Doc. XXIII, N. 8

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI E SU ILLECITI AMBIENTALI AD ESSE CORRELATI

(istituita con legge 7 gennaio 2014, n. 1)

(composta dai deputati: Bratti, Presidente, Bianchi Dorina, Bianchi Stella, Carrescia, Castiello, Cominelli, D'Agostino, De Mita, Palma, Polverini, Rostan, Taglialatela, Vignaroli, Vicepresidente, Zaratti, Segretario, Zolezzi; e dai senatori: Arrigoni, Augello, Vicepresidente, Caleo, Compagnone, Iurlaro, Martelli, Morgoni, Nugnes, Orellana, Orrù, Pagnoncelli, Pepe, Puppato, Scalia, Segretario, Sollo)

RELAZIONE TERRITORIALE SULLA REGIONE LIGURIA

(Relatori: Sen. Giuseppe Compagnone e Sen. Mario Morgoni)

Approvata dalla Commissione nella seduta del 29 ottobre 2015

Comunicata alle Presidenze il 29 ottobre 2015 ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 7 gennaio 2014, n. 1

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INDICE

 1. L'attività conoscitiva della Commissione Pag.  6
 2. La gestione del ciclo dei rifiuti in Liguria »  7
  2.1 Considerazioni generali »  7
  2.2 Situazione attuale »  11
    2.2.1 Le caratteristiche della gestione »  28
    2.2.2 La Spezia: ACAM Ambiente »  30
    2.2.3 Genova: AMIU »  35
    2.2.4 Raccolta differenziata »  54
  2.3 Il nuovo Piano rifiuti »  60
  2.4 La depurazione delle acque »  73
 3. L'attività di polizia e prevenzione; le criticità »  77
 4. Le principali vicende giudiziarie »  92
 5. La specificità delle grandi aree portuali »  104
  5.1 Considerazioni generali »  104
  5.2. Il traffico transfrontaliero di rifiuti »  117
 6. La situazione della provincia di Imperia »  125
 7. La vicenda Pitelli »  150
 8. La bonifica Cogoleto-Stoppani »  172
 9. La Tirreno Power di Vado Ligure »  183
10. La demolizione della Costa Concordia »  198
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1. L'attività conoscitiva della Commissione.

  L'attività di indagine conoscitiva sulla Liguria ha avuto inizio con una missione svolta dal 20 al 23 gennaio 2015 da parte di una delegazione della Commissione. Si è proceduto all'audizione di autorità giudiziarie e amministrative, di associazioni ambientaliste e rappresentanze sindacali nonché all'effettuazione di sopralluoghi.
  Il 20 gennaio 2015, presso la prefettura della Spezia sono stati auditi il prefetto Mauro Lubatti, le locali associazioni ambientaliste (WWF, Italia Nostra, Quartiere del Levante, Comitato Difesa di Pitelli e Legambiente), il procuratore della Repubblica Mario Paciaroni e alcuni sostituti (Monteverde, Nutini e Caporuscio), il comandante del porto, Enrico Castioni, il direttore dell'Agenzia delle dogane, Elvio La Tassa e il sindaco, Massimo Federici.
  Il 21 gennaio 2015 la stessa delegazione ha proceduto ad un sopralluogo presso il porto di La Spezia e la discarica sita nella frazione di Pitelli.
  Nel pomeriggio dello stesso giorno presso la prefettura di Genova venivano auditi il prefetto del capoluogo ligure, Fiamma Spena, il prefetto di Imperia, Silvano Tizzano e il vicario di quello di Savona (Giuseppe Montella); i responsabili di associazioni ambientaliste regionali (WWF, Italia Nostra, Legambiente e Medici per l'ambiente); i rappresentanti delle OO.SS. (UGL, CGIL-FP, FIT-CISL, UIL Trasporti e FIADEL); il procuratore della Repubblica di Genova, Michele Di Lecce, con il sostituto Francesco Cardona Albini; il direttore marittimo della Liguria e comandante del porto di Genova, Vincenzo Melone; il direttore interregionale dell'Agenzia delle dogane, Franco Letrari, e quello reggente di Genova, Claudio Tucci, e il direttore generale dell'ARPAL, Roberto Giovanetti.
  Il mattino del 22 gennaio 2015 la delegazione della Commissione effettuava un sopralluogo presso la discarica di Genova-Scarpino e una visita al porto della stessa città, con particolare riguardo all'area Prà-Voltri dove si trovava il relitto della M/N Costa Concordia.
  Il 22 gennaio 2015, sempre presso la prefettura di Genova venivano auditi il procuratore della Repubblica di Imperia, Giuseppina Geremia, e il procuratore della Repubblica di Savona, Francantonio Granero (una nuova audizione del quale si è svolta l'8 settembre 2015); il comandante regionale del Corpo forestale dello Stato, Renzo Merolla; il comandante regionale della Guardia di finanza, Rosario Lorusso; il direttore generale di AMIU SpA, Ivan Strozzi; il comandante della Legione carabinieri Liguria, Enzo Fanelli; il comandante del NOE della Liguria, Stefano Barani; infine il sindaco di Genova, Marco Doria. Il 23 gennaio 2015 veniva audito l'allora presidente della regione Liguria, Claudio Burlando.
  Di rilievo anche la visita compiuta da una delegazione della Commissione il 27 gennaio 2015 presso la sede dell'Agenzia delle dogane, in Roma nel corso della quale sono state esaminate le modalità di azione del servizio di intelligence dell'Agenzia, con particolare riguardo ai controlli sulle importazioni ed esportazioni via Pag. 7mare, che faceva seguito all'audizione del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, Giuseppe Peleggi, il 4 novembre 2014.
  L'indagine conoscitiva proseguiva con una seconda missione a Genova e Imperia dal 18 al 20 febbraio 2015.
  La mattina del 18 febbraio 2015 veniva effettuata una nuova visita al porto di Genova con particolare attenzione ai controlli da parte della locale Agenzia delle dogane sul traffico transfrontaliero con ispezione nelle sedi di movimentazione dei container e verifica dei risultati ottenuti in casi di scoperta di traffici transfrontalieri. Nel pomeriggio è stata svolta una visita al SIN di Cogoleto, in provincia di Genova.
  Il 19 febbraio 2015 al mattino è stata effettuata una visita presso la discarica di Collette Ozotto a Taggia, in provincia di Imperia, mentre nel pomeriggio presso la prefettura di Imperia sono stati auditi i rappresentanti di ACAM SpA della Spezia (Gaudenzio Garavini, Salvatore Cappello, Marco Fanton); il sindaco del comune di Imperia, Carlo Capacci; il procuratore regionale della Corte dei conti, Ermete Bogetti; il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Imperia, Roberto Cavallone, già procuratore della Repubblica di Sanremo e i sindaci di Sanremo, Alberto Biancheri, e di Taggia, Vincenzo Genduso.
  Il giorno 20 febbraio 2015, sempre presso la prefettura di Imperia, sono proseguite le audizioni con il presidente dell'amministrazione provinciale di Imperia, Luigi Sappa, accompagnato dall'assessore all'ambiente, Giovanni Balestra e dal dirigente settore ambiente, territorio e urbanistica, Enrico Lauretti; il sindaco di Ventimiglia, Enrico Iaculano; il presidente e l'amministratore delegato di Idroedil Srl che gestisce la discarica di Collette Ozotto (Carlo Ghilardi e Massimo Ghilardi); il rappresentante della Tradeco Srl che gestisce la raccolta di rifiuti ad Imperia e altri trentacinque comuni della provincia, Giuseppe Calia; mentre non è stata possibile l'audizione del rappresentante della Aimeri Ambiente, addetta alla raccolta rifiuti per altri comuni liguri, in difetto di adeguato livello di rappresentanza. Il legale rappresentante di quest'ultima società è stato convocato e si è presentato in audizione a Roma il 30 marzo 2015.
  Sono stati complessivamente acquisiti centotredici documenti, provenienti da soggetti pubblici e privati.

2. La gestione del ciclo dei rifiuti in Liguria.

2.1 Considerazioni generali.

  La questione che a prima vista emerge, al di là delle varie problematiche specifiche, è la mancanza di una strategia complessiva sulla gestione dei rifiuti nella regione Liguria.
  Nella relazione trasmessa alla Commissione nel dicembre 2014 l'allora presidente della Regione scriveva: «l'assetto impiantistico regionale dedicato ai rifiuti urbani – composto da impianti di discarica, presso i quali viene destinato poco meno del 60 per cento del rifiuto prodotto, con la sola eccezione della provincia di La Spezia, dove è operativo un impianto di trattamento per la produzione di Pag. 8combustibile da rifiuti – risulta interessato da un processo di adeguamento finalizzato a determinare le condizioni operative per il rispetto del principio del trattamento preliminare, introdotto dalla direttiva comunitaria 1999/31, recepito nella legislazione nazionale con il decreto legislativo n. 36 del 2003, e oggetto di due Circolari attuative di fonte ministeriale, nel 2009 e nel 2013».
  In sostanza è l'ammissione della persistenza di una situazione arcaica.
  La regione Liguria è caratterizzata da un territorio di limitata estensione (5.420 chilometri quadrati) sviluppato lungo circa trecentotrenta chilometri di costa, prevalentemente montano e collinare, in cui risiedono circa 1.590.000 abitanti (con una densità di 294 abitanti per chilometro quadrato, quarta in Italia dopo Campania, Lombardia e Lazio), il 55 per cento dei quali nella sola Città metropolitana di Genova.
  Alla forte concentrazione di popolazione si associa un tessuto produttivo influenzato dalla posizione geografica e dall'esteso tratto di costa con la presenza di grandi porti, e da attività turistico-commerciali, costituito prevalentemente da attività artigianali e piccole imprese, operanti nel settore dei servizi, in particolare connessi al turismo, e dell'edilizia; grandi poli industriali, per la raffinazione del petrolio, la cantieristica navale, la produzione di energia.
  La Liguria ha un'elevata produzione pro capite di rifiuti (più 14 per cento rispetto alla media nazionale), anche per il peso della presenza turistica, che nei comuni costieri incide per oltre il 30,3 per cento nel calcolo degli «abitanti equivalenti».
  Proprio perché questa Regione ha particolari caratteristiche orografiche, perché è altamente urbanizzata e perché vi insistono porti, una programmazione adeguata e commisurata a queste caratteristiche avrebbe dovuto essere, invece, una parte fondante delle politiche di gestione.
  Si è ipotizzata, nel corso del tempo, la realizzazione di strutture tecnologicamente avanzate straordinarie che avrebbero dovuto risolvere il problema ma che non sono state realizzate, lasciando esposto il territorio a più livelli di illiceità, solo in parte scoperti e comunque da temere.
  Sarebbe stata probabilmente sufficiente una pianificazione più normale, che curasse l'aumento progressivo della raccolta differenziata, con la realizzazione di centri di compostaggio possibilmente di qualità curando la separazione a monte e il pretrattamento; il tutto in un sistema che non delegasse integralmente la gestione ai comuni, perché la programmazione per essere efficace va legata a territori più vasti. In questo caso la delega della gestione integralmente ai comuni e la frammentazione della gestione non ha funzionato, con cedimento, nei singoli limitati contesti, a interessi poco trasparenti.
  In una situazione complessiva non brillante sia per le aziende che per i cittadini, la Liguria nel 2013 è stata indicata dall'ISPRA come regione in cui il costo pro capite per gestione, raccolta e smaltimento dei rifiuti era tra i più alti in Italia (201,69 euro per abitante per anno).
  Il procuratore regionale della Corte dei conti ha sottolineato in audizione questo dato: ha escluso che il suo ufficio possa occuparsi Pag. 9direttamente di questo problema, non escludendo tuttavia che possa essere materia di intervento della sezione di controllo della Corte dei conti.
  Due punti di vista esterni al sistema di gestione ma di soggetti impegnati nel contrasto alla criminalità, ambientale e non, forniscono importanti chiavi di lettura di questa realtà.
  Ha affermato in audizione il comandante della Legione carabinieri Liguria:
   «Vi è una situazione peculiare della regione Liguria, che conta oltre 1,5 milioni di abitanti, è orograficamente molto particolare, perché chi non è originario del posto e non l'ha vissuta immagina la Liguria come un problema essenzialmente marittimo, mentre la stragrande maggioranza del territorio è montuosa, quindi ha delle peculiarità. È tutta disposta in lunghezza e pur avendo un numero di abitanti non elevatissimo rispetto alle altre, per densità di popolazione è al quarto posto in Italia.
  Allo stesso modo, è al quarto posto, coincidenza significativa, nella produzione di rifiuti. È in una classifica alta. Questo è già un fattore significativo per comprendere lo sviluppo dell'attività. C’è, però, una giustificazione anche per questo: è una regione che basa molto la sua attività economica sul turismo. Nei periodi estivi in particolare, ma non solo, la popolazione residente triplica quindi è comprensibile quest'elevato livello di produzione.
  Il servizio di raccolta dei rifiuti urbani è afflitto dal progressivo esaurimento delle discariche. Non vi sono nel territorio impianti d'incenerimento e termovalorizzazione.
  Anche quello dei rifiuti speciali è un settore molto delicato. In Liguria ci sono dei poli industriali anche piuttosto importanti, ancorché alcuni in crisi, per cui si riscontra la produzione di un buon quantitativo di rifiuti chimici o siderurgici. Esistono la problematica relativa alla portualità, quindi anche alla produzione del settore navale e ferroviario, e quella della produzione di energia elettrica.
  A tutte queste situazioni critiche si aggiungono alcune aree inquinate dalla presenza di insediamenti industriali. La regione ha individuato 174 siti in tutte e quattro le province, dei quali 52 soli sono stati dichiarati definitivamente bonificati.
  Si tratta, quindi, di una serie di criticità dovute anche alla difficoltà dell'individuazione di aree dove realizzare le discariche, come una certa esposizione dei porti liguri, come credo di molti altri porti, alla possibilità di traffici illeciti di rifiuti, con particolare riguardo a quello di Genova e La Spezia.
  Il territorio ligure, insieme alle sue indubbie bellezze naturalistiche del paesaggio, presenta elementi di rilevante fragilità dal punto di vista idrogeologico, come abbiamo constatato recentemente. È quindi anche esposto a rischi ambientali.
  Presenta tuttora rilevanti criticità sotto il profilo dell'inquinamento ambientale a causa di alcune scelte ambientali e una non sempre efficace attività di controllo e prevenzione di rischi ambientali anche a cessate produzioni di alcuni insediamenti industriali. [...] Si evidenziano elementi informativi emersi nei vari procedimenti contro la criminalità organizzata in corso che inducono a mantenere alta Pag. 10l'attenzione sotto il profilo della prevenzione dei fenomeni di criminalità organizzata.
  La regione mostra, inoltre, rischi di permeabilità in alcune società che trattano i rifiuti per conto dei comuni sia per le possibili infiltrazioni di stampo mafioso, sia per fatti corruttivi altrettanto dannosi.
  Vi è anche una situazione di criticità a causa delle limitate residue potenzialità di ricezione dei rifiuti solidi urbani nelle discariche disponibili anche per l'assenza di un accettabile livello di raccolta differenziata. In questo caso, è elemento ulteriore di criticità il fatto che tutte le decisioni costantemente prese in questo settore lo sono con criteri emergenziali e tutti sappiamo che la procedura d'urgenza permette di saltare alcuni scalini, alcuni step importantissimi dal punto di vista del controllo della legalità. Questa costante emergenza facilita la commissione di reati anche nella gestione e nella trasparenza degli appalti».

  E il procuratore della Repubblica di Savona, allargando lo sguardo da specifici procedimenti penali al contesto in cui il ciclo dei rifiuti è stato gestito e al grado di sensibilità degli organismi pubblici alla tutela dell'ambiente, ha affermato: «con i procedimenti penali non si risolvono tutte le questioni. Anzi, molte di queste questioni, che presentano criticità estremamente gravi, non si riescono a ricondurre a qualcosa di penalmente rilevante. [...] Meno ancora la si trova se la cultura dominante – questa, sì, è una cosa da dire in una Commissione parlamentare – è articolata in modo da indagare per escludere e non per trovare. Esiste un problema culturale: un'assenza totale di attività di indagine e di accertamento nella materia, in senso lato, ambientale, che comprende il territorio e il suo sfruttamento. Ci sono camion di rifiuti che scorrazzano da una parte all'altra della Liguria, e non solo della Liguria. Ci sono le cave, per le quali, tutte, appaiono irregolarità non sempre penalmente rilevanti. Poi ci sono le immissioni in atmosfera e i reflui nelle acque».
  Il procuratore della Repubblica di Genova perviene ad analoghe conclusioni descrivendo gli esiti della passata gestione del ciclo dei rifiuti:
   «L'impressione è che alcune situazioni latenti da anni siano esplose anche per l'intervento della magistratura e degli organi di vigilanza che operano come polizia giudiziaria sotto il diretto controllo dell'autorità giudiziaria.
  In precedenza la sensazione è che ci fosse una specie di quieto vivere, per cui si cercava di andare avanti. Ovviamente è chiaro che, anche a prescindere dall'intervento della procura, le situazioni prima o poi arrivano all'ingestibilità, i nodi vengono al pettine.
  In questi ultimi tempi, quindi, queste situazioni sono esplose, sono arrivate a un punto di non ritorno non solo nella città di Genova, che è forse uno dei luoghi più esposti da questo punto di vista per la mancanza di un vero piano di gestione dei rifiuti.
  Qui non sono mai state fatte delle scelte strategiche e adesso l'autorità giudiziaria è gravata di un problema che ovviamente è arrivato a un punto di non gestione e che noi naturalmente non possiamo e non vogliamo gestire, perché non è il nostro ruolo.Pag. 11
  I rifiuti urbani in Liguria sono da decenni sempre finiti in discarica, non si discuteva di quale tipo o quale efficacia potesse avere il pretrattamento, in quanto si era spesso allo stato di pretrattamento zero, quindi ancor prima. Si stanno facendo i conti con questa realtà, perché le discariche prima o poi si sono esaurite o sono diventate ingestibili. Scarpino potrebbe forse non essere completamente esaurita come volumi, anche se i volumi sono molto manovrabili e possono cambiare. Tra l'altro in Liguria le discariche, a differenza di altre regioni, vengono create sulle colline, creando superfici piane o buchi nelle colline, che vengono poi riempiti».

  Si tratta dell'affermazione, da parte di entrambi i magistrati, di una inadeguatezza della supplenza giudiziaria al difetto di controllo preventivo e prima ancora alla insufficiente programmazione e alla mancanza di una cultura di tutela ambientale commisurata alla natura del territorio.

2.2 Situazione attuale.

I rifiuti urbani.

  L'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPAL) insieme alla Regione e agli osservatori provinciali dei rifiuti, fa parte dell'Osservatorio regionale sui rifiuti, istituito con la delibera della Giunta regionale 1337 del 9 novembre 2007, in attuazione dell'articolo 36 della Legge regionale 20 del 2006: l'Osservatorio si occupa di rifiuti urbani e costituisce il punto di raccordo di tutte le attività statistiche e informative del settore, fornisce supporto per l'esercizio delle diverse competenze in materia monitoraggio e controllo, della organizzazione e della programmazione in materia di rifiuti. In particolare l'Osservatorio gestisce le operazioni del Censimento dei rifiuti urbani finalizzate all'accertamento annuale dei risultati di raccolta differenziata, oltre a promuovere e seguire specifiche azioni in materia di rifiuti, comprese quelle di educazione e comunicazione ambientale, nonché la realizzazione di campagne di analisi merceologiche sulla composizione dei rifiuti prodotti in Liguria.
  I dati relativi ai rifiuti urbani, sono stati pubblicati dall'Osservatorio regionale e riportati nella proposta di Piano regionale di gestione dei rifiuti approvata nella seduta della Giunta regionale del 22 dicembre 2014.
  Il calcolo delle percentuali di raccolta differenziata viene effettuato utilizzando la metodologia inizialmente approvata con la deliberazione della Giunta regionale n. 247 del 2008, successivamente integrata con la deliberazione della Giunta regionale n. 181 del 2011 e ad oggi sostituita dalla deliberazione della Giunta regionale n. 1457 del 2014, che include nell'elenco tutte le frazioni di rifiuto differenziato di cui tenere conto.
  La produzione di rifiuti urbani e la percentuale di raccolta differenziata relativi al territorio regionale e provinciale continuano a Pag. 12seguire un andamento costante negli anni. Complessivamente la produzione totale ha avuto una contrazione più rilevante per la provincia di Genova, mentre la raccolta differenziata vede una minima progressione, arrivando a livello regionale a circa il 33 per cento, ma che analizzata nel dettaglio vede un miglioramento per le province di Imperia, Savona e Genova e un calo per la provincia della Spezia. A livello di produzione pro capite si ha un calo generalizzato in tutta la regione fatta eccezione per la provincia di Imperia dove si nota una leggera crescita del pro capite, probabilmente correlata ai flussi turistici.
  Nella tabella che segue sono riportati i dati forniti da ARPAL relativi alla quantità prodotta, alla produzione procapite e alla raccolta differenziata nel triennio 2011-2013.

  Con la II nota sintetica di approfondimento di luglio 2015 la regione Liguria ha presentato un aggiornamento dei dati forniti in precedenza dall'ARPAL sulla produzione totale e pro capite dei rifiuti urbani, sulla percentuale di raccolta differenziata e relativo pro capite nell'anno 2014.

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  Con la stessa nota la regione Liguria indica i comuni del proprio territorio che superano, nel 2014, il 65 per cento di raccolta differenziata; si tratta di 16 comuni, tutti con popolazione inferiore a 15.000 abitanti (9 in provincia di Savona, 4 in provincia di Genova, 2 in provincia di Imperia e uno in provincia di La Spezia). Trattandosi di piccoli comuni la produzione totale dei rifiuti e le quantità raccolte in maniera differenziata appaiono poco significative.
  Riguardo ai comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, tra cui i capoluoghi di provincia, le percentuali di raccolta differenziata superano il 30 per cento a Genova (33,7 per cento), La Spezia (38,2 per cento) e Imperia (31,1 per cento), mentre rimane sotto tale soglia la città di Savona (25,2 per cento).
  A livello regionale, secondo i dati 2014 la regione raggiungerebbe il 35,9 per cento di raccolta differenziata, facendo registrare un aumento di 2,8 punti percentuali rispetto al 2013. Il quadro complessivo mostra tuttavia che nonostante i miglioramenti, la situazione relativa al ciclo di gestione dei rifiuti urbani rimane complessa associandosi al mancato decollo delle raccolte differenziate il peggioramento della situazione impiantistica.
  I dati dell'Istituto superiore per la promozione e la ricerca ambientale (ISPRA) relativi al quinquennio 2009/2013 sulla produzione e raccolta differenziata di rifiuti urbani in Liguria documentano una riduzione della produzione dei rifiuti urbani di oltre 88 mila tonnellate, equivalente a una diminuzione percentuale del 9 per cento.

Tabella 2 – Produzione e raccolta differenziata RU, anni 2009-2013.

Fonte ISPRA

  La raccolta differenziata nello stesso arco di tempo fa, invece, registrare un aumento di oltre 42 mila tonnellate, equivalenti ad un incremento percentuale del 17,6 per cento. La percentuale di raccolta differenziata mostra un costante incremento raggiungendo nel 2013 il 31,5 per cento, ( 7,5 punti percentuali). I dati ISPRA appaiono non completamente allineati con i dati ARPAL, va, tuttavia, evidenziato che, in particolare, per quanto attiene alla percentuale di raccolta differenziata la metodologia ISPRA, in attesa di una metodologia da utilizzarsi a livello nazionale prevista da un decreto del Ministero dell'ambiente mai emanato, è utilizzata da oltre un decennio e consente di omogeneizzare e armonizzare i dati regionali assicurando serie storiche comunicate alla Commissione europea.
  L'andamento del pro capite regionale di produzione nei cinque anni mostra una curva con il suo punto più alto nel 2010 (613 chilogrammi per abitante all'anno) e poi una costante diminuzione nei Pag. 14tre anni a seguire raggiungendo nel 2013 i 559 chilogrammi per abitante all'anno.
  Prendendo, invece, in analisi il pro capite di produzione a livello provinciale, si può notare come Savona (626 chilogrammi per abitante all'anno) e Imperia (608 chilogrammi per abitante all'anno) presentino valori ben al disopra del valore regionale di 559 chilogrammi per abitante all'anno.

  Figura 1 – Produzione pro capite RU, anni 2009-2013.

Fonte ISPRA

  L'andamento del pro capite della raccolta differenziata regionale nei cinque anni mostra una moderata crescita fino al 2012, per poi assestarsi nel 2013 a 176 chilogrammi per abitante all'anno su valori simili a quelli del 2011.

  Figura 2 – Raccolta differenziata pro capite, anni 2009-2013.

Fonte ISPRA

  Nel 2013, a livello provinciale, si può notare che la maggior percentuale di raccolta differenziata si riscontra a Savona (34,8 per cento), seguita da Genova (32,6 per cento), meno significative le performance della Spezia (27,8 per cento) e Imperia (26,7 per cento) (tabella 3).

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Tabella 3 – Produzione e raccolta differenziata RU a livello provinciale, anno 2013.

Provincia POP RD (t) RU (t) per cento RD Pro Capite Produzione (kg)
IMPERIA 217.703 35.377,74 132.506,21 26,70 per cento 608,66
SAVONA 283.813 61.859,98 177.670,79 34,82 per cento 626,01
GENOVA 868.046 149.507,88 458.360,26 32,62 per cento 528,04
LA SPEZIA 222.377 33.731,66 121.356,28 27,80 per cento 545,72

Fonte ISPRA

  Analizzando il dettaglio della raccolta differenziata nel 2013 a livello regionale si può notare che la frazione con il maggior peso sia quella della carta (33 per cento della raccolta totale), seguita poi dal vetro (17 per cento) e dal verde e il legno (oltre il 10 per cento).

Tabella 4 – Dettaglio della Raccolta differenziata a livello provinciale, anno 2013 (t).

Fonte ISPRA

  Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani, il sistema fino ad oggi adottato risulta fortemente dipendente dagli impianti di discarica, realizzati nei decenni scorsi e che, tramite successive operazioni di ampliamento, costituiscono tutt'oggi la risorsa principale che avrebbe dovuto garantire l'autonomia gestionale all'interno del territorio ligure.
  Tutte le altre forme di gestione appaiono residuali. I cinque impianti di compostaggio regionali hanno trattato nel 2013 solo 24 tonnellate di frazione organica (umido verde) (tabella 5); inoltre la frazione umida (4.885 tonnellate) viene trattata unicamente in un impianto situato nella provincia di La Spezia. Tale situazione documenta come, nonostante gli incrementi registrati nel biennio 2012-2013, il recupero della frazione organica sia veramente modesto. In Liguria non è presente alcun impianto di digestione anaerobica.

Tabella 5 – Compostaggio dei rifiuti, anni 2011-2013.

Fonte ISPRA

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Tabella 6 – Impianti di compostaggio (tonnellate), anno 2013.

Fonte ISPRA
Note:
  (1) Rifiuti di carta, cartone, legno, rifiuti provenienti da comparti industriali (agro alimentare, tessile, carta, legno).
  (2) Acv= ammendante compostato verde.
  (3) Acm= ammendate compostato misto.

  Il trattamento meccanico biologico, utilizzato unicamente come forma di pretrattamento dei rifiuti da avviare in discarica, fa registrare nel 2013 una diminuzione delle quantità trattate che passano da oltre 178 mila tonnellate del 2012 a 160 mila del 2013 (- 10,1 per cento) . Sono operativi solo due impianti nelle province di La Spezia e Imperia, mentre le altre tre province, a partire dalla provincia di Genova, ne sono del tutto prive (tabella 6).
  Tale situazione fa sì che oltre il 73 per cento dei rifiuti allocati in discarica non sia sottoposto ad alcuna forma di pretrattamento che risulta, invece, obbligatorio in base alla disciplina comunitaria (direttiva 1999/31/CE) e nazionale (articolo 7 del decreto legislativo n. 36 del 2003).
  La dotazione impiantistica della regione Liguria è sicuramente carente: oltre a quanto detto sugli impianti di compostaggio e trattamento meccanico biologico, va infatti rilevata l'assenza di impianti di incenerimento con recupero energetico dei rifiuti, dunque nemmeno l'ipotesi residuale del ciclo dei rifiuti può essere gestita nella regione.
  Dovranno essere incentivate e divulgate a livello scolastico e della popolazione generale forme virtuose di gestione dei RSU come il compostaggio domestico che consentirebbe in un territorio prevalentemente collinare come quello ligure di affrontare la gestione del rifiuto umido e di ridurre la pressione sugli impianti di smaltimento, o in alternativa il compostaggio di comunità, che consentirebbe oltretutto un notevole risparmio non basandosi neppure per il sostentamento dell'impiantistica su incentivi milionari. Altrettanto è a dirsi quanto a una adeguata filiera di recupero della materia a valle della raccolta differenziata.

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Tabella 7 – Impianti di trattamento meccanico biologico (tonnellate), anno 2013.

Fonte ISPRA
Note:
  (1) Tipologia dei materiali in uscita: BS= biostabilizzato; BE= bioessiccato; FS= frazione secca; fraz. Umida; fraz. org. non compostata (190501); CSS

  Secondo i dati ARPAL nel 2013 sono state complessivamente conferite in discarica 508.305 tonnellate di RU. I quantitativi maggiori smaltiti nella provincia di Genova e nello specifico nella discarica di Scarpino (270.692 tonnellate).

Fonte ISPRA

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  Nel corso degli ultimi cinque anni il numero delle discariche operative si è sensibilmente ridotto, con la chiusura definitiva di alcuni impianti giunti a saturazione e avviati quindi alle procedure di verifica post gestionale (è il caso degli impianti di Magliolo e Cima Montà in provincia di Savona, di Ponticelli ad Imperia, della discarica di Varese Ligure in provincia della Spezia), ovvero assoggettati ad una fase di gestione finale (Val Bosca e Valle Scura in provincia della Spezia).
  Occorre inoltre tenere presente le modifiche intervenute nella disciplina inerente la classificazione e il conferimento delle diverse tipologie di rifiuti in discarica, conseguente al decreto legislativo n. 36 del 2003, che hanno determinato il venir meno della distinzione fra discariche per rifiuti urbani e discariche per rifiuti speciali.
  La cartina seguente riporta la localizzazione delle discariche in esercizio a dicembre 2011: attualmente peraltro, come si dirà, tutte le discariche (a eccezione di Collette Ozotto in provincia di Imperia e di Rio Marsiglia in provincia di Genova) risultano chiuse.

Fonte ISPRA

  Complessivamente la quantità di rifiuti conferiti in discarica vede una riduzione di circa il 7 per cento per il 2013 rispetto all'anno precedente, ma i rifiuti biodegradabili smaltiti in discarica restano sempre notevolmente più elevati rispetto al limite di legge stabilito in 115 chilogrammi per abitante anno al 2011 e sensibilmente superiori alla media nazionale. Tale situazione è dovuta, come evidenziato, alla mancanza nella maggior parte dei casi di intercettazione della frazione organica, e alla carenza di impianti di compostaggio ovvero di digestione anaerobica.
  La tabella 9 confronta il pro capite di produzione con quello dei rifiuti smaltiti in discarica. Va segnalato che il pro capite nazionale è pari nel 2013 a 180 chilogrammi per abitante per anno, facendo Pag. 19registrare una diminuzione, rispetto al 2012, di ben 16 chilogrammi A parte la Sicilia in cui il pro capite è pari a 437 chilogrammi per abitante per anno e al Molise che arriva a 447 chilogrammo/anno, ma che smaltisce rifiuti provenienti da altre regioni, è proprio la Liguria ad avere il pro capite più alto.
  È noto che le performance migliori si riscontrano in regioni come la Lombardia (solo il 6 per cento dei rifiuti prodotti smaltiti in discarica e un pro capite di 27 chilogrammi per abitante per anno), ma anche il Friuli Venezia Giulia (30 chilogrammi), il Veneto (40 chilogrammi), il Trentino Alto Adige (89 chilogrammi). In questi contesti territoriali del Nord, ma anche in altre regioni del Centro (Marche) e del Sud (Abruzzo, Sardegna) risulta realizzato un sistema integrato di gestione dei rifiuti urbani caratterizzato da elevati livelli di raccolta differenziata, basse percentuali di smaltimento in discarica di rifiuti pretrattati, elevate percentuali di recupero di materia e recupero energetico dei rifiuti residui.

Tabella 9 - Confronto tra il pro capite di rifiuti urbani smaltiti in discarica e il pro capite dei rifiuti prodotti, anno 2013

  Elaborazione ISPRA su dati ARPAL

  Nel 2018 l'obiettivo da raggiungere per i RUB in discarica è di 81 chilogrammi per abitante per anno. La Liguria, con 214 chilogrammi per abitante per anno, stimati da ISPRA nel 2013, è ben lontana dal target; invece le regioni prima citate, caratterizzate da basse percentuali di rifiuti allocati in discarica, ma anche il Piemonte e l'Emilia Romagna, non solo hanno ampiamente raggiunto l'obiettivo di riduzione dei RUB fissato per il 2011 ma hanno anche superato o sono prossime a raggiungere l'obiettivo del 2018.
  Va anche detto che la Liguria, con il 73 per cento di rifiuti allocati in discarica senza trattamento, come previsto dalla direttiva 1999/31/CE e dal decreto legislativo n. 36 del 2003 (e con la precisazione dei contenuti minimi essenziali che le attività di trattamento devono osservare per i rifiuti da allocare in discarica di cui alla circolare del Ministero dell'ambiente, n. 0042442/GAB del 6 agosto 2013), in una condizione che dal punto di vista gestionale si deve definire di emergenza e che da quello formale, in relazione alle diverse situazioni locali potrebbe qualificarsi come irregolare, illegittima o illecita.
  Sotto il profilo amministrativo la citata circolare ha invitato le regioni ad adottare le iniziative necessarie, in termini di attuazione della pianificazione con particolare riferimento alla gestione dei rifiuti urbani, al fine di rispettare gli obiettivi stabiliti dalle norme comunitarie.
  Nelle more della definizione di tali iniziative da parte della Regione, però indagini della procura della Repubblica di Genova, che si è avvalsa anche di ARPAL, hanno portato nel corso del 2014 a Pag. 20censurare la gestione della discarica AMIU di Scarpino – Genova, l'impianto di maggiori dimensioni della Liguria: gli addebiti sono essenzialmente legati al mancato rispetto dei requisiti di accesso alla discarica dei rifiuti urbani conferiti, che venivano solo parzialmente trattati e quindi non conformi ai requisiti di legge, alla stabilità del corpo di discarica e allo sversamento di percolato.
  Essendo poi nel frattempo in scadenza le autorizzazioni AIA di altre discariche ovvero in chiusura altri siti di discarica, in questo momento l'intero territorio regionale sta attraversando un periodo di forte criticità, che potrà terminare solo con la realizzazione dei necessari impianti di pretrattamento dei rifiuti e l'aumento del livello di raccolta differenziata.
  Attualmente, come segnalato, tutte le discariche (ad eccezione di Collette Ozotto in provincia di Imperia e di Rio Marsiglia in provincia di Genova) sono chiuse in attesa che vengano approvati (e realizzati) gli impianti di trattamento e i rifiuti vengono conferiti fuori Regione in base agli accordi interregionali conclusi in passato e rinnovati dalla regione Liguria nel corso del 2014.
  In sintesi, per quanto riguarda la formalizzazione delle «tattiche contingenti» e non «strategie» che nell'ultimo periodo la regione ha posto in essere vale il richiamo alla relazione trasmessa alla Commissione dall'allora presidente della Regione nel dicembre 2014, che così le descrive: «al fine di affrontare la situazione in modo organico, la Regione ha approvato la legge n. 21 del 24 febbraio 2014, che, all'articolo 5, dettagliava contenuti e modalità procedurali ai fini dell'adeguamento degli impianti di discarica esistenti ai disposti della circolare del Ministero dell'ambiente del 6 agosto 2013. Era previsto, per gli impianti di discarica per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, l'obbligo di adeguare entro il 31 dicembre 2015 il proprio ciclo gestionale, introducendo sistemi di trattamento del rifiuto indifferenziato che prevedano necessariamente la separazione fra la frazione secca e la frazione umida del rifiuto, e la successiva stabilizzazione di quest'ultima. Nelle more della realizzazione degli interventi in oggetto, la prosecuzione delle attività di smaltimento risultava condizionata esclusivamente alla definizione e approvazione da parte della provincia di programmi di intervento presentati sia da parte del soggetto gestore dell'impianto di discarica – con conseguente adeguamento dei provvedimenti autorizzativi in corso – sia da parte dei comuni che conferiscono i propri rifiuti urbani presso quell'impianto. A seguito dei rilievi formulati da parte del Ministero dell'Ambiente circa il contrasto dell'articolo 5 della legge regionale n. 21 del 2014, che inseriva l'articolo 24 bis nella legge regionale n. 1 del 2014, recante disposizioni urgenti per gli impianti di discarica, con la normativa nazionale in materia di impianti di discarica (decreto legislativo n. 36 del 2003 articolo 7), e quindi con l'articolo 117, secondo comma, lett. s) della Costituzione, si è proceduto all'abrogazione dell'articolo 5 citato con legge n. 35 del 19 novembre 2014. In merito ai processi di pretrattamento la Regione ha approvato nel mese di ottobre 2014 una nuova deliberazione, n. 1293 del 21 ottobre 2014 recante «Integrazione Linee guida per le attività di trattamento sui rifiuti preliminari al conferimento in discarica, decreto legislativo n. 36 del 2003».Pag. 21
  In siffatta situazione, ancora una volta l'allora presidente si deve richiamare alle necessità di «provvedimenti per la gestione del periodo di emergenza», che si sono sostanziati nel trasporto dei rifiuti in altre regioni.
  Questa situazione di emergenza o para-emergenza ricade su tutto il territorio regionale: esemplificativo del corto respiro che questa situazione produce è quanto riferito nella relazione del prefetto di Savona» il sistema di gestione dei rifiuti urbani, relativamente al territorio della provincia di Savona, si è trovato esposto al rischio concreto di entrare in situazione di emergenza, a causa della impossibilità di continuare ad utilizzare gli impianti di discarica esistenti, nelle more della realizzazione degli interventi di adeguamento previsti e della inesistenza di soluzioni alternative per una gestione controllata dei rifiuti indifferenziati prodotti. Pertanto, ai fini della tutela igienico-sanitaria della popolazione nonché del decoro urbano, e per scongiurare la possibilità che, in assenza di alternative allo smaltimento in discarica, i rifiuti conferiti dai cittadini potessero stazionare indefinitamente per le strade e accumularsi ivi in modo caotico, si è reso necessario individuare strumenti che potessero contemperare l'esigenza di garantire la continuità del servizio, con la necessità di realizzare gli adeguamenti strutturali e gestionali necessari agli impianti di discarica, individuando tutte le misure che fossero in grado, in termini immediati, di ridurre l'impatto delle attività di smaltimento. In tale ottica sono state emanate dalla provincia, per gli impianti di discarica per rifiuti urbani dotati di autorizzazione integrata ambientale in corso di validità con volumetrie di abbancamento a disposizione, che avessero presentato un programma di adeguamento alle disposizioni emanate in materia dal Ministero dell'ambiente, apposite ordinanze contingibili e urgenti ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, con l'obiettivo di consentire ai rispettivi gestori di continuare, nelle more di detto adeguamento, lo smaltimento dei rifiuti nei propri impianti».

I rifiuti speciali

  I dati sulla produzione e gestione dei rifiuti speciali sono relativi all'anno 2013 e sono stati comunicati sia dall'ARPAL con la relazione sull'attività espletata dall'Agenzia del 13 gennaio 2015 (doc. n. 119/2), sia dalla regione Liguria con la nota sintetica di approfondimento di maggio 2015 (doc. n. 410/2). La regione fornisce anche specifiche informazioni sulla produzione e gestione dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione, sui rifiuti di amianto e sulle terre e rocce da scavo. Per quest'ultime il Piano regionale riportava già una previsione della produzione complessiva derivante da «grandi opere» distinguendo, laddove possibile, le quantità di terre e rocce classificabili come sottoprodotti da quelle trattate come rifiuti. Si tratta di ingenti quantità: quasi 16 milioni di metri cubi di terre e rocce da scavo utilizzate come sottoprodotti e circa 2 milioni di metri cubi gestite come rifiuti.
  La nota della regione di maggio 2015 aggiorna i dati contenuti nel Piano rifiuti prevedendo che per il progetto «nodo di Genova» le Pag. 22quantità complessive di 761.000 metri cubi prima considerate tutte come sottoprodotti siano gestite per 490.000 metri cubi come sottoprodotti e 271.000 come rifiuti. Cresce, dunque, a valle della caratterizzazione la quota complessiva dei rifiuti da gestire.
  La fonte di informazione per la quantificazione dei rifiuti speciali prodotti e gestiti è rappresentata dalle dichiarazioni MUD elaborate dalla sezione regionale del catasto dei rifiuti di cui all'articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Come dichiara la stessa ARPAL i dati relativi alla produzione di rifiuti speciali, desunti dai MUD, non possono sicuramente essere considerati esaustivi visto che la norma non prevede l'obbligo di dichiarazione MUD per tutti i produttori di rifiuti.
  Per quanto riguarda i rifiuti inerti non pericolosi, vista l'esenzione dalla dichiarazione MUD per i produttori di questa tipologia di rifiuti, l'ARPAL ha deciso di stimare il dato di produzione a partire dalla quantità di rifiuto gestito e dichiarato dagli impianti di gestione rifiuti. In particolare, è stato valutato che la maggior parte dei rifiuti inerti prodotti in Liguria o vengono trattati in impianti presenti in regione oppure sono inviati a impianti regionali di messa in riserva (R13) prima di essere inviati a trattamento fuori regione. Pertanto l'Agenzia ha deciso di indicare come dato di produzione la quantità di rifiuto non pericoloso con codice CER 17 (rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione) ricevuto in ingresso dagli impianti liguri da soggetti operanti in regione Liguria.
  Il dato viene considerato affetto da errori in quanto alcuni flussi potrebbero essere inviati direttamente ad impianti fuori regione (e quindi sfuggire ai conteggi) e d'altro canto alcuni quantitativi potrebbero essere inviati dal produttore ad impianti di messa in riserva che a loro volta potrebbero nell'anno di riferimento inviare i rifiuti a trattamento presso impianti anch'essi siti in Liguria, con conseguente duplicazione del dato.
  Nel 2013 i rifiuti speciali complessivamente prodotti dalla regione Liguria sono stati circa 4,6 milioni di tonnellate di cui oltre 4,4 milioni di rifiuti non pericolosi e circa 142.000 tonnellate di rifiuti pericolosi. La produzione risulta nel 2013 in diminuzione rispetto all'anno precedente sia per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi che i rifiuti pericolosi rispettivamente pari, nel 2012, ad oltre 4,6 milioni di tonnellate e a circa 159.000 tonnellate.
  I rifiuti inerti non pericolosi, interamente stimati, sono nel 2013, 2.886.276 di tonnellate, in calo rispetto all'anno 2012 in cui si registrava un valore di oltre 3 milioni di tonnellate mentre i rifiuti pericolosi risultano pari a 8.863 tonnellate.
  La relazione dell'ARPAL fornisce anche il quadro impiantistico ligure nel triennio 2011-2013, elaborato dalla sezione regionale del Catasto dei rifiuti, sulla base delle informazioni fornite dalle province in qualità di enti competenti al rilascio delle autorizzazioni ai sensi della legge regionale n. 18 del 1999.
  L'elenco fornito riporta le cinque discariche per rifiuti non pericolosi ricadenti nel regime dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), nonché gli impianti di trattamento di rifiuti pericolosi e non (in totale 11) e un impianto di fusione di metalli non ferrosi che tratta anche rifiuti, tutti operanti in regime di AIA.Pag. 23
  Il quadro è completato dall'elenco delle quattro discariche per rifiuti inerti, localizzate due in provincia di Imperia, e una rispettivamente in provincia di Genova e La Spezia. I dati relativi alla capacità residua al 31 dicembre 2012 documentano una scarsa volumetria di trattamento rispetto alle considerevoli quantità di rifiuti inerti prodotti.
  L'ARPAL dichiara che la situazione impiantistica ligure, se si escludono gli impianti soggetti ad AIA e le discariche di inerti, è costituita per lo più da piccole realtà; in totale 116 impianti operanti in regime ordinario ex articolo 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e 309 in regime semplificato ex articolo 216. Non viene tuttavia fornito alcun dettaglio sulle quantità di rifiuti trattati nell'anno 2013 e sulla capacità complessiva autorizzata, detti dati sono tuttavia indispensabili per valutare l'adeguatezza dell'offerta impiantistica riguardo al trattamento dei rifiuti speciali sia pericolosi che non pericolosi.
  La nota sintetica di approfondimento della regione Liguria di maggio 2015 (doc. n.410/2) fornisce informazioni sui rifiuti speciali in generale e sui soli rifiuti inerti da costruzione e demolizione: vengono individuate tre tipologie di gestione: smaltimento in discarica, altre operazioni di smaltimento e operazioni di recupero. I dati mostrano che i rifiuti inerti sono quasi totalmente avviati ad operazioni di recupero, tuttavia non identificate (2.766.258 tonnellate rispetto alle 2.886.276 tonnellate prodotte), residuali sono i quantitativi smaltiti in discarica (circa 75.000 tonnellate) ovvero avviati ad altre operazioni di smaltimento (21.600 tonnellate). Anche i rifiuti speciali diversi dagli inerti vengono principalmente recuperati (circa 1,2 milioni di tonnellate), ma significative sono anche le quantità avviate ad altre operazioni di smaltimento (circa 916.000 tonnellate) e allo smaltimento in discarica (oltre 256.000 tonnellate). Le stesse informazioni vengono fornite sui rifiuti pericolosi; le quantità complessivamente gestite, oltre 82.000 tonnellate, sono decisamente inferiori rispetto alle quantità prodotte anche se i dati forniti sembrerebbero escludere i quantitativi relativi ai veicoli fuori uso pericolosi. Nessun rifiuto speciale pericoloso e rifiuto inerte pericoloso viene allocato in discarica; per i rifiuti speciali la forma di gestione più diffusa è il recupero, mentre gli inerti, presumibilmente cemento amianto o altri rifiuti di amianto, sono principalmente destinati ad altre operazioni di smaltimento.
  I rifiuti di amianto rappresentati da «materiali isolanti contenenti amianto» (CER 170601), «materiali da costruzione contenenti amianto» (CER 170605) e in piccolissima parte da «imballaggi metallici contenti matrici porose e pericolose» (CER 150111) sono stimati dalla regione nel 2011 pari a circa 4.000 tonnellate di cui circa 3.700 rappresentati da «materiali da costruzione contenenti amianto».
  Tale quantità potrebbe essere sottostimata perché piccoli cantieri che effettuano la rimozione di rifiuti di amianto potrebbero avere la sede legale fuori regione e, quindi, effettuare la dichiarazione MUD presso la Camera di commercio della propria sede legale.
  Le operazioni di raccolta, trasporto, stoccaggio e smaltimento dei rifiuti contenenti amianto, sono disciplinate dalle disposizioni di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonché dal decreto Pag. 24ministeriale 29 luglio 2004, n. 248 (Regolamento relativo alla determinazione e disciplina delle attività di recupero dei prodotti e beni di amianto) e dal decreto ministeriale 27 settembre 2010 (Criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica).
  In particolare, l'allegato 2 di quest'ultimo decreto ministeriale, dispone che i rifiuti di amianto possono essere conferiti in:
   discarica per rifiuti pericolosi, solo se dedicata o dotata di cella dedicata;
   discarica per rifiuti non pericolosi, dedicata o dotata di cella monodedicata per i rifiuti individuati dal CER 170605; inoltre, possono essere conferite anche altre tipologie di rifiuti contenenti amianto, purché sottoposti a preventivo processo di trattamento, ai sensi delle disposizioni di cui al decreto ministeriale 248 del 2004 e nel rispetto dei valori fissati dal decreto stesso, verificati con periodicità stabilita dall'autorità competente presso l'impianto di trattamento.

  In Liguria non sono presenti discariche per rifiuti pericolosi ed esiste solo una discarica con cella monodedicata, Bossarino a Vado Ligure, che può ricevere solo rifiuti di cemento amianto non friabili e senza fibre libere.
  Nel 2011 la regione dichiara di aver allocato nella discarica di Bossarino a Vado Ligure 787 tonnellate di rifiuti contenenti amianto e di averne stoccato 100 tonnellate per il successivo invio fuori regione o nella stessa discarica di Vado Ligure nell'anno successivo. Tutto il resto, quasi 3.150 tonnellate sarebbero state smaltite fuori Regione.
  Appare evidente la carenza impiantistica dedicata a questa tipologia di rifiuti rilevante in termini di pericolosità.
  I dati sui rifiuti speciali importati/esportati sono, invece, forniti da ARPAL, si riferiscono all'anno 2011 e sono desunti dalle dichiarazioni MUD. In particolare nel 2011 sono stati inviati ad impianti di altre regioni quasi un milione di tonnellate di rifiuti non pericolosi e circa 80.000 tonnellate di rifiuti pericolosi; i rifiuti invece, provenienti da altre regioni e trattati in impianti liguri sono pari a 850.000 tonnellate di rifiuti non pericolosi e circa 28.000 tonnellate di rifiuti pericolosi.
  L'Agenzia evidenzia che, a causa della struttura della dichiarazione MUD, non è in grado di risalire alla tipologia di impianti di destinazione dei rifiuti esportati e, quindi, non è possibile neanche sapere quanti rifiuti siano andati ad impianti di recupero e quanti a smaltimento nelle diverse regioni italiane.
  L'analisi dei dati mostra come il Piemonte, la Lombardia, la Toscana e l'Emilia Romagna siano le regioni a cui sono destinati i maggiori quantitativi sia di rifiuti non pericolosi che pericolosi. La medesima situazione si riscontra anche per le importazioni di rifiuti.
  Per quanto riguarda i dati relativi al trasporto transfrontaliero, desunti sempre alle dichiarazioni MUD relative all'anno 2011, mostrano che sono state esportate 33.259 tonnellate di rifiuti, di cui 3.679 tonnellate di rifiuti pericolosi.
  Le maggiori quantità di rifiuti non pericolosi sono state esportate in Germania (oltre 16.000 tonnellate), seguita dall'Ungheria (circa 6.000 tonnellate) e dalla Svizzera (oltre 3.500 tonnellate). Anche i rifiuti pericolosi sono stati esportati principalmente in Germania (quasi 3.000 tonnellate).Pag. 25
  I rifiuti importati ammontano a 12.476 tonnellate e riguardano totalmente rifiuti non pericolosi; le maggiori quantità provengono dalla Francia, seguita dalla Germania e dalla Svizzera.
  Nell'audizione del direttore generale ARPAL si è colto un quadro sintetico dell'esito delle politiche di gestione del ciclo dei rifiuti del passato: «la particolare criticità del territorio ligure è soprattutto connessa allo smaltimento dei rifiuti, in quanto di tutte le discariche operative fino a poco tempo ne sono rimaste operative soltanto poche. Una si trova a Imperia, e peraltro in quella di Collette Ozotto il Lotto 5 è in chiusura, perché concluderà l'abbancamento di rifiuti entro questo gennaio, mentre il Lotto 6, che dovrebbe essere l'ampliamento, è attualmente sotto sequestro da parte della procura. Le tre della Spezia sono chiuse e ormai esaurite, ce ne sono due a Savona, Boscaccio e Ramognina, mentre a Genova delle cinque che erano attive fino a poco tempo fa tre sono esaurite e Scarpino e Rio Marsiglia sono chiuse per problemi. La criticità deriva quindi soprattutto dalla mancanza di impianti di pretrattamento dei rifiuti, che consentirebbero il conferimento in discarica. Naturalmente la chiusura di Scarpino, che è la discarica più grande della provincia di Genova, rende necessario il conferimento dei rifiuti fuori dalla provincia in virtù di accordi siglati dalla regione Liguria con altre amministrazioni.
  A sua volta il direttore del dipartimento di Genova dell'ARPAL ha precisato: «la discarica di Ca’ da Matta a Sestri Levante ha ampiamente raggiunto le volumetrie disponibili, quindi non c’è più alcuna possibilità di conferimento di rifiuti già dalla primavera scorsa. Per quanto riguarda una discarica di amianto vera e propria, c'era forse la discarica di Bossarino in provincia di Savona che era autorizzata a riceverlo, ma ad oggi discariche per amianto in Liguria non ci sono, tanto che la problematica dell'eventuale individuazione dei rifiuti di amianto e del conferimento in discarica è una problematica piuttosto importante e di conseguenza costosa. Non risulta che ci sia un piano in merito all'amianto».
  Ma anche voci non strettamente tecniche delineano il «collasso annunciato» della gestione del ciclo dei rifiuti in Liguria, di cui semmai vanno evidenziate le potenzialità negative in termini di illegalità diffusa ovvero di interesse di realtà criminali strutturate.
  Il prefetto di Genova ha così sintetizzato la situazione della più popolosa provincia ligure: «La situazione in provincia è caratterizzata in questo momento da ritardi e rilevanti criticità. Poiché la gestione del ciclo dei rifiuti era basata ancora sull'utilizzo delle discariche, è venuta progressivamente collassando, fino a raggiungere nel 2014 la situazione attuale, in cui tutte le discariche presenti nel territorio, cioè quelle di Rio Marsiglia ad Uscio e Tribogna, di Ca’ da Matta, di Birra e di Malsapello sono ormai inutilizzabili. Recentemente è stata chiusa anche la discarica di Scarpino, dove venivano conferiti i rifiuti di gran parte della provincia ora area metropolitana, che si estende su un'area di mezzo milione di metri quadrati e nella quale conferivano i rifiuti, oltre al comune capoluogo, 23 sugli ulteriori 66 comuni della provincia. Si tratta di una struttura particolarmente importante, quindi questa situazione ha messo in crisi l'attuale sistema di gestione dei rifiuti, in gran parte ancora basato sul conferimento in discarica.Pag. 26
[...] Per superare la fase di criticità conseguente alla chiusura della discarica di Scarpino, è stato necessario conferire i rifiuti fuori regione, con un conseguente aggravamento di costi e difficoltà sul territorio in relazione alle modalità di regolare prelievo dei rifiuti e quindi criticità che di volta in volta si sono manifestate, senza tuttavia arrivare finora a una situazione che si possa definire emergenziale, ma sicuramente con delle gravi difficoltà».
  In questa situazione il ricordato intervento della magistratura ha costituito un inevitabile sviluppo, che evidentemente non costituisce soluzione di storici problemi ma segnale di un punto di non ritorno.
  In questa situazione critica incombono ulteriori esigenze specifiche determinate allo sviluppo della regione Liguria.
  È stato da più parti segnalato il problema della gestione delle terre e rocce da scavo, legato in principalità ma non esclusivamente al tema delle grandi opere.
  Il delegato per la Liguria del WWF ha sottolineato: «In Liguria sono in corso due grandi opere, il Terzo valico e l'Aurelia-bis di Savona. Negli anni l'iter ha portato all'autorizzazioni di questi siti, ma peccato che per l'individuazione dei siti in cui questi materiali di scarto di lavorazioni devono essere destinati non c’è stata chiarezza, tanto che adesso ci sono alcune delibere di Giunta regionale dello scorso anno 2014 a individuare circa una trentina di siti dove stoccare questi materiali. Nel documento sono elencati i siti e le numerose criticità. La destinazione è a «riqualificazioni» ma questi materiali escono come rifiuto. Viene elencata una parte di siti, nella Val Bormida in provincia di Savona abbiamo quattro o cinque progetti presentati per riqualificazione ambientale: ci sono siti già abbandonati quarant'anni fa, troviamo già il bosco, la vegetazione che li ha coperti, 300-400.000 metri cubi da bancare per riqualificare. Questo appare sospetto. Un altro caso ad Albissola, è quello di un green park, un parco divertimenti in una zona priva di viabilità, completamente inedificata, 400.000 metri cubi da portare in cima a una valle per realizzarlo. Questo è attualmente in fase di valutazione ambientale strategica, la Soprintendenza ha espresso parere negativo.
  Il procuratore della Repubblica di Genova ha precisato che, pur non essendovi procedimenti penali in corso il problema è all'attenzione preventiva dell'autorità giudiziaria, aggiungendo alle due opere sopra citate la riqualificazione del nodo ferroviario di Genova, con importanti opere sotterranee, e gli interventi per contenere i fenomeni di alluvione con la prevista realizzazione di scolmatori; il procuratore della Repubblica di Imperia ha riferito di un monitoraggio da parte del Corpo forestale dello Stato sul movimento terra.
  L'audizione dell'allora presidente della regione Liguria è stata occasione per consentire allo stesso di illustrare, dal suo punto di vista, le ragioni che hanno portato alla situazione attuale:
  «In tutte queste realtà che riguardano i rifiuti, a La Spezia, a Genova e a Savona, noi non abbiamo avuto segnalazioni, impressioni o elementi per dire che in queste vicende ci siano stati tentativi di infiltrazioni. Non sto dicendo che non ci siano stati.
  Del resto, AMIU è un'operazione tutta pubblica, così come ACNA.
  Nel savonese le discariche sono di proprietà pubblica, ma ci sono delle realtà private. È vero che con gli scenari di oggi quella realtà Pag. 27ha qualche società in un Paese comunitario, che è il Lussemburgo, però noi qui non abbiamo mai avuto problemi da questo punto di vista.
  Molto più complicata è la situazione di Imperia. Lì c'erano due discariche: a Ponticelli e a Collette Ozotto a Taggia, nell'area ancora più a Ponente.
  Nonostante le reiterate richieste, addirittura lì si agiva in violazione della legge Ronchi del 1998, con una discarica su un'area privata. È per questo che abbiamo deciso un commissariamento, incaricando di questo compito l'ex prefetto di Genova Romano, lo stesso che si era occupato della bonifica dell'ACNA.
  Lì si è avviato un lavoro. La provincia e i comuni hanno collaborato. Si è fatto un progetto per mettere a norma tutto il ciclo dei rifiuti, che noi abbiamo approvato. Questo lavoro sostanzialmente prevede l'impianto finale e così via. Naturalmente prevedeva ancora un lotto di discarica, perché c’è il tempo di fare questo impianto. Questo lotto, che noi chiamiamo “Lotto 6”, è già stato acquisito alla proprietà pubblica. Ci si è messi in regola per quanto riguarda la legge Ronchi. Il problema – lo dico con molta attenzione – è che poi, fatta la gara per gestire questo processo, si è presentato un soggetto solo, che è uno dei privati che storicamente hanno gestito l'impianto di Collette Ozotto a Taggia. Nel frattempo l'altro impianto di discarica, quello di Ponticelli, è stato chiuso e superato. Alla gara ha partecipato solo un soggetto. Dopodiché, la procura, che ha lavorato insieme alla DIA, ha sequestrato l'area del Lotto 6, quella che consentiva di tamponare la fase. Tra pochi mesi il Lotto 5 sarà completo. Il Lotto 6 è attualmente sequestrato e non sappiamo bene come fare.
  C’è stata una gara, che immagino sia stata fatta dall'ATO. Ha vinto un soggetto che è quello di prima, che comunque poteva partecipare. La fase temporanea, in attesa di fare l'impianto eccetera, si doveva fare su un lotto che era diventato pubblico, ma che è stato comunque sequestrato su un ordine della magistratura, che non sappiamo che tempi avrà.
  [...] Sui rifiuti, in una realtà in cui Genova rappresenta più di metà della regione e le altre realtà sono molto piccole, in una realtà in cui l'azienda di Genova è del comune di Genova al 100 per cento, può darsi che abbiamo sbagliato. È difficile, però, prescindere del tutto e fare una distinzione tra Piano e impianto.
  Tenete presente che io arrivo qui nel 2005 e che Pericu governava la città dal 1997. Sostanzialmente nei due anni di convivenza lui è arrivato in fondo a un percorso. Che cosa dovevamo dirgli ? [...] Tenete presente, però, che, ancorché non ci fosse, ma è detto esplicitamente, l'impianto di Scarpino, perché [incomprensibile] è un impianto modulabile – non modulare – che nasce per Genova, o è scelto per Genova con motivazioni anche politiche, ma che poi si immaginava potesse diventare un punto di riferimento più ampio. Non solo Genova è grande, ma l'impianto è anche in mezzo e, quindi, le due aree sono piuttosto piccole. È difficile immaginare che Genova non diventasse un po’ il punto di riferimento regionale per il ciclo dei rifiuti.
  Peraltro, io teorizzai in quegli anni, nei primi anni, avendo finanziato in altra veste un grossissimo intervento alla darsena Alti Pag. 28Fondali di Savona, che Savona diventasse il polo di riferimento del carbone.
  L'intervento era mirato a realizzare la darsena col carbone come Dio comanda, cioè con le pompe che aspirano il carbone, che va nei serbatoi e non nei carbonili a cielo aperto.
  Inoltre, avendo finanziato, sempre nell'esperienza precedente, il tubo per superare la città con i vagonetti, facendo partire i vagonetti che vanno a Bragno dopo la città, ed essendo obbligata ENEL a dismettere la centrale in porto, che è qui dal 1917, si era pensato che Savona nell'arco centrale ligure dovesse diventare il polo di riferimento del carbone (in questo caso polo di sbarco del carbone, non della centrale) e Genova la città che si faceva carico del ciclo dei rifiuti regionale. Questa era la logica. Da lì in poi, però, il processo non si è chiuso.
  Mi rendo conto adesso di quanto sia complicato, dopo dieci anni, gestire ciò che non si riesce a concludere, perché è chiaro che poi si può ripartire daccapo.
  Anche la frammentazione della società è molto relativa. Se AMIU avesse fatto ciò che ha detto a noi che avrebbe fatto, sarebbe diventata il dominus, scusate. D'altronde, ha speso centinaia di migliaia di euro per fare quel percorso. Conoscendo anche il sindaco dell'epoca, è evidente che abbia provato in tutti i modi ad arrivare in fondo.
  Ne nasce, quindi, un problema molto serio, perché fallisce anche il secondo tentativo tecnologico. Siamo arrivati così al punto di oggi.
  Adesso, preso atto del cambio di indirizzo di un soggetto che influenza anche la pianificazione, è difficile pensare a una regione che impone tutto. C’è uno scambio, evidentemente. Adesso, nei mesi che mancano, chiudiamo comunque un Piano dei rifiuti sugli indirizzi che, a questo punto, sembrano gli unici ragionevoli».

2.2.1 Le caratteristiche della gestione.

  Le questioni rilevanti appaiono fondamentalmente due: le scelte impiantistiche e – anche in relazione alla governance degli ambiti – la frammentazione della gestione.
  La presenza di alcune decine di gestioni frammentate sul territorio, con situazioni miste, con difficoltà e con il rischio che i partner che si scelgono alla fine siano inadeguati costituisce un problema strutturale.
  Che la frammentazione della gestione nella realtà ligure costituisca un problema sentito si può rilevare dalla sottolineatura dello stesso proveniente da fonti conoscitive fortemente diversificate.
  Ha peraltro affermato il Presidente di Legambiente Liguria: «Sono diverse le cause che ci rendono così arretrati. Partiamo dalle questioni più apparentemente tecniche, ad esempio dalla frammentazione della gestione. Fino a due anni fa erano più di 40 gli operatori privati che operavano nella regione, adesso sono stati ridotti a una ventina. A coprire più della metà della popolazione servita ci sono le aziende municipalizzate di Genova e di La Spezia, AMIU e ACAM. Queste due strutture non hanno un know how adeguato per procedere e coordinare la raccolta differenziata e quindi farla salire all'interno Pag. 29della regione. Si parla di un know how che avrebbe dovuto maturare in questi anni, ma purtroppo anche il dibattito politico su questo è stato incentrato sulla volontà di costruire un inceneritore, quindi un dibattito ridotto a inceneritore sì/inceneritore no, senza rendersi conto di quanto le frazioni post-consumo, le materie prime seconde potessero diventare una vera risorsa anche per la Liguria, che non solo è l'ultima nel nord Italia, ma è abbondantemente scavalcata da alcune regioni del sud che quando si parla di rifiuti fanno correre l'immaginario a situazioni devastanti».
  Affrontando il tema sotto il profilo della prevenzione degli illeciti, il comandante Legione carabinieri Liguria ha detto: «potrebbe essere incentivato l'accorpamento di tutte quelle società che si occupano della raccolta, trasporto e conferimento in discarica dei rifiuti solidi al fine di realizzare economie di scala per ciò che riguarda le spese dei comuni in questo settore e agevolare l'attività di controllo per gli organi preposti».
  Si esprime con chiarezza sul punto la relazione trasmessa alla Commissione dal presidente della provincia di Savona, con riferimento a quel territorio: «l'aspetto più critico nella gestione dei rifiuti (con particolare riferimento ai rifiuti urbani) è ancora rappresentato dalla frammentarietà delle gestioni, che impedisce la realizzazione della gestione integrata del ciclo. In provincia di Savona infatti non è mai esistita alcuna forma di gestione integrata, non sono mai stati costituiti consorzi di gestione tra i Comuni, per cui vigono le forme più disparate di gestione: aziende municipalizzate, trasformate in SpA pubbliche o miste, appalti, gestioni in economia. Da qui discende la causa principale delle basse percentuali di raccolta differenziata, in quanto su dimensioni così ristrette il passaggio al sistema di raccolta domiciliare diventa parecchio oneroso per i comuni».
  Ha sintetizzato il viceprefetto vicario di Savona: «la principale criticità del sistema di gestione dei rifiuti nell'ambito della provincia di Savona è determinata da una certa frammentarietà delle gestioni, che impedisce la realizzazione della gestione integrata del ciclo dei rifiuti. Al momento non si è ancora riusciti a completare la costituzione dei consorzi, per cui la gestione dei rifiuti è molto frammentaria. Alcuni comuni fanno ricorso al sistema dell'appalto a società private, altri invece ad aziende municipalizzate, altri in gestione in economia, e questa frammentarietà nella gestione dei rifiuti non consente di realizzare in pieno il ciclo integrato dei rifiuti».
  D'altro canto non sono stati colti segnali di passaggio a diverse economie di scala: in molti importanti realtà – ad esempio Ventimiglia – si sta tornando a una gestione pubblica, in house, dopo negative esperienze di affidamento a privati, fermo restando che ogni comune agisce indipendentemente. La possibilità, percepita nelle dichiarazioni di diversi amministratori pubblici di ritorno al modello della gestione in house appare in controtendenza rispetto a un orientamento di norme e prassi a livello nazionale tendente a far sì che il soggetto pubblico sia programmatore e regolatore, ma non gestore.
  Le principali realtà aziendali sono costituite dall'AMIU di Genova e dall'ACAM della Spezia. Si tratta peraltro, in entrambi i casi, di realtà in crisi, quantunque per motivi diversi.

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2.2.2 La Spezia: ACAM Ambiente.

