PDL 476

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 476

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
ASCANI, PICCOLI NARDELLI, DI GIORGI, MARCO DI MAIO

Ratifica ed esecuzione della Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, fatta a Faro il 27 ottobre 2005

Presentato il 6 aprile 2018

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Onorevoli Colleghi! — La Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, siglata a Faro il 27 ottobre 2005 ed entrata in vigore a livello internazionale il 1° ottobre 2011 con il deposito del decimo strumento di ratifica, è stata ad oggi ratificata da 17 Stati membri del Consiglio d'Europa. Altri 5, tra cui l'Italia, l'hanno firmata ma non ancora ratificata.
Invero, come noto, in Italia un tentativo di ratifica è stato promosso nel corso della XVII legislatura. Su proposta dell'allora Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Consiglio dei ministri aveva approvato un disegno di legge di ratifica in data 16 giugno 2017 che, nonostante il parere favorevole delle Commissioni competenti, non ha mai visto la luce a causa dell'imminenza della fine della legislatura.
Con la presente proposta di legge, dunque, si intende riproporre la ratifica di questa importante Convenzione, un testo di grande respiro e dai contenuti altamente innovativi, alla cui elaborazione il nostro Paese ha attivamente partecipato tramite gli allora Ministeri per i beni e le attività culturali e degli affari esteri.
La firma dell'Italia alla Convenzione è stata poi ritardata per consentire una valutazione più approfondita degli eventuali oneri finanziari derivanti dall'attuazione delle sue disposizioni. Essa è quindi intervenuta nel 2013, a seguito della richiesta rivolta nel maggio 2010 dal Cultural Heritage and Landscape a tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa.
Va detto peraltro che, grazie alla sua natura «elastica», la Convenzione di Faro è da tempo oggetto di sperimentazioni su scala territoriale, anche ad opera di Paesi che non l'hanno ancora ratificata (tra cui il nostro).
Come tutte le convenzioni quadro, essa indica in effetti una serie di obiettivi agli Stati membri – specialmente quelli indicati nelle parti II (Il contributo del patrimonio culturale alla società e allo sviluppo umano, articoli 7-10) e III (Responsabilità condivisa nei confronti del patrimonio culturale e partecipazione del pubblico, articoli 11-14) – lasciando loro un'ampia libertà di scelta sui tempi e sui modi di perseguirli, che significa progressività nella loro realizzazione, non certo assenza di obblighi vincolanti in capo agli Stati.
In particolare, per quanto riguarda la realizzazione del cosiddetto diritto al patrimonio culturale, ciascuno Stato parte della Convenzione ha l'obbligo di rispettare il principio di effettività, intraprendendo un percorso che porti all'applicazione concreta di quanto previsto e consenta ai singoli e alle comunità patrimoniali di conseguire effettivamente i diritti in essa stabiliti.
Si riepilogano sinteticamente qui di seguito le disposizioni dei singoli articoli contenuti nelle cinque parti della Convenzione.
Come per tutti gli strumenti giuridici internazionali, il preambolo è parte integrante ed essenziale del testo convenzionale. Nel caso della Convenzione di Faro, soprattutto la parte I (Obiettivi, definizioni e princìpi, articoli 1-6) va analizzata alla luce delle indicazioni in esso contenute.
Il quarto considerando riconosce che «ogni persona ha il diritto, nel rispetto dei diritti e delle libertà altrui, ad interessarsi all'eredità culturale di propria scelta, in quanto parte del diritto a partecipare liberamente alla vita culturale, sancito dalla Dichiarazione universale delle Nazioni Unite dei diritti dell'uomo (1948) e garantito dal Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (1966)».
Tale affermazione va letta in combinazione con l'articolo 27 della Dichiarazione, che stabilisce il diritto in capo ad ognuno di «prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità», e con l'articolo 15, paragrafo 1, lettera a), del Patto, per il quale gli Stati membri riconoscono il diritto di ogni individuo a «partecipare alla vita culturale». Essa fa corpo inoltre con l'affermazione estremamente innovativa, contenuta all'articolo 1, lettera a), della Convenzione di Faro, secondo cui le Parti si impegnano a riconoscere il diritto al patrimonio culturale come inerente al diritto di partecipare alla vita culturale. In questo modo la dimensione culturale fa il suo ingresso nella sfera dei diritti umani, arricchendola in modo significativo. L'articolo 4, lettera c), stabilisce poi – ricorrendo ad una ben nota clausola restrittiva – che gli Stati parte si impegnano ad assoggettare l'esercizio del diritto al patrimonio culturale «soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell'interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà».
