PDL 1173-A-bis

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1173-726-727-1447-A-bis

PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

1173

d'iniziativa dei deputati
D'UVA, MOLINARI, BRESCIA, IEZZI, MACINA, BORDONALI, DAVIDE AIELLO, DE ANGELIS, ALAIMO, GIGLIO VIGNA, BALDINO, INVERNIZZI, BERTI, MATURI, BILOTTI, STEFANI, MAURIZIO CATTOI, TONELLI, CORNELI, VINCI, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI, FORCINITI, PARISSE, FRANCESCO SILVESTRI, ELISA TRIPODI, PENNA, SCERRA, SPADONI

Modifica all'articolo 71 della Costituzione in materia di iniziativa legislativa popolare

Presentata il 19 settembre 2018

e

PROPOSTE DI LEGGE COSTITUZIONALE

726

d'iniziativa dei deputati
CECCANTI, CENNI, DE MENECH, DI GIORGI, FRAGOMELI, LA MARCA, MORANI, PEZZOPANE, ROSATO

Modifica dell'articolo 71 della Costituzione, concernente l'iniziativa delle leggi e l'introduzione del referendum propositivo

Presentata il 13 giugno 2018

727

d'iniziativa dei deputati
CECCANTI, CENNI, DE MENECH, DI GIORGI, FRAGOMELI, LA MARCA, MORANI, PEZZOPANE, ROSATO

Modifica all'articolo 75 della Costituzione, concernente la determinazione del quorum per la validità del referendum abrogativo

Presentata il 13 giugno 2018

1447

d'iniziativa del deputato MAGI

Modifiche agli articoli 71 e 75 della Costituzione, in materia di iniziativa legislativa popolare e di referendum

Presentata il 13 dicembre 2018

(Relatore di minoranza: SPERANZA )