  L'audizione dei rappresentanti di ACAM ha consentito di acquisire i dati essenziali di interesse della Commissione circa la possibilità di questa realtà aziendale di far fronte alle attività istituzionale nel ciclo dei rifiuti e di evitare il «declino» verso situazioni emergenziali – locali spezzine o eventualmente regionali – foriere di comportamenti illeciti.
  Il ciclo integrato dei rifiuti alla Spezia non prevede una discarica di servizio per la chiusura del ciclo, ma i rifiuti della provincia raccolti da ACAM Ambiente sono trattati nell'ambito di un impianto di produzione CDR che CSS. in località Saliceti; ACAM è l'unica società che si occupa di ciclo dei rifiuti nella regione Liguria ad essere dotata di un impianto di trattamento dei rifiuti.
  Circa due anni fa questo impianto ha subìto un grave danno in un incendio (di natura non dolosa, come accertato) ed è stato ripristinato solo parzialmente, anche perché è in corso fase di negoziazione per l'ingresso di privati e nell'ambito di questi progetti di project financing gli investimenti previsti sarebbero a carico del partner industriale privato interessato alla partecipazione.
  L'impianto Saliceti si basa su un sistema classico, finalizzato da un lato alla biostabilizzazione della frazione organica contenuta nei rifiuti residuali della raccolta differenziata attraverso il sistema di biocelle, dall'altro alla raffinazione della frazione secca che consenta di produrre CDR o CSS.
  La società ha anche a disposizione un piccolo impianto per il trattamento della frazione organica da raccolta differenziata, un impianto di vecchia concezione, aerobico, che per problemi di manutenzione e necessità di revamping attualmente non è in esercizio.
  ACAM Ambiente, la società di riferimento per la gestione del ciclo dei rifiuti serve quasi tutti i comuni della provincia di La Spezia con limitate eccezioni. Serve una popolazione di poco superiore ai 200.000 abitanti e ha un numero di dipendenti di poco superiore a 300.
  Nella provincia della Spezia, nel 2014 sono state raccolte 117.800 tonnellate di rifiuti urbani. Di questi, poco meno di 80.700 erano rifiuti non differenziati.
  Nel corso del 2014 la raccolta differenziata registrata nei comuni serviti ha raggiunto la percentuale del 32 per cento circa. Sono in corso programmi di introduzione e completamento dei progetti della raccolta differenziata in numerosi comuni della provincia di La Spezia e l'obiettivo per l'anno 2015 è di arrivare a una raccolta differenziata del 40 per cento, di completare nel corso del 2016 l'introduzione della raccolta differenziata porta a porta su tutto il territorio servito dalla società, con l'obiettivo di arrivare nel 2017 al 65 per cento.
  Secondo i rappresentanti di ACAM i risultati conseguiti nei comuni che hanno già completato il ciclo sono confortanti – con percentuali superiori al 70 per cento nei due comuni dove è stato introdotto in maniera completa il ciclo di raccolta porta a porta – e secondo la loro valutazione gli obiettivi citati sono ragionevoli. Il primo degli obiettivi che la società si pone è dunque di arrivare a completare l'introduzione di un servizio di raccolta differenziata porta Pag. 31a porta, in modo da porre le basi di una corretta gestione del ciclo dei rifiuti.
  Secondo i legali rappresentanti di ACAM questo è lo sviluppo previsto: «L'impianto del CDR è un impianto classico di produzione del CDR, quindi fa la biostabilizzazione dei rifiuti indifferenziati, a valle della biostabilizzazione c’è un percorso di raffinazione, finalizzato alla produzione di CDR, c’è una parità di peso che è derivata dalla biostabilizzazione, a valle di questo c’è una raffinazione che consente di separare la componente più secca, che è quella con il potere energetico maggiore, con una serie di fasi di raffinazione fino alla produzione di CDR o di CSS e una frazione biostabilizzata che trova poi una sua collocazione. Attualmente le frazioni dei rifiuti prodotte dall'impianto di CDR per il tramite di una gara ad evidenza pubblica vengono gestite da una società, che indirizza poi le diverse frazioni in più tipologie di impianto: per il CDR Scarlino Energia, B&B, GMS, per quanto riguarda il biostabilizzato Aral, A2A Ambiente, B&B, Costa Mauro, Corioni e tutta una lunga lista. La FOS va fuori regione nella maggioranza dei casi. La società che ha vinto l'appalto, garantendo un prezzo e il corretto smaltimento dei rifiuti, di volta in volta, a seconda delle situazioni di mercato e degli accordi commerciali siglati, li indirizza a diverse tipologie di impianti, ovviamente con l'intento di guadagnarci, però tutto è mappato e tutto viene definito. Per quanto riguarda la questione impiantistica, lo sviluppo della raccolta differenziata farà sì che alla fine del 2017 si possa prevedere che le quantità di rifiuto indifferenziato o residuale saranno intorno a 35-40.000 tonnellate rispetto a un trattamento di circa 80-90.000 tonnellate che è la potenzialità dell'impianto.
  Le due proposte arrivate ad ACAM prevedono la realizzazione di nuovi impianti per la gestione della frazione organica da raccolta differenziata, che in entrambe le proposte prevedono un trattamento anaerobico dei rifiuti con la produzione di biogas e successivamente, a valle dello sfruttamento del contenuto energetico del rifiuto organico, la produzione di compost da dedicare al recupero.
  La rilevanza dell'evoluzione prevista e le criticità possibili, sia in termini tecnici che di legalità, emergono dalle affermazioni dei legali rappresentanti di ACAM: «questo è quindi un pezzo di impiantistica che è in corso di definizione ed è assolutamente necessario per completare una dotazione adeguata ai programmi della società in termini soprattutto di raccolta differenziata, perché nel momento in cui andremo a completare il percorso di introduzione alla raccolta differenziata le quantità di rifiuto organico raccolto separatamente aumenteranno in modo significativo. L'anno scorso si era poco al di sopra delle 7.000 tonnellate, quindi è destinato a incrementarsi in modo significativo e questo giustifica un'impiantistica dedicata a questa frazione dei rifiuti. La gestione dei sottoprodotti dell'impianto di trattamento dei rifiuti indifferenziati avviene attraverso gare ad evidenza pubblica per il destino finale dei rifiuti, quindi lo smaltimento a valle del processo di trattamento. Questo ciclo di smaltimento nel corso dell'ultimo anno e mezzo non ha evidenziato alcuna problematica dal punto di vista della collocazione delle frazioni. Si sta lavorando per efficientare anche il livello dei costi collegati al trattamento e al collocamento di queste frazioni».Pag. 32
  L'operatività attuale di ACAM si inserisce in una situazione regionale di per sé critica: nel 2014 ACAM SpA e di conseguenza ACAM Ambiente hanno reso disponibile alla regione Liguria e alla società AMIU una capacità di trattamento di rifiuti indifferenziata ulteriore rispetto a quelle di riferimento nel bacino. In considerazione della particolare situazione di sofferenza nello smaltimento dei rifiuti di Genova e della provincia, è stata resa disponibile presso l'impianto di Saliceti una capacità ulteriore di 30.000 tonnellate per tutto l'anno 2015: i conferimenti da Genova sono iniziati immediatamente prima del Natale 2014 e stanno proseguendo.
  L'ACAM, per contro, è un'azienda in grave crisi finanziaria.
  Il gruppo ACAM è una multiutility di proprietà pubblica che, oltre al ciclo integrato dei rifiuti, con apposita società in house, ACAM Ambiente, si occupa anche del ciclo idrico e attualmente della distribuzione del gas.
  L'audizione Sindaco della Spezia ha dato conto della pesante situazione debitoria della società. Secondo il sindaco si tratta tuttavia di una situazione in evoluzione:
  «Si sta uscendo positivamente da questa situazione in questo modo: è stata sviluppata molto la raccolta differenziata e penso si riuscirà ad arrivare alla fine dell'anno intorno al 50 per cento di raccolta differenziata nel comune di La Spezia (in provincia un po’ meno). Inoltre, l'impianto di Saliceti, che è un impianto di trattamento rifiuti e di produzione di CDR, è l'unico della Liguria e permette adesso di poter guardare più positivamente al futuro. Se finalmente si riuscirà a organizzare un sistema su base regionale, in sinergia con altri territori, questo permetterà di chiudere definitivamente il ciclo dei rifiuti.
  Quello che serve sostanzialmente è una discarica di servizio, dentro la quale portare il cosiddetto sovvallo, cioè il materiale di risulta del trattamento dell'impianto di Saliceti. Tutto sommato, è un bisogno non particolarmente complesso, che si potrebbe risolvere meglio di adesso, se si affermasse il principio del bacino regionale e della messa a sistema di tutte le risorse che regionalmente ci sono.
  Per quanto riguarda l'ACAM, si sono vissuti momenti molto drammatici, nel senso che l'azienda era sull'orlo del default. Questo avrebbe provocato conseguenze gravissime dal punto di vista dei servizi e anche conseguenze sociali molto serie, perché ci lavorano molti addetti, anzi troppi.
  Adesso intorno ai 700, prima erano circa 1.100. In questi anni si è riusciti a ridimensionare di molto gli addetti.
  Uno dei problemi è stato proprio un uso improprio di ACAM come ammortizzatore sociale, ma anche come luogo di clientelismo e di assunzioni improprie».
  Non solo, secondo il sindaco, l'ACAM ha subito il fenomeno da ultimo descritto ma ha anche pagato scelte gestionali improvvide:
  «C’è stata anche l'idea folle che questa piccola azienda potesse diventare la grande ACAM, con un proliferare di aziende, di scatole cinesi, di consigli di amministrazioni, ma anche di manie di grandezza, trascurando invece il vero obiettivo, che era quello di fare un'aggregazione, come è successo in altri territori, ovvero di aggregarsi Pag. 33con altre aziende multiutility che, facendo massa critica, potessero ottenere dei risultati gestionali migliori e a costi più sopportabili.
  Pertanto, l'azienda è entrata in una spirale di indebitamento che ha portato a superare i 400 milioni di euro».
  La soluzione, confermata e descritta anche dai legali rappresentanti di ACAM, auditi anch'essi, è quella della ristrutturazione del gruppo, che ha visto omologato nel luglio 2013 un piano di riassetto nell'ambito dell'articolo 182-bis della legge fallimentare.
  Il piano quinquennale 2013-2018 negoziato con i creditori è attualmente operativo: coinvolge la holding e le due società in house, ACAM Ambiente e ACAM Acque e tiene conto dello sviluppo di un piano industriale, che prevede nel 2017 il raggiungimento del 65 per cento della raccolta differenziata.
  Il piano è oggetto di verifiche semestrali con i creditori che si sommano agli obiettivi di programmazione pubblica.
  Nel piano di riassetto è prevista la cessione di alcuni degli asset della società, già avvenuta nel gennaio del 2014 per quanto riguarda la società di commercializzazione di energia – gas ed elettricità – che era in partecipazione con ENI.
  Anche la società che si occupa del ciclo integrato di rifiuti, ACAM Ambiente, è una società nel cui piano di riassetto è prevista la cessione di una partecipazione di minoranza del 49 per cento (attualmente è controllata al 100 per cento dalla holding ACAM SpA, a sua volta partecipata al cento per cento dagli enti locali della provincia della Spezia); è in corso una fase negoziale con due proposte di project financing avanzate da altrettanti gruppi industriali.
  Ad avviso dei dirigenti di ACAM «il risultato è positivo, perché comunque non ci sono stati conseguenze sociali e licenziamenti, e i servizi, pur con qualche momento di crisi, sono stati salvaguardati e adesso sono in progressivo miglioramento, compresi la raccolta differenziata dei rifiuti e la gestione del ciclo nel suo insieme».
  Appare altresì significativa l'adozione, nel dicembre 2014 di un modello di organizzazione e controllo ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, di un codice etico e di un piano triennale di prevenzione della corruzione i sensi della legge n. 190 del 2012 per ACAM SpA e per le controllate ACAM Acque SpA, ACAM Ambiente SpA, Integra Srl e Centrogas Energia SpA.
  Si può osservare che la vicenda ACAM presenta al momento un intreccio tra esigenze di rispondenza alla gestione pubblica, rispetto degli impegni di tipo privatistico assunti dall'azienda con i creditori e inserimento necessario nella complessiva programmazione impiantistica che, al verificarsi delle migliori condizioni gestionali possono positivamente convergere.
  L'allora presidente della regione Liguria ha così riassunto lo stato delle cose: «i guai di La Spezia nascono soprattutto da una disavventura aziendale che riguarda l'ACAM (debiti e così via). Quelle amministrazioni si sono fatte carico con grande coraggio del risanamento di quella realtà aziendale, pagando prezzi molto rilevanti. C’è stata anche una contrazione dell'occupazione da un paio di anni a questa parte, in coincidenza con l'arrivo di un nuovo management, che con la Regione si è dimostrato molto collaborativo e affidabile. La situazione sta migliorando da un punto di vista aziendale e, quindi, Pag. 34si presume anche da un punto di vista gestionale. [...] La situazione di La Spezia era diametralmente opposta a quella di Genova. A Genova c'era un'azienda ai tempi florida e una situazione del ciclo molto carente, mentre a La Spezia c'era una situazione del ciclo in cui si era provato a fare alcune operazioni, mentre l'azienda era messa malissimo».
  Il nuovo piano regionale dei rifiuti, prevede una valorizzazione regionale dell'impianto di Saliceti, con la possibilità di essere utilizzato come impianto anche per il trattamento di rifiuti di zone limitrofe della provincia, in particolare il Tigullio, zona che ACAM sta già trattando per effetto dell'emergenza della provincia di Genova. L'obiettivo dichiarato da ACAM è quello di continuare a regime a utilizzare quell'impianto, eventualmente rafforzandolo di una linea di trattamento dell'indifferenziato con la separazione di plastica, carta e cartone, che possa rafforzare ulteriormente la raccolta differenziata domiciliare, quindi averlo come impianto a valenza regionale e nello stesso tempo ripristinato con queste caratteristiche, senza che questo possa incidere sullo sviluppo della raccolta differenziata per quanto riguarda la provincia della Spezia.
  I legali rappresentanti di ACAM hanno riferito dell'esistenza di alcuni procedimenti penali (tutti in fase di indagine preliminare) a carico di dirigenti della società per reati contravvenzionali, uno dei quali sull'impianto di Saliceti relativo a inosservanza a prescrizioni, per emissione di odori in atmosfera; nel caso specifico pende un ricorso al TAR nei confronti della provincia della Spezia per un'interpretazione non condivisa dalla società delle prescrizioni autorizzative rispetto all'impianto.
  Di fronte all'osservazione sulla carenza di impianti di compostaggio i rappresentanti di ACAM hanno svolto considerazioni di tipo economico, che rinviano alla pianificazione regionale necessaria e sinora mancata: «per quanto riguarda l'impianto di compostaggio, certamente c’è una necessità, per La Spezia ma c’è un deficit in tutta la regione. Altri impianti di valorizzazione della frazione della raccolta differenziata dovrebbero essere doverosamente valutati, non lo sono stati (ACAM non ne ha) in considerazione di volumi che non si prestano a una valorizzazione industriale particolarmente redditizia. Mano a mano che queste quantità si incrementeranno, faranno sì che si ponga il tema di una valorizzazione, che peraltro nel settore ambientale è una scelta non maggioritaria nelle società che gestiscono il ciclo integrato dei rifiuti: nella maggior parte dei casi sono situazioni nelle quali si investe o in joint venture con privati oppure ci si affida a privati per il tramite di gara».
  La vicenda della cessata operatività dell'impianto di compostaggio ACAM è esemplare di come un difetto di programmazione e controllo si rifletta negativamente sul ciclo dei rifiuti.
  Così infatti hanno descritto la situazione i rappresentanti di ACAM: «l'impianto di compostaggio è stato ultimato alla fine degli anni ’90; l'impianto ha funzionato producendo compost fino a due anni fa, ha funzionato con queste caratteristiche: le attività di porta a porta in ACAM Ambiente sono iniziate nel 2007-2008 in modo sperimentale in alcuni centri, però gran parte del rifiuto veniva raccolta con criteri di raccolta di tipo stradale (contenitori stradali Pag. 35posteriori, laterali, interrati, tutta la gamma dei servizi). In tutti i comuni serviti c’è servizio di raccolta differenziata, per cui in tutti i comuni ci sono contenitori stradali per la carta, per la plastica, per l'organico. Ovviamente l'organico raccolto in modo stradale è di pessima qualità e il compost che ne derivava era un compost «fuori specifica». È stato fermato perché sono venute meno le capacità di trattamento dell'area e di mantenimento della depressione all'interno, quindi tutta la parte impiantistica di trattamento dell'area, che è il grosso di un impianto come questo, di ossigenazione del rifiuto e di trattamento dell'aria per evitare problemi all'esterno. L'impianto è autorizzato per 8.500 tonnellate, è arrivato a trattare fino a 4.000 tonnellate di organico e 4.000 di verde, perché per produrre un compost accettabile non si può trattare 8.000 tonnellate di organico (si impacca e non funziona). Questa è la motivazione per cui si è fermato l'impianto».

2.2.3 Genova: AMIU.

  La situazione dell'AMIU di Genova è fortemente segnata alla recente indagine della procura della Repubblica di Genova che ha portato alla luce un radicato sistema corruttivo coinvolgente alcuni dirigenti.
  L'indagine, avviata nel marzo 2012, ha portato all'esecuzione di misure cautelari personali nel novembre 2014.
  L'attività investigativa ha permesso di accertare l'esistenza di un'associazione per delinquere composta, da un lato, da alcuni dirigenti di AMIU Genova Spa, la società municipalizzata che gestisce la raccolta dei rifiuti per il comune di Genova, e, dall'altro, da vari importanti imprenditori locali, tra cui i fratelli Gino Mamone e Vincenzo Mamone, titolari rispettivamente della ECO.GE Srl e della Impreares Srl e la famiglia Raschellà, titolare della Edildue Srl, operanti nel settore dei servizi ambientali.
  Scopo dell'associazione era quello di far ottenere agli imprenditori consistenti vantaggi nell'aggiudicazione di lavori e appalti, mediante una serie di interventi illeciti nelle varie procedure di gara previste e il conferimento, per via diretta, di numerosi incarichi straordinari, con notevoli aggravi di spese per la municipalizzata e per i cittadini. In cambio di questi trattamenti di favore, gli imprenditori, mediante corruzione, consegnavano denaro, ovvero provvedevano a fornire una vasta gamma di altre utilità, dal pagamento di locazioni di appartamenti, a spese personali, fino a serate con cene e prostitute di alto livello, principalmente al dirigente dell'ufficio affari legali e approvvigionamenti e gare di AMIU, Corrado Grondona e, più limitatamente, ad altri dirigenti dell'azienda.
  Gran parte dell'attività del sodalizio criminale è stata posta in essere in favore della principale appaltante di AMIU per la raccolta differenziata, Switch 1988 Srl, di Maurizio Dufour, alla quale veniva consentita ogni possibile attività illecita allo scopo di conseguire maggiori profitti.
  Su richiesta della Commissione, il nuovo direttore generale di AMIU ha descritto gli interventi organizzativi attuati a fronte delle Pag. 36misure cautelari personali che hanno colpito diversi dirigenti della società.
  Il dirigente affari legali e approvvigionamenti e gare – per il quale il consiglio di amministrazione ha provveduto in data 29 gennaio 2015 alla cessazione del rapporto – è stato sostituito separando le funzioni (affari legali e societari e gare e approvvigionamenti).
  Sono stati sostituiti anche il direttore impianti smaltimento, il direttore dei servizi di raccolta e igiene del suolo della città di Genova, e il responsabile ufficio gare, con attribuzione di nuove deleghe ad altri soggetti, mantenuti nel ruolo anche alla cessazione delle misure cautelari interdittive che avevano colpito i precedenti dirigenti. Sono entrati in consiglio di amministrazione due docenti universitari, esperti in materia di ambiente e di servizi pubblici locali.
  La società inoltre, ha provveduto a nominare il responsabile anticorruzione e ha nominato un nuovo organismo di vigilanza ex decreto legislativo n. 231 del 2001 e un dirigente responsabile della trasparenza.
  Il sindaco di Genova ha parlato della questione nel corso della sua audizione, rimarcando la risposta delle istituzioni e dell'azienda a quella situazione illecita:
  «Quello degli illeciti in AMIU è un tema serissimo, che nel momento in cui si è posto ha visto come reazione del sindaco l'indicazione di piena collaborazione con la magistratura inquirente, ha visto, su condivisione tra comune azionista e azienda, l'adozione di provvedimenti disciplinari sino al licenziamento del dirigente, pur non essendo ancora avvenuto il rinvio a giudizio, ma, essendo venuti meno i rapporti fiduciari tra datore di lavoro e dipendente, si è ritenuto di avere tutti gli elementi per procedere al licenziamento del dipendente.
  Sono state adottate misure di sospensione dall'incarico di altre persone che in assenza di giudizio potrebbero anche non risultare coinvolte in modo diretto. È stato cambiato il vertice dell'azienda e conferito al dottor Di Noto, già procuratore generale presso il tribunale di Genova, un incarico di supervisione dei processi di trasparenza aziendale.
  Questo come reazione politico-amministrativa allo svilupparsi delle inchieste anche di profilo penale relative ad aspetti dell'attività dell'azienda. L'auspicio ovviamente è che il tutto si ridimensioni, ma questo è un tema di competenza della magistratura.
  Alcuni aspetti non riguardavano il trattamento dei rifiuti quanto eventuali favori accordati in cambio di altri favori a ditte per appalti, quali ad esempio l'intervento con mezzi meccanici per spazzare la neve dalle strade della città in caso di emergenza neve, che era in essere da anni e prevedeva che si individuasse a priori una serie di imprese dotate dei requisiti tecnici cioè dei mezzi per poter intervenire in caso di emergenza e poi quando c'era l'emergenza venivano immediatamente coinvolte.
  Considerando che tutte avevano i requisiti per poter essere inserite nell'elenco, anche quelle chiacchierate, ma non erano nella back list e quindi non potevano essere escluse, però bisognava stare attenti. Dal punto di vista amministrativo non c’è titolo per escluderle all'interno di procedure corrette, trasparenti ed equilibrate nei confronti di qualunque soggetto che operi sul mercato».Pag. 37
  L'altra vicenda giudiziaria che coinvolge AMIU è quella su temi più strettamente ambientali collegati alla gestione della discarica di Scarpino: ad esito delle indagini la procura della Repubblica di Genova ha contestato [circa trenta reati] al direttore generale e amministratore dell'AMIU, nonché a pubblici funzionari a titolo di concorso o cooperazione nelle violazioni ambientali.
  Uno sviluppo possibile di indagine in altra direzione, indicato dal procuratore della Repubblica di Genova, è quello relativo «[alle] fideiussioni, le garanzie per la gestione, le garanzie post-chiusura».
  Il sindaco di Genova ha collocato questa vicenda nel contesto delle scelte (o non scelte) pianificatorie regionali:
«Un altro tipo di inchiesta ha preoccupato di più, perché andava a incidere sulla strategia aziendale e riguardava non il perseguimento di un comportamento di un dipendente, ma il funzionamento complessivo della discarica, che ha avuto dei problemi. Questo riguarda la strategia dell'azienda che aveva avuto come asset fondamentale questa discarica apertasi nei tardi anni ’60.
  Una prima parte di questa discarica era stata chiusa alla fine degli anni ’90, quasi vent'anni fa, la cosiddetta «Scarpino 1», che non era impermeabilizzata, e attigua a questa si era aperta con altre tecniche, impermeabilizzando il suolo, la cosiddetta «Scarpino 2». Nell'immaginario genovese è Scarpino, ma in realtà si tratta di due fasi distinte.
  Questo, che in realtà era fatto da due parti distinte ancorché contigue, era l’asset su cui per certi aspetti l'azienda si è seduta, in quanto aveva una discarica che funzionava e avrebbe potuto essere affiancata da altri sistemi di intervento sul ciclo.
  Nel corso del tempo si sono succedute ipotesi impiantistiche diverse.
  Prima metà Anni ’90 centrale ENEL a carbone attaccata alla Lanterna di Genova, quindi in una zona relativamente centrale della città, incentivi all'epoca possibili per la conversione di questi impianti, l'amministrazione dell'epoca aveva caldeggiato e fatto proprio questo progetto ma si era trovata di fronte a una sorta di insurrezione variamente motivata, per cui si era bloccata.
  Successivamente l'ipotesi del termovalorizzatore era rimasta in campo trascurando le chiare indicazioni di puntare sulla raccolta differenziata, ipotesi di termovalorizzatore con l'unica soluzione di spostarne la localizzazione: non più attaccata alla Lanterna, riconvertendo la centrale ENEL, ma posizionando in zona Scarpino un grosso impianto, che in un'ottica industrialista avrebbe dovuto trattare una quantità di rifiuti largamente eccedenti quelli prodotti dall'area metropolitana genovese, ossia un impianto di valenza regionale. Anche quell'ipotesi è stata contestata perché, al di là del fatto che tecnologicamente si parlava non più di termovalorizzatore ma di gassificatore, era comunque un impianto che doveva bruciare rifiuti.
  Quando l'attuale amministrazione si è insediata (maggio 2012) questa era l'ipotesi sul tavolo, ma non è stata fatta propria dall'amministrazione, che ha cambiato completamente approccio, al tempo stesso non potendo sottrarsi alla critica dovuta al fatto che ancora una volta un amministratore modificasse il progetto precedente.
  Quello che era stato presentato per Scarpino avrebbe richiesto un investimento onerosissimo, con oneri finanziari molto pesanti da Pag. 38sopportare su un impianto ormai concettualmente superato e in più ubicato in una posizione urbanisticamente e ambientalmente assai problematica, un impianto di grandi dimensioni che avrebbe dovuto essere alimentato con un movimento di mezzi pesanti, con grandi difficoltà viabilistiche che ci sono già adesso.
  È poi intervenuto in tempi recenti un piano regionale dei rifiuti, che era assolutamente compatibile con le scelte compiute dall'amministrazione comunale negli ultimi due anni, avviandosi su una strada diversa: potenziamento della differenziata finalmente da farsi, un biodigestore e l'utilizzazione della discarica.
  In questo quadro ci è arrivata la mazzata delle inchieste e la mazzata che nel corso dell'anno 2014 la discarica, che aveva ancora dei volumi di conferimento, è andata a esaurirsi subito dopo l'estate. Il sindaco ha adottato delle ordinanze di emergenza post-alluvionali, assumendosi la responsabilità di conferire i rifiuti alluvionali, tutti i materiali (fango e detriti) raccolti spalando la città, a Scarpino, andando in deroga soltanto per questo contingente motivo.
  Il problema è che all'inizio del 2014 è emersa la prima questione oggetto di un'inchiesta della magistratura: lo sversamento di percolato.
  Le vasche di raccolta, le pompe di rilancio con questo effetto paradossale si riempivano soprattutto di percolato proveniente da Scarpino 1 dismessa [...] quindi non più alimentata da nuovi rifiuti, per questi movimenti sotterranei dell'acqua in un tratto non impermeabilizzato di discarica, che erano assolutamente fuori controllo.
  Su Scarpino 2 c'era invece l'impermeabilizzazione, c'era un meccanismo di deflusso del percolato sicuramente incrementabile, però avevamo l'effetto combinato del percolato di Scarpino 2 e del percolato di un pezzo di discarica dismesso da un ventennio.
  È stato sollevato il tema della stabilità della discarica, per cui è stato immediatamente avviato un rapporto con la protezione civile nazionale, fermo restando che non si sono mai registrati spostamenti di questo materiale nemmeno di un centimetro o due, ma era per il livello delle acque, i piezometri, quindi nel rapporto con la Protezione civile nazionale sono stati formulati dei giudizi rassicuranti. La stabilità della discarica è quindi un'altra questione posta sotto osservazione, quindi abbiamo avviato tutti gli accertamenti e le misurazioni necessari.
  La terza questione è il problema del pretrattamento. La circolare del Ministro Orlando ad agosto 2013 precisa come si deve procedere al pretrattamento rispetto alle indicazioni regionali, che erano più permissive.
  L'amministrazione comunale ha individuato immediatamente i siti per i separatori per effettuare il pretrattamento, ma anche qui scontrandosi con la necessità di convincere la popolazione, di spiegare che un separatore non brucia rifiuti, ma separa il secco dall'umido (additati come spargitori di diossina perché, in ottemperanza alle norme, si andava a individuare i siti in cui collocare i separatori secco/umido).
  Questa è l'azione su percolato, stabilità della discarica, pretrattamento, per avviare di nuovo una procedura per poter conferire il materiale in discarica nel pieno rispetto delle norme. Tutti questi aspetti sono stati attenzioni dalla magistratura, la discarica in questo Pag. 39momento non è utilizzata e l'intenzione è poterlo fare nel momento in cui le norme saranno rispettate pienamente».
  Non c’è stato alcun sequestro da parte della magistratura; la discarica attualmente risulta aperta, ma l'autorizzazione all'esercizio della discarica di Scarpino è stata sospesa della provincia di Genova, per considerazioni evidenziate nel corso delle ispezioni ARPAL, nel maggio 2014; la discarica di Scarpino ha cessato l'operatività in conseguenza dell'esaurimento dei volumi autorizzati nel mese di ottobre 2014 e la provincia ha avviato il procedimento di chiusura ai sensi dell'articolo 12 decreto legislativo n. 36 del 2003, poiché contestualmente le volumetrie disponibili per la discarica avevano raggiunto il massimo possibile previsto dal vigente provvedimento autorizzativo.
  La discarica di Scarpino per rifiuti solidi urbani è operativa da oltre venti anni e ha storicamente ricevuto i rifiuti prodotti dalla città di Genova, senza pretrattamento.
  A proposito del possibile conferimento illecito di rifiuti, anche non urbani, provenienti da altri territori, il procuratore della Repubblica di Genova ha precisato che il tema dei «rifiuti non liguri» a Scarpino costituisce un aspetto emerso nel corso degli accertamenti, ma come dato storico: non potendo arrivare rifiuti urbani da siti fuori regione, venivano mascherati come rifiuti speciali e quindi portati a Scarpino. Sulla questione si erano attivate a suo tempo le organizzazioni sindacali con richieste all'azienda, acquisite dalla Commissione, e ribadite in corso di audizione del rappresentanti sindacali AMIU, che erano state anche oggetto di interrogazioni nel consiglio comunale di Genova.
  Sono stati individuati e sono state svolte indagini su alcuni di questi conferimenti da regioni limitrofe, ma le indagini hanno potuto essere svolte solo su un piccolo campione, non si sono acquisite prove e dunque il tema è rimasto privo di sostanziali riscontri in sede giudiziaria.
  L'audizione del direttore generale dell'ARPAL e l'acquisizione degli atti giudiziari ha consentito di fare il punto della situazione.
  Come ha precisato il dirigente di ARPAL «è una discarica autorizzata attraverso un provvedimento AIA e quindi prevede un controllo routinario, che si sviluppa su base semestrale, quindi due volte all'anno con un ingresso presso l'impianto. Ai due ingressi si alterna un'attività ispettiva di carattere strutturale sull'impianto di discarica e sulle sue caratteristiche e una più legata alle questioni dell'ammissibilità in discarica dei rifiuti. Alternando questo tipo di attività ispettiva si riesce ad avere un quadro annuale complessivo. In associazione al tipo di controllo previsto dall'AIA, quindi previsto per legge, si opera una verifica nell'ambito dell'AIA o a margine sulle acque, in acque superficiali, sotterranee e di falda. Vengono svolti controlli anche sul biogas, che però è dato in gestione a un'altra azienda all'interno dell'area di Scarpino, è caratterizzato da un altro provvedimento AIA, per cui sono due AIA. La società è l'Asha Ambiente, anche quella autorizzata AIA e quindi soggetta al controllo normale. La discarica è situata in una vallata [...] Presenta una struttura piuttosto complessa, come quasi tutte le discariche presenti in Liguria, dovuta all'orografia della regione. Questo implica una Pag. 40particolare attenzione nella gestione di tutta la problematica ambientale rispetto a qualunque altra discarica in pianura».
  Come detto la discarica quindi è aperta e il provvedimento ha revocato esclusivamente il conferimento dei rifiuti, per cui tutte le prescrizioni e gli obblighi che ha il gestore della discarica sono comunque validi, quindi alla discarica vanno garantite tutte le tutele e le prescrizioni previste dall'AIA.
  Nel dicembre del 2013 la società AMIU aveva presentato un piano per un ampliamento previsto di circa 1,5 milioni di metri cubi. Nel 2014, a causa di eventi meteorici particolarmente intensi che ormai sono frequenti nella regione, si sono nuovamente evidenziati problemi che già ARPAL aveva rilevato e fatto notare negli anni precedenti, in particolare per quanto riguardava il percolato.
  Attuando ulteriori controlli su deleghe dell'autorità giudiziaria si sono evidenziati possibili problemi riguardanti la stabilità della discarica e l'assenza di un piano di emergenza.
  Ancora una volta va sottolineato come le irregolarità (e illiceità penali di cui alle contestazioni, che di seguito verranno esaminate) trovino origine nella assenza di strategia nel ciclo dei rifiuti.
  Osserva il direttore di ARPAL a proposito del percolato di Scarpino: «le motivazioni di questa elevata produzione sono molteplici, riguardano diverse influenze del contesto esterno, quindi possibili (non certe) presenze di sorgenti e falde sotterranee che caricano la discarica dal basso, poca cura nella gestione della copertura dei rifiuti dall'alto e, senza ombra di dubbio, elemento determinante che ha generato la problematica a Scarpino, l'assenza di un pretrattamento, quindi, partendo da prima, una differenziata non spinta che genera poi il problema del pretrattamento»; e alla domanda della Commissione sui motivi che hanno fatto sì che percentuali così elevate di frazione organica andassero in discarica: «direi l'assenza di un piano strategico, di una filiera completa della gestione dei rifiuti».
  L'esagerata produzione di percolato dà origine, in caso di piogge particolarmente intense (quali quelle in effetti avutesi in Liguria nel 2014), a un suo mancato controllo e quindi a uno sversamento in ambiente.
  Sono stati introdotti alcuni accorgimenti come la costruzione di vasche, di cui tuttavia – a parere di ARPAL – non è certo il corretto dimensionamento, poiché di fatto oggettivamente il problema dello sversamento del percolato in ambiente, nel Rio Cassinelle, si evidenzia in maniera ricorrente.
  Le verifiche di ARPAL e le contestazioni in sede giudiziaria penale arrivano in una fase in cui non c'era ancora un piano, ancorché teorico, che potesse dare una risposta a queste esigenze.
  Della gravità della situazione appare essersi fatto carico il nuovo management di AMIU: l'evoluzione possibile è quella, richiamata dal direttore di ARPAL che prevede «l'utilizzo del percolatodotto per una certa percentuale, la deviazione verso il depuratore di Sestri Ponente per un'altra percentuale, ferma restando l'autorizzazione del depuratore a prendere il percolato, ed eventuali posizionamenti di sistemi di depurazione mobili».
  Come detto la questione della stabilità è correlata a questa situazione: come rilevato da ARPAL, a fronte di un progetto che Pag. 41garantiva una stabilità con un battente idraulico di 6 metri, sono state valutate presenze di liquido all'interno della discarica intorno ai 20-25 metri, che impediscono di attestare una sicura stabilità della discarica: quantunque in base ai controlli effettuati da AMIU non vi siano evidenze di instabilità che possa dar luogo a fenomeni nel breve periodo.
  Il procuratore della Repubblica di Genova che ha promosso le indagini e l'intervento giudiziario, ha scelto di agire senza sovrapporre iniziative ablatorie, di sequestro, alle attività di controllo degli organi di vigilanza e al cambio di gestione di AMIU.
  È stato emesso dalla procura della Repubblica di Genova avviso di conclusione delle indagini preliminari che raccoglie una serie ampia di contestazioni (ventisette capi) a carico di sei imputati.
  I reati di cui agli articoli 16, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 36 del 2003, 137, commi 1 e 9, in relazione all'articolo 113, comma 3, decreto legislativo n. 152 del 2006, 257, comma 1 e 2, decreto legislativo n. 152 del 2006, 137, comma 2, decreto legislativo n. 152 del 2006, 29-quattordecies, decreto legislativo n. 152 del 2006, dunque i reati ambientali in senso stretto sono contestati ai dirigenti di AMIU SpA; vi sono poi a carico di pubblici funzionari contestazioni di reati ambientali in concorso con i predetti, e un'articolata ipotesi di abuso di ufficio a carico di una dirigente della provincia di Genova, incentrata sull'ingiusto e rilevante vantaggio patrimoniale procurato ad AMIU SpA mediante il rilascio dell'autorizzazione numero 712 del 7 febbraio 2011 per la gestione della discarica di Scarpino (in particolare per l'ampliamento del secondo lotto), illegittima per contrarietà ad una serie di norme.
  Va notato come, oltre a ipotesi di violazione di norme tecniche sulla gestione, la contestazione faccia riferimento a un rilevante tema di finanza ambientale, così articolato:
  «1. articolo 9, comma 1 lett. A e D, articolo 14, comma 1 e 4, articolo 10, comma 2 lett. N, e comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 36 del 2003. In particolare rilasciava l'autorizzazione sopraindicata in assenza della obbligatoria presentazione della garanzia per la gestione operativa comprensiva degli oneri di chiusura ammontante, per la sola chiusura, ad euro 20.121.953.
  2. articolo 9, comma 1 lett. A e 0, articolo 14, comma 2 e 4, articolo 10, comma 2 lett. N, e comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 36 del 2003. In particolare rilasciava l'autorizzazione sopraindicata in assenza della obbligatoria presentazione della garanzia per la gestione post-operativa ammontante ad oltre 47.156.023 euro.
  3. articolo 9, comma 1 lett. A, e articolo 8 lettera M, allegato 2 punto 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 36 del 2003. In particolare rilasciava l'autorizzazione sopraindicata in assenza della presentazione del previsto piano finanziario (disciplinato dall'allegato 2 citato) atto a dimostrare la copertura, mediante il prezzo applicato per lo smaltimento, di tutti i costi derivanti dalla realizzazione dell'impianto e dall'esercizio della discarica, i costi connessi alla costituzione delle garanzie finanziarie, i costi stimati di chiusura, nonché quelli di gestione post-operativa per un periodo di almeno trenta anni.

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  A fronte della necessità, evidenziata nella stessa richiesta di autorizzazione integrata ambientale presentata da AMIU, di accantonare la somma di euro 61.773.405 rilasciava la autorizzazione P.D. 712/2011 del 7 febbraio 2011 citata prescrivendo l'obbligo di accantonare soltanto la somma di euro 11.582.514.
  In particolare a fronte delle spese previste per la post gestione indicate da AMIU in 47.156.023 euro ea fronte delle spese per la copertura finale indicate da AMIU in 20.121.953 euro rilasciava la concessione con la previsione di un accantonamento annuo di euro 1.930.419 che, moltiplicato per gli anni di gestione della discarica (6), prevedeva la sopraindicata somma di euro 11.582.514».
  L'iniziativa giudiziaria pone un punto fermo rispetto a un passato qualificato dai più volte richiamati limiti gestionali.
  Il presidente di AMIU ha riferito degli interventi previsti: «è stato presentato un progetto di intervento per quanto riguarda tutti gli aspetti collegati a Scarpino nel corso di una conferenza di servizi preliminare, che è stata chiesta da AMIU chiesto proprio per avere gli elementi per presentare una nuova istanza di AIA. Questa conferenza di servizi preliminare si è chiusa a luglio con delle prescrizioni, che riguardano la soluzione del problema Scarpino sia in una fase «di emergenza», un transitorio, sia in via definitiva. L'azione dell'azienda è quindi orientata su più livelli. Rispetto alle prescrizioni della delibera della Giunta regionale 947, seppur con i limiti di una società pubblica di dover fare le gare in un contesto in cui peraltro non è mai stata dichiarata l'emergenza rifiuti, quindi con le procedure attraverso la stazione unica degli appalti del comune perché da gennaio 2014 l'azienda ha delegato alla stazione unica degli appalti del comune di Genova tutte le procedure sopra i 100.000 euro, che sono la maggior parte per quanto riguarda AMIU, è stata messa in atto una serie di azioni concordate con gli uffici regionali. Questi sono stati l'incremento delle volumetrie e della capacità di solfonazione con l'acquisto dei serbatoi mobili, l'avvio di una campagna di sperimentazione per conferire parte del percolato presso il depuratore di Sestri Ponente, il noleggio di impianti mobili di trattamento che ci aiutino a incrementare la capacità di trattamento e la predisposizione di un progetto preliminare, secondo le richieste della provincia di Genova, per risolvere il problema in maniera definitiva, l'impianto di depurazione ipotizzato a Scarpino e ovviamente era stato chiesto ad AMIU di ipotizzare rispetto ai massimi picchi registrati l'anno scorso. È un impianto per il quale è stata fatta una progettazione preliminare, che quindi traguarda il tema più strategico che non è quello dell'immediato, è un impianto importante sia tecnologicamente che dal punto di vista dell'impatto in termini di costi di realizzazione e di gestione. Si parla di una quarantina di milioni di euro di realizzazione e di una dozzina all'anno di gestione.
  In queste settimane si sta parallelamente ipotizzando un'ipotesi alternativa, che è quella di convogliare il percolato, in maniera più robusta rispetto a quello che viene fatto ora, in un impianto di trattamento che potrebbe essere collegato al nuovo impianto di depurazione area centrale, che Mediterranea delle Acque sta realizzando in un'altra zona di Genova. Per fare questo c’è bisogno di acquisire ulteriori aree. Per l'acquisizione di queste aree e in generale Pag. 43per tutto il tema delle aree su cui collocare tutta l'impiantistica, all'inizio di questo mese AMIU ha presentato al comune uno studio che è all'esame per valutare come collocare in maniera sinergica depuratori, biodigestore, tutta la parte impiantistica [...].
  A Scarpino bisogna pensare che sotto ci sono cento metri di rifiuto prima di arrivare alla zona che anticamente si chiamava «i laghetti», che fu scelta come sede della discarica.
  Capire cosa succede nei cento metri di strato sotto i nostri piedi non è obiettivamente facile. È stata coinvolta una commissione di esperti, i professori Rosso e Tubino che hanno analizzato la cosa, sono stati analizzati i chimismi dei vari percolati la scorsa estate e ad ottobre, in occasione dell'ultima alluvione, e venerdì scorso è stata presentata una prima ipotesi di bilancio idrico.
  Tutto questo meriterebbe probabilmente anche un consesso tecnico che vada al di là delle risorse dell'azienda, del comune e di altri. Questo per dire quanto accade lì sotto quando ci sono queste punte di percolato derivante non solo dalla pioggia che cade sulla discarica, ma anche da acqua che cade su un bacino idrico molto più ampio, si infiltra, sale ed entra in contatto con il percolato.
  Non si sa se si riuscirà a parlare di bonifica come per Stoppani, probabilmente il tema è quello della messa in sicurezza e dell'attivazione di un sistema stabile, per cui questo percolato venga comunque trattato e gestito. Tutto questo in un momento in cui anche questo tipo di interventi richiede all'azienda dei costi sui quali ci si chiede se sia obiettivamente giusto che una discarica aperta e chiusa in epoca passata venga caricata integralmente sulla comunità genovese.
[...]
  Si tratta quindi di un tema che è riduttivo leggere solo dal punto di vista dei rifiuti, in quanto si parla di geologia, di idraulica e di risorse che probabilmente vanno al di là della nostra capacità di gestione».
  Va peraltro rilevato, come lo stesso presidente di AMIU ha fatto, che il piano industriale presentato a settembre 2014 dalla società non aveva un riferimento certo in un piano rifiuti approvato dalla Regione e, come ha detto «diventa difficile pensare a investimenti di centinaia di milioni di euro in assenza di un quadro stabile».
  Lo sconvolgimento nella percezione sociale e politica dell'azienda è in sostanza derivato dal fatto che AMIU è sempre stata un'azienda in utile, che si è basata storicamente sui ricavi che la gestione della discarica garantiva. Oggi la discarica non solo non consente di avere dei ricavi, ma genera dei costi per lo smaltimento e la messa in sicurezza.
  In questo contesto radicalmente mutato AMIU non potrà scegliere le vie brevi, foriere di potenziali illegalità, del passato ma, come il suo nuovo presidente ha detto in sede di audizione «costruire il posizionamento strategico come azienda, guardando a dove va l'Europa oggi, quindi al tema dell'economia circolare, a smettere di usare la parola rifiuto, adottando il termine materia. L'impiantistica a cui si pensa è quindi un'impiantistica dedicata al recupero e alla valorizzazione della materia.Pag. 44
  Non avendo un inceneritore, non essendoci a oggi un piano regionale che preveda l'inceneritore, si potrebbe diventare il terreno su cui sperimentare in maniera spinta il tema dell'economia circolare. L'idea è quella di trasformarsi, di vedere l'opportunità insita nel problema e quindi collocarsi nel superamento di una logica puramente emergenziale, per provare a darsi una dimensione diversa. In Liguria, in quanto azienda pubblica di ampie dimensioni, AMIU è oggi l'unico soggetto in grado di gestire questo cambiamento, che in azienda si sta perseguendo in maniera importante ripensando alla differenziata, facendo percorsi di formazione e soprattutto gestendo il tema della partecipazione».
  Quanto alle fideiussioni, il presidente ha inteso precisare che risultano accantonati circa 18 milioni di euro, di cui 4 accantonati su un fondo «Scarpino 1» e 14 accantonati su «Scarpino 2»; una società di consulenza è stata incaricata di effettuare un ricalcolo.
  Su una polizza fideiussoria non è ritenuto adeguato il soggetto erogatore; AMIU ha indetto una gara per avere una nuova polizza trentennale sulla nuova AIA richiesta, che è andata deserta; il consiglio di amministrazione di AMIU ha deliberato di incaricare la stazione unica degli appalti del comune di prevedere una nuova polizza quinquennale rinnovabile, con escussione in caso di mancato rinnovo.
  Per quanto riguarda il biogas, la scelta dell'azienda in passato era stata quella di cedere l'utilizzo dell'estrazione del biogas a una società di rilevanza nazionale e di averne una royalty, che oggi è pari a circa il 27 per cento del valore del biogas prodotto.
  L'assessore ambiente del comune di Genova, in sede di audizione ha focalizzato alcuni temi relativi agli oneri della mutata situazione, in cui la discarica da fonte di utili è divenuta problema centrale da superare: «la vecchia discarica di Scarpino 1 è stata realizzata in anni in cui non c'erano norme sull'impermeabilizzazione dei suoli, quindi è emersa la maggior parte dei problemi che oggi stiamo sperimentando, ma neppure erano previsti accantonamenti a bilancio per il post mortem della discarica. Oggi ci si trova quindi ad affrontare investimenti per decine di milioni di euro per problematiche in parte collegate alla gestione degli ultimi anni, ma in maniera preponderante dovute a quella parte di discarica individuabile come Scarpino 1, ante norme sia sull'impermeabilizzazione sia sugli accantonamenti a bilancio.
  Fino ad oggi il comune ha avuto l'interlocuzione con la regione, ma cogliamo questa occasione per rappresentarvi la necessità di un intervento pubblico in termini di bonifica o di messa in sicurezza della vecchia discarica. Credo però che, come ha sottolineato anche il presidente Castagna, non sia corretto immaginare di caricare tutti questi costi sulla tariffa dei cittadini genovesi. Questo è un tema su cui chiedo una vostra sensibilizzazione nel momento in cui si individuino le risorse per la bonifica dei siti contaminati o la messa in sicurezza dal punto di vista idrogeologico.
  Un commento infine sui costi della tariffa a Genova e in Liguria. I costi che in questi anni il comune ha chiesto di sostenere ai cittadini genovesi comparati con le altre grandi città anche del nord (Milano, Torino, Verona per andare poi a Roma e Napoli) sono in linea con Pag. 45quelli delle altre grandi città. La peculiarità ligure è quella di avere una popolazione molto concentrata sulla costa, in cui il peso dei comuni capoluogo e in particolare di Genova che vale 600.000 abitanti (quasi 800.000 per l'area metropolitana) è pari alla metà dell'intero territorio ligure. I costi del servizio di raccolta, di igiene del suolo e di trattamento dei rifiuti sono sicuramente correlabili alla popolazione dei comuni, e purtroppo tutti si sono seduti sulla discarica perché i costi di una gestione dei rifiuti basata sulla discarica sono almeno inizialmente inferiori a quelli che bisogna sostenere per cambiare modello incrementando la raccolta differenziata e finanziando altri tipi di impianti. Il compito del comune di Genova sarà quello di realizzare un sistema che a tendere preveda una diminuzione delle tariffe, ma per i prossimi anni purtroppo, dovendo sostenere la realizzazione degli investimenti, è difficile immaginare che i costi possano scendere.
  In questa dimensione l'assetto aziendale di AMIU è un elemento chiave, perché probabilmente società strutturate su un territorio più ampio riescono a realizzare economie di scala che potrebbero negli anni garantire benefici anche alle nostre tariffe».
  L'essersi «seduti sulla discarica», secondo le parole dell'assessore, presenta ora un conto pesante.
  L'ipotesi di trasferire gli oneri in un procedimento di bonifica è fonte di dubbio, sia dal punto di vista normativo che dal punto di vista di congruità e opportunità generale; di talché lo stesso assessore, interloquendo ulteriormente con la Commissione ha ipotizzato un intervento sul dissesto idrogeologico, attesa la particolare natura del sito.
  A fronte della contingenza del procedimento penale, in cui non si può parlare di supplenza giudiziaria bensì di un intervento generato dalla insostenibilità di una situazione progressivamente arenatasi in difetto di scelte gestionali precise e compatibili, è emersa dunque dagli interlocutori istituzionali la necessità di una rinnovata visione strategica, che il sindaco di Genova associa a quella di adeguati investimenti, con doverosa attenzione al presidio di legalità che può essere costituito da una società pubblica risanata rispetto a comportamenti illeciti, comunque rivelatisi marginali e prontamente contrastati, e che scelga in maniera chiara i propri eventuali partner: «le scelte impiantistiche dell'azienda implicano una capacità di investimento che né l'azienda da sola né il comune azionista povero di risorse hanno, non essendo quindi in grado di ricapitalizzare l'azienda. Si impone quindi dal punto di vista strategico la necessità di individuare attraverso procedure assolutamente trasparenti un partner che con AMIU realizzi gli impianti necessari nei nostri progetti industriali. Dal punto di vista politico-aziendale si stanno valutando due opzioni, entrambe teoricamente percorribili. La prima è l'individuazione di un partner nel caso in cui si volesse creare una società ad hoc per la realizzazione del biodigestore, con una capacità di investimento esterna, finalizzata solo alla realizzazione dell'impianto. Di questa società AMIU potrebbe essere parte e avere un rapporto da società a società. L'altra ipotesi è un aumento di capitale di AMIU dovuto a soggetti interessati a conferire risorse, che acquisirebbero azioni di AMIU. Il comune non venderebbe per fare Pag. 46cassa, ma favorirebbe un aumento di capitale finalizzato agli investimenti, che comunque implicherebbe una diluizione della quota proprietaria detenuta dal comune. È necessario avere capitale fresco da investire, una quota di capitale fresco sul totale del capitale azionario di AMIU, e una quota di controllo pubblica. Si parte da un'ipotesi che prevede l'ingresso accanto ad AMIU di altri soggetti sia nell'ipotesi tecnica 1 che nell'ipotesi tecnica 2, ingresso nel capitale di AMIU ad opera di un partner o di una neco finalizzata alla realizzazione dell'impianto. Partendo dal fatto che ad oggi la proprietà è stata pubblica, non si può parlare nel caso genovese di infiltrazioni mafiose nella gestione. Ad oggi non ci sono state infiltrazioni mafiose nel controllo del processo, magari debolezze della politica, ritardi...».
  L'AMIU ha di recente rinnovato i suoi vertici, e l'audizione del nuovo direttore generale è stata occasione per cogliere una visione consonante delle medesime problematiche di tutela della legalità e di efficienza del servizio.
  Il direttore generale dell'AMIU ha parlato, espressivamente, di una società «impaurita» in cui si sono resi necessari alcuni interventi organizzativi immediati: «dalla settimana scorsa c’è una separazione netta tra ciò che riguarda il legale e il societario e ciò che riguarda il contrattuale e le gare. Prima facevano riferimento a una persona unica; ora, sono due persone distinte. A giorni verrà nominato un direttore tecnico per l'azienda, in modo che abbia un elemento di coordinamento dei pochi impianti che ci sono, e che si spera aumentino, e di un CFO, un direttore finanziario che abbia capacità sui piani finanziari pluriennali dell'azienda».
  La sofferenza dell'intera regione Liguria, acuita a Genova per le dimensioni dell'area metropolitana, è quella che tra l'altro ha portato, come si è visto, alla necessità di accordi interregionali e infraregionali. Uno degli aspetti negativi di questa situazione è ben presente ad AMIU: «oggi si stanno esportando i rifiuti attraverso degli accordi interregionali. Nel primo semestre del 2015 verso la regione Piemonte per una quantità di 53.000 tonnellate. Sono state esportate 10.000 tonnellate nella parte finale del 2014, non più ripristinate nel 2015. La regione Liguria ha stipulato un accordo con la regione Toscana per portare rifiuti presso un impianto di Massa Carrara. Inoltre, c’è un accordo regionale tra le province di La Spezia e Genova per portare un centinaio di tonnellate al giorno a La Spezia. È una situazione di grande difficoltà, precaria, dove la struttura societaria tratta con le altre aziende i prezzi di accesso. È una situazione non molto piacevole, perché a volte ci si trova anche di fronte a società che, pur essendo completamente pubbliche, possono operare dei segnali di lucro nelle condizioni date. In ogni caso, quando si è impossibilitati a smaltire i rifiuti, si accettano anche prezzi inevitabilmente abbastanza elevati. A questo si devono aggiungere gli elementi di trasporto. È stata fatta una gara e sulla base di questa ci si sta regolando».
  La futura dotazione di impianti è l'elemento chiave sia per la risoluzione dei problemi di AMIU che dell'intera Regione: «per quanto riguarda il disegno futuro di quest'azienda, che non ha impianti: bisogna dotarla di impianti. [AMIU] Ha circa 1.600 dipendenti. Ne sta stabilizzando alcuni, una trentina di strutture che già lavoravano con Pag. 47AMIU a tempo determinato (a tempo indeterminato, ma a tempo parziale) soprattutto per incrementare le funzioni che vanno verso l'incremento della raccolta differenziata, uno dei punti deboli della regione. Evidentemente, c’è una situazione geomorfologica difficile per compiere certe operazioni, come il porta a porta, ma oggettivamente l'aumento della raccolta differenziata in questa regione abbia segnato il passo, negli anni scorsi non è stato affrontato in modo adeguato e massiccio, pur ribadendo le difficoltà geomorfologiche.
  Qui c’è anche il problema di una carenza impiantistica che balza agli occhi di tutti. Siccome l’asset principale di AMIU è l'impianto a interramento controllato di Scarpino, l'intenzione aziendale è di recuperare prima possibile. L'idea è di realizzare, nella parte dove c'era una grande stabilità, quindi nella parte alta della discarica che avete visitato stamattina, una piattaforma di circa 10.000 metri quadri. Si parla di una gettata di calcestruzzo di 30-40 centimetri che possa contenere le 250.000 tonnellate ogni anno raccolte nella città. Ci sono due impianti di semi-stoccaggio: uno nell'area del levante e uno nell'area del ponente. Da questi impianti prendere i rifiuti, pressarli e portarli a Scarpino. A Scarpino, si collocherà un impianto per rompere i sacchi, un deferrizzatore e le 250.000 tonnellate diventano 245.000, da vagliare con un vaglio grande, di circa 100, in modo che la quantità del sottovaglio sia superiore a quella del sopravaglio, cosa non usuale, perché normalmente il sopravaglio è maggiore del sottovaglio. Sostanzialmente, tutto l'organico finisce in questo sottovaglio. Proseguendo su questa linea, si biostabilizzerà il sottovaglio, di circa 130.000 tonnellate, con dei salsicciotti o, comunque, con delle tecnologie goretex o simil-goretex, per la durata di 21 o 25 giorni. Queste 130.000 tonnellate subiscono una diminuzione di circa il 30 per cento, quindi a valle, da 130.000, se ne trovano 90.000. Si vagliano queste 90.000 con un vaglio di 25 e si ottengono 55.000 tonnellate di CER 190503, cioè compost fuori specifica, che serve per risagomare la discarica, e si hanno circa 35.000 tonnellate di sovvallo. L'altra linea è di 115.000 tonnellate, messe ugualmente a biostabilizzare, naturalmente per un periodo temporale inferiore, perché c’è poco organico avendo avuto un vaglio grande precedentemente, per una decina di giorni. Con la stabilizzazione di circa dieci giorni c’è una riduzione del quantitativo non così elevata, per cui da 115.000 arriverò a 100-110.000, ottenendo un rifiuto simil-CSS o simil-CDR. Poi si verificherà, in base alla composizione merceologica del rifiuto genovese, che risultati si otterranno. Di certo le 250.000 tonnellate del comune di Genova saranno state tutte biostabilizzate, quindi rese innocue.
  [...] Credo che questa, dal punto vista tempistico, sia la partita più breve. L'intenzione è di utilizzare attrezzature a noleggio, eccetto alcune di cui AMIU è in possesso; ad esempio, un trituratore straordinariamente efficace, che va bene non per i rifiuti, ma per le cave, quindi molto forte.
  È in corso di redazione progetto di massima, per portarlo nell'arco di una decina di giorni a progetto preliminare e metterlo a gara.
  Il ragionamento presuppone che ci sia un aumento della raccolta differenziata dal 2014 al 2016. Oggi è al 34. Il progetto industriale Pag. 48parla di arrivare al 50 per cento nel 2016, passando attraverso un 42 per cento nel 2015 e uno splittamento al 2020 del 65 per cento.
  Ci sono nel centro storico oggettive difficoltà a produrre la raccolta porta a porta, perché i carrugi sono vicoletti. Probabilmente, nella parte del levante e del ponente, che, pur essendo ad alta densità abitativa, hanno più spazi, si può fare qualcosa.
  Col direttore generale di CONAI, l'intenzione è quella di una ricalibratura assieme al CONAI di tutte le raccolte.
  Dal punto di vista della legalità della futura gestione si deve sottolineare l'intenzione della nuova dirigenza di AMIU di mettere a disposizione di ARPAL, degli enti autorizzatori ed eventualmente di polizie giudiziarie specializzate i dati di controllo in remoto dei parametri della discarica.
  Collocata nel quadro regionale la vicenda di AMIU risente tra l'altro, come il direttore generale ha ricordato, del fatto che «in Genova e nell'intera Liguria il tema dalla raccolta differenziata è stato preso forse con un po’ di leggerezza. Pur con le difficoltà geomorfologiche, la raccolta differenziata non ha raggiunto elementi elevati in termini percentuali».
  Quanto al post mortem, ha precisato che sono stati fatti degli accantonamenti, in fase di revisione conformemente alla norma OIC (Organismo italiano di contabilità) dell'agosto 2014, che prevede di ricalcolare tutti i sistemi del post mortem in base alla quantità dei rifiuti apportati in discarica negli anni precedenti.
  AMIU provvede a smaltire la raccolta dell'umido nell'impianto di Bioland ad Alessandria.
  Il direttore pro tempore della discarica di Scarpino ha individuato nell’«azzeramento» della precedente gestione di AMIU un punto di svolta e delineato le possibilità future: «da quando è stata un po’ azzerata AMIU e ripensato il nuovo approccio dell'azienda, non si può parlare di un singolo intervento, ma, come il piano industriale prevede, di una serie di interventi, che vanno dalla raccolta differenziata alla comunicazione, all'impiantistica del sito finale, che può essere Scarpino inteso come residuale di quello che sarà il percorso della raccolta differenziata, agli sviluppi della raccolta differenziata. Ovviamente, gli impianti per le valorizzazioni di materia e/o di energia per la frazione umida e le frazioni secche, fondamentalmente carta e multi materiale leggera, sono l'implementazione di un impianto partito già da due anni e che sta dando buonissimi risultati, quello di Sardonella. Per quanto riguarda la comunicazione, nel piano industriale c’è un percorso sviluppato proprio su un cambiamento di mentalità, che sarà sviluppato anche nei confronti della cittadinanza illustrando il concetto, secondo lo slogan «questo non è un rifiuto», riferito all'immagine di una buccia di banana o di altra materia, ma qualcosa di potenzialmente recuperabile. È stato fatto anche un lavoro su questo.
  L'azienda ha predisposto un'attività sull'economia circolare. Con interventi, seminari, istituendo una sorta di scatola pensante, dove i vari soggetti, cioè la cittadinanza, le associazioni dei consumatori, le associazioni delle imprese, ovviamente i gestori dei vari impianti mettono a fattor comune le potenzialità della valorizzazione a filiera Pag. 49corta. Questo è il punto fondamentale. La trasferenza dei rifiuti, infatti, è veramente assurda in tutti i sensi.
  Sulla formazione del personale si proseguirà. Sulla parte dell'umido è stato intensificato il discorso della distribuzione delle compostiere domestiche e si stanno attuando anche in alcune realtà le cosiddette compostiere di comunità. Queste sono realtà che potrebbero essere interessanti soprattutto tenendo conto dell'orografia della regione per quelle zone lontane, «periferiche», le frazioni, che altrimenti rischierebbero, da un punto di vista costi/benefici dei gestori, di essere abbandonate e di non essere coinvolte anche mentalmente nel cambiare l'approccio. Proprio per il fatto che quel materiale anche a livello di piccola comunità viene direttamente utilizzato da chi porta il materiale, può dare ottimi risultati».
  In sede di audizione il direttore generale di AMIU ha illustrato un piano industriale che, originariamente, prevedeva l'utilizzo dell'area di Scarpino come sede di nuovi impianti di trattamento.
  Un piano industriale aggiornato è stato tuttavia trasmesso alla Commissione il successivo 20 marzo 2015. Con esso la società AMIU SpA fornisce un aggiornamento sullo stato dell'arte sia della messa in sicurezza della discarica di Scarpino sia dell'impiantistica ipotizzata per gestire a regime il ciclo dei rifiuti.
  Va detto, che la nota è antecedente all'approvazione del Piano regionale dei rifiuti, anche se le scelte impiantistiche ipotizzate sembrano trovare riscontro negli scenari descritti nel Piano rifiuti per la città metropolitana di Genova.
  In data 13 gennaio 2015, AMIU ha consegnato al comune di Genova uno studio (approvato dal CdA in data 23 dicembre 2014) avente ad oggetto «Localizzazione territoriale dello sviluppo impiantistico per il trattamento dei RSU di Genova». Lo studio si propone di esplorare, con una preliminare valutazione, la fattibilità di localizzare gli impianti previsti in una serie di aree prese in esame.
  Pur in assenza di atti da parte dell'amministrazione comunale che rendano concrete le ipotesi localizzative, l'AMIU dichiara che dall'esame degli scenari presi in esame e dal successivo confronto con l'Amministrazione sono emerse:
   la preferenza (per ragioni di «tempi») a localizzare il biodigestore e l'impianto di valorizzazione dei materiali nell'area «ex Colisa», di proprietà della società a maggioranza pubblica Sviluppo Genova (partecipata in minima parte anche da AMIU);
   l'ipotesi di localizzare gli impianti di separazione secco/umido e l'impiantistica di stabilizzazione della frazione organica nell'area di Scarpino;
   l'ipotesi di realizzare un impianto dedicato di trattamento del percolato in area ex ILVA, sito limitrofo a quello in cui verrà realizzato il nuovo depuratore di Area centrale (impianto di depurazione del percolato prodotto dalla discarica di Scarpino che dovrebbe rappresentare la soluzione «a regime» del problema del percolato).

  Lo stesso studio relativo al tema «aree», inoltre, prende in esame il tema del dimensionamento dell'impianto di trattamento del rifiuto Pag. 50organico, prevedendo come scelta aziendale la possibilità di trattare in una prima fase 60/80.000 tonnellate/anno di FORSU, con un eventuale incremento della capacità di trattamento in una seconda fase, fino al valore di 100.000 tonnellate/anno di FORSU.
  Lo sviluppo dell'impiantistica prevede tre distinte fasi:
   una prima fase in cui sarebbe attivo solo un impianto che separa la frazione secca da quella umida della raccolta indifferenziata (cassonetto verde), localizzato presso la discarica di Scarpino, e che prevede la sola stabilizzazione della frazione umida prima dell'abbancamento in discarica del rifiuto stabilizzato e l'invio a impianti di recupero energetico della frazione secca che non dovrebbe, comunque, contenere, secondo quanto disposto dalla delibera della Giunta regionale n. 1293 del 2014, più del 15 per cento di frazione biodegradabile. Tale limite, secondo AMIU sarebbe molto difficile da raggiungere;
   una seconda fase in cui dovrebbe entrare in funzione l'impianto di recupero di materia in grado sia di separare il secco dall'umido che di valorizzare la frazione secca con recupero spinto di materiale attraverso fasi di lavorazione non specificate. La frazione umida continuerebbe ad essere smaltita in discarica dopo essere stata stabilizzata;
   una terza fase in cui l'impiantistica dovrebbe essere completa con l'entrata in funzione del biodigestore, per il trattamento della frazione organica da raccolta differenziata. L'ipotesi impiantistica sembrerebbe prevedere una prima fase di trattamento anaerobico della frazione organica che successivamente completerebbe la sua stabilizzazione con una fase aerobica. Viene, infatti previsto un digestore anaerobico e un impianto di compostaggio da realizzarsi in maniera integrata. La capacità di trattamento complessiva, come evidenziato dovrebbe essere, in una prima fase pari a 60/80.000 tonnellate/anno e successivamente potrebbe essere ampliata fino a trattare 100.000 tonnellate di FORSU. Fino all'entrata in funzione del biodigestore (2019) la frazione organica sarà mandata a trattamento in impianti non gestiti da AMIU.

  L'analisi dello scenario impiantistico solleva dubbi sia sul dimensionamento del sistema di trattamento dell'organico che appare sottodimensionato in un'ipotesi di raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata del 65 per cento previsti dal piano rifiuti, sia sui tempi molto lunghi previsti per il funzionamento a regime del sistema complessivo di trattamento che dovrebbe completarsi solo nel 2019. Non vengono, inoltre, fornite informazioni tecniche sull'impianto di recupero di materiale da realizzarsi presso la discarica di Scarpino che consentano di valutare la reale chiusura del ciclo di gestione del rifiuto indifferenziato.
  L'audizione del rappresentante delle organizzazioni sindacali CGIL-FP, FIT-CISL, UILtrasporti, Fiadel è emersa una specifica preoccupazione che lega le prospettive dell'azienda al tema della frammentazione della gestione.Pag. 51
  La perdita di operatività della discarica di Scarpino viene vista con timore come «una situazione di potenziale superamento della capacità di esistere in vita di questa azienda per la semplice ragione che, a seguito dell'impossibilità di proseguire l'utilizzo della discarica, si è generato un costo aggiuntivo per la messa in sicurezza del luogo, che ormai è valutabile intorno a una decina di milioni di euro in termini di aggravio di costi per quanto riguarda una serie di interventi di cui l'azienda si sta facendo carico. Tali interventi hanno riguardato sia Scarpino 1, discarica chiusa da tempo, sia Scarpino 2, discarica in attività fino ad alcune settimane fa, per far fronte a tutta una serie di prescrizioni che venivano sia dalla magistratura, sia dall'ente responsabile dell'ATO, la provincia di Genova, sia da ARPAL, l'Agenzia regionale per quanto riguarda questi elementi».
  Grava sull'AMIU anche il conferimento di rifiuti in altre regioni, che, secondo le valutazioni del sindacato, potrebbe generare un extracosto di 25-28 milioni di euro.
  A partire dalla vicenda più circoscritta del riferito impegno del sindacato per evitare che i trasporti fossero affidati a soggetti terzi ma avvenissero con risorse aziendali, il rappresentante sindacale ha chiaramente affermato che «di fronte al frazionamento dell'unicità del ciclo dei rifiuti molti appetiti potrebbero manifestarsi.
  Tutto ciò ha poco a che fare con l'indagine giudiziaria, che riguarda la responsabilità di una serie di dirigenti per un comportamento lesivo degli interessi dell'azienda, però questa cosa insieme ad altro è utilizzata in maniera ossessiva sia dalla stampa che da circuitazioni di natura politica e sociale, per indicare come tutto sommato sarebbe interessante vedere un frazionamento dell'attività dell'azienda».
  È un allarme preciso a cui si associa la manifestata esigenza di «impedire condizioni che attraverso processi di divisione» possano produrre fenomeni negativi.
  L'interlocuzione del direttore generale dell'AMIU in sede di audizione ha riguardato la situazione di bilancio: «questa è una società che, anzitutto, non si è preoccupata negli anni scorsi di avvalersi di affidamenti bancari adeguati. Lavora con due istituti di credito e da una settimana il nuovo vertice sta incontrando istituti di credito per ampliare a cinque o sei i conti di credito, gli affidamenti, con player più elevati. C’è un affidamento bancario di 25 milioni fatto dal Gruppo Intesa insufficiente in quanto, facendo parte delle società in house, AMIU riceve dal comune ogni tre mesi il corrispettivo del contratto di servizio. Ci sono dei momenti in cui si è finanziariamente «tirati», perché si deve essere ancora pagati, e momenti in cui a si è ben messi. Affidamenti bancari, non più a due, ma a cinque o sei banche, ma quello che normalmente si mette a fattor comune per capire se una azienda stia bene o male è il rapporto tra la posizione finanziaria netta e l'EBITDA (Earnings before Interests, Taxes Depreciations and Amortisations), il MOL (margine operativo lordo). Sostanzialmente, AMIU non è malmessa. A dicembre 2014, nel forecast la PFN (posizione finanziaria netta) con i crediti a medio e lungo vale 21 milioni di euro, ma il forecast dell'EBITDA vale 15 milioni e il rapporto normalmente è in sicurezza quando si è tra 2,5 e 4. Il vero problema è avere l'opportunità di ottenere degli affidamenti che coprano quando si è tirati finanziariamente».Pag. 52
  Queste considerazioni non sono tali da dissipare, in assenza di una svolta programmatoria effettiva su scala regionale, le preoccupazioni relative al posizionamento di AMIU rispetto all'impiantistica e ai costi generati per la messa in sicurezza, bonifica e corretta gestione delle discariche Scarpino 1 e Scarpino 2.
  Sempre per quanto riguarda gli aspetti finanziari va dato conto delle osservazioni del procuratore regionale della Corte dei conti: «il problema deriva dal fatto che AMIU ha un contratto con il comune di Genova e in questo contratto è previsto un corrispettivo. Questo corrispettivo a contratto rimanda poi al piano finanziario di AMIU, che viene approvato dal comune, in base al quale si determinerà il corrispettivo degli esercizi successivi. Già non si capisce bene come sia stato determinato il corrispettivo a contratto, se poi c’è questo rinvio al piano finanziario per determinare questi corrispettivi. I corrispettivi vengono determinati sulla base dei costi di raccolta e smaltimento di AMIU per tutti i servizi che effettua, quindi c’è anche la pulizia delle strade, è un contratto onnicomprensivo dei servizi che AMIU presta per il comune di Genova.
  Alla fine dell'anno AMIU fa il conto e a consuntivo si vede la differenza fra quello che era previsto nel piano finanziario e il consuntivo dei costi. Quello che era stato previsto nel piano finanziario perde completamente di interesse a questo punto, perché il comune comunque ripiana ad AMIU quello che ha speso. Lo ripiana determinando la tariffa dell'anno successivo, la TIA, la tassa della raccolta rifiuti nelle varie denominazioni che si sono succedute nel tempo. Prima la tariffa la riscuoteva direttamente AMIU attraverso la sua struttura amministrativa, poi la legge lo ha impedito, quindi la riscuote sempre AMIU, però la versa al comune che la riversa ad AMIU (si fa un passaggio in più, ma il risultato è sempre lo stesso). Risulta difficile comprendere però come venga considerato ad esempio il non riscosso, perché una parte del tributo indubitabilmente non verrà riscosso immediatamente, ci sarà un contenzioso. Questo viene coperto dalla tariffa dell'anno successivo, perché AMIU comunque deve riuscire a prestare quel servizio al conto che presenta al comune. Da un punto di vista contrattuale abbiamo quindi una struttura ben individuata, anche se c’è qualche problema fra il corrispettivo e il piano finanziario, che poi però non trova riscontro nella realtà, perché si va a consuntivo.
  C’è poi il problema che AMIU considera tutti i servizi insieme ed è molto difficile riuscire a separare il costo di questi servizi, anche perché ci sono dei problemi nell'utilizzo del personale, che è voce unica che la legge però prevede che in parte venga destinata ai costi generali, per cui il bilancio di AMIU è anche vincolato da alcune prescrizioni normative, per cui i costi vengono spostati in un certo modo ed è molto difficile ricostruire il pre-spostamento. Ci hanno fornito dei numeri, ma non sono sicuro che corrispondano al vero.
  La gestione di Scarpino rientra sempre nell'ambito di AMIU, non è una gestione separata e perciò i costi di Scarpino vanno in parte nei costi del comune di Genova. Devo dire che questa è una situazione non limpida».
  A seguito delle sollecitazioni costituite dall'originaria richiesta di informazioni e dalle audizioni del gennaio-febbraio 2015, l'11 maggio 2015 dal settore aria clima e gestione integrata rifiuti della regione Pag. 53Liguria è pervenuta una relazione di aggiornamento con cui si rappresenta e descrive l'impegno al superamento di talune criticità evidenziate dalle attività della Commissione.
  Per quanto riguarda Scarpino si riferisce che AMIU ha realizzato interventi volti al potenziamento della rete di monitoraggio del battente idraulico e del livello di percolato, alle verifiche di stabilità dei corpi di discarica ed al drenaggio idrico esterno; è stato redatto il bilancio idrico complessivo sulla base del quale progettare gli ulteriori interventi di drenaggio e potenziamento delle capacità di stoccaggio e trattamento del percolato.
  A seguito dell'avvio di procedimento di autorizzazione integrata ambientale, nella conferenza dei servizi in sede referente tenutasi in data 16 marzo 2015, AMIU ha chiesto il rinvio della conferenza e contestuale sospensione del procedimento di AIA, al fine di procedere ad un riesame del progetto di utilizzo della discarica e della gestione delle emergenze, e pertanto la conferenza dei servizi ha stabilito la chiusura del procedimento avviato.
  AMIU SpA il 20 aprile 2015, ha rinnovato la richiesta di Autorizzazione Integrata Ambientale per il polo impiantistico «Scarpino 3».
  La società AMIU, con nota del 14 ottobre 2015, ha ritenuto di integrare nuovamente la documentazione trasmessa alla Commissione, per illustrare più ampiamente il modello di gestione del ciclo dei rifiuti finalizzato a superare quello basato principalmente sullo smaltimento in discarica. La società dichiara l'avvenuta revisione non solo del piano industriale approvato a settembre 2014, ma anche di quello rimodulato a marzo 2015.
  Nella documentazione trasmessa vengono sinteticamente illustrate le attività poste in essere a partire dai primi mesi del 2015. Riguardo all'impiantistica il nuovo modello gestionale, che è in linea con il piano regionale dei rifiuti approvato a marzo 2015, viene orientato verso una massimizzazione del recupero di materia attraverso la realizzazione dei seguenti impianti:
   1) impianto di selezione e biostabilizzazione del rifiuto indifferenziato a valle della raccolta differenziata con una capacità di trattamento 235.000 tonnellate/anno;
   2) impianto per trattamento del residuo secco da selezione finalizzato alla produzione di combustibile solido secondario (CSS), ovvero alla produzione di frazioni merceologiche da avviare a recupero (capacità di trattamento stimata in 150.000 tonnellate/anno espandibili a 200.000);
   3) impianto di trattamento della frazione organica da raccolta differenziata consistente in un digestore anaerobico di capacità di trattamento stimata in 60.000 tonnellate/anno;
   4) impianto per la separazione delle componenti secche della raccolta differenziata:
    separazione del multimateriale leggero (plastica, alluminio, banda stagnata) e della carta/cartone (questo impianto è già esistente, ma viene previsto un suo adeguamento per aumentarne la capacità di trattamento);Pag. 54
   5) discarica di servizio: Scarpino 3, nuovo lotto della discarica di Scarpino nel quale verrà allocato il rifiuto organico stabilizzato da TMB e, in una fase successiva, gli scarti dell'impianto di trattamento del secco di cui al punto 2.

  AMIU nei primi mesi del 2015, ha presentato agli enti competenti la progettazione preliminare e la progettazione definitiva, ad ottobre 2015, degli impianti di selezione e biostabilizzazione e della discarica Scarpino 3. Ha individuato una serie di aree idonee alla realizzazione dell'impianto per trattamento del residuo secco da selezione e ha in corso l'acquisizione di una di queste aree per poi avviare la fase progettuale. È stata individuata un'area per l'impianto di digestione anaerobica. La fase transitoria, in attesa della realizzazione dell'impianto, prevede la stipula di accordi già in corso per il conferimento dell'organico fuori regione.
  AMIU ha inoltre avviato la progettazione di un nuovo impianto per il pretrattamento del percolato (relativo ai lotti 1 e 2 della discarica di Scarpino, in fase di capping definitivo), come richiesto dalla città metropolitana nell'agosto 2015.
  Sul nuovo scenario impiantistico descritto da AMIU si può, in primo luogo, osservare che lo stesso non appare completamente confrontabile con quanto previsto dal nuovo piano regionale di gestione dei rifiuti, approvato dalla regione con delibera del Consiglio regionale n. 14 del 25 marzo 2015, e soprattutto, con nessuna delle opzioni di scenario previste dal nuovo piano per la città metropolitana di Genova. Potrebbe risultare sovradimensionato l'impianto di selezione e biostabilizzazione del rifiuto indifferenziato residuo la cui capacità prevista è pari a 235.000 tonnellate/anno cui va sommata la capacità dell'impianto di trattamento del residuo secco da selezione (150.000 tonnellate/anno espandibili a 200.000). Nel piano regionale la capacità massima di trattamento dell'intero sistema TMB/produzione CSS è di 151.000 tonnellate/anno.
  Il dimensionamento degli impianti di trattamento del rifiuto indifferenziato va confrontato con lo sviluppo previsto di raccolta differenziata delle diverse frazioni merceologiche e soprattutto dell'organico. Va anche osservato che è previsto un solo impianto di trattamento anaerobico, seguito da una fase aerobica, con capacità di 60.000 tonnellate/anno: dimensionamento non in grado di assicurare la valorizzazione della frazione organica in uno scenario – ipotizzato – di raccolta differenziata del 65%. Sullo sfondo si colloca l'adeguatezza per ora attesa delle azioni descritte da AMIU per incrementare la raccolta differenziata (progettazione di sistema, previsione dell'attivazione di una raccolta porta a porta, collaborazione con il COMIECO per incrementare la raccolta di carta e cartone da utenze non domestiche quali uffici pubblici e commerciali).
  Anche sotto questo profilo, dunque, risulta evidente la necessità di una coerente strategia regionale nella gestione del ciclo dei rifiuti.

