente il tema. Infatti, a mio avviso, questo dell'autorizzazione integrata ambientale è uno di quei casi in cui qualche Paese ha avanzato una proposta senza prima valutarne le conseguenze in alcuni altri Stati membri.
Spero che non sia stata l'Italia a «tirare» più di tutti, perché spesso siamo quelli che avanzano le proposte più moderne e poi non riescono assolutamente a realizzare quanto loro stessi hanno proposto in Europa.
Credo che anche le modifiche apportate in Commissione, che condividiamo, possano in qualche modo aiutare il Governo, soprattutto il Ministero dell'ambiente, a rendersi conto, che è necessario cambiare ed attuare una svolta anche nel lavoro del Ministero stesso.
A mio avviso, a proposito del decentramento alle regioni, queste ultime si comportano esattamente come si comporta il Ministero. Il problema è che le regioni stesse devono decentrare, come richiede la Costituzione, all'ente amministrativo per eccellenza; esse devono decentrare nel territorio, nelle province, ad esempio. Si organizzino le province che hanno anche una tradizione in questi settori. È bene, però, che ciascuno faccia la propria parte e che il lavoro non sia compiuto da chi deve legiferare, ma da chi deve operare nel territorio e deve svolgere effettivamente un ruolo difficile e anche delicato. Le regioni si devono comportare da enti legislativi e programmatori e devono deliberare affidando, a loro volta, agli enti più decentrati la realizzazione di quanto richiesto dal decreto-legge e dalla legge.
In conclusione, siamo molto critici e preoccupati per la situazione attuale. Non vorremmo trovarci, poco prima del 31 marzo, a dover affrontare e approvare un altro provvedimento dello stesso tipo. Ciò si verificherà sicuramente se non si porrà mano ad una riorganizzazione del Ministero dell'ambiente che è assolutamente carente, così come molte regioni sono assolutamente carenti, nello svolgere questo ruolo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cacciari. Ne ha facoltà.

PAOLO CACCIARI. Signor Presidente, sottosegretario Piatti, mi rivolgo a lei poiché sono note a tutti noi la scrupolosità e la disponibilità, perfino la gentilezza, con cui svolge il suo lavoro di interlocuzione tra Ministero e Commissione, tra Governo e Parlamento.
Questa volta, però, le devo chiedere un surplus di lavoro. Le chiedo di farsi portatore, presso i due Ministri firmatari di questo provvedimento, e finanche presso il Presidente del Consiglio, della critica forte proveniente da tutte le parti politiche, a partire dalla sua maggioranza. Poiché questo non è affatto un provvedimento di importanza minore per le conseguenze che ha sulla vita civile e quotidiana del Paese, e poiché i modi con cui il Governo non ha fino ad oggi affrontato la questione denotano o irresponsabilità, o incompetenza, o sudditanza; scelga il Governo, ma ci deve fornire una spiegazione.
Si tratta di qualcosa di più di una critica perché trascende qualsiasi sfera della politica, perché non investe opzioni di orientamento strategico, ma semplicemente e meramente la buona, corretta e normale amministrazione. Sapere amministrare è una precondizione richiesta a qualsiasi Governo, è un'attitudine obbligatoria.
Vorrei insistere ed essere ancora più preciso. Il Presidente Prodi ci ripropone spesso due leit motive: Europa e serietà. Ebbene, bisognerebbe che lei, signor sottosegretario, gli riferisse che, in questo caso, non c'è né l'una né l'altra.
Pag. 93Come è stato detto, ci troviamo di fronte all'attuazione di una direttiva europea del 1996: undici anni di vari Governi non sono bastati nemmeno ad iniziare il lavoro. L'Italia è l'unico paese dell'Unione, con Malta e la Svezia, a non aver fornito alcun dato alla Commissione europea. I Ministeri competenti non hanno nemmeno un censimento credibile degli impianti sottoposti alle nuove, si fa per dire, disposizioni. L'APAT parla di una stima di 8500 impianti, quelli censiti sono meno di seimila, il 75 per cento del supposto.
A detta del Ministero, nessun impianto sarebbe stato autorizzato con le nuove procedure integrate. Ho qui una delibera di un'amministrazione provinciale che ha rilasciato un'autorizzazione integrale ambientale (AIA). Allora, o il Ministero non sa quello che succede nelle province e nelle regioni italiane, oppure ci racconta delle bugie.
In campo ambientale siamo diventati dei collezionisti di procedure di infrazione per mancato recepimento delle direttive europee. Nella relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea leggo che l'ambiente si conforma come il settore nel quale risulta attivato il maggior numero di procedure - ben sessantaquattro - e per trovare Ministeri con un numero inferiore di infrazioni occorre scendere a quaranta o a ventuno, come nel caso del Ministero per lo sviluppo economico.
Il Governo italiano ha con le direttive europee un rapporto del tipo «scaffale di supermercato», ossia a scelta: si prendono quelle che piacciono, che danno meno fastidi, mentre le altre si fa finta di non vederle. La retorica dell'entrata in Europa, per ciò che riguarda l'ambiente, la trasparenza e i diritti dei cittadini, suona più che mai falsa!
Veniamo alla serietà, altra caratteristica programmatica dell'attuale Governo che ci ha presentato una proroga secca, indifferenziata e generica, senza penali e solo lessicalmente edulcorata con la dicitura: «differenziamento dei termini» che va di moda, tant'è che è utilizzata anche con riferimento alle autostrade. Se non è zuppa è pan bagnato che la Commissione europea, se vorrà, potrà bersi, ma la sostanza non cambia! Nel testo rielaborato dalla Commissione abbiamo almeno tentato di inserire dei vincoli, delle verifiche e degli incentivi a fare, ma la sostanza non cambia.
Le proroghe sono un po' come i condoni, fanno contenti i furbi e fanno sentire scemi coloro che si sono messi in ordine. In questo caso penso a quegli imprenditori che, in vista delle nuove autorizzazioni, hanno provveduto ad ammodernare gli impianti o a quelle poche amministrazioni regionali e provinciali che hanno preso in mano le pratiche, avviando qualche istruttoria. Sono fessi questi, perché hanno buttato via tempo, soldi e, forse, hanno aperto anche qualche contenzioso per niente, tanto lo Stato proroga! Sto parlando insomma della credibilità, dell'autorità e dell'affidabilità dello Stato agli occhi dei suoi cittadini. Non stiamo dibattendo di scartoffie, di pratiche burocratiche inutili, di contenziosi amministrativi; stiamo discutendo di salute pubblica fuori e dentro i luoghi di lavoro, di qualità dell'aria, dell'acqua, degli inquinanti, dei suoli, nonché di sicurezza intrinseca degli impianti industriali, di prevenzione e di riduzione degli inquinamenti.
Quali saranno gli effetti della proroga? Cito, ad esempio, il caso di uno stabilimento farmaceutico di Trecate a Novara, già oggetto di un'ordinanza provinciale di chiusura degli impianti, ma non ancora notificata, che secondo l'interpretazione di qualche avvocato dell'azienda e di qualche amministratore troppo prudente rischia, però, di non essere eseguita in forza della proroga contenuta nel provvedimento in discussione.
Chi sa dirci quanti incidenti, sversamenti, contaminazioni e disastri ambientali, per non dire quante persone intossicate, malate e quanti decessi superiori alle attese si verificheranno, da ora alla prossima proroga, a causa della mancata applicazione della norma europea?
L'Organizzazione mondiale della sanità e l'APAT hanno svolto varie indagini epidemiologiche sullo stato di salute dellePag. 94popolazioni nelle città del nostro Paese; è stata appena pubblicata quella relativa a diciotto città italiane il cui risultato è di 8 mila 220 morti all'anno superiori alle attese a causa della cattiva qualità dell'aria per eccesso di polveri sottili inalabili. È tutto traffico? Qual è la quota dovuta all'emissione di varie componenti industriali, a partire da quella energetica? Qual è la quota di inquinamento evitabile ragguagliando i valori limite basati sulle migliori tecnologie disponibili che la proroga che andiamo a concedere prevede?
Domandiamoci perché queste direttive, come altre, non vengano applicate e perché la legislazione ambientale, nel suo complesso, nel nostro Paese sia così arretrata. Mi aspettavo risposte sincere da parte del mio Governo, ma così non è stato, nemmeno in questo caso. Abbiamo assistito ad un balbettio di giustificazioni poco degne e ad un palleggio di responsabilità tra regioni e ministeri, quando proprio la norma in questione ha come obiettivo la realizzazione di un coordinamento da parte delle varie autorità competenti.
Ciò, quindi, significa - come ricordava precedentemente Misiti - che non ha funzionato la delega alle regioni per l'intera partita, a partire dai piani di risanamento dell'aria che le regioni non hanno attuato. Non ha funzionato, inoltre, nemmeno la parte rimasta in capo ai ministeri, i quali non hanno concluso alcuna istruttoria. Se nulla ha fatto il Governo Berlusconi nei cinque anni precedenti, quest'anno e mezzo è stato speso per insediare la commissione di valutazione che non ha ancora avviato alcuna istruttoria, in quanto i vari uffici ministeriali non si mettono d'accordo sulle tariffe da applicare alle domande di autorizzazione, per le quali serve un decreto specifico che non è ancora stato adottato. Mi attendo che il Governo, in questa sede, ci dica quando adotterà il decreto per attuare le tariffe e per avviare le ispezioni.
Mi dispiace che il Governo ci abbia tenuto nascosto il lato grottesco della vicenda e temo che non sia solo per pudore. Temo, infatti, che tutti i ritardi e, di conseguenza, le proroghe siano solo la conseguenza di un vero e proprio boicottaggio che regolarmente parte nel nostro Paese ai danni di qualsiasi legislazione ambientale. Da molti circoli industriali e confindustriali qualsiasi miglioramento della legislazione ambientale e della sicurezza nei luoghi di lavoro è considerato come un costo da evitare, qualsiasi controllo pubblico è visto come un'interferenza e qualsiasi valutazione degli impatti ambientali condivisa con le comunità residenti è intesa come un affronto alla libertà di impresa e al potere degli imprenditori di disporre a proprio piacere di territori e delle vite delle persone coinvolte.
Non a caso credo che le direttive europee più disattese in Italia e i procedimenti d'infrazione più frequentemente intentati dalla Commissione europea riguardino quelle direttive che promuovono la partecipazione del pubblico nei processi decisionali. Penso alla Convenzione di Aarhus, alla valutazione strategica di impatto, alle stessa direttiva Seveso e, quindi, anche a quella sull'AIA, la quale prescrive che il pubblico abbia la possibilità di essere informato tempestivamente e di essere consultato prima di ogni decisione.
Non passa giorno che i grandi giornali confindustriali - e non solo loro, ma anche qualche ministro del Governo - non si lamentino della lentezza nella realizzazione di una grande opera o di un grande impianto. Il motivo è esattamente il contrario di quello che denunciano: non è l'eccesso di prudenza nella valutazione degli impatti e nelle prescrizioni gestionali, ma, al contrario, la mancanza di procedure trasparenti, di terzietà, di autonomia degli organi di controllo tecnico e di effettivo coinvolgimento delle popolazioni.