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Onorevoli Colleghi! — La proposta di legge costituzionale in discussione va a modificare l'articolo 71 della Costituzione nella parte in cui viene disciplinata l'iniziativa di legge popolare, introducendo una nuova procedura, in qualche modo rinforzata, che, qualora si verifichino alcune condizioni, può portare allo svolgimento di una consultazione referendaria. Si tratta di una riforma mirata che agisce su uno specifico aspetto del nostro testo costituzionale, e ciò è sicuramente apprezzabile; si è così evitato il ricorso a una «grande riforma», come fatto nella passata legislatura, che aveva prodotto un testo confuso, contraddittorio e dove anche le buone intenzioni naufragavano in un risultato complessivamente negativo che è stato poi respinto dagli elettori.
Una riforma costituzionale, ovviamente, deve coinvolgere e convincere il più ampio spettro delle diverse forze politiche. Già in passato le riforme costituzionali approvate con strette maggioranze e che non sono state condivise in modo largo sono fallite o hanno comunque mostrato gravi limiti. Anche questa riforma, se vorrà essere efficace e rispondere all'esigenza di rafforzare la partecipazione dei cittadini al processo legislativo, dovrà essere più condivisa possibile, tanto nelle procedure, quanto nei tempi e nel superamento degli steccati tra maggioranza e opposizione. In questo senso è un bene che in diverse occasioni la maggioranza abbia ribadito che la riforma sarà esclusiva prerogativa della discussione parlamentare e che il Governo non intende incidervi. Tuttavia, il fatto che i primi firmatari del testo in esame siano i capigruppo delle forze politiche di maggioranza non è assolutamente un buon segnale.
Modificando l'istituto dell'iniziativa legislativa popolare, si introduce un nuovo e rafforzato strumento di democrazia partecipativa che modifica in modo significativo tutto l'impianto dell'iniziativa legislativa nel nostro testo costituzionale. In questo quadro è assolutamente necessario che la discussione su questa modifica della Costituzione abbia come obiettivo il raggiungimento di un virtuoso equilibrio tra il rafforzamento dell'iniziativa popolare, inteso come un elemento di democrazia diretta, e il nostro impianto costituzionale che si fonda, come in tutti i sistemi democratici del mondo, su una democrazia rappresentativa. Per trovare questo delicato e nuovo equilibro è così necessario che il testo presentato sia approfondito e significativamente emendato in modo che non produca pericolosi elementi di squilibrio tra i poteri e non apra una contraddizione tra l'iniziativa legislativa popolare e quella parlamentare, aggravando il già presente e preoccupante iato tra i cittadini e le istituzioni.
Sono tre gli elementi fondamentali attorno a cui si è svolto il dibattito sulla proposta di modifica della Costituzione: i limiti delle materie che possono essere oggetto della proposta di legge di iniziativa popolare, la questione intorno alla necessità di un quorum di partecipazione per rendere valida la consultazione referendaria e il rapporto tra la proposta di legge popolare e quella parlamentare.
Prima di affrontare le tre questioni principali, merita attenzione la previsione nel testo, come modificato dalla Commissione, che stabilisce la competenza della Corte costituzionale a una verifica preventiva, dopo il raggiungimento di almeno duecentomila firme, sull'ammissibilità del referendum. Si tratta di un aspetto che condividiamo e al quale crediamo si debba aggiungere che il vaglio preventivo da parte della Corte debba riguardare anche la costituzionalità della proposta.
Andando alle tre questioni fondamentali: per quanto riguarda il tema della definizione dell'ambito delle materie che possono essere oggetto dell'iniziativa di legge popolare, il testo proposto prevede che non siano ammissibili le proposte che non rispettano i princìpi e i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione nonché i vincoli europei e internazionali; inoltre non è ammissibile una proposta «ad iniziativa riservata, se presuppone intese o accordi, se richiede una procedura o una maggioranza speciale per la sua approvazione, se non provvede ai mezzi per far fronte ai nuovi o maggiori oneri che essa importi e se non ha contenuto omogeneo». Si tratta di indicazioni condivisibili ma che meriterebbero una più precisa definizione, in particolare, richiamando la necessità di non rendere ammissibili proposte che possano ledere i diritti delle minoranze e tenendo inoltre conto di particolari ambiti legislativi, come quelli in materia di giustizia. Appare così necessario un richiamo più preciso e coerente con l'intero impianto costituzionale, che verrebbe raggiunto attraverso un esplicito riferimento all'articolo 75, ovverosia quello relativo ai referendum abrogativi, dove si dichiara l'inammissibilità degli stessi qualora riguardino «le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali». Si avrebbe, in questo modo, una più coerente definizione e limitazione degli ambiti di ammissibilità della proposta di legge di iniziativa popolare. Del resto, dal momento che la riforma stessa armonizza la disciplina dell'articolo 71 con quella dell'articolo 75, non si capisce perché non si debba usare, anche per l'aspetto relativo agli ambiti di ammissibilità, un'identica definizione per entrambi gli articoli. Ogni nuova norma ha sempre anche un'implicita valenza abrogativa della legislazione preesistente nella stessa materia. Questo rende indispensabile l'armonia e la coerenza tra l'articolo 75 e l'articolo 71 della Costituzione.