Il terzo considerando, sul rapporto tra patrimonio culturale e sviluppo sostenibile, e il sesto considerando, che presenta la classica struttura antidiscriminatoria («convinti della fondatezza del principio delle politiche per il patrimonio culturale e delle iniziative educative che trattino equamente tutti i patrimoni culturali, promuovendo così il dialogo fra le culture e le religioni»), confermano e rafforzano la natura del diritto al patrimonio culturale come appartenente alla sfera dei diritti culturali.
Un discorso a parte merita il secondo considerando, che impone di mettere la persona e i valori umani «al centro di un'idea allargata e interdisciplinare di patrimonio culturale».
Esso introduce l'articolo 2, lettera a), che definisce il «patrimonio culturale» come «un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni costantemente in evoluzione. Esso comprende tutti gli aspetti dell'ambiente derivati dall'interazione nel tempo fra le persone e i luoghi».
Vista alla luce del secondo considerando, la definizione non è troppo ampia e indeterminata come potrebbe sembrare. L'espressione «valori, credenze, conoscenze e tradizioni costantemente in evoluzione», nel suo accurato ordine, conferma infatti la voluta prevalenza degli elementi soggettivi (valori, credenze) su quelli oggettivi (conoscenze, tradizioni), che rappresenta uno dei tratti più originali della Convenzione.
Tale disposizione, con l'inciso «indipendentemente da chi ne detenga la proprietà», indica la volontà di mantenersi al di fuori delle questioni relative ai diritti di proprietà intellettuale, non diversamente dalla Convenzione UNESCO del 2003 sulla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. A tale Convenzione avvicina anche l'espressione «costantemente in evoluzione», che si riferisce appunto a un patrimonio ancora vivente. Piuttosto, il ricorso all'espressione «insieme di risorse», secondo una terminologia affatto assente dalla Convenzione del 2003, indica l'interesse per i profili economici del patrimonio culturale, richiamando sia pure di sfuggita la terminologia utilizzata dalla Convenzione UNESCO del 2005 sulla protezione e promozione delle diversità culturali. Infine, l'uso del termine «people» in uno strumento giuridico che, quando necessario, sa ricorrere ai termini «person» e «individuals», sta a indicare che ci si riferisce a un diritto che è insieme individuale e collettivo.
Alla stregua dell'articolo 2, lettera b), una «comunità patrimoniale» è costituita da «persone che attribuiscono valore a degli aspetti specifici del patrimonio culturale, che essi desiderano, nel quadro di un'azione pubblica, sostenere e trasmettere alle generazioni future». La definizione si lega a quella dell'articolo 4, lettera a), (diritti e responsabilità concernenti il patrimonio culturale) secondo cui le Parti riconoscono il diritto di ogni persona, da sola o in gruppo, a trarre profitto dal patrimonio culturale o a contribuire al suo arricchimento. Si tratta di un aspetto decisamente innovativo, sul quale il dibattito è in piena fase di sviluppo.
L'articolo 3 della Convenzione contiene poi una definizione che ha avuto, giustamente, ampia trattazione in dottrina, quella di «patrimonio culturale europeo». Tale patrimonio è costituito per un verso da tutte le forme di patrimonio culturale in Europa che costituiscono nel loro insieme una fonte condivisa di ricordo, di comprensione, di identità, di coesione e creatività (lettera a)), per altro verso da «gli ideali, i princìpi e i valori, derivati dall'esperienza ottenuta grazie al progresso e facendo tesoro dei conflitti passati, che promuovano lo sviluppo di una società pacifica e stabile, fondata sul rispetto per i diritti dell'uomo, la democrazia e lo Stato di diritto» (lettera b)).
La definizione di cui alla lettera a), da leggere in stretta connessione con quanto indicato all'articolo 6 della Convenzione di Firenze sul paesaggio culturale, si caratterizza per il richiamo al patrimonio dell'Europa come fonte condivisa. Sotto un altro profilo, è evidente il rapporto tra quanto disposto alla lettera a) e il contenuto della lettera b), seconda parte soprattutto. Più delle altre, questa disposizione dimostra il nesso con gli avvenimenti dolorosi in Europa centro-orientale dell'ultimo scorcio del secolo scorso e dà ampiamente ragione del perché all'inizio la Convenzione stessa sia stata ratificata in particolare da Stati appartenenti a quell'area. Va infine richiamato il giudizio secondo cui il patrimonio comune dell'Europa si identifica con la sua capacità, e naturalmente quella degli Stati membri dell'Unione europea, di essere garanti della libertà dei cittadini europei.
Dall'incontro tra le nozioni di «patrimonio/eredità comune dell'Europa» e di «comunità patrimoniale/eredità», emerge allora il tratto caratterizzante, quello che dà la cifra del passaggio evolutivo rappresentato dalla Convenzione. Come sottolineato dallo Steering Committee for Cultural Heritage and Landscape in un documento del 2009, tale tratto è quello della «multiple cultural affiliation».
