Atto Camera
Mozione 1-00236
presentata da
ROBERTO MARONI
lunedì 22 ottobre 2007 nella seduta n.228
La Camera,
premesso che:
esistono ancora oggi nella Repubblica popolare cinese, membro dell'Organizzazione mondiale del commercio, delle Nazioni Unite e interlocutore politico economico della scena geopolitica mondiale, veri e propri campi di concentramento dove sono violati su amplissima scala i diritti umani fondamentali, le norme sulla tutela del lavoro, della sicurezza e della concorrenza, senza che ciò determini alcuna sanzione od esclusione della Cina dalla comunità mondiale o da quella parte di essa che ha in queste garanzie i cardini fondamentali della propria realtà;
i campi sono definiti laogai e sono stati creati a suo tempo da Mao per «riabilitare i criminali» attraverso il lavoro e l'indottrinamento politico e allo stesso tempo per disporre di forza lavoro gratuita per lo sviluppo economico della Cina;
il numero dei laogai e dei prigionieri è un segreto di Stato. Secondo il rapporto del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul lavoro forzato e la detenzione arbitraria, pubblicato nel 1997, ci sono 230.000 persone in 280 campi di rieducazione attraverso il lavoro. La Laogai research foundation ha, però, individuato almeno 1.000 campi in Cina e stima il numero dei detenuti fra i 4 e i 6 milioni di persone: dalla creazione del sistema dei laogai fra i 40 e i 50 milioni di persone vi sono state imprigionate, tanto che in Cina praticamente ogni cittadino è imparentato o conosce qualcuno che è finito nei laogai;
il concetto di «criminale» nel sistema cinese comprende i dissidenti politici, i sostenitori del sistema democratico, chi viola leggi, come quella sul figlio unico, sindacalisti, religiosi e fedeli di varie fedi e minoranze etniche, come i tibetani, gli uiguri e i mongoli. Si può arrivare ai tre anni di detenzione in un laogai prima di avere un processo e rimanervi dopo avere scontato la propria pena se il sistema non ritiene perfettamente completata la «rieducazione»;
non esistono garanzie processuali per i prigionieri dei laogai, nessun diritto di appello o di difesa. Una volta entrato nel campo, il detenuto è costretto a «confessare» i suoi crimini, denunciare qualsiasi opinione anti-partito e sottoporsi al regime di rieducazione e lavoro forzato. I funzionari dei laogai devono attenersi all'enfasi tradizionale sulla riabilitazione dei prigionieri per trasformarli in «nuove persone socialiste», raggiungendo allo stesso tempo precisi livelli di produttività e di profitto;
ogni laogai è al tempo stesso un'unità produttiva: una fabbrica tessile, una cava, una miniera, tanto che ciascun campo ha solitamente un doppio nome, uno dei quali è quello del marchio prodotto;
la manodopera gratuita e abbondante, che lavora fino a diciotto ore al giorno senza ferie, riposo o malattia, costituisce un vantaggio competitivo straordinario in termini di costo di produzione per i prodotti che escono dai laogai, tanto che gli imprenditori cinesi, ma anche alcune multinazionali straniere, appaltano le produzioni, tramite il Governo cinese, ai laogai-fabbrica; in questo modo sia il Governo che le industrie cinesi o dislocate in Cina hanno amplissimi margini di guadagno sul prodotto dei prigionieri, pur potendo portare sui mercati internazionali prodotti a bassissimo costo;
il laogai, campo di concentramento, di sfruttamento e di tortura, rappresenta, pertanto, un elemento centrale e portante del vantaggio competitivo cinese e dell'imponente sviluppo economico della Repubblica popolare cinese; i milioni di prigionieri rinchiusi nei laogai sono il più grande numero di persone sottoposte al lavoro forzato oggi nel mondo. L'applicazione deliberata e diffusa di questo metodo ha creato in Cina una nuova forma di economia: l'economia del lavoro forzato;
anche se molti Paesi, compresi gli Stati Uniti e l'Unione europea, vietano l'importazione di merci prodotte nei laogai, è praticamente impossibile stabilire la provenienza di tali beni, senza la collaborazione del Governo cinese. È lo stesso Governo, infatti, il primo beneficiario del reddito prodotto dai campi di concentramento e da sempre l'autorità di Pechino è la principale responsabile delle triangolazioni e delle falsificazioni dei marchi, operate al preciso scopo di rendere impossibile risalire alle produzioni del laogai;
considerata l'integrazione dei mercati e la facilità di spostare le merci su altre piazze prima di arrivare ai nostri consumatori, è oggi impossibile impedire l'arrivo anche nel nostro Paese di merci a basso costo prodotte con il lavoro di persone ingiustamente schiavizzate,
impegna il Governo:
ad affrontare direttamente e senza remore al prossimo incontro bilaterale con le autorità cinesi il tema dei laogai, al fine di ottenere un impegno preciso sulla chiusura di tali vergognosi campi;
a farsi portavoce in seno all'Unione europea affinché tale tema sia affrontato in modo diretto in occasione dei summit Unione europea-Cina;
ad agire in seno all'Unione europea affinché si limiti l'ingresso delle merci provenienti dalla Cina finché non sia data prova della fine di ogni produzione basata sul lavoro forzato, come unica vera garanzia che l'Europa non contribuisca con i suoi consumi alla permanenza di metodi inumani di sfruttamento.
(1-00236)
«Maroni, Cota, Dozzo, Gibelli, Alessandri, Allasia, Bodega, Bricolo, Brigandì, Caparini, Dussin, Fava, Filippi, Fugatti, Garavaglia, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Lussana, Montani, Pini, Stucchi».