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PDL 4550

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4550



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

PITTELLI, LABOCCETTA, MAZZOCCHI

Modifiche all'articolo 12 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, in materia di requisiti e criteri per il conferimento delle funzioni dei magistrati

Presentata il 26 luglio 2011


      

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Onorevoli Colleghi! — L'articolo 12 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, come sostituito dalla legge 30 luglio 2007, n. 111, com’è noto, detta le norme in materia di conferimento delle funzioni direttive e semidirettive ai magistrati ordinari.
      Le norme di legge sono integrate dalle fonti secondarie di provenienza consiliare, in particolare le circolari, deliberazioni e risoluzioni n. P13000 dell'8 luglio 1999 e del 7 marzo 2001, n. P14306 del 22 giugno 2005, n. P1457 del 27 giugno 2005, n. P20691 dell'8 ottobre 2007, del 21 novembre 2007 e del 10 aprile 2008, con le quali il Consiglio superiore della magistratura ha inteso regolamentare il procedimento, di natura amministrativa, a mezzo del quale sono conferite le funzioni di vertice e di medio vertice dell'organizzazione giudiziaria del nostro Paese.
      Le funzioni direttive, requirenti e giudicanti, ordinate secondo i livelli di articolazione territoriale del «sistema giustizia» e secondo l'oggettiva rilevanza che esse hanno, costituiscono l'approdo al quale aspirano, ogni volta che si rendono disponibili sedi vacanti, i magistrati ordinari che abbiano maturato, tra l'altro, la richiesta anzianità di servizio.
      La legge n. 111 del 2007 ha, con indicazioni caratterizzate da una forte novità, notevolmente ridotto l'importanza dell'anzianità nel ruolo ai fini del conferimento degli incarichi direttivi.
      Il citato articolo 12 del decreto legislativo n. 160 del 2006, ha configurato l'anzianità
 

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fondamentalmente come requisito di legittimazione, restringendo notevolmente la sua valenza quale criterio di valutazione.
      La stessa norma infatti poi indica, in termini articolati, i criteri, attitudinali e di merito, da considerare e da valutare ai fini del conferimento dell'ufficio direttivo.
      La formulazione letterale della norma – che prevede che «per il conferimento delle funzioni descritte nell'articolo 10 sia richiesto il conseguimento almeno delle successive valutazioni di professionalità» – evidenzia la scelta di delimitare fortemente la valenza di tale requisito assegnandogli rilevanza soltanto come presupposto per la partecipazione al concorso.
      Diversa infatti sarebbe stata la formulazione letterale se l'anzianità fosse ancora da ritenere un rilevante parametro di valutazione (ad esempio «sono conferite per anzianità, merito ed attitudine le funzioni direttive a quanti abbiano conseguito almeno una delle successive valutazioni di professionalità»).
      La stessa relazione al disegno di legge governativo della XV legislatura atto Senato n. 1447, presentato al Senato della Repubblica, prefigurava questo risultato perché in essa si rilevava che «si sono ridotti il peso e il valore specifico da attribuire all'anzianità, trasformata sostanzialmente da criterio di valutazione, unicamente a criterio di legittimazione per concorrere a determinati posti direttivi».
      Il contesto normativo vigente (anche in confronto alla situazione esistente prima della novella del 2007) avvalora ulteriormente queste conclusioni.
      Da un lato, infatti, le leggi 25 luglio 1966, n. 570, e 20 dicembre 1973, n. 831 (che prevedevano che per la nomina dei dirigenti degli uffici giudiziari si dovessero contemperare i tre parametri dell'anzianità, delle attitudini e del merito), sono state espressamente abrogate.
      L'articolo 54 del decreto legislativo n. 160 del 2006, che abrogava espressamente e in toto le leggi n. 570 del 1966 e n. 831 del 1973, non è stato modificato dalla legge n. 111 del 2007, il cui articolo 4, comma 20, ha abrogato una serie di norme del decreto legislativo n. 160 del 2006, ma non l'articolo 54, che quindi è rimasto in vigore.
      Va poi rilevato che la legge n. 392 del 1951 (che evocava analoghe indicazioni e che, comunque, attribuiva rilevanza all'anzianità), pur non espressamente abrogata deve ugualmente ritenersi implicitamente non più efficace perché incompatibile dal momento che classificava i magistrati e gli uffici secondo criteri che oggi non sono certo riproponibili e secondo parametri valutativi (l'anzianità) poi trasfusi nelle leggi successive oggi espressamente abrogate.
      Inoltre, la stessa ratio legis muove in questa direzione se si considera che tutti i termini minimi di legittimazione per il conferimento degli incarichi sono stati sensibilmente ridotti e che è stato introdotto il principio della temporaneità degli incarichi direttivi.
      Permangono ancora, a livello di normativa primaria, due soli riferimenti specifici al parametro dell'anzianità, contenuti nell'articolo 192 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto n. 12 del 1941, e nell'articolo 13, comma 5, del decreto legislativo n. 160 del 2006.
      La rilevanza di tali disposizioni è fortemente circoscritta, attenendo infatti il citato articolo 192 ai tramutamenti, ed è comprensibile che con esso si adotti il riferimento esplicito al parametro dell'anzianità quale utile criterio ordinatorio.
      Analogamente deve dirsi in relazione all'altro esplicito riferimento all'anzianità contenuto nell'articolo 13, comma 5, del decreto legislativo n. 160 del 2006, che per i tramutamenti con passaggio di funzioni prevede che «l'anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche».
      In quest'ultimo caso si tratta di una norma che regolamenta la mobilità soprattutto orizzontale e che non ha, all'evidenza, valore di disposizione specifica per il conferimento degli incarichi direttivi.
      Quanto fin qui dedotto, e per quanto più innanzi si dirà, per contrastare, da subito, le miopi, a voler essere buoni, o
 

