XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 69 di martedì 21 ottobre 2008

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

La seduta comincia alle 11,35.

PRESIDENTE. Constato la presenza in Aula di persone estranee alla Camera, tali essendo i senatori. Ciò è vietato espressamente dall'articolo 64, comma 1, del nostro Regolamento, in base al quale nessuna persona estranea alla Camera può, sotto alcun pretesto, introdursi nell'Aula dove siedono i suoi membri. Invito, pertanto, i soggetti estranei alla Camera ad allontanarsi, al fine di consentire all'Assemblea di procedere nei suoi lavori. Diversamente, mi troverei costretto a sospendere la seduta fino a che non siano ripristinate, secondo il nostro Regolamento, le condizioni che ne consentono l'ordinato svolgimento (Commenti). I senatori non hanno diritto di chiedere la parola nell'Aula dei deputati e nessun deputato può avere la parola, fin quando non sono uscite le persone estranee a quest'Aula (Commenti). Senatrice Bonino, mi affido, quindi, alla sua responsabilità e al suo senso delle istituzioni, per consentire all'Aula di Montecitorio di riprendere i suoi lavori.
Prendo atto che l'invito della Presidenza non è accolto e che con il vostro comportamento state impedendo alla Camera l'esercizio delle sue prerogative costituzionali, e siccome - lei sa, senatrice Bonino, che sono sincero -, voi chiedete, giustamente, il rispetto delle regole, vi invito a dar prova di rispetto delle regole.
Sono, quindi, costretto a sospendere la seduta. Chiedo ai deputati questori di provvedere a far allontanare quanti non hanno diritto ad essere in Aula.
Sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 11,37, è ripresa alle 12.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

Sul processo verbale (ore 12,03).

RITA BERNARDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Sul processo verbale?

RITA BERNARDINI. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RITA BERNARDINI. Signor Presidente, intervengo per ricordare che, in realtà, la seduta di ieri - chiedo che questo rimanga agli atti - si è conclusa in un modo inusuale visto che noi deputati e senatori radicali abbiamo atteso qui tutta la notte e lo abbiamo fatto - voglio che rimanga agli atti - per rispetto e per amore delle istituzioni, per difendere la dignità, l'autonomia, la responsabilità del Parlamento.
Come ha ricordato autorevolmente il Presidente della Repubblica si tratta di obblighi cui il Parlamento non può ulteriormente sottrarsi in quanto toccano la funzionalità di importanti organi di garanzia ed è indispensabile che prevalga la consapevolezza dell'inderogabile dovere costituzionale da adempiere.Pag. 2
Chiedo, inoltre, che rimanga agli atti che qui continueremo ad aspettare questa sera - ci raggiungeranno in seguito i senatori che sono stati portati via di peso - fino a voto utile: quindi siamo pronti a ripetere questa nostra azione nella speranza che, per decoro di tutti, ciò avvenga almeno nella seduta di questa sera. Sono più di cinquecento i giorni in cui è vacante un posto di giudice della Corte Costituzionale, perché quest'ultima possa formare il suo plenum.
Siamo convinti di fare questo per tutti i cittadini italiani perché, laddove c'è strage di legalità e di diritto, rischiano di essere fortemente penalizzati i cittadini italiani che chiedono innanzitutto che le più alte istituzioni rispettino le loro stesse regole (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Bernardini, devo farle osservare che il suo intervento non si riferisce a questo processo verbale ma a quello di un altro organo, il Parlamento in seduta comune, che è stato approvato ieri sera. Non so se questo processo verbale contenga le osservazioni che lei chiede, comunque si tratta di un altro verbale.
Se non vi sono ulteriori osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alessandri, Angelino Alfano, Bindi, Bonaiuti, Bongiorno, Boniver, Brancher, Brugger, Caparini, Cirielli, Craxi, Crimi, Crosetto, De Angelis, Fassino, Fava, Gibelli, Giancarlo Giorgetti, Leone, Lo Monte, Lucà, Mazzocchi, Melchiorre, Menia, Pescante, Rosato, Rugghia, Stucchi e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 999 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi (Approvato dal Senato) (A.C. 1742-A) (ore 12,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi.
Ricordo che nella seduta di ieri è iniziata la discussione sulle linee generali e si sono svolti alcuni interventi.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1742-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vico. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, tutti tiriamo un sospiro di sollievo per la conclusione della vicenda Alitalia. Alitalia continua a volare, i libri contabili non sono stati portati in tribunale, si è salvato il salvabile, si è altresì consumata una privatizzazione all'italiana. Penso si sappia, e che gli italiani sappiano, che si poteva fare altro e che si poteva fare di più e meglio.
Allora si sappia che il combinato disposto della demagogica campagna elettorale del Presidente del Consiglio - quando pesantemente ha ripetuto: «Ci penserò io, con una cordata italiana» - e della rigiditàPag. 3sindacale nei confronti di Air France ha generato uno dei più grandi pasticci italiani. Tuttavia, col nostro partito abbiamo offerto un contributo determinante di fronte alle complicazioni; contributo determinante per la soluzione che si è profilata, e tuttavia tutto ciò non cancella, anzi rafforza il nostro severo giudizio sugli errori, sui ritardi e sulle scelte contraddittorie che il Presidente Berlusconi, in qualità di capo del Popolo della Libertà e del Governo, ha determinato. Questo nostro contributo è stato di lavoro alla riduzione del danno - sì, di lavoro alla riduzione del danno - perché, lo ricordo, la riduzione del danno non è terminata. Ci impegneremo ancora, anzi sicuramente ci batteremo ancora, a partire dall'antitrust, che, cari colleghi, ci è sembrata poco «anti» e molto «trust». Tuttavia, a parte questa digressione, riteniamo che le regole antitrust non potranno restare sospese così a lungo, come invece si prevede con il decreto-legge che stiamo esaminando, che lo stravolgimento della cosiddetta «legge Marzano» dovrà essere limitato e la normativa riportata ad equilibrio.
Penso che non occorra un grande esperto di diritto comunitario, per vedere che in sostanza la cessione di un ramo d'azienda - perché questo si prevede nel decreto-legge in esame - non rispetta le regole comunitarie. Ancora: gli slot liberati dovranno essere utilizzati in modo da non strangolare gli utenti italiani. Infine, dovrà pur essere costruito un processo di integrazione della nuova Ali-Alitalia, in un grande player del trasporto aereo ed europeo mondiale. Insomma, quando il fumo della demagogia e della propaganda si sarà disperso nell'aria, si dovrà pur riprendere a ragionare su questo punto essenziale.
Onorevoli colleghi, permettetemi anche una considerazione sul titolo del decreto-legge che stiamo discutendo in sede di conversione, un titolo poco comprensibile, che tuttavia recita così: «Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi». Trattasi, in realtà, di un provvedimento che consente di socializzare le perdite e di privatizzare i profitti: questo è e così si chiama. Oggi per Alitalia, è questo il senso? Infatti, la domanda che si pone è: oggi è così solo per Alitalia o nei prossimi mesi, eventualmente, anche per altri, casomai alcune altre azienda di Stato pericolanti, sollecitate nei prossimi sei mesi, oggi per domani, a sbrigarsi per poter anch'esse usufruire di questo meccanismo di socializzazione delle perdite e di privatizzazione dei profitti? Allora leggiamo il decreto-legge in fase di conversione in sequenza.
In primo luogo, si è commissariata l'Alitalia stabilendo che il commissario straordinario può, a trattativa privata, intuitu personae, cercare ed individuare l'acquirente.
In secondo luogo, si autorizzano le concentrazioni di mercato, comunicandole all'inoffensiva Antitrust, nonostante sia noto che le concentrazioni sono vietate.
In terzo luogo, si esentano, a posteriori, amministratori, componenti di collegi sindacali e quanti altri da qualunque responsabilità per fatti commessi in quanto dirigenti a vario titolo di Alitalia. Sì, è proprio così, onorevoli colleghi: l'articolo 3 del decreto-legge in oggetto introduce, senza che dalla relazione se ne evinca la motivazione, un esonero di responsabilità in relazione a comportamenti, atti e provvedimenti che siano stati posti in essere dal 18 luglio 2007 e fino alla data di entrata in vigore del decreto-legge dagli amministratori, dai componenti il collegio sindacale e dai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari.
Questa fissazione del termine, a nostro avviso arbitraria, sicuramente anche apodittica, oltre che palesemente irragionevole, è priva dei requisiti individuati dalle sentenze n. 128 del 2008 e n. 171 del 2007 della Corte costituzionale.
Inoltre, l'attribuzione di ogni pregressa responsabilità a carico esclusivamente della società viola l'articolo 27 della Costituzione, dal momento che la responsabilità penale è personale e non attribuibile a persone giuridiche. Si vanifica, così, il precetto costituzionale di obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale previsto dall'articolo 112 della Costituzione.Pag. 4
Persino i pareri espressi per competenza, in relazione a questo decreto-legge, dalla I Commissione affari costituzionali e dalla II Commissione giustizia contengono osservazioni e condizioni riferite all'osservanza dell'articolo 112 della Costituzione. Mi sia consentito, onorevole rappresentante del Governo: ritirate l'articolo 3.
Vorrei proseguire, lungo quella sequenza che ho annunciato. In quarto luogo, cominciamo a dire che l'operazione oggetto del decreto-legge in esame non consiste solo nel salvataggio di Alitalia, i cui debiti - come è noto a tutti - vengono scaricati sui contribuenti, ma anche - se si può dire così - nel salvataggio di Air One, di cui nessuno sembra conoscere con certezza debiti e pendenze, che saranno - questi sì - i soli ad essere riassorbiti dal mercato.
Vorrei osservare, inoltre, che, ad oggi, non è certo neppure a chi debba essere richiesta la restituzione del prestito d'onore (quello fatto dal Governo Prodi su richiesta di Berlusconi) su cui graverà, con ogni probabilità, la procedura di infrazione comunitaria.
In quinto luogo, vanno chiariti almeno i casi più gravi di conflitto d'interesse e di violazione della normativa sulla concorrenza. La Consob si esprima sulla legittimità delle turbative al mercato dovute all'esplicita manifestazione di preferenza del Presidente Berlusconi e dei Ministri Scajola, Sacconi e Matteoli per questa o quella soluzione, per questa o quella azienda.
L'«ammorbidita» Autorità antitrust si esprima sulla legittimità dell'affidamento alla Banca Leonardo dell'incarico di aver stabilito il valore dei principali asset di Alitalia, al cui acquisto è stata interessata la CAI (la Compagnia aerea italiana), e a cui sono stati interessati Salvatore Ligresti, Marco Tronchetti Provera e la famiglia Benetton, che sono contemporaneamente azionisti dell'acquirente (ovvero la CAI) e di Banca Leonardo (ovvero l'advisor del venditore); la docile Authority antitrust ci informi, onorevoli colleghi, sui gruppi Benetton e Ligresti e sul fondo Clessidra, che sono soci contemporaneamente di CAI e di Aeroporti di Roma.
A questa segnalazione l'Antitrust in effetti ha risposto di recente, sostenendo che «i presupposti per una misura cautelare sarebbero insussistenti, in quanto l'operazione di cessione di Alitalia a CAI non è stata perfezionata, per cui non sarebbe noto l'assetto di controllo della nuova compagnia aerea». Onorevoli colleghi, se mi è consentito, vorrei tradurre il docile pensiero dell'Authority antitrust con un paragone: è come se un poliziotto che, con cautela, stesse assistendo ad un'aggressione non potesse intervenire per prevenire un omicidio fino al momento in cui il coltello non fosse stato ben infilato nel cuore della vittima. Che Paese è questo, che giustamente siede tra i grandi del pianeta e poi si «attorciglia» intorno a queste piccolezze, quasi sempre su problemi di conflitto di interessi? Noi vogliamo, tuttavia, aspettare che l'Antitrust effettui le sue verifiche nel momento in cui, a suo insindacabile giudizio, riterrà che l'operazione di cessione sia stata perfezionata.
In sesto luogo, il processo di concentrazione aziendale del trasporto aereo in atto a livello mondiale avrebbe dovuto orientare il nostro Governo verso l'integrazione della compagnia di bandiera in un gruppo internazionale, piuttosto che verso il controllo esclusivo di un vettore regionale. Invece, a causa di una campagna elettorale demagogica, il pregiudizio nazionale ha penalizzato gli interessi italiani. Infatti, il cosiddetto piano Fenice prevede sei basi: Malpensa, Fiumicino, Napoli, Catania, Torino e Venezia. Vorrei far osservare che resta fuori l'intero corridoio adriatico con i suoi terminal, quelli della Puglia.
Oggi sul Mediterraneo volano circa 200 milioni di passeggeri, rispetto agli 800 milioni che volano in tutto il mondo. Si prevede che nel 2025 tali passeggeri diventeranno 400 milioni: probabilmente il migliore hub per il nostro Paese è quello sul Mediterraneo, quindi forse bisogna riconsiderare bene il punto di forza delPag. 5nostro Paese (se esso debba essere Malpensa o Fiumicino), che è appunto al centro del Mediterraneo.
Onorevoli colleghi, accade, a questo punto, di dover fare una riflessione conclusiva ed io vorrei impostarla nel seguente modo. Mai, con un decreto-legge, erano state derogate norme antitrust in materia di concentrazione (e con questo decreto-legge è avvenuto); mai erano state sospese norme sulla responsabilità di amministratori (e in questo decreto-legge è scritto); mai si erano previste regole ad hoc per alienare i beni di impresa in deroga alle norme su valutazione indipendente, pubblicità, vincolo del migliore realizzo, e chi più ne ha più ne metta (e con questo decreto-legge ciò si reitera); mai, per favorire un caso specifico, si era modificato il concetto di gruppo di imprese e mai si era concesso, con decreto-legge, al commissario liquidatore di operare spezzettamenti di attività produttive unitarie o, come accade con questo decreto-legge per la vicenda di Alitalia, di creare ad hoc rami d'azienda non preesistenti con trasferimento ex lege agli acquirenti di autorizzazioni, licenze e concessioni pubbliche.
Mai tutto ciò era accaduto insieme, e perciò noi voteremo contro questo decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, se è vero che il decreto-legge in discussione introduce alcune significative modifiche alla disciplina contenuta nel cosiddetto decreto Marzano (concernente le procedure di ristrutturazione industriale delle grandi imprese in stato di insolvenza) al fine di portare a termine il lungo, travagliato e sofferto salvataggio della nostra compagnia di bandiera da trasferire, in parte, alla nuova compagnia CAI, è però altrettanto vero che in questa sede non possiamo sottacere le responsabilità del passato Governo Berlusconi che pesano ancora come un macigno su una vicenda dolorosa che, nel trasporto aereo, lascerà sicuramente un segno indelebile per chissà quanti anni ancora.
Una volta dichiarata l'insolvenza di Alitalia, ad una cordata di imprenditori apparentemente generosi, attraverso la nuova società CAI, vengono trasferiti marchio ed asset operativi e produttivi capaci di produrre utili, mentre la bad company, ossia la parte più cattiva, ossia peggiore, cioè improduttiva (debiti compresi: ben 1.172 miliardi di euro, oltre a esuberi di personale, società di servizi ed altro, insomma tutto quanto c'è di cattivo) rimane accollata ad una società - bad company appunto - gestita da un commissario straordinario.
In sintesi - è stato già detto, ma voglio sicuramente ripeterlo - la polpa ai privati e i debiti, gli esuberi e tutto ciò che di negativo c'è in Alitalia, allo Stato e cioè alla collettività, ai cittadini.
Non solo: in questa operazione confluisce il salvataggio dell'altra compagnia aerea in grave difficoltà, Air One, che non era nella partita, di cui non si parlava, ma che improvvisamente è spuntata come un fungo, con la conseguenza che le perdite e gli oneri derivanti peseranno, anche questi, sulla collettività.
Ci domandiamo perché mai. Il dubbio sulla legittimità e sulla correttezza legislativa di questo provvedimento è quanto mai doveroso visto che, secondo i più, si tratterebbe di una vistosa forzatura legislativa delle attuali norme antitrust e di alcune disposizioni in materia penale.
E qui vengo, signor Presidente, alle prime considerazioni.
Innanzitutto, una domanda che credo sia lecito porsi è: quante altre aziende che si trovano o si verranno a trovare nelle medesime condizioni di Alitalia chiederanno l'applicazione dei benefici con i quali oggi si agevola questa operazione?
È una domanda non superflua né inutile visto che sicuramente, una volta data la stura a questo precedente, certamente, in una situazione economica così difficile e in cui la crisi finanziaria si trasmetterà inevitabilmente all'economia reale, è altrettanto opportuno prevedere che situazioni analoghe si ripeteranno e questoPag. 6Parlamento sarà costretto, ancora una volta, ad intervenire, visto che così è avvenuto in situazioni analoghe. Sarebbe poi assurdo, contraddittorio e ingiusto non intervenire in vicende analoghe.
In secondo luogo, è bene ricordare in questa sede che il Governo Prodi aveva operato una procedura ad evidenza pubblica e trasparente - lo ripeto: trasparente - a livello internazionale, al fine di garantire le migliori condizioni di Alitalia Spa per i suoi dipendenti, gli sviluppi futuri del trasporto aereo nazionale e soprattutto, come riteniamo, l'accollo ad altri di quei debiti che oggi, invece, ricadono sullo Stato e, dunque, sulla collettività.
Con il procedimento del Governo attuale, invece, per Alitalia, grande impresa in stato di insolvenza operante nel settore dei servizi pubblici essenziali, come si dice nel decreto-legge in esame, viene prevista l'immediata nomina di un commissario straordinario al quale vengono attribuiti poteri per la cessione di asset, procedendo alla vendita a trattativa privata ad un prezzo di mercato non inferiore alla stima effettuata da un esperto indipendente, così come dispone l'articolo 1, comma 10, del decreto-legge in esame. Peccato, però - dobbiamo dirlo, è stato già detto e lo ripetiamo per l'ennesima volta - che la stima sia effettuata da chi ha un interesse diretto ed immediato con uno o addirittura più soci della società acquirente.
Riteniamo questa norma scandalosa e tale atteggiamento inverecondo e non degno di uno Stato democratico qual è il nostro.
Pensare che qualche anno fa, quando il sottoscritto nel corso della XIV legislatura si occupava di trasporto aereo, le condizioni erano assolutamente identiche, ma parliamo, tuttavia, di qualche anno fa: stesso Governo, stessa maggioranza, stesso Presidente del Consiglio, stessa opposizione (anzi allora più larga) e Partito Democratico, comunque, all'opposizione. Pochi ricordano - mi permetto di farlo presente - che da questi stessi banchi chi vi parla e tanti altri deputati segnalavano la drammaticità della situazione di Alitalia che perdeva rotte, clientela e fatturato, accumulando debiti su debiti. Di tale vicenda ne abbiamo fatto una battaglia, partecipando ad assemblee con i lavoratori e qualcuno ci chiamava cassandre quando avevamo, tutto sommato, non la preveggenza ma il diritto-dovere di segnalare che la situazione di Alitalia stava precipitando.
Già allora - era trascorso da poco quel drammatico 11 settembre che aveva sconvolto gli assetti del trasporto aereo mondiale - Air France, attraverso la fusione con KLM, aveva consolidato la propria posizione nel mondo ed avviato una fase di ristrutturazione massiccia, in grado di tenere e sopportare l'urto che coinvolse tutte le compagnie aeree mondiali.
La stessa Air France, pagando i suoi piloti oggi (dico oggi e non ieri) il 30 per cento in più di Alitalia - ben il 30 per cento in più di Alitalia e, nonostante ciò, i piloti sono stati indicati come gli untori, come coloro che hanno affossato le sorti di Alitalia - lo scorso anno è stata la compagnia aerea che ha realizzato i maggiori profitti nel sistema aereo mondiale, ripeto mondiale e non solo francese.
Lo sanno tutti e non vi è bisogno di ricordarlo in questa sede che la gestione, oggi, di una compagnia aerea è una materia così altamente specializzata e qualificata da richiedere una notevole esperienza specifica nel settore, una competenza e una capacità professionale che nulla ha a che vedere con i settori di provenienza dei personaggi che compongono la cordata CAI.
Per tale ragione sarà solo una questione di tempo perché sarà urgente e necessaria la compartecipazione di una compagnia di bandiera estera a breve termine.
A questo punto sorge spontanea una domanda: perché non si è fatto con Air France ciò che si dovrà fare necessariamente domani, ma con costi enormi, sacrifici immani e certamente un danno complessivo per l'economia generale del nostro Paese? La stessa Air France propose ad Alitalia la fusione tramite lo scambio di azioni.Pag. 7
Allora, è bene ricordarlo perché anche qui forse qualcuno ha la memoria corta: con tre azioni di Alitalia (dico tre azioni) se ne sarebbe ottenuta una di Air France; oggi, se ancora fosse possibile questo scambio, non sarebbero sufficienti cento azioni di Alitalia per scambiarle con una (dico una) sola azione di Air France. Questo è il danno che oggi questo Governo e l'allora presidente hanno creato al sistema del trasporto aereo italiano.
Air France offriva due miliardi e mezzo di euro contro l'offerta della cordata CAI, che non supererà il miliardo, che poi è così suddiviso: 300 milioni all'imprenditore Toto (spuntato come un fungo all'ultimo momento) per l'acquisto di airbus di Air One; 400 milioni ad Alitalia, che serviranno per pagare i trattamenti di fine lavoro; 150 che dovranno essere depositati per la fornitura nei restanti giorni di esercizio; 150 per dare un incremento allo sviluppo della compagnia.
Onorevoli colleghi, non dobbiamo dimenticarci dei 300 milioni che entro il 31 dicembre dovranno essere restituiti al Ministero dell'economia: sarà così? Verranno restituiti questi 300 milioni entro il 31 dicembre? Certamente noi abbiamo qualche legittimo dubbio sulla buona riuscita dell'operazione. Questa è l'amara realtà, di fronte alla quale già da allora - e sono passati ben oltre cinque anni - sostenevamo la necessità di intervenire in fretta prima che la situazione precipitasse.
Se il Governo di allora (lo stesso di oggi, aggiungo) ci avesse ascoltato, avremmo avuto al pari di Klm una compagnia solida, un vettore globale di primo livello leader nel mondo, neanche un euro di debito per lo Stato italiano e, soprattutto, molti meno esuberi di quelli attuali, anziché - diciamolo ancora una volta - un piccolo vettore regionale, dal futuro sicuramente incerto.
Pochi però ricordano che l'allora Presidente del Consiglio, sempre l'onorevole Berlusconi, ebbe a dire con tono quasi trionfalistico che con la nomina del dottor Cimoli avevamo avuto il miglior amministratore delegato che Alitalia potesse avere. Queste furono le parole dell'onorevole Berlusconi. A distanza di pochi anni, però, i risultati si sono visti: l'azienda Alitalia è praticamente fallita (in amministrazione straordinaria), i debiti sono precipitosamente aumentati, il fatturato diminuito, salvo il fatto che dopo il fallimento si vorrebbe premiare l'amministratore delegato Cimoli con una liquidazione milionaria.
Se soltanto, allora, il Governo Berlusconi avesse avuto la modestia, il buonsenso e un maggior senso dello Stato oggi, sicuramente, non ci troveremmo ad affrontare una situazione drammatica e dolorosa per migliaia di precari che perderanno il proprio posto di lavoro e per le casse dello Stato che si troveranno a far fronte ad un'enorme quantità di debiti che si sarebbero potuti sicuramente evitare. Questa, signor Presidente, è l'amara realtà e l'inconfutabile verità che pesa solo sulle spalle di questa maggioranza ed in particolar modo sull'attuale Presidente del Consiglio.
Quindi, fatta questa premessa, doverosa, peraltro, poiché è giusto che in questo Parlamento si ravvivi la memoria, perché non bisogna mai perderla, è in questo contesto che oggi ci troviamo, purtroppo, a convertire un decreto-legge che, seppur necessario per salvare una situazione ormai al tracollo, presenta sotto il profilo della legittimità costituzionale molti punti oscuri.
Il nostro partito e il nostro gruppo hanno mostrato e stanno mostrando tuttora grande senso di responsabilità nell'assecondare (dico assecondare) un'operazione che tende a salvare il salvabile, ma che si sarebbe potuta ben evitare se soltanto si fosse agito in maniera diversa e a tempo debito, e, aggiungo, senza propaganda elettorale.
Infine, signor Presidente, svolgo poche considerazioni di carattere tecnico sul provvedimento in esame. La sospensione temporanea della normativa antitrust in materia di abuso di posizione dominante e di intese restrittive suscita, nella stragrande maggioranza degli esperti e degli operatori del diritto in genere, forti perplessità e forti dubbi di legittimità. InPag. 8particolare, si profila - è stato già detto, ma non c'è da inventare niente e quindi lo ripetiamo - una violazione evidente dei principi della libertà di concorrenza e del mercato in molti settori peraltro strategici e delicati quali l'energia, le ferrovie, la telefonia e molti altri, con vastissimi interessi in campo.
La possibilità di alienare parte degli asset di Alitalia e il trasferimento parziale di complessi aziendali e attività produttive (in precedenza vietato) apre scenari applicativi nuovi, i cui effetti potrebbero essere disastrosi per l'economia nazionale e, soprattutto, per le casse dello Stato. Per il personale in esubero è prevista la cassa integrazione guadagni straordinaria per un periodo di quattro anni, più tre anni di mobilità, indipendentemente - si prevede - dall'età anagrafica. Tutto ciò significa che un lavoratore in esubero all'età di 45-50 anni, trascorso detto periodo, andrà definitivamente a casa, con grandi difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro. Voglio semplicemente augurarmi che il ruolo delle organizzazioni sindacali in corso d'opera sappia tutelare al meglio quei diritti dei lavoratori che il Governo non è purtroppo riuscito a tutelare adeguatamente.
Prima di avvicinarmi alla conclusione, veniamo all'articolo 3 del provvedimento, che trasferisce ex lege ad un terzo, la società, la responsabilità per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della relativa norma e, dunque, attribuendo alla norma medesima un'efficacia retroattiva. È del tutto legittimo sollevare su questa norma forti dubbi e perplessità. Infatti, il secondo periodo del comma 1 dell'articolo 3 specifica la natura della responsabilità, cioè quella amministrativa-contabile, a differenza del primo periodo che invece, nella sua genericità, si presta ovviamente a coprire qualsiasi ipotesi di responsabilità, ivi compresa quella penale, trasferendola impropriamente sull'ente societario, che, come tale - lo sanno anche i bambini - non sarebbe perseguibile, in quanto la responsabilità penale è sempre personale, secondo quanto stabilito dall'articolo 27 della nostra Costituzione. Peccato che quest'articolo non sia noto agli estensori di questo provvedimento!
Dunque, in maniera retroattiva si andrebbero ad escludere da responsabilità civile, amministrativa e, forse, anche penale, per fatti relativi a comportamenti, atti e provvedimenti realizzati dal 18 luglio 2007 fino alla data di entrata in vigore del decreto, gli amministratori, i componenti del collegio sindacale, nonché il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari.
Mi permetto di leggere testualmente, senza aggiungere nulla di mio, le osservazioni che il servizio studi del Senato ha avuto modo di formulare sul presente decreto: si tratta di un'ipotesi di trasferimento ex lege ad un soggetto terzo, quale l'ente societario, della responsabilità per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della relativa norma che, dunque, ha efficacia retroattiva. Innanzitutto, l'ampiezza della formulazione - sostengono gli estensori di questo parere e, quindi, il servizio studi del Senato - e l'efficacia retroattiva della declinazione di responsabilità, che si riferisce ovviamente a fatti commessi prima dell'entrata in vigore del decreto, suscitano diverse perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale prima ancora che dell'opportunità politica (questo lo dicono i funzionari del Senato!). In primo luogo, mentre il secondo periodo del comma 1 dell'articolo 3 specifica il genus di responsabilità, e cioè amministrativa-contabile, di cui si dispone l'esclusione, il primo periodo non opera tale delimitazione (su questo ho avuto già modo di soffermarmi). Ne consegue che prima facie il primo periodo si presterebbe a coprire qualsiasi ipotesi di responsabilità, anche quella penale per fatti ivi disciplinati, attribuendola retroattivamente ad un soggetto terzo rispetto all'autore dell'illecito, quale appunto la società. Si pensi, ad esempio, ai classici reati societari, che possono essere commessi soltanto da una categoria di soggetti (amministratori, sindaci, preposti e così via) affini a quella di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 3 del decreto-legge inPag. 9esame. Ora - fa rilevare il servizio studi del Senato - se tale interpretazione fosse corretta, la norma violerebbe i principi di personalità della responsabilità penale (articolo 27, comma primo, della nostra Costituzione) e di irretroattività delle norme incriminatrici (articolo 25 della Costituzione), dal momento che configurerebbe un'ipotesi di responsabilità non solo oggettiva, ma addirittura per fatto altrui.
Quindi è evidente sotto questo profilo l'illegittimità. Si opererebbe una sorta di amnistia, peraltro in violazione dell'articolo 79 della Costituzione, che disciplina le condizioni particolari di approvazione dei provvedimenti di clemenza.
In secondo luogo si fa rilevare che anche qualora, secondo un'interpretazione adeguatrice e correttiva della norma, la declinazione di responsabilità si limiti ai profili di responsabilità civile o amministrativa, e non coinvolga invece la responsabilità penale, la norma suscita comunque, anche in questo caso, perplessità in relazione a vari profili. Il primo profilo riguarda il principio di personalità della responsabilità, anche civile o amministrativa, per gli illeciti commessi. Se infatti in materia penale il principio della personalità della responsabilità ha rango costituzionale, in virtù dell'articolo 27, comma 1, della Costituzione, tuttavia esso è ritenuto operante in via ordinaria anche in materia civile e amministrativa, relativamente alla responsabilità da illecito. In ogni caso desta perplessità che a tale deroga al principio della personalità della responsabilità da illecito sia attribuita efficacia retroattiva, applicandosi a fatti commessi prima dell'entrata in vigore della norma, in violazione del principio dell'irretroattività.
Il secondo profilo riguarda il principio di eguaglianza e ragionevolezza, dal momento che la norma sancisce una deroga al principio di personalità della responsabilità penale unicamente in favore degli organi di vertice di una società. La ragione espressamente addotta a sostegno di tale trattamento di favore - e dunque il bene giuridico oggetto di tutela - è individuato nel preminente interesse pubblico alla necessità di assicurare il servizio pubblico di trasporto aereo passeggeri e merci in Italia, in particolare nei collegamenti con le aree periferiche. Ma tale motivo potrebbe forse essere ritenuto non sufficiente a legittimare il trattamento derogatorio e di favore introdotto dall'articolo 3: è evidente che la ragione - si rileva - è del tutto insufficiente a violare una norma vigente.
Desta inoltre perplessità l'esclusione della responsabilità amministrativa-contabile di amministratori, componenti del collegio sindacale, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché di pubblici dipendenti e soggetti comunque titolari di incarichi pubblici, sancita dal secondo periodo del comma 1 dell'articolo 3, anche in tal caso relativamente a fatti inerenti a comportamenti, atti e provvedimenti realizzati dal 18 luglio 2007 sino alla data di entrata in vigore del decreto, al fine di garantire - si dice sempre - la continuità aziendale di Alitalia-Linee aeree italiane Spa nonché di Alitalia Servizi Spa e delle società da queste controllate. Si tratta di un'immunità retroattiva di portata decisamente ampia: si pensi alla categoria dei pubblici dipendenti, richiamati in maniera assolutamente generica, che appare peraltro poco giustificabile ai fini del decreto, vale a dire allo scopo di garantire la funzionalità del servizio pubblico di trasporto aereo.
L'ultima considerazione, fatta rilevare sempre dai funzionari del Senato, è che in relazione alla tutela degli azionisti e degli obbligazionisti - e questo è grave e preoccupante, soprattutto per i tanti creditori che oggi non sanno a chi rivolgersi - il provvedimento dispone che coloro che rimangono in possesso dei titoli di Alitalia senza aver esercitato eventuali diritti di opzione aventi ad oggetto la conversione dei titoli in azioni di nuove società (cioè quelle che dovrebbero rilevare le attività di Alitalia), potranno accedere agli indennizzi già previsti per i risparmiatori truffati, compresi quelli danneggiati dal default dei titoli emessi dalla Repubblica argentina, aPag. 10valere sulle risorse del fondo di garanzia finanziato dai cosiddetti conti dormienti dei risparmiatori.
È opportuno e doveroso rilevare come il decreto preveda che azionisti e obbligazionisti ammessi ai benefici del fondo di garanzia siano i soli soggetti creditori tutelati nell'ambito delle procedure di dismissione dell'azienda, mentre la posizione delle altre categorie di creditori sarà pregiudicata dall'esclusione di responsabilità prevista dall'articolo 3, comma 1, del decreto per gli amministratori e i sindaci di Alitalia e di tutte le società controllate, per gli atti posti in essere dal 18 luglio 2007 alla data di entrata in vigore del decreto.
In linea generale, quindi, conclusivamente, la tutela dei creditori delle aziende in crisi è pregiudicata dalla prevista esclusione della responsabilità dell'acquirente per i debiti, relativi all'esercizio delle imprese cedute con la procedura commissariale, sorti prima del trasferimento.
Ma capite di cosa si tratta? Centinaia, migliaia di creditori per servizi e prodotti forniti rischiano di non avere alcuna tutela e sono giustamente in agitazione perché il futuro loro e della loro azienda, con il provvedimento in esame, viene messo profondamente in crisi. Anche questa è una responsabilità della quale voi non potete certamente fare a meno. Tutto questo perché avviene, signor Presidente? Secondo il Governo, per garantire la continuità aziendale di Alitalia e delle società controllate. Ma non scherziamo! È ridicola una giustificazione di fronte a ciò che avete messo in piedi e di fronte a ciò che oggi, purtroppo, per questo comportamento, si potrà verificare a danno di centinaia e centinaia di piccole aziende, che ancora vantano crediti nei confronti di Alitalia.
In Commissione giustizia, in sede di dibattito, prima, e di approvazione del parere consultivo, dopo, abbiamo contribuito a chiarire che nell'esclusione delle responsabilità non si possa includere quella penale, in quanto, oltre che per esigenze palesi di opportunità e per questioni meramente formali, tale atto violerebbe palesemente le norme vigenti. Voglio augurarmi - ma mi dicono che sul provvedimento forse verrà posta la questione fiducia - che questa corretta interpretazione, per la quale anche esponenti della maggioranza hanno espresso in Commissione il loro consenso, possa trovare concreta accoglienza in Aula durante la discussione sugli emendamenti, se discussione ovviamente ci sarà.
Concludo, signor Presidente, ribadendo il nostro totale dissenso su tutta la vicenda Alitalia, nella quale il Governo ha dimostrato inefficienza, incapacità e demagogia, facendo di una questione drammatica e dolorosa, che coinvolge migliaia di famiglie, un becero strumento di campagna elettorale, facendo leva su sentimenti di falso nazionalismo, che nulla avevano a che vedere con i veri interessi nazionali o con quelli più generali del Paese.
Di fronte, comunque, alla necessità di salvare in extremis una situazione disastrosa non ci siamo sottratti né ci sottrarremo alle nostre responsabilità di contribuire con il nostro lavoro a non affossare definitivamente le sorti del trasporto aereo italiano, lasciando però ai cittadini il compito di giudicare chi ha lavorato allo sfascio per miseri interessi di bottega e chi, invece, ha sempre lavorato e continuerà con serietà a lavorare per salvare l'economia del trasporto aereo e le sorti di migliaia di lavoratori (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Meta. Ne ha facoltà.

