ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00014

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 122 del 28/01/2009
Abbinamenti
Atto 6/00011 abbinato in data 28/01/2009
Atto 6/00012 abbinato in data 28/01/2009
Atto 6/00013 abbinato in data 28/01/2009
Atto 6/00015 abbinato in data 28/01/2009
Firmatari
Primo firmatario: VIETTI MICHELE GIUSEPPE
Gruppo: UNIONE DI CENTRO
Data firma: 28/01/2009
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
RAO ROBERTO UNIONE DI CENTRO 28/01/2009


Stato iter:
28/01/2009
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 28/01/2009
Resoconto ALFANO ANGELINO MINISTRO - (GIUSTIZIA)
 
DICHIARAZIONE VOTO 28/01/2009
Resoconto PALOMBA FEDERICO ITALIA DEI VALORI
Resoconto VIETTI MICHELE GIUSEPPE UNIONE DI CENTRO
Resoconto BRIGANDI' MATTEO LEGA NORD PADANIA
Resoconto TENAGLIA LANFRANCO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto CICCHITTO FABRIZIO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto BERNARDINI RITA PARTITO DEMOCRATICO
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 28/01/2009

ACCOLTO IL 28/01/2009

PARERE GOVERNO IL 28/01/2009

DISCUSSIONE IL 28/01/2009

APPROVATO IL 28/01/2009

CONCLUSO IL 28/01/2009

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00014
presentata da
MICHELE GIUSEPPE VIETTI
testo di
mercoledì 28 gennaio 2009, seduta n.122