Gli articoli 5 e 6, che concludono la parte I, sono dedicati rispettivamente alle «Leggi e politiche sul patrimonio culturale», e agli «Effetti della Convenzione».
Il primo, nel modo tipico delle convenzioni quadro, esprime un generico obbligo in capo agli Stati membri di: «riconoscere» l'interesse pubblico associato agli elementi del patrimonio culturale, nonché il valore dello stesso nei territori sotto la propria giurisdizione; «valorizzare» il patrimonio culturale; «favorire» un clima economico e sociale; «promuovere» la protezione del patrimonio culturale; «formulare» strategie integrate per facilitare l'esecuzione delle disposizioni della Convenzione. Contiene peraltro, alla lettera c), una disposizione formulata in termini assolutamente espliciti, riferita all'obbligo di «assicurare che, nell'ordinamento giuridico specifico di ogni Parte, esistano le disposizioni legislative per esercitare il diritto al patrimonio culturale», nel senso di cui alla definizione contenuta nella parte I della Convenzione.
L'articolo 6 specifica che nessuna disposizione della Convenzione può essere interpretata in senso contrario ai diritti umani, o al fine di influenzare disposizioni più favorevoli al patrimonio culturale o all'ambiente, o essere considerata suscettibile di diretta applicazione.
La parte II, intitolata «Il contributo del patrimonio culturale alla società e allo sviluppo umano», declina in modo più dettagliato gli obblighi di cui all'articolo 5.
In base all'articolo 7 le Parti assumono l'obbligo, mediante «autorità pubbliche ed altri enti competenti», di incoraggiare riflessioni sull'etica e sui metodi di presentazione del patrimonio culturale, svilupparne la conoscenza «come risorsa per facilitare la coesistenza pacifica, promuovendo la fiducia e la comprensione reciproca, in una prospettiva di risoluzione e di prevenzione dei conflitti», integrare tali metodi in tutti gli aspetti dell'educazione e della formazione permanente. Le Parti si impegnano inoltre «a stabilire i procedimenti di conciliazione per gestire equamente le situazioni dove valori contraddittori siano attribuiti allo stesso patrimonio da comunità diverse».
I successivi articoli 8, 9 e 10 si occupano del rapporto tra patrimonio culturale e, rispettivamente, ambiente e qualità della vita, uso sostenibile delle risorse e sviluppo economico.
La parte III si intitola «Responsabilità condivisa nei confronti del patrimonio culturale e partecipazione del pubblico».
L'articolo 11 impegna gli Stati a promuovere un approccio integrato da parte delle istituzioni pubbliche, a sviluppare un quadro giuridico, finanziario e professionale che permetta l'azione congiunta di autorità pubbliche, esperti, proprietari, investitori, imprese, organizzazioni non governative e società civile, ma anche a rispettare, favorire o incoraggiare le iniziative volontarie di soggetti privati e di organizzazioni non governative in questo campo, purché rispettose dell'interesse pubblico.
Essi devono inoltre, secondo i metodi da ciascuno prescelti, favorire la partecipazione degli individui ai processi inerenti l'identificazione e il dibattito sul patrimonio culturale, nonché la presa in considerazione «del valore attribuito da ogni comunità patrimoniale al patrimonio culturale in cui si identifica» (articolo 12).
Le Parti devono altresì facilitare l'inserimento della dimensione culturale a tutti i livelli della formazione, ivi comprese la formazione professionale e la ricerca (articolo 13).
Si impegnano infine a sviluppare l'accesso alla dimensione digitale del patrimonio culturale, nella convinzione che «la creazione di contenuti digitali relativi al patrimonio culturale non dovrebbe pregiudicare la conservazione del patrimonio attuale» (articolo 14).
Un discorso attento merita la parte IV, relativa a «Controllo e cooperazione».
Infatti l'articolo 15, stabilendo l'obbligo di sviluppare, attraverso il Consiglio d'Europa, «un esercizio di monitoraggio sulla legislazione, politiche e pratiche riguardanti il patrimonio culturale, coerente con i princìpi stabiliti dalla presente Convenzione» (meccanismo poi dettagliato all'articolo 16), e di contribuire a curare, sviluppare e aggiornare «un sistema informativo comune, accessibile al pubblico, che faciliti la valutazione di come ogni Parte rispetti gli impegni derivanti dalla presente Convenzione», si stacca in parte dal meccanismo classico delle convenzioni quadro. Ciò avviene quando la Convenzione impone l'obbligo di stabilire, attraverso il Consiglio d'Europa, un organo di monitoraggio che controlli le politiche, le attività legislative, le pratiche dei singoli Stati; un obbligo che diventa ancora più preciso con riferimento alla partecipazione ad un sistema di condivisione delle informazioni. Come ha successivamente specificato lo Steering Committee for Cultural Heritage and Landscape, si trattava di costruire un data base condiviso – allargato anche alle altre convenzioni del Consiglio d'Europa sul patrimonio culturale – come è in effetti avvenuto tramite lo European Cultural Heritage Information Network (HEREIN). HEREIN prevede un sistema di coordinatori nazionali nominati dai Ministri nazionali della cultura, che si occupa di definire i temi e le aree di lavoro in rapporto con i temi più sensibili, un data base che provvede, tra l'altro, a redigere un inventario sempre aggiornato delle politiche culturali europee, un thesaurus con oltre 500 termini relativi al patrimonio culturale e naturale.