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interessate obiezioni, ad essere realisti, che alcuni settori della magistratura, quella organizzata e quella fortemente politicizzata, certamente muoveranno alla presente proposta di legge.
      Il criterio dell'anzianità per il conferimento delle funzioni direttive in favore dei magistrati ordinari non è nuovo né sconosciuto all'ordinamento giuridico, ha dato per tanti anni buona prova di sé e se critiche si possono muovere esse andrebbero indirizzate a chi invece, per fini diversi, ha abusato degli altri criteri positivamente previsti delle attitudini e del merito.
      Se le procedure per il conferimento delle funzioni direttive, essendo rivolte a individuare il candidato di volta in volta maggiormente idoneo a ricoprire il posto specifico per cui si concorre, e che richiedono necessariamente un'espressa comparazione dei requisiti riconosciuti ai candidati, si fossero caratterizzate nel corso del tempo per il riconoscimento oggettivo delle attitudini, in particolare direttive, e del merito dei concorrenti, non sarebbe stato necessario ricorrere alla modifica legislativa che si propone.
      È fuor di dubbio, infatti, che attitudini positive, mantenute e reiteramente riscontrate in un determinato arco di tempo, assumono un valore fortemente pregnante giacché evidenziano capacità professionali elevate e degne di meritata valorizzazione.
      Analogo discorso vale per la positiva valutazione del merito che acquista un valore aggiunto laddove il positivo rendimento del magistrato si sia realizzato in un significativo periodo di tempo.
      E invece la deprecabile prassi che si è instaurata e che, periodicamente e per incarichi di particolare rilievo, viene prepotentemente alla ribalta, vede contrapposte le diverse correnti dell'Associazione sindacale dei magistrati (ANM) che, nel dibattito nella competente quinta Commissione e poi nel plenum, abdicano al diritto-dovere della valutazione in base ai criteri legislativamente previsti, privilegiando invece considerazioni relative alle appartenenze associative, in un gioco, talvolta perverso, di veti e di controveti che non fanno bene, a dir poco, all'immagine della magistratura nel suo complesso.
      A volte, e purtroppo, gli echi delle contrapposizioni non si spengono nel breve tempo e ciò non fa altro che rendere più profondo il divario tra le esigenze dei fruitori del «servizio giustizia» e quelle, non sempre confessabili, degli attori dello stesso servizio.
      Non si esita a fare strame del criterio attitudinale, cioè l'idoneità a esercitare degnamente le funzioni direttive da conferire, per requisiti di indipendenza, prestigio e capacità, e del criterio meritocratico, cioè della valutazione della qualità e quantità del lavoro svolto, della concreta capacità organizzativa di cui il candidato abbia dato prova nell'esercizio di funzioni dirigenziali, della puntualità e diligenza dimostrate nello svolgimento delle funzioni e nell'osservanza dei propri doveri, della disponibilità dimostrata a far fronte alle esigenze dell'ufficio. Si fanno invece prevalere unicamente logiche di appartenenza correntizia, in nessun modo celate, in particolare quando sono messi a concorso più incarichi per l'attribuzione dei quali si fa ricorso di volta in volta a un «manuale Cencelli» proprio delle correnti o a un'aberrante do ut des tra le stesse.
      Le modifiche proposte porranno un argine definitivo a pratiche che sviliscono lo stesso ruolo dell'organo di autogoverno della magistratura restituendogli anche una credibilità che troppo spesso risulta appannata.
      È innegabile che il criterio dell'anzianità, indice della maggior esperienza professionale acquisita e nella quale il fattore tempo assume la funzione di strumento di conferma dei parametri del merito e delle attitudini, attestandone la costanza nel percorso professionale del magistrato, ben può essere ritenuto idoneo a garantire che gli incarichi di maggiore responsabilità e, innegabilmente, di maggiore prestigio, siano conferiti a magistrati capaci e meritevoli. Dirimente è
 

