XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 384 di lunedì 18 ottobre 2010

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 15,05.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 12 ottobre 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Aprea, Barani, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, De Nichilo Rizzoli, Donadi, Fitto, Franceschini, Frattini, Galati, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Malfa, La Russa, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Leoluca Orlando, Polledri, Prestigiacomo, Ravetto, Rigoni, Roccella, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas, Vernetti, Vito e Zunino sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (Rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica, approvato, con modificazioni, dalla Camera e modificato dal Senato) (A.C. 1441-quater-F) (ore 15,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica, approvato, con modificazioni, dalla Camera e modificato dal Senato: Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1441-quater-F)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente. Pag. 2
Il relatore, onorevole Cazzola ha facoltà di svolgere la relazione.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la XI Commissione propone all'Assemblea, dopo averne approfonditamente esaminato il testo, l'approvazione del disegno di legge A.C. 1441-quater-F, collegato alla manovra di finanza pubblica, oggi all'esame della Camera dei deputati a seguito del rinvio del Presidente della Repubblica, con messaggio motivato del 31 marzo 2010, ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione.
Il riesame del provvedimento ha avuto inizio alla Camera dei deputati il 13 aprile 2010, ed è stato approvato con modifiche agli articoli 17, 20, 30, 31, 32 e 50. Successivamente, il Senato ha svolto il proprio esame, approvando il provvedimento, il 29 settembre scorso, con ulteriori modifiche agli articoli 2, 20, 31, 32 e 50.
Oggetto dell'ulteriore esame parlamentare da parte della Camera dei deputati sono pertanto, limitatamente alle parti modificate dal Senato, gli articoli sopracitati, in quanto su tali disposizioni non si è giunti, successivamente al messaggio presidenziale di rinvio, ad una duplice deliberazione conforme di entrambe le Camere.
Mi limito ad indicare sinteticamente le novità introdotte dal Senato, per poi passare ad alcune considerazioni di carattere generale. Le modifiche del Senato riguardano i punti seguenti.
All'articolo 2, in tema di riorganizzazione degli enti previdenziali è stato coordinato il testo con le nuove norme introdotte, sulla medesima materia, dal decreto-legge n. 78 del 2010.
All'articolo 20, recante disposizioni concernenti il lavoro sul naviglio di Stato, la norma di interpretazione autentica è stata meglio definita, al fine di circoscriverne la portata ai soli profili di rilevanza penale; inoltre, è stato aggiunto un nuovo comma, volto ad incrementare di 5 milioni di euro annui, a decorrere dal 2012, l'autorizzazione di spesa relativa ai benefici a favore delle vittime del dovere, categoria alla quale possono essere ricondotti anche i militari operanti a bordo del naviglio di Stato che abbiano subito danni o siano deceduti nell'espletamento del loro servizio.
All'articolo 31, relativo alle procedure di conciliazione e arbitrato, è stato in primo luogo stabilito, con riferimento all'attività delle commissioni di certificazione, che l'accertamento dell'effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie di lavoro deve essere verificata all'atto della sottoscrizione della clausola compromissoria, ed ha ad oggetto le controversie che dovessero successivamente insorgere dal rapporto di lavoro. Inoltre, è stato richiamato anche l'articolo 411 del codice di procedura civile, relativo al processo verbale di conciliazione, tra le disposizioni applicabili alle controversie individuali di lavoro nel pubblico impiego.
All'articolo 32, sono stati modificati i termini per l'impugnazione del licenziamento e sono state introdotte alcune specificazioni in relazione alle diverse tipologie di invalidità ed inefficacia; per effetto della modifica introdotta al Senato, in particolare, la nuova disciplina non troverebbe applicazione nel caso in cui il licenziamento sia inefficace, in quanto privo dei requisiti formali (come la forma scritta) previsti dall'ordinamento, nel qual caso varrebbe pertanto il generale termine di prescrizione quinquennale.
All'articolo 50, è stato introdotto un ulteriore elemento di garanzia per i lavoratori in relazione alle specifiche tipologie di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ivi previste. C'è da ritenere che tale modifica sia unanimemente condivisa dal momento che, in Commissione, non è stata oggetto di emendamenti.
Come dicevo in precedenza, l'XI Commissione ha ritenuto a maggioranza di non apportare ulteriori modifiche al testo. Tutti i pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva sono stati favorevoli; la sola IV Commissione ha posto una condizione con riferimento alla necessità di destinare l'incremento di spesa previsto all'articolo 20 ai soggetti imbarcati sul naviglio di Stato, danneggiati dall'esposizione Pag. 3all'amianto, in qualità di vittime del dovere, anche attraverso il ricorso ad apposite procedure amministrative. Nel ricordare che tale questione è stata già affrontata nel corso dell'esame degli emendamenti in Commissione, segnalo che è in corso la predisposizione di un apposito ordine del giorno.
Circa il parere espresso dal Comitato per la legislazione, faccio presente che esso reca un'osservazione in riferimento all'articolo 27, già oggetto di doppia lettura conforme, in ordine al quale è lo stesso Comitato a segnalare l'opportunità di promuovere, attraverso un atto di indirizzo al Governo, un chiarimento in ordine alla corretta applicazione della disciplina in oggetto, nonché la successiva correzione della formulazione delle norme in sede di esercizio della potestà legislativa delegata di tipo correttivo sulla materia. Anche per questa raccomandazione è in corso la formulazione di un ordine del giorno. In conclusione - prima di passare a valutazioni di natura più politica - ritengo che, alla luce dei pareri espressi e dell'iter legislativo in Commissione, il testo in esame possa considerarsi definito, senza la necessità di apportarvi ulteriori modifiche. In tal senso, rivolgo un appello all'Assemblea perché si arrivi all'approvazione di un provvedimento che ha avuto sicuramente un percorso travagliato, ma che contiene delle norme importanti e condivise, attese dal mondo del lavoro, tra cui vale la pena di ricordare - a titolo di esempio e senza far torto ad altre materie - le deleghe in tema di lavori usuranti, di razionalizzazione degli enti pubblici, di riforma degli ammortizzatori sociali, di riordino delle normative in tema di congedi, aspettative e permessi, nonché le norme di contrasto all'evasione contributiva.
Quali considerazioni si possono svolgere sul piano politico, signora Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi? Innanzi tutto, se il provvedimento ha fatto navetta per ben sette volte tra le due Camere non è sicuramente merito o colpa (a seconda dei punti di vista) della sola opposizione che ha osteggiato con particolare determinazione taluni aspetti del progetto, magari nuovi e differenti in occasione di ciascuna delle letture effettuate. Anche la maggioranza e il Governo hanno in carico la loro quota di responsabilità. Ma di tali riflessioni ci sarà il tempo e il modo di parlare. A questo punto, è opportuno mettere le carte in tavola, con franchezza ed onestà politica: la maggioranza auspica che la catena delle letture si fermi qui. E si appella al senso di responsabilità dell'Aula. Siamo convinti, infatti, che l'A.C. 1441-quater-F verrà annoverato come uno dei più importanti provvedimenti in materia di lavoro della XVI legislatura, nonostante le critiche che anche in quest'occasione gli saranno ripetute. Si è detto, ad esempio, che, transitando più volte da una Camera all'altra, dall'autunno del 2008 ad oggi, il disegno di legge si è caricato di una miscellanea di norme non sempre coerenti. È un'osservazione che ha un fondamento, signora Presidente. Il fatto è che proprio le norme apparentemente non omogenee sono quelle che hanno avuto un iter meno controverso, corredato dalla mancanza di emendamenti e costellato di voti favorevoli - basta verificare i resoconti delle votazioni - anche perché tali norme danno comunque, ciascuna di esse, una risposta ad un problema concreto che attende una soluzione.
I colleghi mi comprenderanno, signora Presidente, se dedicherò l'ultima parte di questa relazione alla questione che più di ogni altra è stata e sarà al centro del dibattito: il tema della conciliazione e dell'arbitrato secondo equità di cui ai commi 10 e 11 dell'articolo 31. Un tema sul quale lo stesso Presidente della Repubblica è voluto intervenire diffusamente nel suo messaggio chiedendo che fosse effettivamente garantita la libera volontà del lavoratore all'atto della sottoscrizione della clausola compromissoria.
Il Governo e la maggioranza ritenevano che spettasse alla contrattazione collettiva definire un quadro adeguato di garanzie (della cui necessità nessuno ha mai dubitato), tanto che il Ministro Sacconi volle prendere l'iniziativa di promuovere la sottoscrizione, ad opera delle parti sociali, di Pag. 4un avviso comune che escludesse, nel contesto delle intese negoziali, la materia della risoluzione del rapporto di lavoro dal ricorso a procedure stragiudiziali. Nel suo messaggio, il Capo dello Stato ha ritenuto indispensabile un ampliamento del perimetro delle garanzie presidiate dal precetto legislativo. E noi, maggioranza e Governo, ci siamo adeguati, seguendo quelle autorevoli indicazioni, secondo le quali era «la fase della costituzione del rapporto il momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro». Sono parole del Capo dello Stato. Questa preoccupazione, riferita al momento dell'assunzione, è ripetuta più volte nel messaggio.
Così, abbiamo scelto di blindare la clausola compromissoria che interviene al momento dell'assunzione. Tale clausola, ai sensi dell'articolo 808 del codice di procedura civile, recita: «Le parti, nel contratto che stipulano o in atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri». È chiaro, allora, che si tratta di un impegno che le parti assumono per il futuro e per tutte le controversie nascenti; nascenti, peraltro, è l'aggettivo contenuto nell'emendamento approvato dalla maggioranza al Senato. Non avrebbe senso sommare due adempimenti ossia sottoscrivere liberamente una clausola compromissoria all'atto della stipula del contratto e decidere, poi, tutte le volte in cui insorga una controversia, se adire il giudice togato o il collegio arbitrale. In questo modo, attraverso un sovraccarico di burocrazia, verrebbe in pratica precluso il ricorso all'arbitrato, pur dichiarando di condividerne, come fanno talune forze di opposizione, l'introduzione nel sistema delle relazioni industriali. Uno strumento facilitatore del rendere giustizia al lavoratore non può trasformarsi in un pellegrinaggio davanti alle commissioni e agli organi di certificazione.
Mi sia consentito di richiamare, in sintesi, il contesto di garanzie di cui è circondata l'introduzione dell'arbitrato. Premesso che l'articolo 31 mette in campo una serie molto ampia di opzioni per quanto riguarda le forme di risoluzione stragiudiziale delle controversie e che l'arbitrato irrituale secondo equità, di cui ai commi 10 e 11 è solo una di queste, va ricordato, in proposito, quanto segue: le clausole compromissorie possono essere pattuite solo laddove ciò sia previsto dalla contrattazione collettiva ed è tanto importante e costitutiva la definizione di un ambito negoziale di riferimento che è addirittura stabilita una procedura, conforme alle osservazioni del messaggio presidenziale, attraverso cui il Ministro del lavoro e delle politiche sociali può intervenire in caso d'inerzia dei soggetti collettivi; le parti devono recarsi davanti alle commissioni di certificazione le quali sono tenute ad accertare l'esistenza di un'effettiva volontà e le parti stesse possono farsi assistere da un legale di propria fiducia o da un rappresentante sindacale; prima di poter sottoscrivere le clausole deve essere esaurito il periodo di prova o, comunque, devono essere trascorsi almeno 30 giorni dalla stipula del contratto; il collegio è un terzo, che giudica secondo equità, ma è chiamato ad attenersi comunque non solo ai principi generali del diritto, ma anche a quelli specifici della materia del lavoro ancorché derivanti da obblighi comunitari.
L'opposizione (voglio sottolineare, però, la diversa linea di condotta dell'UdC in Commissione) sostiene che queste non sarebbero garanzie sufficienti e si fa forza di un infortunio della maggioranza in quest'Aula per ribadire l'esigenza che, nonostante il gran daffare all'atto dell'assunzione, le parti dovrebbero tornare davanti alle commissioni di certificazione ogni volta che insorga una controversia per confermare la volontà di comporla o meno per arbitri.
Ma, di grazia, se fosse vero che i datori di lavoro italiani sono pronti a prevaricare il lavoratore come parte debole del rapporto, costringendolo, contro la sua volontà, a rinunciare al suo giudice naturale e a sottoscrivere la clausola compromissoria, non potrebbero quegli stessi datori, anche in assenza di una clausola compromissoria, anche se la clausola compromissoria non fosse mai stata inventata, obbligare, Pag. 5con la medesima pervicacia, il malcapitato lavoratore a scegliere, sempre controvoglia, di affidarsi all'arbitrato volta per volta?
Cari colleghi dell'opposizione, è la visione stessa della natura dei rapporti di lavoro che rende poco credibile la vostra posizione! Quel lavoratore che voi dipingete in balia di un datore di lavoro che vuole portarlo, contro la sua volontà, davanti ad un collegio arbitrale istituito per contratto, sarebbe ugualmente costretto a farlo, all'insorgere di una controversia, anche se la clausola maledetta lui non l'avesse mai sottoscritta, o addirittura non fosse mai esistita.
Del resto, sappiamo quanto eccezionale sia la circostanza che, in vigenza del rapporto di lavoro, dei dipendenti privati citino in giudizio il loro datore. Oggi le controversie giudiziarie si svolgono tutte a conclusione del rapporto di lavoro. Non sarebbe così, probabilmente, se fosse operante un moderno ed agile sistema di composizione stragiudiziale (lo affermo, senza spirito polemico, nei confronti del Governo della scorsa legislatura).
Vorrei però, signora Presidente, che un lavoratore dipendente di una piccola azienda avesse la stessa libertà di scelta che gli viene riconosciuta per sottoscrivere o meno la clausola compromissoria, quando, all'atto dell'assunzione, è chiamato a decidere, con scelta irrevocabile, se allocare il proprio trattamento di fine rapporto in un fondo pensione o lasciarlo presso il datore. E avere o non avere un trattamento pensionistico adeguato, anche attraverso un dignitoso «secondo pilastro», che si può formare allocando il trattamento di fine rapporto, è parte di quei diritti fondamentali che tanto sovente vengono invocati.
Concludo, signor Presidente, onorevoli colleghi, appropriandomi di una citazione del Premier inglese David Cameron, si parva licet, come si suole dire in questi casi: «Ci sono cose che fai per dovere (...). Ma ci sono cose che fai perché sono la tua passione. Le cose che ti infiammano al mattino, che ti guidano e che sei sicuro possano realmente fare la differenza per il Paese che ami».
Per me, signor Presidente, è stato un grande onore aver svolto il ruolo di relatore di questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Damiano. Ne ha facoltà.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, ho ascoltato, come è mio costume, con grande attenzione le argomentazioni dell'onorevole Cazzola. Sono proprio queste argomentazioni che non mi convincono e mi costringono a ribadire che ci auguriamo, come Partito Democratico, che il provvedimento in esame non concluda il suo percorso, sicuramente travagliato, e non si fermi qui, pur essendo in settima lettura. Visto il modo con il quale si è conclusa questa lunga discussione, noi confermiamo la nostra negatività nei confronti del suddetto provvedimento.
Soprattutto, non mi ha convinto e mi rende fermo nella mia determinazione, insieme al Partito Democratico, l'argomento del blindare a tutti i costi la clausola compromissoria relativa all'arbitrato, che sarebbe veramente il punto di cambiamento necessario per dare coerenza tra questo provvedimento e le sollecitazioni che sono venute dal Presidente della Repubblica su questa materia, attraverso il rinvio alle Camere di quanto era stato deciso ed approvato.
Vorrei, a questo proposito, ancora una volta, muovere un rilievo di carattere generale: il modo con il quale il Governo - del resto, di questo si è trattato nelle osservazioni del Presidente della Repubblica Pag. 6- condensa nei provvedimenti tutta una serie di argomenti eterogenei che configurano, come abbiamo detto più volte, una sorta di provvedimento omnibus, onnicomprensivo; siamo partiti con nove articoli, all'inizio di questa avventura tormentata, e siamo oggi a cinquanta articoli.
Su questi si potrebbe dire molto. Però io mi soffermo ancora una volta su una questione per la quale ho avuto modo di intervenire, anche in questo caso con una certa ostinazione, e che porgo, approfitto della presenza del Ministro, anche alla maggioranza e al Governo, come questione di fondo che riguarda il tema del sindacato e della sua rappresentatività. Come mai, mi domando - anche se è una domanda ovviamente di carattere retorico - il Governo ha sentito la necessità di inserire in questo collegato un concetto, ripreso per quanto riguarda la possibilità di deroga delle norme che regolano l'orario di lavoro - per il momento nel solo settore marittimo - e per quanto riguarda la composizione delle cosiddette commissioni arbitrali? Come mai si è inserita questa clausola estremamente pericolosa, estremamente ambigua, della rappresentatività territoriale del sindacato?
Nessuno nega, tanto meno il sottoscritto - l'ho fatta anche quando ero Ministro del lavoro - una valorizzazione per quanto riguarda la contrattazione decentrata, che ritengo un pilastro fondamentale accanto al contratto nazionale di lavoro. Quindi, nessuno di noi, nel Partito Democratico, nega il valore di una contrattazione territoriale o di una contrattazione, alternativamente al territoriale, di carattere aziendale o di filiera. Nessuno di noi non percepisce l'esigenza, nell'attuale evoluzione del rapporto di lavoro e nel rapporto fra lavoro e impresa, di avere una fotografia maggiormente concentrata sulle situazione decentrate, sulla loro diversità, sulla loro disomogeneità, sulla loro articolazione. Nessuno di noi non coglie l'esigenza di avere nella competitività globale la necessità di risposte pronte che soltanto il livello decentrato può conferire efficacemente all'azione di carattere sindacale.
Ma un conto è prevedere che la rappresentatività nazionale, e quindi confederale, e quindi solidale, e quindi capace di unificare il più possibile dentro regole riconosciute nel mondo del lavoro, si articoli ed evolva a livello territoriale e a livello decentrato la sua possibilità di rappresentare più vicino al luogo di lavoro le condizioni del lavoro dell'impresa; un altro conto, come fa il Governo in queste circostanze, è sostituire la rappresentatività nazionale con la rappresentatività territoriale. Lo sanno forse i rappresentanti del Governo e della maggioranza che tutto questo inevitabilmente porterà al rischio, che diventerà probabilmente realtà, di creare una molteplicità di sindacati di comodo a livello territoriale, che rappresentano le imprese e il lavoro, e che tutto questo, inevitabilmente, potrebbe portare ad una situazione nella quale alle logiche della solidarietà vedremo sostituite quelle del corporativismo territoriale e della rappresentanza degli egoismi. Tutto ciò in una logica che, in una situazione particolarmente contrastata di crisi economica, di debolezza del lavoro, di ricerca del «si salvi chi può», vedrebbe inesorabilmente perire coloro che sono più deboli. Una rincorsa senza fine sulla base di una rappresentatività territoriale che non ha nulla di generoso e nulla di codificato all'interno di una visione generale per ritrovare nel territorio delle condizioni di dumping, di concorrenza al ribasso con i grandi contratti nazionali e con le loro definizioni normative. Quindi non una devoluzione, ma una alternativa.
Credo che questo sia un problema di fondo, di cui si dovrebbero interrogare le stesse organizzazioni sindacali confederali, perché si tratta di una definizione per il momento circoscritta, come ho ricordato, al mondo del lavoro marittimo per la questione degli orari di lavoro e alle commissioni di arbitrato, ma che potrebbe rappresentare una sorta di cavallo di Troia, un cuneo che in qualche modo può Pag. 7acuire quella crisi di rappresentatività che può derivare dallo sgretolamento di una visione di carattere nazionale.
La seconda questione, anche di carattere generale, è questa: credo che questo provvedimento, per il modo con il quale intendiamo valutarlo, sia, come ho detto più volte, un ulteriore anello di una catena di provvedimenti che il Governo ha emanato dal momento del suo insediamento per quanto riguarda le tematiche del lavoro e delle protezioni sociali. Direi che il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali si è applicato con passione chirurgica allo smontaggio di norme e di regole che la precedente legislatura aveva in qualche modo definito attraverso una concertazione sociale, attraverso un patto condiviso, attraverso la sottoscrizione unitaria da parte di CGIL, CISL, UIL e di Confindustria di un patto sociale che aveva anche consentito di ri-regolare consensualmente i rapporti di lavoro. In che chiave leggere il ripristino dello staff leasing avvenuto in un'altra fase legislativa da parte di questo Governo? In che chiave leggere ad esempio l'estensione nuovamente dell'utilizzo del job-on-call, una forma di lavoro precario che noi giustamente avevamo circoscritto a quei settori che hanno bisogno di maggiore flessibilità del lavoro date le loro particolari condizioni, come il settore del turismo e dello spettacolo? Come leggere la diminuzione di efficacia delle norme che hanno regolato, nella precedente legislatura, tutto quello che concerne il lavoro a termine, i diritti di prelazione in caso di richiesta di mansione omogenea al lavoratore a termine nell'ambito dell'impresa nel quale quel lavoratore è temporaneamente assunto? E se c'è la richiesta a tempo indeterminato perché non privilegiare quel lavoratore? Tanto per fare un esempio, vi è la maggiore difficoltà di conversione dopo lo scadere dei trentasei mesi di quella forma di lavoro in una forma di stabilità. Non è forse vero che la mancanza di cambiamento dal lavoro nella sua precarietà al lavoro nella sua stabilità è uno dei sintomi più gravi degli elementi di precarietà e di percezione di mancanza di futuro per quanto riguarda le nuove generazioni? E perché si vuole continuare ad andare in quella direzione? Ormai persino al Fondo monetario internazionale e a Bankitalia hanno rilevato come uno degli elementi del decadimento della competitività dell'Italia - che, come sappiamo, è agli ultimi posti fra le nazioni europee anche da questo punto di vista - sia da rilevarsi in un esagerato, abnorme utilizzo, del lavoro flessibile che diventa poi precarietà del lavoro e non al contrario quello che noi vorremmo: una buona flessibilità che si converta in una stabilizzazione del lavoro.
Credo che su tali ragionamenti noi dobbiamo riflettere, dobbiamo riferire al Paese perché sappiamo quale sia il livello di spaesamento soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni. Non ci rassicurano le parole, espresse ancora una volta dal Ministro Tremonti, che ci assicura che ormai la crisi è passata, è alle nostre spalle, bisogna stare tranquilli. Non vi è solo un problema di rassicurazioni, vi è un problema di certezze concrete basate su dei dati che siano fondati. Soltanto leggendo i dati relativi alle centosettanta aziende in crisi presenti ai tavoli del Ministero dello sviluppo economico purtroppo devo riconoscere che lì ci sono almeno duecentomila lavoratori coinvolti, un quarto dei quali, circa sessantamila, rischia o perderà il posto di lavoro. Sono migliaia le aziende che non sono censite, sono migliaia le aziende che nei territori utilizzano la cassa integrazione ormai straordinaria che è triplicata, mentre quella in deroga è quintuplicata, e che sono coinvolte in una situazione che porterà delle diminuzioni occupazionali. Allo stesso modo, nella pubblica amministrazione i tagli orizzontali sicuramente hanno portato ad una situazione nella quale l'espulsione di centoquarantamila precari della pubblica amministrazione, di centotrentaduemila precari della scuola, la mancata possibile assunzione di settantamila giovani che hanno vinto i concorsi, creerà in breve tempo una situazione di maggiore precarietà ed insicurezza del lavoro che avrebbe bisogno di risposte che Pag. 8vanno nel senso contrario a quelle che sono state fino a qui la politica e la filosofia di questo Governo.
Venendo poi alle questioni del collegato lavoro, tralascio alcuni punti che verranno ripresi dalle mie colleghe che interverranno successivamente per concentrarmi esclusivamente sulla questione dell'arbitrato, a proposito del quale l'onorevole Cazzola parlava di una clausola che è assolutamente necessario blindare.
È su ciò che dissento. Come abbiamo visto, abbiamo avuto i rilievi del Capo dello Stato su questo punto. Indubbiamente, vi sono state alcune modifiche che, a nostro avviso, non sono ancora sufficienti, ma, soprattutto, non ci è assolutamente piaciuto e non abbiamo condiviso il fatto che dal Senato sia stato compiuto un passo indietro rilevante, fondamentale per quanto riguarda l'arbitrato secondo equità, ossia la cancellazione di quella proposta emendativa che, come Partito Democratico, avevamo portato e conquistato nel voto parlamentare qui alla Camera.
Da questo punto di vista, vorrei concludere dicendo ciò: sappiamo che il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere l'atto Camera n. 1441-quater, indicando con articolate argomentazioni le modifiche che si dovevano apportare a quel testo. Perché? Per adeguarlo ai princìpi costituzionali, sia sotto il profilo sostanziale, che sotto il profilo processuale. Il Senato ha introdotto modifiche, certo, ma esse - come ho ricordato - non si allineano assolutamente alle prescrizioni del Capo dello Stato e lasciano, pertanto, inalterati e non risolti problemi gravi ed elementi di contraddizione addirittura con i princìpi costituzionali e comunitari.
In particolare, in relazione ad uno dei punti del disegno di legge che più di ogni altro ha incontrato maggiori riserve, in ossequio alle osservazioni del Presidente della Repubblica, avevamo approvato una proposta emendativa mediante la quale si stabiliva che potessero essere devolute ad arbitri le sole controversie insorte nel corso del rapporto di lavoro. Tale proposta emendativa, da noi proposta, era stata approvata alla Camera.
Al contrario, il Senato è intervenuto sul tema e ha ripristinato la formula precedente, nella sostanza: pertanto, una disposizione che rende possibile sottoscrivere la clausola arbitrale non solo in costanza del rapporto di lavoro, allorché insorga la controversia, ma nella fase successiva, alla scadenza del patto di prova, ove previsto, e per le eventuali controversie nascenti dal rapporto, quindi su controversie future. Su questo vi è il nostro radicale dissenso.
Inoltre, nel testo licenziato dal Senato è consentito rimettere una decisione che incide secondo equità: ciò vuol dire che incide sulla stessa disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, rendendola estremamente flessibile, anche a livello del rapporto individuale, in quanto consente al collegio arbitrale di derogare alle disposizioni legislative vigenti. Si tratta di un passo molto importante e molto pesante: infatti, vorrei ricordare che, nell'ordinamento lavoristico, il contratto individuale ha un peso relativo perché integrato dalla legge e dai contratti collettivi, che dovrebbero essere inderogabili in peius. Il contratto, quindi, deve in qualche modo essere preservato.
L'equità decisa dagli arbitri va in quella direzione oppure - diciamo così - sostituisce le disposizioni legali e dei contratti collettivi? Infatti, se è così - e sarà così - si apre un solco, una possibilità di diverso percorso normativo, costituito dalle regole elaborate dagli arbitri privati in base alla loro interpretazione del concetto di equità, senza dover necessariamente applicare il diritto del lavoro dettato dal legislatore e dall'autonomia collettiva.
E anche l'attuale formula, che richiede che l'equità sia applicata «nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento e dei princìpi regolatori della materia anche derivanti da obblighi comunitari», è altamente evanescente e non appare sufficiente a circoscrivere in maniera cogente il potere di decidere secondo equità.
In sostanza, consentire la sottoscrizione della clausola per controversie nascenti - Pag. 9questa è la nuova formula del Senato - e comunque in una fase o iniziale, dopo i primi 30 giorni di lavoro nel caso manchi il patto di prova, o immediatamente successiva al patto, non consente - sottolineo questo - di sottrarre il lavoratore a quella posizione di debolezza contrattuale - lo ribadisco e mi rivolgo all'onorevole Cazzola, che sicuramente conosce bene questo argomento - paventata nel messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica e rende totalmente ininfluente la disposizione che affida alle commissioni di certificazione l'accertamento della reale volontà delle parti di compromettere la controversia in arbitrato.
Sono quindi questi gli argomenti. In conclusione dico se ci sia da domandarsi - perché ce lo stiamo chiedendo - se anche per questi argomenti e per questi motivi, che attengono al principio costituzionale sia sotto il profilo sostanziale che processuale, non ci sia, come si dice, la necessità di procedere, anche da parte nostra, con una pregiudiziale di costituzionalità del provvedimento stesso.
Non vale l'appello rivolto dall'onorevole Cazzola per quanto riguarda alcuni contenuti che indubbiamente anche a noi stanno a cuore (penso al tema dei lavori usuranti per i quali diremmo: questo provvedimento deve passare), perché, purtroppo, in questo provvedimento omnibus le poche cose buone - alle quali noi sicuramente teniamo - sono queste cose, sommerse da un insieme di normative le quali rappresentano un punto di regressione per il lavoro e le sue tutele, come - sicuramente nessuno lo può negare - non riconoscere nel rapporto tra lavoratore e impresa - soprattutto in una situazione di grave crisi occupazionale come l'attuale - la posizione di debolezza del lavoratore nei confronti dell'impresa, e non voler riconoscere la natura e l'essenza stessa del diritto del lavoro esistente in Italia.
Per tali motivi noi ci auguriamo che questo provvedimento - per il quale avanzeremo puntualmente le nostre proposte emendative - possa essere ancora cambiato, soprattutto nella parte relativa alla questione dell'arbitrato. Lo ribadisco: ci siamo espressi in Commissione, e ci esprimeremo in Aula, negativamente sull'insieme del provvedimento, con la nostra limpida, lineare e agguerrita battaglia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame, collegato alla manovra finanziaria pubblica per gli anni 2009-2013, in materia di lavoro, è certamente frutto di un lavoro complesso e articolato, e politicamente molto sofferto. A tal proposito, tengo a ringraziare tutta la Commissione lavoro, il suo presidente e il relatore.
Come è già stato ampiamente ricordato, il provvedimento è ormai arrivato alla sua settima lettura (ora all'esame della Camera dei deputati): segnale, questo, della delicatezza del tema e del portato di questa disposizione, che hanno richiesto, nell'arco di questi ultimi due anni, adeguati quanto opportuni approfondimenti.
Le modifiche apportate dal Senato nell'ultima lettura appaiono tutte ispirate al buonsenso e alla ragionevolezza, e consentono pertanto di considerare ormai concluso il provvedimento, che si auspica possa finalmente giungere alla sua definitiva approvazione.
Al momento risulta quanto meno prioritario sollecitare l'approvazione di questo provvedimento a lungo atteso, considerando anche il largo sostegno che sembra provenire da più parti del comparto istituzionale e sociale, e l'esigenza di poter consentire al mondo imprenditoriale e ai lavoratori di potersi muovere agevolmente in una cornice normativa rinnovata e più completa.
La ragionevolezza delle disposizioni tracciate dal provvedimento in esame, l'approfondimento dedicato ad alcune di esse - faccio riferimento in particolare all'articolo 31, in materia di conciliazione e arbitrato - non lo dispensa da ulteriori approfondimenti, che potrebbero trovare spazio in altri provvedimenti affini in materia. Pag. 10
In particolare, mi riferisco a specifiche misure a sostegno dell'occupazione femminile eventualmente legittimate da un adeguato sistema di welfare che consenta a questa categoria di lavoratori di non essere vessata e, soprattutto, alienata sotto più profili. Sono certo che questi aspetti troveranno la piena condivisione e il pieno sostegno da parte di molti colleghi, oltre che referenti di Governo, soprattutto in virtù del fatto che molte proposte di legge, recanti disposizioni per favorire l'occupazione femminile, la condivisione e la conciliazione tra cura familiare e lavoro, sono al momento assegnate alla Commissione competente.
Siamo certi che misure più puntuali e più concrete possano essere strutturate anche nei decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di occupazione femminile, di cui all'articolo 46 del presente provvedimento.
Appare ulteriormente interessante evidenziare quanto è stato dichiarato dal Ministro Sacconi in Commissione lavoro in merito a una richiesta sostanziale di autonomia organizzativa dell'ex ISPESL, formulata dai colleghi del Partito Democratico. Il Ministro ha precisato che il Ministero ha già apprestato un intervento organizzativo che si muove nella direzione auspicata dalla proposta emendativa citata. Pertanto, giudica sufficiente la presentazione di un semplice atto di indirizzo in materia che il Governo non dovrebbe avere alcuna difficoltà ad accogliere. Muovendosi su questa stessa linea operativa e istituzionale mi auguro che il Ministro, traendo spunto dalla richiesta avanzata dal sottoscritto e da altri colleghi, di garantire autonomia organizzativa e gestionale ad un ufficio della navigazione che erediti le specificità di IPSEMA, garantisca che questo possa essere operato nell'ambito dell'INAIL considerando che gli enti ISPESL e IPSEMA sono stati soppressi dal decreto-legge n. 78 del 2010.
Complessivamente le due Camere hanno svolto un lavoro egregio che consente di guardare con fiducia al vaglio del Presidente della Repubblica, nella sua autorevole persona, nella consapevolezza che il Parlamento ha saputo cogliere appieno il senso del suo messaggio di rinvio alle Camere, apportando i correttivi necessari. In particolare, sul tema della conciliazione e dell'arbitrato vi è la certezza di avere individuato uno strumento aggiuntivo a disposizione della contrattazione collettiva pienamente rimesso all'autonomia negoziale che è stato, peraltro, sostenuto, con una sola eccezione, da tutte le parti sociali. Si è, quindi, di fronte a uno strumento che difficilmente può essere considerato come una sorta di macigno che rischia di alterare il rapporto di forza tra il prestatore di lavoro e il datore di lavoro. Malgrado le criticità che sembrano sollevate da alcuni referenti delle parti sociali e della politica, è per queste ragioni che il provvedimento può considerarsi estremamente valido e positivo, pur essendo caratterizzato da una forte eterogeneità di contenuti. Siamo certi di trovarci dinanzi a un provvedimento capace di riformare il mercato del lavoro, un mercato che necessita di urgenti rettifiche e cambiamenti. Allo stesso tempo siamo pienamente consapevoli che è questo il primo passo verso una reale ristrutturazione normativa del comparto. Ora, Ministro, bisogna andare avanti (Applausi dei deputati dei gruppi Futuro e Libertà per l'Italia e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lusetti. Ne ha facoltà.

