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PDL 5449

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5449



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato TORRISI

Modifiche all'articolo 103 del codice di procedura penale e introduzione dell'articolo 35-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, in materia di garanzie di libertà del difensore

Presentata il 17 settembre 2012


      

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Onorevoli Colleghi! — Negli scorsi mesi l'Unione delle camere penali italiane ha denunciato in un dossier pubblico il verificarsi continuo di casi di ascolto delle conversazioni tra legali e propri assistiti, a mezzo di intercettazioni sia telefoniche che ambientali.
      Il dossier in questione è stato oggetto di grande interesse da parte della stampa, tanto che un importante settimanale ne ha dato notizia in un lungo servizio giornalistico.
      Riguardo ai casi oggetto di quel dossier di denuncia, che rappresenterebbero soltanto alcuni tra quelli che si registrerebbero con allarmante frequenza, può – secondo l'Unione delle camere penali – comunque constatarsi:

          1) le conversazioni telefoniche o ambientali vengono sistematicamente riportate (per sintesi o con trascrizione informale) nelle informative, a sostegno delle argomentazioni degli investigatori e, a volte, delle loro richieste all'autorità giudiziaria. In qualche caso addirittura vengono definite come rilevanti – e dunque trascritte – soltanto le conversazioni tra avvocato e cliente;

          2) le conversazioni riportate dagli inquirenti hanno sempre ad oggetto il merito dei procedimenti penali in corso e consentono, tra l'altro, agli investigatori di venire a conoscenza del contenuto della linea difensiva (conversazioni fra cliente e avvocato sugli addebiti contestati, la loro fondatezza, le obiezioni alla tesi d'accusa

 

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eccetera) e delle strategie processuali (decisione se rispondere o meno all'interrogatorio; scelta del rito processuale da adottare eccetera);

          3) che a volte il fatto stesso della telefonata viene considerato elemento di prova, come documentato in uno dei casi esposti.

      In ogni caso, è evidente che delle conversazioni intercettate si farebbe comunque un uso processuale e non solo nella fase delle indagini preliminari (in uno dei casi esposti nel dossier, nonostante un'ordinanza del tribunale che aveva dichiarato inutilizzabili le conversazioni, le stesse vengono nuovamente trascritte e utilizzate dal pubblico ministero in una memoria in dibattimento).
      Orbene, nell'ambito dell'ordinamento giuridico di una democrazia liberale il diritto alla difesa è assicurato nella Carta fondamentale.
      Uno dei capisaldi del diritto alla difesa è rappresentato dalla tutela delle garanzie di libertà del difensore: tra queste riveste fondamentale rilievo la protezione della riservatezza dei colloqui e delle conversazioni che intercorrono tra avvocato e proprio assistito.
      Ciò in ossequio a quanto stabilito dal codice di rito, che all'articolo 103 (garanzie di libertà del difensore), comma 5, esplicitamente recita: «Non è consentita l'intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra medesimi e le persone da loro assistite».
      La captazione di conversazioni telefoniche fra una persona indagata (la cui utenza è stata, legittimamente, posta sotto controllo) e il suo difensore costituisce una palese violazione del divieto stabilito dall'articolo 103, comma 5, del codice di procedura penale, non «emendabile» attraverso una successiva declaratoria di inutilizzabilità probatoria del contenuto delle conversazioni stesse.
      Tale ultima previsione (articolo 103, comma 7, del codice di procedura penale) è stata posta dal legislatore unicamente per corroborare il divieto di captazione e, comunque, per porre rimedio all'avvenuta violazione dello stesso, da parte dell'organo inquirente, sanzionandola con la preclusione dell'utilizzazione probatoria del contenuto delle intercettazioni.
      Sul punto è appena il caso di rilevare come, rispetto all'analoga previsione contenuta nel codice di procedura penale del 1930, l'attuale normativa, da un lato, ha vietato le intercettazioni anche delle comunicazioni telefoniche fra i difensori, consulenti tecnici e loro ausiliari e le persone da loro assistite e, dall'altro, ha abolito l'inciso: «aventi per oggetto i procedimenti nei quali esercitano le rispettive attività».
      È chiaro perciò che il legislatore ha inteso non porre limiti al divieto di captazione fra i difensori e i loro assistiti, sia che la conversazione venga intercettata sull'utenza dei difensori stessi, sia sull'utenza dell'indagato. Ciò in quanto nella disciplina delle intercettazioni è salvaguardata la difesa e non viene apprestato un privilegio di confronti degli appartenenti ad una categoria professionale (Cassazione penale, sezioni unite, 14 gennaio 1994).
      L'attuale quadro normativo, risultante dalla «specificazione» contenuta nel citato articolo 103, comma 5, del codice di procedura penale, rispetto alla generale previsione dell'articolo 271, comma 2, del medesimo codice (la quale non vieta l'intercettazione delle comunicazioni telefoniche degli appartenenti alle categorie protette dal segreto professionale, ma impedisce unicamente di utilizzarne il contenuto, se avente ad oggetto fatti conosciuti per ragioni del loro ministero), impone dunque un divieto a priori di captazione delle conversazioni fra avvocati e loro difesi.
      Conseguentemente, colui che sta eseguendo l'intercettazione telefonica, legittimamente disposta su un'utenza, non appena si avvede della «qualità» di uno dei soggetti comunicanti, deve immediatamente interrompere l'ascolto e la registrazione, dando atto nel «brogliaccio» di quanto occorso.