Difficile pretendere di essere efficaci e decisionisti quando non si vogliono nemmeno applicare le direttive europee. È difficile essere credibili quando si piange e si svolgono le campagne contro le morti bianche e i disastri ambientali, e nel mentre non si applicano nemmeno le leggi che portano il nome delle tragedie italianePag. 95(mi riferisco alla Seveso). È difficile pretendere ubbidienza dalla popolazione se la si informa di decisioni prese.
Cambiare pagina, e concludo, è possibile, anzi è necessario. Tuttavia, è necessario cambiare modalità di rapporto tra imprese, amministrazione e cittadinanza. Ciò non può avvenire prima che siano recepite e attuate coerentemente le direttive come quella sull'autorizzazione integrata ambientale. Fino ad allora i cittadini non hanno altra scelta di autotutelarsi e di autodifendere le proprie comunità.
In conclusione, anch'io mi associo al generale imbarazzo - come è già stato affermato dal presidente e da altri colleghi - nel dover approvare un'ennesima deroga per un provvedimento così importante che, da troppi anni, i cittadini italiani si attendono (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tortoli. Ne ha facoltà.

ROBERTO TORTOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con il decreto-legge in esame si provvede a convertire in legge l'ennesimo differimento di termini in materia di autorizzazione integrata ambientale. Si tratta dell'ennesima proroga - non sarà certo l'ultima - in un Paese che non riesce più a darsi regole moderne di gestione della cosa pubblica e che non sa accelerare i procedimenti attuativi di qualsivoglia disposizione. Come si è affermato, non è certo l'ultima proroga: essa giunge dopo altre proroghe adottate sul tema, anche da parte del precedente Governo. In questo caso, però, l'aspetto grave è che si supera il termine massimo previsto dalla direttiva europea 96/61/CE, che scadeva il 30 ottobre: il provvedimento in esame ne proroga l'attuazione al 31 marzo 2008. È altresì curioso che un Governo e una maggioranza, fortemente caratterizzati da posizioni forti e spesso estremistiche in campo ambientale, varino proroghe così delicate e relative ad adempimenti di tutela ambientale da parte del mondo produttivo, che necessiterebbero di una più puntuale attenzione.
Tale richiesta di proroga, però, suggella tutta la deficitaria politica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che, sotto la gestione dell'onorevole Pecoraro Scanio, sta contribuendo a determinare disastri ambientali (quali l'emergenza rifiuti in Campania e le probabili, nuove e analoghe emergenze in Puglia e nel Lazio), dopo avere posto ogni ostacolo possibile sulle opere pubbliche (a cominciare dal «Corridoio n. 5», linea ferroviaria Torino-Lione), dopo avere chiesto ed ottenuto il rinvio sine die della realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina e dopo aver bloccato la realizzazione degli indispensabili rigassificatori necessari per dare un minimo di equilibrio energetico possibile al nostro Paese, in attesa di scelte più strategiche che non proverranno certo da questo Ministro.
L'attuazione della direttiva europea di cui parliamo è oltremodo importante ai fini della tutela ambientale: sembra curioso, quindi, che un Ministro «verde» - che da tempo ha rivolto pesantissimi rilievi critici su ogni proroga di attuazione di provvedimenti di tutela ambientale, se realizzata da governi di centrodestra - adesso si comporti allo stesso modo o peggio. Dov'è la coerenza, Ministro Pecoraro Scanio? La coerenza, purtroppo, è nell'inefficienza totale del Ministero sotto la sua direzione.
L'attuale Ministro ha la grave responsabilità di aver posto l'amministrazione dell'ambiente nell'impossibilità di operare. Tale inerzia ha una duplice origine: da un lato, l'onorevole Pecoraro Scanio ha proceduto a una vera e propria «pulizia etnica», eliminando dalle funzioni attive decine di dirigenti, funzionari e impiegati e determinando l'espulsione dalle loro funzioni di persone dotate di esperienza e memoria storica. Dall'altro lato, il Ministro ha provveduto a sostituire il personale qualificato ed esperto (praticamente in tutte le posizioni di responsabilità) con i favoriti del Ministro, privi dei requisiti e dell'esperienza necessari per amministrare la cosa pubblica. Ecco la spiegazione dello stato comatoso del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nelPag. 96quale anche le attività più semplici stentano ad andare a compimento, come dimostra l'elevato numero di provvedimenti predisposti dagli uffici del Ministro, che non divengono efficaci per illegittimità formali o per motivi sostanziali, trovando ostacoli insuperabili negli organi di controllo o al primo impatto con la giurisdizione.
Ad ulteriore prova di quanto affermato sta la tragicomica vicenda della revisione del decreto-legge 3 aprile 2006, n. 152 - il cosiddetto «codice ambientale» - che il Ministro si è intestardito ideologicamente di cancellare, finendo invece per immobilizzare il Paese, non attuando alcun decreto attuativo previsto dalla delega e, soprattutto, impantanandosi in modifiche che aprono procedure di infrazione da parte della Commissione europea, che sono infarcite di errori sostanziali e procedurali, che lasceranno per anni un vuoto legislativo in campo ambientale e, infine, saranno invalidate dalla Corte costituzionale.
In questo panorama di confusione si inserisce questa richiesta di proroga, nei confronti della quale ci asterremo, per rispetto al mondo imprenditoriale, che non può essere penalizzato per colpa dell'inefficienza dello Stato e delle regioni e della loro inadempienza. Dirò di più: dato l'attuale marasma amministrativo, non è certo pensabile che l'attuale proroga sia sufficiente. Ne occorreranno altre e le incertezze che ne deriveranno per le imprese renderanno ancora più difficile la loro competitività.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Margiotta. Ne ha facoltà.

SALVATORE MARGIOTTA. Signor Presidente, colleghi deputati, cercherò di essere molto breve, considerata l'ora e le argomentazioni che ho ascoltato fino adesso, in particolar modo quelle del presidente Realacci e del relatore, che mi trovano completamente in sintonia.
Naturalmente, anche il gruppo del Partito Democratico-L'Ulivo voterà a favore di questo decreto-legge, avendo contribuito in maniera forte a correggerlo, ad ampliarlo ed a renderlo più accettabile. Dico più accettabile, perché non vi è dubbio che l'imbarazzo, al quale più di uno dei colleghi che mi hanno preceduto ha fatto richiamo, lo abbiamo vissuto anche noi in Commissione e lo vivremo anche in Aula.
Le proroghe lasciano sempre l'amaro in bocca. Questa in qualche modo lo fa di più per l'essenza stessa del problema, per i termini (si ricordava che si tratta di una direttiva della Commissione europea del 1996, inattuata fino 2007, quindi per undici anni) e per la qualità delle aziende cui la direttiva prescrive la necessità di dotarsi di autorizzazione integrata ambientale.
Le voglio ricordare: si tratta degli impianti più sensibili, ossia di quelli che svolgono attività energetica, di produzione e trasformazione di metalli, delle industrie dei prodotti minerali, chimiche, di gestione dei rifiuti e di allevamento di animali.
È una proroga delicata per la quantità degli impianti cui si riferisce. Come è stato già affermato, si tratta di circa 8.500 impianti, di cui il 20 per cento avrebbero dovuto ottenere l'autorizzazione da parte del Ministero e l'80 per cento da parte delle regioni, per un totale di circa 6.800 impianti.
Ho provato a vedere quale fosse la distribuzione territoriale degli stessi e, com'era ovvio attendersi, essi sono concentrati in maniera particolare in Lombardia, in Veneto e in Emilia Romagna, nel cuore pulsante della vita produttiva di questo Paese.
Per questo, di fronte alla necessità ineludibile e ineluttabile di tale proroga, abbiamo lavorato almeno per migliorare il testo del decreto-legge, nella speranza e nell'auspicio che si possa trattare almeno dell'ultima proroga possibile.
Vi è, inoltre, una valutazione che lascia ancor più l'amaro in bocca: questa volta la proroga non nasce da esigenze di terzi, del cittadino o dell'imprenditore, ma da inadempienze della pubblica amministrazione. Devo dire con franchezza che ciò si legge già nella relazione di accompagnamento al decreto-legge, quando si evidenzia che, a tutt'oggi, nessuna autorità competentePag. 97ha concluso tutti i procedimenti pendenti, nonostante le domande siano state presentate dalle imprese, in ossequio alle scadenze previste, e i fondi per le istruttorie siano stati versati dalle aziende.
Per lo più, dunque, le aziende hanno rispettato i termini e hanno anche sborsato danari, mentre la pubblica amministrazione non è stata in grado di fornire risposte.
Abbiamo dunque corretto il provvedimento in esame con due emendamenti, a mio parere centrali: il primo afferma che entro il 31 gennaio bisogna comunque che le aziende producano istanza e, nel caso in cui non sia individuata l'autorità a cui presentare la domanda - purtroppo è accaduto anche che le aziende si trovassero nell'impossibilità di sapere a chi rivolgere la propria istanza - automaticamente essa vada presentata alle regioni o alle province autonome ovviamente competenti dal punto di vista territoriale.
L'altro elemento importante del lavoro emendativo compiuto in Commissione, come rilevato dal presidente Realacci, è stato quello di prevedere la possibilità che il Governo possa esercitare poteri sostitutivi e intervenga, ai sensi del decreto legislativo n. 112 del 1988, agendo in luogo delle amministrazioni locali, ove esse siano chiaramente inadempienti. Cito un solo esempio: in molte regioni non sono stati approvati ancora i piani di qualità dell'aria; è difficile approvare un'autorizzazione integrata ambientale, che tra l'altro deve proteggere la qualità dell'aria, in assenza dello specifico piano.
In conclusione, il problema - anche ciò è stato ricordato e su questo aspetto vorrei concludere - è di tipo generale: nel Paese esiste, in assoluto, ma in particolare sui temi ambientali, un problema più ampio, in termini di dinamica riguardante Commissione europea, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in questo caso, e regioni. Spesso norme particolarmente virtuose rimangono inapplicate perché non si sa bene quale autorità debba attivarsi e in quali termini. Si tratta di norme peraltro importanti, come, in questo caso, sul piano della tutela ambientale, il che significa sul piano della salute dei lavoratori e dei cittadini.
La questione irrisolta è ancora quella racchiusa nel binomio, che troppe volte diventa antitetico: centralismo-decentramento. È una questione da affrontare con impegno e determinazione, tanto più nel momento attuale, in cui non solo nel nostro Paese, ma in molti Paesi e nell'attuale Parlamento, grazie anche all'indirizzo impresso nell'approvare una risoluzione relativa ai cambiamenti climatici, il problema dei cambiamenti climatici, della tutela dell'ambiente e delle emissioni di anidride carbonica riveste sempre più valenza generale, globale ed europea.