RENZO LUSETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, siamo in quest'Aula a discutere del via libera definitivo a un provvedimento che ritorna in questo ramo del Parlamento, come hanno già detto i colleghi che mi hanno preceduto, in settima lettura e dopo una navigazione parlamentare di ben due anni. Sono fatti noti ma mi consenta, soprattutto il Ministro, di fare una piccola digressione, che pure non lo riguarda direttamente. Oggi avremmo dovuto discutere della riforma universitaria. So che non è un problema suo ma invece di discutere di un provvedimento relativo alla riforma universitaria oggi discutiamo di un provvedimento che il Parlamento avrebbe dovuto Pag. 11licenziare un po' di tempo fa. Credo che la politica di questa maggioranza - e quindi anche di questo Governo - sia in grave ritardo rispetto alle attese del Paese.
A volte in politica anche i tempi hanno una loro specificità anche di contenuto. Il Ministro Gelmini, suo collega, ha fatto accelerare in Commissione il provvedimento che riguarda la riforma universitaria per farci poi spiegare qualche giorno dopo dal Ministro dell'economia che mancavano le risorse, cioè, sostanzialmente, i soldi per finanziare questa riforma.
Credo che forse questo si sapesse anche prima e sarebbe anche opportuno che qualche volta i Ministri parlassero con il Ministro dell'economia. Il Ministro Tremonti ha ribadito proprio ieri che i numeri vengono prima della politica, però questo è un ragionamento molto pericoloso e lo dico a lei come esponente del Governo. Se così fosse, vuol dire che basterebbe la Ragioneria generale dello Stato a fare politica nel nostro Paese, ma così non è. La ragioneria pubblica è una cosa, la politica è un'altra.
Relegare la riforma universitaria a un decreto-legge milleproroghe di fine anno vuol dire mortificare l'educazione, l'università, i professori, i ricercatori, gli studenti e le famiglie e così credo che non si possa andare molto avanti. Mi sarei aspettato che l'Italia avesse in qualche modo imitato la Germania anche su questo tema, perché la Germania, nonostante le dure politiche di risparmi nella spesa pubblica, ha deciso di non tagliare la spesa per ricerca e istruzione, investendo per il prossimo anno ben 12 miliardi di euro.
Ora purtroppo così non è; si immagina di relegare la riforma dell'università a un decreto-legge di fine anno come se fosse un comma di un decreto omnibus e mi pare che questo Governo non possa andare avanti in questo modo, perché se andiamo avanti così rischiamo di consegnare alle nuove generazioni un Paese in ritardo sia con la modernità che con il futuro.
Però è anche giusto ritornare al tema che affrontiamo oggi, sapendo che questo provvedimento, che è nato come stralcio dal disegno di legge collegato alla legge finanziaria 2009, era partito da un testo di 9 articoli e 39 commi ed è arrivato all'attuale formato - lo ha detto prima il collega Damiano - omnibus di 50 articoli e più di 140 commi.
Già il titolo del provvedimento - mi rendo conto che è difficile sintetizzarlo - parla da solo. Si parla di delega al Governo in materia di tante cose: lavori usuranti, riorganizzazione di enti, congedi ospedalieri e permessi, ammortizzatori sociali, servizi per l'impiego, incentivi all'occupazione, fino ad arrivare al discorso delle controversie di lavoro.
È giusto sicuramente arrivare a definire una politica innovativa su tutti questi temi, però forse farlo in tempi più rapidi e in maniera più semplificata potrebbe essere positivo per la comprensione del Paese che in qualche modo diventa il soggetto di queste norme che oggi stiamo discutendo.
Nel lungo iter del provvedimento in esame il dibattito ha evidenziato con chiarezza una profonda modifica ed anche innovazione della concezione del diritto del lavoro. In particolare, con la valorizzazione dell'istituto della clausola compromissoria, dell'arbitrato e della certificazione in qualche modo si è teso a snellire, semplificare e anche a ridurre il contenzioso, anche se si potrebbe obiettare rispetto ad una esigenza che il Governo ha posto giustamente, che si potrebbe determinare una sorta di affievolimento della tutela giurisdizionale.
Però prendiamo atto che c'è un nuovo orientamento che traspare in tutto il provvedimento che oggi stiamo discutendo e determina certamente nuovi equilibri nei rapporti tra lavoratori ed imprese ed anche nuove responsabilità di tutti i protagonisti del mondo del lavoro.
Le correzioni apportate dal Senato hanno comportato tante modifiche: la soppressione parziale della delega per riorganizzare gli enti vigilati dal Ministero, le limitate modifiche alla norma riferita al lavoro in apprendistato, la disciplina relativa alle procedure di conciliazione e arbitrato (la questione chiave di questo provvedimento formulata all'articolo 31), Pag. 12la disposizione che definisce modalità e termini per l'impugnazione dei licenziamenti individuali e, infine, la previsione concernente l'indennità dovuta al lavoratore per il quale sia stata accertata la natura subordinata del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e non abbia accettato l'offerta di stipulare un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
È evidente come l'odissea del disegno di legge cosiddetto collegato lavoro, così come dichiarato dal Capo dello Stato nel suo messaggio di fine marzo, ingloba una sorta di eterogeneità di fini che rappresenta l'antimateria di ciò che dovrebbe essere il buon legiferare, che dovrebbe rendere conoscibili e comprensibili le norme. D'altra parte, anche se non è nelle intenzioni del Governo, quando si arriva a parlare di leggi omnibus è chiaro che viene sacrificata la chiarezza della norma nei confronti dei cittadini italiani. Purtroppo è così anche in questo provvedimento che si è ingrossato nel corso di questi due anni di esame.
Nel merito, il Capo dello Stato aveva posto una serie di rilievi soprattutto sul provvedimento più delicato. Il primo, riguardava le disposizioni su conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro (sostanzialmente i primi 9 commi dell'articolo 31). Si tratta di norme che introducono la possibilità di comporre le liti di lavoro con la via alternativa dell'arbitro in luogo del giudice.
Credo che il testo finale abbia recepito i rilievi del Colle - questo lo giudichiamo un fatto positivo - perché viene garantito che la scelta del lavoratore con la firma di una clausola compromissoria avvenga dopo il periodo di prova e non al momento dell'assunzione. È inoltre assicurato che davanti ad un licenziamento nessun arbitro prenderà mai il posto del giudice. Purtroppo, su questa norma, che è annegata in decine di altre che in molti casi nulla hanno a che fare con il diritto del lavoro, si è scatenata una contrapposizione molto forte e molto accesa tra i sindacati interessati a tentativi di semplificazione (mi riferisco alla CISL e alla UIL, tanto per essere molto chiari ed espliciti) e quelli che invece sono più schierati a difesa dei cosiddetti diritti indisponibili (come la CGIL, così come ha fatto anche nella manifestazione di sabato il segretario Epifani quando ha parlato davanti ai delegati della FIOM).
Personalmente - e anche il mio partito, l'Unione di Centro - sono molto più vicino culturalmente a quei sindacati come CISL e UIL che vogliono semplificare, tenendo conto dei diritti del lavoratore e tenendo conto che il diritto non va affievolito. Tuttavia, sicuramente la nostra vicinanza è a questo tipo di impostazione culturale. Voglio solo fare una considerazione di attualità, non do giudizi politici però sono rimasto un po' sorpreso dal fatto che nella lunga vicenda tra il conduttore televisivo, anchorman ormai noto a tutti, Michele Santoro, e il direttore generale della RAI, Santoro che pure viene comunque da una cultura un pochino più garantista o di sinistra chiede l'arbitrato e il direttore generale della RAI (quindi la parte datoriale) è contrario all'arbitrato. Lo dico al collega Damiano che l'altro giorno in una dichiarazione ha apprezzato la posizione del dirigente generale Mauro Masi, però lo dico a dimostrazione di come siano cambiati ed evoluti i tempi anche su questo tema dell'arbitrato. Non c'è più un'etichetta chiara, precisa e definita tra destra e sinistra, ma questo fa parte un po' delle novità che il nostro tempo sta producendo in questa fase politica molto convulsa e molto agitata.
Per questo motivo credo si possa dire che solo con il tempo e solo con l'applicazione di questa norma si potrà vedere se l'arbitrato avrà vita facile nel nostro Paese, così è anche per le altre diverse misure contenute in questo disegno di legge, come ad esempio l'apprendistato rafforzato. Dopo il voto finale alla Camera, lei, signor Ministro, avrà tre mesi di tempo per adottare i nuovi termini per il pensionamento anticipato ed i lavori esposti alle attività usuranti, e noi su questo siamo tutti molto attenti. Si tratta di un tema su cui si è discusso anche con il precedente Governo e, se non ricordo male, il precedente Pag. 13Esecutivo aveva lasciato una congrua copertura finanziaria, di oltre 250 milioni di euro l'anno per il decennio che andava dal 2008 al 2017, per coinvolgere almeno 5 mila lavoratori all'anno. Speriamo che questi tre mesi per adottare i nuovi termini siano sufficienti ed anche positivi per poter fare un lavoro che sappia affrontare seriamente il tema dei lavori usuranti.
Più ampio è il margine di 24 mesi che lei ha per la riforma degli ammortizzatori sociali, altra delega di peso contenuta in questo disegno di legge.
Peraltro, su questa materia - magari nella replica lo può anche dire, signor Ministro - lei ha più volte chiarito che intende intervenire con un provvedimento diverso che in qualche modo potrebbe coniugarsi con il futuro Statuto dei lavoratori. Poi ci sono le altre materie di delega al Governo con tempi di attuazione che arrivano fino a 18 mesi e che spaziano dal riordino dei servizi per l'impiego, agli incentivi all'occupazione, dalla riorganizzazione di una miriade di enti vigilati dal Ministero del lavoro alla semplificazione della normativa sui congedi e sui permessi di lavoro e gli incentivi per l'occupazione femminile.
Si tratta di materie - signor Ministro non la invidio - che possono riempire l'agenda di questa legislatura. Perciò ribadisco che siamo contrari alle elezioni anticipate e sono un po' meravigliato dal fatto che il suo collega Ministro Bossi insista (ancora ieri lo ha fatto) con le minacce richiedendo elezioni anticipate. Noi riteniamo, al di là della nostra collocazione politica, importanti queste misure, anche se c'è chi voterà contro, chi si asterrà, la maggioranza sicuramente voterà a favore. Non a caso dovrà emanare alcuni decreti legislativi o dovrà occuparsi di una serie di riforme concrete per il lavoro.
Quindi, se sono importanti dovrebbe in qualche modo spiegare a qualche suo collega - soprattutto della Lega - che la si dovrebbe finire con questo richiamo costante e quotidiano alle elezioni anticipate: si dà sicuramente una cattiva impressione nel rapporto con la pubblica opinione e sicuramente non si fa il bene dei cittadini italiani insistendo con questa destabilizzazione dell'intero Esecutivo, quindi anche dei propositi positivi che il Ministro del lavoro ha nei confronti di un tema così importante come il lavoro.
Con questo disegno di legge credo che siano veramente in gioco questioni fondamentali per i lavoratori e anche per l'evoluzione del diritto del lavoro. Sarà la dottrina in qualche modo ad occuparsene una volta che il provvedimento sarà approvato. Come gruppo dell'Unione di Centro abbiamo guardato soprattutto alla necessità di dare risposte a problemi concreti, da tempo all'attenzione della Camera dei Deputati e del Governo, a partire dalla definizione - lo dicevo prima - della questione dei lavori usuranti.
Nella sua formulazione finale, l'articolo 1 contiene una clausola di salvaguardia che in qualche modo cerca di prevedere che qualora (lo dico perché il Ministro Tremonti ogni giorno ci dice che non ci sono risorse e, quindi, siamo preoccupati anche per questo) nell'ambito della funzione di accertamento del diritto al beneficio emergano scostamenti tra gli oneri derivanti dalle domande accolte e la copertura finanziaria (qualche dubbio ci viene a sentire le parole di Tremonti) prevista trovi applicazione una sorta di criterio di priorità in ragione della maturazione dei requisiti agevolati e, a parità degli stessi, della data di presentazione della domanda e la decorrenza dei trattamenti pensionistici. Per questo, riteniamo importante che siano delle regole ben precise non sapendo di quante risorse finanziarie possiamo disporre.
Inoltre, riteniamo importanti le misure relative al lavoro sommerso. Mi riferisco all'articolo 4, che prevede tra le altre cose che in caso di impiego dei lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato (con la sola esclusione del datore di lavoro domestico) verrà applicata una sanzione amministrativa da 1.500 a 12 mila euro (forse è anche un po' poco) per Pag. 14ciascun lavoratore irregolare e più 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo.
Con questo collegato, inoltre, è stato integrato e completato il riordino avviato lo scorso anno con il famoso decreto-legge n. 112 del 2008 volto alla modernizzazione della pubblica amministrazione e nello specifico il pubblico impiego in qualche modo si era già avvicinato al settore privato. L'amministrazione poteva respingere la richiesta se il part-time comportava complicazioni per l'organizzazione del lavoro, ma ora si è giunti ad un ulteriore passo in avanti perché saranno analizzati i casi di 170 mila lavoratori della pubblica amministrazione che hanno ottenuto la riduzione dell'orario di lavoro con le vecchie regole.
Noi ci rendiamo conto dell'importanza del fatto che il part-time da un lato andrebbe contemperato con le esigenze organizzative dei servizi degli enti, ma dall'altro costituisce lo strumento che consente di tenere insieme lavoro e benessere organizzativo della famiglia. Per questo, è importante analizzarlo bene con grande equilibrio evitando scostamenti da un lato e dall'altro, perché altrimenti rischiamo di dare un elemento negativo sia per le famiglie che per l'organizzazione del lavoro.
In merito poi ai periodi di aspettativa, i dipendenti pubblici li possono richiedere per un massimo di dodici mesi, senza assegni e senza decorrenza nell'anzianità di servizio, per avviare attività imprenditoriali e professionali e credo che questo sia un altro elemento che va in una direzione innovativa.
Non io personalmente, ma il gruppo dell'UdC in questi mesi ha partecipato al confronto sul provvedimento con la forte sollecitazione a trovare soluzioni che recepissero pienamente e positivamente le modifiche necessarie per concretizzare le osservazioni del Capo dello Stato. In un certo senso si è proceduto in questa direzione e devo dire che il testo che risulta dall'esame che si è svolto in Aula a più riprese (questa è la quarta lettura alla Camera) a nostro giudizio in qualche modo è migliorato rispetto alla sua originaria formulazione. Su tali articoli abbiamo svolto in modo significativo un certo tipo di lavoro e possiamo dire che molto è stato fatto, ma che c'è ancora molto da fare, soprattutto per le categorie più deboli dove è stata più evidente ed immediata la stretta.
Faccio un esempio per tutti: riguardo ai permessi per l'assistenza ai portatori di handicap con le nuove regole il diritto ad astenersi dal lavoro è riconosciuto ad un solo familiare alla volta ad è circoscritto a parenti e affini entro il secondo grado. È chiaro che noi sotto questo profilo siamo molto attenti a coloro che hanno delle difficoltà e a definire una legislazione che tuteli quanto più possibile l'interesse debole.
A giudizio dell'UdC, purtroppo, è evidente che lo stallo che ha subìto in questi due anni il collegato lavoro, al di là delle questioni sulle quali il Capo dello Stato ha chiesto un riesame del testo, rischia di creare notevoli ripercussioni nei confronti di un processo di modernizzazione che sembrava finalmente avviarsi. Dico questo perché, come ho affermato all'inizio, sono convinto che la politica abbia anche dei tempi: se si arriva troppo tardi all'appuntamento con la storia, si rischia di non predisporre una norma adatta per le esigenze dei cittadini che noi in qualche modo rappresentiamo.
Nel corso di questo iter parlamentare il provvedimento è diventato un contenitore di norme che avrebbero dovuto dare l'avvio ad importanti riforme del lavoro: revisione della normativa in materia di assistenza alle persone disabili, delega al Governo in materia di ammortizzatori sociali, rivisitazione delle norme che disciplinano l'apprendistato che deve essere una sorta di volano per l'ingresso dei giovani nell'impresa. Credo che il collegato sul lavoro in qualche modo stabiliva anche una revisione dell'apparato sanzionatorio riferito al lavoro nero secondo la gravità delle violazioni ed estendendo anche in tale campo la procedura della diffida quale atto preliminare alla notificazione dell'illecito. Pag. 15
Alla luce di queste considerazioni ribadiamo che il provvedimento che stiamo discutendo, sul quale in sede di dichiarazione di voto esprimeremo il nostro giudizio più compiutamente, consente di approdare a soluzioni condivisibili su diversi temi, anche per la disponibilità da parte della maggioranza e del Governo ad accogliere alcuni emendamenti, ma si evidenziano ancora aspetti di notevole criticità.
In conclusione, credo che il provvedimento in esame, che avrebbe dovuto rappresentare una sorta di battaglia di civiltà, non sembra garantire maggiori tutele nei confronti dei soggetti più deboli della società, né approntare strumenti adeguati per la lotta contro le disuguaglianze nel mercato del lavoro. Riteniamo positivi alcuni miglioramenti complessivi di questo provvedimento; nel corso del dibattito presenteremo alcuni emendamenti e poi esprimeremo un giudizio finale più compiuto su tutto il disegno di legge.
Certo è che noi consideriamo il lavoro insieme all'istruzione: questa è la ragione della digressione all'inizio del mio intervento con la quale ho fatto riferimento a questa mancata riforma universitaria che tutti ci chiedono, che il Ministro Gelmini ci ha promesso, ma che però non ci ha dato per mancanza di risorse e anche di qualcos'altro, sappiamo però che istruzione e lavoro sono due elementi fondamentali per la crescita e lo sviluppo della democrazia nel nostro Paese. Per questo credo che il lavoro sia necessario per esprimere la piena dignità umana e noi dobbiamo sostenere tutti quei provvedimenti che puntano alla crescita professionale dei giovani lasciando con generosità spazi e opportunità lavorative soprattutto alle giovani generazioni.
Non entro nel merito delle polemiche tra l'ISTAT, che dice che la disoccupazione è all'8 per cento, e Bankitalia, che dice che è all'11 per cento: non lo so, ma so che i disoccupati sono tanti e che il problema è di grande importanza. So che se non vi sono crescita e sviluppo non vi è occupazione: quindi, non è solamente un problema di diritto del lavoro, ma sicuramente dobbiamo puntare su provvedimenti che siano in grado di creare lavoro, di rompere il corporativismo (c'è bisogno di provvedimenti importanti su questo tema) e, soprattutto, occorre rivitalizzare la mobilità sociale intergenerazionale. Solo in questo modo riusciremo a dare rilevanza storica anche a questo provvedimento e a proporre quelle misure capaci di creare uno sviluppo ed una prospettiva per tante giovani generazioni (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bonino. Ne ha facoltà.

GUIDO BONINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo di nuovo in quest'Aula per discutere ed approvare - spero definitivamente - il disegno di legge all'ordine del giorno.
Ricordiamo che il provvedimento è tornato nuovamente al nostro esame a seguito del rinvio alla Camera da parte del Presidente della Repubblica. Le osservazioni del Capo dello Stato si erano soffermate, in particolare, sull'articolo 31 (che modifica le disposizioni del codice di procedura civile in materia di conciliazione ed arbitrato nelle controversie individuali di lavoro), sull'articolo 20 (relativo alla responsabilità nei confronti del personale militare che presta la sua opera sul naviglio di Stato), oltre che sugli articoli 30, 32 e 50.
Per quanto riguarda l'articolo 20, relativo alla responsabilità nei confronti del personale militare che presta la sua opera sul naviglio di Stato e, più specificatamente, il personale della Marina militare imbarcato sulle unità navali e interessato alla problematica dell'amianto, al Senato è stata trovata la quadratura, equiparando alle vittime del dovere anche il personale deceduto o che ha contratto infermità particolarmente invalidante in conseguenza della stessa esposizione, incrementando del 50 per cento, anche a tal fine, il fondo già esistente in favore delle vittime.
Per quanto concerne, invece, l'articolo 21, in materia di conciliazione ed arbitrato nelle controversie individuali di lavoro, Pag. 16ribadisco quanto già espresso nel mio intervento precedente: i rilievi del Capo dello Stato erano inerenti non già all'introduzione di forme di risoluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro, come la norma prevede (e cioè il ricorso all'arbitrato irrituale e alla conseguente espressione del lodo secondo equità), ma piuttosto alla sfera entro la quale ammettere l'arbitrato secondo equità, e cioè a tutela del lavoratore.
Proprio per garantire il lavoratore, il Senato è andato oltre le modifiche da noi apportate, introducendo la previsione esplicita che la clausola compromissoria non possa riguardare il licenziamento, fatta salva una diversa previsione dei contratti collettivi, e che non possa essere comunque sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova, ossia quando il lavoratore abbia già un contratto definito. Il Senato, difatti, ha previsto che le commissioni di certificazione devono accertare, all'atto della sottoscrizione della clausola compromissoria, l'effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le eventuali controversie nascenti dal rapporto di lavoro.
Infine, a ulteriore garanzia del lavoratore, all'articolo 32, recante norme sulle modalità ed i termini per l'impugnazione dei licenziamenti individuali, è stato in primo luogo innalzato da 180 a 270 giorni il termine entro il quale, a seguito dell'impugnazione del licenziamento, il lavoratore è tenuto, pena l'inefficacia dell'impugnazione, a depositare il ricorso nella cancelleria del tribunale o a comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o di arbitrato, precisando, peraltro, che resta in ogni caso ferma la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso.
Inoltre, è stato previsto che la nuova disciplina sull'intimazione dei licenziamenti trovi applicazione nei casi di invalidità del licenziamento.
Colleghi, riteniamo quindi di aver significativamente modificato il testo, in ossequio ai rilievi del Capo dello Stato e auspichiamo che l'ennesima lettura del provvedimento possa essere quella definitiva affinché il contenuto normativo possa trovare al più presto la sua applicazione (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vincenzo Antonio Fontana. Ne ha facoltà.

VINCENZO ANTONIO FONTANA. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, il provvedimento, che ritorna all'esame di quest'Aula, contiene norme importanti in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro.
Il provvedimento arriva alla settima lettura in quest'Aula, dopo che la Commissione lavoro della Camera ha concluso l'esame degli emendamenti, respingendoli tutti. Questo dovrebbe essere anche l'orientamento dell'Aula che riprende ad esaminarlo, per portare a termine il suo lungo iter, anche a fronte di un largo sostegno che proviene da non pochi settori delle parti sociali, senza che ciò susciti un conflitto esasperato. Qualora il testo venisse tempestivamente approvato - come da parte mia auspico fortemente - il Governo, esercitando le relative deleghe, potrebbe concludere entro tre mesi, la complicata vertenza dei lavori usuranti e degli ammortizzatori sociali.
Auspico, altresì, che si possa in quest'Aula proseguire l'apprezzabile lavoro svolto dalla Commissione nelle precedenti letture, anche con riferimento agli specifici profili di criticità che si sono delineati nel corso dell'esame dello stesso testo, come le questioni affrontate in relazione alla revisione della legge sul part-time, le problematiche relative alla disciplina dell'apprendistato, il serrato dibattito sull'arbitrato, anche in relazione ai rilievi avanzati dal Presidente della Repubblica che non sono stati affatto disattesi nel successivo esame del provvedimento. Pag. 17
Le osservazioni del Quirinale si sono concentrate in particolare sull'articolo 31 - come altri colleghi hanno già ricordato - recante norme in materia di conciliazione e di arbitrato. L'articolo prevedeva che le parti contrattuali potessero pattuire clausole compromissorie, che rinviassero alle modalità di esecuzione dell'arbitrato, purché ciò fosse previsto dalla contrattazione collettiva o certificato, a pena di nullità, da una Commissione di certificazione dei contratti di lavoro, chiamata ad accertare l'effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie che fossero eventualmente insorte tra di loro.
A giudizio di alcuni, la norma avrebbe aggirato l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Tutto ciò, nonostante il Ministro Sacconi - che questa sera è qui, in Aula - abbia voluto fugare ogni possibile dubbio promuovendo un avviso comune, sottoscritto da tutte le parti sociali, con il quale le stesse si erano impegnate a stipulare in materia un accordo interconfederale, che non includesse il licenziamento tra le questioni da devolvere all'arbitrato.
Dopo la presa di posizione del Quirinale la norma è stata ampiamente rivisitata e, anche questa volta, il cambiamento auspicato è costato un duro lavoro - pieno di ostacoli, difficoltà e incomprensioni - non ancora concluso.
In questo senso, quella odierna rappresenta una tappa importante che segue il voto del Senato e che apre la strada ad una rapida approvazione di un provvedimento di fondamentale valenza per il mondo del lavoro.
In questo senso, è inspiegabile l'atteggiamento ostile di chi si oppone alla introduzione anche nel nostro Paese di forme di risoluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro, che salvaguardano pienamente la libera scelta del lavoratore e sono rispettose dei suoi diritti fondamentali e, nel contempo, gli offrono gli strumenti per una giustizia più rapida ed efficace, fortemente presidiata dalle intese sindacali e dalla contrattazione collettiva.
Il lavoratore decide se ricorrere all'arbitrato preventivamente, e non quando insorge una controversia, e la scelta se ricorrere o meno all'arbitrato, non potrà avvenire prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto, oppure se non siano trascorsi almeno trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro.
Dopo avere precisato, in relazione all'articolo 32, che il prolungamento dei termini di presentazione del ricorso costituisce un'evidente tutela per il lavoratore, mi auguro, infine, che la Camera possa definitivamente approvare questo provvedimento, senza apportare ulteriori modifiche rispetto al testo che ci è stato trasmesso dal Senato.
Il collegato lavoro rilancia poi la riforma del pubblico impiego: si occupa di regolare meglio i permessi per assistere i familiari disabili, riordina per legge delega tutte le tipologie di congedi, il lavoro part time, gli ostacoli ai percorsi di mobilità, le aspettative non retribuite senza vincoli.
Sono misure che andranno a integrare e a completare il riordino avviato lo scorso anno dal Ministro Renato Brunetta per modernizzare la pubblica amministrazione, riscrivere le regole sulla contrattazione e migliorare i servizi offerti ai cittadini. Insomma, pare proprio essere arrivato il momento per dare efficacia alle novità - pronte da mesi - rivolte agli oltre 3,5 milioni di addetti del pubblico impiego.
In particolare, arriva al traguardo la riforma avviata nel 2008, con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, che ha ristretto la possibilità di chiedere l'orario ridotto nel pubblico impiego. Se in passato il part-time era stato un diritto del dipendente - che poteva essere al massimo posticipato per sei mesi in caso di ripercussioni negative gravi sull'organizzazione degli uffici - da due anni a questa parte le regole sono diverse e il pubblico è più vicino al settore privato: l'amministrazione può respingere la richiesta se la riduzione d'orario complica l'organizzazione del lavoro, senza dover dimostrare il grave pregiudizio. E con l'entrata in vigore del collegato viene fatto un passo in più: sotto la lente della pubblica amministrazione finiranno 170 mila dipendenti pubblici, Pag. 18che hanno ottenuto la trasformazione del proprio contratto da tempo pieno a part time secondo le vecchie regole.
Entro 180 giorni dalla pubblicazione del collegato sulla Gazzetta Ufficiale le amministrazioni potranno sottoporre a nuova valutazione tutti i documenti di via libera ai part time rilasciati fino al 2008. Un riesame che potrebbe portare alla revoca, nel caso l'amministrazione reputasse a rischio l'efficienza organizzativa dell'ufficio, tenendo comunque conto dei principi di buona fede e correttezza.
Altro capitolo del collegato - che riguarda tutti i dipendenti, anche quelli del settore privato - punta al riordino della disciplina su permessi e congedi: entro sei mesi dall'entrata in vigore della norma il Governo adotterà provvedimenti per razionalizzarne la struttura e introdurre nuovi presupposti oggettivi e requisiti soggettivi, all'insegna della semplificazione, ma senza ovviamente ledere le posizioni giuridiche costituzionalmente tutelate.
Per i licenziamenti resta l'obbligo di ricorrere al giudice del lavoro. È confermata quindi una norma che era stata già apprezzata dai sindacati. Nei casi di invalidità del licenziamento esso dovrà essere impugnato entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta; si tratta di quei casi che, ad esempio, non contengono la motivazione.
Torna l'articolo sull'amianto nei navigli di Stato con uno stanziamento di 5 milioni di euro annui per i risarcimenti alle vittime, assimilando coloro che hanno perso la vita alle vittime del dovere ed eliminando l'eventuale illecito penale che colpiva i comandanti delle navi senza voler pregiudicare i risarcimenti.
Viene introdotta anche la possibilità di assolvere l'ultimo anno di obbligo scolastico, come sappiamo.
Un'altra clausola di salvaguardia riguarda inoltre il pensionamento anticipato - minimo 57 anni di età e 35 di contributi - dei lavoratori impiegati in attività usuranti, come i dipendenti notturni o gli addetti alla «linea di catena».
Dopo ventiquattro mesi dall'entrata in vigore della legge, il Governo esercita le deleghe sulla riforma degli ammortizzatori sociali, per il riordino degli strumenti a sostegno del reddito, così come dei servizi per l'impiego, degli incentivi all'occupazione e dell'apprendistato e, più in particolare, anche dell'occupazione femminile.
I processi del lavoro tornano ad essere gratuiti; nei casi di violazione della trasformazione del contratto da tempo indeterminato a tempo determinato, il datore di lavoro dovrà risarcire il lavoratore con un'indennità onnicomprensiva da due e mezzo a dodici mensilità. Viene rafforzata la Borsa nazionale del lavoro, con l'inserimento on line anche dei curricula degli studenti da parte degli atenei per i dodici mesi successivi alla laurea; è prevista la pubblicazione telematica dei bandi e dei concorsi della pubblica amministrazione. Viene messa al via anche l'organizzazione del casellario centrale degli infortuni, in capo all'INAIL. Passa da due a tre anni l'efficacia delle domande di iscrizione e cancellazione dall'albo delle imprese artigiane, da comunicare all'INPS.
All'articolo 2, recante una delega per la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, vengono introdotte alcune modifiche volte a coordinare il testo con le nuove norme introdotte, sulla medesima materia, con la soppressione dell'ISPESL e l'attribuzione delle relative funzioni all'INAIL.
All'articolo 22, poi, relativo all'età pensionabile dei dirigenti medici e non del Servizio sanitario nazionale, si inserisce la possibilità di rimanere in servizio su istanza dell'interessato al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo, entro comunque il settantesimo anno di età e senza che la permanenza in servizio dia luogo ad un aumento del numero dei dirigenti.
All'articolo 32, recante norme sulle modalità e i termini per l'impugnazione dei licenziamenti individuali, è stato in primo luogo innalzato da 180 a 270 giorni il termine entro il quale, a seguito dell'impugnazione del licenziamento, il lavoratore è tenuto a depositare il ricorso nella Pag. 19cancelleria del tribunale o a comunicare alla controparte le richieste di tentativo di conciliazione o arbitrato.
A tale riguardo, è stato inoltre precisato che resta in ogni caso ferma la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Infine, si è previsto che la nuova disciplina sull'impugnazione dei licenziamenti trovi applicazione nei casi di invalidità del licenziamento stesso. Per effetto della modifica introdotta al Senato, in particolare, la nuova disciplina non troverebbe applicazione nel caso in cui il licenziamento sia solo inefficace, in quanto privo dei requisiti formali previsti dall'ordinamento, nel qual caso sembrerebbe pertanto valere il generale termine di prescrizione quinquennale.
L'articolo 50 stabilisce che, ferme restando le sentenze passate in giudicato, in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, il datore di lavoro che, entro il 30 settembre 2008, abbia offerto la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato e, successivamente all'entrata in vigore della legge, offra anche la conversione a tempo indeterminato, è tenuto unicamente a indennizzare il lavoratore con un'indennità compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità di retribuzione; in tale ambito, è stato previsto che la norma trovi applicazione anche nel caso in cui il datore di lavoro, successivamente alla data di entrata in vigore della legge, offra l'assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle svolte durante il rapporto di lavoro precedentemente in essere.
Sul piano politico, dobbiamo notare che, se il provvedimento in esame ha fatto così com'è (altri oratori hanno già utilizzato questo termine) la navetta per sette volte tra le due Camere, non è sicuramente merito o responsabilità esclusiva dell'opposizione. Lo diceva bene il relatore, onorevole Cazzola: l'opposizione ha osteggiato con particolare determinazione taluni aspetti del progetto e ancora oggi continua ad osteggiarlo. A questo punto, tuttavia, la maggioranza auspica che la catena delle letture si fermi definitivamente alla Camera e cercherà, pertanto, di essere all'altezza di questo compito, non solo perché il Regolamento limita fortemente l'ambito del possibile intervento correttivo, ma perché le posizioni in campo sono ormai note, discusse, confrontate ed approfondite, e talune di esse - proprio quelle più importanti sul piano politico - restano non solo diverse, ma difficilmente passibili di mediazione.
In questo senso, ribadisco l'auspicio che la corrente lettura parlamentare possa essere quella conclusiva, quella definitiva, e che l'opposizione - anche nei punti in cui non ne condivida le ragioni di merito - possa quanto meno capire che, sul disegno di legge in esame, appare giunto il momento di concludere un complesso iter approvativo, che può aprire nuove prospettive, prospettive serie per ammodernare alcuni importanti segmenti del mondo del lavoro nel nostro Paese, contribuendo allo stesso tempo a favorire un migliore clima sociale all'interno di uno sviluppo equilibrato, che mette al centro l'uomo rispetto al lavoro da una parte ed al capitale dall'altra (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gnecchi. Ne ha facoltà.

