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Doc. XXII-bis n. 10


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Premessa.

        La Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali è stata istituita con deliberazione della Camera dei deputati del 5 novembre 2008, con il compito di indagare sulle cause e sulle responsabilità degli errori sanitari nelle strutture pubbliche e private e sulle cause di ordine normativo, amministrativo, gestionale, finanziario, organizzativo, funzionale ovvero attinenti al sistema di monitoraggio e controllo che, nelle regioni interessate dal decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 2007, n. 64, hanno contribuito alla formazione di disavanzi sanitari non sanabili autonomamente dalle regioni medesime, anche al fine di accertare le relative responsabilità.

        La Commissione, costituitasi con l'elezione dell'Ufficio di presidenza nella seduta del 1o aprile 2009, ha successivamente terminato la sua attività a seguito della conclusione anticipata della XVI legislatura, il 22 gennaio 2013.

        Per quanto concerne il primo filone dell'inchiesta, la deliberazione istitutiva attribuisce alla Commissione il compito di verificare la quantità e la gravità degli errori commessi in campo sanitario, individuando contestualmente le categorie cui sono più frequentemente riconducibili, come l'inefficienza delle strutture sanitarie o eventuali carenze dell'organico del personale medico e paramedico; valutando l'incidenza degli stessi in termini di perdite di vite umane o comunque di danni alla salute dei pazienti; verificando l'appropriatezza del risk management, esaminando la gestione del rischio in medicina; provvedendo altresì ad indicare possibili correttivi, sia sul piano organizzativo che qualitativo del Sistema sanitario nazionale.

        Per quanto invece riguarda i disavanzi sanitari, le regioni alle quali si fa riferimento sono quelle che – al fine della riduzione strutturale del disavanzo del servizio sanitario nazionale – hanno sottoscritto un accordo con lo Stato per la predisposizione di uno specifico piano di rientro, a seguito del quale, ai sensi del citato decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, lo Stato concorre al ripiano del relativo disavanzo sanitario regionale.

        Le regioni che hanno dovuto predisporre i piani di rientro sono state il Lazio, la Campania, la Sicilia, la Liguria, la Sardegna, l'Abruzzo, il Molise, la Calabria il Piemonte e la Puglia, tra le quali, il Lazio, l'Abruzzo, il Molise, la Campania e la Calabria, sono state commissariate. Si ricorda che dal 2007, per effetto dell'articolo 1, comma 836 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per l'anno 2007), la Sardegna provvede al finanziamento del fabbisogno complessivo del Servizio sanitario nazionale sul proprio territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato.

        Nello svolgimento della propria attività istituzionale, la Commissione ha proceduto ad acquisire atti e documentazione in merito ai casi di presunto errore sanitario, ad audire in forma libera e mediante esami testimoniali soggetti in grado di fornire informazioni e notizie utili all'oggetto dell'inchiesta, nonché a svolgere numerose missioni


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fuori sede con particolare riferimento alle regioni interessate dai piani di rientro dal disavanzo sanitario.

        A tale ultimo riguardo, la Commissione si è avvalsa del particolare e qualificato supporto delle sezioni di controllo e delle procure regionali della Corte dei conti, mediante dati ed elementi istruttori forniti anche nel corso di specifiche audizioni per alcune delle regioni in disavanzo, nonché della documentazione trasmessa dall'Ispettorato generale della spesa sociale presso la Ragioneria generale dello Stato e dalle singole regioni o aziende interessate dall'inchiesta.

        In particolare nel 2011 è stato possibile finalizzare il lavoro istruttorio avviato nel biennio precedente, addivenendo all'approvazione delle prime due relazioni alla Camera (sulla Regione Calabria e sui punti nascita), per poi approvare, nel 2012, quelle sul disavanzo della ASL di Massa e Carrara e sullo stato della sanità in Liguria: obiettivi conseguiti all'esito di un'analisi ragionata dell'enorme mole di documentazione acquisita nell'ambito dei vari filoni di inchiesta, tributaria di una evoluzione in senso istituzionale della metodologia di interlocuzione con le singole realtà regionali.

        Il lavoro non è stato affatto agevole: nei bilanci della sanità in questi anni si sono registrate situazioni largamente deficitarie, la cui entità è stata anche difficile da quantificare, in quanto è mancata, spesso, la rintracciabilità delle spese. Per questi motivi, la Commissione ha potuto completare l'istruttoria solo su alcune delle Regioni in disavanzo: Calabria, Liguria, Campania, Sicilia e alcune specifiche aziende sanitarie.

        Nel caso della Calabria, ad esempio, la relazione alla Camera evidenzia come non sia stato facile, anche sotto il profilo politico, fissare obiettivi, sia finanziari, sia sociosanitari, non conoscendo, in fase di programmazione, la base di partenza dalla quale predeterminarli, calcolarli e valutarli.

        La Commissione ha sempre espresso l'orientamento unanime a considerare prioritaria, nell'invarianza dei costi, l'attenzione per la tutela del diritto alla salute dei cittadini, e quindi a finalizzare gli interventi dei relativi piani di rientro, oltre che al doveroso recupero del disavanzo e al contenimento delle spese, anche al migliore utilizzo possibile delle strutture sanitarie esistenti.

        Al tempo stesso, ha posto il tema dell'aumento della produttività e dell'efficienza del sistema per rispondere alla domanda assistenziale, che postula un incremento degli standard qualitativi delle prestazioni e che potrebbe concorrere, tra gli altri, all'obiettivo di ridurre la migrazione sanitaria, anche nel rispetto delle professionalità sanitarie operanti nei territori attenzionati, spesso mortificate da carenze e anomalie funzionali ed organizzative.

        Nella sua attività di inchiesta la Commissione ha più volte auspicato un equilibrato rafforzamento delle funzioni di controllo interne e della vigilanza da parte delle regioni, nonché, in alcuni casi, un cambiamento radicale della gestione della cosa pubblica, attraverso una maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali per restituire al sistema sanitario piena trasparenza di fronte alla popolazione e al Paese, anche sottolineando, laddove ritenuto necessario, le criticità che gestioni commissariali prolungate potrebbero determinare sul piano finanziario e sotto il profilo funzionale.


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        In ogni caso, la sottoposizione di alcuni servizi sanitari regionali ai piani di rientro ha costituito un'occasione di cambiamento, e a partire dalla loro prima attuazione si stanno già verificando, almeno in alcune realtà, fenomeni di riallineamento delle dinamiche finanziarie sia nel pubblico che nel privato.

        In altri casi, e ci si riferisce all'inchiesta sulla ASL di Massa e Carrara, si può formulare una valutazione fortemente critica sulla gestione delle risorse economiche, con associate responsabilità individuali che attengono alla manipolazione dei bilanci aziendali, pur in un contesto di complessiva eccellenza degli standard di offerta sanitaria, propri della Regione Toscana.

        Per giungere a queste valutazioni la Commissione ha necessariamente vissuto una fase preliminare di costruzione di un percorso metodologico che si è concentrato principalmente nel primo anno di attività: le audizioni dei rappresentanti ministeriali, delle società scientifiche, del mondo associativo ed imprenditoriale del settore, nonché della magistratura contabile hanno concorso all'acquisizione di un patrimonio conoscitivo di base, creando i presupposti per la mission che quest'organo parlamentare si è data nel tempo.

        Anche grazie al contributo del mondo scientifico, la Commissione, partendo dalla doverosa attenzione verso gravi episodi di presunto errore sanitario verificatisi in diversi reparti di ostetricia e ginecologia, ha ritenuto opportuno intraprendere un'apposita attività di inchiesta sui punti nascita. La relativa relazione, approvata nel dicembre 2011, rappresenta, nei 150 anni dell'unità d'Italia, la prima ricerca parlamentare sulla nascita in Italia. Le cronache degli ultimi anni e le analisi formulate da esperti e istituzioni disegnano da tempo il quadro di un Paese che, nel suo complesso (e soprattutto nel Mezzogiorno), presenta un numero molto grande, e a volte eccessivo rispetto alla popolazione interessata, di punti nascita non sempre adeguatamente attrezzati: in alcune di queste strutture viene effettuato un numero di parti molto limitato. Ciò porta, in alcuni casi, il personale in essi impiegato a non avere i necessari standard di professionalità e a non godere dell'adeguato supporto tecnologico.

        Dalle risultanze dell'inchiesta svolta sono emerse soprattutto le forti disomogeneità riscontrate tra i diversi territori riguardo ad alcuni dei più indicativi parametri di riferimento (come l'incidenza dei tagli cesarei), unitamente al significativo incremento, negli ultimi anni, dei casi di presunto errore sanitario verificatisi nei punti nascita portati all'attenzione dell'autorità giudiziaria.

        Il lavoro svolto è risultato paradigmatico rispetto ai compiti istituzionali della Commissione, in quanto interroga sul ruolo che l'economia sanitaria dovrebbe rivestire in materia, individuando, secondo un'analisi costi-benefici, i parametri di equilibrio economici, scientifici e assistenziali; al tempo stesso ha posto l'esigenza di una riflessione sui diversi risvolti, anche assicurativi, della medicina difensiva.

        Il dibattito che la relazione ha suscitato ha avuto un'ulteriore, rilevante eco parlamentare nell'Assemblea della Camera, che nel febbraio 2012 l'ha discussa nel merito addivenendo all'approvazione unanime di una risoluzione recante articolati impegni al Governo,


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alcuni dei quali potrebbero costituire sintesi dell'intera attività della Commissione.

        Nell'occasione si intendeva infatti promuovere, di concerto con le Regioni e le Province autonome, misure e azioni volte a garantire a tutte le donne uguali opportunità nell'accesso a servizi completi di salute riproduttiva, così come ad incrementare la loro consapevolezza sui loro diritti e sui servizi disponibili; si evidenziava altresì l'importanza di una classificazione del rischio al momento del ricovero, a cui devono seguire specifici percorsi assistenziali, differenziati per la corretta valutazione del rischio della donna in occasione del primo parto, che deve rappresentare la base per una valida impostazione di un appropriato piano di assistenza e per la precoce individuazione delle potenziali complicanze.

        Quanto all'ambito di attività relativa ai casi di presunto errore sanitario, numerose sono state le segnalazioni pervenute alla Commissione sin dalla sua istituzione. Per ciascuna di queste, la Commissione ha disposto approfondimenti mediante specifica richiesta di relazione alle competenti autorità regionali ed ha sottoposto all'esame della propria struttura consulenziale la documentazione acquisita. Analoga procedura è stata seguita per i casi appresi da organi di stampa, anche indipendentemente da esposti o denunce.

        Nella gestione della relativa attività si è progressivamente consolidata la «messa a sistema» di un archivio interamente digitalizzato, che ha consentito, in tempi quasi reali, di estrapolare elementi di conoscenza di natura statistica, ancorché non ufficiali, su quanto segnalato alla Commissione in materia di malpractice.

        Con aggiornamenti periodici sono state dunque elaborate schede riassuntive del numero dei casi, suddivisi per regione e per tipologia di criticità, all'occorrenza utilizzate per esigenze divulgative. Si allega al riguardo, l'ultimo prospetto, aggiornato al 21 dicembre 2012, che annovera 570 casi di presunto errore sanitario registrati in archivio (allegato 1).

        In tale attività la Commissione, anche nel rispetto delle prerogative dell'autorità giudiziaria, non ha mai inteso perseguire singole responsabilità individuali (cioè indagare sul «chi» dell'errore), bensì analizzare le cause delle anomalie funzionali ed organizzative nel sistema sanitario (ossia accertare il «perché» dell'errore).

        La presente relazione consta di tre parti. Nella prima parte si dà conto dell'evoluzione della domanda di salute, del rapporto tra sanità pubblica e privata e della prevenzione, con approfondimenti tematici condotti, in appositi capitoli, su modalità e oneri delle coperture assicurative delle aziende sanitarie contro il rischio clinico, nonché su costi e modalità di erogazione di prestazioni di procreazione medicalmente assistita nelle diverse regioni: tematiche oggetto di appositi filoni di inchiesta intrapresi dalla Commissione e che corrispondono ai due principali profili di sua competenza, quello della cd. malpractice e quello del disavanzo nella spesa sanitaria.

        La seconda parte è dedicata alla trattazione dei filoni di inchiesta conclusi sullo stato della sanità nelle Regioni Sicilia, Campania e sull'ASL 1 di Massa e Carrara, preceduta da una ricognizione del quadro normativo di riferimento in materia di disavanzi sanitari, patto per la salute e piani di rientro, nonché da una sintetica


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illustrazione dello stato di attuazione di questi ultimi come risultante dal lavoro dei competenti organi ministeriali, ed infine dall'enucleazione delle principali criticità rilevate dalla Commissione nel corso del complesso lavoro istruttorio condotto sulle cause dei disavanzi sanitari regionali.

        La terza ed ultima parte contiene considerazioni conclusive su alcuni aspetti di particolare rilevanza come la compartecipazione alla spesa sanitaria, la medicina difensiva e le politiche nazionali di riduzione degli eventi avversi, nel rispetto delle attribuzioni delle autorità centrali e dei singoli sistemi sanitari regionali.


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PARTE PRIMA

1. LA DOMANDA DI SALUTE

1.1.    Come cambiano le cure, la salute e la domanda di salute.

        Molti elementi concorrono a rendere più difficile e complessa la cura della salute degli individui, tanto da rendere l'obiettivo di prendersi cura delle persone con efficacia una sfida impegnativa. Il primo termine di questa sfida è il notevole aumento del numero e del tipo delle prestazioni che il sistema sanitario è chiamato a erogare.

        Nonostante la stasi demografica in cui, come è noto, versa il nostro Paese, gli immigrati regolari e irregolari costituiscono una categoria bisognosa di assistenza, anche per le condizioni socioeconomiche in genere sfavorite, e ciò aumenta la platea degli utenti dei servizi della salute.

        Anche in rapporto alla popolazione residente, tuttavia il numero delle prestazioni è comunque inesorabilmente in aumento. Ciò è dovuto allo stesso avanzamento della scienza, allo sviluppo di metodiche, farmaci e tecniche mediche e chirurgiche nuove, capaci di preservare dalla morte per malattia un numero sempre più ampio di individui o di curare in maniera più efficiente – ma spesso più impegnativa e costosa – patologie anteriormente non adeguatamente trattate.

        Lo sviluppo scientifico comporta fatalmente l'incremento del numero dei trattamenti e del loro costo. Diviene pertanto essenziale la disponibilità di risorse per mantenere il livello qualitativo e quantitativo dell'assistenza. Proprio a causa delle aumentate esigenze di cura e dell'aumento dei costi specifici, la spesa sanitaria è in costante e severo incremento. Nel decennio 1995-2005 la spesa sanitaria corrente complessiva è quasi raddoppiata, passando da 48.136 a 92.804 milioni di euro (fonte Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali).

        Anche se la spesa del 2011, pari a 112.039 milioni di euro, ovvero il 7,1 per cento del PIL, è diminuita di circa 700 milioni di euro rispetto a quella dell'anno prima (pari allo 0,6 per cento), essa è tuttavia destinata ad aumentare del 2,2 per cento secondo la previsione di spesa per il 2012 (fonte: Documento di economia e finanza 2012). Inoltre, il calo del PIL, stimato intorno al 2,4 per cento, comporterà una proporzionale maggiore incidenza percentuale della spesa. In realtà la spesa sanitaria è comunque maggiore, poiché devono esservi ricompresi una serie di costi di natura sociale e assistenziale che non vengono imputati necessariamente a centri di costo di carattere sanitario, ma che gravano comunque su amministrazioni pubbliche. In un'ottica generale del perseguimento del benessere dei cittadini, infatti, spesa sanitaria e spesa sociale divengono in gran parte indistinguibili.

        Non il miglioramento, bensì il mero mantenimento degli attuali livelli dei servizi medicali impone non solo importanti scelte di politica generale ed economica, ma anche una revisione generale dei criteri della spesa, e, soprattutto, una radicale riforma del sistema, diretta


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non tanto al mero contenimento dei costi, quanto all'aumento della produttività e al perseguimento di fini strategici di efficacia, attraverso una maggiore organicità e sistematicità dell'intera organizzazione, la cura della qualità dei processi e l'eliminazione degli inutili dispendi, nella considerazione che essi, stornando mezzi essenziali, privano di trattamenti e cure chi ne ha reale necessità, poiché le risorse sono scarse e le finalità alternative.

1.2.    Anziani e cronici: il caso della Liguria.

        Il progresso della medicina garantisce la sopravvivenza da malattie in precedenza letali; tuttavia raramente assicura la completa guarigione, aumentando la consistenza della fascia di soggetti che richiedono cure continue e complesse per periodi di lunga durata se non per il resto della vita.

        Questi effetti sono piuttosto evidenti se si osservano i dati relativi alle malattie neoplastiche. Tra il 1990 e il 2007 il periodo di permanenza in vita dei malati di cancro in Italia è aumentato del 14 per cento per gli uomini e del 9 per cento per le donne. Questo importante miglioramento permane anche a distanza di 10 e 15 anni dalla diagnosi. La sopravvivenza relativa media a 5 anni dalla diagnosi per i soggetti diagnosticati nel 1997-1999 è del 49 per cento fra gli uomini e del 62 per cento fra le donne. Questo valore per i casi diagnosticati nel 1985-87 era 34 per cento e 51 per cento (AIRTUM Report 2007). Se consideriamo che un uomo ogni due e una donna ogni tre nel corso della propria vita hanno la probabilità di sviluppare un tumore (1), deve inferirsi che tra i residenti in Italia ci sia oltre un milione di persone che hanno avuto una diagnosi di tumore nei cinque anni precedenti e sono ancora in vita, a cui devono aggiungersi i pazienti cronici sopravvissuti alla fase acuta di altre malattie.

        Inoltre, secondo i dati ISTAT più recenti (2011) ben il 28,9 per cento della popolazione – oltre 17 milioni di persone, quasi un italiano su tre – è affetto da una malattia cronica (diabete, ipertensione, osteoporosi, artrosi-artrite, malattie del cuore, malattie allergiche, disturbi nervosi). Il dato è assai preoccupante: se lo sviluppo della medicina ha allungato la vita dei malati cronici, ciò tuttavia non si traduce necessariamente in un miglioramento del loro stato di salute.

        Nel 2011 l'indice di vecchiaia ISTAT per l'Italia dice che ci sono 144,5 anziani ogni 100 giovani (2). Gli ultrasessantacinquenni, pertanto, costituiscono almeno un quinto (il 20,3 per cento) della popolazione, quindi circa dodici milioni. D'altra parte la speranza di vita è pari a 79,4 anni per i maschi e a 84,5 anni per le femmine (dati ISTAT 2011). Per converso, il numero di nati in rapporto alla popolazione residente diminuisce costantemente, attestandosi a 9,1 per ogni 1000.

        Ciò comporta che le stime in relazione all'età della popolazione disegnino un quadro poco rassicurante. Nel 2065 l'aspettativa di vita


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arriverà a 87,7 anni per gli uomini e 91,5 per le donne, e, a fronte di una consistenza numerica generale pressappoco simile, l'indice di vecchiaia previsto sarà di 257,9 anziani ogni 100 giovani, e l'incidenza percentuale della popolazione anziana sarà quasi raddoppiata.

        Anche le previsioni dell'Unione europea non sono confortanti: entro il 2050 nell'eurozona il numero di persone con più di 65 anni sarà cresciuto del 70 per cento. La fascia di età degli ultraottantenni crescerà del 170 per cento (3). L'Unione dedica una particolare attenzione al problema dell'invecchiamento della popolazione. Il 2012 è stato infatti intitolato «anno europeo dell'invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni», e gran parte delle risorse del VII Programma quadro sono state dedicate al problema dell’aging.

        L'aumento della generale aspettativa di vita e la diminuzione delle nascite comportano quindi la circostanza che la gran parte della popolazione diviene anziana, e pertanto più vulnerabile alle malattie, e alle malattie croniche. Inoltre, le cause di disabilità più frequenti, in questo mutato scenario, dipendono da malattie a esito non mortale, usuali nella terza età. L'invecchiamento progressivo della popolazione genera comunque la crescita esponenziale del bisogno di servizi sanitari e socio-sanitari, legata alla complessità crescente delle patologie e dei fattori di co-morbilità che accompagnano i processi degenerativi e di cronicizzazione della malattia, e la necessità di progettare e rendere disponibili adeguati percorsi di riabilitazione e strumenti di reinserimento sociale dell'individuo. Possiamo stimare che anziani, cronici e inguaribili rappresentino oltre la metà della popolazione, e i principali fruitori dei servizi sanitari.

        Tale riflessione scaturisce da quanto rappresentato dalla Commissione nella relazione alla Camera sullo stato della sanità in Liguria, il cui elevato tasso di invecchiamento della popolazione è di per sé tipicamente accompagnato da una crescente incidenza di malattie che interessano l'apparato cardiovascolare, neurologico, muscolo-scheletrico, molto spesso correlata anche a patologie oncologiche, che, come ben noto, esercitano una forte pressione economica sul sistema sanitario: le malattie croniche incidono sulla sanità in termini di spesa proprio per la lunga durata e per i costi delle cure, spesso riconducibili a patologie connesse alla disabilità, sia essa fisica che psichica.

        Le azioni delle ASL liguri sono pertanto guidate quindi dall'esigenza di assicurare ai disabili accesso e inserimento all'assistenza di lunga durata e ai servizi di sostegno, quale priorità assoluta. Ciò anche al fine di ridurne al minimo le conseguenze economiche e sociali, facilmente derivabili da tale condizione.

        Le emergenze sopra esposte, accanto alle strutture ospedaliere ed ai servizi domiciliari, trovano in parte soluzione nelle strutture residenziali che accolgono anziani non autosufficienti ed offrono loro


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servizi, tuttavia non sempre adeguati alla complessità dei loro bisogni: come accertato dalla Commissione nella realtà ligure, gli interventi di assistenza domiciliare, ad esempio, per quanto rilevanti, non consentono di coprire la domanda di assistenza.

        Analogamente, apposite strutture, anch'esse a regime residenziale e semiresidenziale, offrono accoglienza ai disabili adulti e minori, ai malati psichici ed ai pazienti legati al mondo della tossicodipendenza, supportando in questo modo le famiglie nella difficile gestione di tali pazienti.

        L'Organizzazione mondiale della sanità nel rapporto Preventing chronic diseases: a vital investment (4) sostiene che un'azione globale sulla prevenzione delle malattie croniche potrebbe salvare la vita a 36 milioni di persone che rischiano altrimenti la morte entro il 2015. Il Comitato regionale per l'Europa dell'OMS nel rapporto «Guadagnare salute». La strategia europea per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche (5) sostiene che «in Europa gran parte del carico globale di malattia è dovuto alle patologie croniche [...] La Strategia europea contro le malattie croniche propone un approccio globale e integrato per affrontarle nel loro complesso: promuove a livello di popolazione programmi di promozione della salute e prevenzione delle malattie; individua i gruppi ad alto rischio; ottimizza la copertura della popolazione in termini di cure efficaci, cercando di integrare politiche di intervento e azioni in modo da ridurre al minimo le disuguaglianze. Il traguardo finale di questa strategia è evitare le morti premature e ridurre in modo significativo il carico di malattia, migliorando la qualità della vita e rendendo più omogenee le aspettative di vita fra gli Stati membri. Gli obiettivi specifici della strategia sono interventi integrati sui fattori di rischio e i determinanti di salute, nello sforzo di consolidare i sistemi sanitari nella prevenzione e nel controllo delle malattie».

        Oltre quindi a esigenze di carattere strutturale, etico e finanziario, la maggior cura dei pazienti cronici costituisce un impegno internazionale preciso, assunto dal nostro Paese all'interno della generale strategia dell'OMS: «Passo dopo passo, ciascun Paese deve innanzitutto valutare gli approcci correnti, quindi ridefinirli per rafforzare gli interventi di sanità pubblica e affrontare le malattie croniche nel modo più completo e integrato possibile».

        Sebbene il piano sanitario nazionale 2011-2013 registri i relativi cambiamenti della domanda di salute, la situazione attuale sembra assai lontana, anche in prospettiva, dal garantire risposte adeguate. Attualmente, infatti, le risorse destinate all'assistenza a lungo termine sono inferiori all'1 per cento del PIL, e, secondo le proiezioni della Ragioneria generale dello Stato, nel 2030 non supereranno comunque l'1 per cento. Destinare la maggior parte delle risorse di assistenza agli acuti nasconde la convinzione che sia preferibile ed eticamente corretto veicolarle verso chi si reputa possa guarire, piuttosto che prendersi


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cura di chi non può farlo; ma tale disposizione nasconde l'incapacità del sistema di farsi carico degli inguaribili, di insegnargli stili di vita e percorsi umani che allevino la loro sofferenza, li dirigano verso il miglior equilibrio psicofisico possibile, anche nella malattia, e li aiutino a reinserirsi il più possibile nella rete di relazioni all'interno delle quali si svolgeva la loro vita attiva. Ma, anche in un'ottica più tradizionale, diretta alla migliore utilizzazione delle scarse risorse, è evidente che investire sull'assistenza sanitaria di anziani e cronici impedisce che essi si trasformino in pazienti acuti, bisognosi di cure tempestive e costose, mentre un imperativo etico impone di risparmiare loro sofferenze inutili e disabilità.

        Ancora paradigmatica, in questo senso, è la situazione riscontrata dalla Commissione in Liguria, la cui configurazione geografica ha sempre reso problematica un'armoniosa distribuzione dei servizi, aggravata, come detto, dalla prevalente presenza di una popolazione anziana che presenta bisogni sanitari importanti, legati alla cronicità delle malattie ed alla conseguente disabilità. Qui, non potendo contare su grandi centri urbani, tranne la città di Genova, le prestazioni sanitarie vengono distribuite a livello comunale con strutture sparse sul territorio e con un'organizzazione apparentemente frammentaria e disomogenea.

        A fronte di ciò, negli ultimi cinque anni la Regione Liguria ha attivato importanti interventi di razionalizzazione, che hanno condotto all'accorpamento di diverse strutture ospedaliere e rilanciato la centralità del territorio, quale sede privilegiata e deputata a farsi carico dei problemi sanitari.

        Il modello sanitario attuato in Liguria non è infatti quello della esternalizzazione, ma dell'integrazione ospedale/territorio: il processo di contenimento dei costi ha comunque consentito di mantenere un adeguato standard di servizi rispetto alle esigenze della popolazione. Infatti, pur in presenza di considerevoli risparmi, è stato garantito un sufficiente livello di qualità clinica su tutta la Regione, anche se diversificato da azienda ad azienda.

        Le aziende sanitarie liguri si trovano ora a dare attuazione a quanto previsto dalla deliberazione del Consiglio regionale n. 23 del 4 agosto 2011 che, nell'ambito di un ulteriore adeguamento della rete e dell'offerta ospedaliera agli standard normativi di cui al patto per la salute 2010-2012, ha emanato linee guida di razionalizzazione della rete di cura e di assistenza.

        Sulla base di tali indicazioni, le varie aziende sanitarie hanno elaborato le loro proposte di riorganizzazione e rimodulato le loro esigenze, con proposte organizzative articolate anche per «aree ottimali» aggregate in relazione alla loro collocazione geografica.

        L'analisi del sistema sanitario ligure evidenzia poi, nel modello organizzativo territoriale, un processo di riorganizzazione delle funzioni di assistenza distrettuale, che prevede la realizzazione del cosiddetto «distretto forte», dove troveranno collocazione, esclusivamente funzionale, le articolazioni organizzative del dipartimento di salute mentale e SERT e, con riferimento ai soli servizi alla persona, quelle del dipartimento di prevenzione. Ai distretti dovrebbero essere attribuite risorse e personale adeguato e, conseguentemente, la gestione diretta dei servizi.


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1.3.    Il Chronic Care Model.

        Il Chronic Care Model (CCM) (6) è un modello di assistenza medica dei pazienti affetti da malattie croniche sviluppato presso il McColl Institute for Healthcare Innovation, in California. Il modello suggerisce un approccio «proattivo» tra il personale sanitario e i pazienti stessi, che vengono integrati nel processo assistenziale. Ciò richiede tuttavia una serie di cambiamenti dei sistemi sanitari, utili a favorire il miglioramento della condizione dei malati cronici.

        Il modello è stato incluso nel piano sanitario regionale 2008-2010 della Regione Toscana (7), con l'obiettivo di passare da un modello di «medicina d'attesa», ove il bisogno si trasforma in domanda, a una «sanità d'iniziativa», proattivamente dedicata all'utente, attraverso la creazione di percorsi specifici per patologie croniche quali scompenso cardiaco, diabete, ipertensione, broncopneumopatia cronica ostruttiva, la cui cura assorbe rilevanti risorse. Solo mediante l'integrazione di tali percorsi nell'organizzazione della rete ospedaliera è possibile ridurre il numero dei cronici costretti a ricorrere a cure intense.

        Secondo l'organizzazione proposta dal CCM, per migliorare l'assistenza ai pazienti cronici le organizzazioni sanitarie devono stabilire solidi collegamenti con le risorse della comunità, coinvolgendo nei percorsi terapeutici i gruppi di volontariato, stimolando la creazione di gruppi di auto-aiuto e di centri per anziani autogestiti.

        Inoltre, gli erogatori e i finanziatori dell'assistenza sanitaria dovrebbero riorganizzare le proprie priorità, dirigendosi verso una nuova gestione delle malattie croniche che introduca decise innovazioni nei processi assistenziali e premi la qualità dell'assistenza.

        Un elemento essenziale deve essere il supporto all'auto-cura: nelle malattie croniche è il paziente che deve divenire il protagonista attivo dei processi assistenziali. La maggior parte dei pazienti, infatti, è in grado di gestire in larga parte la propria malattia cronica, svincolandosi dalla dipendenza dai servizi sanitari, se adeguatamente formato e correttamente indirizzato verso una gestione attiva della propria patologia.

        Ma è l'intera struttura del team assistenziale che deve essere ripensata, separando l'assistenza ai pazienti acuti dalla gestione programmata dei pazienti cronici. Il medico di medicina generale deve essere dedicato soprattutto alla cura degli acuti, e deve occuparsi dei cronici solo in caso di complicazioni. È l'infermiere che deve essere la chiave di volta del sistema, supportando l'auto-cura del paziente, gestendo la programmazione dei trattamenti e del follow-up dei pazienti. Nel paziente cronico i tempi di intervento assumono significati diversi e meno pregnanti rispetto alla cura degli acuti. Ciò permette di gestire le patologie mediante interventi programmati, che, salvo complicazioni, non sono contraddistinti dal carattere dell'urgenza. La visita programmata, pertanto, è uno degli aspetti più significativi del sistema.


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        Tale assetto appare coerente con le politiche comunitarie, che prevedono un forte incremento dell'assistenza domiciliare del malato, riservando alla rete di assistenza ospedaliera il trattamento degli eventuali acuti e l'attività dell'alta specialistica medica e diagnostica.

        È bene chiarire che l'assistenza e la programmazione devono essere basate su linee-guida chiare, basate sull'evidenza, che definiscano gli standard di assistenza ottimale per i pazienti cronici.

        Il sistema non può funzionare in maniera ottimale se non è gestito mediante un'infrastruttura informatica, che supporti i team delle cure primarie e li aiuti ad attenersi alle linee-guida, che costituisca uno strumento di circolazione delle informazioni e di feedback per i medici, e che infine funzioni come registro di patologia, al fine di pianificare la cura individuale del paziente, aiutandolo inoltre a garantire il rispetto della programmazione dell'auto-cura.

        Il sistema, ormai largamente sperimentato in molti Paesi, deve essere implementato in tutti i servizi sanitari regionali attraverso strumenti di propulsione e incentivo, mentre la redazione delle linee-guida e delle direttive di sviluppo e di organizzazione spetta alla funzione di indirizzo e coordinamento del Ministero della salute.

1.4.    Il grande comprimario: la prevenzione.

        Il piano nazionale della prevenzione, promosso da intese tra Stato e regioni, ha la finalità di coordinare le politiche generali di promozione della salute, e l'ultimo, relativo agli anni 2010-2012, appare ben formulato. L'attenzione verso la medicina predittiva, la previsione generale di programmi di prevenzione collettiva sulla riduzione dei rischi diffusi nella popolazione generale, di programmi di promozione della salute o di sanità pubblica, l'introduzione di politiche favorevoli alla salute e di interventi di tipo regolatorio, dimostrano un approccio proattivo e potenzialmente efficace alla prevenzione universale, così come la previsione di programmi di prevenzione rivolti a gruppi di popolazione a rischio e finalizzati a impedire l'insorgenza di malattie o alla diagnosi precoce, o ancora all'introduzione nella pratica clinica della valutazione del rischio individuale, testimoniano attenzione anche a strumenti più specifici e a interventi maggiormente diretti. Anche l'articolazione multilivello, e l'impegno da parte delle regioni a redigere e attuare i piani regionali, mediante i quali dare esecuzione ai contenuti del piano nazionale, appaiono come strumenti positivi e potenzialmente idonei a perseguire gli scopi prefissati.

        Tuttavia, nel riparto relativo al finanziamento annuale per i livelli essenziali di assistenza, è significativo rilevare che le risorse destinate alla prevenzione sono determinate nel 5 per cento del totale. Sotto il profilo dell'attuazione del piano nazionale, inoltre, nonostante la redazione dei piani regionali, non sembra che tutte le regioni abbiano utilizzato le risorse stanziate per la prevenzione, e i risultati generali, con alcune eccezioni, non appaiono di rilievo. Coerentemente, gli effetti generali della prevenzione sulla popolazione stentano a mostrarsi. La mortalità per tumore, per esempio, negli ultimi anni risulta in costante aumento, e la mortalità per malattie infettive negli ultimi dieci anni è praticamente triplicata mentre solo la mortalità in relazione alle malattie cardiocircolatorie appare in costante diminuzione,


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soprattutto a causa del progresso scientifico nelle cure e della diffusione dell'assistenza specialistica, con la nascita dei reparti di emodinamica.

        Il fatto che alla prevenzione siano dedicate solo risorse marginali dà conto di come il sistema della salute italiano sia dedicato all'eradicazione della malattia, e non alla promozione della salute. Se infatti il sistema sanitario fosse davvero orientato verso la salute noi dedicheremmo a essa la nostra attenzione: investiremmo le nostre risorse, formeremmo gli studenti, costruiremmo le nostre infrastrutture e misureremmo i nostri progressi in termini di salute, non di malattia, e in termini di cure evitate anziché di cure somministrate. In questo si può dire che, in Italia, le parole della Carta di Ottawa per la promozione della salute siano in gran parte disattese.

        Proprio l'attenzione verso la malattia, anziché verso la salute e la sua promozione, determina l'idea che alla prevenzione debbano essere dedicate risorse ulteriori, poiché distoglierle dalla cura degli acuti viene visto come eticamente inammissibile. Ciò genera un circolo vizioso, dal momento che la mancanza di prevenzione aumenta la morbilità, e quindi il numero degli acuti, le risorse necessarie a curarli, le sofferenze e i costi umani ed economici complessivi.

        Il meccanismo è evidente con riferimento, per esempio, agli screening per la diagnosi precoce del cancro della mammella, della cervice uterina e del colon retto, tra i principali tumori che colpiscono la popolazione italiana. Il tumore alla mammella, in particolare, è quello di maggiore prevalenza e incidenza: ogni 100.000 abitanti, 1.869 casi (pari a 522.235 in totale) e 136 nuovi casi l'anno, mentre per il tumore al colon retto i dati sono 564 casi (pari a 296.687 in totale) e 88 nuovi casi l'anno (8); il tumore alla cervice si caratterizza invece per la particolarità di poter essere facilmente evitato con uno screening tempestivo. I tre tumori sono stati oggetto di attenzione già con il piano nazionale della prevenzione 2005-2007, che ha determinato la produzione di raccomandazioni per la pianificazione e l'esecuzione degli screening di popolazione. La storia naturale di questi tumori può essere modificata dagli screening, che in alcuni casi riescono a evitare l'insorgenza del tumore, in altri possono comunque salvare la vita del paziente. In ogni caso, la diagnosi precoce consente comunque di effettuare interventi poco invasivi e non distruttivi, con costi umani e impiego di risorse limitati.

        La campagna di screening dei tre tumori, tuttavia, sebbene avviata ormai oltre sei anni fa, è lungi dall'essere sviluppata organicamente su tutto il territorio nazionale, e riduce la mortalità specifica e i costi sociali solo nei territori ove viene eseguita correntemente. Infatti, secondo i dati OCSE, per il 2010 solo il 40 per cento delle donne italiane tra i 20 e i 69 anni è stato sottoposto a screening per il cancro alla cervice, e solo Ungheria, Repubblica Slovacca e Turchia tra i Paesi OCSE hanno risultati peggiori, mentre la media comunitaria è di oltre


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il 62 per cento (9). Migliore la situazione dello screening per il cancro al seno, che vede eseguita la mammografia su quasi il 60 per cento (59,2 per cento) delle donne tra i 50 e i 69 anni, allineando l'Italia alla media UE (56,5 per cento) (10). Addirittura non disponibili i dati italiani sullo screening per il cancro del colon retto, il che dimostra come il programma sia ancora ben lungi dall'essere correttamente implementato.

        I costi sociali delle malattie tumorali sono difficilmente calcolabili, ma certamente rilevantissimi (11). Non di meno, a prescindere da questi, il costo diretto del trattamento dei malati oncologici è comunque elevato. Con riferimento ai costi che ricadono direttamente nella spesa sanitaria pubblica, la stima del costo annuale del trattamento dei nuovi casi di tumore è pari a oltre 8,3 miliardi di euro, con un impatto che può essere considerato pari a 0,5 punti di PIL circa (12). Il costo unitario medio di uno screening tumorale programmato con riferimento al tumore della mammella è pari a 55 euro, e il costo generale, spalmato su 20 anni, di un percorso completo di screening è di 550 euro per individuo, mentre il costo unitario medio dello screening organizzato per il tumore del colon retto e per il tumore della cervice è di circa 30 euro (13). Il costo medio complessivo per il trattamento di un paziente oncologico è pari a circa 25,8 mila euro (14), valore che tuttavia può essere assai ridotto in caso di diagnosi precoce. Il tumore della mammella, come abbiamo visto, colpisce l'1,86 per cento della popolazione, e gli screening vengono condotti su quella parte della popolazione che ha maggiori possibilità di contrarre la malattia. I tumori purtroppo sono la principale causa di morte negli uomini (quasi il 35 per cento) e la seconda nelle donne (oltre il 25 per cento) (15). Deve concludersi che la percentuale di malattie evitate e di diagnosi precoci con uno screening programmato a livello territoriale è assai rilevante, a fronte di un costo molto basso. Gli screening oncologici pertanto sono un rilevante strumento di risparmio economico per i sistemi sanitari, che deve essere promosso e incentivato anche al fine di economizzare le risorse.

        In generale, tutte le politiche di prevenzione correttamente progettate e condotte, sono un complesso investimento per la salute, che ha come risultato una riduzione della mortalità, della morbosità


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e dei costi diretti e indiretti della salute. La prevenzione è una disposizione attiva verso le esigenze dell'individuo e della popolazione, utile a promuovere il benessere del singolo e la qualità della vita della società. Essa rappresenta, come correttamente individua l'ultimo piano nazionale, lo strumento adeguato a prendersi cura dei malati cronici e degli anziani, promuovendo misure, comportamenti e stili di vita utili a ridurre il numero di soggetti deboli che necessitano di cure intensive o che divengono disabili.

        La prevenzione non può essere tuttavia orientata esclusivamente verso le patologie specifiche, ma deve essere tale da incoraggiare attività e modelli in grado di migliorare la qualità della vita. Nel nostro Paese assistiamo infatti al perdurare di modelli e di stili di vita che coadiuvano l'insorgere di patologie invalidanti: un'alimentazione ricca di grassi prevalentemente saturi, sale e calorie; il consumo in eccesso di alcool; l'uso di droghe; l'inattività fisica, il fumo. Secondo i dati ISTAT più aggiornati, il 22,3 per cento della popolazione adulta fuma, il 10,3 per cento è obeso, circa la metà non consuma abitualmente ortaggi e verdure, i comportamenti a rischio nel consumo di alcol riguardano 8 milioni e 179 mila persone, mentre il numero dei consumatori di droga si attesterebbe sui 2 milioni e 327 mila persone (16). Per esempio, le stime epidemiologiche ci dicono che se eliminassimo completamente il fumo di sigaretta la percentuale di malattie croniche (cardiovascolari e oncologiche) calerebbe del 40 per cento (17); benché la percentuale di fumatori in Italia si sia ridotta, a causa degli interventi normativi successivi nel tempo, è necessario individuare strumenti efficaci al fine di ridurre l'abitudine al fumo, per esempio meglio operando sull'opinione pubblica e sui giovani attraverso i media. Se comportamenti e stili di vita nocivi non sono sempre capaci di generare patologie mortali, determinano tuttavia sempre alterazioni dello stato di salute (cardiovascolari, metaboliche, respiratorie, osteoarticolari) tali da produrre dei malati cronici, ossia soggetti costantemente bisognosi di attenzioni terapeutiche, anche in considerazione del fatto che la stessa patologia cronica può essere causa a sua volta di malattie ulteriormente disabilitanti, e a maggior costo sociale, oltre a influire negativamente sulla qualità dell'invecchiamento.

        In relazione a quanto già esposto sull'andamento demografico del Paese e sull'incidenza degli anziani e degli individui affetti da una patologia cronica sulla popolazione, destinare mezzi più adeguati e la massima attenzione a piani e campagne di promozione della salute rappresenta un'esigenza indifferibile e un imperativo etico, al fine di garantire la sostenibilità futura del servizio sanitario nazionale e di ridurre morti, sofferenze e costi umani evitabili.

1.5.    Prospettive di cambiamento del sistema della salute: partecipazione dei cittadini alla spesa e integrazione con la sanità privata.

        Dalla metà del XX secolo l'attenzione dello Stato verso la salute dei cittadini assume un valore di garanzia nei confronti dell'individuo in quanto tale. Con il piano Beveridge al concetto di individuo in


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buona salute al servizio dello Stato si sostituisce il concetto di Stato al servizio dell'individuo in buona salute. A partire da questo momento l'insieme delle condizioni che permettono di garantire la salute degli individui comportano una spesa rilevante del bilancio degli stati, e il reperimento delle risorse per garantire livelli di assistenza sempre più elevati comincia a costituire un importante problema, mentre contemporaneamente la salute e la sua garanzia cominciano ad assumere un rilevante significato politico. Viene così realizzato lo Stato sociale, che viene realizzato in diverse gradazioni di assistenza e servizio e diviene un tratto distintivo delle democrazie europee.

        Tuttavia, il welfare state è attualmente un modello in crisi sia in Italia, sia negli altri Paesi europei. Come si è detto, a causa delle aumentate esigenze di cura e dell'aumento dei costi specifici, la spesa sanitaria è dappertutto in costante e severo incremento, anche a causa della rilevante quantità di malati cronici, costantemente bisognosi di costose attenzioni terapeutiche, e di soggetti comunque deboli, che necessitano di cure, di pensioni e di assistenza sociale. Inoltre, l'immigrazione in Occidente allarga la platea degli utenti dei servizi sociali e sanitari. Studi dell'Unione europea stimano che, nel 2050, secondo i trend di crescita attuali la spesa sociale costituirebbe quasi un terzo del PIL (18), a fronte di una rilevante diminuzione della popolazione attiva.

        Cosa succede quando non è più possibile sostenere finanziariamente un simile livello, o per mancanza di risorse, o perché esso diviene sempre più caro? Inoltre, poiché il mantenimento del Welfare State richiede una crescita economica costante, cosa succede se, per un qualsiasi motivo, non si riesce a realizzare per un lungo lasso di tempo una crescita economica sufficiente?

        La risposta sembra essere chiara. Democrazie occidentali da alcuni anni stanno vivendo un periodo di chiara recessione, e il processo di riduzione dello Stato sociale, ove esso era stato realizzato, è già in atto in misura variabile: sono stati gradualmente introdotti strumenti di partecipazione ai costi delle prestazioni sanitarie, che gravano sugli utenti; ridotti gli ammortizzatori sociali e le garanzie relative; riformate le pensioni, aumentando la forbice tra contributi e prestazioni; riformata l'assistenza, rendendo più difficile e selettivo l'accesso.

        Anche in Italia i segni di cedimento del sistema sociale, e di quello della cura della salute in particolare, sono di tutta evidenza. Secondo l'ISTAT, tra il 2007 e il 2011, a causa degli effetti della crisi economica, il PIL in volume è diminuito in tutte le aree del Paese. Per il Centro-Nord, la riduzione media annua è stata di circa l'1 per cento, mentre più marcata appare la contrazione nel Mezzogiorno (-1,7 per cento), dove i risultati peggiori riguardano Molise (-3,0 per cento) e Campania (-2,2 per cento). Nel


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Nord è il Piemonte ad avere la performance più negativa (-1,5 per cento). Il PIL per il 2012 è previsto in calo assoluto del 2,4 per cento, e le proiezioni per il 2013 prevedono un calo composito dello 0,5 per cento.

        Appare quindi evidente che, anche a parità di percentuale di incidenza sul PIL, i prossimi anni saranno caratterizzati da una costante e progressiva diminuzione dei servizi sociali a carico dello Stato. Gran parte dei servizi sanitari regionali sono sottoposti a piani di rientro, con una rilevante riduzione delle risorse dedicate, che si traduce giocoforza nella riduzione dei servizi resi.

        Il carattere universalistico e gratuito del servizio sanitario nazionale ha comportato una sanità privata complementare a quella pubblica. Se è vero che lo Stato deve farsi carico della strategicità del sistema, e che ciò comporta dei costi che non possono essere valutati qualitativamente secondo la logica del profitto, è altrettanto vero che, al di fuori dei servizi strategici è necessario che sanità pubblica e privata agiscano in concorrenza, al fine di ridurre i costi, aumentare l'efficienza e migliorare l'efficacia.

        Ciò non accade in Italia, ove i privati tendono a fornire servizi sanitari solo nella misura in cui essi non vengano erogati dal settore pubblico, o quando le inefficienze di questo ultimo sono tali da vulnerare, in potenza, il diritto alla salute. Il cittadino che, a causa delle lunghe liste di attesa presso le strutture pubbliche, si trova a dover attendere molti mesi per un accertamento diagnostico che considera urgente, si rivolge al settore privato per ottenerlo rapidamente. Se ciò, da un lato, non incentiva l'operatore pubblico a riqualificare i propri servizi e ad aumentare l'offerta, poiché la sua azione non è finalizzata al profitto e alla massimizzazione dell'offerta, dall'altro determina la circostanza che pubblico e privato forniscano il medesimo servizio, ma senza reale concorrenza, muovendosi ognuno all'interno del proprio dominio riservato, causato l'uno dall'incapacità dell'altro di rispondere adeguatamente all'offerta di salute della popolazione.

        Identiche considerazioni possono farsi con riferimento ai servizi intra moenia: l'utente è costretto a ricorrervi soprattutto a causa della tempestività della loro erogazione; ciò può determinare l'evidente paradosso secondo il quale le strutture non sono incentivate ad aumentare l'efficienza nell'erogazione dei servizi a carico del servizio sanitario nazionale, poiché ciò può ridurre la quota di servizi erogati a pagamento, e quindi può tradursi in mancate entrate per i professionisti coinvolti e per le strutture medesime. Così l’intra moenia finisce a volte per costituire paradossalmente l'unica possibilità di essere curati tempestivamente dai medesimi professionisti del servizio sanitario nazionale.