Il meccanismo di controllo posto in essere con la Convenzione di Faro si differenzia quindi notevolmente dagli altri strumenti in materia di diritti culturali, fondati essenzialmente su rapporti periodici da parte degli Stati membri. Di più, il sistema disciplinato dagli articoli 15 e 16, insieme con l'obbligo puntuale in capo agli Stati membri, posto dal citato articolo 5, lettera c), differenzia la Convenzione di Faro dalle normali convenzioni quadro. Senza stravolgere la natura propria di tali strumenti, essa pone tuttavia taluni obblighi precisi, rispetto ai quali agli Stati non è lasciato spazio di manovra. Al momento di autorizzare la ratifica e dare l'ordine di esecuzione il legislatore nazionale è dunque conscio che l'obbligo di partecipare all'azione europea di monitoraggio, quello di partecipare ad HEREIN, quello di inserire nell'ordinamento interno il diritto al patrimonio culturale come specifica articolazione del diritto culturale di cui all'articolo 15, paragrafo, lettera a), del Patto sui diritti economici, sociali e culturali, costituiscono obblighi specifici l'inadempimento dei quali comporta, per lo Stato ratificante, la violazione di un preciso obbligo internazionale.
L'articolo 17 contiene l'impegno delle Parti di cooperare, tra loro e attraverso il Consiglio d'Europa, a perseguire obiettivi e princìpi della Convenzione e in particolare «a promuovere il riconoscimento del patrimonio comune europeo».
La Parte V conclusiva, dedicata alle clausole finali, segue i criteri standard per l'entrata in vigore della Convenzione (articolo 18), salvo indicare in riferimento all'adesione la possibilità che l'Unione europea ne entri a far parte (articolo 19). Lo stesso articolo indica infine il meccanismo attraverso il quale anche Stati non membri del Consiglio d'Europa possono essere invitati a diventare membri della Convenzione.
Successivamente all'entrata in vigore della Convenzione, il Consiglio d'Europa, tramite lo Steering Committee for Culture, Heritage and Landscape ha individuato alcune esperienze pilota, quali quelle di Marsiglia in Francia, Venezia in Italia, Pilsen nella Repubblica Ceca, Viseri in Romania, dimostrando – Action Plan 2013-2014 – di favorire un approccio fondato sul rapporto abitanti/territorio e il rapporto di entrambi con il patrimonio culturale. La volontà del Consiglio d'Europa di dare nuovo slancio alla sua vocazione «patrimonialista» è documentata dalla convocazione a Namur (Belgio, 22-24 aprile 2015) della VI Conferenza dei Ministri responsabili per il patrimonio culturale, intitolata Cultural Heritage in the 21st century for living better together: towards a common strategy for Europe. Il successivo Faro Action Plan 2016-2017, pubblicato dallo stesso Steering Committee nel maggio 2016 a Strasburgo e tuttora in corso di svolgimento, si propone di provvedere all'applicazione concreta della Convenzione, attraverso un'azione che stabilisca alcune priorità: aumentare gli sforzi di promozione della Convenzione e di visibilità della sua azione; aumentare i rapporti tra le comunità patrimoniali che nelle differenti situazioni si sforzano di applicare la Convenzione; sviluppare buone pratiche, workshop e dare origine a un pool di esperti (Faro in action), nonché prendere in esame alcune aree determinate per valutare il ruolo del contributo della Convenzione al cambiamento sociale (Faro Spotlights).
La proposta di legge di ratifica si compone di quattro articoli.
L'articolo 1 prevede l'autorizzazione alla ratifica della Convenzione.
L'articolo 2 contiene l'ordine di esecuzione della stessa.
L'articolo 3 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'attuazione della legge.
L'articolo 4 disciplina la sua entrata in vigore.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).

1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, fatta a Faro il 27 ottobre 2005.

Art. 2.
(Ordine di esecuzione).

1. Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 18 della Convenzione stessa.

Art. 3.
(Copertura finanziaria).

1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in euro 1 milione per l'anno 2018, in euro 1 milione per l'anno 2019 e in euro 2 milioni annui a decorrere dall'anno 2020, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2018-2020, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2018, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 4.
(Entrata in vigore).

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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