2.2.4 Raccolta differenziata.

  Il tema della raccolta differenziata è emerso in più passaggi, essendo centrale il ruolo che esso ha sia nella situazione che sin qui Pag. 55si è creata, sia nel disegno di un possibile diverso sviluppo del ciclo dei rifiuti in ambito regionale.
  Gli ultimi dati disponibili di fonte regione Liguria indicano nel 2014, per i comuni maggiori delle percentuali ancora largamente inferiori agli obietti comunitari e nazionali: Genova: 33,71 per cento; La Spezia: 38,22 per cento; Imperia: 31,15 per cento; Sanremo: 29,57 per cento; Rapallo: 49,21 per cento; Ventimiglia: 22,13 per cento; Albenga: 35,10 per cento; Sarzana: 26,19 per cento; Sestri Levante: 32,10 per cento.
  Indicazioni rilevanti per superare questa situazione sono venute da alcune delle audizioni svolte dalla Commissione durante le missioni in Liguria.
  Il direttore generale di AMIU ha individuato nell'interazione tra strutture di gestione e cittadini la chiave del problema: «Per fare la raccolta differenziata bisogna essere in due. Ci vuole un senso civico, bisogna mettere a disposizione le funzioni, le attrezzature e i mezzi, e poi ci vuole anche una comunicazione eccellente nelle scuole, cosa che si sta facendo bene, e nella popolazione, cosa che non si sta facendo bene, e quindi bisogna aumentarla».
  Alle difficoltà obiettive della conformazione urbana di Genova si somma la mancanza di attenzione da parte degli amministratori rispetto al tema: l'esito che oggi grava sulla città – e sulla Regione – è quello di un ritardo serio nel perseguimento degli obiettivi di differenziata e un persistente sistema – diseconomico e ambientalmente negativo – di trasferimento dei rifiuti: «si effettua la raccolta differenziata dell'umido servendo una popolazione di quasi 100.000 abitanti, più o meno un sesto del totale delle persone. Quest'anno è stato implementato il sistema della raccolta differenziata con cassonetti di prossimità. Per le utenze non domestiche, come fruttivendoli, mercati e così via, c’è proprio un servizio porta a porta. Potrebbero esserci delle micro eccezioni legate alla logistica della città, ma praticamente bar e ristoranti hanno il loro contenitore che a determinate ore viene messo fuori e passa il servizio. Tutto questo materiale viene raccolto in due siti di trasferenza. Queste frazioni sono raccolte in due punti che fanno da hub, uno sul levante e uno sul ponente, e poi da qui sono portate all'impianto di Alessandra di Bioland, quindi è già oggi funzionante una raccolta differenziata sull'umido».
  Il peso specifico della città di Genova con la sua popolazione di circa seicentomila abitanti su un totale regionale di un milione seicentomila è tale anche per quanto riguarda la raccolta differenziata.
  L'audizione del sindaco di Genova ha dato conto del cambio di visione rispetto al conferimento in discarica e della – ora – percepita coscienza delle necessità di investire, non solo economicamente ma anche con idee innovative ed efficaci sulla raccolta differenziata:
   «Dal punto di vista strategico la discarica qualora rientrasse in funzione sarebbe un elemento sussidiario di una diversa visione del ciclo dei rifiuti. Anche qui accusiamo ritardi (questa è una considerazione di carattere politico), ma la spinta a potenziare la differenziata adesso è stata data in maniera molto chiara con una campagna di posizionamento dei raccoglitori in una città che rendeva difficile, Pag. 56se non in alcune frazioni simili a piccoli paesi, la raccolta porta a porta. Si tratta infatti di una città densissima, con grossi edifici, condomini senza cortili interni dove i singoli possano conferire, senza luoghi di raccolta di palazzo per fare un porta a porta come a Milano, dove si trovano quelle case non necessariamente signorili che hanno però degli spazi interni dove i vari abitanti possono portare carta e vetro, che l'azienda poi va a raccogliere. Il problema è il posizionamento dei cassonetti per la differenziata in una città povera di spazi, con strade molto complesse non solo nel centro storico, ma anche nei normali quartieri residenziali, quindi è stato fatto questo lavoro non banale di individuazione degli spazi, un lavoro partecipato perché dove mettere le campane e i raccoglitori deve essere discusso e condiviso.
  L'obiettivo, che sarebbe una sconfitta non raggiungere, è quello di registrare nel 2015-2016 significativi aumenti nella raccolta differenziata, la prospettiva impiantistica è quella descritta e il tema degli illeciti lo vedrei risolto con a) controllo delle procedure interne all'azienda perché i comportamenti siano assolutamente trasparenti (sono state adottate le contromisure opportune collaborando con la magistratura); b) per quanto riguarda l'impianto messo sotto osservazione ci si è attivati per rispondere a tutte le questioni che la magistratura poneva, in un rapporto trasparente, collaborativo e assolutamente ricettivo, ammettendo la necessità di adeguarci».
  La crisi aziendale AMIU reca in sé sia il fattore giudiziario già accennato, sia una valutazione, che il sindaco di Genova ha esplicitato, di adeguatezza gestionale complessiva: «di fronte a proiezioni aziendali che quando mi sono insediato erano di incremento progressivo della raccolta differenziata, che sono state disattese, la reazione dell'amministrazione dopo un anno e mezzo è stata quella di cambiare il vertice dell'azienda. L'auspicio è che, superata questa fase di start-up, i risultati in termini di incremento siano più forti. Sulla differenziata è stato inaugurato l'impianto di Sardorella nel quartiere di Bolzaneto che tratta carta, plastica, cioè parti integranti della filiera non solo della raccolta differenziata, ma del riuso del materiale. L'impianto di Bolzaneto è stato inaugurato in questo ciclo amministrativo, quindi almeno da questo punto di vista in tema di riciclo del materiale qualcosa in questo ciclo amministrativo è stato fatto».
  L'audizione dell'assessore all'ambiente del comune della Spezia ha riportato in primo piano il tema del rapporto tra sviluppo della raccolta differenziata e impiantistica: «l'impianto per la produzione di CDR [di Saliceti] è sufficiente per la provincia. In queste settimane siamo di supporto alla provincia di Genova. L'impianto ha la possibilità di trattare anche 2.500 tonnellate al mese, a supporto del problema che sta attraversando la provincia di Genova. Per quello che riguarda il compostaggio, invece, l'impianto di Boscalino, nel comune di Arcola, di proprietà di ACAM ambiente, lo scorso anno ha lavorato a singhiozzo per problemi di liquidità della società. Attualmente è oggetto di interventi e sta riprendendo l'attività. Logicamente – in questo caso sì – se dovessimo avere le percentuali previste, attualmente l'impianto non sarebbe sufficiente.
  Tuttavia, proprio perché il gruppo ACAM sta ristrutturandosi e anche affacciandosi a un mondo con un vestito diverso, questo tema Pag. 57è oggetto di attenzione. Sono in discussione due progetti, proprio sul settore ambiente, che riguardano i due impianti. Per quanto concerne l'impianto di Saliceti, ci sono due proposte diverse. Da una parte c’è un gruppo che ha proposto di produrre CDR e dall'altra un gruppo che ha proposto di fare una piattaforma di selezione.
  Allo stesso tempo, entrambi propongono l'investimento per l'impianto di Boscalino, quello dell'organico, che riuscirebbe a trattare a regime 30.000 tonnellate, che sarebbe il fabbisogno della provincia della Spezia se si arrivasse a una raccolta differenziata del 70 per cento.
  Per quello che riguarda il servizio, in questo momento la scelta è di progredire sulla raccolta differenziata con il sistema della raccolta dei rifiuti porta a porta. In una città di circa 96.000 abitanti attualmente questo servizio riguarda 54.000 abitanti.
  Nei mesi di marzo-aprile 2015, vi sarà un ulteriore step di altri 14.000 abitanti nella zona nord. Per la fine del 2015 o al massimo nel gennaio 2016 si prevede di includere tutta la città nel sistema di raccolta porta a porta.
  Per quanto riguarda i progetti, ve ne sono alcuni di nicchia, che però vanno nella direzione delle politiche nazionali. Quest'anno siamo partiti anche con la raccolta degli oli vegetali esausti. In sei mesi abbiamo raccolto dodici tonnellate di oli esausti.
  La Spezia ha fatto un progetto Ancitel per quello che riguarda i piccoli RAEE, unici in tutta la Liguria e siamo stati anche premiati. Il progetto è proseguito come sensibilizzazione nei confronti delle scuole, dando come premio beni che provengono da materiale riciclato.
  Al contempo, sono stati fatti anche dei progetti un po’ più innovativi, come quello dei pannolini riciclati, che è uno dei problemi molto sentiti per quello che riguarda la possibilità di riciclo.
  Si sta sviluppando, insieme alla Caritas, un progetto di riuso dei materiali, specialmente quelli ingombranti e quelli che vengono tendenzialmente abbandonati oppure portati nelle isole ecologiche. Con la Caritas, c’è la possibilità di un ripristino e di una consegna alle famiglie che hanno più bisogno».
  Il presidente di Legambiente Liguria ha, in sede di audizione, richiamato e commentato i dati di «Comuni Ricicloni», indagine che Legambiente conduce a livello nazionale, soffermandosi sull'analisi regionale relativa all'andamento della raccolta differenziata: «da questa analisi risulta che la regione ha soltanto 11 comuni che arrivano a raggiungere la soglia di legge del 65 per cento (stiamo parlando del 5 per cento dei Comuni), non ne troviamo neanche uno nella provincia di Imperia, sono sette in quella di Savona, tre in quella di Genova e uno a La Spezia. Stiamo parlando di una regione che ha il 75 per cento dei comuni ancora sotto la soglia del 35 per cento e 224 comuni sotto la soglia del 65 per cento, quindi sostanzialmente il 97 per cento della popolazione ligure illegale. I dati analizzati a partire dal 2006, quando doveva essere raggiunto il 35 per cento di raccolta differenziata, mostrano come soltanto tre comuni, di cui uno in provincia di Genova e due in provincia di La Spezia, raggiungessero questi numeri. Tra l'altro, il dato curioso è che i due comuni in Pag. 58provincia di La Spezia che raggiungevano il 35 per cento sono arretrati in sette anni uno di 10 punti e l'altro di 14. [...]
  La Regione, guardando diversi indicatori ambientali, non soltanto quelli della raccolta differenziata, purtroppo risulta veramente molto arretrata. Il sistema della raccolta dei rifiuti è stato incentrato soprattutto sulle discariche [...]
  Il dibattito inceneritore sì/inceneritore no ha allontanato dalla possibilità di vedere altri sistemi impiantistici a freddo, con meno impatto sul territorio, che avrebbero potuto porre le basi per una seria raccolta differenziata, che, se fatta con qualità, per quanto riguarda per esempio la frazione merceologica che riguarda l'imballaggio vede dal consorzio nazionale degli imballaggi l'aumento delle tariffe che c’è stato quest'anno e quindi oggettivamente un ritorno economico per i comuni. In questi ultimi mesi Legambiente ha presentato questi dati anche grazie alla rete di circoli sul territorio e in provincia di Imperia alcuni sindaci hanno affermato che non avrebbero creduto che con la raccolta differenziata si potessero avere dei bilanci in positivo e invece si stanno accorgendo di aver sbagliato a non puntare prima su questo.
  Un passaggio per quanto riguarda gli impianti: c’è l'urgenza di costruire nella regione gli impianti per il trattamento della frazione organica, perché si intercetta soltanto il 15-20 per cento di questa frazione, che sappiamo essere quella che crea la maggior parte dei problemi una volta conferita in discarica, il che significa che circa il 75-80 per cento di materiali umidi va ancora a finire nel sistema delle discariche, per cui certamente questo è un passaggio ineludibile.
  Il piano rifiuti è stato approvato in giunta recentemente, con un po’ di ritardo, per cui comincerà l'iter in consiglio per l'approvazione. Nel piano rifiuti si prevedeva il raggiungimento del 65 per cento di raccolta differenziata al 2020. Questo elemento fa temere che non arrivi una sufficiente spinta ai comuni da parte dell'ente pianificatore, se si rimandano delle scadenze di legge che dovrebbero essere già vigenti. È sufficiente guardare alcuni anni in alcuni comuni per vedere come, se le persone sono messe in condizione di fare la raccolta differenziata e quindi c’è un sistema che si adegua anche dal punto di vista tecnico, i risultati arrivano perché i balzi tra il 40 e il 50 per cento sono possibili anche nell'arco di un anno».
  È peraltro verosimile che nelle aree collinari parte dell'umido venga trattata direttamente con spandimento su terreni privati, senza entrare neppure nella filiera del trattamento dei rifiuti, così come invece previsto dalle norme.
  Il delegato dell'associazione Medici per l'ambiente ISDE Liguria ha collegato il tema del ciclo dei rifiuti a quello della salute, evidenziando anch'egli le criticità altrimenti emerse: «il contributo della associazione dal punto di vista scientifico è stato quello di dimostrare come un ciclo ottimale dei rifiuti debba puntare sulla raccolta differenziata e la differenziazione, perché tutti i dati mettono in chiaro che questo sistema può garantire il minore impatto ambientale e il maggiore recupero energetico. Questo è il compito assunto dall'associazione in questi anni vedendo un'assenza delle amministrazioni che in modo pervicace sono andate avanti con una simile politica. Se a Genova esiste questo problema della chiusura di Pag. 59Scarpino, è perché è stata ignorata di fatto una normativa europea che dal 1999 imponeva il non conferimento di organico in discarica. La normativa completamente elusa sta creando questo tipo di problematiche. È stato peraltro dimostrato che la raccolta differenziata anche in Liguria si può fare di alta qualità, e questo è anche un problema di informazione. Sicuramente le amministrazioni non hanno adeguatamente investito in informazione della popolazione, per far capire che problemi emergono dal non fare una raccolta differenziata in modo adeguato e i vantaggi che invece ci possono essere dal punto di vista ambientale, sanitario e anche economico se questa raccolta viene fatta in modo adeguato».
  Il mancato raggiungimento dei limiti minimi di raccolta differenziata dei rifiuti urbani è stato oggetto di un'indagine della procura regionale della Corte dei conti, di cui il procuratore ha riferito in audizione.
  La procura regionale della Corte dei conti ha ricevuto una denuncia che riguardava il comune di Recco e ha delegato indagini alla Guardia di finanza.
  Al termine delle indagini, il nucleo di polizia tributaria di Genova ha accertato che l'ente non ha raggiunto gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dalla normativa comunitaria, nazionale e regionale negli anni dal 2006 al 2010. L'inefficienza nell'espletamento del servizio pubblico ha comportato il conferimento di una maggiore quantità di rifiuti indifferenziati in discarica con un conseguente notevole aumento dei costi di smaltimento dei rifiuti comunali e l'applicazione di una maggiore ecotassa, nella misura del 20 per cento a titolo di sanzione, sul contributo all'interramento corrisposto per i quantitativi di rifiuti indifferenziati smaltiti. Il maggiore costo ha determinato l'insorgenza di un danno erariale di tipo patrimoniale che è stato attribuito alla collettività dei cittadini attraverso l'aumento della tariffa di igiene ambientale. La mancata predisposizione di un efficiente servizio di raccolta differenziata ha determinato, inoltre, il sorgere di un danno erariale di tipo ambientale.
  Sono stati quindi segnalati all'autorità contabile cinque amministratori pubblici per aver cagionato un danno erariale complessivo (patrimoniale e ambientale) di 1.252.773 euro.
  A questo punto l'indagine è stata estesa ad altri comuni (in questo momento sono 12 in totale) scelti secondo criteri di priorità determinati dal procuratore regionale, il quale si dichiara mancante di risorse per un'indagine totale.
  È stato individuato il criterio del mancato raggiungimento della metà del limite di legge della raccolta differenziata e all'interno di questo ambito sono stati scelti i comuni di maggiori dimensioni, perché vi sono piccoli comuni («comuni-polvere» come li ha definiti il procuratore regionale) dove la raccolta differenziata è pari a zero, ma nei quali, in assenza di una gestione coordinata di ambito è evidente che manca la struttura per riuscire a organizzare un servizio di questo tipo.
  In questo ambito è stato contestato un danno patrimoniale in senso stretto per il maggior costo che risulta dallo smaltimento della frazione non differenziata rispetto a quello che sarebbe stato con la raccolta differenziata, e contestato il danno conseguente all'applicazione Pag. 60dell'ecotassa extra, che consegue allo sforamento dei limiti della raccolta differenziata ed è applicata dalla regione.
  È stato contestato anche il danno ambientale, in quanto conferendo i rifiuti in discarica invece di riciclarli in altro modo si produce un consumo del territorio e un inquinamento autorizzato, ma comunque un inquinamento, che diventa non autorizzato, ad avviso della procura, nel momento in cui si conferisce in discarica più di quanto si dovrebbe.
  Sotto questo profilo la sentenza di primo grado non ha ritenuto sussistente il danno ambientale, proprio perché la discarica è autorizzata: i giudici contabili hanno ragionato diversamente dalla procura, che ha appellato la sentenza sul punto. Sempre in primo grado è stato riconosciuto come danno la maggior somma pagata dai cittadini: a Recco il comune appalta il servizio ad AMIU, ma AMIU faceva pagare al comune lo smaltimento in discarica a consuntivo e sulla base di questi costi il comune stabiliva la tassa dei rifiuti, quindi scaricava sui cittadini il costo dello smaltimento in discarica.
  Un problema evidenziato dal procuratore regionale in questo tipo di approccio giudiziario contabile è quello della responsabilità nel tempo delle amministrazioni che si succedono nel governare il comune e della prescrizione dell'azione.
  La soluzione pratica è così descritta:
   «se c’è una nuova amministrazione che prende in carico un problema, come si è verificato, le si abbuona un periodo che si ritiene congruo per prendere in mano la situazione oppure al limite si considera che l'azione per quella nuova amministrazione, quei nuovi sindaci e nuovi amministratori subentrati non si possa esercitare perché non c’è la colpa grave, perché, pur non riuscendo a superare il problema, si sono adoperati per superarlo».
  Nel caso di Recco erano gli stessi soggetti che si succedevano nel tempo, sindaco e assessore, cioè si scambiavano i ruoli ma erano sempre gli stessi.
  Come ha ricordato il procuratore regionale, lo stesso comune di Recco, dopo l'iniziativa della procura della Corte dei conti ha raggiunto l'anno dopo il 70 per cento di raccolta differenziata, dimostrandosi che era possibile.
  La scelta di questo tipo di azione, ad avviso del procuratore è suscettibile di produrre un «effetto deterrenza» (anche se rimane il problema di non riuscire a perseguire tutti gli illeciti non solo per la differenziata ma per tutti gli altri ambiti del ciclo dei rifiuti che potrebbero presentare criticità con riflessi di responsabilità contabile, a causa della necessità di gestire dalle mille alle millecinquecento denunce annue con quattro magistrati).

2.3 Il nuovo Piano rifiuti.

  La possibilità del superamento delle criticità evidenziate – che da più fonti vengono segnalate come possibile terreno di coltura di forme di illegalità diffusa ma anche di infiltrazioni criminali – è fortemente legata all'efficacia del nuovo Piano di gestione dei rifiuti, che – quale progetto da sottoporre ad approvazione – l'allora presidente della Pag. 61Giunta regionale ha depositato in sede di audizione il 23 gennaio 2015 e che ha integrato con una nota sintetica del 4 maggio 2015 successivamente inviata alla Commissione.
  Il piano regionale di gestione dei rifiuti e delle bonifiche è stato approvato con deliberazione del consiglio regionale della Liguria n. 14 del 25 marzo 2015, e notificato al Ministero dell'ambiente il 2 aprile 2015. Il Piano contiene indirizzi e strategie per gestire i rifiuti urbani, i rifiuti speciali e le operazioni di bonifica nell'arco dei prossimi sei anni, indicando le modalità per un'evoluzione complessiva del sistema ligure verso gli obiettivi previsti a livello comunitario e nazionale.
  La legge regionale n.12 del 2015 pubblicata sul Bollettino ufficiale n. 12 del 15 aprile 2015 prevede un sistema di governo delle funzioni attinenti i servizi di gestione integrata dei rifiuti urbani basato sull'individuazione dell'ambito regionale unico, corrispondente all'intero territorio regionale, articolato in aree territoriali corrispondenti al territorio della città metropolitana di Genova e delle tre province di Imperia, Savona e La Spezia.
  Le criticità che caratterizzano il sistema di gestione dei rifiuti urbani in Liguria sono dovute a diversi fattori, alcuni di carattere contingente, altri di tipo strutturale, che, nell'arco del 2014, si sono manifestati contestualmente.
  Da un lato si devono, infatti, citare gli eventi atmosferici estremi che hanno coinvolto il territorio regionale nei primi giorni del 2014, determinando un incremento rilevante della produzione di percolato della discarica di Scarpino, al servizio della maggior parte dei comuni della provincia di Genova, incluso il capoluogo e la conseguente necessità di verificare la sussistenza delle condizioni per la prosecuzione dell'utilizzo del sito.
  D'altro si segnala che l'assetto impiantistico regionale, caratterizzato principalmente da impianti di discarica, presso i quali viene destinato oltre il 60 per cento del rifiuto prodotto, con la sola eccezione della provincia della Spezia, dove è operativo un impianto di trattamento per la produzione di combustibile da rifiuti, necessita tuttora di un processo di adeguamento finalizzato a determinare le condizioni operative per il rispetto del principio del trattamento preliminare, introdotto dalla direttiva comunitaria 1999/31, recepito nella legislazione nazionale con il decreto legislativo n. 36 del 2003, e oggetto di due circolari attuative di fonte ministeriale, nel 2009 e nel 2013.
  Ad aggravare le criticità gestionali strutturali è intervenuta la necessità di assicurare la gestione di elevati quantitativi di rifiuti prodotti in conseguenza degli eventi alluvionali occorsi, a tre diverse riprese, nei mesi di ottobre e novembre 2014, periodi nei quali la funzionalità delle discariche esistenti risultava già condizionata dai processi di adeguamento citati.
  Si perviene a questa pianificazione attraverso un lungo periodo che, come si è evidenziato ha presentato criticità rilevanti e foriere di possibili illegalità.
  L'allora presidente della Giunta regionale, nel corso della sua audizione davanti alla Commissione, ha inteso fornire una ricostruzione storica della situazione ligure, con riferimento, in particolare a Pag. 62scelte non precisamente determinate del comune di Genova. Così si è espresso:
   «È chiaro che il cuore di questa regione è una provincia che da sola rappresenta tra il 50 e il 60 per cento del peso industriale. C’è il porto e così via.
  In questi dieci anni la regione si è interfacciata con tre sindaci: due anni con Giuseppe Pericu, cinque anni con Marta Vincenzi e tre anni con Marco Doria. Effettivamente è vero che non si è riusciti al momento ad arrivare a una soluzione soddisfacente, anche se gli interlocutori hanno sempre proposto piani che di per sé non potevano essere bocciati, perché avevano una loro credibilità.
  La discarica nasce prima che nasca l'ente regione ed è una delle situazioni più drammatiche che ci siano in questo Paese, perché ha il grande “vantaggio” di essere un territorio praticamente infinito e, quindi, per certi aspetti anche piuttosto comodo e piuttosto remunerativo per l'azienda che lo gestiva.
  I genovesi in questi mesi pagheranno cifre inaudite. I comuni che conferivano a Scarpino, conferendo fuori regione sostanzialmente pagano uguale, il che dà l'idea di quanto pagassero venendo qui, a distanze molto più piccole di quelle per andare in Piemonte o in Toscana.
  La storia è lunghissima. Pericu ha scelto in modo netto di fare il termovalorizzatore. Sansa provò a utilizzare la centrale ENEL sotto la Lanterna per trasformarla in termovalorizzatore, ma non ci riuscì. Invece Pericu decise di farlo a Scarpino e fece tutto il percorso: scelta dell'area, progetto, gara e vincitore della gara. [...]
  Obiettivamente il percorso non fu a parole. La richiesta di ampliare in quegli anni fu accolta sulla base di un progetto che apparve serio e che costò anche un sacco di soldi. Si fece una gara di altissimo livello. Il problema è che lui non riuscì a concludere con l'appalto vero e proprio.
  La gestione successiva cambiò indirizzo e si rivolse verso una diversa tecnologia in Europa pressoché sconosciuta, che si chiama “gassificatore”.
  D'altronde, la regione non può imporre una tecnologia a un comune; può fare delle cose molto forti se un comune è del tutto inerte, ma non se un comune decide di cambiare tecnologia. C’è un'azienda ligure, che si chiama Termomeccanica, che ne fa un po’. Una regione deve dare gli indirizzi, ma non può scegliere l'impianto. Comunque, neanche questo progetto è andato a buon fine.
  Dopodiché arriva una terza amministrazione, l'ultima, la quale comincia a fare esami di mercato.
  Comincia a maturare un'idea, abbastanza sviluppata anche in Nord Europa: se cresce la differenziata o se intendi farla crescere, c’è un limite oltre il quale i termovalorizzatori non possono svilupparsi, perché non hanno da mangiare.
  La conclusione a cui è arrivata questa amministrazione è che, un po’ per come è messa l'AMIU e un po’ per la stagione che si è creata, non ci siano più le condizioni di mercato per acquisire i finanziamenti per fare un impianto del genere e comunque per renderlo redditizio in funzione di un mercato del rifiuto.Pag. 63
  Pertanto, l'amministrazione si è rivolta verso una strategia completamente diversa che, lasciando aperta la questione CSS sì o CSS no, punti decisamente su differenziata e biodigestore.
  L'amministrazione ha chiesto di fare una programmazione di fondi europei finalizzata a questo investimento. Siccome si fa il biogas, l'Unione europea accetta che questi tipi di impianti vengano finanziati con i fondi europei per le fonti rinnovabili. La regione ha messo nel programma, che l'Unione europea ha accolto, il finanziamento o il cofinanziamento del biodigestore. Bisognerà vedere quanto costa il progetto.
  C’è stato anche uno scambio polemico in questi tempi su questa vicenda, perché comunque, a tre anni di distanza dall'insediamento della nuova amministrazione, non è stato ancora deciso esattamente il luogo in cui farlo.
  Adesso il nuovo direttore generale di AMIU, scelto dopo queste vicende molto complicate e anche in parte extraaziendali, ha assicurato che entro gennaio ci comunicheranno il luogo in cui intendono farlo.
  La Regione ha messo anche un'ecotassa, che è la dimostrazione politica su chi si vuol colpire. Ne abbiamo usato i proventi anche per premiare coloro che ne fanno di più. Sono quelli che la fanno che in poco tempo arrivano al 70 per cento. Chiaramente è più difficile fare questo in una città congestionata e grande, però è evidente che si può fare.
  Naturalmente poi la pioggia ha fatto la sua parte, nel senso che il percolato ha cominciato a uscire, arrivando a un punto in cui o si chiudeva o veniva sequestrata.
  Siccome non si è voluto neanche fare il tritovagliatore, che è previsto dalla circolare di Orlando nel 2013, si è arrivati a questo punto. Non ci è rimasto che usare buoni uffici con Chiamparino, con Bonaccini, con Enrico Rossi e con Maroni, per non avere i rifiuti qui.
  Effettivamente molti quartieri hanno ormai fatto la scelta, giustissima e imposta anche dalla legge, di partire con la differenziata. A questo punto si dovrà fare rapidamente la scelta del sito per il biodigestore.
  Peraltro, si è recentemente deciso di fare un biodigestore a Ferrania, una località nel comune di Cairo Montenotte, per servire il savonese. È stata una scelta fatta da un gruppo imprenditoriale privato che fa capo a Gozzi, presidente di Duferco e dell'Entella Calcio, e ai Messina, armatori che però hanno anche attività industriali in Valbormida [...] bisognerà fare il biodigestore, l'impianto di biogas e la separazione secco-umido.
  La discarica di Scarpino potrà essere usata per il residuo secco, in un quadro di risanamento della vecchia discarica, che costerà parecchi soldi.
  C’è poi l'incognita di come sopravvive AMIU in questa vicenda, ma questo è un problema più aziendale e da azionista che non dell'ente di pianificazione. [...]
  Questo è il quadro principale del capoluogo. C’è un discreto impianto a Rio Marsiglia, che è nel primo Levante provinciale e serve il comprensorio di Fontanabuona. Pare che abbiano avuto l'autorizzazione a fare un ampliamento.Pag. 64
  Si superano completamente le discariche di Sestri Levante e di Busalla, che sono già chiuse. Per quanto riguarda il genovesato, sostanzialmente, con gli interventi di miglioramento decisi, si punta ad avere due soli poli: la Scarpino rinnovata, con il biodigestore e così via, e questo impianto di Rio Marsiglia, che è uno dei meglio tenuti».
  Il superamento delle problematiche evidenziate è dunque al centro del Piano regionale di gestione dei rifiuti e delle bonifiche, che ha completato il suo iter amministrativo ed è stato approvato, con delibera del Consiglio regionale del 25 marzo 2015 n. 14 e notificato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota del 2 aprile 2015 (prot. n. 66396).
  Il piano contiene indirizzi e strategie per gestire i rifiuti urbani, i rifiuti speciali e le operazioni di bonifica nel periodo 2014-2020, indicando le modalità per una evoluzione complessiva del sistema ligure verso gli obiettivi previsti a livello comunitario e nazionale.
  Significativa per il possibile superamento delle criticità del sistema ligure di gestione dei rifiuti è anche l'approvazione avvenuta il 22 dicembre 2014 della legge regionale n. 12 del 2015, che modifica la precedente legge regionale n. 1 del 2014 con riferimento alle competenze in materia di governo del ciclo dei rifiuti.
  La legge regionale n. 12 del 2015, pubblicata sul Bollettino ufficiale del 15 aprile 2015, prevede un sistema di governo delle funzioni attinenti i servizi di gestione integrata dei rifiuti urbani basato sull'individuazione dell'ambito regionale unico, corrispondente all'intero territorio regionale, articolato in aree territoriali corrispondenti al territorio della città metropolitana di Genova e delle tre province di Imperia, Savona e La Spezia.
  La legge assegna alla città metropolitana e alle province competenze in merito alla strutturazione e organizzazione dei servizi relativi alla raccolta e al trasporto dei rifiuti, alla raccolta differenziata e all'utilizzo delle infrastrutture al servizio della raccolta differenziata, definendo i bacini di affidamento, nonché alla gestione dei rifiuti residuali indifferenziati e al loro smaltimento, da esercitare in conformità al piano metropolitano e ai piani d'area provinciali, da approvare entro dodici mesi dall'approvazione del piano regionale (entro marzo 2016). Nel nuovo assetto normativo, la città metropolitana e le province provvedono – in forma diretta ovvero delegando tali funzioni a comuni facenti parte di una zona omogenea – alle funzioni connesse all'organizzazione e affidamento dei servizi, in conseguenza della approvazione del piano d'area. Il sistema di governance del settore individua nella Regione l'autorità d'ambito per il governo del ciclo dei rifiuti, che opera attraverso un comitato d'ambito costituito dal presidente della Giunta regionale o un suo delegato, dagli assessori regionali competenti, dal sindaco della città metropolitana o suo delegato, dai presidenti delle province o loro delegati.
  Fra le principali funzioni del comitato d'ambito figura l'approvazione del Piano d'ambito, che recepisce e coordina le scelte del piano metropolitano e dei piani d'area, definendo le integrazioni funzionali fra le quattro aree motivate da esigenze tecniche e di efficienza dei servizi.Pag. 65
  Alla competenza del comitato dell'autorità di governo del ciclo dei rifiuti sono inoltre attribuite funzioni volte a definire l'articolazione degli standard di costo dei servizi, l'individuazione dei livelli qualitativi, le relative modalità di monitoraggio e i soggetti responsabili delle funzioni operative di controllo, nonché funzioni inerenti la gestione delle procedure per la realizzazione e/o l'affidamento della gestione degli impianti terminali di recupero o smaltimento previsti dalla pianificazione.
  La strategia di gestione del ciclo dei rifiuti indicata dal nuovo piano, in conformità agli indirizzi europei e nazionali, prevede i seguenti criteri di priorità: prevenzione o riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero, anche energetico, con un ruolo esclusivamente residuale per i sistemi di smaltimento in discarica (già la deliberazione della Giunta regionale n. 224 del 1o marzo 2013, con la quale sono stati definiti gli indirizzi per la redazione del Piano regionale di gestione rifiuti, aveva delineato questa impostazione).
  Gli obiettivi individuati, tenuto conto delle criticità esistenti a livello regionale, si possono riassumere come segue:
   favorire e sviluppare la prevenzione (riduzione dei rifiuti alla fonte);
portare il sistema territoriale della raccolta differenziata al risultato del 65 per cento rispetto al rifiuto prodotto;
   delimitare bacini di raccolta e gestione omogenei a carattere intercomunale;
   favorire condizioni di effettivo recupero del rifiuto differenziato;
   conseguire l'autonomia di gestione del residuo indifferenziato con riferimento ai sistemi territoriali individuati.

  Per quanto riguarda la bonifica delle aree inquinate la delibera della Giunta regionale ha individuato i seguenti obiettivi:
   favorire il risanamento e la bonifica delle aree inquinate in un'ottica di sostenibilità ambientale ed economica, al fine di restituire il suolo agli usi legittimi senza impegnare nuovi spazi;
   privilegiare, negli interventi di bonifica, l'utilizzo di materiale proveniente da attività di recupero di rifiuti urbani;
   definire modalità efficaci di smaltimento dei materiali rivenienti da interventi di bonifica;
   aumentare il quadro conoscitivo delle aree che potenzialmente presentano criticità ambientali.

  Sulla base di tali indirizzi è stato sviluppato il nuovo Piano di gestione dei rifiuti e delle bonifiche per la Liguria.
  In coerenza alla gerarchia comunitaria di gestione dei rifiuti, primo obiettivo del piano è quello di promuovere una riduzione dei rifiuti prodotti (-12 per cento al 2020 da perseguire mediante le azioni del programma regionale di prevenzione).
  Tra le azioni di prevenzione individuate si citano gli incentivi alla diffusione del green public procurement (GPP), lo sviluppo del compostaggio domestico e di comunità, gli accordi con la distribuzione per ridurre lo spreco alimentare, il supporto ad attività e processi Pag. 66produttivi orientati ad una minore produzione dei rifiuti da imballaggio, l'informazione e la diffusione della cultura della prevenzione.
  Per il recupero dei rifiuti, a valle della raccolta differenziata, vengono stabiliti obiettivi del 50 per cento al 2016 e del 65 per cento al 2020, che hanno sostituito, rafforzandoli, quelli relativi alle percentuali di raccolta differenziata da raggiungere.
  A supporto del riciclaggio e per il raggiungimento dell'obiettivo si prevedono, tra l'altro, la diffusione di sistemi di raccolta domiciliare delle frazioni riciclabili e del secco residuo, modalità omogenee di organizzazione della raccolta differenziata, il potenziamento e la condivisione della rete delle infrastrutture pubbliche di primo conferimento delle frazioni da raccolta differenziata, il supporto all'applicazione di sistemi di tariffazione puntuale, il supporto alla realizzazione di impianti per il trattamento della frazione organica.
  Per incentivare il recupero si prevede anche la creazione nella regione Liguria di attività produttive connesse alla filiera del recupero.
  Viene previsto un assetto impiantistico basato su sistemi di trattamento anaerobico del rifiuto organico domestico e sistemi di trattamento meccanico biologico del residuo indifferenziato, la cui realizzazione si configura in linea con il disposto della circolare ministeriale del 6 agosto 2013, e prevede la progressiva riduzione dello smaltimento tramite discarica.
  Si conferma la scelta di realizzare alcuni interventi già in fase di studio o progettazione sul territorio ligure, finalizzati al trattamento del rifiuto indifferenziato residuo a valle delle raccolte differenziate, nell'ottica del recupero di materia ed energia, che prevedono lo smaltimento in discarica, successivo alle attività di trattamento, del solo rifiuto inerte di scarto.
  Di particolare importanza è naturalmente la governance del ciclo dei rifiuti e il piano si pone l'obiettivo di favorire il processo di concentrazione – di enti locali e gestori – e quindi superare le criticità dovute all'attuale frammentazione delle gestioni.
  Dal punto di vista impiantistico, coerentemente agli indirizzi europei, il piano prevede la sostituzione delle discariche, comunque da adeguare alle disposizioni attuali, che impongono il pretrattamento dei rifiuti da smaltire, con sistemi di trattamento che consentano di recuperare energia e materia dalla frazione residuale, e l'incremento del riciclaggio grazie a sistemi più efficaci di` intercettazione dei rifiuti differenziati.
  Si prevedono limitazioni alla realizzazione di nuove discariche e ampliamenti delle esistenti a servizio dei nuovi sistemi di gestione individuati.
  Particolare attenzione è posta alla frazione umida, per cui il piano promuove principalmente l'utilizzo di processi modulari e flessibili di digestione anaerobica, in grado di trattare l'umido da indifferenziato ma anche di essere agevolmente convertiti al trattamento della frazione umida da differenziata, da incrementare rapidamente, con miglioramento della qualità del prodotto finale.
  In tale contesto la discarica dovrà rappresentare una forma residuale di gestione a cui destinare solo la frazione inerte del ciclo gestionale, riducendo le quantità smaltite dalle attuali 500.000 tonnellate a poco più di 100.000 della situazione a regime.Pag. 67
  Il piano affronta anche le problematiche connesse alla gestione dei rifiuti speciali e alla bonifiche proponendo soluzioni basate su una maggiore conoscenza dei dati e delle informazioni tecniche, focalizzando l'attenzione su specifici flussi di rifiuti come quelli da costruzioni e demolizioni edilizie.
  Il piano regionale prevede anche disposizioni relative al contingente periodo di emergenza, originato dalla necessità di adeguamento delle discariche nelle quali possono essere allocati solo rifiuti pretrattati.
  A tal fine contiene un programma di emergenza per la gestione dei rifiuti in Liguria, che individua le soluzioni basate su accordi interregionali di immediata applicazione, e gli obiettivi da rispettare affinché possa essere ripreso l'utilizzo delle discariche nella piena conformità con il quadro normativo di settore.
  Le tabelle che seguono sintetizzano i principali contenuti del Piano.

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  Il piano regionale, in conformità alle previsioni dell'articolo 199 del decreto legislativo n. 152 del 2006, individua il complesso dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire una gestione dei rifiuti urbani secondo i principi normativi, e in linea con la strategia generale descritta.
  Una puntuale definizione delle scelte, sia dal punto di vista tecnologico che di localizzazione è demandata alla pianificazione attuativa (piano metropolitano e piani d'area/piano d'ambito) per la redazione della quale il PGR individua i principali indirizzi metodologici.
  Di seguito si riporta il quadro di sintesi delle previsioni impiantistiche relative al territorio della città metropolitana di Genova e delle tre province di Imperia, Savona e La Spezia.
  Vengono descritti più scenari corrispondenti ad opzioni alternative, tutte, comunque, basate sul fabbisogno di trattamento dei rifiuti residui a valle di una raccolta differenziata del 65 per cento.
  Si ritiene utile riportare l'intero quadro delle «opzioni di piano».

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  Va evidenziato che la realizzabilità degli interventi proposti viene condizionata alla disponibilità di risorse comunitarie, nazionali o regionali necessarie. Viene previsto che, laddove non risultasse possibile realizzare tutti gli interventi secondo le tempistiche ottimali previste, il sistema impiantistico sia, in ogni caso, strutturato in modo da provvedere Pag. 70al soddisfacimento del fabbisogno su scala regionale, ipotizzando, pertanto, sinergie gestionali fra i diversi territori e il possibile utilizzo delle infrastrutture al servizio di diverse aree provinciali.
  Il Piano rinvia, quindi, alla pianificazione attuativa e alla successiva progettazione una valutazione specifica delle condizioni di praticabilità degli interventi, al fine di un corretto dimensionamento degli stessi, che consenta di garantire in partenza una capacità di trattamento tale da assicurare, da un lato, le esigenze di servizio e la fattibilità economica delle gestioni, e dall'altro la necessaria flessibilità del sistema, rendendolo in grado di sopperire a ritardi di realizzazione o problematiche specifiche contingenti relativamente ad impianti al servizio di specifici ambiti territoriali.
  In tale contesto ipotizza la valutazione della realizzazione, tramite opportune intese tra i territori interessati, di impianti TMB/CSS di taglia fino a 75.000 tonnellate/anno, relativamente alle province di Imperia, di Savona e della Spezia, e fino a 200.000 tonnellate annue relativamente al territorio della città metropolitana di Genova, cui abbinare i previsti impianti di trattamento anaerobico (per un totale massimo di 425.000 tonnellate ad inizio 2017).
  Data la necessità di garantire l'opportuna flessibilità al sistema regionale per adattarsi, come detto, ad eventuali ritardi e problematiche realizzative, sembrerebbe non completamente adeguata la scelta di affidarsi per la frazione organica ad una sola tipologia impiantistica (la digestione anaerobica) che presenta costi e tempi di realizzazione decisamente più elevati rispetto agli impianti di compostaggio e che non garantisce in maniera assoluta la qualità dei prodotti (digestato) e il loro reinserimento nei cicli economici. Inoltre, la previsione di almeno una discarica di servizio, per ciascuna opzione di scenario impiantistico e in tutti i territori provinciali e nell'area metropolitana di Genova, per la quale non vengono riportate informazioni sulle capacità e tipologie di rifiuti da autorizzare, lascia aperta l'ipotesi che gli impianti di TMB a cui destinare il rifiuto residuo servano esclusivamente per pretrattare i rifiuti da allocare successivamente in discarica.
  La regione Liguria ha fornito le informazioni sulle iniziative già in corso per la realizzazione di impianti, che in alcuni casi le stesse (vedasi discarica di Saturnia e l'impianto di trattamento della frazione organica in provincia di Savona) non sembrano completamente in linea con gli scenari di piano fin qui descritti e rischiano di riprodurre condizioni di irregolarità o illiceità nella gestione del ciclo dei rifiuti
  Si tratta di:
   provincia di Imperia: un polo impiantistico dalle caratteristiche conformi a quanto previsto dal PGR è al centro di una proposta di project financing nel comune di Taggia, avanzata alla provincia che, ultimate le necessarie verifiche, provvederà ad indire apposita procedura concorsuale;
   provincia di Savona: è in fase di realizzazione a Cairo Montenotte un impianto di iniziativa privata idoneo al trattamento della frazione organica che dovrà operare in regime concorrenziale;
   provincia della Spezia: sono state avviate le procedure per la progettazione dell'impianto di discarica di Saturnia, che opererà in funzione di servizio al sistema impiantistico presente;Pag. 71
   per quanto riguarda la città metropolitana di Genova le scelte impiantistiche sono attualmente subordinate alla determinazione delle localizzazioni.

  In attesa dell'attuazione del piano, prosegue l'adozione di provvedimenti per la gestione del periodo «di emergenza».
  Il documento del 4 maggio 2015 presentato dalla regione Liguria alla Commissione segnala che, a fronte del perdurare della situazione di emergenza in particolare per la provincia di Genova, a causa della sospensione dell'operatività della discarica di Scarpino, e nelle more della realizzazione degli interventi di adeguamento previsti, è stato necessario, anche nel 2015, proseguire il conferimento fuori regione dei rifiuti urbani indifferenziati sulla base di accordi stipulati ai sensi dell'articolo 182, comma 3, decreto legislativo n. 152 del 2006.
  A tal fine sono state sono state adottate ulteriori deliberazioni rispetto a quelle assunte nel corso del 2014; in particolare, la deliberazione della Giunta regionale n. 1619 del 22 dicembre 2014 («Disposizioni per la gestione dell'emergenza rifiuti relative al periodo dicembre 2014-2015») concede il nulla osta alle operazioni di conferimento dei rifiuti urbani indifferenziati, provenienti dai comuni della provincia di Genova negli impianti siti in regione Piemonte entro il limite complessivo annuale di 104.000 tonnellate, integrabili su indicazione di ulteriori disponibilità e impianti da parte della regione; con deliberazione della Giunta regionale n. 28 del 20 gennaio 2015 («Modifica dell'Accordo fra regione Liguria e regione Toscana di cui alla delibera della Giunta regionale n. 1397 del 23 dicembre 2012 per operazioni interregionali di trattamento e smaltimento di rifiuti urbani») è stata, invece, prevista la proroga sino al 30 giugno 2015 della durata dell'accordo sottoscritto nel gennaio 2013 che prevedeva il conferimento di rifiuti urbani, all'impianto di selezione e compostaggio del CERMEC SpA sito nel comune di Massa: i rifiuti da conferirsi potranno provenire, oltre che dai comuni della provincia della Spezia (già previsto dall'accordo), anche dai comuni della provincia di Genova, fermo restando il quantitativo di rifiuti complessivo conferibile fissato (25.000 tonnellate).
  È previsto che un quantitativo di 2500 tonnellate/mese di rifiuti urbani provenienti da comuni della provincia di Genova possa essere conferito presso l'impianto di Saliceti, gestito da ACAM, per un trattamento propedeutico a successive destinazioni di smaltimento o recupero, integrando l'autorizzazione rilasciata dalla provincia della Spezia sin dal 2009.
  Con deliberazione della Giunta regionale n. 647 del 30 aprile 2015 («Disposizioni per la gestione dell'emergenza rifiuti a valere fino al 31 dicembre 2015») viene concesso il nulla osta alle operazioni di conferimento, fino al 31 dicembre 2015, in impianti localizzati nella regione Piemonte, di un quantitativo dei rifiuti urbani indifferenziati (CER 200301) provenienti dalla città metropolitana di Genova e di rifiuti costituiti da frazione non compostata di rifiuti urbani (codice CER 190501) provenienti dalla provincia di Savona, per una quantità complessiva di 149.000 tonnellate comprensiva di quanto già conferito a decorrere dal 1o gennaio 2015 sulla base della delibera della Giunta regionale n. 1619 del 2014 (sopra citata).
  La deliberazione della Giunta regionale prevede anche la possibilità di inviare, fino al 31 dicembre 2015, ad impianti piemontesi, e Pag. 72ai soli fini della stabilizzazione, una eventuale quota di frazione umida derivante dall'impianto di pretrattamento in fase di ultimazione presso la discarica savonese di Boscaccio, e di rifiuti provenienti dalla Liguria per quantitativi ulteriori rispetto alle 149.000 tonnellate.
  Infine, in base all'articolo 35 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133 «Sblocca Italia», che prevede l'attuazione di un sistema integrato degli impianti di recupero di energia e di smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati, «esistenti o da realizzare», al 31 marzo 2015, circa 20.000 tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati sono state conferite direttamente dai gestori ad impianti di incenerimento autorizzati come impianti di recupero energetico.
  Con la nota sintetica di approfondimento trasmessa alla Commissione nel luglio 2015 la regione Liguria ha aggiornato le informazioni relative alle azioni messe in atto per la gestione del periodo di emergenza che vede ancora la sospensione dell'operatività della discarica di Scarpino e la mancata realizzazione degli interventi infrastrutturali di adeguamento.
  In particolare, oltre al citato accordo interregionale operativo con la regione Piemonte, si sta perfezionando un nuovo accordo con la regione Emilia Romagna per il conferimento di 10.000 tonnellate di RSU provenienti dai comuni della provincia di Genova entro il limite di 200 tonnellate/giorno presso l'impianto di termovalorizzazione di Piacenza, e il rinnovo dell'accordo con la regione Toscana nei termini che dovrebbero ripercorrere l'accordo descritto e scaduto a fine giugno 2015.
  È inoltre in fase di attivazione, a titolo integrativo rispetto ai vigenti accordi interregionali, anche in considerazione di eventuali possibili riduzioni delle capacità degli impianti di destinazione per esigenze manutentive, una soluzione interna al territorio regionale che prevede l'invio a cura di AMIU, come già previsto dalla deliberazione della Giunta regionale n.1619 del 22 dicembre 2014, alla discarica Boscaccio (Vado Ligure), di un quantitativo di RSU provenienti da comuni della Città metropolitana di Genova fino ad un massimo di 200 tonnellate/giorno, nei limiti quantitativi complessivi previsti dai provvedimenti autorizzativi in corso, per il trattamento di tritovagliatura, conferimento in discarica della frazione secca e conferimento ad impianto di stabilizzazione fuori regione della frazione umida per successivo abbancamento in discarica.
  Si tratta dunque di una situazione in forte divenire, in cui l'eredità del passato continua a pesare, e lo stesso approfondimento d'inchiesta della Commissione e le due missioni in Liguria sono state occasione per i soggetti coinvolti di mettere a punto conoscenze e indirizzi.
  Quanto al nuovo piano rifiuti, di cui qui ci si occupa, si può cogliere questa evoluzione nelle dichiarazioni dell'assessore all'ambiente del comune della Spezia, città gravata di riflesso anche dai cronici problemi del capoluogo di regione:
  «Per ciò che riguarda il piano regionale sui rifiuti, l'amministrazione dà un giudizio positivo. Per la prima volta c’è un cambio di passo nella valutazione regionale. È una regione piccola, molto particolare, con una grande città, che è metà regione ed è complicata da gestire. C’è un'ottica regionale che convince, con l'individuazione di impianti a valenza regionale e altri invece a valenza delle cosiddette «aree omogenee», che non necessariamente devono coincidere con le amministrazioni provinciali. Pag. 73
  L'impianto della Spezia può essere un impianto sempre più a valenza regionale, aumentando la raccolta differenziata, quindi permettendo un incremento dei rifiuti che possono provenire da altre zone, in particolare dal Tigullio, che è la zona più vicina. È inutile che in Tigullio costruiscano un altro impianto, se La Spezia ha un impianto. Andiamo in questa direzione.
  Convince altrettanto il fatto che si proietti la Regione a percentuali di raccolta differenziata che vanno in linea con i dettami della legge e che, in questo modo, proprio perché è una regione piccola, la quantità di rifiuto indifferenziato si riduce e, quindi, non è nemmeno necessario un termovalorizzatore e forse non è nemmeno economicamente vantaggioso.
  Peraltro, nel circondario (a Parma e a Torino) ci sono già dei termovalorizzatori, che possono essere utilizzati per l'eventuale parte residua del trattamento del rifiuto. Parma è molto vicina e c’è un impianto molto importante, così come quello di Torino.
  Comunque, nella regione il piano non prevede termovalorizzatori. Questa è una filosofia che convince l'amministrazione comunale della Spezia, che ha sempre osteggiato l'ipotesi di bruciare CDR nella centrale ENEL.
  Logicamente i problemi che sta attraversando Genova, con la discarica di Scarpino e con le criticità che comporta, avranno bisogno di ulteriori valutazioni, ma la regione ha mezzi e competenze per fare questi tipi di riflessione».
  Nel corso delle audizioni i componenti della Commissione hanno fatto rilevare la necessità di coerenza ed effettività di un nuovo approccio al ciclo dei rifiuti in Liguria per contrastare le criticità più volte richiamate.
  Le proposte impiantistiche correlate al piano, dal punto di vista finanziario sono impegnative.
  Interessi illeciti possono conseguire anche a piani deboli dal punto di vista finanziario; ma in ogni caso vi dovrà essere attenzione alle proposte, in primo luogo quella proveniente da Ferrania (controllata dal Gruppo Messina) che vede come partner industriale Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e di Duferco Italia Holding, divisione italiana del gruppo internazionale controllato dalla cinese Hebei Iron and Steel Group.
  Altri punti che meriteranno particolare attenzione riguardano la liceità ambientale specifica della gestione del ciclo dei rifiuti: il rapporto tra biodigestore e raccolta differenziata, la destinazione del digestato e dei fanghi, l'utilizzo di additivi chimici; e per quanto riguarda le residue discariche l'effettivo pretrattamento.
  Altri aspetti meritevoli di particolare attenzione sono quelli richiamati nella sua audizione dal presidente di Legambiente Liguria, vale a dire taglie impiantistiche adeguate al territorio, con analisi potenzialità oggettive di accoglienza degli impianti stessi e adeguata informazione alla popolazione.
  È auspicabile e da verificare, seguendone l'attuazione, che il nuovo piano rifiuti sia in concreto idoneo a superare la frammentazione del sistema e l'assenza di strategia condivisa emerse dagli accertamenti della Commissione.

2.4 La depurazione delle acque.

  Nella regione Liguria gli impianti per la depurazione delle acque reflue urbane rispecchiano la distribuzione della popolazione: grandi Pag. 74impianti nelle zone costiere che servono le zone più densamente abitate e piccoli impianti nell'entroterra a servizio dei piccoli paesi e delle zone extraurbane.
  La normativa nazionale di riferimento, costituita dal decreto legislativo n. 152 del 2006, prevede precisi requisiti impiantistici e il rispetto di limiti allo scarico per gli impianti maggiori di 2.000 abitanti equivalenti recapitanti in acque interne e maggiori di 10.000 AE recapitanti in mare, demandando per quelli più piccoli alla normativa regionale specifica. Secondo quanto riferisce ARPAL, se ci si sofferma sui depuratori che trattano almeno 2.000 AE, per i quali il quadro conoscitivo viene periodicamente aggiornato, si hanno 71 impianti di cui 22 recapitanti in acque interne e 49 in mare.
  Tutti gli impianti al servizio di più di 50.000 AE recapitano in mare, salvo due eccezioni, costituite dal depuratore Valpolcevera di Genova e dal depuratore Stagnoni della Spezia che scaricano in acque interne ma in prossimità della foce del torrente.
  I depuratori che scaricano in mare (eccetto il depuratore genovese recapitante in darsena) sono dotati di condotte per l'allontanamento dei reflui i cui requisiti minimi in termini di lunghezza e profondità – definiti dalla legge regionale n. 43 del 1995 – per gli impianti maggiori di 10.000 AE sono rispettivamente 3 km e 30 m.
  Quanto alla conformità alla normativa da un punto di vista impiantistico, e cioè la presenza di un trattamento almeno secondario per gli impianti a servizio di più di 2.000 AE in acque interne e più di 10.000 in mare, ne risultano conformi 40 contro 31 non conformi; la situazione autorizzativa rispecchia quasi completamente quella impiantistica, e vi sono impianti non adeguati ma autorizzati nelle more dell'adeguamento previsto, mentre altri adeguati sono in attesa dell'emanazione del provvedimento autorizzativo.
  In sede di audizione l'allora presidente della regione Liguria ha così descritto la situazione della città metropolitana di Genova, realtà di maggiore impatto per quantità e natura dei reflui: «si spera di poter finalmente mettere in moto un processo in buona parte già individuato, nel senso che nell'area di Cornigliano che si è liberata si è ritagliato uno spazio assegnato al Comune, in cui si farà finalmente il depuratore. Genova ha tutti gli impianti di depurazione in funzione, a dir la verità, però uno di questi, che è quello a Valpocevera, nel Medio Ponente, non è in buone condizioni, specialmente per quanto riguarda gli odori. Obiettivamente Genova ha cominciato molto presto a fare i depuratori. Adesso si è già in una fase in cui occorre cominciare a rifarli.
  Il comune ha deciso di abbandonare il depuratore di Campi, che serve Valpocevera e il primo Ponente, e di farne uno completamente nuovo a Cornigliano, in un pezzo di quell'area bonificata. L'area è stata già assegnata al comune. Mediterranea delle Acque sta già facendo il progetto e, quindi, quanto prima farà anche l'impianto. Peraltro, questo consentirà di portare in questo impianto nuovo il fangodotto di un altro depuratore importante, che è quello di Punta Vagno, nel primo Levante, che adesso va, in una situazione ambientale molto complicata, in Val Bisagno.
  L'idea del comune è quella di usare questo depuratore anche per il percolatodotto di Scarpino, che sostanzialmente è proprio sopra. Pag. 75Infatti, Scarpino è a Sestri e questo depuratore è a Cornigliano, due quartieri limitrofi. Questo depuratore costa 104 milioni, ma Mediterranea delle Acque, il gestore del ciclo, dice che lo mette in tariffa e, quindi, lo finanza integralmente. Dopo tanti anni di lavoro, si comincia a intravedere un disegno, purtroppo tardivamente. Si supera l'impianto di Campi, si fa quello di Cornigliano, naturalmente lo si usa per la depurazione delle acque e anche per il fangodotto che è già in costruzione. Naturalmente il fangodotto sarà utilizzato quando sarà fatto il depuratore. Questo va da sé. Comunque, è in costruzione il fangodotto che parte da Punta Vagno. In seguito si costruirà il percolatodotto da Scarpino. A questo punto, seppure in due o tre anni, finalmente si potrà chiudere una pagina veramente molto complicata».
  Il Consorzio per la depurazione delle acque di scarico del Savonese SpA (280.000 AE, recapitante in mare) è l'unico dotato di Autorizzazione Integrata Ambientale, in quanto il depuratore dallo stesso gestito tratta anche rifiuti non pericolosi e in quantitativi superiori alla soglia prevista per legge. Altri quattro impianti in Liguria trattano rifiuti ma sono in possesso della sola autorizzazione di settore, per tutti rilasciata dalla provincia della Spezia in quanto situati in quel territorio (Silea, Follo, Stagnoni, Bolano).
  I fanghi da depurazione prodotti – come desunti dalle dichiarazioni MUD (cod. CER 190805) – ammontavano nel 2013 a complessive 42.874 tonnellate.
  L'ARPAL di Genova ha eseguito complessivamente 62 accertamenti nell'anno 2012, 58 nel 2013 e 46 nel 2014 su impianti di depurazione maggiori di 10.000 AE, registrando numerose non conformità dovute agli scarichi non autorizzati per la mancanza di un adeguato sistema di trattamento dei reflui e il conseguente non raggiungimento dei limiti allo scarico.
  Tra l'altro otto di tali impianti sono costituiti da una semplice grigliatura (Cogoleto Arrestra, Cogoleto Lerone, Recco, Camogli, Rapallo e Riva Trigoso) o al più un trattamento primario (Sestri Levante capoluogo e Arenzano), seguito da una successiva condotta di scarico a mare. Tutti questi impianti recapitano in mare, in aree a vocazione turistica e di fama internazionale.
  Fino al 2013 risultava inadeguato anche l'impianto di Santa Margherita e Portofino che è stato successivamente adeguato e oggi risulta conforme da un punto di vista impiantistico e di rispetto dei limiti allo scarico.
  In casi limitati è stato verificato il superamento dei limiti allo scarico da impianti adeguati dal punto di vista impiantistico e in regola con il provvedimento autorizzativo; le non conformità accertate da ARPAL hanno determinato la contestazione di violazioni sanzionate in via amministrativa, non di illeciti penali.
  Anche nel territorio della Spezia la situazione della depurazione delle acque presenta delle debolezze strutturali.
  L'ARPAL – Dipartimento della Spezia ha eseguito, nel triennio 2012-2014, 124 accertamenti sui depuratori maggiori di 2000 AE, rilevando 29 non conformità, che hanno determinato la contestazione di altrettante violazioni sanzionate in via amministrativa, quasi tutte relative agli scarichi degli impianti ubicati sulla costa.Pag. 76
  Tali impianti, con l'eccezione del depuratore di Framura Stazione e di Portovenere, dove non vi è alcun trattamento dei reflui, costituiti solo da una stazione di grigliatura (in alcuni casi seguita, nella filiera impiantistica, da una fase di disoleazione) e da una successiva condotta di scarico a mare per caduta o in pressione. Pertanto, per le loro caratteristiche strutturali, non sono in grado di operare un abbattimento significativo degli inquinanti (BOD5, COD, tensioattivi) presenti nei reflui fognari, tranne che per i parametri solidi sospesi totali e, ove inserito un apposito sistema per intrappolarli, per gli oli e grassi animali/vegetali.
  L'inadeguatezza degli impianti è stata rilevata anche da parte dell'amministrazione provinciale, ente competente al rilascio dell'atto autorizzativo, che nell'anno 2013 ha considerato privi di autorizzazione e non più autorizzabili, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e della legge regionale n. 29 del 13 giugno 2007, gli scarichi degli impianti di Tellaro in Lerici, Molo Dondero in Portovenere, Corniglia e Tagliata in Vemazza, Fegina in Monterosso, Riomaggiore Capoluogo (gestiti da ACAM Acque SpA), Deiva Marina Capoluogo (gestito da Idrolevante Scarl per Deiva Sviluppo SpA). Per quanto riguarda il comune di Levanto, è in corso di realizzazione un nuovo impianto di depurazione in cui recapiteranno anche i reflui fognari provenienti dal comune di Bonassola.
  Altra non conformità registrata, ripetuta nell'arco del triennio in esame, riguarda il depuratore fognario di Fulli in Sesta Godano, con scarico recapitante in acque interne. In questo caso il superamento sistematico del parametro tensioattivi, registrato nel corso dei prelievi effettuati nell'ultimo triennio, dipende da un sistema di ossidazione del refluo fognario di vecchia concezione, con un filtro percolatore, anziché l'utilizzo dell'ossidazione a fanghi attivi.
  Nel periodo 2012-2013-2014 sono stati eseguiti controlli integrati sui due principali depuratori del territorio provinciale, vale a dire i depuratori in località Stagnoni (potenzialità 100.000 A.E. – utenti serviti circa 70.000), e in località Camisano (potenzialità 40.000 A.E. – utenti serviti circa 38.600), e inoltre sull'impianto di Ghiaretolo (utenti serviti circa 3800) nel comune di Santo Stefano Magra gestiti da ACAM Acque. Senza che fossero rilevate irregolarità o inadempienze.
  Nel territorio di Savona nel 2012 è stata accertata una violazione penalmente rilevante dell'articolo 192, comma 1, sanzionata dall'articolo 256, comma 2, decreto legislativo n. 152 del 2006) per fatti riscontrati nel periodo 2011 – 2012, presso il depuratore urbano di Villanova d'Albenga relativamente a rifiuti prodotti dall'impianto di trattamento di acque reflue urbane smaltiti illecitamente.
  Le autorità giudiziarie audite dalla Commissione non hanno segnalato ulteriori illiceità o situazioni di loro competenza, salvo il procuratore della Repubblica di Imperia.
  Oltre a un procedimento riguardante il problema del porto turistico di Imperia, dove non ci sono ancora allacci alle fognature, è in corso un processo per danneggiamento e omissione di atti di ufficio per l'inquinamento delle acque causato dalla mancata realizzazione del depuratore di Imperia. Così è stata sintetizzata la vicenda: «per circa trent'anni il comune di Imperia aveva un depuratore in Pag. 77costruzione, che non era mai stato costruito. Fra il 2012 e il 2013 [...] sono state attivate indagini che hanno portato a contestare al presidente della provincia, al sindaco dell'epoca e al direttore del dipartimento ambiente del comune reati di danneggiamento e omissione di atti d'ufficio in relazione all'inquinamento possibile attraverso danneggiamento delle acque. In assenza del depuratore, infatti, c'erano problemi sia con gli sfioratori, dispositivi che, in caso di troppo colmo, possono evitare sversamenti, sia con la condotta a mare. La procura di Imperia ha richiesto e ottenuto il sequestro preventivo della condotta a mare degli sfioratori. Dopodiché è stato restituito al comune imponendo degli obblighi, ossia di fare tutte quelle opere che mettessero a norma la situazione ed evitassero ulteriori danneggiamenti. Avevamo assegnato un primo termine di 75 giorni. Poi ci sono stati problemi nell'esecuzione, ma in 150 giorni il depuratore di Imperia è finalmente partito.
  Ci sono stati dei problemi di odori all'inizio, che adesso sembrerebbero superati. Dopo trent'anni, quindi, nel 2012 questo depuratore ha visto la luce».
  Lo strumento della restituzione con prescrizioni dell'impianto sequestrato in sede di procedimento penale ha dunque consentito di superare un'inerzia amministrativa.