Non si può pensare, dunque, di essere inadempienti rispetto a temi che, ciascuno per la propria parte e per il proprio portato, costituiscono un contributo, non dico alla soluzione, ma almeno all'approccio corretto a problemi così generali, quali quelli cui ho fatto riferimento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3199-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il presidente della VIII Commissione, onorevole Realacci.

ERMETE REALACCI, Presidente della VIII Commissione. Signor Presidente, la mia non sarà una replica, ma solo una battuta: l'onorevole Tortoli ha utilizzato l'occasione, come è legittimo, per svolgere alcune legittime considerazioni sul funzionamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Penso che abbiamo il dovere, in Parlamento, di guardare più agli interessi del Paese e al funzionamento generale dello Stato.Pag. 98
Dei primi anni di questo secolo, determinanti per l'applicazione della normativa europea in esame, cinque sono stati caratterizzati da un Governo di centrodestra e due da un Governo di centrosinistra: è chiaro che la responsabilità per la mancata applicazione di tali normative è di tutti; è un ritardo dell'Italia e della nostra macchina pubblica, che spesso finisce col rispondere con una ridondanza di normative all'incapacità di far applicare le normative esistenti. Dobbiamo cambiare rotta.
Credo che adesso l'impegno più importante da assumere, dopo l'approvazione, spero sollecita, del provvedimento in esame, sia quello di evitare che il termine del 31 marzo sia vanificato.
Perciò, per quanto concerne la nostra Commissione, presteremo attenzione e lavoreremo col Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e col Ministero dello sviluppo economico, affinché effettivamente gli impegni che sono stati aggiunti anche nel provvedimento in esame vengano rispettati e mantenuti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIANNI PIATTI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, ringrazio i colleghi che sono intervenuti, anche attraverso critiche non esplicitate in modo preciso. Non mancherò ovviamente, vista l'importanza della questione del recepimento della direttive comunitarie, di rappresentare tali rilievi sia al Ministro sia all'insieme del Governo.
Voglio far notare che sono stati necessari dieci anni per recepire la direttiva, vi sono stati Governi diversi, vi sono stati dei ritardi anche delle Camere. Non voglio sminuire il rilievo del problema giustamente indicato dagli intervenuti. Credo però che come ci indicano alcune statistiche generali riguardanti il recepimento delle direttive europee la questione presenti una dimensione più ampia. Nei prossimi giorni anche all'interno della Commissione testimonierò che come Ministero dell'ambiente siamo impegnati a ridurre queste infrazioni.
Trovo contraddittorio a tale proposito quanto affermato dall'onorevole Tortoli, perché se vi è proprio un esempio di iniziativa attiva del Ministero per non incorrere in nuove infrazioni questa riguarda la revisione del decreto legislativo 3 aprile 2007, n.152, che venne bocciato da tutti (dalle regioni, dalle imprese, non consultate, e dal mondo ambientalista). Si tratta di un provvedimento che è stato forzatamente approvato a fine legislatura, che contravviene ad alcune direttive e che ci pone, ad esempio sulla questione dei rifiuti, in contrasto con disposizioni europee.
Ritengo, come osservato dall'onorevole Margiotta, che occorra ritornare sulla questione del rapporto tra centralismo e decentramento, dato che i limiti riguardano entrambi. Non si può affermare che non abbia funzionato la sola istituzione centrale: vi sono nostri limiti, ma anche limiti delle regioni. Il presidente della Commissione ricordava come alcune regioni non hanno, infatti, neanche avviato la commissione per affrontare questi temi, mentre altre, oberate da un numero elevatissimo di domande, hanno sollecitato una proroga al Ministero.
Sono convinto, come l'onorevole Cacciari, che l'AIA sia uno strumento importante. Ricordiamo che l'autorizzazione integrata ambientale supera le autorizzazioni settoriali, e quindi è più incisiva e più coordinata rispetto ai problemi ambientali del territorio e della salute, e ricordiamo altresì che la stessa obbliga a usare le migliori tecnologie possibili. Si tratta di 8.500 impianti che affrontano compiutamente le prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale e che ritengo - con l'onorevole Cacciari, con il presidente dell'VIII Commissione e con tutti quelli che l'hanno sottolineato - uno strumento formidabile di aiuto ai temi ambientali e della salute. Tuttavia, ritengo anche che non vadano caricate tutte le responsabilità sull'autorizzazione integrata ambientale perché, come sappiamo, vi sono ben altri limiti.
Prima si faceva riferimento ai Piani dell'area. Quante sono le regioni che hanno presentato i Piani dell'area? CertamentePag. 99pochissime. La qualità di questi Piani è assolutamente disomogenea ed essi sono privi di strumenti di controllo e di obiettivi ravvicinati. Lo stesso vale per quanto riguarda i Piani energetici, e, non casualmente, la Commissione ambiente ha suggerito, a più riprese, anche al Ministero dello sviluppo economico, di organizzare rapidamente una conferenza sul tema energia e ambiente. Proprio per questa ragione, per elevare anche la cultura complessiva delle istituzioni su questi obiettivi, abbiamo svolto la Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici, e da lì credo che dobbiamo partire. Quindi, in queste difficoltà si evidenzia anche un deficit di cultura politica ed ambientale, che in qualche modo dobbiamo superare rapidamente.
Credo che il decreto-legge n. 180 del 2007, nel testo che modifica anche alcune disposizioni del Codice dell'ambiente, debba essere gestito. Dobbiamo fare modo che in questi mesi vi sia un lavoro intenso da parte del Ministero dell'ambiente, ma vi sia anche la capacità del Ministero stesso di fungere da punto di coordinamento per l'azione delle regioni, al fine di recuperare ritardi e presentarci nei giorni precedenti la scadenza con la maggior parte del lavoro compiuta. Le correzioni che sono state apportate al provvedimento in esame sono stimolo ad operare in questo senso, e il Ministero intende assumersi questo impegno.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 20, è ripresa alle 20,05.

Discussione della mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248 relativa ai negoziati sullo status del Kosovo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248 relativa ai negoziati sullo status del Kosovo (Vedi l'allegato A - Mozione sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al resoconto della seduta del 20 novembre 2007.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritto a parlare l'onorevole Giancarlo Giorgetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00248. Ne ha facoltà.

GIANCARLO GIORGETTI. Signor Presidente, l'unico atto internazionale oggi in vigore che riguardi lo status del Kosovo è costituito dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1244 del 10 giugno 1999. Tale atto, seppur non privo di ambiguità, rappresenta l'unico momento di accordo unanime della comunità internazionale e la sua violazione costituirebbe a tutti gli effetti un atto illegittimo.
La risoluzione sancisce alcuni principi molto chiari, seppur maturata all'indomani di un intervento internazionale molto controverso e, per la prima volta dal dopoguerra, non autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Tra i contenuti inequivocabili della risoluzione n. 1244, il principio del rispetto dell'integrità territoriale della sovranità dello Stato serbo, erede della federazione jugoslava, unitamente all'impegno ad assicurare al Kosovo una sostanziale autonomia. Coerentemente a ciò, nell'aprile 2004 il Governo di Belgrado ha approvato autonomamente un assetto cantonale per il Kosovo che garantisce alla regione amplissima autonomia.
Constatata l'inefficacia dell'intervento internazionale nella regione, i Paesi coinvolti, attraverso l'ONU, hanno voluto imprimere una forte accelerazione al negoziato sullo status, inviando un negoziatore, Martti Ahtisaari, la cui proposta di una sostanziale indipendenza del Kosovo, sotto la transitoria tutela di una forza internazionale, non poteva che incontrare l'opposizionePag. 100del Governo serbo. Di fronte al fallimento del «piano Ahtisaari» e alle difficoltà di compromesso tra le parti, la comunità internazionale pare fortemente tentata dall'idea di imporre una soluzione che soddisfi almeno una parte e che possa avviare in qualche modo un disimpegno dall'area, ma sostenere un'opzione che violi il principio di sovranità degli Stati e il diritto internazionale vigente sconfessa il prestigio e le fondamenta della comunità stessa. È assolutamente improprio in questo caso un riferimento al diritto di autodeterminazione. Come ha scritto il generale Mini, il Kosovo non si è né liberato né autodeterminato: è stato solo miracolato da una guerra scatenata da potenze esterne che ha determinato un cambiamento di equilibrio nei poteri interni di uno Stato sovrano.
Se l'intervento umanitario era già discutibile per la mancanza di un via libera da parte del Consiglio di sicurezza, esso non può arrivare a determinare un cambiamento dello status giuridico del Paese, altrimenti sarebbe un intervento totalmente illecito alla luce del diritto internazionale. Alla vigilia del 10 dicembre 2007, data entro cui dovrebbero concludersi i negoziati, i leader kosovari e gli ex guerriglieri dell'UCK, che, dopo aver portato il vessillo della grande Albania, ora siedono in posizioni di governo, hanno ufficialmente dichiarato che se l'indipendenza non sarà l'esito naturale dei negoziati, la regione procederà immediatamente ad una dichiarazione di indipendenza unilaterale. L'indicazione del 10 dicembre 2007 come deadline per una soluzione definitiva, qualunque essa sia, sta pericolosamente emergendo anche in altre capitali.
Il Presidente francese Nicolas Sarkozy, al termine dell'incontro del 9 ottobre scorso a Mosca con Vladimir Putin, ha affermato di aver detto al Presidente russo che l'Europa - parla, dunque, anche per conto nostro - riconoscerà l'indipendenza della regione se non si arriverà ad un accordo nei tempi previsti.
L'eventuale indipendenza del Kosovo non potrà non avere un effetto destabilizzante a cascata su altre regioni balcaniche, che vivono al loro interno difficili rapporti tra diverse comunità etniche. È il caso della Macedonia, del Montenegro ma soprattutto della Bosnia Erzegovina.
Gli accordi di Dayton del 1995 hanno sancito l'integrità della Repubblica, ma divisa in due entità dotate ciascuna di Parlamento e Governo proprio. Di queste, la Repubblica a maggioranza serba Srpska rappresenta il 49 per cento del territorio. È ormai entrato nel comune sentire dei serbi della Bosnia un diretto collegamento tra un'eventuale indipendenza di Pristina e un eguale diritto alla secessione per la Repubblica Srpska. Se quest'ipotesi dovesse prendere piede, la catena delle rivendicazioni etniche potrebbe contagiare gli interi Balcani.
Un Kosovo indipendente non garantirebbe la sicurezza delle comunità serbe, quelle rimaste nella provincia e quelle costrette dagli estremisti albanesi a lasciarla, naturalmente senza copertura mediatica televisiva. Dopo i fatti del 2003, che hanno lasciato 19 morti sul terreno sotto gli occhi delle forze internazionali, è chiaro che l'intento dei kosovari albanesi è quello della pulizia etnica, naturalmente senza copertura mediatica.
Il Kosovo oggi è definito, nella letteratura geopolitica, lo Stato delle mafie. Si tratta di un territorio le cui istituzioni non hanno né la forza, né la capacità di governare un Paese, praticamente privo di un'economia legale, che non potrebbe, in ogni caso, essere indipendente da una presenza internazionale. Basta fotografare il clima politico in cui si sono svolte le recenti elezioni del 17 novembre: i diversi candidati non erano conosciuti per il loro programma politico, ma indicati dalla popolazione per il proprio predominio in questo o quel tipo di affare illecito.