MARIALUISA GNECCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, siamo qui in Aula per la settima lettura di questo provvedimento.
Già il titolo - lo ha sottolineato anche il Presidente Napolitano quando ha rinviato alle Camere questo provvedimento - denota quanto questo provvedimento avrebbe dovuto essere importante per il lavoro, ma quanto invece sia stata complicata tutta la sua discussione e anche tutto il relativo iter parlamentare.
Il titolo - vale la pena di ricordarlo - reca deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, Pag. 20di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro. Sembra quindi proprio una nuova enciclopedia sul lavoro, un nuovo statuto del lavoro e dei lavori.
Mi sembra importante sottolineare che nel titolo compare quattro volte la parola «lavoro». Potrebbe quindi sembrare un provvedimento per promuovere il lavoro, per difendere il lavoro, ma è veramente così? Noi purtroppo non ne siamo convinti.
Vorremmo veramente ricordare all'Aula che l'articolo 1 della nostra Costituzione recita (non a caso è l'articolo 1, nei principi fondamentali): «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Quindi sembrerebbe proprio che discutiamo in questa Aula, per la settima volta, un tema veramente fondamentale ed importante nella vita delle persone. Non sarà infatti un caso che la Costituzione parta dal lavoro e lo ponga a fondamento della Repubblica.
Il lavoro è fondamentale nella vita delle persone, degli uomini, delle donne, ed ognuno di noi spera e ha l'aspirazione di realizzare un progetto di vita, un progetto di sé anche nel lavoro; non solo nel lavoro, ovviamente, perché esistono anche altri valori, ma sicuramente senza lavoro si è anche a rischio di sopravvivenza e anche gli altri valori passano sicuramente in secondo, in terzo o in quarto piano.
Non capita spesso che un provvedimento vada e venga dalla Camera al Senato e viceversa, ma soprattutto non capita spesso che venga rinviato al Parlamento dal Capo dello Stato, dal Presidente della Repubblica. Quindi, mi sembra importante rivedere nella storia quante volte questo si sia verificato.
Vale la pena di ricordare l'articolo 74 della nostra Costituzione: «Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata». Sul Presidente Napolitano in questi anni si sono spese tante parole: egli è stato visto come difensore del diritto in generale; gli si è chiesto spesso da più parti di non firmare un decreto-legge o di intervenire a tutela della democrazia. A volte, invece (soprattutto da parte di questa maggioranza e in particolare da parte del Presidente del Consiglio), Napolitano è stato accusato di essere un comunista - ormai, come ben si sa, è un termine usato in senso dispregiativo -, oppure di non essere il Presidente di tutti, e di altro ancora.
Questa volta, però, in quest'Aula (visto che ormai su questo collegato al lavoro il Partito Democratico e tutti noi abbiamo detto di tutto e tutto lo scibile umano), voglio veramente tornare sul senso dell'articolo 74 della Costituzione, anche se Napolitano non ha sicuramente bisogno della nostra difesa. Napolitano rimanda il provvedimento con un messaggio alle Camere che è stato, ovviamente, letto in quest'Aula dal Presidente della Camera, affermando esplicitamente: «Il provvedimento, che nasce come stralcio di un disegno di legge collegato alla finanziaria 2009 (A.C. 1441-quater), ha avuto un travagliato iter parlamentare nel corso del quale il testo, che all'origine constava di 9 articoli e 39 commi e già interveniva in settori tra loro diversi, si è trasformato in una legge molto complessa, composta da 50 articoli e 140 commi riferiti alle materie più disparate». E questo è veramente un problema. Continua, sempre il messaggio di Napolitano: «Questa configurazione marcatamente eterogenea dell'atto normativo - che risulta, del resto, dallo stesso titolo [...] - è resa ancora più evidente da una sia pur sintetica e parziale elencazione delle principali materie oggetto di disciplina: revisione della normativa in tema di lavori usuranti, riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute, regolamentazione della Commissione per la vigilanza sul doping e sulla tutela della salute nelle attività sportive, misure contro il lavoro sommerso, disposizioni riguardanti i medici e professionisti sanitari Pag. 21extracomunitari, permessi per l'assistenza ai portatori di handicap, ispezioni nei luoghi di lavoro, indicatori di situazione economica equivalente, indennizzi per aziende in crisi, numerosi aspetti della disciplina del pubblico impiego (con conferimento di varie deleghe o il rinvio a successive disposizioni legislative), nonché un'ampia riforma del codice di procedura civile per quanto attiene alle disposizioni in materia di conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro».
Il Presidente Napolitano, quindi, ha ricordato di avere avuto più volte «occasione di sottolineare gli effetti negativi di questo modo di legiferare sulla conoscibilità e comprensibilità delle disposizioni, sull'organicità del sistema normativo e, dunque, sulla certezza del diritto». Mi sembrano ovviamente parole forti, che abbiamo condiviso e che abbiamo spesso detto in quest'Aula.
Rispetto poi alla certezza del diritto, proseguiamo anche a contestare questa maggioranza che continua ad intervenire sulle pensioni, perché siamo convinti che intervenire sulle pensioni non in modo organico mette in discussione la certezza del diritto come, appunto, intervenire sul lavoro, sulle controversie di lavoro e sugli enti che tutelano il lavoro.
Il Ministro Sacconi ha già avuto modo in Commissione di garantirci, la settimana scorsa, che l'ISPESL manterrà la sua autonomia, nonostante l'accorpamento all'INAIL, e che ciò determinerà un vantaggio per i lavori usuranti e per gli infortuni sul lavoro. Vogliamo ribadire in quest'Aula che il Ministro Sacconi ce lo ha garantito. Ovviamente, ci teniamo a sottolinearlo perché per noi è fondamentale.
Torno ora a ricordare cosa è successo dal 1948 ad oggi rispetto ai Presidenti della Repubblica che hanno rinviato provvedimenti alle Camere, perché mi sembra veramente importante in questa sede ricordare che questi interventi non sono tanto frequenti e che, quindi, se il Presidente della Repubblica rinvia un provvedimento, bisogna prestare particolare attenzione a ciò che viene detto e, ovviamente, a ciò che poi viene fatto, sia alla Camera che al Senato.
Vediamo, quindi, come hanno affrontato i vari Presidenti della Repubblica questo loro delicato ruolo ex articolo 74 della Costituzione. Tralasciando i pochi mesi di Presidenza di Enrico De Nicola, è estremamente importante vedere cosa fece il primo Presidente eletto secondo la Costituzione, Luigi Einaudi. Ebbene, nel suo settennato (1948-1955) Einaudi, da ex Governatore della Banca d'Italia ed ex Ministro del tesoro e del bilancio, non poteva che prestare grande attenzione alle coperture finanziarie, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, del quale fu, peraltro, l'ispiratore.
Le prime due leggi rinviate alle Camere sono del 15 aprile 1949, relativamente all'aumento dei «soprassoldi spettanti al personale militare adibito agli stabilimenti di lavoro», e ai provvedimenti «a favore di coloro che hanno bonificato, prima del 24 maggio 1946, terreni minati». Un anno dopo finiscono nel mirino del Capo dello Stato gli stanziamenti per gli incaricati di funzioni giudiziarie. Infine, nel novembre del 1953, i diritti e compensi per il personale degli uffici dipendenti dai Ministeri delle finanze, del tesoro e della Corte dei conti. Solo quattro rinvii e tutti motivati dalla mancanza di copertura finanziaria e dalla conseguente manifesta incostituzionalità.
Nel corso del successivo mandato presidenziale (1955-1962), Giovanni Gronchi, che per altri versi fu un Presidente assai interventista, autonomo ed indipendente, rinviò tre leggi alle Camere: in due casi, la motivazione fu per mancanza di copertura, mentre nel terzo anche perché il relativo testo non era stato trasmesso nei tempi dovuti, quindi per una mera questione tecnica.
Antonio Segni, nella sua breve Presidenza (1962-1964), ne rinvia invece ben otto, ma tutte per motivi connessi alla copertura.
Quindi, nei primi sedici della Repubblica, vi furono quindici rinvii, dei quali quattordici dovuti alla mancanza di copertura. Pag. 22Ciò, ovviamente, dimostra come, dall'entrata in vigore della Costituzione, il Presidente della Repubblica si dovesse anche preoccupare che tutti gli articoli della Costituzione venissero rispettati; è evidente, quindi, che si deve prestare particolare attenzione anche alla situazione di bilancio.
Il socialdemocratico Giuseppe Saragat (1964-1971) non ha rinviato alcuna legge alle Camere. Anche Giovanni Leone (1971-1978) rinviò una sola legge, per motivi ordinamentali. Ben sette sono i rinvii di Sandro Pertini, che fu sicuramente un'impetuosa figura presidenziale e che, durante il suo settennato (1978-1985), non esitò ad usare i poteri di rapporto diretto con il popolo; ma anche nel suo caso, nonostante la sua figura carismatica, le leggi furono rinviate tutte per difetto di copertura. Nessuna discrezionalità e nessun allontanamento da quella che era ormai la prassi consolidata.
Qualcosa cambiò con Francesco Cossiga, che nel suo bilancio di Presidente della Repubblica ha all'attivo ben ventidue rinvii. Se i primi quattro rinvii sono, come da tradizione, per difetto di copertura, i diciotto successivi lo sono anche per motivi ordinamentali, e addirittura alcuni di merito. Fino a quegli anni (come spiega Carlo Chimenti nel suo libro Quirinale e rinvio delle leggi alle Camere del 2003), non pareva che il Presidente della Repubblica potesse intervenire nel merito di un provvedimento legislativo, ma dovesse limitarsi a richiedere una seconda lettura solo in caso di evidenti circostanze di violazione delle norme costituzionali. Cossiga cominciò esplicitamente a parlare anche del merito costituzionale e, rispetto a questo aspetto, entrò anche nel merito di alcuni provvedimenti. Su tale tema, poi, Arcidiacono ed Assenza, nella rivista giuridica Dirittoamp;Diritti, sostennero che «Qualunque sia la causa del rinvio, non va dimenticato che al Capo dello Stato spetta assicurare la funzionalità del sistema e non l'osservanza di ogni singola norma costituzionale. Sotto questo aspetto, è lecito affermare che, nel cosiddetto merito costituzionale, consista un complesso di elementi e di valutazioni atti a giustificare le stesse richieste di riesame per motivi di legittimità».
Cossiga volle, quindi, rinviare alle Camere tutto quello che, secondo lui, creava un vulnus in sede legislativa rispetto alla Costituzione, ma sappiamo che Cossiga è noto per le sue «picconate».
Del 1994 è il primo rinvio di Oscar Luigi Scàlfaro - fu Presidente dal 1992 al 1999 - che nota un difetto di costituzionalità in una legge sul sistema sanitario e in relazione alle competenze regionali. Quindi, rinviò alle Camere un provvedimento rispetto all'organizzazione dello Stato. La Presidenza di Scàlfaro è importante perché è la prima in un periodo di sistema elettorale maggioritario, un periodo che ha indirettamente, ma indiscutibilmente rafforzato la figura del Presidente del Consiglio e, per molti mesi, anche la figura del Capo dello Stato. Però, in tutti i rinvii da parte dei Capi dello Stato non si è mai registrato, e questo è importante sottolinearlo, una forzatura dell'articolo 74 della Costituzione.
Carlo Azeglio Ciampi fu artefice di otto rinvii. Nell'ottica della cosiddetta «seconda Repubblica maggioritaria» egli estende le sue funzioni laddove nessun altro Presidente aveva mai osato, sollevando però una serie di posizioni contrarie anche da parte delle forze politiche. Ma è evidente che Ciampi aveva effettuato delle scelte chiare e proclama che è lecito respingere una legge solo quando vi sono manifesti motivi di incostituzionalità. È famoso il suo tentativo di intervenire durante la discussione di una legge proprio per evitare che si creino delle situazioni di incostituzionalità. Quindi l'opera di Ciampi fu effettivamente importante e anche tutta la discussione del cosiddetto lodo Maccanico-Schifani, inserito come articolo 1 della cosiddetta legge Boato. Le cronache di quel periodo raccontano, ancora una volta, la costante vigilanza degli uffici del Quirinale sull'andamento dei lavori parlamentari, nel corso dei quali non sarebbero mancati suggerimenti riguardo l'opportunità di modificare le parti delle leggi che difficilmente avrebbero superato le censure Pag. 23di costituzionalità. Addirittura Ciampi fece sparire dal testo i riferimenti ai coimputati e sostituire l'espressione «sospensione dei procedimenti» con «sospensione dei processi» e il suo intervento ha visto molti giuristi e costituzionalisti darsi a dotte e significative interpretazioni.
Proprio in seguito alla contestatissima e rapidissima promulgazione del cosiddetto lodo Maccanico-Schifani (che poi fu dichiarato incostituzionale addirittura ai sensi di un articolo fondamentale della Costituzione, il terzo), Ciampi ha, più o meno intenzionalmente, dato una sua precisa interpretazione dell'articolo 74 della Costituzione, affermando che non aveva rinviato la legge sulla sospensione dei processi alle alte cariche in quanto da lui e dal suo staff considerata non manifestamente incostituzionale. Il che pone improvvisamente un nuovo e fermo limite ai poteri del Presidente: l'incostituzionalità non solo deve essere da lui ravvisata, non solo deve rientrare nell'accertato ambito del merito costituzionale, ma deve essere addirittura manifesta ed evidente. L'approccio di Ciampi, oltre ad essere eccessivamente restrittivo e ad aprire un grande contenzioso, si espone anche ad una critica rispetto a tutto quello che era successo proprio sul cosiddetto lodo Maccanico-Schifani, visto che era stato considerato incostituzionale. Ma è importante vedere che Ciampi non ha firmato anche altri provvedimenti e però la cosiddetta legge Gasparri non fu rinviata perché ingiusta, «brutta» o «cattiva», ma perché contrastava con la dottrina in materia. E quindi Ciampi, pur avendo limitato lo spazio discrezionale del Presidente, addirittura arrivava ad entrare effettivamente nel merito dei provvedimenti. Vale quindi la pena adesso di ricordare che Napolitano ha rinviato alle Camere solo il collegato sul lavoro.
Detto questo, ovviamente, mi sembra di aver detto tutto: se dal 1948 ad oggi comunque pochi sono stati i rinvii e nella maggior parte dei casi ciò è avvenuto solo ed esclusivamente rispetto ad un problema di mancanza di finanziamento - a parte ciò che abbiamo detto rispetto a queste ultime situazioni del Presidente Ciampi - il fatto che il Presidente Napolitano abbia rinviato alle Camere il provvedimento e abbia invitato le Camere a rivederlo la dice lunga rispetto a quanto questo provvedimento sia, dal nostro punto di vista, ancora e purtroppo, nonostante i miglioramenti, problematico. Noi del Partito Democratico ovviamente speravamo che con l'emendamento approvato la situazione migliorasse ma il Senato è tornato indietro anche su questo e quindi riteniamo che questo provvedimento, al di là del titolo, non sia un provvedimento che promuove e sostiene il lavoro ma anzi mette in discussione molti pilastri del diritto del lavoro, crea insicurezza sul lavoro e alimenta la sfiducia nelle istituzioni da parte di tutti i cittadini e le cittadine (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo provvedimento che per ben sette volte è stato presentato ed è stato discusso nelle varie Aule fa capire come praticamente non siamo stati, anzi il Governo non è stato in grado di risolvere e interpretare i problemi del lavoro. Così come non è stato in grado di risolvere ed interpretare i problemi dell'occupazione e come naturalmente non ci sono stati gli incentivi per l'occupazione. Questa è stata una ristrutturazione normativa di un comparto che invece di risolvere le problematiche e le controverse sul lavoro le ha aggravate. Il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere il collegato lavoro con riferimento agli articoli 20, 30, 31, 32 e 50. Il testo è tornato per la prima volta alla Camera dei deputati, la quale ha deciso di limitare l'esame ai soli articoli oggetto del rinvio e non all'intera legge, quindi è passato all'esame del Senato. Il testo che ritorna oggi da noi è in settima lettura e quindi è collegato alla manovra finanziaria e pertanto è sottoposto a specifiche regole di emendabilità. Le parti modificabili sono quelle modificate dal Senato della Repubblica e Pag. 24noi ci domandiamo se si è dato retta ai rilievi del Presidente della Repubblica. Le modifiche fin qui apportate e gli articoli oggetto di rinvio non permettono di fugare quelli che erano i dubbi espressi dal Presidente della Repubblica.
Ha ben ricordato prima la collega Gnecchi quale è stata la funzione interpretativa di volta in volta svolta da parte dei Presidenti della Repubblica che si sono susseguiti fino ad oggi e quali sono state le loro interpretazioni in merito alla riserva di rinviare alle Camere i provvedimenti. Ecco, queste modifiche finiscono con l'essere più formali che sostanziali, se non vengono interpretate nella giusta maniera. Il punto maggiormente controverso è quello che riguarda l'introduzione dell'arbitrato obbligatorio, ammantato da volontario, in materia di controversie individuali di lavoro. La nuova formulazione dell'articolo 31 infatti stabilisce che la clausola compromissoria non venga apposta al contratto nel momento dell'assunzione, ma che le parti la sottoscrivano concluso il periodo di prova e, ove previsto, ovvero quando siano trascorsi 30 giorni dalla stipula del contratto di lavoro, in tutti gli altri casi. Questo breve spostamento temporale non fa venire meno il dubbio che il prestatore si trovi in una situazione di debolezza in particolare in tutte le ipotesi di contratti non a tempo indeterminato.
Inoltre, non appare sufficiente escludere dall'applicazione della clausola compromissoria l'aver previsto che ad essa non si può fare ricorso nel caso in cui la controversia riguardi il licenziamento. Noi teniamo molto a questo tema, che, come vede, in quest'Aula non è molto sentito. Al contrario, riteniamo - e sempre va sottolineato - che, ove gli accordi interconfederali o i contratti collettivi non regolamentino le clausole compromissorie, decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore dalla legge, debba essere attribuito al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il potere di definire con proprio decreto, sentite le parti sociali e anche in disaccordo con queste, le modalità per consentire, in ogni caso, l'inserimento della clausola compromissoria nei contratti individuali di lavoro. In questo modo, non è escluso che si finisca con l'imporre l'inserimento delle clausole compromissorie nei contratti individuali di lavoro, scavalcando le parti sociali.
Un altro punto per noi molto critico riguarda il ruolo attribuito alle commissioni di certificazione previste dalla legge n. 276 del 2003, i cui compiti sono accresciuti a dismisura dalla presente legge. È da intendersi - e sia molto chiaro - che i compiti sono accresciuti a dismisura: infatti, oltre ai compiti di certificazione dei contratti, che potranno risolvere le controversie nascenti dai contratti di lavoro, esse avranno anche le nuove funzioni, cioè quelle che attribuiscono loro un ruolo che in precedenza era in parte del magistrato e in parte degli altri organismi, come ad esempio le commissioni provinciali del lavoro.
Alla moltiplicazione di compiti e funzioni da esse svolti, tuttavia, non è corrisposta né una verifica sulla loro consistenza e capacità organizzativa, né, sulle attività da esse effettivamente svolte fino ad oggi, vi è, naturalmente, questo tipo di comportamento. Su questo punto, i dubbi espressi dal Capo dello Stato rimangono sempre senza risposta.
Vorrei evidenziare, infine, che, da parte del Governo e della maggioranza, permane la volontà di deregolamentare la materia del lavoro e delle controversie nascenti dai contratti, limitando la possibilità che il lavoratore si rivolga al giudice, nonostante si verta nell'ambito di diritti costituzionalmente garantiti o indisponibili.
Vorrei dare una sintesi del messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, in quanto forse non ce lo ricordiamo, oppure facciamo finta di non ricordarlo perché ci conviene. Il Presidente ha richiesto una nuova deliberazione in ordine al collegato sul lavoro, nato come stralcio del disegno di legge collegato alla finanziaria per il 2009. Il giudizio del Presidente individua preliminarmente le seguenti problematiche generali: la lunghezza del testo del collegato, i cui articoli sono passati da 9 a 50, i commi da 39 a Pag. 25140, la marcata eterogeneità e la eccessiva complessità. L'alto numero delle materie oggetto della disciplina e le predette problematiche - secondo il Presidente - incidono negativamente sulla conoscibilità e comprensibilità delle disposizioni e sulla organicità del sistema normativo e, in definitiva, sulla certezza del diritto.
Dell'esame in Parlamento, il Presidente ha evidenziato che nella fase istruttoria tutte le Commissioni parlamentari competenti per ciascuna delle materie interessate non sono state coinvolte a pieno titolo, essendosi l'esame in sede referente concentrato alla Camera presso la Commissione lavoro e al Senato presso le Commissioni affari costituzionali e lavoro, mentre, ad esempio, la Commissione giustizia di entrambi i rami del Parlamento e anche la Commissione affari costituzionali della Camera sono intervenute esclusivamente in sede consultiva e non hanno potuto seguire l'esame in Assemblea nelle forme consentite dai rispettivi Regolamenti. Tali inconvenienti risultano ancora più gravi allorché si intervenga, come in questo caso, in modo novellistico su codici e leggi organiche.
Le disposizioni oggetto di rinvio che il Presidente ritiene di particolare problematicità sono disposizioni che disciplinano temi di indubbia delicatezza sul piano sociale, ciò lo vorrei rimarcare: si tratta appunto di temi di indubbia delicatezza sul piano sociale. Infatti cosa è stato sostanziale? Cosa ha detto il Presidente? Egli ha evidenziato l'articolo 31 e, in particolare i commi 5 e 9, che attengono alla tutela dei diritti dei lavoratori e modificano le disposizioni del codice di procedura civile in materia di conciliazione ed arbitrato nelle controversie individuali di lavoro. Si tratta delle disposizioni in qualche modo connesse all'articolo 31, presenti negli articoli 30, 32 e 50, che riguardano i giudizi in corso, e rischiano di prestarsi a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi; infine, quelle dell'articolo 20, il quale attiene alla tutela del diritto alla salute relativo alla responsabilità per le infezioni da amianto subite da personale che presta la sua opera sui navigli di Stato.
L'articolo 2 del collegato, che non è stato modificato, e che non è stato oggetto di rinvio da parte del Presidente della Repubblica, non essendo stato modificato nel primo passaggio alla Camera dei deputati è stato invece emendato successivamente al Senato, per coordinarlo con il contenuto del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito in legge; intervento medio tempore.
Con le modifiche all'articolo 2, comma 1, lettera a), introdotte al Senato, è stato eliminato il riferimento all'istituto per gli affari sociali, in quanto l'articolo 7, comma 15, del decreto-legge n. 78 del 2010 ha disposto la soppressione dell'istituto di trasferimento delle relative funzioni dell'Isfol.
Al comma 1 è stata soppressa la norma che attribuiva all'INAIL la competenza ad emanare, nel quadro dei richiamati indirizzi e delle direttive ministeriali specifiche, direttive all'ISPESL in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, in quanto, l'articolo 7, comma 1, del richiamato decreto ha soppresso l'ISPESL e ne ha attribuito le relative funzioni all'INAIL. Come vedete, vi è in questo caso una grande confusione e si sono portati avanti contenuti e modifiche che hanno, invece di migliorarlo, peggiorato il testo.
L'articolo 20, e quindi il contenuto delle modifiche da apportare da Camera e Senato, reca disposizioni in materia di infortuni e di igiene sul lavoro. Credo che la disposizione, in particolare, attraverso una supposta interpretazione autentica, intenda escludere dall'applicazione dell'articolo interpretato non soltanto, come da esso espressamente previsto, il lavoro a bordo delle navi mercantili e a bordo degli aeromobili, ma anche il lavoro a bordo dei navigli di Stato, fatto salvo il diritto del lavoratore al risarcimento del danno eventualmente subito.
La supposta interpretazione serve per evitare che alle morti o alle lesioni subite dal personale imbarcato sui navigli militari, e cagionato dal contatto con l'amianto, possano continuare ad applicarsi - come invece sta accadendo in procedimenti attualmente pendenti davanti Pag. 26ad autorità giudiziarie - le sanzioni penali previste che sono escluse unicamente nei casi di morti e lesioni subite da personale imbarcato su navi mercantili.
La Camera, all'esame successivo al rinvio del testo di legge da parte del Presidente della Repubblica, ha introdotto alcune modifiche al testo: in primo luogo, ha precisato il richiamo della disciplina penale oggetto della norma di interpretazione autentica facendo riferimento al decreto legislativo, anziché come nella versione precedente, alla disciplina di deleghe, cioè all'articolo della legge n. 51 del 1955. In secondo luogo ha invece specificato che l'intervento di interpretazione autentica, e conseguenti provvedimenti del giudice penale, non pregiudicano le azioni risarcitorie intraprese in ogni sede dai soggetti danneggiati o dai loro eredi in merito.
Invece, il testo precedente, con formulazione più generica, faceva salvo il diritto del lavoratore al risarcimento dell'eventuale danno e non si poneva in riferimento ad altri soggetti danneggiati né agli eredi.
In sintesi, signor Presidente, l'esposizione ad amianto sui mezzi del naviglio di Stato, la cui responsabilità sia ascrivibile agli ammiragli che li comandavano, non costituirà più reato, facendo salvo, per i lavoratori esposti e gli altri danneggiati, il diritto al risarcimento.
Nel corso del successivo esame al Senato è stato aggiunto un nuovo comma all'articolo volto a incrementare di 5 milioni di euro all'anno, a decorrere dal 2012, l'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 562, della legge n. 266 del 2005, relativa ai benefici a favore delle vittime del dovere, categoria alla quale possono essere ricondotti anche i militari operanti a bordo di navigli di Stato che abbiano subito danni o siano deceduti nell'espletamento del loro servizio. Tuttavia, in questo nuovo comma non si vincolano gli incrementi del Fondo al risarcimento delle vittime imbarcate sui mezzi del naviglio di Stato. Inoltre, è stato specificato che le azioni risarcitorie fatte salve riguardano sia la responsabilità civile contrattuale sia quella extracontrattuale, su cui non influisce la decisione in ambito penale del giudice.
Il contesto normativo della legge 12 febbraio 1995, n. 5, ha disposto l'emanazione di norme generali e speciali per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e per l'igiene del lavoro. Restano esclusi da tale disciplina, tra gli altri, l'esercizio della navigazione marittima e aerea interna. Da ultimo, con il decreto legislativo n. 81 del 2008 è stato approvato il testo unico. In particolare, l'articolo 3, comma 2, nel definire l'ambito applicativo della nuova disciplina ha stabilito, tra le altre cose, che nei riguardi dei mezzi di trasporto, aerei e marittimi, le disposizioni del presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle effettive e particolari esigenze connesse al servizio espletato e alle peculiarità organizzative, ivi comprese quelle per la tutela della salute e della sicurezza del personale nel corso di operazioni condotte dalle Forze armate, per quelle di polizia e di protezione civile all'estero individuate, entro e non oltre 24 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, con decreti ministeriali, sentite le regioni e le forze interessate. Tuttavia, tali decreti attuativi non sono stati finora emanati e il termine per la loro emanazione risulta scaduto.
Come vedete, ogni volta che si fa una norma si cerca sempre, all'interno della stessa norma, di trovare una trappola e, quindi, di non portare avanti i provvedimenti emanati da queste Camere, specialmente i provvedimenti come questo in esame, che è tortuoso e complesso. Nella realtà esso è di difficile applicazione e naturalmente nella furbizia delle norme coloro che ci vanno a rimettere sono sempre quelli che sono interessati da determinati provvedimenti che, dunque, non riusciranno mai a ottenere il loro risarcimento.
Inoltre, l'articolo 304 del decreto legislativo n. 81 del 2008 ha abrogato i decreti legislativi attuativi della delega di cui alla legge n. 51 del 1955 la quale sembrava avere esaurito i suoi effetti. I dubbi del Presidente della Repubblica, infatti, rilevavano Pag. 27due aspetti diversi: in primo luogo, che l'articolo 20 non esplica alcuno dei possibili significati dell'articolo 2, lettera b), della legge n. 51 del 1955, e quindi non interpreta ma apporta a tale disposizione un'evidente modificazione integrativa. Inoltre, la norma incide su una legge delega che ha già esaurito la sua funzione dopo l'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica attuativo n. 303 del 1956 senza, invece, intervenire su di esso e risultando, di fatto, inapplicabile e privo di effetto.
Nel merito comporta, invece, problemi per il diritto del lavoratore al risarcimento dei danni eventualmente subiti. Infatti, si afferma che al lavoratore spetta, comunque, il risarcimento in assenza di disposizioni specifiche non rinvenibili nelle leggi che pongono a carico dello Stato l'obbligo di indennizzo.
Il risarcimento del danno ingiusto è possibile esclusivamente in presenza di un fatto doloso o colposo addebitabile ad un soggetto individuato (articolo 2043 del codice civile). Qualora l'efficacia della norma generatrice di responsabilità sia fatta cessare, con la conseguente non punibilità delle lesioni o delle morti cagionate sul naviglio di Stato, non è, infatti, più possibile individuare il soggetto giuridicamente obbligato e configurarsi ipotesi di dolo o colpa nella determinazione del danno.
Ecco il fatto: con le modifiche apportate al testo dell'articolo dalla Camera e dal Senato si risponde al dubbio del Presidente della Repubblica in merito agli aspetti risarcitori, ma rimane inevaso l'altro dubbio circa la disposizione di cui all'articolo 20 ritenuta non una norma di interpretazione autentica, ma una norma integrativa.
L'articolo 30, invece, interviene su più aspetti: sul controllo giudiziale relativo alle clausole generali contenute nella disciplina legislativa in materia di lavoro, sulla certificazione dei contratti di lavoro, sulle valutazioni da parte dei giudici nei contenziosi concernenti i licenziamenti individuali.
In particolare, il comma 1 delimita il potere di controllo giudiziale sul rispetto dei presupposti contenuti nelle clausole generali presenti nelle disposizioni di legge relative ai rapporti di lavoro subordinato privato e ad altri rapporti di lavoro sostanzialmente di carattere parasubordinato di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, nonché ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e naturalmente ricomprende tra le richiamate clausole anche le norme in materia di instaurazione di rapporto di lavoro e recesso del medesimo rapporto, di esercizio dei poteri del datore di lavoro, nonché quelli di trasferimento di azienda.
Inoltre, tale comma reca anche disposizioni volte a riaffermare nei confronti del giudice il ruolo di accertamento effettuato in sede di certificazione dei contratti di lavoro, nonché disposizioni relative agli elementi presenti nei contratti collettivi e individuali di lavoro (la cosiddetta tipizzazione delle cause) di cui il giudice deve tener conto nei contenziosi relativi ai licenziamenti individuali.
Con riferimento a tali clausole, infatti, il comma primo dispone che il controllo giudiziale debba limitarsi esclusivamente all'accertamento del presupposto di legittimità e non possa estendersi al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive, le quali spettano al datore di lavoro o al committente.
Riguardo al comma 2 e al comma 3, come si vede, l'uno rende vincolante nei confronti del giudice l'accertamento effettuato in sede di certificazione dei contratti di lavoro, anche perché tale certificazione è volontaria e non obbligatoria per le parti, trova applicazione nei confronti di tutti i contratti e si attiva presso le specifiche commissioni di certificazione.
Infatti, la certificazione sostanzialmente attribuisce piena forza legale al contratto, escludendo la possibilità del ricorso in giudizio se non in caso di erronea qualificazione e di difformità, certificato degli enti bilaterali costituiti su iniziativa di associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente Pag. 28più rappresentativi, dalle direzioni di lavoro provinciali, dalle università, dal Ministero del lavoro e dai consigli provinciali.
Il comma 3, invece, contiene le disposizioni relative agli elementi presenti nei contratti collettivi e individuali di lavoro cui il giudice deve fare riferimento nei contenziosi relativi ai licenziamenti individuali. Naturalmente per noi il comma 4 sostituisce interamente l'articolo 75 del decreto legislativo 276 del 2003 e naturalmente, con riguardo alle modifiche apportate a questi commi da Camera e Senato, la Camera dei deputati nell'esame successivo al rinvio del disegno di legge da parte del Presidente della Repubblica ha introdotto una sola modifica al comma 3 dell'articolo, sopprimendo due dei criteri che vengono imposti dal giudice per risolvere i contenziosi relativi ai licenziamenti individuali.
Tali criteri sono le fondamentali regole del vivere civile e l'oggettivo interesse dell'organizzazione. Rimane, invece, l'altro criterio di cui il giudice deve tener conto, ovvero le tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro, oppure nei contratti individuali di lavoro se stipulati con l'assistenza delle richiamate commissioni di certificazione.
Il Senato non ha apportato ulteriori modifiche e quindi il testo di questo articolo non è ulteriormente modificabile alla Camera. Infatti, la modifica apportata è positiva ma non sufficiente: da un lato, è stato eliminato il riferimento alle regole del vivere civile che nessun significato giuridico potevano avere in questa sede, posto che il giudice nelle sue decisioni tiene sempre presenti ed applica le regole fondamentali dell'ordinamento giuridico, dall'altro, elimina il riferimento all'interesse oggettivo dell'organizzazione dell'impresa che avrebbe dato adito ad interminabili controversie. Non esiste, infatti, un catalogo delle ragioni oggettive dell'interesse dell'impresa, la discrezionalità dell'impresa si sarebbe dilatata e, invece, la tutela dei prestatori di lavoro si sarebbe molto indebolita.
L'articolo 31 rappresenta l'articolo principale non solo per noi ma anche per il Presidente della Repubblica, perché su di esso si incentrano i dubbi del Presidente in riferimento a quanto prevede l'articolo che consta di 16 commi. Il Presidente della Repubblica ha inteso fare riferimento in particolare ai commi 5 e 9, in cui viene ridisegnata la sezione del codice di procedura civile recante le disposizioni generali in materia di conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro (articoli da 409 a 412-quater). In estrema sintesi, l'articolo modifica le disposizioni sul tentativo di conciliazione e sull'arbitrato nelle controversie individuali di lavoro (articoli da 409 a 412-quater del codice di procedura civile) introducendo varie modalità di composizione delle controversie di lavoro alternative al ricorso al giudice. Il tentativo di conciliazione attualmente obbligatorio è trasformato in una fase meramente eventuale. Sono poi apportate una serie di modifiche al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dirette a rafforzare le competenze delle commissioni di certificazione dei contratti di lavoro.
In tal caso, i dubbi del Presidente nelle motivazioni partono dalla considerazione che tutti gli strumenti introdotti devono rispettare i seguenti principi: essere pienamente coerenti con la volontarietà dell'arbitrato e assicurare una adeguata tutela del contraente debole. Entrambi questi principi sono costantemente affermati in numerose pronunce della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, alcune delle quali sono richiamate dal Presidente della Repubblica. Egli ricorda che sono certamente incostituzionali le norme che prevedono il ricorso obbligatorio all'arbitrato poiché solo la concorde volontà delle parti può consentire deroghe al fondamentale principio di statualità e di esclusività della giurisdizione (articolo 102, primo comma, della Costituzione), quelle che violano il diritto di tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (articolo 24 e 25 della Costituzione) e quelle che, con riferimento ai rapporti nei quali sussiste Pag. 29un evidente e marcato squilibrio di potere contrattuale tra le parti, non garantiscono l'effettiva volontarietà delle negoziazioni e delle eventuali rinunce, ancora una volta con speciale riguardo ai rapporti di lavoro e alla tutela dei diritti del lavoratore in sede giurisdizionale.
Secondo la Corte di cassazione la prescrizione dei crediti di lavoro nei rapporti privi della garanzia della stabilità decorre dalla cessazione del rapporto, ciò in analogia con quanto previsto dall'articolo 2113 del codice civile in ordine alla decorrenza del termine per l'impugnazione di rinunce e transazioni che abbiano avuto ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge dei contratti collettivi.
Infatti, i commi interessati direttamente dal richiamo del Presidente della Repubblica riguardano il comma 9 che stabilisce che le parti possono decidere di devolvere ad arbitri la definizione di eventuali controversie non solo in costanza di rapporti, allorché insorga la controversia, ma anche in un momento antecedente ovvero nel momento della stipulazione del contratto attraverso l'inserimento di apposita clausola compromissoria.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIOVANNI PALADINI. Poiché il lavoratore si trova in una sicura situazione di debolezza, nel momento in cui deve sottoscrivere un contratto di lavoro si pone un problema di verifica dell'effettività della sua volontà, che non viene superato dalla presenza e dall'intervento degli organi di certificazione di cui all'articolo 76 del citato decreto legislativo di cui rimane incerto l'ambito dei relativi poteri e sul quale insistono generali difficoltà di acclimatamento.