3. L'attività di polizia e prevenzione; le criticità.

  La descritta situazione regionale si segnala per criticità in materia di rifiuti urbani, movimentazione di rifiuti con altre regioni, bonifiche.
  In questo quadro si collocano le attività di polizia e di prevenzione, secondo quanto reso noto alla Commissione dai responsabili delle forze di polizia, dai dirigenti delle autorità con compiti di polizia giudiziaria (Capitaneria di porto, Agenzia delle dogane) e dai prefetti; considerazioni sull'efficacia dell'attività delle forze di polizia sono state svolte anche dai procuratori della Repubblica e dai sostituti procuratori che si occupano di illeciti ambientali.
  Come è stato rilevato dal comandante del NOE dei Carabinieri, le diverse realtà antropiche determinano l'incidenza e la tipologia di violazioni commesse in materia ambientale, quali l'abusivismo edilizio, anche in aree paesaggisticamente protette presenti in gran numero nella regione Liguria, con piccoli ma diffusi interventi illeciti da parte di privati cittadini, senza giungere alla realizzazione di veri e propri «ecomostri», i quali producono la gestione illecita diffusa di discariche abusive, connesse al settore edile e un correlato movimento illecito di rifiuti.
  Nella relazione della Legione carabinieri Liguria sono riportati dati complessivi.
  Negli anni tra il 2010 e il 2014 nella regione sono state denunciate (da tutte le forze di polizia) 651 attività illegali connesse al ciclo dei rifiuti.
  A questa realtà diffusa si accompagna il rischio, segnalato dal comando della medesima Legione carabinieri «di permeabilità delle società che trattano i rifiuti per conto dei comuni, sia per le possibili infiltrazioni di stampo mafioso, sia per fatti corruttivi altrettanto Pag. 78dannosi»; le situazioni di Genova e Imperia vengono ritenute le più significative.
  La descritta situazione di criticità è fatta discendere dalle «limitate residue potenzialità di ricezione dei rifiuti solidi urbani delle discariche disponibili, anche per l'assenza di un accettabile livello di raccolta differenziata».
  Pur non essendovi stati di emergenza dichiarati, ad avviso del comando della Legione carabinieri Liguria «il costante stato emergenziale in cui si trova il settore e gli elevati interessi economici finiscono per facilitare, in presenza di procedure spesso adottate in via di urgenza, la gestione non del tutto trasparente degli appalti»; per altro verso l'eccessiva parcellizzazione dei servizi di gestione dei rifiuti tra un alto numero di soggetti, non agevola l'attività di controllo delle forze di polizia. Una conferma della costellazione di illeciti che questa situazione è suscettibile di generare proviene dal Comandate del NOE secondo il quale andrebbero investigati anche correlati fenomeni corruttivi, volti a ottenere autorizzazioni in violazione di norme, oppure appalti in maniera favorita, oppure anche la semplice omissione di controlli tecnici e amministrativi doverosi.
  Con analoga valutazione il procuratore della Repubblica di Genova assume la mancanza di un efficace piano di gestione regionale dei rifiuti come elemento che concorre a una serie di illeciti ambientali; viene citato l'esempio della discarica di Genova-Scarpino e richiamato l'interesse investigativo che ha coinvolto – anche per altri reati, contro la pubblica amministrazione – l'AMIU, società interamente partecipata dal comune di Genova.
  Dunque, anche l'approccio generale alla prevenzione dei reati e all'attività di polizia in genere rinvia alle modalità generali di disciplina, programmazione e gestione del ciclo dei rifiuti da parte dei soggetti pubblici interessati.
  L'ARPAL ha riferito analiticamente gli esiti dei controlli dei singoli dipartimenti provinciali in materia di: discariche; discariche di inerti; impianti di trattamento di rifiuti; trasporto transfrontaliero di rifiuti; bonifica di aree inquinate; depuratori urbani; controlli specialistici in materia di rifiuti.
  L'esercizio dei controlli ha prodotto interventi sanzionatori ciascuno dei quali di limitata rilevanza o in qualche modo routinari; ma di interesse specifico in questa sede per il loro riprodursi: così è a dirsi delle ripetute sanzioni per irregolarità nella gestione delle discariche AMIU di Scarpino-Genova e Birra-Busalla, Ca’ da Matta-Sestri Levante, Malsapello-Rezzoaglio, Rio Marsiglia-Uscio (al momento tutte queste discariche sono chiuse, o perché in attesa di approvazione del piano operativo di adeguamento o per esaurimento delle volumetrie; la discarica Colle Ecologico-Uscio viene segnalata come l'unica operativa); più occasionali le sanzioni recenti a discariche di inerti; negli impianti di trattamento rifiuti le irregolarità più ricorrenti riguardano le prescrizioni relative alla tracciabilità dei rifiuti e alle modalità di stoccaggio.
  Nelle conclusioni dell'ARPAL – in coerenza con quanto emerge da altre acquisizioni della Commissione – si segnalano quali problemi particolari in ambito regionale ligure la situazione delle discariche e quindi della gestione dei rifiuti urbani e l'imminente prossima Pag. 79rilevanza della gestione dei materiali da scavo provenienti dalla realizzazione di grandi opere infrastrutturali.
  Esempi significativi della microillegalità diffusa sono stati forniti, quanto alla provincia della Spezia, dal procuratore della Repubblica, che ha segnalato circa quaranta notizie di reato l'anno per violazione dell'articolo 255, comma 3, decreto legislativo n. 152 del 2006 relative a rifiuti abbandonati in aree dalle quali, pur a seguito dell'ordine dei sindaci competenti, i rifiuti non vengono rimossi e smaltiti: le contravvenzioni vengono definite rapidamente con decreto penale di condanna.
  Da parte di tutte le forze di polizia e delle autorità che svolgono compiti di polizia giudiziaria è stata segnalata l'utilità – già conseguita in casi singoli e nelle prassi, ma sollecitata in attesi interventi normativi – di un più stretto coordinamento tra i soggetti aventi competenze di prevenzione e polizia giudiziaria nel settore ambientale.
  Di particolare rilievo per la realtà regionale ligure, connotata da un'elevata «mobilità» dei rifiuti ma anche delle terre e rocce da scavo, è la sollecitazione proveniente dal prefetto della Spezia sulla necessità di incrementare il controllo su strada del trasporto di rifiuti, sensibilizzando tutte le forze di polizia, in primo luogo la polizia stradale e le polizie municipali: «chi trasporta e traffica rifiuti pericolosi a fini criminali quasi sempre opera in nero, cioè senza iscrizione all'Albo nazionale dei gestori ambientali.
  Ciò fa sì che non potrà mai compilare un formulario, non potrà mai accedere ad alcun impianto di trattamento o recupero ufficiale e dovrà smaltire i rifiuti trasportati in modo illegale, magari riversandoli da qualche parte.
  Sarà, oltretutto, un evasore totale a livello fiscale e tributario, perché in questo quadro non potrà certamente emettere fattura. Arrecherà danni rilevanti alle aziende virtuose, indurrà i produttori a conferire i rifiuti ai trasportatori illegali per risparmiare e pregiudicherà le occasioni di lavoro per maestranze oneste».
  Il prefetto della Spezia, in occasione dell'audizione davanti a questa Commissione ha dichiarato che agirà in particolare sulla Polizia stradale «in sinergia con tutti gli altri operatori, autorità e istituzioni interessate, magari da coinvolgere attraverso una conferenza provinciale permanente orientata a questo scopo».
  Questione diversa è quella dell'adeguatezza degli organici di ciascun soggetto istituzionale con compiti di prevenzione e repressione degli illeciti, che si riflette sulla capacità di eseguire controlli di numero e qualità adeguati.
  Ad esempio il Nucleo operativo ecologico carabinieri di Genova, competente per l'intera regione, ha eseguito nell'arco degli ultimi quattro anni, solo 134 controlli (di cui 36 sul traffico dei rifiuti transfrontalieri; e 65 sulla gestione di rifiuti pericolosi); ha denunciato 313 persone e ne ha arrestate in flagranza di reato 3; ha eseguito 12 sequestri.
  Il comandante del NOE ha rimarcato che l'esiguità dell'organico non consente di condurre più di una o due indagini alla volta; nella materia ambientale e del ciclo dei rifiuti le indagini possono essere lunghe e complesse e interessare più province.Pag. 80
  Dal comando della Legione carabinieri della Liguria proviene l'informazione di una coincidenza di azione di prevenzione anche nella materia del ciclo dei rifiuti ad opera anche del Nucleo antisofisticazione e sanità, impiegato soprattutto nei casi di rifiuti speciali, soprattutto sanitari, e del Nucleo ispettorato del lavoro, che ha rilevanti poteri d'accesso ed è particolarmente utile allorquando occorrono verifiche nei cantieri, nelle cave, negli insediamenti industriali; ferma restando l'operatività generale delle articolazioni territoriali dell'Arma.
  La pluralità di soggetti che si occupano in concreto della materia ambientale emerge anche dall'attività di contrasto svolta dalla Guardia di finanza; il comando regionale Liguria dispone di una componente aeronavale a cui è demandato il presidio delle acque territoriali nonché degli spazi aerei sovrastanti. A questa componente, che si articola sul territorio regionale su di una stazione navale, tre sezioni operative navali e una sezione aerea, secondo il comando regionale è affidato, pertanto, un ruolo di particolare importanza sul fronte della vigilanza dell'ambiente marino e terrestre regionale che attua in coordinamento con i reparti territoriali e i nuclei di polizia tributaria».
  Il Reparto operativo aeronavale (ROAN) della Guardia di finanza negli ultimi quattro anni (dal 2011 ad oggi) ha svolto 140 interventi e denunciato 45 persone. Sono stati sequestrati più di 50.000 metri quadrati di aree, una discarica e un immobile.
  L'azione di contrasto agli illeciti ambientali e al traffico illecito di rifiuti da parte dei reparti ordinari della Guardia di finanza ha particolare riguardo all'aspetto di criminalità economico-finanziaria correlata al ciclo dei rifiuti stessi. Nella nota inviata alla Commissione dal comando regionale della Guardia di finanza si osserva come nella regione «le organizzazioni criminali non agiscono con i tipici metodi violenti, salvo casi sporadici, ma tentano di infiltrarsi nel tessuto sociale ed economico e di rendersi ’invisibili’, per approfittare delle occasioni che l'economia legale offre, ad esempio attraverso l'affidamento di appalti e sub-appalti di servizi ivi compresi quelli relativi al ciclo di smaltimento dei rifiuti».
  Si tratta di un segnale di allarme, condiviso da altre fonti, che è sinora sfociato in un numero limitato di accertamenti e indagini (in corso) ma che comporta la necessità di elevare l'attenzione su una pluralità di aspetti gestionali.
  La Capitaneria di porto di Genova ha fatto rimarcare, nei dati forniti alla Commissione, il valore dell'intensificazione dell'attività preventiva negli ultimi anni, che, mediante una costante e sistematica presenza, ha consentito di ridurre l'accertamento di fattispecie penalmente rilevanti, non solo in riferimento a reati nel demanio marittimo o nel campo della sicurezza della navigazione e degli ambiti portuali, ma soprattutto in riferimento agli illeciti ambientali, risultati di scarsa rilevanza e riconducibili a fattori occasionali ovvero di natura colposa.
  Particolarmente significativo è stato il decremento dei fenomeni di inquinamento marino derivante dall'attività operativa delle navi. Le denunce sono passate dalle 6 del 2012, alle 3 del 2013 ad un'unica nel 2014.Pag. 81
  Il monitoraggio delle possibili fonti inquinanti, sia in ambito portuale che in quello extraportuale con impiego pattuglie a terra e unità navali, ha assunto i connotati della sistematicità. Ciò è stato realizzato attraverso verifiche periodiche che hanno consentito l'aggiornamento di una banca dati interna di settore, comprendente anche un'area dedicata alle condotte di scarico in mare, sulle quali viene anche svolto un controllo da parte del Nucleo subacqueo della Guardia costiera, quale parte integrante del Piano operativo locale di pronto intervento antinquinamento, che recepisce i dettami di cui al decreto del Ministero dell'ambiente n. 34 del 29 gennaio 2013.
  Per quanto riguarda le unità navali che scalano i porti liguri, la Capitaneria di porto cura l'applicazione della Convenzione internazionale per la prevenzione dell'inquinamento da navi (nota come Marpol 73/78), che tra l'altro prevede specifiche disposizioni per la tenuta e il conferimento dei rifiuti prodotti a bordo. Le navi mercantili e da pesca nazionali vengono controllate in occasione del rinnovo o convalida dei certificati di sicurezza o nel corso di verifiche d'iniziativa, mentre quelle battenti bandiera straniera sono assoggettate al regime ispettivo di cui alla direttiva comunitaria 2009/16/CE.
  La tutela ambientale ha visto impegnata anche la Guardia costiera della Spezia, con il controllo delle aree marine protette, l'attività di supporto ad ARPAL per il monitoraggio della qualità delle acque per la balneazione e la molluschicoltura, per la verifica della presenza dell'alga ostreopsis ovata e della temperatura delle acque portuali in corrispondenza degli scarichi del raffreddamento della centrale termoelettrica Enel. Sul fronte della polizia ambientale e demaniale l'attività della Capitaneria di porto della Spezia ha portato alla segnalazione di 11 notizie di reato nel 2014.
  La diffusa presenza sul territorio porta il comando regionale del Corpo forestale dello Stato a essere in grado di segnalare un indirizzo di gestione territoriale nel quale ingenti quantitativi di materiale quali rocce e terre da scavo, provenienti da aree individuate quali insediamenti urbanistici o dalla realizzazione di «grandi opere», trovano collocazione su siti che precedentemente avevano quale destinazione d'uso un'attività produttiva quale la coltivazione di cava.
  Ad avviso del comando regionale del Corpo forestale dello Stato la normativa nazionale e parallelamente quella regionale favoriscono l'utilizzo dei suddetti materiali terrosi e lapidei, anche in relazione alla presenza di alcune tipologie di rifiuti opportunamente trattati e aventi determinati requisiti (sottoprodotti), nell'ambito del loro utilizzo secondo precise prescrizioni e limiti per i quali costituiscono riferimento il decreto ministeriale n. 161 del 2012 e il decreto legislativo n. 152 del 2006 agli articoli 184-bis, 184-ter e il relativo allegato C: «la complessità della legislazione e la difficoltà di verifiche puntuali e analitiche sui siti aventi quale nuova destinazione la “riqualificazione ambientale”, favorisce il diffondersi sistematico di comportamenti e pratiche elusive relative alla patologia, collegata alla filiera criminale, del sistema di gestione dei rifiuti, miscelando il rifiuto spesso “tal quale” a materiali che occultano e diluiscono perfettamente l'effettiva e pericolosa natura della sostanza».
  Il riferimento è stato sviluppato dalla prefettura di Savona, in relazione a coincidenti problemi di quel territorio riferimento alle Pag. 82incertezze applicative della deliberazione della Giunta regionale n. 279 del 14 marzo 2014, che prevede l'utilizzo per la sistemazione finale delle cave, oltre che di terre e rocce da scavo, anche di «sottoprodotti in quanto compatibili con i vincoli di legge».
  Sempre il Corpo forestale dello Stato segnala il fenomeno del proliferare di progetti di «riqualificazioni ambientali», aventi ad oggetto cave dismesse – anche da tempo, dunque rinaturalizzate – che diventano luoghi di conferimento di elevate quantità di materiali provenienti da scavi; sono stati svolti accertamenti in Cairo Montenotte sul riempimento di cave con materiali provenienti da demolizioni edilizie e cantieristica stradale; analoghi casi vengono segnalati nelle località di Cosseria, Toirano e Zuccarello.
  La questione ha rilevanza e interesse economici per gli operatori che possono avvalersi dell'uso delle cave dismesse.
  Riferisce il comando regionale nella relazione trasmessa alla Commissione:
  «il prezzo di mercato pagato da terzi per il conferimento presso i centri di trattamento di detriti indifferenziati provenienti da demolizioni edilizie è di circa – 40,00 a metro cubo (equivalenti a circa – 28,00 a tonnellata): al netto dei costi di trattamento, stimati per eccesso in circa – 10,00 a metro cubo, il ricavo netto dell'operazione è di circa – 30,00 a metro cubo. Peraltro è stato verificato che il materiale conferito da ditte terze agli impianti non sempre viene sottoposto a trattamento: non infrequentemente viene solo stoccato, se non addirittura trasportato dalle stesse ditte terze direttamente alla cava da «rinaturalizzare» con il riempimento. In quest'ultima ipotesi il ricavo netto è perciò di – 40/mc. L'ingiusto profitto con l'abbancamento di materiale proibito, si svolge anche in danno di chi esercita l'attività autorizzata di discarica di inerti che si pone sul mercato a prezzi più alti poiché è sottoposto a garanzie fideiussorie più onerose e a un iter procedurale di approvazione del sito di discarica molto più accurato e costoso (ecotassa), comprensivo della valutazione impatto ambientale, che impone una maggiore impermeabilizzazione del substrato idoneo ad evitare il percolamento verso le falde acquifere. Una conferma che tali attività possano incidere negativamente sulle acque emerge dalla delibera della Giunta regionale della Liguria n. 279 del 14 marzo 2014, riguardante il ripristino delle cave, nella quale si evince che in vari corsi d'acqua della regione Liguria, l'ARPAL ha riscontrato la presenza di composti aromatici alifatici. Tuttavia proprio con tale deliberazione della Giunta regionale n. 279 la regione Liguria consente il riempimento delle cave con materiali provenienti dagli impianti di trattamento «in quanto compatibili con i vincoli di legge « (i cosiddetti «sottoprodotti»): tale formulazione consentirebbe l'impiego di materiali provenienti dagli impianti di trattamento (sottoprodotti) per il riempimento delle cave in contrasto con il decreto legislativo n. 152 del 2006 articolo 184-ter e Allegato C, parte IV del medesimo decreto».
  Altra questione affrontata nella medesima relazione è quella della miscelazione: «la vigente normativa (articolo 187 del decreto legislativo n. 152 del 2006) pur vietando al comma 1 la miscelazione (sia tra rifiuti pericolosi con diverse caratteristiche di pericolosità che tra rifiuti pericolosi e non pericolosi), prevede poi al comma 2 una deroga Pag. 83a tale divieto. Le condizioni necessarie per poter espletare la suddetta deroga sono che l'impianto sia provvisto di autorizzazione ai sensi degli articoli 209, 210 e 211 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e che la miscelazione conduca ad un rifiuto la cui gestione non costituisca un impatto negativo per la salute umana e per l'ambiente maggiore dei rifiuti di partenza.
  Il primo requisito è facilmente accertabile attraverso ispezioni documentali presso gli uffici competenti al rilascio dell'autorizzazione, tuttavia anche in caso di un impianto privo di autorizzazione va osservato che è comunque difficile scoprire quali lavorazioni siano effettivamente in corso poiché esse spesso avvengono all'interno di strutture o comunque in zone non direttamente visibili dall'esterno. La seconda fattispecie è difficilmente verificabile e dimostrabile poiché spesso richiede accertamenti analitici complessi e costosi.
  Nel territorio spezzino e nella confinante provincia di Massa esistono vari impianti autorizzati dove entrano vari rifiuti (pericolosi e non pericolosi) e dove sono effettuati trattamenti e miscelazioni. Dagli impianti escono poi materiali trattati che vengono impiegati, ad esempio, per riempimenti e rilevati, oppure per risistemare cave o discariche al termine della loro vita operativa. Questo sistema di movimentazione e miscelazione può favorire lo smaltimento illecito di rifiuti che vengono appunto miscelati (con diluizione degli inquinanti) e poi impiegati come materie prime per le attività di cui sopra».
  La gestione impropria dello smaltimento di rocce e terre da scavo viene indicata dal comando regionale del Corpo forestale dello Stato quale ulteriore elemento di rischio nel territorio del ponente ligure: in un contesto con morfologia estremamente accidentata e valli molto strette, con un'urbanizzazione molto alta ed estesa anche su pendici scoscese e a ridosso dei corsi d'acqua «una gestione non conforme dello smaltimento di rocce e terre da scavo nelle sezioni idrauliche dei corsi d'acqua può avere successivamente un notevole effetto negativo in occasione degli eventi meteorologici, molto frequenti negli ultimi anni, con notevoli danni già verificatisi ad infrastrutture anche con perdite di vite umane».
  I lavori di sistemazione idraulica dei corsi d'acqua costituiscono in alcuni casi occasione di gestione illecita di rifiuti da demolizione; oltre a vicende più risalenti nel tempo, in particolare in provincia di Imperia, nei comuni di Dolceacqua, Camporosso e Isolabona, all'inizio del 2015, a seguito di indagini svolte dal Corpo forestale dello Stato con la Polizia municipale di Camporosso è stato sequestrato un terreno di proprietà privata, anch'esso situato in zona di riassetto fluviale lungo il corso del torrente Nervia: ancora una volta per la realizzazione di un terrapieno sono state utilizzate terre e rocce da scavo apportate da ditte che eseguono lavori di escavazione in altri siti; il materiale, circa 14.000 metri cubi, invece di essere smaltito a discarica viene abbancato in zona di riassetto fluviale.
  La questione della disponibilità di risorse per il contrasto alla criminalità ambientale emerge dall'audizione del rappresentante di Italia Nostra, il quale ha fatto rilevare le incertezze che accompagnano i disegni riformatori delle Province e della pubblica amministrazione.
  In Liguria, secondo dati del 2013, erano 109 i dipendenti delle quattro province liguri preposti ad attività di polizia locale per Pag. 84presidio ambientale, in particolare in ambito rurale o comunque extraurbano, numero peraltro in progressiva diminuzione per il blocco del turnover nella pubblica amministrazione locale. L'auspicio manifestato è che questo personale specializzato sul quale la pubblica amministrazione ha investito in aggiornamento e dotazioni, non venga polverizzato e disperso in altre amministrazioni.
  Altri dati di portata generale sono stati offerti dal prefetto di Genova che ha raccolto i dati delle forze di polizia a competenza generale, nonché del Corpo forestale dello Stato, in relazione al periodo 2010-2014.
  Il numero di illeciti accertati non è particolarmente rilevante dal punto di vista quantitativo, poiché si passa da un totale di 104 reati ambientali denunciati nel 2010 a 29 nel 2011, 33 nel 2012, 51 nel 2013, fino ai 73 del 2014.
  L'insieme dei dati segnala alcune situazioni macroscopiche, che sono scaturite dalla produzione di percolato all'interno della discarica di Scarpino, e dall'emergere di fattispecie di carattere corruttivo collegate al ciclo dei rifiuti, insieme a una serie di violazioni di più modesta entità, riguardanti la gestione di alcune tipologie di rifiuti non autorizzati o lo smaltimento non conforme alle disposizioni di legge.
  La necessità di prevenzione specifica in questo settore dell'economia regionale è stata descritta al prefetto della Spezia: «quando si tratta di rifiuti tossici o pericolosi accade che molti sono costretti a smaltire al nero rifiuti che derivano da produzioni al nero, lavorate da personale a sua volta non regolarizzato. Di qui emerge l'esigenza delle imprese di rivolgersi per l'esecuzione del procedimento sporco a coloro che controllano il territorio, che solitamente sono i mafiosi, ma non necessariamente. Ci sono imprese criminali che si comportano in maniera similare».
  Questo scenario, ricorrente a livello nazionale, viene indicato dal prefetto come un possibile contesto di sviluppo di illegalità nel Levante ligure; in positivo ha però segnalato che alla Spezia «è stato stipulato un protocollo di legalità, invitando gli imprenditori ad adottare la linea dura dell'espulsione degli associati che venissero colti in flagranza di impiego di questi metodi di lavoro».
  La necessità di un'azione preventiva e di contrasto di realtà criminali strutturate, potenzialmente interessate anche al ciclo dei rifiuti, anche se non attualmente implicate nel medesimo, emerge da più fonti conoscitive.
  Il prefetto di Genova, per quanto riguarda l'attività di prevenzione antimafia che riguarda il ciclo dei rifiuti, ha ricordato che la situazione del territorio ligure è stata oggetto di audizioni della Commissione parlamentare antimafia sia a Genova che ad Imperia, nonché di un recente approfondimento realizzato in sede di conferenza regionale delle autorità di pubblica sicurezza su indicazione del Ministero dell'interno, denominata «focus ’ndrangheta».
  Questo approfondimento è stato voluto dal Ministero dell'interno in relazione alla pervasività della ’ndrangheta in aree diverse da quelle di origine, segnalando anche la Liguria tra le regioni in cui questa organizzazione criminale ha dimostrato una presenza significativa. Ha precisato il prefetto di Genova: «in base agli approfondimenti Pag. 85effettuati le forze di polizia tengono a precisare che qui non si parla di una presenza pervasiva e diffusa della criminalità organizzata, ma della presenza di numerose famiglie che si sono insediate sul territorio ligure realizzando situazioni non di controllo del territorio, ma di realizzazione di attività illecite, che a macchia di leopardo hanno interessato alcune aree della Liguria».
  Un progressivo radicamento sul territorio della ’ndrangheta appare dovuto sia al fattore storico costituito dalla massiccia immigrazione verificatasi a partire dagli Anni ’50 sul territorio ligure, sia alla particolare appetibilità di questo territorio di confine, che consente un rapido avvicinamento alla Francia, dove in più occasioni si è riscontrata la presenza di soggetti legati alla criminalità organizzata, sia alla presenza di porti di grandi e medie dimensioni, che hanno costituito oggetto di attenzione, sia alla presenza di comunità di origine geografica omogenea nel cui contesto taluni soggetti hanno fornito un appoggio nel momento in cui i latitanti si sono spostati in questo territorio dalle zone di origine.
  La situazione è molto diversificata dal ponente alle altre zone. Nell'area del genovese dagli accertamenti e dalle indagini (operazioni «Maglio», «La Svolta») viene identificata la presenza di locali di ’ndrangheta, ascrivibili a due tipologie.
  Una viene definita locale di transito, denominazione che, anche se si è andata affermando di recente, in alcune dichiarazioni di collaboratori era però già presente da molti anni per individuare la zona di Ventimiglia, la sua centralità e la sua importanza proprio per il transito e il passaggio verso la Francia, Montecarlo, la Costa Azzurra e quindi l'ampia area delle Alpi Marittime; l'altra invece come struttura di controllo, con varie locali quali quelle di Lavagna e Sarzana.
  Il prefetto della Spezia, a proposito di quest'ultima realtà ha affermato: «si parla con insistenza da tempo di un locale della ’ndrangheta di Sarzana, ma non ci sono manifestazioni, o almeno non sono state accertate dal punto di vista investigativo, né tantomeno alcun riferimento ad attività riguardanti il settore dei rifiuti e il movimento terra. Non ci sono riferimenti a questi settori. Ci sono queste presenze, però non si ha contezza di quello che fanno».
  Un salto di qualità è stato rappresentato dall'indagine «La Svolta», che ha interessato il Ponente ligure e che ha portato a recenti condanne per la maggior parte degli imputati anche per il delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso con il riconoscimento formale della presenza della criminalità organizzata nelle aree liguri.
  Non si possono escludere contatti di soggetti presenti nel Ponente con altri soggetti legati in altre parti del territorio quali ad esempio la famiglia Pellegrino, nei cui confronti è stata svolta un'azione di contrasto preventiva, ma che aveva comunque cominciato a palesare il suo interesse anche per altri territori e ad estendere i propri interessi anche in Francia con una serie di aziende.
  L'attività di contrasto è stata svolta nei confronti di questa famiglia che lavora nel settore del movimento terra, quindi collegato al tema degli scavi e del ciclo dei rifiuti, che aveva commesso una serie di reati nell'area del Ponente.Pag. 86
  La prefettura di Genova sottolinea come il comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere (CASGO) proprio di recente abbia evidenziato l'esistenza di un elevato rischio di contiguità mafiosa nella filiera del ciclo dei rifiuti, invitando i prefetti ad innalzare fortemente l'attenzione su questo settore.
  Le linee CASGO e le direttive del Ministero dell'interno raccomandano alle prefetture un'attenzione particolare al ciclo dei rifiuti e a tutto il ciclo del movimento terra, perché per il bassissimo know how richiesto e per l'esperienza maturata nella maggior parte delle realtà territoriali è un settore nel quale tradizionalmente la criminalità organizzata è suscettibile di inserirsi.
  Vi sono infatti ampie possibilità di effettuare guadagni con un bassissimo know how, situazione di potenziale interesse per imprese collegate con la criminalità organizzata.
  Tale settore è però da tempo oggetto di attenzione da parte dei Gruppi interforze istituiti presso tutte le Prefetture con la presenza anche della DIA, oltre che di tutte le componenti istituzionali delle forze di polizia e della Direzione provinciale del lavoro, che periodicamente svolgono accertamenti in particolare sulle grandi opere e sui cantieri presenti sul territorio e che in passato si sono anche occupati di accertamenti sulle cave sulla base di indirizzi formulati dal Ministero dell'interno.
  Il primo fattore di analisi e di conoscenza del territorio è quindi costituito dal Gruppo interforze, che periodicamente svolge i monitoraggi sui lavori delle grandi opere.
  Particolarmente significativa l'attività in corso sul «Terzo Valico dei Giovi», la linea ferroviaria ad alta capacità che metterà in collegamento Genova con Tortona e con Novi Ligure in attuazione del progetto europeo di asse ferroviario cosiddetto «ponte tra i due Mari» Genova-Rotterdam.
  Si consideri che – come riferito dal comando regionale del Corpo forestale dello Stato per i cinque lotti relativi al Piano di utilizzo delle terre, sarebbero stati individuati oltre una decina di siti (in gran parte costituiti da cave ed ex cave) prevedendo volumetrie conferibili di circa 5 -6 milioni di metri cubi di materiali.
  Si tratta, ancora una volta, di segnali di allarme sulla permeabilità – anche se non ancora ha dato luogo a comportamenti illeciti conclamati ovvero a strutturate presenze criminali – del ciclo dei rifiuti in Liguria; il che rinvia alle esigenze di razionalizzazione della gestione, efficace pianificazione ed effettiva attuazione dei piani in materia.
  Presso la prefettura di Genova sono stati adottati nel tempo alcuni provvedimenti cosiddetti «atipici», cioè di quella categoria che sia il legislatore che la giurisprudenza aveva ritenuto ammissibile nell'ipotesi in cui, pur non emergendo in maniera chiara e univoca la presenza di reati associativi a fini antimafia o di tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata, esistessero comunque collegamenti che il prefetto riteneva opportuno comunicare alla stazione appaltante nell'ambito della discrezionalità della stazione appaltante a contrattare con soggetti privati.
  Con l'informativa prefettizia antimafia cosiddetta atipica, al fine di prevenire infiltrazioni mafiose nelle gare pubbliche, venivano Pag. 87raccolti dal prefetto elementi idonei a evidenziare un sostanziale collegamento tra l'impresa partecipante alla gara e organizzazioni criminali di tipo mafioso.
  Gli elementi da esse forniti non consentivano di raggiungere un grado di assoluta certezza su tali collegamenti, ma segnalavano una «qualificata probabilità» che l'impresa fosse uno strumento attraverso il quale le organizzazioni criminali potevano ottenere l'appalto pubblico.
  L'informativa atipica metteva a disposizione della stazione appaltante elementi in base ai quali questa era in grado di valutare l'idoneità morale dell'impresa a contrarre con la pubblica amministrazione, senza però essere vincolata dal contenuto delle informative atipiche, potendo motivatamente discostarsene e aggiudicare l'appalto. La stazione appaltante non era nemmeno tenuta al recesso automatico una volta ricevuta l'informativa, potendo invece valutare in piena autonomia se far ricorso o meno ai poteri di autotutela.
  L'informativa antimafia atipica trovava il suo fondamento normativo nel combinato disposto dell'articolo 10, settimo e nono comma, del decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252, e dell'articolo 1-septies decreto legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito in legge 12 ottobre 1982, n. 726; per effetto dell'articolo 9, primo comma, lettera b), del decreto legislativo 15 novembre 2012, n. 218, il decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1998 è stato abrogato, e, quindi, le informative atipiche non possono essere più proposte.
  Prima della modifica normativa questa possibilità di trasmettere elementi per situazioni prive della pregnanza prevista dalla interdittiva antimafia è stata utilizzata dalla prefettura di Genova per quanto riguarda il gruppo Mamone, laddove risultavano rapporti di vecchia data tra alcuni componenti della famiglia Mamone e i fratelli Gullace, pregiudicati di origine calabrese sorvegliati speciali ed elementi di spicco del clan Raso-Gullace-Albanese. Proprio perché questi elementi di contiguità erano piuttosto remoti nel tempo non hanno consentito di attualizzare la presenza di questi soggetti, quindi il prefetto ha adottato un provvedimento atipico.
  Ciò è avvenuto all'esito di un'indagine condotta dalla Guardia di finanza, che riguardava la bonifica delle aree dello stabilimento Stoppani di Cogoleto.
  Alla condanna in primo grado per turbativa d'asta è seguito un annullamento della sentenza per difetto di notifica, quindi questo precedente penale ha mantenuto una capacità indiziaria, però ha perso la pregnanza di una sentenza.
  Le vicende di questo gruppo sono tornate nuovamente in evidenza per le indagini che hanno riguardato l'AMIU, ma allo stato non per fatti collusivi nei confronti della criminalità organizzata.
  Un analogo provvedimento è stato adottato nei confronti della Docks Lanterna SpA: nel corso dell'operazione «La Svolta» era emerso che il titolare di questa azienda, che gestisce un numero significativo di appalti sia nel ponente che in altri realtà del territorio ligure, aveva avuto una serie di contatti con la famiglia Marcianò, gruppo presente nel Ponente, i cui componenti sono stati condannati per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale.Pag. 88
  Ai Marcianò sono anche collegati soggetti della famiglia Pellegrino, che sono stati implicati in quanto esercitano un'attività di movimento terra e sono stati condannati per tentativi di intimidazione nei confronti di aziende concorrenti.
  Si era peraltro trattato non di frequentazioni, ma di un incontro in cui, insediandosi sul territorio di Bordighera per la gestione dell'appalto, gli era stata presentata questa persona, e dagli atti non risultano altre situazioni in cui si sia fatto seguito a questi incontri, né il titolare della ditta all'esito dell'attività di indagine è stato rinviato a giudizio.
  Il tema è sviluppato nella relazione trasmessa alla Commissione dal comando Legione carabinieri Liguria, in cui si riferisce di attività di indagine nei confronti di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata locale, che hanno permesso di documentare contatti diretti tra Giuseppe Marcianò, principale imputato del processo «La Svolta», condannato per associazione a delinquere di tipo mafioso con sentenza del tribunale di Imperia e il proprietario dell'80 per cento delle quote societarie e amministratore unico della società Docks Lanterna SpA di Genova, nonché Amministratore Unico della stessa.
  Dalle conversazioni intercettate si evinceva che costui era persona gradita a Marcianò, che dimostrava molto interesse per gli appalti della Docks Lanterna affermando, in un'occasione, di averlo raccomandato per aggiudicarsi l'appalto della raccolta rifiuti a Sanremo, nella speranza di ottenere in cambio favori; i Carabinieri segnalano quali significativi riscontri l'affidamento di alcuni lavori in subappalto da parte della Docks Lanterna alla Marvon (cooperativa sociale la cui riconducibilità a soggetti appartenenti al «locale» della ’ndrangheta di Ventimiglia è stata processualmente dimostrata) per conto dei comuni di Bordighera e Ventimiglia, nonché l'interessamento dell'amministratore unico di Docks Lanterna per favorire l'assunzione di Rinaldo Marcianò, fratello di Giuseppe Marcianò, in altra società (Torchio Srl).
  Il prefetto all'epoca aveva quindi ritenuto rilevanti questi elementi, non tanto da giungere all'adozione di un provvedimento ostativo antimafia, ma tali da consentire alle stazioni appaltanti di avere una comunicazione che chiarisse e cercasse di orientare sulla natura del soggetto e su possibili elementi di controindicazione.
  Un'attività analoga ha riguardato la ditta Samoter Srl nell'ambito del monitoraggio delle cave, atteso che la Samoter gestisce una cava di Camporosso e il titolare di questa cava era stato segnalato in compagnia di un pregiudicato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
  Più di recente, gli accertamenti nell'ambito dell'attività di prevenzione antimafia della prefettura sono stati rivolti anche al consorzio COCIV, al cui interno era presente come direttore tecnico un soggetto che, ancorché non collegato alla criminalità organizzata, era stato tuttavia condannato in secondo grado a Firenze per il reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Questo soggetto è stato estromesso dalle funzioni di direttore tecnico e quindi la prefettura ha rinnovato tutta l'attività istruttoria sulla nuova composizione societaria e sta verificando se l'estromissione sia da considerare effettiva o fittizia, mantenendo il soggetto una situazione di controllo nell'ambito dell'azienda.Pag. 89
  Per quanto riguarda l'attività del movimento terra, nell'ambito del Gruppo interforze viene monitorato il sito della regione per gli affidamenti, per individuare quali sono le opere di maggiore rilievo sulle quali svolgere le attività di verifica, nell'ambito delle quali vi è un elenco di lavorazioni «sensibili», fra le quali sicuramente il movimento terra, gli scavi e il trasporto per individuarne le destinazioni.
  La prefettura opera il controllo di prevenzione antimafia di carattere cartaceo, ossia acquisisce i rapporti informativi di tutte le forze di polizia, acquisisce elementi dalle informazioni antimafia ora trasfuse nella banca dati unica nazionale dei provvedimenti ostativi antimafia, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 ottobre 2014, n. 193.
  Questa attività di prevenzione antimafia prevede accessi sui cantieri solo sulle grandi opere nell'ambito del Gruppo interforze, altrimenti è una verifica su assenza di condizioni antimafia che viene svolta dal punto di vista di analisi di dati.
  Il prefetto di Genova ha pure fatto rilevare come accada che alcuni soggetti, pur segnalati, continuino a operare, perché alcune delle ditte che sono state oggetto di accertamenti poi chiudono, esauriscono la loro funzione, falliscono, e questi soggetti si inseriscono in altre attività. Se queste attività comportano contrattazione con la pubblica amministrazione e viene chiesta una nuova informativa antimafia, gli accertamenti devono essere rinnovati.
  È anche difficile che il soggetto controindicato sia titolare di un'azienda, perché spesso si annida nei subappalti e sui subaffidamenti e si avvale di figure che non costituiscono oggetto di verifica antimafia in via preliminare; e spesso quando l'attività di contrasto riesce a colpire un'azienda questa conclude il suo ciclo produttivo.
  Osserva il prefetto di Genova: «emergono quindi i contenziosi, le contestazioni, perché è ovviamente interesse della ditta dimostrare di non essere controindicata, ma nel momento in cui il provvedimento riesce a dimostrare in maniera certa e rigorosa la presenza della criminalità organizzata si assiste a un abbandono di questa azienda e alla formazione di altre aziende, in cui questi soggetti spesso si inseriscono. Comincia quindi un nuovo ciclo di accertamento quando questo nuovo soggetto viene nuovamente a contrattare con la pubblica amministrazione e si rende necessario attivare una verifica antimafia oppure se si fanno controlli su subappalti o subaffidamenti nell'ambito di attività di indagini o di verifica ispettiva».
  Il prefetto di Genova, con riferimento all'intera realtà regionale ha ribadito «che dagli accertamenti delle forze di polizia non emerge un sistema stabile di controllo e di presenza di criminalità nell'ambito del ciclo dei rifiuti, ma si sono verificati dei contatti e delle situazioni nei quali in relazione a singole fattispecie sono stati evidenziati alcuni collegamenti con soggetti legati alla criminalità organizzata».
  Il contrasto alla microillegalità diffusa costituisce il complemento alla necessaria elevata soglia di attenzione rispetto al quadro descritto relativamente alla prevenzione degli appetiti criminali veri e propri.
  Tra le attività svolte dall'ARPAL in via ordinaria vanno sottolineati i controlli topografici mediante tecnologie laser-scanner e GPS, Pag. 90in particolare per verificare geometrie e corretto abbancamento in discarica e verifica delle volumetrie disponibili.
  Sono stati svolti controlli mirati in materia di rifiuti radioattivi con evidenza di presenza di tale tipologia di rifiuti (di origine ospedaliera) nell'impianto di Ecoeridania SpA Servizi per l'Ambiente, di Arenzano, la società che – come risulta dalle relazioni delle ASL – svolge servizio di ritiro, trasporto e smaltimento di rifiuti speciali sanitari per le ASL di Genova, La Spezia e Savona; quest'ultima affida però i rifiuti radioattivi a Campoverde Srl di Milano.
  ARPAL ha rilevato per Ecoeridania SpA nove eventi di smaltimenti di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo (CER 180103) scorretti in quanto contenenti materiale radiocontaminato e pertanto da ritenersi rifiuti radioattivi. Detti eventi sono stati rilevati nel 2014 presso un impianto per la raccolta e lo stoccaggio dei rifiuti sanitari di Ecoeridania solo successivamente all'installazione di un sistema di rivelazione a portale. Negli anni precedenti al 2012 e 2013 altri controlli avevano già permesso di individuare casi analoghi.
  Nella relazione trasmessa da ARPAL alla Commissione si valuta che questi scorretti smaltimenti «tipicamente avvengono per la mancanza di un'adeguata procedura o per eventi accidentali in concomitanza alta mancata esecuzione di una misura radiometrica diretta del rifiuto»: si tratta comunque di tema sensibile su cui il livello di attenzione e i controlli devono mantenersi adeguati.
  Oltre a quanto già indicato relativamente all'azione degli organi di controllo e di polizia, sono stati segnalati dall'ARPAL, nella provincia di Savona, notizie di reato per illeciti relativi alla gestione dei rifiuti nelle discariche di Bossarino-Vado Ligure e Ramognina-Varazze (in quest'ultima sono state rilevate particolari criticità per nitriti, nitrati, ammoniaca e nichel ed è riferito l'avvio di una caratterizzazione; una notizia di reato è stata inoltrata in relazione a smaltimento illecito di fanghi prodotti nel depuratore di Villanova d'Albenga. A queste attività si aggiungono il sequestro eseguito nel maggio 2014, da parte della Capitaneria di porto, di discariche in aree demaniali marittime a Vado Ligure e Noli; il sequestro eseguito nel luglio 2014, da parte della Guardia di finanza, di discarica in Andora; gli accertamenti in corso sull'area di Pian del Melo, nel comune di Savona;
  In provincia di Savona le discariche attive sono quattro: la discarica Boscaccio nel comune di Vado Ligure, di Bossarino sempre nel comune di Vado Ligure, di Ramognina nel comune di Varazze e Filippa nel comune di Cairo Montenotte. Due di queste discariche, precisamente la discarica di Ramognina e quella di Boscaccio, sono state oggetto di indagini da parte della Guardia di finanza, su violazioni di normative in materia fiscale, tributaria, non su collegamenti con la criminalità organizzata.
  Il comandante regionale della Guardia di finanza, partendo proprio dal riferimento a questa attività ha messo in evidenza il possibile incrocio tra interesse investigativo su aspetti fiscali e tutela dell'ambiente: «l'attività della Guardia di finanza è principalmente caratterizzata dalla trasversalità, cioè dal perseguimento e dalla tutela di diversi interessi finanziari, economici e di diritto in genere allorché effettuiamo un intervento. Quando ci sono interventi – come in questo Pag. 91momento accade a Savona – su società che gestiscono discariche di comuni, la motivazione, almeno per questi casi, è principalmente fiscale. In questo momento, l'attenzione del reparto che sta operando è focalizzata sugli aspetti di fiscalità interna e internazionale».
  L'interlocuzione, sul punto, con la Commissione in sede di audizione, ha consentito di porre in evidenza, come spunto investigativo affidato al comandante regionale della Guardia di finanza, l'analisi del comportamento dei gestori rispetto all'accantonamento delle somme per la gestione post mortem degli impianti.
  Nell'attività di contrasto all'illegalità ambientale la realtà ligure pone in evidenza le forme istituzionali di collaborazione, quali quelle esistenti tra Corpo forestale dello Stato e Agenzia delle dogane e tra questa e il Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente.
  Alcuni interventi sul territorio hanno così tratto origine da attività doganali: sono stati segnalati il sequestro, nel giugno 2014 di un terreno di circa 1500 metri quadrati in Santo Stefano Magra, attraversato da un corso d'acqua e limitrofo a terreno coltivato ad orti, al cui interno erano stati smaltite circa cinquanta tonnellate di rifiuti pericolosi costituiti da veicoli abbandonati e cisterne contenenti oli esausti; nel luglio 2014 di un'area nell'immediato retroterra portuale, al cui interno è stata rinvenuta circa una tonnellata di rifiuti pericolosi costituiti da tubazioni e coperture di amianto in pessimo stato di conservazione; nel novembre 2014 in Vezzano Ligure, in area pubblica di alcune tonnellate di rifiuti speciali da demolizione edilizia, tra cui resti edili di amianto già esfoliato e volatile.
  Anche nella regione Liguria le associazioni ambientaliste – i cui rappresentanti la Commissione ha audito – hanno un ruolo attivo di segnalazione di criticità, rispetto al cui esercizio vengono tuttavia lamentate le difficoltà derivanti dalla scarsa accessibilità dei dati.
  Afferma il presidente provinciale del WWF della Spezia: «Non c’è trasparenza su tutto l'operato per ciò che riguarda la pubblica amministrazione. Dobbiamo sempre chiedere e faticare a sapere. Anche per ciò che concerne i dati dal punto di vista della salute, dobbiamo sempre rincorrere e chiedere, mentre questo sarebbe un atto dovuto verso di noi. Dobbiamo sempre lottare per avere dei risultati, da verificare sul campo, su quello che sta avvenendo».
  La qualità della risposta giudiziaria agli illeciti ambientali è condizionata dalla disponibilità di risorse – di magistrati, di personale, amministrativo, di polizia giudiziaria – e dalle attribuzioni ordinamentali di competenza.
  A questo proposito, anche in Liguria, come in altre parti del territorio nazionale, la Commissione ha verificato la criticità costituita dall'attribuzione di competenza alle procure distrettuali del reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti).
  I giudizi sull'efficacia di questa attribuzione «centralizzata» non sono univoci, ma pare prevalere una valutazione negativa, in questo caso espressa dal procuratore della Repubblica di Savona, secondo il quale l'obbligo di trasferire alla sede distrettuale – in questo caso Genova – i fascicoli di indagine una volta qualificate le condotte illecite come ricadenti in quella qualificazione giuridica priva le Pag. 92procure ordinarie di uno strumento di controllo di legalità da esercitare a stretto contatto con il territorio:
  Così il procuratore della Repubblica di Savona si esprime sul punto nella relazione trasmessa alla Commissione: «la legge 13 agosto 2010, n. 136, con l'articolo 11, ha introdotto una nuova disposizione nell'articolo 51 codice di procedura penale, che attribuisce alle procure distrettuali la competenza per i reati di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 [...] questo spostamento di competenza indebolisce gravemente le possibilità di controllo di legalità sul territorio da parte delle singole procure ordinarie, che con il territorio medesimo hanno un rapporto e un contatto più immediato e diretto rispetto alla procura distrettuale. Inoltre crea dubbi e incertezze in tema di competenza funzionale, che rischiano di demotivare o rallentare le iniziative dei singoli uffici».
  Si deve rimarcare come la questione dell'efficacia, o meno, dell'attribuzione alle procure distrettuali della competenza su quel delitto, da ritenersi – anche in funzione di ulteriori acquisizioni della Commissione in contesti diversi da quello della Liguria – problema aperto, sia stata evidenziata anche in una realtà, come quella ligure, in cui la procura del capoluogo è attrezzata e organizzata assai efficacemente, come è emerso nelle audizioni, per fornire una adeguata risposta di giustizia. Si segnalano, tra l'altro, la costituzione presso quell'ufficio giudiziario di un gruppo di pubblici ministeri specializzato in materia ambientale, coordinati da un procuratore aggiunto il quale – con una scelta significativa sia dal punto di vista organizzativo che da quello simbolico – coordina anche il gruppo che si occupa di reati contro la pubblica amministrazione; l'attenzione riservata dal procuratore della Repubblica, anche per gli aspetti ambientali, alla specificità della grande area portuale di Genova; l'utilizzazione da parte del procuratore della Repubblica di Genova del modulo organizzativo della coassegnazione di procedimenti a pubblici ministeri delle Procure ordinarie, proprio al fine di garantire un punto di riferimento territoriale alle indagini in materia.

4. Le principali vicende giudiziarie.

  La caratteristica dei comportamenti illeciti connessi alle materie oggetto di interesse per la Commissione è quella dell'associarsi di fenomeni di microillegalità diffusa e vicende di illeciti ambientali derivanti dalla gestione di impianti di grande dimensione che, nella fisiologia, dovrebbero essere destinati a una ordinaria operatività nell'ambito della tutela ambientale o dell'attività produttiva.
  Il procuratore della Repubblica di Genova ha parlato nella sua audizione di «comportamenti illegali diffusi, che hanno portato all'iscrizione, nel 2014 presso la procura della Repubblica di Genova, di circa centocinquanta fascicoli d'indagine per violazioni in materia di rifiuti»; precisando a tale proposito che «negli ultimi tempi hanno però assunto un significativo rilievo soprattutto le indagini legate alla gestione in senso ampio dei rifiuti, in particolare urbani, attraverso le tante discariche autorizzate (sia pubbliche che private) disseminate nel delicato e fragile territorio ligure; regione questa nella quale non Pag. 93sembra ancora esistere un vero piano di gestione specie per tali rifiuti, che si continuano quindi a smaltire in qualche modo quasi mai seguendo le specifiche normative (e non solo per quanto attiene al pretrattamento) facendo appunto ricorso a discariche periodicamente ampliate, che di fatto sono considerate come ineliminabili, attorno alle quali si sviluppano rilevanti interessi non sempre leciti».
  Il tema del rapporto tra dimensioni della gestione dei servizi pubblici e illegalità è stato proposto dal procuratore della Repubblica di Genova anche sotto un ulteriore aspetto: «i rapporti di corruttela a vario titolo con pubbliche amministrazioni. Qui il fenomeno nell'ambito dei procedimenti penali è emerso già anche in materia di rifiuti, ma soprattutto a livello di altre indagini di criminalità organizzata, perché è uno dei sistemi più diffusi di penetrazione o di rafforzamento della criminalità organizzata almeno nel territorio ligure, passando attraverso le piccole realtà comunali. Nelle piccole realtà comunali è ovviamente facile avere un certo tipo di rapporto con i pubblici amministratori che poi degenera, magari rimane a livello di piccole cose in termini economici (non parliamo di grandissime opere perché i piccoli comuni non le fanno nemmeno), però si creano quei vincoli di condizionamento che poi possono espandersi anche al di là dei rapporti soggetto privato/pubblico amministratore in quel momento. Su questo sono in corso diverse verifiche e diversi accertamenti, però la prova della illiceità di questi rapporti non è ovviamente così semplice».
  Anche il comandante della Legione carabinieri Liguria ha inteso richiamare l'attenzione sulle realtà parcellizzate che possono costituire «punti di accesso» di interessi delinquenziali, rilevando che indagini in corso (peraltro non ancora pervenute ad esiti processualmente significativi) e attività generale infoinvestigativa «hanno portato a provare per la prima volta la presenza di organizzazioni di tipo criminale in Liguria che influiscono anche sulla vita politica di alcuni piccoli centri. È un'attività in divenire, ma per la quale abbiamo elementi che ci danno una certa sostanza nella necessità di approfondire. Esiste l'altro aspetto, non così secondario a sua volta, dell'attività illegale di pubblici funzionari che, in concorso con imprenditori, tendono a conseguire illeciti dalla gestione dei rifiuti. Al riguardo, tuttavia, è possibile evidenziare un dato di interesse anche in questo settore: soprattutto nella questione che riguarda i pubblici funzionari e le imprese che svolgono l'attività di cessione dei rifiuti, una eccessiva parcellizzazione di queste società, che naturalmente rende più difficile il controllo delle attività e non consente a nostro parere anche efficienti economie di scala nella gestione del servizio. Un grande numero di queste società, quindi, quasi tutti a livello comunale, svolge attività nella gestione dei rifiuti e che, essendo appunto in grande numero, richiedono un'attività di controllo anche piuttosto impegnativa».
  La valutazione sul rischio di un più ampio e strutturato avvio nel territorio dell'azione di soggetti portatori di interessi illeciti od obliqui si coniuga con altra affermazione, sempre proveniente dal procuratore della Repubblica di Genova anche in veste di procuratore distrettuale antimafia, relativa alla non attualità di presenze criminali strutturate nel settore: «per quella che è l'esperienza della procura di Genova e Pag. 94in questo momento segnatamente della direzione distrettuale antimafia, nell'ambito della gestione in senso lato dei rifiuti non vi è alcuna evidenza di presenza di criminalità organizzata in questo settore».
  È stato altresì precisato che l'emergere di realtà criminali associative nel territorio di Imperia, dove nel dicembre 2014 è stata per la prima volta pronunciata una sentenza – ad esito delle indagini denominate «La Svolta» – che riconosce l'esistenza di un'associazione a delinquere di stampo mafioso, non ha riferimenti diretti alla gestione dei rifiuti.
  L'accertamento iniziale era partito dalla procura di Sanremo – poi soppressa in sede di revisione della geografia giudiziaria – si è unito poi a un troncone dell'indagine nota come «Maglio 3», sulla ’ndrangheta nel basso Piemonte e in Liguria; una parte del procedimento è stata poi seguita dalla direzione distrettuale antimafia di Torino, un'altra parte è stata trasferita per competenza in Calabria.
  Una presenza siffatta costituisce ulteriore segnale di allarme proprio perché – come si è detto affrontando il tema delle attività di prevenzione – il ciclo dei rifiuti può costituire uno dei campi di interesse per strutturate attività criminali.
  E l'interesse per la gestione illecita dei rifiuti è attestato dalla presenza in media presso la direzione distrettuale antimafia di Genova di un numero tra i dieci e i quindici procedimenti penali pendenti per la violazione dell'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, dunque per traffico organizzato di rifiuti.
  Dato conto già in precedenza del complesso procedimento penale che coinvolge la gestione della discarica di Scarpino, a Genova la principale vicenda giudiziaria recente ha riguardato l'esistenza di un'associazione per delinquere composta da alcuni dirigenti dell'AMIU di Genova e da imprenditori locali, fra i quali si segnalano Gino e Vincenzo Mamone, titolari rispettivamente della ditta EcoGe e Ares International, e la famiglia Raschellà, titolare della Edildue.
  Questa associazione mirava a far ottenere agli imprenditori illeciti vantaggi dall'aggiudicazione di appalti e di lavori non rispettosi delle procedure dell'evidenza pubblica, con aggravi di spese per la municipalizzata e per i cittadini. In cambio di questa illecita attività i dirigenti (è in particolare venuta in evidenza la responsabilità del dirigente dell'Ufficio gare e acquisti di AMIU, Corrado Grondona) hanno ricevuto utilità di varia natura, fra cui anche il procacciamento di prostitute.
  Nei confronti della ditta che svolge la raccolta differenziata per AMIU, la Swich-1988 Srl di Maurizio Dufour sono altresì emerse violazioni delle norme in materia contrattuale e di tutela ambientale.
  Va peraltro precisato che questa vicenda non inerisce direttamente al ciclo dei rifiuti: è tuttavia esemplare dell'interesse illecito che l'azienda ha suscitato; e della necessità di una profonda revisione organizzativa, della quale si è già detto.
  La procura della Repubblica di Savona si è dimostrata particolarmente attiva nel perseguire fatti illeciti connessi alla gestione dei rifiuti, che sono peraltro esemplificativi della specificità dei problemi del territorio ligure.Pag. 95
  Il procuratore della Repubblica di Savona ha trasmesso documenti ed è stato audito sul caso della Tirreno Power di Vado Ligure, che, per la sua rilevanza e specificità, verrà trattato separatamente.
  Di seguito si riportano pertanto in sintesi le ulteriori vicende giudiziarie di interesse della Commissione nel circondario di Savona.
  Si è tenuto il processo per gestione illecita di rifiuti consistente nella realizzazione una discarica nella ex cava Lavagnin di Pontinvrea, destinata a ripristino ambientale, con conferimento continuato di fanghi di cartiera; era contestata anche l'emissione di biogas in atmosfera (come violazione dell'articolo 674 del codice penale); nelle condotte illecite precedenti gli inquirenti hanno configurato il delitto di disastro colposo (articoli 434, 449 del codice penale): la condotta è consistita nel non procedere alla miscelazione dei fanghi di cartiera con terreno naturale, di fatto totalmente assente, nella percentuale prevista dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998 (30 per cento fanghi, 70 per cento terreno), e invece facendo sì che tali fanghi fossero stoccati in sotterraneo con conseguente processo di degrado per via anaerobica, non prevedendo che in tali condizioni si sarebbero sviluppati ingenti quantitativi di biogas e si sarebbe prodotto e accumulato percolato.
  Era contestata la realizzazione e gestione di fatto di una discarica priva di autorizzazione con produzione di ingenti quantitativi di biogas e con produzione di accumuli consistenti e sversamenti di percolato, per cui avrebbero dovuto essere previsti ed eseguiti impianti di drenaggio, captazione e controllo del biogas sia durante il periodo di esercizio dell'impianto sia successivamente alla chiusura dello stesso per almeno trenta anni, e per cui avrebbero dovuto essere previsti ed eseguiti sistemi di drenaggio, di raccolta e di allontanamento del percolato. Il processo si è concluso in primo grado con l'assoluzione degli imputati.
  L'audizione del viceprefetto vicario di Savona ha dato conto dell'interessamento di altri soggetti pubblici alla vicenda: «si tratta di una cava la cui attività estrattiva è stata sospesa dalla regione Liguria nel 2008. La regione Liguria ha autorizzato il ripristino ambientale di questa cava mediante apporto di materiali idonei. Per effetto però dell'omesso rispetto delle disposizioni e delle prescrizioni impartite dalla Regione, questa riqualificazione è stata interrotta a seguito dello sviluppo nel sottosuolo di sostanze (biogas) in particolari concentrazioni. Queste sostanze gassose si sono sprigionate perché probabilmente ci sono stati degli abusi. È stato utilizzato materiale proveniente da altre zone che non poteva essere abbancato in quella cava proprio perché non era roccia, né terra. Qui c’è una diversità di vedute, perché mentre l'ente regionale ritiene che il problema si possa risolvere attraverso una miscelazione di tutto il materiale che attualmente si trova, il comune ritiene invece necessario asportare quel materiale che non è costituito dalle sostanze che possono essere utilizzate per la rinaturalizzazione della cava. Recentemente abbiamo fatto una riunione in prefettura anche su richiesta del comune di Pontinvrea per trovare una soluzione e siamo ancora in attesa di verificare gli sviluppi soprattutto per quanto riguarda le decisioni che la Regione assumerà al riguardo».Pag. 96
  La cokeria Italiana Coke di Cairo Montenotte è una storica realtà produttiva della Valbormida. Così ha descritto la situazione ambientale il procuratore della Repubblica di Savona nella sua audizione: «in Val Bormida c’è la cokeria. È una cokeria di impronta nettamente ottocentesca, con tutti i problemi che si porta dietro in termini di inquinamento. Esiste un procedimento riferito a questa cokeria per il reato di disastro ambientale, inteso sia sotto il profilo della salute, sia sotto il profilo del danno all'ambiente in senso proprio. Ci sono poi altri procedimenti [...] questioni legate anche al trattamento delle acque per la mancanza di impianti di depurazione e alla mancata copertura dei carbonili.
  E, nella relazione trasmessa alla Commissione, dopo avere precisato che sono aperti diversi procedimenti penali per i reati di cui agli articoli 137 commi 3 e 5, 256 commi 1 e 4 decreto legislativo n. 42 del 2004, 674 del codice penale, osserva che la cokeria è stata «oggetto di costanti controlli da parte degli uffici competenti per l'impatto ambientale che la sua produzione provoca sull'ambiente circostante e per la sua vicinanza a centri abitati. Trattasi di controlli da ritenersi complessivamente inefficaci e poco concludenti se, anche in questo caso, si sono verificate le condizioni per numerosi interventi del pubblico ministero».
  Lo strumento penale, in difetto di efficaci e incisivi controlli da parte di altri organismi, è riconosciuto come inadeguato: «negli anni si sono aperti diversi procedimenti (taluni dei quali anche archiviati o definiti con sanzioni pecuniarie irrisorie), che hanno riguardato la gestione ambientale complessiva dello stabilimento, con particolare riferimento alle emissioni provocate dai forni di distillazione del carbone e alla gestione delle acque di processo provenienti dai vari impianti.
  In epoca più recente sono state eseguite verifiche anche in relazione alla gestione dei rifiuti prodotti. Sono state richieste più consulenze tecniche e numerose sono state le ispezioni sugli impianti (anche notturne), in particolare:
   accertamenti hanno riguardato l'impianto di depurazione, che presentava criticità di funzionamento e gestionali, che provocavano la diluizione dei reflui e scarichi nei corpi ricettori con parametri superiori ai limiti di legge; per tale motivo l'impianto di depurazione era stato sottoposto a sequestro. La Corte di cassazione nel confermare il sequestro dell'impianto, osservava, tra l'altro: «[è] emerso, con netta evidenza, che il superamento della soglia di tolleranza del selenio e delle altre sostanze inquinanti non si sia verificato in una unica e isolata occasione, ma in diverse e reiterate circostanze, con frequenza costante nel tempo, tanto che detto fenomeno è da collegare solo ad una deficienza strutturale dell'impianto, peraltro ritenuto obsoleto e mal funzionante dagli stessi dipendenti della azienda);
   sono emerse problematiche anche in relazione ad una cisterna di sedimentazione in cui venivano accumulati rifiuti reflui in violazione della normativa vigente (cfr. «decreto sequestro preventivo cisterna 4 Italiana Coke»); Certamente l'aspetto con maggior impatto ambientale è, però, quello relativo alle emissioni prodotte dai forni di Pag. 97distillazione del carbone che, per vetustà, scarsa manutenzione e non corretta gestione, provocavano fuoriuscite di gas e fumi nocivi, come emerso dagli accertamenti svolti negli anni; per tale motivo le batterie forni sono state sottoposte a sequestro preventivo (cfr. provvedimento del pubblico ministero circa le modalità di sequestro forni).

  Il procedimento relativo alle emissioni in atmosfera, 2111/2008/21, si trova nella fase del dibattimento (recentemente la polizia giudiziaria ha operato un'ispezione nello stabilimento per verificare se sono stati eseguiti i previsti lavori sui forni).
  La sentenza della Corte di cassazione, sez. III, 25 maggio 2011, rigetta il ricorso contro la conferma in sede di riesame del decreto di sequestro preventivo degli impianti per il trattamento dei reflui industriali della Italiana Coke di Cairo Montenotte (è contestato il reato di cui all'articolo 137, terzo e quinto comma, decreto legislativo n. 152 del 2006; la sentenza svolge considerazioni sulle modalità di prelievo e campionamento e sul pericolo determinato dall'obsolescenza dell'impianto).
  Altro tema sul quale sta operando la procura della Repubblica di Savona, che ipotizza la commissione dei reati di cui agli articoli 29-quattordecies, 256 commi 3 e 4 decreto legislativo 42 del 2004, riguarda la gestione della discarica per rifiuti solidi urbani denominata «Ramognina», gestita dalla Ramognina s.c.r.l., già Lavajet Srl, sita nel comune di Varazze. Si tratta di discarica realizzata sul sito di una vecchia discarica ante decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, per altro attraversata da un corso d'acqua pubblico intubato (rio Arenon), in merito alla quale gli accertamenti eseguiti negli anni hanno spesso evidenziato carenze gestionali (dispersione dei rifiuti nell'ambiente circostante, odori) e fuoriuscite di percolato nell'alveo del predetto corso d'acqua. L'attuale gestore, indagato nell'attuale procedimento ha già beneficiato di assoluzioni da parte del tribunale di Savona, impugnate dalla procura della Repubblica. Il procedimento ora pendente si propone di accertare nuovamente l'idoneità dei titoli autorizzativi rilasciati ad impedire che la discarica provochi inquinamento, il rispetto delle prescrizioni in essa contenute e, comunque, che la gestione attuata sia idonea ad impedire inquinamento, nonché se sono in atto fenomeni di inquinamento dovuti alla discarica.
  Le ex aree Metalmetron erano un sito industriale in Savona, non più attivo da molti anni; dopo un lungo periodo di abbandono, nel 2009/2010 sono state interessate da lavori di bonifica al fine di realizzarvi un complesso commerciale.
  Gli accertamenti della procura della Repubblica hanno riguardato inizialmente le modalità di bonifica del sito e in particolare la gestione dei rifiuti prodotti con le demolizioni e gli scavi (operati anche dalla ditta Scavoter,); in loco sono stati eseguiti più accessi, con il sequestro di alcune porzioni di aree in cui sono stati rinvenuti rifiuti.
  Successivamente l'accertamento si è spostato presso il sito di conferimento dei rifiuti prodotti, corrispondente all'area denominata «Paleta», in Carcare; è una vasta area già oggetto di accertamenti in passato in quanto su di essa era stata rinvenuta la presenza di rifiuti, Pag. 98su parte della quale oggi si è insediata la Noberasco, che commercia frutta.
  Il sito all'epoca risultava gestito dalla ditta Bagnasco, autorizzata all'abbancamento in loco di sole terre e rocce da scavo al fine di riqualificare l'area e permettervi l'insediamento di nuove realtà produttive.
  Gli accertamenti permettevano di rilevare che la «riqualificazione « avveniva non solo con terre e rocce da scavo, ma anche con molti rifiuti provenienti dal sito ex Metalmetron (ivi trasportati dalla Scavoter); conseguentemente una grossa porzione della «Paleta» è stata anch'essa sottoposta a sequestro perché gestita come discarica senza autorizzazione.
  In merito è stata conferita una consulenza tecnica, all'esito della quale il fascicolo è stato trasferito per competenza alla direzione distrettuale antimafia di Genova in quanto gli esiti della consulenza hanno evidenziato elementi di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Nel febbraio 2014, sono state eseguite misure cautelari nei confronti di cinque persone, di cui tre appartamenti alla locale amministrazione comunale in Pietra Ligure.
  Le accuse a carico dei funzionari pubblici e dei privati riguardano sino all'aprile 2012 collusioni nel bando di gara per l'affidamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nel comune di Pietra Ligure, condizionato illecitamente a favore di Aimeri SpA, società già affidataria del servizio dal 1995 con ripetute proroghe; sino a maggio 2013 nel bando per l'affidamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nel comune di Pietra Ligure, con ulteriori accuse di corruzione, a beneficio di ATA SpA.
  È stato emesso decreto che dispone il giudizio con udienza fissata avanti il tribunale di Savona il 9 novembre 2015.
  Il comandante regionale della Guardia di finanza ha richiamato le attività di accertamento in corso su tre discariche gestite da soggetti di cui sfugge la reale proprietà e il reale controllo.
  È certamente distonico che non si sappia – a causa di strutture societarie complesse, con partecipazione di soggetti comunitari ma anche extracomunitari – a chi siano esattamente riconducibili le proprietà delle società che stanno gestendo discariche di comuni. Con le indagini tuttora in corso si intende verificare se la capitalizzazione di quelle imprese sia avvenuta con fondi legittimamente ottenuti, se vi possano essere ipotesi di evasione fiscale o di esterovestizione.
  Il fatto che ci si avvalga di strutture societarie e attività finanziarie complesse nel settore delle discariche segnala ancora una volta l'interesse di un'economia anche potenzialmente illecita nel ciclo dei rifiuti ligure.
  Un esempio significativo dal punto di vista fenomenico se non di diretta rilevanza penale dei fatti è quello portato dal procuratore della Repubblica di Savona a proposito della cava Fazzari: «la cava Fazzari è gestita di fatto dalla moglie di Gullace. Gullace in questo momento è uno dei grandi, di quelli che ancora sono rimasti praticamente intoccabili. Di sicuro è l'unico nel circondario di Savona, ma probabilmente anche nel Ponente ligure. È un tipico Pag. 99elemento della ’ndrangheta e gestisce questa cava da molti anni. La cava è stata gestita in maniera assolutamente irregolare. C'erano stati degli accertamenti che risalgono a molti anni fa circa il seppellimento di rifiuti tossici. Semplicemente dagli atti sembrerebbe che questo problema dei rifiuti tossici sia stato risolto. Era arrivata una richiesta ministeriale, mi pare proprio dal Ministero dalla giustizia, che chiedeva notizie su questa cava e che c'era un procedimento che era stato definito. In ogni caso, emergeva che questo problema dei rifiuti sarebbe stato risolto. Ma il problema è tuttora in piedi, perché vi sono due cave adiacenti. Ci sono due famiglie, che sono parenti fra loro – si chiamano entrambe Fazzari – che si fanno la lotta l'una con l'altra. Ancora recentemente il soggetto che si considera la vittima dei due era venuto a fare delle dichiarazioni, ma erano dichiarazioni che riguardavano fatti tipicamente mafiosi. In realtà, sono di ’ndrangheta, ma dire «mafiosi» è più semplice. Sono stati trasmessi a Genova e a Reggio Calabria».
  Anche a seguito di richieste di chiarimento da parte dei componenti della Commissione il senso delle affermazioni del procuratore della Repubblica è stato così integrato: «non c’è mai stata, lì, durante la mia gestione dell'ufficio, una notizia di reato tale che giustificasse un tipo di attività di indagine che avrebbe dovuto comprendere carotaggi e anche attività di tipo tecnico. Così si diceva. Le autorità comunali e l'ARPAL dicevano che [la bonifica] era stata fatta».
  La perdita, o la sensazione di perdita del raccordo necessario tra attività di controllo – che dovrebbero essere continue ed efficaci – e intervento penale – che dovrebbe essere solo successivo ed eventuale – è uno dei presupposti di possibili illegalità.
  Il 9 dicembre 2014 il personale del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Firenze, nell'ambito di una più vasta attività di indagine, coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Genova, in materia di traffico illecito di rifiuti speciali non pericolosi, ha eseguito un'ordinanza applicativa di misure cautelari personali e ha sottoposto a sequestro il cantiere e i macchinari dell'unità operativa situata in Arcola, località Pietralba, della «Società Italiana Riutilizzo Materiali Inerti Srl – SIRMI Srl», nonché un uliveto di due ettari ubicato sempre in località Pietralba.
  È stato scoperto un traffico illecito di ingenti quantità di marmettola.
  Si tratta di rifiuti costituiti dai residui della lavorazione delle pietre, provenienti da segagioni di marmi e graniti. Commisti alla marmettola si trovano oli utilizzati per lubrificare le lame, oltre agli sfridi che provengono dalle stesse lame.
  La marmettola si presenta sotto forma di fanghiglia più o meno densa costituita da acqua, polvere di pietra, residui di lubrificanti, residui di metalli derivanti dall'usura delle lame e residui di flocculanti (sostanze chimiche usate per far precipitare più velocemente la parte solida dalle acque torbide uscenti dal processo di segagione).
  I rifiuti provenivano da vari laboratori di lavorazione di pietre in zona di Carrara, peraltro estranei alla vicenda penale.
  I movimenti di terreno che avvenivano nel sito di interramento dei rifiuti erano apparentemente giustificati dalla presenza di un titolo edilizio per lavori di sistemazione del versante al fine di impiantare Pag. 100un uliveto. Si trattava apparentemente di un normale cantiere per la sistemazione del versante.
  Come ha indicato il prefetto della Spezia nella sua audizione «nel territorio spezzino e nella confinante provincia di Massa Carrara esistono vari impianti autorizzati, dove entrano vari rifiuti pericolosi e non pericolosi e dove avvengono trattamenti e miscelazioni. Dagli impianti escono poi materiali trattati, che vengono impiegati per riempimenti e rilevati oppure per risistemare cave o discariche al termine della loro vita operativa. Tale sistema di movimentazione e miscelazione può favorire lo smaltimento illecito di rifiuti, che vengono appunto miscelati con diluizione degli inquinanti e poi impiegati come materie prime per le attività di cui sopra».
  Come ha precisato il pubblico ministero della Spezia che ha svolto inizialmente le indagini, nel medesimo luogo si svolgeva un traffico di rifiuti (la marmettola) va veniva anche abusivamente gestita una discarica di detriti provenienti da demolizioni e altro.
  La procura distrettuale di Genova ha esercitato l'azione penale, articolando le accuse in maniera utile a descrivere una realtà particolarmente significativa di gestione illecita di rifiuti, nella quale la debolezza nell'applicazione e nel controllo delle norme regolatrici fa da incentivo all'illegalità.
  Se ne è avuto riscontro nell'audizione della direttrice del Dipartimento della Spezia dell'ARPAL, a cui i parlamentari della Commissione hanno chiesto conto delle attività svolte per far fronte a questa imponente realtà illecita. La risposta testuale: «due o tre anni fa avevamo conosciuto un tizio che, quando la legislazione su terre rocce era ancora diversa, aveva fatto un progetto per ripristinare un frutteto e aveva fatto tutta la pratica. Non ne abbiamo più saputo niente. Recentemente siamo andati con il Corpo forestale dello Stato ma non so come è andata [...] Faremo un'indagine più approfondita quando qualcuno ce la commissionerà».
  La carenza di controlli genera illeciti che l'intervento della polizia giudiziaria e magistratura sanzionano quando ormai il danno è fatto.
  La richiesta di rinvio a giudizio del febbraio 2015, ipotizza la commissione del delitto di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 a carico di undici imputati, otto dei quali sottoposti a misura cautelare.
  Si assume che l'attività illecita si sia svolta tra Arcola (in provincia della Spezia), Carrara, e Pomarance, frazione Larderello (in provincia di Pisa) fino al mese di marzo 2014: a vertici e dipendenti della Società Italiana Riutilizzo Materiali Inerti srl – SIRMI Srl e della «Autotrasporti Poggi Giovanni Srl» si contesta di avere in concorso tra loro e al fine di conseguire un ingiusto profitto, allestendo mezzi ed attività continuative organizzate, ceduto, ricevuto, trasportato o comunque abusivamente gestito ingenti quantitativi di rifiuti; in particolare, nonostante la SIRMI Srl fin dal 15 ottobre 2012 (con determina della provincia di Massa Carrara n. 3293) fosse autorizzata soltanto alle operazioni di messa in riserva (R13) dei rifiuti costituiti da «fanghi e polvere da segagione e lavorazione di pietre, marmi ed ardesie» e «fanghi e polvere da segagione, molatura e lavorazione granito» – codici CER 01 04 10 Pag. 101e 01 04 13, effettuavano sistematicamente operazioni di smaltimento dei medesimi rifiuti:
   conferendoli illecitamente (per una quantità pari ad almeno metri cubi 22.000) nella discarica non autorizzata realizzata e gestita dalla CMT Srl in località Pietralba di Arcola; e conferendoli all'interno della cava Valle Secolo sita in Comune di Pomarance, frazione Larderello (PI), dove venivano abbancati per essere poi illecitamente utilizzati per le operazioni di ripristino ambientale della cava stessa;
   tali operazioni avvenivano mediante l'utilizzo dell'impianto e della struttura aziendale della SIRMI Srl, struttura che, di fatto, nel periodo in esame, veniva piegata al conseguimento del fine illecito di smaltire abusivamente i rifiuti conferiti dai produttori (rifiuti che avrebbero dovuto invece essere conferiti ad un gestore ambientale autorizzato al recupero o allo smaltimento degli stessi), nonché dei mezzi di trasporto e degli autisti della Autotrasporti Poggi Giovanni Srl, adibiti sistematicamente al trasporto dei rifiuti dall'impianto SIRMI ai luoghi di illecito smaltimento.

  Nelle articolate imputazioni viene contestata una separata ipotesi di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 agli stessi imputati, all'amministratore della CMT, formalmente incaricata della realizzazione delle opere di riqualificazione agricolo-ambientale, per la realizzazione di un uliveto in località Pietralba di Arcola, ove in realtà veniva realizzata e gestita una discarica abusiva; ai professionisti incaricati di occuparsi dell'aspetto urbanistico-edilizio e dell'aspetto agronomico delle opere e al proprietario dei terreni dove veniva realizzata e gestita la discarica abusiva; la contestazione è di avere adibito a discarica i terreni, dietro lo schermo della realizzazione di un uliveto; in realtà ricevendo, in via continuativa, da numerosi conferitori ingenti quantitativi di rifiuti che abbancavano sui terreni.
  Vengono indicati come rifiuti ricevuti 42.000 metri cubi di fanghi di lavorazione di marmi e graniti e 98.176 metri cubi di rifiuti derivanti da attività di scavo, conferiti da varie aziende edili: con la precisazione che si tratta di «materiale, tutto, non rientrante nella categoria delle terre e rocce da scavo (di cui all'articolo 186 decreto legislativo n. 152 del 2006), in quanto nel cantiere di Pietralba il permesso di costruire no 215/2009 del 11 ottobre 2011 autorizzava l'impiego di soli metri cubi 28.952 di terre e rocce da scavo, di talché tutti i materiali conferiti prima del rilascio del permesso a costruire, nonché tutto il materiale eccedente la quantità autorizzata costituisce rifiuto (codice CER 17 05 04)».
  Ai fini dell'applicazione del decreto legislativo n. 231 del 2001 per la responsabilità amministrativa delle imprese dipendente da reato, i profitti illeciti vengono ricostruiti e contestati nella misura complessiva di oltre 1.979.000 euro.
  La qualificazione del fatto ai sensi dell'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 consente questa contestazione e ha reso possibili intercettazioni telefoniche, i cui esiti sono indicati nella richiesta di rinvio a giudizio come fonti di prova.Pag. 102
  Va però evidenziato che le acquisizioni essenziali a fini investigativi sono derivate dall'integrazione tra mezzi tradizionali di indagine, in particolare dai servizi di appostamento e pedinamento di mezzi di trasporto effettuati dalla polizia giudiziaria, con il supporto del mezzo tecnico dell'uso di apparecchiature GPS.
  Nell'ambito delle proprie attività la Commissione ha anche accertato – allo stato – l'insussistenza di illeciti specificamente qualificabili, ovvero di fenomeni di illegalità, in alcuni casi, riferiti da soggetti auditi o segnalati da componenti la Commissione.
  Si tratta peraltro di vicende che si ritiene utile evidenziare, al fine di mantenere su di esse la necessaria attenzione nella prospettiva di acquisizione eventuale di elementi più precisi o nuovi in futuro.
  Il procuratore della Repubblica di Genova ha riferito di indagini in corso, senza al momento evidenze utili da riferire per quanto riguarda l'area «ex FIT» di Sestri Levante; il procedimento penale che nasce da un esposto di un gruppo di cittadini o una forza politica, è centrato soprattutto sulla presunta nocività del materiale di risulta della distruzione della fabbrica FIT nell'area oggi adibita a parco pubblico; il procuratore ha dichiarato che sono in corso indagini da parte di organi specializzati, tecnici e di polizia giudiziaria.
  Sempre nel territorio di Sestri Levante è stata segnalata la situazione della miniera di Libiola, con la possibile presenza di rifiuti, anche speciali.
  Il comandante del NOE della Liguria ha riferito dell'effettuazione di controlli ai quali ha partecipato anche personale del reparto specializzato: hanno riguardato sia la discarica di Sestri Levante, situata a poche centinaia di metri dalla Libiola, nonché alla colorazione del Rio Gromolo, attribuita, in realtà, al fatto che la miniera di Libiola, dalla quale si estraeva una sostanza a base di rame, provocava la colorazione verdastra delle acque.
  Il procuratore della Repubblica di Genova, sede alla quale a seguito della revisione della geografia giudiziaria è stata accorpata la procura di Chiavari, ha comunicato l'esistenza di un procedimento iscritto nel giugno 2010 nel registro dei fatti non costituenti reato a seguito di una segnalazione inviata da un cittadino in relazione ad un possibile rischio ambientale nel bacino del torrente Gromolo, archiviato; e un procedimento, iscritto nel giugno 2010, per violazione degli articoli 647 del codice penale e 19 della legge n. 979 del 1982 a carico di ignoti, archiviato con provvedimento del giudice per le indagini preliminari di Chiavari in data 5 novembre 2010.
  Non sono state avviate altre indagini in proposito in tempi più recenti.
  L'ipotesi di affondamento di rifiuti tossici nel Golfo della Spezia, collocata nel contesto delle cosiddette «navi dei veleni» – di cui questa Commissione si è occupata nella XVI Legislatura – è stata affrontata in epoca recente a seguito dell'allarme sollevato da organi di informazione.
  Il tema è stato oggetto di diverse indagini giudiziarie, in particolare di una complessa attività investigativa coordinata dalla procura della Repubblica di Reggio Calabria, nella quale svolse un ruolo fondamentale il capitano di fregata Natale De Grazia, deceduto il 13 dicembre 1995 per arresto cardiocircolatorio mentre si stava recando Pag. 103alla Spezia per indagini per conto della predetta procura. Le perizie hanno dimostrato che l'ufficiale aveva ingerito sostanze tossiche.
  La trasmissione televisiva Presa diretta su RAI3 del 10 febbraio 2014 ha riportato all'attenzione del grande pubblico quelle vicende, ipotizzando interramenti di rifiuti in occasione della costruzione di banchine portuali e rilanciando l'allarme per l'affondamento di navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi anche al largo della Spezia.
  Osserva in maniera doverosamente critica il prefetto della Spezia che «la trasmissione ha determinato preoccupazione nell'opinione pubblica, anche perché, non facendo alcun riferimento alle attività svolte nell'ambito delle bonifiche e alle procedure di monitoraggio oggi in vigore, poteva ingenerare l'errata convinzione che gli smaltimenti criminosi e i traffici illeciti siano ancora in atto, nel permanente disinteresse degli enti e delle amministrazioni preposte al controllo».
  Il 13 febbraio 2014 la prefettura ha convocato una riunione per condividere le conoscenze sulla situazione, in particolare sull'attività di monitoraggio in corso, per accertare l'eventuale esistenza di pericoli per la salute pubblica e l'ambiente; alla riunione hanno partecipato il sindaco della Spezia, il comandante della Capitaneria di porto, il direttore dell'ARPAL, il segretario generale dell'Autorità portuale e il rappresentante del Dipartimento ambiente della provincia.
  Come riferisce il prefetto, «gli intervenuti hanno confermato che su tutta l'area, già ricompresa nel perimetro del SIN, permane un controllo sistematico, in particolare sulle acque superficiali di falda sottostanti le discariche, così come sui sedimenti dei fondali marini. Allo stesso modo, costante ed esteso è il controllo sulla radioattività nell'ambito del porto commerciale, dove i rilevamenti non hanno evidenziato pericoli per la pubblica incolumità».
  Le attività di accertamento, svolte in forma coordinata da prefettura, di ARPAL, Reparto ambientale marino del corpo delle capitanerie di porto, Capitaneria di porto della Spezia, Vigili del fuoco della direzione della Liguria e del comando provinciale della Spezia, non hanno evidenziato alcuno scostamento dai valori di fondo della radioattività, né altre anomalie.
  A sua volta il pubblico ministero della procura della Spezia che si è occupato di nuove indagini in materia ha precisato di avere ricevuto esposti rivelatisi generici e privi di supporto indiziario utilmente sviluppabile: «sulla base di [...] fonti giornalistiche, che a loro volta facevano riferimento a fonti spesso anonime o confidenziali, venivano denunciati fatti anche di una certa rilevanza, ad esempio l'affondamento di navi cariche di rifiuti piuttosto che l'interramento all'interno del porto di La Spezia di fusti con scorie radioattive e quant'altro. Ovviamente la procura ha cercato di fare delle indagini, per riuscire a individuare in maniera più concreta chi ha visto cosa, perché, sulla base di affermazioni molto generiche, diventa difficile poter ipotizzare qualsiasi tipo di procedimento penale. Tuttavia, lo sforzo investigativo è stato vano. Anche attraverso la stessa associazione che aveva presentato l'esposto, ci siamo fatti portare quelli che loro ritenevano essere testimoni oculari di questi fatti. In realtà, non c'erano testimoni ed era tutto un sentito dire». La procura della Repubblica ha dunque chiesto l'archiviazione.

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5. La specificità delle grandi aree portuali.