        Anche il sistema delle assicurazioni sanitarie private è caratterizzato in Italia da un'insopprimibile natura complementare rispetto al sistema pubblico. Ciò è palese innanzitutto considerando che tali strumenti di garanzia non hanno normalmente una portata universale, ossia non coprono da tutti i rischi e non forniscono tutte le connesse prestazioni, ma solo specifici eventi (infortunio, patologia invalidante, ricoveri, interventi chirurgici o parto), la cui copertura viene ritenuta attuarialmente più conveniente. Inoltre, tutte prevedono la possibilità che il contraente si rivolga al servizio sanitario nazionale per farsi curare, fornendo in tal caso delle garanzie supplementari (diaria, sostegno al supporto dei parenti, rimborso dei trasferimenti, etc.), o addirittura, nel caso del rimborso per sottolimiti, rimborsando


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all'assicurato una cifra forfetaria per le prestazioni fornitegli, a pagamento da una struttura privata ma gratuitamente dal servizio sanitario nazionale. In questo caso, quando sia stato curato presso strutture pubbliche o convenzionate, il cittadino si vede fornire una prestazione economica a risarcimento di una spesa che non ha sostenuto, ma che è stata invece sostenuta per lui dalla collettività. Ognun vede il paradosso di tale sistema: lo Stato si fa carico della tutela della salute del singolo e sostiene tutte le spese relative; il cittadino, assicurato privatamente, non solo è il destinatario delle cure, ma riceve il corrispettivo di quanto lo Stato ha pagato per lui pur non avendo dovuto sborsare nulla. Il contenuto del contratto di assicurazione sanitaria dovrebbe essere quello di risarcire l'assicurato delle spese affrontate per la cura della propria salute, e non dovrebbe invece remunerare l'alea di una patologia.

        Il primo passo verso la riforma del sistema dovrebbe essere quello di orientare le assicurazioni sanitarie private ad assumere una natura sostitutiva e non complementare della garanzia fornita dallo Stato. Ciò al fine di sollevare lo Stato dalla necessità di dedicare risorse nella cura di coloro i quali scelgono una garanzia privata, che deve essere alternativa alla garanzia pubblica. Nel caso in cui l'assicurato decida di rivolgersi a una struttura pubblica per ottenere trattamenti e cure, a questa l'impresa assicuratrice dovrebbe versare importo del risarcimento, secondo le attività effettivamente svolte, i servizi prestati e i limiti definiti, tal quale si trattasse di una struttura privata.

        Se posta come alternativa all'offerta pubblica, l'offerta di servizi privati dovrebbe essere qualificata nella sua complessità, prevedendo tutte le possibili prestazioni erogate dal sistema pubblico. Infatti attualmente le assicurazioni, di natura complementare, tendono a fornire servizi segmentati, orientati verso il massimo profitto, e quindi diretti alla copertura dei rischi meno probabili ma qualitativamente più rilevanti.

        Occorre considerare che analisi di tipo attuariale tendono a escludere dalla garanzia delle assicurazioni private pazienti cronici, o gli effetti di malattie croniche. È evidente che, fino a quando le compagnie private potranno scegliere di apprestare garanzia ai soli clienti migliori, ossia quelli con minore rischio attuariale di risarcimento, lo Stato dovrà prendersi cura dei soggetti più deboli. Ma ciò deve essere considerato come relativo alle finalità strategiche proprie dell'azione dello Stato nella cura della salute, pertanto connesso al suo ruolo.

        Il capitolo seguente è dedicato agli esiti di un'indagine statistica che la Commissione ha condotto nello scorcio conclusivo della legislatura proprio in materia di coperture assicurative di enti e aziende del servizio sanitario nazionale. Analoga attività di elaborazione statistica, illustrata nel capitolo successivo, è stata intrapresa sulla procreazione medicalmente assistita, i cui risultati possono essere letti anche alla luce delle suesposte considerazioni in merito al rapporto tra sanità pubblica e sanità privata.


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2.    COPERTURE ASSICURATIVE PRESSO LE AZIENDE SANITARIE ED OSPEDALIERE

2.1.    Premessa.

        La Commissione nell'ambito delle competenze definite dalla deliberazione istitutiva del 5 novembre 2008, ha intrapreso, negli ultimi sei mesi della legislatura, una specifica inchiesta sulle coperture assicurative presso le aziende sanitarie ed ospedaliere. L'indagine è stata effettuata mediante l'invio di specifici questionari e di seguito vengono analizzati i dati forniti in sede di risposta.

        In particolare, scopo dell'inchiesta consisteva nell'accertare il costo sostenuto dalle strutture sanitarie per la copertura dei rischi connessi ad errori sanitari, verificare l'ammontare delle somme corrisposte ai pazienti a titolo di risarcimento e conoscere le modalità adottate per l'affidamento del servizio di assicurazione (19).

        Il quadro di riferimento dei dati totali nel contesto del quale si è svolta l'indagine statistica risulta dall'annuario statistico del Ministero della salute, che per l'anno 2009 riporta che i medici in strutture pubbliche ed equiparate sono 99.854, le ASL sono 148, le strutture di ricovero pubbliche 638 e le case di cura 603, mentre i posti letto pubblici risultano 202.845, gli accreditati 48.178 e quelli effettivamente utilizzati 212.144.

        Il quadro di riferimento dell'attività condotta si è basato su tipologie di criticità segnalate alla Commissione o comunque riportate da organi di informazione quali: casi in cui presso le aziende si lavora senza copertura assicurativa; casi in cui l'assicurazione ha «esaurito


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il massimale» e la ASL dovrà difendersi da sola; nuove modalità assicurative per la responsabilità civile verso terzi, secondo un modello che prevede l'autogestione interna alle aziende dei sinistri al di sotto dei 500 mila euro e l'accensione di polizze con compagnie assicurative per quelli superiori, i cosiddetti «danni catastrofali». In diversi casi si è riscontrato che i grandi gruppi assicurativi «abbandonano» gli ospedali e le ASL italiane, ritenute un mercato non conveniente e troppo rischioso per l'eccessivo costo delle coperture assicurative, con conseguente inesperibilità delle gare pubbliche per l'affidamento del servizio, in conseguenza della mancanza di offerte.

2.2.    Numero e distribuzione territoriale dei questionari ritornati.

        Sono pervenuti, in risposta all'indagine relativa ai costi assicurativi delle aziende sanitarie, ospedaliere, universitarie ed IRCCS un numero totale di questionari pari a 169, la cui distribuzione per area geografica e regione di appartenenza è evidenziata nella tabella 1, sia in valori assoluti che percentuali.

        Non vi sono risposte dal Veneto, dalla Sardegna e dalla Provincia autonoma di Bolzano, quindi la risposta in termini statistici risulta rappresentativa a livello nazionale, ma non a livello territoriale (area di appartenenza) e regionale, in quanto si sarebbe dovuto avere una buona numerosità sia in termini di regioni nelle aree che di aziende nelle regioni.

        Il nord-ovest è presente con 58 questionari (pari al 34,3 per cento del totale) di cui 48 provenienti dalla Lombardia, il Sud e le isole con 47 (16 e 14 rispettivamente dalla Campania e dalla Sicilia) pari al 27,8 per cento, mentre dalle regioni del centro sono pervenuti 37 questionari (il 21,9 per cento del totale) di cui 15 dal Lazio e 16 dalla Toscana.


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2.3.    Numero e distribuzione delle aziende sanitarie in base al regime assicurativo vigente (assicurazione o fondo regionale).

        Delle 169 aziende sanitarie, ospedaliere, universitarie e IRCCS che hanno risposto all'indagine, 35 di esse (pari al 20,7 per cento) si affidano ai fondi regionali per la copertura assicurativa, mentre 122 aziende (il 72,2 per cento) si affidano alle compagnie assicurative (tabella 2).

        Non hanno risposto alla domanda 12 aziende, pari al 7,1 per cento della totalità.

        Le strutture che si avvalgono del Fondo Regionale sono concentrate in sole quattro regioni:

            la Toscana con 16 aziende sanitarie (il 45,7 per cento del complesso dei centri che usufruiscono del fondo regionale)

            il Friuli Venezia Giulia con 9 centri (pari al 25,7 per cento)

            la Liguria anch'essa con 9 aziende (25,7 per cento)

            la Basilicata con un'azienda sanitaria (2,9 per cento).

        Tranne la Basilicata, in cui abbiamo un'azienda che adotta il fondo regionale e un'altra che si avvale dell'assicurazione, nelle altre tre regioni (Toscana, Liguria e Friuli Venezia Giulia) tutte le aziende che hanno risposto utilizzano lo stesso regime assicurativo (fondo regionale).


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Tabella 4: Numero di aziende che utilizzano il fondo regionale ogni dieci aziende che si avvalgano del regime assicurativo

          Area N.ro ogni 10 aziende
    Nord-Ovest 1,9                
    Nord-Est 5,3                
    Centro 8,4                
    Sud e isole 0,3                
    Italia 2,9
                

        L'indicatore evidenziato nella tabella n. 4 mostra, a livello di area geografica, il rapporto tra le aziende che si avvalgono del fondo regionale e quelle che utilizzano una copertura assicurativa.

        Al centro, in virtù della presenza della Toscana, per ogni 10 aziende che hanno un'assicurazione ve ne sono più di 8 che hanno scelto il fondo regionale. Questo rapporto scende a 5,3 per il nord-est, a 1,9 per il nord-ovest e a 0,3 per il sud e le isole in cui, come accennato, viene utilizzato il fondo regionale solo da un'azienda sanitaria della Basilicata.

        A livello nazionale abbiamo circa tre aziende sanitarie che si avvalgono del fondo regionale a fronte di 10 strutture che utilizzano una copertura assicurativa.

2.3.1.    Elenco delle compagnie assicurative in base alla frequenza e al numero di contratti.

        Le compagnie assicurative di cui si avvalgono le aziende sanitarie ed ospedaliere che utilizzano un'assicurazione per la copertura dei danni sono sì molteplici, ma data la tipologia, il settore è sostanzialmente in mano ad un numero ristretto di compagnie (nel 2011-2012 il 46 per cento delle aziende sanitarie ha stipulato una polizza assicurativa con la stessa compagnia) ed è quindi possibile fornirne una lista, in base al numero dei contratti stipulati nell'arco degli anni presi in esame dal questionario (2006-2011) e per il 2012.

Compagnie assicurative
AM Trust Europe
XL Insurance
QBE Insurance
City Insurance
Lloyd's of London
Generali Assicurazioni
Cattolica Assicurazioni
Carige Assicurazioni
INA Assitalia
Fondiaria SAI
HDI Gerling
Faro Assicurazioni


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2.3.2.    Cessazione del rapporto con la compagnia assicurativa: dati e motivazioni.

        Alla domanda relativa alle motivazioni che hanno portato alla cessazione del rapporto con la compagnia assicurativa hanno dato risposta, sui 169 questionari pervenuti, 109 aziende sanitarie pari al 64,5 per cento mentre il restante 34,5 per cento (65 aziende) non ha fornito risposta.

        Le motivazioni più ricorrenti che sono alla base della cessazione del rapporto con la compagnia sono riepilogate nella tabella 5, dalla quale si ricava che il 53,5 per cento dei centri ha cessato il rapporto per scadenza naturale o per disdetta alla scadenza, il 15,8 per cento per disdetta (causata da eccessiva sinistrosità/onerosità e causa fallimento della compagnia assicurativa), il 13,8 per cento per altri motivi (gestione diretta o passaggio al fondo regionale), il 13,9 per cento per il fallimento della compagnia assicurativa.

    

2.3.3.    Copertura assicurativa per sinistri derivanti da colpa grave e tutela legale dei dipendenti.

        A livello nazionale, (v. Tab. 6) delle 169 aziende sanitarie ed ospedaliere che hanno inviato il questionario, 106 (pari al 62,7 per cento del totale) hanno dichiarato che la propria polizza assicurativa non prevede la copertura assicurativa per i sinistri derivanti da colpa grave dei dipendenti, mentre 44 aziende (pari al 26 per cento) hanno dichiarato che tale copertura è presente. Non hanno fornito risposta a questa domanda 19 aziende, concentrate in prevalenza nel centro e nel sud e isole.

        Le aziende sanitarie che hanno risposto positivamente sono collocate per più del 50 per cento nel sud e nelle isole (23 su 44), mentre le aziende che hanno fornito risposta negativa sono concentrate soprattutto in Lombardia.


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        La tabella 7 evidenzia, invece, la distribuzione delle aziende sanitarie ed ospedaliere per le quali è prevista o meno anche la tutela legale dei dipendenti. In questo caso 70 aziende (pari al 41,4 per cento) hanno dichiarato che tale tutela è prevista, mentre in 82 di esse (il 48,5 per cento del totale) questa forma di tutela non è presente. Le mancate risposte alla domanda sono 17 corrispondenti al 10,1 per cento della totalità.

        Fra le aziende che hanno risposto positivamente la massima presenza si riscontra nel nord-ovest (32 aziende su 70, pari al 45,7 per cento), seguono il sud con le isole e il nord-est. Per quanto riguarda la percentuale di aziende sanitarie che non prevedono tutela legale per i propri dipendenti, vi è una distribuzione quasi uguale nel numero di aziende tra il Centro (24) e il Nord-ovest e il Sud e Isole (entrambi con 23).


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        Volendo verificare la contemporanea presenza/assenza delle suddette forme di copertura assicurativa, dalla tabella 8 emerge che 24 aziende, pari al 16,1 per cento prevedono entrambe le forme di copertura; 59 aziende, (il 39,6 per cento) non presentano nessuna delle due forme di copertura; 20 di esse (13,4 per cento) prevedono copertura assicurativa per i sinistri causati da colpa grave dei dipendenti ma non la tutela legale degli stessi ed infine che in 46 di esse (pari al 30,9 per cento) la polizza assicurativa prevede la tutela legale ma non la copertura assicurativa dei sinistri dei dipendenti medici.


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2.3.4.    Rifiuto di rinnovo contrattuale da parte delle compagnie e motivazioni.

        Alcune aziende sanitarie ed ospedaliere si sono viste rifiutare il rinnovo contrattuale da parte delle compagnie assicurative (43 in totale, pari al 29 per cento – grafico 2).

        Di queste 14 (pari al 33 per cento di quelle che hanno risposto in modo affermativo) sono situate nel Nord-ovest, 12 (il 28 per cento) nel Nord-est – concentrate tutte in Emilia-Romagna –, 9 (il 21 per cento) si trovano nel Centro e 8 (pari al 19 per cento) nel Sud e isole.

        Le principali motivazioni addotte dalle compagnie assicurative per il rifiuto del rinnovo assicurativo hanno riguardato:

            – eccessiva onerosità e/o sinistrosità, andamento
negativo della polizza 48 per cento    

            – recesso o disdetta causa sinistro 22 per cento    

            – uscita dal mercato sanitario da parte della
compagnia 9 per cento    


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2.4.    Numero e distribuzione territoriale dei posti letto (accreditati ed effettivi) e del numero dei dipendenti medici – valori assoluti e percentuali, con indicatori sintetici.

        Alla data di compilazione del questionario (30 settembre 2012), nelle 158 aziende sanitarie ed ospedaliere che hanno risposto alla domanda, i posti letto accreditati sono 105.466, di cui il 36,6 per cento nel Nord-Ovest (38.644 posti letto), il 19,9 per cento nel Nord-Est (21.020 posti), il 19,0 per cento nel Centro (20.029) e il 24,4 per cento nel Sud e isole (25.773 posti letto).


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        Per quanto riguarda il numero dei posti letto effettivi, alla cui domanda hanno risposto 162 aziende sanitarie, sono 98.296 e così ripartiti: 33,3 per cento nel Nord-Ovest, 21,6 per cento nel Nord-Est, 20,8 per cento nel Centro e il 24,3 per cento nel Sud e nelle isole.

        I dipendenti medici, nel complesso delle 162 aziende che hanno risposto, sono 82.363 con la seguente distribuzione per area: il 27,1 per cento nel Nord-Ovest, il 19,2 per cento nel Nord-Est, il 22,7 per cento nel Centro e il 31,0 per cento nel Sud e nelle isole (Tabella 10).

        Alcuni indicatori di sintesi (minimo, massimo, media e mediana) sia per quanto riguarda il numero dei posti letto accreditati ed effettivi, che il numero dei dipendenti medici, secondo l'area di appartenenza, evidenziano situazioni differenti a livello territoriale e rispetto alla media nazionale (Tabelle 11).


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        Per quanto riguarda il numero dei posti letto accreditati (Tabella 11a) si hanno le seguenti indicazioni:

            Il Nord-Ovest presenta un numero medio di posti letto accreditati molto vicino alla media nazionale (678 rispetto a 668), mentre il Nord-Est presenta un valore molto al di sopra della media (809 posti letto). Risultano invece sotto la media nazionale sia il Sud e le isole (629) che il Centro (589).

            C’è una maggiore dispersione (data dalla differenza, in prima approssimazione, tra il valore massimo e il minimo) nel Sud e isole e nel Centro rispetto al Nord-Est e al Nord-Ovest.

            Attraverso il confronto della media con la mediana (che indica il valore che divide in due parti uguali e simmetriche la distribuzione) possiamo avere un'indicazione sull'asimmetria delle diverse distribuzioni. Poiché per il Nord-Ovest, il Nord-Est e il Centro la media è maggiore della mediana; queste distribuzioni risultano leggermente asimmetriche a destra (asimmetria positiva, ossia maggiore frequenza di valori bassi) mentre per il Sud e isole si è in presenza di una leggera asimmetria negativa. Da rilevare che a livello nazionale i dati mostrano una asimmetria positiva più marcata.

        Per quel che concerne il numero di posti letto effettivi, la cui media a livello nazionale è di 607, possiamo evidenziare che, per la variabilità (o dispersione) valgono le stesse considerazioni effettuate per il numero dei posti letto accreditati, mentre si trovano al di sotto di tale media tutte le aree geografiche ad eccezione del nord-est che presenta un valore medio di 785 posti letto effettivi.

        Per quanto riguarda la simmetria delle distribuzioni (a livello Italia e a livello delle aree geografiche) è necessaria una precisazione. Poiché alcune aziende sanitarie di dimensioni elevate non hanno fornito informazioni sul numero dei posti letto accreditati ma solo su quello dei posti letto effettivi (o viceversa) è possibile che alcune aree presentino un'asimmetria positiva per il primo indicatore e negativa per il secondo o viceversa. È il caso, ad esempio del Nord-Ovest che, presenta un'asimmetria negativa nel caso dei posti letto effettivi e un'asimmetria positiva nel caso dei posti letto accreditati.


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        Nell'analisi del numero dei dipendenti medici si può evidenziare che, a livello nazionale, la media si colloca poco sopra le 500 unità (508 per la precisione) e che si trovano fortemente al di sopra di questo valore il Sud e le isole e il Nord-Est, leggermente sopra il Centro, mentre risulta al di sotto della media il Nord-Ovest. È importante, al riguardo, sottolineare nuovamente che alcune regioni non hanno risposto al questionario e quindi per alcune di esse ci può essere una sovrastima o una sottostima del valore reale.

2.4.1.    Dimensione recettiva e dimensione occupazionale delle aziende sanitarie ed ospedaliere.

        Una classificazione delle aziende sanitarie interessante è quella basata sulla dimensione «recettiva» e sulla dimensione «occupazionale», ossia una rappresentazione per classi e territorio sia del numero dei posti letto effettivi che del numero di dipendenti medici.

        Per i posti letto sono state identificate cinque classi (da nessun posto letto a superiore ai 1.000 posti): la tabella 12 evidenzia che 75 delle aziende che hanno risposto (pari al 44 per cento dei rispondenti) hanno una struttura con posti letto compresi tra 500 e 1.000, segue poi


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la classe tra 200 e 500 posti letto (pari al 24 per cento del totale), seguita dalla percentuale di aziende con posti letto 1.000 (il 12,4 per cento della totalità).

        In generale quasi il 70 per cento del totale delle aziende presenta un numero di posti letto tra i 200 e i 1.000.

        Dal punto di vista territoriale il 55 per cento delle aziende sanitarie dell'area Sud e isole presenta un numero di posti letto effettivi tra 500 e 1.000 (questa classe rappresenta circa il 40 per cento nelle altre tre aree geografiche) mentre aziende con posti letto 1.000 si trovano in prevalenza nel Nord-Ovest e nel Nord-Est.

        Un'analoga classificazione per il numero di dipendenti medici (Tabella 13) evidenzia, a livello nazionale, che nelle classi tra 200 e 1.000 dipendenti medici si colloca il 71 per cento delle strutture mentre è identica (7,7 per cento) la proporzione delle aziende sanitarie con meno di 100 dipendenti medici e con più di 1.000.

        A livello territoriale nel sud il 40 per cento delle aziende hanno un numero di dipendenti tra 500 e 1.000 (così come nel Centro, mentre sono il 29 per cento nel Nord-Ovest e il 37 per cento nel Nord-Est). Nel nord-ovest la percentuale di aziende con meno di 500 dipendenti è del 69 per cento, mentre è del 48,1 per cento nel Nord-Est, del 51,4 per cento nel Centro e del 34 per cento nell'area Sud e isole.

        Bisogna sempre tenere presente che alcune regioni (il Veneto e la Sardegna, oltre alla provincia autonoma di Bolzano) non hanno risposto al questionario.


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        Si può costruire un interessante indicatore, dato dal rapporto tra il numero di dipendenti medici e il numero di posti letto effettivi che, in considerazione di quanto questo rapporto risulti maggiore o minore di 1, mette in evidenza l'efficienza gestionale della struttura.

        Il grafico 4 illustra che a fronte di poco più di 8 dipendenti medici ogni 10 posti letto a livello nazionale si trovano al di sotto di tale soglia il Nord-Ovest (poco meno di 7 dipendenti) e il Nord-Est (circa 7,5 dipendenti); risultano invece, sopra il valore nazionale, il Centro con circa 9 dipendenti e il Sud con le isole che presenta un valore di poco inferiore a 11 dipendenti medici ogni 10 posti letto.

        Un'analisi più di dettaglio, a livello di singola regione (Tabella 14), evidenzia che si passa da un minimo di 6,3 dipendenti medici ogni 10 posti letto effettivi per il Friuli-Venezia Giulia, la provincia autonoma di Trento e le Marche. Presentano valori vicini alla media nazionale la Toscana, l'Emilia-Romagna e l'Abruzzo mentre i valori più elevati sono presenti nella Sicilia (12,3), nella Basilicata (11,8), nel Lazio (11,3) e nella Calabria (11,1). In sostanza, in base ai questionari pervenuti, la Sicilia sembra evidenziare un numero di dipendenti medici, ogni dieci posti letto effettivi, pari al doppio di quelli presenti in Friuli, nella provincia di Trento e nelle Marche.

Tabella 14: Numero di dipendenti medici per ogni 10 posti letto effettivi per regione di appartenenza.

    Regioni Medici per 10 posti letto
    Liguria 7,0             Basilicata 11,8    
    Lombardia 6,8             Calabria 11,1    
    Valle d'Aosta 7,4             Campania 10,1    
    Emilia Romagna 7,9             Molise 7,7    
    Friuli Venezia Giulia 6,3             Puglia 6,9    
    Prov. Trento 6,3             Sicilia 12,3    
    Lazio 11,3          
    Marche 6,3          
    Toscana 8,3          
    Umbria 7,1          
    Abruzzo 8,8          

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2.5.    Premi versati dalle aziende sanitarie: andamento e confronti.

        L'indagine in oggetto, oltre a richiedere alle aziende sanitarie ed ospedaliere la situazione attuale in termini di copertura assicurativa, chiedeva di fornire i dati relativi ai premi versati, il numero di risarcimenti per sinistri richiesti, gli importi riservati e gli importi pagati dal 2006 al 2011.

        La Tabella 15 fornisce un quadro sintetico, per area geografica e per regione, dei premi versati dalle 169 aziende che hanno risposto al questionario, che nei sei anni considerati sono stati pari a 1.864 milioni di euro.

        Una prima lettura evidenzia l'incremento dei premi versati nel totale complessivo, passati dai circa 288 milioni del 2006 ai 354 milioni di euro del 2011, con un incremento nel periodo del 23 per cento ed un incremento medio annuo (media aritmetica semplice) dell'4,6 per cento.

        A livello territoriale di area geografica si è passati, nel Nord-ovest da circa 98 milioni a 139 milioni, con un incremento del 42 per cento, (medio annuo dell'8 per cento) nel Nord-est da 44 milioni a 63, con un incremento del 43 per cento (incremento medio annuo del 9 per cento), nel Centro da 80 milioni a 56, con un diminuzione del 30 per cento (decremento medio annuo del 6 per cento) e nel Sud e isole da 66 a 96 milioni di euro, con un aumento del 46 per cento (medio annuo del 9 per cento).

        I dati a livello territoriale necessitano di un approfondimento specifico. Alcune regioni, infatti, sono passati da un regime assicurativo ad un regime di utilizzo del fondo regionale e questo può contribuire a spiegare il decremento di alcune aree. Nel centro, ad esempio, le aziende sanitarie ed ospedaliere della Toscana sono passate nel 2011 al fondo regionale, con ciò spiegando la quasi totale riduzione dei premi versati e di conseguenza la riduzione del 30 per cento degli stessi nell'area geografica di appartenenza.


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        Anche altre regioni, come il Friuli-Venezia Giulia e la Liguria sono passate al regime del fondo regionale, e quindi i premi versati possono riguardare assicurazioni parziali (per sinistri superiori ad una determinata soglia) o premi residui di polizze ancora non scadute.

        Indipendentemente da queste considerazioni, unite ad alcune mancate risposte che a livello regionale inficiano alcuni aspetti dell'analisi, l'andamento dei premi mostra, comunque, un incremento significativo.


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        Analizzando i dati espressi in valori percentuali (tabella 17) si nota come l'incidenza di alcune aree sia rimasta abbastanza invariata nell'arco dei sei anni e come, viceversa, vi siano state delle variazioni (sia crescenti che decrescenti) anche particolarmente significative, in altre zone. In regioni come la Toscana, ad esempio, si nota un forte decremento dei premi, la cui motivazione principale può farsi dipendere dal passaggio dal regime assicurativo al Fondo regionale.

        Da un lato, infatti, il Sud e le isole passano dal 23,0 per cento al 27,2 per cento, il Nord-ovest da 34,0 per cento al 39,1 e il Nord-est dal 15,3 per cento al 17,8 per cento; dall'altro si evidenzia la riduzione del centro (che è passato dal 27,8 per cento all'15,8 per cento).

        Dobbiamo comunque ricordare che si tratta di dati, che a livello di analisi e approfondimento regionale, non sempre sono significativi a causa della mancanza di informazioni da parte di regioni importanti, come sottolineato nel paragrafo iniziale.

        Interessante è l'analisi relativa al premio medio pagato dalle aziende sanitarie ed ospedaliere nel corso degli anni 2006-2011, che ci consente sia di valutarne la variazione nel corso del tempo, sia di effettuare dei confronti a livello regionale.

        A livello nazionale, in media, il premio annuo assicurativo pagato dalle aziende sanitarie è passato da 2,0 milioni di euro a 2,7 nel 2011, con un incremento del 35 per cento.


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        Alcune regioni presentano un premio molto basso perché, come accennato nei paragrafi precedenti, vi è stato il passaggio al fondo regionale con relativa riduzione dei premi versati (è il caso della Toscana).

        Fra le regioni che hanno mantenuto il regime assicurativo, invece, mostrano una riduzione del premio medio la provincia autonoma di Trento, le Marche e l'Umbria, mentre è rimasto sostanzialmente stabile il premio medio pagato nel Lazio. Tutte le altre regioni presentano un incremento, in talune circostanze anche molto marcato.

2.6.    Analisi ed andamento del numero di richieste di risarcimento.

        Nel corso del periodo, con riferimento alle 169 aziende sanitarie ed ospedaliere che hanno risposto al questionario, sono pervenute alle compagnie 82.210 richieste di risarcimento, con una media annuale di 13.702 richieste.

        Il grafico 6 mostra, per il periodo 2005-2011, l'andamento delle richieste di risarcimento pervenute alle compagnie assicurative.


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        A fronte di un andamento crescente dal 2006 al 2009, con un incremento del 29 per cento rispetto all'anno di partenza, nel 2010 si è avuta una riduzione che è continuata anche nel periodo successivo tanto che il valore del 2011 si è assestato sul livello del 2008

        Al termine del periodo, comunque, l'incremento delle richieste risulta del 24 per cento, con un incremento medio annuo (media aritmetica semplice) del 5 per cento.

        La distribuzione per territorio delle richieste, con riferimento ai valori percentuali, evidenzia che si è avuta una riduzione nel Nord-Ovest (passato dal 26,4 per cento al 21,8 per cento) e nel Centro (da 19,7 per cento a 16,0 per cento), mentre si è avuto una incremento della quota sul totale delle richieste nel Nord-Est (da 38,4 per cento a 43,0 per cento) e nel Sud e isole (da 15,5 per cento a 19,3 per cento).

        Al 2011 su 100 richieste pervenute alle compagnie assicurative circa 22 erano di pertinenza nel Nord-Ovest, 43 del Nord-Est, 16 del Centro e 19 del Sud e delle isole.


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2.7.    Importi pagati per il risarcimento dei sinistri; andamento, indicatori sintetici ed analisi dei dati.

        Negli anni 2006-2011 le compagnie assicurative hanno effettuato per il risarcimento dei sinistri la cifra di 837 milioni di euro (Tabella 20), con una riduzione rispetto al 2010 del 48 per cento (l'importo pagato era di 91 milioni di euro) e del 75 per cento rispetto al 2006 (il pagato era pari a 191 milioni di euro).

        L'andamento degli importi pagato è illustrato nel grafico 7 dal quale si evince una costante riduzione del pagato, meno marcata fino al 2008 (175 milioni), decisamente più accentuata negli anni successivi fino ad arrivare ad un quarto del valore del 2006.


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        L'analisi per area geografica evidenzia una riduzione importante in tutte le aree, con particolare rilevanza per il Nord-Ovest, in cui i pagamenti sono scesi da 68 milioni a 11 milioni, arrivando ad un sesto del valore del 2006. Nelle altre aree il valore è sceso fino ad arrivare a circa un terzo del valore di cinque anni prima.

        A livello di percentuali si può sottolineare che mentre nel 2006 la quota maggiore sul totale del pagato era rappresentata dal Nord-Ovest (35 per cento), nel 2011 è il Nord-Est, con il 33 per cento a presentare l'incidenza percentuale più elevata. Il Centro passa da dal 24 per cento al 30 per cento, mentre rimane abbastanza stabile il Sud con le isole (14 per cento nel 2006, 15 per cento nel 2011).

        Gli indicatori di sintesi (media e deviazione standard) rappresentanti nella Tabella 22 indicano come si sia notevolmente ridotto, a livello di area territoriale, l'importo medio degli importi pagati per il risarcimento, ma soprattutto come sia diminuita la variabilità tra


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le varie aree geografiche. La deviazione standard, l'indicatore che fornisce informazioni circa la dispersione dei valori rispetto alla media, si è abbassato sensibilmente in tutte le aree geografiche e, a parte il sud e le isole, presenta valori molto simili. Nel 2006, invece, si era in presenza di una dispersione molto elevata sia nelle aree che a livello Italia.

2.8.    Importi posti a riserva: andamento e analisi dei dati.

        Nel periodo 2006-2011 il totale degli importi portati a riserva dalle compagnie assicurative delle aziende sanitarie ed ospedaliere che hanno risposto al questionario (Tabella 23), per i risarcimenti nel settore sanitario, ha sfiorato la cifra di 2 miliardi di euro (1.972 milioni, per l'esattezza). Nel 2011, rispetto al primo anno considerato, quando le riserve ammontavano a circa 170 milioni di euro, il valore si è quasi triplicato (502 milioni) ed è aumentato dell'11 per cento rispetto all'anno precedente (451 milioni).

        Nella Tabella 24 è riportato l'incremento annuale del totale delle riserve: si può notare come gli incrementi maggiori siano avventi nel 2007 ( 37 per cento rispetto al 2006) e nel 2010 ( 36 per cento rispetto al 2009).


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        Nel 2006, sul totale delle riserve accantonate la quota maggiore era di competenza del Nord-Est con il 30 per cento, seguito dal Nord-Ovest con il 27 per cento e dalle altre due aree, entrambe con il 20 per cento.

        Nel 2011 è rimasta invariata al 33 per cento la quota del Nord-Ovest, mentre è aumentata quella del Sud e isole (27 per cento). Sono diminuite, invece, le quote del Centro (19 per cento) e del Nord-Ovest (21 per cento).

        In linea generale, ad esclusione delle Marche, gli importi posti a riserva dalle compagnie assicurative sono aumentati in tutte le regioni.

2.9.    Rapporto tra premi versati, importo pagato per i risarcimenti e riserve accantonate.

        Nelle precedenti sezioni, alcuni dei fenomeni analizzati sono stati l'andamento dei premi versati dalle aziende sanitarie ed ospedaliere, degli importi pagati per i risarcimenti da parte delle compagnie assicurative e delle riserve totali dalle stesse accantonate.

        Risulta di sicuro interesse creare un indicatore, dato dal rapporto tra queste due grandezze, che metta in evidenza quanto, a fronte di un prefissato valore di premio versato (ad esempio 1.000 euro) viene pagato o, viceversa quanto, per ogni 1.000 euro pagati per risarcimento dei sinistri, sia la quota di premio versati.

        Inoltre, un'analisi storica della forbice tra quanto versato dalle aziende sanitarie ed ospedaliere e quanto pagato dalle compagnie assicurative per i sinistri può dare un'indicazione del possibile margine di risparmio, anche in tema di spending review, qualora si adottassero soluzioni alternative (polizze centralizzate o passaggio dal sistema assicurativo al fondo regionale).


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        La Tabella 25 mostra, a livello di aree geografiche e regioni, quanto nel 2006 e nel 2011, le aziende sanitarie hanno versato come premio, ogni 100 euro di risarcimento pagato dalle compagnie.

        Si nota come questo rapporto si sia notevolmente ampliato nel corso del periodo considerato, passando nel totale da 155 euro del 2006 a 823 nel 2011.

        Le motivazioni possono, ovviamente, dipendere dai differenti effetti che abbiamo osservato nel periodo osservato: da un lato una diminuzione del pagato per risarcimenti, dall'altro un aumento dei premi versati. Nello stesso tempo, però, abbiamo riscontrato un incremento consistente delle richieste di risarcimento (almeno fino al 2009, con leggera flessione nei rispettivi due anni) e un altrettanto elevato aumento delle riserve accantonate (in tal senso, sarebbe opportuna, per un ulteriore approfondimento, la conoscenza del tempo medio di risarcimento del sinistro).

        In sostanza i premi versati dalle aziende sanitarie ed ospedaliere sono aumentati del 23 per cento, i risarcimenti sinistri sono diminuiti del 75 per cento e le riserve si sono quasi triplicate (aumento del 195 per cento), in seguito ad un incremento delle richieste del 24 per cento.


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        Il grafico 9 evidenzia l'andamento dei premi versati dalle aziende sanitarie, degli importi pagati per i risarcimenti da parte delle compagnie (sinistri totali), delle riserve accantonate e della forbice (premi-pagato) nel periodo 2006-2011. Si nota l'andamento abbastanza costante della forbice fino al 2008 e poi il forte incremento a partire dal 2009, in conseguenza della diminuzione del pagato e dell'aumento dei premi versati, e l'incremento continuo, lungo tutto il periodo, delle riserve accantonate dalle compagnie assicuratrici.

        Poter disporre di ulteriori informazioni, come il numero di sinistri effettivamente pagati nel periodo oggetto dell'indagine e il tempo medio intercorrente tra la richiesta di risarcimento e la liquidazione dello stesso da parte delle compagnie assicuratrici, sarebbe stato utile per affinare l'analisi e nello stesso tempo effettuare comparazioni con i risultati di studi e rapporti sviluppati anche recentemente.

2.10.    Considerazioni conclusive.

        L'acuirsi dell'attenzione pubblica sul verificarsi degli eventi avversi, di cui si è detto, e l'orientamento a disporre risarcimenti elevati per i danni da responsabilità professionale del medico ha creato, come si è visto, una rilevante pressione sugli operatori sanitari, e una sempre maggiore difficoltà a reperire coperture assicurative adeguate, in particolare per alcune branche specialistiche, come la ginecologia e l'ortopedia, maggiormente esposte al verificarsi di eventi avversi.


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        Ciò ha posto un problema politico in ordine alla creazione di meccanismi di riduzione del fenomeno, di cui il Parlamento nel corso della XVI legislatura è stato investito. Diverse sono state infatti le proposte e i disegni di legge giunti all'esame delle Camere, alcuni anche di provenienza governativa. Nessuno di questi tuttavia è stato approvato definitivamente.

        Importanti norme in materia sono invece state emanate su iniziativa del Ministro della salute con il decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modifiche legge 8 novembre 2012, n. 189.

        La norma più importante è contenuta nel primo comma dell'articolo 3, che dispone che l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. Tale disposizione mira a sollevare parzialmente dalla responsabilità gli operatori che seguono le indicazioni generali della comunità scientifica in relazione all'attività condotta. L'intento della norma è quello di stemperare il clima di pressione che si è sviluppato nell'ambiente medico, restituendo serenità all'operatore che agisce secondo correttezza scientifica. Nonostante tali intendimenti, tuttavia, la disposizione è criticabile sotto diversi punti di vista.

        Vincolare l'azione del medico alle linee-guida e alle buone pratiche generalmente accreditate scoraggia l'adozione di scelte terapeutiche meno standardizzate, ma possibilmente più adeguate al trattamento del singolo individuo, ed è generalmente contrario alla tendenza attuale all'individualizzazione della medicina e alla definizione di protocolli personalizzati che tengano conto delle caratteristiche specifiche del paziente. Inoltre, la definizione di linee-guida e il riconoscimento ufficiale delle buone pratiche è un processo lento, che richiede generalmente una certa diffusione e affermazione di una tecnica prima che essa venga legittimata. Tale processo rischia di venire ulteriormente rallentato dalla norma in parola, poiché gli operatori non sono incentivati a distaccarsi da quanto già definito, e le nuove pratiche, ancorché migliori, stenteranno quindi ad affermarsi. Infine, la norma sortirà il paradossale effetto di incrementare il fenomeno della medicina difensiva: al fine di sollevarsi dalla rivendicazione di una possibile responsabilità, l'operatore tenderà a seguire pedissequamente protocolli e linee-guida, prescrivendo esami diagnostici o ricoveri quando siano astrattamente previsti per quel dubbio diagnostico o per quella patologia, e non quanto siano realmente necessari. Il rilevante costo della medicina difensiva a carico del servizio sanitario nazionale, stimato in oltre 10 miliardi di euro, sembra quindi destinato ad aumentare, mentre sicuramente negativo sarà l'impatto della disposizione sull'appropriatezza delle cure.

        Il comma, inoltre, ha incontrato critiche in relazione alla sua formulazione: la frase «In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile», infatti, sarebbe tale da non permettere al giudice la liquidazione alla vittima dell'errore del danno non patrimoniale, a causa del mancato riferimento all'articolo 2059 c.c., identificato dalla giurisprudenza come disposizione che ne autorizza la liquidazione. Paradossalmente, in queste evenienze proprio il danno alla salute, quale danno non patrimoniale, non potrà essere liquidato al paziente, congiuntamente al danno morale ed


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esistenziale, mentre potrà essergli liquidato solo il danno patrimoniale (danno emergente e lucro cessante), eventualmente derivante dalle conseguenze dell'errore.

        Positivo deve essere invece il giudizio sul comma 2 del predetto articolo 3, che dispone una serie di norme adeguate a calmierare il mercato assicurativo per i professionisti della salute, specie con riferimento ad alcuni soggetti «deboli». In prospettiva, sulla medesima scia, sarebbe opportuno definire con maggiore chiarezza il meccanismo di definizione dei premi, che andrebbe ancorato ai risarcimenti effettivamente liquidati e a parametri di rischio chiari, univoci e predeterminati.

        Non altrettanto positivo deve considerarsi invece l'ancoraggio, compiuto dal terzo comma dell'articolo 3, della liquidazione del danno biologico alle tabelle normative di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (c.d. codice delle assicurazioni); a prescindere dall'opportunità di accomunare nella liquidazione danni tra loro assai diversi, sulle tabelle normative risulta pendente il giudizio presso la Corte costituzionale in merito alla disparità di trattamento derivante dal loro deciso scostarsi rispetto alle tabelle di risarcimento identificate dalla giurisprudenza. Difatti, le tabelle normative si rifanno innanzitutto a una sistemazione concettuale del danno alla persona fondata su una distinzione delle varie componenti del pregiudizio non patrimoniale, riferita a quindi a una concezione del danno biologico anteriore a quella unitaria affermata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione già dal 2008, e prevedono, sul piano della quantificazione, un significativo scostamento rispetto ai valori applicati dalle tabelle giurisprudenziali, nella loro veste di indicatori dei valori da ritenere espressione di equità; infine, individuano dei limiti invalicabili con riguardo all'esercizio della discrezionalità del giudice, con un tetto del 20 per cento per le lesioni micropermanenti e del 30 per cento per le invalidità superiori.

        Proprio intorno a tali profili problematici si sono incardinate le argomentazioni richiamate da alcune recenti ordinanze – del Giudice di pace di Torino (21 ottobre 2011), del Tribunale di Tivoli (21 marzo 2012) e dal Tribunale di Brindisi (Sez. Ostuni, 3 aprile 2012) – con le quali è stata nuovamente rimessa alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità dell'articolo 139 del codice delle assicurazioni: ad essere considerato illegittimo appare, fondamentalmente, il trattamento deteriore riservato alle vittime di microinvalidità provocate da sinistri stradali, alla luce del confronto con il risarcimento assicurato alle vittime di analoghe lesioni attraverso l'applicazione delle tabelle giurisprudenziali. E tale profilo di discriminazione si riproduce del tutto anche con riferimento ai danni iatrogeni. Deve registrarsi, peraltro, la perdurante mancata attuazione dell'articolo 138, che pospone in gran parte l'applicazione del comma, poiché più rari e meno contestati sono i danni di lieve entità derivanti da responsabilità medica. Tale mancata attuazione non fa che posporre, tuttavia, anche le possibili censure sulla disparità di trattamento, con riferimento anche ai danni di non lieve entità, che sono qui allo stesso modo riproducibili.

        È necessario sottolineare, in conclusione, che il problema della responsabilità medica non può considerarsi come disgiunto dal


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problema generale della riduzione del rischio di eventi avversi nella pratica clinica: solo la riduzione della probabilità di occorrenza di danni iatrogeni evitabili è in grado di riportare la responsabilità professionale degli operatori in un alveo di normalità, allentando la tensione nei rapporti della salute e permettendo l'instaurarsi del clima di fiducia liminare alla creazione di un'alleanza terapeutica finalizzata alla promozione della salute del paziente.
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3.    PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA

3.1.    Premessa.

        La Commissione nell'ambito delle competenze definite dalla deliberazione istitutiva del 5 novembre 2008, ha deliberato, negli ultimi sei mesi della legislatura, l'attivazione di un ulteriore filone di inchiesta sulla procreazione medicalmente assistita (PMA), mediante l'invio di questionari.

        Scopo dell'indagine è stato quello di acquisire dati e informazioni secondo i criteri e gli oneri di erogazione dei diversi livelli di PMA in ciascun servizio sanitario regionale (20).

3.1.1.    Quadro normativo.

        La legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita», detta le «Linee guida contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita», prevedendo, all'articolo 7, la definizione da parte del Ministro della salute di linee guida «vincolanti per tutte le strutture autorizzate» e le modalità che sono da rapportarsi all'indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

        Dalla «Relazione al Parlamento sullo Stato di attuazione della legge contenente norme in materia di procreazione medicalmente assistita» presentata dal Ministro della salute nel giugno 2012, sono stati rilevati elementi di informazione che si ritiene utile richiamare per un più completo quadro espositivo:

            1. È in aumento l'età media delle donne che si sottopongono a questo tipo di trattamenti, un fattore che incide negativamente sui risultati delle tecniche stesse, come pure il numero dei cicli di trattamento effettuato da pazienti con età superiore ai 40 anni. Nonostante ciò, continua a migliorare l'efficacia delle procedure di procreazione medicalmente assistita, come mostrato da tutti gli indicatori, dal numero dei nati vivi a quello delle gravidanze, anche espressi in percentuale rispetto ai cicli iniziati ed ai trasferimenti eseguiti.

            2. È fondamentale ribadire l'importanza delle attività di ricerca e comunicazione promosse e finanziate in applicazione dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 40 del 2004, che prevede «Interventi contro la sterilità e infertilità». La legge ha stimolato le attività di ricerca in particolare nei settori della crioconservazione degli ovociti, della preservazione della fertilità, dello studio delle cause dell'infertilità.

            3. La prevenzione primaria delle cause dell'infertilità, una migliore definizione delle sue cause, una diagnosi adeguata, l'informazione corretta alle donne e alle coppie che accedono alle tecniche di procreazione assistita, a partire dai giovani, sono obiettivi di salute che continuiamo a perseguire.


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        Sono evidenti il buon andamento nel sistema di raccolta dei dati: è confermato il 100 per cento di adesione dei centri, già raggiunto fin dall'anno 2006, e si è ridotta, complessivamente, la perdita di informazioni sul follow-up delle gravidanze ottenute da tecniche di II e III livello unicamente da cicli «a fresco» (cioè senza considerare quanto ottenuto da cicli di scongelamento ovocitario o embrionale), passando dal 42,3 per cento del 2005 al 10,8 per cento di quest'anno.

3.2.    I risultati dell'indagine.

3.2.1.    Numero e distribuzione territoriale dei questionari pervenuti.

        Il numero totale di questionari pervenuti è pari a 96, una percentuale del 27 per cento rispetto al totale di 351, numero di centri desumibile dall'elenco del Registro nazionale procreazione medicalmente assistita.

        Non sono pervenute risposte dalla provincia autonoma di Bolzano, dal Veneto, dal Molise (nel quale non vi sono centri di PMA), dalla Puglia, dalla Basilicata e dalla Sardegna, quindi la distribuzione dei rispondenti può considerarsi rappresentativa a livello nazionale e regionale ma non a livello di aree geografiche (raggruppamenti regionali).

        La distribuzione per area geografica e regione di appartenenza è evidenziata nella tabella 1, sia in valori assoluti che in valori percentuali: 42 dei questionari (pari al 45 per cento del totale) provengono dal Nord-Ovest, 22 (il 23 per cento del totale) dal Sud e isole, 17 (il 18 per cento dal Nord-est e 13 (pari al 13 per cento) dal Centro.

        La regione più rappresentata è la Lombardia con 28 questionari, che da sola ricopre il 30 per cento del totale delle risposte, seguita dalla Toscana, con 11 risposte e dal Piemonte e l'Emilia-Romagna con 10 questionari.


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3.2.1.1.    Centri PMA classificati per area geografica e livello (I, II, III).