La mozione presentata dal gruppo Lega Nord Padania ha prima di tutto l'intento di portare il Parlamento a discutere approfonditamente sulla questione dello status del Kosovo e di far sì che il Governo italiano assuma una posizione chiara in merito, su indirizzo di questa Assemblea. Lo abbiamo già fatto in Commissione conPag. 101una risoluzione, tuttavia ci sembra che poi gli atti concreti non rispondano esattamente a tale indirizzo.
L'Italia, come molti altri Paesi, a brevissimo termine si troverà ad esprimere le proprie posizioni e a cercare di costruire una posizione comune e condivisa a livello europeo. Le posizioni americane e russe sono note e stanno, ad oggi, pesando moltissimo sul processo negoziale. Non altrettanto chiaro è il pensiero del vecchio continente, dove alcuni Paesi stanno assumendo posizioni giustificabili solo con la volontà di creare propri assi strategici al di fuori dell'Europa o di ottenere un egoistico disimpegno dei propri uomini e delle proprie risorse.
Noi riteniamo, invece, che l'area balcanica sia principalmente una questione dell'Europa, che dovrebbe costituirne l'attore esterno determinante. L'Unione europea sta giocando la carta degli accordi preadesione con la Serbia in modo strumentale, come il bastone e la carota, al fine di ottenere un atteggiamento conciliante verso il Kosovo. Questo comportamento - inutile negarlo - è dettato anche dalla paura che, se non otterrà l'indipendenza, il Kosovo sarà disposto ad avviare una nuova guerra. La minacciosità dei kosovari albanesi è diventata la loro maggiore forza.
La volontà della Serbia di restare legata all'Europa sta diventando, invece, quasi un obbligo al cedimento della propria sovranità. La disponibilità serba al compromesso, tuttavia, incontra un limite invalicabile nel riconoscimento, da parte europea, di una dichiarazione d'indipendenza unilaterale da parte di Pristina.
Assecondare il Kosovo, nella sua violazione del diritto internazionale, significa per l'Europa perdere definitivamente la Serbia, che tornerà ad avere un asse privilegiato esclusivamente con Mosca; significa, altresì, che il futuro dell'Europa sarà quello di aprirsi alla Turchia musulmana e all'influsso mediterraneo, ma di chiudersi alle spalle le terre di origine dell'identità cristiano-ortodossa.
Per questo motivo, chiediamo al Governo di assumere un preciso mandato a non riconoscere un Kosovo indipendente, se tale sarà la dichiarazione unilaterale, nemmeno laddove Pristina tenti di trovare una giustificazione a posteriori nel consenso degli Stati Uniti o di altri Paesi (consenso che non può superare il principio della sovranità degli Stati).
I negoziati possono e debbono continuare anche dopo il 10 dicembre, se non si alimenta l'idea che questa sia una deadline invalicabile. Da parte sua, la Serbia sta offrendo modelli alternativi di autonomia sui quali, però, non viene nemmeno aperta una reale discussione. Non può esserci un negoziato del «prendere o lasciare», soprattutto se in ballo vi sono così tante variabili.
Chiediamo, quindi, un negoziato vero, che duri per tutto il tempo necessario, ed un maggiore ruolo dell'Europa, a favore del quale l'Italia deve battersi in ogni sede opportuna.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, la mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248, presentata dal gruppo Lega Nord Padania, rappresenta sicuramente un importante contributo per affrontare la scadenza del 10 dicembre, in merito alla delicata posizione del Kosovo.
Il ragionamento svolto dall'onorevole Giancarlo Giorgetti, che sento di condividere, sostanzialmente fa riferimento alla risoluzione delle Nazioni Unite n. 1244 del 10 giugno 1999. Si tratta di una risoluzione che, per molti versi, è sicuramente chiara, per quanto riguarda l'integrità della Serbia, ma, al tempo stesso, ambigua, per quanto riguarda le forme di autonomia che devono essere sostanzialmente riconosciute al Kosovo.
E sta esattamente in questo il tema del negoziato, che non sembra abbia portato risultati definitivi, se è vero (come lo è) che, sostanzialmente, bisogna cercare da una parte uno spazio tra l'annunciata eventuale dichiarazione unilaterale d'indipendenza da parte del Kosovo, e dall'altraPag. 102parte la verificata, o verificabile, disponibilità di Belgrado ad accettare una sostanziale autonomia del Kosovo con esclusione della rappresentanza internazionale, e con la disponibilità, eventualmente, ad accettare una rappresentanza internazionale del Kosovo riferita ai temi economici e finanziari.
Credo che questo terreno vada ulteriormente esplorato; sicuramente, la prima delle considerazioni che mi sento di proporre è che bisogna fare in modo che il 10 dicembre 2007 non sia considerato né l'anno zero né l'anno mille, perché diversamente credo che contribuiremmo a complicare l'intera vicenda.
Mi sembra che si possa sostenere in questa fase la censura, la condanna (così come ha fatto l'onorevole Giancarlo Giorgetti, che condivido) dell'eventuale intenzione del Kosovo di procedere a una dichiarazione unilaterale di indipendenza. È evidente che questa dichiarazione trasformerebbe il 10 dicembre non tanto nell'anno zero (ossia quando comincia qualcosa), quanto nell'anno mille (quello nel quale si immagina che finisca il mondo): certamente ciò produrrebbe effetti devastanti, perché farebbe riassorbire al tempo stesso la Serbia nell'orbita russa e produrrebbe conseguenze non prevedibili nel nord del Kosovo, effetti destabilizzanti in Macedonia e Montenegro ed effetti sicuramente emulativi in altre realtà non tanto lontane da quelle di cui stiamo parlando: mi riferisco, in particolare, all'Abkazia e all'Ossezia nel sud della Georgia, che evidentemente si troverebbero incoraggiate da questa scelta del Kosovo. Credo, quindi, che sia assolutamente necessario verificare in qualche modo la possibilità di una posizione europea comune su questo punto e, nelle more che ciò accada, chiedere uno spostamento del termine.
La mozione presentata dall'onorevole Giancarlo Giorgetti, che - lo ripeto - nello spirito condivido pienamente, ha soltanto un aspetto che mi lascia perplesso nell'ultimo punto del dispositivo: l'impegno, lì espressamente indicato, a non riconoscere un'eventuale dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte kosovara e a sollecitare un'analoga unitaria presa di posizione da parte di tutti i membri dell'Unione europea.
Atteso che condividiamo questa impostazione, probabilmente sarebbe preferibile che questa eventualità fosse inserita nelle premesse, piuttosto che nell'impegno al Governo, affinché non risulti, nella mozione in esame, una dichiarazione senza possibilità di ritorno su una presa di posizione tanto italiana quanto europea. Credo che probabilmente quest'ultimo punto, del quale condivido pienamente le finalità e lo spirito, sia più indicato come eventualità piuttosto che come impegno a provvedere.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcenaro. Ne ha facoltà.

PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, come sapete, sono ripresi oggi i colloqui fra i rappresentanti della Serbia e quelli del Kosovo, alla presenza e con la partecipazione della trojka costituita dagli Stati Uniti, dalla Russia e dall'Unione europea. Per quanto grande e fondato sia il pessimismo che circonda questi colloqui, penso che il compito della Camera dei deputati sia oggi quello di ribadire l'auspicio che con le nostre prese di posizione nei mesi scorsi abbiamo sostenuto, cioè quello di chi vuole che questi colloqui portino a un risultato positivo e a una soluzione condivisa. Mi pare, infatti, che questo punto sia al centro della vicenda, che non riguarda solo quale sarà lo status definitivo ma, in larga misura, come ci si arriverà, con quale processo, con quali relazioni, con quali rapporti e, quindi, in quali condizioni politiche, sia dal punto di vista degli effetti sulle dinamiche interne a quella regione, sia con riguardo alle conseguenze sul piano internazionale e, specificamente, sulle dinamiche che riguardano, come anche l'onorevole Giancarlo Giorgetti ricordava, l'intera area balcanica.
Noi sappiamo che tutto ciò oggi avviene in una situazione fortemente compromessa, nella quale le posizioni che vengono espresse dalle parti alla vigilia diPag. 103questa tornata di colloqui appaiono inconciliabili: da un lato, infatti, i rappresentanti della Serbia dichiarano di non essere disposti in alcun modo a concedere neppure un centimetro sulla linea dell'indipendenza - pur se avanzano concessioni importanti sul piano dell'autonomia -, dall'altro, i rappresentanti dei kosovari albanesi dichiarano che l'indipendenza è l'unica soluzione che possa essere accettata.
Naturalmente, siamo in una situazione che fa maturare moltissime preoccupazioni e moltissimi dubbi, in primo luogo per quanto riguarda la situazione interna di quella regione nella quale noi, nonostante la grande mole di risorse che è stata investita dalla comunità internazionale, non abbiamo assistito in questi anni a un processo di sviluppo, ad una rimessa in moto dell'economia e alla costruzione di quella base obiettiva che permette di affrontare i problemi di una comunità, ma neppure allo sviluppo di una struttura politica e democratica che possa essere assimilata a quella che immaginiamo quando usiamo l'espressione «Stato di diritto».
Non vi è dubbio che in Kosovo rimane una situazione nella quale il potere politico è fortemente intrecciato con elementi di malavita e di corruzione, configurandosi, quindi, una situazione che, anche da questo punto di vista, costituisce una minaccia potenziale per l'Europa e - nell'Europa - in particolare per un Paese come il nostro.
D'altra parte, sappiamo che, per una serie di ragioni, oggi l'idea di una possibile continuazione della convivenza tra le popolazioni serbe e kosovare in quella zona si presenta come una posizione scarsamente fondata sulla volontà di quei popoli, sulla loro esperienza e sulle relazioni che oggi lì esistono.
Da questo punto di vista, esistono responsabilità molto pesanti, che non possono essere attribuite solo ai gruppi dirigenti kosovari che attualmente, come hanno dimostrato alle ultime elezioni, prevalgono nella situazione kosovara.
Se queste forze prevalgono è anche perché - ciò va ricordato - vi è stata per anni ed anni una politica serba che, invece di costruire gli elementi di dialogo con le forze dialoganti presenti in quella società, ha puntato ad una linea duramente repressiva, una linea che ha negato quella stessa autonomia che oggi viene messa in campo oltre i tempi realisticamente consentiti dalla politica e che ha determinato la situazione che oggi vediamo.