5.1 Considerazioni generali.

  La posizione della Liguria, che ha alle spalle la regione padano-alpina, le grandi città e le realtà produttive del Nord, la presenza di due dei porti più grandi d'Italia – Genova e La Spezia – e di un terzo porto commerciale, Savona-Vado, ne fa un territorio particolarmente sensibile ai traffici internazionali di natura illecita, che in materia di rifiuti assumono modalità specifiche.
  Questi i dati di fonte Assoporti per l'anno 2013

  Genova e La Spezia nel 2013 hanno movimentato oltre 64 milioni di tonnellate di merci e circa 3.300.000 container; i dati del 2014 mostrano un aumento delle dimensioni dei traffici commerciali.
  Questi i dati di fonte Assoporti per l'anno 2014

  Per quanto riguarda Genova, i dati forniti in audizione dal comandante della Capitaneria di porto lo confermano come il porto più grande d'Italia in termini sia di traffici che di ampiezza: vi arrivano circa 6.000 navi all'anno, oltre due milioni centomila sono i container movimentati nel 2014, il totale del traffico delle merci è Pag. 105stato pari a quasi cinquantuno milioni di tonnellate, il totale del movimento di passeggeri a oltre 2.740.000.
  Il porto di Genova è dunque il maggiore porto industriale e commerciale italiano e uno fra i più attivi di tutta Europa.
  Si sviluppa, partendo da Levante verso Ponente, dal bacino delle Grazie (l'area ove sorgono i cantieri e le officine delle riparazioni navali), fino ai moderni terminal per la movimentazione delle merci varie poco distanti dalla Lanterna, antistante la zona di Sampierdarena.
  Lo scalo – che ha il suo naturale completamento verso Ponente con il porto petroli di Multedo, vicino a Pegli, e con il terminal container di Prà-Voltri – comprende al suo interno, lungo i circa sei chilometri di strada soprelevata che definiscono anche visivamente il waterfront, l'area del rinnovato Porto Antico, destinato prioritariamente al traffico dei passeggeri (crocieristico e di linea); nel tratto di costa compreso tra Cornigliano e Sestri Ponente alcuni moli sono riservati al cantieri di costruzioni di nuove navi da parte di Fincantieri.
  Lo scalo genovese occupa circa cinquecento ettari di superficie a terra e altrettanti sullo specchio acqueo. Le opere marittime su cui si basa si estendono per quarantasette chilometri di lunghezza, di cui trenta chilometri per i soli pontili operativi; la profondità dei fondali varia dai nove ai quindici metri.
  Per quanto riguarda La Spezia, l'audizione del comandante della Capitaneria di porto ha dato conto della particolare situazione geografica e logistica, tale per cui quel porto, grazie a una posizione strategica, è divenuto uno dei più importanti del Mediterraneo ed è il secondo porto container in Italia per l'accesso diretto ai mercati di produzione e consumo del Nord Italia, con collegamenti settimanali verso tutti i continenti. Esso si sviluppa all'interno dell'omonimo golfo, protetto da una diga foranea di 2.200 metri circa.
  I dati infrastrutturali del porto più significativi riguardano: circa 5 chilometri di banchine, oltre mezzo milione di metri quadrati di aree operative disponibili, uno sviluppo viario di circa 3,5 chilometri e un tracciato ferroviario di 17 chilometri.
  Nel 2014 sono stati movimentati 7.000 treni in arrivo e in partenza, con un incremento del 10 per cento rispetto al 2013. I container movimentati per ferrovia sono stati il 35 per cento, un dato che non ha eguali in Italia.
  Nel porto della Spezia coesistono cantieri navali, approdi turistici, impianti di pesca, traffico passeggeri, zone militari e terminal portuali, più precisamente due terminal container. Il primo è il «La Spezia container terminal» (LSCT) del gruppo Contship Italia, tra i terminal container più importanti e all'avanguardia d'Europa, che riceve navi full container da oltre 15.000 teu.
  Il secondo è il Terminal del golfo del gruppo Tarros, che riceve navi di piccole e medie dimensioni, provenienti per lo più da porti del Mediterraneo. C’è il terminal ENEL, che riceve il carbone fossile per l'alimentazione della locale centrale termoelettrica e, più di rado, olio combustibile denso per il deposito di stoccaggio costiero.
  Ci sono due terminal petroliferi: Arcola Petrolifera, che riceve prodotti petroliferi stoccati nello stabilimento di Arcola, nell'entroterra; Pag. 106e il POL NATO, che rifornisce la rete nazionale militare del combustibile per aeromobili.
  Ci sono poi un terminal deposito costiero per gas metano (GNL), l'unico onshore attualmente esistente in Italia, e un terminal multipurpose per general cargo, rinfuse, container, con navi di piccolo o medio tonnellaggio, e più recentemente anche per passeggeri, traffico quest'ultimo che sta avendo un importante sviluppo: nell'anno 2014 i passeggeri sono saliti a oltre 425.000, con 186 scali di diverse compagnie di navigazione. Le proiezioni indicano che il traffico passeggeri potrà superare i 500.000 passeggeri annui.
  La specificità portuale riguarda sia alcuni aspetti del ciclo dei rifiuti, sia l'emergente questione del traffico transfrontaliero di rifiuti.
  Nell'ordinario i rifiuti portuali possono essere individuati in tre categorie: rifiuti prodotti dalle navi, che vengono conferiti a impianti portuali, i rifiuti prodotti in porto dalle attività cantieristiche e di riparazione navale (particolarmente importante perché c’è una cantieristica significativa nel porto di Genova) e i rifiuti movimentati.
  Per quanto riguarda i reflui delle navi, nonché per la specificità di food waste, sludge e bildge water, rifiuti delle cucine, acque di sentina e fanghi vi sono raccolte e soggetti autorizzati in relazione ai quali dalla documentazione acquisita e dalle informazioni fornite dalle autorità di controllo in sede di audizione non emergono criticità a situazioni illecite.
  In forza dell'articolo 265, secondo comma, decreto legislativo n. 152 del 2006 «in attesa delle specifiche norme regolamentari e tecniche in materia di trasporto dei rifiuti, di cui all'articolo 195, comma 2, lettera l), e fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182 in materia di rifiuti prodotti dalle navi e residui di carico, i rifiuti sono assimilati alle merci per quanto concerne il regime normativo in materia di trasporti via mare e la disciplina delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio in aree portuali. In particolare i rifiuti pericolosi sono assimilati alle merci pericolose».
  Non esistono dunque norme di tutela ambientale che disciplinino specificamente il trasporto di rifiuti via mare: essi vengono quindi assimilati alle merci per quanto concerne il regime normativo in materia di trasporto via mare. Un rifiuto pericoloso è assimilato al trasporto di merce pericolosa: dal punto di vista documentale questo rappresenta un limite agli accertamenti che specificamente si possono indirizzare su questo tipo di trasporti; situazione che – come si dirà oltre – la collaborazione tra Capitaneria di porto e Agenzia delle dogane tende a superare.
  Nel porto di Genova, sul totale di 1.988.013 contenitori movimentati nel 2013, sono stati dichiarati come merci pericolose 36.840 contenitori (come import poco meno di 16.000 e come export poco meno di 21.000), quindi nell'ordine dell'1,85 per cento; di essi i contenitori dichiarati come contenenti rifiuti sono stati 88, pari allo 0,23 per cento sono stati dichiarati come merci pericolose 37.048 contenitori, pari all'1,71 per cento, di essi 95 dichiaratamente contenenti rifiuti, pari allo 0,38 per cento delle merci pericolose.
  A questa identificazione formale come rifiuti non corrisponde la reale entità del traffico di rifiuti, sul quale sono intervenuti gli Pag. 107accertamenti e le indagini che rivelano il cennato emergente fenomeno del traffico transfrontaliero via mare.
  Le autorità che forniscono la prima attività di contrasto a questo tipo di illeciti in ambito portuale sono la Capitaneria di porto e l'Agenzia delle dogane; gli operatori di queste autorità agiscono sia in ambito amministrativo, sia come ufficiali e agenti di polizia giudiziaria.
  Nella realtà ligure la collaborazione tra queste autorità e le polizie giudiziarie a competenza generale, nonché le procure della Repubblica è effettiva ed efficace e si basa in primo luogo, per i first responders in area portuale e doganale (Capitaneria di porto e Agenzia delle dogane) sullo scambio di dati.
  Il trasporto di rifiuti che si effettua tra più Stati all'interno dell'Unione europea, sia in entrata che in uscita, trova disciplina nel regolamento CE n. 1013/2006 e nella decisione C(2001) 107/Def. dell'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), come emendata, sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti destinati ad operazioni di recupero.
  Il regolamento CE n. 1013/2006 è stato adottato con il fine di allineare i sistemi nazionali con il regime comunitario e per conformare la normativa europea al disposto della Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989, redatta al fine di prevedere un sistema di controllo sulle spedizioni transfrontaliere di rifiuti – e del successivo loro smaltimento – nonché per tutelare la salute umana e prevenire l'inquinamento dell'ambiente. Il regolamento detta procedure e direttive per il controllo delle spedizioni dei rifiuti in relazione all'origine, alla destinazione, alla tipologia dei rifiuti spediti ed alle modalità di trattamento che i rifiuti ricevono nel paese di destinazione. Nello specifico, l'articolo 34 del regolamento 1013/2006 vieta espressamente l'esportazione dall'Unione europea di rifiuti destinati allo smaltimento – ad eccezione delle spedizioni per smaltimento di rifiuti verso paesi EFTA contraenti della Convenzione di Basilea – mentre consente, a certe condizioni, la spedizione di rifiuti destinati al riciclo anche verso paesi non appartenenti all'OCSE.
  Tali condizioni, vengono esplicitate nel regolamento CE 1418/2007, come modificato, con cui il legislatore comunitario ha disciplinato l'esportazione di alcuni rifiuti, destinati al recupero, verso determinati paesi ai quali non si applica la decisione C(2001) 107/Def. dell'OCSE.
  In tal senso, qualora il paese di destinazione (non OCSE) non vieti l'ingresso di tali rifiuti sul proprio territorio e, contestualmente, non richieda l'applicazione di particolari procedure di notifica preventiva, la spedizione di rifiuti finalizzata al recupero può effettuarsi a condizione che lo speditore, tra l'altro, sottoscriva con il destinatario un contratto, previsto dall'articolo 18 del regolamento CE 1013/2006, da cui si evinca l'obbligo di riprendere i rifiuti in caso la spedizione non possa essere completata ovvero sia stata effettuata in maniera illegale.
  Per quanto riguarda la concreta operatività in materia dell'Agenzia delle dogane, una volta entrata la merce negli spazi doganali, si procede a un'analisi dei rischi, sia a livello locale sia centralizzata.Pag. 108
  Dal circuito doganale di controllo scaturiscono diversi canali: un canale si ferma soltanto al controllo automatizzato; un secondo canale è di tipo documentale; un terzo canale è un controllo scanner, attraverso apparecchiature radiogene; l'ultimo canale, che è quello più incisivo, è la verifica fisica della merce.
  All'iniziativa dei funzionari di dogana si possono associare segnalazioni da parte di altri enti, ma rimane ferma la competenza della dogana è deputata al controllo delle merci negli spazi doganali, eventualmente con la presenza di funzionari dell'organo segnalante.
  Qualora risultino anomalie all'atto della verifica, la dogana, richiede l'intervento dell'ARPAL, per provvedere a una verifica congiunta.
  All'ARPAL è richiesta una relazione sulla tipologia di merce ovvero sulla tipologia di rifiuto. Qualora si tratti di una spedizione illecita di rifiuti, la dogana trasmette la relativa notizia di reato, depositando la relazione tecnica dell'ARPAL.
  Un rapporto istituzionale di collaborazione è quello tra Agenzia delle dogane e Guardia di finanza. In forza della previsione degli articoli 21 e 63 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, il II gruppo della Guardia di finanza di Genova svolge, nell'ambito del porto di Genova, una costante attività di «analisi dei rischi» e successivi controlli fisici dei containers selezionati, in collaborazione con gli Uffici delle dogane di Genova 1 e Genova 2, finalizzati a monitorare i trasporti in arrivo e/o in partenza, connotati da più elevati indici di pericolosità. Tra i settori d'interesse rientra anche quello rappresentato dagli illeciti traffici internazionali di rifiuti.
  Per quanto attiene gli aspetti di specifica competenza dell'autorità marittima, il decreto ministeriale 31 ottobre 1991, n. 459, che reca norme sul trasporto marittimo dei rifiuti in colli, prevede l'obbligo in capo al soggetto che richiede l'autorizzazione all'imbarco di rifiuti di presentare specifica istanza, corredata di opportuna documentazione (classificazione di non pericolosità dei rifiuti sottoscritta da un chimico iscritto all'albo professionale). Nel caso in cui emergesse la pericolosità dei rifiuti per cui è chiesto l'imbarco, la normativa di riferimento si rinviene nel decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2005, n. 134 e nel decreto dirigenziale 7 aprile 2014 n. 303.
  La volontà del legislatore di attribuire un ruolo specifico al Corpo delle capitanerie di porto in materia di salvaguardia dell'ambiente marino si rinviene nella legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell'ambiente, che all'articolo 8, quarto comma, prevede che il Ministero si avvalga delle capitanerie di porto per la vigilanza, la prevenzione e la repressione di attività svolte a danno dell'ambiente. La legge 28 gennaio 1994, n. 94, in materia di riordino della legislazione portuale, ha confermato all'articolo 3 il rapporto di collaborazione tra il Ministero dell'ambiente e il comando generale del Corpo delle capitanerie costituito con detta legge. Gli articoli 135 e 195 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 assegnano al Corpo funzioni di sorveglianza e accertamento degli illeciti nella gestione degli scarichi idrici e dei rifiuti. Altre norme specifiche prevedono compiti in materia ambientale per le capitanerie di porto: l'articolo 19, settimo comma, della legge n. 394 del 1991 attribuisce alle Pag. 109capitanerie di porto la sorveglianza nelle aree marine protette; l'articolo 7 della legge n. 239 del 1998 ribadisce che per la sorveglianza delle aree marine protette e per le attività di cui agli articoli 11 e 12 della legge n. 979 del 1982 le capitanerie di porto operano sulla base di direttive del Ministero dell'ambiente; il decreto legislativo 182 del 2003 (di attuazione della direttiva 2000/59/CE) attribuisce alle capitanerie di porto il potere di ispezione e polizia in materia di raccolta dei rifiuti delle navi e dei residui del carico, allo scopo di prevenirne l'immissione in mare; l'articolo 12 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202 (di attuazione della direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni) attribuisce al Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera i controlli e l'accertamento delle violazioni in materia; analogo potere è attribuito dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 205 (di attuazione della direttiva 2005/33/CE che modifica la direttiva 1999/32/CE in relazione al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo).
  Ad attestare, al di là del dato formale, l'impegno ambientale di questa struttura sta la registrazione EMAS (Eco-Management and Audit Scheme) della Capitaneria di porto – Guardia costiera di Genova, rinnovata dalla sezione EMAS Italia del comitato per l'Ecolabel e l'Ecoaudit sino al marzo 2017.
  Per quanto riguarda il controllo del traffico dei rifiuti via mare, l'autorità marittima autorizza l'imbarco, il trasporto e lo sbarco di tutti i rifiuti che viaggiano via mare; ciò in relazione alla sicurezza della navigazione ed alla protezione dell'ambiente marino. Il provvedimento autorizzativo tiene conto di tutti gli aspetti tecnico-normativi, tra cui le prescritte certificazioni della nave e in particolare l'idoneità al trasporto di merci pericolose allorché i rifiuti siano classificati come tali dalle disposizioni internazionali in materia.
  Nella concreta situazione dei porti liguri, gli elementi raccolti dalla Commissione hanno evidenziato le dimensioni – rilevanti e in crescita – del fenomeno del traffico transfrontaliero di rifiuti, quale emerge dalle attività di contrasto.
  Un vero e proprio fenomeno di dumping ambientale, a opera di soggetti stranieri spesso con la correità di intermediari italiani porta a eludere le norme italiane sui rifiuti organizzandone – sia da parte di realtà criminali strutturate, sia da parte di singoli operatori economici di piccola dimensione o addirittura privati – il trasferimento all'estero, verso soggetti i quali, ricevuto il rifiuto in Paesi caratterizzati da disciplina più permissiva o privi di capacità di controllo in materia di tutela ambientale, sono la sede utile dove svolgere attività di estrazione di utilità residua dal rifiuto mediante trattamenti altamente inquinanti e/o con l'esito finale dell'abbandono incontrollato.
  Ma l'impatto negativo di questo fenomeno si estende al circuito economico nazionale, al quale viene sottratta l'utilità di grandi quantità di materie che sarebbero destinabile al riciclo.
  L'attività dell'ufficio delle dogane di Genova, nell'ambito delle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, è incentrata in massima parte sul traffico transfrontaliero soprattutto in partenza verso destinazioni estere.Pag. 110
  L'attività svolta nel corso dell'anno 2014 è stata caratterizzata, rispetto ai periodi precedenti e in particolare rispetto all'anno 2013, da un deciso aumento del numero di contenitori in esportazione aventi al loro interno rifiuti non dichiarati e conseguentemente non accompagnati dalla necessaria documentazione prevista dal regolamento CE 1013/2006 e in violazione delle norme di cui al Reg. CE 1418/2007 e al decreto legislativo n. 152 del 2006.
  I rifiuti rinvenuti a seguito dei controlli operati dall'Ufficio delle dogane di Genova, erano destinati in massima parte a Paesi dell'Africa quali Nigeria, Ghana, Senegal, Benin, Egitto, Camerun, Burkina Faso, Tunisia, Togo o all'Oriente e in particolare a Repubblica popolare cinese e India.
  Sono stati sottoposti a fermo nel 2014 oltre 420.000 chilogrammi di cascami di plastica, oltre 270.000 di cascami di gomma ed oltre 220.000 chilogrammi di altri rifiuti quali: parti di auto/moto/camion, batterie e compressori per autoveicoli, bombole a gas, RAEE, pneumatici fuori uso, indumenti, per un totale di oltre 900.000 chilogrammi, rispetto ad un ammontare di circa 340.000 chilogrammi nel 2013.
  Si tratta per la maggior parte di rifiuti non pericolosi che però non sono stati trattati o sono stati irregolarmente trattati dal punto di vista ambientale.
  Va detto che, tranne in casi particolari (quali i rifiuti solidi urbani), non esiste una voce doganale specifica per i rifiuti che consenta una individuazione delle spedizioni. Di conseguenza, l'attività dell'Ufficio si è incentrata sui cascami e avanzi, nonché sulle masserizie personali (la merce come da ultimo dichiarata conteneva spesso rottami di autoveicoli, batterie e compressori per autoveicoli, bombole a gas, RAEE ecc.).
  Per quanto attiene alle esportazioni di rifiuti verso la Repubblica popolare cinese al momento del controllo vengono richieste le licenze obbligatorie imposte dalle autorità cinesi, ovvero la licenza AQSIQ e la licenza SEPA, nonché il certificato CCIC, come da interlocuzione delle stesse autorità con la Commissione Europea in applicazione del disposto di cui all'articolo 37 del regolamento CE 1013/2006.
  L'ufficio delle dogane di Genova – come gli altri uffici della regione – in materia di contrasto al traffico di rifiuti collabora costantemente con l'ARPAL nonché con il NOE dei carabinieri, il Corpo forestale dello Stato, la Guardia di finanza, la Capitaneria di porto.
  Va sottolineato come l'efficacia dell'attività di contrasto in questo settore discenda anche da queste forme di collaborazione, venutesi spontaneamente a creare in un contesto specifico quale quello portuale, le quali producono una prima risposta di qualità, in termini di materiale intervento sul traffico illecito ma anche di efficacia nella redazione degli atti di indagine, a partire dalla notizia di reato.
  Le comunicazioni di notizie di reato che vengono presentate presso la procura della Repubblica comprendono anche le segnalazioni sulla responsabilità amministrativa per illeciti dipendenti da reato a carico delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001.Pag. 111
  Una situazione particolare è stata resa nota dal procuratore della Repubblica di Genova: «in passato, in tali casi, il sequestro preventivo sistematico dei container e delle merci in essi contenute, operato di iniziativa dalle stesse autorità doganali, comportava quasi sempre ingenti costi per la gestione (trasporto, custodia, ed eventuale caratterizzazione e smaltimento) di tali merci; costi che, anticipati dall'erario restavano sovente a carico dello stesso per la difficoltà o impossibilità di recuperarli dagli autori dei reati, quasi sempre irreperibili o residenti all'estero».
  Al fine di contenere le spese di custodia giudiziale e gli effetti logistici negativi a seguito di sequestro di crescenti quantitativi di rifiuti, è stato concordato tra procura della Repubblica di Genova e Agenzia delle dogane un disciplinare di servizio in materia di esportazione illecita di tale merce, divenuto linea guida per le polizie giudiziarie il 22 novembre 2013.
  È stato concordato di non procedere al sequestro dei rifiuti, né ai sensi dell'articolo 321 codice di procedura penale (quale sequestro preventivo), né ai sensi dell'articolo 354 codice di procedura penale (quale sequestro probatorio), comunicando al dichiarante doganale della merce la non conformità alla normativa di settore, la definitiva non svincolabilità della stessa e l'invito a provvedere alla ripresa, al recupero ovvero allo smaltimento dei rifiuti ai sensi dell'articolo 24 del regolamento CE 1013/2006.
  Come ha osservato il direttore reggente dell'Agenzia delle dogane, sono anche responsabilizzati il terminalista/depositario della merce, nonché il vettore (agenzia di navigazione) nel caso di mancato ritiro dei rifiuti da parte dello speditore, con ciò determinando un'assunzione di responsabilità da parte della filiera economica che si è occupata della spedizione.
  Questa prassi formalizzata comporta in ogni caso l'effettuazione di completi rilievi fotografici a fini probatori penali, nonché l'eventuale effettuazione di valutazioni da parte di organi tecnici, restando esclusi da tali modalità operative tutti quei casi in cui i rifiuti si rivelino, all'atto dell'accertamento, particolarmente pericolosi (radioattivi, esplodenti, ecc.) ovvero la loro natura richieda l'intervento di organi specializzati, quali i vigili del fuoco, l'ENEA, ecc., procedendosi in tali casi a sequestro preventivo.
  Il procuratore della Repubblica di Genova ritiene positiva la sperimentazione di questo disciplinare: «i risultati fin qui raggiunti, anche in termini di contenimento (o almeno di non allargamento ulteriore) di questi illeciti, sembrano molto positivi. In particolare, con l'adozione di tale disciplinare ora [è] cura degli uffici doganali – che di regola non effettuano alcun sequestro – sia nel caso in cui la violazione derivi da falsità documentali, sia nel caso in cui si riscontri una falsa dichiarazione di specie (ad esempio, prodotti dichiarati beni o materie prime secondarie e invece riconosciuti come rifiuti in sede di verifica), segnalare alla procura, unitamente alla comunicazione di notizia di reato, l'attuazione del disciplinare con la localizzazione dei carichi all'interno di recinti o depositi e con l'individuazione del terminalista o del magazziniere portuale detentore degli stessi. Con la medesima comunicazione viene segnalato che il terminalista o il magazziniere portuale, pur non coinvolto direttamente nelle attività Pag. 112illecite, in qualità di detentore ha assunto gli oneri e le responsabilità di cui all'articolo 188 del decreto legislativo n. 152 del 2006, salvo naturalmente il suo eventuale diritto di rivalsa nei confronti dei soggetti interessati».
  Analogo disciplinare è stato concordato, come si dirà oltre, anche alla Spezia.
  Un altro rilevante terreno di risposta all'incremento del traffico transfrontaliero di rifiuti, è quello della attività preventiva di intelligence da parte dell'Agenzia delle dogane.
  Il direttore interregionale dell'Agenzia delle dogane di Liguria, Piemonte e Valle d'Aosta ha esteso l'ambito di esame delle attività illecite a quanto accade al di fuori delle aree portuali e della regione Liguria, sia in ambito nazionale che internazionale, indicandolo come programma di azione: «rafforzare l'attività di intelligence in collaborazione con il Servizio centrale, quindi migliorare l'attività informativa, cercare di capire quello che sta succedendo, periodicamente ritornare sui confini comunitari per valutare il flusso di merci via Monte Bianco, via Brennero, via Ventimiglia, quindi tornare seppure a spot sui confini comunitari per capire le dinamiche in quelle zone. Per quanto riguarda la linea di comunicazione con la Cina, esistendo un accordo di collaborazione con i due porti principali a livello regionale, Tianjin e Ningbo, promuovere ulteriormente la collaborazione con la Cina».
  La rilevanza della materia induce a una rivalutazione delle risorse a disposizione delle attività di contrasto, questione emersa durante l'audizione del procuratore della Repubblica di Genova: «la quantità di questi procedimenti è andata crescendo e si passa dal singolo caso dello straniero che magari spedisce a se stesso ma all'estero un certo tipo di merce (batterie esauste, pezzi di auto e moto, copertoni, materie plastiche), lo spedisce a se stesso evidentemente non essendo dall'altra parte, perché parliamo normalmente di Paesi africani od orientali come destinazione dei carichi, a un traffico più organizzato.
  La frequenza di questi accertamenti, oltre che porre una serie di problemi pratici che si è cercato di affrontare con questo disciplinare, ha fatto sorgere un interesse per questo fenomeno che viene scoperto del tutto occasionalmente e che, pur trattandosi di una scoperta occasionale, comincia ad avere una quantità di casi significativi.
  Lascia quindi perplessi il fatto che, se veramente si potesse fare un controllo sistematico sulle merci in entrata e in uscita, le cifre sarebbero ben altre.
  Più in generale, per quanto riguarda tutta la movimentazione soprattutto portuale e soprattutto del porto di Genova, oggi c’è la pratica impossibilità di controllare qualunque tipo di merce in entrata e in uscita, tanto che ci sono stati problemi per merci inquinate o con la presenza di sorgenti radiogene in entrata, così come vi è la certezza di aver intercettato carichi di altre sostanze in uscita, sempre come piccola spia, anche a livello non di spedizioni organizzate, ma banalmente di autovetture, di mezzi che entrano ed escono con i traghetti che fanno la spola tra Genova e i Paesi dell'Africa o del Medio Oriente.
  Questo è un problema che la procura della Repubblica ha già posto all'attenzione degli organi di sicurezza e che dovrebbe vedere Pag. 113prossimamente un tavolo di scambio per ottimizzare i controlli e quindi cercare di avere maggiore visibilità di quello che entra ed esce da un porto grosso».
  La gestione illecita dei rifiuti deve considerarsi associata, in più forme di manifestazione, anche a reati contro il patrimonio: l'impossibilità di controlli sistematici rende del tutto occasionale la scoperta di attività organizzate in questo senso: è stato segnalato, nel gennaio 2014 il sequestro da parte di Guardia di finanza e Agenzia delle dogane, nel porto della Spezia, di cinque tonnellate di motori non bonificati e sette motori provento di furto, destinati alla Libia (l'esportatore-ricettatore provvedeva a smontare in varie parti le auto rubate spedendole via mare fuori del territorio nazionale).
  Altra questione emergente, parimenti evidenziata dal procuratore della Repubblica di Genova, è quella della gestione delle risorse e della ripartizione delle competenze nelle aree portuali, che le cennate forme di collaborazione tra diversi soggetti cercano di compensare:
  «Per quanto concerne il problema della collaborazione tra autorità doganali e di polizia, si accennava alla richiesta rivolta alle varie autorità di un tavolo di confronto per ottimizzare questi interventi non solo tra l'autorità doganale e la Guardia di finanza, che già collaborano continuativamente, ma anche con altre forze presenti nell'area portuale.
  La realtà portuale è una delle più complesse in assoluto non solo per quello che accade, ma anche per come è regolamentata, per il guazzabuglio di competenze di vari organi che si sono stratificate nel tempo, alle quali mai nessuno ha messo mano, che continuano a determinare una serie di aggiustamenti di fatto, in presenza di norme che non attribuiscono chiaramente un potere a qualcuno, ma che trovano poi momenti che dovrebbero essere di collaborazione e coordinamento, ma che alla fine non hanno potere reale».

  Incidentalmente, ad attestare la complessità del contesto portuale e la possibilità di condotte illecite diffuse e scarsamente controllabili, possono richiamarsi l'informazione pervenuta dal Corpo forestale dello Stato circa indagini sulla gestione di rifiuti speciali non pericolosi, in particolare macerie di demolizioni, terre e rocce da scavo, introdotti illegalmente all'interno dell'area portuale di Genova per essere tombati nel corso dei lavori di realizzazione delle banchine portuali: pur non trattandosi di rifiuti da considerare speciali oppure rivelatisi tossici per tracce di elementi nocivi, tuttavia la loro commercializzazione è avvenuta in violazione delle leggi che disciplinano la materia; e l'informazione proveniente dalla Capitaneria di porto, circa il fenomeno dell'abbandono di autoveicoli negli ambiti portuali, spesso in pessimo stato di conservazione, ormai inidonei alla circolazione, talvolta privi di caratteri distintivi e pertanto classificabili giuridicamente quali rifiuti: nel solo 2014 si è dovuto provvedere alla rimozione di ben 178 veicoli.
  Il procuratore della Repubblica di Genova ha opportunamente sottolineato il secondo aspetto cruciale, insieme a quello organizzativo: «su questo è fondamentale insistere, anche perché in materia di controllo delle merci in genere c’è bisogno anche di supporti Pag. 114tecnologici. Il porto di Genova, infatti, a differenza di altri grandi porti europei, ha ad esempio una scarsissima dotazione di portali, quindi da questo punto di vista è auspicabile si facciano passi avanti. Oggi, a quanto riferiscono le forze di polizia, dovrebbero essere sufficientemente controllati i soggetti che transitano nel porto, non così le merci.
  L'esportazione di pezzi di auto, di motociclette rubate prevalentemente in Francia attraverso il porto di Genova e verso l'Africa è quotidiana, ma non si possono esaminare questi veicoli uno per uno, perché si bloccherebbe tutta l'attività, non partirebbe più una nave con le forze attuali ! Su questo qualche passo avanti si potrebbe fare».
  Attualmente, come detto, lo strumento di contrasto avanzato è costituito dall'attività di intelligence dell'Agenzia delle dogane, integrata dalla collaborazione sul campo con la Guardia di finanza e la Capitaneria di porto.
  La considerazione semplice, per la quale vale il richiamo alle considerazioni del procuratore della Repubblica di Genova, più sopra riportate, è che non è possibile ricercare rifiuti in ogni container sulla base di un controllo totale.
  Diventa decisivo poter raffinare la selezione preventiva dei controlli. Il che avviene mediante tecniche di analisi di rischio sviluppate e attuate in sede centrale.
  Con lo «sdoganamento a mare», in particolare, l'Agenzia delle dogane processa le informazioni con largo anticipo rispetto all'ingresso in porto; e per quanto riguarda l'aspetto – più sensibile nel traffico transfrontaliero – dell'esportazione illecita, il reperimento anticipato e in confronto tra informazioni sui soggetti, il tipo di dichiarazione, le destinazioni, consente di scegliere e cadenzare meglio l'attività di controllo.
  L'analisi di rischio è tanto più rapida e precisa (con una conseguente più elevata percentuale di controlli eseguiti e che portano a risultati positivi) quanto più aumentano le informazioni immesse e che vengono processate.
  Secondo la valutazione del comandante regionale della Guardia di finanza l'affinamento di questo sistema consente di ottenere i migliori risultati in equilibrio necessario tra fluiti dei traffici (leciti) e contrasto alle attività illecite: «introdurre ulteriori obblighi di bolle di accompagnamento o documenti che possano tracciare in modo particolare non dà certezze, sembra un ulteriore aggravio piuttosto che una soluzione al problema. In realtà, non si tratta di controllare i rifiuti che seguono i percorsi così come destinati, ma quelli raccolti dall'extracomunitario o dal nullafacente nella provincia di Modena o di Bergamo, che va in giro con il motocarro, raccoglie lo sgombero cantine, dopodiché porta il tutto in un capannone o in un magazzino, da cui un camion carica, porta in un altro posto, dove è inserito in un container, che viene chiuso e segue il suo percorso. Lì è tutto fuori dal ciclo del controllo. Possono essere previsti degli obblighi per le imprese che operano lo smaltimento. Il controllo «di produzione» su quanto è entrato, quanto è stato scartato, prodotto, bruciato, può essere fatto, ma parliamo di imprese che si sono poste sul mercato in maniera regolare, si sono registrate, hanno adottato e rispettato tutti gli obblighi previsti dalle diverse normative».Pag. 115
  L'attenzione si sposta dunque sull'intera «filiera impropria» di gestione dei rifiuti, di cui l'area portuale è il terminale nel territorio nazionale.
  Le modalità operative in atto nel porto di Genova sono praticate anche nel porto della Spezia, le cui dimensioni e volumi di traffici sono, come si è visto, di assoluta rilevanza.
  Anche in quel contesto c’è un clima istituzionale favorevole, di fattiva collaborazione tra Agenzia delle dogane, Guardia di finanza, Carabinieri, Corpo forestale e Capitaneria di porto; ed esiste un protocollo d'intesa con la locale procura della Repubblica, a fini di standardizzazione ed efficace trattazione delle notizie di reato; analoga a quella segnalata per Genova è anche la gestione dei sequestri nei casi di illecita esportazione di rifiuti.
  Il direttore dell'Agenzia delle dogane della Spezia ha descritto le modalità operative sia per il caso di importazione che per il caso di esportazione: «per quanto riguarda le procedure di imbarco dei rifiuti sulle navi che approdano al porto di La Spezia, sono stati sensibilizzati tutti gli operatori della filiera, affinché vengano rispettate le previsioni di legge, soprattutto in base ai passaggi delle procedure di imbarco, che hanno inizio dall'accesso negli spazi portuali, attraverso una richiesta preventiva al comandante della Capitaneria, ovvero al capo del compartimento marittimo in cui è ubicato il porto d'imbarco. Una volta accertati i documenti e la regolarità della spedizione e una volta preso atto della dichiarazione del chimico, che è obbligato a certificare e a testare l'analisi dei rifiuti e le caratteristiche chimico-fisiche, avviene l'autorizzazione all'ingresso da parte del comandante della Capitaneria. I rifiuti possono entrare esclusivamente se hanno questa autorizzazione [...] Nel caso invece in cui si parli di sbarco da una nave di questi rifiuti, deve essere prestata analoga richiesta al comandante della Capitaneria ancor prima che le merci arrivino in porto e possano essere sbarcate. Dopo il nullaosta allo sbarco, possono iniziare le vere e proprie operazioni doganali».
  Dall'audizione del comandante della Capitaneria di porto La Spezia si è appreso che nel 2014 è stato autorizzato l'imbarco di 360 container ufficialmente contenenti rifiuti. Sempre nel 2014 è stato dato il nullaosta allo sbarco di 6.200 tonnellate di materiale ferroso, diretto verso il riutilizzo in acciaierie del Nord Italia. Per quanto riguarda l’export, la destinazione principale risulta la Repubblica popolare cinese.
  Contribuisce alla qualità della prevenzione degli illeciti il fatto che i porti di Genova e della Spezia siano inseriti nel progetto Megaports, frutto di collaborazione italo-statunitense, che prevede livelli elevati di controllo di merci in arrivo nel territorio comunitario e in partenza verso gli Stati Uniti d'America.
  Alla Spezia i doganali lavorano insieme ai colleghi statunitensi, con un monitoraggio che comprende anche Genova e Livorno, porti rispetto ai quali La Spezia è baricentrico (oltre ad avere il maggior interscambio con gli Stati Uniti).
  Rientra nella specificità delle grandi aree portuali liguri l'attenzione posta alla presenza di sorgenti di radioattività.
  L'ARPAL ha segnalato i numerosi controlli radiometrici effettuati nei porti di Genova, La Spezia e Savona.Pag. 116
  Il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230 (attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 2006/117/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti, 2009/71/Euratom in materia di sicurezza nucleare degli impianti nucleari e 2011/70/Euratom in materia di gestione sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi derivanti da attività civili) quanto alla ricerca e la prevenzione dell'introduzione o dell'esportazione di sorgenti orfane o comunque di materiale radioattivo, prevede l'intervento dell’«esperto qualificato in radiazioni ionizzanti» su ogni partita di materiale ferroso per il rilievo della presenza di radioattività.
  Se si hanno indicazioni di superamento della soglia, interviene un'attività di polizia giudiziaria, e vengono svolte verifiche di concerto tra Capitaneria di porto, Agenzia delle dogane e ARPAL sul reale contenuto delle spedizioni.
  Il direttore dell'Agenzia delle dogane ha riferito l'acquisizione di notizia di soli due casi nel 2014: si tratta di fatti episodici sui quali tuttavia è stato elevato il livello di attenzione e vengono sviluppati accertamenti.
  Il primo riguardava una sorgente di cobalto 60, individuata a Genova in un container che era stato dichiarato trasportare rottami metallici; ulteriori accertamenti sono stati svolti in coordinamento con gli esperti del Ministero dell'energia statunitense, nell'ambito del già citato rapporto «Megaports». Il tracciamento della spedizione faceva pensare che la sostanza fosse stata inserita nell'area dei Paesi arabi. Il secondo caso riguarda una segnalazione che l'Agenzia delle dogane ha acquisito nell'ambito del dispositivo Eurosur, un regolamento che è entrato in vigore il 2 dicembre 2013 e che ha messo in relazione le forze di polizia dei Paesi dell'Unione europea e le amministrazioni doganali, sul quale il Ministero dell'interno sta coordinando le attività di raccolta informazioni.
  In base all'accordo, Megaports, è stata fornita agli operatori dell'Agenzia delle dogane una strumentazione e una formazione utile a verificare l'eventuale presenza nei container di sorgenti orfane radioattive.
  Il comandante della Capitaneria di porto della Spezia ha riferito che nel 2012 è stato realizzato un controllo relativo alle importazioni di contenitori che trasportavano al loro interno rottami non ferrosi di provenienza extraeuropea, sbarcati dalla nave «Don Pascuale», proveniente da Malta.
  Poiché un contenitore aveva fatto registrare tracce di radioattività comunque non pericolose per la popolazione in generale e per gli operatori del porto, il personale della Capitaneria di porto ha proceduto alla verifica del contenuto dei rimanenti contenitori, assieme a personale appartenente all'ufficio antifrode dell'Agenzia delle dogane. Dalle verifiche è emersa la presenza all'interno dei contenitori di materiali di scarto qualificabili come rifiuti. Dallo svolgimento dell'attività predetta, nel gennaio dell'anno 2013 è scaturita un'informativa di reato alla procura della Repubblica di La Spezia per l'ipotesi di importazione illegale di rifiuti da Paese extracomunitario, a carico di società di intermediazione avente sede ad Hong Kong. I tre container, dapprima sottoposti a sequestro, dopo gli accertamenti, sono stati dissequestrati dalla procura della Repubblica Pag. 117di La Spezia. Al contenitore con tracce di radioattività è stato applicato il Piano prefettizio di intervento per la messa in sicurezza in caso di rinvenimento o di sospetto di presenza di sorgenti orfane nel territorio della provincia di La Spezia.
  Il 10 aprile 2013 il contenitore è stato, quindi, imbarcato sulla motonave CMA CGM Titus e spedito verso il porto di La Valletta, a Malta, con successivo imbarco per transhipment, con destinazione finale il porto georgiano di Poti, Paese di provenienza del materiale.
  Il NOE dei carabinieri, ha riferito che in un'indagine avviata nel settembre 2013, con la direzione della procura della Repubblica di Genova, sulla gestione dei controlli radiometrici effettuati ai container in importazione nel porto di Genova, è stata accertata l'effettuazione di ispezioni radiologiche false, allo scopo di lucrare sui profitti di tale attività e sulla riduzione delle spese di movimentazione dei container, tramite il rilascio di bollette doganali ideologicamente false, per induzione in errore del funzionario doganale, in quanto basate su tali accertamenti radiometrici materialmente non effettuati. Presso l'associazione degli spedizionieri di Genova, la «Spediporto», su iniziativa del dirigente generale, veniva organizzata un'articolata attività che coinvolgeva la società di servizi controllata Spediservice Srl ed, in particolare, la società di servizi DP Servizi Srl che, con il contributo di uno degli «esperti qualificati», iniziava a monopolizzare il mercato dei controlli radiometrici. Durante l'esecuzione di ulteriori attività veniva predisposto, nel dicembre 2013, un servizio di sorveglianza del NOE dei carabinieri che permetteva di accertare le attività delittuose in corso, con arresto di tre persone in flagranza di reato.

5.2. Il traffico transfrontaliero di rifiuti.

  I porti della regione Liguria rappresentano un punto di smistamento transfrontaliero dei rifiuti, anche quando la regia di tali traffici illeciti si trova in altre parti del territorio nazionale.
  Come ha affermato il procuratore della Repubblica di Genova «emerge [...] il compimento di attività illecite quali la esportazione verso Paesi asiatici o africani di rifiuti di ogni tipo (specie materie plastiche, apparecchiature elettroniche e batterie per auto) dei porti esistenti nell'area ligure, e di quello di Genova in particolare. Tali esportazioni, variamente mascherate con l'utilizzo di documentazione falsa, spesso avvengono dopo molteplici e quasi sempre formali passaggi dei rifiuti da una società all'altra, facendo ricorso anche a microimprese o ad imprese riferibili a soggetti di fatto fittizi, e con l'indicazione di destinatari a volte addirittura inesistenti».
  La rilevanza su scala nazionale degli illeciti commessi in quest'area emerge dal dato statistico proveniente dalla banca dati antifrode dell'Agenzia delle dogane, che segnala sequestri di rifiuti da parte della direzione interregionale Liguria – Piemonte – Valle d'Aosta pari al 48,3 per cento del totale nazionale nel periodo gennaio-agosto 2013, cresciuti al 60,2 per cento su base nazionale nel medesimo periodo del 2014.
  L'attività dell'Ufficio delle dogane della Spezia ha portato, nel 2014, all'individuazione di esportazioni illecite di rifiuti per oltre 2.874 tonnellate, nella quasi totalità parti di auto.Pag. 118
  L'incremento di operatività e il coordinamento con le forze di polizia aveva peraltro già portato a un incremento dalle 196 tonnellate del 2012 alle 1392 del 2013.
  Le dimensioni del fenomeno sono del pari attestate da quanto riferito dalla Guardia di finanza:, nel corso degli anni dal 2009 al 2014, militari appartenenti al gruppo di La Spezia nell'ambito di servizi finalizzati a individuare traffici illeciti in esportazione, operando congiuntamente con l'Agenzia delle dogane, hanno individuato in container in transito negli spazi doganali del porto della Spezia: 41.770 parti ed accessori usati di veicoli; 21 motocicli risultati radiati; 54 motori usati di auto; 113 auto o motoveicoli usati, classificati come rifiuti pericolosi; 8 auto o motoveicoli di provenienza delittuosa; 194 batterie per auto esauste (oltre a 72 compressori per frigoriferi classificati come rifiuti pericolosi, 28 tonnellate di cascami e avanzi di ghisa, ferro ed acciaio, 25 tonnellate di scarti di piombo).
  Coincidono in questi risultati di servizio la crescita del fenomeno e la crescita della risposta istituzionale. Così il procuratore della Repubblica della Spezia: «L'Agenzia delle dogane è molto attiva, molto professionale e molto preparata e agisce quasi sempre di comune accordo con la Guardia di finanza, con il Corpo forestale dello Stato o con l'ARPAL. Segnalano alla procura i container che vogliono essere trasferiti dall'Italia all'estero, normalmente nel Nord Africa. Si tratta di rifiuti che riguardano essenzialmente motori, parti di motori, rottami ferrosi, rottami di alluminio o rottami di ferro. Vengono trasferiti in Nord Africa questi pezzi di motori, spesso in disuso, maleodoranti e in parte pericolosi, perché vengono spediti come sono».
  La Capitaneria di porto della Spezia ha riferito di una serie di casi di intervento su violazioni formali relative alla carenza di iscrizione all'Albo dei gestori ambientali per la particolare categoria degli intermediari, per i quali sono state avviate indagini da parte delle procure della Repubblica territorialmente competenti in relazione all'origine del trasporto: si tratta della spedizione di container contenenti in un caso rifiuti, in un altro schiumature di zinco (per 205 tonnellate, destinate a un impianto di recupero in India), in un altro rifiuti di zinco destinati alla Norvegia, gestiti da società aventi sede rispettivamente in Germania, Gran Bretagna e Belgio.
  Pur trattandosi di fattispecie «minori», esse segnalano sotto ulteriore profilo la rilevanza dei flussi di materia recuperabile che lascia il territorio nazionale, l'interesse commerciale che società non solo italiane manifestano per questo commercio, la necessità di un controllo adeguato delle filiere, sino ai punti di esportazione.
  Operazioni di maggiore consistenza si collocano nel medesimo filone: così è a dirsi del sequestro ad opera della Guardia di finanza nel mese di dicembre 2011, nel porto di Genova, di cinquanta container destinati in Cina, che al loro interno contenevano occultati, complessivamente, 1.034.850 chilogrammi di cascame e avanzi di materiale plastico; le attività di indagine hanno consentito di acclarare l'indebito utilizzo della licenza AQSIQ per la Cina (General Administration of Quality Supervision Inspection and Quarantine), quale garanzia per permettere l'ingresso nel paese asiatico del predetto materiale, spedito da una società di Cernusco sul Naviglio Pag. 119(MI), il cui rappresentante legale è stato denunciato per il delitto di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006; nel settembre 2012 è stato intercettato da parte dell'Ufficio antifrode della dogana e del Corpo forestale dello Stato, con il supporto dell'ARPAL nell'ambito di controlli di spedizioni marittime, in transito dalla Grecia verso l'Africa subsahariana, un ingente carico (circa ventidue tonnellate) di rifiuti pericolosi, dichiarati quali «parti di autovetture usate», ma in realtà costituiti da telai di autovetture demolite, motori e differenziali non bonificati; nell'agosto 2013, in indagine coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Milano con Ufficio antifrode della dogana e Capitaneria di porto della Spezia, e il supporto tecnico dell'ARPAL, è stato scoperto un traffico di rifiuti verso la Repubblica popolare cinese, con sequestro di quattrocento tonnellate di rifiuti all'interno degli spazi portuali.
  La merce era stata dichiarata come rifiuto (non pericoloso) classificato con un codice corrispondente a materiale per il quale la Cina ammette l'ingresso (unicamente cascami di fili, rottami di motori elettrici): in realtà nel container sono stati rinvenuti rottami metallici vari, elettrodomestici usati, parti di biciclette e parti rilevanti di un distributore di benzina.
  L'Agenzia delle dogane della Spezia e la Capitaneria di porto della Spezia hanno segnalato un'importante operazione che, nel febbraio 2013, a seguito di una mirata attività di polizia giudiziaria, in collaborazione anche con l'ARPAL, ha portato al sequestro di quindici contenitori con circa 475 tonnellate di rifiuti, anche di tipo pericoloso, destinati a un impianto di recupero con sede in Cina, dolosamente documentati quali rifiuti elettrici non pericolosi. A seguito di tale accertamento, è stata trasmessa notizia di reato alla procura della Repubblica di La Spezia per la violazione dell'articolo 483 del codice penale, nonché degli articoli 256, 258, 259, 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per attività di gestione e traffico illecito di rifiuti, nonché falsità commessa da privato nella predisposizione del certificato di analisi dei rifiuti stessi. Il materiale, di cui è stata vietata l'esportazione, è stato trasferito a carico dello speditore per la successiva distruzione presso impianti autorizzati in provincia di Bergamo. Il fascicolo è stato trasmesso per competenza alla direzione distrettuale antimafia di Milano.
  Nell'aprile 2014, sulla base di un accordo di collaborazione nazionale fra l'Agenzia delle dogane e il Corpo forestale dello Stato, veniva bloccata presso il porto della Spezia l'esportazione di circa venticinque tonnellate di merci dichiarate quali autoricambi destinati al Marocco; in seguito ad analisi dei rischi, e successiva scansione con apparecchiatura radiogena, veniva disposta una verifica ispettiva dalla quale emergeva che si trattava in realtà di rifiuti provenienti da demolizione non regolare di autoveicoli, quali motori usati e differenziali non bonificati da filtri e olii esausti (rifiuti pericolosi) e impianti frenanti usati con pastiglie (rifiuti non pericolosi).
  Un'altra attività di rilievo – significativa per l'esame del fenomeno del traffico transfrontaliero di rifiuti e per evidenziare la possibile alta qualità e necessaria integrazione delle attività di contrasto – risale al gennaio 2015: indagini dell'Agenzia delle dogane e del Corpo forestale dello Stato, coordinate dalla direzione distrettuale antimafia di Roma Pag. 120sono scaturite da un controllo valutario, operato dalla Dogana di Roma Fiumicino nei confronti di un cittadino siriano, in ingresso sul territorio nazionale, che aveva omesso di dichiarare ventottomila euro in contanti, destinati all'acquisto di parti di auto da esportare in Turchia. La direzione centrale antifrode dell'Agenzia delle dogane è risalita ad alcuni soggetti operanti nella zona dell'Agro Pontino, risultanti abituali esportatori di parti di autovetture derivanti da operazioni di demolizione; gli investigatori individuavano un container che stava per essere esportato in Siria, contenente, secondo la dichiarazione doganale, parti di auto già bonificate. Si accertava invece – a seguito dei controlli eseguiti da ARPAL, trattarsi di motori e assali percolanti oli esausti e di parti di autoveicoli. Accertato il reato, grazie a una serie di immediati sopralluoghi è stata individuata un'area di 5.500 metri quadrati nel circondario di Latina, da cui e partita la spedizione illecita, utilizzata ufficialmente per autoriparazioni ma di fatto adibita in modo clandestino e sistematico ad attività di demolizione di veicoli in assenza di autorizzazioni.
  La procura della Repubblica di Roma ha delegato una serie di perquisizioni domiciliari che hanno fatto scoprire documentazione relativa altre tre spedizioni illecite di rifiuti pericolosi in corso dai porti di Genova e di Trieste, per complessive trenta tonnellate di materiali, che sono state impedite.
  La direzione distrettuale antimafia di Roma ha di recente concluso le indagini relative a un traffico transfrontaliero di rifiuti con esportazione di parti di veicoli e in particolare motori di autocarri dal porto della Spezia, mediante la falsa dichiarazione in bolletta doganale che si trattasse di «parti di ricambio di autoveicoli»; a seguito di accertamenti avviati all'inizio del 2014, sono stati indagati per la violazione degli articoli 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, 259 decreto legislativo n. 152 del 2006 e 483 codice penale due italiani – il titolare dell'azienda che faceva da collettore, a Cisterna di Latina dei rifiuti pericolosi, lo spedizioniere con sede in Livorno – e un cittadino egiziano esportatore.
  L'operazione «Aidid» – denominazione assunta da un'articolata indagine della procura Distrettuale di Genova – ha portato alla luce una vasta attività illecita transnazionale ed è partita dall'analisi di rischio su operazioni di importazione ed esportazione. Nessuno dei soggetti indagati nell'operazione «Aidid» era formalmente un raccoglitore di rifiuti.
  Il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Genova – GICO, unitamente al II Gruppo Guardia di finanza di Genova, in collaborazione con l'Agenzia delle dogane, nel corso di indagini delegate dalla procura della Repubblica di Genova ha individuato, nel periodo intercorrente tra il dicembre 2012 e il novembre 2013, 16 esportazioni irregolari, con conseguente sequestro di significativi quantitativi di rifiuti classificati come speciali.
  Le operazioni illecite presentavano aspetti comuni e in particolare:
   i prodotti ritenuti illeciti e, successivamente, sottoposti a sequestro – di cui non esisteva traccia nei documenti doganali – oltre ad essere di analoga natura, sono stati quasi sempre rinvenuti, Pag. 121all'interno dei container, artatamente celati dietro merce di copertura costituita da masserizie, abbigliamento, elettrodomestici usati e altro;
   tutti i container sono stati caricati – prima di essere condotti nel porto di Genova – in zone periferiche od in aree industriali e artigianali ubicate in province del nord Italia, quali Reggio Emilia, Modena, Udine, Bergamo, Bologna, Brescia e Treviso;
    i mittenti sono risultati, nella quasi totalità dei casi, cittadini di Paesi africani, residenti in Italia, i quali spedivano i container nei loro paesi di origine e in particolare in Nigeria, Togo, Burkina Faso, Costa d'Avorio e Ghana;
   per ciascuna delle 16 spedizioni illecite individuate, gli adempimenti di natura doganale sono stati commissionati dalla medesima società esercente l'attività di agente marittimo e di intermediario dei trasporti su ruote e rotaie.

  Sono stati sviluppati elementi d'interesse in ordine a segnalazioni per operazioni sospette, ai sensi della normativa antiriciclaggio a carico di un soggetto che dall'anno 2006 all'anno 2012, è stato destinatario di un numero considerevole di vaglia online per un importo complessivo di circa 2.500.000 euro, da parte di cittadini di origine africana, residenti prevalentemente in regioni del Nord in Italia.
  L'ulteriore analisi delle segnalazioni di operazioni sospette, ha consentito, inoltre, di individuare una serie di cittadini di Paesi africani, residenti in Italia, che tra il 2010 e il 2013 hanno effettuato, presso il Voltri Terminal Europa – VTE del Porto di Genova, ben 370 operazioni doganali, mediante l'emissione di 190 bollette doganali di esportazione.
  L'attività di indagine ha permesso di individuare 4 container e 10 rotabili, composti da più automezzi, destinati all'esportazione dal porto di Genova.
  Le successive verifiche doganali eseguite hanno permesso di rinvenire, celati al loro interno, ingenti quantitativi di rifiuti speciali. Ulteriori 6 container sono in attesa di essere sottoposti a visita doganale, presso i magazzini di Genova-Rivarolo.
  L'attività illecita veniva posta in essere attraverso l'utilizzo di due diverse metodologie:
   la prima legata al riempimento e successiva spedizione di container contenenti rifiuti speciali, artatamente celati dietro merce di copertura;
    la seconda legata al trasporto di veicoli dismessi, radiati dal pubblico registro automobilistico in quanto destinati all'esportazione, all'interno dei quali venivano occultati i rifiuti speciali.

  Il ciclo dei rifiuti e tutte le attività a esso connesse sono per la criminalità organizzata ad alta redditività, perché non sono sostenuti tutti i costi relativi alle procedure previste per lo smaltimento. Potrebbero esserci, quindi, non violazioni così dirette e palesi delle Pag. 122norme previste in materia di smaltimento dei rifiuti, ma finanziamenti con fondi provenienti dalla criminalità organizzata.
  Il comandante regionale della Guardia di finanza, in relazione all'operazione «Aidid» ha sottolineato gli aspetti di illecito organizzato e di possibile collegamento con flussi finanziari in Paesi a rischio: «si trattava di una vera e propria organizzazione. Ognuno di questi soggetti aveva un compito particolare. C'era l'agente marittimo per le operazioni, anche se poi in realtà sembrerebbe che non sia l'agente marittimo, ma un suo stretto collaboratore. Su questo punto vanno ancora svolti precisi accertamenti. Nelle singole province, c'era l'addetto alla raccolta dei prodotti da smaltire. C'era poi il commerciante all'ingrosso, colui che raccoglieva piccoli passaggi. Qui c’è molta manodopera nordafricana. La testa dell'organizzazione per il momento, sembrerebbe in Italia. Peraltro, aspetto connesso è che, a fianco a questo traffico, si ritiene che le grosse somme oggetto di segnalazioni di operazioni sospette siano riconducibili a un sistema di hawala, utilizzato per trasferire somme nei Paesi in cui la banca è vietata, quindi soprattutto in Nord Africa. Il sistema prevede il versamento di una somma a un soggetto in Italia o altro Paese, che riceve la somma di denaro, viene rilasciato un codice, una sorta di ricevuta, con cui si va in Nigeria, Congo o quale che sia il Paese, dove un altro soggetto elargisce la somma versata in Italia senza che questa sia materialmente spostata. Esistono poi dei rapporti di compensazione tra l’hawala territoriale e quello in Nord Africa. In questo caso, però, le operazioni diventano più complesse. Mentre qui sono spostate somme relativamente piccole, le compensazioni avvengono in maniera un po’ più articolata e complessa.
  Il sistema organizzativo investe più aspetti: non solo il traffico, ma anche lo spostamento di valuta, in questo caso dal territorio nazionale ai Paesi nordafricani».
  Si conferma, in definitiva, la realtà di una vera e propria filiera di rottamazioni improprie, così sintetizzata dal comandante regionale della Guardia di finanza: «quanto ai veicoli radiati, nelle rotabili il meccanismo utilizzato era quello di esportare automezzi non come radiati o come rifiuti, ma come automezzi funzionanti, marcianti, perché così non soggiacciono alla normativa in materia di rifiuti. Quello che hanno accertato, invece, i funzionari dell'ARPAL in queste indagini è che, oltre che essere stati imbottiti di rifiuti che andavano verso i Paesi nordafricani, gli stessi automezzi sono stati considerati come rifiuti, perché non avevano assolutamente le caratteristiche per essere considerati marcianti, utilizzabili. Questo è uno degli elementi che finisce nelle analisi di rischio quando ci sono le esportazioni di automezzi o analoghi. L'impressione, per quanto riguarda almeno la Liguria, è che sicuramente c’è un flusso di mezzi verso l'estero, non tanto di rientro, ma più come automezzi marcianti a tutti gli effetti, proprio per superare i vincoli e le norme in materia di smaltimento dei rifiuti».
  Negli ultimi quattro anni, le esportazioni regolari individuate con questo sistema sono state altre trentuno.
  Anche in questo caso, la caratteristica è che la prevalenza dei soggetti denunziati proviene da Paesi africani: come rifiuto si esporta di tutto, dalle batterie esauste alle pompe, ai compressori dei Pag. 123frigoriferi, materiali per i quali sono previste operazioni di smaltimento lecito particolarmente onerose.
  Altra questione è quella della diffusività di questi comportamenti illeciti, messo in evidenza, oltre che nei porti maggiori, dalla stessa ARPAL, che riferisce come il supporto tecnico fornito all'Agenzia delle dogane nel porto di Savona ha consentito di accertare episodi di tentata esportazione di rifiuti (pneumatici, frigoriferi e compressori, batterie).
  Un altro caso rilevante di contrasto al traffico transfrontaliero di rifiuti dal porto di Genova si è concretato nella cosiddetta «operazione Freon», con attività di indagine condotta dal Corpo forestale dello Stato, ed esiti giudiziari consolidati dal passaggio in giudicato della sentenza del tribunale di Torino del 31 maggio – 30 luglio 2013, a carico di una pluralità di imputati, italiani e stranieri (provenienti da Nigeria, Costa d'Avorio, Marocco ma stabilmente insediati in Italia): undici imputati sono stati condannati per il delitto di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e altri reati contravvenzionali.
  Lo schema illecito prevedeva il prelievo di RAEE presso isole ecologiche a aziende del torinese, la messa a disposizione di terreni, anche di piccole dimensioni, da parte di una pluralità di soggetti per lo stoccaggio dei rifiuti, e la spedizione degli stessi in Nigeria e Costa d'Avorio; la quantità di rifiuti oggetto di traffico illecito transnazionale è stata accertata in oltre 103 tonnellate.
  L'indagine aveva preso avvio alla fine del 2008 con il monitoraggio di un'area in viale Falchera, alla periferia di Torino: la capacità investigativa risiede, come in casi analoghi, nel saper risalire da violazioni «minori», a una realtà illecita ampia e articolata.
  In questo caso la prima identificazione dei soggetti che si muovevano nell'area è stata associata al riscontro, presso l'Agenzia delle dogane di Genova, della loro veste di esportatori di container verso Paesi africani. A seguire gli investigatori avevano proceduto alla videosorveglianza dell'area di viale Falchera accertando un intenso movimento di RAEE, poi caricati su container; sia i mezzi utilizzati in loco che i container sono stati anche tracciati mediante sistemi GPS, rivelando la spola dalle isole ecologiche della zona, e il trasporto verso il porto di Genova.
  Il sequestro nel porto di Genova di container contenenti rifiuti – televisori, elettrodomestici, parti di veicoli – falsamente dichiarati come materiali «for use» ha confermato l'esistenza del traffico illecito. Non è stato possibile, per evidenti limiti investigativi internazionali, accertare chi fossero i destinatari all'estero dei rifiuti; peraltro, nel corso dell'esame dibattimentale, un imputato ivoriano ha confermato di avere ricevuto fondi da un destinatario in Costa d'Avorio, per occuparsi della raccolta di quei rifiuti in Italia.
  In sintesi, dunque, come si legge in sentenza, «il sistema instaurato in viale Falchera, oltre a consentire un traffico di rifiuti verso l'estero, favoriva un sistema di ’smaltimento’ parallelo dei RAEE da parte di produttori, rivenditori, installatori, distributori, che, per non sostenere costi di smaltimento, o anche solo di trasporto in appositi centri di raccolta, consegnavano i loro RAEE a soggetti disposti a ritirarli, i quali li avrebbero destinati all'area di viale Pag. 124Falchera; il traffico transfrontaliero di rifiuti presupponeva dunque un sistema di raccolta, stoccaggio e trasporto che aveva come centro l'area di viale Falchera, punto di arrivo e partenza dei RAEE reperiti nel territorio».
  Il caso è esemplare sia per la natura e strutturazione dell'attività illecita, sia per la conferma del retroterra criminale-ambientale dei porti liguri, sia per la qualità positiva dell'attività di indagine, che, come detto, è stata in grado di collegare tra loro illeciti minori, in vista di una più ampia ricostruzione, assistita da attività di accertamento di tipo documentale, di osservazione diretta, di natura tecnologica.
  L'attività della Commissione ha consentito di mettere in luce non solo l'esistenza e rilevanza del fenomeno e l'attività di contrasto allo stesso ma anche talune criticità che i rappresentanti istituzionali auditi hanno segnalato.
  La risposta preventiva e sanzionatoria posta in essere nei porti di Genova e La Spezia è, nonostante il sottodimensionamento di risorse umane e strumentali, particolarmente incisiva e tale – come la Commissione, sulla base delle acquisizioni sinora effettuate, ritiene valga per la quasi totalità dei porti italiani – da dissuadere progressivamente i trafficanti internazionali dall'utilizzare i porti italiani come terminali interni per questo tipo di illeciti.
  Con prudenza istituzionale ma con altrettanta chiarezza, i dirigenti dell'Agenzia delle dogane auditi dalla Commissione, pur evidenziando l'esistenza di regole doganali comuni e di canali di comunicazione con le corrispondenti dogane degli Stati membri, hanno fatto rilevare che il territorio dell'Unione Europea ha numerosissime «porte» di ingresso e uscita (porti, aeroporti, valichi terrestri), presso i quali la quantità e la qualità effettiva dei controlli sono differenziate e talora di livello significativamente inferiore a quelle italiane, inducendo gli operatori criminali a trasferire in altri Paesi e porti le loro attività illecite transfrontaliere.
  Peraltro, nella relazione presentata alla Commissione in vista dell'audizione svoltasi il 4 novembre 2014, il direttore dell'Agenzia delle dogane affermava testualmente: «le attività investigative e di intelligence doganale finora condotte portano a ritenere che il decremento dei flussi nazionali e l'aumento di quelli in uscita dalla Slovenia per le medesime destinazioni (Cina) prima utilizzate al momento dell'esportazione dall'Italia siano collegate, per la presenza di soggetti con partita IVA italiana che, dopo essere stati controllati con contestazione di irregolarità ambientali, hanno spostato la loro attività presso il porto di Capodistria (Koper)».
  Altra criticità segnalata in materia dal direttore dell'Agenzia delle dogane riguarda la collaborazione con talune autorità estere: «dall'analisi di tutti i settori merceologici sta emergendo l'assoluta rilevanza della prospezione estera delle analisi e delle indagini. Non è cosa che si può fare guardando soltanto al territorio nazionale [...] la delocalizzazione industriale e produttiva porta a ragionare in termini di filiera aziendale, con qualcosa che è a 6.000 chilometri dal territorio italiano. Pertanto, ragionare in termini di ultimo miglio, focalizzandosi sull'esportatore italiano o di territorio nazionale, non serve a comprendere le dimensioni. La prospezione estera crea anche delle difficoltà. Per quanto la Convenzione di Basilea preveda la Pag. 125collaborazione tra le autorità di controllo dei Paesi di partenza e di destinazione dei rifiuti, non è facile colloquiare con l'autorità malese e con l'autorità cinese, anche per la differenza di regimi».
  Un problema segnalato dai magistrati inquirenti della Spezia quanto ai traffici transfrontalieri, è il criterio di competenza territoriale che induce la procura «portuale» a svolgere solo gli atti urgenti – iscrizione della notizia di reato, eventuale sequestro e relativa convalida – con successiva trasmissione per competenza alla procura del circondario in cui il trasporto è iniziato.
  Se questo consente indagini efficaci trattandosi presumibilmente di individuare soggetti che operano in quel territorio, impedisce tuttavia alla procura «portuale» di avere un quadro delle realtà criminali implicate nel traffico transfrontaliero.
  Altra criticità è sicuramente legata alla mancanza di accesso da parte dell'Agenzia delle dogane e della Capitaneria di porto allo SDI, la banca dati delle notizie di reato del Ministero dell'interno.
  Le notizie di reato accertate dall'Agenzia delle dogane e dalla Capitaneria di porto non vi sono inserite e non possono essere lette dalle forze di polizia che vi hanno accesso e viceversa.
  La possibilità di consultazione della banca dati in uso comune alle forze di polizia consentirebbe una più efficace analisi dei rischi sia da parte dell'Agenzia delle dogane che delle forze di polizia che attualmente utilizzano tale strumento. Analoghe considerazioni valgono per la Capitaneria di porto.
  La rinuncia all'integrazione della comunicazione tra forze di polizia tradizionali e le due autorità che svolgono l'attività di contrasto all'illegalità transfrontaliera in ambito portuale, priva sia le prime che le seconde di dati conoscitivi fondamentali: si pensi alla possibilità di analisi di rischio conseguente all'individuazione tra gli importatori o esportatori di soggetti gravati da pregiudizi di polizia; ovvero all'incisività di un controllo territoriale da parte delle forze di polizia di soggetti segnalati in ambito portuale come importatori o esportatori irregolari.
  La Commissione ritiene che possa contribuire a superare questa evidente criticità l'attuazione (ed eventuale estensione alle attività d'istituto dell'Agenzia delle dogane) dell'articolo 8-bis della legge 24 luglio 2008, n. 125 («Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica»), che all'articolo 8-bis prevede la possibilità di accesso degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo delle capitanerie di porto al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno.

6. La situazione della provincia di Imperia.

  La situazione della provincia di Imperia si presenta complessa, per quanto riguarda l'impiantistica, l'organizzazione della governance di sistema, l'emergenza di vicende illecite.
  Una compiuta descrizione dell'evoluzione subita dal sistema locale è stata fornita in sede di audizione dal presidente della provincia:
  «La prima emergenza in questa provincia, che ha creato grandi preoccupazioni a tutti, agli amministratori e ai cittadini, è riferita Pag. 126all'ottobre del 2010, quando erano operanti nella nostra provincia due discariche storiche. La prima è la cosiddetta discarica di Ponticelli, che è a pochi chilometri da Imperia, prima del vicino paese di San Lorenzo. La seconda è la discarica di Collette Ozotto con i suoi lotti successivi (all'epoca, il Lotto 5). Nel 2010 l'autonomia provinciale era garantita da queste due discariche. Nel mese di aprile del 2010 la procura della Repubblica aveva dato esecuzione a un'ordinanza emessa dal giudice delle indagini preliminari del tribunale di Imperia, con la quale era stato disposto il sequestro dell'area della discarica Ponticelli. Per anni la discarica di Ponticelli è stata quella più gravata dai rifiuti della nostra provincia. I comuni che conferivano a Ponticelli erano circa 37, mentre i comuni della provincia sono 67.
  A seguito di questa ordinanza, si è creata l'emergenza, perché il problema era smaltire i rifiuti fuori dalla provincia. Si sono avuti vari incontri con la regione Liguria, sempre improntati alla massima disponibilità da parte del presidente e dell'allora assessore Briano. I comuni avevano potuto conferire nella cosiddetta discarica di Boscaccio di Vado, quella grande discarica che si vede a monte delle ciminiere della Tirreno Power. Questo, però, aveva comportato un aumento dei costi. Era veramente avvilente vedere l'Autostrada dei fiori percorsa quotidianamente da mezzi carichi di rifiuti.
  Si è trattato allora di intervenire con una programmazione che sostanzialmente era già stata tracciata. La programmazione regionale, alla quale si era adeguata la provincia di Imperia, prevedeva di avere delle discariche di servizio, in attesa di un sistema centrale di smaltimento attraverso tecnologie meglio viste.
  Il problema delle discariche in Liguria sostanzialmente è immutato da decenni.
  Uscendo la provincia di Imperia da un commissariamento relativo al sistema delle discariche, si trattava di individuare i siti e di attuare poi una programmazione che avesse l'obiettivo di eliminare le discariche e di creare un sistema tecnologico avanzato. Questo sistema non prevedeva il termovalorizzatore, perché nella nostra regione non ci sono termovalorizzatori e probabilmente non ce ne possono essere. Si trattava di approntare questo sito, che poi è stato individuato.
  Tutti i passaggi alla fine hanno portato a chiudere definitivamente la discarica di Ponticelli. Questa discarica è stata interamente bonificata, con un sistema di capping.
  Se qualcuno non indica il sito, è difficile vederlo, perché è un sito piantumato a neanche cinque chilometri dal mare.
  Questa discarica, che per anni era stata motivo di ricorsi, dissidi, comitati e ovviamente di lagnanze da parte degli abitanti delle frazioni vicine del comune di Imperia e dell'adiacente comune di San Lorenzo, è stata bonificata e, quindi, tutti i rifiuti si sono concentrati nel sito di Collette Ozotto. È prossima la saturazione di questo sito».

  La descrizione della situazione della provincia di Imperia, salvo quanto ulteriormente si dirà su talune illiceità oggetto di procedimenti giudiziari, già così descritta è sintomatica della circolarità negativa che ha caratterizzato la Regione: l'intervento giudiziario sulla discarica di Collette Ozotto, gestita da Idroedil Srl ha portato al punto di epicrisi il sistema.Pag. 127
  L'interlocuzione della Commissione ha portato alla luce lo spettro delle criticità: un contesto non orientato alla riduzione del rifiuto da conferire in discarica; una debolezza delle funzioni amministrative di verifica e controllo; una inadeguata governance di sistema; una frammentazione notevole di aziende di gestione.
  Sul punto così si è espresso l'Assessore all'ambiente della provincia di Imperia, evidenziando, tra l'altro, un ruolo attivo che l'istituzione provinciale ha mantenuto nel corso del tempo; si tratta di un elemento che – al di là della valutazione sull'efficacia complessiva e finale degli interventi della provincia, segnala il valore di prossimità al governo delle comunità locali che la provincia, come istituzione ha storicamente avuto:
   «La regione Liguria, come tutte le regioni italiane, era divisa in ambiti ottimali territoriali, che nella nostra regione erano e sono individuati nei territori delle attuali province. Per ogni atto di pianificazione, per ogni proposta di deliberazione e per ogni qualsivoglia comunicazione che riguarda atti pianificatori di indirizzo politico, l'amministrazione provinciale ha sempre convocato le amministrazioni comunali e ha sempre presentato delle proposte di delibera, che sono state votate dai signori sindaci delle amministrazioni comunali sempre in modo condiviso, ossia all'unanimità. In tutti questi anni l'amministrazione provinciale non ha mai ricevuto nessun tipo di ricorso amministrativo né da parte di comuni né da parte di associazioni ambientaliste rispetto all'impostazione che è stata data al futuro della gestione dei rifiuti nella provincia.
  Per quanto riguarda il discorso della differenziata, quando io sono diventato assessore era stato appena approvato un piano provinciale sulla differenziata, che naturalmente dava e dà gli indirizzi ai comuni, che poi fanno le gare di appalto. Si era fatta una scelta di prossimità, ma nessuno vietava la possibilità di fare il porta a porta. Comunque i comuni che hanno fatto gare di appalto e modificato il servizio in essere nel frattempo hanno raggiunto percentuali di differenziata altissime. Il comune di Santo Stefano al Mare è passato dal 3 per cento al 50 per cento nell'arco di un anno e mezzo. Questo vale anche per il comune di Taggia. Alcuni comuni, ad esempio il comune di Imperia, purtroppo hanno patito – questo bisogna dirlo – perché, nel rispetto delle indicazioni della regione Liguria, nel cercare di eliminare la frammentazione del servizio, è stata fatta una gara d'appalto per lo spazzamento e la raccolta con l'unione di 36 comuni. Il primo anno e mezzo è stato molto sofferente per quanto attiene all'insediamento di questa azienda. La differenziata è un po’ aumentata, ma non sicuramente nelle proporzioni desiderate.
  Il comune di Ventimiglia dal 2011 alla primavera scorsa è stato amministrato da una terna commissariale, in quanto commissariato per infiltrazioni mafiose. A riguardo non è stato fatto nulla. La nuova amministrazione sta cercando di preparare dei progetti e di fare uno studio per attivare il porta a porta, ma naturalmente i percorsi necessitano dei tempi tecnici che, ahimè, nel nostro Paese sono piuttosto lunghi. Tuttavia, l'intenzione dell'amministrazione è quella.
  Sanremo è un comune che, pur avendo dimostrato sensibilità ambientale, perché più di una volta in sede di conferenza dei sindaci ha rappresentato la problematica della discarica, messo alla prova non Pag. 128è mai riuscito ad aumentare la percentuale della differenziata. Questo è il quadro di tipo generale sulla differenziata.
  La provincia ha cercato innanzitutto di elargire i contributi che la regione Liguria assegna con dei progetti. Alcuni piccoli comuni hanno lavorato bene: ad esempio, il comune di Seborga, il comune di Dolceacqua e il comune di Camporosso, piccoli comuni che con le compostiere comunali hanno aumentato moltissimo la differenziata.
  Con un protocollo di intesa firmato da tutti i sindaci della provincia, è stata introdotta una penalità per i comuni che non raggiungono le percentuali previste in quel protocollo, che sono quelle previste dalla legge: «penalità» e non «sanzioni», perché questi fondi dovevano servire in parte a premiare i comuni virtuosi che hanno lavorato bene. Una piccola parte andava ai comuni che ospitano la discarica, quindi al comune di Taggia e al comune di Sanremo. L'altra parte doveva essere rimessa in circolo, ossia l'ATO avrebbe valutato dei progetti promossi da quei comuni che non avevano rispettato quel trend di differenziata, per incentivare a fare quei progetti e, quindi, ad agire.
  La provincia ha fatto quanto possibile per arrivare alla scadenza della scelta finale del piano provinciale dei rifiuti, che è un impianto altamente ecologico, non di smaltimento ma di recupero, in modo che arrivasse la minor quantità possibile di rifiuto indifferenziato. [...]
  Sono state fatte delle proposte alle amministrazioni comunali e soprattutto all'amministrazione di Taggia, che si è fatta sempre parte diligente, per cercare di portare avanti la soluzione finale, che era la più compatibile con l'ambiente.
  Questa soluzione è stata votata addirittura all'unanimità. Penso che sia un caso importante dal punto di vista politico, perché di solito i comuni ai quali viene chiesto di ospitare i rifiuti di altri comuni si oppongono. Questo è il quadro generale.
  L'unica osservazione ricevuta veniva dal comune di Imperia, perché si era prevista la possibilità di due siti: uno a Collette Ozotto o uno a Rio Sgorreto. Il comune di Imperia aveva rappresentato delle criticità. In sede di consiglio provinciale queste osservazioni sono state accolte e mandate in regione Liguria, la quale ha fatto la valutazione di impatto ambientale. C’è stata la definizione puntuale, come previsto dalla norma.
  Si è pensato di fare qualcosa di pubblico, soprattutto per quanto atteneva la proprietà delle aree del Lotto 6. Sono state espropriate – l'esproprio è costato un euro al metro quadrato – e fatta la gara.
  Invece, la procedura per l'impianto unico è pressoché definita. C’è una questione di correttezza istituzionale, visto che nel mese di giugno sono cambiate delle amministrazioni e visto che l'amministrazione provinciale tra un mese spirerà e questo ente verrà governato totalmente dai comuni».

  Secondo quanto riferito alla Commissione, l'evoluzione prevista è verso un impianto che vuole massimizzare il recupero di materiale e non di energia, secondo le richieste pervenute dal comune di Taggia destinato a ospitarlo.
  Alle osservazioni della Commissione sui quantitativi di rifiuti che si prevede di trattare, il dirigente del settore ambiente della provincia di Imperia ha replicato:
   «È stato chiesto come mai questo impianto di recupero prevede di mantenere lo stesso quantitativo. Prevede di mantenere lo stesso Pag. 129quantitativo perché è un impianto di recupero che, oltre a trattare l'indifferenziato, che dovrà essere ridotto ai minimi quantitativi da parte dei comuni, tratterà anche l'organico proveniente da raccolta differenziata, i fanghi e il verde.
  Si è inteso realizzare un impianto pubblico, che sarà affidato a seguito di gara pubblica, ai sensi del codice dei contratti, a soggetto ovviamente terzo e privato, ma scelto su base pubblica. Sarà un impianto che resterà sempre di proprietà pubblica e dopo i vent'anni verrà riaffidato con gara ad altro soggetto e dovrà raccogliere tutti i rifiuti provenienti dalla provincia di Imperia, sia l'indifferenziato che l'organico, sia il verde che i fanghi».