MICHELE POMPEO META. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, a me pare che sia proprio scomparso il buon senso dall'agenda dei valori del Governo. Infatti, è notizia di questi giorni, purtroppo, che il Governo Berlusconi chiede di sospendere la discussione e la prossima approvazione del pacchetto sul clima dell'Unione europea, arrivando persino a sollecitare un ripensamento degli accordi di Kyoto sulle emissioni inquinanti.
Siamo all'ennesima sbandata della maggioranza, questa volta senza precedenti,Pag. 11proprio nel momento in cui nello scenario preoccupante di una recessione internazionale bisognerebbe avere un'attenzione particolare sulle tematiche ambientali, che potrebbero diventare un'occasione di sviluppo e di innovazione per un sistema economico tradizionale come quello italiano, che fatica a competere sui mercati internazionali per mancanza di risorse e di ricerca. Noi lo sappiamo benissimo, e spero che ve ne rendiate conto anche voi, che qui il rischio è quello di perdere un'opportunità molto preziosa per ripartire. Invece, noi purtroppo rischiamo di andare da un'altra parte, di frenare il progetto europeo di un miglioramento dell'efficienza energetica e della conseguente riduzione di emissioni inquinanti, assumendo posizioni conservatrici e di tutela dell'impresa italiana tradizionale, che in questi anni ha dimostrato spesso assenza di spirito di innovazione.
Del resto, cari colleghi, la mancanza di responsabilità del Governo Berlusconi nei momenti decisivi per le scelte strategiche del Paese ha determinato già alcuni danni. Gli interessi generali sono stati più volte, sinora, messi da parte; sono state sospese le regole del gioco e le garanzie costituzionali in molte vicende, che hanno visto pure, ennesimo oltraggio alla democrazia parlamentare, anche una progressiva marginalizzazione delle prerogative parlamentari.
Il ricorso generalizzato alla decretazione d'urgenza, invocato come strada preferenziale dal Premier, determina uno svuotamento delle funzioni tipiche del Parlamento e una pericolosa deriva per gli assetti istituzionali.
Queste Aule, cari colleghi, sono il luogo principe della rappresentanza degli interessi del Paese e dei suoi cittadini; non sono un intralcio o un ostacolo all'iniziativa dell'Esecutivo, e noi del Partito Democratico ci riprendiamo questi spazi.
Non si tratta, qui, di ostruzionismo; stiamo parlando dell'arricchimento che diamo alla discussione di merito su provvedimenti importanti e decisivi per il Paese. Abbiamo assistito impotenti a molte vicende, registrando passivamente l'iniziativa decisionista del Governo, senza potere esercitare alcun controllo.
Anche lo strumento della fiducia, che vi apprestate a porre anche su questo decreto-legge, dimostra tutta la vostra debolezza e incapacità di confronto con le ragioni dell'opposizione.
Ricordo il primo tentato colpo di mano su Retequattro, l'approvazione di una discussa manovra economica in maniera del tutto inusuale, la gestione della vicenda italiana, l'attacco frontale, senza precedenti, alla scuola pubblica italiana.
Abbiamo dovuto sopportare tutto questo negli ultimi mesi. Avete preferito la scorciatoia dei decreti-legge e della fiducia per evitare qualsiasi confronto, ma il malcontento del Paese è montato. Non si sono date le dovute risposte in termini di sostegno ai redditi e ai consumi e le sorprese non sono finite.
Improvvisamente, c'è molta polemica, un attacco senza precedenti del Governo italiano al pacchetto sul clima dell'Unione europea. Vi siete persino spinti ad un livello pericoloso di scontro, che vede un ripensamento degli accordi di Kyoto, gravissimo se consideriamo quello che sta avvenendo nei paesi industrializzati e nelle economie emergenti.
È evidente, ed è confermato dal tracollo delle borse mondiali e del sistema economico finanziario internazionale, che qui si tratta di costruire un altro mondo, un altro sistema, con regole del gioco chiare. Bisogna ripensare in un'ottica globale alcune variabili e categorie che finora abbiamo utilizzato per interpretare e correggere i fenomeni economici, sociali e culturali del nostro tempo.
Noi del Partito Democratico crediamo che, nel momento in cui ci si ferma e si riflette da dove ripartire, i temi ambientali devono essere una delle matrici identitarie per ripensare un futuro sostenibile, di opportunità e ridistribuzione della ricchezza, di attenzione alle scarse risorse e di riorganizzazione della stragrande maggioranza dei processi economici e politici mondiali.Pag. 12
Venendo al merito del decreto-legge in discussione, ricordo che, se oggi ci troviamo qui a discutere la riforma della disciplina sulle aziende in crisi, è perché questa è stata per voi l'extrema ratio, per poter vendere la parte sana di Alitalia alla cordata italiana costruita a tavolino.
Come abbiamo più volte denunciato, questo decreto-legge è in linea con le modalità e le scelte compiute finora dal Governo: piegare la ragione di Stato e il buonsenso alle logiche decisioniste e personali, non curanti delle posizioni diverse, che pure esistono nel Paese.
Il vulnus originale, cari colleghi, è stato quello di ricorrere alla modifica della normativa fallimentare per le aziende in crisi per giustificare il peccato originale di avere preferito, per ragioni elettorali, la soluzione pasticciata italiana a quella solida straniera.
Avete modificato una legge dello Stato per cucire un abito su misura per la cordata italiana. Devo ammettere che, nel corso del tentativo di salvare la faccia sulla pericolosa deriva che stava prendendo la vicenda CAI su Alitalia, ne abbiamo viste di tutti i colori, perché, cari colleghi, sin dal principio il colpo di mano del Governo su Alitalia ha presentato numerose e dubbie anomalie.
Ricordo, tanto per non far cadere nel dimenticatoio precise circostanze, che una soluzione era all'orizzonte, ed era compatibile con la difficile situazione patrimoniale di Alitalia e con le casse di uno Stato in difficoltà con il debito pubblico. Si è preferito, all'ombra di una presunta difesa dell'italianità della compagnia di bandiera, far fuggire un solido acquirente, che avrebbe valorizzato maggiormente gli asset di Alitalia in uno scenario globale solido e competitivo; ed avrebbe, questo, acquistato il vettore nazionale, il pacchetto completo con debiti e lavoratori: non si sarebbe parlato poi di ridimensionamento dello scalo di Fiumicino o di Malpensa, e di conseguenze disastrose per l'indotto romano, laziale e lombardo. Voi aveste avuto quindi meno «gatte da pelare»: vi siete complicati la vita ed avete distribuito sulle famiglie dei lavoratori del Paese un tremendo stato di angoscia.
Sia nell'approccio che nel merito, la soluzione pare del tutto confusa, pasticciata, addirittura insostenibile; perché non basta avere dei capitali e liberarsi di personale in eccesso e debiti per avere una grande compagnia di bandiera: bisogna avere innanzitutto l'umiltà di riconoscere che forse un abito cucito su misura non è sempre adatto a tutte le occasioni. Bisogna riconoscere che una soluzione come quella che il Governo ha scelto non avrà lunga vita, non garantirà certezze al trasporto aereo nazionale, e non si sfugge da questa domanda criticando il precedente piano di rilancio, che a voi appariva una svendita: non è serio, e soprattutto questo non rende giustizia all'intelligenza politica.
Ricordo che voi avete racimolato, attraverso la scelta di un advisor senza gara di evidenza pubblica, uno sparuto gruppo di imprenditori, il cui core business non è e non sarà mai il trasporto aereo. Avete affidato sempre all'advisor la stesura di un piano di rilancio della compagnia di bandiera, che in realtà la ridimensiona a vettore domestico nazionale: si è privilegiata la scelta strategica dello sviluppo aereo point to point, del modello «zero hub», con una soluzione che preferisce una presenza su sei basi operative. Sono previsti migliaia di esuberi, l'uscita dal perimetro dell'azienda del settore cargo e del polo manutentivo; non si è presa in minima considerazione dall'inizio, come noi insistevamo, la necessità di stabilire un'alleanza internazionale con i vettori stranieri, che possano garantire «fideraggio» ad una piccola compagnia nazionale qual è quella che si va costituendo.
Tutto questo, cari colleghi, avrà effetti devastanti sul sistema aeroportuale nazionale, perché l'obiezione fondamentale che noi muoviamo al Governo è quella di aver affidato, in uno scenario dato, la determinazione delle linee di sviluppo del trasporto aereo nazionale ad un soggetto privato, ad un gruppo tra i più solidi della finanza italiana ed europea - sì, questo è vero - che però ha temuto come altrePag. 13banche il tracollo degli scambi sulle borse mondiali, ovvero è stato oggetto, sia pure in maniera minima, delle speculazioni borsistiche delle ultime settimane.
Non possiamo accettare che la politica, che lo Stato, con le sue funzioni di regolatore e decisore, abdichi in favore del privato in un settore strategico per il Paese. L'impresa ragiona, come è stato autorevolmente ricordato, sulla base del profitto e non in virtù dell'interesse generale. Non si può quindi accettare che la legittima vocazione al profitto dell'imprenditore sia fatta passare per dedizione alla salvezza del Paese: i soci della CAI, ricordiamolo, giocano la loro partita sul velluto, avendo avuto predisposte dal Governo le migliori condizioni possibili per potersi garantire margini di profitto. Si tratta, a differenza dell'ipotesi originale di Air France, di caso tipico di socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti, di cui verosimilmente potrà beneficiare persino il futuro partner internazionale: dall'iniziale patrimonializzazione di prestito ponte di 300 milioni di euro, che voi avete scelto di fare, causando le ire dei concorrenti internazionali e un procedimento europeo di violazione delle normative comunitarie, passando poi per la decisione di affidare ad un soggetto privato, l'advisor scelto senza gara di evidenza pubblica, la preparazione alla messa in opera di un piano industriale che, com'era naturale che fosse, determinerà le sorti del sistema del trasporto aereo nazionale.
L'aver portato avanti nella trattativa con i sindacati la logica degli ultimatum ha determinato - li ricordiamo - elementi di disturbo alla serenità ed alla trasparenza di qualsiasi concertazione, creando proprio un clima di disturbo dentro il quale avete trascinato anche enti indipendenti di controllo come l'ENAC, che hanno contribuito ad alimentare la confusione ed il disorientamento tra i protagonisti della trattativa sindacale (per non parlare della forza lavoro, in particolare delle migliaia di esuberi, soprattutto dei precari e dei lavoratori dell'indotto, fino ad ora considerati dei fantasmi, degli invisibili, dei non garantiti dalla maggioranza, che non esistono e per questo non danno preoccupazione).
Così come, per costruire la cornice di tutele necessarie a questa operazione improvvisata, avete modificato la disciplina fallimentare e sospeso le garanzie di concorrenza del libero mercato, con un decreto-legge che misteriosamente è stato farcito, nel passaggio al Senato, dal discutibile salvacondotto sui manager responsabili del coma ma non della morte dell'azienda, dell'insolvenza ma non del fallimento (un paracadute che ha determinato forti tensioni nel Governo ed una presa di distanza netta da parte del Ministro dell'economia e delle finanze).
Questa vicenda è stata l'ennesimo scivolone, l'ennesimo smacco per la maggioranza, che stranamente ha dichiarato di non essere a conoscenza di tale colpo di mano firmato da un senatore (ennesima vicenda, questa, di attenzione più agli interessi dei poteri forti e dei manager che a quelli dei cittadini).
Negli Stati Uniti in queste settimane i manager che hanno sbagliato facendo perdere in maniera spregiudicata risparmi ai cittadini stanno sfilando in manette davanti alle telecamere e ai giudici; da noi invece, qualcuno della maggioranza pensava bene di introdurre uno scudo, una protezione per legge dalle responsabilità esercitate durante il proprio lavoro.
Noi il nostro lavoro lo abbiamo fatto, siamo stati responsabili nel corso di tutta la vicenda Alitalia, abbiamo creduto e denunciato che molti passaggi non erano trasparenti, erano insensati e costituivano spesso una forzatura delle comuni regoli del gioco.
Il nostro segretario Veltroni è intervenuto nella trattativa con i sindacati per riportare un clima di ragionevolezza tra le parti, per salvare il salvabile ed evitare conseguenze ancora più drammatiche.
Abbiamo presentato in Commissione un pacchetto di emendamenti - che qualche volta sono stati anche accolti - che di fatto ha esteso, cito solo questo caso, le tutele e gli ammortizzatori sociali per i lavoratori dell'azienda e per l'indotto.Pag. 14
Lo abbiamo fatto in Aula con ulteriori richieste di intervento per le migliaia di precari, perché pensiamo sia giusto non lasciare per strada i lavoratori e le loro famiglie che, nel bene e nel male dell'azienda, hanno svolto un ottimo lavoro che ha portato, solo per fare un esempio, la nostra compagnia di bandiera ad eccellere nella sicurezza.
Le stranezze sulla vicenda di Alitalia, del resto, sono state e sono ancora tante (domande cui al Parlamento, in questa sede, non sono mai state date risposte); come, ad esempio, quella sulla scelta, così impegnativa, dell'attuale Esecutivo di affidare la «polpa» di Alitalia nelle mani di una cordata di imprenditori il cui core business, lo ricordo, non è quello del trasporto aereo, senza nessuna garanzia per questa «polpa» che un poco è anche nostra e di tutti cittadini che si sono accollati debiti ed esuberi!
Quello che si sta facendo attraverso lo «spezzatino» aziendale con la modifica della cosiddetta legge Marzano è infatti un'operazione che per i costi grava esclusivamente sulle tasche degli italiani (si è quantificato l'esborso economico in 125 euro a testa) e che probabilmente peserà sui cittadini anche con l'annullamento di fatto della concorrenza sulla terza tratta europea più redditizia, la Milano-Roma.
Proprio sulla tratta Milano-Roma si sta commettendo un errore gravissimo, ovvero quello di non considerare che Trenitalia sta per concludere i lavori dell'alta velocità sul Corridoio 1 e che ci sarà, stando alle dichiarazioni delle Ferrovie, un treno ad alta velocità ogni quindici minuti tra Milano e Roma (guarda caso proprio sulla tratta aerea più redditizia in Italia, intorno alla quale è stato costruito il piano di rilancio della compagnia aerea italiana).
In Francia - lo ricordo per onestà intellettuale -, con l'avvio dell'alta velocità sulla Parigi-Lione, la domanda di trasporto aereo è crollata dal 21 al 7 per cento, il treno è salito dal 47 al 74 per cento e in Spagna, sulla tratta Madrid-Siviglia, si è verificato un fenomeno ancora più incisivo.
A differenza di quanto annunciato solennemente, non esiste alcuna previsione di lock-up sulla proprietà azionaria: dopo attente verifiche sullo statuto della CAI, sembra non risulti minimamente che per cinque anni gli attuali soci della nuova compagnia non possano cedere il proprio pacchetto. Si tratta di un'altra «bufala» data in pasto ai cittadini e agli organi di stampa? Questo ve lo chiediamo, rispondeteci. Diciamo la verità, cari colleghi, state affrontando problemi seri per il Paese, senza la necessaria serietà. Credete che basti una spolverata di decisionismo, una dimostrazione di presunta autorità per il bene comune, per governare questa delicata fase del Paese e dell'economia mondiale.
Quello che noi chiediamo è che la politica, l'amministratore pubblico, riprendano il proprio ruolo di garanzia nello sviluppo dell'impresa, che deve essere coniugato con dosi, più o meno forti, di socialità, pari opportunità, redistribuzione, insomma, con una visione più generale degli interessi dei cittadini, ispirata al riequilibrio delle condizioni economiche. L'interesse generale, noi riteniamo, è quello di avere una compagnia di bandiera sì, ma inserita in un contesto di alleanza internazionale che possa dare beneficio alla mobilità dei cittadini, e possa darlo in termini di costi di trasporti e vantaggi in termini di sostenibilità economica per la collettività. È anche interesse generale del Paese quello di non piegare a logiche di comodo le garanzie costituzionali, le regole del gioco e gli enti di controllo, perché, come è stato dimostrato più volte dalla storia, il pensiero unico non è all'altezza delle sfide globali e dei cambiamenti necessari (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marantelli. Ne ha facoltà.