        I centri di procreazione medicalmente assistita sono classificati in tre livelli in base alla tecnica utilizzata:

            – centri di I livello sono quelli che applicano solamente l'inseminazione semplice e la crioconservazione del liquido seminale;

            – centri di II e III livello sono quelli che applicano altre tecniche, oltre all'inseminazione semplice.

        La tabella seguente (tabella 2) rappresenta la distribuzione per livelli e per area territoriale e regione. Gli 89 centri che hanno indicato il livello di appartenenza o per i quali è stato possibile verificare il livello sono così suddivisi:

            – 28 di I livello, pari al 31,5 per cento del totale (15 nel Nord-Ovest, 5 nel Nord-Est, 3 nel Centro e 5 nel Sud e isole);

            – 23 (pari al 25,8 per cento) di II livello, di cui 10 nel Nord-Ovest, 7 nel Centro e 6 nel Sud e nelle isole;

            – 38 di III livello (per una quota sul totale dei rispondenti del 42,7 per cento), di cui 17 nel Nord-Ovest, 9 nel Sud e isole, 8 nel Nord-Est e 4 nel Centro.


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3.2.1.2.    Codici utilizzati sulla SDO.

        In caso di erogazione del II e III livello in regime di ricovero ordinario o Day surgery, i codici maggiormente utilizzati sulla SDO (ricovero) sono risultati i seguenti (in ordine decrescente):

            6591

            6999

            V261

            6289

            6992

            6288

            8879

            6511

            6280

            9059

            V641

            6212

            628

3.2.1.3.    Centri PMA classificati per area geografica e servizio (pubblico, privato, convenzionato).

        I centri di PMA possono essere classificati anche in base al carattere del servizio offerto, ossia se si tratta di un centro pubblico, privato o privato convenzionato (tabella 3).

        Risulta che, dei 91 centri per i quali è stato possibile definire la tipologia di servizio, circa il 70 per cento offre un servizio pubblico, il 12 per cento sono privati convenzionati, il restante 18 per cento sono completamente privati.


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        Il numero maggiore di centri pubblici (28) si trova nel Nord-Ovest, in prevalenza in Lombardia (in cui ve ne sono 19), segue il Sud e isole con 14, il Nord-Est con 13 e il Centro con 9.

        Dei rispondenti, nel Sud e nelle isole si concentra il maggior numero di centri privati (con 7 centri su 16), mentre il maggior numero dei privati convenzionati si trova in Lombardia, con 9 centri su 10 appartenenti a questa tipologia.

        Su tali risultati giova ricordare quanto accennato nel primo paragrafo a proposito della mancanza di risposte da parte di alcune regioni (Veneto, Puglia, Basilicata; Sardegna) e della provincia autonoma di Bolzano.


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3.2.2.    Numero di SDO aperte: dati e analisi.

        In fase di effettuazione del ciclo i centri possono aprire una sola SDO (ricoveri) o più di una.

        Dai 48 questionari su 94 che hanno fornito risposta alla domanda in questione risulta che 23 centri (pari al 48 per cento) aprono una sola SDO, mentre il restante 52 per cento (25 centri) ne apre 2 o più.

        In particolare viene aperta più di una SDO nel Nord-Ovest (23 su un totale di 25) mentre sembrano caratterizzarsi per l'apertura di una sola SDO i centri del Sud e delle isole e del Centro.


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3.2.3.    Analisi dei rimborsi: distribuzione, tipologie e valore.

        L'analisi dei dati relativi alla tipologia e all'importo dei rimborsi effettuati dai centri di PMA si basa su un ancor più ristretto numero di rispondenti, poiché solamente 41 centri, pari al 43 per cento del totale, ha indicato se effettua o meno il rimborso attraverso un apposito DRG, mentre 55 centri non hanno fornito risposta.

        La distribuzione per area geografica dei centri che effettuano il rimborso (26 in totale, pari al 63 per cento) è abbastanza omogenea, con un massimo di 9 nel Nord-Ovest e un minimo di 5 nel Centro.

        I DRG maggiormente utilizzati per il rimborso sono risultati i seguenti:

            359

            365

            369

            352

            339

            6280


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        Abbiamo visto, in precedenza, che 26 centri PMA effettuano un rimborso attraverso il DRG; di questi 16 hanno fornito informazioni riguardo il valore dell'importo, così distribuiti: Lombardia, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Provincia Autonoma di Trento, Marche, Abruzzo e Campania 1 centro; Toscana 2 centri; Sicilia 3 centri; Emilia-Romagna 4 centri.

        A parte le regioni con un solo valore, in cui ovviamente minimo, massimo e media coincidono, la tabella 6 evidenzia all'interno delle regioni le differenze, le quali possono dipendere dal diverso DRG di riferimento.

        Si nota un range (massimo - minimo) abbastanza significativo in Emilia-Romagna, molto più contenuto in Toscana, mentre i rimborsi sono esattamente identici nei tre centri della Sicilia.

        Ad ogni modo il campione dei rispondenti risulta poco numeroso e non adeguatamente distribuito sul territorio, per cui è sicuramente statisticamente poco rappresentativo.

3.2.4.    Numero dei cicli, rimborso e ticket: dati ed analisi.

        Nel periodo 1 gennaio 2011 – 30 giugno 2012 sono stati portati completamente a termine, da 94 su 96 centri rispondenti, un numero di cicli pari a 59.912 di cui 32.875 nel Nord-Ovest (55 per cento del totale), 9.133 nel Nord-Est (15 per cento sul totale), 11.951 nel Centro (20 per cento) e 5.954 (pari al 10 per cento) nel Sud e isole.


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        Il numero medio è di 681 cicli (a livello nazionale, considerando tutti i 94 centri). Si situano sopra tale valore medio il Nord-Ovest, con 802 cicli, il Nord-Est con 703 cicli e il Centro con 793; presentano invece un valore molto al di sotto della media il Sud e le isole con un numero medio di cicli pari a 313.

        Entrando in dettaglio sul numero di cicli completi effettuati dalle sole strutture pubbliche, pari a 64 fra quelle rispondenti (tabella 8), vediamo che la media si assesta al valore di 570 (rispetto ai 672 delle strutture completamente private e ai 700 dei centri privati convenzionati).

        Il valore della deviazione standard ci permette di notare come ci sia una minore variabilità nel Sud e isole e nel Centro piuttosto che al Nord-Ovest e al Nord-Est, in cui questo indicatore risulta più elevato.

        Se allargassimo la fascia anche alle strutture convenzionate (il cui numero è pari a 11), quindi considerando insieme servizio pubblico e privato convenzionato, si avrebbe un numero medio di cicli per centro di 700.


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        Gli importi corrisposti a titolo di rimborso, in caso di gestione ambulatoriale del programma, vanno da un minimo di 36 euro (in Emilia-Romagna) ad un massimo di 1.826 euro (in Toscana). Il rimborso medio, a livello nazionale, è di 702 euro (nel Nord-Ovest la media è di 963 euro, nel Nord-Est di 279 euro, nel Centro di 1.212 euro, nel Sud e nelle isole di 78 euro). Va precisato che questi dati si riferiscono a soli 18 centri, quindi ad un campione piuttosto ridotto, e non possono essere considerati significativamente rappresentativi.

        Più numerosi (39 i centri rispondenti) i dati relativi all'importo del contributo complessivo dei ticket previsti a carico della coppia per un ciclo completo (tabella 9, con indicatori sintetici): nel Nord-Ovest il contributo complessivo del ticket è stato, in media, di 211 euro rispetto ai 163 euro del Nord-Est, i 208 del Centro e i 269 del Sud e isole. Il valore medio calcolato su tutti i centri si assesta intorno ai 213 euro.


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3.2.5.    Dati relativi alle procedure adottate nei centri e alle prescrizioni dei farmaci.

        Nel 75 per cento dei casi (39 centri su 52 rispondenti) la prescrizione dei farmaci induttori dell'ovulazione è affidata, come centro prescrittore, solo ai centri di PMA, mentre questo non avviene nel restante 25 per cento dei casi. Dei primi si ha una distribuzione territoriale abbastanza omogenea poiché 12 si trovano nel Centro, 11 si trovano nel Sud e nelle isole, 8 nel Nord-Ovest e nel Nord-Est.

        La tabella 10 evidenzia, invece, il numero e la percentuale di centri che hanno/non hanno apprestato le procedure standard operative (POS) dal prelievo fino alla distribuzione e per la notifica degli eventi avversi e delle reazioni avverse gravi.

        Si riscontra che l'86 per cento dei centri ha apprestato entrambe le procedure standard (37 centri su 43 rispondenti), l'11,6 per cento (5 centri) non ha adottato nessuna delle due forme di procedura standard.


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3.2.6.    Informazioni e dati relativi al responsabile della qualità e alla gestione dei rischi.

        In 68 centri di PMA su 81 rispondenti, per una quota dell'84 per cento, è stato nominato un responsabile della qualità; di questi il 40 per cento si trova nel Nord-Ovest, il 25 per cento nel Sud e isole, il 18 per cento nel Centro e nel Nord-Est.

        I centri che presentano il responsabile della qualità sono per il 56 per cento pubblici, per il 17 per cento privati e per il 13 per cento privati convenzionati; in 12 centri pubblici non risulta nominato un responsabile della qualità.


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        In 43 centri di PMA, sui 53 rispondenti (per una quota dell'81 per cento), esiste una mappatura dei rischi, mentre la formazione sulla riduzione degli stessi e l'acquisizione di quanto contenuto nella recente normativa di derivazione europea è stata avviata da 46 centri (pari all'87 per cento).

        Nel 77 per cento dei centri (41 su 53 questionari) questi due aspetti sono contemporaneamente presenti: esiste una mappatura dei rischi e sono state avviate (o sono in fase di programmazione) iniziative di formazione; nel 9 per cento dei casi, invece, non esiste all'interno del centro una mappatura dei rischi e non si sono avviati piani di formazione su questo aspetto.


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3.2.7.    Aspetti relativi all'assicurazione delle procedure all'interno dei centri: dati e analisi.

        Il questionario intendeva conoscere se i centri di PMA fossero o meno assicurati in ogni step della procedura ad alta complessità e se risultassero assicurati tutti gli attori del processo (medici, biologi, psicologi, infermieri).

        La tabella 13 fornisce un quadro sintetico della situazione: su 69 centri rispondenti, l'81 per cento prevede l'assicurazione in ogni step della procedura, mentre l'87 per cento copre tutti gli attori coinvolti nel processo.

        La contemporanea forma di assicurazione (sia di tutti gli step che di tutti gli attori coinvolti) è prevista nel 54 per cento dei casi laddove l'assenza contemporanea è risultata nel 12 per cento.


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3.2.8.    Informazioni e dati sulla crioconservazione e sulle tecniche utilizzate dai centri.

        La crioconservazione è uno dei punti che il questionario proposto intendeva indagare e mettere in evidenza: in particolare sul numero dei centri che dispongono di apparecchiatura per la crionconservazione e sulle differenti tecniche di crionconservazione utilizzate.

        La tabella 14 riporta il numero e la distribuzione territoriale dei centri che effettuano tecniche di crioconservazione degli embrioni: in 55 centri su 89 (pari al 62 per cento) si effettuano tali tecniche; sono distribuiti su tutto il territorio, con una presenza marcata nel Nord-Ovest, nel quale si trovano 28 centri (il 51 per cento), seguito dal Centro con 12 strutture (pari al 22 per cento). La Lombardia, con 19 centri, è la regione con il maggior numero, seguita dalla Toscana (8 centri) e l'Emilia-Romagna (6 centri).


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        Si ritrova una distribuzione (tabella 15) pressoché analoga alla precedente per quanto riguarda il numero dei centri che effettuano


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tecniche di crioconservazione degli ovociti: 54 strutture su 88 (per una percentuale del 61 per cento), con una forte presenza nel Nord-Ovest (28 centri, pari al 52 per cento).

        Anche in questo caso in Lombardia vi è il maggior numero di tali strutture (20) seguita dalla Toscana (8) e dall'Emilia-Romagna (6).


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        Differente la distribuzione dei centri che hanno effettuato tecniche di crioconservazione del tessuto ovarico (tabella 16): solo il 17 per cento dei rispondenti (15 strutture su 87) ha eseguito, infatti, tale tecnica di crioconservazione. Il 48 per cento di questi centri si trova nel Nord-Ovest, il 27 per cento (4 centri) nel Centro, il 20 per cento nel Nord-Est. Nel Sud e nelle isole, fra i centri che hanno risposto, ne esiste un solo che applica questa tecnica (in Campania).

        Questa procedura quindi risulta, in generale, molto meno diffusa delle due precedenti e non presente in parecchie strutture.


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        Di nuovo molto simile alle prime due distribuzioni è quella relativa al numero dei centri che effettuano tecniche di crioconservazione degli spermatozoi: 54 strutture su 90, pari al 60 per cento, con una larga presenza nel Nord-Ovest (27 centri, di cui 18 in Lombardia). Nel Centro sono presenti 12 centri (il 22 per cento) di cui 8 in Toscana, nel Nord-Est 8 strutture di cui 6 in Emilia-Romagna e nel Sud e nelle isole 7 centri.


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        In definitiva, per quanto riguarda la crioconservazione e le differenti tecniche applicate dai centri di PMA, si può affermare che risultano abbastanza diffuse (intorno al 61-62 per cento) le tecniche di crioconservazione degli ovociti, degli embrioni e degli spermatozoi, laddove, invece, è ancora poco applicata la tecnica di crioconservazione del tessuto ovarico (solo nel 17 per cento dei rispondenti).

        Sono risultati 15 i centri nei quali sono effettuate tutte e quattro le tecniche di crioconservazione: 6 in Lombardia, 4 in Toscana, 3 in Emilia-Romagna, 1 in Piemonte e Campania.

        Infine, come evidenziato dal grafico 13, il 60 per cento degli 82 centri rispondenti alla domanda, dispone di contenitori separati per la quarantena di embrioni infetti. Queste strutture si trovano in prevalenza nel Nord-Ovest (27 centri), segue il Centro con 9 strutture, il Sud e le isole con 8 ed infine il Nord-Est con 5.

3.2.9.    Utilizzo di tecniche laparoscopiche ed esistenza di percorsi integrati con i centri oncologici.

        Dalle risposte pervenute a questa fase dell'indagine si rileva che, su 81 centri di PMA, in 51 (pari al 63 per cento della totalità) si utilizzano tecniche laparoscopiche nella gestione delle complicanze delle prestazioni di III livello, con una distribuzione territoriale (per area geografica) riportata nella tabella 18.

        Il 27 per cento di tali strutture si trovano nel Nord-Ovest, il 16 per cento nel Sud e nelle isole.


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        Risulta esattamente identico, invece, il numero di centri all'interno dei quali esistono percorsi integrati con i centri oncologici per preservare la fertilità di coppia nei pazienti neoplastici: sono 43 centri su un totale di 86 rispondenti.

        Mentre nel Nord-Ovest e nel Centro il numero di strutture che presentano tale percorso è abbastanza vicino al numero di quelle che non lo presentano, abbiamo due situazioni opposte nelle restanti aree geografiche: decisamente più elevato il numero delle prime nel Nord-Est, sensibilmente più alto il numero delle seconde nel Sud e nelle isole (tabella 19).

        Il 77 per cento di questi centri offre un servizio pubblico; la percentuale diventa del 92 per cento aggiungendo anche i privati convenzionati.

3.2.10.    Dati ed analisi sulla presenza di specifiche figure professionali all'interno dei centri di PMA.

        Un ulteriore aspetto oggetto di analisi del presente questionario ha riguardato la presenza, all'interno della dotazione organica delle strutture, di figure professionali specifiche, ossia di embriologi/biologi, di psicologi, di andrologi e di genetisti.

        Sul totale dei 94 centri che hanno risposto al questionario, in 80 (l'85 per cento) è presente la figura del biologo, in 70 (pari al 74 per cento) figura nella dotazione organica lo psicologo, in 66 (per una quota del 70 per cento sulla totalità) vi è l'andrologo e, infine, in 48 (pari al 51 per cento) è presente il genetista (tabella 20).


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        In 41 centri di PMA (pari al 44 per cento del totale) vi è la contemporanea presenza, nella dotazione organica, di biologi, psicologi, andrologi e genetisti, mentre sono 2 i centri all'interno dei quali non vi è nessuna delle professionalità indicate.

3.2.11.    Dati ed analisi riguardanti alcune attività di gestione dell'infertilità.

        Un altro aspetto di interesse, all'interno della presente indagine, ha riguardato alcune attività svolte dai centri di PMA per la prevenzione e il trattamento della fertilità.

        Una di queste concerneva l'attivazione da parte delle strutture di progetti informativi sulla prevenzione dell'infertilità.

        La tabella 21 mostra il numero e la ripartizione per aree geografiche dei centri nei quali questa attività informativa è stata portata avanti.

        Si tratta di 50 centri, sugli 82 rispondenti (per una quota del 61 per cento) per lo più dislocati nel Nord-Ovest (il 44 per cento), al quale segue il Sud e le isole con il 24 per cento (12 centri su 50); 7 sono privati, 4 convenzionati, i rimanenti 39 (pari al 78 per cento) sono pubblici.

        Non hanno invece attivato programmi di informazione sulla prevenzione dell'infertilità 32 strutture (pari al 39 per cento della totalità).

        L'altro tema riguarda l'individuazione, a livello regionale, attraverso studi epidemiologici, di aree nelle quali il fattore di rischio ambientale, in particolare l'inquinamento, risulti particolarmente forte per l'infertilità.

        Hanno risposto 38 centri di PMA di cui solamente 6 (3 in Campania, 1 in Sicilia, 1 in Liguria e 1 in Lombardia) in modo affermativo (tutti centri pubblici) mentre hanno dato una risposta negativa i restanti 32.

3.2.12.    Tracciabilità dei percorsi di PMA.

        I dati della tabella 22 riportano la distribuzione per area geografica e regione del numero delle strutture all'interno delle quali esiste un sistema di tracciabilità dei percorsi di PMA e in particolare per quanto riguarda tutto il materiale biologico.


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        In 80 centri, sugli 84 rispondenti, è presente un tale sistema; in particolare è presente in tutti i 13 centri del Nord-Est che hanno risposto. Rispetto agli 80 centri, 13 sono privati (il 16 per cento) mentre gli altri 67 (pari all'84 per cento) sono pubblici o privati convenzionati.

3.2.13.    Analisi dei dati relativi alla comunicazione e informazione alle pazienti.

        Il tema della comunicazione e delle procedure informative adottate dalle strutture che offrono servizi al pubblico è sempre molto importante e delicato.

        I centri che riportano i risultati dei trattamenti nelle guide per le pazienti sono risultati 66 su 88, per una quota del 75 per cento sul totale (grafico 15).

        Di questi 44 sono pubblici (il 67 per cento), 12 (pari al 18 per cento) offrono un servizio privato, 10 sono convenzionati (per una quota del 15 per cento)

        Delle 88 strutture rispondenti 74, pari all'84 per cento, hanno dichiarato di riportare i risultati dei trattamenti sui consensi informati sottoposti alle pazienti. In questo caso 13 centri sono privati (pari al 18 per cento), 11 (per una quota del 15 per cento) sono privati convenzionati mentre offrono un servizio pubblico i rimanenti 50 che rappresentano una percentuale del 67 per cento (grafico 16).


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        Nell'83 per cento dei casi (69 centri su 83) i risultati dei trattamenti sono autocertificati dal direttore di unità operativa: 35 centri si trovano nel Nord-Ovest (il 51 per cento), 15 (per una quota del 22 per cento) sono situati nel Sud e nelle isole, 10 (pari al 14 per cento) nel Nord-Est e 9 (pari al 13 per cento) si trovano nel Centro.

        Dei 69 centri, 10 sono privati (il 14 per cento), 11 sono privati convenzionati (pari al 16 per cento), il restante 70 per cento (48 strutture) offre un servizio pubblico.


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3.2.14.    Numero di donne sottoposte al trattamento da gennaio 2011 a giugno 2012: dati, analisi e indici.

        Dal 1o gennaio 2011 al 30 giugno 2012 le donne che si sono sottoposte a trattamento sono state 50.900; quelle residenti nella stessa regione del centro di PMA sono state 37.322: il 45 per cento si è avvalso di centri del Nord-Ovest, il 23 per cento ha utilizzato strutture del Sud e isole, il 18 per cento strutture del Centro e il 14 per cento centri del Nord-Est.


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        Le donne non residenti nella stessa regione della struttura che si sono sottoposte al trattamento sono state, invece, 13.578, con la seguente distribuzione: il 48 per cento al Nord-Ovest, il 20 per cento nel Sud e nelle isole, il 17 per cento nel Centro e il 16 per cento nel Nord-Est.

        Nella tabella 24 è evidenziato il numero delle donne (residenti e non residenti) che si sono sottoposte al trattamento classificate in base all'area geografica e alla regione di appartenenza del centro di PMA.

        Sommando i dati relativi al numero di donne trattate, residenti e non residenti, è pari a 50.900 il numero totale di donne che si sono sottoposte al trattamento nel periodo gennaio 2011 – giugno 2012 nei 94 centri di PMA che hanno risposto al questionario. Il grafico successivo (grafico 18) mostra, per le aree geografiche e a livello nazionale, questo dato.


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        Dai dati della tabella 25 è possibile desumere un indicatore, dato dal rapporto tra il numero di donne trattate provenienti da altre regioni e il numero di donne residenti nella stessa regione del centro, che possiamo definire indice di attrattività, in grado di esprimere la capacità di una struttura di una regione di richiamare potenziali pazienti da altre regioni. In generale, quindi, esprime la potenzialità attrattiva della regione (o dell'area geografica).


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        La regione maggiormente attrattiva risulta essere la Toscana, in cui a fronte di 100 donne residenti trattate vi sono 113 donne provenienti da altre regioni, mentre la meno attrattiva sembrerebbe essere la Calabria, i cui centri hanno trattato solamente donne residenti.

        È necessario ricordare che non tutte le regioni hanno risposto al questionario e che in alcune di esse hanno risposto un numero limitato di strutture. Si tratta quindi di valori puramente indicativi, le cui tracce andrebbero eventualmente approfondite più in dettaglio.

        Indicazioni interessanti emergono anche dal numero medio di donne trattate, sia residenti nella stessa regione del centro sia provenienti dalle altre regioni.

        A fronte di un valore medio a livello nazionale di 444 donne residenti e di 168 donne non residenti troviamo, a livello territoriale, situazioni differenziate.

        Alcune regioni presentano valori superiori alla media sia per il primo indicatore (donne residenti) sia per il secondo (non residenti): è il caso, ad esempio, della Lombardia (591 e 188 i rispettivi valori).

        Altre regioni presentano valori superiori alla media nel primo caso ma inferiori nel secondo (donne non residenti): è questo il caso delle Marche (506 e 56, rispettivamente).

        Vi sono regioni che mostrano, invece, un valore inferiore alla media nazionale per entrambi gli indicatori (è il caso, ad esempio, del Friuli-Venezia Giulia e della Campania).


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        Un'ulteriore analisi del numero di donne che si sono sottoposte al trattamento nei centri di PMA può essere effettuata sulla base della differente tipologia di servizio offerto: pubblico, privato, privato convenzionato.

        In questo caso, dalla tabella 27 emerge che il 70 per cento delle donne (sia residenti sia non residenti) che hanno usufruito del trattamento lo hanno fatto presso una struttura pubblica, tra il 16 e il 17 per cento presso un centro privato e tra il 13 e il 14 per cento all'interno di una struttura convenzionata.


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        Il grafico 20, che evidenzia il numero medio di donne, distinte tra residenti e provenienti dalle altre regioni, in base alla tipologia del servizio prestato dalle strutture, mostra come nell'ambito dei centri pubblici ci sia una maggiore propensione a trattare donne residenti rispetto alle altre due tipologie di strutture.

        I centri pubblici, in media, hanno trattato 430 donne residenti e 86 non residenti: valore abbastanza vicino alla media nazionale nel primo caso e piuttosto lontano dalla media nazionale nel secondo caso. In ogni modo, si tratta di circa 50 pazienti residenti ogni 10 pazienti provenienti da altre regioni.

        Chiaramente questo risultato è influenzato anche dalle caratteristiche e dal sistema di funzionamento dei differenti sistemi sanitari all'interno delle regioni.

        Nel privato, invece, abbiamo un rapporto di circa 2 a 1 (20 donne residenti ogni 10 non residenti) laddove nel privato convenzionato è di circa 26 pazienti residenti ogni 10 provenienti da altre regioni.

3.2.15.    Costo finale del trattamento.

        L'ultima sezione del questionario riguarda l'indicazione, nel periodo gennaio 2011 – giugno 2012, del costo finale del cosiddetto «bimbo in braccio», incluso l'ammortamento delle attrezzature e il tempo/uomo utilizzato.

        I rispondenti sono stati appena 18: (10 dalla Lombardia, 5 dall'Emilia-Romagna, 1 ciascuno dal Piemonte, dal Friuli-Venezia Giulia e dal Lazio); un campione troppo esiguo per risultare rappresentativo anche a livello nazionale.

        Sono comunque emerse alcune indicazioni, che possiamo definire di massima: un costo medio finale di 12.300 euro, con un valore minimo di 6.900 euro in Emilia Romagna e un valore massimo di 15.600 euro in Lombardia.

        Si tratta di dati comunque troppo parziali per essere considerati statisticamente significativi.


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PARTE SECONDA

1.    DISAVANZI SANITARI.

1.1.    Quadro normativo.

1.1.1.    Il patto per la salute.

        Il patto per la salute nasce come un accordo tra Stato e Regioni relativo alla programmazione e alla conseguente definizione del fabbisogno finanziario del Servizio sanitario nazionale, a garanzia dell'equilibrio economico-finanziario, col fine di migliorare la qualità dei servizi, di promuovere l'appropriatezza delle prestazioni e di garantire l'unitarietà del sistema, all'interno di un percorso che ogni Regione ha già intrapreso, in questi ultimi dieci anni, per rendere efficace ed efficiente il sistema, razionalizzando la spesa.

        Il 3 dicembre 2009 è stato siglato tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano il nuovo patto per la salute 2010-2012, con cui lo Stato si è impegnato ad assicurare 104.614 milioni di euro per l'anno 2010 e 106.934 milioni di euro per l'anno 2011, con un incremento del 2,8 per cento per l'anno 2012.

        È stato inoltre ampliato lo spazio di programmabilità degli interventi previsti nel programma straordinario di investimenti di edilizia sanitaria, passando 23 miliardi di euro, a 24 miliardi di euro, ed è stata altresì prevista la possibilità di utilizzare, per gli interventi di edilizia sanitaria, anche le risorse FAS di competenza regionale.

        Con il patto per la salute il Governo e le Regioni si accordano anche sui settori strategici in cui operare allo scopo di qualificare i servizi sanitari regionali e di garantire maggiore soddisfacimento dei bisogni dei cittadini, con un contestuale un maggior controllo della spesa:

        Il patto per la salute relativo al triennio 2013-2015 non risulta ancora sottoscritto a causa della mancata intesa tra il Governo e le Regioni in ordine alle risorse da destinare alla sanità. Al riguardo, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha rappresentato la necessità di un finanziamento adeguato che garantisca la sostenibilità del comparto sanitario, già penalizzato dai più recenti provvedimenti di riduzione della spesa pubblica.

1.1.2.    I piani di rientro.

        Con la legge finanziaria 2005 (legge n. 311 del 2004) e con la successiva intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005 sono stati introdotti una serie di adempimenti per le regioni con un bilancio sanitario in deficit.

        In particolare, l'articolo 1, comma 174 della legge n. 311 del 2004, modificato da successivi interventi normativi, ha stabilito che, in caso di disavanzo di gestione del servizio sanitario regionale, che persista nel quarto trimestre di un dato esercizio finanziario, a partire dal


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2005, a fronte del quale non siano stati adottati in corso di esercizio i necessari provvedimenti di copertura, ovvero i medesimi non siano risultati sufficienti, il Presidente del Consiglio dei ministri diffida la Regione ad adottare i provvedimenti necessari entro il 30 aprile dell'anno successivo; qualora la Regione persista nella propria inerzia, entro i successivi trenta giorni il Presidente della Giunta regionale, in qualità di commissario ad acta, determina il disavanzo di gestione ed adotta i necessari provvedimenti per il ripianamento, ivi inclusi gli aumenti dell'addizionale IRPEF e le maggiorazioni dell'aliquota IRAP entro i limiti previsti dalla normativa vigente. In caso di inerzia da parte del commissario ad acta entro il 31 maggio, nella regione interessata, con riferimento agli anni di imposta 2006 e successivi, si applicano comunque, nella misura massima prevista dalla vigente normativa, l'addizionale IRPEF e le maggiorazioni dell'aliquota IRAP. Scaduto il termine del 31 maggio, i provvedimenti del commissario ad acta non possono avere ad oggetto l'addizionale e le maggiorazioni d'aliquota delle predette imposte.

        La legge finanziaria 2010 in caso di inerzia da parte della regione commissariata, ha previsto: il blocco automatico del turn over del personale del servizio sanitario regionale per due anni (fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in corso) e il divieto di effettuare spese non obbligatorie per il medesimo periodo. La legge finanziaria 2010 prevede, inoltre, che gli atti emanati e i contratti stipulati in violazione del blocco automatico del turn over e del divieto di effettuare spese non obbligatorie sono nulli e che, in sede di verifica annuale degli adempimenti previsti, la regione interessata deve inviare una certificazione, sottoscritta dal rappresentante legale dell'ente e dal responsabile del servizio finanziario, attestante il rispetto dei predetti vincoli.

        Per quanto riguarda la definizione dello standard dimensionale del disavanzo sanitario strutturale, rispetto al finanziamento ordinario e alle maggiori entrate proprie sanitarie, la legge finanziaria 2010 ha stabilito il nuovo livello del 5 per cento, ancorché coperto dalla regione, ovvero il livello inferiore al 5 per cento, qualora gli automatismi fiscali o altre risorse di bilancio della regione non garantiscano con la quota libera la copertura integrale del disavanzo.

        Nel caso di raggiungimento o superamento di detto standard dimensionale, la regione è obbligata a presentare entro il successivo 10 giugno un piano di rientro di durata non superiore al triennio, elaborato con l'ausilio dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 311 del 2004 (legge finanziaria 2005). Il suddetto piano di rientro deve contenere le misure di riequilibrio sia sotto il profilo erogativo dei livelli essenziali di assistenza sia delle misure per garantire l'equilibrio di bilancio sanitario in ciascuno degli anni compresi nel piano stesso.

        L'articolo 1, comma 180, della legge 311 del 2004 disciplina le ipotesi di inadempimento, da parte delle regioni, degli obblighi di contenimento della spesa sanitaria, ovvero i casi di disavanzo di gestione, di cui all'articolo 1, comma 174, della medesima legge.

        In particolare, la regione interessata procede ad una ricognizione delle cause relative allo squilibrio economico-finanziario sanitario ed


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elabora un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale, di durata non superiore al triennio. I Ministri della salute e dell'economia e delle finanze e la singola regione stipulano apposito accordo che individui gli interventi necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico, inclusivo dei cosiddetti piani di rientro dal deficit sanitario.

        Le regioni che hanno dovuto predisporre i piani di rientro sono state il Lazio, la Campania, la Sicilia, la Liguria, la Sardegna, l'Abruzzo, il Molise, la Calabria il Piemonte e la Puglia, tra le quali, il Lazio, l'Abruzzo, il Molise, la Campania e la Calabria, sono state commissariate. Si ricorda che dal 2007, per effetto dell'articolo 1, comma 836 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), la Sardegna provvede al finanziamento del fabbisogno complessivo del Servizio sanitario nazionale sul proprio territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato.

        I piani di rientro della spesa sanitaria prevedono azioni di intervento che possono essere così sintetizzate: riorganizzazione della rete ospedaliera, con riduzione di posti letto ospedalieri e incentivazione dei processi di deospedalizzazione; introduzione della distribuzione diretta dei farmaci e meccanismi di rimborso dei prezzi correlati ai farmaci meno costosi; blocco delle assunzioni e del turn-over; determinazione dei budget per gli erogatori privati, nonché adeguamento delle tariffe a quelle stabilite a livello nazionale; acquisti centralizzati e monitoraggio degli stessi per evitare incrementi dei volumi di spesa; utilizzo del sistema tessera sanitaria per gli interventi finalizzati al miglioramento dell'appropriatezza prescrittiva.

        La disciplina relativa ai Piani di rientro, stabilisce, inoltre, in via generale, l'incremento delle aliquote fiscali fino al livello massimo stabilito dalla legislazione vigente; in caso di mancato rispetto degli obiettivi intermedi di riduzione del disavanzo, l'incremento delle aliquote IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF oltre i livelli massimi previsti dalla legislazione vigente e fino all'integrale copertura dei mancati obiettivi. Nel caso in cui la regione ottenga risultati migliori di quelli programmati, la possibilità di ridurre le aliquote fiscali per un importo corrispondente.

        Il Consiglio dei ministri, decorsi i termini di cui sopra, accerta l'adeguatezza e, in caso di riscontro positivo, approva il piano, con immediata efficacia ed esecuzione. In caso di riscontro negativo, ovvero in caso di mancata presentazione del piano, il Consiglio dei ministri, in attuazione dell'articolo 120 della Costituzione, nomina un commissario ad acta per la predisposizione, entro i successivi trenta giorni, del piano di rientro e per la sua attuazione per l'intera durata del piano stesso. Al riguardo, ai sensi dell'art. 2, comma 6, lett a), del decreto legge n. 174 del 2012, convertito dalla legge n. 213 del 2012, la figura del Commissario ad acta non coincide più necessariamente con il Presidente della Regione.

        A seguito della nomina del commissario ad acta:

            a) oltre all'applicazione automatica delle misure previste dal citato articolo 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004, come modificato dall'articolo 2, comma 76 della legge finanziaria 2010, sono sospesi i trasferimenti erariali a carattere non obbligatorio e, sempre


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in via automatica, decadono i direttori generali, amministrativi e sanitari degli enti del servizio sanitario regionale, nonché dell'assessorato regionale competente;

            b) con riferimento all'esercizio in corso alla data della delibera di nomina del commissario ad acta, sono incrementate in via automatica, in aggiunta al livello massimo previsto per legge, nelle misure fisse di 0,15 punti percentuali l'aliquota IRAP e di 0,30 punti percentuali IRPEF, rispetto al livello delle aliquote vigenti, secondo le modalità previste dal citato articolo 1, comma 174, della legge n. 311/2004.

        La legge finanziaria 2010 dispone l'obbligo per la regione sottoposta al piano di rientro al mantenimento, per l'intera durata del piano, delle maggiorazioni dell'aliquota IRAP e dell'addizionale regionale IRPEF, ove scattate automaticamente ai sensi dell'articolo 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004. Gli interventi individuati dal piano sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro.

        In caso di rispetto degli obiettivi intermedi, con risultati quantitativamente migliori, è possibile:

            – la riduzione delle aliquote fiscali nell'esercizio successivo per la quota corrispondente al miglior risultato ottenuto;

            – l'attenuazione del blocco del turn over del divieto di effettuare spese non obbligatorie.

        In tal senso, l'articolo 4-bis del decreto-legge 158 del 2012 (decreto Balduzzi) nelle regioni sottoposte ai piani di rientro, nelle quali sia scattato per l'anno 2012 il blocco automatico del turn-over ai sensi dell'articolo 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004, ovvero sia comunque previsto per il medesimo anno il blocco del turn-over in attuazione del piano di rientro o dei programmi operativi di prosecuzione del piano, tale blocco può essere disapplicato, nel limite del 15 per cento e in correlazione alla necessità di garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, qualora i competenti tavoli tecnici di verifica dell'attuazione dei piani accertino, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il raggiungimento, anche parziale, degli obiettivi previsti nei piani medesimi.

        La verifica dell'attuazione del piano di rientro avviene, ordinariamente, con periodicità trimestrale e annuale, e, straordinariamente, all'occorrenza. I provvedimenti regionali di spesa e programmazione sanitaria, e comunque tutti i provvedimenti aventi impatto sul servizio sanitario regionale indicati nel piano in apposito paragrafo dello stesso, sono trasmessi alla piattaforma informatica del Ministero della salute, di accesso a tutti i componenti degli organismi di monitoraggio (Tavolo di verifica degli adempimenti, Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza e Struttura tecnica di monitoraggio). Il Ministero della salute, nell'ambito dell'attività di affiancamento di propria competenza nei confronti delle regioni


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sottoposte al piano di rientro dai disavanzi, esprime un parere preventivo esclusivamente sui provvedimenti indicati nel piano di rientro.

        L'approvazione del piano di rientro da parte del Consiglio dei ministri e la sua attuazione costituiscono presupposto per l'accesso al maggior finanziamento dell'esercizio in cui si è verificata l'inadempienza e di quelli interessati dal piano stesso.

        In particolare, una quota pari al 40 per cento è concessa a seguito dell'approvazione del piano. Il restante 60 per cento è erogato a seguito della verifica positiva dell'attuazione del piano, con la procedura di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154.

        Il Consiglio dei ministri può nominare, anche dopo l'inizio della gestione commissariale, uno o più subcommissari di qualificate e comprovate professionalità ed esperienza in materia di gestione sanitaria, con il compito di affiancare il commissario ad acta nella predisposizione dei provvedimenti da assumere in esecuzione dell'incarico commissariale. Il commissario può avvalersi dei subcommissari anche quali soggetti attuatori.

        La legge finanziaria 2010 conferma l'assetto della gestione commissariale previgente per la prosecuzione del piano di rientro, secondo programmi operativi, coerenti con gli obiettivi finanziari programmati, predisposti dal commissario ad acta, nonché le relative azioni di supporto contabile e gestionale, per le regioni già sottoposte ai piani di rientro e già commissariate, alla data di entrata in vigore della legge finanziaria medesima. Le suddette regioni possono, tuttavia, presentare un nuovo piano di rientro ai sensi della nuova disciplina. Conseguentemente, l'approvazione del nuovo piano di rientro determina la decadenza dello stato commissariale, secondo i tempi e le procedure definiti nel medesimo piano per il passaggio dalla gestione straordinaria commissariale alla gestione ordinaria regionale.

        I suddetti programmi operativi costituiscono prosecuzione e necessario aggiornamento degli interventi di riorganizzazione, riqualificazione e potenziamento del piano di rientro, al fine di tenere conto del finanziamento del servizio sanitario programmato per il periodo di riferimento, dell'effettivo stato di avanzamento dell'attuazione del piano di rientro, nonché di ulteriori obblighi regionali derivanti da intese fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano o da innovazioni della legislazione statale vigente.

        L'articolo 11 del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78 consente alle regioni sottoposte ai piani di rientro per le quali, non viene verificato positivamente in sede di verifica annuale e finale il raggiungimento al 31 dicembre 2009 degli obiettivi strutturali del piano di rientro e non sussistono le condizioni di cui all'articolo 2, commi 77 e 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (standard dimensionale del disavanzo sanitario strutturale del 5 per cento e commissariamento), avendo garantito l'equilibrio economico nel settore sanitario e non essendo state sottoposte a commissariamento, possono chiedere la prosecuzione del piano di rientro, per una durata non superiore al triennio (2010-2012), ai fini del completamento dello stesso secondo programmi operativi nei termini indicati nel patto per la salute per gli


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anni 2010-2012 del 3 dicembre 2009 e all'articolo 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191.

        La prosecuzione e il completamento del piano di rientro sono condizioni per l'attribuzione in via definitiva delle risorse finanziarie, in termini di competenza e di cassa, già previste a legislazione vigente e condizionate alla piena attuazione del piano – ancorché anticipate ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189, e dell'articolo 6-bis del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 – in mancanza delle quali vengono rideterminati i risultati d'esercizio degli anni a cui le predette risorse si riferiscono. Il decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto per un ulteriore triennio, dal 2013 al 2015, che le regioni in piano di rientro e non commissariate proseguano i programmi previsti nel piano di rientro.

        La legge finanziaria 2010 stabilisce che nelle regioni con i piani di rientro, per un periodo di due mesi dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria medesima non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime e i pignoramenti eventualmente eseguiti non vincolano gli enti debitori e i tesorieri, i quali possono disporre delle somme per le finalità istituzionali degli enti.

        Gli interventi individuati dal piano di rientro sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro (comma 95).

        La legge finanziaria 2010 autorizza lo Stato ad anticipare alle regioni interessate dai piani di rientro, un prestito restituibile con interessi in trent'anni fino a un massimo di 1.000 milioni di euro, per l'estinzione dei debiti sanitari registrati fino al 31 dicembre 2005. All'erogazione si provvede, anche in tranche successive, a seguito dell'accertamento definitivo e completo del debito sanitario non coperto da parte della regione, con il supporto dell'advisor contabile, in attuazione del citato piano di rientro, e della predisposizione, da parte regionale, di misure legislative di copertura dell'ammortamento della predetta liquidità, idonee e congrue.

1.2.    L'attività della Commissione.

        Nell'ambito dell'inchiesta condotta sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, la Commissione ha proceduto all'acquisizione documentale dei bilanci delle aziende sanitarie e ospedaliere di alcune delle regioni sottoposte a piano di rientro, nonché dei verbali delle riunioni del tavolo tecnico di verifica degli adempimenti istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, e alla loro successiva analisi al fine di verificare le principali criticità che hanno determinato i deficit di bilancio delle predette regioni.

        L'attività della Commissione si è svolta altresì mediante diverse missioni in alcune delle Regioni interessate: Calabria, Sicilia, Puglia, Campania e Liguria.


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        Si è proceduto inoltre ad audizioni dei presidenti o assessori delle rispettive regioni, nonché, nei casi ritenuti necessari, dei direttori generali di singole aziende sanitarie oggetto di inchieste. Ai fini della conseguente istruttoria sono stati auditi: il Ministro della salute e alcuni rappresentanti tecnici del Dicastero, l'Ispettore generale della spesa sociale presso la Ragioneria generale dello Stato, le competenti Sezioni regionali e le Procure della Corte dei conti, l'AGENAS.

        In alcuni casi sono stati disposti ulteriori approfondimenti istruttori mediante acquisizioni documentali effettuate dalla Guardia di finanza, nonché con esami testimoniali di soggetti informati sui fatti oggetto di inchiesta.

        Si è così acquisito un patrimonio conoscitivo di notevole entità, la cui analisi, risultata complessa, ha tuttavia consentito alla Commissione di portare a compimento l'inchiesta limitatamente ad alcune realtà regionali, anche per le difficoltà incontrate, in alcuni casi, nell'interlocuzione con i diversi livelli istituzionali interessati e, talvolta, per l'incompletezza o tardività della documentazione trasmessa.

        Le aziende, inoltre, non sempre sono state in grado di fornire dati contabili certi, anche per mancanza di un servizio d'informatizzazione. Al riguardo, a titolo esemplificativo, si può citare il caso della regione Calabria, che è stata la prima Regione oggetto di attenzione da parte della Commissione e di specifica relazione alla Camera.

1.3.    Principali criticità riscontrate.

        Nel corso della propria attività, la Commissione ha riscontrato diverse criticità nella gestione della sanità e nel sistema di monitoraggio della spesa sanitaria nelle regioni attenzionate. Ci si riferisce, in particolare a: mancanza nel bilancio regionale di una perimetrazione dei capitoli di entrata e di spesa relativi al servizio sanitario con conseguente impossibilità di monitorare le iscrizioni di competenza e di cassa relative alla sanità; mancanza di un soggetto terzo che garantisca correttezza e completezza delle iscrizioni sul bilancio relative al servizio sanitario regionale; l'assenza di un bilancio civilistico della gestione sanitaria accentrata e di un bilancio civilistico per il consolidato regionale sanità; la confusione in un unico conto di tesoreria regionale tra conto sanità e conto non sanità.

        Va tuttavia rilevato che il nuovo patto per la salute ha ribadito l'obbligo di certificazione dei bilanci delle aziende sanitarie che era già previsto dalla legge finanziaria per l'anno 2006, stabilendo l'avvio delle procedure per addivenire a tale certificazione, soprattutto al fine di un miglioramento dell'affidabilità e della qualità dei dati contabili. Al riguardo, il Ministro della salute, nel corso della sua audizione in Commissione del 6 dicembre 2012, ha affermato che tutte le regioni, allo stato, hanno attivato il percorso di certificazione dei bilanci.

        Il decreto legislativo n. 118 del 2011 codifica regole e princìpi contabili per la realizzazione del bilancio di esercizio, della gestione sanitaria accentrata (GSA) e del bilancio consolidato regionale,


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prevedendo che, a decorrere dal 1o gennaio 2012, si operi una distinzione tra il bilancio regionale complessivo e quello sanitario regionale, così da avere un quadro più certo delle risorse destinate alla sanità.

        Lo stesso Ministro Balduzzi ha rappresentato che, nonostante la complessità strutturale del decreto legislativo n. 118 del 2011, che ha comportato non poche difficoltà nella sua attuazione, con decreto interministeriale, sono stati approvati i nuovi modelli che consentono alle aziende di predisporre i preventivi e la rendicontazione trimestrale. In sede di audizione, il Ministro ha da ultimo, ricordato il cosiddetto “decreto certificazione”, del settembre 2012 che ha disposto l'obbligo per le regioni di presentare, entro il 30 novembre, il programma d'azione PAC (percorso attuativo della certificazione).

        Al riguardo, anche la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha segnalato alla Commissione le difficoltà incontrate dalle regioni nel dare piena attuazione al citato decreto legislativo, con particolare riferimento:

            – all'obbligo di contabilizzare gli investimenti effettuati con risorse correnti nello stesso esercizio finanziario in cui sono stati acquisiti, ritenuto penalizzante soprattutto per le realtà regionali che necessitano, con maggiore urgenza, di un ammodernamento immobiliare e tecnologico;

            – all'innalzamento delle aliquote di ammortamento delle diverse categorie di beni che comportano un appesantimento dei costi delle diverse aziende.

        Ulteriori criticità sono emerse, nel corso dell'istruttoria condotta dalla Commissione in merito a fenomeni di distrazione del finanziamento destinato alla sanità, sia di competenza che di cassa, per la copertura di altre funzioni regionali di spesa extra sanitaria.

        Dall'analisi della documentazione acquisita, è emerso che l'incremento dell'esposizione debitoria del bilancio sanitario regionale è determinato principalmente dalla carenza di liquidità che alimenta il ricorso alle anticipazioni di tesoreria con conseguenti oneri di indebitamento che si ripercuotono sugli esercizi futuri, nonché dai debiti nei confronti dei fornitori. Tale ultima forma di indebitamento costituisce una parte considerevole del debito esposto e produce interessi moratori che incidono negativamente sui risultati di esercizio.

        Inoltre, quanto alle componenti della spesa, alcuni costi sembrano pesare maggiormente sul totale. Si fa riferimento a:

            – costo del personale, che costituisce la componente di maggiore incidenza sul fabbisogno sanitario di parte corrente (nel 2011 pari al 32,2 per cento (21);

            – spesa farmaceutica, anche convenzionata;

            – acquisti di beni e servizi.


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1.4.    Stato di attuazione dei piani di rientro.