PRESIDENTE. Onorevole Paladini, dovrebbe concludere...

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, ho terminato il tempo a mia disposizione?

PRESIDENTE. Ha ancora trenta secondi...

GIOVANNI PALADINI. Per noi era importante questo articolo: in trenta secondi concluderò il mio intervento dicendo che questo provvedimento, come ho sostanziato in diritto e naturalmente anche dal punto di vista politico, non è stato capace di risolvere e di interpretare i problemi dell'occupazione e del lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pelino. Ne ha facoltà.

PAOLA PELINO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento che oggi giunge all'esame dell'Assemblea ha avviato il suo iter il 17 settembre 2008, ossia oltre due anni fa. Nel corso del lungo e travagliato esame parlamentare giunto alla settima lettura il provvedimento si è andato arricchendo di nuovi e più ampi contenuti a fronte delle nuove esigenze nel frattempo emerse, mentre numerosi correttivi hanno riguardato le norme più delicate e controverse soprattutto a seguito del rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica.
A conclusione di questo lungo procedimento si impongono, a mio avviso, due ordini di considerazioni. La prima attiene al merito del provvedimento ossia le misure che esso introduce e la loro importanza nel promuovere una riforma delle relazioni nel mondo del lavoro, in linea con le esigenze di un'economia avanzata e in vista di una ripresa che tutti ci auguriamo possa vedere la luce quanto prima. La seconda attiene al metodo utilizzato nella definizione dei contenuti del provvedimento, ispirato al pieno coinvolgimento dei soggetti sociali ed economici e al confronto costruttivo con tutte le forze di opposizione e con il Capo dello Stato.
Per quanto riguarda il primo aspetto, ossia i contenuti del provvedimento, vorrei innanzitutto richiamare l'attenzione sulle importanti deleghe conferite al Governo in materia di lavori usuranti, riordino degli Pag. 30enti vigilati, ammortizzatori sociali, servizi per l'impiego e incentivi all'occupazione, apprendistato e occupazione femminile. Si tratta di temi cruciali e il conferimento delle deleghe rappresenta un passo decisivo verso la definizione di riforme di ampia portata destinate a cambiare il volto del mercato del lavoro del nostro Paese e ad assicurare piena equità nel settore pensionistico.
Su questi temi il Governo è chiamato - in tempi che mi auguro siano brevi - ad un delicato compito di attuazione. Vorrei ricordare poi che altri importanti interventi hanno riguardato l'orario di lavoro, vari profili del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (pari opportunità, aspettativa, part-time, permessi, congedi e assenza per malattia), la tutela dei lavoratori atipici nel caso di evasione contributiva del proprio datore di lavoro, l'assolvimento dell'obbligo di istruzione nei percorsi di apprendistato e il rafforzamento del ruolo delle agenzie per il lavoro e il lavoro a progetto.
Alcune considerazioni a parte meritano, infine, le norme sulle quali si è concentrato il dibattito parlamentare a seguito del rinvio presidenziale alle Camere, ossia gli articoli 20 e 31, riguardanti rispettivamente il risarcimento dei danni a favore dei lavoratori impiegati sul naviglio di Stato e le nuove procedure arbitrali in materia di lavoro.
Per quanto concerne l'articolo 20, i rilievi presidenziali sono stati attentamente valutati consentendo di giungere ad una formulazione che dà piena risposta alle esigenze che la norma intende soddisfare. Nella prima lettura alla Camera dopo il rinvio presidenziale, il testo è stato interamente riformulato al fine di meglio specificare l'ambito di esclusione da responsabilità e dare più sicuro fondamento giuridico alle azioni risarcitorie. Successivamente il Senato ha ulteriormente integrato la norma disponendo lo stanziamento di 5 milioni di euro da destinare al risarcimento dei militari danneggiati.
Per quanto attiene all'articolo 31 nel messaggio presidenziale, ove si esprimeva, peraltro, apprezzamento per un indirizzo normativo teso all'introduzione di strumenti arbitrali volti a prevenire e accelerare la risoluzione delle controversie, si osservava che appariva necessario definire in via legislativa meccanismi idonei ad accertare l'effettiva volontà compromissoria delle parti e a tutelare il contraente debole, ossia il lavoratore, soprattutto nella fase di instaurazione del rapporto di lavoro. Dubbi, inoltre, venivano espressi sulla possibilità di pervenire ad una decisione arbitrale secondo equità, evidenziando che ciò non può in ogni caso compromettere diritti costituzionalmente garantiti o comunque non negoziabili di cui è titolare il lavoratore.
Su tale versante il lavoro svolto dal Parlamento a seguito del rinvio è stato di fondamentale importanza. Sono state introdotte, infatti, nuove norme volte a stabilire che nell'arbitrato di equità si debba tener conto, oltre che dei principi generali dell'ordinamento, anche dei principi regolatori della materia, inclusi quelli derivanti da obblighi comunitari; che la clausola compromissoria può essere pattuita non prima della conclusione del periodo di prova ovvero, ove non previsto, non prima di trenta giorni dalla stipulazione del contratto di lavoro; che la clausola compromissoria non può comunque avere ad oggetto le controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro, ed infine, che davanti alle commissioni di certificazione le parti possono farsi assistere da un legale di fiducia o da un rappresentante dell'organizzazione sindacale o professionale a cui abbiano conferito mandato.
Con tali modifiche è evidente che il livello di garanzie per il lavoratore risulta pieno ed effettivo; quello che occorre augurarsi ora è che le nuove norme trovino attuazione nella realtà dei rapporti di lavoro e questo secondo pilastro della giustizia lavoristica si diffonda rapidamente quale strumento volto ad assicurare decisioni rapide ed eque. In questo senso decisivo sarà il ruolo che saranno chiamati a svolgere gli attori sociali, a cui il provvedimento rimette il compito di pattuire le Pag. 31clausole compromissorie nell'ambito degli accordi interconfederali e dei contratti collettivi.
Tale ultimo elemento mi porta direttamente alla seconda delle questioni poste all'inizio del mio intervento, ossia il metodo usato nella definizione dei contenuti del provvedimento. Si tratta di un metodo che si ispira ad una visione liberale del rapporto fra Stato e società, e fa leva sul principio di sussidiarietà per definire la linea di confine tra legge e autonomia negoziale e privata. La stessa previsione dell'articolo 31, che lascia il campo alle parti sociali e delinea l'intervento pubblico come residuale e suppletivo, sta a dimostrarlo. Infatti, solo in assenza di accordi interconfederali o contratti collettivi volti a definire la pattuizione di clausole compromissorie, trascorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali può convocare le parti sociali al fine di promuovere un accordo, e solo nel caso in cui non si giunga ad un accordo nei successivi sei mesi il Ministro, con proprio decreto, è chiamato ad individuare in via sperimentale, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto tra le parti sociali, le modalità di attuazione della nuova disciplina.
Anche sul piano prettamente procedurale il metodo del coinvolgimento degli attori sociali ed economici è stato ampiamente praticato con risultati di grande rilievo, ove si pensi che la riforma dell'arbitrato è stata condivisa da tutte le organizzazioni datoriali e sindacali con la sola eccezione della CGIL.
Sul versante del confronto politico e parlamentare, soprattutto a seguito del rinvio presidenziale, a cui il Governo e la maggioranza hanno prestato la massima attenzione, la dialettica è stata aperta e fruttuosa, come dimostrano i numerosi miglioramenti apportati al testo, anche con il contributo delle opposizioni.
Colleghi, dopo oltre due anni di discussione, occorre che questo provvedimento, di cui il nostro Paese ha certamente bisogno, venga finalmente approvato e possa dare così risposta ai numerosi e gravi problemi che intende affrontare. Come maggioranza sentiamo di aver fatto pienamente il nostro dovere con spirito aperto e collaborativo; auspico pertanto che questa Assemblea lo approvi in tempi rapidi e senza ulteriori modifiche (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rampi. Ne ha facoltà.

ELISABETTA RAMPI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo provvedimento, giunto ormai alla settima lettura parlamentare, conferma la volontà del Governo di operare una progressiva diminuzione dei diritti dei lavoratori. Di fronte a una crisi senza precedenti, che richiederebbe al Paese una forte coesione e un nuovo patto sociale, come auspicato anche da Confindustria, il disegno di legge in esame non solo non introduce alcun intervento efficace per il mercato del lavoro, a favore della crescita e dell'occupazione, ma tende ad abbassare le tutele fondamentali acquisite nel corso degli anni e attraverso duri sacrifici dalle lavoratrici e dai lavoratori di questo Paese.
Occorre ricordare che l'origine del collegato lavoro risale alla fase precedente l'avvento della crisi economica e che, oggi, ben altre sono le esigenze e le priorità del sistema produttivo. Insomma, il Paese ha bisogno di altro per governare il mercato del lavoro. Fisco, lavoro, salario, occupazione e sviluppo: queste sono le priorità per mettere in campo politiche attive in grado di fronteggiare la crisi, rilanciare la crescita e la competitività delle imprese, riassorbire la disoccupazione, dare risposte ai giovani e alle donne che oggi sono i soggetti più svantaggiati.
Ciò richiede grande senso di responsabilità da parte di tutti, in un percorso teso ad includere e non ad escludere, ad unire e non a dividere. Oggi non è così: proprio il Governo, che in questo momento, in particolare, dovrebbe essere il soggetto maggiormente impegnato nella ricerca di soluzioni condivise, spesso assume posizioni Pag. 32ideologiche, che non aiutano il Paese in un percorso di coesione sociale, ma, al contrario, finiscono per fomentare divisioni e conflitti.
Siamo molto preoccupati per il clima sociale che si sta creando nel Paese. Attenzione a non distruggere la speranza e il futuro di intere generazioni. Attenzione a non permettere che il germe dell'odio ricompaia.
Questo provvedimento è sbagliato, presenta profili di incostituzionalità, colpisce i soggetti più deboli del mercato del lavoro, tanto che il Presidente della Repubblica, rinviandolo alle Camere con messaggio motivato, ai sensi dell'articolo 74 della nostra Costituzione, sottolineava l'esigenza di una tutela più intensa. Il nuovo testo non accoglie pienamente nemmeno uno dei richiami del Capo dello Stato, come dimostra, ad esempio, l'excursus dell'articolo 31, uno dei punti più controversi del collegato.
Nel corso dell'ultima lettura alla Camera, infatti, eravamo riusciti, grazie all'approvazione di un nostro emendamento a prima firma Damiano, a porre in essere un correttivo importante in materia di arbitrato, prevedendo due distinti momenti di adesione: prima che insorgesse la lite, il lavoratore avrebbe dovuto firmare la clausola compromissoria. In seguito, e solo dopo l'insorgenza della lite, avrebbe almeno potuto scegliere se confermare o meno la volontà di deferire la controversia agli arbitri. In questo modo, si sarebbe potuta accertare l'effettiva volontà delle parti e corrispondere pienamente a quanto richiesto dal Capo dello Stato.
Non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che il lavoratore rappresenta la parte debole rispetto al potere che può esercitare il datore di lavoro e la legge avrebbe il dovere di tutelarlo. A seguito delle modifiche approvate dalla maggioranza al Senato, invece, viene ripristinato il testo previgente, negando sostanzialmente, ancora una volta, la libera scelta al lavoratore, al quale viene imposto di abdicare ai diritti futuri: un grave strappo, così come la reintroduzione, per i contratti a tempo determinato, del licenziamento a voce.
Per noi questi sono atti intollerabili. Ci sorge il dubbio che il vero obiettivo del provvedimento non sia quello di decongestionare il contenzioso, ma un altro. Se non si può negare un'evidente crisi della giustizia del lavoro, dovuta, però, più che altro a problemi organizzativi interni (tant'è che a Torino e Trento si ottiene una sentenza di primo grado entro sei mesi, mentre molto diversi sono i tempi di altri tribunali, come ad esempio Novara o Milano, per stare in territori contigui e non dare adito ad altro tipo di letture), dobbiamo dire che le misure proposte dal Governo sono, a nostro avviso, una cura ben peggiore del male, perché portano alla deregolamentazione dei diritti e all'indebolimento del ruolo della magistratura e del sindacato.
Tutto questo non va bene, così come non va bene ogni azione unilaterale intrapresa senza ascoltare le ragioni dell'altro.
La nostra è una società complessa: questo Parlamento non può assumersi la responsabilità di sbilanciarne gli equilibri, già troppo spesso precari e, in questo momento, particolarmente fragili. I fenomeni della globalizzazione hanno portato indubbiamente molti benefici come l'apertura dei mercati e molti problemi che dobbiamo riuscire a governare. Tra questi vi è la concorrenza al ribasso.
La strada scelta dal Governo con questo provvedimento, per acquisire maggiore competitività, è quella di minare i diritti fondamentali.
Non è così che si riduce il costo del lavoro! Questo è un percorso miope, destinato ad un clamoroso fallimento perché nel mondo ci sarà sempre qualcuno disposto a lavorare sotto quelli che sono - secondo la nostra cultura - gli standard minimi accettabili.
È questa la società che vogliamo? Sarebbe sicuramente meglio imboccare un'altra strada, ossia investire finalmente risorse in ricerca e innovazione per essere veramente competitivi relativamente al fattore qualità.
Inoltre, occorrerebbe riprendere il ragionamento sul cuneo fiscale, sui costi indiretti che le aziende sopportano, anche Pag. 33a causa di una pletora di balzelli e tariffe create ad arte per sanare il deficit degli enti locali, esasperati dai tagli del Governo nei loro confronti.
Occorrerebbe rivedere i tempi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, rivedere i criteri dell'IRAP, che penalizza le aziende con più occupati, porre attenzione reale alle esigenze delle imprese senza trascurare - come è stato fatto finora - quelle più piccole, che rappresentano l'ossatura del nostro sistema produttivo.
Quando si parla di diritto del lavoro in una società globale, anziché rinchiudersi in un localismo sterile, occorrerebbe agire in una dimensione più ampia e farsi parte attiva affinché almeno l'Europa si doti di regole comuni in tema di salari, di diritti e pesi burocratici.
In realtà, in Italia gli investimenti sono frenati, non tanto dalle rigidità del mondo del lavoro, bensì dai pesi di una burocrazia troppo spesso paralizzante. Alleggerire la burocrazia non significa alleggerire i diritti. Sotto le mentite spoglie della semplificazione normativa, ancora una volta, questo Governo tenta di capovolgere le regole e non affronta comunque i problemi reali.
Ricordiamo che il testo in esame - collegato alla manovra di finanza pubblica - originariamente composto da nove articoli, si è via via appesantito fino ad assumere le dimensioni che conosciamo: 50 articoli e 140 commi, che riguardano, peraltro, le materie più disparate. Dopo il rinvio alla Camera da parte del Presidente della Repubblica, si sono operati abbellimenti di facciata, lasciando inalterata la sostanza e ciò comporta una grave responsabilità.
Temiamo che, relativamente a questo provvedimento, si stiano giocando partite a più livelli. Si mira,infatti, ad accontentare la parte più intransigente degli industriali, a fomentare le divisioni tra sindacati e, purtroppo, anche la nascita di sindacati di comodo - perché questo è il grande rischio -, ad abbassare l'obbligo di istruzione, a cancellare la responsabilità penale verso i lavoratori esposti all'amianto, a smantellare il sistema della giustizia del lavoro.
Ripristinare quanto meno il testo modificato dal Senato, sarebbe il minimo indispensabile che questo Parlamento potrebbe fare nella pura logica di riduzione del danno, che comunque esiste ed è evidente.
Auspichiamo, pertanto, che il dibattito in Aula possa permettere un'ampia discussione nel merito di questo provvedimento e porre i correttivi necessari per creare uno spirito nuovo e costruttivo tra imprese e lavoratori (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1441-quater-F)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Cazzola.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, userò pochi minuti, non solo perché mi rimangono pochi minuti ma anche perché credo che il Ministro debba avere lo spazio per replicare in un dibattito che è stato comunque ricco e nel quale le posizioni sono emerse con chiarezza.
Confesso che in questa vicenda - lei, Presidente, se ne sarà accorta - ho messo anche della passione, con toni che denotano un impegno particolare, al di là del ruolo di relatore, perché in questa vicenda ho un conflitto di interessi.
Mi sono laureato nel 1967 a Bologna, con il professor Federico Mancini, con una tesi intitolata: «Metodi e forme di risoluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro». Diciamo pertanto che, alla fine della vita, si è compiuto un ciclo poiché riesco a dare un contributo alla realizzazione di una riforma importante, per l'affermazione della quale mi sono battuto nel corso della mia esperienza. Pag. 34
Spesso mi sono mosso - sono stato per quattro volte relatore - per disciplina, ma, dopo le modifiche introdotte a seguito del messaggio di rinvio alle Camere del Presidente della Repubblica, sono assolutamente convinto che si tratti di una buona legge e che l'arbitrato irrituale, così come viene confezionato e con le garanzie introdotte a seguito del messaggio, sia un istituto rispettoso dei diritti dei lavoratori e in grado di far fare un passo avanti al sistema delle relazioni industriali.
Potrei leggere ora - lo farò magari domani, parlando della pregiudiziale di costituzionalità - ma vorrei richiamare l'attenzione dei colleghi presenti e che hanno avuto la pazienza di stare qui fino ad ora, sulla pagina 5 del messaggio presidenziale, dov'è assolutamente chiaro e trasparente il riferimento all'atto dell'assunzione: «la fase della costituzione del rapporto è infatti il momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro», e continua poco dopo: «Garanzia che, peraltro, non appare sufficiente perché tali organi» - le commissioni di certificazione - «[...] non potrebbero che prendere atto della volontà dichiarata dal lavoratore, una volta che sia stata confermata in una fase che è pur sempre costitutiva del rapporto e nella quale permane pertanto un'ovvia condizione di debolezza».
Credo che abbiamo blindato questa operazione e salvaguardato il lavoratore. Pensavamo di poterlo fare per via contrattuale, il Presidente della Repubblica ha chiesto invece di farlo con un rafforzamento delle norme del disposto legislativo. Siamo riusciti a farlo attraverso dei passaggi che sfido a trovare in altre forme ugualmente garantiste della volontà del lavoratore e, non a caso, ho citato l'allocazione del TFR ai fondi pensione.
Voglio inoltre domandare: ammettiamo per ipotesi che ci sia un contratto nazionale di lavoro che preveda una forma di conciliazione e di arbitrato e che un lavoratore - chiamiamolo Gaetano Rossi - dipendente di una ditta artigiana di Nonantola, venga coartato dal suo datore di lavoro a firmare la clausola compromissoria. In che modo il datore di lavoro restituisce al lavoratore una libertà, libertà che i colleghi dell'opposizione dicono essere coartata, se al momento in cui sorge la controversia costui riprenderà questo stesso lavoratore sotto braccio e lo riporterà nuovamente innanzi a una commissione di certificazione per sostenere di essere d'accordo alla composizione della controversia attraverso il ricorso a arbitri?
Insomma, vedo una complicazione burocratica e, se l'analisi che si fa è quella di tutelare il lavoratore, non vedo come fare due volte lo stesso giro, in un rapporto caratterizzato dalla malafede, possa salvaguardare la libertà del lavoratore e quella effettiva volontarietà che il Presidente della Repubblica ha voluto sottolineare con tanta forza, mettendo l'aggettivo «effettivo» addirittura fra virgolette. Ringrazio i colleghi che hanno dato un contributo a questo dibattito (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Futuro e Libertà per l'Italia, Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Signor Presidente, desidero in primo luogo rivolgere un sentito ringraziamento all'intera Commissione parlamentare per il suo intenso e proficuo lavoro, non soltanto nel corso di questa lettura, ma anche nell'ambito delle letture precedenti.
Siamo in una sede davvero inusuale anche per una bicameralismo perfetto come il nostro, solo in parte giustificata dall'iniziativa legittima e comprensibile del Presidente della Repubblica, perché invero le Camere, come è stato detto, hanno via via anche aggiunto altri temi e sulla stessa materia oggetto dell'originale disegno di legge si sono sedimentate più modifiche nel tempo.
Certo, considerare questo come un provvedimento esaustivo delle necessità, anche formali, per quanto riguarda le politiche del lavoro sarebbe davvero assurdo: Pag. 35il provvedimento in esame è datato, ma gli strumenti che in esso sono contenuti sono attuali. Serve ben altro: è prossima la presentazione da parte del Governo del disegno di legge delega di riordino in un testo unico della disciplina che si è sedimentata progressivamente in materia di lavoro (sono circa quindicimila i provvedimenti che devono essere sottoposti a riordino), non soltanto in termini compilativi, ma anche innovativi, con un orientamento che sia coerente con il testo che stiamo discutendo.
Il Governo ha infatti sempre ritenuto essenziale, sin dall'inizio della propria attività, la collaborazione tra Stato e società, tra Governo e parti sociali: una collaborazione che si è espressa invero anche in questa materia, consentendo di registrare il consenso di tutte le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori, pur con l'importante assenza della CGIL. Ciò è tuttavia accaduto perché alla base dello strumento principe che è contenuto nel provvedimento, cioè la buona disciplina relativa all'arbitrato come alla conciliazione, vi è la scelta di una robusta sussidiarietà nei confronti degli attori sociali, di una significativa rimessione alle parti sociali della capacità di utilizzare lo strumento ivi disciplinato.
Durante l'iter le Camere hanno modificato il rapporto fra la norma ed il contratto, fra la legge e il contratto: hanno in qualche modo ampliato la dimensione della norma e ridotto quella del contratto e tale confine è senza dubbio opinabile. Personalmente, appartengo a quella cultura politica e sindacale che in materia di lavoro è portata ad affermare «la mia legge è il contratto»: alla fine, nessuno più delle parti sociali, nel concreto delle condizioni date, non solo in termini generali applicate all'intero Paese, ma nei diversi territori e nelle diverse aziende, ha la capacità di individuare il punto di reciproca adattabilità degli interessi e delle ragioni delle parti stesse.
Mi ha colpito il fatto che in tutte le osservazioni critiche che l'opposizione ha voluto rivolgere non allo strumento, in sé ma al modo con il quale lo strumento è disciplinato, non vi sia stata sostanzialmente mai comprensione per questa scelta sussidiaria in favore delle organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori. Lo devo dire, perché questa scelta sarà alla base dello statuto dei lavori più ampiamente, perché anche in quella sede pensiamo che si dovrà identificare una parte consistente della regolazione del lavoro, la cui disciplina - in quanto non attinente ai diritti fondamentali, che come tali devono essere universali ed effettivamente applicati a tutti - per la parte inerente le tutele ed altri aspetti deve potersi ritenere derogabile dalle intese che le parti sociali sanno organizzare nelle diverse condizioni aziendali e territoriali, proprio perché hanno quella capacità di reciproco adattamento di cui prima dicevo.
Quanto le parti sociali potranno fare in materia di arbitrato per regolarne l'uso e per adattarlo alle diverse condizioni di tempo e di luogo è molto importante (non posso non sottolinearlo soprattutto - come ho detto - in relazione a critiche che sono parse completamente a prescindere da questo aspetto fondamentale). Questa è la ragione per cui tutte le organizzazioni hanno sottoscritto anche una prima intesa, che poi il legislatore ha voluto tradurre in norma, quella relativa all'impiego della clausola compromissoria per quanto riguarda la risoluzione del rapporto di lavoro, a significare che quelle parti sono in grado di realizzare ulteriori intese per rendere effettivamente applicabile tale strumento.
L'intervento del Ministro di fronte ad un mancato accordo delle parti è davvero residuale, direi un'ipotesi pressoché impossibile per come il percorso viene ulteriormente normato in base alle correzioni che sono state successivamente apportate, ed è bene che sia così, perché non vedo quel Ministro che intenda assumere una responsabilità in assenza di accordo tra le parti, alla luce di un contrasto tra le parti sullo strumento.
Questa è la lettura fondamentale circa il corretto impiego dell'arbitrato, che si realizza per equità, come auspicava Marco Biagi, cui si deve la prima stesura di Pag. 36questo testo nell'ambito del disegno di legge di riforma che porta il suo nome. Rileggevo proprio ieri un suo articolo pubblicato nuovamente da Il Sole 24 Ore nel marzo di quest'anno, nel quale egli faceva riferimento proprio all'arbitrato per equità, che ora nel testo all'esame - mi auguro definitivo da parte della Camera dei deputati - si presenta con riferimento non solo ai principi generali dell'ordinamento, ma anche a quelli specifici della materia, e ovviamente in coerenza con l'ordinamento comunitario, dal quale non possiamo e non vogliamo prescindere. Sarebbe invero assurdo che gli arbitri fossero incaricati di ripercorrere lo stesso procedimento giudiziario e di avere lo stesso approccio del giudice alla decisione.
Altri contenuti sono senza dubbio significativamente utili nell'ambito del provvedimento. Vorrei, in particolare, richiamare la riproposizione della delega relativa agli ammortizzatori sociali. Siamo tutti consapevoli del limite di questa delega, contenuto non tanto o non solo in questa sede, ma nella sede originaria nella quale questa stessa norma fu adottata.
Mi riferisco al provvedimento del precedente Governo, che qui viene soltanto prorogato. Il limite è quello dell'assenza di risorse aggiuntive, ma può essere risolto attraverso un opportuno riordino degli strumenti in essere ed eventualmente attraverso un uso moderato della contribuzione, anche se è intenzione del Governo non accentuare la pressione contributiva, già elevata, in un contesto di pressione fiscale già elevata. Ed invero, è stata forse un'occasione perduta quella di alzare, ad esempio, la contribuzione delle collaborazioni a progetto senza utilizzare quel maggiore prelievo soprattutto per dotarle di una protezione del reddito nel momento in cui si determina la cessazione di quel rapporto di collaborazione.
Valuteremo quali possibilità questa delega ci dia, valuteremo come integrarle eventualmente nell'ambito del disegno di legge delega relativo allo statuto dei lavori, proprio con particolare riferimento alle collaborazioni a progetto, per le quali abbiamo sperimentato, con non molto successo - cioè con non molta adesione - una forma di protezione una tantum del reddito all'atto della cessazione di un rapporto in condizioni di monocommittenza.
Per quanto riguarda altri contenuti sollecitati dagli intervenuti, come i progetti di integrazione dell'ISPESL e dell'IPSEMA nell'ambito dell'INAIL, voglio ricordare quanto ribadito in più sedi, ossia - e me ne è stato dato atto - della volontà del Governo e degli istituti stessi che questo processo di integrazione stanno operando, di riconoscere adeguata autonomia alle attività contenute negli istituti che ho citato, in modo che ne sia garantita la migliore continuità, in modo che quelle capacità, quelle potenzialità, non siano in nessuna misura mortificate, ma, anzi, al contrario, il loro inserimento nell'unico, a questo punto, ente per la sicurezza dei lavoratori possa dare luogo ad importanti sinergie, non solo utili alla razionalizzazione dei costi fissi, ma anche in particolare ad incrementare le attività di servizio per la prevenzione relativa alla sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori.
Ringrazio, se mi è consentito, in modo particolare il gruppo dell'Unione di Centro. I colleghi Poli e Lusetti hanno svolto interventi che hanno sollecitato la definitiva approvazione del provvedimento, pur mantenendo su di esso riserve che legittimamente sono state espresse e che mi sono apparse forse più di ordine generale che di ordine specifico. Li ringrazio perché provengono da una forza politica di opposizione responsabile, che ha sempre guardato al concreto dei singoli provvedimenti e che, in questo caso, condivide l'esigenza, che mi permetto di riproporre a quest'Assemblea nella sua autonomia, di una definitiva approvazione del provvedimento in sede di settima lettura.
Alcune specifiche ulteriori esigenze che sono state manifestate, come quelle riferite all'articolo 20, relativo agli indennizzi in materia di malattie professionali determinate dall'esposizione all'amianto (soprattutto nel naviglio di Stato), possono essere risolte in sede amministrativa, tanto più se incoraggiate da un ordine del giorno, così Pag. 37come anche le esigenze di coordinamento che il relatore ha rappresentato, relatore al quale, unitamente al presidente della Commissione, rivolgo uno speciale ringraziamento.
Il relatore ha certamente seguito con una particolare passione questo provvedimento, passione credo legata non soltanto a quel ricordo che poco fa ha citato, ossia la sua tesi di laurea. L'onorevole Cazzola, come me, è stato molto amico di Marco Biagi e credo abbia soprattutto voluto dedicare il provvedimento in esame al ricordo dell'impegno di Marco. A questo proposito, egli dedicò anche a me numerosi incontri per spiegarmi le caratteristiche dell'arbitrato per equità e le ragioni dell'utilità di uno strumento di questo tipo per risolvere molte delle controversie in materia di lavoro, al fine di incoraggiare, quanto più possibile, l'accensione di nuovi rapporti di lavoro, nonostante le rigidità regolatorie che ancora, in parte, caratterizzano la nostra disciplina in materia di lavoro.
Mi auguro, quindi, che nei prossimi giorni questo provvedimento possa definitivamente diventare legge, creando la premessa per quello statuto dei lavori che costituirà l'obiettivo ancor più ambizioso di questa legislatura; come è noto, allo stesso Marco Biagi dobbiamo l'idea dello Statuto dei lavori, l'idea di un nuovo testo unico, a quarant'anni dallo Statuto dei lavoratori, utile a determinare un quadro regolatorio funzionale alla maggiore e migliore occupazione nel nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Futuro e Libertà per l'Italia).