DANIELE MARANTELLI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il Governo chiede al Parlamento di firmargli una cambiale in bianco. Oggi, noi esaminiamo un decreto-legge che haPag. 15molti profili di dubbia costituzionalità; è improprio parlare di salvataggio di Alitalia. Il Partito Democratico non è contro il salvataggio di Alitalia, anzi, siamo contrari alla scelta del Governo di derogare norme antitrust in materia di concentrazioni con lo strumento del decreto-legge. In passato non risulta che si fossero sospese le norme sulla responsabilità di amministratori e dirigenti, che si fossero previste regole ad hoc per alienare i beni dell'impresa, in deroga alle norme sulle valutazioni dei dipendenti, della pubblicità e dei vincoli del miglior realizzo della cessione dei beni; mai si sono avute regole a tutela di specifici azionisti. Non era mai accaduto che per favorire un caso specifico, si modificasse il concetto di gruppo di imprese e, nemmeno - non si ha memoria -, che si sia concesso per decreto-legge al commissario liquidatore di operare spezzettamenti di attività produttive unitarie, o creare rami d'azienda, non preesistenti, con il trasferimento ex lege agli acquirenti di autorizzazioni, licenze, concessioni pubbliche. Si dirà c'è sempre la prima volta. Sia chiaro che il provvedimento si è reso necessario per evitare il fallimento dell'Alitalia, ma l'impianto che ci viene proposto nel decreto-legge è discutibile non solo nel metodo, ma anche nel merito, come hanno detto altri colleghi. Le disposizioni che modificano la cosiddetta legge Marzano sono - come ho già ricordato - assai discutibili, tanto è vero che l'erogazione del prestito ponte ha già dato avvio a una procedura d'infrazione da parte dell'Unione europea.
L'intesa tra l'Alitalia ed Air One, avrà sicuramente conseguenze negative per i passeggeri (mi riferisco naturalmente ai costi dei biglietti). L'eventuale intesa con Air France non avrebbe fatto cadere sulla fiscalità generale, e quindi sui cittadini, un costo così alto anche per gli ammortizzatori sociali. Con questa proposta il costo per i cittadini sarà, invece, elevato. Intanto, si sono aumentate di 3 euro le tasse aeroportuali per alimentare il fondo, decisione, peraltro, obbligata.
Ciò peraltro non impedirà la perdita di migliaia di posti di lavoro. La virata del Governo rispetto alla campagna elettorale è stata clamorosa. Una campagna elettorale condotta sul tema di Alitalia con grande efficacia. Cito l'onorevole Berlusconi: salveremo l'Alitalia e rilanceremo l'hub di Malpensa. Cito la Lega: per salvare il carrozzone romano di Alitalia il Governo Prodi uccide il nord. Si tratta di due slogan geniali.
Spero che i docenti di scienza della comunicazione insegnino ai loro studenti come l'abilità dei messaggi sia stato un fattore importante del successo elettorale della destra, non l'unico ovviamente. Smascherare quegli slogan era possibile, ma si rendeva necessario un convegno, e tra il convegno e lo slogan non c'è partita, vince sempre quest'ultimo. Gli slogan hanno la forza di rimuovere persino la realtà. Le difficoltà di Alitalia affondano le loro radici in un tempo molto lontano. Vi hanno concorso responsabilità politiche diffuse, e non solo politiche. Mi limito a ricordare i dati essenziali dal 2003, cioè cinque anni fa. Nel 2003 Alitalia perde circa 520 milioni di euro; nel 2004, 858 milioni; nel 2005 il Governo Berlusconi, da quattro anni alla guida del Paese, che fa? Privatizza l'azienda? Colpisce sacche di privilegio? Nulla di tutto ciò. Chiede ai cittadini un enorme sacrificio. Ricapitalizza Alitalia senza definire un piano industriale convincente. Stretta tra i grandi vettori europei (Air France, British Airways, Lufthansa) e l'aggressività delle compagnie low cost, Alitalia brucia rapidamente quelle risorse, si ritrova in mezzo al guado, e vola verso il baratro. Presidente del Consiglio e i Ministri dell'economia e dei trasporti dell'epoca erano tre lombardi: Berlusconi, Tremonti e Lunardi. Sul loro operato mi pare che gli stessi Ministri leghisti delle riforme e del welfare non avessero avuto nulla da ridire.
Intendiamoci, le responsabilità del management Alitalia sono state macroscopiche. Ero e resto però convinto che la strategia del trasporto aereo di un paese del G8 debba essere decisa dai Governi. Così non è stato. C'è un dato che inchioda le diverse istituzioni nazionali, regionali e locali del nostro Paese: sette italiani suPag. 16dieci che viaggiano su voli intercontinentali non partono né da Fiumicino né da Malpensa. E mentre accadeva questo fenomeno, determinato dal proliferare di piccoli aeroporti, negli ultimi dieci anni il dibattito sul ruolo degli hub di Roma e di Milano è proseguito con insostenibile leggerezza dell'essere come se ci trovassimo di fronte ad accese tifoserie calcistiche. Politici, economisti, intellettuali, giornalisti, sindacati e associazioni, le più diverse: non ci siamo fatti mancare nulla, poi poco importa se i protagonisti del dibattito non sapessero distinguere una curva isofonica da un cono di volo, contava partecipare al dibattito.
Sentiamo allora il bisogno di richiamare questo recente passato perché è necessario imprimere una svolta per il futuro, e tra le difficoltà dell'oggi è agevole vedere, anche nel passato recente, responsabilità delle classi dirigenti del nord. La difesa ad oltranza di Linate, che aveva ed ha e dovrà avere un ruolo importante, in un momento particolarmente delicato ha favorito sfacciatamente le compagnie aeree straniere. Il comune di Milano, proprietario di SEA, ha spesso utilizzato gli utili della società di gestione aeroportuale per le casse dell'amministrazione, sottraendoli ad investimenti sull'hub. La stessa Lega ha avuto il presidente di Alitalia, l'avvocato Bonomi attuale presidente SEA, senza che ciò abbia luogo dato luogo a risultati esaltanti. L'impegno contenuto nel piano industriale, per esempio, di realizzare la base di armamento su Malpensa è stato largamente disatteso. La stessa regione Lombardia sul piano d'area di Malpensa proponeva, prima e poi anche successivamente all'11 settembre 2001 dopo la strage delle torri gemelle, di realizzare un secondo hub in Lombardia, a Montichiari. Pare incredibile, ma questa proposta era contenuta nei piani regionali di sviluppo della regione.
Ora il dibattito su Alitalia, per quanto ci riguarda, si è opportunamente concentrato su un punto fondamentale della partita: la storpiatura delle regole del gioco compiuta dal Governo, che ha creato una parte sana della compagnia aerea e l'ha consegnata, senza mai metterla sul mercato, ad una cordata. Gli imprenditori hanno fatto il loro interesse e ovviamente la responsabilità di tutto questo non è possibile attribuirla a questi ultimi, anche se per alcuni di essi vi è un evidente conflitto di interessi, come abbiamo avuto modo di segnalare nel luglio scorso quando abbiamo discusso, per esempio, il rinnovo delle concessioni autostradali.
Gli imprenditori e le aziende fanno il loro mestiere: cercano occasioni per fare affari vantaggiosi. Che cosa ha fatto il Governo? Ha preso tutti i problemi dell'Alitalia e li ha messi in una cosiddetta bad company (debiti, esuberi di personale vario, attività poco redditizie); poi ha messo la parte «buona», consistente negli aerei (salvo una parte, quelli più obsoleti), nel personale necessario di terra e di volo, nelle proprietà immobiliari, negli slot (cioè le varie autorizzazioni agli atterraggi di cui Alitalia dispone), ha convocato (o fatto convocare) un gruppo di imprenditori e ha detto loro che, tirando fuori somme non astronomiche, potevano comprare quelle risorse a condizioni molto convenienti, fare funzionare l'attività per almeno cinque anni, senza doversi accollare alcuna negatività pregressa, fare così aumentare il valore della società e, poi, eventualmente, venderla: la parabola classica dell'economia finanziaria. Il tutto senza che vi fossero altre offerte, perché la good company non è mai stata messa sul mercato.
E perché mai quegli imprenditori avrebbero dovuto dire di no? Non ha senso criticare le aziende solo perché seguono le regole del gioco. «Se vogliamo che giochino diversamente, dobbiamo cambiare le regole del gioco», ha scritto in un suo recentissimo libro, Robert Reich, che aggiunge, sempre parlando delle aziende: «Il loro unico movente legittimo è quello di soddisfare i consumatori al fine di generare profitti che soddisfino gli investitori». Per fare questo il Governo gli dà, nientemeno ed in spregio alle normative antitrust, l'esclusiva sulla Roma-Milano, tratta da tutti appetita perché molto frequentata. Quindi, soddisfatti o non soddisfatti, i consumatori non avrebbero altraPag. 17scelta, almeno sino a quando il treno non sarà veramente competitivo per gli spostamenti giornalieri su quella tratta.
Sempre Reich continua dicendo: «L'unica ragione per cui sostengono di farlo in nome dell'interesse pubblico è ottenere l'appoggio dei cittadini e fare politicamente leva su di esso». Perfetto: infatti, si è sentito più volte il dottor Roberto Colaninno dire che si stava accollando, in nome degli interessi nazionali, una (testualmente) «compagnia disastrata» quasi un amaro calice la cui ragione era la difesa della bandiera. Eh no! Non si può rimproverare al dottor Colaninno, imprenditore di valore e dotato anche di carisma e leadership personale, di fare il suo mestiere. Ma lui sa benissimo che quanto dice non corrisponde alla realtà perché i disastri sono stati scontornati e messi tutti nella bad company, le cui negatività ricadranno solo sulle spalle degli italiani, mentre loro, gli azionisti della CAI, si troverebbero di fronte ad un problema di natura industriale ben diverso, evidentemente, da quello che si sarebbe accollato Air France. Infatti, lo stesso dottor Roberto Colaninno in un'intervista ha detto: «Perché poi, in un tempo successivo, non dovrei vendere, se mi conviene?». Ha ragione, non fa una piega: perché non dovrebbe? Ma agli italiani cosa resterebbe? Tutti i debiti pregressi ed i costi attuali e futuri (si pensi agli ammortizzatori sociali per migliaia di persone per sette anni) relativi alla bad company. Inoltre, non è vero che gli interessi nazionali, in specie quelli turistici, sarebbero salvaguardati, poiché la CAI avrebbe natura regionale, cioè opererebbe nel corto-medio raggio con pochissime rotte internazionali e intercontinentali: ed è ben evidente che è dall'estero che vengono i principali flussi turistici.
È in quest'ambito che emergono le maggiori criticità relativamente al comportamento del Governo. Inizialmente hanno bocciato la vendita ad Air France in nome dell'italianità, poi hanno forzato le regole del mercato attraverso leggi ad hoc, scaricando sul Paese costi ingenti e dopo tutto questo, cosa hanno ottenuto? Attraverso quale accordo e quale dettato normativo l'imprenditore italiano garantirebbe al Paese il soddisfacimento di un presunto interesse nazionale che prima sarebbe stato altrimenti minato? Diciamoci la verità, in mancanza di un piano governativo per il trasporto aereo italiano, e comunque senza - giocoforza in virtù della privatizzazione - un controllo diretto da parte del Governo su CAI, è legittimo aspettarsi da quest'ultima un comportamento industriale funzionale al solo raggiungimento degli obiettivi posti dall'azionista: nulla di più, nulla di meno. La stessa cosa l'avrebbe garantita da Air France con due differenze. In primo luogo, i debiti di Alitalia sarebbero rimasti all'interno del perimetro aziendale e un imprenditore che si accolla, dentro un processo di acquisizione, un onere del genere, lo fa perché è evidentemente mosso dalla consapevolezza delle proprie capacità industriali.
In secondo luogo, il know-how specifico non è paragonabile rispetto a quello della cordata italiana. In quest'ottica, i rischi paventati da molti politici, anche locali, del nord, relativamente alla possibilità di stringere il nord del Paese dentro una morsa che ci avrebbe imposto di migrare per esempio a Parigi, per prendere le coincidenze per gli USA, è assolutamente priva di senso. Il mercato, almeno qui - visto l'accordo open sky - avrebbe fatto e farà il suo mestiere.
Allora in questo, ritornando a quanto detto prima, il progetto CAI appare in controtendenza (e su questo il gap di know-how incide parecchio) perché mentre tutte le previsioni di grande aumento del traffico aereo riguardano le rotte internazionali di lungo raggio, la nuova Compagnia sarebbe quasi assente da esse, se non grazie all'intervento di un vettore di grandi dimensioni - europeo oppure extraeuropeo, ma certo non italiano - disposto a fare l'interesse del sistema Italia non certo per un vincolo identitario, ma solo in ragione di un sacrosanto interesse industriale.
Ragionando per assurdo e seguendo il canovaccio delle posizioni dell'attuale Governo, dovremmo aspettarci manifestazioniPag. 18di protesta in Francia (Air France) o in Germania (Lufthansa) visto che con una partecipazione industriale «all'interesse italico» verrebbe automaticamente meno il sacro vincolo che lega queste aziende agli interessi dei loro singoli Paesi. Fortunatamente, i Governi tedesco e francese sembrano avere sulla vicenda, almeno per il momento, un comportamento decisamente diverso.
Un ulteriore spunto di riflessione può esser fatto circa la strana fusione fra «buona Alitalia» ed Air One, la quale ultima versa in condizioni non eccellenti e pare sia molto esposta verso Banca Intesa, che ha fatto il progetto della cordata e parteciperebbe anche all'azionariato della CAI: strano che in molti ambienti, solitamente così severi con il centrosinistra, nessuno abbia sollevato il problema più che evidente del conflitto di interessi. Se gli imprenditori rivendicano unicamente il proprio ruolo e non pretendono di essere considerati i salvatori della Patria, non c'è nulla da rimproverare loro, nei casi in cui non sussistano appunto conflitti: ognuno fa il proprio mestiere. Come scriveva appunto Robert Reich, bisogna prendersela con chi ha fissato le regole del gioco, cioè con il Governo e, in particolare, con il Presidente Berlusconi e con il Ministro Tremonti (non dimentichiamo che il Ministero dell'economia e delle finanze è azionista principale dell'Alitalia, essendo questa una compagnia pubblica). È perciò il Governo a dover essere chiamato in Parlamento a rispondere, con argomenti dettagliati e non facendo retorica, su ciò che ha fatto e su come lo ha fatto. Non c'erano altre offerte? Falso, falsissimo: la buona Alitalia (quella «ripulita») non è mai stata messa sul mercato. Se ciò fosse avvenuto, con una procedura d'asta, come si addice ad ogni operazione di privatizzazione, invece di assegnare gli asset di valore a trattativa privata, sarei stato curioso di vedere se le offerte sarebbero arrivate oppure no, e se sarebbero state più o meno convenienti, sul piano dell'interesse generale e di quello dei lavoratori, dell'offerta della CAI.
È su tali argomenti, maledettamente concreti, e non usando retorica e propaganda, che il Governo non ci ha mai risposto con chiarezza. Sappiamo molto poco del piano industriale, il cosiddetto «Piano Fenice». Sul personale si dice che vi sono 12.500 dipendenti, compresi quelli di Air One. Vi sono - si annunciano - 3.250 tagli (a noi risultano molto di più), con 7 anni di ammortizzatori sociali, 4 più 3. Nessuno ci ha fornito cifre significative sull'indotto. Segnalo che il prossimo anno farà schizzare in alto l'uso della cassa integrazione. Il crollo dell'11 per cento della produzione industriale nell'ultimo anno (il più alto dal 1991) scaricherà sul 2009 dure conseguenze sul piano dell'occupazione. Ed è facile prevedere sin da oggi un massiccio ricorso alla cassa integrazione, appunto.
Si tagliano 75 aerei che, compreso Air One, saranno 153. Si tagliano 53 rotte. Non avremo nessun hub. Questo è quanto sappiamo del piano industriale, cioè quasi nulla, però se Alitalia ha 18 mila dipendenti e Air One 3 mila, gli esuberi sono oltre 7 mila, oltre ai lavoratori di Alitalia (perché rimangono fuori dal perimetro dell'accordo, per esempio, i lavoratori del cargo).
Su questo punto sarebbe necessaria una riflessione, si dice nel piano di valorizzazione. Traduco in italiano: vendita. Ma il cargo è o no un settore strategico per il sistema Paese? In anni pur difficili, abbiamo retto, il Paese ha retto, grazie all'export (quello ad alto valore aggiunto), ma se il cargo non funziona è facile prevedere che le merci ad alto valore aggiunto, dopo avere inquinato le strade del nord e i valichi alpini, partiranno da Francoforte. Tutto ciò corrisponde agli interessi del Paese?
Sulla base di queste ragioni, confermo il giudizio iniziale: il Governo ci chiede, con l'approvazione del decreto-legge in oggetto, di firmare una cambiale in bianco. Il Partito Democratico non la firmerà. Il Partito Democratico non ha mai lesinato impegno e senso di responsabilità per risolvere il problema di Alitalia. Siamo esenti da errori e critiche? Certamente no.Pag. 19Quando il Governo di centrosinistra aveva deciso la privatizzazione della compagnia di bandiera (ex), inizialmente aveva posto l'asticella troppo in alto e, infatti, il mercato l'ha bocciata. Successivamente, si era imboccata una strada ragionevole: la proposta di Air France sfumò per resistenze di natura sindacale ma, soprattutto, per la chiara e plateale ostilità manifestata prima e dopo la campagna elettorale dal Presidente Berlusconi.
Oggi ci rendiamo conto che non vi sono alternative alla CAI, ma al Governo chiediamo: qual è la sua strategia per il trasporto aereo del nostro Paese? Ad oggi, non c'è e, soprattutto, in vista di scadenze importanti per l'Italia, come quella dell'Expo 2015, si stima che arriveranno nel nostro Paese otto milioni di visitatori dall'Europa e due milioni di visitatori extraeuropei: possiamo affrontare questa sfida senza un moderno ed efficiente sistema aeroportuale? Il Presidente del Consiglio dei ministri nei giorni scorsi ha lamentato l'eccessiva lentezza delle decisioni del Parlamento e ha sostenuto che procederà sempre più spesso per decreto-legge. E allora come mai, a distanza di molti mesi dall'assegnazione, non ha ancora firmato ed emanato il decreto per la governance dell'Expo, come gli chiede giustamente anche oggi il Ministro per le riforme per il federalismo, leader del partito a lui alleato?
Poniamo queste domande, perché vogliamo rassicurare il Presidente del Consiglio dei ministri: noi del gruppo del Partito Democratico non siamo sicuramente oggetto, al momento, di malattie depressive. Ci è chiaro quello che ci aspetta e pertanto, vogliamo chiedere al Governo due cose. In primo luogo, i patti bilaterali devono essere liberalizzati. In questo momento, essi favoriscono la vecchia e nuova Alitalia. La CAI mantiene gli asset, ma deve essere il mercato, caro sottosegretario, a decidere perché, se Lufthansa decide di realizzare un volo Malpensa-Tokyo, oggi non potrebbe, perché il patto prevede un sistema di monodesignazione. Questo aspetto va affrontato. In secondo luogo, deve essere chiaro il piano industriale. In fretta va deciso quale sarà il partner internazionale, in fretta e in modo trasparente.
Mi auguro che su questi punti - e vado a concludere - il Governo si assuma le proprie responsabilità, le proprie, che non sono quelle della CAI. È tempo di lasciarci alle spalle mesi di comportamenti opachi. La crisi finanziaria avrà conseguenze relative sull'economia reale del nostro Paese, diversamente da quanto ha affermato lunedì scorso il Presidente del Consiglio dei ministri. Ma come si può immaginare che non vi siano conseguenze reali su un Paese che detiene il terzo debito pubblico più grande del mondo, che non dispone di materie prime, che ha il tasso di disoccupazione più alto degli ultimi dieci mesi e quei dati sulla produzione industriale che prima ho richiamato? Dobbiamo lasciarci alle spalle i metodi opachi e la propaganda. Abbiamo bisogno di affrontare le sfide che ci attendono, anche con un moderno sistema aeroportuale.
Chiediamo al Governo di cambiare passo e di confrontarsi in modo trasparente con il Parlamento, cosa che finora non ha fatto. Il Partito Democratico - lo sappia il Governo - agirà sul terreno del cambiamento e dell'innovazione. Non vi daremo tregua nell'interesse dei lavoratori e del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Recchia. Ne ha facoltà.