        L'attività della Commissione di verifica dello stato di attuazione dei piani di rientro si è basata principalmente sui verbali delle riunioni dei competenti tavoli tecnici dei ministeri vigilanti, sulla documentazione fornita dalle competenti sezioni Corte dei conti, nonché in alcuni casi sulle risultanze emerse nel corso delle audizioni svolte e sulle acquisizioni documentali.

        La situazione economico-finanziaria della sanità della Regione Calabria è stata oggetto di apposita relazione alla Camera, approvata dalla Commissione nella seduta del 15 luglio 2011. Quella della regione Liguria è illustrata nella relazione approvata il 20 giugno 2012.


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        Successivamente la Commissione, ha proceduto all'analisi dei bilanci sanitari delle Regioni Campania e Sicilia, alle cui risultanze sono dedicati i capitoli che seguono.

        Per le regioni Lazio, Puglia e Piemonte, si ritiene quindi opportuno riportare alcune considerazioni di sintesi che si rilevano dai verbali delle riunioni congiunte dei tavoli tecnici pervenuti alla Commissione alla data dell'8 ottobre 2012, e, per il Piemonte, dagli elementi di informazione forniti dalla competente Sezione regionale della Corte dei conti.

1.4.1.    Regione Lazio.

        Nella riunione congiunta del 3 aprile 2012 i ministeri affiancanti hanno preso atto della necessità di procedere ad una riformulazione del mandato commissariale e del potenziamento della relativa struttura. È stato altresì rilevato che il risultato di gestione, comprensivo di tutti gli ammortamenti non sterilizzati e dell'avanzo 2010 rideterminato in 83 milioni di euro, dopo le coperture, evidenzia un avanzo di 0,422 milioni di euro.

        Relativamente alla verifica annuale 2011 ed ai provvedimenti commissariali, in relazione alla riorganizzazione della rete ospedaliera, più volte modificata, hanno ribadito la necessità di un nuovo provvedimento ricognitivo che, recependo le osservazioni formulate dai ministeri e in coerenza con gli standard nazionali, illustri nel dettaglio la rete ospedaliera, suddivisi per macro aree, disciplina e struttura, nonché lo stato di attuazione della rete stessa. Hanno chiesto, altresì, un aggiornamento sia sullo stato di attuazione delle reti assistenziali, che sulla concreta attivazione delle attività previste nei presidi oggetto di disattivazione o di riconversione. È stato altresì evidenziato il grave ritardo con cui la struttura commissariale sta procedendo a definire i rapporti con gli erogatori privati e le criticità presenti in alcuni accordi/contratti. Nel rilevare come tali ritardi vanifichino il ruolo assegnato allo strumento contrattuale dal decreto legislativo n. 502 del 1992 nell'ambito della programmazione regionale, hanno sollecitato la definizione dei budget e la sottoscrizione dei relativi contratti per il 2012.

        I ministeri affiancanti hanno poi riscontrato il permanere delle criticità relative alla mancata sottoscrizione del contratto con il Policlinico Agostino Gemelli e all'accordo con la Fondazione Santa Lucia e alle altre strutture private.

        Con riferimento al personale è stato ribadito che, in mancanza di un quadro definitivo sulla situazione delle assunzioni e di un appropriato sistema sanzionatorio per coloro che non rispettano le direttive commissariali in merito, non possono esprimersi favorevolmente sulle deroghe al blocco del turn-over richieste dalla struttura commissariale (22).


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        Nella riunione congiunta del 24 luglio 2012, i ministeri affiancanti hanno valutato che la regione presenta un disavanzo di 774,938 milioni di euro.

        Considerando l'eccesso di copertura derivante dal risultato di gestione dell'anno 2010 pari a 92,073 milioni di euro, il disavanzo da coprire è rideterminato in 682,865 milioni di euro. Considerando le coperture preordinate a valere sulla leva fiscale, pari a 792,260 milioni di euro, si evince un risultato di esercizio per l'anno 2011 di 109,395 milioni di euro.

        Tuttavia tale risultato di gestione non tiene in considerazione gli ulteriori elementi di rischio emersi dalla gestione 2011 e non quantificati dalla regione né la possibile rideterminazione della stima dei gettiti derivanti dalla massimizzazione delle aliquote fiscali a cura del competente Dipartimento delle finanze.

        Tavolo e Comitato hanno sottolineato la grave inadempienza da parte della struttura commissariale che non ha provveduto tempestivamente ad aggiornare i programmi operativi, come richiesto, minando la correttezza dell'utilizzo dello strumento di programmazione principale.

        In relazione alla riorganizzazione della rete ospedaliera rilevano che quest'ultima è stata più volte modificata nei singoli accordi con le diverse strutture private accreditate. Hanno ribadito la necessità di un provvedimento ricognitivo che recepisca le numerose osservazioni e richieste di modifiche formulate dai Ministeri sulle variazioni alla rete ospedaliera di cui al decreto del Commissario ad acta n. 80 del 2010 nonché la definizione del piano attuativo di dettaglio dello stesso decreto. Al riguardo, in occasione di una visita svolta il 6 marzo 2012 nei presidi ospedalieri di Tivoli e Subiaco, anche la Commissione aveva rappresentato l'esigenza di una revisione dei criteri che ispirano il citato decreto n. 80 con specifico riferimento al piano di riduzione del numero dei posti letto e all'accorpamento di determinati reparti, in funzione della necessità di garantire un adeguato livello di assistenza alle popolazioni interessate.

        I ministeri affiancanti hanno altresì riscontrato il permanere del grave ritardo con cui la struttura commissariale sta definendo i rapporti con gli erogatori privati per l'anno 2012 e ribadito le criticità presenti in alcuni accordi/contratti siglati nel 2011 che al momento non sono superate e che, in diversi casi, investono aspetti strutturali di offerta che si riverbereranno sulla gestione dell'anno 2012 e sulle successive.

        Continuano inoltre a permanere le criticità già rilevate nelle riunioni precedenti in relazione alla mancata sottoscrizione del contratto con il Policlinico Agostino Gemelli, all'accreditamento, all'Ospedale dei Castelli, nonché in merito all'assetto gestionale e programmatorio a regime della relativa rete ospedaliera nell'area dei Castelli.

        Anche in relazione al personale non sono state superate le criticità evidenziate nelle precedenti riunioni con particolare riferimento alla mancanza di una gestione programmatica e non episodica delle deroghe al blocco del turn over. Al riguardo si evidenzia che il costo del personale ha avuto un andamento crescente nell'ultimo quinquennio, riducendosi solo nel IV trimestre 2011 del 2,8 per cento e


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arrivando a toccare i 3 miliardi di euro (26,8 per cento del totale regionale) (23).

        I ministeri affiancanti hanno valutato superata la verifica adempimenti per l'anno 2009 e ancora non sufficiente la documentazione trasmessa ai fini della valutazione degli adempimenti 2010 e 2011 con particolare riferimento al monitoraggio dell'attuazione del progetto tessera sanitaria per l'anno 2011.

        Considerato il grave ritardo con cui la struttura commissariale sta procedendo nell'adozione dei provvedimenti di attuazione del Piano di rientro e del mancato rafforzamento della governance regionale del sistema, il Tavolo e Comitato hanno confermato che non è possibile procedere ad erogare spettanze fino a quando la Struttura commissariale non porrà in essere tutte le iniziative concordate.

        I rappresentanti ministeriali hanno infine richiamato l'attenzione della regione e delle aziende sanitarie regionali sulla piena e tempestiva applicazione delle disposizioni contenute per il Servizio sanitario nazionale nel decreto legge n. 95 del 2012 «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi per il cittadino», già operative a partire dall'esercizio in corso, sia con riferimento alla rideterminazione del livello di finanziamento per l'anno 2012 sia con riferimento alle disposizioni relative alla spesa farmaceutica, ai contratti sui beni e servizi e con gli erogatori privati accreditati, al personale e all'offerta di servizi sanitari.

1.4.2.    Regione Puglia.

        Nel corso della riunione del 28 marzo 2012, i Ministeri affiancanti hanno valutato che la regione ha intrapreso le iniziative in attuazione di quanto previsto in materia sanitaria dal decreto legislativo n. 118 del 2011.

        In merito alla verifica annuale, hanno preso atto che la Regione sta procedendo con quanto previsto dal piano di rientro, pur non avendo ancora completato alcuni interventi rilevanti, quali la riorganizzazione delle reti assistenziali. In particolare, non sono risultate esaustive le informazioni sulla destinazione dei presidi riconvertiti e la tempistica di riconversione per i presidi mancanti, e per quanto attiene alla rete dell'emergenza vi erano ancora diverse criticità irrisolte. È stato rilevato, inoltre, la mancata adozione dei provvedimenti previsti dal piano di rientro sull'Osservatorio regionale dei prezzi, delle tecnologie e dei dispositivi medici e protesici e sulla centrale unica d'acquisto.

        Nella riunione congiunta del 20 luglio 2012, è stato accertato che la regione Puglia a consuntivo 2011 presenta un disavanzo di 108,350 milioni di euro, ivi ricomprendendo gli ammortamenti non sterilizzati di competenza dell'anno 2011 dei beni entrati in produzione nell'anno 2010 e 2011 e, dopo le coperture, pari a 267,909 milioni di euro, presenta un avanzo di 159,559 milioni di euro.


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        Con specifico riferimento al blocco del turn over, già nelle precedenti riunioni congiunte, la Regione aveva rappresentato il manifestarsi di criticità nell'erogazione dei LEA, derivanti dalla carenza di personale. Tavolo e Comitato, avevano quindi rimesso alla valutazione politica l'adozione di eventuali iniziative, qualora l'esigenza fosse quella di modificare il Piano di rientro anche mediante un addendum; era stata altresì manifestata la necessità di documentare adeguatamente ogni aspetto relativo alla dichiarata difficoltà nell'erogazione dei LEA al fine di consentire ogni ulteriore approfondimento ritenuto necessario.

        Nella riunione del 20 luglio scorso, è stato riscontrato che il costo del personale ha superato a consuntivo 2011 di 21,642 milioni di euro il livello programmato per il medesimo anno dal piano di rientro. Tavolo e Comitato hanno ritenuto non accoglibile la richiesta di generica ed incondizionata deroga al blocco del turn over e hanno ribadito la già evidenziata necessità che la Regione provveda a documentare adeguatamente le criticità rappresentate al fine di consentire ogni ulteriore approfondimento ritenuto necessario dai ministeri affiancanti.

        Tavolo e Comitato, in merito alla verifica semestrale del piano di rientro:

            – sulla rete ospedaliera, hanno valutato positivamente la razionalizzazione della stessa ed in particolare la riduzione del numero di unità operative rispetto al regolamento regionale n. 18 del 2010;

            – in relazione alla rete dell'emergenza-urgenza, hanno segnalato dei ritardi;

            – hanno richiesto alla Regione ogni utile iniziativa al fine di ridurre l'inappropriatezza delle prestazioni erogate e realizzare gli interventi di governo della mobilità sanitaria extraregionale.

        I rappresentanti ministeriali hanno infine richiamato l'attenzione della regione e delle aziende sanitarie regionali sulla piena e tempestiva applicazione delle disposizioni contenute per il Servizio sanitario nazionale nel decreto-legge n. 95 del 2012 «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi per il cittadino», già operative a partire dall'esercizio in corso, sia con riferimento alla rideterminazione del livello di finanziamento per l'anno 2012 sia con riferimento alle disposizioni relative alla spesa farmaceutica, ai contratti sui beni e servizi e con gli erogatori privati accreditati, al personale e all'offerta di servizi sanitari.

1.4.3.    Regione Piemonte.

        Nella seduta del 18 ottobre scorso, la Commissione ha proceduto all'audizione dei rappresentanti della Corte dei conti per il Piemonte per acquisire elementi di informazione sulla gestione finanziaria per l'esercizio 2010 e 2011 degli enti e aziende del servizio sanitario regionale. La Sezione di controllo della Corte dei conti ha evidenziato,


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nel corso della predetta audizione, non poche criticità riconducibili a diversi profili.

        Con riferimento alla programmazione, è stata segnalata, in primo luogo, la mancata approvazione per quasi un decennio del piano socio-sanitario, risultando quale atto fondamentale di programmazione regionale il piano per il 1997-1999, sino all'approvazione nell'ottobre 2007 del nuovo piano socio-sanitario per il triennio 2007-2010. Solo con deliberazione del consiglio regionale del 3 aprile 2012, è stato poi approvato il piano socio-sanitario regionale per il quadriennio 2012-2015. Al riguardo, la Sezione, ha evidenziato come sia rimasto invariato il tasso di ospedalizzazione e il numero di ricoveri evitabili: l'incremento dell'offerta territoriale è stato quindi principalmente aggiuntivo e non sostitutivo dell'assistenza a livello ospedaliero.

        Anche con riferimento alle misure tese a razionalizzare i costi degli acquisti di beni o servizi, le analisi svolte dalla Sezione hanno rilevato come le misure poste in essere, o quanto meno l'applicazione che di esse si è data nel periodo esaminato, non abbia portato a risultati degni di nota in termini di risparmi di spesa. I costi in esame, infatti, sono risultati crescenti nel triennio preso in considerazione, 2009-2011, e solo nel 2011 sembrano diminuire.

        Quanto alla complessiva spesa sanitaria, nel 2011, al settore sanitario la Regione Piemonte ha destinato l'importo complessivo di 8 miliardi 303 milioni di euro, che costituiscono quasi il 77 per cento della spesa regionale complessiva. In particolare, la spesa impegnata in favore delle aziende sanitarie è stata pari a 8 miliardi 179 milioni di euro, mentre la spesa riferita da altri compiti regionali in materia sanitaria è stata pari a 123 milioni di euro. La spesa sanitaria regionale è stata finanziata con fondi di derivazione statale provenienti dal riparto del fondo sanitario nazionale, con ulteriori fondi statali con vincolo di destinazione e con fondi regionali aggiuntivi a causa del disavanzo del settore.

        Una particolare attenzione è stata posta dalla Sezione di controllo sull'aspetto relativo alla gestione dei residui della Regione e i conseguenti rapporti finanziari con le aziende. Alla chiusura dell'esercizio 2011 i residui attivi della Regione, i crediti cioè non ancora riscossi, sono stati accertati in misura pari a circa 4 miliardi di euro al netto delle partite di giro. Di questi, quelli riferiti al settore sanità, che consistono principalmente in crediti nei confronti dello Stato, sono complessivamente pari a un miliardo e 344 milioni di euro. Sul fronte delle uscite, l'ammontare complessivo dei residui passivi della Regione al termine dell'esercizio 2011, sempre al netto delle partite di giro, è pari a 4 miliardi e 784 milioni di euro, ripartiti tra spesa corrente e spesa in conto capitale. Di questi, i residui passivi riferiti al settore della sanità, consistenti principalmente nei debiti della Regione nei confronti delle aziende sanitarie, ammontano a circa un miliardo e 500 milioni di euro.

        Per quanto riguarda i risultati di esercizio delle aziende sanitarie, nel sistema sanitario piemontese, tutte registrano un risultato economico negativo in tutti e tre gli esercizi considerati, 2009, 2010 e 2011. La somma delle perdite delle aziende nel 2009 ammonta nel complesso a 124 milioni di euro ed è superiore a quella dell'esercizio


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precedente. I dati provvisori forniti dalla Regione per il 2010 e il 2011 evidenziano ancora risultati complessivi fortemente negativi, pari a 144 milioni di euro nel 2010 e 126 ancora nel 2011. Al riguardo, la Sezione di controllo ha sottolineato che le perdite dell'esercizio non sono state mai precedute da una vera e propria autorizzazione preventiva da parte della Regione. Inoltre, in tutte le analisi svolte sui bilanci delle aziende sanitarie, la Sezione ha rilevato gestioni delle spese non correlate strettamente alle risorse esistenti, affidandosi il ripiano delle perdite a successivi maggiori finanziamenti regionali e statali.

        In relazione ai costi di produzione delle aziende, l'analisi della Corte dei conti ha evidenziato un incremento dei costi di produzione dal 2008 al 2009, nonché nel 2010, riducendosi invece lievemente nel 2011, presumibilmente per effetto delle misure assunte con il piano di rientro.

        Una particolare attenzione è stata posta dalla Sezione all'aspetto della situazione creditoria e debitoria delle aziende verso la Regione e alla crisi di liquidità delle aziende. Dall'analisi sui dati patrimoniali delle aziende emerge un credito complessivo delle aziende sanitarie regionali verso la Regione al netto dei debiti di 2.802,6 milioni di euro nel 2009, situazione che appare peggiorare nel 2010 e nel 2011, stando almeno ai dati provvisori trasmessi dalla Regione. Nel 2011, addirittura, si arriverebbe a un credito complessivo di 3 miliardi e 131.000 euro.

        Le analisi svolte hanno evidenziato l'entità e la vetustà dei crediti nei confronti della Regione per tutti gli enti del servizio sanitario piemontese, sia per i crediti di parte corrente sia per quelli di parte capitale. Tale situazione influisce negativamente sulle disponibilità liquide, e dunque sulla situazione debitoria delle singole aziende, costringendo le stesse, da un lato, a ricorrere ad anticipazioni di tesoreria che generano a loro volta interessi, dall'altro, a tardare in maniera quasi sistematica i pagamenti ai fornitori, facendo di questa modalità una sorta di autofinanziamento oneroso.

        La Regione Piemonte, in data 29 luglio 2010, ha sottoscritto con il Ministero della salute e il Ministero dell'economia e delle finanze un accordo con il quale si è impegnata ad attuare un piano di rientro, riqualificazione e riorganizzazione del servizio sanitario regionale per gli anni 2010-2012. A detto piano hanno fatto seguito il programma attuativo e, nel febbraio 2011, un addendum che la Regione ha successivamente proposto tenuto conto, da un lato, delle verifiche sui conti relativi alla prima parte del 2010, dall'altro, degli indirizzi strategici della giunta che medio tempore si era insediata. Il piano propone interventi finalizzati a perseguire l'equilibrio della gestione del servizio sanitario regionale puntando, in particolare, sulla razionalizzazione della rete dell'emergenza ospedaliera, della rete dei laboratori di analisi e della rete di degenza.

        Successivamente, nel luglio 2012, la Regione Piemonte ha trasmesso ai Ministri della salute e dell'economia e finanze una proposta di integrazione al piano di rientro e al relativo addendum.

        L'attuazione del piano sembra aver prodotto effetti riscontrabili nella contrazione dei costi. Tuttavia, dalle riunioni congiunte del tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali del Comitato


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permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza emergono ancora delle criticità.

        Nella riunione del 28 marzo 2012, Tavolo e Comitato avevano evidenziato una mancanza di una visione complessiva degli interventi in corso, nonché una continua riformulazione dei programmi che rendeva difficoltoso il monitoraggio e il conseguimento degli obiettivi da parte Regione nonché la loro compatibilità, sia economica sia dal punto di vista dell'erogazione dei LEA, con quanto stabilito nello stesso piano di rientro.

        Tavolo e Comitato avevano inoltre confermato il ritardo della Regione nell'attuazione della maggior parte degli obiettivi, evidenziando altresì che, nei casi in cui la Regione aveva adottato delle delibere, si era trattato per lo più di atti di programmazione, cui non erano seguite attività operative e attuazioni concrete.

        Nella riunione congiunta del 19 luglio 2012, in relazione alla valutazione delle azioni espletate per singola macro area in attuazione dall’addendum al piano di rientro al 31 marzo 2012, è stata rilevata la mancanza di elementi utili a verificare lo stato di concreta attuazione delle azioni in corso e concretamente realizzate nell'ambito dei percorsi di riorganizzazione e sviluppo delle reti di assistenza.

        Con particolare riferimento alla rete dell'emergenza urgenza e alla rete di degenza non sono state rilevate variazioni rispetto alle relazioni del 2011. A tale riguardo, è stata ribadita la necessità di rispettare la tempistica e di garantire l'implementazione delle attività previste dall’addendum.

        La regione Piemonte a consuntivo 2011 ha presentato un disavanzo di 274,636 milioni di euro, ivi ricomprendendo gli ammortamenti non sterilizzati di competenza dell'anno 2011 dei beni entrati in produzione nell'anno 2010 e 2011 e il rischio. Dopo le coperture, pari a 280 milioni di euro, ha presentato un avanzo di 5,364 milioni di euro.

        Tavolo e Comitato hanno valutato che lo stato di attuazione del piano di rientro presenta elementi positivi ma necessita di ulteriori elementi informativi.

        Quanto al piano di ridefinizione della rete ospedaliera, esso presenta alcune criticità, fra le quali: risulta carente di elementi di dettaglio, presenta un eccesso di posti letto post-acuzie, che devono essere ricondotti all'interno degli standard nazionali.

        Le azioni intraprese sulla rete dell'emergenza-urgenza non sono ancora sufficienti a rispondere agli impegni assunti. Inoltre, mancano ancora provvedimenti sulla governance di sistema, con particolare riferimento alla razionalizzazione di beni e servizi.

        Si sono rilevate, inoltre, ancora in sede di Tavolo tecnico di verifica, importanti carenze informative nella relazione patrimoniale con particolare riguardo alle posizioni creditorie delle aziende da Stato e da Regione, che confermano le criticità rilevate anche dalla Sezione di controllo della Corte dei conti.

        I rappresentanti ministeriali hanno infine richiamato l'attenzione della regione e delle aziende sanitarie regionali sulla piena e tempestiva applicazione delle disposizioni contenute per il Servizio sanitario nazionale nel decreto legge n. 95 del 2012 «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei


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servizi per il cittadino», già operative a partire dall'esercizio in corso, sia con riferimento alla rideterminazione del livello di finanziamento per l'anno 2012 sia con riferimento alle disposizioni relative alla spesa farmaceutica, ai contratti sui beni e servizi e con gli erogatori privati accreditati, al personale e all'offerta di servizi sanitari.

1.5.    Considerazioni conclusive.

        In relazione all'attuazione dei piani di rientro e alle relative gestioni commissariali la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha segnalato alla Commissione alcuni aspetti che dovrebbero essere modificati e migliorati.

        Secondo la Conferenza sarebbe auspicabile legare le procedure di verifica degli obiettivi delle Regioni sottoposte a piano di rientro, oltre che all'aspetto economico, al miglioramento complessivo dell'attività assistenziale, offrendo percorsi certi ai procedimenti di validazione degli atti regionali ad opera del tavolo di verifica degli adempimenti. Inoltre, il perdurare del blocco del turn-over e la necessità di assicurare i LEA rendono indifferibile una diversa regolamentazione delle politiche di reclutamento del personale nei SSR delle predette Regioni.

        Per quanto riguarda le gestioni commissariali, è stata rappresentata l'esigenza di rafforzarne il ruolo e i poteri, anche con riferimento alle ipotesi di mancato adeguamento degli organi collegiali alle indicazioni del Commissario.

        A tale ultimo riguardo, il Ministro Balduzzi, in sede di audizione presso la Commissione, ha rappresentato l'insufficienza, in alcuni casi, dell'impianto previsto dall'attuale normativa, cioè una struttura commissariale «con la designazione di uno o due subcommissari che rischiano, dopo qualche mese, di entrare in conflitto non sempre positivo con la struttura locale e di essere poco supportati» (24), evidenziando, pertanto, l'opportunità di prevedere «qualche ulteriore strumento, come una task force».

2.    STATO DELLA SANITÀ NELLA REGIONE CAMPANIA

2.1.    La spesa sanitaria regionale.

        Secondo le ultime elaborazioni della Corte dei Conti, la spesa sanitaria Campana rappresenta circa il 72 per cento della spesa corrente della regione (10,2 su 14,2 miliardi di euro). Contenere il deficit sanitario equivale, quindi, a mettere sotto controllo l'intero bilancio regionale.


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        Nell'ultimo triennio si è registrato un progressivo miglioramento del risultato d'esercizio del servizio sanitario regionale:

        Pur in un generale contesto di forte diminuzione del disavanzo, occorre evidenziare che i risultati nascondono luci ed ombre.

        Nel 2011 sul fronte degli impegni, il peso della spesa sanitaria su quella corrente complessiva è stato pari al 72 per cento, contro il 74 per cento del 2010 e il 73 del 2009.

        In valore assoluto, gli impegni di spesa corrente sanitaria, dopo una flessione del 3,8 per cento, sono aumentati del 23,1 per cento nel 2011: per effetto della premialità sono infatti affluite maggiori risorse con le quali è stato possibile pagare i debiti pregressi; cosicché l'aumento medio del triennio è risultato pari al 9,24 per cento.

        Peggiore è l'analisi che emerge dalla gestione di cassa: invero, i pagamenti sanitari correnti crescono sia in valore assoluto ( 31,49 per cento nel 2011) e sia come incidenza sul totale regionale (77,94 per cento).

        La diminuzione dei pagamenti per acquisto di servizi non sanitari deriva in gran parte dal forte calo delle spese legali (0,5 miliardi di euro).


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        I pagamenti per oneri finanziari si riferiscono ad interessi passivi per debiti nei confronti di amministrazioni pubbliche, verso fornitori, per anticipazioni di cassa, oneri derivanti da operazioni di cartolarizzazione, nonché altri oneri finanziari diversi. Nell'ultimo triennio la Regione Campania registra (-404 milioni di euro, -61,9 per cento) una forte riduzione degli oneri derivanti da operazioni di cartolarizzazione e degli oneri finanziari diversi. Per detti pagamenti si è quindi passati da 67,8 milioni di euro nel 2009 a 5,8 milioni di euro nel 2010 e 2,3 milioni di euro nel 2011. Il totale degli oneri finanziari passa invece da 421,508 milioni di euro del 2009 a 17,840 del 2011.

        Negativo appare il quadro dell'indebitamento complessivo, costituito da mutui, debiti verso i fornitori, verso aziende sanitarie extraregionali e altre tipologie d'indebitamento (debiti verso Stato, comuni e altri enti pubblici, verso l'ente tesoriere o altri istituti di credito, verso dipendenti, istituti di previdenza e di sicurezza sociale, nonché debiti tributari e altre tipologie di debito) che al 2011, dati forniti solo per aggregato, è pari a 9,5 miliardi di euro.

        I debiti verso i fornitori presentano una forte incidenza sull'indebitamento, implicando il rischio di formazione di ulteriore debito per la decorrenza automatica degli interessi moratori e per il contenzioso aperto con le imprese creditrici.

        Oltre ai 6,8 miliardi di euro di debiti diretti (72 per cento del totale), in alcuni casi nella voce residuale «altri debiti» sono confluiti i debiti verso istituti di credito a seguito di operazioni per la riduzione del debito verso i fornitori. La Regione Campania, in particolare, ha comunicato che il debito sanitario certificato e ceduto pro soluto a banche ed intermediari finanziari ammontava a circa 700 milioni di euro al 31 dicembre 2010, interamente in capo alle aziende sanitarie e classificato prevalentemente nella voce «altri debiti». Il fenomeno si presenta come imponente, sia per il peso che ha sul totale dei debiti, sia per i valori assoluti che esprime.


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2.2.    La gestione pregressa.

        Ogni valutazione, attuale e prospettica, non può ignorare la mole di debito lasciata in eredità dalle gestioni precedenti, pari a 10 miliardi di euro nel settore sanitario.

        Nel periodo 2001-2005 il disavanzo medio annuo è stato superiore a 900 milioni di euro (1,791 miliardi nel 2005), e nei quattro anni che seguono sarà sempre superiore ai 750 milioni di euro, con punte di 862 milioni nel 2007.

        L'elevata entità del disavanzo ha determinato un corrispondente effetto incrementale del debito, che al 31 dicembre 2005 era già pari a 6,9 miliardi di euro e al termine dell'esercizio 2010 ha raggiunto 8 miliardi di euro.

        Nel 2009 la giunta regionale pro tempore ha violato il patto di stabilità e l'ultimo comma dell'articolo 119 della Costituzione, che vieta alle amministrazioni locali di indebitarsi per finanziare la spesa corrente, incrementando i debiti di ulteriori due miliardi. Ciò ha comportato una serie di sanzioni tra cui il divieto di contrarre nuovi debiti.

        Inoltre, nello stesso periodo si è registrato un elevato costo per il mancato pagamento dei fornitori. Conseguentemente, il settore dei «convenzionati» ha dovuto convivere con una cronica carenza di liquidità, mentre i bilanci delle aziende sono risultati pesantemente gravati dalle spese legali (507 milioni di euro nel 2009 e 519 milioni di euro nel 2010) correlate ad un aumento vertiginoso del contenzioso.

        L'attuale giunta regionale, in carica dal 2010, si è dovuta quindi fare carico di una moltitudine di debiti cercando di allontanare la prospettiva del «default».

        Si evidenzia altresì che, nel 2011, il bilancio regionale esponeva 24 miliardi di residui attivi (entrate accertate ma non riscosse e che nascondono, spesso, crediti di dubbia esigibilità) e 18 miliardi di residui passivi (spese impegnate ma non pagate). Considerata l'enorme entità soprattutto dei residui attivi, occorre che la Regione, conformemente al principio di prudenza e sana gestione finanziaria, provveda, al termine di ogni esercizio, ad un loro riaccertamento al fine della cancellazione dalle scritture contabili dei crediti di dubbia esigibilità, evitando così di iscrivere nel bilancio preventivo dell'anno successivo mezzi di copertura insussistenti con conseguenze negative sull'equilibrio finanziario dell'ente.

2.3.    Il piano di rientro.

        La Regione Campania, in presenza di rilevanti disavanzi di gestione del Servizio sanitario regionale non ripianabili attraverso strumenti ordinari, ha stipulato, in data 13 marzo 2007, l'accordo con il Ministro della salute e il Ministro dell'economia e delle finanze, a norma dell'articolo 1, comma 180, legge n. 311 del 2004, che prevedeva la possibilità, per le Regioni che presentavano situazioni di squilibrio economico-finanziario e/o di mancato mantenimento dei livelli essenziali di assistenza, di elaborare un programma operativo


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di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale da sottoscrivere, con apposito accordo. Con tale accordo sono stati individuati gli interventi necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza e gli adempimenti previsti dalla successiva intesa fra Governo e Regioni, stipulata il 23 marzo 2005.

        A seguito delle risultanze della riunione del 20 luglio 2009, nella quale il Tavolo di verifica degli adempimenti regionali ed il Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza hanno valutato un insufficiente grado di attuazione del Piano di rientro, il Consiglio dei ministri, in data 24 luglio 2009, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni dalla legge n. 222 del 2007, ha nominato il Presidente pro tempore della Regione Campania quale Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro.

        Dopo l'insediamento del nuovo Presidente della Giunta della Regione Campania, il Consiglio dei ministri, con deliberazione del 23 aprile 2010, ha nominato il Presidente pro tempore della Giunta regionale «Commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Campania».

        Il Commissario ad acta, per la predisposizione dei provvedimenti da assumere in esecuzione del mandato ricevuto dal Consiglio dei ministri, è affiancato da uno o più sub commissari: attualmente sub commissario ad acta è il dottor Mario Morlacco, nominato con delibera del Consiglio dei ministri del 3 marzo 2011, e da ultimo confermato nell'incarico con delibera del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2012.

        Il commissariamento è preposto all'attuazione degli interventi già avviati con il piano di rientro. Lo strumento per l'implementazione delle azioni sono i programmi operativi, predisposti dal Commissario ad acta ed approvati dal Ministero della salute e dal Ministero dell'economia e delle finanze. Infatti, l'articolo 2, comma 88, della legge del 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), ha stabilito che per le regioni già sottoposte ai piani di rientro e già commissariate restano fermi l'assetto della gestione commissariale previgente per la prosecuzione del piano di rientro, secondo programmi operativi, coerenti con gli obiettivi finanziari programmati, predisposti dal Commissario ad acta, nonché le relative azioni di supporto contabile e gestionale.

        La Regione Campania ha predisposto successivi aggiornamenti dei programmi operativi:

            – programmi operativi 2010-2011, approvati con decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 25 del 13 aprile 2010;

            – programmi operativi 2011-2012, approvati con decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 45 del 20 giugno 2011;

            – aggiornamento dei programmi operativi per l'esercizio 2012, approvato con decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 53 del 9 maggio 2012.

        In linea generale, il sistema di responsabilizzazione introdotto con la normativa sui piani di rientro, grazie ai meccanismi premiali


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(accesso a risorse aggiuntive per le Regione che conseguono gli obiettivi), e sanzionatori (mancato accesso a risorse ulteriori, inasprimento delle misure fiscali, blocco automatico del turn over del personale del servizio sanitario regionale fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui si riscontra l'inadempimento, divieto di effettuare spese non obbligatorie per il medesimo periodo, commissariamento per le Regioni inadempienti) ha fatto sì che si verificasse una riduzione del disavanzo: il risultato di esercizio 2010-2011 è infatti migliorato del 63,82 per cento, con una variazione in positivo di 305,45 milioni di euro.

        Sono stati realizzati progressi nella riduzione dei costi di produzione della sanità regionale, in particolare in quelli del personale e in quelli della farmaceutica convenzionata. La diminuzione della spesa per il personale, nel 2011 inferiore del 5 per cento rispetto al 2009, deriva soprattutto dal blocco del turn-over che ha ridotto le unità di circa il 10 per cento in 5 anni (da 55 mila dipendenti nel 2006 a circa 50 mila del 2012). Nel 2010, ed ancora di più nel 2011, si è inoltre cercato di limitare l'eccessivo ricorso agli straordinari e le altre componenti della retribuzione accessoria. La spesa farmaceutica ha, invece, beneficiato di una intensa azione di controllo delle prescrizioni, dei provvedimenti in favore dell'uso dei farmaci generici e della introduzione di misure di compartecipazione dei cittadini (ticket e quota ricetta). È invece aumentata del 4,4 per cento la spesa per l'acquisto di beni e servizi.

        Sono, poi, stati avviati ulteriori interventi per attuare il piano di rientro: riassetto della rete ospedaliera (accorpamenti delle Asl, diminuite da 24 a 17) e dei laboratori, ridefinizione dell'assistenza sanitaria da erogatori privati accreditati, centralizzazione degli acquisti (affidamento alla società per azioni So.Re.Sa. delle funzioni di acquisto e fornitura), adozione di nuovi procedimenti contabili ed amministrativi (piano di contabilità generale unico regionale), nonché di documenti programmatici aziendali.

        È, quindi, innegabile che l'azione di risanamento sia stata incisiva. Ciononostante è indubbio che i risultati siano dovuti, oltre che al rallentamento della dinamica di crescita dei costi, all'aumento dei ricavi ( 346,29 milioni di euro in tre anni).

        La Campania, che in valore assoluto ha fra i più elevati valori di spesa, migliora il trend evidenziato nel 2010 e riduce i costi da poco più di 10 miliardi di euro a 9,92 miliardi di euro del 2011, con una


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riduzione del 2,2 per cento. Al termine dell'esercizio 2011 il disavanzo è pari a circa 245 milioni di euro. La situazione debitoria del sistema sanitario regionale nel 2011 ammonta a 4.617 milioni di euro, mentre quello a carico delle ASL è pari a 4.838 milioni di euro (25).

        Seppure in un contesto di generale miglioramento, la Campania non è riuscita a trovare adeguata copertura al disavanzo. Si sono quindi realizzate le condizioni per l'applicazione degli automatismi fiscali previsti dalla legislazione vigente: l'ulteriore incremento delle aliquote fiscali dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF per l'anno d'imposta in corso, rispettivamente nelle misure di 0,15 e 0,30 punti; l'applicazione del blocco automatico del turn over del personale del servizio sanitario regionale fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in corso; l'applicazione del divieto di effettuare spese non obbligatorie per il medesimo periodo.

2.4.    Misure per il ripianamento del debito.

        Nell'ambito dell'attuazione del piano di rientro e dei successivi programmi operativi, con i decreti commissariali n. 12 del 21 febbraio 2011, n. 48 del 20 giugno 2011 e n. 22 del 7 marzo 2012 è stato predisposto un piano dei pagamenti dei debiti sanitari.

        Tali provvedimenti sono orientati a ripristinare l'ordinato e regolare svolgimento dei pagamenti ai creditori delle aziende sanitarie, ad abbattere il contenzioso e i relativi oneri per il mancato pagamento, nonché a ridurre il volume di pignoramenti in essere, attivando un complesso coordinato di azioni volto a definire le modalità attuative di una gestione centralizzata finalizzata a:

            – incassare nei tempi più brevi i fondi attesi dallo Stato;

            – intensificare le azioni amministrative finalizzate ad assicurare regolarità e tempestività nei pagamenti;

            – promuovere gli ordinari strumenti di smobilizzazione dei crediti;

            – certificare, limitatamente ai casi in cui non sia possibile procedere al pagamento per mancanza di liquidità, i crediti vantati dai fornitori che siano certi, liquidi ed esigibili;

            – monitorare l'andamento del debito sanitario.

        In particolare, con riferimento alla strategia operativa di ripianamento del debito pregresso, è stato previsto quanto segue:

            – alle aziende sanitarie è stata attribuita la possibilità di definire celermente, nei limiti dei 60.000 euro, accordi transattivi aventi ad oggetto i crediti pregressi;


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            – alla struttura commissariale, con il supporto tecnico della So.Re.Sa., è stato demandato il compito di definire protocolli d'intesa con le associazioni dei creditori e/o con singoli creditori di maggiore rilievo, relativamente alle forniture già effettuate ed i cui crediti risultano scaduti alla data del 30 giugno 2011. Tali protocolli sono finalizzati, oltre all'estinzione delle partite debitorie pregresse per «classi di creditori», ad estinguere le azioni esecutive in corso, con la conseguente rimozione dei vincoli di risorse apposti presso i tesorieri delle aziende sanitarie.

        Le pretese creditorie, così come vantate dai creditori, sono soggette alla procedura di accertamento di cui al decreto commissariale n. 12 del 2011 da parte delle aziende sanitarie debitrici, al fine di legittimarne la liquidazione in quanto certe, liquide ed esigibili.

        Alla data del 20 luglio 2012 sono stati stipulati 17 accordi quadro con associazioni dei creditori e/o con singoli creditori di maggiore rilievo del Servizio sanitario regionale. Attualmente gli accordi sono complessivamente 28, per un valore di circa 1.700 milioni di euro.

        Con la stipula dei protocolli d'intesa risulta realizzabile per il Servizio sanitario regionale un risparmio pari all'8 per cento del valore del credito transatto, risparmio imputabile alla rinuncia da parte dei creditori sanitari, sia agli interessi e alle spese legali, in parte riconosciuti dall'autorità giudiziaria, sia, talvolta, ad una parte del capitale.

        In sede di riunione congiunta del tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza del 30 marzo 2012, i Ministeri affiancanti, prendendo atto dell'avvio della fase operativa del piano dei pagamenti, hanno erogato alla regione una quota, a titolo di premialità, delle restanti spettanze a tutto l'anno 2011, pari a 300 milioni di euro.

        Vi è, però, da osservare che i risultati ancora ottenibili sono molto condizionati da criticità rilevate in alcune aziende sanitarie nel dare esecuzione agli accordi, in particolare per ciò che riguarda la certificazione del debito. Per tale motivo sarà necessario intervenire sulle aziende interessate per supportarle in un percorso di riorganizzazione.

2.5.    Criticità.

        I risultati della gestione corrente in termini di disavanzo lasciano irrisolto il problema del debito pregresso che, minando la stabilità finanziaria della sanità regionale, mette a rischio il rispetto dei requisiti minimi dei LEA (livelli essenziali di assistenza) e di appropriatezza delle prestazioni sanitarie.

        Quasi tutte le voci del bilancio regionale evidenziano alti profili di criticità: situazione debitoria pregressa non compiutamente stimata, gestione del personale, contenzioso, attività di staff, amministrazione e formazione, spesa farmaceutica, acquisizione di beni e servizi tramite appaltatori o soggetti in rapporto di accreditamento.

        Le misure di razionalizzazione e di rientro dal debito sanitario avviate con la legge regionale n. 28 del 24 dicembre 2003 non hanno


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prodotto l'auspicata radicale e virtuosa inversione di marcia gestionale nel senso del rigore e dell'appropriatezza della spesa.

        La ristrutturazione del debito, opportuna in linea di principio ed iniziata con la cd. operazione So.Re.Sa., non ha potuto sortire gli effetti sperati in ragione di una mancata effettiva, reale e veritiera ricognizione puntuale del debito, non tanto quale dato aggregato, bensì per ogni singola partita debitoria, con ciò determinando, da un lato, la paradossale creazione, a volte fittizia, di nuovo debito e, dall'altro, risultando assolutamente insufficiente, anche in termini di quantità, ad abbattere il debito regionale e porre le basi per avviare una nuova era gestionale.

        Presenta ancora gravi carenze l'organizzazione contabile, che avrebbe dovuto portare all'introduzione di modelli di amministrazione trasparenti e corretti.

        Anche la disposizione normativa, recentemente prorogata, recante l'impignorabilità dei beni delle ASL, comunque lesiva degli interessi dei creditori, avrebbe potuto trovare giustificazione solo nella eccezionalità della situazione e a condizione di essere associata ad una fase di celere ricognizione e pianificazione dei debiti e dei pagamenti.

        Nonostante i numerosi interventi e gli indubitabili miglioramenti in termini di contenimento della sua tendenza espansiva, notevoli difficoltà si sono verificate nel controllo della spesa: nel 2011, da parte di dieci aziende sanitarie è stato mancato il pareggio economico e non sono stati rispettati, per varie voci di costo, gli obiettivi di budget. Le presenti osservazioni, unite alle ricorrenti relazioni negative da parte dei revisori di tali enti, sembrano ancora una volta confermare una difficoltà nel monitorare, sia nel momento programmatico, sia in quello esecutivo, i conti sanitari regionali.

        A tal proposito una sintetica analisi dell'esposizione debitoria della sanità regionale evidenzia la continua crescita di tale aggregato: infatti il debito totale del settore, sia a carico delle ASL, sia della Regione, a fine 2011 ha raggiunto i 9,456 milioni di euro.

        La pesante riduzione delle risorse umane in servizio (dal 2007 ad oggi per circa 7.000 unità), conseguente al blocco totale del turn over dovrebbe indurre ad interrogarsi sia sulla situazione di gravissima criticità per la garanzia dei livelli minimi di assistenza, sia sugli effetti economici per il continuo ricorso agli straordinari, il cui costo è di gran lunga superiore a quello sufficiente all'assunzione dell'ulteriore personale necessario. Le pesanti disfunzioni e diseconomie rilevate dovrebbero, quindi, indurre il legislatore ad inserire nella normativa almeno una limitata deroga per posizioni indispensabili del personale interno.

        Da ultimo va considerato che la ripartizione del trasferimento statale per quota capitaria ha penalizzato fortemente la Campania ed in genere le regioni del Sud. Infatti tale quota capitaria, secondo i criteri di cui all'articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, viene corretta con parametri che attribuiscono maggior peso alla popolazione ultrasessantaciquenne, penalizzando, in tal modo le regioni giovani come appunto la Campania, sebbene caratterizzata da critiche condizioni socio economiche.

        Tali criteri sono tutt'ora vigenti, nonostante, negli anni, le regioni meridionali abbiano rivendicato la necessità di integrare i parametri


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con criteri socio economici (il cosiddetto indice di deprivazione). Dalla tabella sulla ripartizione del fondo sanitario nazionale tra le regioni – anni 2005/2011 – si rileva che la Campania, ancora nell'anno 2011, è la regione con la quota capitaria più bassa.

2.6.    L'organizzazione sanitaria.

2.6.1.    Il riassetto della rete ospedaliera.

        La regione Campania ha adottato, con il decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 49 del 27 settembre 2010, il riassetto della rete ospedaliera.

        Nel definire il riassetto della rete ospedaliera ha fissato un indice programmatico di posti letto pari a 3,4 per mille abitanti (di cui 0,5 per riabilitazione e/o lungodegenza). Il valore di tale indice programmatico riflette il fabbisogno di posti letto, pubblici e privati, idoneo a soddisfare la domanda appropriata di ricovero della regione.

        I principi ed i criteri che hanno guidato le scelte programmatiche sono stati:

            – l'indice programmatico regionale fissato in 3,4 posti letto per mille abitanti (di cui 0,5 per riabilitazione e/o lungodegenza);

            – il fabbisogno di posti letto per singole discipline stimato sulla base dei ricoveri appropriati effettuati nella regione nell'anno 2008;

            – l'individuazione del modello a rete: per la prima volta nella regione è stato pianificato un fabbisogno di posti letto per particolari «reti assistenziali» quali:

                a) rete dell'emergenza cardiologica;

                b) rete dell'ictus cerebrale acuto (stroke unit);

                c) rete del trauma grave (trauma center);

                d) rete delle cure psichiatriche;


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                e) rete materno-infantile;

                f) rete delle cure riabilitative e di lungodegenza;

            – la congruità dimensionale: nel caso di presidi di ricovero ospedalieri pubblici per acuti il valore minimo è stato fissato in 100 posti letto; nel caso di presidi di lungodegenza e/o riabilitazione tale valore minimo è fissato a 80 posti letto;

            – la riorganizzazione funzionale delle strutture con la quale si è conseguita la finalità di accorpare unità operative della medesima disciplina, nonché di razionalizzare la distribuzione delle dotazioni tecnologiche e di riordinare i processi di acquisto di beni e servizi;

            – l'introduzione di modelli assistenziali innovativi tra cui emergono fortemente le «nuove strutture polifunzionali per la salute (SPS)», quale modalità di riconversione dei piccoli ospedali tesa a fornire risposte plurime ai bisogni dei cittadini;

            – l'incremento dei posti letto di riabilitazione e lungodegenza da sempre carenti nel sistema di offerta assistenziale pubblica della regione.

        Con il riassetto della rete il numero di posti letto programmati rispetto ai posti letto esistenti nell'anno 2008 si è ridotto di circa 1.500 unità. Tale dato rappresenta il saldo tra la riduzione dei posti per acuti e l'incremento dei posti letto per assistenza riabilitativa.

2.6.2.    Stato di realizzazione del riassetto.

        Alle aziende è stato demandato il compito di adottare un documento di programmazione aziendale con il quale definire nello specifico le attività necessarie ed i tempi (nel rispetto del crono programma regionale) necessari alla riorganizzazione dei presidi ospedalieri per acuti secondo il dettato della pianificazione regionale ed alla riconversione delle strutture dove previsto.

        Tutte le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere hanno provveduto all'invio dei suddetti atti, ad eccezione delle aziende ospedaliere Monaldi, Cotugno, Centro Traumatologico Ortopedico, Ruggi D'Aragona e Santobono: per tali aziende, coinvolte in processi di accorpamento ed annessione, infatti, sono stati adottati specifici decreti commissariali che, tra l'altro, hanno fissato il termine entro il quale esse dovranno provvedere alla rielaborazione dell'atto aziendale con la precisazione che questo assorbirà la pianificazione attuativa.

        È opportuno a questo proposito rappresentare che l'attuazione degli obiettivi di riorganizzazione è fortemente ostacolato dalla difficoltà a reperire risorse da impegnare in tale processo e più in particolare dalla sempre maggiore carenza di personale derivante dall'applicazione del blocco totale del turn over. Si tratta naturalmente di difficoltà maggiormente sentite lì dove è prevista la riconversione di intere strutture a nuove funzioni, come è il caso della trasformazione degli ospedali per acuti in strutture con funzioni riabilitative.


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2.6.3.    Protocolli d'intesa Regione/università.