La Camera,
premesso che:
l'amministrazione della giustizia in Italia viene avvertita dai cittadini come distante e incapace di contribuire al progresso civile;
la lentezza, e l'imprevedibilità sono le cause fondamentali che contraddicono i diritti individuali, compromettono il buon andamento dell'economia e finiscono per sfociare nell'irragionevolezza;
riformare la giustizia deve significare anzitutto:
ottenere giudizi più rapidi, attraverso una robusta razionalizzazione del sistema;
rendere maggiormente prevedibili le conseguenze giuridiche dei comportamenti dei cittadini;
consapevoli che l'attuale irragionevole durata dei processi è determinata da una pluralità di fattori, su cui bisogna agire congiuntamente;
preliminare ad ogni intervento appare la revisione delle circoscrizioni giudiziarie che consenta una più razionale allocazione delle risorse;
la necessaria svolta sul piano organizzativo, tuttavia, non può essere di per sé sola sufficiente a risolvere le forti criticità presenti;
udite le comunicazioni del ministro sull'amministrazione della giustizia,
impegna il Governo
e, in particolare, il ministro della giustizia:
ad intraprendere tutte le iniziative necessarie ad intervenire:
I) nel settore civile, dove nell'ultimo quindicennio si è proceduto attraverso una successione di mini-riforme settoriali, spesso scollegate l'una dall'altra, che hanno avuto l'inevitabile effetto di moltiplicare i fattori di disfunzione. In particolare si segnala che:
a) una riforma all'insegna della razionalizzazione dovrebbe incidere prioritariamente sulla pluralità di riti. In un sistema a grado d'appello generalizzato, che riteniamo utile conservare e auspicabilmente potenziare, la garanzia della collegialità è comunque assicurata al cittadino. Nulla dovrebbe ostare, allora, all'introduzione del giudice monocratico in tutto il primo grado del processo civile, il che consentirebbe di dare vita a un unico rito ordinario di cognizione;
b) l'assunzione della prova in contraddittorio davanti ad un giudice terzo dovrebbe rappresentare una garanzia imprescindibile per i cittadini. E tuttavia, il sistema non appare oggi in grado di assicurare in concreto detta garanzia. La necessaria alternativa a questa situazione non può essere rappresentata solo da una prova assunta in forma scritta;
c) è indispensabile affrontare il problema della deflazione del contenzioso giudiziale. In quest'ottica, occorre ripensare il precetto di cui all'articolo 24 della Costituzione, immaginando forme di tutela dei diritti anche non «giudiziali». I cosiddetti strumenti alternativi di risoluzione delle controversie vanno potenziati; i giudizi che hanno finalità di mera liquidazione di diritti sostanzialmente incontroversi, per i quali resta indispensabile la funzione di un'autorità «terza» ma non di un vero e proprio processo, potrebbero essere affidati e quei «cittadini idonei estranei alla magistratura» di cui parla proprio l'articolo 102 della Costituzione; occorrerebbe, infine, puntare decisamente sulla sperimentazione di arbitrati di derivazione contrattuale del genere «obbligatorio» (ad esempio in campo previdenziale), senza per questo rinunciare all'introduzione di modelli arbitrali di derivazione legislativa;
d) è necessario rivedere l'attuale sistema delle impugnazioni. Tre gradi di giudizio generalizzati, infatti, sono difficilmente compatibili con il precetto costituzionale della ragionevole durata del processo. Appare assai opportuna la previsione della non ricorribilità per Cassazione nell'ipotesi di «doppia conforme» sul fatto. Si potrebbe anche, più radicalmente, eliminare la facoltà di ricorso per Cassazione per «insufficiente o contraddittoria motivazione»; il che, per un verso non lederebbe il principio costituzionale di cui al comma 6 dell'articolo 111 della Costituzione e per altro verso consentirebbe l'adozione di provvedimenti giurisdizionali in forma particolarmente sintetica.
II) Nel settore penale, poiché il sistema è oggi largamente inefficace sia per il corto circuito determinato dal rapporto tra lunghezza dei processi e termini di prescrizione, sia per il carattere virtuale che la pena ha assunto in troppi casi, e dunque non è in grado di svolgere alcuna funzione deterrente; inoltre, per altro verso, i provvedimenti cautelari reali e personali, adottati in assenza di contraddittorio, anche per la loro rilevanza mediatica hanno ormai assunto una funzione sostanzialmente surrogatoria della pena, occorrerebbe:
a) un intervento drastico sul terreno degli istituti della contumacia e delle notifiche. Fermo restando che non deve celebrarsi un processo a carico di imputato per il quale non vi è prova che ne abbia avuto conoscenza, la nomina del difensore dovrebbe valere comunque come elezione di domicilio ai fini di tutte le comunicazioni, anche in via telematica. L'irragionevole durata del processo - come è noto, una pena in sé - non può giustificare l'ampliamento dei termini di prescrizione. E tuttavia, nell'attuale situazione, termini di prescrizione brevi comportano un indiretto effetto-amnistia. È necessario intervenire, dunque, attraverso un bilanciamento dei diritti fondamentali delle parti processuali. Sarebbe necessario prevedere, in proposito, un doppio termine di prescrizione: l'uno oggettivo, anche molto ampio, decorrente dal fatto-reato; e l'altro soggettivo, decorrente dall'iscrizione nel registro degli indagati, molto più ristretto: il diritto del cittadino, infatti, è quello di non essere sottoposto a tempo indefinito a un «processo»;
b) tutti i provvedimenti cautelari andrebbero adottati da un giudice collegiale (generalizzando, cioè, la soluzione introdotta dal decreto-legge sullo smaltimento dei rifiuti in Campania). Per garantire meglio il contraddittorio, tranne che per i reati di criminalità organizzata, si potrebbe immaginare che sulla richiesta di arresto o sequestro decida un giudice collegiale in contraddittorio con la difesa dell'indagato, entro un termine breve e perentorio, previa applicazione all'indagato del fermo del pubblico ministero (domiciliare o in strutture apposite) per soddisfare le esigenze cautelari;
c) quanto alle intercettazioni telefoniche, fermi restando gli emendamenti proposti al disegno di legge del Governo, resta il fatto che, in quanto strumento d'indagine altamente invasivo, dovrebbero essere richieste dal capo dell'ufficio e disposte da un giudice collegiale; in quanto strumento altamente costoso, inoltre, dovrebbero essere sottoposte a un budget annuale di massima per ciascuna procura, determinato d'intesa con il CSM;