PIER FAUSTO RECCHIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, è già stato detto che il provvedimento in discussione in materia di ristrutturazione delle grandi imprese in crisi è tagliato su misura per Alitalia.
Attraverso l'ennesimo decreto-legge cui si è fatto ricorso in questo inizio di legislatura il Governo immagina di aprire la strada al salvataggio della compagnia di bandiera, un salvataggio che avverrebbe grazie alla discesa in campo di CAI (una nuova società espressione di una cordata tutta italiana) sulla base di un piano denominato Fenice.Pag. 20
A seguito delle procedure previste dal decreto-legge, il consiglio di amministrazione di Alitalia ha dichiarato lo stato di insolvenza e la compagnia è stata affidata alla gestione di un commissario straordinario. Il Governo attraverso il provvedimento in esame ha chiesto di estendere ad Alitalia quanto già previsto per il crack di Parmalat con la legge Marzano che oggi ci apprestiamo a modificare, una legge pensata per creare una variante più rapida della procedura di amministrazione straordinaria - che altro non è se non un fallimento affidato al controllo politico - riservata alle imprese con grandi debiti, ma capaci di camminare con le proprie forze grazie ai ricavi delle attività, con l'obiettivo di ridurre quei debiti ad un livello sostenibile. È a partire da questa capacità che Parmalat si è potuta ristrutturare e tornare ad essere quotata in borsa.
Alitalia, viceversa, si trova in una condizione assai diversa. Perde ogni giorno denaro (si parla di due milioni di euro) e il problema, pertanto, non sono soltanto i debiti accumulati, ma l'entità delle perdite che continuano a prodursi quotidianamente.
Va detto subito che l'intera procedura che il Governo Berlusconi ha voluto seguire nella gestione di questa vicenda è segnata dalla opacità: prima si sono trovati i compratori scegliendoli in modo arbitrario e personale; poi si sono registrate le loro condizioni e, quindi, si sono scritte delle norme che dovrebbero valere erga omnes, ma che in realtà sono state tagliate su misura per la cordata CAI.
Ripassiamo i punti significativi introdotti dal decreto-legge. Innanzitutto, esso prevede la possibilità di cessione di asset: il commissario straordinario può decidere la cessione di complessi aziendali e individua l'acquirente a trattativa privata tra candidati che garantiscano - tra l'altro - la continuità del servizio e la rapidità dell'intervento. Il prezzo di cessione non deve essere inferiore ai valori di mercato indicati da un advisor.
Il decreto-legge prevede poi deroghe alla normativa antitrust; l'operazione che farà rinascere Alitalia in una nuova compagnia - la CAI, appunto - risponderà a preminenti interessi generali e sarà così esclusa dalla necessità di autorizzazione antitrust. Su eventuali monopoli (è il caso della concentrazione sulla rotta Linate-Fiumicino, vicina al cento per cento per la prevista integrazione di Air One nella nuova compagnia) l'Autorità potrà intervenire solo dopo il 30 giugno 2009. I limiti temporali posti all'applicabilità delle norme ne fanno di fatto un'eccezione solo per il caso di Alitalia.
A proposito degli ammortizzatori sociali, il Governo concede misure di sostegno agli esuberi per sette anni, porta a 48 mesi il periodo massimo di cassa integrazione e a 36 mesi quello di mobilità e stanzia le necessarie risorse.
Naturalmente, si tratta soltanto di alcuni dei punti di novità contenuti nel decreto-legge, tuttavia sono i punti qualificanti posti da CAI come condizione per realizzare l'operazione di salvataggio. Sostanzialmente essi sono: la sospensione della normativa antitrust, l'individuazione dell'acquirente attraverso una trattativa privata e la riforma della legge Marzano, al fine di favorire il passaggio dalla vecchia Alitalia alla costituzione di due nuovi contenitori, la good company, con le attività dell'azienda che andrà alla cordata di imprenditori italiani e la bad company, con i debiti dell'azienda che andrà in dote ai contribuenti, rigorosamente italiani anch'essi.
L'Autorità garante della concorrenza e del mercato che dovrebbe autorizzare preventivamente l'acquisto viene, di fatto, esautorata. Avremo, pertanto, posizioni di monopolio legale alla partecipazione di Air One tra gli azionisti di CAI. L'operazione, infatti, non è propriamente solo il salvataggio di Alitalia (come è già stato detto), la cui parte debitoria finisce a carico dei cittadini, ma è soprattutto il salvataggio di Air One di cui nessuno conosce i debiti e le pendenze e che saranno - queste sì - riassorbite dal mercato.
La KPMG ha approvato con riserva il bilancio per l'anno 2007 di Air One; il bilancio consolidato del gruppo Toto haPag. 21più di un miliardo di debiti e lo stato patrimoniale presenta un segno negativo.
Anche la ricerca del compratore attraverso una trattativa privata è una grave forzatura che non garantisce ai creditori il massimo realizzo possibile e affida al compratore una posizione di monopolio in danno alla concorrenza, così come è già stato accennato.
Inoltre, per non lasciar nulla al caso, anche alcuni dettagli sono assai rilevanti: il prezzo a cui dovrà essere venduta la good company non dovrà essere inferiore ai valori di mercato e dovrà essere definito da un advisor.
Ebbene il 4 settembre scorso il Ministro Scajola ha incaricato la Banca Leonardo di effettuare la valutazione sull'attivo della compagnia di bandiera, ma, guarda caso, compaiono, tra i soci della banca advisor, Ligresti, Benetton e Tronchetti Provera, come noto già soci di CAI.
Sarebbe molto sorprendente, e sicuramente lo sarebbe per me, se la valutazione di Banca Leonardo fosse molto distante dall'offerta di Colaninno. Pensate se fosse, ad esempio, doppia rispetto all'offerta di CAI: cosa succederebbe? CAI si ritirerebbe? Crollerebbe tutta l'operazione compresa la faticosa trattativa già avvenuta e conclusa positivamente con i sindacati.
Difficile credere, dunque, che Banca Leonardo valuti l'attivo di Alitalia in modo tale da correre questo rischio; tuttavia, in termini teorici, il rischio esiste. Esiste, cioè, il rischio che il piano Fenice non vada in porto. Quindi, prima di gridare vittoria, conviene prudentemente aspettare che tutto si compia.
Quella della valutazione dell'advisor, però, è solo una fra le tante incertezze e opacità di questa operazione. Penso al tema degli esuberi del personale: quanti sono? Si tratta di lavoratori a tempo pieno o precari? E per i precari - alcune migliaia - non si prevede alcuna copertura?
Sarebbe opportuno se, prima di concludere il dibattito parlamentare su questo provvedimento, il Ministro Sacconi fornisse, una volta per tutte, qualche cifra sugli esuberi, una stima che possibilmente comprenda, non solo i dipendenti Alitalia, ma anche i lavoratori indiretti e quelli dell'indotto. L'abbiamo chiesto molte volte nelle opportune sedi parlamentari, ma non abbiamo ricevuto risposte chiare; lo chiediamo ancora una volta: quanti sono gli esuberi?
Alitalia insieme ad Alitalia Servizi ed Air One contano 22.550 dipendenti, la nuova compagnia né assumerà 12.650, gli esuberi dichiarati sono 3.200. E gli altri settemila, che fine fanno? In quali attività sono collocati? Ed i lavoratori stagionali e temporanei, cioè quelli precari, utilizzati ormai da anni per far fronte ai picchi delle concentrazioni di traffico estivo e turistico, quanti sono? E per loro quali tutele vi saranno? E tutto l'indotto, diretto o indiretto, che ruota intorno a tante piccole e medie imprese, a quali conseguenze andrà incontro?
Vi fornisco un dato relativo alla mia città: la camera di commercio di Roma ha previsto una perdita di circa trentamila posti di lavoro solo nell'indotto del trasporto aereo romano.
A tutti questi interrogativi il Governo risponde allungando la cassa integrazione da cinque a sette anni, oltretutto differenziando il mondo del lavoro all'interno della situazione di crisi, affermando il principio che sia cosa diversa perdere il lavoro in Alitalia rispetto a tutte le altre aziende che versano in situazione di crisi.
Vi è, però, anche un dato politico che vorrei rilevare, visto che la tanto dileggiata cassa integrazione, fonte di sperperi delle risorse pubbliche secondo la propaganda di destra di questi anni, diventa la vostra unica risposta risolutiva per gli esuberi diretti a tempo indeterminato lasciando, peraltro, al loro destino tutti gli altri, di fronte ad una crisi che ridimensiona il nostro trasporto aereo e le attività ad esso collegate.
In questo quadro è difficile dire quanto peseranno gli ammortizzatori sociali sulle casse dello Stato, ma più in generale è difficile dire quale sarà l'impatto sui conti pubblici dell'intero intervento previsto.Pag. 22
Eppure sarebbe nostro diritto, un diritto dei contribuenti, conoscere lo stato debitorio dell'azienda, quale sia l'attivo aziendale ed il costo degli ammortizzatori sociali, quanto costa la tutela dei piccoli azionisti, tema quest'ultimo che da solo meriterebbe un dibattito parlamentare.
In molti, intendo dire, anche povera gente, hanno investito in azioni Alitalia credendo nella compagnia e nello Stato che ne è ancora il principale azionista ed il titolo è andato a fondo ed è stato anche sospeso e congelato per un tempo assai lungo. Quei cittadini hanno diritto di sapere perché il loro investimento è diventato carta straccia e cosa succede ora. A questo proposito, il Codacons ha presentato un esposto alla procura di Roma, e anche questo è noto.
Ci sono altre opacità sul piano industriale di CAI: l'apporto di capitali freschi sarebbe di circa un miliardo di euro comprensivo dei 400 milioni ipotetici da dare al commissario per l'attivo di Alitalia ed i 300 da dare ad Air One. Non appare un capitale sufficiente per una società che intende investire sul rilancio della compagnia aerea di bandiera con una prospettiva di lungo termine.
Il profilo strategico pare allontanare la nuova Alitalia dal ruolo di compagnia internazionale che gli avrebbe garantito Air France: la compagnia sarà incentrata sul mercato interno che si riorganizzerebbe su sei scali principali: Roma, Milano, Torino, Venezia, Napoli e Catania, con una posizione da monopolista sulla rotta Milano-Roma.
Si tratta di un piano che espone la nuova Alitalia ai rischi derivanti dalla congiuntura nazionale, non troppo rassicurante. Non appare, intendo dire, un piano che guarda al futuro che sia di crescita, quanto piuttosto un piano per gestire l'immediato, ossia l'emergenza. Ci si prefigge, dunque, una gestione di breve-medio periodo della compagnia, con l'obiettivo di metterla poi nella disponibilità del mercato.
D'altra parte, tra breve, CAI diventerà una società per azioni. Come evitare che le quote possano essere acquistate dal mercato? Terrà il patto - direi il patto tra gentiluomini - che vincola la cordata italiana a rimanere in sella per almeno cinque anni? Quello che succederà inevitabilmente e auspicabilmente - perché noi siamo davvero interessati e ci sentiamo impegnati a costruire una compagnia efficiente che faccia volare gli italiani e tuteli più lavoratori possibili - sarà che la gestione operativa dell'azienda finirà in mano a una compagnia aerea straniera che CAI sta cercando e che entrerà, a sua volta, a far parte dell'alleanza. A quel punto, attraverso la gestione prima e la proprietà poi, l'azienda passerà sotto il controllo straniero. Se ciò accadrà, come ritengo probabile, saremo attenti ad ascoltare le parole e a valutare l'operato del nostro Presidente del Consiglio che ha fatto dell'italianità dell'azienda l'unico vero motore strumentale di questa operazione opaca e pasticciata.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che vada fatta anche una riflessione sul ruolo che svolge lo Stato in questa vicenda e sul tema del trasporto aereo. Siamo convinti che la politica debba restare fuori dalle scelte delle alleanze industriali, le quali devono essere trovate nel mercato e a partire da esso. Lasciamo che CAI si adoperi affinché individui le migliori alleanze. Tuttavia, si può delegare ad un soggetto privato la definizione delle linee di sviluppo del trasporto aereo nazionale? Non ho, infatti, ben compreso qual è il piano di sviluppo degli aeroporti del nostro Paese. Abbiamo detto che il piano Fenice prevede sei scali: Malpensa, Fiumicino, Napoli, Catania, Torino e Venezia. Ma ciò corrisponde anche al piano aeroportuale previsto dal Governo per il Paese?
Come ha ricordato poc'anzi il collega Vico, oggi sul Mediterraneo volano circa 200 milioni di passeggeri, rispetto agli 800 milioni di passeggeri che volano in tutto il mondo e si prevede che nel 2025 diventeranno 400 milioni. Non solo: si deve ricordare che il nostro Paese si trova in una posizione geografica strategica che guarda ai Balcani, alla Russia e al centro Asia. Qual è, allora, la politica sugli hub?Pag. 23Malpensa e/o Fiumicino? Oppure si ritiene che il modello hub sia superato, come pensano in molti, e che si debba lavorare piuttosto su un modello point to point? Intendo dire che va messo a punto un piano nazionale degli aeroporti e più in generale della mobilità che non può essere affidata a CAI né a nessun altro soggetto privato. Dobbiamo sapere anche quali sono le correlazioni con il trasporto ferroviario e con quello marittimo, ossia quali sono le aree del Paese sulle quali investiamo di più con lo sguardo rivolto al mondo. Il Governo non può sottrarsi alla definizione di una politica per il trasporto e per le infrastrutture nazionali che sia consapevole del valore strategico delle reti di comunicazione.
Tornando al decreto-legge in esame, non possiamo dimenticare il ruolo di controllo che svolgono l'Europa e le sue istituzioni, le quali sono chiamate ad esprimersi. Come sapete, il 1 settembre 2008 il Governo italiano ha notificato alla Commissione europea il decreto-legge n. 134 del 2008. La Commissione, entro il termine di due mesi dalla data di ricezione, potrà decidere se il decreto-legge è compatibile con il mercato comune e, dunque, decidere di non sollevare obiezioni o, in caso contrario, avviare un procedimento di indagine formale.
In particolare, i punti oggetto di verifica, da parte della Commissione, riguarderebbero l'assenza di aiuti di Stato alla società acquirente degli asset di Alitalia, la CAI appunto, e l'assenza di una continuità aziendale tra Alitalia e la nuova società acquirente, al fine di verificare se quest'ultima dovrà essere ritenuta responsabile dell'eventuale restituzione del prestito-ponte di 300 milioni disposto dal decreto-legge n. 80 del 2008.
Ebbene, per escludere un nuovo aiuto di Stato la vendita degli asset, secondo la Commissione, deve essere operata a condizioni di mercato e con una procedura trasparente. L'eventuale vendita ad un prezzo inferiore a quello di mercato, oltre a rappresentare un nuovo aiuto di Stato, potrebbe essere indizio della volontà di aggirare un obbligo di restituzione di aiuti ricevuti in precedenza da Alitalia.
Mi riferisco sempre al prestito ponte, e metto da parte l'approfondimento sulle ragioni e le pressioni che hanno portato a tale prestito perché sono note e già affrontate abbondantemente da quest'Aula.
Infine, la Commissione non potrà che valutare la conformità dell'operazione con le norme comunitarie in materia di concorrenza, vista la fusione con Air One.
Ricordo, inoltre, che un procedimento di indagine formale è stato già avviato dalla Commissione, in data 11 giugno 2008, in merito al prestito di 300 milioni di euro concesso ad Alitalia, ritenendo che esso possa costituire un aiuto di Stato incompatibile con le regole del mercato comune.
Nel caso in cui, al termine del procedimento, la Commissione ritenga che l'aiuto non sia compatibile, le somme erogate dovranno essere recuperate. In questa ipotesi chi dovrebbe essere tenuto alla restituzione: la bad company a carico dello Stato o la good company? Diciamo che noi abbiamo un'idea, ma ci concediamo il beneficio del dubbio. Lo abbiamo detto e ripetuto: il decreto-legge ci pare incompatibile con le disposizioni comunitarie.
Il commissario europeo ai trasporti, onorevole Tajani, nell'audizione alla Camera di qualche settimana fa, ha affermato che, per non incorrere nelle procedure di infrazione europee, l'operazione avrebbe dovuto salvaguardare tre condizioni: avrebbe dovuto essere trasparente, avrebbe dovuto essere un'operazione di mercato e, infine, non si sarebbe dovuto acquisire alcun asset da parte delle aziende pubbliche. Come ho avuto modo di dire, sono tutte condizioni che l'operazione non pare poter rispettare, nonostante l'approvazione di questo provvedimento: nessuna gara pubblica, deroga all'antitrust, assenza ad oggi del prezzo della good company con dubbi sulla sua compatibilità con il valore di mercato.
Voglio, infine, ma non da ultimo, fare un cenno ai dubbi di illegittimità costituzionalePag. 24relativi al provvedimento in discussione: tali dubbi rimangono intatti, nonostante quest'Aula abbia già affrontato il tema deliberando, il 14 ottobre scorso, sulla questione pregiudiziale di costituzionalità presentata dai colleghi dell'Italia dei Valori.
Insomma, il piano Fenice rappresenta una tipica operazione all'italiana e vorrei rassicurare il Presidente del Consiglio che sull'italianità dell'operazione può stare tranquillo: si privatizzano gli utili e si statalizzano le perdite.
Tale operazione ha le caratteristiche proprie di questa destra berlusconiana: deroga alle leggi e pratica del conflitto di interessi. I possibili futuri vantaggi, dunque, sono solo privati, mentre i sicuri presenti debiti sono pubblici con tutte le conseguenti lesioni che ne derivano per i contribuenti italiani. Peraltro, la sospensione delle norme antitrust fa del trasporto aereo italiano un mercato dove potrebbero praticarsi per anni prezzi più alti per servizi peggiori.
La modifica alla legge Marzano consente di creare una good company e una bad company. La good company risorgerà, forse (speriamo), dalle ceneri di Alitalia e sarà affidata a questa cordata di imprenditori patriottici con una operazione tutt'altro che di mercato. La bad company rimarrà a carico delle Stato e, quindi, dei contribuenti che per anni saranno chiamati a sostenere un onere per il bilancio pubblico di cui ancora non è nota la portata.
A questo riguardo, l'università degli studi di Milano-Bicocca ha prodotto uno studio, che è stato presentato a Report la scorsa settimana, secondo il quale, se andasse in porto l'operazione alle condizioni che appaiono probabili, nei prossimi sette anni, che è anche il periodo in cui saranno attivi i meccanismi di protezione dei lavoratori in esubero, si stimerà un valore compreso tra i 4 e i 6 miliardi di euro, che per una famiglia di tre persone vuol dire circa 300 euro di costo a famiglia.
Per concludere voglio mettere in evidenza quello che considero il punto politico di tutta la vicenda. Noi, appena otto mesi fa, avevamo a disposizione una diversa soluzione, quella che vedeva coinvolta Air France con una proposta più trasparente, con un piano industriale più ambizioso che avrebbe coinvolto Alitalia con il proprio marchio all'interno della più grande compagnia aerea europea, ma soprattutto più vantaggiosa dal punto di vista finanziario.
I conti sono stati esposti bene dai colleghi sia ieri che oggi e, quindi, non li ripeterò. La compagnia francese si sarebbe fatta carico anche del debito dell'azienda (aerei, rotte e creditori), salvando, oltre che Alitalia, anche il contribuente italiano che non si sarebbe visto chiamare in causa nell'operazione di salvataggio e non avrebbe dovuto sborsare un euro. Ma a questo punto, come è noto, è sceso in campo Berlusconi che, per motivi meramente elettorali, è intervenuto come un ciclone contro la trattativa Air France, enfatizzando il tema dell'italianità della compagnia di bandiera e annunciando l'esistenza di una cordata di imprenditori italiani pronti a rilevare Alitalia.
A quel punto anche i sindacati si sono chiamati fuori dalla trattativa, confidando nell'aiuto della politica: il solito aiuto, quello di sempre, che ha portato Alitalia alle condizioni disastrose di oggi. È a partire da questo comportamento grave e irresponsabile, finalizzato unicamente alla conquista del consenso, che evidenzia per l'ennesima volta un'assenza totale di senso dell'istituzione e di perseguimento dell'interesse generale, che Berlusconi ci ha regalato una mezza soluzione (quella sì all'italiana), che, qualora andasse in porto, risolverebbe il problema della compagnia aerea di bandiera mettendo - lo dico per l'ennesima e ultima volta - le mani nelle tasche dei contribuenti. Si tratta proprio di quelle tasche dalle quali il Presidente del Consiglio dichiara continuamente di volersi tenere lontano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