(Annunzio di una questione pregiudiziale - A.C. 1441-quater-F)

PRESIDENTE. Avverto che, ai sensi dell'articolo 40, comma 1, secondo periodo, del Regolamento, è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Lenzi ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A -A.C. 1441-quater-F). Tale documento sarà esaminato e votato nella seduta di domani.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Esposito ed altri n. 1-00437, Delfino ed altri n. 1-00439 e Ghiglia ed altri n. 1-00442, concernenti iniziative volte alla realizzazione della linea ferroviaria alta velocità/alta capacità Torino-Lione (ore 18,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Esposito ed altri n. 1-00437, Delfino ed altri n. 1-00439 e Ghiglia ed altri n. 1-00442, concernenti iniziative volte alla realizzazione della linea ferroviaria alta velocità/alta capacità Torino-Lione (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Misiti ed altri n. 1-00454 e Allasia ed altri n. 1-00457 (Vedi l'allegato A - Mozioni), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
Avverto altresì che la mozione Ghiglia ed altri n. 1-00442 è stata sottoscritta dall'onorevole Tortoli.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritto a parlare l'onorevole Esposito, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00437. Ne ha facoltà.

STEFANO ESPOSITO. Signor Presidente, una prima valutazione è legata al tempo nel quale questa discussione avviene. Siamo ormai impegnati in un confronto Pag. 38sulla realizzazione di questa importante linea ferroviaria inserita nel Corridoio 5, Lisbona-Kiev.
Sono molti anni che il Parlamento italiano non affronta una discussione dedicata su questo delicato tema. Credo che l'opportunità e il momento nel quale questa discussione avviene sia particolarmente rilevante. Voglio ricordare che nel mese di gennaio dell'anno prossimo, del 2011, quindi tra poco più di tre mesi, è prevista, sul versante italiano, l'apertura del cantiere della galleria della Maddalena. Questa linea ferroviaria è strategica non solo per i territori interessati, il Piemonte, ma per il Paese, e sono ormai troppi anni che è oggetto di una discussione e non della sua realizzazione.
I promotori di questa mozione, che sono stati poi seguiti da altre forze politiche, intendono con questa discussione e con il voto che ne seguirà dare nuovo impulso sia al lavoro svolto utilmente dai Governi che si sono succeduti, sia sostenere con forza l'osservatorio presieduto dall'architetto Mario Virano, che ha svolto e sta svolgendo un lavoro di riequilibrio nella fase progettuale e un lavoro di dialogo con le popolazioni interessate. Io voglio ricordarlo perché ormai il progetto preliminare è stato predisposto, il lavoro che l'osservatorio dell'architetto Virano ha portato fin qui non si era mai visto nella progettazione e, io mi auguro, nella realizzazione di una grande opera in questo Paese. È anche un esempio che spero possa essere seguito, perché voglio ricordare che per arrivare a Kiev ci saranno altre parti del territorio nazionale interessate dalla realizzazione di queste opere. Penso a tutta l'area che ci porterà a Trieste.
Nelle ultime settimane, e questo ci ha spinto con ancora più forza a chiedere la discussione in quest'Aula, ci sono state importanti prese di posizione da parte di esponenti politici - non è molto rilevante in questo momento la polemica di parte - che hanno riaperto il tema se la Torino-Lione sia necessaria oppure no.
Evidentemente, tutte le opinioni sono legittime, soprattutto quando vengono espresse da parlamentari europei che rappresentano l'Italia in quel consesso, o quando ci sono dichiarazioni sulla necessità di riflettere, che si susseguono da parte anche di importanti esponenti del Governo che poi vengono puntualmente smentite.
Quello che però più ci ha colpito è che le ragioni per le quali viene messa in discussione quest'opera sarebbero relative al nuovo progetto preliminare. Voglio ricordare ancora una volta che l'osservatorio è una creatura nata nel pensiero degli amministratori locali della Val di Susa e della provincia di Torino, ma anche negli intendimenti dell'attuale sottosegretario Letta. Siccome il progetto è stato rivisto, è stato accompagnato da una discussione con le realtà interessate e sono state apportate delle importanti modifiche, costerebbe troppo e quindi forse varrebbe la pena abbandonarlo.
Ovviamente queste prese di posizione sono state smentite dalle forze politiche alle quali appartiene il soggetto in questione, ma noi riteniamo che gli appuntamenti che abbiamo di fronte sono particolarmente significativi: spero, a brevissimo, la riconvocazione del tavolo istituzionale presso la Presidenza del Consiglio (era prevista la sua convocazione per lo scorso giovedì ed è stata annullata. Speriamo venga riconvocato al più presto per mettere a conoscenza di quel tavolo, anche nei dettagli, il progetto preliminare); la riunione tra il Governo italiano e quello francese, nella quale è necessario ridefinire il carico dei costi tra i due Governi, tema centrale che deve vedere l'Italia a quel tavolo in maniera autorevole (devo riconoscere che fino ad oggi il Ministro Matteoli non ha lesinato impegno su questo terreno, ma è arrivato il momento, e credo che la cosa dovrebbe avvenire rapidamente, perché ci sia una definizione puntuale e una ripartizione di costi diversa da quella attuale tra i due Governi).
E poi, come accennavo all'inizio, vi è la questione dell'apertura del cantiere della galleria della Maddalena, in Val di Susa, Piemonte. La Val di Susa è stata interessata in questi anni da un forte movimento Pag. 39di opposizione che ha avuto le sue ragioni negli anni scorsi perché troppo spesso i soggetti proponenti hanno immaginato una progettazione senza un confronto. Tale opposizione appare molto meno giustificata oggi di fronte allo straordinario lavoro di concertazione che è stato portato avanti e sul quale c'è stato e c'è tutt'ora l'impegno di tutti gli enti locali, il comune di Torino, la provincia di Torino e la regione Piemonte, anche quella attualmente presieduta dal presidente Cota. Evidentemente l'appuntamento, per chi ritiene che questa sia un'opera strategica, è quello di gennaio; il 9 ottobre si è svolta l'ennesima manifestazione in Val di Susa, manifestazione molto partecipata, pacifica, da noi non condivisa, della quale però non possiamo non vedere i risvolti.
A questo proposito, lo voglio dire in quest'Aula perché penso che sia il luogo deputato, dobbiamo sapere che questo movimento è composto da migliaia di cittadini che legittimamente protestano ma purtroppo, e questa informazione non è una grande notizia perché sicuramente il Governo, il Ministro dell'interno sono attenti, è un movimento del quale fanno parte anche frange legate ai centri sociali, a figure di un passato che non ci interessa ricordare, che ritengono e dichiarano pubblicamente che il cantiere che si aprirà a gennaio sarà per loro la madre di tutte le battaglie. Noi dobbiamo sapere che si stanno attivando e organizzando segmenti minoritari, ma pericolosi, ed è questa la ragione per la quale questo Parlamento, in questo momento, deve discutere, anche su posizioni diverse, che sinceramente non vedo - esprimo un rammarico perché c'erano tutte le condizioni affinché questa discussione potesse avvenire su una mozione unitaria, purtroppo si è scelto di presentare mozioni tra loro molto simili da parte delle diverse forze politiche di maggioranza e di opposizione, mi auguro che con il lavoro del Governo si possa arrivare ad una sintesi condivisa visti anche i contenuti delle stesse -, della questione: il cantiere della Maddalena, soprattutto per l'atteggiamento di alcune frange, richiede una risposta corale della politica, di questo Parlamento e di tutti quelli che ritengono che lo Stato abbia il diritto, oltre che il dovere, di progettare lo sviluppo del Paese, abbia il dovere di confrontarsi così com'è stato fatto, sia pure con un po' di ritardo, attraverso l'Osservatorio di Mario Virano, ma che ad un certo punto la decisione debba essere assunta e, nel legittimo dissenso, lo Stato debba affermare il proprio diritto a realizzare un'opera che peraltro interessa l'Europa. Per questo la discussione e il voto su queste mozioni sarà un segnale importante anche per quei territori; la compattezza, l'abbandono della polemica di parte, non il silenzio imposto nei confronti di chi dissente, ma la coesione di coloro che sono favorevoli alla realizzazione di quest'opera, a partire da quest'Aula, deve essere l'obiettivo che ci poniamo da qui ai prossimi giorni quando queste mozioni verranno votate.
C'è un altro elemento importante e su questo, lo dico al sottosegretario presente in Aula, nei mesi scorsi, ormai più di un anno fa per la verità, il Governo aveva preso ed assunto degli impegni rispetto a delle risorse da mettere a disposizione subito, sia su un piano strategico predisposto dalla provincia e concordato con la regione Piemonte per i territori interessati, sia per migliorare il trasporto metropolitano ferroviario.
Purtroppo, nessuno di questi impegni e, ancor meno, nessuna di queste risorse sono stati messi a disposizione degli enti locali per i primi interventi. Ritengo indispensabile - ed è uno dei punti della mozione che abbiamo presentato insieme ad Alleanza per l'Italia, all'Italia dei Valori e ai moderati - che queste risorse vengano rapidamente sbloccate, affinché si possa cominciare a intervenire in Val di Susa, nella bassa valle, fino al comune di Settimo, con interventi che diano la percezione di uno Stato che vuole realizzare l'opera, ma che ha consapevolezza della necessità di intervenire per migliorare le infrastrutture che tutti i giorni i cittadini utilizzano per spostarsi verso il capoluogo e non solo. L'assenza di queste risposte Pag. 40non è altro che fieno alla cascina di chi vuole dire «no» comunque, a prescindere dal lavoro di concertazione.
Questo per noi è uno dei punti centrali, così come lo è la capacità di mettere a disposizione queste risorse per interventi che vengano immediatamente percepiti; allo stesso modo, riteniamo che il nodo di Torino sia un punto centrale della realizzazione di quest'opera, che da lì occorre partire e che non bisogna continuare ad attendere, con il rischio che i detrattori di quest'opera, per immaginare altri progetti sulle direttrici di Milano e di Genova, possano avere gioco facile a dire che è un'opera di cui si parla da vent'anni e che non verrà mai realizzata. Il danno che ne deriverebbe, non solo al Piemonte ma all'Italia intera, sarebbe troppo grande.
Non nascondiamoci dietro alla legittima protesta di alcuni amministratori. Ormai è stato chiarito che in molti casi si tratta di una protesta a prescindere, e solo attraverso il nostro dialogo e la nostra capacità di mettere in campo interventi mirati su quei territori riusciremo a parlare con la grande massa dei cittadini interessati dall'attraversamento di quest'opera.
Signor Presidente, gli appuntamenti sono a tamburo battente. Leggo brevemente il crono programma e gli impegni che sono previsti: il progetto preliminare è stato redatto il 25 giugno 2010; l'approvazione di questo progetto e la valutazione di impatto ambientale deve avvenire entro il 31 dicembre 2010; l'avvio del progetto definitivo, il 1 gennaio 2011; la conclusione del progetto definitivo e dello studio di impatto ambientale, entro il 31 dicembre dell'anno prossimo; l'approvazione del progetto definitivo e la valutazione di impatto ambientale, entro il 31 dicembre 2012; l'indizione della gara di appalto, il 1 gennaio 2013; l'avvio del cantiere per la realizzazione dell'opera, il 3 novembre 2013. Ci sono, grosso modo, tre anni. Queste scadenze vanno rispettate, pena la decadenza dei finanziamenti europei. Questo forse è il vero obiettivo di chi protesta e di chi, da sedi istituzionali importanti, comincia a dire: forse potremo ripensare alla strategicità dell'opera.
Per questa ragione - e a tal riguardo ci auguriamo che il Governo non abbia dubbi e tentennamenti - il primo impegno che chiediamo al Governo è quello di riconfermare la valenza strategica della realizzazione di quest'opera e di assumere, conseguentemente, atti concreti, visibili e immediatamente percepibili rispetto allo stanziamento delle risorse.
Un'ultima cosa: non dimentichiamoci - poiché questo è uno dei punti altrettanto delicati di tutta questa discussione - che la linea Torino-Lione non interessa solo la Val di Susa, interessa anche territori di pianura, a cominciare dal capoluogo, ma anche grandi e importanti centri dell'area metropolitana. Non commettiamo l'errore di dare risposte alla Val di Susa e di dimenticarci degli altri territori. Non dimentichiamoci delle necessità di interramento di alcuni tratti della linea storica, per consentire a comuni importanti - come Collegno e Settimo - di non essere attraversati costantemente, con l'aumento del traffico ferroviario, dai treni.
Parlo di comuni che hanno sempre e convintamente sostenuto il lavoro delle istituzioni, del Governo e dell'Osservatorio; non spingiamoli in una logica di rifiuto dettata dalla mancanza di attenzione.
Vorrei concludere ribadendo la necessità di stare attenti a quello che, intorno allo protesta che si svilupperà nei prossimi mesi, può nascere. Non faccio nomi, perché sarebbe scorretto nei confronti dei soggetti che non avrebbero possibilità di replicare, ma ci sono autorevoli esponenti del mondo dei centri sociali, alcuni ex terroristi condannati che hanno scontato la loro pena, che sono all'interno di quel movimento e teorizzano la lotta partigiana per impedire la realizzazione dell'opera.
La lotta partigiana, con questo, non c'entra niente, ma quello che loro intendono per lotta è una cosa che noi temiamo di sapere e di conoscere. Sono figli di una storia passata, e spero che tutte le forze politiche rappresentate in questo Parlamento, il Governo e le istituzioni locali Pag. 41interessate sappiano - a cominciare da questa mozione e dagli interventi conseguenti - dare il giusto segnale ai tantissimi cittadini interessati allo sviluppo del territorio e alla realizzazione di quest'opera che - troppo poco viene ricordato - produrrà anche molto lavoro, in un momento in cui questo Paese è alla disperata ricerca di opportunità di occupazione.
Per noi questo è uno svincolo importante e vogliamo augurarci - lo voglio ribadire ancora una volta - che si possa comunemente condividere una mozione di indirizzo e di impegno al Governo senza, anche su questo, doverci pretestuosamente dividere solo per ragioni di parte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Libè, che illustrerà la mozione Delfino n. 1-00439, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MAURO LIBÈ. Signor Presidente, ci troviamo, questa sera, a parlare in un Paese che soffre di difficoltà serie, ce lo stiamo ripetendo non da ore, non da giorni e non da mesi. È un Paese che deve recuperare il tanto tempo perso; tempo perso, spesso, non per costruire meglio, non per valutare le soluzioni migliori, non per mettere in corsa le nostre imprese nel modo più competitivo, ma perso a dire di «no».
Un Paese nel quale le scelte non hanno guardato all'Europa, non ha prevalso l'Europa di cui tutti parlano, ma ha prevalso - purtroppo spesso, per fortuna non sempre - un localismo distruttivo di quanti, spesso, si sono anche lasciati cavalcare, in buona fede, da coloro che, magari anni fa, ci dicevano che bisognava abbandonare il trasporto su gomma, che il Paese aveva fatto scelte sbagliate per tutelare qualche impresa particolare, e che oggi, quando si sceglie una grande iniziativa su rotaia, dicono «no» alla rotaia. E magari, se domani si proponesse di andare da Torino a Lione in bicicletta, direbbero «no» anche alla bicicletta. Non è un «no» ragionato e ponderato, un «no» di chi vuole un Paese moderno, che fa crescere il territorio tutelando l'ambiente, perché nell'ambiente ci vive l'uomo. Noi abbiamo un dovere: dare sviluppo e tutelare l'ambiente perché al centro della nostra azione politica - almeno parlo per noi - ci deve essere lo sviluppo nel modo migliore dell'uomo.
Un «no», dunque, che continua: un «no» allo sviluppo, alle infrastrutture che poi tutti, anche i cittadini che dicono «no», reclamano, e un «no» a quei collegamenti che servono a metterci al centro dell'Europa. Le merci si devono muovere! Nessuno pensa di tornare indietro, e noi, in questo movimento, dobbiamo essere attori; non dobbiamo subire le scelte.
Basta prendere una mappa e vedere la conformazione geografica dell'Italia. Ebbene, quella parte del Paese che passa attraverso le tre grandi regioni del nord è quella parte del Paese che ci tiene legati all'Europa, proprio come conformazione geografica. Non è un corridoio che va tra Torino e Lione o tra Torino e Venezia, ma è un corridoio che attraversa l'Europa da est a ovest o viceversa. Invece, se ascoltassimo le scelte di questi sostenitori del no pregiudiziale rimarremmo ai margini. Già chi ha guidato questo Paese ha compiuto degli sforzi per ottenere il passaggio a sud delle Alpi di questo corridoio, che deve servire a dare sviluppo e a trainare anche il resto della penisola della quale parliamo tanto. Forse anche nello sviluppo viviamo separatamente, ma separatamente non si va da nessuna parte. Abbiamo bisogno di quest'opera per trainare lo sviluppo dell'intero Paese.
Non dobbiamo dimenticare il lavoro attento - perché i riconoscimenti vanno dati - compiuto dalla regione e dalla provincia ma anche dal Governo perché in questi anni ci sono stati impegni e sforzi. Non da ultimo - perché non è meno importante - intendo ricordare gli sforzi enormi, sereni e costruttivi portati avanti dal commissario del Governo, sforzi che sono stati messi in atto con una disponibilità che abbiamo trovato poche volte. Oggi siamo qui - per fortuna - a continuare a discutere su quel no che non Pag. 42accettiamo e che tanti, perché basta leggere le mozioni presentate, non accettano. Siamo ancora qui a chiedere insieme di ribadire che quei no non vanno bene e che insieme vogliamo, per una volta, dare un segnale importante al Paese. Come è stato ricordato prima quello che ha acceso un po' la lampadina nei giorni scorsi è che anche un parlamentare importante, che rappresenta un partito importante, si è trovato unito in quella battaglia di quei no e si è trovato tra quelli che non vorrebbero farci andare, dall'Italia all'Europa, forse neanche in bicicletta, adducendo motivazioni di retroguardia e che non stando in piedi. Noi, invece, vogliamo guardare avanti. Mi fa piacere che il dibattito ci trovi uniti su questo. Vogliamo guardare le cose migliori degli altri Paesi, non le peggiori, e in questo campo vi è qualche Paese che ha dato segnali di capacità di scelta. Anche tanti amministratori locali in quel Paese hanno dato i segnali di capacità nel valutare le scelte, fornendo così un segnale di lungimiranza nel guardare quello che è necessario ai propri cittadini amministrati.
Dunque, siamo contro i no pregiudiziali e contro quei no che sembrano utili, certe volte, solo a tutelare interessi che non sono quelli del Paese. Vogliamo realizzare il corridoio n. 5 che, lo ripeto, non è un collegamento interno al nostro Paese ma è un collegamento europeo che è necessario per portare fisicamente il nostro Paese nell'Europa. Non vogliamo perdere questa occasione che stiamo rischiando di perdere perché rischiamo, se continuiamo in questo modo, di perdere i finanziamenti. Su questo punto è necessaria una politica unita e che faccia capire - e lo dico al signor sottosegretario, che è molto attento a queste faccende - anche a una piccola parte di cittadini che si sta perseguendo il bene comune.
Dunque, siamo qui a richiedere un impegno. Il Parlamento deve ribadire questo impegno e non è pleonastico farlo in questo momento perché la voce deve levarsi, da quest'Aula, alta e forte. Infatti, si tratta di un'opera strategica e insieme dobbiamo ribadire gli impegni che sono stati presi.
Si tratta di impegni che devono servire a dare credibilità alle nostre istituzioni, a dare forza alle nostre imprese e a dare prospettive di lavoro ai nostri giovani. Oggi abbiamo solo una cosa: decidere di fare e agire velocemente (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tortoli, che illustrerà anche la mozione Ghiglia ed altri n. 1-00442, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROBERTO TORTOLI. Signor Presidente, la realizzazione del collegamento TAV Torino-Lione per il Popolo della Libertà resta una priorità assoluta per il rilancio del sistema Italia nello scenario internazionale. La linea operativa fino ad oggi condotta dall'osservatorio, in stretto contatto con il Governo e la regione, ha consentito di avviare un percorso di realizzazione dell'opera condiviso dalla gran parte delle istituzioni, delle realtà produttive e delle comunità locali interessate dal futuro collegamento ferroviario che si inserisce strategicamente in un'ampia rete intermodale europea incentrata sul Corridoio 5 e che consente al nostro Paese di avere una significativa centralità nella rete infrastrutturale di comunicazione viaria e ferroviaria in Europa.
Quello delle infrastrutture è il vero tallone d'Achille del nostro Paese che soffre per un alto debito pubblico aggravato proprio dal fatto che i soldi dell'indebitamento non sono stati a suo tempo usati negli anni delle vacche grasse per investimenti infrastrutturali. La crescita del PIL è più lenta rispetto ad altri Paesi proprio per il gap infrastrutturale. Essere un Paese a due velocità con un Meridione che soffre in termini di crescita di occupazione e di disagio sociale dipende in gran parte anche da una sottoinfrastrutturazione del sud.
Adesso che siamo entrati in Europa c'è chi vorrebbe sacrificare ulteriormente l'Italia, in un certo senso isolandoci dal Pag. 43resto del Continente. Lo ribadiamo: la TAV è un impegno finanziario importante, ma sostenibile e in prospettiva fruttuoso. Lo vogliamo dire a gran voce in risposta a chi immotivatamente si oppone a questa opera vitale e strategica per lo sviluppo del territorio e per l'economia italiana.
Il nostro Paese non può più rimandare il suo avvio e i numeri danno ragione al percorso individuato e voluto dal Governo e, in primo luogo, coerentemente dal partito del Popolo della Libertà rispetto alle scelte sulla logistica e i trasporti.
La parte internazionale della TAV da Saint Jean de Maurienne a Chiusa di San Michele avrà un costo di circa 10,4 miliardi di euro, mentre la parte italiana (da Chiusa a Settimo) costerà 4,4 miliardi di euro. Dei 14,9 miliardi di euro che costituiscono il totale - in parte coperto dall'Unione europea e dai fondi reperibili tramite un project financing - rimarrebbero 9 miliardi di euro a carico della Francia per il tratto internazionale spalmabili nell'arco di 15 anni.
Con i dati forniti dall'osservatorio sulla TAV, condivisi da LTF, ora dobbiamo andare avanti senza indugi nel percorso di attuazione e di sviluppo. Ci sono state e ci sono, non lo nego, discussioni all'interno del partito di maggioranza, ma la TAV è un'opera strategica fondamentale per gli interessi dell'Italia che non può, in alcun modo, essere rinviata ulteriormente.
È necessario che nessuna forza politica dia fiato a chi in Val Susa alimenta la protesta. Si tratta di una protesta che tra il 2006 e 2008 ha finito per condizionare le scelte del Governo di allora mettendone a rischio i finanziamenti. Le considerazioni su eventuali disagi sostenuti da quei cittadini i cui territori saranno interessati dalla cantierizzazione sono sicuramente degne di attenzione, ma è chiaro che dire no all'attuale percorso significa dire no all'opera, danneggiando irreversibilmente il nostro Paese.
Ribadiamo con fermezza che il Popolo della Libertà è il primo partito «sì TAV» e che le legittime opinioni personali non inficiano e non mettono in discussione il nostro impegno, come dimostrano materialmente ed inequivocabilmente i fondi stanziati dal Ministro Matteoli nell'allegato infrastrutture e dalla regione Piemonte.
Purtroppo ci troviamo ad affrontare le dichiarazioni ed i commenti di chi tenta di diffondere ad arte previsioni disastrose circa la realizzazione dell'opera senza la quale - sottolineiamo - l'Italia sarebbe tagliata fuori proprio dall'Europa. Il generale e facile allarmismo è uno sterile esercizio di demagogia oltre che controproducente. L'impegno del centrodestra, a partire dal Governo con l'impegno profuso dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, testimonia l'importanza e la priorità strategica dell'opera. Con altrettanta determinazione e convinzione il Governo italiano ha assunto ripetuti impegni a favore della realizzazione della linea ferroviaria Torino-Lione, riconoscendone la rilevanza quale opera strategica per i collegamenti internazionali in territorio europeo sia in ambito di traffico merci che di trasporto passeggeri e, a tal proposito, garantisce il rispetto del cronoprogramma relativo ai finanziamenti indispensabili per la prosecuzione dell'intervento. Ne è prova la comunicazione ufficiale inviata nell'ottobre 2009 dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Altero Matteoli, all'attenzione dell'architetto Mario Virano, presidente dell'osservatorio tecnico per l'asse Torino-Lione, con la quale assicura l'erogazione di 20 milioni di euro quale anticipo per la copertura degli interventi di prima fase per la realizzazione della TAV.
Parallelamente l'osservatorio tecnico TAV, sulla base dell'accordo sancito a Pra Catinat nel 2008, ha dato il proprio assenso al progetto preliminare degli interventi prodotto da LTF, documento quest'ultimo approvato nel corso delle sedute del comitato di sicurezza della commissione intergovernativa negli scorsi mesi, considerato anche che rispetto al tracciato individuato non sussistono alternative che siano state in grado di ottenere l'approvazione tecnica da parte dell'Italia e della Francia in qualità di nazioni interessate dal progetto. Ora che una lunga e spesso tormentata fase propedeutica è terminata, Pag. 44non ci sono più né ragioni né spazio temporale per rallentare l'avvio dei cantieri e ancor meno per cancellare la costruzione di una infrastruttura che fin da subito attiverà centinaia e centinaia di nuovi posti di lavoro.
Per questo, il Popolo della Libertà, a partire dagli illustri rappresentanti del Governo in Parlamento fino ai suoi rappresentanti presenti in tutte le istituzioni, proseguirà con forza e convinzione la propria azione a favore della TAV, raccordandosi con tutti i soggetti coinvolti al fine di realizzare l'opera nei tempi previsti. Inoltre, in risposta al collega Esposito, mi auguro anch'io che si arrivi ad una mozione unitaria che sarebbe il segnale migliore per sottolineare la volontà di tutti noi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00454. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, il Movimento per le Autonomie, anche se le regioni meridionali dal punto di vista della TAV e della costruzione di treni ad alta velocità sono discriminate dalle scelte che sono state fatte e che continuano ad essere perseguite, ritiene certamente importante che si completino il corridoio 1 ed il corridoio 8 che riguardano le regioni meridionali, ma ritiene anche importantissima la realizzazione del corridoio 5 che deve collegare Lisbona con Kiev.
Ritiene che ciò sia importantissimo perché la rete europea è una rete unica, basti pensare che ci sono dei rapporti stretti tra i vari corridoi e, quindi, ritiene anche strategica - e ribadisce strategica - l'opera che deve essere realizzata attraverso la Val Padana con il corridoio 5 oltre che gli altri corridoi che l'attraversano. Devo però sottolineare che siamo in ritardo.
Infatti, se la classe dirigente e politica governante in Italia avesse avuto lungimiranza sarebbero stati necessari almeno tre o quattro anni in meno nella realizzazione di quest'opera.
Ricordo che erano già avviati i cantieri per i sondaggi, ma ciò è stato fatto non tenendo conto della situazione locale. È stata addirittura minacciata la presenza delle forze dell'ordine e dell'esercito per poter fare i sondaggi. Viceversa, anche se allora quest'opera era inserita nella legge obiettivo e, quindi, non si doveva per forza tener conto dell'opinione degli enti locali, sarebbe stato necessario interpellarli e avere un rapporto con le popolazioni. Ciò non è avvenuto e questo ha indotto il Governo successivo ad una decisione a mio avviso anch'essa molto negativa e ritardante: l'eliminazione dall'elenco della legge obiettivo, in particolare il tratto Torino-Lione.
Ciò ha portato evidentemente ad un ritorno indietro: ancora purtroppo, nonostante l'ottimo lavoro svolto dall'osservatorio, temo sempre che qualche comune possa mettere il bastone tra le ruote e lo può fare. Infatti, non essendo all'interno della copertura della legge obiettivo, chiaramente i comuni possono ritardare anche il cronoprogramma preparato dall'osservatorio condotto dall'architetto Virano.
Prendiamo per buono questo tipo di cronoprogramma. Vediamo con quanto ritardo rispetto agli altri paesi si sta procedendo nel nostro. Quindi, guai a noi se pensassimo di poter condurre alla stessa maniera. Anche se cambiassero i governi, noi dobbiamo andare avanti sempre allo stesso modo, perché queste opere debbono essere realizzate con qualunque tipo di Governo che avremo nel Paese. Quindi, speriamo che questo cronoprogramma venga rispettato. Se ciò non fosse e se avessimo delle difficoltà, così come si è fatta uscire l'opera dalla legge obiettivo occorrerebbe reinserirla con un altro provvedimento di legge, altrimenti vi potrebbero essere ritardi, perché gli oppositori non sono solo quelli che manifestano, ma anche quelli che si trovano in altri luoghi e che spesso si nascondono, ma che evidentemente hanno interessi diversi e contrapposti.
Sappiamo benissimo che il passaggio dalla gomma al ferro è difficile in Italia e molti sono interessati che si rimanga alla Pag. 45situazione attuale e non vogliono questo tipo di cambiamento estremamente epocale. Quindi, il Movimento per l'Autonomia ritiene che sia indispensabile seguire quel cronoprogramma, ribadire il fatto che quest'opera è strategica, anche per l'Italia oltre che per l'Europa, provvedere certamente alle necessarie anticipazioni. Si parla di 20 milioni, ma ricordiamoci che erano stati previsti 200 milioni per iniziare il lavoro e comunque è indispensabile anche avviare con un'anticipazione in modo tale che si possano realizzare gli interventi prioritari della prima fase della costruzione dell'opera.
Occorre ancora insistere su quanto sarebbe stato necessario fare quattro o cinque anni fa insieme alla regione Piemonte e gli enti locali: la campagna di informazione e di divulgazione sulla realizzazione dell'opera. Infatti, più si conosce e più si sa su quest'opera e più i consensi aumenteranno.
Saranno isolate quelle frange che dicono «no», a prescindere, a tutto, e condivido quanto si diceva prima, ossia che è necessario ascoltare, ma che poi la decisione non deve spettare assolutamente a coloro che attuano queste proteste.
È necessario poi avere la capacità di migliorare l'accordo tra i due Paesi, l'Italia e la Francia, con una revisione profonda di quel patto di cooperazione ed occorre passare ad una seconda fase di realizzazione e poi, soprattutto, di gestione del tratto di infrastruttura comune ai due Paesi. È chiaro che nella fase di progettazione non tutto è risolto dopo aver individuato un tracciato che sia accettato dalla stragrande maggioranza o dalla totalità degli enti locali e dei cittadini della valle. Non tutto è risolto perché è chiaro che un'opera di quel genere va realizzata nel migliore dei modi, anche tenendo conto delle trasformazioni che si producono nell'attraversamento delle Alpi nei flussi merci, di persone, e va considerata la situazione dell'attuale linea ferroviaria.
Quindi, nel passaggio dal progetto preliminare al progetto definitivo, è necessario fare molta attenzione a non procedere ad una progettazione che porti a realizzare qualcosa che poi non serve, perché deve essere realizzato ciò che serve con la minore spesa e con i migliori risultati.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giorgio Merlo. Ne ha facoltà.