d) nessuna seria efficacia deterrente potrà essere assicurata dal sistema penale se la pena non torna ad essere effettiva. Si conferma la necessità di una rivisitazione della legislazione penale ispirata al principio di residualità: occorre, in sostanza, una drastica depenalizzazione, accompagnata da istituti quali l'oblazione nel processo penale per i reati bagatellari, l'archiviazione per irrilevanza sociale del fatto, e soprattutto, nella doverosa ottica di tutela delle vittime, l'estinzione del reato in seguito a condotte riparatorie. È assolutamente indispensabile, poi, una profonda revisione del modello sanzionatorio, che riduca l'utilizzazione della pena detentiva (troppo spesso tanto apparentemente pesante quanto nei fatti meramente virtuale) e la sostituisca con pene alternative alla detenzione (interdittive, prescrittive o ablative), di cui assicurare l'effettività. Anche la pena detentiva, ove irrogata, deve essere effettivamente scontata. In proposito, è necessario ripensare tanto l'istituto della sospensione condizionale della pena, quanto l'impianto della legge Simeone-Saraceni. In ogni caso, per restituire certezza alla pena, detentiva o meno, occorre affidare al giudice che l'ha irrogata anche la decisione circa le concrete modalità di esecuzione della stessa.
III) nei rapporti istituzionali, poiché affrontare il tema della giustizia come potere, significa inevitabilmente considerare l'assetto dei diversi poteri quale delineato dalla nostra Costituzione, in particolare dal titolo IV. La Costituzione è una cornice che disegna un equilibrio tra i poteri. Sarebbe errato, dunque, pensare a interventi di modifica costituzionale «parcellizzati». Occorre considerare, invece, l'evoluzione che l'assetto dei poteri ha subito dal 1948 ad oggi, determinando un innegabile disequilibrio rispetto all'originario disegno costituzionale. È necessario, insomma, riflettere sulla complessiva dinamica evolutiva dei poteri, con lo scopo di assicurare un nuovo equilibrio. In particolare:
a) l'azione penale deve restare obbligatoria, a garanzia del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Si impone, tuttavia, una riflessione sui criteri di selezione delle notizie di reato e soprattutto sui criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale, oggi sostanzialmente discrezionali. Occorre, dunque, un intervento in duplice direzione. Quanto alla selezione delle notizie di reato, vanno ridefiniti i rapporti tra pubblico ministero e Polizia giudiziaria. È un problema di «cultura» più e prima che di norme. Il pubblico ministero, in sostanza, deve continuare a «disporre» della polizia giudiziaria per lo svolgimento delle indagini (articolo 109 della Costituzione), ma non può e non deve diventare il «capo» della Polizia giudiziaria. Quanto ai criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale è possibile pensare a un rapporto di cooperazione istituzionale tra CSM e Parlamento. Periodicamente il CSM dovrebbe raccogliere le proposte circa i criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale provenienti dai consigli giudiziari per i diversi ambiti territoriali, e trasmetterle al Parlamento e al ministro della giustizia, che dovrebbero esprimere le proprie determinazioni;
b) se l'azione penale resta obbligatoria, il pubblico ministero, che la esercita, non può non restare un magistrato indipendente. Occorre porsi, tuttavia, il problema di un bilanciamento del potere che oggettivamente - anche per ragioni legate alle dinamiche del sistema mediatico - il pubblico ministero esercita oggi in tutte le democrazie contemporanee. In proposito, la ipotizzata separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudici non risolverebbe di per sé i problemi;
c) il legame inscindibile tra potere e responsabilità del magistrato implica la soluzione del problema del controllo sul lavoro del magistrato. In proposito, occorre introdurre un sistema informatico di rilevazione statistica uniforme e generalizzato, al fine di consentire una misurazione della quantità e qualità del lavoro dei magistrati;