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MARCO CAUSI. Signor Presidente, la profonda contrarietà del Partito Democratico sul decreto-legge in discussione (ristrutturazione di grandi imprese in crisi, ma si tratta di un provvedimento sostanzialmente ritagliato sulla questione di Alitalia) ha numerose motivazioni che voglio ricordare nel mio intervento, ma, fra tutte le altre, ve ne è una fondamentale: riteniamo molto modesto, oltre che sbagliato, il progetto industriale che il Governo ha voluto cucire addosso ad Alitalia e siamo, invece, convinti che fosse di gran lunga preferibile dal punto di vista industriale la soluzione di alternativa costruita dal precedente Governo. Tale soluzione è stata colpevolmente fatta saltare nelle settimane preelettorali dall'intervento del centrodestra, dai corporativismi sindacali e dall'intreccio che si è realizzato in quelle settimane tra intervento indebito della politica e accensione dei corporativismi sindacali.
Perché la proposta alternativa costruita dal precedente Governo è e sarebbe di gran lunga preferibile dal punto di vista strettamente industriale? Secondo noi per quattro motivi. In primo luogo, vi è una preferibilità sul piano industriale e, quindi, sulle prospettive industriali dell'azienda. In secondo luogo, vi è una preferibilità relativa allo sviluppo del mercato italiano del trasporto aereo. In terzo luogo, vi è una preferibilità sul piano della tutela della concorrenza e dei consumatori e, in quarto luogo, la soluzione Air France era preferibile anche sul piano dei costi a carico delle pubbliche finanze. Mi soffermo adesso ad esaminare uno per uno tali elementi.
Innanzitutto, il piano che abbiamo oggi di fronte è assolutamente non preferibile sul piano industriale alla soluzione alternativa di Air France perché in quest'ultima soluzione alternativa Alitalia sarebbe stata inserita in un grande gruppo di natura e dimensioni europee, senza peraltro perdere il suo marchio e il suo radicamento nel Paese Italia. Oggi, invece, dal punto di vista industriale ci troviamo di fronte quello che potremmo definire un piccolo «campioncino» nazionale (non un vero grande campione nazionale), che deriva alla fine dai salvataggi di due compagnie in difficoltà (la vecchia Alitalia e Air One) e per il quale comunque sarà necessario cercare un partner industriale, che probabilmente in possibili scenari futuri potrebbe anche diventare il proprietario della società e, quindi, in qualche modo tornare in futuro alla soluzione originaria, ma con condizioni industriali fortemente negative.
Ora credo che in questa questione della nazionalità italiana delle imprese, chiamiamolo nazionalismo economico, noi, in questo Parlamento, e la classe dirigente del Paese dobbiamo aprire una riflessione vera che credo sia importante: non possiamo, come classe dirigente del Paese, usare la bandiera della nazionalità e del nazionalismo economico in modo inconsulto e superficiale. Ci sono modi veri con cui argomentare il tema della difesa della nazionalità, penso ad esempio alla discussione che si sta aprendo sulla questione dei fondi sovrani e quindi dei possibili apporti di capitale da parte dei fondi istituzionali detti fondi sovrani, per i quali esistono adeguate guidelines elaborate dal Fondo monetario e dall'OCSE che definiscono cosa può essere un prevalente interesse nazionale. Pertanto esistono dei criteri, ma certamente nessuno di essi, se andiamo a vedere le guidelines del Fondo monetario o quelle dell'OCSE relative alla possibilità di delimitare gli interventi di fondi sovrani nei Paesi occidentali, nessuna di quelle fattispecie ricorre nel caso di un'azienda di trasporto aereo come Alitalia.
Quindi l'agitare la bandiera del nazionalismo economico a me sembra troppo spesso il segnale non soltanto di una pericolosa componente ideologica nelle politiche economiche e industriali del Paese, ma anche il segnale che la classe dirigente di questo Paese (anche per colpa della nuova cultura che l'attuale Governo Berlusconi sta spandendo a piene mani su tutti i giornali tutti i giorni) pensa più all'equilibrio e all'assetto dei poteri, alle questioni politiche relative al possesso dell'industria, che non allo sviluppo economico, allo sviluppo tecnologico e all'occupazione.Pag. 26Industrie, classi dirigenti, ceti politici che invece di pensare allo sviluppo economico, alla tecnologia, all'occupazione, pensano solo e soltanto in termini di assetti di potere, di come difendere o rafforzare equilibri esistenti di potere, sono ceti dirigenti che condannano il Paese al declino. È qui che affonda le radici, ad esempio, la riduzione purtroppo a lungo termine della produttività del sistema economico italiano. E per fortuna che ci sono i distretti, le medie imprese industriali che non si occupano degli equilibri di potere, ma ad esempio di competere sui mercati internazionali, di fare innovazione e di costruire nuove tecnologie, perché se esse non ci fossero quei ceti che pensano solo agli equilibri di potere condannerebbero il Paese alla stagnazione. Insomma in Italia, lo sappiamo tutti, abbiamo poco capitale, un capitalismo con pochissimo capitale, e viceversa troppi patti di sindacato, perché i nostri capitalisti con poco capitale per difendere gli assetti di potere hanno bisogno di fare i patti di sindacato, di fare le cordate: pensano più alla politica che all'industria.
Abbiamo una scarsa crescita del modello delle public company che, quando lo abbiamo sperimentato, ha dato anche in Italia grandi soddisfazioni economiche e industriali, sempre quando è stato declinato in modo trasparente rispetto al mercato, sempre quando è stato declinato sfruttando in pieno l'orizzonte, la strategia, la dimensione dell'Europa. Pensiamo, ad esempio, a come si sono internazionalizzate e ai successi che hanno avuto imprese come ENI, come Enel, come Finmeccanica, ma anche imprese di più piccole dimensioni, che nell'Europa hanno trovato un nuovo scenario, una nuova competitività e hanno affermato possibili e reali strategie di crescita.
È chiaro che la possibilità di far vivere il marchio Alitalia e le sue radici territoriali dentro un grande gruppo europeo era, e secondo me rimane, l'unica possibilità per dare valore a questo asset industriale. Qui arriva la domanda: se fosse andato in porto il progetto con Air France questo valore sarebbe stato interamente all'interno della compagnia? Oggi, con il nuovo progetto che si sta sviluppando anche per effetto delle norme che il Parlamento è chiamato ad approvare, questo valore rischia di diventare un costo per la finanza pubblica e invece un valore soltanto per la cordata degli azionisti privati che fanno da trasmissione, fanno da pendant tra la vecchia e la futura gestione.
Il secondo elemento - lo abbiamo detto - riguarda la preferibilità sul piano dello sviluppo del mercato italiano. Non dobbiamo mai dimenticarci che il mercato italiano è uno dei principali del mondo, grazie all'attrattività turistica del nostro Paese. Non voglio in questa sede riaprire la discussione sul motivo per cui il progetto di Malpensa non ha marciato con le gambe che erano state pensate venti o venticinque anni fa, ma voglio ricordare a tutti che l'aeroporto di Fiumicino, con la sua vocazione euromediterranea, è un grandissimo asset di questo Paese. È cresciuto a due cifre negli ultimi anni e non possiamo pensare ad uno sviluppo del mercato del trasporto aereo in Italia indipendentemente dal fatto che l'Italia è un grande attrattore turistico e che, quindi, una componente importante dell'industria turistica italiana (ricordiamoci che circa il 7-8 per cento del PIL italiano si regge sul turismo), considerata l'attrattività e la competitività industriale del comparto turistico, è rappresentata chiaramente da Fiumicino.
Pertanto, dobbiamo stare attenti e denunciare assolutamente ogni possibile soluzione industriale che sacrifichi la vocazione turistica ed euromediterranea dell'hub di Fiumicino.
Il terzo elemento è il seguente: il progetto alternativo Air France sarebbe stato preferibile sul piano della tutela della concorrenza e dei consumatori. Il nostro nuovo «campioncino nazionale», CAI, è sottratto, grazie alle norme che il Governo ha presentato in questo Parlamento e contro cui il Partito democratico voterà «no», alle norme antitrust e potrà recuperare redditività solo sfruttando una rendita monopolistica che gli deriverà dall'unificazione con Air France.Pag. 27
Non so se l'Antitrust europea convaliderà questa soluzione - non lo credo - ma sappiamo che tutti i clienti delle tratte nazionali, che saranno gestite con un nuovo regime di monopolio, saranno chiamati a contribuire a questo piano industriale, che, anche da questo versante, dimostra di stare in piedi molto male.
Infine, per quanto riguarda il quarto elemento, il progetto Air France sarebbe stato preferibile sul piano dei costi a carico delle pubbliche finanze. Air France, infatti, avrebbe comprato tutta la vecchia Alitalia, mentre oggi del nuovo progetto si scarica sull'erario un costo rilevante.
È un costo che, peraltro, lo stesso Governo evita con molta attenzione di quantificare in questo e in altri provvedimenti, ma, invece, possiamo - ne abbiamo gli elementi - provare a farlo. Quantifichiamolo allora questo costo! Dovranno, infatti, essere coperti, in primo luogo, i debiti finanziari della vecchia Alitalia (1,2 miliardi di euro) ed, in secondo luogo, il prestito ponte, perché certamente la Commissione europea non farà passare il prestito ponte come aiuto di Stato, che quindi andrà restituito ed ammonta a 300 milioni di euro; poi vi sono i costi per la tutela dei piccoli azionisti (150 milioni) ed i costi per gli ammortizzatori sociali (1,25 miliardi). Aggiungiamo a ciò i debiti verso i fornitori (pari a 1,5 miliardi).
Se sommiamo tutte queste voci e sottraiamo poi l'attivo di Alitalia, valutato in 800 milioni, le perdite da socializzare rischiano di arrivare sino a 3,6 miliardi di euro. Ma anche se ipotizzassimo di pagare i fornitori non al 100 per cento, la soluzione escogitata dal Governo costerà al contribuente non meno di 2,9 miliardi. Siamo in una forchetta che va da 2,9 a 3,6 miliardi.
Vorrei a questo punto ricordarvi che, se aggiungiamo a questi 2,9 - diciamo 3 miliardi - i 2,2 miliardi che il Governo ha speso per ottemperare alla promessa elettorale di eliminare l'ICI sulla prima casa dei ricchi (perché sulle case più piccole l'ICI era già stata abolita dal precedente Governo e dal precedente Parlamento), scopriamo che la tanto decantata stagione rigorista del Ministro Tremonti ha già dilapidato almeno 5 miliardi di euro, di cui 2,2 miliardi sull'ICI e 3 miliardi sull'Alitalia.
Credo che bisogna dire a voce alta in questo Parlamento che questa cifra, che vale lo 0,4 per cento del PIL, 5 miliardi di euro dilapidati, avrebbe potuto, invece, essere usata molto più utilmente per sostenere il potere d'acquisto delle famiglie italiane, con un immediato aumento delle detrazioni fiscali, per aiutare i consumi, le famiglie ed i redditi, nella fase recessiva dell'economia che è cominciata in Italia, in Europa e nel mondo.
Il Ministro Tremonti è stato molto abile nel prevedere la crisi finanziaria internazionale, ma ha intrapreso una politica totalmente opposta a quella cui la sua stessa analisi avrebbe portato.
Ha fatto, cioè, una politica contraria alla necessità, che oggi c'è, di reflazionare l'economia, a partire dal potere di acquisto delle famiglie, e ha, invece, dilapidato 5 miliardi di euro in due operazioni, che non restituiscono nulla all'economia. In sostanza, il Governo si tiene in tasca i soldi; gestisce la finanza pubblica in modo molto discrezionale e fa una politica contraria agli stessi indirizzi del suo Ministro dell'economia e delle finanze.
Ma la nostra contrarietà, signor Presidente, e mi avvio alla conclusione, ha anche altre motivazioni, e non soltanto questa, strettamente industriale, che ho finora argomentato.
Ne voglio citare almeno tre, che non sono secondarie. Prima di tutto, vi è la scarsa trasparenza della procedura realizzata. Siamo qui chiamati a modificare la legge Marzano essenzialmente perché, in tale legge, il commissario straordinario, per scegliere l'assuntore dell'impresa ristrutturata, deve passare per una procedura di evidenza pubblica, mentre in questo caso non è prevista una tale procedura.
In secondo luogo, vi sono le modalità con cui si è montata una cordata di imprenditori privi di know-how e di capacità industriale nel trasporto aereo, e, infine, vi è l'erogazione di un prestito ponte, che ha già attivato l'avvio di unaPag. 28procedura comunitaria, i cui esiti, a leggere i primi documenti preliminari, sembrano scontati.
Insomma, e concludo, ci troviamo di fronte ad un vero pasticcio, consumato sull'altare di una gestione tutta interamente politica e strumentale della crisi della compagnia di bandiera.
Che questo sia il punto lo dimostra anche la modalità con cui il Governo ha condotto le trattative sindacali, utilizzandole non tanto per cercare la condivisione, ma suscitando il più possibile la divisione e lo scontro. Nel ribadire, quindi, la posizione contraria del Partito Democratico, vogliamo anche avvisare tutti, il Governo, la maggioranza, il Paese, che questa vicenda non è certo conclusa.
Il Governo dovrà rendere conto al Parlamento e al Paese degli errori commessi; ne dovrà rendere conto quando si conosceranno i contenuti del nuovo piano industriale, quando verrà fatta una partnership con un grande vettore europeo, quando si conosceranno le nuove tariffe interne, protette da regole pro-monopolistiche, che saremo chiamati a pagare, quando, in definitiva, sarà finalmente chiaro il conto che lo Stato è chiamato a pagare.
Su tutti questi elementi il Partito Democratico continuerà ad incalzare il Governo nell'interesse della stessa Alitalia e del Paese nel suo complesso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge al nostro esame si presta ad una serie di riflessioni sullo stato dei rapporti tra il nostro Paese e l'Unione europea, in quanto evidenzia, ancora una volta, la scarsa attenzione del Governo verso le regole e le istituzioni dell'Europa.
Nessuno di noi ignora la gravità della situazione di Alitalia e l'esigenza di interventi legislativi e finanziari del Governo, anche se andrebbe rammentato, per l'ennesima volta - tanti lo hanno fatto, ma lo voglio fare anch'io - che le soluzioni definite dal Governo Prodi avrebbero evitato ulteriori esborsi per i contribuenti italiani.
È stato il Governo Prodi, per senso di responsabilità, ad adottare, d'accordo con l'attuale maggioranza, il decreto-legge n. 80 del 2008, con cui è stato erogato il prestito ponte di 300 milioni di euro che ha consentito la sopravvivenza di Alitalia.
Tuttavia, i successivi provvedimenti del Governo Berlusconi, che prima hanno modificato la natura del prestito e poi hanno addirittura definito una procedura ad hoc per la cessione della compagnia di bandiera alla CAI, si sono caratterizzati per una disinvolta violazione delle regole comunitarie in materia di aiuti di Stato.
Forse la maggioranza ha ritenuto che il fatto che l'attuale Commissario ai trasporti sia italiano, sia vicino al Presidente del Consiglio, esoneri il Governo dall'osservanza dei vincoli e delle procedure comunitarie. Se lo pensate vi sbagliate, e vi sbagliate di grosso. Avere un Commissario italiano che tratta un caso così complesso non è affatto un vantaggio per l'Italia, tutt'altro: vincolato dalle regole di imparzialità, stretto dalla regola della collegialità, Tajani agisce sia sotto stretta sorveglianza interna da parte dei suoi colleghi che sotto stretta sorveglianza esterna da parte delle compagnie aeree concorrenti. Del resto, rimango convinto che l'Italia abbia perso peso a Bruxelles, rinunciando a un portafoglio strategico come l'immigrazione e la sicurezza in cambio dei trasporti: è un altro dei vostri errori. Il risultato di tutto questo, infatti, nonostante vi sia un Commissario italiano ai trasporti, è stato l'avvio, nello scorso giugno, di un'indagine formale della Commissione europea sul prestito ponte che, stanti le contestazioni della Commissione, sembra prospettare chiaramente una decisione negativa, che chiederà il recupero del prestito stesso; mentre, sul decreto-legge n. 134 del 2008 al nostro esame, è in corso un'indagine preliminare, sempre con riguardo all'osservanza della disciplina degli aiuti di Stato: disciplina che in questo caso non sarà certamente influenzata dallaPag. 29nuova dottrina in materia di aiuti di Stato in seguito alla crisi finanziaria; anche su questo vi invito a non confondere ciò che non va confuso.
È, insomma, un'operazione «all'italiana», nel senso peggiore del termine, senza un vero piano industriale, un'operazione a favore di pochi, che fate passare in nome di una concezione del tutto superata e contro l'interesse del Paese di italianità: una concezione, la vostra, molto distorta di interesse nazionale. Peraltro, il provvedimento in esame presenta anche seri dubbi di costituzionalità: non si capisce perché, per riformare l'intera normativa cosiddetta Marzano-Prodi, si debba agire d'urgenza. Inoltre, il provvedimento crea delle discriminazioni tra diverse categorie di dipendenti: in questa operazione i lavoratori delle imprese normali dell'indotto Alitalia in crisi non fruiscono degli stessi benefici dei dipendenti Alitalia e dei dipendenti delle partecipate Alitalia. Ma se un'impresa dell'indotto lavora per l'80, 90 o 100 per cento per Alitalia, perché, mi chiedo, i suoi lavoratori non devono fruire della stessa protezione prevista per quelli di Alitalia e delle partecipate?
E che dire delle radicali modifiche apportate per quanto concerne la sospensione di responsabilità dei manager, totalmente in controtendenza in un momento in cui finalmente si afferma la consapevolezza della necessità di riequilibrare i rapporti all'interno delle grandi imprese e si apre un dibattito sui nuovi meccanismi di governance delle imprese? E che dire della trasparenza? Continuiamo a lavorare nel buio rispetto ai costi complessivi dell'operazione! È evidente che la scelta di Air France sarebbe stata di gran lunga preferibile per la crescita strategica e industriale dell'azienda, per i contribuenti italiani, che ora devono sopportare i costi della bad company, e per i lavoratori, dato che il numero di esuberi previsto in questo piano è molto, molto elevato.
Vorrei poi ricordare che a fronte dei trionfalismi di alcuni esponenti della maggioranza, il 2 ottobre scorso la Commissione ha anche espresso, in una lettera inviata al Governo, alcune indicazioni in merito ai parametri cui essa intende attenersi nella valutazione del piano industriale relativo alla vendita di Alitalia, non appena esso sarà notificato alla Commissione: assenza di possibili aiuti di Stato alla CAI, assenza di una continuità aziendale tra Alitalia e la nuova società acquirente (e su questo sarebbe importante che il Governo ci spiegasse come si può provare questa discontinuità, dato che il nodo di tutto il negoziato era legato agli esuberi, ai lavoratori, quindi dov'e la discontinuità giuridica se esso era connesso al numero di contratti che devono vincolare i lavoratori della vecchia impresa alla nuova impresa?); il rispetto delle disposizioni comunitarie relative al funzionamento del mercato unico dell'aviazione; la valutazione, in caso di fusione con Air One, della conformità dell'operazione con le norme comunitarie in materia di concorrenza.
Peraltro, vendere un'azienda come Alitalia in trattativa privata con good company per il gruppo di imprenditori privilegiati e bad company a carico dei contribuenti indica chiaramente la vostra politica, e cioè quella di privatizzare i profitti, socializzare le perdite ed europeizzare, se possibile, le responsabilità.
Ho seri dubbi che l'operazione in corso possa essere considerata conforme a questi criteri e mi chiedo se il Governo abbia valutato con attenzione le conseguenze di una decisione negativa della Commissione europea. Non mi sembra, come non mi sembra che il Governo abbia valutato l'impatto negativo di questa operazione su alcuni distretti e su alcuni territori particolarmente legati all'azienda Alitalia.
Questo atteggiamento è purtroppo coerente con le più recenti prese di posizione del Governo nei confronti dell'Unione europea su altre questioni di grande attualità. Basti ricordare le dichiarazioni trionfali del Presidente Berlusconi dopo il Consiglio europeo in merito ad un presunto successo negoziale italiano sul pacchetto «energia-clima» e le conseguenti reazioni della Presidenza francese dell'Unione europea (ma, colleghi della maggioranza, Sarkozy non era un vostro alleato?) e della Commissione europea, anzi del CommissarioPag. 30all'ambiente, il conservatore greco Stavros Dimas. Oppure ricordiamo ancora la certezza di Berlusconi di poter erogare allegramente aiuti di Stato a favore delle imprese italiane ignorando la disciplina europea in materia, da lui - e solo da lui - considerata forse abrogata o del tutto inapplicabile alla luce della difficile congiuntura economica. Le dichiarazioni del Presidente del Consiglio possono forse aiutarlo nei sondaggi, ma non aumentano certo il peso reale del nostro Paese sulla scena internazionale.
Non si possono certo fare operazioni unicamente a favore di un'impresa: ci rendiamo conto delle aspettative che questo solleverebbe presso altre imprese? il Governo ha letto le opposizioni europee sul punto? Non sono possibili interventi di tipo generale ma solo settoriale, ed abbiamo margini ridotti; forse sarebbe bene cominciare ad utilizzarli a favore dei salari più bassi, dei redditi delle famiglie, dei consumi e delle piccole e medie imprese.
Colleghi della maggioranza, gli aiuti di Stato sono una cosa seria, che richiederebbe più serietà e meno improvvisazione da parte vostra. Non contesto affatto l'esigenza di tutelare gli interessi nazionali a livello europeo, anzi ho sempre sottolineato come il nostro Paese non li abbia tutelati abbastanza in passato; ma occorre, nel far valere i propri interessi, rispettare le procedure ed evitare di dichiararsi unilateralmente sottratti alle regole comuni (come è avvenuto nel caso di Alitalia, come è avvenuto e sta avvenendo nelle altre vicende che ho richiamato).
Come si può, ad esempio, aprire una battaglia sul clima in maniera così scomposta, polemizzare inutilmente con la Commissione europea in un momento in cui abbiamo aperto un problema grande ed enorme come quello di Alitalia?
Al di là del merito delle singole questioni, sono del tutto sbagliati i modi con cui il nostro Governo affronta i nodi europei. Non si può passare tranquillamente dall'esaltazione dell'Europa, con l'entusiasmo e l'ingenuità di chi, come voi, ne scopre le virtù molto in ritardo dopo lunghi anni di euroscetticismo, ad attacchi frontali ed eccessi verbali che rivelano la vostra lontananza culturale, ancor prima che politica, dall'Europa e che non portano alcun beneficio alla tutela del nostro interesse nazionale. Abbiamo bisogno invece di negoziare con determinazione le singole questioni aperte in sede comunitaria, non abbiamo bisogno di aprire generiche battaglie precedute da roboanti quanto inutili dichiarazioni sulle follie europee, per citare tra gli altri, da ultimo, il Ministro Brunetta (dichiarazioni utili unicamente per i titoli e gli immancabili retroscena della stampa nostrana, ma che incidono pesantemente sulla nostra credibilità e la nostra influenza in Europa).
Si tratta di atteggiamenti irresponsabili e privi di senso, soprattutto in un momento in cui dobbiamo trattare e convincere su un'operazione che continua a sollevare tanti dubbi e perplessità a Bruxelles (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lulli. Ne ha facoltà.