Aggiungo che tutto ciò avviene, peraltro, in una situazione internazionale nella quale - ed anche questo, forse, va ricordato - i rapporti in particolare tra gli Stati Uniti e la Russia non sono i rapporti tra due Paesi che concorrono insieme a costruire nuove condizioni di dialogo internazionale, ma sono rapporti tra due Paesi che giocano pesantemente, l'uno e l'altro, ad affermare proprie zone di influenza. Penso al senso della politica dell'amministrazione americana in quella regione, ma penso anche al ruolo che la Russia ha svolto, e non si può non vedere un legame tra la posizione di «aproblematica» difesa della posizione serba da parte della Russia e un'involuzione generale della politica russa e della direzione che Putin ha impresso a quel Paese che vede anch'esso messi in discussione pilastri essenziali dello Stato di diritto.
Naturalmente, in questa situazione, i rischi che il Kosovo diventi un focolaio dal quale si sviluppano conflitti più ampi sono realistici.
Come sappiamo, perché ne abbiamo discusso in Commissione solo pochi giorni fa con gli stessi colleghi di oggi, i pericoli provengono da molte direzioni. L'onorevole Giancarlo Giorgetti ricordava, in primo luogo, la questione che riguarda la Bosnia e le possibilità che da parte della componente serba di quello Stato (la Srpska), abbia luogo una spinta di autonomizzazione e una richiesta di separazione. Ma il primo problema riguarda addirittura l'interno del Kosovo. Cosa avverrà di fronte ad una dichiarazione di indipendenza? Le popolazioni serbe, che vivono a nord del fiume Ibar, come si comporteranno? Quali conflitti si apriranno? D'altroPag. 104lato, com'è stato ricordato, non è forse possibile che tutto ciò inneschi, anche a causa di operazioni politiche, processi simili a quelli che riguardano Paesi come l'Abkazia e l'Ossezia del Sud, di cui parlava l'onorevole Orlando, o addirittura il rapporto tra la Transnistria e la Moldavia?
È singolare discutere di tali argomenti perché mi rendo conto, allorché nomino tali Paesi, di riferirmi a luoghi che per la maggior parte dei cittadini italiani forse non hanno alcun significato e dei quali molti non conoscono neanche l'esistenza. Tali Paesi, però, costituiscono oggi, in questo mondo in cui la pace è tutt'altro che un bene consolidato, fonti potenziali di un conflitto che può allargarsi e provocare guai più profondi e che possono toccarci direttamente.
Pertanto, riteniamo utile l'appello che dalla Camera dei deputati e dal Parlamento italiano viene rivolto in favore di una gestione di tale vicenda ispirata non al mero schieramento a favore di una sola parte dei contendenti, ma ad un criterio di prudenza, alla ricerca di forme di dialogo e di soluzioni condivise che escludano una precipitazione implicita nella gestione unilaterale di vicende di simile delicatezza. Tali forme condivise sono ancora oggi (ma anche in futuro) il criterio principale al quale occorre attenersi, soprattutto in una situazione in cui sono ancora in corso i negoziati e le trattative.
La parola «prudenza» ha un senso se si congiunge con un'altra espressione altrettanto importante: responsabilità. Infatti, vi è una responsabilità dell'Europa che, come afferma giustamente l'onorevole Giancarlo Giorgetti, non sempre è stata svolta adeguatamente. Ma in ordine a tale punto, si apre un capitolo più ampio, concernente le difficoltà della costruzione di un ruolo attivo e di un vero soggetto europeo nel campo delle politiche estere di sicurezza. Tuttavia, in questo caso, vi è una responsabilità che riguarderà in primo luogo la fase della transizione, qualunque essa sia. Non sarà possibile garantire che la transizione avvenga in forme pacifiche, che i diritti delle varie popolazioni e delle minoranze siano rispettati, che non si assista di nuovo a forme di persecuzione come quelle che sono state così frequentemente perpetrate in quelle zone, anche con sbocchi sanguinosi, senza la presenza attiva dell'Europa, dei suoi militari e delle forze di interposizione, che possono garantire un tale tipo di soluzione.
Ovviamente non si tratta solo di questo aspetto. Infatti, vi è anche una responsabilità dell'Europa nella gestione e nella promozione dell'unico contesto nel quale oggi si può pensare che i processi di autonomizzazione e di indipendenza che hanno caratterizzato il Kosovo e l'insieme delle vicende riguardanti l'area balcanica possano essere ricondotti ad una logica unitaria. Oggi, naturalmente, neanche il più accanito dei reazionari può immaginare che l'unità delle nuove piccole identità balcaniche possa avvenire in un quadro strettamente regionale, riproducendo così situazioni simili a quelle già conosciute in passato e che andavano sotto il nome di Jugoslavia o altre forme del genere.
È solo nella dimensione europea che oggi tali realtà possono trovare una nuova identità. Ritengo che l'Europa debba avere una posizione sul punto (è questa la nostra opinione e non si tratta di un'opinione personale, ma di un'opinione largamente condivisa nell'odierno dibattito), nel senso che deve essere totalmente aperta a promuovere, in tempi e con modalità più rapide, la possibilità per tali Paesi di aderire all'Unione europea, anche con procedure accelerate, ma con una forte capacità di condizionamento politico di questo risultato rispetto ai processi che investono comunità che, nella dimensione europea, possono insieme trovare uno sbocco.
Tuttavia, affinché ciò avvenga, la prima condizione è che l'Europa non sia divisa, fra qualche settimana, al suo interno di fronte alla questione sulla quale dovrà prendere delle decisioni e che non si divida fra chi riconoscerà il nuovo Stato,Pag. 105in caso di proclamazione unilaterale di indipendenza, e chi invece negherà tale riconoscimento.
Non può essere questo l'unico terreno sul quale l'Europa si unisce o si divide: o l'Europa è capace di elaborare una linea complessiva di intervento nel rapporto fra Serbia e Kosovo, presentando una proposta che non sia solo quella di riconoscere o non riconoscere il nuovo Stato, ma che comprenda diverse strade politiche e istituzionali, oppure, in caso contrario, si rischierà fortemente che l'Europa non svolga il suo ruolo.
Onorevole Giancarlo Giorgetti, credo che dovremmo discutere insieme sulla base degli sviluppi della situazione, nonostante il pessimismo che circonda i colloqui attuali, affinché, a seguito dell'evolversi degli eventi, l'Italia svolga un ruolo in questa direzione e possa essere protagonista di una politica di pace più efficace di quella che fino ad oggi è stata condotta dall'Unione europea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elia. Ne ha facoltà.

SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, dichiaro subito di condividere il dispositivo della mozione presentata dal collega Giancarlo Giorgetti e dai colleghi della Lega, che ringrazio per aver posto all'attenzione della Camera una questione che, nelle prossime settimane, potrà assumere i connotati di una vera e propria emergenza dalle conseguenze drammatiche.
La mozione prevede che il nostro Paese non riconosca un'eventuale dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del Kosovo e che si impegni a promuovere un'analoga unitaria presa di posizione da parte di tutti i membri dell'Unione europea.
È questo l'atto di indirizzo che la Camera dei deputati con la mozione in esame esprime nei confronti del Governo. Ritenendo che lo scenario più realistico con il quale dovremo fare i conti nelle prossime settimane sarà una dichiarazione unilaterale di indipendenza, forse la mozione ha bisogno di essere integrata in merito alle azioni da intraprendere a fronte di un fatto ancora oggi non realizzatosi, ma che si potrà verificare nei prossimi giorni. Nelle prossime ore valuteremo le modalità di intervento al fine di integrare l'atto di indirizzo in esame.
In ogni caso, la personale contrarietà all'indipendenza del Kosovo, tanto più se dichiarata unilateralmente, risiede in due ragioni o, se volete, colleghi, in due ragionamenti. Il primo ragionamento è il seguente: occorre riconoscere nell'illusione nazionalista della sovranità nazionale assoluta delle aspirazioni indipendentiste una causa prioritaria di guerre e anche un'ipoteca pesante e distruttiva sullo sviluppo civile e democratico delle nostre società, che siano i Balcani, il Medio Oriente o la stessa Europa.
Il secondo aggiornamento è il seguente. La dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo è una vera e propria bomba collocata nel cuore dell'Europa, volta a far esplodere l'Unione europea e ad aggravare ulteriormente una realtà già grave, quella che Marco Pannella definisce «l'Europa delle patrie», che prende sempre più piede contro una patria europea. Stiamo cioè parlando di quella dimensione sovranazionale dell'Europa, che aveva costituito l'antidoto al proliferare di guerre e conflitti fratricidi nel continente europeo.
La dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, che - lo sanno tutti - è fortemente sponsorizzata dagli Stati Uniti, pronti a riconoscere internazionalmente l'ex provincia serba, corrisponde ad un disegno molto preciso. Tale disegno consiste nell'indebolire l'Europa come attore economico e politico nello scacchiere mondiale, mandare in pezzi la posizione comune europea sul riconoscimento dello status del Kosovo, come fatto politico propedeutico al superamento della posizione comune dell'Europa sulla guerra all'Iran, che si annuncia. Alcuni Paesi europei sono assolutamente necessari per l'attacco all'Iran, come lo sono stati per l'intervento in Iraq, e, quindi, è necessario anche quest'altro precedente: che alcuni Paesi europei, riconoscendo oggi il Kosovo, a ruota degli Stati Uniti, e rompendo laPag. 106posizione comune europea, siano pronti domani a rompere il consenso europeo in occasione di una guerra all'Iran, che è molto probabile Bush stia preparando.
La questione dello status del Kosovo chiama in causa direttamente anche il nostro Paese. Voglio ricordare - anche rispetto alle posizioni contrarie, come la mia, all'indipendenza del Kosovo - che nel 1992 l'Italia, nella persona dell'allora Presidente del Consiglio Amato, ricevette il leader non violento kosovaro Rugova, con cui avevamo ottimi rapporti. Tale incontro avvenne proprio su iniziativa del partito radicale e di Marco Pannella, che da sempre avevano riconosciuto la piena legittimità politica dell'Assemblea parlamentare del Kosovo, il cui presidente di oggi, Fatmir Sejdiu, e la cui leadership democratica sono iscritti da anni al partito radicale transnazionale.
Lo dico proprio per le posizioni che oggi mi trovo ad esprimere in quest'Aula e per gli ottimi rapporti, anche di appartenenza politica e partitica, che abbiamo con i leader kosovari. Oggi la questione del Kosovo chiama in causa il nostro Paese non solo per questioni geografiche e di rapporti politici dell'Italia con l'Albania, ma soprattutto perché l'Italia è in prima linea in Libano ed in Afghanistan ad Herat ai confini dell'Iran. L'Iran, tramite gli hezbollah in un caso, direttamente nell'altro caso, può decidere, come e quando vuole, di coinvolgere il nostro Paese in caso di guerra americana all'Iran.
Quindi, quel che fanno l'Italia e l'Europa sul Kosovo sono strettamente legati a quanto può accadere, oppure essere scongiurato nei prossimi mesi in Medio Oriente. Quindi, sono d'accordo con il collega Marcenaro nel fare in modo che l'Unione europea oggi assuma la unanime posizione degli Stati membri, riconoscendo o meno la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo. È l'unico tentativo possibile per scongiurare la catena di conseguenze e di eventi che si verificheranno o si vanno preparando.