  La presentazione di un progetto preliminare risale al 2012; la scelta impiantistica è oggetto di conferenze di servizi e secondo quanto dichiarato dagli auditi l'aggiudicazione potrebbe intervenire a fine 2015. Si valuta in un anno il tempo necessario per il completamento del procedimento amministrativo e in due anni i tempi di realizzazione, con conseguente entrata in funzione all'inizio del 2019.
  Nel lungo periodo transitorio l'unica soluzione individuata è stata quella di mantenere due discariche a Collette Ozotto: il Lotto 5, ancora privata, quantunque affidata anche questa a seguito di gara pubblica europea; e il Lotto 6, che invece doveva essere un lotto pubblico.
  Il sito è stato sequestrato e attualmente i lavori sono sospesi.
  A differenza di quanto di fatto accade per il Lotto 5, nel Lotto 6 si prevede una separazione dei rifiuti, una tritovagliatura e una biostabilizzazione a norma di legge.
  In base ai controlli effettuati, la gestione del Lotto 5 non avrebbe dato luogo a irregolarità; un unico momento di crisi si è verificato durante l'alluvione che ha investito la Liguria nel gennaio 2014. Si è avuto un eccesso di percolato che è stato fatto convogliare nei depuratori di Taggia e Sanremo, senza superamento di parametri, salvo in un caso quello dell'azoto ammoniacale (per tabella 5 ma non per tabella 3 nello scarico a mare).
  Come ha riferito il procuratore della Repubblica di Imperia, il sindaco di Sanremo, per far fronte a questa emergenza, il 21 gennaio 2014 autorizzava lo smaltimento del liquido inquinante nel depuratore cittadino attraverso la rete fognaria. In quel provvedimento il sindaco forniva specifiche disposizioni per l'esecuzione. Un'indagine attivata dalla procura distrettuale di Genova riguarda il rispetto da parte della Idroedil delle prescrizioni che erano state impartite in quel provvedimento. La violazione di queste disposizioni avrebbe potuto avere conseguenze particolarmente gravi di inquinamento delle acque. Secondo quanto riferito dal procuratore della Repubblica di Imperia le indagini sono ancora in corso e non hanno trovato una definizione.
  Il comune di Taggia (con poco meno di quindicimila abitanti è tuttavia il quarto, per popolazione, della provincia) si colloca al centro delle vicende pregresse e di quelle pianificatorie.
  Ne è stato dunque audito il sindaco, il quale ha riferito che attualmente la raccolta di rifiuti è gestita da un'associazione di impresa tra Docks Lanterna e Aimeri, società private che gestiscono Pag. 130il sistema di raccolta e spazzamento, poiché l'appalto riguarda tutti i servizi legati all'igiene cittadina.
  È anche una situazione particolare, perché vi è stata un'unica partecipazione alla gara.
  L'interpretazione data dal sindaco offre una conferma della situazione gestionale ligure: «sono ditte che da tempo lavorano sul nostro territorio e credo abbiano deciso di mettersi insieme proprio per non competere nella gara».
  Peraltro l'ATI aggiudicataria è stata oggetto di informativa prefettizia antimafia cosiddetta atipica, che non ha impedito di perfezionare l'appalto.
  La gestione locale si segnala peraltro per un adeguato risultato di accolta differenziata, che nel 2014 ha superato il 72 per cento.
  Quanto all'impiantistica, il sindaco ha ripercorso in sintesi le vicende incentrate sulla discarica e la mancato decollo di ipotesi alternative e più conformi al disegno normativo nazionale ed europeo.
  Le sue affermazioni sono significative anche perché consentono di inserire nella complessiva vicenda ligure il valore delle scelte propositive di una comunità locale: «nel 2007-2008 si parlava di impianti di trattamento non ben definiti che dovevano ad esempio produrre del CDR, delle balle di combustibile da rifiuti; qualcuno parlava di inceneritori, come allora si chiamavano. Si accennava all'ipotesi di realizzare questo tipo di impianto nella zona Colli, uno dei siti inseriti nella pianificazione provinciale di Imperia e che è tutto nel territorio del comune di Taggia, immediatamente sotto al sito di Collette Ozotto, dove attualmente c’è la discarica.
  Il comune di Taggia era contrario ad avere un impianto di trattamento sul territorio e soprattutto un impianto in merito al quale ancora non si capiva bene che tipo di caratteristiche avrebbe dovuto avere. Dopo i primi due anni di studio, nei quali l'amministrazione comunale di Taggia ha provveduto a visitare gli impianti nelle altre regioni, a visitare comuni dove si faceva la raccolta differenziata domiciliare, per imparare da chi era più virtuoso e aveva acquisito un'esperienza nel campo, l'amministrazione comunale ha deciso di giocare una carta propositiva.
  In una convenzione che è stata approvata nell'assemblea dell'ATO rifiuti, ma anche dal consiglio provinciale e naturalmente dal consiglio comunale di Taggia, si è affermato che si poteva fare un impianto nel territorio di Taggia, però un impianto che fosse adeguato alle esigenze della provincia, un impianto moderno e innovativo per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, e soprattutto un impianto che favorisse lo sviluppo della raccolta differenziata sul territorio.
  I termovalorizzatori sono impianti che funzionano e sicuramente rispondono a determinate esigenze di determinati territori, ma non sono impianti che aiutano i territori che servono a sviluppare la raccolta differenziata. I termovalorizzatori, infatti, per funzionare hanno bisogno di rifiuti da bruciare, tanto è vero che oggi molti impianti (a livello nazionale) sono in crisi perché nei momenti in cui i territori e i comuni fanno la raccolta differenziata non hanno più rifiuti da portare, quindi sono impianti che non sono più sostenibili dal punto di vista della sostenibilità tecnica e finanziaria. Ecco che poi si scatena anche la caccia a chi porta i rifiuti.Pag. 131
  Il comune di Taggia sulla base dei dati ha detto che non voleva un inceneritore e neanche un impianto che produca combustibile da rifiuti, ma un impianto moderno che aiuti a sviluppare la raccolta differenziata. In quella convenzione, che fu approvata nel 2010 e che è stata inserita nel piano provinciale, si è detto che si facesse l'impianto nel territorio del comune di Taggia, ma un impianto che prevedesse una fase di separazione accurata dei rifiuti (parte indifferenziata) e un impianto meccanico-biologico – di digestione anaerobica e di compostaggio – che però si occupasse del trattamento della parte umida della raccolta differenziata.
  Infatti, un grosso problema nella provincia di Imperia è che non esiste un sito, ad esempio, che possa trattare la parte umida da raccolta differenziata, il cosiddetto «organico». Si è costretti a guardare ad altre regioni per poter smaltire i rifiuti organici.
  Il comune di Taggia ha anche chiesto delle royalties di indennizzo.
  Ha chiesto che si sviluppasse la raccolta differenziata su tutta la provincia, non soltanto nel comune di Taggia, e che l'impianto dovesse essere modulare e funzionale a sostenere la raccolta differenziata dei comuni della provincia di Imperia.
  Questo ha dato un impulso notevole alla pianificazione, ha dato un obiettivo, ha dato se non altro un termine a cui giungere per poi gestire tutta la raccolta grazie a un impianto che rappresentasse il superamento dell'epoca delle discariche.
  Si è vissuto un ventennio precedente dove le discariche erano su terreni privati e, con affidamenti diretti, di proroga in proroga si è andati avanti per anni.
  Il Lotto 5 è la prima discarica che è stata affidata tramite una gara da parte della provincia.
  Si è insistito molto perché questa scelta impiantistica rappresentasse la chiusura del tempo delle discariche.
  Naturalmente si è aperto il problema di questo cosiddetto «periodo transitorio», che da quel momento potesse traghettare fino all'attivazione dell'impianto. È il periodo che si sta vivendo tuttora nel quale, insieme alla provincia e ai comuni, si è pensato di risolvere attraverso un'ennesima discarica, il cosiddetto Lotto 6, che naturalmente si è voluto – di concerto con la provincia e con tutti i comuni – fosse comunque un'area pubblica e fosse una gestione affidata tramite una procedura ad evidenza pubblica.
[...]
  Tutto questo va inquadrato in un panorama in cui ci sono due comuni che stanno facendo servizi di raccolta domiciliare, il comune di Santo Stefano e il comune di Camporosso, che avevano iniziato ancora prima del comune di Taggia. A parte questi due casi, però, la situazione complessiva presenta forti criticità, perché comunque la media è vergognosa a livello provinciale. Quindi è necessario avere per questi anni uno spazio dove conferire i rifiuti, per non mendicare in giro spazi disponibili negli altri impianti fuori provincia o fuori regione».
[...]
  La convenzione che il comune di Taggia ha proposto nel momento in cui ha dato la disponibilità a ospitare l'impianto e ha dato le linee guida di costruzione di questo impianto è contenuta nella nuova Pag. 132modifica di piano regionale che è in corso e che, per quanto riguarda la provincia di Imperia, a livello impiantistico prevede questa realizzazione».
  Il Lotto 6 di Collette Ozotto è dunque immaginato come soluzione transitoria per i prossimi tre anni.
  All'attuale situazione si arriva pendente lo sviluppo di un iter amministrativo molto complesso – delineato nella relazione trasmessa alla Commissione dall'amministrazione provinciale di Imperia – partito nel gennaio 2009, con la pubblicazione di un bando sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea relativo alla realizzazione e gestione di un impianto di trattamento dei rifiuti da ubicare in località Colli nel comune di Taggia e di una discarica di servizio a detto impianto in località Vallone dei Morti nel comune di Badalucco, così come previsto nel Piano di gestione provinciale dei rifiuti vigente in quella data.
  La procedura di cui sopra è stata interrotta il 24 febbraio 2009 a seguito del commissariamento della provincia da parte della regione Liguria. La provincia è stata commissariata da febbraio ad agosto del 2009. Il documento finale redatto dal Commissario dimostrava la non idoneità del sito individuato (Ponticelli) per la collocazione della discarica di servizio e indicava, tra l'altro, che la discarica di servizio dell'impianto unico provinciale, poteva essere individuata, secondo l'ordine di priorità, tra i seguenti tre siti: Colli nel comune di Taggia; Costa dei Frati nel comune di Taggia; Vallone dei Morti nel comune di Badalucco.
  Dopo una serie di atti amministrativi volti a garantire, come richiesto dalla regione, il necessario coordinamento con la pianificazione approvata dall'autorità di ambito, non redatta al momento dell'inizio dell'iter per la realizzazione degli impianti, la provincia di Imperia, nel dicembre 2010, adottava le modifiche e integrazioni al Piano provinciale per i rifiuti che fissavano un crono programma per l'attuazione del piano stesso e individuavano, in località Colli nel comune di Taggia, il sito sia per la realizzazione dell'impianto a tecnologia complessa sia per la discarica di servizio allo stesso impianto. Inoltre, lo stesso piano prevedeva che la gestione del periodo transitorio, necessario per l'avvio dell'impianto unico, fosse gestito mediante la prosecuzione della coltivazione di una discarica di rifiuti solidi urbani in località Collette Ozotto nei comuni di Sanremo e Taggia (Lotto 5) nonché la realizzazione di una discarica pubblica sempre in località Collette Ozotto nei comuni di Sanremo e Taggia (Lotto 6).
  Il 24 dicembre 2009 perveniva alla provincia di Imperia una proposta di cessione delle aree relative al sito Colli nel comune di Taggia inviata da una società locale proprietaria delle aree.
  La valutazione della proposta economica di cessione delle aree del sito di Colli nel comune di Taggia, inviata dall'Immobiliare Colli, veniva affidata, nel gennaio 2010, a seguito di una decisione della Conferenza dei Sindaci ATO, al gruppo di lavoro tecnico che doveva anche procedere alla scelta del sito della discarica di servizio in funzione delle indicazioni espresse dal commissario ad acta e predisporre lo studio di fattibilità per il project financing, ai sensi dell'articolo 153 del decreto legislativo n. 163 del 2006. Sempre nel Pag. 133gennaio 2010, una costituenda ATI tra una società locale e una società spagnola depositava uno studio di fattibilità ex articolo 153, comma 19, decreto legislativo n. 163 del 2006 per la realizzazione di un impianto di trattamento dei rifiuti in località Colli nel comune di Taggia con annessa discarica di servizio.
  Con delibera della Giunta regionale n. 702, del 17 giugno 2011 la regione Liguria approvava la modifica al Piano di gestione provinciale dei rifiuti e, successivamente, in data 29 luglio 2011, veniva definitivamente approvato il documento di pianificazione di modifica al Piano provinciale di gestione integrata dei rifiuti solidi urbani adottato con delibera provinciale n. 23 del 18 marzo 2008.
  A questo punto l'amministrazione provinciale ha iniziato a lavorare per la valutazione della proposta di progetto presentato per la realizzazione dell'impianto unico provinciale; e per la predisposizione del progetto della discarica pubblica, per il periodo transitorio, da realizzare in località Collette Ozotto nei comuni di Sanremo e Taggia – Lotto 6.
  Intanto la società spagnola facente parte dell'ATI con la società locale comunicava di voler interrompere la propria partecipazione al progetto per l'assegnazione della realizzazione e gestione degli impianti. La società locale mandataria, presentava in data 21 marzo 2012, quindi, in costituenda RTI con due imprese estere (mandanti), ai sensi dell'articolo 153, comma 19, decreto legislativo n. 163 del 2006, una nuova proposta di progettazione, costruzione e gestione di un impianto integrato di trattamento, recupero e valorizzazione di rifiuti solidi urbani della provincia di Imperia da localizzare in località Colli – Comune di Taggia.
  Per la valutazione della proposta della società Idroedil Srl, mandataria del costituendo RTI con Groupe Vauché e WTT – Waste Treatment Technologies (mandanti), è stata nominata una commissione di esperti che ha richiesto integrazioni al progetto.
  Diverse integrazioni, riformulazioni del progetto per le modifiche dei dati di input (produzione e raccolta differenziata dei comuni da servire), modifiche del piano finanziario, e incontri in contraddittorio si sono susseguiti dal mese di aprile 2012 tra la provincia, assistita da esperti e dalla Scuola Agraria del Parco di Monza, e la Società Idroedil Srl.
  Solo a fine ottobre 2014 la Idroedil Srl, ha trasmesso alla provincia, a conclusione dell'iter progettuale, la documentazione revisionata secondo le indicazioni formulate dalla provincia stessa durante i numerosi incontri in contraddittorio e mediante numerose note.
  Secondo il documento presentato dalla provincia, la scelta tecnologica relativa all'impianto prescelto, sarebbe basata sul concetto di BATNEEC (Best Available Technologies Not Entailing Excessive Cost), tendente a privilegiare la migliore tecnologia disponibile a costi non eccessivi. Le scelte impiantistiche individuate per la progettazione dell'impianto fanno riferimento al complesso sistema di pretrattamento, selezione e separazione che prevede la gestione di molti flussi di materiali in entrata e in uscita ed è finalizzato al massimo risultato quantitativo e qualitativo di recupero di materia prevedendo non solo il recupero delle materie tradizionalmente riciclabili (metalli, carta, Pag. 134plastiche) ma anche il recupero e la valorizzazione di conglomerati da avviare ad estrusione (produzione di Plasmix) e utilizzabile come materia prima seconda destinata a produrre nuovi materiali e oggetti.
  Sempre secondo la provincia, la scelta impiantistica sarebbe scaturita dalla valutazione di una prestazione ambientale ottimale, tenendo conto non solo delle quantità di materiali ed energia recuperate ma anche dell'entità delle emissioni nell'ambiente, dell'autoconsumo energetico, e più in generale dei carichi ambientalmente rilevanti loro connessi (tendenza al raggiungimento dell'obiettivo «rifiuti zero»).
  I materiali che affluiranno all'impianto avranno le seguenti tipologie di flussi in entrata: rifiuto urbano indifferenziato residuo; rifiuto organico proveniente da raccolta differenziata – FORSU; frazione verde proveniente da raccolta differenziata; fanghi di depurazione civile.
  L'impianto dovrà produrre le seguenti tipologie di flussi di materiali da avviare a riciclo: metalli ferrosi; metalli non ferrosi; carta e cartone; PET&HDPE; agglomerato per produzione Plasmix; frazione secca valorizzabile destinata a lavorazione Plasmix presso impianti di terzi; compost di qualità; frazione organica stabilizzata – FOS (compost «grigio» per ricopertura discarica e ripristini ambientali).
  Secondo le previsioni l'impianto produrrà, inoltre, materiali non riciclabili ed energia: sovvalli, scarti e residui destinati a discarica (valutati nel 16 per cento dei rifiuti in entrata); energia elettrica da biogas proveniente da digestione anaerobica della frazione organica da raccolta differenziata (FORSU) e della frazione organica separata meccanicamente.
  Le informazioni fornite dalla provincia non consentono di individuare chiaramente la tipologia impiantistica prescelta e per certi versi l'impianto non sembrerebbe coerente con le indicazioni fornite dalla stessa provincia al RTI; nel quale mantiene la sua posizione di soggetto dominante in zona Idroedil Srl.
  Non sono noti i rifiuti in input; tuttavia dall'analisi dei materiali in uscita si potrebbe ipotizzare un trattamento congiunto sia di rifiuti urbani indifferenziati che di frazioni merceologiche oggetto di raccolta differenziata (vedi frazione umida). Desta anche perplessità l'indicazione che sarà prodotta energia sotto forma di biogas derivante dalla digestione anaerobica sia della frazione organica da raccolta differenziata (FORSU) che della frazione organica separata meccanicamente. Tale pratica potrebbe non consentirebbe la produzione di un ammendante da riciclare sul suolo e inoltre, in tale contesto non appare comprensibile la produzione dichiarata del cosiddetto «compost di qualità»; così come perplessità destano le previsioni sull'agglomerato Plasmix per il quale non viene dichiarata la destinazione finale.
  Nella relazione si delinea anche il procedimento per la realizzazione della discarica pubblica per il periodo transitorio, a partire dalla DCP n. 5 del 22 marzo 2012 con la quale è stato approvato il progetto del Lotto 6 in località Collette Ozotto nei comuni di Sanremo e Taggia. Da quella data si sono susseguite conferenze di servizi e delibere provinciali fino all'approvazione del progetto definitivo del Lotto 6 della discarica pubblica nell'aprile 2013.Pag. 135
  La provincia ha provveduto ad effettuare una gara europea ad evidenza pubblica, per l'affidamento della relativa concessione di costruzione e gestione del Lotto 6; la commissione di gara, istituita per l'esame delle due offerte pervenute da parte di due società (Idroedil Srl e Daneco Impianti Srl), aggiudicava in data 2 aprile 2014 l'appalto alla società Idroedil Srl. L'8 settembre 2014 venivano consegnati i lavori alla società ma nella stessa data la procura della Repubblica di Imperia procedeva al sequestro dell'area ipotizzando il reato di cui agli articoli 81 e 479 del codice penale.
  Considerato che dell'attuale sito di smaltimento dei rifiuti (Collette Ozotto – Lotto 5) era previsto l'esaurimento alla fine di marzo 2015, la provincia di Imperia ha chiesto a tutti i sindaci dei comuni imperiesi e a tutti i soggetti gestori dei servizi provinciali di formulare soluzioni per garantire la corretta gestione del ciclo dei rifiuti. Sono state formulate tre possibili ipotesi: secondo la provincia quella percorribile è stata proposta dalla società Idroedil Srl che prevede un trattamento in loco dei rifiuti (non precisato) e il conferimento dei rifiuti prodotti fuori regione.
  Alla fine, nel febbraio 2015, si è affidato ad un gruppo di tecnici nominati dai comuni di Imperia, Sanremo e Ventimiglia la valutazione della scelta economica della società Idroedil Srl. La soluzione proposta dalla società, per stessa dichiarazione dell'amministrazione, «discende da gara informale».
  Nella relazione di aggiornamento con cui si rappresenta e descrive l'impegno al superamento di talune criticità evidenziate dalle attività della Commissione, trasmessa l'11 maggio 2015 dal Settore aria clima e gestione integrata rifiuti della regione Liguria, a proposito della situazione Idroedil si legge: «l'impianto era già dotato di una sezione per la separazione del rifiuto indifferenziato in due frazioni secco e umido; a seguito dell'evoluzione della normativa di riferimento si è reso necessario un adeguamento dell'impianto con potenziamento della sezione dedicata alla stabilizzazione della frazione organica. Nella modalità gestionale attuale, di durata di 12 mesi dalla data di emissione dell'atto autorizzativo, la frazione secca sarà inviata a trattamento in impianti fuori regione, mentre la frazione umida stabilizzata sarà abbancata in discarica».
  È una situazione che fa persistere perplessità sia sulla scelta impiantistica che sulle procedure amministrative adottate.
  Il procuratore della Repubblica di Genova e il procuratore della Repubblica di Imperia, per quanto di rispettiva competenza hanno illustrato le vicende giudiziarie che coinvolgono la discarica di Collette Ozotto e i rappresentanti della società Idroedil.
  La costellazione di ipotesi di illecito comprende diversi temi.
  In audizione il procuratore della Repubblica di Genova ha affermato che: «sulla discarica di Imperia ci sono delle irregolarità, che vanno dal probabile ricorso disinvolto a sovvenzioni per energie alternative determinate dall'utilizzo della discarica o prodotte, secondo alcune affermazioni, in conseguenza della gestione della discarica, a un ampliamento della discarica stessa che è oggetto di una valutazione specifica».
  Sempre di competenza distrettuale è l'esame della produzione di percolato in occasione degli eventi alluvionali; altra attenzione era Pag. 136stata posta sulla quantità di esplosivo del quale si chiedeva l'autorizzazione per predisporre il Lotto 6: l'autorità di polizia aveva avuto delle perplessità perché sembrava una quantità non congrua rispetto alla finalità, ma il procuratore della Repubblica di Imperia ha riferito che non sono stati accertati illeciti penali, e la vicenda ha comportato il solo esercizio delle competenze amministrative in materia.
  La questione al momento più rilevante riguarda il Lotto 6. L'autorità giudiziaria di Imperia, nel settembre 2014, ha posto sotto sequestro preventivo il Lotto 6 di Collette-Ozotto, non ancora in funzione, ipotizzando il reato di falso ideologico di cui all'articolo 479 codice penale.
  La scelta della misura cautelare reale è stata determinata dalla circostanza che, se avessero avuto inizio i lavori con l'esplosivo, la situazione sarebbe stata irrimediabilmente modificata e, quindi, non sarebbe stato più possibile svolgere indagini sullo stato di fatto del sito.
  I rilievi geologici eseguiti da un consulente della procura e i rilievi che risultavano ai fini delle autorizzazioni e dell'esercizio della discarica presentavano profonde discrasie; dalle quali nasceva anche l'ipotesi di un rischio che l'attivazione della discarica con la situazione geologica accertata dalla consulenza della procura della Repubblica potesse portare a forti inquinamenti, nel momento in cui vi fossero stati smaltiti i rifiuti.
  L'iniziativa giudiziaria ha comportato dei problemi, perché, essendo prossimo l'esaurimento del Lotto 5, e mancando sul territorio una possibilità di smaltimento, o almeno non è stato ancora individuato un sito, per cui la destinazione dei rifiuti avrebbe seguito la scelta del trasporto fuori regione.
  La riforma della geografia giudiziaria ha portato in epoca recente all'accorpamento della procura della Repubblica di Sanremo a quella di Imperia.
  La Commissione ha peraltro ritenuto di sentire l'ex procuratore della Repubblica di Sanremo – che ha ricoperto quell'incarico dal dicembre 2008 al settembre 2013, quando gli uffici giudiziari di Sanremo sono stati chiusi per accorpamento agli uffici giudiziari di Imperia, dove ora è semplice sostituto – il quale, nella precedente veste, si era attivamente occupato di indagini in materia ambientale, e che ha riferito sia sull'evoluzione sino ad oggi della situazione relativa alla gestione dei rifiuti, sia sullo sviluppo delle indagini relative alla discarica Collette Ozotto:
  «Negli anni si è posto ovviamente, per il territorio del Ponente ligure, il problema che affligge tutti i comuni italiani: dove abbancare o comunque come risolvere il problema della spazzatura. Naturalmente, come spesso accade, nessuno ha mai voluto sul proprio territorio un inceneritore o termovalorizzatore, come adesso si usa chiamarlo. A maggior ragione ciò accade in Liguria, e in particolare nel Ponente ligure, perché la conformazione del territorio è tale per cui le zone pianeggianti sono veramente limitate e tutte in prossimità della costa, e in un territorio a spiccata vocazione turistica un inceneritore certamente non è benvoluto. Negli anni si è cercato di dare una risposta a questo problema, realizzando delle discariche in vetta ai rilievi montani che circondano le cittadine del Ponente ligure. Pag. 137In particolare, si è cominciato a creare delle discariche in una località nota appunto come Collette Ozotto, che è situata alle spalle del comune di Taggia e ricade a cavallo dei comuni di Sanremo e Taggia. Normalmente le discariche vengono realizzate in vallate; si stendono dei teli e poi si riempiono. Per la conformazione del territorio si è pensato di realizzare qualcosa di diverso, cioè creare dei finti vulcani scavando al centro le montagne per riempirle di spazzatura. È stata creata una discarica, poi ne è stata creata una seconda, e a quel punto la prima è diventata Lotto 1, la seconda lotto 2 e così via. Ciò in previsione di una risoluzione definitiva del problema che doveva avvenire attraverso la realizzazione di impianti di tipo diverso. Ma questo non è mai avvenuto, quindi si è continuato a scavare tutte le montagne circostanti, un po’ come i grani di un rosario, fintanto che si è arrivati al Lotto 5, quasi in saturazione [...]
  A un certo punto si è pensato di realizzare una struttura di tipo diverso sul terreno pubblico che prevedeva un massimo riutilizzo dei materiali da riciclare, in modo da mandare in discarica solo una parte veramente minimale della spazzatura. Per far questo è stato programmato un certo numero di anni, quindi si poneva il problema di che cosa fare nel frattempo, cioè dove mettere questa spazzatura che ogni giorno il territorio produce. Si è pensato, come soluzione provvisoria, di realizzare un ulteriore lotto, il Lotto 6.
  Il Lotto 6 prevedeva una procedura analoga: prendere una montagna, disboscarla, scavarla con la dinamite, creare un cratere e all'interno dello stesso abbancare la spazzatura, questa volta non in modo sparso ma con un sistema diverso, per cui questa spazzatura doveva essere «impacchettata» in enormi cubi e sistemata sul fondo di questo cratere artificiale fino ad arrivare alla sommità. Ciò per il tempo necessario per realizzare l'impianto definitivo; impianto definitivo di cui però ancora non c’è traccia, neanche delle fasi iniziali, cioè di progettazione e via dicendo.
  Il problema che si è posto per il Lotto 6 è che per la sua realizzazione occorreva rispettare dei parametri di stabilità, di salvaguardia delle falde acquifere, e uno studio della provincia concludeva per la fattibilità dell'opera. A seguito di una serie di istanze che erano pervenute alla procura della Repubblica, è stato fatto uno studio da parte di un consulente nominato dal pubblico ministero, che è arrivato a conclusioni diverse rispetto alle conclusioni della provincia e dei suoi consulenti, sia in termini di stabilità del sito sia in termini di presenza di falde sotterranee di acqua, di cavità carsiche.
  Questo ha comportato la necessità di iscrivere un nuovo procedimento per l'ipotesi di falso ideologico, perché sostanzialmente si poteva ritenere che fosse stata rappresentata una realtà diversa da quella effettiva da parte di un pubblico ufficiale, cioè degli uffici tecnici della provincia di Imperia, al fine verosimilmente di poter realizzare un impianto.
  Questa è l'ipotesi su cui si è attivata l'indagine. Il sito è stato posto sotto sequestro probatorio, proprio per evitare che l'uso della dinamite e di altri mezzi potesse in qualche modo modificare la natura del terreno. Il consulente del pubblico ministero parlava di cavità carsiche, di presenza di falde acquifere eccetera. È stato nominato un perito d'ufficio da parte del giudice, con la procedura del cosiddetto Pag. 138incidente probatorio, che è un'attività che anticipa quella che sarà l'eventuale futura fase dibattimentale, quindi è prova a tutti gli effetti e può essere trasferita tout court in dibattimento senza necessariamente ripeterla, e soprattutto cristallizzando la situazione all'epoca attuale. La conclusione a cui è arrivato il perito è che molti calcoli fatti dai funzionari o dai consulenti della provincia erano sbagliati e alcune volte erano carenti le procedure di accertamento (ad esempio, un solo carotaggio per verificare la consistenza del terreno). Comunque, alla fine, è arrivato alla conclusione che, in termini di stabilità, questo scavo si potrebbe anche fare. Ciò che è rimasto in sospeso – e il perito nominato dal giudice l'ha ritenuto altamente probabile – è che ci siano delle falde acquifere e delle cavità carsiche che non sono state attentamente valutate dalla provincia e dai suoi consulenti e che, se effettivamente sussistenti, impedirebbero sostanzialmente di realizzare questa discarica. In particolare, c’è una grotta che in antichità verosimilmente veniva utilizzata per attingere acqua, che è stata anche sistemata con interventi da parte dell'uomo, il che la toglie dalla classificazione di «grotta naturale» e la inserisce nella categoria dei «manufatti umani». Comunque è una grotta che c'era e serviva per la captazione dell'acqua, quindi c'era una sorgente d'acqua. La presenza di stalattiti anche abbastanza consistenti fa pensare che non ci sia acqua soltanto occasionalmente, ma che ci sia una vena d'acqua ormai presente sicuramente dall'antichità, da tempi molto lontani. Questo potrebbe interferire, se confermato, con la realizzazione della discarica.
  A questo punto i difensori degli indagati, che poi sono i titolari della ditta Idroedil che doveva realizzare questo lavoro, e tecnici e funzionari della provincia hanno ventilato la possibilità di fare ulteriori accertamenti per verificare se effettivamente l'acqua c’è o non c’è. La procura ha dato la massima disponibilità, però nessuno finora si è fatto avanti per fare questo ulteriore accertamento. Naturalmente il blocco della realizzazione di questo Lotto 6 sta determinando o potrebbe determinare nel brevissimo futuro dei problemi a cascata, perché da qualche parte la spazzatura che viene raccolta sul territorio deve essere portata.
  Questa, in estrema sintesi, è la situazione di Collette Ozotto per quanto riguarda il Lotto 6 e l'attività palese, non più coperta dal segreto, che la procura della Repubblica di Imperia ha condotto.
  Il perito ha detto che, in termini di stabilità delle pareti della montagna, dopo l'effettuazione dello scavo, non ci dovrebbero essere ulteriori rischi. Il problema riguarda il possibile inquinamento delle falde.
  Se c’è o non c’è il falso, questo è relativo per quanto riguarda la realizzazione della discarica. Il perito ha detto che da un punto di vista di stabilità si può fare. Il problema risiede soltanto nella presenza o meno di queste falde.
  L'inchiesta in sé è conclusa da questo punto di vista. La parola spetta ai tecnici e alle amministrazioni.
  Una volta fatto l'accertamento si toglierà il sequestro; se poi la provincia decide di fare la discarica anche dove c’è una probabile vena d'acqua, è un problema sul quale la procura non può interloquire preventivamente, a meno di pensare in futuro a un reato di tipo Pag. 139ambientale diverso, quando e se si verificherà il problema. Una cosa è quello che pensa un magistrato, cosa è quello che poi si riesce a dimostrare. Sono due cose completamente diverse.
  L'impressione, è che si sia in qualche modo cercato di fare di tutto per realizzare questo sesto lotto, anche ritenere a fin di bene, altrimenti non si sa dove mettere la spazzatura, ma si è un pochino forzata la mano. Lo dice anche il perito nella sua relazione. Che per un'opera così importante quale una discarica di quella volumetria si sia fatto un solo carotaggio, tra l'altro non andando alla profondità richiesta, per stabilire la consistenza e la solidità della roccia, al perito è parso veramente poco».
  Le affermazioni sopra riportate sono espressive di un approccio corretto alla divisione dei poteri, che il magistrato audito ha ulteriormente esplicitato interloquendo con la Commissione, quando ha affermato: «non è che le procure siano dei supervisori delle attività degli enti locali; noi, nella divisione dei poteri che caratterizza uno Stato democratico, ci limitiamo a giudicare delle violazioni di legge. Spettano ad altri, ovviamente, scelte di natura politica, amministrativa eccetera».
  Il problema palesato dalla situazione ligure e di Imperia in particolare è che il ritardo o la scarsa efficacia delle scelte programmatorie e gestionali finisce col produrre situazioni prodromiche alla commissione di illeciti penali, la cui mancata risoluzione produce effettivamente quegli illeciti, con la conseguenza di interventi di tipo repressivo che bloccano la gestione ordinaria e innescano ulteriori complessità; che enti pubblici, decisori politici o soggetti privati poco attrezzati o poco sensibili vivono come interferenze, rispetto alle quali si atteggiano in maniera passiva e tale da generare ulteriori ritardi nella risoluzione sostanziale dei problemi, con la fuga in una irrisolta transitorietà.
  La transitorietà, in uno con le vicende giudiziarie, viene vista con preoccupazione dal prefetto di Imperia: «naturalmente questo ha creato e crea tuttora una serie di problematiche che hanno costretto le varie amministrazioni ad agire sempre in situazioni emergenziali e tuttora ci sono grosse preoccupazioni per le prospettive di questo smaltimento perché, esaurita la discarica attualmente in uso, non ci sono i tempi per predisporre il sito alternativo. A seguito di una serie di incontri tenuti in Provincia, sembrerebbe che su questo fronte ci si avvii a una soluzione, perché da una parte è stato riproposto un progetto di realizzazione della discarica che tenga conto di una serie di rilievi tecnici fatti anche dalla stessa procura attraverso i tecnici esperti appositamente nominati, dall'altra si sta pensando a un diverso utilizzo della discarica attualmente in uso, che ne consentirebbe il prolungamento dell'impiego per tutto il corrente anno. Questo darebbe una boccata di ossigeno a una situazione oggettivamente complessa. La condizione di incertezza che tuttora permane a seguito delle vicende citate pone l'attività di smaltimento dei rifiuti in questa provincia sempre su un piano emergenziale sotto i profili sia occupazionali che di rischio di infiltrazioni delle organizzazioni criminali, perché è un settore particolarmente appetibile e remunerativo, strettamente contiguo ad attività sensibili quali l'attività edilizia e di movimento terra».Pag. 140
  La gestione del sito è peraltro oggetto di altro procedimento penale per il quale la procura della Repubblica di Imperia, il 21 settembre 2015 ha emesso avviso di conclusione delle indagini.
  Viene contestata agli amministratori di Proget Energy Srl una truffa aggravata continuata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
  La società – titolare di convenzione CIP 6/92 sottoscritta con GSE (Gestore Servizi Energetici partecipato dal Ministero dell'economia e delle finanze) con decorrenza dal 26 luglio 2006 al 27 luglio 2015 avente ad oggetto la cessione di energia elettrica prodotta dalla combustione di biogas da discarica – avrebbe conseguito indebitamente la somma di 626.000 euro con una serie di atti fraudolenti.
  Dalle indagini svolte, risultavano installati dei generatori alimentati da oli vegetali, e l'immissione dell'energia così prodotta, pari ad almeno 4.001.178 chilowattora (su un totale di 7.700.000 chilowattora complessivamente prodotta dalla Proget Energy) derivante dalla combustione di oltre 450 tonnellate di olio vegetale, fonte non prevista dalla convenzione, nello stesso punto di connessione in cui era immessa l'energia lecitamente prodotta dai motori alimentati con biogas da discarica.
  Si tratta di vicenda rilevante per la gestione della discarica ma anche sintomatica della sensibilità a condotte illecite dell'incentivazione di queste forme di produzione di energia.
  A questo proposito gli inquirenti ipotizzano anche che i titolari dell'azienda siano stati illecitamente informati in via preventiva di ispezioni di funzionari del GSE, provvedendo in tale circostanza a rimuovere i generatori ad olio vegetale.
  La fonte prefettizia ha ulteriormente declinato le preoccupazioni sul versante della legalità, con riferimento a più di un'azienda del settore:
  «Per fare un quadro della situazione attuale, nell'area di Taggia (quindi ci riferiamo al sanremese) opera in questo momento la società Aimeri ambiente Srl e attraverso la figura di un suo capo cantiere, Gianfranco Claudio Del Tufo, la società sembrerebbe coinvolta in un procedimento penale nei confronti di un gruppo criminale riconducibile alla famiglia mafiosa dei Caltabiano, a sua volta collegata a un clan catanese. Questo è ovviamente un sintomo delle situazioni da tenere sotto controllo. Per quanto riguarda il capoluogo imperiese, comprensorio al quale aderiscono anche altri 34 comuni della provincia, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani sono affidati alla ditta Tradeco, che ha sede in Altamura.
  Su questa società non sono state mai individuate situazioni ostative in sede di rilascio di certificazioni antimafia, benché due anni fa la prefettura di Bari nel rilasciare una liberatoria abbia comunque sottolineato la sussistenza di precedenti penali nei confronti dell'amministratore unico e direttore tecnico di questa società e il suo coinvolgimento nell'ordinanza di custodia cautelare del 2011 del tribunale di Bari. A questo proposito, in sede di Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti in Puglia, il prefetto dell'epoca aveva sottolineato come il capostipite di questa famiglia, il signor Carlo Dante Columella, avesse subìto diverse incriminazioni per smaltimento illecito di rifiuti e altri piccoli reati, che però non avevano portato a Pag. 141condanne, e che un altro componente della famiglia era risultato collegato con un'altra azienda e arrestato insieme a due funzionari dell'ASL di Bari per smaltimento illecito di rifiuti.
  Questa società è sempre stata considerata particolarmente forte su quel territorio per le grandi disponibilità economiche e finanziarie. In questa relazione si legge che sono talmente forti che potrebbero essere capaci di influenzare e condizionare la vita politica del territorio.
  Per quanto riguarda il comportamento di questa azienda soprattutto con riferimento al capoluogo, non sono mancati i problemi di rapporti; alla prefettura di Imperia ho dovuto seguire una vertenza sindacale, perché non c’è una puntualità nella corresponsione degli stipendi, c’è spesso una segnalazione di disservizi da parte dei comuni che hanno rapporti con questa azienda, che è un po’ traballante anche sotto il profilo della qualità del servizio».

  Il sindaco di Imperia ha fornito ulteriori elementi sulla questione della Tradeco:
  «Per quanto riguarda il servizio di raccolta dei rifiuti a Imperia, il sindaco è stato eletto il 13 giugno del 2013, e ha trovato un appalto assegnato dal commissario prefettizio con contratto firmato qualche giorno prima dell'insediamento. La gara era stata bandita dall'amministrazione precedente, c'era stato un solo partecipante che ovviamente l'aveva vinta, si presume verificati i requisiti di legge.
  Questa società, la Tradeco, sta creando avendo un'infinità di problemi. Tutte le contestazioni sono state fatte come stazione appaltante e capofila del comprensorio alla società, la situazione dal punto di vista di tutti i sindaci del comprensorio è insostenibile, tanto che domani mattina, nella Giunta che si terrà alle 11.00, anche in qualità di assessore agli affari legali del comune il sindaco avrebbe portato una delibera di indirizzo per la rescissione del contratto alla Tradeco per inadempienze contrattuali e altri motivi, perché non è possibile continuare a lavorare con questa azienda. I problemi sono tanti, il capitolato ha dei problemi, nella fase di richiesta danni verranno chiesti danni anche dall'impresa al comune, perché nel capitolato erano previsti alcuni centri di raccolta dichiarati pronti per essere utilizzati che invece non esistono sul territorio.
  Questo sarà un problema per il comune, ma Tradeco non ha mai portato a regime il servizio, non ha fatto tante cose previste dall'appalto, ogni mese ci si chiede se pagheranno lo stipendio ai lavoratori, per cui, non volendo applicare l'articolo 5 del codice degli appalti per evitare di fare aspettare quindici giorni ai lavoratori, si è arrivati a un accordo che prevede il pagamento in acconto della quota parte del netto di tutti gli stipendi dei dipendenti. Questo per poter garantire che i dipendenti dell'azienda venissero pagati, perché tutti i mesi al giorno dalla scadenza i lavoratori non ricevevano lo stipendio. Ovviamente persone che hanno un solo stipendio in un periodo di crisi non possono permettersi di non riceverlo e quindi venivano tutti sotto al comune a fare le loro giuste rimostranze.
  Questo è il sintomo di un'azienda che non ha solidità economica, laddove la scusa che non pagano perché il comune non li paga non sta in piedi perché il comune di Imperia e anche gli altri comuni hanno sempre pagato con regolarità, a parte qualche piccolo comune Pag. 142che magari non ha pagato qualche frazione dell'imponibile totale del mese dell'1-2 per cento.
  Questo significa che l'azienda non ha la capacità economica per poter gestire un appalto del genere, perché una società che partecipa a una gara pubblica di importo totale di 90 milioni di euro in sette anni ma non ha il respiro bancario per andare avanti un mese se non riceve il pagamento, dovrebbe cambiare mestiere».
  Ulteriori rilievi sono stati riferiti dal sindaco, in ordine al mancato raggiungimento degli obietti di raccolta differenziata: l'offerta che prevedeva il servizio a regime in novanta giorni dall'inizio e una percentuale di differenziata del 68,7 per cento, mentre mediamente il risultato è del 35-38; conseguentemente l'amministrazione pubblica applica sistematicamente delle penali e intende ora rescindere il contratto.
  Appare significativa l'affermazione del sindaco di Imperia sulla necessità di un ritorno alla gestione pubblica: «per l'esperienza che ho maturato in un anno e mezzo in questa vicenda ritengo, pur essendo un imprenditore nel settore privato, che questo servizio debba essere svolto in maniera pubblica. Questa è la convinzione che ho maturato facendo il sindaco per un anno e mezzo e provenendo da un'esperienza ventennale di imprenditore nel settore privato».
  La Tradeco è anche oggetto di esame da parte dell'autorità giudiziaria, di cui ha riferito alla Commissione il procuratore della Repubblica di Imperia.
  Vi è stato un procedimento relativo alla gara di appalto che aveva portato all'assegnazione a Tradeco, per cui è stata però avanzata richiesta di archiviazione. Si tratta di una gara d'appalto che suscitava dubbi, considerato che quelli che erano ritenuti i punti immodificabili del capitolato di appalto, in realtà, sono stati tutti modificati. Questo ha consentito alla Tradeco un risparmio rilevante rispetto a quello che sarebbe stato il costo da sostenersi per mezzi e cassonetti. Si trattava dei costi che avevano sconsigliato la partecipazione di altre aziende che avevano in precedenza manifestato interesse. Nel capitolato si prevedeva l'utilizzo di mezzi particolari, ossia a caricamento bilaterale, che richiedevano poi, a loro volta, dei cassonetti di tipo particolare, che erano prodotti esclusivamente da una società e che sono stati poi utilizzati anche in altri appalti. Altra questione esaminata dagli inquirenti era che il titolare della società che ha ottenuto l'appalto è stato anche il direttore dell'esecuzione dei contratti per un dato periodo, tant’è che si era partiti da un possibile abuso d'ufficio e frode in pubbliche forniture. Nonostante le indagini, come il procuratore ha concluso, non si è potuti arrivare a sostenere la rilevanza penale di queste condotte.
  Ulteriori indagini sono in corso sulla concreta gestione dei rifiuti e le modalità del conferimento in discarica.
  Ancora una volta la «tipicità» della situazione imperiese nelle debolezze del ciclo dei rifiuti ligure emerge dall'audizione del sindaco di Imperia, il quale ha valutato in maniera netta ciò che si deve alla passata imprevidenza rispetto a ciò che costituisce, per riprodurre un termine già sopra utilizzato, «transitorietà»:
  «Per quanto riguarda il discorso delle discariche, credo la provincia soffre la mancanza di scelte di programmazione a medio-Pag. 143lungo termine che arrivano dal passato. Una situazione programmatoria scarsa, che non prevede un grande futuro se non l'attivazione della discarica pubblica a Collette Ozotto denominata Lotto 6, in prosecuzione del Lotto 5 che è privato ed è stato posto sotto sequestro dalla magistratura a seguito di un'indagine. Questo sta creando e creerà dei problemi soprattutto economici ai cittadini della provincia di Imperia, perché ci troveremo costretti a portare i rifiuti fuori dalla provincia con un costo di molto superiore a quello di conferimento: si stanno pagando le non scelte di venti anni fa.
  Qualcuno tenta di far passare la tesi secondo cui sarebbe colpa del magistrato che ha fermato i lavori, però stiamo parlando di un periodo assolutamente limitato di qualche mese per la durata dell'indagine, mentre se le cose fossero state fatte 10-20 anni fa con la dovuta calma e la dovuta programmazione, cinque o sei mesi di fermo di un cantiere non avrebbero potuto assolutamente alterare questa situazione.
  L'amministrazione comunale di Imperia auspica che l'inchiesta venga quanto prima conclusa, che venga dissequestrato il cantiere qualora non si ravvisino irregolarità, come sembrerebbe dall'incidente probatorio, e che il biodigestore con il project financing che dovrà vedersi realizzato a seguito del Lotto 6, riesca a vedere la luce, perché fa vedere un futuro più dilatato su questa tematica.
  Questa terra è già stata martoriata dai rifiuti, è opportuno evitare di attivare ulteriori discariche e il biodigestore in questo territorio può svolgere la sua funzione in maniera egregia con la produzione di pochissimo rifiuto da discarica. Questo è quanto descritto nel progetto presentato in ATO rifiuti, e chi ha fatto il progetto si assumerà le proprie responsabilità».
  Un altro procedimento penale, di cui hanno riferito il procuratore della Repubblica di Imperia e il comandante della legione Liguria dei carabinieri, riguarda la società Energy Green, che gestisce una centrale a biomasse sita in località Bevera nel comune di Ventimiglia.
  Sono giunte a conclusione le indagini attivate a seguito delle dichiarazioni di un dipendente che aveva lasciato la società e che hanno trovato riscontro, sull'ipotesi che le ceneri prodotte venissero smaltite in maniera illecita attraverso due società, la Itagro e la Gastaudo.
  Si tratta, secondo le valutazioni della procura della Repubblica, di 598.000 chili di ceneri prodotte dalla Energy Green.
  Il materiale inquinante veniva stoccato in cassoni situati all'interno della stessa centrale, per essere trasportato presso la vicina «Cava Bergamasca», ove veniva smaltito illecitamente mediante interramento. Dalle indagini è emerso che i titolari delle attività redigevano falsi formulari di identificazione dei rifiuti trasportati e inoltre inducevano un consulente tecnico di ufficio del tribunale civile di Sanremo a redigere una relazione di perizia riportante dati non veritieri sulle modalità di gestione della centrale, sulla qualità del combustibile, sulla conformità del progetto, sulle caratteristiche dell'impianto e sulle autorizzazioni degli Enti preposti.
  Il Corpo forestale dello Stato ha fornito un quadro di forme diffuse di illegalità che caratterizzano la provincia di Imperia.Pag. 144
  La carenza di discariche per inerti, chiuse generalmente per il raggiungimento dei limiti di capienza, e la morfologia della provincia, che si estende su un territorio abbastanza compresso, con poche possibilità di spazi alimenta il fenomeno del deposito abusivo di materiale di risulta da lavori edilizi: i costi che derivano dall'esigenza di allontanarsi per lo smaltimento lecito alimentano quello illecito di questi inerti in ambiti fluviali o in terreni privi delle necessarie autorizzazioni.
  C’è ancora un altro fenomeno connesso anche alle caratteristiche del territorio, che ha valli molto strette, un'urbanizzazione molto intensa, che si estende su pendici scoscese, a ridosso di corsi d'acqua. Lo smaltimento illecito in questi ambiti di materiale terroso o roccioso influisce sul problema, significativo nel territorio, della difesa del suolo, perché spesso questa attività provoca conseguenze di notevole squilibrio nell'assetto idrogeologico.
  Nel 2008 sono stati effettuati lavori di risagomatura degli argini del torrente Nervia, che interessa la parte di territorio a cavallo tra i comuni di Dolceacqua e di Camporosso, lavori commissionati dal comune e dall'amministrazione provinciale. A fronte di un apporto di terra previsto di circa 4.000 metri cubi, in realtà in quella località sono stati sistemati circa 20.000 metri cubi di terreno, con un guadagno per la ditta incaricata notevolmente elevato e legato anche alla mancanza di costi di trasporto e di smaltimento presso discarica autorizzata, stimato addirittura tra i 150 e i 200 mila euro. Questa attività, oltre a creare questo tipo di problema, ha portato alla riduzione della sezione idraulica del corso d'acqua, che in situazioni meteorologiche di un certo tipo potrebbe creare sostanziali problemi all'assetto del territorio.
  Altri casi di questo genere sono stati rilevati sempre dal Corpo forestale dello Stato generalmente nelle stesse zone, ai confini tra il comune di Dolceacqua e quello di Camporosso, dove in diverse situazioni sono state registrate violazioni alla normativa edilizia ambientale.
  L'ultimo caso è rappresentato dalle conseguenze della costruzione di 18 alloggi di edilizia residenziale popolare sempre nel comune di Dolceacqua, che era stata affidata dall'Agenzia regionale territoriale per l'edilizia a una azienda locale. Il materiale di scavo risultante dal cantiere è stato utilizzato per il riempimento dell'argine di un fiume in costruzione nel territorio di Ventimiglia e quindi è stato escluso dal campo di applicazione dei rifiuti con autocertificazione della ditta appaltatrice, per poi essere riutilizzato nell'ambito di lavori di adeguamento idraulico.
  È stato evidenziato dal Corpo forestale dello Stato che nel progetto ci doveva essere solo l'impiego del materiale prelevato e invece era stato pagato anche il trasporto e lo smaltimento in discarica di materiale edilizio con maggiorazioni di oneri e senza che effettivamente entrasse in discarica un solo metro cubo di questo materiale. Oltre allo smaltimento illecito in questo caso si sono ipotizzati reati di truffa e falso.
  Accanto ai problemi gestionali complessivi si colloca dunque una illiceità diffusa, che in questo territorio tuttavia non appare di modesta dimensione.Pag. 145
  Il comando regionale della Guardia di finanza, ad esempio segnala almeno tre interventi rilevanti, con la denuncia di complessive undici persone e i sequestri: nell'anno 2010 di un sito di circa 160.000 metri quadrati contenente 280.000 tonnellate di materiale inerte da edilizia; nell'anno 2012 di un sito di circa 42.000 metri quadrati contenente 192.000 tonnellate di materiale inerte da edilizia; nell'anno 2013 di un sito di circa 1.200 metri quadrati contenente circa 1 tonnellata di rifiuti plastici e metallici.
  La situazione del comune di Ventimiglia si intreccia con le emergenze criminali evidenziate dal processo «La Svolta», che si è concluso in primo grado il 7 ottobre 2014 con la condanna di sedici imputati per associazione a delinquere di stampo mafioso, riconoscendo l'esistenza di una struttura di ’ndrangheta nel ponente della provincia di Imperia, individuando in Giuseppe Marcianò il capo della «locale» di Ventimiglia.
  Il prefetto di Imperia ha rivolto l'attenzione a una vicenda che potrebbe dimostrare una certa contiguità tra il settore dei rifiuti e la criminalità organizzata, e si ricollega all'attività della Commissione di indagine nominata ai fini della proposta di scioglimento del comune di Ventimiglia, che si era occupata, per raccogliere elementi a sostegno della propria proposta, anche sull'affidamento del servizio di igiene urbana.
  Il prefetto ha dunque riferito di uno specifico approfondimento: «in quel periodo, oltre che da alcuni elementi d'indagine, fu possibile rilevarlo anche da un atto intimidatorio subìto dall'allora direttore generale del comune nel marzo 2009. Il direttore generale del comune, dottor Prestileo, aveva denunciato il danneggiamento da parte di ignoti della propria autovettura con sette colpi di arma da fuoco. Qualche giorno dopo questo evento si era recato presso l'Arma dei carabinieri fornendo dettagliate informazioni circa la procedura di affidamento del servizio di igiene urbana alla Docks Lanterna SpA, facendo pensare che l'atto intimidatorio potesse in qualche maniera essere collegato alla gara d'appalto allora in corso. La Commissione d'indagine alla luce di questi episodi soffermò maggiormente la sua attenzione su tutta la procedura che aveva portato all'affidamento del servizio a questa ditta, per verificare se fosse stata in qualche modo favorita. In realtà la Docks Lanterna era subentrata ad altra società acquistando un ramo di azienda e aveva ottenuto dal dicembre 2008 il servizio di igiene urbana, sul quale è andata avanti attraverso delle proroghe. Nel 2008, però, l'amministrazione di Ventimiglia ritiene di interrompere questa modalità di affidamento di servizi attraverso proroghe, che riguardava non soltanto il servizio di igiene urbana ma anche altri servizi. In particolare, nel dicembre 2008 bandisce una gara con una procedura aperta, individua un capitolato speciale nel quale, al di là di incrementi del canone, pone a carico della ditta eventualmente subentrante anche l'assorbimento del personale precedentemente esistente, quindi una serie di condizioni ritenute non incentivanti dai partecipanti, per cui questa gara di fatto è andata deserta. È stata quindi indetta una nuova procedura aperta per l'affidamento del servizio per cinque anni diversa dalla precedente, con condizioni apparentemente anche più favorevoli per l'aggiudicatario, ma anche questa ulteriore gara aperta va deserta. Il comune Pag. 146pertanto decide di indire una procedura negoziata, invita otto ditte e questo appalto vede nuovamente vincere la Docks Lanterna con un risultato abbastanza oneroso per il comune, secondo le valutazioni fatte all'epoca la Commissione d'indagine. La Commissione d'indagine avrebbe anche rilevato che queste procedure di affidamento non avrebbero rispettato la normativa in materia di lavori pubblici, tenuto conto che alla procedura negoziata si poteva arrivare soltanto dopo aver esperito una procedura aperta alle stesse condizioni, quindi senza alterare le condizioni del capitolato, che invece nella fattispecie erano state modificate, quindi è come se la Docks avesse avuto un servizio senza passare per un corretto confronto concorrenziale con altre società. Da quel momento la Docks Lanterna gestisce senza soluzione di continuità il servizio e questa è una delle condizioni a cui si è riportata la Commissione d'indagine per arrivare alla proposta di scioglimento dell'ente. A questo proposito il procuratore distrettuale antimafia di Genova aveva anche affermato una cointeressenza dell'amministratore della società di Genova, che aveva avuto più volte l'appalto del servizio di igiene urbana anche in regime di proroga, con la famiglia Marcianò, che risulta coinvolta nel procedimento «La Svolta» che si è concluso il 7 ottobre 2014 e ha visto la condanna di ben 16 imputati per 416 bis, ha confermato la presenza di una struttura di ’ndrangheta nel ponente della provincia di Imperia, individuando proprio nel Marcianò il capo della locale ’ndrangheta di Ventimiglia. Lo stesso direttore generale che aveva subìto l'atto intimidatorio e denunciato questa situazione aveva però anche autorizzato il subappalto dalla ditta Docks Lanterna a una cooperativa, la Marvon, riconducibile ancora una volta alla famiglia Marcianò. Questa ditta ha una serie di appalti non soltanto nel comune di Ventimiglia, ma anche nel comune di Bordighera e in altri comuni della provincia, anche se risulta che le amministrazioni comunali (almeno le maggiori) abbiano intenzione di riavviare una nuova procedura di gara e quindi interrompere questo sistema delle proroghe».
  Elementi diversi e ulteriori sulla presenza della famiglia Marcianò sono forniti nella relazione del comandante della Legione carabinieri Liguria, che così ne riferisce: «attività di indagine nei confronti di un elevato numero di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata locale, hanno permesso di documentare contatti diretti tra Marcianò Giuseppe, principale imputato dell'indagine «La Svolta», condannato per associazione a delinquere di tipo mafioso con Sentenza del tribunale di Imperia in data 07 ottobre 2014, e Pesce Santino, proprietario dell'80 per cento delle quote societarie della società Docks Lanterna SpA di Genova, nonché amministratore unico della stessa.
  In particolare il Pesce riferiva di essere stato sollecitato dal suo collaboratore di zona, Sparma Gaspare, ad incontrare il Marcianò poiché persona influente, cosa che in effetti è avvenuta. Dalle conversazioni intercettate si evinceva che Pesce Santino era persona «gradita» a Marcianò Giuseppe, che dimostrava molto interesse per gli appalti della Docks Lanterna affermando, in un'occasione, di averlo raccomandato per aggiudicarsi l'appalto della raccolta rifiuti a Sanremo, nella speranza di ottenere in cambio favori.
  Significativo è il riscontro investigativo dell'affidamento di alcuni lavori in subappalto da parte della Docks Lanterna alla Marvon Pag. 147(cooperativa sociale la cui riconducibilità a soggetti appartenenti al «locale» della ’ndrangheta di Ventimiglia è stata processualmente dimostrata), tra cui il «capitolato per servizi di varia natura per conto del comune di Bordighera», che conferma il legame esistente tra il Pesce Santino e il Marcianò Giuseppe ed emerge la figura di Martinelli Alessio, soggetto che operava nella duplice veste di consulente della Docks Lanterna e di socio della Marvon. Inoltre la Marvon ha eseguito per conto della Docks Lanterna i «lavori primaverili di pulizia delle spiagge di Ventimiglia», come confermato in audizione dal Pesce stesso».
  Altra circostanza ritenuta deporre per l'esistenza di rapporti tra i soggetti indicati viene individuata nell'assunzione presso la Torchio Srl di Rinaldo Marcianò grazie all'interessamento di Santino Pesce.
  La situazione di Ventimiglia è peraltro in evoluzione, anche a seguito del cambio di amministrazione nel giugno 2014.
  Il sindaco di Ventimiglia ha riferito di tale situazione, e di prospettive ancora una volta esemplificative del peso delle scelte o mancate scelte programmatorie e dell'orientamento di muoversi nell'ambito di limitate dimensioni gestionali.
  Situazione questa che, una volta dimostrato l'interessamento, anche se non l'attualità di gestione, da parte di realtà criminali, anche verso il ciclo dei rifiuti, non supera le debolezze che rendono vulnerabile il sistema.
  Il sindaco ha ricordato che il contratto con la Docks Lanterna di Genova è scaduto il 31 dicembre 2014 e l'amministrazione ha provveduto a una proroga, in attesa di andare verso un nuova tipologia di raccolta e un nuovo capitolato: «il ragionamento iniziato per impostare il discorso sulla gestione, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti ha preso in considerazione sostanzialmente due ipotesi: la prima era quella di iniziare un dialogo con il comune di Sanremo, che ha fatto una scelta netta, e la seconda era quella di seguire la direzione delineata dalla regione, che era quella di andare verso un'area omogenea, quindi mettersi assieme a degli altri comuni, riuscire a fare massa critica, sviluppare e sfruttare economie di scala e fare un ragionamento di comprensori.
  Ventimiglia sta ragionando su queste due possibilità, più sbilanciata sul ragionamento di comprensorio, perché la scelta di Sanremo è molto rischiosa. Si sta ragionando con altri comuni, come il comune di Camporosso e quello di Dolceacqua e una serie di comuni molto piccoli, che vanno dai 600 ai 1.000 abitanti. Questo consentirebbe di fare quella massa critica necessaria per sviluppare queste economie di scala, cambiando totalmente il tipo di raccolta.
  Ventimiglia ha la raccolta stradale, con tassi di raccolta differenziata bassissimi, intorno al 20-22 per cento. Si stanno attendendo gli ultimi dati di quest'anno. È molto poco rispetto all'obiettivo del 65 per cento richiesto anche dalla provincia. Il fatto di non uscire a raggiungere i livelli necessari porta tutti gli anni a pagare delle multe salate. Quest'anno sono di 90.000 euro. L'obiettivo è andare verso una raccolta differenziata molto spinta, con il porta a porta dove è possibile. Il territorio è piuttosto difficile, quindi in alcuni punti bisognerà affrontare questa raccolta con la prossimità, però l'obiettivo è quello di raggiungere determinati livelli.Pag. 148
  È stato dato un incarico a una cooperativa, la Erica, per la predisposizione di un primo progetto. Probabilmente non saranno loro a definire il capitolato, ma gli uffici o un ufficio composto da tecnici di Ventimiglia e degli altri comuni. Si sta valutando con la provincia di avere in convenzione delle risorse umane che possano in qualche modo coordinare questo tipo di ragionamento».
  Il sindaco di Ventimiglia ha messo in luce un ulteriore problema derivante dalla dimensione gestionale, vale a dire quello delle risorse umane interne, anche specializzate, necessarie alle amministrazioni pubbliche per poter progettare e gestire i processi: la cronica e ingravescente carenza di risorse derivante dai mancati nuovi ingressi nelle pubbliche amministrazioni locali e l'indefinizione della situazione delle province, acuisce la debolezza e la vulnerabilità, tra gli altri, del settore del ciclo dei rifiuti.
  Le espressioni sintetiche utilizzate dall'audito non sono per questo meno significative: «noi qui agiamo in un contesto di confusione massima [...] eredito una situazione di stagnazione che è durata anni».
  Altrettanto significativa, per altri versi, la situazione del comune di Sanremo. Anche in questo caso l'amministrazione si è rinnovata nel giugno 2014.
  Il sindaco di Sanremo ha riferito che relativamente alla raccolta dei rifiuti è stata fatta la scelta di evitare di rinnovare un appalto, e di dirigere verso un affidamento in house: «oggi c’è un appalto gestito da Aimeri. È stata fatta una proroga e si ipotizziamo che a grandi linee dal primo luglio dovrebbe partire invece la gestione in house di una partecipata al 100 per cento: Amaie Energia è una società già esistente e sta gestendo in questo momento il Mercato dei fiori. È al 100 per cento del comune di Sanremo».
  [...] L'affidamento in house nasce anche per andare più velocemente verso una differenziata, almeno ai livelli che ci impone la Comunità europea, cioè il 65 per cento.
  Su questo è stato redatto un capitolato e tramite Erica è stata studiata una differenziata porta a porta. Subito dopo l'estate, dal primo di ottobre, dovrebbe partire una raccolta differenziata porta a porta. È nei progetti arrivare entro due anni almeno ai termini che la legge impone. La scelta che ha portato verso questo affidamento in house è soprattutto per una questione di elasticità. Oggi gestire la raccolta differenziata, in termini di un capitolato, con degli articoli, diventa sempre abbastanza complesso. Il fatto di avere un affidamento in house consente di essere molto più liberi e di gestire meglio quelle che saranno le prospettive. Indubbiamente è una scelta coraggiosa anche questa, perché oggi prendersi 130 dipendenti che oggi lavorano all'Aimeri e trasferirli in un'azienda pubblica comporta dei rischi. Tuttavia, guardando bene e soppesando tutto questo, l'affidamento in house al momento era quello che dava più garanzie, anche considerato che in provincia di Imperia sono al massimo tre le aziende che hanno sempre gestito lo spazzamento. Questa scelta dava uno spiraglio di essere un pochino più liberi su questo e anche una maggiore possibilità di ammortizzare, nell'arco dei prossimi anni, gli investimenti da fare. Normalmente l'affidamento in house consente di Pag. 149arrivare almeno sino a 10-11 anni, ammortizzando totalmente gli acquisti dei mezzi e via dicendo».
  In questo caso, quindi, la gestione pubblica viene vista come elemento risolutivo di flessibilità e modularità che, sfuggendo alle rigidità del rapporto negoziale con un appaltatore privato, consente di andare a risultati progressivi di aumento della raccolta differenziata e di migliore gestione complessiva.
  Come ha detto l'assessore all'ambiente del comune di Sanremo «la riduzione della produzione dei rifiuti, il compostaggio domestico, il compostaggio di comunità sono tutte situazioni che nel nuovo regolamento sono state inserite e determineranno, per coloro che svilupperanno queste azioni virtuose, degli sconti sulla tariffa decisamente importanti. Ad esempio, anche per quanto riguarda alcune attività commerciali, è stata introdotta una grossa riduzione della tariffa per coloro che venderanno prodotti cosiddetti «alla spina». Una novità, inoltre, è stata quella di prevedere degli sgravi tariffari per tutte le aziende commerciali che non faranno più pubblicità su materiale cartaceo, plastico e quant'altro.
  Oggi il web ci permette di arrivare alla gran parte dei consumatori, quindi tutti coloro che attesteranno che non utilizzeranno più nessun prodotto che poi andrebbe smaltito, quindi carta, plastica, legno e tutte queste sostanze, avranno degli sconti in tariffa.
  Partendo dalla volontà di gestire la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti premiando azioni virtuose e differenziando al massimo, attraverso la raccolta porta a porta spinta, la naturale conseguenza è stata quella di cercare di svolgere il servizio di spazzamento e raccolta attraverso un'azienda che fosse emanazione diretta dell'ente comunale.
  Tra le varie partecipate (una delle principali è ovviamente il Casinò), un'azienda che si chiama Amaie; un suo braccio operativo, Amaie Energia, ad oggi gestisce sia l'attività del Mercato dei fiori sia una centrale elettrica, in termini moderni di recupero di energia, quindi aveva già nel suo brand la possibilità di abbracciare un nuovo modo, e soprattutto un modo ambientalmente migliore, di svolgere la raccolta.
  Sicuramente per quanto riguarda la conoscenza del sistema di raccolta è un'azienda nuova, quindi si dovrà dotare di tutte le esperienze necessarie. L'azienda si è già dotata di un direttore generale che ha svolto mansioni presso società che brillano enormemente nel settore e lavorano in città dove si sono raggiunte percentuali ben superiori al 65 per cento, che è il termine di legge.
  Ovviamente il servizio inizierà in termini parziali. Il porta a porta non può essere iniziato immediatamente; c’è uno start-up che consiste nel dividere la città in varie aree, iniziando con quelle che sono meglio predisposte ad affrontare il porta a porta. Ci si augura, se il progetto vedrà il suo avvio, nell'arco massimo di dodici mesi da oggi, di portare a regime su tutta la città il porta a porta stesso.
  Per quanto riguarda la società che oggi svolge il servizio ad Imperia, ovviamente si tratta di un servizio svolto con la tecnica obsoleta dei cassonetti, con tutte le problematiche legate a volte all'abbandono di rifiuti presso le isole ecologiche.
  In questo momento la società esterna svolge una parte di servizio; c’è poi una parte di servizio svolta da circa trenta dipendenti comunali e con questi si cerca di interagire con la cittadinanza.Pag. 150
  Sono iniziati degli incontri con la cittadinanza per quanto riguarda la comunicazione, che è fondamentale. L'istruzione è fondamentale per fare sì che i cittadini siano capaci di fare la differenziata come si deve. Si cerca di agire prevalentemente nella scuola, attraverso l'istruzione dei bambini più piccoli, anche delle elementari, in modo da invertire il ciclo educativo. Poi saranno i bambini, probabilmente, a formare i genitori e i nonni. L'auspicio è di portare a regime, entro un anno, il porta a porta nella città e di raggiungere, ci auguriamo, nell'arco di ventiquattro mesi almeno il 65 per cento, se non oltre. La società Erica è stata scelta perché ha aiutato tanti comuni a raggiungere alte percentuali».
  Su richiesta della Commissione l'assessore ha precisato: «sotto l'aspetto economico ad oggi, nonostante il sistema di raccolta preveda le isole ecologiche tradizionali, la somma degli addetti dipendenti da Aimeri e quelli in capo al comune ammonta a circa 145-150 persone. Sicuramente è un numero più che adeguato a svolgere anche una raccolta porta a porta, che richiede ovviamente un numero di personale maggiore.
  A fronte e in virtù del grosso investimento che andrà fatto in tecnologia, sicuramente quello che si risparmierà nel vendere, attraverso il rapporto ANCI-CONAI, tutte le frazioni che possono essere separate – che quindi non vengono più portate in discarica o all'impianto futuro – dovrebbe provocare una riduzione dei costi totali, perché tutte queste frazioni per demolire le quali fino ad oggi bisogna pagare viceversa avranno la valorizzazione perché le porteremo ai vari COREPLA, CONAI e quant'altro».

7. La vicenda Pitelli.

  Negli Anni Settanta e Ottanta la collina di Pitelli era una zona dove confluivano ingenti quantità di rifiuti pericolosi provenienti principalmente dalle varie attività industriali e non, dislocate nelle aree adiacenti ma anche provenienti da altri territori.
  In particolare il sito specifico della discarica di Pitelli è divenuto quello dove nel tempo si è concentrata la maggior quantità di rifiuti, tuttavia nella collina esistono altri siti minori contenenti anch'essi rifiuti pericolosi interrati.
  Le Commissioni d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti istituite in precedenti legislature hanno affrontato il tema del sito di Pitelli, incrociandolo con quello di più ampi traffici illeciti; e in effetti la percezione che la discarica di Pitelli abbia rappresentato – al di là delle vicende giudiziarie ed amministrative formali – il terminale fisico di una rete ramificata dedita alla gestione talora illecita di rifiuti industriali e pericolosi ha attraversato per un ventennio non solo queste attività istituzionali ma anche il sentire comune. I temi che, dopo un'analisi dei dati della situazione ambientale attualmente nota verranno in questa sede affrontati, lo confermano.
  In sintesi le pianificazioni territoriali derivanti dagli studi finalizzati alla bonifica, suddividono la collina di Pitelli in diverse zone riconducibili a due principali tipologie:
   zone tipo a – b – c – d: aree appartenenti a soggetti potenziali inquinatori; in questi casi gli oneri di caratterizzazione, monitoraggio, Pag. 151messa in sicurezza e bonifica sono a carico degli stessi soggetti inquinatori in solido con i proprietari;
    zone tipo e: sono tutte le altre aree appartenenti a soggetti non potenziali inquinatori; in questi casi gli oneri di caratterizzazione, monitoraggio, messa in sicurezza e bonifica sono a carico della pubblica amministrazione.

  I procedimenti tecnico-amministrativi avviati per la bonifica si trovano ad oggi in differente stato di avanzamento, infatti alcune aree sono state studiate e quindi caratterizzate in maniera puntuale (ad esempio il sito principale della discarica) mentre altre aree sono state studiate in modo meno puntuale e più discontinuo.
  Per tale ragione, attorno all'area della discarica principale, esistono porzioni di territorio poco studiate, o non studiate, appartenenti alle suddette zone a – b – c – d, dove sono presenti abbancamenti di rifiuti pericolosi interrati, quantunque di modesta dimensione se confrontati con i volumi della discarica principale.
  Si tratta comunque di abbancamenti di rifiuti pericolosi derivanti da attività illecite risalenti a trenta-quaranta anni orsono e non derivanti da traffici attuali.
  La vicenda di Pitelli è caratterizzata dall'iniziale qualificazione del sito tra quelli di interesse nazionale.
  La lettera f-bis del secondo comma dell'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (inserita dall'articolo 36-bis, primo comma, legge n. 134 del 2012), puntualizza quale principio/criterio direttivo per la perimetrazione di un SIN l'insistenza attualmente o in passato di attività di raffineria, di impianti chimici integrati o di acciaierie.
  La descrizione delle attività presenti nel territorio dell'ex SIN Pitelli, effettuata da ARPAL, indica come nel territorio medesimo non fossero presenti attività riconducibili a quelle sopra evidenziate. In particolare l'insediamento Penox Italia Srl, la cui attività consisteva nella produzione di composti chimici e ossidi di piombo, non aveva le caratteristiche dell'impianto chimico integrato.
  Sulla base di tale palese osservazione, il decreto del Ministero dell'ambiente n. 7 dell'11 gennaio 2013, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 60 del 12 marzo 2013, che ha approvato l'elenco dei siti che non soddisfano i requisiti di cui alla norma sopra citata, ha dichiarato il sito di Pitelli non più ricompreso tra i siti di bonifica di interesse nazionale.
  La regione Liguria è pertanto subentrata al Ministero dell'ambiente nella titolarità delle procedure degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica, previste dal Titolo V della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Sono seguite comunicazioni per il passaggio di consegne e il trasferimento della documentazione.
  Nella perimetrazione di cui al decreto ministeriale 10 gennaio 2000 erano ricomprese aree con presenza di attività industriali e portuali e numerose discariche sulla terraferma nonché l'area marina antistante, in quanto «bersaglio certo» dell'inquinamento derivante dalla presenza delle medesime discariche e attività produttive.
  L'area è ubicata nella parte orientale del territorio del comune della Spezia e per una piccola porzione nel comune di Lerici.

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  Nel dettaglio all'interno del perimetro erano presenti le seguenti principali attività:
   discariche di rifiuti urbani speciali e pericolosi, illegalmente utilizzate anche per lo smaltimento di rifiuti altamente pericolosi (Ruffino-Pitelli e area ex Ipodec);
   aree di smaltimento abusivo di rifiuti industriali (area Tiro al Piattello e Campetto);
   area ENEL di produzione energia elettrica; siti di stoccaggio (carbonili) della centrale a carbone dell'Enel da 1.200 MW;
   area industriale PbO per la produzione di ossidi di piombo;
   area Navalmare Srl (ex Pertusola Srl), specializzata in prefabbricazione e montaggio di strutture in acciai speciali di alta tecnologia.

  Le principali criticità ambientali erano determinate dalle contaminazioni di seguito riportate

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  Alla data di deperimetrazione risultano effettuati interventi di messa in sicurezza d'emergenza nelle seguenti aree a terra:
   1) Area ex Ipodec (regimazione acque superficiali dell'area), da parte della Stock Containers Srl;
   2) Centrale ENEL Produzione (messa in sicurezza d'emergenza della falda a valle del serbatoio n. 3, da parte della Società ENEL SpA;
   3) Discarica «Ruffino-Pitelli», da parte della Società Stock Containers Srl;
   4) Stabilimento ex-Pertusola – Muggiano, da parte della Società Navalmare Srl;
   5) Stazione elettrica Terna SpA, da parte della Società Terna SpA.

  Complessivamente sono stati presentati circa trenta piani di caratterizzazione di aree di competenza privata, approvati con prescrizioni da successive conferenze di servizi decisorie.
  La maggior parte delle indagini previste da tali piani è già stata effettuata e la restante parte è in corso di esecuzione.

  Per quanto riguarda la bonifica delle aree a terra la situazione è la seguente:
   A) progetto di bonifica della discarica Ruffino-Pitelli (ritenuto approvabile dalla Conferenza di Servizi decisoria del 29/07/2008). Il decreto di urgenza del Ministro dell'Ambiente (prot. 628 del 23/09/10), è stato notificato il 27/09/10.
   B) progetto «preliminare» di bonifica dell'Area ex-IPODEC (ritenuto approvabile dalla conferenza di servizi decisoria del 29/07/2008).
   C) progetto di bonifica della falda dell'area del punto vendita TAMOIL della Spezia (ritenuto approvabile dalla conferenza di servizi decisoria del 18/02/2009).

  L'avvio dei lavori di bonifica è stato autorizzato con decreto del Ministro dell'ambiente prot. 756/TRI/DI/B del 25/10/2010.

  Per quanto riguarda la bonifica delle aree marine in concessione:
   A) il «Progetto definitivo di bonifica aree a mare» in concessione al Cantiere Navale Beconcini è stato ritenuto approvabile dalla Conferenza di Servizi decisoria del 23/11/2004:
     decreto di approvazione del 20/01/2006 registrato alla Corte dei conti in data 22/02/2006 reg. n. 1 foglio n. 140;
     certificazione della provincia della Spezia con Determinazione Dirigenziale n. 151 del 14/08/2007 (prot. 44670 del 14/08/2007), che attesta la conformità al Progetto di bonifica degli interventi effettuati nell'area marina;Pag. 154
   B) progetto di bonifica relativo allo specchio d'acqua in concessione al Porto Turistico Mirabello (Società Industrie Turistiche Nautiche SpA):
    l'avvio degli interventi di bonifica è stato autorizzato con Decreto del Ministro dell'Ambiente prot. 3804/QdV/DI/B del 16/07/2007;
    certificazione della provincia della Spezia di avvenuta parziale (85 per cento), bonifica del 24/09/09;
    C) progetto di bonifica dell'area marina in concessione al Cantieri Navali Baglietto (ritenuto approvabile dalla Conferenza di Servizi decisoria del 29/07/2008):
   decreto del Ministero dell'ambiente prot. GAB-DEC n.2012-0000162 del 21/09/2012;
   liberalizzazione, a seguito del completamento degli interventi di bonifica, dei settori M4 e M5 delle aree a mare. Determinazione della provincia della Spezia n. 31 del 05/03/2013.

  Sono state effettuate le indagini previste dal piano di caratterizzazione delle aree pubbliche a terra di competenza della pubblica amministrazione, pari a circa 1.715 ettari.
  È stato eseguito il piano di caratterizzazione dell'area marina (12 km2), elaborato da ICRAM; sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione ICRAM ha elaborato il progetto preliminare di bonifica dell'intera area marina perimetrata.

  Sulla base del predetto progetto preliminare di bonifica, l'Autorità portuale della Spezia ha predisposto i progetti di messa in sicurezza d'emergenza e bonifica delle seguenti aree marine:
   a) Progetto dei fondali antistanti il Terminal Ravano, ritenuto approvabile dalla Conferenza di Servizi decisoria del 25/07/2005:
    il decreto direttoriale di approvazione del progetto del 16/12/2005 è stato registrato alla CDC in data 08/02/2006 reg. n. 1 fg. 100;la provincia della Spezia con determinazione dirigenziale n.108 del 8/06/2011 ha certificato l'avvenuta bonifica.
   b) Progetto definitivo dei lavori di ristrutturazione della banchina Thaon di Revel e realizzazione di una nuova passerella pedonale strallata di collegamento con il Porto di Mirabello in La Spezia, ritenuto approvabile dalla conferenza di servizi decisoria del 25/07/2005:
    certificazione di avvenuta bonifica della provincia della Spezia del 15/02/2013.