ANDREA LULLI. Signor Presidente, noi, come è noto, abbiamo molti dubbi sulla compatibilità di questo decreto-legge con la normativa comunitaria e per i profili di incostituzionalità. Pur tuttavia, abbiamo svolto un lavoro nelle Commissioni di merito che puntava a migliorare, per quanto possibile, questo provvedimento. Abbiamo presentato non più di una ventina di emendamenti che tendevano a realizzare una modifica volta a una maggiore trasparenza e al contenimento potenziale degli effetti della normativa sui conti pubblici, anche con un'attenzione all'indotto, che in questo provvedimento è completamente assente, in modo molto colpevole. Ancora una volta, il Governo punta a salvare i grandi a spese delle piccole imprese. Guardate, onorevoli colleghi, ciò è tanto più vero, allorché questo provvedimento, che potrà incidere per qualche miliardo di euro sulle casse pubbliche, viene previsto in un momento particolare - certo non prevedibile all'inizio -, di una crisi finanziaria che si staPag. 31trasferendo in modo pesante sull'economia reale e che metterà in discussione migliaia e migliaia di piccole imprese. Allora, sarà una contraddizione pesante, intervenire in modo così massiccio per risolvere un pasticcio che questo Governo, anzi, che questa maggioranza politica, ha compiuto e, magari, non si darà neppure una briciola a quelle imprese, a quelle lavoratrici e a quei lavoratori, che entreranno in crisi, in modo irreversibile, in questo periodo. Noi abbiamo cercato di circoscrivere questo provvedimento, vi abbiamo chiesto - pur non essendo d'accordo con l'impianto del decreto-legge - di circoscriverlo, ovvero di evitare che in futuro potesse essere esteso alle grandi aziende della telecomunicazione, del trasporto, al trasporto pubblico locale. Voi avete risposto che non era possibile. Vi abbiamo chiesto di sostituire la trattativa privata non voglio dire con una gara, ma almeno con normative che rendessero a evidenza pubblica i rapporti con gli eventuali compratori. Tutto questo non è stato possibile; e dire che lo potevamo fare. Voi - cari colleghi della maggioranza e del Governo - avete dovuto modificare questo provvedimento con una qualche sceneggiata avvenuta qui in Aula, perché di soppiatto avevate previsto la norma salva manager - che forse, stava a cuore a qualcuno di voi, soprattutto nel Governo -, magari pensando anche che sarebbe potuta passare sotto silenzio una «furbata» di questo tipo.
D'altra parte, siamo consapevoli che in questo decreto-legge continuano a esserci dei problemi: il comma 1 dell'articolo 3 è certamente un comma molto discutibile. Noi avremmo potuto fare ostruzionismo - voi probabilmente porrete la fiducia ugualmente - ma non l'abbiamo fatto (poco più di 20 emendamenti presentati). Qui esiste una differenza tra l'atteggiamento dell'opposizione - devo dire, in questo caso, anche dell'UdC e dell'Italia dei Valori - e il vostro atteggiamento.
Tornando indietro di alcuni mesi: voi avete fatto saltare il tavolo con Air France - in modo non costruttivo sul piano della trattativa - che avrebbe avuto il merito di non scaricare sul pubblico tutti gli oneri che saranno scaricati con questa normativa; avete fatto saltare il tavolo per pensare a qualche voto in più.
Noi, pur non essendo d'accordo e pur avendo molti dubbi, facciamo un'opposizione nel merito, puntuale e precisa, però non vogliamo giocare allo sfascio, perché è questa una differenza che c'è tra noi e il vostro atteggiamento: noi abbiamo a cuore gli interessi generali del Paese, e, sebbene non siamo d'accordo con la soluzione che voi ci proponete, sappiamo che l'alternativa non può essere buttare tutto all'aria, perché poi chi paga è sempre il più debole in questo Paese, e il danno che si arreca al Paese è un danno non rimediabile. Credo che sarebbe stato auspicabile anche qualche altro miglioramento. Dov'è finita, per esempio, la durata dei cinque anni entro la quale la cordata degli imprenditori privati non può cedere le quote dell'azienda? Non si sa. Vi è un confuso riferimento ad un medio periodo che non sappiamo bene come quantificare. Ma che fine fa un piano industriale in una situazione di così ampie difficoltà? I colleghi si sono già soffermati molto su questo aspetto e non voglio più entrare nel merito, però un punto deve essere chiaro: noi abbiamo molte perplessità che questa operazione, maldestra, condotta male, e a spese dei contribuenti italiani - e sottolineo che è a spese dei contribuenti italiani - possa andare a buon fine. E se questo accadesse sarebbe un danno molto, molto rilevante per il nostro Paese, perché non si tratterebbe solo di distribuire un po' di ricchezza privata a danno del debito pubblico, cioè delle tasche di tutti gli italiani, ma si tratterebbe di un fallimento veramente profondo di un Governo che non sa gestire i problemi e che si affida solo alla propaganda. Tutto ciò, cari signori della maggioranza, rappresenta una responsabilità che vi portate tutta intera, perché non avete avuto un'opposizione che ha giocato allo sfascio. Noi vi abbiamo chiesto modifiche importanti, di cui non avete voluto tener conto. E io non so che fine farà questo provvedimento. Non mi riferisco soltanto alle decisioni dell'Unione europea, in quanto non so che fine farà questoPag. 32provvedimento di fronte a eventuali impugnative di soggetti nazionali ed europei. Non so chi poi risponderà dei danni erariali che tutto ciò potrà comportare per il nostro Paese. È per questo che noi, pur senza responsabilità, e pur non facendovi sconti, diciamo che volevamo e vogliamo ancora il confronto, ma voteremo contro il provvedimento in esame, e vi assumerete una responsabilità ancora maggiore se chiederete sullo stesso il voto di fiducia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - Posizione della questione di fiducia - Articolo unico - A.C. 1742-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la X Commissione, onorevole Polledri che immagino replichi anche a nome del relatore per la IX Commissione, onorevole Valducci, il quale ha svolto la relazione.

MASSIMO POLLEDRI, Relatore per la X Commissione. Sì, signor Presidente; innanzitutto voglio ringraziare i colleghi che sono intervenuti, e devo riconoscere che molti degli interventi sono stati sul merito, e che non vi è stato, se non in parte, un atteggiamento pregiudiziale e ostruzionistico. Mi sembra anche evidente - vorrei ricordare il passato e quindi rinfrescare la memoria - che questo provvedimento non nasce oggi, nella cabina di regia di questo Governo. Si tratta di un provvedimento che rappresenta una modifica di una legge nata per affrontare oggettivamente una delle più gravi crisi aziendali che il Paese si trova ad affrontare.
Una crisi che arriva da lontano, sulla cui paternità - ahi noi! - credo nessuno possa vantare verginità di sorta, ma che ha portato il Paese reale a dover mettere di fatto mano al portafoglio. Una storia lunga, che noi abbiamo in qualche modo l'ambizione di voler chiudere con il voto di questo Parlamento. Una storia fatta di clientelismi politici, una storia che viene da lontano: ricordo gli acquisti ora della Lockheed, ora di un altro vettore. È una compagnia di bandiera che in qualche modo porta un nome prestigioso, ma che in modo forse altrettanto noto ha portato anche un certo disonore.
Una compagnia che non sempre ha consentito al cliente di potere raggiungere un livello minimo di soddisfazione, una compagnia che ha dato certezze e privilegi offensivi nei confronti di migliaia e milioni di lavoratori, che non hanno trovato la stessa accoglienza, quindi una storia che noi vogliamo concludere. Una storia che ha avuto un percorso unitario. Ricordo ai colleghi dell'opposizione che nasce, bene o male - la ha ammesso anche l'ex ministro Bersani - da un percorso «partecipato» - lo dico tra virgolette perché non fa parte del nostro linguaggio - tra il passato Governo e il nostro Governo. Per questo ritengo che alcune delle critiche siano state ingenerose; mi riferisco, in particolare, all'articolo 3 del decreto che tanto ha fatto discutere. Al riguardo, vi è un impegno da parte delle Commissioni a sostenere un ordine del giorno che metta in evidenza, in modo che risulti chiaramente, che la responsabilità penale non ricade, ovviamente, nell'ombrello protettivo di cui, appunto, all'articolo 3.
Per quanto riguarda la necessità di un osservatorio, anche su questo abbiamo garantito in sede di Commissioni riunite che non vi fosse una turbativa sul prezzo. Riteniamo che le Commissioni oggi abbiano effettuato - mi rivolgo al Governo - alcuni votazioni importanti che in qualche modo possano trovare una rilevanza e anche un'osservanza per il futuro. Per questo ringraziamo l'opposizione, ma chiediamo l'approvazione del provvedimento nel più breve tempo consentito (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

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ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, il Governo ringrazia e apprezza il dibattito svoltosi. Come è noto, sono state introdotte dalle Commissioni talune modifiche al testo approvato dal Senato, modifiche condivise, che tuttavia necessitano che il testo torni rapidamente al Senato per la definitiva conversione nel giro delle prossime ore e dei prossimi giorni, perché il decreto è in scadenza e credo che sia d'interesse nazionale che il Governo riesca a ottenere entro la scadenza la conversione del decreto.
Per questa ragione, signor Presidente, espressamente autorizzato dal Consiglio dei Ministri, a nome del Governo pongo la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti e articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge n. 1742-A, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi, nel testo delle Commissioni.