Comunque, colleghi, è necessario essere consapevoli di un fatto sullo status del Kosovo. Dopo il fallimento del «piano Ahtisaari», le posizioni delle parti in causa sono talmente distanti che è realistico prevedere che il negoziato non arrivi ad una conclusione positiva e condivisa entro il 10 dicembre 2007. Quindi, in questo senso l'atto di indirizzo che oggi è sul tavolo e che stiamo discutendo probabilmente va integrato. Si tratta di discutere del dopo e di concordare con la comunità internazionale, in primis con l'Unione europea, i passaggi successivi, nei quali una posizione comune dell'Unione europea - lo ripeto - è fondamentale e vitale, se si vuole evitare la catena di effetti devastanti nei Balcani, in Europa e nel Medio Oriente.
Il ruolo dell'Europa, quindi, l'assunzione di responsabilità dell'Unione europea nei Balcani deve essere semmai più grande dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo che io vedo su due piani: sul piano militare, occorre rafforzare la missione europea volta ad impedire che la situazione post-indipendenza precipiti in un conflitto armato tra serbi e kosovari, oltre che a tutelare la minoranza serba ed il patrimonio storico e religioso ortodosso nel Kosovo; sul piano politico, l'altro ruolo dell'Europa, e anche del nostro Paese, deve consistere nel rafforzare la prospettiva europea della Serbia, accelerando il processo di adesione all'Unione europea; aggiungo non solo della Serbia, ma anche della Bosnia, della Macedonia e dell'Albania, per impedire una serie di effetti a catena.
Occorre un appoggio deciso all'interno dell'Unione europea e da parte del Parlamento italiano e del Parlamento di Strasburgo nel quale promuoveremo con i nostri parlamentari europei un atto di indirizzo; è necessario un appoggio deciso dei Parlamenti italiano ed europeo all'integrazione europea della Serbia. In tal senso, l'apertura immediata di negoziati può essere la risposta politica alla crisi in tutti i Balcani, come anche in Europa, che sarà innescata dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo. La pur necessaria e rigorosa collaborazione con il Tribunale penale internazionale, che, come radicali, con l'associazione «Non c'èPag. 107pace senza giustizia» nello specifico del Kosovo abbiamo portato avanti nel 1998 e nel 1999 preparando l'atto di accusa contro Milosevic proprio per i crimini commessi in quella provincia, non può e non deve trasformarsi in un'ipoteca perpetua del passato sul presente e sul futuro della Serbia.
Io non riterrei uno scandalo se, a fronte di pericoli ben maggiori, si decidesse opportunamente di dare priorità al processo di integrazione europea della Serbia rispetto alla questione della consegna dei criminali di guerra serbi al Tribunale dell'Aja. Se l'Unione europea ha una missione, un ruolo ed un futuro, essi sono quelli di impedire che guerre fratricide, dittature fasciste o comuniste, come quelle che nel secolo scorso hanno insanguinato l'Europa, ritornino a manifestarsi nel continente europeo. Come è successo per i Paesi usciti dalla Seconda guerra mondiale, anche nei Balcani si tratta di unire domani in Europa quello che nella regione oggi divide così profondamente e irreparabilmente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alì Raschid Khalil. Ne ha facoltà.

ALÌ RASHID KHALIL. Signor Presidente, anche noi viviamo con timore e preoccupazione l'avvicinarsi della data del 10 dicembre 2007. Vorrei dire da subito che condividiamo le preoccupazioni dell'onorevole Giancarlo Giorgetti e condividiamo anche la parte della mozione che impegna il Governo; anche se accolgo l'osservazione dell'onorevole Leoluca Orlando.
Viviamo con preoccupazione questa data e pensiamo al tempo perso da parte della comunità internazionale, delle Nazioni Unite, della troika e in modo particolare dell'Europa, perché per essa la questione del Kosovo e dei Balcani rappresenta un argomento che ha a che fare con la sua sicurezza interna.
Quando sollecitiamo il nostro Governo ad un ruolo più attivo per favorire una soluzione politica basata sul dialogo e sul rispetto reciproco nell'ambito dello Stato di diritto, lo facciamo anche perché essa, in modo particolare per l'Italia, rappresenta una questione di sicurezza nazionale. Da Roma al Kosovo ci si impiega 50 minuti, è come andare a Milano o a Palermo.
Quindi, questioni di carattere politico, ma anche geografico, impongono al nostro Governo di assumere un ruolo ancora più attivo. Si è perso del tempo perché una situazione di questo tipo si poteva prevenire; purtroppo, tutte le volte in cui la comunità internazionale deve affrontare focolai di tensione o di guerra dimostra un pauroso ritardo che si è ripetuto anche questa volta.
Malgrado l'ingente sforzo in termini umani e finanziari, come sottolinea la mozione, si individuano ritardi su tutti i livelli. Sul piano economico tale sforzo non è riuscito a favorire uno sviluppo che aiutasse la società del Kosovo a radicare la popolazione sul suo territorio e a far crescere una cultura di convivenza, di pace, di cooperazione e di conciliazione nazionale. Al contrario, su questo aiuto economico hanno lucrato anche le famiglie mafiose che governano l'economia del Paese. Così come non è stato favorito un processo politico che mettesse le comunità in condizione di tessere nuovamente i rapporti che avevano resistito a lungo a qualsiasi forma di conflitto interno, su base etnica o religiosa.
Del tempo è stato perso e temo che sia tardi, anche se mi auguro che non sia così, anche per le conseguenze nefaste che si possono verificare su tutto il resto dell'ex Iugoslavia, ma anche sull'Europa stessa.
Non dobbiamo darci per vinti anche perché non possiamo permettercelo, in quanto ciò avrebbe delle conseguenze molto negative su noi stessi, sull'idea dello Stato di diritto e su ciò che rappresenta l'Europa, che è chiamata in primo luogo ad accelerare il raggiungimento di una soluzione.
Il nostro partito ha sempre guardato con favore all'idea di una concreta iniziativa europea e, insieme all'Osservatorio suiPag. 108Balcani, ha sostenuto la proposta di considerare il Kosovo come una prima regione europea, nel tentativo di quello che Michele Nardelli - uno degli esponenti di punta dell'Osservatorio sui Balcani e uno dei fautori della proposta a cui ho fatto riferimento - considera un modo per sparagliare le carte. Quando, infatti, la comunità internazionale non è in grado di favorire una soluzione, le istituzioni faticano a trovarne una e la gente si sente assediata da un conflitto interno, occorre pensare ad altro, ai metodi non tradizionali.
Credo che l'idea di includere il Kosovo, da subito, richieda un'iniziativa politica diplomatica importante e forte nei confronti degli altri Paesi europei. Ciò potrebbe disinnescare questa situazione.
Credo che l'intervento internazionale non abbia, fino ad oggi, favorito una soluzione. Al contrario, mi sembra che abbia approfondito le divergenze e il fossato che si para tra le due comunità, che hanno avuto, entrambe, responsabilità pesanti e gravi. È sbagliato attribuire la responsabilità ad una sola parte, come non aiuta l'uso di un linguaggio contrario al concetto di riconciliazione. Entrambe le comunità, a mio avviso, insieme all'Europa, sono vittime di questa situazione.
Oggi è tardi per cercare la responsabilità di chi è stato il primo a causare il conflitto. Oggi è necessario che tutti gli sforzi convergano per favorire una soluzione, anche attraverso l'uso del linguaggio. I conflitti, quando durano nel tempo, portano ad un imbarbarimento generale che colpisce tutti senza eccezione, e oltre all'elemento etnico spesso si aggiunge anche quello religioso, che sempre è utilizzato in modo demagogico.
Non potrei definire il conflitto né in Kosovo, né in altre parti, come conflitto religioso. Tuttavia, mi spaventa l'idea del Dio confessato in piazza, del Dio del gruppo, del Dio della separazione. Dobbiamo essere portatori di un linguaggio che aiuti entrambi - e tutti - a cercare l'altro che è in noi. Sicuramente, la storia comune delle due comunità ha lasciato molti elementi in comune tra di loro.
Dobbiamo ricorrere a un'azione parallela che aiuti le due etnie a riappropriarsi della memoria più vasta, che includa entrambe: se, nel nostro tentativo di favorire una soluzione, utilizziamo un linguaggio che aiuta la divisione, non possiamo avere il successo dalla nostra parte. Non rivendico nulla per il mio partito, ma abbiamo affermato sempre che la strada dello scontro e della guerra, dello scavalcare e del calpestare il diritto internazionale e il ruolo delle Nazioni Unite porta a tali conseguenze. Non ci sono, purtroppo, scorciatoie da percorrere, soprattutto in questi pochi giorni che ci separano dalla data del 10 dicembre.
Chiedo al nostro Governo un intervento straordinario, che corrisponda alla gravità della situazione. Ci rendiamo tutti conto di ciò: esprimo quindi la nostra condivisione sulla preoccupazione dell'onorevole Giancarlo Giorgetti - primo firmatario della mozione - e anche sul dispositivo della mozione stessa.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione presentata.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 27 novembre 2007, alle 10,15:

1. - Informativa urgente del Governo sul grave attentato in Afghanistan che ha causato la morte del maresciallo capoPag. 109Daniele Paladini e di alcuni cittadini afgani nonché il ferimento di tre militari italiani.

(ore 14)

2. - Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale presentata):
Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale (3178-A).
- Relatore: Delbono, per la maggioranza; Barani, di minoranza.

La seduta termina alle 20,55.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO ALBERTO BURGIO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 3178-A

ALBERTO BURGIO. Signor Presidente, signor Ministro del Lavoro, colleghe, colleghi, su una considerazione penso siamo tutti d'accordo: quello che quest'Assemblea si accinge a discutere - se il Governo non prenderà la decisione, a nostro parere non opportuna, di porre la fiducia - è un provvedimento importante (che si capisce abbia destato sin dall'inizio grande attenzione e anche polemiche). Il disegno di legge tocca aspetti molto rilevanti della condizione sociale e della condizione lavorativa (dalla previdenza ad aspetti fiscali e retributivi, a figure contrattuali di primaria importanza come i contratti a termine). Data la sua complessità, il giudizio non può che essere articolato. D'altra parte la ristrettezza dei tempi ci impone in questa sede una valutazione sommaria, riferita ai soli aspetti cruciali, sui quali si è concentrato anche l'esame della Commissione.
La decisione di porre la fiducia, ventilata in questi giorni e ancora al vaglio del Governo, non ci sembra opportuna. Non vediamo infatti la necessità di blindare il provvedimento, impedendo una discussione che si svilupperebbe con ogni probabilità in modo costruttivo com'è accaduto sin qui in Commissione. Il lavoro della Commissione - lo dico perché taluno ha voluto introdurre toni esasperatamente polemici, drammatizzando un confronto che ha invece portato un contributo importante senza sconvolgere alcunché, senza produrre alcun vulnus - è stato condotto, da ciascuno nel rispetto del proprio ruolo, in modo ordinato e produttivo.