        Lo stato di attuazione della sottoscrizione dei protocolli d'intesa tra la Regione e le università è il seguente:

            – Università degli Studi Federico II e Seconda Università di Napoli:

                i protocolli di intesa sono stati adottati rispettivamente con decreto commissariale n. 60 del 15.10.2010 e n. 61 del 15.10.2010. Gli stessi sono stati sottoscritti in data 27.01.2012 e 20.04.2012 e sono attualmente vigenti.

            – Azienda Ospedaliera Universitaria Ruggi di Aragona di Salerno:

                con decreto commissariale n. 136 del 19.10.2012, in sinergia ed a superamento dei rilevi precedentemente mossi dal Tavolo ministeriale, è stata proposta la costituzione dell'Azienda Ospedaliera Universitaria «San Giovanni di Dio e Ruggi di Aragona – scuola medica salernitana». Il predetto provvedimento è stato inviato ai Ministeri vigilanti per la successiva validazione.

        Per quanto attiene allo stato del decreto commissariale n. 16 del 11 marzo 2011 di approvazione del protocollo d'intesa per la costituzione dell'Azienda universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi di Aragona – scuola medica salernitana, è opportuno evidenziare che con recente pronunzia n. 04425/2012, il TAR Campania – Sez. Napoli, su ricorso promosso da Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani – Fe.S.Me.D., ne ha dichiarato la caducazione unitamente, per diretta incidenza, ai decreti commissariali n. 9 e n. 14 del 2012. Allo stato attuale, pertanto, non si è ancora concluso il procedimento di costituzione dell'Azienda.

2.6.4.    Posti letto pubblico/privato e definizione del fabbisogno.

        Per quanto attiene al rapporto tra posti letto pubblici e privati, lo stesso decreto del Commissario ad acta n. 49/2010 prevede che, su 19.480 posti letto ritenuti congrui a soddisfare il fabbisogno di prestazioni in regime di ricovero, 13.336 posti letto siano attribuiti alle strutture pubbliche e 6.144 alle strutture private. Nello stesso decreto è stato anche declinato il fabbisogno di posti letto pubblici e privati per singola provincia e per singola disciplina, con l'obiettivo di realizzare una piena integrazione pubblico-privato.

        La definizione del fabbisogno non ha riguardato solo i posti letto ospedalieri ma anche il fabbisogno di posti per tutte le strutture che erogano assistenza residenziale (RSA, SIR, hospice, tossicodipendenze ecc.).

2.6.5.    Centralizzazione degli acquisti.

        Con la legge regionale n. 28 del 24 dicembre 2003, modificata ed integrata dalla legge regionale n. 24 del 29 dicembre 2005, la Regione Campania ha costituito e poi affidato alla Società regionale per la sanità (So.Re.Sa. S.p.A), posseduta al 100 per cento dalla Regione, le


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funzioni di centrale di committenza (ex articolo 33 del decreto legislativo n. 163 del 12 aprile 2006), assegnando alla stessa la titolarità «in via esclusiva delle funzioni di acquisto e fornitura dei beni e attrezzature sanitarie delle aziende sanitarie e ospedaliere».

        Purtroppo, storicamente, sono state registrate numerose disfunzioni in termini di efficienza nella gestione corrente degli ordini e pagamenti So.Re.Sa., alimentati significativamente dalla pratica impropria condotta da diverse aziende sanitarie di inoltrare ordini attraverso canale esterno alla piattaforma informatica (c.d. «ordini fuori piattaforma»), con le conseguenti difficoltà sotto vari profili:

            – nell'adeguato controllo della corretta esecuzione del contratto da parte del fornitore, anche per il rispetto della tempistica di esecuzione;

            – nel costante monitoraggio del contingente contrattuale ordinabile;

            – nel pronto riscontro della conformità al fornito della fatturazione prodotta dal fornitore, ai fini della liquidazione del credito nei tempi contrattualmente compatibili.

        L'acquisizione di un ordine fuori piattaforma So.Re.Sa. perviene alla centrale acquisti nella maggior parte dei casi dopo che il fornitore ha fatto pervenire la fattura per la fornitura effettuata, spesso su istanza di So.Re.Sa. stessa verso l'azienda sanitaria interessata dalla fornitura, a seguito della ricezione da parte del fornitore del documento contabile esigente il pagamento, al fine di supportare tale richiesta con documentazione adeguata alla liquidazione del credito. Una volta poi che l'azienda sanitaria ha prodotto copia dell'ordine inviato al fornitore in nome e per conto So.Re.Sa. e la dichiarazione di conformità della fornitura avvenuta, generalmente su supporto cartaceo, un operatore So.Re.Sa. provvederà a caricare «a sanatoria» l'ordinativo sulla piattaforma informatica, valorizzando contemporaneamente anche l'avvenuta consegna, onde poter procedere alla liquidazione del credito di fornitura. L'atto di liquidazione rappresenterà il presupposto utile per poter fare richiesta all'ente finanziatore delle risorse necessarie a poter disporre il pagamento della fatturazione della fornitura. Tale iter, appesantito e non funzionale, concorre ad alimentare i ritardi nei pagamenti, con il connesso prodursi di oneri accessori (26).

        Il fenomeno degli ”ordini fuori piattaforma”, seppure di notevole criticità e bisognoso di totale azzeramento in tempi brevi a causa delle descritte difficoltà, ha fatto tuttavia nel tempo registrare un trend positivo, frutto della campagna di sensibilizzazione e formazione svolta da So.Re.Sa. verso le aziende sanitarie.


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2.6.6.    Tariffe.

        I decreti del Presidente Consiglio dei ministri di nomina del Commissario ad acta per la sanità, del 24 luglio 2009 e del 24 aprile 2010 definiscono le linee di intervento cui dare attuazione e prevedono, rispettivamente al punto 16 e alla lettera p), «adozione delle tariffe per le prestazioni sanitarie».

        A ciò si è provveduto con:

            – decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 6 del 4 febbraio 2010 per la determinazione delle tariffe per prestazioni erogate da Residenze Sanitarie Assistite (RSA) e Centri Diurni ai sensi della legge regionale n. 8/2003;

            – decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 4 del 10 gennaio 2011 per la determinazione delle tariffe delle prestazioni residenziali per l'assistenza al malato terminale;

            – decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 5 del 10 gennaio 2011 per la determinazione delle tariffe per le prestazioni a carattere residenziale e semiresidenziale per persone affette da patologie psichiatriche;

            – decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 70 del 25 giugno 2012 per la determinazione delle tariffe delle attività sanitarie per persone in stato vegetativo in speciali unità di accoglienza permanente (SUAP).

        Permangono criticità nella definizione delle tariffe della riabilitazione territoriale e della specialistica ambulatoriale; le prime per un contenzioso in corso e le seconde per l'attesa delle tariffe ministeriali.

        La definizione delle tariffe costituisce un momento essenziale del percorso, disciplinato dall'articolo 1, comma 237-octodecies, della legge regionale n. 23 del 2011, volto all'accreditamento delle strutture che operano in tali specifici ambiti assistenziali al fine di colmare la carenza regionale.

2.6.7.    Stato di avanzamento delle procedure per l'accreditamento istituzionale delle strutture.

        Con il citato decreto n. 49, il Commissario ad acta ha provveduto al riassetto della rete ospedaliera e territoriale fissando, tra l'altro, il fabbisogno di posti letto pubblici e privati per singole province e definendo, altresì, il fabbisogno di posti per tutte le strutture territoriali che erogano assistenza di tipo residenziale (RSA, SIR, hospice, tossicodipendenze, ecc.), rivalutati anche alla luce delle programmate dismissioni degli ospedali pubblici.

        La normativa regionale vigente in materia di accreditamento istituzionale è stata quindi riformata anche tenendo conto del nuovo contesto, caratterizzato dallo stato di commissariamento della Regione Campania, e dei rilevanti provvedimenti adottati dal Commissario


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ad acta per la sanità, che hanno profondamente inciso sull'organizzazione del servizio sanitario regionale.

        La revisione ha tenuto conto dei seguenti criteri:

            a) restituire alla Regione il governo del processo che, con l'articolo 8 della legge regionale 28 novembre 2008, n. 16, era stato interamente delegato alle aziende sanitarie locali;

            b) semplificare l'iter di valutazione dei requisiti per indurre una forte accelerazione, senza, tuttavia, comprometterne le garanzie di sicurezza e qualità, delegando le aziende sanitarie a tale verifica;

            c) prevedere percorsi specifici di accreditamento per accompagnare ed agevolare la programmata riconversione di alcune strutture private (case di cura, centri di riabilitazione), la quale rappresenta un obiettivo strategico del servizio sanitario regionale e, nel contempo, un vincolo derivante dalla riorganizzazione della rete ospedaliera e territoriale della Campania;

            d) tener conto delle pronunce della giustizia amministrativa, per evitare che il contenzioso sia di ostacolo all'attuazione del processo.

        La revisione del preesistente assetto normativo è contenuto nella legge regionale n. 23 del 14 dicembre 2011, di modifica alla legge regionale n. 4 del 15 marzo 2011, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania – Legge finanziaria regionale 2011», che, nell'ottica di una compiuta riforma del sistema previgente, ha apportato significativi elementi di novità, anche in adesione agli indirizzi formulati dai Ministeri vigilanti.

        La nuova normativa ha previsto la definizione delle procedure di accreditamento istituzionale con priorità rispetto alle strutture socio sanitarie private già provvisoriamente accreditate ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 724 del 1994 e solo successivamente a quelle in esercizio e mediante l'utilizzo di una piattaforma informatica applicativa messa a disposizione da SORESA s.p.a. (articolo 1, comma 237-quater, della legge regionale n. 23/2011).

        Il percorso per l'accreditamento delle strutture ha quindi preso concretamente avvio con l'adozione dei decreti del Commissario ad acta per la sanità n. 90 e 91 del 9 agosto 2012, con cui si approvano la disciplina per le modalità di verifica dei requisiti ulteriori di accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie e/o sociosanitarie ai sensi della citata legge regionale n. 23 del 2011, nonché la check list per la verifica dei requisiti generali e le check list per la verifica dei requisiti specifici di tutte le strutture sanitarie e socio sanitarie per avviare il controllo da parte delle aziende territorialmente competenti.

2.6.8.    Rete dell'emergenza – urgenza.

        Al fine di colmare la carenza relativamente alla componente territoriale del sistema di emergenza, la regione ha adottato il decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 57 del 14 giugno 2012, con il quale approva i seguenti documenti di indirizzo relativi all'emergenza


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– urgenza territoriale e definisce alcuni aspetti organizzativi dell'emergenza ospedaliera non sufficientemente chiariti nel decreto di riassetto della rete ospedaliera:

            – linee di indirizzo regionali per la pianificazione attuativa aziendale per l'emergenza – urgenza;

            – schema dell'atto di intesa interaziendale per la costituzione dei dipartimenti integrati dell'emergenza e l'attuazione del coordinamento regionale del sistema integrato dell'emergenza;

            – linee di indirizzo regionali per l'organizzazione dell'OBI (osservazione breve intensiva);

            – nuove linee di indirizzo regionali per l'organizzazione del triage ospedaliero.

        Rimangono difficoltà nel settore in fase di attuazione dei provvedimenti in alcune ASL (es. Salerno) che si stanno affrontando, cui si aggiunge la necessità di promuovere la comunicazione per il corretto uso del 118.

2.6.9.    Andamento dei ricoveri dei cittadini Campani dal 2006 al 2011, assistiti negli ospedali della Campania e del resto d'Italia (tasso di ospedalizzazione).

        Dai dati sui ricoveri per cittadini della Campania effettuati negli anni dal 2006 al 2001 negli ospedali della Campania e delle altre regioni risulta evidente come, nel corso del quinquennio analizzato, i ricoveri siano complessivamente diminuiti e come, in particolare, siano diminuiti quelli per acuti.

        Il calo complessivo è stato di 130.000 ricoveri. Si è passati infatti dai 1.270.070 ricoveri del 2006 ai 1.094.045 del 2011. Pertanto, dal tasso standardizzato di 232,51 ricoveri per 1.000 abitanti registrato nel 2006, si arriva nel 2011 al tasso di 195,38 per 1.000 abitanti, con un decremento netto di 31,5 ricoveri per 1.000 abitanti negli ultimi sei anni.

2.6.10.    Andamento della mobilità sanitaria passiva per ricoveri (mobilità passiva).

        La tabella che segue riporta il numero di ricoveri fuori regione dei residenti in Campania per gli anni 2006 – 2010 ed il relativo tasso di ospedalizzazione per 1.000 abitanti standardizzato sulla popolazione italiana 2011 (i dati relativi alla mobilità 2011 non sono ancora consolidati). La mobilità passiva mostra un trend in costante diminuzione e complessivamente nei cinque anni considerati sono diminuiti di 6.541 i ricoveri dei cittadini campani che sono ricorsi alle cure presso ospedali delle altre regioni italiane.


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2.6.11.    Posti letto di terapia intensiva neonatale.

        Considerato che la Campania è ancora una regione con un alto tasso di natalità, il decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 49 del 2010 ha provveduto a riprogrammare il numero di posti letto pubblici portandolo a 158 unità (di cui il 50 per cento da destinare alla terapia subintensiva) e collocandoli, di norma, nelle aziende ospedaliere e nei presidi del III livello dell'emergenza.

        Una riconsiderazione della distribuzione dei posti letto sul territorio ha messo in luce una carenza di offerta in alcuni territori ed in particolare in quello della ASL Napoli 3 Sud, ove tale disciplina è del tutto assente sia nei posti letto pubblici che privati. È in corso di adozione un provvedimento che integri la dotazione programmata di tali posti letto nelle aree ove è maggiore la carenza di offerta.

2.6.12.    Il presidio ospedaliero «Maresca» di Torre del Greco.

        Il decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 49/2010 prevede che il presidio ospedaliero Maresca di Torre del Greco sia riconvertito in struttura ospedaliera ad indirizzo riabilitativo e possa ospitare una struttura polifunzionale per la salute (SPS). Le unità operative per acuti del presidio devono confluire nell'ospedale di Boscotrecase.

        Il Commissario Straordinario pro tempore della ASL Napoli 3 sud ha adottato, con la deliberazione n. 440 del 30 marzo 2011, il proprio piano attuativo di riordino della rete ospedaliera aziendale, approvato, con prescrizioni, con il decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 34 del 27 maggio 2011.

        Tale pianificazione attuativa per il Presidio ospedaliero Maresca di Torre del Greco ha previsto in due anni il completamento del processo di riconversione in ospedale con funzioni riabilitative ed ha stabilito che, al termine del processo la struttura, oltre ad essere destinata alle attività riabilitative ospedaliere, dovrà ospitare anche una Struttura Polifunzionale per la Salute (SPS) nella quale l'azienda intende attivare:

            – un ambulatorio di cure primarie;

            – un centro di nutrizione artificiale e centro disturbi alimentari;

            – un ambulatorio infermieristico distrettuale;


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            – un hospice con 12 posti letto;

            – servizi socio sanitari.

        Tuttavia, considerata la complessità del processo di riconversione e la necessità di riorganizzare gli spazi nel presidio di Boscotrecase, il Commissario Straordinario pro tempore della ASL ha adottato un atto di riprogrammazione che modifica il crono-programma e prevede che, in una fase intermedia, l'attivazione della unità operativa di gastroenterologia, prevista presso il presidio ospedaliero di Boscotrecase, avverrà solo contestualmente alla disponibilità di nuovi spazi, e nel frattempo manterrà la propria attività presso il presidio di Torre del Greco.

        Inoltre, considerata l'impossibilità di allocare presso il Presidio di Boscotrecase, nell'immediato, i 25 posti letto della disciplina di chirurgia generale, 16 posti letto programmati restano presso il presidio Maresca.

        Infine, presso il presidio di Torre del Greco vengono temporaneamente allocati 16 posti letto di servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC), con competenza sull'intero territorio aziendale, per la necessità di rinviare il trasferimento dell'SPDC di Pollena presso il presidio di Nola, come previsto dal decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 49 del 2010. Infatti, allo stato, tale spostamento risulta impraticabile, vista la carenza di spazi disponibili presso il presidio di Nola.

        Di conseguenza il presidio, nella pianificazione aziendale intermedia, risulta così configurato:

        La temporanea allocazione dei posti letto dell'SPDC, dei posti letto previsti per la gastroenterologia e di una parte della chirurgia «comportano presso il presidio di Torre del Greco anche il mantenimento delle attività di pronto soccorso».

        Si ravvisa, peraltro, la necessità di attivare quanto prima il previsto punto hospice con 12 posti letto, per garantire assistenza a pazienti bisognosi di cure palliative in quella che risulta essere una delle ASL più popolose del territorio nazionale.

        Ai sensi della legge n. 38 del 2012, e del successivo accordo Stato-regioni del 25 luglio 2012, è altresì auspicabile la sollecita istituzione del Coordinamento Regionale per le cure palliative e la terapia del dolore, contestualmente all'attivazione, presso ogni ASL, di una unità operativa centralizzata di cure palliative: tutti gli indicatori ministeriali confermano, infatti, che la Regione Campania è l'ultima regione italiana per numero di hospice attivi e di medici palliativisti,


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a fronte della sempre crescente incidenza delle patologie tumorali e del numero di pazienti oncologici che muore in ospedale nei reparti di degenza ordinaria o per acuti.

2.6.13.    Ospedale del Mare e realizzazione del policlinico universitario a Caserta.

        Nel processo di realizzazione di tale nuovo presidio ospedaliero si sono verificate, nel corso degli anni, una serie di vicende che hanno comportato l'intervento sia della Procura della Repubblica di Napoli che della Corte dei conti. Di fatto, la mancata approvazione di una «perizia di variante e suppletiva» ha determinato l'insorgere di un contrasto tra la ASL Napoli 1 e la concessionaria con conseguente blocco dei lavori in corso. La Regione è intervenuta nominando un Commissario ad acta per consentire, in via sostitutiva, la ripresa delle attività.

        Su proposta di quest'ultimo si è raggiunta una risoluzione consensuale del contratto di concessione per definire il pesante contenzioso che dovrebbe consentire la ripresa dei lavori.

        Anche per la vicenda della realizzazione in Caserta di un policlinico universitario a gestione diretta annesso alla facoltà di medicina e chirurgia della Seconda Università di Napoli, si prende atto della dichiarazione della Regione, secondo cui «risultano superate tutte le criticità che hanno notevolmente ritardato la realizzazione dell'opera e che pertanto, la fine dei lavori è prevista per il 29 dicembre 2015, mentre l'entrata in funzione dell'opera è prevista per 30 giugno 2017».

2.6.14.    Qualità e appropriatezza delle prestazioni.

        L'appropriatezza delle cure è una delle principali componenti della qualità del servizio sanitario oltre ad essere un importante strumento per un utilizzo più efficiente delle risorse. La Regione Campania ha intrapreso un percorso di promozione della appropriatezza delle prestazioni centrato in particolare su quelle in ambito ospedaliero.

        I due provvedimenti più significativi in tal senso sono l'adozione del decreto del Commissario ad acta per la sanità (n. 58 del 30 settembre 2010) che, in applicazione di quanto previsto dal Patto per la salute 2010-2012, definisce le soglie di ammissibilità dei DRG ad alto rischio inappropriatezza per il ricovero in regime di degenza ordinaria e diurna, e l'adozione del decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 6 del 17 gennaio 2011, che definisce obiettivi e metodologie per il controllo delle cartelle cliniche con la finalità di:

            – promuovere la qualità della documentazione clinica;

            – migliorare ed uniformare la codifica utilizzata nel rispetto delle norme, effettuando analisi comparative tra i diversi erogatori su specifiche prestazioni;


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            – individuare in maniera sistematica le prestazioni che hanno un profilo organizzativo potenzialmente inappropriato, per le quali occorre identificare modalità più idonee di erogazione;

            – individuare i fenomeni opportunistici correlati alla manipolazione del sistema DRG;

            – valutare degli effetti e l'efficacia delle azioni correttive intraprese.

2.6.15.    Accelerazione del turn over nei reparti per acuti – Azienda ospedaliera Cardarelli.

        Al fine di migliorare l'efficienza operativa degli ospedali campani e soprattutto evitare il sovraffollamento dei reparti per acuti, la regione ha elaborato nuove linee guida post acuzie con l'intento, tra l'altro, di disegnare le modalità organizzative utili ad accelerare il turn over dei pazienti ricoverati nei reparti per acuti. Allo stesso scopo, considerato che la problematica in questione affligge in modo particolare l'Azienda ospedaliera «Cardarelli», frequentemente in «emergenza barelle», con decreto del Commissario ad acta per la sanità n. 17 del 2 marzo 2012 si è provveduto ad incrementare la dotazione dei posti letto di lungodegenza, affinché sia possibile garantire qualificata assistenza ai pazienti non dimissibili, ma con quadro clinico stabilizzato o in via di stabilizzazione, e tale quindi da non richiedere la permanenza in reparti per acuti.

2.6.16.    Parti cesarei.

        La Regione Campania risulta essere al primo posto in Italia per l'incidenza di tagli cesarei, senza che vi siano condizioni epidemiologiche tali da giustificare una frequenza così elevata. Per intervenire su tale fenomeno, evidentemente in buona parte ascrivibile a comportamenti inappropriati, si è cercato, nel corso degli anni, di intervenire anche a livello normativo introducendo norme finalizzate a promuovere il parto naturale, tra cui:

            – la delibera di Giunta regionale n. 2413 del 25 luglio 2003 con la quale sono state approvate le linee guida per l'assistenza alla gravidanza ed al parto normale in Regione Campania, che delineano il percorso della gestante con il fine di garantirle la migliore assistenza dal momento della presa incarico fino al parto ed oltre;

            – la delibera di Giunta regionale n. 118 del 2 febbraio 2005 che fornisce indicazioni per il contenimento del fenomeno del ricorso improprio al taglio cesareo;

            – la legge regionale n. 2 del 2 marzo 2006 «Norme per la promozione del parto fisiologico» con la quale la Regione ha inteso promuovere, da parte della donna partoriente, una scelta consapevole circa le modalità secondo le quali deve svolgersi il parto, una volta che il medico abbia indicato l'opzione più idonea secondo il proprio


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giudizio professionale e scientifico. Sono stati anche definiti compiti, funzioni e requisiti di cui devono essere in possesso tutti gli attori del sistema;

            – infine, la deliberazione n. 2161 del 14 gennaio 2008 con la quale è stato adottato un sistema di disincentivazione tariffaria finalizzato al contenimento dei parti cesarei basato sulla valutazione del contenuto informativo della schede di dimissione ospedaliera. Si tratta di un sistema che consente di:

                a) valutare la «necessità di ricorso al parto cesareo attraverso la verifica delle diagnosi riportate dal medico curante sulla scheda di dimissione ospedaliera dalle quali si evince la condizione di rischio che costituisce indicazione al parto cesareo»;

                b) adottare, sulla base di quanto indicato dalle linee guida internazionali, nazionali e regionali, l'elenco delle diagnosi e dei relativi codici ICD9CM che possono comportare la necessità di ricorso al parto cesareo ed in assenza delle quali i parti possono essere considerati «a basso rischio di taglio cesareo»;

                c) applicare a tutti i ricoveri per parto cesareo che non presentano annotata nelle relative SDO, alla voce di diagnosi principale o a quella di diagnosi secondarie, almeno una delle tipologie di rischio, la tariffa prevista per il DRG «parto vaginale senza cc.».

        Purtroppo, nonostante questi interventi, i dati sui parti registrati nelle strutture pubbliche e accreditate mostrano un andamento costante negli anni nel quale la percentuale del numero di parti cesarei sul totale di quelli espletati non accenna a diminuire:

        Considerate le difficoltà a conseguire risultati, con l'adozione del piano sanitario adottato con decreto del commissario ad acta n 22 del 22 marzo 2011, la regione ha assunto un ulteriore, specifico impegno a sviluppare un piano per diffondere linee guida ed elaborare percorsi organizzativi e protocolli diagnostico-terapeutici che le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere devono tradurre in azioni concrete mirate a promuovere gli interventi assistenziali nel percorso nascita. Per quanto riguarda lo specifico problema dell'alto numero di tagli cesarei, il piano prevede inoltre che le direzioni aziendali identifichino le principali criticità e i fattori ostativi all'inversione di tendenza attraverso l'adozione di momenti formativi specifici, nonché corsi di formazione accreditati per l'educazione continua in medicina e audit periodici.


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        Con particolare riferimento all'ASL Napoli 3 Sud, il cui bacino demografico supera il milione di abitanti, si verificano circa 10 mila parti l'anno: di questi, 95 con peso neonatale al di sotto dei 1500 grammi, e 684 con peso tra i 1500 e i 2500 grammi. A fronte di ciò, l'assistenza è garantita da quattro presidi ospedalieri pubblici e nove punti nascita in case di cura private.

        L'unica unità operativa complessa di neonatologia, in grado di assistere quindi neonati patologici senza necessità di UTIN, si trova presso il presidio ospedaliero San Leonardo di Castellammare di Stabia, ricettivo anche di neonati trasferiti tramite trasporto neonatale da altre strutture: ciononostante, essa conta una dotazione di soli sette posti letto, permanentemente occupati.

        Di contro, nell'ambito della medesima ASL Napoli 3 Sud, non appare possibile garantire un'adeguata assistenza ai neonati che necessitano di terapia intensiva, né a quelli nati prima della trentaduesima settimana di gestazione o con peso inferiore ai 1500 grammi, che pertanto devono essere trasferiti anche al di fuori della provincia.

        L'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010 prevede, nell'ambito della riorganizzazione dei punti nascita, due soli livelli assistenziali: al secondo livello è demandata l'assistenza a tutte le partorienti, indipendentemente dai fattori di rischio, nonché a tutti i neonati, compresi quelli bisognosi di terapia intensiva. Lo stesso accordo raccomanda, tra i criteri di programmazione dei punti nascita di secondo livello, la corrispondenza ad un bacino di utenza con almeno 5 mila parti annui e mille nati annui in ciascuna struttura.

        Ne consegue che l'esigenza di una struttura di terapia intensiva neonatale con almeno 6/8 posti letto, in un territorio popoloso come quello della suddetta ASL, appare assolutamente irrinunciabile, nonché di razionale collocazione presso l'ospedale di Castellammare, dove, come detto, è già operativo un reparto di neonatologia e dove l'incidenza dei tagli cesarei è in linea con gli standard europei, attestandosi al di sotto del 30 per cento.

2.6.17.    Procreazione medicalmente assistita.

        Un obiettivo che la regione si pone è il contrasto alla mobilità passiva per le prestazioni di procreazione medicalmente assistita. Attualmente, infatti, circa il 50 per cento di tali prestazioni vengono effettuate fuori regione.

        Il conseguimento del predetto obiettivo presuppone, tuttavia, una strategia di programmazione sanitaria, auspicabile in tempi brevi, che privilegi innanzitutto una razionale distribuzione sul territorio delle strutture che erogano prestazioni di PMA, soprattutto quelle di IIo livello, la cui collocazione dovrebbe rispondere a criteri che tengano conto di «bacini di utenza» corrispondenti, per esempio, agli ambiti provinciali, unitamente ad ulteriori iniziative che disincentivino concretamente la migrazione, che la regione dovrebbe delineare.

        In regione Campania le tecniche oggi disponibili per la procreazione medicalmente assistita sono:

            – di I livello (inseminazione semplice) erogate in regime ambulatoriale;


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            – di II livello (ICSI e FIV-ET) e di III livello (con prelievo testicolare dei gameti maschili), erogate in regime di ricovero, in day hospital e day surgery o comunque tecniche che prevedono l'anestesia totale come il prelievo laparoscopico degli ovociti.

        Con delibera della Giunta della Regione Campania n. 518 del 2003 sono stati definiti i requisiti minimi strutturali, tecnologici, organizzativi e le procedure autorizzative per le strutture che erogano attività di biologia della riproduzione e sono state adottate le linee guida in materia di ottimizzazione delle procedure nell'ambito della medicina della riproduzione. La legge n. 40 del 2004 ha istituito un registro nazionale della PMA a cui obbligatoriamente sono iscritti i centri campani, pubblici e privati autorizzati.

        In Campania risultano presenti 39 centri distribuiti come rappresentato nella tabella che segue (dati del registro nazionale PMA):

        Dei 10 centri pubblici eroganti tecniche di II livello (ICSI e FIVET), iscritti al registro, sono funzionanti solo 5: (A.O. Rummo (Benevento), A.O. Moscati (Avellino) P.O. di Vallo della Lucania (ASL Salerno), A.O.U. Policlinico Federico II, A.O.U. Policlinico Seconda Università di Napoli. I rimanenti cinque centri: P.O. S.Paolo (ASL Na1 centro), A.O. Cardarelli, A.O. Caserta, P.O. di Marcianise (ASL Caserta) P.O. S. Maria delle Grazie Pozzuoli (ASL Na2 nord) o effettuano solo interventi di I livello, o non sono stati mai attivati o sono stati chiusi per mancanza di requisiti, nonostante l'erogazione di una prima tranche di fondi stanziati in base alla legge n. 40 del 2004.

        A tale ultimo riguardo, andrebbero chiarite le motivazioni della mancata erogazione dei fondi a decorrere dal 2005, la quale ha presumibilmente concorso in modo determinante all'inattività del 50 per cento dei centri pubblici: in particolare, poiché risultano erogate nel 2009 solo le risorse risalenti alla prima annualità (2005), si ravvisa un mancato stanziamento complessivo pari a circa 3 milioni di euro.

        Con la delibera della Giunta regionale n. 2042 del 2005 sono state infatti ripartite le risorse di cui al comma 1 dell'articolo 18 della legge n. 40 del 2004, relativamente alla annualità 2004-2005. Sono state destinatarie dei finanziamenti le aziende sanitarie locali che risultavano aver già attivato procedure di PMA di II Livello, a cui è stato richiesto la presentazione di un progetto relativo alle attività da intraprendere. Il fondo è stato così ripartito:

            – 55 per cento in funzione delle prestazioni erogate, alle strutture che abbiano effettuato almeno 100 cicli nel biennio 2003/2004;

            – 30 per cento equamente distribuito per l'istituzione e/o il potenziamento delle strutture;


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            – 15 per cento per l'avvio dell'attività del centro regionale di riferimento.

        Inoltre, la regione, per ovviare alla problematica della disomogeneità della codifica delle SDO, ha provveduto ad individuare, con l'adozione nelle linee guida per la codifica delle SDO (decreto del commissario ad acta per la sanità n. 6 del 2011), codici specifici per descrivere la diagnosi principale e le relative procedure, dando inoltre indicazione di utilizzare una sola SDO per tutto il ciclo di PMA (pick-up e transfer), da effettuare in day surgery.

        In conclusione, in Campania, la mancata attivazione del 50 per cento dei centri pubblici, unitamente all'assenza di centri di PMA privati convenzionati con il Servizio sanitario regionale, concorrono a determinare il vistoso fenomeno della migrazione passiva: quest'ultima, oltre a creare disagio logistico e psichico alle coppie, costrette a soggiornare per alcuni giorni fuori della propria regione, con conseguente perdita di giornate lavorative, determina infatti oneri aggiuntivi alla regione stessa, costretta a rimborsare cicli di secondo e terzo livello a costi maggiori di quelli che si determinerebbero in proprie strutture territoriali.

2.6.18.    Liste di attesa.

        Con delibera n. 271 del 12 giugno 2012, la Giunta regionale ha approvato il nuovo piano regionale e di governo delle liste di attesa (PRGLA) per il triennio 2010-2012, che integra gli interventi già previsti nel provvedimento adottato nel 2007 ed individua nuovi strumenti e modalità di collaborazione tra tutti gli attori del sistema, sia quelli operanti sul versante prescrittivo, sia quelli di tutela del cittadino per una concreta presa in carico dei pazienti fin dal processo di definizione o approfondimento diagnostico da parte degli specialisti e delle strutture.

2.6.19.    Attività intramoenia.

        Per quanto riguarda gli interventi strutturali necessari per consentire l'espletamento della libera professione intramuraria, a seguito dell'approvazione da parte del Ministero della salute (decreto ministeriale 8 giugno 2001) del programma per la realizzazione delle strutture sanitarie destinate all'ALPI, con DGRC n. 1260 del 24 luglio 2008, la Regione Campania ha approvato il programma per la realizzazione di interventi di edilizia sanitaria ed ammodernamento tecnologico dedicati all'ALPI, predisposto sulla base delle esigenze manifestate dalle aziende, assegnando alle aziende ospedaliere 41.658.568,45 euro (– 39.250.740,03 a carico del Ministero della salute e – 2.065.828,42 euro a carico della Regione).

        Il programma prevede l'attuazione degli interventi proposti dalle aziende ospedaliere, dall'IRCCS Pascale e dall'azienda ospedaliera universitaria Federico II, rimandando ad altro provvedimento la definizione degli interventi proposti dalle aziende sanitarie locali.


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        Gli interventi programmati per le suddette aziende sono stati singolarmente ammessi a finanziamento con decreti del Ministero della salute ed i relativi lavori di realizzazione sono in corso, ad eccezione del progetto proposto dall'azienda ospedaliera di Caserta per il quale è stata chiesta l'ammissione a finanziamento solo ad aprile 2012.

        Sul piano organizzativo, nell'ambito del citato piano regionale per il contenimento delle liste di attesa, la regione ha regolamentato la gestione delle prenotazioni per l'attività intramuraria ed ha definito alcuni aspetti organizzativi per l'erogazione di prestazioni in regime libero professionale.

        Secondo quanto disposto nel PRGLA, le Aziende Sanitarie sono tenute innanzitutto ad organizzare l'accesso alle prestazioni rese in intramoenia attraverso il centro unico di prenotazione (CUP), utilizzando apposite liste di prenotazione separate rispetto a quelle utilizzate per l'attività istituzionale. Devono quindi garantire che i volumi delle prestazioni rese nell'ambito della attività intramuraria non devono superare i volumi delle medesime prestazioni rese in ambito istituzionale.

        Devono inoltre adottare tutte le iniziative utili a favorire il progressivo allineamento dei tempi di attesa per l'erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, al fine di assicurare che il ricorso a quest'ultima sia conseguenza di libera scelta del cittadino e non di carenza nell'organizzazione dei servizi resi.

        La vicenda dell'attività intramoenia svolta presso la Clinica Villa del Sole da dirigenti medici dell'Ospedale Cardarelli, che sono stati destinatari di misure di custodia cautelare, costituisce l'ennesimo episodio che testimonia, in molte realtà sanitarie, ed anche in Campania, carenza di interventi sia per la realizzazione delle strutture sanitarie destinate all'ALPI, sia per un efficace sistema di controlli rivolto a scoraggiare attività illecite. La Regione comunica di essere intervenuta sul piano della ricerca degli spazi disponibili per l'esercizio dell'attività libero professionale, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto-legge del 13 settembre 2012 n. 158, così come convertito con modificazioni nella legge 8 novembre 2012 n. 189.

2.6.20.    Le principali criticità organizzative anche in relazione a casi di presunto errore sanitario.

        Da quando la Commissione parlamentare è stata istituita sono pervenute dalla Campania numerose segnalazioni su casi di presunti errori sanitari. Dall'esame delle segnalazioni si è avuta conferma che molti degli episodi di cosiddetta malasanità sono da addebitarsi a disfunzioni organizzative, anche se poi spesso è il professionista – singolo o con gli altri – ad essere considerato colui che ha determinato l'evento. Sono pervenute segnalazioni relative ad alcuni casi di presunti errori sanitari, ovvero riconducibili a criticità di altra natura, sulle quali è stata condotta, laddove possibile, attività di


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opportuno approfondimento tecnico, con la riservatezza richiesta dalla natura dell'istruttoria.

        Per la maggior parte dei casi sono state inviate dal Presidente della Commissione al Presidente della Regione richieste di relazione informativa; ulteriori notizie si sono acquisite nel corso delle audizioni svolte.

        A titolo esemplificativo, dall'analisi di alcuni casi di presunto errore sanitario, sono emerse alcune tipologie di criticità organizzative.

        In occasione di un decesso avvenuto presso l'Ospedale «Rummo» di Benevento il 18 gennaio 2012, di un paziente trasferito da altra struttura, è stata riscontrata una difficoltà di gestione di un percorso assistenziale complesso in quanto rivolto ad un soggetto affetto da polipatologie e che, pertanto, richiedeva il coinvolgimento integrato di diverse strutture assistenziali.

        Nel caso del decesso di una neonata occorso presso l'Ospedale San Luca di Vallo della Lucania, si delinea una criticità relativa alla distribuzione sul territorio regionale dei mezzi per il trasporto neonatale che devono garantire il più rapido collegamento tra i punti nascita e i reparti ospedalieri più idonei all'assistenza al neonato a rischio.

        Nel caso del decesso di una bambina di 6 anni trasferita dall'Ospedale di Cava dei Tirreni all'Ospedale Ruggi d'Aragona di Salerno, è stata evidenziata una gestione carente dell'urgenza/emergenza pediatrica. A tali criticità si aggiungono anche disfunzioni nella gestione dei pazienti in età pediatrica, dovute alla mancanza di percorsi specifici, alla carenza di protocolli di trattamento e all'assenza di osservazioni brevi intensive o astanterie pediatriche.

        Tra le criticità di natura organizzativa la Commissione ha più volte attenzionato i fenomeni di sovraffollamento presso il pronto soccorso dell'Ospedale Cardarelli, che costituiscono una criticità cronica del Presidio ospedaliero, che crea gravi disagi e può generare rischi per la salute dei pazienti per l'uso improprio delle barelle.

        La problematica non riguarda soltanto l'Ospedale Cardarelli, ma investe anche altri presidi ospedalieri della città di Napoli e, in particolare, di quelli che insistono nella zona collinare della città.

2.6.21.    Criticità riscontrate nell'attribuzione degli incarichi dirigenziali nelle aziende sanitarie e ospedaliere.

        Ai sensi dell'articolo 15-septies del decreto legislativo n. 229 del 1999, i direttori generali possono conferire incarichi per l'espletamento di funzioni di particolare rilevanza e di interesse strategico mediante la stipula di contratti a tempo determinato e con rapporto di lavoro esclusivo, entro il limite del 2 per cento della dotazione organica della dirigenza, a laureati di particolare e comprovata qualificazione professionale che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali apicali o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria


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e post-universitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro e che non godano del trattamento di quiescenza. I contratti hanno durata non inferiore a due anni e non superiore a cinque anni, con facoltà di rinnovo.

        L'articolo 15-septies rappresenta quindi, uno strumento derogatorio rispetto alle regole generali per le assunzioni a tempo determinato con rapporto di esclusività – entro il limite del 2 per cento della dotazione organica della dirigenza – al fine di poter conferire a medici con «particolare e comprovata qualificazione professionale», non in pensione, l'espletamento di funzioni di «particolare rilevanza e di interesse strategico». L'articolo 18 del contratto collettivo nazionale di lavoro, area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale, regolamenta, invece, l'attribuzione degli incarichi di sostituzione in caso di:

            – assenza per ferie o malattia o altro impedimento del direttore di dipartimento, nei casi di altre articolazioni aziendali che ricomprendano, più strutture complesse, del dirigente con incarico di direzione di struttura complessa e di struttura semplice;

            – cessazione del rapporto di lavoro;

            – aspettativa per il conferimento di incarico di direttore generale ovvero di direttore sanitario;

            – aspettativa per mandato elettorale.

        La sostituzione può durare 6 mesi, prorogabili fino a 12.

        Al riguardo, la Commissione, ha ritenuto di svolgere uno specifico approfondimento circa le modalità di ricorso agli strumenti previsti nelle norme citate. Da tale approfondimento è risultato, in Campania, un utilizzo anomalo di questi due istituti in luogo delle procedure ordinarie di reclutamento. L'articolo 15-septies, ad esempio, non viene infatti usato solo per funzioni di particolare rilevanza e di interesse strategico, come prevede la normativa, ma anche al fine di ricoprire «normali» incarichi dirigenziali, di strutture semplici o complesse, per le quali già sono definite le modalità di assegnazione degli incarichi.

        Questo comporta che il 15-septies troppo spesso si trasforma in una chiamata diretta di natura discrezionale, da parte dell'Azienda, in relazione a profili professionali che andrebbero ricoperti mediante l'espletamento di pubblico concorso.

        Dagli accertamenti eseguiti, risultano in particolare oltre 270 incarichi per la maggior parte costituiti da strutture complesse o dipartimentali affidati mediante l'articolo 18, e 60 incarichi affidati mediante l'articolo 15-septies oltre ad una serie di incarichi di natura non chiara affidati dalle ASL: è il caso, ad esempio, di 29 incarichi conferiti nella ASL di Caserta, di 24 incarichi indetti mediante l'articolo 18, ma non ancora affidati, in quella di Salerno, nonché di una situazione non chiara nella ASL NA 3 SUD, per accorpamenti di strutture. Quindi risultano, in totale, 383 incarichi ricoperti a vario titolo da personale che non ha superato un regolare concorso.

        Qui di seguito è schematizzata la situazione per aziende autonome e aziende sanitarie locali:


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        Di recente, le norme di affidamento degli incarichi di direttore di struttura complessa e di dirigente di strutture semplici sono state oggetto di intervento normativo mediante l'articolo 4 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito dalla legge 8 novembre 2012, n. 189. Tale normativa prevede, in particolare, per la nomina dei direttori generali, misure di pubblicità dei bandi, delle nomine e dei curriculum, nonché trasparenza nella valutazione degli aspiranti, sulla base di determinati requisiti.

        Per gli incarichi di direzione di struttura complessa la selezione è effettuata da una commissione presieduta dal direttore sanitario e composta da due direttori di struttura complessa nella medesima specialità; i candidati sono individuati tramite sorteggio da elenchi predisposti da ciascuna regione tra il personale interno e esterno all'azienda interessata. Il direttore generale individua il candidato sulla base di una terna predisposta dalla commissione, motivandone


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la scelta. Deve essere garantita piena pubblicità a tutte le procedure sul sito internet dell'azienda, pena l'annullabilità della procedura.

        Quanto, infine, alla nomina dei responsabili di strutture semplici, l'articolo 4 prescrive che l'incarico venga attribuito dal direttore generale, su proposta del direttore della struttura complessa di afferenza o del direttore di dipartimento, a un dirigente con un'anzianità di servizio di almeno cinque anni. Gli incarichi hanno durata non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni, con possibilità di rinnovo.

        L'applicazione di tale normativa dovrà riguardare anche la situazione riscontrata presso gli organici dei policlinici universitari della Regione Campania, dove risultano, in taluni casi, dirigenze di strutture complesse con zero posti-letto e dove gli incarichi e i concorsi rispondono spesso a logiche anomale (basti confrontare i nominativi dei vincitori dei concorsi per verificare la sussistenza di evidenti legami familiari e generazionali nei ruoli ricoperti).

        Sarà inoltre necessario riorganizzare le piante organiche, secondo i criteri dettati dalla nuova normativa, che determinerà l'esigenza di rivedere gli incarichi di struttura complessa affidati a dirigenti medici «facenti funzioni» ai sensi dell'articolo 18 e quelli affidati mediante il ricorso all'articolo 15-septies.

        L'auspicio della Commissione è che la normativa sul governo clinico codificata dal “decreto Balduzzi” concorra a delineare una politica sanitaria finalmente improntata alla competenza tecnica, alla capacità operativa e al senso di responsabilità, non condizionata da logiche politiche.

2.7.    L'inchiesta sulla ASL Napoli 3 – Sud.

        Nell'ambito del filone di inchiesta intrapreso sullo stato di attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario nella Regione, nonché in merito alla conseguente rimodulazione della rete ospedaliera regionale, la Commissione, visti i possibili fenomeni di cattiva gestione di fondi sanitari pubblici regionali oggetto di indagine, ha inteso acquisire circostanziati elementi documentali su profili inerenti la gestione economico-finanziaria dell'Azienda sanitaria locale «Napoli 3 Sud», con specifico riguardo agli Ospedali Riuniti «Area Penisola Sorrentina».

        La Commissione pertanto, nello scorcio finale della legislatura, ha svolto una specifica attività di inchiesta sugli aspetti gestionali ed organizzativi riconducibili a dirigenti della struttura ospedaliera di Sorrento, nonché a figure apicali della predetta ASL, sulla scorta di alcune segnalazioni che lamentavano comportamenti illegittimi, con particolare riferimento alla gestione del reparto di anestesia e rianimazione dell'ospedale S. Maria della Misericordia di Sorrento.

        Nel rispetto delle proprie prerogative, la Commissione ha acquisito, avvalendosi del Nucleo speciale commissioni di inchiesta della Guardia di finanza, copiosa documentazione amministrativa pertinente ai fatti esposti, e ha svolto attività istruttoria mediante esame testimoniale di persone informate sui fatti.


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        Le risultanze della complessiva attività svolta vengono di seguito riepilogate.

2.7.1.    Disapplicazione dell'articolo 18, comma 4, del CCNL 1998/2001.

        Dalla documentazione acquisita e dalle audizioni svolte è emerso il generalizzato, mancato rispetto del termine previsto dall'articolo 18, comma 4, del CCNL del personale del comparto del servizio sanitario nazionale, che prevede, in caso di cessazione del rapporto di lavoro di un Dirigente, la sostituzione dello stesso mediante conferimento di incarico temporaneo per il tempo strettamente necessario all'espletamento delle procedure concorsuali. Detto termine è fissato in mesi sei, prorogabile una sola volta per ulteriori mesi sei. Di contro, numerosi sono risultati i casi in cui la proroga dell'incarico temporaneo di Dirigente è andato ben oltre il termine massimo di un anno.

        In particolare, ha trovato conferma quanto segnalato in ordine alla nomina temporanea della dottoressa Matilde De Falco, attuale dirigente della unità ospedaliera complessa di anestesia e rianimazione dell'ospedale di Sorrento, nominata ex articolo 18, comma 4, del CCNL nel gennaio 2008 e, ad oggi, mai revocata da detto incarico.

        Appare tuttavia significativo che, solo a seguito dell'avvio dell'inchiesta parlamentare, nell'ottobre 2012, l'Azienda ha intrapreso la procedura di comparazione dei curriculum per la scelta del nuovo primario del reparto in questione. Non si hanno tuttavia informazioni – per non averle sapute fornire i soggetti auditi – sulla pubblicazione di apposito bando e sugli esiti dell'eventuale concorso.

        È evidente che la prorogatio implicita dell'incarico temporaneo per un arco temporale così prolungato, oltre a non essere conforme alla normativa vigente, che contempla evidentemente una rotazione del personale nelle more della nomina del nuovo primario, potrebbe produrre anche un danno erariale all'azienda, potenzialmente rappresentato dal maggior trattamento retributivo che l'ente dovesse corrispondere al sostituto per le mansioni primariali svolte.

2.7.2.    Affidamenti diretti per l'acquisizione di beni da destinare al presidio ospedaliero di Sorrento.

        Sono state acquisite a campione, per l'anno 2010, determine dirigenziali dell'Asl Napoli 3 Sud relative ad appalti per l'acquisto di beni e macchinari da destinare al presidio ospedaliero di Sorrento.