PRESIDENTE. Prendo atto della posizione della questione di fiducia da parte del Governo sull'approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge di conversione n. 1742-A (Per l'articolo unico del disegno di legge di conversione, il testo approvato dal Senato, il testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni e le proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni vedi l'allegato A - A.C. 1742-A). Avverto che sono in distribuzione in fotocopia il parere della Commissione affari costituzionali nonché i due pareri resi in data odierna dalla Commissione bilancio: il secondo modifica il precedente (Vedi l'allegato A - A.C. 1742-A).

ANTONELLO SORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONELLO SORO. Signor Presidente, vorrei esprimere lo sconcerto dell'opposizione del gruppo del Partito Democratico, ma non in quanto si pone la questione di fiducia.
Noi, in via di principio, non abbiamo mai considerato estranea al nostro ordinamento la questione di fiducia e non abbiamo mai considerato un ricorso frequente ai decreti-legge una questione negativa di per sé: è il combinato dei due istituti che sta diventando un tarlo che consuma la natura di questo Parlamento e del nostro ordinamento democratico. Tutti le misure legislative importanti approvate in questi sei mesi (dalle disposizioni sulla sicurezza alla manovra economica all'intervento sulla salvaguardia del potere d'acquisto delle famiglie a quello sulla scuola, e ora anche al provvedimento su Alitalia), questo Governo le ha varate con decreto-legge e con ricorso al voto di fiducia in sede di conversione. Tutte le volte che segue - lo abbiamo visto ancora la settimana scorsa in occasione dell'esame del collegato sul lavoro - la procedura ordinaria che sarebbe fisiologica, la maggioranza non ce la fa, si divide, rinvia il provvedimento in Commissione, rallenta il lavoro, fa auto-ostruzionismo. La questione è seria.
Signor Presidente, vorrei richiamare la sua attenzione, quella dei colleghi e, sommessamente, quella dei colleghi della maggioranza, il cui ruolo apparirebbe, in questa nuova concezione, quello non di costituire un continuum Governo-maggioranza, ma di essere un'appendice, da parte dell'opposizione, rispetto al Governo. Cosa raccontano, quando vanno a casa, del ruolo che hanno svolto in questo Parlamento, al di là di una silenziosa testimonianza di fiducia nei confronti del Presidente del Consiglio? È una vergogna!
Non riusciamo più a discutere, in questo Parlamento, con la prospettiva che, alla fine della discussione, vi possa essere qualcuno che, avendoci ascoltato, risponda nel merito ai nostri interventi. Ma questo, è un Parlamento o è una caserma? Lo chiedo ai colleghi della maggioranza, che hanno rinunciato da sei mesi al loro ruolo di parlamentari. È una situazione insostenibile.Pag. 34Credo che il Presidente della Camera debba farsi carico di trovare un momento di pausa.
Apriamo il dibattito in sede di Giunta per il Regolamento. Non abbiamo nulla in contrario a conferire efficacia al lavoro parlamentare anche sotto i profilo dei tempi di esame, ma il decreto-legge non è un istituto volto a fare presto le leggi: il decreto-legge è riservato alle condizioni e alle misure che abbiano caratteristiche di urgenza e necessità. In questo caso è diventato sinonimo di manovra urgente. Si può fare diversamente. Ma il Parlamento non può essere svuotato del proprio ruolo. Questo ruolo, affidato alla maggioranza del silenzio e all'opposizione del diritto di tribuna, è una concezione estranea alla cultura dei Parlamenti democratici di tutto il mondo. Credo che il Presidente della Camera debba farsi carico di sospendere questa procedura e di aprire un dibattito in questo Parlamento, anche con i gruppi della maggioranza, nella Giunta per il Regolamento, affinché si introducano elementi nuovi. Noi siamo pronti, vogliamo un Parlamento efficiente ma anche un Parlamento che sia luogo di partecipazione democratica e non questa farsa incredibile, che ancora oggi si vuole consumare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Soro. Le assicuro che le sue argomentazioni saranno riportate con grande esattezza nella sede opportuna.

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, vorrei in qualche modo riagganciarmi alle considerazioni, che ho condiviso, dell'onorevole Soro, perché in effetti adesso la misura è davvero colma. Abbiamo di fronte a noi un Governo che vive con malcelato fastidio il confronto parlamentare; un Governo che sente spesso quest'Aula come un'insopportabile orpello; un Governo che, o non si presenta - com'è nel caso del Presidente del Consiglio, ormai da lunga data - oppure, come il Ministro Tremonti, lo fa soltanto se sollecitato, più volte sollecitato e più volte richiamato di fronte alla gravità della crisi finanziaria internazionale, oppure ancora, se si presenta è per porre o diktat o questioni di fiducia. Molto spesso accade quanto abbiamo visto anche in relazione al provvedimento A. C. 1441-quater, la cui discussione è stata sospesa per le divisioni interne alla maggioranza. Allora, per risolvere d'emblée ogni problema si ricorre al voto di fiducia, si strozza il dibattito, si nega il confronto. Ma non soltanto qui in Aula, persino in sede di Commissioni.
Ancora ieri ne è stata data un'ulteriore dimostrazione durante la discussione in sede referente presso la I Commissione del progetto di legge sull'elezione dei membri del Parlamento europeo, sede in cui non vi è alcuno spazio per il confronto, né per la dialettica, né per le proposte delle opposizioni. Non solo: quando vi è qualche dubbio, è il Governo che, sempre in Commissione, presenta gli emendamenti ed emenda se stesso, sempre in Commissione. Ciò che questo Governo vuole, è soltanto una Camera che ratifichi le decisioni prese dal capo, punto e basta.
Sul provvedimento in esame che riguarda l'Alitalia (ma non soltanto) e che ha rimesso in discussione un modo corretto di approcciare le grandi crisi dei grandi gruppi, il Governo ha disvelato se stesso. Persino in presenza di un atteggiamento positivo e propositivo delle opposizioni viene calata giù la mannaia del voto di fiducia. Può, in apparenza, apparire, questo, normale. Alla fine, questa normalità sfiancherà le istituzioni, sfiancherà la rappresentatività di quest'Aula, sfiancherà ciascuno di noi. In questo senso, mi rivolgo anch'io alla Presidenza della Camera che, così come ha fatto per quanto riguarda le votazioni a oltranza del Parlamento in seduta comune per l'elezione di un giudice della Corte costituzionale, spero voglia far sentire la propria voce neiPag. 35confronti di questo Governo arrogante e prepotente (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

ANGELO COMPAGNON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, anche io intervengo per seguire quanto è stato detto dai colleghi che mi hanno preceduto dopo aver ascoltato il Ministro Vito porre la questione di fiducia su questo provvedimento.
Per la verità, alla luce anche della passata legislatura, della mia e della nostra esperienza in essa (quando siamo stati fortemente critici rispetto a quel Governo di sinistra che continuava a porre la questione di fiducia e che deliberava spesso attraverso decreti-legge) pensavamo, nonostante la nostra collocazione all'opposizione in questa legislatura, di non vedere più il proliferare di un metodo così distante da quello che dovrebbe esservi all'interno di quest'Aula. Invece, continuiamo a vedere che i decreti-legge e le questioni di fiducia sono la regola e non l'eccezione.
Pertanto, viene da chiedersi se questo sia diventato un sistema da cui non ne usciremo più o se vi fossero, invece, le condizioni che devono esservi quando si predispone un decreto-legge e si richiede la fiducia. Sul provvedimento in esame non vi era alcuna condizione per porre la questione di fiducia. Anche poche ore fa, in sede di Commissioni (o, meglio, questa mattina in sede di Comitato dei diciotto) avevamo ribadito, come opposizione, al di là degli interventi in Aula, che durante la discussione vi sarebbe stata una disponibilità di massima non solo a discutere gli emendamenti nei tempi previsti, ma anche a ritirarne alcuni. Fermo restando che non si poteva ritirare tutto come ci era stato richiesto, perché all'interno dei nostri emendamenti si affrontano questioni sostanziali che, purtroppo - lo vedremo in futuro -, emergeranno, perché con il decreto-legge in oggetto si operano forzature vere e proprie. Il comma 13-bis dell'articolo 1 del decreto, pur ritirato nella versione originaria - ma spero non sia stato reinserito sotto altre forme dal Governo -, vede, comunque, trasposta una parte del proprio contenuto nel primo comma dell'articolo 3.
Pertanto, signor Presidente di turno, ritengo doveroso che lei rappresenti al Presidente Fini la necessità di un approfondimento, come è stato più volte richiamato, al fine di non vedere svilito ed esautorato questo Parlamento, almeno fino a quando la nostra continuerà ad essere una Repubblica parlamentare. Se poi questa cambierà, vorrà dire che cambieranno anche i modi di pensare e di agire, ma fino a quando resterà una repubblica parlamentare credo che decreti-legge e questioni di fiducia debbano avere veramente le motivazioni previste dalla Costituzione italiana (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, affrontiamo il dibattito abituale che si fa in quest'Aula, da sempre, in occasione della posizione della questione di fiducia da parte del Governo. Abbiamo ascoltato con attenzione le dichiarazione del capogruppo Soro e degli altri colleghi dell'opposizione... non ho sentito, collega Giachetti!

ROBERTO GIACHETTI. Vi associate?

SIMONE BALDELLI. No, non ci associamo, ovviamente, anche se sarebbe bello dibattere con il collega Giachetti in prima persona, in un dibattito a due, ma insomma siamo in un'Aula e credo forse di dover fare, rivolgendomi alla Presidenza, delle considerazioni generali su questo. Io ritengo, collega Giachetti, colleghi dell'opposizione, che la questione sia nota e che sia stata già approfondita in diverse sedi...

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PRESIDENTE. Vorrei ricordare che ci si rivolge alla Presidenza.

SIMONE BALDELLI. Esatto, signor Presidente, è quello che ho appena terminato di dire e non serviva puntualizzarlo dal momento che io stesso l'ho ricordato a me e agli altri colleghi che mi interrompono mentre parlo.
Ad ogni buon conto, non posso non contestare l'affermazione del presidente Soro, quando dice che siamo in presenza di un pericoloso combinato disposto di posizione della questione di fiducia da un lato e utilizzo della decretazione di urgenza dall'altro. Ciò semplicemente per il fatto che questa non è l'ennesima questione di fiducia posta sul decreto, ma la settima questione di fiducia posta a fronte di sedici o diciassette decreti-legge che in quest'Aula abbiamo esaminato. Due questioni di fiducia, in particolare, sono state poste sullo stesso provvedimento, il decreto-legge n. 112 del 2008. Quindi, non abbiamo un susseguirsi del combinato disposto di decreti e fiducie. Abbiamo un utilizzo della decretazione d'urgenza, che certamente è uno strumento di cui il Governo si avvale per l'esercizio delle proprie funzioni, in presenza della necessità e dell'urgenza di questi provvedimenti, che sono stati emanati e sui quali si è determinata anche - al di là del merito delle norme - una certa condivisione. Pensiamo alla questione dell'Alitalia, all'emergenza rifiuti a Napoli e a tanti momenti in cui il Governo è stato oggettivamente costretto al ricorso alla decretazione d'urgenza.
Anche il ricorso alla fiducia è un'altra questione, diversa da quella della decretazione d'urgenza, ma ad essa legata. È, infatti, ovvio che quando si pone la questione di fiducia è perché il Governo ne ravvisa i presupposti in presenza di ostruzionismo dell'opposizione o per ridurre i tempi di esame di un decreto-legge all'interno di un'Assemblea in modo da convertirlo o trasferirlo all'altra Camera. Sappiamo benissimo che, da questo punto di vista, grazie al Governo Berlusconi, si è venuta modificando una brutta prassi. Da un lato, quella di un Governo che veniva in Aula - lo abbiamo visto in passato - per accusare l'opposizione di fare ostruzionismo, anche quando ciò non era vero. Questo non è più accaduto. Devo dare parzialmente atto alle opposizioni di non aver assunto, in relazione a diversi provvedimenti, un atteggiamento ostruzionistico. Il Governo avrebbe quindi sbagliato se avesse parlato di ostruzionismo.
Dall'altro lato, signor Presidente, c'è un'altra necessità: quella di rispettare il lavoro delle Commissioni. Anche in questo caso, con il Governo Berlusconi, non assistiamo alla presentazione di maxiemendamenti che stravolgono il lavoro svolto dalle Commissioni in sede referente ma assistiamo, in questo caso, addirittura alla posizione della questione di fiducia sul testo della Commissione, con un atteggiamento di grande rispetto del lavoro parlamentare. Qui non abbiamo ascoltato il Ministro per i rapporti con il Parlamento che è venuto a dire che l'opposizione fa ostruzionismo, quando questo non è vero, ma assistiamo semplicemente al Governo che, per una questione di tempi - sappiamo benissimo che la scadenza di questo decreto è imminente - pone la questione di fiducia in Parlamento.
C'è quindi una riflessione che va fatta, sulla quale, in sedi diverse da quest'aula, ho apprezzato la serietà e l'onestà intellettuale del collega Soro. Avremo anche l'esigenza di ragionare sulla possibilità di contingentare i tempi di esame dei decreti-legge.
Infatti un decreto-legge come quello sull'Alitalia, su cui pure c'è una certa sensibilità, con novanta emendamenti presentati in Assemblea non offre alcuna garanzia, al Governo, sull'eventuale conversione, se non in caso di posizione della questione di fiducia: questo è il Regolamento che abbiamo.
Quindi, riuscire ad applicare la norma, inserita all'interno delle disposizioni transitorie, che prevede la possibilità di contingentare i tempi per i decreti-legge in questo ramo del Parlamento, può essere un modo per superare quel combinato disposto, che in alcune occasioni può verificarsi ed a cui accennava il presidentePag. 37Soro, di utilizzo della decretazione d'urgenza da un lato e di posizione della questione di fiducia dall'altro. Per superare questa impasse, questo incaglio, per andare oltre, servirebbe e serve un salto di qualità dal punto di vista regolamentare.
Ricordiamo che l'ultima riforma regolamentare del 1997, voluta dal Presidente Violante, ma anche dalle opposizioni, è stata un momento di confronto alto e nobile, nobilitante anche per l'intero Parlamento di allora, in cui, per responsabilità delle opposizioni, si è permesso al Parlamento di dare la possibilità di accelerare l'esame dei provvedimenti.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI (ore 14,50)

SIMONE BALDELLI. Abbiamo, onorevoli colleghi, la possibilità di fare riferimento a normative regolamentari già in vigore: mi riferisco alla grande sfida sui provvedimenti collegati che in questo momento stiamo affrontando all'interno delle varie Commissioni referenti e che trattano materie diverse e complesse, ciascuna delle quali è assegnata alla propria Commissione di merito. Tali provvedimenti danno la facoltà al Governo e alla Conferenza dei presidenti di gruppo - e concludo, Presidente - di fissare una data certa per il loro esame in Assemblea.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SIMONE BALDELLI. Ecco, se riuscissimo ad inserire questa modifica nel Regolamento anche per l'esame dei decreti-legge, credo che eviteremmo questo solito dibattito, la posizione della questione di fiducia sui decreti-legge ed anche il ricorso spesso alla decretazione d'urgenza.

Sull'ordine dei lavori.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente ogni giorno in Sicilia la condizione igienico-sanitaria di tanti importanti comuni dell'area metropolitana di Catania, della provincia di Enna e di Ragusa si aggrava. I rifiuti urbani non vengono ritirati per intere settimane, i lavoratori quasi giornalmente scioperano perché non ricevono lo stipendio. Le poche discariche sono esaurite o in via di esaurimento ed i gestori sono in aperto conflitto con i comuni perché non vengono pagati.
Si conferma inesorabilmente il drammatico fallimento a seguito della gestione clientelare del centrodestra del sistema ATO. Anche se non c'è la stessa risonanza mediatica che si è avuta per Napoli in maniera a volte strumentale, la condizione siciliana sui rifiuti è diventata molto grave.
Chiediamo per questo al Ministro Prestigiacomo di venire al più presto a riferire in Parlamento. Il Ministro Prestigiacomo è anche siciliana e non può non conoscere qual è la situazione difficile che vivono tante comunità in un settore in cui, il Ministro lo sa, ci sono tanti interessi illegittimi che vanno indicati e sconfitti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

LUCIANO DUSSIN. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente vorrei intervenire sulla posizione della questione di fiducia da parte del Governo, se è ancora possibile.

PRESIDENTE. Apprezzo la sua sincerità, ma non è un motivo sufficiente per chiedere la parola visto che la discussione si è conclusa.

LUCIANO DUSSIN. Se la discussione è conclusa non ci sono problemi: rinuncio al mio intervento.

PRESIDENTE. Sta bene.
A seguito della decisione del Governo di porre la questione di fiducia, comunicoPag. 38che la Conferenza dei presidenti di gruppo sarà convocata, per l'organizzazione del seguito del dibattito, presso la sala dei Ministri dopo la commemorazione dell'onorevole Foa prevista per le ore 15.

Commemorazione dell'onorevole Vittorio Foa.

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea ed i membri del Governo) Onorevoli colleghi, ricordare la figura dell'onorevole Vittorio Foa, scomparso a Formia nella giornata di ieri, significa ripercorrere idealmente la storia di un'esistenza intensa, vissuta all'insegna del più alto impegno civile, politico e culturale.
Come ha autorevolmente affermato il Capo dello Stato, Foa è stato, senza alcun dubbio, una delle figure di maggiore integrità e spessore intellettuale e morale della politica e del sindacalismo italiano del Novecento. La sua appassionata dedizione alla causa della libertà, pagata anche sul piano personale attraverso una lunga detenzione durante il regime fascista, ha fornito un contributo essenziale per l'affermazione dei valori democratici che sono alla base della nostra Costituzione.
Dai tempi della Costituente e fino agli ultimi giorni di vita le sue idee e le sue prese di posizione, nel loro rigore e nella loro coerenza, non gli hanno mai impedito di guardare, con lungimirante apertura mentale e senza pregiudizio alcuno, ai grandi fenomeni politici contemporanei per comprenderne cause, dinamiche e sviluppi e, almeno a me pare, in tante circostanze seppe, prima e meglio di altri, intravedere ciò che non era immediatamente percettibile.
Richiamandosi proprio all'esperienza nell'Assemblea costituente e al clima politico di quell'epoca, aspro, teso, ma al tempo stesso alla ricerca continua di una coesistenza tra le diverse forze culturali e politiche, che dopo la Resistenza erano rappresentate nell'Assemblea costituente, egli ebbe modo di affermare: «Il conflitto non può essere negato. C'è e rimane, ma esiste sempre la possibilità di superarlo, di guardare alle cose su cui si può andare d'accordo».
In un tempo, quale quello attuale, in cui si avverte con particolare intensità l'esigenza di una politica animata da un confronto anche acceso sul piano delle idee, ma sempre costruttivo e finalizzato all'interesse generale, credo che questa sua testimonianza rappresenti un messaggio di non poco conto di cui conservare gelosamente la memoria, unitamente ai sentimenti di stima e di rispetto di quanti lo hanno personalmente conosciuto e apprezzato.
Alla famiglia e alla sua famiglia politica, il Partito Democratico, desidero rinnovare i sentimenti del più sincero cordoglio mio personale e dell'intera Camera dei deputati (Generali applausi, cui si associano i membri del Governo).
Darò ora la parola ad un rappresentante per gruppo, nell'ordine con cui la richiesta di intervento è stata avanzata alla Presidenza.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Franceschini. Ne ha facoltà.

DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, non è semplice parlare della lunga vita di un protagonista della Repubblica come è stato Vittorio Foa. Forse si potrebbe dire che è stato un uomo con i piedi nel Novecento e con la testa nel nuovo millennio, un uomo sempre abituato, anche quando era molto avanti negli anni, a guardare oltre l'orizzonte, a pensare il futuro, a immaginarlo, a prepararlo pensando alla storia, al cammino compiuto, pensando alla memoria, scegliendo le cose che è giusto conservare e scartando quelle usurate dell'ideologismo e del settarismo.
Vittorio Foa è stato un uomo della sinistra italiana e della democrazia, non solo per appartenenza familiare, per educazione e per tradizione. Nato in una famiglia della buona borghesia ebraica e laica, fin da giovanissimo fece con chiarezza la sua scelta dalla parte giusta della storia, contro il fascismo e contro la dittatura. Aderì a Giustizia e Libertà ePag. 39pagò il prezzo con otto anni di carcere. Diventò segretario del Partito d'Azione e continuò la sua lotta con la militanza partigiana nella Resistenza, seguendo un percorso che aveva portato sulle montagne una generazione di giovani le cui storie erano diverse. Vi erano i comunisti, i socialisti, gli azionisti e i cattolici.
Aveva scelto di resistere per amore della libertà e aveva scelto la sinistra per amore della giustizia, per un imperativo etico che lo riguardava personalmente e che interrogava non soltanto la sua appartenenza politica, ma prima di tutto e sopra ogni altra cosa la sua coscienza di uomo libero e soprattutto la fedeltà alla propria responsabilità che emerge come la cifra veramente distintiva di una lunga vita destinata all'impegno.
Così possiamo leggere la sua esperienza di costituente e così la stagione vissuta in Parlamento, così anche la lunga militanza sindacale nella CGIL che ha rappresentato probabilmente l'esperienza più intensa e più amata, così nella sua appassionata ed intelligente ricerca di storico capace di parlare alle nuove generazioni di cose antiche e anche di cose nuovissime.
Vittorio Foa è stato un testimone nel senso più pieno e vero del termine: credeva al valore dell'esempio personale (quella cosa dimenticata) come elemento fondativo essenziale dell'impegno politico. In uno dei suoi scritti più recenti insisteva su questa convinzione e diceva: «Se valorizziamo la funzione educativa dell'esempio, saremo costretti a cambiare molti aspetti del nostro modo di vivere a partire dal nostro modo di parlare».
Non gli piaceva il linguaggio troppo violento di questa stagione della politica. A lui, che pure è stato un uomo di lotta, profondamente affezionato alle sue idee, stava a cuore la forza della ragione e per questa sua laicità, fatta soprattutto di apertura, di continua ricerca, di disponibilità al confronto, è stato davvero un maestro.
Per Foa si possono pronunciare le stesse parole che Veltroni ha usato in quest'Aula pochi giorni fa ricordando Leopoldo Elia, un altro uomo della Repubblica la cui grandezza è stata prima di tutto nell'esempio, uomini provenienti da storie e da radici diverse uniti dalla stessa passione per la democrazia, capaci di attraversare stagioni e storie diverse, conservando però tutti la loro fedeltà ai valori intramontabili della libertà, della giustizia e dell'uguaglianza.
La storia di Vittorio Foa è una storia che oggi appartiene all'Italia, a tutta l'Italia. I deputati del Partito Democratico salutano un altro loro maestro che se ne va. Lo ricorderemo cercando di tenere vivo dentro di noi, nella nostra azione e nelle nostre scelte, il suo rigore morale e la sua religione civile. Lo ricorderemo difendendo ogni giorno i valori che loro, i padri della Repubblica, ci hanno consegnato nella Costituzione e sarà questo il modo migliore per ricordarli (Generali applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, è per me un grande onore prendere la parola in quest'Aula a nome del mio gruppo per commemorare Vittorio Foa. Lo dico, mi creda, con una sincera commozione che mi deriva da una lunga conoscenza e da anni di lavoro comune, una conoscenza che si allarga anche alla sua compagna Sesa, la compagna che gli è stata vicino per un lungo periodo degli ultimi anni della vita e per il figlio Renzo al quale mi lega un'amicizia di anni.
Chi fosse Vittorio Foa e quale sia stato il suo contributo di pensiero e di azione alla vita del Paese lo ha ricordato lei con parole alate, signor Presidente, e lo ha ricordato l'onorevole Franceschini. Io potrei ricordare tanti episodi di vita vissuta insieme ad una personalità che ha attraversato praticamente tutto il Novecento, un secolo che ha conosciuto grandi tragedie, che ha superato ideologie devastanti e che ha visto andare deluse tante speranze.
Mi limiterò soltanto a fare alcune considerazioni. Vedete, colleghi, io sono nato nel 1941. A volte, quando sento la necessità di recuperare il senso delle cose, di riflettere con serenità sulla vita di tutti iPag. 40giorni, mi soffermo a pensare ad un'ideale carta geografica dell'Europa, questo continente su cui è riposta tanta speranza per il futuro delle nuove generazioni.
Penso ad una carta ideale dell'Europa come era allora, nel 1941, quando io venivo al mondo. Immagino una carta geografica caratterizzata da due grandi macchie: una nera ad ovest e una rossa ad est. Si trattava di due grandi macchie che rappresentavano regimi dittatoriali spietati che avevano cosparso la terra dei più abominevoli delitti, dei crimini più abietti contro l'umanità. Se oggi l'Europa, con tutti i suoi problemi, è una comunità di Paesi democratici, civili, fieri del loro modello sociale, tutti noi e i nostri figli lo dobbiamo a persone come Vittorio Foa, che patirono il carcere e l'emarginazione, pur di mantenere aperta a noi tutti e a quelli che verranno dopo di noi una prospettiva di libertà.
Vittorio Foa è morto quasi centenario; fino all'ultimo è rimasto non solo lucido, ma ha saputo comprendere ed interpretare, anche nelle contraddizioni, i tempi nuovi, quei grandi fenomeni politici contemporanei - sono sue parole, signor Presidente - che lei ha definito poco fa in quest'aula.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho scolpito nella mente quanto Foa dichiarò in un'intervista ad un grande quotidiano non tanti anni or sono. Al giornalista che gli chiedeva che cosa significasse essere di sinistra oggi, rispose: «Essere di sinistra oggi significa pensare agli altri e al futuro». Dopo una pausa di riflessione, aggiunse: «Anzi, pensare agli altri nel futuro». Questo è un insegnamento che Vittorio ci lascia. Si tratta dell'insegnamento di un maestro, che non è soltanto dei parlamentari del Partito Democratico, ma di ciascuno di noi. È un maestro degli italiani di oggi, è un maestro degli italiani di domani (Generali applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.

LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, anche il gruppo della Lega Nord Padania si associa alle parole e ai sentimenti di cordoglio per la scomparsa dell'onorevole Vittorio Foa. Ricordiamo il suo impegno politico e sociale, che lo ha contraddistinto in tanti anni di attività. La sua volontà, la sua determinazione e la sua coerenza nei comportamenti hanno lasciato un ricordo e un percorso di vita, che è difficile fare nostri per i nostri limiti e che dovrebbero essere di stimolo per arricchire anche i nostri comportamenti e le nostre azioni: queste poche parole hanno il fine di ricordare, anche da parte nostra, una brava persona quale è stata l'onorevole Vittorio Foa (Generali applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, in genere noi tutti siamo sempre molto generosi in parole e riconoscimenti quando qualcuno se ne va. Con Vittorio Foa non vi è bisogno di essere generosi: credo sia sufficiente la riconoscenza per quello che ha fatto per questo Paese e per quanto ha donato alla democrazia.
Intendo prima di tutto, però, sottolineare un aspetto: ho apprezzato molto la sensibilità del Presidente della Camera che ha voluto oggi commemorare solennemente Vittorio Foa e sottolineare i suoi 98 anni proiettati nel futuro. Altri hanno già detto meglio di me di questo suo sguardo oltre la collina, del suo esempio, un maestro di vita.
Voglio sottolineare una particolarità: Vittorio non era un leader carismatico come altri ne abbiamo conosciuti in questo Paese, in questi sessant'anni democrazia. Era un vero opinion leader e - utilizzando un'espressione che può apparire irriverente, ma che lo farebbe sorridere - era per di più ottimista e di sinistra, ma di una sinistra diversa, unica, che solo lui sapeva interpretare con rigore e coerenza, come ha scritto Paolo Franchi, con passione e amore per la libertà - mi azzardo a dire -, con un approccio laico che sottintende una visione non ideologica, ovvero di chi discute, parla e cerca la soluzione, non la impone e non ce l'ha precostituita.Pag. 41
Anche lui certo, come tanti di noi, ha sbagliato, ha compiuto scelte errate, non ha colto alcuni mutamenti, non ha colto alcuni insegnamenti, ha forse sbagliato in qualche cosa, ma non nel suo approccio, in questa sua idea di una sinistra critica, caratterizzata, dal suo punto di vista, da onestà intellettuale e culturale, quell'onestà intellettuale e culturale che lo ha portato in carcere per le sue idee e i suoi valori.
Un valore fra tutti voglio richiamare rivolgendomi a lei, signor Presidente della Camera: lui ha fatto dell'antifascismo un valore ed io le voglio riconoscere pubblicamente quanto ha detto qualche settimana fa, riconoscendo che l'antifascismo è un valore del popolo italiano, della democrazia italiana e quindi anche di quest'Aula. È un antifascismo che lui praticava con tolleranza e con un approccio libertario: è passato attraverso l'Ungheria del 1956, la Praga del 1968, il Partito d'azione, il Partito socialista, il Partito socialista di unità proletaria, il PdUP, il PD, ma sempre con coerenza, come ha ricordato una sua amica, una persona che lo ha conosciuto bene, Miriam Mafai, che mi permetto qui di citare: «La coerenza - scrive, ricordando le parole di Vittorio - dei comunisti è in primo luogo la fedeltà ad una organizzazione, una sorta di feticismo di partito. Il mio tipo di coerenza, o se vogliamo di fedeltà, è quello della ricerca di un obiettivo, sempre lo stesso ma attraverso diversi percorsi. Io ho sempre cercato la verità in modo trasversale, al di là degli steccati». Credo che questo gli faccia onore e ci faccia sentire così accorati e corali nel ricordarlo.
È stato un grande dirigente politico, un grande uomo di cultura, ma soprattutto un grande dirigente sindacale. La CGIL è stata la sua vera casa, la sua vera famiglia, dove ha saputo superare anche le sue proprie contraddizioni chiamandole «compresenza di posizioni». Per questo, l'Italia dei Valori si associa ai suoi familiari, ai suoi amici, ai suoi compagni di partito nel ringraziamento e nel saluto. Ciao Vittorio (Generali applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, desidero unirmi alle parole dette da lei in questa circostanza dolorosa per la scomparsa di Vittorio Foa e a quelle dette dal Presidente della Repubblica, parole molto appropriate per ricordare un uomo di straordinaria integrità morale come è stato Vittorio Foa.
Vittorio Foa veniva dal Piemonte, aveva studiato al liceo sotto l'insegnamento di un'antifascista come Augusto Monti, era compagno di età di uomini come Massimo Mila, come Leone Ginzburg e molti altri che poi hanno combattuto per la libertà: molti sono caduti sotto il piombo dei tedeschi o della dittatura.
Era stato arrestato nel 1930 per la delazione di una spia dell'OVRA, aveva passato otto anni in carcere e nel 1943 aveva ripreso immediatamente la battaglia nella Resistenza, militando nelle file di Giustizia e Libertà e del Partito d'azione, in quella straordinaria formazione politica che aveva la forza, che non spesso viene riconosciuta, di combattere contro ogni forma di totalitarismo: una forza antifascista ma con una chiara delimitazione a sinistra rispetto al mondo comunista; essere antifascisti senza essere comunisti in quegli anni era molto difficile e questa fu la durezza dell'esperienza del Partito d'azione.
Io ricordo da giovanissimo di avere avuto tra le mani i Nuovi quaderni di Giustizia e Libertà che venivano stampati clandestinamente nella Val Pellice per iniziativa di Leo Valliani, di Franco Venturi, di Vittorio Foa, tutti nomi ai quali la migliore storia del nostro Paese è legata.
Ecco perché, ricordando Vittorio Foa, noi ricordiamo la parte di un'Italia che ha saputo liberarsi, diventare un Paese democratico ed entrare nel consesso delle nazioni libere e democratiche, grazie al sacrificio, al coraggio e all'impegno di uomini come questi, che meritano il ricordo e la riconoscenza di tutti (Generali applausi).
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, desidero unirmi alle parole dette da lei in questa circostanza dolorosa per la scomparsa di Vittorio Foa e a quelle dette dal Presidente della Repubblica, parole molto appropriate per ricordare un uomo di straordinaria integrità morale come è stato Vittorio Foa.
Vittorio Foa veniva dal Piemonte, aveva studiato al liceo sotto l'insegnamento di un'antifascista come Augusto Monti, era compagno di età di uomini come Massimo Mila, come Leone Ginzburg e molti altri che poi hanno combattuto per la libertà: molti sono caduti sotto il piombo dei tedeschi o della dittatura.
Era stato arrestato nel 1935 per la delazione di una spia dell'OVRA, aveva passato otto anni in carcere e nel 1943 aveva ripreso immediatamente la battaglia nella Resistenza, militando nelle file di Giustizia e Libertà e del Partito d'azione, in quella straordinaria formazione politica che aveva la forza, che non spesso viene riconosciuta, di combattere contro ogni forma di totalitarismo: una forza antifascista ma con una chiara delimitazione a sinistra rispetto al mondo comunista; essere antifascisti senza essere comunisti in quegli anni era molto difficile e questa fu la durezza dell'esperienza del Partito d'azione.
Io ricordo da giovanissimo di avere avuto tra le mani i Nuovi quaderni di Giustizia e Libertà che venivano stampati clandestinamente nella Val Pellice per iniziativa di Leo Valliani, di Franco Venturi, di Vittorio Foa, tutti nomi ai quali la migliore storia del nostro Paese è legata.
Ecco perché, ricordando Vittorio Foa, noi ricordiamo la parte di un'Italia che ha saputo liberarsi, diventare un Paese democratico ed entrare nel consesso delle nazioni libere e democratiche, grazie al sacrificio, al coraggio e all'impegno di uomini come questi, che meritano il ricordo e la riconoscenza di tutti (Generali applausi).

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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, esprimo il cordoglio del mio partito e quello mio personale per la scomparsa di Vittorio Foa. È stato ricordato che era piemontese, torinese, ebreo di Torino, uno degli esponenti di quella grande cultura ebraica torinese che ha dato contributi importanti alla storia del nostro Paese. Era ebreo non ortodosso, ma laico, che, però, non ha mai rinnegato questa identità e che ha voluto riaffermare negli ultimi momenti della sua vita accettando la tessera onoraria di membro della comunità ebraica di Roma.
La Torino di quei tempi - è stato ricordato dall'onorevole La Malfa - vide nel liceo «Massimo D'Azeglio» una grande fucina dell'antifascismo. C'era Augusto Monti tra i professori, ma vorrei ricordare anche il nome di Umberto Cosmo, che fu insegnante di un diverso tipo di antifascismo, più morale che politico, e nel rigore di Vittorio Foa certo c'è la sedimentazione anche di quell'insegnamento.
Ciò che lo difendeva dal moralismo era, forse, la sua radice ebraica, il fatto di non accettare che alcun sistema si ergesse ad assoluto e la consapevolezza che la verità assoluta è sempre oltre i sistemi che gli uomini creano. Egli crebbe con Norberto Bobbio, con Massimo Mila, con Augusto Del Noce, dentro la «religione della libertà», che era l'espressione dell'opposizione antifascista di allora, la filosofia di Benedetto Croce, esprimendone una variante, in qualche modo, di sinistra, quella da cui nasce il Partito d'azione e che vide nella Storia d'Europa di Croce il proprio punto di riferimento ideale.
Gli rimase sempre questa idea della libertà: anche quando era marxista, fu un uomo che credeva nella libertà e credeva, secondo l'insegnamento gobettiano, che il popolo dovesse partecipare della libertà e che le classi lavoratrici dovessero entrare all'interno della cultura della libertà.
Per questo motivo, negli anni Sessanta fu uno di quegli esponenti della sinistra socialista torinese - o, meglio, del socialismo di sinistra -, intorno a esperienze come Quaderni rossi di Raniero Panzieri, convinti della creatività della classe operaia e tesi a svegliare questa creatività e anche a riprendere l'idea del marxismo come metodo di conoscenza della società, non come dogma, coniugandolo con la sociologia moderna e quindi andando a vedere come sono fatti davvero gli operai, stando davvero insieme a loro.
Ecco, il grande amore: la CGIL, il sindacato. In questo Foa venne progressivamente scoprendo che il marxismo non era vero, che le categorie offerte dal marxismo non funzionavano più, senza mai perdere la convinzione della grande potenzialità dei lavoratori e della necessità di stare dalla loro parte. Come dimenticare il contributo che ha dato negli anni del terrorismo, quando per molti la lotta di classe veniva prima del rispetto della dignità umana.
Qui vorrei associare la sua memoria a quella di Carlo Casalegno e alle parole di Andrea Casalegno su Lotta Continua il giorno dopo l'assassinio di suo padre: «Non avrei mai creduto che la lotta di classe potesse venire prima anche del rispetto della dignità della persona umana».
Foa ebbe un ruolo anche nell'aiutare una generazione, attraverso il suo percorso, attraverso il PdUP, il Manifesto, a uscire dalla prigione del terrorismo, mantenendo una speranza di futuro, la religione della libertà, la convinzione delle potenzialità del lavoro umano e dei lavoratori, l'idea di una democrazia che fosse anche dei lavoratori e il sogno di un mondo all'interno del quale l'uomo non vivesse solo per il mercato, non fosse un oggetto che vive consumando le merci prodotte dal mercato e servendo a produrre le merci che il mercato consumerà, ma avesse una capacità di affermare, nell'arte, nella poesia, nell'amore, nel rapporto interumano, una verità più grande.
Per questo, con grande commozione noi oggi lo ricordiamo (Generali applausi).

PRESIDENTE. Come preannunciato, la Conferenza dei presidenti di gruppo è convocata al piano Aula.Pag. 43
Sospendo la seduta, che riprenderà al termine della predetta riunione.

La seduta, sospesa alle 15,25, è ripresa alle 15,40.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Comunico che la Conferenza dei presidenti di gruppo si è testé riunita per definire l'organizzazione del dibattito conseguente alla posizione della questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge n. 1742 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi (Approvato dal Senato - scadenza: 27 ottobre 2008), nel testo delle Commissioni.
Poiché la questione di fiducia è stata posta alle ore 14,35 di oggi, la votazione per appello nominale avrà inizio alla stessa ora di domani, mercoledì 22 ottobre. Le dichiarazioni di voto, a norma dell'articolo 116, comma 3, del Regolamento, avranno inizio domani alle ore 13,30.
Successivamente, si passerà all'esame degli ordini del giorno.
Seguiranno le dichiarazioni di voto finale e, quindi, la votazione finale del disegno di legge di conversione.
Il termine per la presentazione degli ordini del giorno è stabilito alle ore 9,30 di domani.
Lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata (question time), previsto per mercoledì alle ore 15, non avrà luogo.
Dopo la votazione finale del disegno di legge di conversione avrà luogo l'esame e la votazione della questione pregiudiziale presentata al disegno di legge n. 1772 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario (Approvato dal Senato - scadenza: 15 novembre 2008).
Giovedì 23 ottobre (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna e nella giornata di venerdì 24 ottobre) avranno luogo le discussioni sulle linee generali dei seguenti argomenti:
disegno di legge n. 1707 - Conversione in legge del decreto-legge 25 settembre 2008, n. 149, recante disposizioni urgenti per assicurare adempimenti comunitari in materia di giochi (da inviare al Senato - scadenza: 25 novembre 2008);
proposta di inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 1 e abbinate - Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali;
disegno di legge n. 1441-ter - Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia (già articoli 3, da 5 a 13, da 15 a 18, 22, 31 e 70 del disegno di legge n. 1441, stralciati con deliberazione dell'Assemblea il 5 agosto 2008) (collegato alla manovra di finanza pubblica).

Nella stessa giornata di giovedì o di venerdì, al termine delle discussioni sulle linee generali, avrà luogo lo svolgimento di interpellanze urgenti.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 22 ottobre 2008, alle 13,30:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 999 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, recante disposizioni urgentiPag. 44in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi (Approvato dal Senato) (1742-A).
- Relatori: Polledri, per la X Commissione e Valducci, per la IX Commissione.

2. - Discussione del disegno di legge (per l'esame e la votazione della questione pregiudiziale presentata):
S. 1018 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario (Approvato dal Senato) (1772).

La seduta termina alle 15,45.