Quanto è avvenuto nei giorni successivi si inscrive nel costume oggi invalso (e non è un bel segno di questi tempi) di pretendere che il Parlamento riduca il proprio ruolo a quello di una Camera di ratifica: salvo poi sostenerne la superfluità, e invocarne una ulteriore marginalizzazione.
Noi siamo contrari a questa deriva. Abbiamo apprezzato la battuta del Ministro Di Pietro che, certo per introdurre una nota spassosa, ha affermato che proprio la fiducia esalterebbe il ruolo del Parlamento, poiché lo porrebbe in condizione di apprezzare gli sforzi compiuti dal Governo. Ma quando torniamo a parlare seriamente, il punto è quello che dicevo poc'anzi. Stiamo seguendo un iter del tutto regolare e non c'è alcun bisogno di introdurre blindature. Per questo chiediamo al Governo di non cedere alla tentazione di operare forzature, almeno fin quando non vi sarà la prova provata che questa Camera non è in condizione di rispettare il calendario che si è data. In tal caso - ma solo in questo caso - la posizione della fiducia rientrerebbe in una prassi regolare e sarebbe a nostro giudizio accettabile, purché, beninteso, il testo di riferimento fosse quello licenziato dalla Commissione Lavoro, che è - sino a prova contraria - l'istituzione parlamentare che nel pieno delle proprie prerogative ha lavorato e deliberato sulla materia.
Una decisione diversa, che cancellasse questo lavoro, costituirebbe ai nostri occhi una forzatura incomprensibile, che rischierebbe di apparire lesiva delle prerogative del Parlamento, costituendo un precedente decisamente negativo. Il Ministro FerreroPag. 110ha parlato in proposito di uno «sfregio all'ordinamento democratico»: siamo del tutto d'accordo con questo giudizio.
Riguardo al lavoro della Commissione, sappiamo che proprio su di esso si sono scatenate le polemiche di chi teorizza la presunta intangibilità del Protocollo. E sappiamo che si è preso a pretesto il lavoro della Commissione per sostenere che il Protocollo sarebbe stato stravolto. Sono state dette a questo proposito, anche da parte di personaggi autorevoli, che dovrebbero per ciò stesso misurare attentamente le parole, delle enormità.
Una tesi - sostenuta in modo convergente da alcuni imprenditori e da taluni dirigenti sindacali - è che il Parlamento si sarebbe dovuto astenere da qualsiasi modifica, trattandosi di un accordo tra le parti sociali. Si è aggiunto, con toni vagamente minacciosi, che qualunque cambiamento del testo del 23 luglio sarebbe responsabile di un crimine capitale: nientemeno che la definitiva «messa a morte» (questa l'espressione impiegata in coro dal presidente della Confindustria e dal senatore Dini) della concertazione.
Ora, sulla concertazione possiamo pensarla in vario modo. Noi vorremmo che una valutazione sulla concertazione non eludesse - come invece sempre accade - alcune questioni capitali: i tassi di inflazione programmata avrebbero dovuto essere rispettati, il che non è avvenuto; la politica dei redditi supponeva un controllo dei prezzi e delle tariffe che non c'è stato; il fiscal drag (che questo Governo si è impegnato a restituire - ma sembra che nessuno se ne ricordi più) ha falcidiato le retribuzioni. Il risultato è quello che leggiamo in questi giorni nel rapporto dell'Ires-Cgil: una perdita del potere d'acquisto dei salari pari a circa 1.900 euro nell'arco degli ultimi 5 anni. Ma, ripeto, lasciamo pure questo discorso sullo sfondo e occupiamoci della pretesa che il Parlamento si limiti a ratificare l'accordo tra le parti sociali e il Governo. Questa pretesa riflette una concezione corporativa, in base alla quale le leggi - perché di una legge stiamo parlando, non di un contratto - le debbono fare i corpi intermedi, diretta emanazione degli interessi particolari. E una concezione che semplicemente nega in radice l'esistenza stessa di una società quale sede dell'interesse generale e per questa ragione fonte della sovranità.
Si capisce che questo piaccia agli industriali e alla destra; inquieta e allarma che seduca anche taluni dirigenti delle maggiori organizzazioni sindacali, che evidentemente non scorgono i pericoli che si annidano in un modello del genere, qualora si affermasse: perché se tutto si riduce al conflitto tra interessi particolari, è inevitabile che vinca l'interesse più forte, senza che possa darsi alcun terreno di regolazione, alcun intervento arbitrale sovraordinato.
E ad ogni modo, quanti in questi giorni tuonano e s'impancano a maestri di teoria politica farebbero buona cosa se si rileggessero la Costituzione (che, lo sappiamo, sta stretta a molti, ma è ancora vigente). A Costituzione vigente, le leggi le fa il Parlamento, per la semplice ragione che nessuna delle parti sociali - nessuna, per definizione - può aspirare a una rappresentatività generale. È increscioso dovere ripetere con energia simili banalità, ma evidentemente la tendenza alla privatizzazione del sistema istituzionale è talmente forte e si è andati talmente in là in questa deriva, che è necessario ribadire anche l'ovvio, prima che anche questi argini siano travolti nell'indifferenza o nell'inconsapevolezza generale.
E tuttavia appare fondata una critica al metodo seguito dal Governo (metodo che è la conseguenza della pretesa di fare della concertazione l'alfa e l'omega del processo di formazione delle decisioni in materia di politiche del lavoro). Mi pare lo abbia riconosciuto anche l'onorevole Soro, che ha giustamente osservato che il Governo avrebbe dovuto cominciare il percorso dal Parlamento, per ottenere una delega circostanziata in base alla quale impostare il confronto con le parti sociali. Ha ragione l'onorevole Soro, e dispiace che il segretario del neonato Partito democratico - al quale evidentemente non stanno molto a cuore né la solidità di questa maggioranza e di questoPag. 111Governo, né le funzioni del Parlamento - si sia espresso su questa materia in modo difforme dal suo capogruppo.
Sta di fatto che non si sarebbe dovuto dare al protocollo uno statuto di per sé incompatibile con le prerogative costituzionali del Parlamento. L'incontro e l'accordo tra le parti sociali sono aspetti rilevanti, che forniscono al Parlamento importanti elementi di giudizio e di orientamento. Ma non possono precostituire un vincolo per il legislatore, al quale compete la piena sovranità sul piano legislativo. E questo andava detto con chiarezza sin dall'inizio del percorso, per prevenire le polemiche di questi giorni, che erano facilmente prevedibili.
È strano che il Governo abbia fatto questo errore: è strano che abbia potuto credere che la maggioranza in Parlamento si sarebbe limitata a una ratifica, ed è anche strano che non abbia previsto che ci sarebbe stato chi - anche nelle stesse file della maggioranza - ne avrebbe approfittato per minacciare, ricattare, segnalarsi come affidabile garante degli interessi confindustriali.
E non ci si dica: c'è stato un referendum (i famosi cinque milioni di sì) che ha conferito sacralità, intangibilità al Protocollo. Lo sappiamo e non vogliamo riaprire qui polemiche che è bene stiano alle nostre spalle. Tutti sappiamo quanto il referendum sia stato problematico: non solo per gli aspetti procedurali e per la scarsa agibilità riservata alle tesi in dissenso, ma anche per un fatto elementare. Ai lavoratori è stato chiesto: «volete questo Protocollo, o la Maroni?». Non è stato chiesto: «che cosa volete in luogo della Maroni?». La questione era mal posta e per così dire pregiudicata sin dall'inizio.
Ma allora è chiaro - persino tautologico e chiedo scusa di queste banalità - che l'esito della consultazione (che peraltro non ha registrato un massiccio consenso nei luoghi attivi della produzione) non preclude miglioramenti nell'interesse dei lavoratori espressisi nel referendum. Sarebbe il caso di evitare, tutti, ipocrisie e strumentalità.
Due sono le cose sostanziali che dovrebbero contare per chi ha davvero a cuore i diritti e gli interessi dei lavoratori di questo Paese.
La prima chiama in causa la maggioranza e il Governo: ci sono alcuni impegni nel programma dell'Unione, che attendono di essere onorati. Nel programma si prevede la cancellazione delle tipologie di lavoro più precarizzanti istituite dalla legge 30 e si prevede altresì di introdurre vincoli ai contratti a termine ben più pesanti di quelli di cui stiamo parlando: il programma parla testualmente di causali legate all'«oggettivo carattere temporaneo delle prestazioni». Se questo è vero, le modifiche apportate dalla Commissione che si muovono in questa direzione dovrebbero essere considerate semplici atti dovuti, non già dare adito a polemiche politiche in seno alla maggioranza.
La seconda considerazione riguarda tutti coloro che intendono difendere i diritti del lavoro, a cominciare dalle organizzazioni sindacali: crediamo che quel che conta non sia tanto chi fa una cosa (chi sigla un accordo, chi propone una modifica, chi vara una norma); quel che conta - alla fine - è il risultato, che deve essere migliorativo nell'interesse dei lavoratori. Con questo spirito ci siamo mossi e intendiamo continuare a muoverci; con questo spirito ciascuno dovrebbe valutare il contributo fornito da tutti gli attori impegnati.
E allora veniamo agli aspetti di merito, limitandoci, come dicevo, ai più importanti.
Sulla previdenza: noi non abbiamo mai nascosto il nostro giudizio non positivo sulla riduzione dei coefficienti, sulla triennalizzazione del ricalcolo e sul modo con cui si è modificato lo scalone, limitandosi a diluirlo in tre anni e anzi ipotizzando persino un maggiore innalzamento dell'età pensionabile. Non abbiamo condiviso queste misure per la semplice ragione che non è vero che i conti della previdenza siano in rosso. I conti sulla base dei quali si sono fatte le riforme previdenziali nello scorso decennio (che hanno ridotto drasticamente la copertura pensionistica per le giovani generazioni) si sono rivelati sbagliati, maPag. 112questo sembra non interessare al Governo, che si guarda bene dall'applicare una legge del 1998 (che dispone la separazione tra assistenza e previdenza) che aiuterebbe a fare chiarezza una volta per tutte e impedirebbe questo ciclico attacco alle pensioni dei lavoratori dipendenti.
Nondimeno, abbiamo proposto una modifica che, tenendo fermo il risultato, preveda la possibilità di raggiungerlo anche senza innalzare l'età. Perché non si è voluto ascoltare? Perché non si vuole riconoscere che se un lavoratore ha lavorato uno o due anni in più del minimo richiesto, questo fatto gli va riconosciuto, accettando una riduzione dell'età?
Si dice: il rigore, i conti, la finanza pubblica. Ma la realtà è ben diversa: la realtà è quella di un Paese che diventa sempre più ingiusto e che oltre tutto, proprio per questo, si sta impoverendo.