d) il rilevante ruolo ormai assunto dalla cosiddetta magistratura onoraria nel nostro ordinamento, e quello ancor più rilevante che potrebbe assumere, impongono di affrontare senza equivoci il problema della sua collocazione ordinamentale. In primo luogo, occorre superare l'equivoco in cui continua a dibattersi la figura del giudice di pace, e scegliere definitivamente tra «modello di prossimità», che privilegia il giudizio secondo equità, e «modello semiprofessionale». Questa presa d'atto rende ineludibile garantire la professonalità iniziale e permanente del giudice di pace, nonché il rispetto delle regole deontologiche. Si devono individuare, insomma, criteri piú stringenti degli attuali sia per selezionare i giudici di pace, sia per controllarne l'operato, sia sotto il profilo delle incompatibilità; il che potrà essere assicurato solo inserendo a pieno titolo il giudice di pace nel sistema di governo autonomo della magistratura. Distinto e diverso è il problema dei magistrati onorari propriamente detti quali GOT e VPO, le cui funzioni - considerata l'attuale insostituibilità - devono essere adeguatamente normate;
e) in tutto il mondo, l'affermazione dello Stato sociale ha comportato nelle democrazie la progressiva espansione del «potere dei giudici»; e poiché ad ogni potere deve corrispondere pari responsabilità, una maggiore responsabilizzazione del magistrato è corollario indispensabile dei nuovi poteri acquisiti. A sua volta, corollario della responsabilità è l'esistenza di un affidabile sistema che consenta di limitare e, ove necessario, reprimere i comportamenti «irresponsabili». Il che, non deve affatto comportare una riduzione delle garanzie di autonomia e di indipendenza di coloro che esercitano funzioni giurisdizionali, quali delineate dalla nostra Costituzione, ma deve tendere, al contrario, a rafforzarle e generalizzarle attraverso una riforma del sistema di governo autonomo che quelle garanzie assicura. Occorre ribadire la validità del modello pluralistico dell'assetto dei poteri delineato dalla Costituzione, sottolineando che non può esservi alcuna gerarchia tra potere politico legittimato dalla volontà popolare, e poteri neutri di controllo che fondano differentemente la propria legittimazione;
f) è necessario dare vita a un'unica figura di magistrato, con identità di percorsi di accesso, di diritti e di doveri, di garanzie e di indipendenza, di regole di carriera e regole disciplinari. Il che, non significa unificazione delle giurisdizioni, ma deve significare unificazione del sistema di governo autonomo delle magistrature. Una simile soluzione, per un verso comporterebbe il rafforzamento delle garanzie di indipendenza di tutti i magistrati a prescindere dalle funzioni svolte, attraverso la «costituzionalizzazione» del governo della magistratura amministrativa, di quella contabile, e di quella militare; per altro verso, consentirebbe se non di eliminare, certamente di diluire il tasso di corporativismo inscindibilmente connesso all'autogoverno di un corpo burocratico. Si potrebbe pensare, insomma, a un CSM quale Consiglio Superiore delle Magistrature, all'interno del quale la disarticolazione delle logiche corporative e correntizie si realizzi non solo attraverso la modifica dell'attuale proporzione costituzionale tra «togati» e «laici», ma anche attraverso il necessitato confronto tra le diverse culture delle diverse magistrature. L'unificazione del governo autonomo delle magistrature consentirebbe di affrontare in un'ottica unitaria anche il tema della responsabilità disciplinare dei magistrati. Si potrebbe dare vita, quale giudice disciplinare unico per tutti i magistrati, a un'Alta corte di giustizia, nella quale la componente elettiva delle magistrature potrebbe anche non essere maggioritaria, considerata la peculiarità della funzione disciplinare;
g) il rilievo costituzionale dell'avvocatura, quale tramite necessario per l'affermazione del diritto alla giustizia del cittadino, rende la riforma dell'ordinamento professionale un tassello indispensabile di una più complessiva riforma della giustizia. La professionalità dell'avvocato rappresenta corollario indispensabile del rilievo costituzionale della professione forense, e deve dunque essere garantita al cittadino-cliente attraverso più stringenti controlli tanto nella fase di accesso quanto nel corso della vita professionale. Il non avere proceduto contestualmente alle riforma dell'ordinamento giudiziario e di quello forense, ha determinato una profonda crisi di fiducia da parte dell'avvocatura nei confronti delle forze politiche che occorre cercare di recuperare.
(6-00014) «Vietti, Rao».
Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

garanzia

giudice

magistrato

magistrato non professionale

polizia giudiziaria

potere di controllo

procedimento giudiziario

pubblico ministero

regime politico

riforma giudiziaria

sanzione penale