 

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      La recente prassi, avallata dalla giurisprudenza di legittimità (per tutte, Cassazione penale, sezione VI, Ghini, sentenza n. 21206 del 24 maggio 2001) di affidare alla valutazione ex post del contenuto delle comunicazioni telefoniche intercettate tra l'indagato e il proprio difensore l'inutilizzabilità delle stesse a fini probatori si traduce nel sistematico aggiramento del divieto a priori di captazione di tali conversazioni.
      Devesi rappresentare, infatti, che nel corso di queste ultime potrebbero entrare nel patrimonio conoscitivo dell'organo inquirente notizie, confidenze e strategie difensive concernenti l'ambito del procedimento nel quale le intercettazioni telefoniche vengono eseguite.
      Al di là, tuttavia, della vigente interpretazione giurisprudenziale, che come sempre si piega alle esigenze di Realpolitik che non dovrebbero trovare cittadinanza nell'ordinamento, è evidente che è assolutamente necessaria una riforma del comma 5 del citato articolo 103 del codice di procedura penale che possa più chiaramente scongiurare la possibilità di ascolto evitando escamotages quali quelli descritti.
      Si confida pertanto nell'approvazione rapida di questa proposta di legge.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 103 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) il comma 5 è sostituito dal seguente:
      «5. Non sono consentiti l'intercettazione e l'ascolto di conversazioni o di comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né di quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite ed è vietata l'acquisizione di dati provenienti dalle predette conversazioni e comunicazioni. Il divieto opera anche nel caso di intercettazione eseguita su un'utenza diversa da quella in uso al difensore»;

          b) dopo il comma 5 sono inseriti i seguenti:
      «5-bis. In nessun caso il contenuto della conversazione o della comunicazione di cui al comma 5 può essere oggetto di annotazione sui verbali di cui all'articolo 268, comma 2, di annotazione di servizio o di un'altra informativa, anche orale, all'autorità giudiziaria che procede.
      5-ter. Il procuratore generale presso la corte d'appello, anche al di fuori delle ipotesi costituenti reato, annota in un apposito registro le notizie di violazione dei commi 5 e 5-bis e le trasmette alle competenti autorità disciplinari».

Art. 2.

      1. Dopo l'articolo 35 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al

 

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decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è inserito il seguente:
      «Art. 35-bis. – 1. Presso le procure generali della Repubblica di ciascun distretto di corte d'appello è istituito il registro di cui all'articolo 103, comma 5-ter, del codice.
      2. Il procuratore generale della Repubblica cura, sotto la sua diretta responsabilità, la conservazione e le annotazioni relative al registro di cui all'articolo 103, comma 5-ter, del codice».

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