Uno dei limiti maggiori della proposta di legge originaria era l'assenza di un quorum di partecipazione al voto per rendere valida l'eventuale consultazione referendaria. L'assenza di un quorum avrebbe favorito l'uso strumentale del ricorso al referendum e, parimenti, avrebbe consegnato a una minoranza ben organizzata e portatrice di interessi particolari la possibilità di determinarne gli esiti. Proprio in una fase dove sempre maggiore preoccupazione desta il ruolo delle lobby e delle capacità che esse hanno, attraverso la potenza di mezzi finanziari e mediatici, di condizionare la vita democratica, sarebbe stato profondamente sbagliato non introdurre un quorum di partecipazione per la validità del referendum. Si sarebbero potuti utilizzare diversi sistemi per l'introduzione di un quorum, a partire da quello previsto nell'articolo 75 per i referendum abrogativi, oppure indicare percentuali inferiori, purché rappresentative di una significativa parte del corpo elettorale, oppure prevedere un cosiddetto «quorum mobile», legandolo alla partecipazione del corpo elettorale alla precedente consultazione elettorale per la Camera dei deputati, indicandolo nella misura della metà più uno dell'affluenza ai seggi in quella consultazione, e utilizzando in questo modo uno strumento che si adeguerebbe agli orientamenti dell'opinione pubblica sulla partecipazione alle consultazioni elettorali. La scelta fatta di utilizzare il cosiddetto «quorum approvativo», ossia di rendere valido il referendum se i voti favorevoli raggiungono il 25 per cento degli aventi diritto, è in ogni caso un significativo passo avanti che recepisce le osservazioni dei diversi gruppi parlamentari oltre che delle qualificate audizioni svolte dalla Commissione. Apprezzabile, inoltre, è l'avere armonizzato le procedure del nuovo articolo 71 con quelle dell'articolo 75 sul referendum abrogativo, superando un'illogica disparità tra le due procedure. La stessa armonizzazione, lo ribadiamo, sarebbe necessaria anche rispetto ai limiti di materia.
La terza questione, quella relativa al rapporto tra il testo proposto e quello approvato dal Parlamento, rappresenta, in tutta la sua complessità, il nodo più rilevante dell'intera modifica costituzionale. Viene consentito ai promotori di decidere se debba svolgersi il referendum qualora le Camere approvino una legge con un testo diverso da quello da loro presentato. Ciò apre una serie di importanti considerazioni: innanzitutto andrebbe valutato non tanto il testo in quanto tale, nella sua mera espressione formale, ma nella sua congruità e aderenza a quello dei promotori. Il testo approvato dalle Camere potrebbe, infatti, rispondere allo spirito e agli obiettivi di quello dei promotori, ma essere redatto in forma diversa per necessità formali o di coerenza legislativa. In questa situazione si rende necessario che ci sia un soggetto terzo che valuti la congruità e l'adeguatezza del testo approvato dalle Camere con quello proposto e che, eventualmente, dia delle indicazioni affinché possa adeguarvisi. Credo, come indicato in uno specifico emendamento, che debba essere la Corte costituzionale a fare tale valutazione, indicando al Parlamento, se necessario, gli aspetti su cui intervenire, impedendo in tal modo che si vada a tenere un referendum sostanzialmente inutile o solo come strumento di contesa politica.
Nel testo di riforma si stabilisce che, sempre nel caso di testi discordanti, «il referendum è indetto su entrambi i testi. In tal caso l'elettore che si esprime a favore di ambedue ha facoltà di indicare il testo che preferisce. Se entrambi i testi sono approvati, è promulgato quello che ha ottenuto complessivamente più voti». Siamo a uno dei tratti fondamentali della proposta di legge che, invece di rafforzare uno strumento di partecipazione popolare al procedimento legislativo, apre la strada a un contrasto inevitabile tra la legge di iniziativa popolare e quella approvata dal Parlamento. Imporre una scelta di questo tipo, specie in questa fase della storia italiana ed europea, dove sempre più forte si manifesta la crisi del sistema democratico e dei suoi istituti, apre la strada a uno «scontro» tra cittadini e istituzioni o tra «Piazza e Palazzo» come è stato egregiamente indicato da Massimo Luciani nel corso della sua audizione.
Aumentare gli spazi dell'iniziativa dei cittadini nel processo legislativo è senz'altro utile e da perseguire, ma ciò non deve ledere l'edificio del nostro assetto istituzionale né aprire scontri tra cittadini e istituzioni il cui esito sarebbe complessivamente negativo per l'intero Paese.
È bene, quindi, che l'intero processo sia definito in modo da ampliare gli spazi di partecipazione popolare, ma in armonia con il nostro assetto istituzionale, adeguandolo alle trasformazioni della società ma senza strapparne il tessuto che, nel corso degli anni, ha garantito la tenuta della nostra democrazia. Se questo è l'obiettivo, allora si potrà lavorare correttamente e proficuamente in sede parlamentare, altrimenti sorge il fondato sospetto che qualcuno intenda questa riforma come il cuneo attraverso il quale tentare di smantellare il sistema della democrazia rappresentativa, aprendo il varco ad avventure demagogiche che già hanno portato a drammatiche tragedie nei tempi passati.
Il testo prevede che la legge che disciplina l'attuazione della riforma, le modalità di verifica dei mezzi per far fronte a nuovi o maggiori oneri, la verifica dell'ammissibilità del referendum, e la sospensione del termine previsto per l'approvazione della proposta nel caso di scioglimento delle Camere, dovrà essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti. Si tratta di una soluzione migliorativa rispetto all'iniziale previsione per la quale sarebbe stata sufficiente una maggioranza semplice, tuttavia sarebbe ancora più adeguata la previsione di una maggioranza dei due terzi delle Camere. È infatti evidente che la legge che disciplinerà l'attuazione del nuovo articolo 71 della Costituzione andrà a incidere su elementi rilevanti e fondanti del nostro sistema democratico, e pertanto non poteva essere lasciata alle normali procedure previste per una legge ordinaria.
Infine, il testo di riforma non mette un limite a quante proposte possono essere presentate nel corso della legislatura. Sarebbe allora necessario, per evitare forme strumentali di iniziativa referendaria e per consentire alle Camere di svolgere con ordine i loro lavori, che si ponga un limite alle proposte di legge di iniziativa popolare da presentare nel corso della legislatura.