  L'autorità portuale della Spezia oltre all'attività istituzionale di monitoraggio e controllo svolta anche per tramite di ICRAM, ARPAL, ASL, ha svolto attività di controllo e indagini di polizia giudiziaria su mandato di diverse procure della Repubblica.Pag. 155
  Nella sua relazione l'autorità ha ricostruito puntualmente lo sviluppo delle opere di banchinamento e di riempimento a mare realizzate nell'ambito del porto della Spezia.
  Di interesse per la vicenda in esame i lavori di ampliamento e ristrutturazione del Molo Garibaldi, aggiudicati con gara pubblica all'ATI con capogruppo la Società Italiana per Condotte d'Acqua SpA di Roma e mandataria la Società Ing. Nino Ferrari SpA di La Spezia, che hanno avuto inizio il nell'ottobre 2001, sono stati più volte sospesi e poi ultimati nel luglio 2013. I tempi di realizzazione sono derivati anche dall'inserimento dell'intero specchio acqueo del golfo della Spezia nel SIN di Pitelli, che ha comportato l'effettuazione di analisi chimiche e tossicologiche del materiale del fondo marino prima della realizzazione del riempimento, con smaltimento del materiale che superava i limiti tabellari di inquinamento.
  Così l'autorità riferisce di ulteriori significativi interventi: «successivamente il molo Garibaldi è stato interessato da riempimenti per oltre 400 mila metri cubi di materiale inerte proveniente da impianti di produzione di materia prima seconda (tipo InertEco), da cave o da altri cantieri (in particolare dal terzo lotto della variante Aurelia) previa verifica della conformità delle terre di scavo e loro esplicita esclusione dal regime dei rifiuti. In tale riempimento sono state sversate modeste quantità di materiali provenienti da Vernazza (Cinque Terre) a seguito dell'alluvione del 2011 previa certificazione di conformità di ARPAL».
  La conformità dei materiali di riempimento impiegati alla normativa vigente al momento della realizzazione è stata attestata da soggetti deputati al controllo ambientale (Polizia provinciale, NOE, ARPAL).
  È interessante rilevare come un ulteriore controllo fosse garantito dal fatto che trovandosi i cantieri all'interno alla cinta doganale, i mezzi di trasporto impiegati per il conferimento dei materiali hanno sempre dovuto attraversare i varchi portuali presidiati da Guardia di finanza, Dogana e Polizia di frontiera.
  L'autorità richiama le attività svolte sia prima che dopo la perimetrazione del SIN, il che rileva ad attestare un monitoraggio della situazione ambientale esteso nel corso del tempo e tuttora in atto:
  «L'AP, prima dell'istituzione del sito di Pitelli, per la realizzazione dei dragaggi portuali effettuò analisi della superficie del fondale marino ai sensi del decreto del Ministro dell'ambiente del gennaio 1996 e, sulla base dello stesso decreto, richiese l'autorizzazione agli sversamenti a mare al Ministero dell'ambiente tramite la Capitaneria di porto. L'unica attività effettuata in quell'epoca risale al 1996, nella zona del molo Garibaldi di levante, per circa 100 mila metri cubi. Di materiale dragato e sversato in mare a circa 15 miglia al largo del Tino.
  Preme ricordare che, dopo il decreto di perimetrazione del sito di interesse nazionale di Pitelli del 10 gennaio 2001, dal 2000 al 2004 sono state realizzate imponenti campagne di caratterizzazione dell'intero Golfo, con magliatura 50 per 50 metri (profondità 2 e 3 metri con 6/7 campioni ogni carota) nelle aree prossime alla costa e in tutte le aree del porto commerciale, nonché secondo transetti predefiniti Pag. 156nella parte centrale del golfo. Tali controlli sono tuttora in corso di aggiornamento per le aree sottoposte a bonifica (con nuove analisi effettuate prima e dopo l'esecuzione dei lavori). Le analisi, eseguite da ARPAL, ICRAM, Sviluppo Italia e AP per la parte di competenza, hanno rivelato livelli di inquinamento mai pericolosi e, comunque, riconducibili più alle attività industriali che hanno caratterizzato per tutto il secolo scorso il Golfo, soprattutto nella parte di Levante, piuttosto che riconducibili alle tipologie di inquinamento della discarica di Pitelli».
  Il riferimento è alla presenza nel corso del ’900 di attività industriali site in ambito urbano e limitrofo quali una fabbrica di piombo; una raffineria di petrolio; fonderie; diversi cantieri di demolizioni navali; una centrale elettrica a carbone ancora in funzione, fabbriche di piastrelle, di laterizi; tutte queste attività oggi non esistono più, ad eccezione della centrale, che secondo l'Autorità Portuale è stata interessata a vari processi di efficientamento ambientale.
  A seguito del «Progetto preliminare di bonifica dell'area marina inclusa nella perimetrazione del sito di interesse nazionale di Pitelli» redatto da ICRAM nel marzo 2005, l'autorità portuale della Spezia ha presentato cinque progetti di bonifica del fondale marino interno al porto commerciale e il Ministero dell'ambiente, di concerto con il Ministero della sanità e dello sviluppo economico, ha sottoscritto cinque Decreti di bonifica nel dicembre 2005. Nell'anno 2010 l'Autorità ha richiesto l'autorizzazione alla bonifica del fondale marino sottostante il Ponte Revel di collegamento della città con il Porto Mirabelle; il relativo decreto è stato rilasciato dal Ministero dell'ambiente – direzione qualità della vita e l'area è stata bonificata e svincolata dalla provincia della Spezia.
  Per tutte le operazioni di bonifica non sono mai stati erogati contributi del Ministero dell'ambiente e sono stati impiegati fondi del Ministero delle infrastrutture destinati alle operazioni di dragaggio, di concerto con lo stesso Ministero.
  Relativamente ai cinque decreti di bonifica l'autorità portuale ha effettuato e concluso, con lo svincolo dello specchio acqueo, i lavori dei fondali prospicienti il terminal Ravano; sta portando a termine la bonifica dei fondali del bacino di evoluzione navi; ha aggiudicato la gara per la bonifica dei fondali del molo Garibaldi e sta aggiudicando la gara per la bonifica del molo Fornelli est.
  Per il quinto decreto relativo al molo Italia l'autorità sta procedendo, d'intesa con la regione Liguria, all'affidamento di incarico all'Università Cà Foscari di Venezia per realizzare l'ossigenazione del fondale al fine di ridurre gli idrocarburi presenti (si tratta di una tecnica già utilizzata in modo soddisfacente all'interno dell'Arsenale di Venezia).
  Con decreto interministeriale, è stata autorizzata la bonifica del fondale interno al porticciolo Mirabello (bonifica effettuata per l'80 per cento direttamente dal concessionario dell'area).
  Gli interventi complessivi hanno determinato un impegno di spesa di circa 120 milioni di euro e, una volta ultimati, tutto lo specchio acqueo della parte nord del golfo verrà svincolato e restituito agli usi legittimi.Pag. 157
  Dall'anno 2004 è in corso il piano di monitoraggio degli specchi acquei interni al golfo da parte di ARPAL, ISPRA, ISS e Asl n. 5 Spezzino per l'individuazione di eventuali criticità sia durante l'attività di bonifica, sia durante le normali attività interne al golfo. Il monitoraggio utilizza sonde multiparametriche fisse per la verifica delle zone interessate dall'itticoltura e mitilicoltura, e mobili per le altre zone del golfo. Tutti i dati validati dagli enti di controllo sono disponibili nel sito dell'AP e dell'Università di Genova (sito MaCiSte).
  ARPAL ha riferito di avere sino ad oggi proseguito il monitoraggio stagionale del golfo della Spezia per tenere sotto controllo eventuali impatti dovuti al dragaggio/bonifica dei sedimenti marini. Inoltre ha effettuato il controllo durante la bonifica e i campionamenti/analisi di fondo scavo per il collaudo di avvenuta bonifica.
  Dal 2012 al 2014 la bonifica ha riguardato il Bacino di evoluzione: ARPAL ha eseguito tutti i campioni di validazione della vecchia caratterizzazione, il controllo e i campioni di collaudo avvenuta bonifica), il Molo Garibaldi (ARPAL ha eseguito caratterizzazione integrativa e controllo), il Molo Fornelli Ovest (ARPAL ha eseguito tutti i campioni di validazione della vecchia caratterizzazione e il controllo durante il dragaggio), il Molo Fornelli Est (ARPAL ha eseguito tutti i campioni di validazione della precedente caratterizzazione: la bonifica/dragaggio deve iniziare nel 2015).
  In epoche diverse sono stati lanciati allarmi alla Spezia su un ipotizzato inquinamento radiogeno delle banchine portuali.
  L'autorità portuale riferisce, inequivocabilmente, sul punto: «si rappresenta come durante le normali attività di controllo sui contenitori e su rottami di ferro, previste dalla normativa vigente ed eseguite da esperti qualificati, siano state eseguite decine di migliaia di rilevazioni dalle quali è stato possibile monitorare nel corso degli anni circa l'80 per cento delle superfici portuali, senza che siano mai emersi superamenti del limite di dose efficace annuo di 1 mSv (un millisievert) previsto dalla normativa vigente per le persone del pubblico (decreto legislativo n. 239 del 1995 e decreto legislativo n. 241 del 2000). Pertanto, come dichiarato da esperti qualificati, non sussiste alcun rischio significativo per la popolazione e per gli operatori portuali. In ogni caso, l'AP ha recentemente affidato l'incarico di monitorare ulteriormente gli spazi, arrivando al 100 per cento della superficie delle banchine e dei moli. Analogo controllo, nell'area del molo Fornelli nel porto mercantile della Spezia, senza rilevare alcuno scostamento del livello di fondo della radioattività ambientale rispetto a quanto misurabile nel territorio urbano della Spezia risulta da annotazione dei Vigili del fuoco indirizzata nel febbraio 2014 alla procura della Repubblica della Spezia.
  L'attività era stata promossa dal reparto ambientale marino del Corpo delle capitanerie di porto – su indicazione del Ministro dell'ambiente – che ha agito in coordinamento con la Capitaneria di porto della Spezia, i Vigili del fuoco della direzione della Liguria e del comando provinciale della Spezia e con ARPAL.
  L'ingiustificato allarme, che aveva dato luogo a una riunione coordinata dalla prefettura della Spezia e alla successiva attività di cui s’è detto, era stato lanciato da una trasmissione televisiva («Presa diretta»).Pag. 158
  Su quest'ultimo episodio ha riferito alla Commissione anche il sostituto procuratore della Repubblica della Spezia incaricato delle indagini, che ha escluso la concretezza dell'allarme enfatizzato televisivamente e ha parlato anche di altri esiti di indagini che danno un'immagine attualizzata dell'inquinamento da rifiuti a Pitelli:
  «Lo spunto è stato una trasmissione televisiva, che ha proposto un soggetto che, travisato in televisione, ha raccontato di essere stato testimone oculare di tombamenti e affondamenti di materiale radioattivo e quant'altro.

  Abbiamo subito cercato di individuare questo soggetto. È emerso che questo soggetto non era altro che l'investigatore privato di una di queste associazioni, che aveva travisato e reso queste dichiarazioni, che poi erano state a loro volta montate giornalisticamente con intercettazioni telefoniche che riguardavano la vicenda di Pitelli. Era stato fatto una sorta di montaggio, per cui alla fine la notizia che arrivava a valle era molto diversa da come era a monte.
  Nonostante questo, si è cercato, anche col Corpo forestale dello Stato, di approfondire certi aspetti, riattivando delle fonti confidenziali del Corpo stesso. Questo forse è l'aspetto più interessante: attraverso queste fonti confidenziali gestite, però, dal Corpo forestale dello Stato, sono state individuate cinque zone all'interno delle quali potrebbero essere stati interrati dei rifiuti.
  Ovviamente in queste zone, prima di procedere a scavi, il Corpo forestale dello Stato ha utilizzato degli strumenti geomagnetici per verificare che ci fosse una massa sospetta. In alcuni casi la massa sospetta c'era, in altri casi non c'era proprio. Dove c'era, scavando sono stati trovati dei depositi di rifiuti.
  Tuttavia, si tratta – detto chiaramente – di fatti penalmente trascurabili, nel senso che, per fortuna, né la tipologia del rifiuto, né la quantità del rifiuto, né la datazione della discarica consentono alcun tipo di sviluppo da un punto di vista penalistico.
  Per esempio, si tratta di interramenti avvenuti negli anni 1970 o al massimo negli anni 1980. In un caso è stato trovato un veicolo sotterrato, che è un rifiuto a tutti gli effetti; in altri casi rifiuti derivanti da demolizioni di case, piuttosto che marmettola, che è lo scarto del marmo, e altri rifiuti di questo tipo.
  Nulla di quello che le fonti confidenziali sospettavano fosse stato interrato, ovvero scorie radioattive o addirittura diossina.
  Completo dicendo che, sempre nell'ottica di fare chiarezza su queste voci o, a volte, secondo me, leggende metropolitane che aleggiano intorno a una vicenda vera, che è quella di Pitelli, col Corpo forestale dello Stato, con i vigili del fuoco, con l'ASL e con l'ARPA abbiamo fatto una serie di attività preliminari.
  Sono stati passati georadar in tutta la zona del porto per vedere se ci fossero delle fonti radioattive. L'esito di questo accertamento è stato negativo.
  Abbiamo analizzato le acque dell'acquedotto, siccome alcune fonti parlavano anche di un possibile avvelenamento o comunque di un inquinamento delle acque che venivano convogliate nell'acquedotto pubblico. Anche in quel caso il risultato è stato negativo.Pag. 159
  Abbiamo analizzato tutti i rifiuti che in questi singoli siti abbiamo rinvenuto, per verificare se c'erano tracce di diossina o quant'altro. Anche in quel caso il risultato è stato negativo.
  Alla fine anche questa vicenda nata nel 2014 si sta lentamente sgonfiando, nel senso che rifiuti ci sono, ma sono assolutamente penalmente trascurabili».
  Analoghe considerazioni sono state svolte dal medesimo magistrato su altri esposti riguardanti il medesimo contesto:
  «La prima cosa è stata proprio andare a vedere che cosa era già stato fatto, visto che molte delle questioni che venivano sollevate erano molto datate. Si è partiti da lì cercando di trovare dei riscontri.
  Soprattutto il primo esposto era talmente generico e talmente fumoso che non è stato possibile ottenere dei risultati. I testimoni che avrebbero dovuto darci un supporto si sono dissolti come neve al sole. Era tutto un riferito da persone non conosciute, non riconoscibili, non individuabili e non rintracciabili».
  A sua volta il procuratore della Repubblica di Genova ha confermato l'inesistenza di esiti significativi di indagine in un procedimento rubricato come violazione dell'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 riguardante la discarica di Pitelli, a partire da alcune dichiarazioni di un collaboratore di giustizia apparse sulla stampa.
  Le audizioni del direttore generale ARPAL e della direttrice del dipartimento ARPAL della Spezia hanno dato conto sia delle attività svolte in passato sia dell'evoluzione più recente, garantendo l'avvenuta effettuazione di una caratterizzazione con adeguata maglia e un compiuto controllo della falda e conoscenza dei relativi movimenti.
  Criticità rilevate sono state, per quanto riferito, una presenza anomala di solfati relativamente alla quale uno studio con l'Università di Genova e ACAM, ha verificato che i solfati erano principalmente di origine termale (il metodo utilizzato sulla base del rapporto solfati/cloruri, permette di definire se si tratta di inquinamento antropico, da sorgente termale o cuneo salino).
  In alcuni punti aree sono stati rinvenuti residui di fusti e pneumatici; le indagini su questi rifiuti, ad opera del Corpo forestale dello Stato, sono in corso; in altri singoli punti dell'area si è evidenziata la presenza di residui e cascami.
  La direttrice del dipartimento ARPAL della Spezia ha così sintetizzato la situazione attuale del sito: «messa in sicurezza a stadi diversi, presumo con i proprietari diversi. ENEL e Terna sono a posto. Questo sito è stato nazionale, è stato regionale e il prossimo passo è che non sia più niente, perché adesso è stata stanziata una cifra che si spera avvii alla risoluzione del problema. Bisogna che i privati facciano la loro parte ma il pubblico si dà da fare. Quella che lavorava il piombo nel comune della Spezia è in liquidazione, però ha portato abbastanza avanti l'attività di indagine, la caratterizzazione era fatta e ha anche presentato dei progetti di bonifica che sono arrivati in conferenza dei servizi anche a livello regionale, anche perché il liquidatore voleva cedere un'area a posto. In tutta la cantieristica navale la parte terra è a posto, e alla fine di questa indagine si è rivelato che in genere le discariche portano l'inquinamento soprattutto delle acque, del sottosuolo, mentre l'inquinamento trovato è pesante, Pag. 160da piombo e da policiclici aromatici, policiclici dovuti a un inquinamento antropico diffuso, ma il piombo è caratteristico proprio delle due produzioni che c'erano nella zona. Quello della Penox è abbastanza contenuto, cioè livelli superiori alla CSR di analisi di rischio, ma comunque non spaventosi, mentre nella zona di Pertusola, a Lerici, dove è stata anche demolita la ciminiera, c’è ancora una sorgente primaria, quindi il primo investimento deve essere fatto per eliminare ovviamente la sorgente primaria. L'inquinamento sia nell'area della proprietà privata, che però non è il soggetto inquinatore, ma è una proprietà privata che inquinerà anche, ma non di quell'inquinamento perché è la Navalmare, però sembra che abbia dimostrato una volontà di intervenire. Visto che adesso la regione ha stanziato una certa cifra, è sembrato di capire che ci sia la volontà di intervenire del privato e dell'autorità portuale, però lì l'inquinamento è pesantissimo, con livelli anche di 14.000 milligrammi chilo. Mentre il resto di Pitelli è un inquinamento a hot-spot (una ventina), ma se ne può uscire anche con un investimento contenuto, la zona di Navalmare è pesantemente inquinata anche a mare. La discarica capo, quella di Ruffino Pitelli, è praticamente in messa in sicurezza permanente che è stata approvata in conferenza dei servizi, però c’è il problema che in questo momento loro possano mettere terre e rocce. Si sperava nei lavori della strada che stavano facendo a La Spezia, perché c’è un controllo di primo e di secondo livello, ma anche come controllo sembrava più facile gestire un arrivo di una quantità più grossa piuttosto che tutte le piccole quantità che arrivano. Loro vanno molto lenti a riempirla». È stato precisato che nell'ultimo anno a fronte della previsione di una necessità a riempimento di ottantamila metri cubi ne sono stati conferiti circa diecimila.
  Il tema dell'uso di terre e rocce da scavo per la copertura della discarica è di portata generale: declinata in specifico, per quanto riguarda Pitelli, in una questione ulteriore che riguarda l'utilizzazione di materiali di dragaggio provenienti dal torrente Lagora.
  Le terre destinate al riempimento della discarica di Ruffino Pitelli sono soggette a un parere ARPAL, formulato sulla base di risultati analitici; secondo quanto riferito dalla direttrice del dipartimento locale «c’è poi un controllo di primo livello che è fatto dalla polizia municipale e un controllo di secondo livello che è fatto da noi quando veniamo chiamati dalla polizia municipale (ad esempio per un odore) o ci andiamo ogni tanto e facciamo un campione».
  Con maggior precisione la dirigente dell'assessorato all'ambiente del comune della Spezia ha riferito che il comune ha costituito una sorta di tavolo tecnico inter-enti con il Corpo forestale dello Stato, Polizia municipale e ARPAL per svolgere verifiche ed effettuare controlli sui mezzi a campione.
  Nel caso specifico del dragaggio del Lagora, ARPAL aveva eseguito una caratterizzazione nel 2010, chiesta dal comune: gli esami, comprensivi di test di cessione, avevamo segnalato valori conformi a limiti.
  In seguito il comune ha commissionato le analisi a un soggetto privato. Gli esiti sono stati «recepiti» senza controanalisi da ARPAL, la cui direttrice di dipartimento così si è espressa: «probabilmente quando hanno deciso di farlo hanno fatto la caratterizzazione per una Pag. 161certa area, il comune ce l'ha presentata fatta da un laboratorio, noi abbiamo dato parere positivo anche rincuorati dal fatto che le nostre analisi precedenti andavano bene. Siccome poi un trasportatore a cui era stato commissionato il trasporto era venuto a chiedere un consiglio, noi gli abbiamo suggerito di fare un campione del materiale che trasportava, che ha confermato dei valori sotto la colonna B».
  Per quello che riguarda i dragaggi del Lagora, sin dalle audizioni del sindaco della Spezia e dell'Assessore all'ambiente del medesimo comune, la Commissione ha chiesto chiarimenti, considerata l'attenzione pubblica sulla notizia dell'affidamento delle attività di caratterizzazione a Iacopo Tinti, professionista di fiducia, e socio del nella New Ambiente Srl, di Orazio Duvia, principale imputato nel processo per il disastro ambientale di Pitelli.
  La questione della posizione del Duvia e di persone a lui collegate è rilevante poiché egli appare centrale in ricostruzioni investigative acquisite dalla Commissione d'inchiesta sul ciclo illecito dei rifiuti nel corso della XIV Legislatura.
  Nell'audizione del 18 marzo 2004 il pubblico ministero della Spezia, Silvio Franz, riferiva che, occupandosi dell'ipotesi di reato di disastro ambientale a Pitelli si era imbattuto in alcuni episodi, peraltro risalenti nel tempo, connessi con il trasferimento di rifiuti tossico-nocivi in alcuni paesi europei e con un tentativo di trasferimento in Nigeria: «faccio riferimento in particolare al trasferimento di rifiuti tossico-nocivi prodotti dall'ACNA di Cengio fino a metà degli anni ottanta. Ricordo brevemente che l'ACNA produceva una quantità notevole di rifiuti tossico-nocivi, che verso la metà degli anni ottanta erano diventati ingestibili e erano stati stoccati presso lo stabilimento. A quel punto, su sollecitazione delle autorità preposte alla tutela dell'ambiente e in una situazione di degrado ambientale estremamente preoccupante, l'ACNA decise, attraverso società contattate direttamente e spesso attraverso prestanome o intermediari, di allocare e trattare, in pratica di eliminare i rifiuti tossico-nocivi, trasferendoli o facendoli trattare in paesi europei ed extraeuropei. Questo avvenne con le famose «navi dei veleni», che portarono nei paesi extraeuropei – sono in possesso di riferimenti solo per la Nigeria, ma se ben ricordo vi erano altri elementi che però non erano comparsi specificamente nella mia indagine; in particolare, i tentativi furono fatti con la Nigeria, ma subito dopo lo scandalo delle navi dei veleni, che determinò il ritorno di parte dei rifiuti tossico-nocivi stoccati in Nigeria e in Italia, questo filone venne meno, mentre fu coltivato il trattamento di rifiuti tossico-nocivi in stabilimenti in Francia, vicino a Marsiglia, della società Solamat, e in Romania, dove furono portati [...] rifiuti tossico-nocivi, sempre dell'ACNA di Cengio, attraverso tutta una serie di intermediari, tra i quali in particolare gli appartenenti alle società del gruppo Duvia, fatto che mi permise di incrociare queste attività. Il tutto avveniva alla fine degli anni ottanta, inizio anni novanta. Noi arrivammo all'ACNA attraverso la documentazione in nero delle dazioni di Duvia, che era il titolare della società che gestiva Pitelli; aveva una contabilità in nero, dove erano indicate con estrema precisione una serie di elargizioni a pubblici ufficiali e non».
  Sempre secondo il pubblico ministero particolarmente significativi erano anche i contatti intrattenuti da società del Duvia in Romania, Pag. 162ritenuti esemplificativi di un sistema illecito di trattamento dei rifiuti che coinvolgeva network internazionali: «quel che abbiamo percepito sicuramente è che, attraverso tutta una serie di triangolazioni e di passaggi assolutamente ingiustificati dal lato economico e anche organizzativo, questi rifiuti tossico-nocivi sono passati, dal punto di vista cartolare, attraverso diverse società, per poi finire in siti e in realtà dove il controllo sull'effettivo trattamento degli stessi non è stato possibile». Durante una perquisizione effettuata dal Corpo forestale dello Stato, su decreto della procura di Asti, negli uffici di Orazio Duvia veniva sequestrata documentazione relativa alla contabilità in nero del gruppo, con le annotazioni delle dazioni in denaro. I reati contestati sono stati dichiarati prescritti nel 2007.
  Si riporta testualmente l'interlocuzione tra l'assessore all'ambiente e la Commissione:
  «Il Lagora è il canale, che separa la città dall'arsenale. Su questo c’è stato un progetto comunitario. Le analisi sono state svolte da ARPAL, che ha individuato quali erano i fanghi che potevano essere portati, in base al decreto emanato in Conferenza dei servizi dal Ministero dell'ambiente, e quelli che invece, per le loro caratteristiche, non potevano essere portati.
  Siccome sono passati due anni, prima di partire sono state fatte ulteriori indagini, validate da ARPAL.
  Presidente. Sono state svolte da questo geologo famoso ?
  Davide Natale, Assessore all'ambiente del comune di La Spezia. No.
  Presidente. Tutto ruota intorno a questo geologo, Tinti.
  Davide Natale, Assessore all'ambiente del comune di La Spezia. No. Sarebbe stato particolare se Tinti non l'avesse preso in carico, perché è il responsabile della discarica. Tuttavia, non è quello che ha fatto il lavoro per noi».

  Risulta da documenti pervenuti alla Commissione [doc. n. 201–001 e 210–002] l'esistenza di una «relazione di caratterizzazione delle terre e rocce da scavo redatta ai sensi dell'articolo 41 bis della legge n.  98 del 2013», con «modulistica costituente la prima sezione [...] preventivamente concordata con l'ARPAL dipartimento La Spezia».
  La caratterizzazione riguarda quale sito di origine il Torrente Lagora, tratto Viale Fieschi – Ponte Sprugola, ed è del seguente tenore:
  «i materiali da scavo provenienti dal sito di produzione identificato nella «Sezione B» della presente dichiarazione, sono sottoposti al regime di cui all'articolo 184 bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 poiché rispettano la disposizione [testuale] di cui all'articolo 41 bis del decreto legge 21 giugno 2013 no 69 convertito con modifiche nella legge n. 98 del 9 agosto 2013».
  Viene dichiarato quale sito di destinazione l'intervento di messa in sicurezza permanente mediante «riempimento della IV vasca di colmata della ex discarica di Ruffìno-Pitelli».
  La relazione, del dicembre 2013 è opera di Envitech Srl – Servizi e tecnologie per l'ambiente, e reca in intestazione, quali soggetti Pag. 163costituenti il gruppo di lavoro, i seguenti nominativi: dott. geol. Iacopo Tinti e dott. Edoardo Zaccagnini.

  Con nota inviata alla Commissione successivamente all'audizione, il sindaco della Spezia ha ricostruito la vicenda del dragaggio del Lagora, nei termini che seguono:
  «I lavori di riqualificazione dell'ambito fluviale del Canale Lagora, per un importo complessivo di 100.000 euro, sono inseriti e finanziati nei programma POR FERS 2007 – 2014. Al fine della redazione del progetto preliminare, nel 2010, è stata eseguita da ARPAL, su richiesta del comune, una prima campagna di prelievi di campioni e analisi finalizzate alla conoscenza delle caratteristiche dei materiali presenti in alveo e da asportare per il ripristino della sezione idraulica del corso d'acqua.
  In data 26 luglio 2010, ARPAL ha eseguito 5 campionamenti di sedimenti, eseguito le analisi e, con nota prot. 1757 del 20 gennaio 2011, trasmesso le risultanze degli esami effettuati, (allegato A).
  Da questa campagna è emerso che i sedimenti compresi nel tratto tra viale Fieschi e il ponte di Porta Sprugola, oggetto d'intervento, potevano essere recuperati e/o utilizzati per riempimenti, reinterri come terre e rocce da scavo, in aree industriali.
  Nel 2013, al fine della redazione del progetto esecutivo e in considerazione del tempo trascorso, il comune ha voluto effettuare una seconda e nuova serie di prelievi e analisi dei materiali presenti nel tratto oggetto di intervento, ovvero quello parallelo a viale Amendola e ricompreso tra via Fieschi e il ponte Porta Sprugola. Questa attività, su incarico del comune, è stata eseguita dal Laboratorio «Analysis di Nedo Campigli e C., con sede in via del Molo 64 a La Spezia», (allegato B).
  II tratto del canale Lagora, interessato dall'intervento, ha uno sviluppo di 340 metri e in questo tratto, in questa fase, sono stati prelevati e analizzati tre campioni di sedimenti. Le analisi hanno dimostrato che i campioni dei sedimenti ubicati nella zone più esterni alla tratta rientravano nei limi di concentrazione degli inquinanti previsti dalla colonna B della tabella allegata al decreto ministeriale n. 471 del 1999, ovvero compatibile con suoli destinati a uso industriale e commerciale, mentre il campione del sedimento della zona centrale rientrava nel limiti di tabella A, ovvero compatibile con suoli destinati a uso agricolo e residenziale.
  Sulla base della caratterizzazione delle terre da scavare è stata eseguita una indagine di mercato per individuare l'impiego più vantaggioso. È stata quindi scelta la possibilità di reimpiego delle terre per la bonifica della ex discarica di Pitelli, in quel momento in corso ai sensi dell'autorizzazione rilasciata dal Ministero dell'ambiente n. 628/TRI/DI/B del 23 settembre 2010.
  Ai sensi dell'articolo 41 bis della legge 98 del 2013, in accordo con il gestore del sito utilizzatore, è stata predisposta dalla società Envitech, sulla base della caratterizzazione e degli esami eseguiti per conto del comune dalla società Analysis di Nedo Campigli e C., il «piano di riutilizzo dei sedimenti» (allegato C).
  II piano è stato trasmesso all'ARPAL che ha espresso, con nota prot. 1258 del 17 gennaio 2014 (allegato D), parere favorevole al Pag. 164conferimento di circa 2400 metri cubi di terra e rocce da scavo presso la ex discarica di Pitelli in comune della Spezia.
  È stata quindi affidato mediante cottimo fiduciario, alla società New Ambiente, il conferimento del predetto materiale per essere impiegato nelle operazioni di messa in sicurezza permanente della discarica Ruffino/Pitelli per un importo complessivo di 25.132 euro, come si evince dalla determinazione n. 682 del 3 febbraio 2014 (allegato E).
  I lavori di riqualificazione dell'ambito fluviale del Canale Lagora sono stati affidati all'impresa Sciacca Antonino Srl, con determinazione n. 7307 del 13 dicembre 2013 (allegato F). I lavori sono iniziati in data 20 marzo 2014, giusto verbale di consegna redatto in pari data, e completati in data 9 luglio 2014.
  Iniziati i lavori i sedimenti sono stati accumulati dall'Impresa Sciacca nell'alveo, in area asciutta, al fine di ridurre il contenuto di acqua. In questa fase sono state eseguite, per conto dell'Impresa Sciacca da parte del laboratorio Analysis, analisi in cumulo, che hanno confermato i risultati delle analisi precedentemente eseguite (rapporto di prova n. 14/1618 del 23 maggio 2014 su prelievo eseguito in data 15 maggio 2014) – vedi allegato – la società New Ambiente, per proprio conto, ha prelevato e fatto eseguire analisi in cumulo del predetto materiale sempre dal laboratorio Analysis (rapporto di prova n. 14/1633 e 1634 del 23 maggio 2014 su prelievo eseguito in data 16 maggio 2014) – vedi allegato H)».
  Alla nota è allegato il documento della predetta Envitech Srl, di cui sopra s’è detto, da cui risulta l'opera prestata da Iacopo Tinti; l'ARPAL della Spezia ha dato «parere favorevole al conferimento di circa 2400 metri cubi di terre e rocce di scavo, provenienti dai lavori di sistemazione idraulica del torrente Lagora, nel tratto compreso tra viale Fieschi incrocio Viale Garibaldi e Porta Sprugola, presso la ex discarica in località Pitelli in comune della Spezia», sulla base della documentazione proveniente da Envitech Srl.
  Una valutazione delle passate scelte e un'indicazione di prospettiva si è avuta dalle audizioni dell'allora presidente della regione Liguria e della direttrice del dipartimento ambiente della regione Liguria, la quale ha richiamato i progetti per l'area di Saturnia:
  «In merito a Saturnia ad oggi è stata fatta la caratterizzazione. C’è un'area molto ristretta che è stata oggetto di smaltimento rifiuti sempre intorno agli anni Settanta, nonché di smaltimento delle ceneri dell'ENEL. Tutto il resto dell'area è stato caratterizzato e non è stato rilevato alcun tipo di inquinamento. In più, è da parecchio tempo che ARPAL fa le analisi su alcuni pozzi che si trovano a valle di quest'area. Sono tutte analisi che non rilevano assolutamente alcuna forma di inquinamento. Da quando questo sito da SIN è passato a Sito di interesse regionale la regione ha fatto una conferenza dei servizi, verificando queste situazioni e stabilendo che tutta l'area di Saturnia che non era interessata da inquinamento poteva essere utilizzata. Di fatto la zona è una sorta di crogiolo, di conca.
  Era necessaria, invece, la bonifica del pezzo interessato dallo smaltimento dei rifiuti, anche se ad oggi, essendo state fatte delle analisi, si è visto che non si tratta di un grosso quantitativo e che il sito comunque è completamente mineralizzato e dilavato. È in itinere, Pag. 165quindi, una gara che riguarda proprio la realizzazione della discarica nella parte non interessata dall'inquinamento. Per quanto riguarda, invece, la parte interessata dai rifiuti, deve essere contestualmente effettuata la bonifica».
  Quello di Saturnia è un invaso molto capiente, dove negli anni passati sono state portate circa 35.000 tonnellate di ceneri dell'ENEL e poche migliaia di tonnellate di rifiuti urbani.
  Il comune della Spezia ha confermato non deve trattarsi di una discarica di servizio, ma deve essere un sito chiuso e bonificato, attraverso una messa in sicurezza permanente, utilizzando il 50 per cento di terre e rocce vergini da scavo e il 50 per cento di FOS (assumendone l'utilizzabilità a questo fine senza mutare la natura del sito in discarica).
  Il consiglio comunale ha definito in sette anni l'arco temporale per concludere questa attività, con il conferimento di circa 700.000 metri cubi, di cui il 50 per cento di FOS e il 50 per cento di terre e rocce da scavo.
  Su sollecitazione della Commissione, l'assessore all'ambiente del comune della Spezia ha dichiarato: «sui quantitativi che noi utilizziamo, abbiamo detto chiaramente che noi dall'impianto di Saliceti noi produrremo circa 20.000 tonnellate di FOS. È logico che nei sette anni non ci stanno. È matematica. Tuttavia, è anche logico che questo non impedisce che si porti FOS da altre province, come abbiamo fatto nei decenni passati in altri siti, in quei casi purtroppo utilizzandolo tal quale. Se noi siamo d'appoggio ad altre realtà, come stabilito dalla normativa e dalle ordinanze, non capisco perché non possa essere utilizzato il FOS di altre province».
  Altra questione che desta perplessità è che la proprietà che ha gestito la discarica di Pitelli coincide con il soggetto proponente del progetto: ma sul punto i rappresentanti dell'amministrazione comunale hanno fatto rilevare che vi sono profili di contrarietà a legge.
  Le audizioni di associazioni e comitati locali, storicamente creatisi per il controllo da parte della cittadinanza della situazione del sito di Pitelli, hanno consentito di dar conto delle preoccupazioni e della volontà di continuare a seguire puntualmente l'evoluzione della situazione.
  La critica più incisiva e la conseguente preoccupazione, riguarda le modalità concrete con si interverrà d'ora in avanti sul sito e quale sarà l'effettiva natura dei materiali che vi verranno abbancati, considerata la limitata produzione di FOS (destinata a decrescere con il previsto aumento della raccolta differenziata) e la non sicura disponibilità di terre.
  In maniera netta l'allora presidente della regione Liguria ha individuato nel desiderio di ottenere «risorse infinite» la risalente scelta di attribuire a Pitelli la qualifica di SIN, attribuendo al successivo intervento della regione la qualità di una scelta più concreta: «la logica è stata: deperimetriamo e, dove c’è da fare, facciamo davvero».
  Il sindaco della Spezia ha usato toni fortemente critici rispetto all'esperienza del SIN assumendo la vicenda del territorio spezzino come esemplare di un sistema caratterizzato da grande dispendio di risorse, senza essere riuscito a raggiungere i propri obiettivi.Pag. 166
  Il passaggio alla competenza della regione è invece valutato con favore: «l'interlocuzione con un ente più vicino ha permesso di raggiungere già dei risultati, perché c’è stato un primo stanziamento di risorse e finalmente si può anche intervenire sulla parte pubblica o dei privati non inquinatori, con un progetto che comincerà a essere realizzato nei prossimi mesi e che permetterà di ottenere qualche risultato anche in questo ambito»; e in maniera più chiara ed estesa, interloquendo con la Commissione: «Sono passati più di dieci anni e quel provvedimento ha sostanzialmente ingessato il territorio, perché ci sono vincoli di ogni tipo.
  Era auspicabile che, essendo sito nazionale di bonifica, ci fossero anche i benefici del caso e, dunque, arrivassero le risorse per fare un pezzettino di bonifica. Dopo dieci anni, non è successo assolutamente niente. Quando si chiedeva una conferenza dei servizi, dalla richiesta alla convocazione della conferenza passava più di un anno. Per dieci anni si è stati dentro un castello kafkiano e si vedeva invece un movimento di risorse notevoli che venivano sprecate.
  Il SIR significa avere a che fare con la propria regione, cioè poter guardare in faccia l'interlocutore, che sa di cosa stiamo parlando.
  L'amministrazione comunale è riuscita a ottenere complessivamente non una cifra impressionante, ma tre milioni di euro, da poter finalmente dedicare a un'operazione importante di bonifica di quel territorio.
  Il sindaco è stato oggetto di critiche molto dure da parte di alcune organizzazioni ambientaliste, che privilegiavano questa dimensione del sito nazionale di bonifica, ma senza che si capisse bene perché.
  Queste risorse, per quanto riguarda la parte del comune della Spezia, verranno impiegate per risolvere gli hot spot, cioè i punti più caldi dell'analisi di rischio. Naturalmente non nelle parti a carico degli inquinatori, ma nelle parti pubbliche oppure di privati che non sono inquinatori.
  La regione ha dato incarico al comune di sviluppare questo progetto, che è in corso».
  Il sindaco della Spezia lamenta l'addensarsi di notizie allarmanti sulla presunta presenza di rifiuti tossici e radioattivi (della cui inconsistenza si è sopra dato conto) e che non è in grado di ascrivere alla categoria delle leggende metropolitane (magari amplificate da un uso compulsivo e irrazionale dei social media) ovvero del dolo interessato di uno o più soggetti.
  L'amministrazione locale è dunque fortemente orientata alla chiusura della vicenda del sito di Pitelli «che – nelle parole del sindaco – sta caratterizzando e marchiando da troppi decenni questo territorio» e che egli arriva a qualificare come «una crudeltà sociale e politica che nessun territorio può sopportare».
  Tuttavia va osservato che il quadro che emerge dalle note ARPAL di aggiornamento della situazione al 22 ottobre 2015, acquisite dalla Commissione, è connotato dall'incompiutezza della gran parte delle attività finalizzate alla possibile restituzione integrale del sito ad usi legittimi, sinora avvenuta solo per alcune aree.
  Ritardi si segnalano per l'area ex Ipodec, contenente rifiuti speciali anche pericolosi, in cui la proprietà è inadempiente alle prescrizioni per la messa in sicurezza provvisoria di cui a conferenza Pag. 167dei servizi regionale del 4 dicembre 2013. Per la discarica di RSU Vallegrande «La Marina» vi è necessità di gestire il percolato; per la discarica di Saturnia deve essere ancora presentato il piano di messa in sicurezza provvisoria; per la discarica di proprietà Montada Srl si è provveduto a un intervento di messa in sicurezza di un fenomeno di dissesto avvenuto al piede della discarica in sponda sinistra ma la proprietà non ha realizzato l'adeguamento con capping approvato nel 2010 in conferenza dei servizi SIN (la gestione SIR non ha sinora affrontato amministrativamente il problema). Per i bacini di ceneri ENEL nella conferenza dei servizi SIN 21 luglio 2010 è stato chiesto a ENEL di presentare un progetto definitivo di messa in sicurezza provvisoria dei bacini entro novanta giorni, il progetto non è mai stato presentato e la gestione SIR non ha sinora affrontato amministrativamente il problema.
  La situazione della rilevante area comprendente la discarica di Ruffino Pitelli e l'inceneritore viene così riassunta nella nota ARPAL:
«Gestione SIN:
  - È stata caratterizzata la parte «vecchia» della discarica, ove i rifiuti speciali sono stati abbancati direttamente sul terreno. Sulla stessa sono stati effettuati interventi di MISE con capping con telo in HDPE.
  - La parte nuova della discarica, costituita da diverse vasche in parte sovrapposte, è dotata di sistemi di captazione biogas e di raccolta percolato, che viene raccolto nel pozzo 4 (in area raggiungibile da mezzi pesanti) e smaltito dalla proprietà.
  - Presentato progetto di MISP per tutta la discarica, approvato da MATT con decreto ministeriale 628 del 23/09/2010 dopo presentazione delle integrazioni richieste nella CdS del 18/12/07 e ulteriori integrazioni in risposta alle prescrizioni della CdS del 29/07/08.
  - Nell'ambito della MISP presentato progetto relativo alla sistemazione idraulica definitiva del fosso Canalone, approvato con nullaosta idraulico da parte della Difesa del suolo provincia della Spezia.
  - I lavori secondo cronoprogramma che prevedeva un intervento di 4 anni da inizio lavori dovevano essere completati entro gennaio 2015.
  - A gennaio 2011 sono iniziati i lavori di bonifica/MISP della discarica e del forno inceneritore con la prima fase costituita dalla demolizione e smaltimento del forno gestione SIR:
  - Nel mese di dicembre 2012 è iniziata la seconda fase del progetto, consistente nella regolarizzazione morfologica della discarica con conferimento di terre e rocce o altro materiale con caratteristiche idonee (tout venant di cava o materiali provenienti da impianti di recupero).
  - Ad oggi risulta praticamente completata la seconda fase. Rimangono da realizzare tutto il sistema di impermeabilizzazione e la «rinaturalizzazione» e la messa in sicurezza idraulica del fosso Canalone.
  - Attualmente la qualità delle acque sotterranee è monitorata da 4 piezometri posti intorno alla discarica, Le acque in generale si presentano non inquinate, si evidenziano alcuni spot puntuali ascrivibili alla discarica».Pag. 168
  Quanto alle aree industriali, per l'impianto Penox, ex PbO, non è stato presentato un piano di bonifica e la situazione è resa complessa dall'intervenuto fallimento della società; per la ex fonderia Pertusola – Navalmare è stato approvato un accordo di programma tra regione Liguria, Autorità portuale, comune di Lerici e Navalmare per finanziare gli interventi di bonifica ancora da effettuare, iniziando dallo smaltimento delle sorgenti primarie ancora presenti (condotto fumi e ceneri, rifiuti di vario genere).
  I presidi militari (tipologia D) non sono stati sottoposti a caratterizzazione o bonifica in quanto aree soggette a disciplina speciale che necessita ad accordi specifici tra Ministero dell'ambiente e Ministero della difesa.
  I privati non soggetti inquinatori (tipologia E) non sono stati obbligati ad effettuare un piano di caratterizzazione ma le loro proprietà sono state inserite nel piano delle aree pubbliche realizzato da ARPAL; la sola realizzazione di manufatti sulla loro proprietà è stata subordinata alla restituzione agli usi legittimi delle aree previa caratterizzazione ed eventuale bonifica, intervenuta ad oggi per diciotto piccole aree.
  Per quanto riguarda le aree pubbliche il piano di caratterizzazione era stato redatto da ARPAL, approvato dal Ministero dell'ambiente e la sua esecuzione assegnata ad ARPAL con deliberazione della Giunta regionale n.1028 del 7 agosto 2003. I risultati sono stati consegnati nel mese di ottobre 2005. Nel mese di febbraio 2012 si è concluso il monitoraggio delle acque sotterranee attraverso la rete di piezometri ARPAL ed è stata inviata la relazione finale dei risultati del monitoraggio alla regione Liguria e alla provincia e comune della Spezia.
  La matrice più contaminata è risultato il suolo entro il primo metro a carico della componente metalli (soprattutto piombo e a seguire zinco e mercurio) e in misura minore anche organica.
  Lo stato delle acque superficiali, oltre a inquinamento da piombo puntuale, nel fosso Pagliari, risulta compromesso a causa di un inquinamento organico diffuso e continuo in particolare per nitrati e salmonella.
  Le acque sotterranee risultano essere una delle matrici meno vulnerate nel sito di Pitelli, soprattutto se paragonate alla realtà evidenziata nei suoli superficiali; ciò è da mettere in relazione al tipo di circolazione delle acque esistente, che risente poco degli apporti delle acque percolanti attraverso gli strati superficiali del suolo.
  L'analisi di rischio di secondo livello porta ARPAL alle seguenti conclusioni e scelte operative:
  «Per le sub-aree in cui è risultata un'assenza di rischio sanitario, ad eccezione delle sub-aree 5/b e 3/c, si propone la restituzione agli usi legittimi con la conseguente deperimetrazione dei medesimi dal SIN di Pitelli, fatto salvo l'obbligo di eliminare le sorgenti primarie di contaminazione (quali rifiuti) ove presenti.
  Per la sub-area 5/b, risultata priva di rischio ma con un numero insufficiente di punti di campionamento, si ritiene necessario un approfondimento di indagine per la validazione dell'analisi di rischio.
  Per le sub-aree residenziali 1/d; 2/b; 4/c, si è riscontrato rischio sanitario da benzo(a)pirene in concentrazioni vicine al limite di legge Pag. 169si propone lo svincolo delle aree, subordinato ad un approfondimento sulle dimensioni delle sorgenti secondarie e sulle vie di migrazione contemplate nell'analisi di rischio e/o un supplemento di indagine.
  Per le sub-aree residenziali 4/a; 4/b ove si è riscontrato un rischio sanitario sia per le sostanze cancerogene che per le sostanze tossiche, ma localizzato solo in uno o due dei punti di indagine dell'intera sub area si propone un approfondimento di indagine per una perimetrazione di dettaglio degli hot spots individuati e propedeutico alla progettazione della bonifica delle zone così individuate e allo svincolo dell'intere sub-aree.
  Per la sub-area 5/a, ove è risultato un rischio nettamente superiore al valore di soglia consentito, determinato da una contaminazione diffusa in maniera omogenea su tutta la superficie, si ritiene necessaria l'elaborazione di un progetto di bonifica, esteso anche alle aree esterne al Sito ma morfologicamente contigue e pertinenti al lotto medesimo.
  Per la sub-area 3/c, in cui è risultato con Giuditta un rischio per falda da lisciviazione del terreno profondo degli idrocarburi aromatici C12-C16, si propone la prosecuzione del monitoraggio della falda nel piezometro S1, ove è stato rilevato l'inquinamento del terreno profondo, per un periodo di ulteriori 5 anni e con cadenza stagionale. Al termine di questo periodo si valuterà la necessità di proseguire o meno il monitoraggio e/o di progettare interventi di bonifica/messa in sicurezza della falda.
  Da una successiva valutazione dei risultati si è riscontrato che l'inquinamento da Pb e da IPA è a macchia di leopardo e che i punti inquinati da Pb sono anche quelli inquinati da IPA e pertanto risulta più perseguibile la soluzione di bonificare gli hot spot risultati inquinati ai fini della restituzione di tutte le sub aree 1/d, 2/b, 4/c, 4/a, 4/b».
  Lo sviluppo della vicenda del sito di Pitelli come di fatto descritta si associa al procedimento giudiziario relativo al medesimo sito, protrattosi per un tempo inusuale, e conclusosi con una sentenza del tribunale della Spezia del marzo 2011.
  L'8 novembre 1996, l'intera area della discarica viene posta sotto sequestro dall'autorità giudiziaria di Asti in relazione allo stoccaggio di rifiuti tossico-nocivi. Contestualmente vengono eseguite misure cautelari personali nei confronti di tredici persone ritenute responsabili dei reati di disastro innominato (ambientale), falsità ideologica e materiale e corruzione.
  Nell'indagine, finalizzata a contrastare l'illecito smaltimento di rifiuti, erano coinvolti numerosi imprenditori del settore, tra cui il titolare degli impianti di Pitelli, Orazio Duvia, consigliere di amministrazione della società Sistemi Ambientali Srl.
  Come detto la vicenda giudiziaria, avviata nel 1996, si è conclusa il 10 marzo 2011, davanti al tribunale della Spezia, investito per competenza territoriale, con il proscioglimento a vario titolo di tutti gli imputati.
  La sentenza rileva per la sintomaticità della vicenda giudiziaria.
  Si è proceduto per disastro (innominato) ambientale di cui all'articolo 434 codice penale (norma che a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 68 del 2015 sui delitti ambientali è divenuta Pag. 170residuale in questa materia) e per due falsi; per il disastro vi è stata assoluzione per insussistenza del fatto (per mancato raggiungimento della prova di questo delitto); per i falsi un'assoluzione e una dichiarata prescrizione (previa derubricazione del reato).
  Per quanto riguarda il disastro la sentenza svolge ampie considerazioni in diritto sulla natura del reato e dei suoi elementi; in concreto, sul caso Pitelli, esamina distintamente le prove per quanto riguarda la gestione «Contenitori e Trasporti», la gestione «Sistemi Ambientali», l'incenerimento di rifiuti, la presenza di percolato in galleria POL-NATO.
  La gestione processuale ha presentato profili critici: per l'incompletezza (quantomeno dichiarata in sentenza) degli accertamenti del giudice per le indagini preliminari in incidente probatorio; per la scansione – e dilatazione – dei tempi processuali, che sembra palesare problemi organizzativi della sezione penale del tribunale nella gestione di questo processo.
  La sentenza si attesta su uno standard probatorio molto elevato, che ritiene non raggiunto.
  In particolare nega che la misura stessa dei rifiuti conferiti e abbancati illecitamente a Pitelli possa integrare il disastro, facendo invece riferimento a «componenti dell'ecosistema» (acqua, suolo, aria) non esposte a pericolo ovvero all'indimostrata interazione con la presenza antropica (agricoltura, acque destinate al consumo, insediamenti umani).
  A soluzione diversa si sarebbe pervenuti considerando il pericolo per l'ambiente inteso in senso ampio che era derivato da un'attività illecita protratta e di ampio volume.
  Rimangono sullo sfondo della sentenza, considerata la scelta di assoluzione nel merito, sul fatto, le questioni: del rapporto tra indagini, accuse e provvedimenti amministrativi progressivamente intervenuti sul sito; del valore degli accertamenti degli effetti sulla salute umana; delle condotte cumulate di inquinamento, attribuibili a più soggetti diversi nel corso del tempo, che limitano la possibilità di sicura attribuzione di responsabilità personale.
  La Commissione ha audito il procuratore della Repubblica della Spezia e il sostituto procuratore che ha sostenuto l'accusa nel processo, il quale ha confermato i limiti palesati dalla risposta giudiziaria sin qui data: «furono tre i filoni di questa attività istruttoria. Il primo riguardava reati contravvenzionali che si collegavano a violazioni delle autorizzazioni. Il secondo riguardava fatti di corruzione che avevano coinvolto alcuni amministratori pubblici nel rilascio delle autorizzazioni e nella gestione delle stesse. Da ultimo, il fatto più eclatante, che è stato di gran lunga quello di maggiore rilievo, era la contestazione che era stata fatta e che fu coltivata della violazione del secondo comma dell'articolo 434 del codice penale, vale a dire il cosiddetto «disastro ambientale». Il processo si è concluso in modo non soddisfacente per l'accusa perché purtroppo si scelse – fu una scelta di strategia processuale rivelatasi poi assolutamente non fondata e non produttiva – di tentare un unico maxiprocesso per tutte queste vicende.
  Questo ha comportato la declaratoria di intervenuta prescrizione per tutti i reati ambientali e anche per i fatti di corruzione, laddove Pag. 171la dimostrazione della sussistenza di un disastro ambientale, per di più di natura dolosa, evidentemente a titolo di dolo eventuale, si rivelò estremamente complessa e non attuabile per una serie di ragioni.
  Si parla della discarica di Pitelli, ma in realtà è un'area molto più complessa, nella quale insistono una serie di discariche. Si trattava di una cosiddetta «area Ipodec» (così fu definita) di gestione provvisoria, ma la discarica in realtà diventò definitiva. Si tratta di un'area sulla quale per oltre quarant'anni si sono accumulati rifiuti.
  Dall'esame che è stato compiuto dal collegio dei periti, concluso depositando una perizia in circa sei volumi, il materiale che fu rinvenuto, fortunatamente non si rivelò quello che una campagna mediatica assolutamente eccessiva e scriteriata aveva ipotizzato, ovvero materiale di tipo radioattivo, diossina e cose di questo genere. In realtà, tutto questo non fu trovato. Fu trovato quello che normalmente si trova all'interno di una discarica, vale a dire un po’ di tutto. Le cose più pericolose erano residui di medicinali scaduti, prodotti derivanti dal riciclaggio e dalla distruzione di veicoli e cose di questo genere. L'ipotesi dell'esistenza di pericoli gravissimi per la pubblica incolumità per fortuna si è rivelata non sussistente.
  Il processo si è rivelato molto arduo già sotto il profilo dell'elemento oggettivo, ovvero dell'individuazione del disastro, posto che, ringraziando il cielo, non si verificò la sussistenza di materiale altamente pericoloso. A ciò si aggiungano tutte le problematiche sul dolo eventuale.
  Fatto sta che il processo si è concluso con una serie di declaratorie di intervenuta prescrizione per fatti che, se si fossero giudicati nell'imminenza, avrebbero probabilmente portato a risultati diversi, e con un'assoluzione generale perché il fatto non sussiste per quanto riguarda, invece, il preteso disastro ambientale».
  Le affermazioni così acquisite e l'esito di quel processo in realtà non possono far considerare chiusa la vicenda di Pitelli, che negli episodi del passato e negli sviluppi attesi, suscita una forte attenzione nei cittadini interessati.
  Nei primi giorni di ottobre 2015, il Corpo forestale dello Stato, su delega della procura della Repubblica della Spezia, investita di nuovi esposti relativi al sito di Pitelli in relazione ai quali aveva in corso dal giugno 2014 le indagini di cui è stato riferito a questa Commissione – senza esiti significativi su comportamenti illeciti recenti – ha proceduto ad effettuare degli scavi in una zona al di fuori della discarica di Pitelli, nell'area denominata «Campetto» che risulta in parte di proprietà di Stock Containers del già citato Orazio Duvia; l'area, di circa 1200 metri quadrati, è stata sequestrata.
  È stata al momento accertata la presenza di sostanze ferrose, di idrocarburi e di rifiuti derivanti da lavorazioni navali; è stata esclusa la presenza di emissioni radioattive. Durante gli scavi è stato individuato a una profondità di circa tre metri un cumulo di rifiuti costituito da ceneri, scorie di fonderia, materiali sciolti intrisi di idrocarburi e oli esausti contenuti in circa trenta fusti metallici; materiale che, da un primo sommario esame, risalirebbe agli anni ’70, attualmente al vaglio dei tecnici dell'Arpal.
  Nella nota di aggiornamento 22 ottobre 2015 dell'ARPAL – successiva quindi alle attività di indagine sopra descritte – la Pag. 172situazione dell'area e le attività svolte in gestione SIN e poi SIR, vengono così ricostruite:
  «Area Campetto – rifiuti speciali anche pericolosi e RSU
  Gestione SIN:
   PdC approvato e realizzato per una porzione dell'area di proprietà Stock Containers (la parte adibita a campetto da calcio). ARPAL ha assistito al campionamento ed eseguito analisi sul 10% dei campioni di suolo. Non è ancora stato fornito un elaborato contenente i risultati della caratterizzazione ma solo i referti analitici dei campioni prelevati. L'area Campetto è solo in parte proprietà di Stock Containers, una parte è di proprietà di un condominio adiacente all'area e non è stata caratterizzata (la scarpata all'interno del condominio è costituita in parte dal corpo di discarica e ARPAL ha fatto un campione al piede di questa scarpata nella caratterizzazione aree pubbliche).

  Gestione SIR:
   Non è mai stato inserito all'ordine del giorno di una CdS per discuterne la situazione».

  Permane dunque evidente e rilevante la necessità che in un'area così vasta e caratterizzata da intrinseca complessità, ancora non completamente esplorata, le scelte sugli aspetti tecnici, sulla natura delle sistemazioni con l'utilizzo delle terre, sulla destinazione del sito e sull'eventuale denegato conferimento di altri materiali, siano sottoposte a verifiche trasparenti, a controlli che vadano anche al di là del minimo previsto e al coordinamento con una più ampia pianificazione regionale, al fine di superare qualsiasi dubbio o sospetto.

8. La bonifica Cogoleto-Stoppani.

  La produzione base dello stabilimento Luigi Stoppani SpA, che prese avvio negli Anni ’40, era costituita dal bicromato di sodio, dal quale si ottenevano altri derivati del cromo, quali acido cromico o anidride cromica per l'industria galvanotecnica e per l'impregnazione del legno nonché salcromo o solfato basico di cromo per l'industria conciaria. Lo stabilimento ha cessato la sua produzione nell'anno 2003.
  A seguito di richiesta da parte della regione Liguria, con decreto del Ministero dell'ambiente n. 468 del 18 settembre 2001, il sito è stato inserito nel Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale e sono stati stanziati per gli interventi di bonifica 6.920.522,45 euro (all'epoca 13.400.000.000 di lire).
  L'area, successivamente perimetrata con decreto del Ministero dell'ambiente dell'8 luglio 2002, comprende una superficie di circa 45 ettari a terra e di circa 1,67 chilometri quadrati (167 ettari) a mare.
  Il perimetro del SIN Cogoleto Stoppani ricomprende l'area industriale dell'ex stabilimento Luigi Stoppani SpA ubicata nel territorio del comune di Cogoleto, porzioni di territorio dei comuni di Pag. 173Cogoleto e Arenzano esterne all'area industriale tra le quali l'area di Pian Masino nel comune di Arenzano, la foce del torrente Lerone, le aree litoranee a nord e a sud della foce del torrente medesimo e una porzione consistente dell'area marina, antistante i territori dei due predetti comuni, estesa fino a circa tre chilometri dalla costa.
  Con conferenza di servizi tenutasi presso il Ministero dell'ambiente il 4 marzo 2003 era stato approvato il piano di caratterizzazione delle aree pubbliche suddivise in: parte a terra (circa 24 ettari) costituita dai litorali marini prospicienti i territori dei comuni di Cogoleto e di Arenzano e dalle aree limitrofe allo stabilimento Stoppani; parte a mare (circa 1,67 chilometri) costituita dalla fascia costiera tra i comuni di Arenzano e Cogoleto estesa per 800 metri ad ovest e 1000 metri ad est della foce del torrente Lerone e per una distanza dalla costa di circa 1000 metri.
  I risultati delle indagini previste dal piano di caratterizzazione delle aree private, approvati con una serie di prescrizioni dalla conferenza dei servizi decisoria tenutasi presso il Ministero dell'ambiente l'8 aprile 2004, avevano evidenziato una contaminazione nel suolo e nel sottosuolo da cromo totale e cromo esavalente, legata direttamente alle attività produttive, nonché da nichel.
  Per quanto riguarda le acque di falda furono registrati superamenti critici dei parametri cromo totale e cromo esavalente (con valori molto elevati nell'area dello stabilimento) nella quasi totalità dei campioni indagati, con l'ulteriore presenza del parametro solfati.
  In particolare ARPAL evidenziava i seguenti superamenti rispetto ai livelli di fondo naturale individuati da ARPAL medesima, nella parte a terra:
   suoli superficiali: cromo III (raramente Cr VI), nichel, cobalto e vanadio;
   sedimenti torrente Lerone: cromo totale, Cr VI, nichel e vanadio;
   arenile: cromo totale, Cr VI, vanadio, PCB (soprattutto nelle aree immediatamente circostanti la foce del torrente Lerone);
   acque sotterranee: contaminazione conseguente allo stato del suolo e del sottosuolo; nella parte a mare venne rilevata una diffusa contaminazione dei sedimenti da metalli, limitatamente al cromo totale, che diminuiva dai livelli superficiali a quelli profondi (valore di fondo naturale determinato da ARPAL pari a 1350 mg/kg) e da IPA come inquinanti organici; la tossicità dei sedimenti risultò più lieve nelle stazioni ad est rispetto a quelle situate ad ovest della foce del torrente Lerone.

  La società Immobiliare Val Lerone (IVL) SpA, nella quale aveva modificato la propria denominazione la società Luigi Stoppani SpA nell'anno 2004, presentò un progetto preliminare di bonifica che fu ritenuto non approvabile dalla conferenza di servizi decisoria tenutasi presso il Ministero dell'ambiente il 28 giugno 2006, con contestuale richiesta alla regione di procedere all'attivazione dei poteri sostitutivi in danno del soggetto inadempiente e di presentare, entro i novanta Pag. 174giorni successivi, i progetti definitivi di bonifica dei suoli e delle acque di falda.
  Nel corso della conferenza di servizi svoltasi presso il Ministero dell'ambiente l'8 novembre 2006 la regione Liguria richiese la dichiarazione dello stato di emergenza al fine di risolvere la grave situazione di inquinamento in cui versava l'area industriale dello Stabilimento Stoppani. Tale richiesta fu accolta e ratificata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 novembre 2006.
  Con ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3554 del 5 dicembre 2006 («Disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare la grave situazione di emergenza determinatasi nello stabilimento Stoppani sito nel comune di Cogoleto in provincia di Genova» pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 288 del 12 dicembre 2006) integrata con successiva ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3559 del 27 dicembre 2006, veniva nominato il commissario delegato per il superamento dello stato di emergenza.
  Tuttavia il 14 aprile 2007 veniva emessa dal tribunale di Milano la sentenza di fallimento della società Immobiliare Val Lerone SpA.
  Il fallimento e il curatore rimanevano inadempienti agli obblighi gravanti sulla società in base alla citata ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3554 del 5 dicembre 2006; e il commissario delegato, con proprie ordinanze n. 83 del 2007, 89 del 2007 e 128 del 2007, esercitava quindi i poteri sostitutivi per gli adempimenti non attesi di cui alla diffida in data 14 marzo 2007 per:
   costante mantenimento delle attività di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda attraverso l'emungimento e trattamento delle acque prelevate dai pozzi della barriera idraulica;
   immediato smaltimento dei fanghi derivanti dall'impianto di trattamento delle acque di falda contaminate presso idoneo impianto autorizzato;
   ripresa delle attività di rimozione e smaltimento dell'amianto previa presentazione dei relativi piani di Lavoro alla USL competente;
   ripresa delle attività di decommissioning delle strutture impiantistiche previa predisposizione dei relativi piani, con particolare riferimento al problema degli edifici contaminati dalla presenza di cromo;
   rimozione e smaltimento di tutti i rifiuti presenti nell'area di stabilimento;
   costante manutenzione di tutte le reti di drenaggio delle acque superficiali al fine di garantirne l'opportuno convogliamento.

  Ulteriori sostituzioni in danno hanno riguardato la progettazione e realizzazione del muro di contenimento della località Pian Masino e la redazione del progetto di bonifica di località Pian Masino.
  Il commissario delegato provvedeva quindi alle seguenti operazioni:
   caratterizzazione dell'area Pian Masino: i risultati delle indagini hanno mostrato nel suolo e fino a 3-10 metri dal piano di campagna Pag. 175criticità per la presenza di cromo esavalente (Cr VI) solubile e cromo totale, nonché per idrocarburi pesanti (C>12) e nelle acque di falda compromissione da cromo esavalente e da cromo totale anche con valori elevati;
   demolizioni che hanno riguardato cinque edifici ubicati nell'area Sud (magazzino imballi, ex forno a piatto, officina meccanica, magazzino vela, Nuove esperienze), alcuni dei quali risalenti all'anno 1900; a conclusione delle demolizioni l'area è stata completamente ricondizionata e posta in sicurezza in attesa delle future demolizioni dell'area Nord. Le demolizioni in area Nord sono iniziate nel settembre 2014, con l'intervento sul fatiscente magazzino M (cosiddetto magazzino prodotti);
   confezionamento, preparazione al trasporto, carico, trasporto e smaltimento dei rifiuti costituiti da solfato di sodio anidro, più comunemente definito «solfato giallo» e cromite, ubicati all'interno dell'Edificio V, magazzino minerale; le operazioni sono state svolte in condizioni controllate rispetto alla produzione di polveri viste le alte concentrazioni di cromo esavalente; gli interventi sono stati effettuati in ambienti confinati, in depressione rispetto all'esterno; in data 13 luglio 2011 si sono concluse le attività di insaccamento, trasporto e smaltimento di tutto il solfato giallo a deposito temporaneo all'interno dell'ex Stabilimento; complessivamente sono stati smaltiti chilogrammi 7.797.240 di solfato giallo (CER 060313) chilogrammi 254.260 di cromite contaminata (CER 060405) e chilogrammi 110.040 di terre contaminate (CER 060405); alla data del 31 dicembre 2014 risultavano inoltre smaltite oltre 25.000 tonnellate di rifiuti di cui 19.340,68 di rifiuti pericolosi e 7.554,22 di rifiuti non pericolosi (nella relazione presentata alla Commissione dal soggetto attuatore sono puntualmente indicati per tipologia ed è altresì indicata la destinazione).
   realizzazione del sistema di messa in sicurezza d'emergenza delle acque di falda contaminate da cromo nell'area di stabilimento: l'intervento di messa in sicurezza d'emergenza, approvato dalla conferenza di servizi tenutasi a livello locale, è costituito dalla realizzazione di un diaframma intestato a dieci metri di profondità dal piano di campagna, finalizzato a confinare la falda inquinata sottostante l'area di Pian Masino e impedire la sua diffusione verso le acque del Torrente Lerone; il sistema di messa in sicurezza d'emergenza delle acque di falda è stato realizzato e mantenuto in attività attraverso l'emungimento e il trattamento chimico delle acque di falda contaminate nel nuovo impianto EC01, che opera senza soluzione di continuità dal 5 agosto 2010; tale impianto tratta le acque contaminate da cromo esavalente fino a valori di concentrazione ampiamente inferiori al limite fissato dalla vigente normativa in materia di bonifiche; l'impianto tratta le acque emunte dai dodici pozzi barriera localizzati all'interno dell'ex Stabilimento e dai tredici pozzi realizzati nell'area Pian Masino Alta nonché quelle derivanti dal dilavamento dei piazzali e il percolato della discarica Molinetto;
   bonifica dell'amianto nell'area dello Stabilimento: l'intervento di bonifica amianto è stato strutturato in differenti fasi: bonifica Area Sud (Forno a piatto) e bonifica Area Nord (Forno 70, Forno 58 e Pag. 176Redecam); l'intervento, previa presentazione e approvazione del Piano di lavoro alla competente USL, è stato eseguito e ultimato nel mese di aprile 2009 e ha ottenuto i certificati di restituzione da parte della medesima USL; nel corso dell'intervento è stato disposto un piano di monitoraggio e di controllo per la determinazione di cromo esavalente e fibre aerodisperse; tutta l'attività è stata altresì controllata attraverso una rete di monitoraggio della qualità dell'aria realizzata in collaborazione con la provincia di Genova;
   bonifica degli arenili (esclusa l'area Envireg) e loro deperimetrazione, articolata in più fasi:
   asportazione di sabbia e ciottoli, per ciascun gruppo di celle di scavo, al fine del loro successivo reimpiego come materiale di rinascimento;
   frantumazione del «crostone» di cromo fino alla sua totale asportazione, con il completamento dello scavo per ulteriori 50 centimetri rispetto al livello del crostone rimosso;
   campionamento sul fondo dello scavo di ciascuna cella in contraddittorio con la provincia di Genova;
   ripascimento dell'arenile con materiale proveniente dalle operazioni di trattamento meccanico di vagliatura nell'area di Pian Masino nonché con materiale di cava di provenienza esterna.

  Il quantitativo di crostone asportato dagli arenili di Arenzano risulta pari a 5.303 metri cubi corrispondenti a 11.859,06 tonnellate, mentre sono stati stesi 28.110 metri cubi di sabbie da ripascimento strutturale; il quantitativo di crostone asportato dagli arenili di Cogoleto risulta pari. 24.206 metri cubi corrispondenti a 54.125 tonnellate, mentre sono stati stesi 78.290 metri cubi di sabbie da ripascimento strutturale.
  La provincia di Genova ha certificato, rispettivamente nel dicembre 2010 e nel maggio 2012, l'avvenuta bonifica degli arenili di Arenzano e Cogoleto e il commissario delegato, sulla base della certificazione di avvenuta bonifica e dei pareri favorevoli della conferenza di servizi tenutasi a livello locale nonché della regione Liguria, ha restituito agli usi legittimi le aree degli arenili di Arenzano e Cogoleto.
  Nel febbraio 2014 l'Associazione Amici di Arenzano ha comunicato al Ministero dell'ambiente che in località Marina Grande erano comparsi, a seguito di violente mareggiate, crostoni di cromo che permanevano per tempi più o meno lunghi.
  Il commissario delegato ha tenuto una conferenza di servizi il 4 giugno 2014 ad esito della quale si è ritenuto che la bonifica riguardava solo i «crostoni emersi», che era stata effettuata in piena aderenza alle prescrizioni impartite, che non sarebbe stato opportuno eseguire interventi sui «crostoni sommersi», i quali avrebbero potuto causare la liberazione di elementi in grado di veicolare inquinanti e che infine sarebbe stato opportuno eseguire ulteriori campagne di monitoraggio, demandando ad un gruppo di lavoro (struttura commissariale, Pag. 177regione Liguria; provincia di Genova, ISPRA, IRCCS, DISAV e ARPAL) l'individuazione dei parametri da monitorare.
  La successiva campagna di monitoraggio ha evidenziato che «lo stato di inquinamento ambientale nell'area ex Stoppani è di entità moderata».
  Durante il biomonitoraggio dell'area marino – costiera prospiciente il SIN Cogoleto Stoppani, ricompresa nella perimetrazione, al fine di valutare l'accumulo dei composti del cromo rilasciati nell'ambiente marino e il conseguente impatto sugli ecosistemi durante le procedure di bonifica del cosiddetto «crostone»; sono stati condotti due campionamenti annuali, nel periodo primaverile e invernale, relativamente agli anni 2008, 2009 e 2010, in due stazioni costiere (foce del torrente Lerone Est e foce del torrente Lerone Ovest), situate a distanza reciproca di circa cinquecento metri, utilizzando come bioindicatori molluschi della specie mytilus galloprovincialis; le analisi hanno mostrato un miglioramento delle condizioni ambientali in tutti i campionamenti con la sola eccezione della campagna dell'inverno 2009, che ha mostrato un incremento dei valori di alcuni biomarcatori rilevanti, quali soprattutto il danno al DNA; gli effetti osservati nei mitili sono attribuibili non solo all'inquinamento da cromo ma anche alle concentrazioni elevate di idrocarburi policiclici aromatici (IPA); a fine 2010 è stato deciso di continuare l'attività di monitoraggio con campagne da effettuare negli anni successivi. I risultati dei monitoraggi nel periodo primaverile e autunnale del 2013 sono stati presentati alla conferenza dei servizi del 4 giugno 2014. I soggetti coinvolti nel monitoraggio sono l'Istituto nazionale per la ricerca sul cancro (IST), Il Dipartimento di scienze e innovazione tecnologica (DISIT) dell'Università degli Studi del Piemonte Orientale e l'ARPAL.
  Un problema particolare si pone per la gestione della discarica di Molinetto nel comune di Cogoleto.
  La gestione della discarica, per rifiuti speciali pericolosi, era stata autorizzata dalla provincia di Genova alla Immobiliare Val Lerone SpA. La discarica non è ricompresa nella perimetrazione del SIN Cogoleto Stoppani ma è asservita agli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'area dell'ex Stabilimento Stoppani.
  A seguito del fallimento della IVL SpA, l'impianto è stato lasciato in uno stato di totale abbandono, con conseguenti scarichi abusivi di rifiuti, anche contenenti amianto; si è, inoltre, determinata una situazione di grave emergenza ambientale conseguente al pericolo di sversamento di percolato dalla discarica, che ha indotto il Commissario delegato a provvedere al trasporto e al successivo smaltimento di circa 1.227 tonnellate di percolato.
  Regione Liguria, provincia di Genova e i comuni di Cogoleto e Arenzano, hanno sottoscritto, il 28 novembre 2007, un protocollo d'intesa con il Commissario delegato, al fine di consentire secondo le rispettive competenze una gestione più adeguata della discarica in località Molinetto.
  Il commissario ha effettuato un periodico monitoraggio delle acque di falda dell'area della discarica nonché la rimozione e lo smaltimento periodico del percolato.
  Con ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri 5 marzo 2008 n. 2660 il commissario delegato è stato autorizzato a utilizzare Pag. 178le volumetrie residue disponibili nella discarica Molinetto per le attività di competenza. Il commissario delegato ha disposto l'affidamento delle attività di progettazione per la messa in sicurezza e adeguamento ai criteri del decreto legislativo n. 36 del 2003 della discarica Molinetto. La messa in sicurezza della discarica prevede l'utilizzo delle volumetrie residue per il conferimento di circa 90.000 metri cubi di rifiuti pericolosi e non pericolosi provenienti dalle attività di messa in sicurezza e bonifica del SIN Cogoleto – Stoppani.
  Sul punto, il Commissario delegato ha riferito, nella relazione trasmessa alla Commissione, nei seguenti termini:
  «Adeguamento ai disposti di cui al decreto legislativo 36 del 2003 della discarica di Molinetto e conferimento alla stessa dei rifiuti in deposito presso l'area di Pian Masino: la necessità di dar seguito all'intervento di messa in sicurezza e adeguamento ai disposti di cui al decreto legislativo n. 36 del 2003 trova riferimento nell'elevata criticità ambientale in cui verte l'impianto, nella attivata procedura di messa in mora – Infrazione 2011/2215 – da parte della Commissione europea e nella necessità di conferire all'impianto in argomento i rifiuti che oggi si trovano in deposito presso l'area di Pian Masino. Il progetto definitivo per la realizzazione della fase 2 è già stato approvato dal commissario delegato di intesa con la regione Liguria, in esito a conferenza dei servizi regolarmente convocata, con proprio provvedimento n. 309 del 20 giugno 2011. Inoltre, poiché successivamente alla approvazione del progetto definitivo come sopra individuato è entrato in vigore il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010 n. 207, con provvedimento del soggetto attuatore in data 26 febbraio 2013, n. 63, è stato affidato incarico di progettazione per la redazione di integrazioni tecniche e documentali in adeguamento al citato decreto del Presidente della Repubblica.
  Le integrazioni sono state presentate durante la conferenza dei servizi del 7 agosto 2013. Al riguardo, in esito a procedura di gara regolarmente esperita, è stata aggiudicata la concessione di lavori alla ditta Riccoboni SpA, il contratto è stato sottoscritto in data 4 agosto 2014 e le attività sono avviate. In data 9 ottobre 2014 è stato consegnato il progetto esecutivo relativo alla messa in sicurezza, adeguamento e chiusura della discarica. Lo stesso, in esito a valutazione dei progettisti sarà oggetto di verificazione. È prevista la conclusione dei lavori per dicembre 2016.
  In proposito si fa presente che solo grazie a tale affidamento la discarica di Molinetto è stata eliminata dalla procedura di infrazione in corso contro l'Italia in tema di discariche».
  Il sito presenta una serie di problematiche ancora aperte, relativamente alle quali il commissario delegato, in occasione della visita di questa Commissione d'inchiesta, ha ricostruito il regime giuridico che ne reggeva l'attività.
  In deroga alla legge n. 100 del 2012 dapprima il decreto legge n. 1 del 2013 convertito in legge n. 4 del 2013 e, successivamente, il decreto legge n. 136 del 2013 convertito in legge n. 6 del 2014 hanno stabilito che continuasse a produrre effetti la più volte citata ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3554 del 2006 – congiuntamente ai provvedimenti presupposti, conseguenti e connessi all'ordinanza stessa – da ultimo fino al 31 dicembre 2014.Pag. 179
  Al momento della visita di questa Commissione d'inchiesta il commissario delegato operava nel SIN in regime di prorogatio fino all'eventuale adozione ai sensi dell'articolo 5, commi 4-ter e 4-quater della legge 24 febbraio 1992, n. 225, dell'ordinanza di protezione civile finalizzata al subentro dell'amministrazione pubblica competente in via ordinaria ovvero fino alla emanazione di apposita di disposizione normativa e, comunque, per un periodo non superiore a 45 giorni a far data dal 1 gennaio 2015.
  Invero, per quanto rilevato, il passaggio al regime ordinario non avrebbe fornito adeguate garanzie di poter far fronte alle criticità descritte e il prefetto di Genova, nel corso della sua audizione, nella sua qualità di commissario delegato aveva illustrato le ragioni che rendevano preferibile il mantenimento dell'attuale regime; d'altro canto la regione aveva fatto presente al Ministero dell'ambiente le conseguenze negative della mancata prosecuzione dell'attività e il 13 gennaio 2015 aveva adottato un provvedimento con il quale negava il consenso alla procedura di passaggio, ritenendo ancora necessaria la prosecuzione dello stato di emergenza fino al completamento dell'attività di messa in sicurezza del sito con lo smaltimento di tutti gli elementi inquinanti ancora presenti.
  Poco dopo la missione della Commissione e i contatti avuti in loco con la struttura commissariale e gli amministratori locali, con legge 27 febbraio 2015, n. 11 («Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative», cosiddetto «milleproroghe») è stato previsto – all'articolo 9, comma 4-quinquies – il nuovo termine del 31 dicembre 2015 per l'applicazione delle disposizioni urgenti di protezione civile di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3554 del 5 dicembre 2006, emanata per fronteggiare la grave situazione di emergenza nello stabilimento ex Stoppani.
  Le attività più rilevanti ancora da avviare o completare sono:
   il decommissioning delle strutture in grave degrado, con rischio di crollo e possibili ripercussioni all'esterno dell'ex Stabilimento;
   la demolizione delle strutture industriali ancora presenti nell'area Nord e l'esecuzione di sondaggi finalizzati alla caratterizzazione delle aree impronta delle strutture una volta demolite; la progettazione definitiva degli interventi di bonifica dei suoli e delle acque di falda delle aree ricomprese nella perimetrazione del SIN (finora sono stati eseguiti soltanto studi e sondaggi propedeutici nelle aree libere);
   l'adeguamento della discarica di Molinetto ai criteri dettati dal decreto legislativo n. 36 del 2003 e il conferimento nella stessa discarica dei rifiuti depositati presso l'area di Pian Masino («crostoni» rimossi dagli arenili); la bonifica dell'area cosiddetta «Envireg» costituita da un arenile, di dimensioni pari a circa un ettaro, fortemente inquinato da metalli pesanti (cromo esavalente, nichel e altri) in cui vige il divieto di accesso e di balneazione;
   il costo della bonifica è stato stimato in circa venti milioni di euro.