GIORGIO MERLO. Signor Presidente, il collega Esposito ha svolto delle considerazioni sulle quali nel Partito Democratico abbiamo discusso a lungo e che ci hanno portato a scrivere questa mozione. Noi siamo dell'opinione che per la linea ferroviaria Torino-Lione - lo diciamo al sottosegretario Giachino, che ringraziamo per l'attenzione che ha sempre avuto su questo tema - è arrivato il momento della chiarezza definitiva e dell'assunzione di responsabilità da parte di tutti. Del resto, chi mi ha preceduto l'ha ampiamente sottolineato, e credo che il collega del PdL che si è augurato una mozione unitaria su questo tema abbia espresso un auspicio importante, se riuscirà a convincere tutto il suo gruppo.
Credo che occorra uscire però dagli equivoci, il discorso riguarda tutti e il ripensamento all'interno del PdL non deve inficiare, come ricordava il collega Esposito poc'anzi, una decisione che i vari governi, nazionale, regionale e provinciale, hanno già assunto nei mesi e negli anni scorsi. Noi, come PD, da tempo abbiamo compiuto una scelta e non basta qualche amministratore locale della val di Susa, simpatizzante anche del nostro partito, a farci cambiare idea: il «sì» alla Torino-Lione è irreversibile, perché significa dire «sì» ad un'infrastruttura che resta decisiva per il futuro del Piemonte, del nord Italia e di tutto il nostro Paese.
Ecco perché questa è una mozione che vuole essere, e deve essere, bipartisan, ossia una mozione attorno alla quale tutti si riconoscono. Abbiamo da sempre apprezzato il lavoro dell'osservatorio guidato dall'architetto Virano perché ha raccolto le indicazioni che noi abbiamo fornito nel passato, cioè la concertazione con gli amministratori locali, il rispetto delle indicazioni e delle istanze che provenivano dalle amministrazioni locali, un «no» chiaro Pag. 46all'uso della forza nella prosecuzione dei lavori, e soprattutto un progetto condiviso attorno alla Torino-Lione.
Ora si è creato, come ricordava prima il collega Esposito, una situazione all'interno del territorio della val di Susa che non ha nulla a che vedere con la volontà di concertare e di coinvolgere le popolazioni locali. Lì abbiamo preso atto, soprattutto dopo l'ultima manifestazione che rispettiamo, ma che comunque non possiamo non commentare, che ha preso piede una posizione ispirata da un'opposizione ideologica, pregiudiziale e politica.
Noi rispettiamo il dissenso, sino a quando non si trasforma in una pregiudiziale. Adesso, però, siamo ad un bivio: o si procede rispettando gli impegni, tutti, oppure si corre il serio rischio di condurre quest'opera strategica in un unico vicolo cieco.
Credo che, sotto questo aspetto, la responsabilità politica maggiore sia riconducibile al Governo. Ecco perché le indicazioni che abbiamo ribadito nella nostra mozione chiamano in causa il Governo e, ovviamente, anche le realtà locali, che comunque si sono già espresse: attorno ad esse, però, occorre dare una risposta chiara e definitiva, anche perché sappiamo - lo abbiamo discusso in Piemonte in un incontro con la Confindustria regionale - quali sono le cifre attorno alle quali si muove quest'opera (è bene ribadirlo ancora una volta) rispetto a quelle presentate dal commissario Virano in occasione della presentazione del progetto preliminare: l'investimento necessario per realizzare l'intera opera infrastrutturale è aumentato e la cifra finale si attesta attorno ai 20 miliardi di euro, dei quali 2,9 miliardi a carico dell'Europa, 8,6 miliardi a carico del Governo italiano e 8,5 miliardi a carico del Governo francese. L'aumento rispetto al progetto precedente è giustificato dal fatto che sul versante italiano, come ricordava il collega Esposito, il tracciato transiterà per il 90 per cento in galleria, sarà più lungo di quattro chilometri e includerà il collegamento con la piattaforma logistica di Orbassano.
In conclusione, su tale aspetto chiedo che vi sia una convergenza forte di tutto il Parlamento e, ovviamente, sono disponibile a discutere con tutti gli altri gruppi che hanno presentato altre mozioni. Credo che gli impegni che abbiamo sottolineato e riassunto nella nostra mozione siano impegni attorno ai quali il Governo non possa dire «no», se è vero, come è vero, che crede in quest'opera: confermare la valenza strategica della realizzazione di quest'opera (soprattutto attraverso l'adozione di tutte le misure e gli atti necessari, anche sulla base del lavoro condotto dall'osservatorio); garantire (signor sottosegretario, questo è l'aspetto più importante) un adeguato piano finanziario con programmazione pluriennale, che copra l'intero ammontare dell'opera; confermare i fondi (che noi abbiamo indicato in circa 200 milioni di euro) previsti nel primo atto aggiuntivo all'intesa generale quadro dell'11 aprile 2009, necessari a realizzare gli interventi prioritari della prima fase; accelerare la firma di un nuovo accordo fra Italia e Francia e, soprattutto, garantire un primo stanziamento per la realizzazione delle opere previste dal piano strategico approvato dalla provincia di Torino e dalla regione Piemonte.
Si tratta di impegni già discussi in regione Piemonte, nella provincia di Torino, con tutte le realtà locali, sui quali il sottosegretario Giachino si è espresso più volte e attorno ai quali, a nostro parere, è possibile trovare una forte e convinta convergenza politica, in quest'Aula, con tutti coloro che hanno presentato una mozione sulla realizzazione della Torino-Lione (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

Pag. 47

BARTOLOMEO GIACHINO, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Signor Presidente, onorevoli deputati, come uomo dei trasporti e della logistica, sono onorato di rappresentare in questa discussione in un'Aula parlamentare il Governo. L'augurio è che tutto il Parlamento converga sul ruolo strategico delle infrastrutture e dei trasporti a favore dello sviluppo del Paese.
La Torino-Lione è una delle opere strategiche più importanti nel piano delle reti TEN, che collegheranno tra di loro tutti i Paesi d'Europa e l'Europa ai Paesi dell'altra sponda del Mediterraneo, secondo il disegno strategico proposto dal Ministro Matteoli alla Russia, alla Turchia e all'intero mondo.
Le prime deliberazioni dell'Europa, secondo il progetto Delors, risalgono al 1995. L'ultima, innovata proprio dall'Italia con il progetto presentato dal Presidente Berlusconi nel semestre di Presidenza italiana 2003, è stata approvata nel 2004.
Il piano delle reti TEN, che sarà realizzato prevalentemente su ferro, è ritenuto a livello europeo l'azione più importante per la diminuzione delle emissioni di CO2 entro il 2020, secondo gli obiettivi decisi al vertice di Kyoto.
L'Italia è in ritardo anche a causa della forte opposizione alla realizzazione delle infrastrutture di trasporto, effettuata in modo inspiegabile e contraddittorio, da parte degli ambientalisti e da parte di una forte minoranza delle popolazioni locali, fortemente strumentalizzate da alcune componenti politiche della sinistra radicale.
Non è la prima volta che il nostro Paese è attraversato da tale impostazione. Nel 1975, l'approvazione dell'emendamento dell'onorevole Libertini portò a bloccare la costruzione delle autostrade per venticinque anni. Così l'Italia - che dalla costruzione dell'autostrada aveva avuto nei primi 30 anni del dopoguerra una forte spinta per la sua crescita - iniziò a crescere di meno. Successivamente, quando venne presa la scellerata decisione relativa al referendum sull'energia nucleare, ebbe un altro duro colpo.
Se a queste due scelte errate si aggiungono gli errori commessi nella politica di privatizzazione degli anni Novanta, l'inefficienza della giustizia civile e l'alto costo della nostra burocrazia, si può ben comprendere perché, negli ultimi quindici anni, siamo il Paese che è cresciuto meno in Europa.
Dopo le forti proteste che bloccarono nel 2005 la prima ipotesi progettuale, nel 2006 venne istituito l'Osservatorio presieduto dall'architetto Virano, che iniziò ad operare il 12 dicembre 2006 per rispondere dapprima ai quesiti sulla capacità della linea storica sulla domanda di traffico sull'intero arco alpino, poi alle problematiche del nodo di Torino e, infine, in merito alle alternative di tracciato in val di Susa, che trovano una formalizzazione nell'accordo di Pra Catinat, validato dal tavolo istituzionale di palazzo Chigi del 29 luglio 2008.
Da quel momento, l'Osservatorio è incaricato della governance del progetto complessivo della parte comune di competenza di LTF e della parte nazionale di competenza di RFI, garantendo l'unitarietà di ispirazione di indirizzi. A tal fine, l'Osservatorio ha elaborato sette specifiche tecniche per la territorializzazione del progetto, che - approvate alla presenza del Ministro Matteoli a Torino il 4 febbraio 2009 - sono entrate a far parte dei documenti di gara con cui LTF ha selezionato i suoi progettisti e RFI ha incaricato Italfer.
È così iniziato un lavoro importante di confronto con l'equipe progettuale e con molte amministrazioni locali, direttamente, attraverso i loro tecnici, per configurare una soluzione che tenesse conto, fin dall'impostazione iniziale, dei requisiti del territorio.
Si è così arrivati ad un progetto preliminare che prevede un tunnel di base di 57 chilometri, di cui 45 in Francia e 12 - solo 12 - in Italia. Si tratta di un tunnel che sbuca nella piana di Susa, utilizzando l'area già compromessa dell'autoporto, riqualificata per ubicare i fondamentali servizi di controllo, manutenzione e sicurezza. Pag. 48
Questa soluzione prevede anche la stazione internazionale turistica di Susa, che pone le valli olimpiche direttamente sulla rete TEN-T europea, generando un'eccezionale opportunità nel quadro del marketing territoriale e della competizione tra macroaree di rango internazionale in campo turistico.
La preesistenza in valle di un rilevante carico infrastrutturale (la ferrovia, l'autostrada, due strade statali, elettrodotti) oltre ovviamente al fiume - il Paese è grato alla val di Susa per essersi assunta l'onere di dare al Paese i collegamenti internazionali con la Francia - ha suggerito il ricorso ad un tracciato prevalentemente (per l'88 per cento) in galleria.
L'altro elemento qualificante è il collegamento diretto della piattaforma logistica di Orbassano con un modello passante che ne esalta le potenzialità funzionali. Poi la linea - sempre in galleria profonda - si connette a Settimo torinese, con la direttrice alta velocità-alta capacità Torino-Milano.
Questa impostazione consentirà, ad opera ultimata, di instradare tutto il trasporto merci in galleria liberando la linea storica di superficie dal traffico pesante, consentendone una riqualificazione come metropolitana di valle a servizio dei residenti e del turismo.
Il lavoro dell'Osservatorio ha avvicinato molte amministrazioni locali alla scelta strategica nazionale ed europea della Torino-Lione, mentre un'altra parte - tra cui l'attuale vertice della nuova comunità montana - resta arroccata su aprioristiche posizioni pregiudiziali.
Nonostante le persistenti difficoltà ancora presenti, il progetto preliminare è stato ultimato nel rispetto del calendario europeo e si sono regolarmente aperte le procedure di VIA della conferenza di servizi.
Anche per la galleria geognostica della Maddalena, a Chiomonte, l'iter che deve consentire la cantierizzazione all'inizio del 2011 è a buon punto e rispetta anch'esso il calendario europeo. Su quest'opera si concentreranno gli sforzi dei movimenti antagonisti, ma ormai è evidente che la stragrande maggioranza delle forze politiche presenti in Parlamento - e questo dibattito lo conferma - è favorevole all'opera, senza tentennamenti.
Da ultimo va ricordato che proprio nei giorni scorsi, in seno all'osservatorio, è maturato un ulteriore importante accordo con LTF e RFI sui cantieri e sulla movimentazione dei materiali di scavo, con la decisione di utilizzare presso ché esclusivamente la ferrovia e per l'ultimo miglio i nastri trasportatori chiusi. Si è data, in tal modo, una fondamentale risposta positiva ad alcune delle maggiori preoccupazioni dei sindaci che collaborano alla ricerca delle migliori soluzioni possibili.
La pesantissima crisi economica cui il nostro Paese, come dicono gli organismi internazionali, ha risposto bene, ha cambiato l'assetto geoeconomico del mondo, e rende ancora più determinanti economicamente i flussi delle merci in arrivo dalla nuova fabbrica del mondo, l'est asiatico. Oggi, il 70 per cento di quei flussi, a causa degli insufficienti collegamenti e dei ritardi nel dragaggio dei nostri porti, arriva nei porti dei Paesi del nord Europa che hanno fatto per tempo le scelte infrastrutturali e logistiche strategiche.
Negli ultimi anni, anche per questo motivo, la nostra economia è cresciuta meno. Imperativo del Paese e obiettivo di questo Governo è uscire dalla crisi, avendo operato scelte che ci consentiranno di crescere di più di quanto siamo cresciuti negli ultimi quindici anni. Raddoppiare il flusso delle merci in arrivo ai nostri porti e raddoppiare il nostro ruolo logistico in Europa è un obiettivo alla nostra portata, un obiettivo che ci consentirà di crescere da 7 a 10 miliardi di euro in più l'anno, con la creazione di oltre centomila nuovi posti di lavoro. È questo un obiettivo cui si vuole giungere con l'allegato infrastrutture, recentemente presentato, e con l'elaborazione del nuovo piano nazionale della logistica.
Per raggiungere questi obiettivi, è necessario recuperare il tempo perduto e portare avanti la realizzazione dei corridoi europei secondo il progetto presentato dal Presidente Berlusconi nel 2003, progetto Pag. 49che valorizza maggiormente il nostro Paese nella futura economia europea e del Mediterraneo.
L'incrocio a Novara tra Corridoio 5 e la Genova-Rotterdam, e a Verona tra Corridoio 5 e Corridoio Berlino-Palermo, darà luogo alla nascita della più grande area di logistica del sud Europa, con la creazione di almeno centomila nuovi posti di lavoro.
Per raggiungere questi obiettivi è strategico realizzare la TAV Torino-Lione. Il Governo sta lavorando nelle sedi internazionali - è in corso l'incontro fra il Ministro Matteoli e il Ministro francese, a Parigi, per ottenere le migliori condizioni per il nostro Paese.
La lezione di Camillo Benso conte di Cavour è oggi ancora più importante, poiché la delocalizzazione manifatturiera e la ristrutturazione di settori importanti come il tessile e il metalmeccanico fanno sì che il loro apporto alla nostra economia sia inferiore rispetto al passato. Il solo Piemonte, che nel 1980 valeva il 10 per cento della nostra economia nazionale, oggi vale l'8 per cento.
Le ipotesi alternative alla Torino-Lione taglierebbero fuori dallo sviluppo il Piemonte, regione culla della industrializzazione e terra di centri di ricerca di livello mondiale, e indebolirebbero, impoverendolo, il ruolo del Corridoio 5. Un forte dissenso sulle ipotesi alternative alla Torino-Lione è stato espresso sia dalla Francia che dall'Ungheria e dalla Slovenia, e la più danneggiata dall'ipotesi alternativa alla Torino-Lione sarebbe proprio la val di Susa.
Abbiamo bisogno di nuovi motori che spingano la nostra economia al livello medio europeo, questi nuovi motori di sviluppo possono essere l'energia, le infrastrutture di trasporto, la logistica e il turismo. Dobbiamo lavorare a questi obiettivi con forza e determinazione. Ce lo chiedono i giovani in cerca di lavoro ed i tanti ai margini del processo produttivo.
La TAV è un'opera strategica nell'interesse generale del Paese. La politica migliore è quella che sa compiere le scelte importanti assumendosene la responsabilità di fronte al Paese. Il Governo questa scelta la vuol fare per dare al Paese e al mio Piemonte un futuro importante e ricco di opportunità. Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti.

PRESIDENTE. Il Governo si riserva di esprimere il parere sulle mozioni in altra seduta.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Capitanio Santolini ed altri n. 1-00394, Zampa ed altri n. 1-00361, Di Giuseppe ed altri n. 1-00367, Mussolini ed altri n. 1-00371 e Mosella ed altri n. 1-00453 concernenti iniziative a tutela dei minori stranieri non accompagnati (ore 19,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Capitanio Santolini ed altri n. 1-00394, Zampa ed altri n. 1-00361, Di Giuseppe ed altri n. 1-00367, Mussolini ed altri n. 1-00371 e Mosella ed altri n. 1-00453 concernenti iniziative a tutela dei minori stranieri non accompagnati (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Misiti ed altri n. 1-00455 e Iannaccone ed altri n. 1-00456 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
Avverto altresì che le mozioni Zampa ed altri n. 1-00361 e Di Giuseppe ed altri n. 1-00367 sono state riformulate dai presentatori. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni. Pag. 50
È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00394. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, il 30 aprile 2010 l'ANCI ha presentato a Bologna un rapporto sui minori stranieri non accompagnati: il rapporto, molto articolato, è all'origine, tra gli altri, delle nostre iniziative e mozioni sul medesimo tema. Si è confermata, in quella occasione, una grave situazione per quanto riguarda i minori. Cercherò di illustrare le ragioni, le cifre e le proposte che noi abbiamo messo in evidenza con la mozione in esame.
Si dice, innanzitutto, che sono aumentati i comuni italiani che hanno preso in carico i ragazzi minori non accompagnati, offrendo servizi sia di prima che di seconda accoglienza. Novantatré comuni hanno assorbito l'85 per cento delle presenze e ciò la dice lunga sul fatto che alcuni comuni sostengono un carico funzionale molto alto rispetto a migliaia di altri comuni, che sono certo lontani dai luoghi dove arrivano i minori e quindi non ne sono immediatamente coinvolti, ma rimane il fatto che un esiguo numero di comuni deve affrontare un fenomeno molto importante e complesso.
Il rapporto afferma tra l'altro che si è registrato un aumento dei minori in arrivo. Tale indagine è stata rivolta ovviamente a tutti i comuni italiani che - lo ripeto - offrono sia la prima che la seconda accoglienza. È vero che tali comuni sono aumentati, ma essi, tra la prima fase immediata di arrivo di questi minori e la sistemazione poi nelle comunità, nelle case famiglia, nelle strutture più definitive devono gestire un'accoglienza, (almeno dai dati che sono stati rilevati) di 3.841 minori.
Il 56 per cento dei minori accolti in strutture di seconda accoglienza, e quindi nella fase successiva, si trova in Friuli-Venezia Giulia (e ciò si comprende, perché è terra di confine), in Sicilia (anch'essa terra di confine) e nel Lazio. La Sicilia accoglie quasi il 30 per cento dei minori sul totale nazionale.
L'aumento più significativo, ovviamente, è al sud, con un incremento del 134 per cento, seguito dal centro, con la Sicilia che registra una crescita estremamente significativa.
Seguono Toscana, Calabria, Sardegna, Basilicata, Puglia e Liguria, mentre, al contrario, le regioni Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna censiscono una sostanziale riduzione del numero di minori inseriti in seconda accoglienza. Questi sono i dati che ci vengono dal rapporto dell'ANCI.
Se andiamo a vedere però quello che dice l'European migration network sui minori non accompagnati, rimpatriati, assistiti o richiedenti asilo, emerge che in Italia i minori stranieri non accompagnati che provengono da 78 nazioni diverse (78: è una cifra a mio avviso molto alta) sono 7.797, di cui 4.828 segnalati nel corso del 2009. Sempre secondo questo rapporto, la maggioranza dei minori proviene dal Marocco; seguono l'Egitto, l'Albania, la Palestina, l'Afghanistan ed altri. Nella maggioranza dei casi (il 75 per cento dei casi) l'età è compresa tra i 16 e i 17 anni e vi è una presenza in Italia di 7.797 minori. Se andiamo a vedere i dati del Comitato per i minori (che è istituito presso il Ministero del lavoro e del welfare) si registrano 6.587 ragazzi giunti da soli in Italia, di cui il 77 per cento non identificato.
Questi dati non si possono considerare definitivi, perché sono esclusi i minori richiedenti asilo e le vittime della tratta, per non considerare poi quelli che sono entrati dalla Romania, che, essendo Paese comunitario, esce da queste statistiche.
Questo discorso secondo me è importante, perché indica che le cifre sono estremamente allarmanti e che i dati non sono coincidenti; quindi significa che anche la rilevazione è molto complessa e segue evidentemente criteri diversi, per cui abbiamo dei dati che non coincidono. Evidentemente è chiaro che sono tutte strutture che danno le massime garanzie, ma vi è una confusione nel rilevamento, nel trasmettere questi dati, nel raccoglierli e nel renderli pubblici. Pag. 51
In terzo luogo, i dati sono incompleti, perché - lo ripeto - non riguardano i minori che hanno chiesto asilo o sono vittime della tratta.
In questa complicata vicenda riteniamo che bisogna in qualche modo intervenire e non possiamo non agganciarci a quanto la Commissione bicamerale per l'infanzia ha fatto l'anno scorso, svolgendo un'indagine conoscitiva proprio su questo problema e votando all'unanimità una risoluzione, che è stata poi regolarmente presentata e votata. La Commissione il 21 aprile 2009 ha presentato - lo ripeto - questa risoluzione chiedendo che vi fosse una rispondenza della normativa italiana alla normativa dell'Unione europea, in particolare con riferimento ai diritti previsti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York nel 1989.
Quali sono i problemi che ci hanno portato a presentare questa mozione? Il problema è, per esempio, quello dei minori che si trovano in strutture di seconda accoglienza secondo la legge (perché questo è previsto ed effettivamente sono in quelle sedi), ma, avendo compiuto 18 anni, improvvisamente rischiano di diventare clandestini. Questo è un problema che non possiamo non porci, perché ci sono moltissime realtà che sono state fatte presenti a noi parlamentari, sottolineando questa difficoltà.
Per il rilascio del permesso di soggiorno a questi minori che nel frattempo compiono 18 anni sono richieste delle condizioni che difficilmente si possono soddisfare.
In particolare, il minore non accompagnato deve essere sottoposto a tutela o affidamento, deve essere inserito da almeno due anni in un progetto di integrazione, deve avere la disponibilità di un alloggio ed essere iscritto ad un regolare corso di studio o svolgere un'attività lavorativa. Soddisfare contemporaneamente tutte queste condizioni è praticamente impossibile, il che significa che questi ragazzi saranno abbandonati a se stessi oppure andranno in clandestinità, oppure che le strutture che li ospitano in qualche modo li proteggeranno e faranno sì che questi ragazzi non vengano rimandati nei Paesi di origine. Questo è un problema grande che, secondo noi, deve essere assolutamente affrontato.
Non parliamo poi di un altro problema, ossia che questi ragazzi vorrebbero tornare in patria, ma lo possono fare soltanto se hanno un regolare permesso di soggiorno che, ovviamente, è difficile avere e, per tornare in patria, non possono usufruire del Fondo europeo per il rimpatrio. Ciò, invece, non avviene negli altri Stati dell'Unione europea perché il Fondo è a beneficio anche di chi è sprovvisto del permesso di soggiorno e, quindi, permette a chi lo desidera di ritornare nei Paesi di origine.
Allora, il problema è - lo ripeto e insisto - molto serio. Anche i dati dell'Agenzia europea per i diritti fondamentali e dell'Alto commissariato per i rifugiati denunciano che in tutta Europa c'è questa situazione drammatica e, a maggior ragione, credo che l'Italia debba essere una Nazione, un Paese, che, da questo punto di vista, dà sicuramente il buon esempio.
In particolare, la Commissione europea, il 6 maggio 2010 - è un dato, quindi, recentissimo - ha presentato un piano di azione organico per affrontare questo problema, una sorta di piano di emergenza, che racchiude delle norme comuni sulla tutela e la rappresentanza legale. Lo scopo del piano di emergenza è quello di garantire che le autorità competenti (e, quindi, anche quelle italiane) a decidere del futuro di questi ragazzi si pronuncino quanto prima, preferibilmente entro sei mesi, in merito alle soluzioni adottate.
Siccome il suddetto piano è stato adottato nel maggio 2010, sarebbe il caso che il Governo provvedesse a rispondere positivamente a questo documento che ci viene da Bruxelles. Gli Stati membri - si dice in questo piano d'azione presentato a Bruxelles - dovranno innanzitutto rintracciare le famiglie e seguire il reinserimento del minore nella società di origine. Se ciò non è possibile, dovranno trovare soluzioni alternative e, cioè, nell'interesse superiore del minore, riconoscere lo status di Pag. 52protezione internazionale o provvedere al reinserimento nell'Unione europea. Per il superiore interesse del minore, quindi, o questi giovani tornano nei loro Paesi e sono accompagnati, seguiti, tutelati e ricongiunti con le loro famiglie, altrimenti l'Unione europea provvede e, in qualche modo, li protegge.
Siccome questo fenomeno è in aumento, l'Unione europea, sempre in questo piano d'azione, propone tre linee guida che vorremmo tanto che questo Governo le assumesse come proprie. Le tre linee guida sono: prevenzione della tratta e della migrazione a rischio (prevenire significa andare nei Paesi di origine e cercare di prendere delle iniziative congrue ed efficaci); accoglienza e garanzie procedurali (e abbiamo visto che spesso non ci sono); infine, ricerca di soluzioni durature.
Questa che chiediamo nella mozione fa parte delle iniziative durature. Tra l'altro, anche il Comitato per i minori istituito presso il Ministero si è pronunciato in questa direzione, perché ha raccomandato, tra gli altri impegni, di incrementare gli sforzi per creare sufficienti centri specializzati per accogliere i minori non accompagnati - è, quindi, una sorta di tutela del minore -, di assicurare che la permanenza in questi centri sia il più breve possibile, di garantire l'accesso all'istruzione e alla sanità dopo la permanenza in questi centri - cosa che non sempre succede - e di assicurare che sia previsto il rimpatrio assistito nel superiore interesse del minore.
Direi, quindi, che il Comitato va in questa direzione e lancia un appello al Governo e la nostra mozione va nella stessa direzione.
Concludo chiedendo al Governo di adeguare la propria azione ai principi internazionali e a tutti i documenti che ho brevemente elencato. Chiediamo, inoltre, di rafforzare la protezione dei minori in base a tutti i documenti dichiarati e di farlo veramente in maniera seria.
Apro una parentesi: quei pochi comuni che se ne occupano, che, come abbiamo visto, sono costituiti da un numero relativamente basso, hanno grossi problemi di bilancio, perché, come è noto, in seconda accoglienza i comuni diventano i tutori di questi minori e ne sono responsabili; devono collocarli presso le case-famiglia e devono provvedere ai relativi costi di gestione. Questi comuni hanno grossissime difficoltà: sono stata in contatto anche con il comune di Agrigento, quando c'era il problema di Lampedusa, che adesso, grazie a Dio, è diminuito, anche se permane. Questi comuni hanno notevoli problemi di bilancio e devono sborsare cifre che non si possono permettere, essendo spesso dei piccoli comuni.
Chiediamo quindi che vi sia una più ampia collaborazione tra amministrazione centrale ed enti locali e di affrontare, se possibile, il problema economico - sappiamo i problemi di bilancio che ci sono e i soldi che non ci sono mai -, ma chiediamo anche di lavorare perché ci sia un accertamento serio dell'età di questi minori - cosa che non sempre succede -, della nazionalità, di un'identificazione rigorosa, con indagini familiari e, possibilmente, il rafforzamento delle capacità operative nelle aree di ingresso. Non ci sembra di chiedere cose irrealizzabili o impossibili.
Ci auguriamo con tutto il cuore che il Governo si mostri sensibile a questa mozione e si impegni nella direzione che abbiamo indicato (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zampa, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00361 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