Vi è una ulteriore osservazione che si impone e che in questo dibattito merita l'attenzione di tutti: oggi giacciono presso la Camera dei deputati, senza avere avuto ancora risposta, ben 18 proposte di legge di iniziativa popolare, 16 delle quali non hanno nemmeno iniziato l’iter in Commissione, e per le quali sono state svolte tutte le procedure attualmente previste dall'articolo 71 della Costituzione. Sarebbe quindi un segnale di attenzione concreto da parte del Parlamento quello di affrontare da subito una discussione su quelle proposte, rispondendo a una richiesta che ha visto migliaia di cittadini mobilitarsi senza avere ricevuto, fino a oggi, alcuna risposta.
Il testo in questione tocca uno degli aspetti che più agitano il dibattito politico e culturale intorno al futuro della democrazia, cioè il rapporto tra democrazia rappresentativa e partecipazione popolare. Dico «partecipazione popolare» perché parlare di «democrazia diretta» è del tutto improprio, trattandosi di un sistema impossibile da realizzare nelle società complesse e articolate come le nostre. Lo stesso Rousseau, filosofo molto caro a una parte politica di questa maggioranza, teorico moderno della democrazia diretta in opposizione a quella rappresentativa, ammetteva l'impossibilità di realizzarla nelle società complesse che non fossero le antiche Città-Stato. Proprio riguardo al modello della Città-Stato dell'antica Grecia, tanto vagheggiato dai cultori della democrazia diretta, lo stesso filosofo, in una pagina del Contratto sociale, affermava: «Presso i Greci tutto ciò che il popolo doveva fare lo faceva direttamente: sedeva continuamente in pubblica assemblea nella piazza. Ma quel popolo viveva in un clima mite, non era avido, e i suoi lavori erano fatti dagli schiavi». L'idea, inoltre, che la piazza dell'antichità possa essere oggi sostituita dall’agorà telematica dove tutti, davanti a uno schermo, possano decidere del governo della Nazione, è del tutto insostenibile. La rete internet, come oggi è strutturata, è controllata da pochi e forti soggetti privati che avrebbero modo di condizionare pesantemente la vita politica. Oltre a ciò, bisogna considerare che la comunicazione attraverso il web, ridotta al meccanismo dei «pro» e «contro», contraddice l'essenza stessa della partecipazione democratica, fondata invece sulla discussione, il compromesso, il riconoscimento delle complessità e la necessità di armonizzare interessi diversi. Pensare al superamento della democrazia rappresentativa attraverso il ricorso continuo alla piazza telematica, come qualcuno vagheggia, porterebbe al superamento della democrazia tout court e aprirebbe la strada a sistemi di tipo totalitario. Certamente, elementi nuovi e adeguati di partecipazione e iniziativa popolare devono essere introdotti, ma con attenzione e in modo che espandano la democrazia e la partecipazione e non, invece, ne snaturino l'identità e ne mettano in crisi le fondamenta.
Quanto agli esempi di democrazie contemporanee che fanno ampio ricorso all'uso del referendum propositivo, va ricordato che ciò accade in Paesi dove il frequente ricorso al referendum si colloca in un sistema costituzionale armonico, stabile, con una lunga tradizione democratica e, soprattutto, nei quali il ricorso all'istituto referendario viene ampiamente temperato dall'iniziativa degli organi istituzionali. In particolare, se prendiamo l'esempio della Svizzera, spesso usata come modello, va rilevato che in quel Paese il ricorso al referendum propositivo vale per le riforme costituzionali, sulla sua ammissibilità si esprime il Parlamento e per l'approvazione è necessaria non solo la maggioranza dei voti degli elettori ma anche quella dei cantoni che compongono la Federazione.
Il nostro Paese è retto da una democrazia parlamentare, dove le Camere sono il luogo della rappresentanza politica dei cittadini, dove si svolge la dialettica tra le diverse istanze politiche, economiche, sociali e territoriali. Il ruolo centrale del Parlamento è fondamento della nostra democrazia e in esso si ricompongono i diversi interessi e orientamenti della società. Certo, viviamo in una fase storica dove è pressante la questione della sempre maggiore distanza tra la società e le istituzioni, e ricucire tale frattura è la condizione fondamentale per il progresso e il mantenimento delle libertà. Spesso, però, tale frattura non è generata dall'inadeguatezza del nostro sistema istituzionale o dalla presunta vecchiaia della Carta costituzionale: essa è il prodotto delle mancate risposte ai gravi problemi sociali ed economici che attanagliano parti sempre più rilevanti della nostra società. Sono l'estendersi delle vecchie e nuove povertà, le sempre crescenti differenze sociali e la marginalizzazione di pezzi interi della nostra società a generare il distacco tra i cittadini e le istituzioni. Non basterà, così, una ridefinizione dell'iniziativa popolare nel nostro processo legislativo a sanare questa situazione, mentre è sempre più stringente la necessità di percorrere la strada della giustizia sociale.
In ogni caso, questa proposta di legge merita una particolare attenzione e se, dopo una profonda e attenta discussione dentro le aule parlamentari e fuori di queste, essa saprà aprire spazi più ampi di partecipazione popolare, allora avrà fatto fare un passo avanti alla nostra democrazia. Altrimenti, se per volontà di alcune parti politiche che vivono con fatica le regole della democrazia parlamentare e sognano improbabili scorciatoie plebiscitarie, si dovesse arrivare a un testo squilibrato e inadeguato, rischieremmo di introdurre nel nostro impianto costituzionale un elemento distruttivo i cui effetti non potranno che essere pesantemente negativi.

Roberto SPERANZA,
Relatore di minoranza

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