  Si inserisce in questa vicenda il procedimento di cui ha dato notizia la procura della Repubblica di Genova, a carico del soggetto Pag. 180attuatore del commissario straordinario e altri indagati, per l'ipotesi di turbata libertà degli incanti in relazione alla gara d'appalto bandita nel dicembre 2013 per la esecuzione di opere di demolizione dell'impianto ex Stoppani e la messa in sicurezza e gestione della discarica di Cava Molinetto. Le indagini vertono sulla correttezza dei dati tecnici relativi alla discarica e alle sue attuali condizioni e per esse si prevedono accertamenti in contraddittorio con gli indagati.
  Il prefetto di Genova, nel corso della sua audizione, ha chiarito di utilizzare, nella sua veste di Commissario delegato, strutture esistenti, istituzionali, con un soggetto attuatore, dirigente della ex provincia, e funzioni di consulenza giuridica che vengono svolte dall'Avvocatura dello Stato; «collaborano con il prefetto soggetti che fanno parte di altre amministrazioni pubbliche, cioè provengono dalle amministrazioni dello Stato o periferiche, che svolgono questa funzione in aggiunta al lavoro ordinario che svolgono, non sono soggetti dedicati esclusivamente a quella funzione, non sono esterni ma operano all'interno della pubblica amministrazione in generale»; e ha sintetizzato lo sviluppo dell'attività in corso: «ancora oggi la struttura provvede alla depurazione di acque per una concentrazione di 17 chili giornalieri di cromo esavalente. [...] Fino adesso sono stati spesi circa 60 milioni di euro per attività di smaltimento da parte dello Stato, perché la curatela fallimentare non ha risorse e quindi il Commissario ha dovuto esautorarla dalla gestione, altrimenti lo sversamento a mare di questi rifiuti fortemente inquinanti non si sarebbe potuto evitare. Attualmente la struttura non è priva di risorse, quindi non è un problema di mancanza di risorse per svolgere questa attività, perché nel corso dell'anno 2014, nell'ambito del cronoprogramma che il commissario ha approvato con gli organi competenti, è stata fatta un'ulteriore gara di appalto ad evidenza pubblica di carattere europeo, che ha un valore di 8 milioni di euro, finalizzata al trattamento di rocce e terre di scavo contenenti serpentina, amianto naturale. Questo progetto al momento della gara aveva le necessarie coperture finanziarie, quindi per le attività che riguardano questa ulteriore tranche esiste già la copertura finanziaria e l'individuazione della ditta vincitrice della gara che dovrà procedere all'esito della procedura ad evidenza pubblica, la ditta Riccoboni».
  Dai dati acquisiti dalla Commissione non emergono evidenze di danni alla salute dei cittadini residenti nelle zone circostanti.
  Un'affermazione del delegato dell'associazione Medici per l'ambiente ISDE Liguria segnala l'opportunità di procedere a valutazioni di tipo epidemiologico, considerata la natura delle sostanze sopra descritte e il loro potenziale lesivo per la salute: «un piccolo cenno al dato che emerge nel SIN ligure, quello della Stoppani di Cogoleto. Si vede chiaramente che c’è un effetto complessivo, adesso non sappiamo esattamente quantificare e attribuire questi eccessi di ricoveri, ma ogni anno quella popolazione ha 32 ricoveri in più rispetto al previsto per varie cause, che significa centinaia nell'arco del periodo considerato. I dati sono ovviamente vecchi, fermi sostanzialmente al 2010, e questo è inaccettabile in un momento in cui la big data ci monitorizza e ci controlla tutti. Ci sarebbe la possibilità e specialmente nelle zone critiche dal punto di vista dei rifiuti ma anche di altre aree inquinate per effetto di acciaierie di industria e di Pag. 181quant'altro di avere tempestivamente il dato sanitario della popolazione che vive in quegli ambienti, inclusi anche i lavoratori, perché il dato esiste ma viene usato regolarmente solo per scopi amministrativi, statistici, burocratici, economici, ma non per scopi sanitari. Se quindi si riuscisse ad accoppiare la mappa degli inquinamenti, tra cui il problema dei rifiuti, con la mappa dello stato di salute della popolazione, in particolare delle donne e dei bambini che vivono in zone a rischio, si potrebbe fare un lavoro utile».
  Alle vicende della gestione del sito si sovrappongono quelle giudiziarie che riguardano il rapporto tra commissario e curatela fallimentare di Immobiliare Val Lerone SpA.
  La sezione fallimentare del tribunale di Milano, con decreto 2 gennaio 2015, ha ammesso in prededuzione rispetto all'attivo fallimentare le somme per spese già sostenute e da sostenere da parte dell'organo commissariale e del Ministero dell'ambiente finalizzate al ripristino della salubrità ambientale della ex Stoppani.
  La vicenda giudiziaria ha visto la Corte di cassazione, I sezione civile con sentenza n. 5705 del 2013, annullare il decreto n. 10655 del 2010 emesso dal tribunale di Milano con il quale era stata accolta solo in misura ridotta l'impugnazione dello stato passivo del fallimento Immobiliare Val Lerone SpA, volta ad ottenere l'ammissione in prededuzione delle spese già sostenute e da sostenere da parte dell'organo commissariale e del Ministero dell'ambiente finalizzate al ripristino della salubrità ambientale della ex Stoppani, quantificate in complessivi 1.253.798.495,76 euro, oltre rivalutazione monetaria e interessi.
  La Corte di cassazione ha disposto il rinvio al tribunale di Milano in diversa composizione, statuendo:
   la sussistenza della responsabilità ex articolo 2050 codice civile oltre che ex articolo 17 decreto legislativo n. 22 del 1997 della società fallita in relazione alla compromissione ambientale che ha interessato l'area in oggetto, di proprietà della medesima Immobiliare Val Lerone SpA;
   l'assoggettamento della liquidazione del danno ambientale ai criteri rinvenibili nel decreto legislativo n. 156 del 2006, con la precisazione che di fronte a una impossibilità tecnica di riduzione in pristino la liquidazione deve operarsi avvalendosi di criteri ampiamente equitativi;
   la spettanza del rango prededucibile alle spese relative alla bonifica del silo contaminato, in quanto caratterizzate da un nesso di utilità con la gestione della procedura.

  Una parte del credito relativo a spese sostenute da soggetti pubblici su trasferimenti statali sino al 15 giugno 2007 (pari a 897,662,20 euro) aveva già trovato ammissione in via privilegiata in sede di verifica dello stato passivo; con il decreto 2 gennaio 2015 il tribunale di Milano ha determinato in 1.252.014.926,80 euro il credito alla data del 24 ottobre 2007, e considerato che detto importo è soggetto a rivalutazione monetaria e applicazione di interessi compensativi, ha ammesso il Ministero dell'ambiente e della tutela del Pag. 182territorio e del mare e il commissario delegato a gestire l'emergenza del SIN ex Stoppani allo stato passivo del fallimento Immobiliare Val Lerone SpA in liquidazione in prededuzione per l'importo di 1.607.212.755,31 euro oltre interessi legali.
  La – provvisoria – soluzione giudiziaria rappresenta un precedente giurisprudenziale di elevato valore che garantisce in massimo grado le attività di messa in sicurezza e bonifica di siti inquinati da soggetti successivamente falliti.
  Segnala anche, tuttavia, la possibile discordanza di interessi tra curatela fallimentare e soggetti pubblici che si occupano della tutela e del ripristino ambientale.
  Un'altra vicenda giudiziaria rilevante, più per le affermazioni di principio che per i risultati economici concreti ottenuti, è frutto dell'iniziativa della procura regionale della Corte dei conti.
  Sono stati convenuti in giudizio la Società Immobiliare Val Lerone SpA, il curatore fallimentare, dirigenti della società e funzionari pubblici della regione Liguria, come si legge in sentenza «per sentirli condannare al risarcimento dei danni arrecati in concorso tra loro alla regione Liguria in relazione al «programma di bonifica della zona costiera della foce del torrente Lerone», cofinanziato con fondi comunitari e affidato alla società Luigi Stoppani SpA (ora Immobiliare Val Lerone). [...] il requirente chiede, in via principale, la condanna dei convenuti al risarcimento del danno quantificato nell'importo di 3.687.502,26 euro per totale inadempimento della obbligazione di risultato (bonifica), assunta dalla società Stoppani nei confronti della regione, ovvero, in subordine, la condanna degli stessi per inadempimento parziale, nella somma di 1.757.751,70 euro, «per attività e oneri non previsti a progetto oppure previsti e non realizzati».
  Con una convenzione, stipulata tra regione Liguria e società Stoppani, la regione affidava a quest'ultima l'incarico relativo alla «realizzazione della bonifica dell'area interessata dall'inquinamento da cromo nel litorale e nell'area interessata dall'attività dello stabilimento della società»; alla Stoppani veniva riconosciuto un compenso di 7.140.000.000 lire (pari all'ammontare di finanziamento comunitario «Envireg»), a fronte di un costo complessivo del programma di riqualificazione di 21.017.200.000 lire, gravante per la parte residua sulla società Stoppani.
  Secondo la procura della Corte dei conti – che aveva agito sulla base di un esposto di Legambiente e svolgendo accertamenti a mezzo del Corpo forestale dello Stato – il danno all'erario è derivato dal fatto che «l'arenile sulla sponda orografica destra della foce del torrente... risulta l'area maggiormente inquinata nonostante gli interventi di bonifica attuati nel 1997 dalla ditta Stoppani e finanziati con fondi comunitari», desumendone che «gli interventi della società Stoppani non sono stati eseguiti a regola d'arte», per cui l'intero importo collaudato sarebbe stato, a suo avviso, indebitamente riconosciuto e, pertanto, da restituire. Riscontrava inoltre che erano stati posti a carico pubblico attività e oneri non previsti a progetto o eseguiti in modo difforme a quanto previsto. Ai funzionari della regione, si addebitava l'assoluta assenza di effettivi controlli.
  Nel giudizio di merito sono tuttavia state respinte sia la domanda principale di assoluto inadempimento, sia le domande subordinate per Pag. 183inadempimento parziale, fatta eccezione per il danno derivante dall'imputazione a carico del finanziamento comunitario del costo di lire 1.676.766.077 (pari a 865.977,37 euro) per il trattamento di un quantitativo di 11.705,99 tonnellate di terre tossico nocive in realtà non effettuato.
  Nel giudizio di appello la decisione è stata confermata, tuttavia con la riduzione alla metà delle somme sopra indicate.
  Va detto che sui medesimi fatti lo strumento del processo penale si era rivelato meno incisivo, essendo gli stessi soggetti stati assolti dalle imputazioni di abuso di ufficio, truffa ai danni di ente pubblico e falso ideologico con sentenza del tribunale di Genova – Sez. III penale n. 4421/09 del 28 gennaio 2010.
  Nell'ambito dell'illustrazione delle attività di contrasto alla criminalità, il prefetto di Genova ha citato il provvedimento atipico ai sensi dell'articolo 1-septies decreto legge 6 settembre 1982, n. 629 in quanto risultavano rapporti di vecchia data tra alcuni componenti della famiglia Mamone e i fratelli Gullace, pregiudicati di origine calabrese sorvegliati speciali ed elementi di spicco del clan Raso-Gullace-Albanese, ad esito di un'indagine condotta dalla Guardia di finanza, che riguardava anche la bonifica delle aree Stoppani di Cogoleto. A una condanna in primo grado di Gino Mamone per turbativa d'asta è seguito un annullamento della sentenza per difetto di notifica, quindi questo precedente penale ha mantenuto una capacità indiziaria, però ha perso la pregnanza di una sentenza.
  Si tratta peraltro della conferma indiretta dell'interesse che la partita delle bonifiche suscita e che deve rimanere oggetto della massima sorveglianza.
  Va infine segnalato che l'allora presidente della regione Liguria nella sua audizione ha fatto cenno a prospettive di utilizzo di parte dell'area successive alla messa in sicurezza e alla bonifica, sia pure in termini generici: «forse si potrebbe provare a incrociare bonifica e riuso, perché ci sono aree industriali da recuperare a Pian Masino e ci sono aree sul mare che possono essere messe in gioco, salvo che non si voglia avere tanti soldi pubblici, per un uso del tutto nuovo».

9. La Tirreno Power di Vado Ligure.

  La vicenda relativa alla centrale elettrica Tirreno Power di Vado Ligure perviene all'attenzione della Commissione a seguito di relazioni sulla situazione della provincia di Savona provenienti dal comando regionale del NOE dei carabinieri, dalla procura della Repubblica di Savona [dall'ARPAL] e sulla base di quanto riferito in sede di audizione dai procuratori della Repubblica di Genova e Savona, dal viceprefetto vicario di Savona, nonché dall'allora presidente della regione Liguria. La Commissione ha ritenuto di convocare nuovamente in audizione il procuratore della Repubblica di Savona l'8 settembre 2015.
  Attiva dal 1970, la centrale, originariamente di proprietà dell'ENEL, dal 2003 è passata in proprietà di Tirreno Power SpA, società nata a seguito della riorganizzazione del mercato elettrico avviata con il decreto legislativo n. 79 del 1999.Pag. 184
  Le ipotizzate illiceità, protrattesi nel tempo, derivanti dalla gestione della centrale elettrica, riguardano in principalità l'inquinamento atmosferico prodotto dall'uso del carbone come combustibile ma anche lo scarico delle acque e la gestione dei rifiuti, oggetto di una delle contestazioni in sede di procedimento penale.
  La vicenda nel suo complesso porta in primo piano, sotto i cennati profili, la questione della gestione di cicli produttivi in conformità alle norme di tutela ambientale e senza compromettere la salute dei cittadini; ma anche il tema delle possibilità concrete di contrasto a fenomeni di illecita o anche solo irregolare gestione del ciclo dei rifiuti e delle attività produttive ad elevato impatto antropico da parte delle autorità preposte alla vigilanza e al controllo.
  Nella relazione del comando regionale del NOE dei carabinieri si riporta il passaggio fondamentale della fase delle indagini preliminari, vale a dire il sequestro degli impianti: «il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Savona [...] ha emesso un decreto di sequestro dell'intera centrale termoelettrica, con chiusura e fermo del ciclo produttivo dei gruppi alimentati a carbone, allo stato, peraltro, gli unici funzionanti per motivi di opportunità economica, eseguito in data 11 marzo 2014. Dalle indagini emergeva che la stessa azienda aveva ha mai avuto intenzione di ristrutturare i vecchi gruppi a carbone VL3 e VL4 e nemmeno di costruire il nuovo gruppo VL6. Infatti, da un piano industriale aziendale dell'ottobre 2013, risulta chiaramente che l'azienda intendeva portare a fine ciclo vitale i due vetusti gruppi senza procedere con alcun ammodernamento e adeguamento ambientale degli stessi e procedere alla loro chiusura tra il 2018 ed il 2020, prevedendo altresì il progressivo licenziamento del personale dell'impianto di Vado Ligure in varie tappe a partire dal 2016».
  L'esito delle indagini svolte dalla procura della Repubblica di Savona è ora compendiato in un avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso il 17 giugno 2015 e notificato a 86 indagati.
  Le contestazioni occupano oltre trenta fitte pagine e sono relative ai delitti di disastro ambientale doloso aggravato dal verificarsi dell'evento, in concorso, per dirigenti e amministratori di Tirreno Power (articoli 110, 434, primo e secondo comma, del codice penale); disastro sanitario colposo aggravato dal verificarsi dell'evento per dirigenti e amministratori di Tirreno Power (articoli 40, secondo comma, 113, 434, secondo comma, 449 del codice penale); disastro colposo aggravato dal verificarsi dell'evento per pubblici amministratori e funzionari (articoli 40, secondo comma, 113, 434, primo e secondo comma, 449 del codice penale); abuso d'ufficio per pubblici amministratori e funzionari (articolo 323 del codice penale); omicidio colposo plurimo (articoli 113 e 589 del codice penale).
  La struttura delle contestazioni è basta sulla descrizione di una serie di condotte che avrebbero causato il disastro ambientale doloso, tenute da dirigenti e amministratori di Tirreno Power; le medesime condotte avrebbero causato la morte di almeno 427 persone; gli eventi secondo l'impianto accusatorio sono da attribuire anche alla cooperazione colposa dei pubblici amministratori e funzionari della regione Liguria, altresì costituente abuso di ufficio per garantire vantaggi patrimoniali all'azienda.Pag. 185
  Le scelte strategiche e le decisioni operative degli amministratori e dirigenti di Tirreno Power inerenti l'esistenza e il funzionamento dei gruppi a carbone della centrale termoelettrica Tirreno Power, sita nei comuni di Vado Ligure e Quiliano, secondo l'impianto accusatorio, sarebbero state orientate a omettere volontariamente e consapevolmente di applicare le misure precauzionali necessarie a ridurre l'inquinamento, assumendo decisioni finalizzate sempre e soltanto alle soluzioni più redditizie, a scapito dei livelli minimi di tutela ambientale; tra le condotte contestate rientra la gestione illecita delle ceneri di carbone e delle ceneri da olio combustibile denso, così descritta quale elemento concorrente al disastro ambientale: «gestivano in maniera illecita le ceneri di carbone e le ceneri da olio combustibile denso che, nonostante il divieto di legge (perché le seconde costituiscono «rifiuto speciale pericoloso»), venivano miscelate con le prime e avviate a recupero con codice CER falsamente attribuito e riconducibile alle sole ceneri leggere di carbone, in ogni caso non miscelabili con quelle da OCD, mentre trituravano le ceneri «pesanti» di carbone in modo da camuffarle in leggere».
  L'utilizzo del carbone, proseguito in assenza di cautele ambientali – per quanto riguarda in principalità le emissioni in atmosfera nonché i reflui e i rifiuti – è oggetto principale dell'ipotesi accusatoria.
  Tutto ciò in un quadro dominato dalla «questione occupazionale» di cui direttamente nelle contestazioni si fa menzione citando prese di posizione pubbliche dell'allora presidente della regione – indirizzate anche a fare pressione sugli enti locali di insediamento della centrale – cui si contesta, tra l'altro, di avere assentito e condotto «in prima persona e nella sua qualità, la «trattativa» nella complessa strategia condotta per anni da Tirreno Power, finalizzata a legittimare dal punto di vista delle necessarie autorizzazioni, il mantenimento in funzione, nello stato in cui si trovavano, dei vecchi gruppi a carbone VL3 e VL4, economicamente molto redditizi, che non avrebbero mai potuto essere autorizzati, così com'erano, nell'ambito di una autonoma procedura di AIA riconducendoli e inglobandoli, sebbene si fosse già in presenza di danno alla salute accertato, e con prescrizioni parziali e in contrasto con le MTD, ad una nuova procedura di AIA, comprendente la fittizia costruzione del nuovo gruppo VL6, con caldaia supercritica, che avrebbe consentito nel frattempo, ancora per molti anni, il prolungarsi del danno alla pubblica incolumità e all'ambiente già in atto, e la prosecuzione degli ingiusti e ingenti guadagni sui gruppi a carbone obsoleti, tra l'altro senza che vi fosse alcuna garanzia sulla effettiva costruzione del nuovo gruppo».
  Per gli amministratori pubblici il rilascio dell'AIA comprendente il fantomatico e solo annunciato gruppo VL6 a metano viene considerata «ossequio alle proposte della società esecutive del pactum sceleris».
  Un'articolatissima contestazione di abuso di ufficio coinvolge amministratori regionali, locali e funzionari del Ministero dell'ambiente con riferimento alle condotte tenute successivamente al sequestro degli impianti, nel marzo 2014.
  I soggetti pubblici indagati, come, secondo l'assunto accusatorio, si evince anche da numerose conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, anche all'interno di uffici del Ministero dell'ambiente, Pag. 186essendo pienamente a conoscenza, anche a seguito della vicenda giudiziaria, di quello che nelle contestazioni si definisce «disastro ambientale e sanitario già verificatosi per cause attribuibili alla centrale», sempre secondo l'accusa garantivano «un ingiusto vantaggio patrimoniale alla società Tirreno Power, consistito nel lasciar caducare un'AIA che prevedeva obblighi non assolti, tra cui la costruzione del gruppo VL6 (del costo presunto di circa un miliardo di euro), nel consentire il rilascio di una nuova AIA relativa all'esercizio dei soli gruppi esistenti, in tempi contenuti e compatibili con le esigenze di rifinanziamento bancario della società, e nel ratificare – negli atti endoprocedimentali per il rilascio della nuova AIA – i limiti emissivi dettati dall'azienda».
  Il contenuto in fatto della contestazione di abuso di ufficio appare di particolare interesse perché descrive l'interferenza e anzi la commistione, in campo di tutela ambientale, di interessi imprenditoriali di grande dimensione, in grado di condizionare i poteri pubblici:
  «gestendo, con contatti intensissimi, risultanti anche dalle intercettazioni telefoniche e ambientali (che ne chiariscono i contenuti non dichiarati ed evidenziano gli accordi illegittimi tra controllore e controllato), una strategia su due fronti:
   a) l'artificiosa e scientificamente infondata negazione del disastro effettivamente verificatosi, con la ricerca di specialisti compiacenti disposti a fornire, come dimostrato dalle intercettazioni telefoniche, pretesi supporti «scientifici» per indebolire – invano – la solidità scientifica della consulenza, rivolta soprattutto verso personale scientifico (medici e biologi) dell'IRCCS Azienda Ospedaliera San Martino IST – Istituto Nazionale per la ricerca sul cancro di Genova, istituto di ricerca di ambito regionale, finanziato dalla regione Liguria;
   b) la concessione delle autorizzazioni amministrative necessarie per consentire la lucrosa ripresa dell'attività produttiva dei gruppi a carbone esistenti (lucrosità confermata anche dalle dichiarazioni a verbale di un componente del collegio sindacale della società: piovevano i soldi come se fosse latte dal rubinetto), alle condizioni dettate dall'azienda.

  Allo scopo, si adoperavano in una costante sovrapposizione e fusione tra imprenditoria privata e funzioni di controllo, contraria all'articolo 97 della Costituzione...»
  È evidente che la natura delle contestazioni è condizionata dall'impostazione che l'organo pubblico dell'accusa ha dato alle indagini e che è stata descritta nella relazione inviata dal procuratore della Repubblica alla Commissione già nel gennaio 2015, nella quale così si argomenta:
  «La centrale elettrica Tirreno Power di Vado Ligure, alimentata prevalentemente a carbone, è una delle principali attività produttive della provincia di Savona e ormai da qualche anno è finita inevitabilmente e obbligatoriamente nella sfera di competenza dell'autorità giudiziaria, a fronte di quella che sta emergendo come una pressoché Pag. 187totale inerzia della pubblica amministrazione, centrale e locale, deputata ai controlli nel settore ambientale e nel controllo del territorio in genere.
  In particolare gli accertamenti eseguiti negli ultimi anni hanno riguardato sia le modalità di gestione, sia il controllo della qualità dello scarico delle acque di raffreddamento nel corpo recettore (fiume e mare), sia il controllo della qualità delle emissioni in atmosfera prodotte con la combustione del carbone e il loro impatto ambientale sull'ambiente circostante, fortemente urbanizzato.
  Sempre in relazione alla gestione di questo importante insediamento industriale, si era avuta notizia dalla polizia giudiziaria anche di «strani» movimenti di ceneri e fanghi all'interno dello stabilimento e di modalità poco chiare di loro smaltimento per diverse destinazioni fuori dal circondario. Per ragioni di competenza, la notizia di reato è stata trasmessa alla procura distrettuale di Genova (cfr. procedimento di questa procura, n. 1915/2012/21 nei confronti di Roero 6) che potrà riferire sull'esito. Con la procura di Genova vi è stata la doverosa collaborazione sfociata nello scambio di atti, rilevanti anche per questo Ufficio in relazione ai profili soggettivi del reato ben più grave qui contestato».
  La gestione illecita delle ceneri è stata oggetto di un procedimento penale per la violazione dell'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 della procura della Repubblica di Genova, con indagini condotte dal NOE di Genova, per la quale è stato chiesto il rinvio a giudizio di dieci imputati nel giugno 2014.
  Il concorso illecito tra i dirigenti di Tirreno Power e quelli di due aziende in provincia di Torino e di Cuneo è stato ipotizzato per avere «con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, gestivano abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti costituiti da ceneri di carbone provenienti dalla centrale termica Tirreno Power di Vado Ligure».
  Si tratta del conferimento 27.696 tonnellate di rifiuti costituiti da ceneri leggere asciutte e umide Cod. CER 10.01.02 prodotte dalla combustione del carbone presso la centrale, alla ditta intermediaria Suprema Srl, da destinarsi all'impianto di recupero Dellatorre Fratelli di Dellatorre Michele & C s.n.c. sito in Novello, provincia di Cuneo; ciò nella consapevolezza che l'impianto di destinazione era privo delle autorizzazioni prescritte (o comunque era titolare di autorizzazioni non conformi), che non era adeguato alla produzione di conglomerati cementizi per l'assenza di idonee attrezzature e di personale specializzato, che i rifiuti erano destinati non al ciclo produttivo, come materie prime, ma ad essere interrati per la realizzazione di un rilevato nel terreno di proprietà della Dellatorre Fratelli sito in località Chiabotti di Narzole in un cantiere per la realizzazione di un impianto sportivo in adiacenza di un albergo di proprietà della medesima ditta.
  La condotta di illecito interramento delle ceneri di Tirreno Power integrerebbe altresì il reato di realizzazione di discarica abusiva, di cui all'articolo 256 decreto legislativo n. 152 del 2006.
  L'accusa è sostenuta da una serie di attività di osservazione e controllo da parte degli investigatori dei Carabinieri, da sequestri di contratti, formulari e altra documentazione, dall'analisi dell'impianto Pag. 188di destinazione, da consulenze tecniche con carotaggi e analisi del terreno di effettiva destinazione delle ceneri di Tirreno Power, e da numerose intercettazioni telefoniche.
  La gestione del traffico e della discarica nelle località piemontesi indicate ha comportato declaratoria di incompetenza dell'autorità giurisdizionale di Genova a favore di quella di Torino.
  La prima audizione del procuratore della Repubblica di Savona ha consentito di acquisire una serie di informazioni collaterali e una valutazione, proveniente da quell'organo giurisdizionale, sull'atteggiamento complessivamente tenuto dalle istituzioni pubbliche liguri.
  La citazione di queste affermazioni è la premessa per quanto si dirà in seguito: dapprima riportando le simmetriche considerazioni in materia svolte davanti alla Commissione dall'allora presidente della regione Liguria, poi dando conto delle più recenti acquisizioni.
  Afferma dunque il procuratore della Repubblica:
  «Noi abbiamo contestato la più grave delle ipotesi di reato che si possano immaginare in questa materia, ossia il disastro doloso. L'ipotesi dolosa si nutre di una serie di elementi che noi abbiamo raccolto anche molto da fatti che costituiscono oppure no reato e che sono stati oggetti di procedimenti collaterali. Per esempio, c’è il trattamento di reflui. Nel caso specifico, questo riguardava il selenio e il boro. Il problema selenio è stato sostanzialmente risolto, quello del boro ancora non è risolto. Questo, quindi, è un altro profilo che blocca le ipotesi di funzionamento della centrale.
  Il profilo più grosso, però, è quello dell'immissione in atmosfera. Quello è veramente un profilo drammatico. [...] Noi abbiamo una serie di consulenze che sono state fatte coi migliori epidemiologi, tecnici e chimici che siamo riusciti a trovare solo a Matera. Sono gli stessi che hanno lavorato per Porto Tolle e hanno fornito delle conclusioni drammatiche, perché riferite semplicemente a sette anni di funzionamento della centrale rispetto ai quaranta effettivi. La limitazione è stata fatta in relazione ai dati che erano disponibili, specialmente a quelli di tipo sanitario. Noi abbiamo un numero di morti che certamente non è inferiore a 440, riferiti esclusivamente alla centrale, eliminando altre cause di inquinamento ambientale, che sono numerose. Si è trattato di una diagnosi differenziale, se volessimo usare questo termine. Inoltre registriamo 1.900 ricoveri solo per malattie cardiovascolari e respiratorie, escludendo i tumori. In materia di tumori si ha una certezza assoluta che il carbone e la combustione del carbone provochino il tumore. Non ci sono, invece, gli strumenti scientifici per misurare, per contare e per vedere il resto e allora quella parte lì resta fuori.
  Quello che abbiamo fatto in questa indagine, proprio per cercare nella maniera più totale e assoluta di essere non un organo dell'accusa, ma un organo pubblico di accertamento dei fatti, è stato sentire tutti gli specialisti che apparivano, che avevano fatto conoscere o manifestato fatti o che svolgevano ruoli istituzionali, che potessero fornirci degli elementi critici, delle voci contrarie, delle precisazioni e delle aggiunte.
  Il risultato è stato che praticamente tutti gli istituti, in sostanziale buona fede, partendo dall'Istituto superiore di sanità, nonostante una serie di critiche collaterali, come è inevitabile che avvenga in Pag. 189qualunque attività di tipo scientifico – se questo non ci fosse, non saremmo più nella scienza – hanno finito per rafforzare grandemente l'esito della consulenza.
  Dal punto di vista processuale hanno fornito una grande tranquillità. Dal punto di vista sociale hanno confermato la drammaticità della situazione. Invece, coloro che – cerco di non usare espressioni forti – avevano ritenuto semplicemente di buttare giù dei pareri che apparivano critici, se li sono visti smontare.
  In qualche caso bastava il pubblico ministero, che non è uno specialista, per contrastare dialetticamente le cose che vi erano scritte. In altri casi era opportuno che ci fossero i consulenti. Pertanto, abbiamo fatto tutta una serie di audizioni contraddittorie con i consulenti e tutte le accuse di poca scientificità nelle consulenze e, quindi, nell'esito delle medesime si sono liquefatte.
  In tutta questa vicenda, che è veramente drammatica, c’è stato un lungo periodo in cui [...] avevamo la sensazione di essere gli unici due che davvero si preoccupassero della sorte dei lavoratori. Questi sembravano una variabile inesistente.
  Poi, improvvisamente, quando ci si è resi conto della gravità dalla situazione, c’è stato un movimento frenetico – utilizzo un aggettivo che può essere inteso nel bene o nel male, cercando di non esprimere giudizi – per affrontare questo problema. Tuttavia lo si affronta nel momento in cui è già intervenuto il pubblico ministero e in cui il giudice ha disposto il sequestro e non ci sono più margini di trattativa. Di fronte a un'accusa di questo genere non si può più trattare. Questa è la difficoltà tremenda di questo procedimento. Prima si poteva, in qualche modo, adesso è estremamente difficile.
  Devo dire che in questa vicenda, come anche in senso lato, in tutto quello che riguarda il territorio, l'ambiente e i rifiuti, i veri interlocutori del pubblico ministero – naturalmente, questa è una generalizzazione che ammette moltissime eccezioni, ci mancherebbe altro – i veri antagonisti del pubblico ministero non sono i singoli soggetti indagati. È fisiologico che l'indagato si contrapponga, si difenda e dica la sua. No, i veri antagonisti sono le istituzioni locali.
  Dal punto di vista culturale questo, secondo me, è un problema veramente molto serio [...] La vera controparte sono diventati la regione, i comuni, la provincia. Io non mi meraviglio che l'amministratore delegato di Tirreno Power ce la metta tutta per dimostrare la sua innocenza, ma anche per riaprire l'azienda. Se, invece, questo lo fanno le istituzioni, mi crea un certo imbarazzo.
  Devo anche dire su questo – poi mi fermo su questo – che sono state fatte moltissime intercettazioni telefoniche e ambientali, da cui derivano prove dirette di condotte che vanno a integrare l'ipotesi di reato che abbiamo contestato. Soprattutto sono quelle che ci hanno fornito la sicurezza del procedere. Ci siamo resi conto che tutto ciò che veniva architettato e deciso era fatto per eludere, non per risolvere».
  Significativo di questa situazione è un documento risalente al dicembre 2010, acquisito dalla Commissione: si tratta di una comunicazione della procura della Repubblica di Savona ad ARPAL e al dipartimento ambiente della regione Liguria, con la quale la procura comunica di avere accertato, con un accesso a sorpresa, un inquinamento Pag. 190idrico da scarichi di reflui industriali con superamento dei limiti di legge dei parametri di solfiti, boro e selenio ma anche l'esistenza di dispositivi atti ad eludere i controlli.
  Su specifiche sollecitazioni della Commissione il procuratore della Repubblica ha ulteriormente chiarito alcuni aspetti della condotta aziendale e degli enti pubblici:
  «Il procedimento è nato di fronte alla constatazione del problema sanitario, non della violazione di singole norme, che, peraltro, sono per lo più contravvenzionali. Ci sono state di sicuro singole notizie di reato nel tempo, magari alcune addirittura risolte con decreto penale, ma la presa di coscienza giudiziaria del problema è derivata dalla consapevolezza del danno alla salute, sia attraverso una serie di esposti fatti da comitati di cittadini, sia soprattutto dalla presa di posizione ufficiale dell'ordine dei medici [...] l'Ordine dei medici di Savona ha fatto dei congressi, ha fatto dei comunicati ufficiali, ha chiesto di essere sentito in regione e ci sono state audizioni al consiglio regionale in cui i suoi rappresentanti hanno chiaramente denunciato questo fatto. Proprio la presa di posizione dell'ordine dei medici è quella che ha convinto me personalmente a prestare un'attenzione particolare anche alle segnalazioni che venivano dai comitati. È così che è cominciato il procedimento.
  Il procedimento ha avuto come oggetto principale, se non unico, l'accertamento del danno alla salute, poiché, come sapete benissimo tutti, anche chi fa un altro lavoro, nel reato c’è una condotta, un evento, ma c’è anche un elemento soggettivo.
  Noi siamo andati poi a cercare le eventuali violazioni semplicemente per corroborare ulteriormente l'elemento soggettivo. Alcune di queste violazioni, che peraltro sono relativamente, dal punto di vista dalla sanzione, poco gravi, conducono a ritenere l'ipotesi dolosa. Anche l'ipotesi dolosa si nutre soprattutto della volontà palese e, in qualche caso, potremmo dire anche conclamata dell'azienda di non fare assolutamente nulla che serva ad attenuare l'impatto della combustione del carbone. L'azienda ha continuato a lavorare, fino al giorno del sequestro, seguito immediatamente, dopo pochi giorni, dal decreto ministeriale di sospensione dell'AIA, ossia dell'autorizzazione integrata ambientale, come lavorava negli anni Settanta.
  [...] ci risulta dai verbali del consiglio di amministrazione che già nel 2012, o forse addirittura nel 2011, fosse previsto il licenziamento di quelle 116 persone che sono state poi licenziate nella primavera del 2014, dopo il sequestro. Questo era già previsto. Non sono state licenziate perché c’è stato il sequestro preventivo.
  Allo stesso modo, non risultano mai nei verbali del consiglio dei seri piani di finanziamento per la costruzione del gruppo VL6 [...] che è stato usato semplicemente come specchietto per le allodole per consentire il prolungamento del funzionamento degli altri due gruppi vetusti, dei quali era previsto lo smantellamento e il rinnovamento totale in concomitanza con l'entrata in funzione del VL6. Il VL6, però, non si è fatto mai e i due gruppi hanno continuato a funzionare».
  Alla luce delle acquisizioni successive acquista particolare valore, nella ricostruzione, doverosa da parte della Commissione, non del singolo fatto di rilevanza penale, bensì del fenomeno coinvolgente, Pag. 191come detto, temi ambientali generali e temi specifici di gestione dei rifiuti, l'interlocuzione tra audito e Presidente che si riporta di seguito:
«Presidente. Al di là dello studio generale sull'effetto della salute, questo tema è di fatto correlato, se non ho capito male, con un comportamento non direi – uso un termine non esatto – congruo dell'azienda per attenuare quell'effetto.
  Francantonio Granero, Procuratore della Repubblica di Savona. Sì.
  Presidente. Se l'azienda avesse applicato le migliori tecnologie possibili e avesse fatto una serie di operazioni, il risultato dell'inchiesta giudiziaria sarebbe stato probabilmente diverso.
  Francantonio Granero, Procuratore della Repubblica di Savona. Avrebbe certamente potuto essere diverso, in questo senso sì. Se noi parlassimo in una qualunque riunione o in un salotto di certo non lo potrei dire, ma, poiché voi mi avete chiamato come pubblico ministero e siete una Commissione parlamentare, vi dico che il comportamento dell'azienda è stato costantemente fraudolento. Gliel'abbiamo anche contestato. Sono state rese false dichiarazioni al pubblico ufficiale. Questa è una contestazione ancora in divenire, perché specialmente le intercettazioni telefoniche ci hanno offerto un quadro che adesso ci deve indurre a sistemare questo tipo di contestazioni. Tuttavia, le sistema aggravando globalmente la situazione, non attenuandolo, purtroppo».

  Altra questione sulla quale la Commissione si è soffermata in sede di audizione è quella della situazione economica dell'azienda in relazione agli interventi che avrebbero potuto essere effettuati per una corretta gestione degli aspetti ambientali e all'esistenza di un risalente piano di dismissione dell'impianto.
  Sul punto il procuratore della Repubblica ha risposto facendo riferimento all'analisi delle scritture contabili della società ma anche a intercettazioni da cui risultano difficoltà circa la liquidità del socio italiano (Sorgenia) con un'esposizione bancaria molto alta, che all'epoca di quello sviluppo di indagine si attestava tra i 700 e i 900 milioni di euro.
  Al momento dell'audizione lo sviluppo veniva così ipotizzato:
«Se poi questo si traduca in un piano di dismissione oppure no è azzardato che io lo dica, come pubblico ministero, così come sarebbe azzardato che io dicessi se la componente francese abbia oppure no interesse a immettere liquidità che consenta di proseguire l'attività e poi di acquisire il sito [...] Allo stato attuale è pacifico che, per fare i piccolissimi interventi – sono pur sempre interventi da 140 milioni di euro, ma sono piccolissimi rispetto alla dimensione della centrale e del giro di affari che c’è attorno – non ci sono risorse. Pertanto, adesso c’è un grosso movimento, che ha portato all'iscrizione nel registro di reati anche di pubblici ufficiali ed esponenti delle istituzioni, per riuscire a ottenere un termine dilatorio di 16 mesi rispetto al momento in cui si debbano raggiungere i limiti imposti dalla nuova AIA. Questi 16 mesi servirebbero a fare la cassa necessaria per realizzare gli investimenti».
  In realtà, nel 2001 la struttura era in condizione di avere i due impianti a metano che avrebbero potuto metterla al riparo dalle attuali conseguenze: tuttavia l'azienda ha continuato a lavorare a Pag. 192carbone; e gli enti territoriali e gli organismi di controllo non sono intervenuti. In particolare l'impianto a metano avrebbe potuto sostituire i due vecchi gruppi a carbone, VL1 e VL2. Secondo quanto con semplicità è stato riferito quale esito delle indagini «poiché il carbone costa meno del metano, i due gruppi a carbone hanno continuato a funzionare. Abbiamo naturalmente ricostruito tutto il tonnellaggio, le migliaia di tonnellate e le navi che arrivavano. Questi sono tutti i dati che abbiamo. L'impianto a metano, invece, il più delle volte non veniva messo in funzione [...] Secondo un'opinione del vecchio direttore della centrale, con l'impianto a metano stavano nei costi e non guadagnavano niente».
  È invece rimasto un mero sospetto, non assistito da prove, che nella centrale si siano talora anche bruciati rifiuti.
  A domanda della Commissione sull'atteggiamento del Ministero della salute in ordine ai risultati ottenuti per via consulenziale in sede giudiziaria penale sulla nocività della gestione di emissioni, reflui e rifiuti sulla perizia, il procuratore della Repubblica ha risposto: «il Ministero della salute, attraverso alcuni funzionari che abbiamo sentito come persone informate sui fatti, dimostrava un grande imbarazzo. Anzi, per taluni versi, un'espressione che è stata usata è che «la salute è la Cenerentola dell'ambiente». Questa è una frase che riferisco in maniera sostanzialmente testuale.
  Comunque, nel momento del rilascio della nuova AIA il Ministero ha espresso un parere interlocutorio. Ha detto che c'erano delle consulenze che dicevano queste cose, ma c'erano delle evidenze, che erano state citate nella nota del Ministero per la salute, anche di incremento di tumori. In termini di proposta, il Ministero ha proposto che si facesse un osservatorio. In sostanza, però, non è stato un parere positivo quello del Ministero. Rispetto alla perizia è stato sostanzialmente adesivo con la prudenza che è umano attendersi da un Ministero, così come è stato sostanzialmente adesivo quello dell'Istituto superiore di sanità, che poi ha fornito la base per il parere espresso dal Ministro della salute».
  La sintesi della situazione porta a distinguere tra questioni giuridiche, connotate da un fisiologico grado di opinabilità – essendo il procedimento ancora formalmente in fase d'indagine, sia pure conclusa, ma senza avvenuto esercizio dell'azione penale, né, a maggior ragione, verifica giurisdizionale – e quadro di esercizio concreto di poteri e funzioni in materia ambientale.
  Gli assunti di più delicata verifica giurisdizionale riguardano il nesso causale tra illeciti ambientali e disastro sanitario inteso come produzione di decessi, ricoveri ospedalieri, malattie correlate all'esercizio della centrale a carbone; e la possibilità di utilizzare il principio di precauzione come norma cautelare ai sensi dell'articolo 43 del codice penale.
  A tale proposito la Commissione ha acquisito il parere reso dall'Istituto superiore di sanità, nel gennaio 2014, di valutazione delle consulenze tecniche in materia epidemiologica della procura della Repubblica di Savona.
  Lo studio dei consulenti del pubblico ministero è definito «impegnativo e ambizioso» e viene rilevato che «propone una metodologia inusuale».Pag. 193
  Proprio sotto il profilo metodologico, tuttavia, vengono formulate diverse riserve che, nella prospettiva dell'Istituto di utilizzazione di quelle acquisizioni scientifiche a scopi di tutela della sanità pubblica, meriterebbero una discussione scientifica ulteriore.
  Questo assunto vale a maggior ragione, così come si è già rilevato, per gli aspetti processuali.
  Ma, a prescindere, dalle cennate questioni giuridiche, i fatti che già emergono dagli atti di indagine ora depositati integralmente dalla procura della Repubblica, segnalano un disequilibrio tra ragioni della tutela ambientale e ragioni della produzione industriale a sfavore delle prime.
  D'altro canto, un'azienda delle dimensioni economiche e capace di ricadute occupazionali quali sono quelle di Tirreno Power, dispone di una forza, che se non si vuol definire di pressione quantomeno va definita «di coinvolgimento» delle istituzioni pubbliche sino ai massimi livelli, che altri operatori economici non possono vantare.
  E del resto la questione occupazionale emerge con evidenza – insieme ad affermazioni autodifensive – dalle parole dell'allora presidente della regione Liguria in sede di audizione:
  «Il procuratore ha una perizia che dice bianco e noi abbiamo dei pareri degli uffici che non dicono beige, ma nero, o viceversa, come volete. Avete visto anche l'ampiezza. Siamo in una situazione di difficoltà enorme. I nostri uffici – vedo che lo dice anche il tribunale – sostengono che quest'azienda non ha mai superato i limiti di emissione. Si fa, quindi, fatica a capire che rapporto ci sia tra il fatto che l'azienda non abbia superato i limiti e il fatto che si sarebbe provocato un disastro ambientale di quelle dimensioni.
  L'aspetto più impressionante, però, ed è per questo che ho chiesto che venisse la dottoressa Minervini – io sono ingegnere elettronico, ma non faccio questo mestiere da tanto tempo; comunque, non avrei la competenza per parlarne – è che la centrale è stata sequestrata a marzo. Siamo andati avanti poi monitorando tutti i mesi, ma erano compresi i periodi primaverili ed estivi.
  Ora gli ultimi campioni sull'aria dicono che in questo momento l'aria di Vado e Quiliano è leggermente peggiore di quando la centrale era aperta. È un'affermazione pesante, me ne rendo conto, ma, se questo viene fuori, che cosa vi devo dire ? Sono dati disponibili. Sono sul sito ARPAL.
  Io come mi oriento su questa vicenda ? Da una parte, ci sono 500 posti di lavoro e una perizia del procuratore che dice che questa centrale ha provocato una roba [...]. Dall'altra, io ho uffici che mi dicono che la centrale non ha mai superato i limiti di emissione e che oggi – questo è un dato che non so come interpretare – la qualità dell'aria di Vado è un po’ peggiore di quando la centrale funzionava.
  Come faccio io, a cuor leggero, a fare un atto che comporta che 500 persone vadano a casa con il dato che mi fornisce la struttura ? D'altronde, capisco il procuratore, che ha una perizia che dice l'opposto. Spero che qualcuno ci metta un po’ le mani. Parliamoci chiaro: qui tutti, a parte noi, sono un po’ defilati.
[...]
  Quando il procuratore mi sentirà – non mi ha mai sentito finora – gli racconterò queste cose. Non sappiamo più veramente cosa fare. Pag. 194Ieri mattina è esplosa la notizia. La dottoressa Minervini mi ha chiamato al telefono e mi ha detto che siamo sicuri di quello che diciamo al 2000 per cento. Io non so più cosa fare.
  Il tema è questo. Adesso si è previsto un investimento per coprire i carbonili, e su questo non c’è discussione. Dopodiché, si è chiesto un intervento, perché l'AIA era stata fatta in previsione dell’«investimentone». Se non si fa più l’«investimentone», l'AIA diventa più severa.
  Il tema, dunque, è: considerato che le nostre leggi dicono che le emissioni possono andare da A a B, dove ci si deve mettere ? Noi abbiamo deciso di metterci al centro di questa forchetta. Queste sono le stesse regole con cui trattiamo la centrale di Genova e quella di La Spezia. Se invece, come spingono alcuni – non voglio dire la procura, perché la procura, almeno formalmente, non ha questo compito – ci vogliamo mettere sulla fascia bassa, l'azienda dice che non ce la fa e chiude.
  Io mi domando: come facciamo noi a imporre a tre centrali della stessa regione, o dello stesso Paese, nel qual caso diventano più di tre, regole diverse ? Faccio fatica a capirlo. È per questo che noi abbiamo fatto un atto che ci è costato probabilmente molto caro e abbiamo coinvolto il Governo per chiedere se è possibile che i limiti emissivi di diverse centrali di una regione o di un Paese, stando dentro una forchetta – è chiaro che, se si sta dentro una forchetta, si può stare dove si vuole – possano essere imposti in modo tanto differente.
  Forse, se avessimo detto di stare sulla fascia A, chiudendo un occhio sul fatto che le altre centrali stessero su livelli diversi, ma tenendo conto che da altre parti l'inchiesta non c'era, non avremmo avuto i problemi che abbiamo avuto. Tuttavia, io penso che amministrare voglia dire fare scelte in modo diverso. La metto così.
  Infine, volevo rispondere sulla questione del metano. Io so bene che il metano è meglio del carbone. Lo so benissimo, ma in Italia non è vietato usare il carbone. Pertanto, io devo gestire dei processi in cui un imprenditore mi propone un progetto in cui usa il carbone. Non scelgo io, perché i soldi sono i suoi, non i miei.
  [...] D'altronde, l'Italia è un Paese che non ha materie prime. È un Paese che non ha il nucleare. A Vado ha chiuso l'OCV. L'OCV è una vetreria. Sapete perché ha chiuso ? Perché alla multinazionale produrre il vetro nello stabilimento di Chambéry – la vetreria è un'azienda energivora – costa il 35 per cento di meno che produrlo in Italia. Questi problemi ve li ponete, oppure possiamo chiudere tutto ? Io me li pongo. Gli operai di Vado o sono disoccupati, o sono andati a Chambéry.
  Pertanto, il tema di quanto costa produrre l'energia è un tema del Paese, non è un tema degli imprenditori e basta. Se negli anni in cui il petrolio e il metano avevano prezzi alti il carbone, che è lecito, tendeva un po’ a riequilibrare un costo dell'energia spaventosamente alto nel nostro Paese, un amministratore pubblico, sapendo che il carbone è lecito, doveva chiedere ai suoi uffici di comunicargli a quali condizioni fosse possibile continuare a operare.
  Non è disponibilità di un presidente di regione dire che nella sua regione non approva determinati impianti, se sono leciti. Bisogna Pag. 195vedere poi le condizioni a cui sono leciti, ed è questo il tema su cui si farà questo dibattimento».
  Analogamente, dalla prefettura di Savona, in maniera sommaria in sede di audizione e più ampia a seguito di una richiesta della Commissione di relazione integrativa, sono pervenuti dati e osservazioni sulle ricadute occupazionali e sociali della vicenda, anch'esse espressive dell'atteggiamento dell'azienda e dell'approccio al tema del rapporto tra corretta gestione ambientale e strategie d'impresa.
  Si deve a tale proposito richiamare il provvedimento giudiziario di sequestro del giudice per le indagini preliminari, che, con una forma di garanzia del tutto particolare, aveva immediatamente individuato – con un'anticipazione della possibilità di applicare a favore dell'azienda le forme di cui all'articolo 85 disposizioni attuative del codice di procedura penale (restituzione con imposizione di prescrizioni) – le modalità operative per far rientrare le esigenze cautelari che avevano reso necessaria l'adozione del sequestro. Nel provvedimento di sequestro preventivo, si legge, infatti che «ove la Tirreno Power SpA provvedesse all'installazione di un sistema di controllo adeguato, da calibrare e monitorare ad opera di uno o più tecnici nominati da questo giudice, ai quali andrebbe anche affidato il compito di accertare, attraverso i controlli giornalieri dello SME, sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni industriali convogliate, che i gruppi a carbone [...] siano gestiti in modo da mantenere le emissioni nei limiti delle MTD, migliori tecnologie disponibili, potrà provvedersi al dissequestro dei detti impianti».
  L'azienda, invece, ha presentato successivamente un'istanza volta ad ottenere l'autorizzazione per «l'esercizio temporaneo e vincolato» dei gruppi a carbone, che non è stata accolta, in quanto ritenuta «palesemente strumentale, essendo volta ad indirizzare nel senso voluto dall'istante [...] le decisioni del pubblico ministero ed, eventualmente, del giudice per le indagini preliminari, per ottenere l'autorizzazione al riavvio dei gruppi VL3 e VL4, al di fuori e oltre le indicazioni contenute nel decreto di sequestro».
  Dopo il sequestro dei gruppi a carbone, si è registrato un solo intervento di rilievo, consentito dall'autorità giudiziaria per motivi di sicurezza, al fine di rimuovere il carbone stoccato nel carbonile del plesso industriale, in stato di notevole ossidazione.
  La prefettura di Savona è stata tenuta informata dall'autorità giudiziaria procedente, che, come si legge nella relazione, ha trasmesso gli atti giudiziari rilevanti, «per opportuna collaborazione istituzionale».
  La questione occupazionale, enfatizzata, come si è visto, dall'allora presidente della regione Liguria, è stata oggetto principale dell'intervento istituzionale della prefettura.
  Le aziende coinvolte nell'indotto, comprensive di tutti i servizi sono oltre 90, di cui 40 costantemente presenti in centrale, per complessivi 857 addetti, di cui 300 presenti quasi quotidianamente in centrale nei periodi di attività a regime.
  La Tirreno Power dopo il sequestro ha sospeso buona parte dei contratti di appalto e il portafoglio di ordini sospesi per le aziende dell'indotto ha superato i trenta milioni di euro.Pag. 196
  L'interruzione dell'attività della centrale ha, altresì comportato un netto calo della movimentazione portuale del carbone: secondo quanto comunicato dalla prefettura, nel 2014, nel settore delle «rinfuse solide», il traffico è stato di circa 2,2 milioni di tonnellate (con riduzione anno su anno del 34,4 per cento), di cui 1,1 milioni di tonnellate di carbone (-50,1 per cento). I dati di fonte Assoporti indicano una riduzione delle rinfuse solide da 3.366.614 tonnellate nel 2013 a 2.209.371 tonnellate nel 2014.
  Alla luce di questa situazione, Terminal Rinfuse Italia ha sospeso l'investimento da circa trenta milioni di euro previsto con la realizzazione della futura piattaforma Multipurpose di Vado Ligure che, oltre ai container di APM Terminals, prevedeva un accosto dedicato al carbone.
  Nel periodo luglio – ottobre 2014, l'azienda e i sindacati hanno concordato un piano di mobilità volontaria, che ha riguardato un centinaio di lavoratori, e l'introduzione di contratti di solidarietà: usufruiscono di ammortizzatori sociali circa 250 lavoratori.
  È stato indetto uno sciopero generale di livello provinciale l'11 aprile 2014, in occasione della cui proclamazione si è tenuto in Prefettura un tentativo di conciliazione ai sensi della legge n. 146 del 1990 nel corso del quale si è discusso della esigenza di adottare interventi ad ampio raggio per rivitalizzare l'economia locale.
  Un secondo tentativo di conciliazione si è tenuto il 2 aprile 2015, su richiesta delle organizzazioni sindacali, che hanno evidenziato le loro preoccupazioni per il permanere del blocco della centrale termoelettrica. In assenza di una reale proposta industriale, infatti, secondo il sindacato le conseguenze dello stallo produttivo ricadranno soprattutto sui lavoratori. È poi seguito uno sciopero di otto ore il 29 aprile 2015. La relazione della prefettura precisa: «il rappresentante della parte datoriale, responsabile delle relazioni sindacali di Tirreno Power, ha, al riguardo, ribadito la volontà dell'azienda di proseguire l'attività nel sito vadese, una volta superata l'attuale fase di stallo determinata dai provvedimenti cautelari e dai ricorsi che pendono innanzi all'autorità giudiziaria amministrativa avverso la nuova Autorizzazione Integrata Ambientale, che prevederebbe prescrizioni tecniche ritenute dall'azienda non attuabili, secondo criteri di ragionevolezza gestionale.
  L'azienda, a detta dell'esponente intervenuto all'incontro, avrebbe, inoltre attivato un procedimento di ristrutturazione del debito, in attesa di omologazione da parte della competente autorità giudiziaria.
  Nello specifico, per quanto attiene la circostanza che ha generato la procedura di conciliazione, ossia l'erogazione dei premi ad alcuni lavoratori, l'esponente della parte datoriale ha precisato che l'azienda, con tali premi, ha inteso remunerare coloro ai quali è stato richiesto, nel corso dello scorso anno, un'attività che va ben oltre l'ordinario svolgimento delle proprie mansioni. Gli esponenti sindacali, al termine dell'incontro, hanno ribadito il proprio sconcerto per l'avvenuta attribuzione di premi economici ad alcuni dipendenti, ritenuti, nel contesto economico-finanziario in cui attualmente versa l'azienda, indebiti e gravemente lesivi della parità di trattamento fra i lavoratori».Pag. 197
  Sempre in sede di conciliazione, le organizzazioni sindacali hanno richiesto l'immediata ripresa del tavolo tecnico di livello governativo, al fine di poter comprendere quali siano i reali margini per risolvere concretamente i molteplici problemi di carattere produttivo e ambientale che hanno determinato lo stato di crisi dell'azienda: il tavolo tecnico si è riunito a Palazzo Chigi, fino ad oggi, tre volte: il 23 dicembre 2014, il 18 febbraio 2015, il 25 giugno 2015. In occasione dell'ultimo incontro, svoltosi alla presenza del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, e di rappresentanti dei Ministeri dello sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela del territorio, nonché della regione Liguria, degli enti locali e dei sindacati di categoria e confederali, il direttore generale di Tirreno Power, Andrea De Vito, ha ribadito la volontà di proseguire l'attività del sito vadese, subordinando però l'elaborazione del piano industriale agli esiti dei ricorsi pendenti.
  Il tavolo presso la Presidenza del Consiglio è stato aggiornato, per un monitoraggio della situazione, al settembre 2015, tenuto conto anche degli sviluppi attesi in merito al Green Act e al piano di sviluppo energetico del Paese.
  Secondo quanto riferisce la prefettura sugli esiti del confronto in sede locale «le parti sociali hanno evidenziato l'assoluta necessità di ragionare del futuro della centrale termoelettrica di Vado Ligure facendo chiarezza sulle politiche energetiche nazionali, e, in particolare, sulla possibilità di considerare ancora l'energia elettrica prodotta dal carbone come un settore strategico per l'economia italiana».
  Nel corso della sua prima audizione il procuratore della Repubblica di Savona aveva affermato, in termini generici «sono stato soggetto a pressioni di tutti i tipi, come ricatti e pedinamenti. Se si vanno a toccare determinati interessi, succede questo».
  Nel corso della successiva audizione – svoltasi dopo il deposito integrale degli atti di indagine – egli ha fatto più specifico riferimento a un andamento anomalo della vicenda processuale, nella quale, dopo il sequestro del marzo 2014, la Tirreno Power, anziché articolare e proporre le sue difese e istanze all'interno del procedimento penale, ha iniziato quello che il procuratore definisce (e l'annotazione finale del NOE di Genova con ampi stralci di intercettazioni ambientali e telefoniche conferma essere) «un lavorio frenetico» per ottenere appoggi dalla regione, dalle amministrazioni locali, dai Ministeri interessati, in tal caso anche mediante l'introduzione di nuove norme che, modificando quelle sui cui in parte si reggevano le accuse, potessero vanificarle.
  Il direttore generale di Tirreno Power, in una telefonata intercettata il 29 aprile 2014 insiste più d'una volta sulla necessità di «fare le norme.
  Le conversazioni tra alcuni dirigenti del Ministero dell'ambiente, riuniti in quegli uffici il 13 maggio 2014, vengono intercettate: le espressioni utilizzate sono inequivoche: «cerchiamo di fare una porcata almeno che sia leggibile», «se si volesse fare una cosa pulita... Questa pulita non potrà mai essere. Meno sporca», «abbiamo una porcata da fare in trenta minuti... Tirreno Power», «faccio una legge più dirompente dell'altra, per cui stiamo scardinando tutti i principi dell'ordinamento».Pag. 198
  Un'ulteriore eventualità di intervento obliquo viene individuata in una conversazione tra il direttore generale di Tirreno Power e due dirigenti del Ministero dell'ambiente, sempre negli uffici del Ministero, in quello che il procuratore ha definito il «tentativo di cercare attraverso la via disciplinare di far smettere questa attività di indagine».
  Premesso che, come afferma il direttore generale di Tirreno Power, «se riapriamo Vado Ligure ce la facciamo, se non riapriamo Vado Ligure c’è il reale rischio che andiamo sottosopra», egli contesta le condotte delle amministrazioni interessate e di taluni specifici funzionari ritenuti troppo «allineati» con gli esiti delle indagini giudiziarie e delle valutazioni sull'incidenza sanitaria degli illeciti ambientali; e a proposito del procuratore della Repubblica, il direttore generale di Tirreno Power afferma di avere interloquito con l'avvocato Paola Severino e con il sottosegretario allo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, per esaminare l'ipotesi di «fare un esposto al CSM» ovvero «far aprire un'indagine da parte del Ministro della giustizia» per sottoporre il procuratore della Repubblica a un procedimento disciplinare.
  La complessità della vicenda è anche attestata dall'attenzione ad essa riservata in sede di sindacato ispettivo parlamentare. Sono state infatti presentate in materia alla Camera dei deputati un'interpellanza urgente (n. 2-00457) dal deputato Massimo Fiorio, discussa nella seduta del 21 marzo 2014, e una interpellanza urgente (n. 2-00728) dalla deputata Anna Giacobbe, discussa nella seduta del 20 novembre 2014.

10. La demolizione della Costa Concordia.

  La motonave Costa Concordia, naufragata il 13 gennaio 2012 all'isola del Giglio, è un relitto ai sensi del Codice della Navigazione e un rifiuto ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Il relitto è stato trasportato il 27 luglio 2014 dall'Isola del Giglio a un'area di cantiere allestita nel porto di Genova, presso il VI Modulo dell'area di Prà-Voltri.
  All'inizio delle operazioni il pescaggio del relitto era di circa 17,45 metri, destinato a ridursi con il progressivo alleggerimento.
  La fase di alleggerimento, iniziata nel successivo mese di ottobre, è stata monitorata in maniera sistematica: si è trattato dello smaltimento di rifiuti provenienti dall'interno della nave, inviati a discariche in Lombardia e in Piemonte.
  Anche in questo caso, dunque, la regione Liguria denuncia la sua non autosufficienza.
  La rimozione dei rifiuti è avvenuta previa raccolta secondo codici CER in big bags e cassoni. Tramite l'impiego di tre gru i contenitori venivano su una chiatta che effettuava il trasporto fino al VI Modulo, sede di un'area di stoccaggio in banchina.
  La nave è stata isolata mediante cinturazione con panne antiinquinamento con gonna immersa fino alla profondità di circa un metro, per la quale è stata garantita una gestione e manutenzione continua mediante controllo settimanale verbalizzato.Pag. 199
  Finita la fase di alleggerimento, il 12 maggio 2015 la nave è stata trasferita in un bacino nel porto antico di Genova, dove sarà smantellata nella prospettiva del recupero dell'acciaio.
  I controlli sullo smaltimento e il trasporto dei rifiuti sono stati svolti dalla Capitaneria di porto e dall'ARPAL, mentre la prefettura di Genova ha coordinato le attività delle forze di polizia e, in accordo con la procura della Repubblica di Genova, un'attività di prevenzione antimafia.
  Nessuna evidenza è stata acquisita quanto a interessi criminali, nessun reato ambientale è stato accertato.
  ARPAL ha riferito di un'unica iniziale violazione di prescrizioni relative a tracciabilità dei rifiuti e a modalità di stoccaggio da parte di Ship Recycling s.c.a.r.l., titolare di autorizzazione integrata ambientale per la demolizione e smaltimento della nave Concordia. In due sole occasioni, si è verificato un superamento delle concentrazioni dei parametri mercurio (livello misurato 0,17 ug/l, valore di allarme 0,06 ug/l il 31 dicembre 2014) e piombo (il 17 e 31 dicembre 2014: livello misurato 7,7 ug/l, valore di allarme 7,2 ug/l) nelle acque marine. La Ship Recycling ha dichiarato di non avere rilevato nessuna possibile sorgente dei due parametri. La gestione delle anomalie, non è stata conforme quanto alle modalità di comunicazione, a quanto prescritto in autorizzazione e pertanto l'ARPAL ha elevato una sanzione amministrativa ai sensi dell'articolo 29-quaterdecies, secondo comma, decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Alla data del 12 febbraio 2015 la Capitaneria di porto, nell'ambito delle verifiche periodiche relative all'andamento delle operazioni di alleggerimento del relitto della M/N Costa Concordia, con particolare riferimento all'osservanza delle prescrizioni inserite nell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata dalla provincia di Genova, segnalava quanto segue:
   2.127 tonnellate di rifiuti movimentati dal relitto;
   2.081 tonnellate di rifiuti già inviati agli impianti di destinazione;
   46 tonnellate di rifiuti al momento presenti nell'area di deposito temporaneo;
   80-100 tonnellate di rifiuti movimentati mediamente, ogni giorno, tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio (con un sensibile incremento rispetto ai mesi precedenti);
   210 – 220 lavoratori impiegati nel cantiere.

  Nelle acque comprese tra il relitto e l'area di cantiere del VI Modulo dell'area di Prà-Voltri non si è evidenziata alcuna traccia di inquinamento.
  La Commissione ha acquisito una relazione di aggiornamento della Capitaneria di porto di Genova sulla situazione al momento del trasferimento del relitto.
  È stato confermato che «il pomeriggio del giorno 11 maggio 2015, a conclusione delle operazioni di ’alleggerimento’ (fase 1 del processo di demolizione), il relitto della M/N Costa Concordia ha lasciato il Pag. 200bacino di Prà-Voltri ed è stato trasferito, a rimorchio, presso il molo ’ex Superbacino’, dell'area ’Riparazioni Navali’ del porto di Genova, ove è giunto la mattina del giorno seguente, allo scopo di eseguire le ulteriori fasi della demolizione».
  La demolizione del relitto/rifiuto Costa Concordia (identificato, ai sensi della normativa ambientale, dal codice C.E.R. 160104) è stata condotta (e lo sarà in seguito) a cura del consorzio Ship Recycling, costituito da San Giorgio del Porto SpA avente sede a Genova e Saipem SpA avente sede a San Donato Milanese, comproprietarie del bene – ancora iscritto al n. 73 del registro internazionale della Capitaneria di porto di Genova – che, ai sensi dell'articolo 160 del codice della navigazione, hanno presentato alla Capitaneria di porto di Genova istanza di demolizione volontaria, autorizzata il 3 marzo 2015.
  L'attività di demolizione, in considerazione della sua elevata complessità, nonché dei potenziali impatti ambientali, compresa la gestione dei numerosi rifiuti prodotti, è stata preventivamente sottoposta ad Autorizzazione Integrata Ambientale, che la provincia (ora Città Metropolitana) di Genova ha rilasciato, con numerose prescrizioni, ai sensi del decreto legislativo 59 del 2005, a conclusione di una conferenza di servizi, cui hanno partecipato, tra gli altri, la regione Liguria, l'ARPAL, la Capitaneria di porto, l'Autorità portuale, il comune di Genova e l'ASL 3.
  La trasformazione del rifiuto unitario «nave» (identificato con il codice C.E.R. 160104 – veicolo fuori uso), ha portato – e porterà – alla generazione di molteplici tipologie di rifiuti (pericolosi e non) la cui gestione e tracciabilità è, sin dalle prime fasi, oggetto di monitoraggio e controllo da parte del personale della Capitaneria di porto di Genova, per finalità di polizia giudiziaria, ai sensi dell'articolo 195, quinto comma, del decreto legislativo n. 152 del 2006; l'ARPAL ha svolto una costante attività di monitoraggio ambientale, di cui ha riferito alla Commissione con esaustiva documentazione e ha eseguito il controllo integrato ai sensi dei provvedimenti AIA 2932 del 16 luglio 2014 e modifica AIA 5087 del 16 dicembre 2014.
  L'attività di controllo ha riguardato il rispetto delle prescrizioni dettate dall'AIA, in particolar modo per quanto riguarda la gestione dei rifiuti, la prevenzione di inquinamenti o sversamenti; il rispetto delle condizioni e delle prescrizioni del deposito temporaneo dei rifiuti presso l'area di cantiere; il rispetto della normativa sulla tracciabilità dei rifiuti, sia presso l'area di cantiere, sia durante il trasporto, in particolar modo in uscita dall'ambito portuale, con verifica, successiva, della corretta ed effettiva destinazione.
  Al momento del trasferimento erano state movimentate circa 5.800 tonnellate di rifiuti, quasi un decimo del peso complessivo del «rifiuto nave».
  Non sono emerse inottemperanze alla normativa sulla gestione dei rifiuti.
  La movimentazione dei rifiuti verso i cinque impianti di prima destinazione è avvenuta attraverso quattro imprese di trasporto – Germani SpA, con sede a San Zeno sul Naviglio (BS), Se.Tra.s. Srl, con sede a Narni (TR), Vecchi Zironi, con sede a Reggio Emilia, Pag. 201Grassano S.pA», con sede a Predosa (AL) – tutte in possesso dei requisiti previsti per la gestione dei rifiuti movimentati.
  Le ulteriori verifiche della Capitaneria di porto hanno privilegiato, in particolare, la tracciabilità delle tipologie di rifiuti destinati allo smaltimento, dirette prioritariamente verso lo stabilimento Grassano SpA di Predosa (AL).
  I rifiuti identificati dal codice CER 170603 (materiali isolanti contenenti sostanze pericolose), in ingresso nell'impianto Grassano SpA con finalità «ricondizionamento preliminare (D14)», sono stati successivamente inviati, per lo smaltimento definitivo, identificato dal codice «deposito sul suolo (D1)», presso l'impianto Pistoiambiente Srl» con sede a Serravalle Pistoiese (PT); i rifiuti identificati dal codice CER 191211 (materiali indifferenziati derivanti dal trattamento meccanico dei rifiuti) in ingresso nell'impianto Grassano SpA con finalità «raggruppamento preliminare (D13), sono stati depositati in un'area coperta, dedicata, presso tale impianto. A causa dell'alto tasso di materiale organico riscontrato in fase di caratterizzazione, detti rifiuti, ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 2003 sono stati destinati a smaltimento presso una discarica in Germania, nei pressi di Amburgo; i rifiuti identificati dal codice CER 160601 (batterie al piombo), in ingresso nell'impianto Grassano SpA con finalità «messa in riserva prima del recupero (R13)», sono stati inviati per il recupero (R4) presso l'impianto Ecobat di Paderno Dugnano (MI); rifiuti identificati dal codice CER 170904 (rifiuti misti dell'attività di costruzione e demolizione), in ingresso nell'impianto Grassano SpA con finalità «raggruppamento preliminare (D13)», sono stati inviati, per lo smaltimento definitivo «messa in discarica (D5)», presso lo stabilimento La Filippa Srl, con sede a Cairo Montenotte (SV).
  Nessuna criticità o violazione è stata accertata sul tracciamento.
  La stessa Capitaneria di porto ha aggiornato, con nota del 7 luglio 2015, le informazioni sulla situazione della Costa Concordia, dopo l'inizio della fase 2 dello smantellamento, che in base al piano di demolizione, a suo tempo approvato, proseguirà con la completa rimozione degli arredi e allestimenti interni ancora in essere, nonché con il taglio dei ponti dal 14 al 2.
  Nei primi due mesi di permanenza del relitto presso il molo «ex Superbacino» sono state prodotte circa 780 tonnellate di nuovi rifiuti.
  Sono proseguiti i controlli eseguiti dalla Capitaneria di porto ai sensi dell'articolo 195, quinto comma, del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Al luglio 2015 risultano impiegati circa 130 operai e vengono movimentati, in uscita dal cantiere, cinque o sei carichi al giorno di rifiuti scaricati dal relitto; l'area impermeabilizzata, con le caratteristiche strutturali indicate nell'AIA, da utilizzarsi quale deposito temporaneo dei rifiuti presso l’«ex Superbacino», non è ancora terminata. I nuovi rifiuti, pertanto, una volta scaricati dalla nave vengono caricati sui camion, per essere movimentati verso gli impianti di destinazione, senza periodi di sosta significativi nelle aree di cantiere esterne al relitto.
  I nuovi rifiuti derivanti dallo svuotamento del relitto sono stati finora destinati oltre agli impianti già indicati, ad altri, in seguito individuati dal consorzio Ship Recycling: Eureko Srl, con sede legale Pag. 202a Milano e sede operativa a Peschiera Borromeo; Sereco Piemonte SpA, con sede legale a Reggio Emilia e sede operativa a Leinì (TO); Lodigiana Maceri Srl, con sede legale e operativa a Marudo (LO); Tecno Ambiente Srl, con sede legale e operativa a Genova.
  Nessun rilievo in ordine ad eventuali illeciti connessi al ciclo dei rifiuti è stato segnalato.