        La documentazione acquisita, unitamente alle dichiarazioni rese in sede di audizione dal responsabile del relativo servizio dell'ASL, ha fatto emergere le seguenti anomalie:

            – non risulta mai bandita per l'anno di riferimento alcuna gara, neppure con procedura negoziata ai sensi del vigente codice degli appalti (decreto legislativo 163 del 2006);

            – l'unico interlocutore commerciale viene individuato, di regola, su precisa indicazione del sanitario che fa richiesta del macchinario per il proprio reparto;


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            – l'aggiudicazione avviene con affidamento diretto senza intermediazione della So.Re.Sa, benché detta società sia titolare in via esclusiva della funzione di acquisto di beni e di attrezzature per le aziende del Servizio sanitario della Regione Campania in attuazione dell'articolo 6, comma 1, legge regionale n. 28 del 2003, come modificata dalla legge regionale n. 28 del 2005.

        È emersa, inoltre, una singolare anomalia, degna di nota, relativa all'acquisto della dotazione (letto operatorio ed accessori) di una terza sala operatoria del presidio ospedaliero di Sorrento: tale sala operatoria non solo non risulta mai attivata, ma non esiste neppure da un punto vista strutturale, e nonostante ciò la dottoressa Matilde De Falco, dirigente del reparto di anestesia e rianimazione con incarico temporaneo ex articolo 18 del CCNL, ha sollecitato l'acquisto dell'indicata dotazione, inducendo l'Azienda a formalizzare l'affidamento della fornitura di quanto richiesto, sempre senza gara e con affidamento diretto, per un importo pari ad euro 46.114,29 oltre Iva.

2.7.3.    Ulteriori anomalie concernenti il reparto di anestesia e rianimazione del presidio ospedaliero di Sorrento.

        Nel corso dell'attività d'inchiesta sono emerse ulteriori anomalie che denotano una gestione poco trasparente ed efficiente della struttura ospedaliera di Sorrento. In particolare, è stato oggetto di approfondimento l'iter procedurale attraverso cui l'azienda ha inteso finanziare la ristrutturazione ovvero, più correttamente, la creazione, ex novo, del reparto di anestesia e rianimazione diretto dalla dottoressa De Falco, se pure con incarico temporaneo.

        Ebbene, su proposta del dottor Franklin Picker, marito della dottoressa De Falco e direttore del servizio di assistenza ospedaliera, è stata formalizzata un'intesa tra i vertici dell'ASL Napoli 3 Sud e la «Fondazione Sorrento» – organismo a partecipazione pubblica del Comune di Sorrento – per la donazione di circa euro 207.000,00 con vincolo di destinazione per l'intervento strutturale in favore del reparto di rianimazione.

        Orbene, tale decisione aziendale in ordine alla destinazione del finanziamento non appare supportata da alcuna previa comparazione dei numerosi interventi strutturali, da ritenersi prioritari presso il nosocomio in oggetto.

        Infine, l'inchiesta condotta in ordine ai numerosi medici anestesisti trasferiti, a domanda, dal reparto di rianimazione diretto dalla dottoressa De Falco, ha evidenziato un clima di forte contrasto tra medici stessi e dirigente temporanea, il quale avrebbe determinato un massiccio esodo di anestesisti (dieci medici in un breve arco temporale), con evidenti ripercussioni sull'erogazione del servizio sanitario. Ne è risultato, in particolare, un clima di pressioni e sopraffazioni ascrivibile alla gestione De Falco, nell'ambito della quale si è registrata una totale compressione dell'autonomia del singolo anestesista, addirittura impossibilitato a disporre di propria iniziativa ricoveri di pazienti, se pur gravi, in assenza del permesso della dirigente.


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        In definitiva, dall'attività complessivamente svolta sono emersi profili che la Commissione si riserva di portare a conoscenza della procura della Repubblica presso il tribunale competente, nonché condotte gestionali non conformi alla normativa vigente suscettibili di arrecare pregiudizio alla trasparenza, efficienza e regolarità dell'erogazione del servizio sanitario pubblico, che potranno formare oggetto di segnalazione alla competente procura della Corte dei Conti.

2.8.    Analisi di sintesi. Considerazioni e proposte.

        Nelle considerazioni conclusive la Commissione ritiene di dover ribadire che la situazione nella quale attualmente versa la sanità della Regione Campania è profondamente mutata rispetto a quella fortemente critica che ha indotto il Governo alla nomina del Commissario ad acta per adempiere ai vincoli del piano di rientro dal disavanzo sottoscritto dalla Regione il 20 marzo 2007, e l'inversione di tendenza si è verificata soprattutto nell'ultimo biennio.

        Oltre alle azioni volte al doveroso recupero del disavanzo si ritiene di dover apprezzare gli sforzi fin qui compiuti per migliorare anche il sistema di offerta sanitaria sul versante dell'efficacia e dell'appropriatezza.

        Nonostante la notevole contrazione degli organici dovuta al blocco del turn over, le strutture sanitarie regionali oggi riescono a utilizzare meglio le risorse esistenti e valorizzare in modo più congruo, rispetto al passato, il personale in dotazione.

        A fronte di tali elementi positivi, a parere della Commissione, è necessario che la Regione prosegua nel percorso che si è delineato per rendere strutturali le riforme del sistema, in carenza delle quali i risultati positivi potrebbero rapidamente vanificarsi, facendo ricadere la sanità campana nella situazione che ha preceduto il commissariamento.

        È necessario, tuttavia, che la Regione intraprenda ulteriori e più incisive iniziative per modificare alcune persistenti negatività che si riflettono sia sul versante dei costi che su quello della qualità dell'assistenza. Appare particolarmente critico il fenomeno della mobilità sanitaria passiva che, specie in ambito ospedaliero, ancora presenta alti volumi di prestazioni e di costi, nonostante un trend comunque in diminuzione negli anni compresi tra il 2006 ed il 2011, come si evince dalla tabella che segue:


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        Pertanto in Campania la percezione negativa della qualità dell'offerta erogata dai rispettivi servizi sanitari, accompagnata da elevati disavanzi di gestione hanno determinato un duplice onere per coloro che vi risiedono: da una parte aumenta il contributo IRPEF e IRAP necessario a coprire i disavanzi sanitari, ma dall'altra crescono i fenomeni della mobilità sanitaria interregionale (nel 2011 la Campania è stata «debitrice netta» verso i sistemi sanitari del Centro-Nord per -285,3 milioni di euro) e della spesa sanitaria privata, non coperta da sistemi assicurativi. In altre parole, i cittadini campani pagano sempre di più per un sistema sanitario regionale pubblico che utilizzano sempre di meno.

        Ancora più evidente appare l'altissima percentuale di parti effettuati con taglio cesareo sul totale dei parti che si registrano nella Regione, fenomeno che interessa tanto le strutture pubbliche che le strutture private. Da quanto rappresentato dalla Regione risultano adottati numerosi provvedimenti che, pur essendo volti al ridimensionamento del problema, purtroppo non hanno sortito gli effetti sperati, dal momento che nel 2011 la percentuale di cesarei è stata superiore a quella dell'anno precedente e che continua a rappresentare un record negativo della Campania rispetto a tutte le altre regioni d'Italia.

        Molte delle disfunzioni del sistema sanitario regionale sono riconducibili alla quantità e qualità dei controlli effettuati sulle prestazioni erogate. Nonostante l'adozione di provvedimenti che hanno sistematizzato il regime dei controlli, soprattutto per quanto riguarda l'appropriatezza delle prestazioni, permangono comportamenti opportunistici per i quali più di una volta la Procura regionale della Corte dei Conti ha avviato procedimenti per danno erariale.

        Nelle considerazioni finali non possono non condividersi le doglianze della Regione Campania che attengono a tre importanti fattori negativi che, se irrisolti, rendono più difficile il processo di risanamento e riorganizzazione della sanità campana. Il primo, che nell'adozione dei criteri di riparto del fondo sanitario nazionale non si tenga ancora conto delle condizioni socio economiche della popolazione che inducono consumi sanitari i cui costi non sono stati fino ad oggi adeguatamente remunerati. Il secondo, che venga ancora negata la possibilità di accedere alla disapplicazione del blocco del turn over nei limiti previsti dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, senza la quale si presentano sempre maggiori difficoltà a garantire i livelli essenziali di assistenza.

        Il terzo, che sono necessarie una vigorosa e indifferibile operazione di bonifica ambientale dei territori contaminati da sostanze tossiche connesse al fenomeno delle cosiddette «ecomafie», nonché una delocalizzazione delle discariche di rifiuti che determinerebbero, alla luce di diversi studi effettuati dall'Istituto Nazionale dei Tumori di Napoli «Fondazione G. Pascale», dall'Ordine dei medici della provincia di Napoli e dal cosiddetto «Studio Bertolaso» (27), un


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significativo incremento delle patologie tumorali e una riduzione delle aspettative di vita per i residenti, che, secondo i dati ISTAT 2010, è la più bassa d'Italia. Tale operazione di bonifica non può essere intrapresa autonomamente dalla regione, se non con il concorso di appropriate iniziative governative supportate da fondi dedicati.

        Infine, nonostante l'attuazione del piano di rientro rimane da completare la risoluzione di varie criticità. Fra queste occorre citare almeno il livello globale di indebitamento che a fine 2011 era pari ad oltre 9 miliardi di euro e che solo nel 2012 vede un primo ridimensionamento, nonché il ritardo cronico nei pagamenti dei fornitori con punte di 600 giorni, che ha messo in crisi tutta la filiera, ed il mancato contenimento di spese non sanitarie (qualche mese fa è trapelata la notizia che la regione nel 2011 avrebbe pagato un importo di 1 milione e 579 mila euro alla società KPMG per attività di verifica, propria dell’advisor contabile, in merito all'attuazione del piano di rientro del deficit nel servizio sanitario regionale).

        In una cornice di miglioramento, emergono ancora rilevanti difficoltà nella gestione del settore sanitario, con la persistenza di croniche disfunzioni in tema di controllo dei processi di spesa e di salvaguardia del rispetto dei livelli di assistenza.

        Si auspica, in conclusione, la celere attuazione di alcune misure specifiche quali la prosecuzione del processo di pagamento dei debiti pregressi al fine di sbloccare le somme pignorate e il superamento del grave ritardo nell'attuazione del piano di pagamento. Per fronteggiare le ulteriori, croniche criticità riscontrate, occorre, ad avviso della Commissione, implementare i sistemi di controllo del costo del personale dipendente extra medico, delle consulenze non sanitarie e delle manutenzioni e riparazioni, unitamente ad un più efficace monitoraggio della spesa delle strutture accreditate e convenzionate ed una compiuta realizzazione di un sistema automatico di certificazione dei crediti che dia attuazione al piano dei pagamenti.

3.    STATO DELLA SANITÀ NELLA REGIONE SICILIA.

3.1.    Premessa.

        La Sicilia è la regione con il territorio più esteso (25.711 Kmq) e ha una popolazione di 5.037.799 abitanti (al 1o gennaio 2009); ciò si riflette nell'incremento dei costi del Servizio sanitario nazionale, accresciutisi a ritmi molto sostenuti, tanto da rappresentare, accanto alle tematiche previdenziali, una delle componenti più significative dell'incremento della spesa pubblica.

        Il fattore che ha principalmente contribuito a tale incremento è l'indice di invecchiamento della popolazione. Nell'ultimo ventennio tale indice è quasi raddoppiato, passando dal 62,8 per cento del 1990 al 114 per cento del 2010 (rispetto ad una media nazionale rispettivamente pari a 87,6 per cento e 135,5 per cento). La speranza di vita, a 65 anni, quale riduzione dei rischi di morte, si è accresciuta nella regione di oltre due anni e mezzo per entrambi i sessi nello stesso periodo, attestandosi nel 2010 a 18 anni per gli uomini e a 21,1 per le donne (rispetto ad una media nazionale rispettivamente pari a 18,4 e 21,9).


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        Tutto ciò, ovviamente, si è riflesso nella maggiore domanda di servizi sanitari e di prestazioni assistenziali, essendosi incrementato il numero di persone affette da gravi disabilità, per le quali, prevalentemente, occorrono strutture del territorio (assistenza domiciliare) piuttosto che ricorso all'ospedalizzazione.

        In Sicilia, secondo indagini ISTAT, circa un quinto degli anziani che vivono in famiglia è affetto da una grave disabilità, che diviene pari ad un terzo ove si considerino soggetti anziani con un'apprezzabile difficoltà nello svolgimento delle funzioni vitali; da queste percentuali sono esclusi quei soggetti anziani che soffrendo di disabilità non fisica, ma mentale, hanno comunque difficoltà a svolgere le attività essenziali della vita quotidiana. Nel 2060, secondo previsioni ISTAT, gli anziani rappresenteranno un terzo della popolazione e l'indice di vecchiaia dovrebbe superare il 290 per cento.

        Altro fattore, oltre a quello della «transizione epidemiologica» sopra evidenziato, è costituito dall'innovazione tecnologica e dal progresso scientifico: la sanità, com’è noto, è un settore nel quale le innovazioni di processo e di prodotto generano un aumento dei costi medi di produzione. Il fatto di poter trattare un numero crescente di patologie, prima considerate non curabili, comporta l'introduzione di procedure diagnostiche-terapeutiche complesse e costose, che spesso non determinano un risparmio di capitale umano.

        Un terzo fattore che determina l'incremento della spesa sanitaria è il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, cioè un maggior livello del PIL in termini reali. Vi è, infatti, una stretta correlazione tra il livello del PIL e quello della spesa sanitaria, pubblica e privata. Su questo ultimo punto, la Sicilia occupa l'ultima posizione in graduatoria e ciò richiede sempre più l'azione perequativa esercitata dal Servizio sanitario nazionale, per evitare che i divari Nord-Sud restino ancora così marcati.

        In questi ultimi anni, la Sicilia ha avviato un tentativo di percorso di riforma del proprio sistema sanitario regionale, a seguito, dapprima, dell'adozione nell'anno 2007 del piano di rientro, sottoscritto il 31 luglio 2007 e, dopo, del «Programma operativo 2010-2012», quale prosecuzione del predetto piano, approvato con delibera di Giunta n. 497 del 30 dicembre 2010 e reso esecutivo con decreto assessoriale n. 3254 di pari data (28).

        Elementi fondamentali di tale percorso sono:

            1) riorganizzazione strutturale della aziende sanitarie ed ospedaliere;

            2) controllo più stringente sui privati accreditati e sui professionisti;


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            3) ampliamento della medicina e delle cure di territorio con la contemporanea riduzione dell'area di «ospedalità».

        Difficile valutare, in sintesi e fin da subito, se siano stati più i risultati positivi già raggiunti, ovvero siano ancora presenti numerose criticità, soprattutto sulla qualità effettiva delle prestazioni, evidenziate da autorevoli soggetti istituzionali, quali la Corte dei conti (29), l'Agenas, l'Istituto superiore di sanità, nonché ulteriori osservatori scientifici e centri di ricerca. Certamente possono rilevarsi anche alcuni ambiti ed aree di eccellenza della sanità regionale quali, ad esempio:

            1) Centro cardiologico del Mediterraneo Bambino Gesù – ospedale San Vincenzo Taormina Cardiologia pediatrica; attivata la nuova risonanza magnetica pediatrica, unica in Sicilia (30).

            2) Laparoscopia della colecisti – Clinica S. Anna di Agrigento – fra le prime in Italia (31).

            3) Sale operatorie «intelligenti» – ISMETT – Smart Or (32).

            4) Utilizzo del Da Vinci – Operazione al fegato, per la prima volta al mondo in ISMETT (33).

            5) Ospedale Villa Sofia-Cervello Chirurgia robotica mininvasiva; costituenda scuola di specializzazione robotica siciliana.

            6) Villa delle Ginestre – Assistenza medodullesi – (500 ricoveri al 23 ottobre 2012), posti di riabilitazione pediatrica riservata a bambini con patologie midollari. Il 4 per cento dei pazienti arriva da fuori regione (34). Centro di diagnosi, cura, riabilitazione e reinserimento dell'ASP 6 di Palermo, con 69 posti letto, unica struttura specializzata del meridione.


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            6) Digitalizzazione della radiologia al Policlinico, Nuova Tac a risoluzione spaziale e agiografo digitale (35).

            7) Cardiologia a Catania, con le nuove sale di emodinamica e di elettrofisiologia dell'ospedale Ferrarotto di Catania, ove è possibile realizzare appieno il percorso diagnostico terapeutico per pazienti affetti da patologie più complesse grazie al cosiddetto heart team (36).

        Particolare attenzione merita, infatti, l'elevato «effetto annuncio» utilizzato dalla precedente governance sanitaria regionale, rispetto ai risultati effettivamente raggiunti, in luogo, pertanto, di quelli solo annunciati e sempre in fase di dichiarato miglioramento (37), rispetto ai tempi di verifica, di controllo, di confronto, con i risultati delle altre realtà sanitarie regionali.

        Un esempio è quello della sempre dichiarata possibilità teorica di riduzione delle aliquote dell'addizionale IRPEF e dell'IRAP affermata, numerose volte, dall'Assessore Massimo Russo, che motiva la mancata praticabilità di ciò, per via di altre emergenze regionali di bilancio (38). Un emendamento al decreto sulla spending review ha previsto il rincaro delle addizionali per le otto regioni con sanità in rosso e tra queste c’è la Sicilia (39).

        Il disavanzo cumulato, per gli anni 2007-2011, in Sicilia è pari a 1.166 milioni di euro (40). Da qui l'attenzione alla carenza di medicina del territorio, alla mobilità passiva sanitaria, ai numerosi casi di malasanità, alle liste di attesa, all'eccessivo ricorso a parti cesarei, ecc.

        Non v’è dubbio, come anche rilevato di recente dalla Corte dei conti (41), che la gestione della sanità sconti la difficile situazione


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economica della Regione siciliana, visto che quasi tutti i saldi fondamentali di bilancio, sulla base di quanto emerso nel rendiconto generale dell'esercizio finanziario 2011, sono risultati negativi.

        In particolare, oltre alle richieste statali di necessario contenimento della spesa che hanno influenzato il bilancio regionale, vanno segnalate le specifiche restrizioni aggiuntive della spesa del settore sanitario, previste dalla legge di stabilità 2013, pari a 600 milioni per il 2013 e a 1.000 milioni per il 2014 e 2015, misure queste che coinvolgono anche la Regione siciliana, tramite la prevista riduzione dei prezzi di beni e servizi e per i tagli sui dispositivi medici.

3.2.    La compartecipazione alla spesa sanitaria nell'ambito del bilancio regionale.

        Un elemento di rilevante importanza per l'esatta comprensione delle entità finanziarie che investono la sanità regionale è quello della compartecipazione del bilancio regionale. Il finanziamento dell'assistenza sanitaria avviene attraverso una compartecipazione della Regione siciliana che ha una dimensione percentuale passata dal 42,5 per cento (2006) al 49,1 per cento (2009), così come previsto dalla legge finanziaria 2007 (articolo 1, comma 830).

        Più precisamente, riportando i dati puntuali, rilevati altresì dalla documentazione della Corte dei conti (42), il finanziamento indistinto del sistema regionale sanitario, per l'anno 2011, pari a 8.558 milioni di euro (43), avviene nel seguente modo:

        L'ammontare del 49,1 per cento deve garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza complessivi nella regione.


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        Tale percentuale è stata ritenuta, da parte della Regione siciliana, elevata e comunque relativa solo ad alcuni anni: in particolare si sarebbe dovuta concludere nel 2010, dovendo ristabilirsi in quella minore del 42,5 per cento, a partire dal 2011. Tutto ciò è stato oggetto di analisi e contestazione, nell'ambito delle recenti riunioni congiunte del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza del 10 gennaio, del 30 marzo e del 24 luglio 2012.

        Solo nell'ultima riunione (24 luglio 2012), Tavolo e Comitato hanno ritenuto di valutare superate le criticità riscontrate nelle verifiche del 10 gennaio e del 30 marzo 2012, relativamente al disegno di legge regionale n.801 del 2011 («Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2012. Legge di stabilità regionale» (44)). Tutto ciò è rilevante, poiché il Tavolo ministeriale ha condizionato l'erogazione di risorse spettanti alla Regione siciliana alla copertura mediante la compartecipazione al 49,1 per cento (45).

        È da precisare, altresì, che la copertura della maggiore compartecipazione è stata attuata, nel 2011, previa intesa con il Governo nazionale, facendo ricorso ai fondi FAS, che, com’è noto, dovrebbero essere esclusivamente utilizzati per lo sviluppo e per gli investimenti e non in una modalità annuale, di natura congiunturale, a fronte di una richiesta statale che presenta i caratteri della continuità pluriennale.

        Per il 2012 si è riproposta la medesima questione e la Regione siciliana ha previsto la copertura dei circa 600 milioni necessari, derivanti dalla maggiore aliquota richiesta dallo Stato, con utilizzo dei fondi FAS (343 milioni) e per la parte residua attraverso le risorse provenienti dai migliori risultati reddituali attesi (avanzo sanitario), rispetto all'equilibrio di bilancio, così come verificato dai Tavoli tecnici ministeriali.

3.3.    L'analisi del risultato di esercizio sanitario 2011 della Regione siciliana.

        Qui di seguito si evidenziano i risultati di esercizio 2011, nell'ambito del sistema sanitario regionale composto dai risultati delle varie aziende ed enti sanitari e dalla Regione stessa.


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        Dai dati dei tavoli ministeriali, nella riunione del 24 luglio 2012, si rilevano i seguenti risultati di sintesi:

        Come può ben rilevarsi, la Regione siciliana presenta un disavanzo di 26,091 milioni di euro (46) che, tuttavia, per effetto delle coperture fiscali, diviene un avanzo di 356,921 milioni. Tale ultimo valore è tuttavia condizionato dalla possibile rideterminazione della stima dei gettiti derivanti dalle entrate fiscali, che saranno individuate a cura del competente dipartimento regionale delle finanze.

3.3.1.    L'analisi dei risultati delle aziende sanitarie regionali.

        L'analisi dei risultati reddituali delle singole aziende sanitarie della Regione (e di quest'ultima per la parte di sua esclusiva competenza), evidenzia i seguenti risultati di sintesi:

A) 12 aziende con risultato positivo per complessivi     
8,961
    
milioni di euro
B) 7 aziende con risultato negativo per complessivi     
-33.988
    
        »
Per un totale netto di perdita complessiva di -25.027         »

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        Si rileva dai dati la perdurante situazione di perdita sofferta dalle più grandi aziende sanitarie regionali, in particolare l'ASP di Messina (-17,416, pari al 51,24 per cento delle perdite globali del sistema regionale), quella di Catania (-6,485, pari al 19,08 per cento del totale perdite) e quella di Siracusa (-4,265, pari al 12,55 per cento delle perdite totali), l'AUOP Vittorio Emanuele di Catania (-2,376) e l'Arnas Civico di Palermo (-2,216).

        In particolare, per quanto concerne l'ASP di Catania, rilevante incidenza nel risultato negativo hanno gli interessi passivi (circa 8 milioni di euro) che vengono sostenuti per acquisire finanziamenti bancari (anticipazioni) per far fronte al pagamento dei fornitori, visti i cronici ritardi con i quali la Regione siciliana provvede all'erogazione delle somme.

        Qui di seguito si riporta la tabella che mette in evidenza il risultato di esercizio delle singole aziende per il 2011 (47).

RISULTATO ANNO 2011 (MIL. €)

ASP AGRIGENTO 35
ASP CALTANISSETTA 623
ASP CATANIA -6.485
ASP ENNA 21
ASP MESSINA -17.416
ASP PALERMO 3.681
ASP RAGUSA 246
ASP SIRAGUSA -4.265
ASP TRAPANI 799
AO EMERG. CANNIZZARO (CT) 586
AO GARIBALDI (CT) 413
AUOP VITTORIO EMANUELE (CT) -2.376
AO PAPARDO PIEMONTE (ME) -358
AUOP MESSINA 511
AO CERVELLO VILLA SOFIA (PA) -872
ARNAS CIVICO (PA) 2.216
AUOP PALERMO 958
IRCSS BONINO-PULEJO (ME) 1.088
REGIONE 1.619

3.4.    La situazione patrimoniale degli enti sanitari regionali.

        Ulteriori considerazioni vanno svolte con riferimento specifico alla situazione patrimoniale degli enti sanitari regionali. L'analisi deve vertere, pertanto, sui totali, rilevanti, dei crediti e dei debiti verso la Regione, verso i fornitori e altri soggetti e verso finanziatori, per via delle consistenti anticipazioni bancarie che, spesso, gli enti sanitari si trovano a dover attivare, a seguito del ritardo con cui ricevono le risorse dalla Regione, la quale, a sua volta, le attende e le riceve dallo Stato.


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        È stato necessario porre in essere una rilevante azione di allineamento tra quanto emergeva dai bilanci delle aziende sanitarie regionali nei confronti della Regione a titolo sia di crediti derivanti dal fondo sanitario regionale indistinto, sia per la copertura delle perdite pregresse, relative alle posizioni debitorie delle aziende, a loro volta, verso la Regione, soprattutto per effetto del mutuo contratto con il Ministero dell'economia e delle finanze. Tale operazione di compensazione/conguaglio è avvenuta e gli effetti sono stati contabilizzati nei bilanci chiusi al 31 dicembre 2010.

        In particolare, l'ammontare dei crediti vantati dalle aziende sanitarie regionali verso la Regione per perdite da coprire è di circa 1.219 milioni, somma coperta dalla Regione stessa, con riferimento agli anni 2005, per euro 747 milioni e precedenti, mentre restano da saldare ulteriori 472 milioni per gli anni 2006-2011 (48).

        Con riferimento all'attesa, integrale copertura finanziaria di tali perdite, l'Assessorato regionale fa rilevare (49):

             per 264 milioni, si riscontra in parte nei «Fondi transitori di accompagnamento statali», da impegnare sul bilancio regionale al momento dell'avvenuto incasso dallo Stato;

             per ulteriori 190 milioni di euro, da prelevare dal «Fondo di riserva per le spese obbligatorie e di ordine e per la rassegnazione dei residui passivi di parte corrente, eliminati negli esercizi precedenti per perenzione amministrativa»;

             per ulteriori 34 milioni di euro, nel gettito da maggiorazione delle aliquote fiscali per l'anno 2012.

        Pertanto, l'Assessorato fa rilevare un'eccedenza di copertura di 16 milioni di euro.

        L'analisi della posizione debitoria complessiva delle aziende sanitarie regionali è articolata.

        L'importo complessivo al 2011 è di 4.444 milioni di euro, di cui ben 2.356 riguardano forniture di beni e servizi. I maggiori importi debitori sono relativi alle ASP di Catania (17,7 per cento del totale), ASP di Palermo (12,7 per cento) e all'ASP di Messina (11,9 per cento). Su tale punto, sempre sulla base di ulteriore e recentissima documentazione analizzata (50), l'Assessorato sottolinea che si tratta di «una criticità quasi del tutto superata per effetto delle iniziative intraprese nel 2012».

        Infatti, l'Assessorato ha liquidato alle aziende sanitarie regionali, nel corso dei primi mesi del 2012, spettanze di loro competenza per 744 milioni; nonché, sempre nei primi mesi del 2012, ulteriori quote di Fondo sanitario corrente 2011 per circa 2.400 milioni, in quanto l'ammontare definitivo della quota di riparto del FSR 2011 è stata resa nota solo nel dicembre 2011.


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        Tali somme hanno consentito la riduzione dell'esposizione debitoria verso fornitori delle aziende.

        I tempi medi di pagamento sono pari a circa 288 giorni, all'interno di un range che va da un minimo di 127 giorni ad un massimo di 880 giorni. Su questo punto, l'Assessorato fa rilevare i seguenti dati, differenziando fornitori «in convenzione» da «altri fornitori» (51):

        tempi medi pagamento fornitori in convenzione = da 30 a 90 gg;

        tempi medi pagamento altri fornitori = da 90 a 210 gg.

        In base ai dati dell'Assobiomedica, nel primo trimestre 2012 i tempi continuano ad aumentare, in Sicilia si è a 294 giorni in media (52). La posizione debitoria verso gli istituti tesorieri, al 31 dicembre 2011, segna un valore complessivo di 1.092 milioni ( 5,25 per cento), pari al 25 per cento del debito complessivo.

        È certamente da segnalare, poi, anche se non rilevato nei sistemi contabili delle aziende sanitarie regionali, il debito verso il Ministro dell'economia e delle finanze assunto in sede di piano di rientro, di durata trentennale, originariamente pari a 2.640 milioni, destinato a saldare il debito verso i fornitori e ad estinguere le operazioni finanziarie, sino all'anno 2005, il cui importo residuo ad oggi è pari a 2.503 milioni, con rata annuale di 180 milioni.

3.5.    Gli elementi di criticità nell'attuazione del programma operativo 2010-2012.

        Gli elementi di criticità che ancora vengono riscontrati, dai tavoli ministeriali e da altri osservatori (53), in riferimento alla piena attuazione del programma operativo 2010-2012, adottato dalla Regione ai sensi dell'articolo 11, comma 1 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, nei termini del piano per la salute del dicembre 2009 (54) e che sono ancora oggi causa della mancata integrale erogazione alla Regione delle risorse da parte dello Stato, possono così essere riassunti e qui di seguito analizzati:

            1) Problematiche riguardanti le politiche di assunzione/reclutamento del personale/mobilità/rideterminazione delle dotazioni organiche;


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            2) Mancata attuazione della vigente normativa in tema di sanità penitenziaria;

            3) Attuazione della rete ospedaliera;

            4) Processo di riordino del sistema di emergenza urgenza, piano industriale, SEUS, 118;

            5) Assistenza territoriale residenziale e domiciliare;

            6) Sperimentazioni gestionali;

            7) Analisi dei costi sanitari;

            8) Analisi dei costi di acquisto di beni e di servizi;

            9) Liste di attesa;

            10) Mobilità;

            11) Protocolli d'intesa con le università;

            12) Indicatori di efficienza e di qualità delle prestazioni sanitarie.

3.5.1.    Politiche delle risorse umane.

        Le risorse umane coinvolte nel sistema sanitario regionale sono pari a 50.000 unità (55) (32.581 del ruolo sanitario), con un costo complessivo di circa 3 miliardi (35 per cento del costo complessivo). Nel corso dell'ultimo anno si è avuta una diminuzione di circa 500 unità. I soggetti che operano nell'ambito dell'emergenza urgenza (118), a seguito delle assunzioni avvenute nel 2006 (1440 dipendenti), oltre a quelli già in servizio, sono pari a circa 3000 unità.

        La problematica attuale riguarda l'attuazione delle linee di indirizzo sulle dotazioni organiche, sulla loro rideterminazione, alla luce anche delle numerose iniziative di reclutamento del personale, sia sotto forma di mobilità, sia di nuove procedure concorsuali attualmente in essere, per un valore complessivo di circa 2.800 unità.

        L'ex assessore alla sanità, di recente, ha disposto il blocco delle assunzioni, nonostante le numerose procedure selettive già indette anche a ridosso delle recenti tornate elettorali regionali.

        L'assessorato ha impartito attraverso alcune circolari disposizioni relative alle assunzioni in attesa del ridisegno dei posti letto. Ciò nonostante le aziende sanitarie hanno bandito, tra gli altri, concorsi per incarichi quinquennali nell'ASP di Catania (radiodiagnostica, neuropsichiatria e psichiatria), nell'ASP di Enna (dermatologia e


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medicina di accettazione e d'urgenza), nell'ospedale Umberto I di Enna (laboratorio di sanità pubblica, radiologia e dipendenze patologiche), nell'ASP di Caltanissetta (chirurgia d'accettazione e d'urgenza, urologia), nell'ASP di Palermo (direttore medico di Villa delle Ginestre).

        L'Assessorato regionale ritiene che le procedure di reclutamento non contravvengano alle disposizioni nazionali in tema di contenimento della spesa per il personale, in quanto ricompresi nelle dotazioni organiche delle aziende, già approvate dallo stesso, nel rispetto dei relativi tetti di spesa. Lo scorso 6 novembre 2012, l'Assessore Russo, come già detto, ha imposto in via precauzionale di sospendere l'attribuzione degli incarichi; il blocco riguarda tutti gli incarichi dirigenziali e durerà sino all'emanazione delle direttive che la nuova Giunta regionale, di recente insediamento, riterrà di assumere.

        Sulla questione in oggetto sono da svolgersi alcune considerazioni, con riferimento alle procedure alle scelte effettuate dai manager e nelle diverse aziende sanitarie regionali. In particolare, nell'ambito dell'ASP 6 di Palermo, sin dallo scorso marzo 2012, sono state assegnate tredici posizioni, messe a concorso, con riferimento a dieci direttori di distretto e tre di PTA.

        L'Assessore Massimo Russo ha messo a bando tutti i posti relativi a infermieri, tecnici, fisioterapisti, ecc., riservandone il 50 per cento alla mobilità interna, nell'ambito del maxi concorso per la definizione delle piante organiche delle strutture sanitarie siciliane.

        L'Ospedale Villa Sofia-Cervello ha assegnato tre incarichi a tempo determinato di dirigente biologo, mentre l'ASP di Palermo ha riaperto i termini per le graduatorie di collaboratore professionale.

        Oltre un centinaio di posti risultano assegnati a Siracusa, uno a Messina (dirigente medico di cardiologia), in uno con la creazione di long list di aspiranti contrattisti a tempo indeterminato.

        L'AUOP di Palermo ha pubblicato bandi per formare nuove graduatorie, mentre l'ASP di Trapani ha messo a bando 40 posti a tempo indeterminato. L'11 agosto 2012, il manager dell'ASP 6 di Palermo ha effettuato 101 nomine. A settembre 2012 sono stati banditi concorsi per ulteriori 267 nuovi posti.

        Si segnala, da ultimo, come vengano assegnati altri 2,6 milioni per i rimborsi del personale delle aziende sanitarie, in posizione di comando presso l'assessorato, sempre a carico del bilancio regionale (56).

3.5.2.    Mancata attuazione della vigente normativa in tema di sanità penitenziaria.

        Ad oggi è da rilevarsi l'effettivo trasferimento delle competenze della medicina penitenziaria dallo Stato alla Regione, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008. Ciò ha comportato una rideterminazione, da parte del tavolo ministeriale, di un importo per 17,808 milioni di euro.


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        I Tavoli ministeriali hanno richiesto alla Regione di provvedere con urgenza a costruire con maggior dettaglio il programma di organizzazione dei servizi da attivare nelle carceri, alla luce della normativa di riferimento.

        Tuttavia è da precisare, sulla base di quanto rilevato nell'ultimo verbale del 24 luglio 2012, che la Regione ha risolto l'inadempienza relativa alla sanità penitenziaria sugli anni 2009 e 2010 e i Tavoli ministeriali, preso atto che quanto predisposto dalla regione è stato già trasmesso al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro della giustizia e al Ministro della salute e che si è in attesa di conoscere l'esito delle relative valutazioni, ritiene assolto tale punto da parte della Regione.

3.5.3.    Attuazione della rete ospedaliera.

        Si evidenzia, sulla base di quanto riportato nell'ultimo verbale di riunione dei Tavoli ministeriali, una valutazione positiva delle azioni inerenti la rimodulazione della rete ospedaliera, ma vengono ribadite le criticità delle reti territoriali.

        Con riferimento specifico ai posti letto, continua la riduzione, pari oggi a 19.558 (20.886 nel 2007), con una riduzione complessiva pari a circa 1.300 p.l.

        Con riferimento a quanto previsto dal decreto sulla cosiddetta spending review, si hanno differenti valori. Infatti i posti letto complessivi al 1o gennaio 2012 pari a 16.915, di cui 15.036 per acuti e 1.879 per post acuti, diverranno, per effetto dell'intervento normativo, 14.118 per acuti e 3.294 per post acuti (quindi, questi ultimi, subiranno un aumento), per un totale di 17.412, con un saldo positivo tra acuti e post acuti di 497 posti letto.

        Ciò può consentire di raggiungere gli indicatori standard di 3,7 posti letto per mille abitanti, di cui 3 per acuti e 0,7 per lungodegenze, come previsto dalla normativa. Il citato verbale del Tavolo tecnico evidenzia, altresì, che la Regione non ha fornito puntuali indicazioni di carattere organizzativo tali da consentire precise ricadute nella strutturazione aziendale, con riferimento all'attuazione dei piani attuativi aziendali.

        I Tavoli rimangono ancora in attesa di un atto regionale che individui il numero massimo di strutture complesse e strutture semplici per ciascuna azienda sanitaria e dell'avvenuta determinazione, da parte delle aziende, dei fondi contrattuali ai sensi della legge 122 del 2010.

        Anche all'esito di specifico sopralluogo effettuato da questa Commissione il 4 aprile 2011, si vuole qui evidenziare la tanto attesa apertura, finalmente avvenuta, dell'Ospedale di Lentini (Siracusa), il 17 ottobre 2011; a circa sei mesi dalla sua apertura, si è registrato un incremento della produttività di circa il 20-30 per cento, con sensibile riduzione della mobilità in uscita, con incremento di attrattività di pazienti, il trasferimento dei reparti di ostetricia e ginecologia dall'ospedale di Moscatello di Augusta.

        Sempre con riferimento alla zona di Siracusa, si è programmata, con il supporto anche dell'Agenas, la sistemazione organica tra gli ospedali di Noto e di Avola: nel primo saranno collocate le attività per post-acuti, nel secondo tutte quelle per acuti. Anche in questo caso


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la vicenda è stata più volte monitorata dalla Commissione, sia con specifiche audizioni sia con acquisizioni documentali.

3.5.4.    Processo di riordino del sistema di emergenza urgenza, piano industriale SEUS, 118.

        Il processo di riordino del sistema regionale di emergenza e urgenza è stato oggetto di uno specifico filone di inchiesta condotto dalla Commissione, che ha evidenziato alcune criticità in ambito ospedaliero, relativamente alle reti assistenziali dell'emergenza ad alta complessità, come la rete per cardiologia, trauma e ictus.

        Riguardo al completamento del processo di riordino, i Ministeri affiancanti hanno richiesto chiarimenti in ordine alla composizione degli equipaggi dei mezzi di soccorso e alla garanzia dei radiocollegamenti. La regione ha precisato che al personale ex SISE, assunto alla SEUS, si applica il CCNL della sanità privata (AIOP), senza però fornire informazioni sul costo del suddetto personale.

        Inoltre, si ricorda che persiste una problematica relativa all'assorbimento di circa 400 autisti soccorritori che dovrebbero transitare nelle aziende sanitarie regionali e che tuttavia ancora necessitano di idonea formazione specifica.

        Infine, si segnala il rilevante contenzioso ancora in essere, così come confermato dalla Procura regionale della Corte dei conti nell'audizione del 7 novembre 2012, tra la Regione e la Croce rossa italiana (CRI), pari a circa 40 milioni di euro, a seguito di un decreto ingiuntivo della CRI nazionale, nonché un contenzioso tra la regione e la SISE per circa 49 milioni.

        Sono stati stanziati 2 milioni di euro di contributi regionali extrafondo per il servizio emergenza-urgenza (57). Il personale che lavora alla SEUS è stato assunto senza concorso a condizione di rinunciare allo straordinario maturato alle dipendenze della CRI, in cambio di un contratto full time. I 3 mila e 34 autisti soccorritori (oltre a 250 amministrativi), che mantengono attive 260 ambulanze, si sono rivelati in esubero: 400 dovranno quindi essere utilizzati in altre mansioni. Invero, ad oggi, l'operazione di riqualificazione del personale non è ancora terminata (58) e c’è ancora personale da ricollocare. Oggi il costo del servizio è maggiore del 25 per cento (22 milioni di euro) rispetto a quanto costava prima con la CRI (59).

3.5.5.    Assistenza territoriale residenziale e domiciliare.

        Il programma operativo aveva approvato un cronoprogramma che prevedeva le seguenti attivazioni dei presidi territoriali di assistenza (PTA):

            entro il 31 dicembre 2010 = 19 PTA;


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            entro il 31 dicembre 2011 = 10 PTA;

            entro il 31 dicembre 2012 = 18 PTA,

            per un totale di 47 PTA.

        La Regione ha attivato, al 31 dicembre 2011, 14 PTA, in luogo dei 29 previsti dal cronoprogramma. Alla data del verbale dei Tavoli ministeriali del 24 luglio risultavano attivati 33 (60) PTA sui 47 previsti.

    3.5.5.1.    Salute mentale.

        I Tavoli ministeriali, dall'analisi della documentazione prodotta dalla Regione – piano strategico per la salute mentale – evidenziano:

            – il mancato recepimento dell'accordo Stato-Regioni inerente «le raccomandazioni in merito all'applicazione di accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori per malattia mentale»;

            – la mancanza di un cronoprogramma puntuale per il raggiungimento degli obiettivi.

        Relativamente all'offerta assistenziale in regime di semiresidenzialità, occorre articolare l'orario del personale addetto alle strutture su otto ore giornaliere, anziché sei, come indicato nel piano regionale.

        In definitiva, l'obiettivo di completamento del processo di riconversione delle case di cura psichiatriche risulta essere ancora in fase di attuazione.

3.5.6.    Sperimentazioni gestionali.

        Vengono evidenziate criticità relativamente alle seguenti realtà sanitarie: Fondazione Maugeri, Ismett, Fondazione San Raffaele-Giglio e Istituto Rizzoli di Bagheria.

3.5.6.1.    Fondazione Maugeri.

        I Tavoli ministeriali evidenziano che la Fondazione Maugeri non può assimilarsi ad un istituto di sperimentazione gestionale così come previsto dal decreto legislativo n. 502 del 1992 (61). Inoltre, vengono segnalate criticità connesse al personale interessato. Come riportato recentemente da organi di stampa, la Fondazione Maugeri risulta oggetto di una inchiesta giudiziaria relativamente a vicende riguardanti anche le sedi realizzate a Sciacca e Mistretta.

        La dislocazione in Sicilia è iniziata nel 2001, nel 2003 ha avuto luogo il protocollo d'intesa, nel 2004 il decreto di approvazione del protocollo. L'ex amministratore delegato del gruppo, Umberto Maugeri, avrebbe confermato il pagamento di somme per sbloccare l'apertura dei reparti di Sciacca e Mistretta. Di 600 posti previsti dalla convenzione, per i quali la Regione ha pagato 700 mila euro al gruppo lombardo, ne sono stati realizzati appena un decimo.


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3.5.6.2.    Ismett.

        Il centro – Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione – è frutto della collaborazione tra la Regione siciliana e l'Università di Pittsburgh (UPMC); nato nel 1997 e operativo dal 1999, ne è oggi socio di maggioranza l'Ospedale Civico, con il 55 per cento delle quote azionarie. Il livello di informatizzazione dell'attività ospedaliera raggiunto dall'Ismett si colloca al 6o grado sui 7 previsti dagli standards internazionali dello Healthcare information and management systems society. Fa uso della cartella clinica elettronica, che integra gli interventi clinici con i relativi dati economici. Il suo peso medio del DRG è più del doppio dell'ospedale più complesso d'Italia.

        Si tratta di un modello di partnership pubblico-privato che permette la consulenza remota dei medici di Pittsburgh, per una second opinion su casi complessi come i trapianti di fegato in pazienti pediatrici. Civico e Ismett si presentano sempre più come un unico centro ospedaliero. Si punta ad unire anche fisicamente le due strutture, con riferimento al progetto del centro Cuore. È previsto anche un ponte che unirà il Civico e l'Ismett per il trasferimento dei pazienti.

3.5.6.3.    San Raffaele Giglio.

        L'ospedale, che fa capo a una fondazione ove sono presenti la Regione, l'ASP e il Comune di Cefalù, ha ricevuto un finanziamento dal Ministero della salute per circa 4 milioni di euro, che gli consentirà di completare un nuovo reparto di rianimazione e una nuova area per pazienti in stato neurovegetativo cronico.

        L'ospedale aspira a divenire un istituto oncologico siciliano autonomo. Ogni anno effettua circa 5.200 interventi chirurgici, 250.000 prestazioni ambulatoriali e conduce 80 sperimentazioni cliniche. Inoltre saranno realizzate due nuove sale operatorie, destinate ai settori delle discipline chirurgiche che trattano pazienti oncologici e interventi di alta complessità.

        Nel maggio di quest'anno si è verificato l'abbandono da parte del San Raffaele di Milano – a causa delle note vicende finanziarie che lo hanno coinvolto – dell'Ospedale Giglio e il passaggio del San Raffaele alla società per azioni Velca (del gruppo sanitario Rotelli), non più interessata alla collaborazione con il Giglio di Cefalù. Numerose sono, invero, le problematiche sul tavolo. In primo luogo, l'amministratore delegato del San Raffaele di Milano ha intimato al Giglio la cessazione di ogni utilizzo del segno distintivo o del marchio in quanto di esclusiva proprietà del San Raffaele.

        Riflessi sulla governance si sono avuti nel consiglio di amministrazione dell'ospedale, anche se il presidente del Giglio assicura la piena funzionalità della struttura e ricorsi contro il divieto di utilizzo del marchio. Sussiste inoltre un contenzioso notevole che ha condotto a perdite significative del Giglio, dovute al mancato versamento dei rimborsi di migliaia di prestazioni sanitarie svolte tra il 2003 e il 2008, contestate dall'ASP.


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        Le perdite pregresse ammontano ad oltre 36 milioni di euro, tanto da aver costretto l'ASP 6, titolare del 25 per cento della proprietà, ad effettuare un accantonamento di 9,2 milioni di euro per la parte di copertura delle perdite di propria competenza (62).

3.5.6.4.    Istituto Rizzoli di Bagheria.

        Il dipartimento Rizzoli Sicilia è ospitato nella struttura di Villa Santa Teresa di Bagheria, un bene confiscato alla mafia. L'apertura del nuovo ambulatorio di ortopedia è avvenuta il 1o febbraio 2012, con prenotazioni molto elevate, tanto da non aver potuto consentire posti liberi sino al mese di luglio 2012. La struttura è diretta da un dirigente medico e specialista in ortopedia del Rizzoli di Bologna e coadiuvata da sette ortopedici e un anestesista.

        Vengono segnalate criticità sia per quanto riguarda il protocollo d'intesa, sia per la convenzione. Vi sono poi criticità in ordine al personale interessato. La convenzione prevede la realizzazione di un dipartimento ortopedico di 84 posti letto, tre sale operatorie e cinque ambulatori per visite specialistiche. L'accordo firmato, valido sino al 2020, prevede che la Sicilia versi all'Istituto 18 milioni per 2.300 interventi l'anno di alta complessità ed altre prestazioni, in futuro anche oncologiche.

3.5.7.    Analisi dei costi sanitari.

        I costi operativi (interni ed esterni (63), pari al 96,56 per cento dei costi totali) crescono dell'1,25 per cento, rispetto al 2010, con un valore assoluto di 106 milioni di euro. I costi interni assorbono il 59,11 per cento dei costi operativi, mentre i costi esterni il 40,88 per cento. Il 2011 vede un aumento dei costi interni ( 2,52 per cento) e una leggera flessione di quelli esterni (-0.53 per cento). Ciò è dovuto, per i costi interni, alla marcata riduzione del costo del personale (-39 milioni) e, per i costi esterni, alla riduzione della farmaceutica convenzionata (-69 milioni). Quasi tutte le altre componenti registrano aumenti rispetto al 2010, alcune in misura superiore alle previsioni del programma operativo.

        Tuttavia il complesso dei costi operativi (interni ed esterni) risulta in linea con i valori del programmatico di piano, con uno scostamento


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complessivo del 0,20 per cento, pari a 17 milioni in più rispetto alle previsioni del programma operativo (64).