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poi, ovviamente, che essendo esso criterio nella massima estensione oggettivo, la sua applicazione farà indubitabilmente cessare le citate pratiche consiliari, con gli indubbi benefìci che ne deriveranno. Con le modifiche proposte cesseranno anche i lunghi, costosi e stucchevoli contenziosi tra magistrati che troppo spesso (circa un quarto delle delibere di assegnazione di incarichi direttivi sono oggetto di impugnazione in sede amministrativa) li vedono contrapposti in procedimenti nel corso dei quali essi si confrontano senza esclusione di colpi, talvolta anche bassi.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 12 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) il comma 10 è abrogato;

          b) il comma 11 è sostituito dal seguente:
      «11. Per il conferimento delle funzioni di cui all'articolo 10, commi 14, 15 e 16, il magistrato, oltre ai requisiti indicati ai commi 7, 8 e 9 del presente articolo, alla data della vacanza del posto da coprire, deve avere svolto funzioni di legittimità per almeno quattro anni»;

          c) il comma 12 è abrogato;

          d) al comma 13 le parole: «Per il conferimento delle funzioni di cui all'articolo 10, comma 6, oltre al requisito di cui al comma 5 del presente articolo ed agli elementi di cui all'articolo 11, comma 3» sono sostituite dalle seguenti: «Per il conferimento delle funzioni di cui all'articolo 10, comma 6, ai sensi del comma 14 del presente articolo»;

          e) è aggiunto, in fine, il seguente comma:
      «17-bis. Nell'espletamento della procedura concorsuale indicata al comma 1, nel caso di una pluralità di candidati, è preferito il magistrato che ha conseguito la valutazione di professionalità più alta; nel caso di una pluralità di candidati che hanno conseguito la medesima valutazione di professionalità, è preferito il magistrato con maggiore anzianità di servizio; nel caso di una pluralità di candidati che hanno conseguito la medesima

 

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valutazione di professionalità e che hanno la medesima anzianità di servizio, è preferito il magistrato che non è stato destinatario di sanzioni disciplinari nel biennio precedente la data di pubblicazione del bando di concorso».

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