SANDRA ZAMPA. Signor Presidente, mi rivolgo al sottosegretario: non me ne voglia. Naturalmente lei è qui per conto del Governo, ma ammetterà la nostra delusione nei confronti di un'evidente insensibilità a questo tema. I bambini viaggiano, ma con i trasporti hanno, forse, soltanto questo a che fare. In questo caso, una maggiore attenzione del Governo al problema dei minori avrebbe dovuto dar luogo ad una decisione diversa su chi doveva sedere qui ad ascoltarci questa sera. Pag. 53
Il problema che affrontiamo con le mozioni in esame, infatti - lo dico con grande rispetto nei suoi confronti, signor sottosegretario -, è un tema di cui il Governo farebbe molto bene ad occuparsi con più rigore e più serietà. I documenti che verranno discussi questa sera, le nostre mozioni, quella che illustro oggi a nome del gruppo del Partito Democratico - che tra l'altro ringrazio perché è più presente degli altri in quest'Aula - sono l'esito di un lavoro impegnativo e lungo di un'indagine che è stata condotta dalla Commissione parlamentare per l'infanzia.
Un lavoro che è stato finalizzato a conoscere davvero la situazione dei minori stranieri non accompagnati in Italia, che una sigla definisce semplicemente MSNA. Dietro questa sigla si nasconde in realtà un dramma grandissimo che i minori sono costretti a vivere. Infatti, al termine dei suoi lavori, che hanno dato la possibilità ai componenti di quella Commissione di audire rappresentanti delle istituzioni (tra gli altri, il Ministro dell'interno, il Ministro degli affari esteri, il prefetto di Agrigento, il presidente del comitato per i minori stranieri non accompagnati, il delegato dell'ANCI alle politiche migratorie, l'assessore della regione Sicilia con delega alla famiglia e esponenti di autorevoli associazioni per l'infanzia come Save the Children, Terre des Hommes, UNICEF), la Commissione stessa ha approvato una risoluzione che muove da una grande, grande preoccupazione.
Nell'ambito della stessa indagine conoscitiva la Commissione si è anche recata in missione, voglio ricordarlo, al centro di identificazione ed espulsione degli immigrati che ha sede a Lampedusa, per verificare le condizioni di prima accoglienza dei minori che vengono là accolti e ospitati.
Il quadro che abbiamo tratto al termine di questa indagine è disperato e allarmante. Ciò non solo perché una larga parte di coloro che vengono rilasciati dai centri di prima accoglienza affrontano un destino tanto incerto da avere fatto perdere le proprie tracce una volta abbandonate le comunità alloggio, nelle quali, come è previsto dalle normative, vengono collocati; ma anche perché questi minori sono esposti al rischio di sfruttamento da parte della criminalità organizzata.
Più volte i media italiani si sono occupati di questo tema e hanno documentato, avendone seguito i percorsi, che le cose stanno esattamente così.
Restano indimenticabili, per chi le ha sentite, le parole di allarme che sono state pronunciate dal prefetto di Agrigento in occasione dell'audizione che lo ha interessato. In quell'occasione non solo abbiamo dovuto avere e trarre la certezza che alcune delle comunità alloggio, non più sostenute dalle risorse necessarie a coprire le spese di mantenimento e di integrazione sociale, lasciano volentieri andare gli adolescenti al proprio destino, ma abbiamo anche dovuto prendere atto che per quelli che permangono ancora, nonostante il venir meno delle risorse destinate a loro, le cose possono essere ancora peggiori. Ci hanno parlato, infatti, di sfruttamento dal lavoro fino alla prostituzione. Se nell'allontanamento volontario possono essere rintracciati elementi che ci fanno immaginare ricongiungimenti con familiari - per esempio, ragazzi che hanno un numero di telefono di uno zio o di qualche parente che li ha preceduti in Italia - o comunque con connazionali (per esempio, giovani che raggiungono quella che è in generale la più importante comunità dei loro connazionali e quindi si recano a Milano piuttosto che a Modena perché appartengono o provengono da questo o quel Paese), per coloro che appunto restano nelle comunità, una volta che per loro nessuno paga più la retta, il vitto e l'alloggio, si aprono scenari di sfruttamento. È l'oscurità che scende sulle loro vite. Ed è l'oscurità che copre i loro destini.
Ma noi sappiamo che cosa c'è in quell'oscurità e quali sono i drammi che li coinvolgono e che li interessano. Noi abbiamo il dovere, la politica ha il dovere di fare qualcosa. I comuni, spesso piccoli - lo ha ricordato la mia collega Luisa Capitanio Santolini - non possano essere lasciati da soli a fronteggiare il problema della Pag. 54mancanza di risorse, che tra l'altro si è fatta ancora più grave in quest'ultimo anno. Voglio ricordare che noi ci riferiamo a una indagine che ha avuto luogo nei primi mesi del 2009 e che anche i dati, ahimè, vengono di giorno in giorno superati da altri ancora più preoccupanti. Vale anche, appunto, per le risorse destinate ai comuni.
A peggiorare la situazione già drammatica nel frattempo è anche sopravvenuta la legge n. 94 del 2009 sulla sicurezza pubblica che ha un forte impatto sui minori stranieri. Noi ad un certo punto abbiamo anche tentato di discutere direttamente con il Governo ad un tavolo informale ma purtroppo questo lavoro si è interrotto e non ha portato ad alcun risultato. Le norme della legge sulla sicurezza pubblica infatti, non solo, sono in contrasto con le indicazioni previste dalle convenzioni internazionali in materia di infanzia e di minore età - dalla Convenzione di New York che noi abbiamo sottoscritto, alla Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei minori di Strasburgo del 1996 da noi ratificata nel 2003 - laddove, impedendo la conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età, determinano, per oltre tremila dei 7.988 minori stranieri presenti in Italia e censiti nel 2009, un blocco del percorso di integrazione già avviato ma inoltre, tali norme, prevedono per questi minori la condizione di clandestinità e questo in base al dettato normativo previsto dalla legge che applica i criteri più seri per la conversione dei permessi di soggiorno. Come poco fa ha cercato di spiegare la collega Capitanio Santolini, il tema è il seguente: non si può chiedere che un minore straniero sia in Italia da almeno tre anni e che da almeno due anni sia inserito in un percorso di integrazione perché alcuni di loro sono arrivati qui a sedici anni e il giorno del loro diciottesimo anno di età è un giorno di disperazione perché da quel momento in poi, anche se stanno dentro una comunità alloggio, diventano clandestini. Far diventare dei giovani dei clandestini significa tra l'altro, non solo violare le regole umanitarie, ma significa una cosa ancora più grave e che è irrazionale: se la norma sulla sicurezza ha una vocazione sicuritaria ed è promossa a fini sicuritari è evidente a tutti che se si consegna alla clandestinità un giovane si fa di lui un individuo che finisce per operare come minimo nell'ambito del lavoro irregolare e probabilmente deve anche cercare soluzioni di vita che possiamo facilmente immaginare. Ho avuto modo di incontrare e di visitare a Bologna una comunità gestita dai Padri Dehoniani: mi riferisco tra l'altro a vicende che sono state anche riportate dai telegiornali nazionali della RAI. Questa visita mi ha fatto scoprire che cosa ne è di loro: uno di questi Padri Dehoniani mi ha guardato sbalordito perché sono loro i primi ad essere stupiti di come si possa decidere che questi giovani che loro hanno educato, a cui hanno trovato un lavoro, che vivono con loro da un anno e mezzo, improvvisamente diventerebbero da cacciare. Il padre mi ha guardato e mi ha chiesto se secondo me fosse possibile mandarli via da lì dopo che erano stati con loro un anno e mezzo o due, dopo avergli insegnato l'italiano, avergli trovato un lavoro, eppure, signor sottosegretario, ho avuto modo di vedere i documenti della questura con i quali si rifiuta loro il rinnovo del permesso di soggiorno. Insisto su questo punto perché è davvero molto delicato, non credo che la settima potenza del mondo non possa permettersi di affrontare in un altro modo il problema di tremila o tremilacinquecento giovani che compiono diciotto anni e sono stranieri. Se a questo si somma il mutare della condizione dei più fragili tra i poveri del mondo, perché credo che i minori vadano così definiti, si comprende perché la nostra mozione chiede che venga sanata la questione dell'impatto della legge sulla sicurezza.
Ho fatto anche cenno al repentino mutare della condizione dei minori del mondo: questo per dirvi e per ricordare a tutti noi che la crisi economica, le guerre e i conflitti che esplodono e che non si Pag. 55placano nei Paesi più tormentati del mondo, portano questi ragazzini sotto casa nostra.
I dati dell'indagine svolta dalla Commissione per l'infanzia andrebbero già aggiornati ora: ad esempio, arrivano sempre più numerosi dall'Afghanistan. Non è difficile immaginare perché arrivino da quel Paese. Occorre, dunque, una grande attenzione nel valutare la loro età, nell'informarli dei loro diritti e nell'assisterli, affinché possano esercitare davvero il proprio diritto ad ottenere lo status che loro compete: quello di rifugiati.
Anche in questo caso sono, ahimè, numerosi i casi di respingimento di minori rispetto ai quali non è stato fatto alcun accertamento ed è stato deciso, ad esempio, che la destinazione doveva essere la Grecia, perché era il punto dal quale loro erano partiti.
Sono state presentate anche interrogazioni, alle quali il Governo non ha ancora fornito alcuna risposta, ma questi casi sono documentati e sono stati sulle prime pagine dei giornali. Ho seguito personalmente il caso di un giovane afgano che si chiama Alidad, il quale è stato rinviato in Grecia. Vorrei ricordare al Governo che la Grecia è uno dei luoghi che l'Alto commissariato per i rifugiati suggerisce, anzi raccomanda vivamente di non scegliere come destinazione. Ciò a causa del fatto che, innanzitutto, non è prevista per i minori un'accoglienza loro mirata e poi perché il Paese non ha strutture di accoglienza sufficientemente rassicuranti per respingere un rifugiato politico.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

SANDRA ZAMPA. Ho concluso, signor Presidente. La mozione, quindi, prevede non solo garanzie procedurali e soluzioni durature, quali appunto quelle che riguardano i diciottenni, ma prevede di adeguare l'azione del Governo ai trattati internazionali che questo Paese ha sottoscritto, di rafforzare le iniziative, di sanare situazioni drammatiche e di tutelare davvero l'infanzia di qualunque razza e da qualunque Paese essa abbia preso origine (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Giuseppe, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00367 (Ulteriore nuova formulazione). Ne ha facoltà.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, signor sottosegretario, lei poco fa si è definito uomo dei trasporti e della logistica. Questa sera sarà anche l'uomo che tutela l'infanzia. Certo, meglio un sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti che niente ...

BARTOLOMEO GIACHINO, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. A questo può credere perché ho tre figli.

ANITA DI GIUSEPPE. La ringrazio, ma rimane comunque l'indifferenza del Governo verso una problematica tanto importante, che giustifica queste mozioni.
I problemi dell'immigrazione sono noti a tutti, soprattutto quelli che riguardano l'immigrazione irregolare clandestina, tuttavia è poco conosciuto il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati. Secondo la risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del 26 giugno 1997, per minore straniero non accompagnato si intende un minore di diciotto anni di età, che si trova fuori dal proprio Paese di origine, il quale entra oppure soggiorna irregolarmente nel territorio di un Paese terzo, soprattutto da solo, dunque separato da entrambi i genitori che, per legge, comunque, ne hanno la tutela.
Il fenomeno dei minori non accompagnati è di larghe dimensioni e per molti aspetti - occorre anche dirlo - costituisce una forma equivalente all'immigrazione clandestina: ecco il motivo della mozione che il gruppo dell'Italia dei Valori ha presentato.
Dunque, è giusto chiedersi chi sono questi minori, chi e che cosa spinge migliaia di minorenni ad emigrare. Sicuramente dietro questo fenomeno c'è tanta Pag. 56povertà, tanta miseria, il voler fuggire dalla violenza. Si tratta di minorenni che si trovano nella condizione di migranti per varie contingenze di ordine sociale, economico, ma anche culturale.
È un fenomeno iniziato negli anni Novanta, che è andato via via crescendo; il fenomeno dei minori non accompagnati è in enorme crescita. Le Nazioni Unite hanno stimato che, per l'anno 2006, nel mondo vi sono circa 18 milioni di minori migranti, di cui quasi 6 milioni come rifugiati.
Tuttavia, c'è da dire che la stima della presenza di minori stranieri non accompagnati, i dati sui residenti e sui soggiornanti presentano dei limiti, e il dato ufficiale - come viene anche sottolineato dall'associazione Save the children - è impreciso, perché la situazione di questi minori non accompagnati si caratterizza soprattutto per la invisibilità.
In Italia, le regioni che oggi hanno alta presenza di minori stranieri sono rappresentate, non soltanto dalla Sicilia, ma anche dall'Emilia Romagna, dal Veneto, dal Lazio e dal Friuli Venezia Giulia. Dall'analisi dei dati che oggi sono disponibili, i bambini e gli adolescenti stranieri provengono da 77 Paesi diversi, in prevalenza africani: Marocco, Egitto, Albania, Afghanistan e Palestina; circa 5 mila sono privi di documenti di riconoscimento, e quindi non identificabili.
Questi ragazzi arrivano in Italia con la speranza di migliorare quella che è la loro condizione, soprattutto economica, e di aiutare le famiglie di origine, oppure fuggono dalle guerre e dalle violenze; sono in gran parte minorenni, di un'età compresa fra i 16 e i 17 anni; lasciano il Paese di origine con l'obiettivo di aiutare economicamente le proprie famiglie, e lasciano i centri e le comunità di prima accoglienza: ciò li rende vulnerabili ed esposti al pericolo di entrare in circuiti di tratta e di sfruttamento.
Bisogna dire che, il più delle volte, sono le famiglie ad incentivare l'emigrazione dei ragazzi, e le stesse famiglie pagano, solo per il viaggio, somme elevate, e il mancato pagamento di tali somme può portare anche all'arresto dei genitori. Questo è il grave problema: sono le famiglie stesse, in condizioni economiche talmente gravi, che spingono i ragazzi a migrare. I bambini sono bambini e tali dovrebbero rimanere.
Eppure dietro questi minori non accompagnati vi è, di solito, una storia di degrado, ma anche di tanto coraggio, in un momento in cui dovrebbero vivere delle esperienze sicuramente diverse da quella che sono costretti a vivere. Il fenomeno risulta in continuo aumento: nel 2007 sono infatti arrivati in Italia 1.700 minori, al 30 settembre 2009 ne sono stati contati 6.587, e solo la metà con permesso di soggiorno; solo l'8 per cento è in stato di affidamento, e solo il 36 per cento è inserito nelle strutture di prima accoglienza. Rispetto al 2006, inoltre, sono aumentati anche i ragazzi irreperibili.
Gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di New York si sono impegnati a prestare aiuto ai minori fornendo accoglienza e, poi, un rimpatrio assistito, anche se il problema del rimpatrio è molto delicato, perché qualsiasi previsione di rientro del minore straniero nel Paese di origine dovrebbe essere valutata sulla base di un'analisi molto attenta, che presenta, sicuramente, dei fattori di rischio, un po' per l'identità del minore e anche per il contesto familiare nel quale il ragazzo dovrebbe poi essere reinserito.
La Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha avviato, nell'ottobre 2008, un'indagine sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati. Ci sono state molte audizioni e, dunque, voglio anche ringraziare le onorevoli che hanno presentato una mozione proprio su questo argomento perché nella Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza il tema è stato largamente trattato eppure ne vorremmo sapere di più. Che fine fanno questi minori non accompagnati nell'attimo in cui si allontanano dalle comunità alloggio? Siamo giunti alla consapevolezza che la situazione diventa critica nell'attimo in cui deve avvenire il primo inserimento nella società civile. Pertanto, il fenomeno con il quale molti minori si allontanano senza lasciare traccia Pag. 57da queste strutture impone anche l'individuazione di strumenti di contrasto alla loro scomparsa e, soprattutto, alla tutela di quelli che sono i loro diritti fondamentali.
Va anche detto che, comunque, l'allontanamento da questi centri e da queste comunità di accoglienza va attribuito anche alle ridotte risorse finanziarie, perché le autorità che si occupano dell'accoglienza di questi minori sono proprio i comuni, che si giovano anche della collaborazione delle associazioni e delle organizzazioni governative che pure fanno di tutto e di più. A volte i comuni si vedono costretti a dividere addirittura fratelli e sorelle perché magari non ci sono le risorse per ospitarli nella stessa comunità.
Da un rapporto dell'ANCI è emerso che sono aumentati i comuni italiani che hanno preso in carico minori stranieri non accompagnati, offrendo loro servizi di prima e seconda accoglienza. Pertanto, l'ente locale è il soggetto sul quale gravano i costi di questa permanenza. In totale, come risulta da alcuni dati, i comuni spenderebbero circa 200 milioni di euro all'anno per la gestione di questo problema.
L'Italia ha ratificato la convenzione dell'ONU con la legge n. 176 del 1991. Dunque, è un Paese che ospita questi minori non accompagnati e perciò dovrebbe sentire la responsabilità di ospitare questi ragazzi, soprattutto quando compiono il diciottesimo anno di età. Con le modifiche apportate dalla legge n. 94 del 2009 la situazione si è aggravata, soprattutto per i minori non accompagnati che hanno raggiunto la maggiore età. Infatti, proprio questa legge prevede che venga rilasciato il permesso di soggiorno soltanto a quei ragazzi che abbiano determinati requisiti. Questi ragazzi devono essere sottoposti a tutela o affidamento, devono partecipare a progetti di integrazione, avere la disponibilità di un alloggio, essere inseriti in un corso di studio e svolgere un'attività lavorativa. Certo, è difficile pensare a tutto questo e soprattutto all'inserimento in un'attività lavorativa visto che oggi neanche i ragazzi italiani hanno un lavoro. Pertanto, questa normativa rischia di demotivare i minori entrati in Italia perché potrebbero pensare che è difficile ottenere il rilascio del permesso di soggiorno dopo i 18 anni.
Sempre nel rapporto dell'ANCI viene segnalata la contraddizione tra le norme che obbligano i comuni a farsi carico della tutela dei minori e il contenuto della legge sulla sicurezza, approvata nel 2009, che trasforma i minori, tutelati e assistiti, in clandestini al compimento del diciottesimo anno di età. Pertanto, anche i comuni si trovano in difficoltà. Vogliamo ricordare, secondo i dati forniti da Save the children, che oltre un quinto dei 4 milioni e mezzo di stranieri che vivono ormai in Italia è costituito da minori di 18 anni.
Per le motivazioni che ho espresso il gruppo dell'Italia dei Valori vuole impegnare il Governo ad assumere tutte le iniziative volte ad assicurare maggiori risorse finanziarie a favore delle regioni e poi da destinare ai comuni in base, comunque, ai dati relativi alle presenze e ai progetti che i comuni presentano.
Inoltre, si vuole impegnare il Governo ad attuare un più stretto coordinamento tra il livello centrale e i governi locali e a dare soprattutto soluzione alle difficoltà connesse a procedure che sono diverse a seconda dei territori che accolgono questi ragazzi, soprattutto per quanto riguarda l'identificazione all'arrivo, le tempistiche, le condizioni di accoglienza e a controllare il profilo professionale degli operatori, la predisposizione di servizi di mediazione culturale - perché anche questo è importante - e poi a mettere in atto un monitoraggio serio, efficace e costante per valutare gli aspetti quantitativi relativi alle presenze e agli allontanamenti dai centri di prima accoglienza.
Ma la cosa più importante - viene sottolineato un po' in tutte le mozioni che abbiamo presentato - è considerare la possibilità di rilasciare il permesso di soggiorno anche ai minori stranieri che abbiano compiuto la maggiore età e che abbiano iniziato un percorso di integrazione sociale nel nostro Paese. Pag. 58
Sottosegretario, riferisca al Governo e faccia capire che queste mozioni affrontano un argomento talmente importante da meritare la presenza in Aula del Ministro competente. Ci faccia il piacere: glielo riferisca; speriamo che nel momento in cui si svolgeranno le dichiarazioni di voto almeno il Ministro sia presente (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori, Partito Democratico e Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mussolini, che illustrerà anche la sua mozione n.1-00371. Ne ha facoltà.

ALESSANDRA MUSSOLINI. Signor Presidente, il fatto che ci sia il sottosegretario ai trasporti - che peraltro ringrazio - è un segno di quello che noi andiamo dicendo da tanto nella Commissione infanzia e adolescenza, ossia che non c'è nessuno nel Governo che abbia una delega intera di assunzione di responsabilità in questo settore, importante, fondamentale e delicato.
È importante, ma non c'è un'organizzazione, né un raccordo. Pertanto, modulerò il mio intervento puntando soprattutto su una cosa: il diritto all'identità. Delle colleghe che mi hanno preceduto condivido ogni parola, perché abbiamo lavorato insieme costruendo una relazione importante e predisponendo insieme varie mozioni. Mi auguro veramente che si possa anche arrivare, lavorandoci, ad una mozione unica poiché, se ci riuscissimo, sarebbe un bel risultato.
Penso ai bambini fantasma. Io qui non faccio alcuna differenza tra bambini e ragazzi italiani, comunitari ed extracomunitari. Noi non abbiamo per i nostri ragazzi il diritto all'identità. Hanno un documento solo quando arrivano ai 15 anni con la carta d'identità, altrimenti ci sono documenti opzionali (passaporto e foto solo a 15 anni).
Forse il sottosegretario ai trasporti mi può comprendere con questo esempio: arriviamo al paradosso che un quattordicenne può guidare una macchinetta con il patentino, ma non ha il documento. Dovranno portare il passaporto, ma è una cosa di cui si fa carico la famiglia, ma loro, da quando sono neonati fino ai 15 anni, non hanno un documento.
Questo è molto grave per i bambini e per i minori che spariscono e per i tanti ragazzi che non si trovano più. Abbiamo sentito, nelle varie audizioni, il Commissario straordinario per le persone scomparse dire che o si trovano nelle ventiquattr'ore o è molto difficile. Allora, insieme vediamo di raggiungere questo obiettivo.
Il secondo punto - sarò molto breve nell'intervento, perché è un argomento fondamentale, ma mi ritrovo in tutto quello che è stato detto - attiene ai fondi, ai soldi. Adesso stiamo esaminando in Commissione, perché dobbiamo dare un parere obbligatorio, il piano di azione, che è un importante atto del Governo.
Abbiamo «papielli», pagine, pagine e pagine di cose molto importanti, di progetti e di obiettivi, ma sulle risorse solo poche righe: «si troveranno», «vediamo se le troviamo». No: noi dobbiamo far esistere i minori. Come li dobbiamo far esistere con il diritto all'identità, così dobbiamo riconoscere la loro esistenza attraverso l'assistenza e la tutela dell'infanzia e dell'adolescenza. Dove? Nel federalismo: nelle province, nelle regioni e nei comuni.
Le colleghe ricordavano che spariscono dalle case famiglie: perché spariscono? Perché nella prima fase i soldi vengono dati per i minori dal prefetto e dal Ministero dell'interno e poi passa tutto agli enti locali, i quali non hanno soldi e i ragazzi scompaiono e ne vengono presi altri. Allora è proprio per questo che abbiamo voluto presentare le mozioni, cioè traducendo in atto politico quella che era una relazione che in fondo poteva rimanere nell'ambito della Commissione infanzia e adolescenza, anche per denunciare quello che può essere un vero e proprio business sui minori stranieri non accompagnati. Ricordo, peraltro, che le valutazioni sono anche difficili da fare perché i rumeni e i bulgari, adesso che sono diventati comunitari, non vengono più monitorati attraverso Pag. 59la Commissione per i minori stranieri non accompagnati, quindi non esistono proprio.
Mi auguro veramente che tutto ciò che facciamo in Parlamento sia utile. Quando noi abbiamo approvato - lo ricordo alle colleghe - l'importantissima Convenzione di Lanzarote, dove abbiamo introdotto la pedofilia culturale (e anche nella mozione si parla delle violenze che subiscono sempre le donne perché quando arrivano in Italia già sono state violentate a varie tappe nel loro viaggio della speranza) abbiamo introdotto dei reati importanti anche aumentandone le pene. Tuttavia il Senato lo deve ancora approvare e sono passati mesi. Basterebbe una seduta del Senato per approvare la Convenzione di Lanzarote e per renderla esecutiva, ma ancora non è stato fatto.
Quindi, soldi, diritto all'identità e che ci possa veramente essere un raccordo tra le istituzioni ed i vari organismi. Questo è fondamentale perché stiamo parlando del nostro futuro. Quando pensiamo che ad Haiti - siamo rimasti tutti sconvolti per l'emergenza che c'è stata soprattutto per i bambini - non è mai stato fatto un censimento, a cui stanno procedendo adesso, grazie a dei soldi che ha dato il Governo (10 milioni di euro), la Caritas, Save the Children e l'Unicef. Quindi, non si sapeva neanche quanti bambini ci fossero ad Haiti. Immaginiamo a che livello siamo per (non li voglio chiamare i minori) i bambini che sono i nostri figli. Dico sempre che quando viene un bambino, un ragazzo o un adolescente in Italia bisogna considerarlo come nostro figlio e se sparisce dev'essere un dramma per la collettività. Invece, spariscono i ragazzi e le ragazze dalle case famiglia o dai centri di prima accoglienza e non li cerca nessuno. C'è un allarme ridotto perché c'è l'abitudine. È l'indifferenza a un dramma e si tratta di drammi umani. Questo noi non lo possiamo e non lo dobbiamo accettare!
Vogliamo uno status giuridico per i minori. Quando i minori vengono (venivano a Lampedusa, ma adesso vengano per altre vie) sono un numero e quel numero può sparire. Noi chiediamo all'impegno del Governo uno status giuridico. Allo stesso modo chiediamo la modifica perché non è possibile che un ragazzo - solamente perché abbiamo approvato una legge che rivoluziona in un certo senso la possibilità di conseguire e di ottenere il permesso di soggiorno a 18 anni (quindi prima si ha il permesso per minore età, difficile peraltro e non omogeneo su tutto il territorio nazionale da conseguire) - alla fine debba nuovamente rientrare in clandestinità. Infatti, la cosa più importante anche per la nostra sicurezza è dare delle garanzie ai ragazzi, inserirli in un ambito sociale e, attraverso i permessi di soggiorno, inserirli nella legalità. Non concedere un permesso di soggiorno per cavilli, per burocrazia o perché è stata introdotta una nuova legge significa veramente ritornare nel buio e questo non lo possiamo consentire.
Mi auguro veramente che mercoledì, quando ci sarà il voto su queste mozioni, prima che si possa arrivare ad una sintesi che sarebbe importante, ci sia un impegno del Governo per l'assunzione di responsabilità, infatti credo che così non si possa andare avanti perché non abbiamo un sottosegretario che si occupa di questo (prima c'era il sottosegretario Roccella, adesso non c'è più). Quindi, assunzione di responsabilità da parte del Governo, fondi perché il federalismo non è solo comuni, tasse, imposizioni e imposte, ma è anche fare esistere i minori, l'infanzia e l'adolescenza a rischio perché non esistono e non possono essere inseriti solo nell'ambito sociale in quanto il sociale è tutto, li dobbiamo fare esistere sotto tutti i punti di vista. Soldi e diritto all'identità (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mosella, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00453. Ne ha facoltà.

DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, nel vasto e complesso fenomeno delle migrazioni - i cui risvolti sociali sono stati ampiamente illustrati dai colleghi - di cui ci troviamo così spesso a dibattere in Pag. 60maniera larga, c'è un aspetto che si pone alla nostra attenzione, e al quale forse noi come italiani dovremmo essere particolarmente sensibili. Leggo: «Altri ci sono andati, - diceva - e più piccoli di me. Una volta che son sul bastimento, arrivo là come un altro. Arrivato là, non ho che a cercare la bottega del cugino. Ci son tanti italiani, qualcheduno m'insegnerà la strada... Qualunque cosa accada, laggiù c'è del lavoro per tutti; troverò del lavoro anch'io, almeno per guadagnar tanto da ritornare a casa». Così ragiona Marco, il protagonista tredicenne del racconto «Dagli Appennini alle Ande» del libro «Cuore» di Edmondo De Amicis pubblicato nel 1888, mentre decide di imbarcarsi per l'Argentina tutto solo alla ricerca della madre, emigrata da qualche parte laggiù.
La frase «altri ci sono andati e più piccoli di me», che lo scrittore ligure fa pronunciare a Marco, rispecchia una realtà ancora oggi poco approfondita: il ruolo avuto dall'emigrazione di minori non accompagnati all'interno della grande migrazione che tra il compimento dell'Unità d'Italia nel 1870 e la grande guerra portò 14 milioni di nostri connazionali a lasciare il Paese. Potrei continuare, per dire quanta responsabilità abbiamo nell'affrontare questo tema, Governo o non Governo.
Si tratta di un problema antico, che oggi si ripropone con una serie di sfaccettature che debbono impegnare i Governi a continue verifiche, ad interventi sempre più specifici per evitare che l'anello più debole della catena migratoria abbia a patire sofferenze inaccettabili. Ricordo in quest'Aula che i minori stranieri, anche se entrati clandestinamente in Italia, sono titolari di tutti i diritti riconosciuti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, che la collega Capitanio Santolini ha già citato, dalla quale emerge chiaramente che il minore di 18 anni è portatore di particolari diritti in quanto soggetto che, a causa dell'età, necessita di protezione e cure particolari.
Ogni anno arrivano in Italia alcune migliaia di minori non accompagnati. L'ANCI - è stato detto - insieme a Save the Children e ad altre associazioni meritorie effettua il monitoraggio del fenomeno e ha fornito per il 2009 dati importanti: si parla di migliaia di ragazzi e ragazze minorenni che si trovano in questa situazione. Va ricordato che i minori stranieri non possono essere espulsi, tranne che per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato. Un'unica eccezione è prevista nel caso del rimpatrio assistito quando è finalizzato a garantire il diritto all'unità familiare.
Quindi, da chi sono accolti attualmente? Dalle regioni, che nel 2008 risultavano di fatto interessate dal 50,5 per cento dei minori contattati presi in carico in Italia, dal 42 per cento dei minori collocati in prima e pronta accoglienza e dal 60 per cento dei minori accolti in strutture di seconda accoglienza, che sono poi quelle regioni di frontiera e delle aree di primo avvio, cioè il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia, le Marche, la Puglia e la Sicilia.
Proprio in questa rete di servizi vi sono, però, alcuni buchi. Il primo è che i minori non sono immediatamente individuati e presi in carico dai servizi di accoglienza, diventando - così come è stato detto - invisibili: spariscono, con i pericoli che possiamo immaginare e che potremmo declinare.
Il secondo è la non ottimale efficienza dei servizi di accoglienza, che fa sì che una parte dei minori fugga dalle strutture e che diventi anch'essa invisibile. Garantire protezione e accoglienza efficaci è per noi un imperativo. Occorre affrontare il problema, analogamente a quanto fatto da altri Paesi europei con l'adozione di un quadro di politiche pubbliche nazionali e territoriali in grado di governare il fenomeno in maniera equa e in chiave di garanzia.
Occorre un quadro di interventi che tenga conto che il 6 maggio 2010 la Commissione europea ha adottato un piano di azione al fine di garantire una maggiore protezione dei minori non accompagnati che arrivavano nell'Unione europea, Pag. 61comprendente norme comuni sulla tutela e la rappresentanza legale, nonché sulla tempestività delle procedure.
È certamente apprezzabile lo sforzo oggi compiuto dalle nostre amministrazioni locali nell'accogliere e collocare in luoghi sicuri i minori stranieri non accompagnati. Questo sforzo coinvolge, innanzitutto, i comuni metropolitani che confermano un forte impegno, mentre in alcuni comuni più piccoli le difficoltà sono soprattutto di ordine finanziario.
Non mancano altri aspetti negativi che si rispecchiano, come è stato ampiamente accennato in questa discussione, in una tendenza alla fuga dai centri di prima e seconda accoglienza. Nei primi undici mesi del 2009 dei 7.988 minori stranieri non accompagnati, ben tre mila hanno incontrato un ostacolo nel proprio percorso di integrazione, rappresentato dalla nuova normativa sulla sicurezza pubblica entrata in vigore nell'agosto 2009 in materia di conversione dei permessi di soggiorno. A questo proposito sono proprio le associazioni che operano in Italia che hanno osservato nei loro studi e recenti rapporti che «i criteri più severi per la conversione del permesso di soggiorno, che prevedono la permanenza di almeno tre anni sul territorio italiano prima del conseguimento della maggiore età e l'aver seguito un percorso di integrazione sociale di almeno due anni presso un ente riconosciuto, stanno già facendo sentire i loro effetti, riducendo, di fatto, la già esigua gamma di possibilità che questi minori, che sono per la maggior parte adolescenti di 16 e 17 anni, hanno di compiere un percorso di accoglienza, regolarizzazione e integrazione».
Ciò significa che la percentuale di minori stranieri non accompagnati che vede svanire la possibilità di un percorso di integrazione in Italia a causa delle recenti norme potrà variare a seconda di una interpretazione più o meno restrittiva di queste norme in fase attuativa. Nel caso di interpretazione restrittiva, infatti, è destinato ad aumentare il numero dei neomaggiorenni che diventeranno invisibili per le istituzioni, e conseguentemente irregolari e imputabili del reato di ingresso e soggiorno illegale, assoggettabili a trattenimento fino a sei mesi e non più regolarizzabili.
In base a queste considerazioni, noi, come Alleanza per l'Italia, abbiamo chiesto al Governo di impegnarsi ad adottare iniziative normative a tutela dei minori stranieri non accompagnati che possano consentire di standardizzare gli interventi e di passare dall'azione emergenziale ad un'azione più strutturata ed incisiva; di promuovere la definizione di elevati standard di accoglienza e di protezione; di avviare la ricerca delle famiglie dei minori soli ed eventualmente di garantire condizioni di rimpatrio dirette al ricongiungimento familiare; di assicurare l'integrazione e l'inclusione di migliaia di bambini e ragazzi nel nostro Paese consentendo loro di vivere in maniera dignitosa e serena; di garantire la possibilità di permanenza in Italia, qualora ciò corrisponda al loro superiore interesse, e di favorirne l'integrazione, anche dopo il compimento della maggiore età.
Chiediamo, infine, che siano forniti i chiarimenti necessari alle autorità competenti per una corretta attuazione della legge n. 94 del 2009, perché, se ci sono distonie, possano essere corrette ed eventualmente messe meglio a fuoco per il bene dei più piccoli (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00455. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, anch'io condivido tutte le considerazioni che sono state svolte in quest'Aula stasera su questo argomento, perché lo ritengo fondamentale. Ringrazio il sottosegretario Giachino per la sua presenza, anche se non competente nello specifico settore, ma evidentemente non potrà che riferire al Governo una posizione univoca del Parlamento, che spero si realizzi poi attraverso l'approvazione unanime di una mozione unitaria.
Un quinto degli oltre 4 milioni 500 mila stranieri che vivono ormai in Italia è Pag. 62costituito da minori di 18 anni e, tra essi, solo nei primi mesi undici mesi del 2009, 7.988 sono stati i minori stranieri non accompagnati. Secondo la stima di una delle associazioni che operano nel settore, ben 3 mila di questi hanno visto il proprio percorso di integrazione bloccato dalla nuova normativa, che noi suggeriamo di migliorare per favorire questi ragazzi.
È stata svolta, inoltre, l'indagine dell'ANCI, la quale ha accertato che alcune regioni si sono prodigate: si tratta di regioni di frontiera come il Friuli-Venezia Giulia o anche lo stesso Lazio, ma soprattutto la Sicilia, che, da sola, affronta un grosso problema (soprattutto, lo ha affrontato: fino a quest'anno, infatti, gli ingressi in quell'isola erano preponderanti).
Anche altre regioni, come la Toscana, la Calabria, la Sardegna, la Basilicata e la Puglia, accolgono i minori e, attraverso i comuni, compiono sacrifici: è necessario, quindi, che tali comuni vengano aiutati, in modo tale da poter affrontare queste problematiche in termini reali.
Ritengo molto importante che la Commissione abbia deciso di presentare una mozione, che impegna il Governo ed ha una valenza simile a quella della legge, in modo tale che il Governo medesimo comprenda fino in fondo la necessità di intervenire in questo settore, che è un settore qualitativo. Non si tratta, come affermava l'onorevole Mussolini, di avere soldi: quando si tratta di soldi, in questi casi, non si parla di cifre elevate, ma di cifre che qualitativamente sono ben spese, perché evidentemente toccano un problema che viene compreso dall'opinione pubblica e da tutti (in Italia vi sono genitori, madri e padri, che si avvicinano anche alla politica se i minori vengono trattati bene).
Oggi abbiamo una situazione che non è delle migliori: vi è un'applicazione delle norme disomogenea nelle varie città dove è stata svolta un'indagine. Abbiamo una situazione da mettere a fuoco e da migliorare: vi sono le stime dell'ONU e le indicazioni degli organismi internazionali, ma vi sono anche indicazioni che possiamo darci autonomamente.
Pertanto, dobbiamo impegnare il Governo a garantire la possibilità di permanenza in Italia dei minori stranieri non accompagnati, qualora ciò corrisponda al loro superiore interesse e a favorirne l'integrazione, anche dopo il compimento della maggiore età, ove essi abbiano intrapreso un percorso verificato di integrazione. Tenete presente che il 14 per cento di questi minori individuati è egiziano e che in quel Paese la maggiore età si raggiunge a 21 anni: anche in questo caso, pertanto, bisogna prestare attenzione.
Occorre che il Governo si impegni anche a fornire indicazioni alle questure sul territorio, affinché sia garantita, in particolare, l'applicazione del regime transitorio, assumendo iniziative volte a prevedere la possibilità di convertire il permesso di soggiorno ai minori affidati o sottoposti a tutela, che compiranno la maggiore età entro il 8 agosto 2011, senza dimostrazione di ulteriori requisiti.
Inoltre, è necessario che il Governo assuma iniziative normative - e, quindi, che il Parlamento lo assecondi - finalizzate a prevedere la possibilità di convertire il permesso di soggiorno ai minori affidati, ai sensi degli articoli 4 e 9 della legge n. 184 del 1983, all'interno di un nucleo familiare, anche monoparentale.
È necessario, altresì, impegnare il Governo a garantire che i criteri utilizzati per l'adozione dei provvedimenti di tutela dei minori stranieri non accompagnati siano omogenei su tutto il territorio nazionale, nonché ad assumere iniziative, anche normative, volte a consentire il rilascio del permesso di soggiorno ai giovani cittadini di Paesi con differente regolamentazione della maggiore età (come ad esempio gli egiziani, come affermavo in precedenza, o altri).
È necessario che il Governo si impegni, inoltre, ad eseguire un'attività periodica di monitoraggio sull'applicazione della normativa italiana in materia di rilascio del permesso di soggiorno ai minori non accompagnati al compimento del diciottesimo anno di età, nonché a coordinare, di intesa con regioni e comuni, le iniziative affinché la rete delle comunità alloggio sia Pag. 63capillare e presente sull'intero territorio nazionale, evitando la concentrazione in alcune regioni di frontiera e quindi, in particolare, in tutto il Mezzogiorno, al fine di ospitare i minori stranieri non accompagnati all'atto delle dimissioni dai centri di prima accoglienza.
Sono particolarmente interessato al fatto che, se si potesse arrivare ad un'unica mozione, con un'approvazione unanime del Parlamento, ciò sarebbe un messaggio di sostegno di quanto stanno facendo, non solo per l'Esecutivo, ma anche per tutte le regioni e i comuni affinché questo problema venga affrontato nel modo più realistico possibile e anche più conveniente per i ragazzi e i giovani. È una questione di civiltà, signor Presidente (Applausi)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lo Moro. Ne ha facoltà.

DORIS LO MORO. Signor Presidente, colleghi, prendo la parola molto volentieri perché si tratta di un argomento che attrae la mia attenzione e penso che dovrebbe attrarre anche quella dell'intero Parlamento.
Ho accettato nell'aprile di quest'anno di sottoscrivere la mozione che ha redatto la collega Zampa - che ci ha coinvolto tutti per la passione particolare che ha dimostrato anche nel corso del suo intervento - perché mi sembra che questo argomento, come più in generale l'argomento che riguarda i minori, non possa essere un tema da specialisti, né tantomeno delegato alle Commissioni, che molto opportunamente lo approfondiscono, ma ovviamente per coinvolgere la politica in generale e l'intero Parlamento.
All'epoca quando ho letto la mozione - e quando l'abbiamo discussa insieme - mi sono sentita in dovere di apporre la mia firma anche come componente della Commissione affari costituzionali - che si occupa anche dell'immigrazione in generale - e quindi reduce di una battaglia persa in Parlamento su temi caldi che stanno molto a cuore a noi del gruppo del Partito Democratico.
Tali temi trovano un ostacolo molto forte in Parlamento - vedremo anche nelle prossime ore e nei prossimi giorni se questo ostacolo permane - perché ci sono alcune forze politiche che, quando si parla di immigrazione, sono particolarmente irragionevoli e temo che continuino ad esserlo anche quando si parla di immigrati particolari come i minori non accompagnati.
Oggi prendo la parola non soltanto perché è bene e giusto che un gruppo numeroso come quello del Partito Democratico si presenti al plurale (intervengo io con altri due colleghi) e accompagni la relazione, già in sé è esaustiva della nostra collega, che si occupa di questo tema nell'ambito della Commissione d'inchiesta, la Bicamerale per l'infanzia. Non intervengo ovviamente per illustrare o per dire qualcosa in merito alla mozione che è stata già illustrata - peraltro devo dire con soddisfazione che mi ritrovo in tutte le parole che ha pronunciato la collega Zampa, della quale voglio sottolineare la particolare passione, che ho sempre visto, ma che mi è sembrato di cogliere in modo particolare in questo intervento. È stato straordinario partecipare a tutta la discussione e poter sottoscrivere anche le altre mozioni leggermente diverse, le quali tuttavia, oggi in Aula, hanno portato a discorsi che sembrano destinati ad incontrarsi.
Prendo la parola oggi per un dovere di testimonianza. Innanzitutto voglio dire - come ha già fatto qualcuno - che quando si parla di minori non accompagnati spesso non si sa di cosa si parla perché questi concetti particolari, che nascono per registrare situazioni che si rilevano sul territorio, spesso hanno bisogno di una spiegazione. Forse, se la politica si soffermasse a capire meglio cosa significa minore non accompagnato, sarebbe meno assente.
Ho avuto, peraltro, l'avventura - per questo ne parlo stasera - di incrociare questa realtà e vi assicuro che per me è stata altra cosa dal leggerla.
Intanto vorrei fare un'annotazione: si è parlato qui delle regioni nelle quali questi Pag. 64fenomeni sono frequenti, ma il fenomeno dell'immigrazione - in particolare quello che riguarda i minori non accompagnati - è descritto dalla politica sempre al passato, perché nel frattempo muta. Ecco perché poi parliamo di minori invisibili e di flussi migratori incontrollati che non seguono i percorsi che la politica e il Ministero dell'interno è abituato ad individuare, ma arrivano da altre parti.
Così succede che si guardi a questi fenomeni come se fossero fenomeni statici, invece sono assolutamente dinamici.
Vorrei sottolineare che, tra l'altro, non si tratta di cose di cui possiamo parlare riferendoci al passato, perché oggi è il 18 ottobre, ho qui due note di agenzia che riguardano la mia terra, la Calabria, una del 6 e una del 7 ottobre, dalle quali rilevo che in questi due giorni, tra il 6 e il 7 ottobre, sono arrivati in Calabria ventidue minori non accompagnati.
Si tratta dunque di un fenomeno presente, un fenomeno attuale, che si connota in maniera molto particolare, perché, giusto per riferirla come notizia di cronaca, questi minori non sono arrivati nella maniera cui siamo abituati, ma - leggo una nota di agenzia - a bordo di un'imbarcazione a vela di 12 metri e di una di 17 metri.
È la nuova realtà dell'emigrazione, non si arriva più solo con gli scafi riconoscibili a distanza, ma anche con lussuose barche a vela che, soprattutto in estate, sono arrivate, e continuano ad arrivare considerate le favorevoli condizioni meteorologiche, non più con gli scafi cui siamo abituati ma con lussuose barche a vela, facilmente camuffabili.
In Calabria, il 27 agosto, è arrivata una di queste barche a vela e mi ha colpito la circostanza - circostanza su cui volevo riferire al Parlamento - che cinquanta extracomunitari sono arrivati a bordo di una barca a vela.
Gli extracomunitari sono stati intercettati già sulla spiaggia, e, successivamente, è stata intercettata la barca a vela e sono stati intercettati gli scafisti, che vengono arrestati. Si tratta però non di una delle tante notizie di cronaca, perché uno dei minori non accompagnati, ahimè poi accompagnato in una bara nel paese di provenienza, è arrivato morto sulla spiaggia, perché lo scafista ha accelerato e costretto gli extracomunitari a lasciare l'imbarcazione. Uno di questi minori, non sapendo nuotare, è stato costretto a lanciarsi dall'imbarcazione ed è morto.
Bene, in questo 27 agosto mi sono chiesta chi fossero questi tredici minori e mi sono sentita in dovere di andare a Guardavalle per trovarli. Non avevo ancora chiaro quello che avrei trovato, perché mi sarei aspettata di trovare, per esempio, dei minori che avevano sulla stessa imbarcazione altri familiari, parenti più adulti, ma non era così. La realtà non era quella. Ecco perché dovremmo essere un po' più attenti.
La realtà è che su quella imbarcazione c'erano dei maggiorenni, di altra nazionalità e con un percorso e una destinazione differenti, e tredici minori che provenivano tutti dall'Afghanistan, mandati in Italia dalle famiglie, con il loro pieno accordo, addirittura selezionati dalle famiglie per le loro caratteristiche: giovani, sani, disposti a fare sacrifici.
L'obiettivo era una vita e un futuro migliore, un obiettivo da raggiungere in Italia o comunque in Europa, perché in quel Paese si parla dell'Italia come di un Paese accogliente. Del resto, non è in Afghanistan che abbiamo mandato le nostre truppe per la missione di pace? Cosa volete quindi che pensassero gli afgani che hanno mandato i loro figli, tredici bambini arrivati in Italia, con i quali ho discusso per una mattinata?
L'unica preoccupazione che mi hanno esternato era quella del cadavere, del riconoscimento del cadavere del bambino di quindici anni, che non avevano visto e che poi uno di loro ha riconosciuto nell'obitorio dell'ospedale perché era un cugino. L'altra preoccupazione era di come dovesse rientrare, a causa della procedura da seguire.
Non voglio farla lunga e anzi devo concludere, ho però introdotto questi elementi perché forse noi, soprattutto quando andiamo sul territorio, dobbiamo Pag. 65prendere l'abitudine di riferire al Parlamento quello che troviamo e le circostanze di cui siamo testimoni, perché forse è solo questa la strada per fare in modo che anche i colleghi, che magari sono presi da altre ragioni o che vivono diversamente e frequentano meno certi luoghi, sappiano che minori non accompagnati significa una infanzia rubata, tradita, e probabilmente anche una vita destinata a finire malamente (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Touadi. Ne ha facoltà.

JEAN LEONARD TOUADI. Signor Presidente, la mozione oggi in discussione riguarda un aspetto delicato del fenomeno dell'immigrazione: si tratta del fenomeno dei minori stranieri non accompagnati. La presenza di minori soli senza famiglia negli spostamenti umani è diventato un fattore comune dell'immigrazione a livello mondiale: il loro numero è aumentato fino a costituire in molti Paesi di destinazione un segmento importante della popolazione alla ricerca di protezione ed asilo. Le Nazioni Unite hanno stimato, relativamente all'anno 2006, che nel mondo vi sono circa 18 milioni di minori migranti, di cui quasi 6 milioni come rifugiati.
Questo primo dato, signor Presidente, dovrebbe indurci ad una riflessione complessiva sul fenomeno dell'immigrazione: i volti, le storie, spesso i drammi di questi ragazzi parlano di povertà, di conflitti e guerre, di terreni infestati da mine antipersona, di vittime della guerra degli adulti, di sfruttamento nelle miniere d'oro e diamanti, come in Congo o in altri luoghi del pianeta; di bambini che sono anche vittime del turismo sessuale per i popoli dell'opulenza in cerca di emozioni forti nei paradisi turistici. Insomma, ci raccontano, e portano dentro casa nostra, i drammi del mondo, gli effetti di una geopolitica del cinismo che sconvolge territori e comunità, e spinge milioni di persone, anche minori, a lasciare la propria terra.
Questo dato dovrebbe portare il nostro Paese a rafforzare e ad irrobustire l'impianto e le risorse degli obiettivi del millennio (i cosiddetti Millennium Goals), che hanno la finalità di dimezzare il numero delle persone vittime della povertà. E chi dice povertà - lo ribadisco - dice stabilità globale: vi è infatti un nesso inestricabile tra marginalità economica e l'insorgere di conflitti ovunque nel mondo.
Dobbiamo lavorare per l'attenuazione, e via via per l'eliminazione dei fattori di espulsione di questi bambini dai loro territori. Non si tratta quindi di una questione umanitaria: si tratta di una priorità eminentemente politica ed eminentemente strategica. Non è più rinviabile, in effetti, la grande questione del riequilibrio tra povertà e ricchezza nel mondo, attraverso una cooperazione rafforzata, con risorse sicure, con il coinvolgimento delle comunità e dei territori del sud del mondo, attraverso progetti che toccano l'istruzione, la salute, l'alfabetizzazione e la promozione dell'agricoltura di base; perché la nostra preoccupazione sull'infanzia riguarda in realtà il futuro dell'intera umanità. La condizione dell'infanzia, infatti, è questione strategica, tesa a governare gli scenari del nostro futuro comune in un mondo sempre più interconnesso ed interdipendente, come la globalizzazione ci insegna. Ma tale doverosa sottolineatura non deve farci perdere di vista i problemi dell'oggi, ossia i problemi inerenti alla presenza di minori non accompagnati nel nostro Paese.
Nei confronti di questi minori, il nostro Paese ha precisi doveri ed inderogabili responsabilità. Proprio per questo, la Commissione parlamentare per l'infanzia (è stata citata poc'anzi) ha dedicato un'indagine conoscitiva, per approfondire la condizione dei minori stranieri non accompagnati. Ebbene, questa indagine conoscitiva ha palesato, come si è detto prima, la situazione di grave allarme sociale, un destino incerto per bambini che si allontanano dai centri senza lasciar traccia, con pericoli di sfruttamento da parte della criminalità organizzata o esposti a gravi rischi per l'incolumità: penso solo allo sfruttamento di bambini indifesi per il prelievo ed il turpe commercio degli organi. Pag. 66
Un destino quindi incerto, che continua anche dopo il raggiungimento della maggiore età, in base all'applicazione, tra l'altro disomogenea, degli articoli 10-bis e 32 del decreto legislativo n. 286 del 1998, e soprattutto dell'articolo 61 del codice penale in riferimento ai minori stranieri non accompagnati. Si rileva infatti che il reato di ingresso e soggiorno illegale viene contestato ai minori in alcune città ed in altre no, così come l'aggravante di irregolarità, come precedentemente illustrato tra l'altro dalla collega Zampa.
%Abbiamo quindi detto che abbiamo dei doveri inderogabili che ci derivano non soltanto dalla consuetudine di sensibilità e solidarietà della nostra pubblica opinione, delle numerose associazioni di volontariato, ma anche dagli impegni assunti in campo internazionale dal nostro Paese. Tra questi strumenti mi preme ricordare - come è stato già fatto - la Convenzione sui diritti dell'infanzia approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite nel 1989 a New York, ed entrata in vigore il 2 settembre del 1990. Questa Convenzione rappresenta uno strumento normativo internazionale tra i più importanti, completo in materia di promozione e tutela dei diritti dell'infanzia, uno strumento che contempla tra l'altro l'intera gamma dei diritti e delle libertà attribuiti anche agli adulti: diritti civili, politici, sociali, economici e culturali. Il nostro Paese ha ratificato questa Convenzione nel 1991 con la legge n. 176. Questo risultato, che è stato raggiunto con il consenso di un largo numero di forze politiche, ci obbliga come Parlamento e come Paese a non smentire noi stessi sulla strada della piena implementazione degli impegni solennemente assunti. Tornando alla Convenzione, è interessante come essa stabilisca che nelle decisioni riguardanti i minori debba prevalere - cito testualmente - il superiore interesse del minore: il principio quindi del superiore interesse del minore, il principio di non discriminazione come base per assicurare il benessere fisico, psicologico e morale di ogni intervento nei confronti dei minori.
Si tratta di una centralità del minore dovuta anche alla sua particolare vulnerabilità, e poi vi è l'universalità dell'applicabilità della Convenzione in base al principio di uguaglianza tra i cittadini senza distinzione di sesso, di etnia, di religione, di condizione sociale, come tra l'altro stabilito dalla nostra Costituzione, con l'obbligo per lo Stato di rimuovere gli ostacoli. Cito testualmente la Costituzione: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori (in questo caso di tutti i minori) all'organizzazione politica economica e sociale del nostro Paese.
Vi sono poi alcuni dettagli di questa Convenzione che ci interessano e che obbligano il nostro Parlamento ad agire rapidamente perché i diritti di questi bambini, di questi minori, vengano assicurati al più presto. È stato citato il problema del compimento della maggiore età, per cui questi minori rischiano di essere clandestini nell'unico Paese che conoscono, rispetto all'unica lingua che parlano, agli unici usi e costumi che hanno assimilato. È vero quello che diceva l'onorevole Mussolini: questi minori vanno considerati come una porzione di popolazione italiana e in quanto tali vanno trattati. Non valgono per questo i vincoli di bilancio, non valgono le carenze di risorse finanziarie. Queste norme hanno una valenza obbligatoria e vincolante, che inchioda il nostro Stato a rispettarle. Ricordo qui, signor Presidente, l'articolo 10 della nostra Costituzione che conferisce cogenza costituzionale alle convenzioni firmate dal nostro Paese. Vado verso la conclusione, dicendo a quest'Aula, a tutti i colleghi e al Paese tutto che in un Paese dove si fa un gran parlare della difesa della vita le forze politiche non possono limitarsi a difendere l'embrione o il malato terminale. Ci sono le vite di mezzo, e in questo caso delle vite di minori vulnerabili, che hanno diritto come tutti alla difesa del primo di tutti diritti: il diritto alla vita. (Applausi).

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PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare, e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 20,35)

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, rubo solo pochi secondi, approfittando anche della presenza del sottosegretario Giachino, il quale nella replica al precedente punto all'ordine del giorno, la mozione sulla TAV, tra l'altro, ha parlato della scellerata scelta del referendum sull'energia nucleare (cito testualmente). Vorrei segnalare pacatamente al sottosegretario che è ben singolare che chi siede sui banchi del Governo (che ha anche ovviamente una responsabilità particolare) possa fare un'affermazione del genere, sia che riguardi il merito, sia che riguardi il metodo, o lo strumento.
Lo strumento è, infatti, previsto dalla Costituzione, è l'esercizio della volontà popolare e credo che dovremmo portare rispetto ad una previsione costituzionale che, ovviamente, al pari di tante altre, ha piena dignità in questo Paese.
Nel merito, signor sottosegretario, ancor di più perché voi che evocate dalla mattina alla sera il rispetto della volontà popolare e chiedete che vi sia la difesa della volontà popolare, magari anche fuori luogo in determinate occasioni, fareste bene, laddove la manifestazione popolare si è espressa con la maggiore partecipazione che c'è stata in qualunque referendum nel nostro Paese e con una maggioranza che credo non abbia avuto pari in qualunque altra consultazione elettorale, a parlare un po' meno incautamente quando venite qui e a portare lo stesso rispetto per la volontà popolare sia quando le cose vi riguardano e vi fanno comodo sia quando non vi riguardano e non vi fanno comodo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Commenti del sottosegretario Giachino).

PRESIDENTE. Onorevole sottosegretario, la prego...

BARTOLOMEO GIACHINO, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Va bene, per suo rispetto...

PRESIDENTE. ...Non è per rispetto del tempo, ma perché penso che la precisazione dell'onorevole Giachetti resti agli atti e, come tale, non credo che richieda una sua replica, considerando che la sua è un'affermazione abbastanza grave. Le parole, quindi, con le quali l'onorevole Giachetti l'ha sottolineata restano agli atti, come resta agli atti la sua affermazione.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 19 ottobre 2010, alle 11,30:

1. - Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Discussione della domanda di autorizzazione a procedere in giudizio ai sensi dell'articolo 96 della Costituzione nei confronti del deputato Pietro Lunardi nella sua qualità di Ministro delle infrastrutture e trasporti pro-tempore (Doc. IV-bis, n. 1-A).
- Relatori: Consolo, per la maggioranza; Samperi e Palomba, di minoranza.

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3. - Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità presentata):
Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (Rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica, approvato, con modificazioni, dalla Camera e modificato dal Senato) (C. 1441-quater-F).
- Relatore: Cazzola.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Esposito ed altri n. 1-00437, Delfino ed altri n. 1-00439, Ghiglia ed altri n. 1-00442, Misiti ed altri n. 1-00454 e Allasia ed altri n. 1-00457 concernenti iniziative volte alla realizzazione della linea ferroviaria alta velocità/alta capacità Torino-Lione.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Capitanio Santolini ed altri n. 1-00394, Zampa ed altri n. 1-00361, Di Giuseppe ed altri n. 1-00367, Mussolini ed altri n. 1-00371, Mosella ed altri n. 1-00453, Misiti ed altri n. 1-00455 e Iannaccone ed altri n. 1-00456 concernenti iniziative a tutela dei minori stranieri non accompagnati.

La seduta termina alle 20,40.