3.5.8.    Analisi dei costi di acquisto di beni e servizi.

        Rientrano in questa voce la spesa per prodotti farmaceutici, per beni sanitari e non sanitari e per servizi non sanitari. Ulteriori criticità presenta la spesa per acquisto di beni e servizi, il cui valore complessivo è salito nel 2011 dell'8,37 per cento rispetto al 2010, con un'inversione di tendenza rispetto al decremento del 3,49 per cento del 2010 sul 2009. All'interno di tale voce aggregata, l'incremento dell'acquisto dei beni è stato pari al 6,15 per cento, in misura molto superiore alla media nazionale (2,4 per cento).

        All'interno, ancora, della voce beni, quella per la spesa per prodotti farmaceutici ed emoderivati è aumentata del 7,70 per cento. Gli altri beni sanitari registrano un incremento del 4,12 per cento rispetto al 2010. La spesa per acquisti di beni non sanitari registra un incremento del 9,57 per cento, con un'inversione di tendenza rispetto al trend decrescente registrato sin dal 2008.

        I costi dei servizi ritornano a crescere nel 2011, con un incremento del 3,81 per cento. All'interno di questa voce i servizi non sanitari esternalizzati hanno subito un incremento del 10,03 per cento (65).

        I tetti alla crescita di tali spese, previsti dalle varie leggi finanziarie regionali, non sono mai stati rispettati dalle aziende sanitarie regionali. Si ha un eccessivo ricorso alle procedure di acquisto in economia (nel 2010 pari a ben 1250) e si rilevano acquisti operati al di fuori delle previste procedure centralizzate. E ciò nonostante l'articolo 5 della legge regionale n. 5 del 2009 disponga, al comma 9, che il territorio della regione sia diviso in due bacini, uno occidentale e uno orientale, con la costituzione, così come previsto dal decreto assessoriale del 2 novembre 2009, dei due comitati di bacino. Le linee guida per l'avvio delle attività dei comitati di bacino sono state adottate con decreto assessoriale del 19 gennaio 2010.

        Tutto ciò è sottoposto al controllo di un Comitato guida regionale, al fine di giungere a una soglia minima di acquisti centralizzati (40 per cento) e soprattutto alla riduzione dell'eterogeneità dei prodotti, delle giacenze di magazzino e della variabilità nei prezzi d'acquisto. Si dà atto che, per fronteggiare tutto ciò, l'Assessorato ha emanato disposizioni sino alla recente circolare (9 agosto 2012, n. 1295), nella quale vengono forniti puntuali atti di indirizzo, rivolti anche ai collegi sindacali.

        Le considerazioni di cui sopra vengono ridimensionate dall'Assessorato regionale, che afferma che sono in «corso di esperimento ed aggiudicazione numerose gare centralizzate di bacino», per cui rinvia all'esito di queste la valutazione del giudizio sugli effetti positivi della spesa (66).


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        Sulla base dei conti consolidati rilevati dal NSIS (Sistema informativo sanitario), nella media del triennio 2008-2010, la spesa sanitaria pro capite sostenuta in favore dei residenti in Sicilia è stata pari a 1.725 euro, inferiore alla media delle RSS e a quella italiana (rispettivamente 1.833 e 1.838 euro), anche al netto del saldo relativo alla mobilità interregionale, nonché ponderando per età e incidenza delle malattie croniche; nello stesso periodo la spesa complessiva è aumentata in media dello 0,5 per cento annuo, un tasso inferiore alla media delle RSS e del Paese (2,1 per cento).

        Si è rilevato un incremento del costo dei prodotti farmaceutici delle aziende di 15,6 milioni rispetto al dato programmato 2011. In base ai dati OSMED, relativamente ai primi nove mesi del 2011, la spesa farmaceutica lorda pro capite per i farmaci di classe A-SSN (rimborsati dal sistema sanitario) in Sicilia è risultata pari a 195,6 euro (livello più elevato in Italia) a fronte di una media nazionale pari a 154,6 euro.

        La Sicilia è la prima regione sia per numero di dosi definite giornaliere per mille abitanti (DDD), sia per costo medio per giornata di terapia: rispettivamente, il 13,6 e il 16,3 per cento in più della media nazionale. Nonostante ciò, la spesa lorda totale per i farmaci di classe A-SSN si è ridotta del 2,5 per cento, per effetto di una riduzione dei prezzi dei farmaci; tale spesa è pari al 10,1 per cento del totale nazionale (67).

        Il rapporto annuale Federfarma per il 2011 evidenzia un incremento del numero di prescrizioni, ma una diminuzione della spesa per i farmaci. Nell'isola sono state prescritte 57.839.468 ricette (quasi un milione in più rispetto al 2010) e con un incremento del 14 per cento in cinque anni. Tuttavia si è avuta una riduzione del 23,8 per cento del costo, passato da 1.055.463.000 euro nel 2010 a 994.528.000 euro nel 2011. Desta preoccupazione l'incremento della spesa farmaceutica ospedaliera, che continua a sforare il tetto di spesa (68).

3.5.9.    Liste di attesa.

        Nel 2011 l'Assessorato regionale alla salute aveva emanato il decreto per governare i tempi d'attesa di visite ed esami. Ad oggi le liste d'attesa continuano a essere molto lunghe. In una ricognizione effettuata dal quotidiano La Repubblica, riguardo a Palermo, del 1o marzo 2012, si rileva quanto segue.


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        Il Ministero della salute, nel marzo 2012, nell'ambito delle valutazioni su ospedali e strutture sanitarie, attraverso le classifiche redatte all'Agenas, evidenzia per la Sicilia tempi di attesa molto lunghi per alcuni interventi.

3.5.10.    Mobilità.

        La mobilità passiva, come affermato dalla Corte dei conti, nell'ultimo giudizio di parificazione (69) si mantiene su valori ancora molto elevati. I dati, riferiti al 2010, mostrano nel 2012 un aumento dei ricoveri fuori regione pari a 874 ricoveri (dai 55.849 ai 56.723 del 2010).

        Si è verificato nel 2010, rispetto al trend di progressiva riduzione della mobilità passiva, registrato dal 2003, un 1,56 per cento, rispetto al 2009. Nel 2011 la mobilità passiva è rimasta quasi uguale a quella del 2010, pari a 235 milioni di euro, ossia 3 milioni in meno rispetto all'anno scorso. La mobilità attiva incide per 50 milioni di euro


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(un milione in meno rispetto al 2010) e si riduce di 2.473 unità (da 20.615 ricoveri nel 2009 a 18.142 nel 2010) (70).

        Si evidenzia un netto divario tra l'indice di fuga, ancora alto, e l'indice di attrazione. La media dei valori finanziari della mobilità passiva dal 2003 è di circa 164 milioni annui. Significativi i dati relativi alla mobilità passiva verso la Lombardia. Nel 2012 sono state effettuate prestazioni sanitarie nelle strutture lombarde per 92,3 milioni di euro, relativamente a 910.179 prestazioni, così suddivise:

            – 541 voli in elisoccorso, per un importo di 185.932 euro;

            – 4.217 cure termali, per un importo di 34.776,81 euro;

            – 125.069 prestazioni ambulatoriali specialistiche, per un importo di 11.232.019 euro;

            – 135.759 interventi di medicina generale, per un importo di 887.440,53 euro;

            – 16.492 ricoveri in day hospital(71), per un importo di 72.777.063,68 euro;

            – 68.351 di farmaceutica, per un importo di 2.086.253,25 euro;

            – 459.750 somministrazioni dirette di farmaci per un importo di 5.134.245,21 di euro.

        Un'iniziativa volta a ridurre la mobilità passiva è quella che riguarda l'accordo di collaborazione con il Gaslini di Genova. I medici di questa struttura opereranno insieme a quelli del Civico. I pazienti pediatrici siciliani che si curano in strutture di altre regioni sono circa 10.000 e di questi circa il 25 per cento si reca proprio al Gaslini. Tale sinergia riguarderà neochirurgia, oftalmologia e chirurgia urologia. Un protocollo d'intesa è stato firmato e avrà durata sino al 2015. L'accordo non prevede un canone annuale, bensì il solo rimborso delle prestazioni.

3.5.11.    Protocolli d'intesa con le università.

        Si tratta, in particolare, degli accordi fra la Regione siciliana e le università di Palermo, Messina e Catania, per il trasferimento dei costi del personale universitario sanitario, tecnico, amministrativo, operante in convenzione con le aziende del Servizio sanitario regionale. Si rileva che a tale trasferimento, di cui agli accordi quadro tra Regione e università, non è associato il corrispondente trasferimento delle risorse finanziarie, né la contestuale riduzione degli organici delle università.


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        L'iniziativa prevede, pertanto, maggiori oneri per il SSR e, ove attuato, dovrebbe comportare riduzione degli organici aziendali universitari. I Tavoli ministeriali hanno invitato la Regione a revocare gli accordi intercorsi, in quanto in aperto contrasto con il piano di rientro.

3.5.12.    Indicatori di efficienza e di qualità delle prestazioni sanitarie.

        Tra i vari indicatori, rilevatori dell'efficienza e della qualità delle prestazioni sanitarie rilevabili nelle aziende sanitarie regionali, oltre a far ampio rinvio ai dati forniti dalla Corte dei conti (72), si segnalano in particolare:

            un indice di case mix inferiore alla media nazionale;

            una diminuzione dei DRG a rischio di in appropriatezza;

            un'alta percentuale di parti cesarei, rispetto alla media italiana.

        Con riferimento al primo indicatore, l'Assessorato, con nota recente, ribadisce che non è in condizione di calcolarlo, non essendo ancora disponibile il dato nazionale del 2011. Segnala, tuttavia, un graduale miglioramento del peso medio regionale dei DRG (indicatore di complessità dei ricoveri), che passa da 1,41 nel 2009 a 1,49 nel 2011, e di quello dei ricoveri in day hospital, che passa da 0,9681 nel 2009 a 1,0043 nel 2011 (73).

        In particolare, con riferimento a quest'ultimo indicatore, si segnala una percentuale di cesarei pari al 52 per cento del totale a fronte di una media nazionale del 38 per cento, con particolare accentuazione nelle case di cura private accreditate, ove questa raggiunge il 75 per cento.

3.6.    Gli investimenti in innovazione tecnologica con fondi europei.

        Si riporta un elenco, in sintesi, delle nuove tecnologie disponibili in Sicilia (al giugno 2012), grazie ai fondi strutturali europei:

            1) 28 nuove TAC, di cui 25 già installate;

            2) 24 RMN, di cui 5 già installate;

            3) 12 nuovi angiografi digitali, di cui 10 già installati;

            4) 23 nuovi mammografi digitali, di cui 10 già installati;

            5) 15 nuove gamma camere per scintigrafie, di cui 4 già installate;

            6) 8 acceleratori lineari, di cui 2 già installati.


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3.7.    Considerazioni finali.

        Si possono distinguere due ordini di considerazioni finali: le prime vertono su alcune problematiche ancora aperte, in attesa di perfezionamento/soluzione, ovvero su criticità ancora molto evidenti; le seconde costituiscono elementi di sintesi del lavoro complessivo.

    1) Gestione del CUP – Centro Unico Prenotazioni del Sistema Sanitario Regionale siciliano.

        Purtroppo, si deve prendere atto che tale problematica è ancora in via di soluzione. Il progetto ha avuto un lungo periodo di stallo, originatosi dalla messa in liquidazione della società regionale preposta all'attivazione tecnica del progetto, la Sicilia e-Servizi. Solo da poco tempo la predetta società è stata riportata in bonis. Il CUP metropolitano di Palermo ha riguardato le tre aziende – ASP Palermo, ASP Trapani e Arnas Civico, che utilizzano attualmente lo stesso sistema operativo. Nel corso del mese di novembre 2012, d'accordo con le tre aziende, sono state definite le prestazioni da porre in circolarità sovra aziendale.

        Il processo riguarderà anche l'azienda ospedaliera Villa Sofia-Cervello e l'AUOP Palermo, che hanno aderito al CUP Sicilia e-servizi: l'azienda Villa Sofia-Cervello mediante integrazione del proprio CUP locale con il CUP di Sicilia e-Servizi e l'AUOP mediante adesione al sistema CUP di Sicilia e-Servizi.

        Successivamente il processo riguarderà la fornitura di software SOVRACUP alle altre aziende sanitarie dell'intero territorio isolano (74).

        Come può evincersi non vi sono certezze sui tempi e sulle modalità attuative puntuali. Si rileva la necessità, altresì, di un potenziamento del CUP dell'ASL 6 di Palermo (75).

    2) Gestione dei punti nascita (riduzione da 70 a 43 strutture).

        Sono stati soppressi ventisette punti nascita che non raggiungevano lo standard di 500 parti all'anno, conformemente alle prescrizioni emanate con decreto assessoriale del gennaio 2012, che prevede, a regime, un numero di 1000 parti l'anno, nell'arco del triennio.

        La rete del parto è stata riorganizzata in 15 punti nascita di secondo livello (strutture con una media di 1500 parti l'anno) dotate di UTIN, rianimazione e pediatria, e 27 reparti di primo livello (con uno standard tra 500 e 1000 parti), con minori servizi, ma dotate del trasporto materno e neonatale, per eventuali trasferimenti in un ospedale di secondo livello.


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        Sono stati mantenuti alcuni punti nascita, anche se il loro numero è inferiore ai 500 parti, in virtù di alcune deroghe motivate dalla collocazione in zone territoriali difficilmente raggiungibili dai mezzi di soccorso in tempi congrui.

    3) Riforma dei laboratori di analisi.

        Nella riforma dell'Assessore Russo, la cui attuazione peraltro slitterà al 2014, è ritenuto necessario un numero minimo di 100.000 prestazioni. Le strutture si sono già ridotte da 683 a 470. Sono previsti criteri di gradualità in vista della contrattualizzazione dal 1o gennaio 2013.

        Fra i requisiti indicati dalla riforma, merita menzione quello della registrazione al controllo regionale di qualità, nonché la partecipazione obbligatoria alle valutazioni esterne di qualità promosse dalla Regione.

        È stata rinviata l'attuazione della riforma, dopo le sentenze di sospensiva dei TAR, con conseguente blocco, insieme ad altri adempimenti da compiere da parte della Regione, dell'ulteriore quota di 240 milioni che sarebbe stata assegnata dallo Stato (76).

    4) Osservatorio regionale sui dispositivi medici.

        L'Osservatorio regionale si è rivelato uno strumento inefficace rispetto agli obiettivi di risparmio.

        I risultati attesi non sono stati del tutto raggiunti e l'organo si è rivelato uno strumento non idoneo al raggiungimento degli obiettivi, così come dichiarato dal dirigente responsabile del servizio 3 (77).

    5) Governance apicale delle aziende sanitarie regionali.

        Stando al giudizio dell'Agenas sui direttori generali delle aziende sanitarie, su 17 direttori nominati, tre sono stati rimossi, due si sono dimessi e sei sono stati valutati negativamente; in totale, dunque, per ben 11 su 17 direttori nominati, il giudizio non è stato positivo (78).

        Questo punto è di rilevante gravità, poiché i soggetti sono stati scelti, direttamente, dal Governo regionale, dall'Assessore e i risultati sono stati valutati dall'Agenas, soggetto terzo su dati e mancati obiettivi raggiunti. Il 31 agosto 2012 è scaduto il loro mandato e l'ex Presidente della Regione ha confermato, in veste di commissari straordinari (79) e non più di direttori, il loro mandato.

    6) Cardiochirurgia pediatrica a Taormina.

        Non è stata ancora aperta la terapia intensiva neonatale, prevista con decreto assessoriale n. 2536 del 2 dicembre 2011, nonostante le


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rassicurazioni dell'Assessore pro tempore, che risalgono a un anno di distanza. Anche la Commissione ha più volte rivolto richieste di chiarimenti all'Assessorato circa i tempi e le modalità di attivazione del predetto centro.

    7) Commissione invalidi ASP Palermo.

        In varie ASP della Regione sono state individuate numerose problematiche che vanno dall'individuazione di componenti delle stesse, ormai defunti, alla revoca di commissioni; da denunce di gestioni clientelari alla presenza di numerosi legami di parentela, con conseguente invio di ispezioni da parte della regione.

    8) Ressa per i ticket – ASP Palermo.

        La situazione di disagio è molto critica, con la necessità, come riportato dalla stampa locale, di trascorrere la notte in auto per il turno, al fine di ottenere l'esenzione. Alle ore otto del mattino, si riscontrano già almeno settanta persone a turno. I dipendenti dell'ufficio sono stati oggetto di aggressione, atti di vandalismo, tanto da ritenere necessaria la presenza di vigilantes negli uffici (80).

    9) Situazione dell’intramoenia allargata.

        Dal 30 giugno 2012 è scattato lo stop all’intramoenia allargata dei medici pubblici nei propri studi, ma gli ospedali siciliani sono ancora impreparati ad accogliere le visite nei propri locali, come previsto dalla legge.

        A Palermo i direttori sono alla ricerca di idonei locali, gli ospedali catanesi non sono riusciti in ciò, mentre altre strutture sono ancora in fase di ricognizione.

    10) Problematica dell'arrivo di nuove attrezzature tecnologiche e della mancanza del personale addestrato all'utilizzo.

        La Sicilia diviene la regione col parco tecnologico più ampio e avanzato d'Italia, ma potrebbe mancare il personale idoneo all'utilizzo delle stesse (81).

    13) Problematiche relative al mancato funzionamento di Sicilia e-Servizi.

        Il mancato funzionamento di Sicilia e-Servizi ha compromesso l'efficienza, ad esempio, del funzionamento della tessera sanitaria e della ricetta telematica (non ancora in corso al 18 febbraio 2012 (82)).


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    14) Situazione della Casa del Sole.

        L'ospedale pediatrico è stato oggetto di atti di vandalismo, e la regione ha disposto nel giugno di quest'anno un'indagine, chiedendo una relazione al direttore dell'ASP di Palermo, sul progetto di riconversione in PTA. La struttura, che ha visto trasferire i suoi reparti per metà al Di Cristina e per l'altra metà al Cervello, avrebbe dovuto essere dotata di poliambulatori specialistici, centri prelievo e altri servizi entro il 31 dicembre 2011.

        Si assiste ad un rimpallo di competenze e responsabilità tra le aziende Villa Sofia-Cervello e l'ASP di Palermo, come risulta da fonti di stampa locale (83).

        Tra gli aspetti positivi riscontrati nell'ambito del SSR può senz'altro registrarsi il miglioramento degli indicatori della spesa farmaceutica tra il 2011 e il 2010, con un consistente decremento della spesa convenzionale a carico del SSR (-7,3 per cento), così come si registra un miglioramento sul disavanzo della spesa farmaceutica ospedaliera (-12,7 per cento).

        Sul piano di restanti criticità si segnalano quelle relative all'articolazione della rete emergenza-urgenza, 118, nonché all'assistenza residenziale e semi-residenziale.

        Emerge, da ultimo, una situazione di rilevante riclassificazione di voci, di allineamenti contabili relativamente a crediti e debiti, sia tra le aziende sanitarie regionali e la Regione, sia tra le aziende stesse (intercompany), nei rapporti con lo Stato e con la Regione, che hanno interessato i bilanci degli anni 2010, 2011 e anche trovato rappresentazione e sistemazione contabile nell'anno corrente. Tutto ciò richiederà un'analisi che potrà essere effettuata sui bilanci chiusi al 31 dicembre 2012, ed emerge con evidenza dal documento inviato al Ministero dell'economia e delle finanze e al Ministero della salute da parte della Regione siciliana (prot. n. 0053645 del 5 luglio 2012).

        Si rileva, altresì, da documentazione ricevuta dalla Regione siciliana, che non è stata ancora conclusa, alla data del 5 luglio 2012, l'attività di riconciliazione tra i residui passivi/perenti per contributi in conto capitale iscritti nel bilancio della Regione con i crediti esposti dalle aziende per tale finalità, né l'attività di verifica di tale iscrizione, nel relativo capitolo di bilancio, delle delibere CIPE e dei decreti ministeriali di finanziamento in conto capitale assegnati dallo Stato, nonché degli incassi e dei relativi residui attivi e, pertanto, dei correlati crediti verso lo Stato alla data di bilancio (84).

4.    SVILUPPI RELATIVI AL DISAVANZO DELLA ASL N. 1 DI MASSA E CARRARA E AL S.I.O.R.

4.1.    Premessa.

        Anche successivamente all'approvazione della relazione alla Camera sul disavanzo della ASL 1 di Massa e Carrara, il tenace lavoro


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svolto dalla Commissione è riuscito a fare chiarezza su alcuni aspetti del servizio sanitario toscano, inducendo due conclusioni:

            l'assistenza sanitaria offerta mediamente in Toscana è di buon livello, sicuramente grazie al lavoro e all'impegno profuso da tanti operatori, adeguatamente formati ed aggiornati nelle tre università della Regione e motivati a dare il meglio in un sistema che in passato è stato efficacemente progettato ed organizzato;

            negli ultimi dieci anni il sistema, forse proprio perché ben funzionante, è stato tuttavia attraversato da fenomeni di mala gestio, come dimostra il disavanzo della ASL n. 1 di Massa, tanto da lasciare, all'esito dell'inchiesta condotta da questa Commissione, il dubbio che anche al SSR toscano non siano estranee logiche politiche e interessi di carriera vertenti sulle aziende sanitarie, divenute in alcuni casi centrali di creazione di consenso; in tale ottica va interpretata l'ostinazione con cui gli attuali amministratori regionali hanno inventato e poi sostenuto le Società della Salute che rimangono ancora in funzione nonostante la netta censura espressa dalla Corte costituzionale.

        Sono gli anni in cui la sanità toscana è stata gestita da Enrico Rossi, prima in qualità di assessore regionale alla tutela della salute e, poi, dal 2010, come presidente eletto.

        L'esplosione del «caso Massa», avvenuta subito dopo le ultime elezioni regionali, all'inizio sembrava descrivere una situazione limitata ad una singola azienda mal governata; gli elementi faticosamente raccolti, anche grazie alla strenua difesa del suo operato fatta dal direttore generale, Antonio Delvino, all'epoca costretto alle dimissioni, denunciato alla Procura della Repubblica e raggiunto da una richiesta di risarcimento per oltre 80 milioni di euro, potrebbero configurare un vero e proprio sistema di gestione «politica» del Fondo sanitario regionale, caratterizzato dall'aggiustamento sistematico dei bilanci, che ha determinato recentemente l'iscrizione nel registro degli indagati dello stesso Enrico Rossi, del direttore dell'area economico-finanziaria, dottoressa Carla Donati, del cosiddetto «super-consulente» in ambito economico, professor Niccolò Persiani, nonché di altri personaggi minori, presumibilmente coinvolti nella creazione e nella gestione di tale sistema.

        In merito si ritiene utile riportare uno stralcio dell'ordinanza del Tribunale del riesame di Genova (reg. ries. n.351 del 14 giugno 2012): «In conclusione si addebita al Delvino, il cui ambito di preparazione professionale è quello medico, di non aver rilevato una macroscopica irregolarità che neppure enti e società ben più preparate di lui dal punto di vista professionale avevano individuato, neppure la Regione il cui controllo non può affatto ritenersi formale. Su questo punto vale la pena di notare l'incongruenza insita nell'affidare al direttore generale, laureato in medicina, anche la gestione contabile dell'azienda, gestione di cui egli è ritenuto responsabile, mentre agli organi deputati, quali Collegio Sindacale e soprattutto Regione, spetterebbe solo un controllo formale. È ovvio che così non è poiché gli organi deputati al controllo hanno l'obbligo di procedere ad un controllo reale e non solo formale; in ogni caso stupisce il mancato rilievo da parte della Regione della posta di 60 milioni relativi al


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presunto credito per anticipazione poiché, anche solo a seguito di un controllo meramente formale del bilancio, doveva emergere, ictu oculi, l'irregolarità di un credito, si badi, vantato proprio nei confronti della Regione».

        Ad oggi non si possono trarre conclusioni definitive e bisognerà attendere che la magistratura svolga il suo compito fino in fondo, ma molti elementi lasciano ritenere che i dubbi sollevati da questa Commissione ed esplicitati nella citata relazione, approvata a maggioranza il 15 febbraio 2012, siano più che giustificati, tanto da portare alcuni esponenti politici nazionali a richiedere che la sanità toscana venga commissariata in tempi congrui per rassicurare i cittadini sulla trasparenza della gestione delle risorse dedicate alla tutela della salute e per garantire una equa distribuzione di tali risorse su tutto il territorio regionale.

        La «voragine» nei conti della sanità toscana è infatti la principale causa dei tagli ai servizi di assistenza e cura, nonché degli aumenti dei ticket che oggi patiscono i cittadini della provincia di Massa e Carrara e della Toscana tutta. Proprio in questi giorni, al fine di risparmiare risorse, si stanno attivando le chiusure delle sale operatorie per la chirurgia di elezione destinate a protrarsi per un mese o più; qualche settimana fa il Consiglio regionale votò all'unanimità una mozione che chiedeva di ripensare le fasce di esenzione per lo meno per i malati cronici e oncologici rispetto al ticket di 10 euro sulle prestazioni di diagnostica per immagini, introdotto per esigenze di liquidità. Tale invito è stato fino ad oggi ignorato.

        Si riportano di seguito gli elementi di certezza acquisiti lasciando alla magistratura il compito di collegarli tra di loro e di individuare le responsabilità e gli intrecci che hanno portato all'attuale stato delle cose.

4.2.    Le responsabilità accertate ed altre ipotesi di indagine.

        L'ex direttore amministrativo della ASL n. 1, dr. Ermanno Giannetti, è stato condannato in primo grado per una serie cospicua di appropriazioni indebite di denaro pubblico, presumibilmente poste in essere per oltre un decennio; è logico porsi le seguenti domande:

            a) Che fine ha fatto il denaro sottratto alla ASL (almeno 1.500.000 euro)?

            b) Giannetti si è limitato a farne un uso privato, oppure ha favorito soggetti terzi?

            c) Di quali protezioni egli ha goduto per poter eludere i normali controlli che dovrebbero essere esercitati?

        Si aggiungono le seguenti considerazioni:

            a) Giannetti era molto stimato a livello regionale tanto da aver fatto parte di diverse commissioni di gara o di concorso in altre aziende toscane;


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            b) lo stesso Giannetti, nel corso dei suoi interrogatori, pare abbia parlato di un «sistema» di aggiustamento dei bilanci la cui regia operativa era nelle mani di Donati e Persiani, noti come gli «uomini del Presidente»;

            c) è stato l'onorevole Barani, membro di questa Commissione, a formulare per primo il sospetto che esistessero assegni falsi nel corso dell'audizione dell'assessore Scaramuccia e del commissario De Lauretis del 16 febbraio 2011; le due persone ascoltate avevano negato; ci sono elementi per ritenere che invece ne fossero già a conoscenza;

            d) lo stesso Giannetti ha continuato a lavorare per diversi mesi dopo l'11 ottobre 2010, prima di essere licenziato (la data assume rilievo nei termini riportati nella relazione approvata il 15 febbraio 2012).

        Come già evidenziato nella relazione alla Camera, le assegnazioni delle quote del Fondo sanitario nazionale alle aziende sanitarie toscane non hanno rispettato le norme vigenti (decreto legislativo n. 502 del 1992, così come modificato dal decreto legislativo n. 229 del 1999, all'articolo 2, e legge regionale n. 40 del 2005, agli articoli 25 e seguenti); il più diretto collaboratore della dottoressa Donati, dottor Luca Giorgetti, dinanzi alla Commissione regionale di inchiesta sulla vicenda dei bilanci della ASL n. 1, ha affermato testualmente: «...Se per ora le aziende sovra-finanziate sono tre e sono Lucca, Livorno e Grosseto per ragioni che non conosco, ma evidentemente ...(intervento fuori microfono) che hanno di più rispetto a quello che dovrebbero avere, ma quello che dovrebbero avere non è che sia.. voglio dire, è un numero, c'era stato uno studio e poi, per ragioni che non conosco, probabilmente da un lato anche politiche, non. ..(intervento fuori microfono) ecco, sono queste tre, a svantaggio di altre realtà che sono invece sotto-finanziate e quali sono quelle sotto-finanziate? Tutte le altre.»

        Il sottofinanziamento sistematico della ASL n. 1 è stato negato dai vertici regionali e dalla dott.ssa De Lauretis contro ogni evidenza; oggi apprendiamo dalla stampa che, stando ad alcune intercettazioni rese pubbliche, Rossi ed i suoi collaboratori parlavano di ASL sotto-finanziate e di ASL sovra-finanziate.

        La pratica delle anticipazioni di cassa riportate nei bilanci regionali come «crediti esigibili» è stata ripetutamente criticata dalla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, come riportato nella più volte citata relazione del 15 febbraio 2012; e che la ASL n. 1 necessitasse di liquidità perché evidentemente sotto-finanziata era ben noto ai vertici della Regione, visto che, quando la Corte dei conti contestò il fatto che le anticipazioni di cassa riconosciute dalla Regione alla ASL n. 1 erano nettamente superiori al tetto massimo di circa 31 milioni di euro previsto dalla legge, la dottoressa Donati rispose che l'Ufficio «era al corrente di tale situazione, originatasi in anni addietro e con tutta probabilità dovuta a numerosi fattori».

        A fronte di tale situazione, la Regione Toscana era già intervenuta negli ultimi anni con alcune erogazioni straordinarie di cassa, al fine di riportare i tempi medi di pagamento ai fornitori entro ambiti di


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accettabilità. Tali anticipazioni erano appunto riportate nel bilancio regionale come «crediti esigibili».

        Alla luce di quanto ad oggi appurato, si consolida il dubbio che con il sotto-finanziamento della ASL n.1 (e forse di altre ASL) si volesse mantenere un fittizio equilibrio dei conti a livello regionale, ben sapendo che si sarebbe giunti all'emersione di quanto occultato dopo qualche esercizio.

        In merito giova ricordare che il credito di oltre 60 milioni per «anticipazione gestione stralcio», presente già nel bilancio 2008, non è stato censurato nel corso della fase di approvazione del bilancio a livello regionale, per poi essere rilevato nel bilancio dell'anno successivo ed utilizzato per richiedere l'avvicendamento dei vertici della ASL, con contestuale commissariamento e denuncia alla Procura della Repubblica, effettuata da Rossi.

        È opportuno ricordare che il bilancio 2008 è stato addirittura certificato sulla base di una documentazione richiesta a Persiani, falsificata all'interno della ASL ed inviata alla Deloitte il giorno precedente a quello in cui fu rilasciata la certificazione; Giannetti nega di esserne l'autore e peraltro non poteva avere interesse a falsificare il credito per la gestione stralcio quando risulta che utilizzasse proprio la posta di bilancio della gestione stralcio (per somme infinitamente minori) per nascondere altri illeciti. Si fa presente che Persiani e i suoi collaboratori erano fisicamente presenti nei locali della ASL n. 1 e che erano dotati di password per agire direttamente sulla contabilità. Oggi apprendiamo da organi di stampa che Persiani si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere dinanzi al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa.

        Apprendiamo anche che il disavanzo della ASL n.1 è giunto addirittura a 420 milioni di euro; eppure il disavanzo registrato al 31 dicembre 2009 era di 200 milioni inferiore; cosa è successo in due soli esercizi? È lecito ritenere che le risorse regionali siano state utilizzate per ripianare i debiti pregressi nelle altre aziende sanitarie, continuando a sotto-finanziare la ASL n. 1 come una sorta di «capro espiatorio».

4.3.    I conflitti di interesse.

        Alcune nomine in questa vicenda sono state viziate da macroscopici conflitti di interesse, poi contro ogni evidenza negati:

            a) Il più clamoroso riguarda il prof. Niccolò Persiani; il dr. Delvino, con la sua lettera al presidente Rossi del 18 ottobre 2010, comunicò di aver appreso che Persiani era socio della Taitle, società che già negli anni precedenti alla sua nomina aveva svolto attività di affiancamento per la compilazione dei bilanci alla ASL n. 1, denunciando il conflitto di interesse determinatosi con la sua nomina a consulente del commissario De Lauretis; ciononostante Persiani non venne mai rimosso e continuò ad operare sulla contabilità della ASL per settimane, addirittura dotandosi di una personale password di accesso al sistema; lo stesso Persiani avrebbe definito la sua nomina «una relata di arroganza» sua e di Rossi; eppure l'assessore Scaramuccia


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in una serie di documenti ufficiali ha negato che ci fosse conflitto di interessi.

            b) La dott.ssa Marisa Vernazza, rimossa da Delvino subito prima di rassegnare le dimissioni, con un'azione quanto meno sorprendente fu reintegrata immediatamente dalla dott.ssa De Lauretis nel suo precedente incarico, consentendole di operare direttamente (e per mesi) sulla contabilità.

        Appaiono operazioni prive di logica che, per loro stessa natura, autorizzano ad avere legittimi sospetti: proprio le persone che avevano attivamente collaborato alla tenuta della contabilità venivano incaricate di effettuare i controlli; rileviamo ancora che il dr. Manghisi, nominato prima consulente e poi dirigente del settore economico-finanziario della ASL n. 1, si è dimesso dopo qualche mese rinunciando alla dirigenza, evitando di sottoscrivere il consuntivo 2010.

        Ad oggi, poi, non risulta essere stato nominato il nuovo direttore amministrativo della ASL, lasciando un vuoto di potere che è al limite della legittimità; degno di nota è che lo stesso Pescini, nominato nel 2011 dalla De Lauretis direttore amministrativo sia stato ora «promosso» a dirigere l'area economico-finanziaria in Regione.

        Da queste considerazioni, oltre che da accuse di Giannetti riportate dalla stampa, nasce il sospetto che le operazioni di verifica siano state condotte in maniera non libera, forse addirittura tutelando qualcuno in danno di altri. La presenza di alcune strane anomalie nella nota integrativa del 2008, oggetto di denuncia dell'onorevole Barani alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Massa, meritano tuttora un'indagine approfondita da parte della magistratura.

4.4.    Il ruolo del SIOR ed il «buco» della ASL n. 1.

        In premessa, va evidenziato che in alcuni casi i vertici della Regione si sono rifiutati di rispondere alle richieste di chiarimenti rivolte da questa Commissione e dalla Commissione di inchiesta sulla ASL 1 istituita presso il Consiglio regionale toscano:

            a) Enrico Rossi non ha mai risposto alle domande che gli sono state rivolte dopo la sua audizione del 17 novembre 2009 in qualità di assessore regionale alla sanità;

            b) Bruno Cravedi, presidente del SIOR, ha risposto negativamente alla richiesta di documenti formulata dall'onorevole Barani, per poi inviare alcuni documenti solo dopo l'ulteriore richiesta dell'allora presidente di questa Commissione, on. Leoluca Orlando;

            c) Rossi ha fatto pervenire due richieste di risarcimento all'onorevole Barani, sostenendo di essere stato danneggiato dalle dichiarazioni rilasciate dall'onorevole nell'ambito del suo ruolo istituzionale, respinte dalla Camera dei deputati con due distinte deliberazioni di insindacabilità, la prima il 9 maggio 2012 e la seconda il 13 dicembre 2012;


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            d) I quattro direttori che compongono l'assemblea del SIOR hanno richiesto all'onorevole Barani 2.750.000,00 di euro di risarcimento danni, sempre in relazione alle segnalazioni da lui fatte sulle modalità con cui veniva gestito il project financing relativo alla costruzione dei quattro nuovi ospedali. Anche per questi fatti in data 28 novembre 2012 la Camera dei deputati ha deliberato l'insindacabilità.

        È necessario da ultimo tornare a fare chiarezza sull'appalto in project financing per la costruzione dei quattro nuovi ospedali di Massa, Lucca, Pistoia e Prato; per quel che riguarda la genesi di tale investimento si richiama quanto contenuto nella relazione del 15 febbraio 2012.

        Alcuni fatti nuovi gettano ombre su tale investimento e sulla possibilità che le vicende di Massa e del SIOR abbiano un punto di contatto proprio nel comportamento del dott. Delvino, che potrebbe aver intralciato i piani del concessionario e di eventuali suoi referenti all'interno della pubblica amministrazione; si ricorda in merito che Rossi pose in atto la clamorosa azione nei suoi confronti, culminata nella rimozione dell'11 ottobre 2011, nello stesso giorno in cui l'ordinanza del Giudice del lavoro di Massa lo reintegrava nel suo incarico di direttore generale alla ASL n. 1.

        Oggi risulta che:

            a) Delvino si oppose all'esecuzione di una bonifica del sito di Massa del costo di circa 5 milioni di euro (bonifica poi realizzata con circa 600.000 euro).

            b) Delvino eccepì sulle eccessive richieste di incrementi di costi formulate dal concessionario nell'estate del 2009 per oneri finanziari e per oneri legati alla sicurezza; in merito va approfondita la circostanza che Persiani sottoscrisse, con un collega, la relazione che consentì di riconoscere circa 8 milioni di euro in più; la relazione che giustificò gli aumenti per oneri per la sicurezza fu firmata dall'ing. Morganti.

            c) A quanto risulta alla Commissione, a Delvino furono intimate le dimissioni pochi giorni dopo che ebbe un alterco con Morganti e Cravedi sulla gestione dei subappalti, quando sostenne che bisognava essere estremamente rigorosi con il concessionario per evitare il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata e di incidenti sul lavoro, essendo noto che proprio il massiccio ricorso ai subappalti è stato in passato utilizzato per evitare i rigorosi controlli che il codice degli appalti impone.

            d) La Procura di Prato sta tuttora conducendo un'indagine sul SIOR.

            e) L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP), con la sua deliberazione n. 10 del 25 gennaio 2012, ha censurato la parte della convenzione che riguarda i controlli sui servizi resi in concessione con particolare riferimento alla gestione delle penali.

            f) L'AVCP, dietro segnalazione dell'onorevole Barani, con lettera del 31 luglio 2012, ha riconosciuto che «non appare possibile


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giustificare il ricorso al subappalto nel caso di specie con gli argomenti sostenuti nel parere recepito dalla ASL n. 1 di Massa e Carrara......, per mancanza di un'esplicita disciplina del subappalto delle categorie ad alta specializzazione, al momento dello svolgimento della procedura di gara» ed è presumibile che intenda riaprire un'inchiesta ancora di più ampio respiro sul SIOR.

            g) Recentemente per la ricostruzione degli edifici danneggiati dall'alluvione del 25 ottobre 2011 è stato stipulato un protocollo di intesa, molto rigoroso, per prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata; perché analogo protocollo non è stato stipulato anche prima di avviare l'appalto SIOR, che determinerà movimenti economici di molto superiori?


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PARTE TERZA

1.    CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

1.1.    Cittadini, Stato e costi della sanità pubblica.

        L'esperienza di riarticolazione del sistema sanitario di altri Paesi europei (Germania, Paesi Bassi) non permette di considerare possibile un sistema di opting out di alcuni soggetti rispetto al sistema pubblico che sottragga a quest'ultimo risorse, in un mercato assicurativo in cui gli operatori possono scegliere a chi e quali prestazioni fornire. Né sembra utile ed etico escludere alcune fasce ad alto reddito da tutti i servizi (anche quelli di emergenza), poiché solo l'1 per cento dei contribuenti italiani dichiara redditi oltre i 100.000 euro, e solo lo 0,7 per cento dichiara redditi superiori ai 300.000 (85), cosicché il risparmio non sarebbe comunque significativo.

        Deve invece ritenersi che il sistema di riforma delle assicurazioni della salute, unito a un sistema di contribuzione progressiva dell'utente al costo dei servizi basato sul reddito, potrebbe generare una proficua concorrenza tra servizi pubblici e privati, e rendere il sistema delle assicurazioni sanitarie uno strumento di reale alternativa alla garanzia pubblica.

        È necessario poter garantire ai cittadini l'accesso alle cure attraverso una partecipazione solidaristica e progressiva alle spese, evitando il più possibile gli effetti negativi della compartecipazione ai costi mediante ticket standardizzati (86).

        Una tale politica basata sull'efficacia e sulla sostenibilità dovrebbe essere capace di orientare la domanda di salute in senso virtuoso, limitando i fattori di distorsione legati alla richiesta di prestazioni superflue, senza ostacolare l'accesso al sistema di coloro che delle cure mediche hanno bisogno, ma che, al contempo, incontrano maggiori ostacoli nel farsi carico dei costi aggiuntivi. Esigenze di carattere etico impongono, infatti, la necessità di utilizzare le compartecipazioni al costo dei servizi non solo come fonte di finanziamento delle prestazioni, ma anche come strumento di governo del sistema, utile a contenere la domanda di prestazioni inappropriate e con bassa efficacia, senza che venga invece pregiudicata anche la domanda di prestazioni sanitarie con elevata produttività in termini di salute (87).


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        È necessario sottolineare che il copayment tradizionale, improntato sui contributi alle prestazioni, è sviluppato sul modello del paziente acuto, secondo una prospettiva di «medicina d'attesa», mentre sappiamo che per il futuro il Servizio sanitario nazionale è destinato a erogare sempre più prestazioni a pazienti cronici e ad ampliare la medicina di prevenzione; in tale prospettiva i sistemi tradizionali di compartecipazione ai costi potrebbero non essere adeguati a esprimere la necessaria efficienza, sorgendo la necessità di spingersi a fornire servizi e trattamenti agli utenti in maniera programmata e a prescindere dalla loro iniziativa, proprio al fine di evitare un loro maggiore coinvolgimento in prospettive di cura, e maggiori costi umani ed economici.

        Anche con riferimento ai ticket sanitari emerge il generale e inevitabile paradosso di un sistema complessivo formato da sistemi regionali diversi. Se da un lato l'adozione di meccanismi di compartecipazione diversificati tra le regioni potrebbe essere giustificata al fine di responsabilizzare gli amministratori regionali all'uso delle risorse tenendo conto delle situazioni locali, dall'altro essa presenta il rischio di accentuare i divari nelle possibilità di accesso ai servizi sanitari e di rendere comunque molto difficile la garanzia di livelli di assistenza omogenei dalle regioni che correttamente responsabilizzano la domanda verso quelle che non lo fanno, e che non riescono a garantire un equilibrio di bilancio. Appare quindi necessario, anche qui, un coordinamento a livello complessivo, che permetta di comporre le esigenze di partecipazione ai costi da parte degli utenti e di governo della domanda a livello locale con la necessità di garantire a tutti i cittadini gradi omogenei di tutela del diritto alla salute.

        Di recente l'Age.Na.S. ha formulato l'ipotesi di realizzare un sistema di copayment completamente diverso dagli attuali, eliminando i ticket e le esenzioni e introducendo invece un meccanismo di franchigia proporzionale al reddito lordo. Così impostato questo sistema dovrebbe frenare maggiormente i primi accessi al sistema, mentre non determinerebbe alcun limite agli accessi più costosi o più frequenti, basandosi sull'ipotesi che l'inappropriatezza stia più tra i primi che tra i secondi. Questa ipotesi appare tuttavia da verificare; non è infatti da sottovalutare il meccanismo psicologico che un simile sistema potrebbe generare, secondo il quale l'utente verrebbe scoraggiato dal rivolgersi ai servizi della salute con riferimento al primo manifestarsi di una patologia, e verrebbe invece stimolato a farlo quando, a patologia evoluta, ciò gli parrebbe indifferibile e serio. Da qui l'impossibilità, in tali casi, di un trattamento tempestivo, risolutivo e poco costoso, e l'aumento delle possibili complicazioni, delle eventuali possibilità di contagio e della generale morbilità.

        Se, tuttavia, a una migliore analisi tale impianto dovesse risultare come capace di orientare positivamente la domanda, è indubbio che la sua attuazione potrebbe essere uno strumento efficace per garantire la sostenibilità del sistema, compatibilmente con la salvaguardia degli imperativi etici che lo contraddistinguono.

        L'integrazione con il governo delle assicurazioni private potrebbe generare un sistema in cui l'assicurazione privata sostitutiva garantisca per intero il rimborso delle prestazioni al Servizio sanitario nazionale, e quindi si ponga al di fuori del sistema della franchigia,


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mentre l'assicurazione complementare coprirebbe i costi della franchigia e la rispettiva alea. In tal modo le assicurazioni, integrate al sistema, costituirebbero correttamente per i cittadini uno strumento di possibile ammortizzazione dei costi sanitari, e per lo Stato un utile mezzo di compartecipazione alla spesa.

1.2.    Il nuovo patto per la salute.

        Il futuro patto per la salute 2013-2015 dovrà basarsi sull'imprescindibilità dell'assistenza sanitaria secondo gli irrinunciabili criteri di qualità e sicurezza, con garanzia di un'omogenea erogazione dei LEA su tutto il territorio nazionale.

        L'individuazione delle risorse necessarie va al di là delle prerogative della Commissione, mentre l'individuazione delle criticità in campo organizzativo e gestionale, che possono condurre all'errore in campo sanitario o allo spreco di danaro pubblico, rappresenta il compito principale della Commissione parlamentare d'inchiesta.

        Circa l'ammodernamento strutturale e tecnologico delle strutture sanitarie, in un'ottica di revisione della spesa, e nell'intento di ridurre i costi assistenziali, sarebbe auspicabile un rinnovamento progressivo dell'intera rete ospedaliera obsoleta, sostituendola con un modello ad alta tecnologia abbinata a centri residenziali contigui, a basso costo di gestione, per il monitoraggio della convalescenza post-operatoria, in un ambiente meno tecnologizzato e in un clima più familiare.

        In quest'ambito, la dismissione delle vecchie strutture, in genere allocate nei centri storici cittadini, potrebbe rappresentare una concreta risorsa finanziaria finalizzata alla realizzazione del tanto auspicato «ospedale del futuro», dotato di ogni comfort, ma anche costruito secondo criteri di risparmio energetico.

        Anche la robotica dovrebbe essere introdotta progressivamente, specie nelle sale operatorie, al fine di aiutare gli operatori nella chirurgia mini-invasiva, che oltre a comportare maggiore precisione in campo chirurgico, determina una sensibile riduzione delle degenze ospedaliere, e quindi dei costi.

        Per la realizzazione di tali progetti, ovviamente, è necessario fare investimenti e razionalizzare la spesa sanitaria.

        La strada del dialogo istituzionale tra Ministero della salute e Conferenza delle Regioni, rappresenta, in questo senso, la via maestra da percorrere affinché le esigenze territoriali in campo sanitario possano coniugarsi con quelle dei Ministeri della salute e dell'economia.

        Al comparto sanitario è stato destinato nel 2011 il 7,1 per cento del PIL, molto meno di quanto hanno fatto gli Stati Uniti o gli altri Stati europei. È evidente che in un clima di recessione economica il rilancio della sanità è in funzione della ripresa economica, altrimenti, con l'abbassarsi del PIL, sarà inevitabile la riduzione delle risorse disponibili.

        I dati forniti dalle diverse sezioni regionali di controllo della Corte dei conti audite in Commissione rivelano situazioni critiche in alcune Regioni sottoposte a piani di rientro, dove, alcune volte, non vengono neanche presentati i bilanci delle singole aziende sanitarie. Così come non perviene alcun beneficio al cittadino, nella cui regione, a fronte


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di significative risorse messe in campo dal Servizio sanitario nazionale, corrispondono scarsi volumi prestazionali e alti tassi di migrazione passiva. Sarebbe più giusto parametrare i contributi dello Stato alle singole Regioni anche in relazione alle prestazioni realmente erogate l'anno precedente.