In questi giorni ero nel biellese, un distretto del tessile in profonda crisi. Ho incontrato decine di lavoratrici e di lavoratori. Ce ne sono moltissimi ormai senza lavoro, che hanno più di cinquant'anni e oltre trent'anni di lavoro alle spalle. Vorrebbero trovare un impiego per potere andare in pensione ma nessuno li vuole. Le aziende chiedono di alzare l'età ma assumono solo chi ha meno di trent'anni. E noi a queste persone che cosa rispondiamo? Innalziamo l'età pensionabile e li mettiamo in una situazione drammatica, senza vie d'uscita. Possiamo meravigliarci senza ipocrisie se per disperazione vanno a lavorare al nero - e se poi ci scappa anche qualche suicidio, come è avvenuto ancora qualche giorno fa ad Imperia?
Poi c'è la questione dei lavori usuranti, a proposito della quale la Commissione ha approvato una modifica importante, che elimina una clausola restrittiva che avrebbe di fatto escluso la gran parte dei lavoratori notturni. Credo che si tratti di uno dei risultati più significativi del nostro lavoro in Commissione, e rendiamo atto sia al relatore sia al Governo di averlo agevolato, dando parere favorevole all'emendamento.
Noi qui stiamo parlando - vorrei non lo si dimenticasse - di lavoratori che hanno alle spalle decenni di lavoro in condizioni pesantissime, non di rado nocive per la salute psico-fisica. È una questione che dovrebbe essere trattata con responsabilità, se non con uno spirito di solidarietà e di giustizia che non può essere imposto a chi non lo abbia. Proprio per questo non vogliamo nemmeno prendere in considerazione l'ipotesi che questa modifica - al pari delle altre migliorative introdotte in Commissione - possa venire revocata da parte dell'Aula.
Vi sono ancora due questioni su cui mi pare necessario soffermarmi prima di concludere.
Si tratta di una misura sulla competitività - la decontribuzione dello straordinario - e della partita dei contratti a termine.
Noi siamo sempre stati contro l'idea di dispensare le imprese dall'onere aggiuntivo previsto dall'articolo 2 della legge 549 del 1995 per il ricorso allo straordinario. Critichiamo questa decisione per svariate ragioni. Ostacola la crescita dell'occupazione. Va in direzione contraria alla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. Asseconda le posizioni di chi pensa che le retribuzioni debbano essere sempre più commisurate alle prestazioni individuali, al salario di rischio. Dietro si intravede la pressione per ridurre l'incidenza dei contratti collettivi nazionali, un altro elemento che consideriamo del tutto negativo - ed è per questo che non abbiamo apprezzato nemmeno gli incentivi alla contrattazione di secondo livello (che riguarda solo il 20 per cento delle imprese italiane).
Dunque siamo contrari, e non per ragioni di poco conto. Riteniamo che molto meglio sarebbe detassare gli aumenti salariali, il che favorirebbe anche una rapida chiusura dei contratti. E tuttavia non abbiamo alzato barricate contro questa norma. Vorremmo che lo si tenesse presente. Noi riteniamo questa misura sbagliata. La consideriamo un ennesimo regalo alle imprese, su cui stranamente gli arcigni guardiani del rigore nulla eccepiscono. Un regalo del quale il Paese non si gioverà (sappiamo bene che impiego lePag. 113imprese facciano di questi continui benefici). Ma, pur dissentendo, siamo disposti, in una logica complessiva, ad accettare questa misura. Lo ripeto, in particolare al Ministro che ha la cortesia di ascoltare con attenzione queste mie parole (e di ciò lo ringrazio): si tenga conto di questo nostro comportamento costruttivo, perché non è possibile che le osservazioni avanzate dalle diverse componenti di questa maggioranza vengano vagliate di volta in volta in modo astratto, enucleandole dal contesto complessivo, senza considerare che a fronte di una richiesta ci sono apertura e disponibilità.
E veniamo alle misure sul lavoro, che non dovrebbero essere poste sotto il solo titolo «mercato del lavoro», che è quanto meno riduttivo, ma anche sotto quello dei «diritti del lavoro» nel quadro di una politica di sviluppo.
Il tema cruciale riguarda i contratti a termine. Che cosa abbiamo chiesto a questo riguardo? È molto semplice. Noi prendiamo sul serio le dichiarazioni rese in più sedi dal Ministro Damiano di volere fare del tempo indeterminato la forma contrattuale normale. Nessuno di noi dice: niente più tempo determinato. Non diciamo neppure, in questa sede (anche se sarebbe elementare, come riconosce la stessa normativa comunitaria): contratti a termine solo in presenza di causali oggettive. E non basta ancora. Accettiamo anche - appunto perché siamo ben consapevoli di non essere i soli a decidere - un tempo di per sé lunghissimo (36 mesi) e persino la proroga in deroga (8 mesi), anche se non apprezziamo il coinvolgimento del sindacato ai fini della validazione dei contratti, una funzione che non gli compete e che rischia di snaturare il ruolo del sindacato quale parte impegnata nella difesa del lavoro. Solo che, a questo punto, osserviamo che - se non vogliamo scherzare - dobbiamo poi fare in modo che i lavoratori ai 36 mesi possano effettivamente arrivare, altrimenti non è solo una presa in giro (una soglia irraggiungibile è un traguardo illusorio, una sorta di supplizio di Tantalo), rischia di essere anche un danno (perché, lasciata libera, l'impresa avrà tutto l'interesse a sbarazzarsi del lavoratore giunto a 35 mesi: e così si rischia che una misura in sé giusta, com'è un limite alla durata massima del tempo determinato, si rovesci nel suo contrario, nella premessa della perdita del posto di lavoro).
Per questo chiediamo al relatore e al Governo di riflettere bene. Noi diciamo che quando un lavoratore accede al rapporto di lavoro, dev'essere messo in una sorta di corsia preferenziale, che - pur rimanendo egli a termine - gli dà tuttavia qualche prospettiva certa, nella misura in cui l'impresa che vuole procedere a nuove assunzioni deve dare a lui un nuovo contratto a tempo determinato una volta che il precedente si è concluso, e così fino al raggiungimento della soglia dei 36 mesi.
Non è nulla di rivoluzionario, non costa nulla, non impedisce all'impresa di avere contratti a termine. Mette solo in pratica le dichiarazioni del Ministro, evitando che il solo limite temporale si tramuti in un boomerang: nella garanzia per il lavoratore di essere cacciato via dall'impresa una settimana prima del raggiungimento della soglia che farebbe scattare la stabilizzazione.
A proposito del fatto che queste modifiche siano evidentemente a costo zero, vorrei aggiungere una breve considerazione. Questo semplice fatto dimostra che la teologia del rigore (in nome della quale certi settori della maggioranza minacciano rappresaglie in caso di modifiche parlamentari del Protocollo) è un pretesto (peraltro a senso unico, visto che - come notavamo - nessuna protesta si leva quando un mucchio di denaro pubblico prende la strada delle imprese).
La retorica del rigore serve a dire che se il lavoro ha problemi deve risolverseli da sé, senza chiedere nulla al Paese. Con una mano si toglie (tagliando la spesa, mantenendo la precarietà, non tutelando i salari e gli stipendi contro l'inflazione), con l'altra ci si rifiuta di dare. E sappiamo che cosa questo significhi: una gigantesca redistribuzione della ricchezza dal lavoro al capitale (nel 2005 al lavoro dipendente è andato appena il 43,9 per cento del Pil, come nel 1951! Mentre negli ultimi 25 anni i redditi da capitale sono passati dalPag. 11422,3 per cento al 32,9 per cento), e una società sempre più ineguale e ingiusta.
Quando denunciamo tutto questo qualche industriale dice che siamo contro l'industria. No, non siamo contro l'industria, che è un patrimonio nazionale, il frutto del lavoro e dei saperi prodotti dalla collettività, e un elemento-chiave per lo sviluppo del Paese. Siamo contro questo modo speculativo, affaristico, di concepire il proprio ruolo da parte di tanti industriali italiani: contro una concezione miope che ha puntato tutto sulla riduzione dei costi riducendo la competitività internazionale del nostro sistema produttivo e frustrando ogni tentativo di dare forma ed efficacia a un progetto di politica industriale in questo Paese.
Nessuno pretende altruismo, ma chi si fregia del titolo di classe dirigente e ne reca la responsabilità dovrebbe anche dimostrarsi capace di riconoscere le esigenze altrui e di non assolutizzare le proprie. Soprattutto, imprenditori degni di questo nome dovrebbero avvertire anche la responsabilità verso il Paese e verso il suo sviluppo complessivo (economico, sociale, civile); dovrebbero ringraziare questo Governo che, dopo la munifica finanziaria dell'anno scorso, anche quest'anno è assai generoso: ripristina gli incentivi tagliati nel 2007 e accresce di 1,6 milioni lo stanziamento a favore delle imprese (mentre - lo ricordiamo - ci sono 400 milioni in meno per le politiche del lavoro). Imprenditori degni di questo nome dovrebbero smetterla di guardare solo al profitto immediato e di usare il ricatto delle delocalizzazioni per impedire qualsiasi miglioramento delle condizioni di chi lavora, e questo in anni in cui hanno accumulato profitti (tra il 1974 e il 2005 la quota dei profitti sul Pil è balzata dal 2 al 16 per cento; nel 2005 le grandi e medie imprese italiane - secondo uno studio di Mediobanca - hanno chiuso con un utile del 37 per cento superiore rispetto a quello dell'anno precedente) e si sono ben guardati dall'investire in innovazione e ricerca. Mi fermo qui, senza entrare nella discussione (che considero meno rilevante di quanto non sia apparso dalle polemiche di questi giorni) sull'abrogazione dello staff leasing. Potrei invece dire molto sulla deroga inserita in tema di lavoro a chiamata, una deroga grave sia per il merito (il programma del Governo prevede l'abrogazione del job on call e il Protocollo aveva sancito questa misura sacrosanta) sia per come è maturata, saldando un fronte tra maggioranza e opposizione che, soprattutto su queste materie, si sarebbe dovuto viceversa evitare con ogni cura. Ma voglio astenermi da ogni polemica. Mi auguro che sulla deroga in materia di lavoro a chiamata l'Aula decida di tornare al testo originario del disegno di legge, ma - lo ripeto - consideriamo decisive altre materie, su cui mi sono soffermato in precedenza. E a proposito di responsabilità - e chiudo su questo - evocarla ha un senso se si chiarisce nei confronti di chi la si avverte e la si assume.
L'ho detto in precedenza e mi pare opportuno ribadirlo concludendo questo mio intervento: disponendoci all'esame di questo provvedimento, prima in Commissione, ora in Aula, noi abbiamo guardato solo a un obiettivo: accrescere le tutele dei lavoratori, sia di quanti si approssimano all'età della pensione e non si meritano di vedersi negato un diritto acquisito dopo una vita di lavoro, sia di quanti si trovano a combattere con una flessibilità che troppo spesso nel nostro Paese si trasforma in una trappola di precarietà senza scampo.
Noi ci sentiamo responsabili in primo luogo nei confronti di queste persone. Migliorarne la condizione, ricostruirne i diritti, rafforzarne le tutele è il nostro interesse prioritario. Su questa base matureranno le nostre decisioni nel corso dell'esame in Aula di questo disegno di legge.