        Inoltre, la selezione del personale medico con funzioni apicali meriterebbe una maggiore attenzione poiché strettamente correlata ai costi, sia per il volume di lavoro svolto, sia per gli esiti delle prestazioni erogate, sia per quanto concerne un eccessivo ricorso all'articolo 18 del contratto collettivo nazionale di lavoro da parte di alcune aziende, che rischiano così successivi esborsi di denaro pubblico a seguito di contenziosi legali, con sentenze a favore dei dipendenti e penalizzanti per le amministrazioni pubbliche.

        Altro punto critico, pervenuto all'attenzione di questa Commissione, è rappresentato dal numero di medici per posto letto. Proprio le Regioni con maggiore disavanzo hanno un eccessivo numero di medici che supera l'unità per ogni singolo paziente: una situazione paradossale che vede alcune Regioni registrare un numero doppio di professionisti rispetto ad altre.

1.3.    La gestione del rischio clinico tra autorità centrali e sistemi regionali.

1.3.1.    Il rischio clinico e la medicina difensiva.

        Il rischio clinico viene considerato come la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, ossia subisca un danno o un disagio imputabile alle cure prestategli, che prolunghino la degenza, causando il peggioramento delle condizioni di salute o la morte (88).

        Negli ultimi anni si è assistito al notevole acuirsi dell'attenzione agli errori e agli incidenti che possono verificarsi nell'erogazione dei trattamenti sanitari. Tale fenomeno è dovuto in parte al rilievo dato agli eventi dalla letteratura scientifica e dai mass media, ma deriva soprattutto dal manifestarsi, anche in Italia, di un nuovo indirizzo culturale e giurisprudenziale diretto ad incrementare esponenzialmente il risarcimento del danno biologico ed esistenziale. Da ciò è derivata la crisi della struttura di assicurazione delle organizzazioni sanitarie (89). Il cospicuo elevarsi dei premi richiesti alle aziende è coinciso con l'abbandono del mercato da parte degli assicuratori: sempre più compagnie ritirano dal mercato prodotti di garanzia della


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responsabilità civile professionale medica, mentre altre offrono prodotti dedicati solo a determinate specializzazioni, considerate meno rischiose, mentre altre ancora rifiutano di assumere la garanzia a professionisti già incorsi in sinistri, o si espongono solo per massimali limitati.

        Parallelamente, la classe medica nel suo complesso e i professionisti uti singuli hanno assunto progressivamente posizioni sempre più difensive: si sono costituite le associazioni AMAMI (Associazione per i medici accusati di malpractice ingiustamente) e ARITMIA (Associazione ricerca italiana tutela medici ingiustamente accusati), la cui mission è quella di contrastare le frivolous lawsuit, ossia le denunce infondate operate verso i medici. Ciò ha sviluppato la tendenza alla «medicina difensiva», ossia la tendenza dei medici a modificare il loro comportamento professionale a causa del timore di procedimenti giudiziari per malpractice.

        Secondo uno studio della Harvard Medical School, la medicina difensiva è una pratica seguita dal 93 per cento dei medici interpellati, mentre il 43 per cento di essi prescrive esami diagnostici non necessari al fine di garantirsi da possibili azioni giudiziarie, e pressappoco la medesima percentuale tende a evitare i pazienti percepiti come «litigiosi» (90).

        Nel novembre 2010 è stata presentata la prima ricerca nazionale sul fenomeno della medicina difensiva, realizzata dall'Ordine provinciale dei medici-chirurghi e degli odontoiatri di Roma. Lo studio (91)


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ha seguito e completato quello analogo sviluppato dal medesimo Ordine nel 2008 sul solo territorio della capitale.

        I risultati scaturiti si sono dimostrati coerenti con quelli della precedente indagine e con quelli riportati in letteratura. I dati raccolti indicano che il 78,2 per cento dei medici ritiene di correre un maggiore rischio di procedimenti giudiziari rispetto al passato, il 68,9 per cento pensa di avere tre probabilità su dieci di subirne e il 25 per cento circa dichiara che tale probabilità è anche superiore. Soltanto il 6,7 per cento dei medici giudica nulla la probabilità di un procedimento giudiziario.

        Complessivamente, ben il 65,4 per cento ritiene di subire una pressione indebita nella pratica clinica quotidiana a causa della possibilità di tale evenienza. Ma il rischio diretto di una denuncia non sembra essere l'unico motivo che spinge i medici alla pratica della medicina difensiva, che sono in ciò influenzati anche da motivazioni, per così dire, meno dirette: una gran parte vi ricorre infatti a causa del clima attuale nei confronti dei medici presso la pubblica opinione (65,8 per cento), o a causa di eventuali iniziative della magistratura (57,9 per cento), o per le esperienze di contenzioso di altri colleghi (48,4 per cento), o ancora per la necessità di prevenire sanzioni comminate da strutture e servizi di appartenenza (43,1 per cento), per il timore di una compromissione della carriera (27,8 per cento), per paura di vedere la propria immagine professionale negativamente riportata dai media (17,8 per cento), per paura di perdere i propri pazienti (10,6 per cento), o, infine, per il timore di subire le critiche dei colleghi (9,6 per cento).

        Inoltre, il 77,2 per cento dei medici interpellati ritiene che le norme che disciplinano la responsabilità professionale si ripercuotono negativamente sulla qualità delle cure e, circa l'83 per cento ritiene che influenzino in senso negativo anche il rapporto con il paziente. Un rapporto che lo studio ha voluto mettere più a fuoco: il 31,6 per cento dei medici giudica insufficiente il tempo a disposizione per le visite ma il restante 69,6 per cento lo ritiene invece sufficiente o più che sufficiente. Con riferimento alla natura e al numero delle prescrizioni, in cui si concreta in particolare la pratica della medicina difensiva, l'85,5 per cento afferma di attenersi a eventuali linee guida, protocolli o standard, mentre circa il 70 per cento dei medici non sembra farsi influenzare dal costo delle prescrizioni.

        Entrando nel dettaglio delle varie voci che compongono l'approfondito rapporto sulla medicina difensiva, emergono più chiaramente gli atteggiamenti che contribuiscono a gonfiare inutilmente la spesa sanitaria, nonché a sottrarre risorse e disponibilità per esami e visite che invece hanno reale necessità e urgenza. In particolare, il 53 per cento del campione esaminato dichiara di prescrivere farmaci a titolo «difensivo» e, mediamente, tali prescrizioni sono il 13 per cento circa di tutte quelle uscite dal ricettario. Il dato s'impenna al 73 per cento con riferimento alle visite specialistiche, ove tali prescrizioni ridondanti diventano il 21 per cento del totale effettuato dal singolo medico. Quasi sullo stesso valore il ricorso a esami di laboratorio come sorta di «autotutela», prescritti dal 71 per cento dei medici, con una media del 21 per cento su quelli complessivi. La percentuale più alta appartiene agli esami strumentali: è il 75,6 per cento dei medici che


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vi ricorre per abbondare in sicurezza, e ciò incide con un 22,6 per cento su tutti gli accertamenti di questo tipo. La cifra si ridimensiona sensibilmente con riferimento ai ricoveri: li usa come scudo il 49,9 per cento degli interpellati, e potrebbe essere evitato l'11 per cento del totale.

        Diffusa appare, inoltre, la consapevolezza della possibilità di incorrere in un errore medico: il 36 per cento del campione esaminato ammette che gli errori potenzialmente dannosi (non gli errori in generale) compiuti dai medici sono abbastanza o molto diffusi, mentre il 73,6 per cento per garantirsi dalle conseguenze degli errori medesimi ha acceso una polizza di assicurazione per la responsabilità civile.

        L'incidenza percentuale dei costi della medicina difensiva sulla spesa sanitaria è del 10,5 per cento, generato da tutti i medici, pubblici e privati (farmaci 1,9 per cento, visite 1,7 per cento, esami di laboratorio 0,7 per cento, esami strumentali 0,8 per cento, ricoveri 4,6 per cento). Sulla spesa privata sale al 14 per cento, prendendo in esame soltanto i medici privati (farmaci 4 per cento, visite 2,1 per cento, esami di laboratorio 0,6 per cento, esami strumentali 0,4 per cento, ricoveri 0,1 per cento). Sulla spesa totale si attesta all'11,8 per cento comprendendo quella generata da tutti i medici pubblici e privati (farmaci 3,7 per cento, visite 2,4 per cento, esami di laboratorio 0,8 per cento, esami strumentali 0,8 per cento, ricoveri 3,2 per cento).

        Tenendo conto dell'incidenza sulle risorse dello Stato, può dirsi che la medicina difensiva pesa sulla spesa sanitaria pubblica per 0,75 punti di PIL, ossia per oltre 10 miliardi di euro, importo pari a poco meno di quanto investito in ricerca e sviluppo nel nostro Paese, e quasi pari alla quota dello Stato per l'anno 2012 dell'imposta municipale unificata.

        A prescindere dagli aspetti connessi al dispendio di risorse, la medicina difensiva riduce indubbiamente la qualità dell'assistenza sanitaria. Non solo perché ricerche diagnostiche inutili rappresentano un costo umano evitabile e perché viene vulnerato il rapporto tra medico e paziente; soprattutto, è il pedissequo attenersi del professionista apprensivo ai protocolli suggeriti e alle linee guida definite che impedisce in molti casi di somministrare con serenità il trattamento adeguato, che sarebbe imposto dall'esercizio dell'arte medica, sacrificando la salute del paziente sull'altare della sicurezza giudiziaria, e procurandogli così, paradossalmente, proprio un danno evitabile, se non altro in termini di mancato o ridotto ristoro della salute.

        È evidente come il costo della medicina difensiva debba in ultima analisi essere ascritto alla probabilità di un danno iatrogeno, e alle conseguenze connesse. La diminuzione della possibilità di un evento avverso, pertanto, diminuisce le probabilità di un danno ingiusto, e della chiamata di responsabilità del sanitario, ed è l'unico modo per garantire il ristabilirsi del corretto clima di collaborazione liminare all'alleanza terapeutica, in cui operatore e paziente cooperano serenamente al perseguimento della salute di quest'ultimo. Ne consegue che le politiche di riduzione del costo e del ricorso alla medicina difensiva si identificano con le azioni necessarie a ridurre l'occorrenza del danno iatrogeno e gli eventi che lo causano, mentre azioni di


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riduzione degli effetti della medicina difensiva che prescindano dalla riduzione del rischio clinico sono comunque destinate a fallire.

1.4.    Le politiche nazionali di riduzione degli eventi avversi.

        La sicurezza delle cure e il contenimento del rischio di danno iatrogeno rappresentano forse il più importante punto di contatto tra il sistema nazionale e le diverse regioni. Ciò anche a causa del fatto che tali tematiche sono in realtà riassuntive di generali indicatori di qualità del sistema, che si riverberano necessariamente nella valutazione complessiva del SSN, inteso come insieme e coordinamento dei diversi sottosistemi. Proprio in tali tematiche si esprime, infatti, il potere di coordinamento dell'autorità centrale, che attraverso indicazioni di carattere generale definisce i livelli minimi di sicurezza delle procedure, e, nella sostanza, i livelli liminari di qualità delle organizzazioni.

        Il «rischio clinico» rappresenta pertanto un argomento nevralgico anche in relazione allo sviluppo della forma di Stato con riferimento al settore della salute, e costituisce la tematica mediante la quale il potere di coordinamento del Ministero della salute meglio e più diffusamente si esprime. Le iniziative ministeriali relative alla definizione delle modalità di perseguimento e degli obiettivi nell'ambito della sicurezza della salute possono considerarsi come veri e propri strumenti di indirizzo e coordinamento, sebbene a volte non siano fornite di concreti meccanismi di integrazione dell'efficacia.

        Nel 2003 è stata istituita una Commissione sul rischio clinico, che ha elaborato un documento di indirizzo strategico, Risk Management in Sanità, il problema degli errori, sulla base del quale sono state progressivamente attivate una serie di azioni. Queste possono genericamente suddividersi in tre gruppi:

            1. Redazione di linee-guida e raccomandazioni dirette agli operatori per una corretta gestione dei processi che riduca il rischio di eventi avversi; fanno parte di questo gruppo il manuale per la sicurezza in sala operatoria, comprendente 16 raccomandazioni; le raccomandazioni per la prevenzione degli eventi sentinella; il programma di rilevazione sulla sicurezza delle attività trapiantologiche, finalizzato a rivedere e aggiornare le linee guida per la sicurezza nella rete trapiantologica nazionale, il manuale Metodi di analisi per la gestione del rischio clinico – Root Cause Analysis – RCA; infine, il pregevole e recente Manuale di formazione per il governo clinico: la sicurezza dei pazienti e degli operatori.

            2. Atti politici di impulso e concerto per la stimolazione di progetti e iniziative multilivello con i SSR, per esempio la definizione di strategie per la formazione degli operatori; le iniziative per il trasferimento di buone pratiche tra le regioni; il monitoraggio e l'analisi degli eventi sentinella.

            3. Iniziative di carattere generale, ad esempio le guide per cittadini, pazienti ed operatori sulla riduzione del rischio; il glossario per la sicurezza dei pazienti; il documento condiviso con la Conferenza dei presidi delle facoltà di medicina e chirurgia, per incentivare l'attivazione di percorsi di formazione universitaria pre-laurea sulle tematiche della sicurezza e del rischio clinico.


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        Il punto debole di tali politiche deriva dalla difficoltà di assicurare efficienza e applicazione alle indicazioni di carattere generale da parte dei SSR e delle strutture sanitarie. Difatti, le raccomandazioni per la prevenzione degli eventi avversi e lo stesso manuale sulla sicurezza in sala operatoria non trovano completa applicazione nelle strutture sanitarie italiane, non solo perché non sono assistite da un apparato sanzionatorio che ne garantisca la cogenza – di difficile strutturazione a causa del fatto che le competenze della cura della salute appartengono ormai del tutto alle Regioni – ma anche a causa del fatto che, per essere attuate, le misure di riduzione del rischio clinico richiedono da parte di politici, amministratori e operatori una cultura adeguata, che purtroppo ancora in gran parte manca nel Paese. Infatti, tali politiche hanno trovato migliore attuazione in quelle regioni in cui le esigenze che rappresentano godevano già di una certa attenzione.

        Come tutti gli apparati soft law, le linee-guida e le raccomandazioni sulla sicurezza dei pazienti sono dotate di una certa capacità di trovare esecuzione nel tempo, ancorché prive di un apparato sanzionatorio a tutela. Ciò a causa del fatto che rappresentano vie già tracciate, quindi più facili da seguire per il miglioramento della qualità; perché costituiscono uno standard tecnico che finisce per imporsi, anche attraverso la giurisprudenza sulla responsabilità professionale; perché possono fornire contenuto ad altre norme obbligatorie, deontologiche ma anche comportamentali; infine, perché possono essere specificamente richiamate da norme cogenti e sanzionate. Tuttavia, tale meccanismo di attuazione è lento a manifestarsi e in generale insufficiente.

        Proprio al fine di assicurare un maggiore coordinamento nelle politiche della sicurezza clinica, è stata promossa l'Intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concernente la gestione del rischio clinico e la sicurezza dei pazienti e delle cure, conclusa il 20 marzo 2008. Il fine dell'intesa è quello di costituire un sistema nazionale, integrato e condiviso, che definisca competenze e responsabilità nell'identificazione e attuazione di soluzioni organizzative finalizzate alla riduzione del margine degli errori e degli eventi avversi che possono manifestarsi nel corso delle pratiche cliniche. In tale ottica, le Regioni si sono impegnate a promuovere presso le strutture sanitarie pubbliche la presenza di una funzione aziendale permanentemente dedicata al controllo e alla gestione del rischio clinico e della sicurezza dei pazienti e delle cure, predisponendo meccanismi di individuazione delle fonti di rischio, di stima delle probabilità di manifestazione delle varie tipologie di rischio, di rilevazione dei quasi-eventi, degli eventi avversi e dei sinistri denunciati, di analisi delle variabili che hanno influito sul loro manifestarsi, di definizione delle azioni operative e del valore economico delle risorse necessarie per prevenire il reiterarsi degli eventi avversi. L'intesa prevedeva la creazione di uno specifico flusso di dati sugli eventi avversi da conferire al Sistema informativo sanitario mediante le modalità da definire con decreto ministeriale.

        Tale decreto è stato emanato dal competente Ministero della salute l'11 dicembre 2009 (“Istituzione del sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità”) e da quel momento il SIMES è andato costituendosi.


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        Nonostante i due anni trascorsi, l'analisi dei dati conferiti, recentemente resa disponibile, ha tuttavia mostrato almeno tre diverse velocità nell'attuazione del sistema. Mentre alcune Regioni infatti, conferiscono una mole di dati che testimonia la realizzazione di un sistema compiuto, anche se non dappertutto completo, altre invece mostrano una diffusione della struttura di raccolta assai parziale, mentre altre ancora, almeno un terzo, conferiscono una mole di dati del tutto insufficiente, che dimostra non solo che in quelle Regioni il sistema è stato implementato in poche o pochissime strutture, ma anche che il modello di identificazione degli eventi sentinella non è stato compreso nella sua complessità e pertanto non può sempre essere adottato (92).

        Quale esempio positivo si può citare, ancora una volta, la Regione Liguria che, come verificato dalla Commissione nell'ambito della specifica inchiesta condotta nel 2012, si è dotata di un efficiente Sistema regionale del rischio clinico, configurato come un sistema sinergico e interagente di cultura – politiche – obiettivi – persone – risorse – procedure – risultati, coerente con gli obiettivi di partecipazione dei professionisti e funzionale al raggiungimento del mandato delle organizzazioni sanitarie in tema di «governo clinico», integrato con gli altri requisiti e sistemi per la gestione della qualità istituzionalmente previsti.

        Questo processo include importanti aspetti giuridico-amministrativi quali il governo del contenzioso e i problemi assicurativi, nonché profili economici indotti dagli incidenti in termini di risarcimento dei danni e aspetti di qualità dei servizi percepita dai cittadini.

        È stata istituita a livello regionale la Commissione regionale di coordinamento per il rischio clinico, che costituisce lo strumento per promuovere la realizzazione di un approccio integrato alla gestione del rischio all'interno delle strutture sanitarie e il conseguimento di adeguati livelli di sicurezza del paziente e degli operatori.

        Sono state inoltre istituite, a livello di ogni azienda sanitaria, le Unità di gestione del rischio (UGR), preposte a definire piani annuali di attività per l'individuazione delle azioni preventive, correttive e di miglioramento da mettere in atto, nonché a creare un osservatorio epidemiologico aziendale sugli eventi avversi e gli eventi sentinella.

        Sono stati poi realizzati percorsi formativi sia di base, rivolti a tutti gli operatori delle aziende e finalizzati alla conoscenza dei concetti di base in materia di rischio clinico, sia avanzati, rivolti a un target predefinito di operatori e finalizzati alla conoscenza degli strumenti per la prevenzione e la gestione del rischio e l'analisi degli eventi avversi.

        Sono stati altresì attivati progetti di buona pratica clinico-organizzativa (es. braccialetto identificativo del paziente, prevenzione delle cadute accidentali, gestione del rischio in chirurgia, uso sicuro dei farmaci), l'adozione di una scheda unica (incident reporting), l'avvio del sistema informativo degli errori in sanità con procedura di segnalazione degli eventi sentinella e della relativa trasmissione a Regione e Ministero.


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        Come dimostra la realtà ligure, la diffusione del SIMES presso le strutture non è funzionale solo alla raccolta dei dati, ma testimonia l'implementazione di un'organizzazione a monte, orientata alla gestione del rischio clinico e degli eventi avversi, e di procedure predefinite per la gestione dei danni iatrogeni denunciati. Proprio per questo la propagazione del sistema è di vitale importanza, al fine di diffondere la cultura della qualità delle cure e della corretta gestione degli eventi avversi.

        L'incompletezza del sistema e del conferimento dei dati non è senza conseguenze. Poiché il decreto dell'11 dicembre 2009 prevedeva il 1o gennaio 2011 come termine ultimo per l'adeguamento, l'inadempimento di alcune Regioni riguardo al conferimento dei dati comporta conseguenze importanti, poiché il corretto conferimento è ricompreso fra gli adempimenti a cui sono tenute le Regioni per l'accesso al finanziamento integrativo a carico dello Stato, ai sensi dell'intesa della Conferenza Stato-Regioni del 23 marzo 2005.

        Se ciò rischia di penalizzare le Regioni con maggiori difficoltà, generando un possibile aggravio dei disavanzi esistenti, è necessario segnalare il pericolo di sottrarre al SIMES il principale strumento per assicurare la sua diffusione, poiché ciò può generare rilevanti danni in termini di sofferenze inutili e morti evitabili, creando un ostacolo alla diffusione di processi di qualità e buone pratiche virtuose. Per tali motivi, se una proroga in merito può essere ipotizzabile, l'articolo 5 del decreto deve essere comunque applicato, a partire da una data certa, in tutte le Regioni.

        Appare pertanto necessario incentivare lo sviluppo del SIMES, individuando meccanismi di obbligatorietà nel conferimento dei dati e delle informazioni relative anche a livello di struttura. In particolare, le Regioni dovrebbero modificare la normativa sull'accreditamento, inserendo l'organizzazione di raccolta degli eventi sentinella e quella di gestione delle denunce dei sinistri tra i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi generali per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private.

        In effetti, il conferimento dei dati SIMES può già essere compreso nei requisiti di accreditamento, poiché essi possono essere considerati come facenti parte del debito informativo nei confronti dei livelli sovraordinati a cui le strutture accreditate hanno comunque l'obbligo di rispondere adeguatamente, con riferimento al requisito minimo organizzativo generale n. 6 dell'allegato 1 al decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997, mentre le attività di gestione dei sinistri denunciati potrebbero rientrare nella gestione, valutazione e miglioramento della qualità di cui al requisito minimo organizzativo generale n. 5.

        Da ultimo, un'occasione per indirizzare le strutture sanitarie a dotarsi tutte di meccanismi e procedure di gestione degli eventi avversi e dei dati relativi potrebbe essere rappresentata dall'articolo 3-bis del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, così come modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, che prevede un obbligo delle aziende sanitarie di curare l'analisi del rischio clinico e di adottare le necessarie soluzioni per la riduzione del medesimo.

        Tale disposizione, tuttavia, non fa alcun riferimento esplicito alla gestione degli eventi avversi. Sarebbe stato forse più opportuno


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raccordarla con quelle esistenti, rafforzando il sistema generale di raccolta dei dati e rendendo effettiva una connessa organizzazione multilivello per la gestione del rischio e dei sinistri denunciati. In questo senso si può dire che tale articolo, se interpretato in maniera restrittiva, potrebbe rappresentare un'occasione perduta, sia perché l'obbligo definito a carico delle aziende è generico e non sanzionato, sia perché il presupposto della disposizione è che dalla sua attuazione non derivino nuovi oneri: ciò ne rende più difficoltosa l'attuazione in quelle Regioni in cui l'organizzazione strutturale non prevede già le risorse, umane e strumentali, per la gestione del rischio. Infine, la disposizione si dirige esclusivamente verso le aziende sanitarie, escludendo pertanto la sanità privata, che non può invece essere esclusa da un'opportunità di crescita della qualità così importante e nevralgica per la salute dei cittadini.


NOTE:

    (1) Il rischio di insorgenza di un tumore (tutte le sedi, tranne cute ma compreso il melanoma) prima degli 85 anni è pari a 52.9 per cento per i maschi e al 36.3 per cento per le femmine (rischio cumulativo, AIRTUM, Report 2007).
    (2) L'indice di vecchiaia rappresenta il grado di invecchiamento di una popolazione, ed è costituito dal rapporto percentuale tra il numero degli ultrasessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni. Fonte: ISTAT, Italia in cifre 2012.
    (3) Proiezioni demografiche Eurostat in occasione della Giornata internazionale delle persone anziane, 29 settembre 2006, in Commissione delle Comunità europee, Libro Bianco Un impegno comune per la salute: Approccio strategico dell'UE per il periodo 2008-2013, (http://ec.europa.eu/health/ph–overview/Documents/strategy–wp–it.pdf).
    (4) http://www.who.int/chp/chronic–disease–report/contents/Italian full report.pdf.
    (5) http://www.euro.who.int/document/E89306.pdf.
    (6) Vedi, tra gli altri, Coleman K, Austin BT, Brach C, Wagner EH: Evidence on the chronic care model in the new millennium. Health Affairs 2009; 28: 75-85. Cfr. anche il sito http://www.improvingchroniccare.org.
    (7) Sullo sviluppo del sistema CCM nella Regione Toscana v. http://www.epicentro.iss.it/igea/igea/VI/Roti.pdf.
    (8) Incidenza: età 0-84 anni, anno 2010 (stime), fonte I tumori in Italia, www.tumori.net. Prevalenza al 1o gennaio 200, fonte Rapporto AIRTUM 2010. La prevalenza dei tumori in Italia.
    (9) OECD (2012), Health at a Glance: Europe 2012, OECD Publishing. http://dx.doi.org/10.1787/9789264183896-en.
    (10) Ibidem.
    (11) In Svezia, il peso economico per la società attribuibile al solo carcinoma alla mammella è risultato pari a circa 320 milioni di Euro nel 2002, equivalente a circa 1,4 per cento della spesa totale sanitaria del paese (Lidgren M, Wilking N, Jonsson B. Cost of breast cancer in Sweden in 2002. Eur J Health Econ 2007; 8:5-15. In Germania, invece, il costo sociale del carcinoma alla mammella è risultato essere pari a 2,05 miliardi di Euro nel 2002, corrispondente a circa l'1 per cento della spesa sanitaria totale del paese, comprendente però sia i costi direttamente imputabili alla patologia, pari al 44 per cento del totale, sia a quelli indiretti, pari al rimanente 56 per cento sul totale (Statistisches Bundesamt Deutschland: Krankenheitkosten 2002, Wiesbaden, 2004).
    (12) Dati relativi al 2009, fonte: Secondo Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici.
    (13) Fonte: Istituto per la prevenzione oncologica-ISPO. A tali costi devono aggiungersi i costi strutturali, stimati intorno al 25 per cento.
    (14) Dati relativi al 2009, fonte: Secondo Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici.
    (15) Fonte ISTAT, Indagine sulle cause di morte, anno 2009, dato ultimo disponibile.
    (16) Fonte: Relazione annuale al Parlamento 2012 sull'uso di sostanze stupefacenti e sulle tossicodipendenze in Italia. Dati relativi all'anno 2011 e primo semestre 2012.
    (17) Fonte: Istituto per la prevenzione oncologica-ISPO.
    (18) Commissione delle Comunità europee, Direzione Generale per gli Affari Economici e Finanziari – Comitato di Politica Economica, The impact of ageing on public expenditure: projections for the EU25 Member States on pensions, health care, longterm care, education and unemployment transfers (2004-2050), Economia europea, Rapporto speciale n. 1/2006, http://europa.eu/epc/pdf/ageingannex–en.pdf.
    (19) È noto che in un'indagine statistica gli errori presenti in un insieme di dati raccolti possono essere dovuti ad una qualunque delle fasi di acquisizione e messa a punto delle informazioni (raccolta, revisione, codificazione, registrazione). Per questo motivo, mentre tradizionalmente il processo di controllo e correzione avveniva in un momento successivo alla fase di registrazione dei dati, la tendenza attuale è quella di tentare, quando possibile, il controllo dei dati il più possibile vicino alla fase di raccolta delle informazioni presso le unità rilevate, in modo da rendere più facile il reperimento di informazioni corrette dove si verifichino situazioni non compatibili o anomale. Sono state sviluppate tecnologie per l'integrazione del controllo e correzione dei dati con le fasi di intervista o di registrazione, in modo da eliminare, o in ogni caso minimizzare, la parte di errori attribuibile ad errori di compilazione o registrazione dei modelli (che rappresentano generalmente la parte più consistente del totale degli errori). Alcune tipologie di errori vengono corrette contemporaneamente alla fase di richiesta dati, quando possibile, producendo una migliore qualità finale dei dati ed un risparmio nei tempi e nei costi connessi alle fasi successive di controllo dei dati.
    In generale, una variabile rilevata in una unità statistica è affetta da errore quando il suo valore non corrisponde al valore vero che essa presenta in quella unità. È evidente che la presenza di errori, di qualunque natura, può provocare distorsioni nella distribuzione delle variabili considerate, nelle stime finali dei dati e in tutte le analisi statistiche effettuate sui dati non corretti.
    Se tutti coloro che erano parte dell'insieme di coloro che avrebbero dovuto dare risposte avessero ricevuto il questionario ed avessero dato la loro risposta (definito «popolazione» in termini statistici), l'operazione di raccolta dati si poteva definire «censimento», ma così non è stato e pertanto non è possibile nemmeno dire che è stato effettuato un campionamento statistico, che ha modalità operative sue particolari. Pertanto possiamo definire l'indagine statistica soddisfacente, in quanto la risposta è buona sul totale di quelli che avrebbero dovuto rispondere.
    (20) L'elaborazione statistica è stata condotta con il criterio metodologico indicato nel capitolo 2, nota n. 1, alla quale si rinvia.
    (21) Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, Deliberazione n. 14/2012, Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni - esercizi 2010-2011, pag. 372.
    (22) Tavolo tecnico di verifica degli adempimenti, verbale della riunione congiunta del 3 aprile 2012.
    (23) Corte dei conti, cit., pag. 372-374.
    (24) Audizione del Ministro della salute, in Resoconto stenografico della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, 6 dicembre 2012, pag. 38.
    (25) Audizione del Presidente della Sezione di controllo della Corte dei conti per la Campania, in Resoconto stenografico della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, 11 ottobre 2012, pag. 7.
    (26) Per un'interessante lettura degli effetti della cartolarizzazione dei titoli del debito sanitario campano, nonché della reale capacità di risparmio generata dalla Centrale unica di acquisti, cfr. l'audizione del Procuratore regionale della Corte dei conti per la Campania, in Resoconto stenografico della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, 30 ottobre 2012, pagg. 21-23 e 28-30.
    (27) Trattamento dei rifiuti in Campania: impatto sulla salute umana – Studio di correlazione tra rischio ambientale da rifiuti, mortalità e malformazioni congenite. Studio promosso dal Dipartimento della Protezione Civile nell'ambito delle attività di supporto alla Struttura Commissariale per l'emergenza rifiuti, presentato a Napoli il 12 aprile 2007, reperibile nel sito della Protezione Civile (www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view–dossier.wp?contentId=DOS14955).
    (28) Si segnala, altresì, che la Regione siciliana ha richiesto ai Ministeri affiancanti la sottoscrizione di un nuovo accordo per l'approvazione di un nuovo piano per il triennio 2013-2015, ai sensi dell'articolo 2, commi da 92 a 96 della legge n.191 del 2009, denominato ”Piano di consolidamento e sviluppo 2013-2015 delle misure strutturali e di innalzamento del livello di qualità del SSR”. Cfr. Assessorato alla salute, nota n. 81698 del 9 novembre 2012, pag. 16.
    (29) Si legge in Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo per la Regione siciliana, Elementi per l'audizione dinanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, 7 novembre 2012, pag. 8: ”L'adozione nel 2007 del Piano di rientro ha perciò contribuito al risanamento delle gestioni sanitarie siciliane lungo un percorso di progressivo riequilibrio finanziario, anche se restino tuttora da assolvere tutte le misure necessarie per garantire il riequilibrio del profilo erogativi dei livelli essenziali di assistenza”.
    (30) Il centro è nato due anni fa a seguito di una convenzione stipulata tra la Regione siciliana e Ospedale pediatrico Bambin Gesù. Accoglie pazienti provenienti dalla Calabria che rappresentano circa il 15 per cento del totale degli assistiti.
    (31) Fonte: Giornale di Sicilia, 23 ottobre 2012 - Intervista al prof. Cardinale, Sottosegretario alla Salute.
    (32) Fonte: la Repubblica, 24 luglio 2012. All'interno delle sale operatorie vi sono quattro monitor fissi e uno mobile. Un monitor è sempre pronto per effettuare una videoconferenza con chirurghi in ogni parte del mondo per una consultazione sul caso. Tutti i comandi della sala operatoria sono gestiti dal chirurgo e dalla sua équipe attraverso un touch screen e una serie di comandi vocali.
    (33) Fonte: la Repubblica 26 giugno 2012
    (34) Fonte: Giornale di Sicilia, 23 ottobre 2012 La struttura consente di praticare sport, ippoterapia, assistere a spettacoli di vario genere con un teatro auditorium i cui posti sono fruibili in carrozzina. A disposizione della struttura, TAC e in arrivo una risonanza magnetica acquistata con fondi europei. Nella struttura si allenano molteplici campioni paraolimpici. Trecento dipendenti, di cui 50 medici e effettivi in servizio 31.
    (35) Cfr., Giornale di Sicilia, 28 marzo 2012.
    (36) Il cardiologo clinico opererà insieme al cardiologo interventista avanzato, al cardiochirurgo, all'anestesista, al chirurgo vascolare, al tecnico di fisiopatologia, all'aritmologo e all'ecografista.
    (37) Per l'Assessorato regionale, spesso, in presenza di dati, graduatorie, classifiche, comparazioni e confronti regionali, i dati sono sempre vecchi, superati. Ad esempio, cfr. Giornale di Sicilia, 9 novembre 2012, pag. 4, a seguito dell'audizione del presidente della Corte dei conti, Arrigoni, in presenza dell'affermazione che ”i tetti di spesa previsti per la farmaceutica sono sforati”, la risposta è che ”i dati sono vecchi”. Così, ancora, a fronte dell'affermazione della Corte che il numero dei ”viaggi della speranza” si mantiene ancora alto, per l'Assessorato questa spesa si è ridotta dai 205 milioni del 2009 ai 194 del 2011. Di fronte, ancora, all'evidenziazione della mancata integrale attivazione dei PTA - 38 su 47 previsti - , la Regione sostiene che questi assicurano una capillare copertura del servizio e che “è aumentato il livello di assistenza ai disabili ed è stata potenziata la cura domiciliare agli anziani”. Ancora, a seguito della pubblicazione del rapporto sul sito del Ministero della salute nel 2011 sui LEA, dai quali emerge un'inadeguatezza del sistema siciliano, l'Assessorato replica che i dati contenuti nel rapporto pubblicato sul sito del Ministero risalgono a due anni addietro. Cfr. La Sicilia del 12 maggio 2011, articolo di Miceli Lillo, Ma il piano di rientro non è stato rispettato.
    (38) Giornale di Sicilia, 6 agosto 2012. La Sicilia ha coperto sinora tutti i propri disavanzi con l'attivazione della leva fiscale ai livelli massimi.
    (39) Cfr. la Repubblica, 27 luglio 2012.
    (40) Fonte: Cgia Mestre, la Repubblica, 27 luglio 2012.
    (41) Cfr. Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo per la Regione siciliana, Elementi per l'audizione dinanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, 7 novembre 2012, pag. 5.
    (42) Cfr., Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo per la Regione siciliana, Rendiconto generale della regione siciliana - Esercizio finanziario 2011, Relazione, Volume II, pag. 2.
    (43) Così come previsto nell'intesa Conferenza Stato-regioni del 21 dicembre 2011 che ha stabilito il piano definitivo di riparto del Fondo sanitario nazionale per l'anno 2011. Al superiore finanziamento indistinto, per completezza, si aggiunge il finanziamento vincolato per 159 milioni di euro, da destinarsi all'Istituto Zooprofilattico, per 19 milioni, e ulteriori 140 milioni per varie attività, quali la medicina penitenziaria, l'AIDS, le borse di studio MMG, la fibrosi cistica, ecc.
    (44) In assemblea regionale, in data 28 marzo 2012, era stato approvato l'emendamento 3.1 al D.decreto-legge R. 801 ed avevano constatato che la limitazione al solo esercizio 2012 del livello del 49,11 per cento, non garantiva la continuità della compartecipazione da parte regionale per gli esercizi successivi al 2012, con ciò mettendo a rischio l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza che si fonda anche su detta compartecipazione regionale, Cfr. riunione Tavoli del 24 luglio, pag. 2. Si segnala, altresì, che si è in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale adita in materia.
    (45) In data 24 luglio 2012 sono state sbloccate ulteriori risorse a favore della regione, per 240 milioni di euro, mentre rimangono da riconoscere crediti per ulteriori 1.014 milioni, condizionati dal rispetto di tutti gli altri obiettivi di cui al Programma operativo.
    (46) Tale risultato consolidato segnala un progressivo e significativo miglioramento rispetto all'analogo dato del 2006, quando era pari a oltre 900 milioni.
    (47) Cfr. Corte dei conti, Giudizio di parificazione, volume II, pag. 27.
    (48) Cfr. Corte dei conti, Elementi per l'audizione, cit., pag.10.
    (49) Cfr. Assessorato regionale alla salute, nota prot. n. 81698 del 9 novembre 2012, pag. 6.
    (50) Cfr. ivi.
    (51) Cfr. sopra, pag. 7.
    (52) Banca d'Italia, L'economia della Sicilia, 2012, pag. 41.
    (53) In particolare, l'Osservatorio economico della provincia di Palermo mette in evidenza le seguenti criticità:
        eccedenza di personale medico rispetto a quello infermieristico;
        carenza della rete dei servizi territoriali;
        alto tasso di inappropriatezza dei ricoveri;
        insoddisfacente dotazione di posti letto per riabilitazione e lungodegenza;
        lunghezza delle liste d'attesa presso le strutture pubbliche;
        elevata incidenza dei costi dei servizi non sanitari esternalizzati;
        anomalia dell’intramoenia extramuraria.
    (54) La prosecuzione del piano di rientro attraverso il programma operativo può aver luogo solo per quelle Regioni che non sono state sottoposte a commissariamento e che hanno garantito, nel triennio 2007-2009, l'equilibrio economico nel settore sanitario.
    (55) Al 31 dicembre 2011 le unità complessive erano 50.222, così composte:
        45.458 personale a tempo indeterminato;
        2.780 personale a tempo determinato;
        1.984 altro personale non dipendente.
Cfr. Assessorato regionale alla salute, nota 81698 del 9 novembre 2012.
Il 26,4 per cento lavora nella provincia di Palermo, così come anche la ricchezza prodotta dal settore nella regione deriva per oltre un quarto dalla provincia di Palermo, con evidente concentrazione nella città.
    (56) Cfr. verbale dei Tavoli ministeriali del 24 luglio 2012, pag. 4.
    (57) Cfr. Verbale tavoli ministeriali del 24 luglio 2012, pag. 4.
    (58) L'Assessorato, con la nota 81698 del 9 novembre 2012, informa che tale formazione è stata completata per 299 unità, mentre per i restanti 107, il percorso verrà completato al febbraio 2013. Tale personale verrà utilizzato dalle aziende sanitarie.
    (59) Cfr. Articolo Centonove del 13 luglio 2012.
    (60) L'Assessorato, nella nota 81698 del 9 novembre 2012, a pag. 14, riferisce di averne attivati 38.
    (61) Cfr. Verbale dei Tavoli ministeriali del 24 luglio 2012, pag. 19.
    (62) Cfr. verbale dei Tavoli ministeriali del 24 luglio 2012, pag, 9.
    (63) Si ricorda che sono costi interni:
        personale;
        prodotti farmaceutici ed emoderivati;
        altri beni sanitari;
        beni non sanitari;
        servizi (manutenzione, godimento beni, oneri diversi di gestione, ammortamenti, accantonamenti, variazione rimanenze).
    Sono, invece, costi esterni:
        medicina di base;
        farmaceutica convenzionata;
        assistenza ospedaliera, specialistica, riabilitazione, protesica e altra da privato (inclusi trasporti sanitari).
    (64) Per un'analisi di dettaglio dei costi ed interni ed esterni, si fa rinvio alla tabella 15/SA della Corte dei conti, Giudizio di parificazione, vol. II, pag. 34.
    (65) Cfr. Corte dei conti, Giudizio di parificazione, volume II, pagg. 48-49.
    (66) Cfr. Assessorato alla salute, Nota 81698 del 9 novembre 2012, pag. 12.
    (67) Banca d'Italia, L'economia della Sicilia, 2012, pag. 41.
    (68) Cfr. la Repubblica del 29 giugno 2012.
    (69) Cfr. Corte dei conti, Giudizio di parificazione, vol. II, pag. 96.
    (70) La regione ha peraltro comunicato che il risultato 2011 sarebbe positivo con un aumento dei ricoveri rispetto al 2010 (20672). Cfr. Corte dei conti, Elementi per l'audizione, pag. 18.
    (71) La Padania del 19 ottobre 2012, pag. 6.
    (72) Cfr. Corte dei conti, Elementi per l'audizione, pagg.15-18.
    (73) Cfr. Assessorato alla salute, nota n. 81698 del 9 novembre 2012.
    (74) Così è stato riferito dagli uffici del dirigente generale dell'Assessorato regionale, in data 28 novembre 2012.
    (75) Sono 27 i punti CUP dell'ASP 6, 9 dei quali nella città di Palermo. A titolo esemplificativo, le prenotazioni effettuate nel mese di ottobre 2012 sono state complessivamente 66.305, delle quali 32.402 a Palermo. Le prenotazioni registrate attraverso il call center telefonico sono state, invece, 6169.
    (76) Cfr. Tavoli ministeriali, verbale del 24 luglio 2012.
    (77) Quotidiano di Sicilia del 27 giugno 2012.
    (78) Cfr. la Repubblica del 30 agosto 2012.
    (79) In vigenza della norma blocca-nomine, che fino a prossime elezioni, poi avvenute, impedisce di assegnare nuovi incarichi.
    (80) Cfr. la Repubblica dell'11 febbraio 2012, pag. IX, e Giornale di Sicilia, pari data, pag. 28, e 9 novembre 2012, pag. 29.
    (81) La Repubblica 22 novembre 2011.
    (82) Cfr. l'intervista alla dirigente Lucia Borsellino, oggi Assessore alla salute, in Quotidiano di Sicilia, 18 febbraio 2012, pag. 6.
    (83) Cfr. la Repubblica, 28 giugno 2012, pag. 7.
    (84) Cfr. il documento KPMG – Ernst Young – Regione siciliana, Analisi della situazione patrimoniale del Servizio sanitario regionale al 31 dicembre 2011.
    (85) Dati del dipartimento delle finanze del MEF in base alle dichiarazioni dei redditi dell'anno 2011.
    (86) Cfr. Age.Na.S., Dossier copayment - http://www.agenas.it/agenas–pdf/Dossier Copayment–aprile2012.pdf.
    (87) Recentemente si è cercato di affrontare il problema con un nuovo approccio scientifico, definito “value-based cost sharing”: si dovrebbero applicare percentuali di coprestazione più basse per i beni e servizi sanitari contraddistinti da maggiori evidenze empiriche di efficacia clinica e di costo-efficacia ottenute grazie alla sempre maggiore diffusione delle metodiche di health technology assessment; se ciò ha indubbiamente una chiara utilità, essa non può tuttavia essere sopravvalutata, e sembra necessario prevedere degli strumenti correttivi che rimuovano ogni impedimento alla ricerca e all'innovazione. Cfr. M.V. Pauly-F.E. Blavin, Moral hazard in insurance, value-based cost sharing, and the benefits of blissful ignorance, Journal of Health Economics, Volume 27, Issue 6, December 2008, pp. 1407-1417.
    (88) L. T. Kohn – J. M. Corrigan – M. S. Donaldson (a cura di), To Err is Human. Building a Safer Health System, Committee on Quality of Health Care in America, Institute of Medicine, National Academy Press, Washington, D.C., 1999, passim, ma soprattutto pag. 26 e ss.
    (89) È da considerare che l'articolo 21 del contratto collettivo nazionale di lavoro della dirigenza medica e veterinaria del Servizio sanitario nazionale prevede che le aziende sanitarie garantiscano un'adeguata copertura assicurativa della responsabilità civile di tutti i dirigenti dell'area medica e veterinaria, ivi comprese le spese di giudizio per le eventuali conseguenze derivanti da azioni giudiziarie dei terzi, relativamente alla loro attività, inclusa la libera professione intramuraria, senza diritto di rivalsa, salvo le ipotesi di dolo o colpa grave.
    (90) Nel 2005 un gruppo di ricerca del Department of Health Policy and Management della Harvard Medical School ha preso in esame l'attività di una serie di specialisti nelle discipline mediche con maggiore incidenza di cause giudiziarie (medicina d'emergenza, chirurgia generale, chirurgia ortopedica, neurochirurgia, ostetricia e ginecologia, radiologia) che svolgono la loro opera professionale in Pennsylvania, 824 medici operanti in 6 strutture diverse. Ebbene, il 93 per cento ha ammesso di praticare la medicina difensiva. In particolare, il 92 per cento degli intervistati prescrive esami diagnostici e chiede consulti con grande facilità, mentre il 43 per cento ammette di prescrivere esami clinici non necessari. Ulteriore comportamento diffuso consiste nell'evitare procedure e pazienti che vengono considerati come ”pericolosi” dal punto di vista giudiziario, seguito dal 42 per cento degli interpellati, il quale ha ammesso di aver volutamente ridotto in tal senso la propria attività professionale negli ultimi 3 anni, rifiutando di praticare trattamenti di maggior rischio professionale ed evitando pazienti con patologie complesse quando percepiti come propensi a intentar causa, v. D. M. Studdert, M. M. Mello, W. M. Sage, C. M. DesRoches, J. Peugh, K. Zapert, T. A. Brennan, Defensive Medicine Among High-Risk Specialist Physicians in a Volatile Malpractice Environment, in Journal of the American Medical Association, 2005, vol. 293, pag. 2609. V. anche la ricerca ufficiale commissionata dal Congresso degli Stati Uniti: US Congress, Office of Technology Assessment, Defensive medicine and medical malpractice, OTA-H-602, Government printing Office, 1994 (http://biotech.law.lsu.edu/policy/9405.pdf); A. D. Tussing – M. A. Wojtowycz, Malpractice, defensive medicine, and obstetric behavior, in Medical Care, 1997, vol. 35, n. 2, pag. 172. Per alcuni la medicina difensiva sortirebbe anche effetti positivi, soprattutto in merito al livello di informazione dei pazienti; v. N. Summerton, Positive and negative factors in defensive medicine, in British Medical Journal, 1995, vol. 310, pag. 27 (http://www.bmj.com/cgi/content/full/310/6971/27?ijkey=eeed1dba736a27c340ffdb12d6121c170c960cea).
    (91) La nuova raccolta di dati è stata realizzata tra il 2009 e il 2010, con protocolli di ricerca scientifica. È stato indagato, con un apposito sondaggio e criteri statistici, un campione probabilistico di 2.783 unità, stratificato per classe d'età e area geografica, rappresentativo di tutti i medici italiani (esclusi gli odontoiatri) fino a 70 anni, attivi in tutti i ruoli (ospedali, case di cura, medicina di base) nel settore pubblico e in quello privato. Con tale metodo si è stimato il volume totale di medicina difensiva, il suo impatto economico generale e specifico, le eventuali differenziazioni per settore e per tipo di prescrizione.
    (92) Non risulta possibile considerare lo stato di attuazione del sistema nelle diverse Regioni a causa del fatto che il Ministero ha fornito i dati senza indicare da quali Regioni provenissero.

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