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PDL 5535-A-5534-bis-A

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5535-A
   N. 5534-bis-A



 

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ALLEGATO 2
RELAZIONI DI MINORANZA DELLE COMMISSIONI PERMANENTI

DISEGNO DI LEGGE

N. 5535

presentato dal ministro dell'economia e delle finanze
(GRILLI)

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2013 e bilancio pluriennale per il triennio 2013-2015

Presentato il 16 ottobre 2012

e

DISEGNO DI LEGGE

N. 5534-bis

presentato dal ministro dell'economia e delle finanze

(GRILLI)

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013)

(Testo risultante dallo stralcio, disposto dal Presidente della Camera, ai sensi dell'articolo 120, comma 2, del Regolamento, e comunicato all'Assemblea il 18 ottobre 2012, dell'articolo 3, commi 9, lettera b), 10, primo periodo, 13, 15, 16, 28, da 32 a 36 e da 39 a 41, dell'articolo 7, commi 12 e 13, da 22 a 24 e da 27 a 34, dell'articolo 8, commi 15, 16 e 19, dell'articolo 9, comma 1, capoverso Art. 16-bis, comma 3, dell'articolo 10 e dell'articolo 11 del disegno di legge n. 5534)

(Relatori per la maggioranza:
CICCANTI, per il disegno di legge n. 5535;
BARETTA e BRUNETTA, per il disegno di legge n. 5534-bis)


NOTA: Relazioni di minoranza presentate nelle Commissioni permanenti sugli stati di previsione del disegno di legge di bilancio e sulle parti del disegno di legge di stabilità di rispettiva competenza.

 

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ALLEGATO 2
RELAZIONI DI MINORANZA DELLE COMMISSIONI PERMANENTI

 

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RELAZIONI DI MINORANZA PRESENTATE NELLE COMMISSIONI PERMANENTI AI SENSI DELL'ARTICOLO 120, COMMA 3, DEL REGOLAMENTO, SUGLI STATI DI PREVISIONE DEL DISEGNO DI LEGGE DI BILANCIO E SULLE PARTI DEL DISEGNO DI LEGGE DI STABILITÀ DI RISPETTIVA COMPETENZA

INDICE

IV COMMISSIONE PERMANENTE Pag.   7
(Difesa)
Tabella n. 11 (Difesa) Pag.   9
VIII COMMISSIONE PERMANENTE Pag. 17
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)
Tabella n. 2 (Economia e finanze, limitatamente alle parti di competenza) Pag. 19
Tabella n. 9 (Ambiente e tutela del territorio e del mare ) Pag. 27
Tabella n. 10 (Infrastrutture e trasporti, limitatamente alle parti di competenza) Pag. 35
XIII COMMISSIONE PERMANENTE Pag. 43
(Agricoltura)
Tabella n. 12 (Politiche agricole alimentari e forestali) Pag. 45

 

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IV COMMISSIONE PERMANENTE
(Difesa)

 

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IV COMMISSIONE PERMANENTE
(Difesa)

(Relatore: Augusto DI STANISLAO)

RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015 (5535)

Stato di previsione del Ministero della difesa per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015
(Tabella n. 11)

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013) (5534-bis)

      La IV Commissione,

          esaminate la Tabella n. 11, dello stato di previsione del Ministero della difesa per l'anno finanziario 2013, del disegno di legge C. 5535, recante «Bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015», e le connesse parti del disegno di legge C. 5534-bis, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013)»;
      evidenziato come:

              il disegno di legge di stabilità per il 2013 si aggiunge a sei precedenti manovre correttive che a diverso titolo hanno aumentato le entrate e ridotto la spesa (decreto-legge n. 98 del 2011; decreto-legge n. 138 del 2011; la legge di stabilità 2012; decreto-legge n. 201 del 2011; decreto-legge n. 95 del 2012, meglio noto come «spending review»). L'ampiezza delle sei manovre, cioè il reperimento (complessivo) delle risorse, è pari a poco meno di 5 punti di PIL nel 2012, poco sopra i 6,5 punti di PIL nel 2013 e oltre 7 punti di PIL nel 2014. Complessivamente, il Governo Berlusconi e il Governo Monti hanno predisposto delle misure correttive, per il triennio 2012-2013-2014, che sfiorano i 130 miliardi di euro;

 

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              l'effetto delle manovre è stato quello di una diminuzione del PIL per il 2012 pari al 2,4 per cento. Il Governo spera per il 2013 in un calo contenuto dello stesso e pari allo 0,2 per cento, mentre il Fondo monetario internazionale dà invece per scontato almeno un meno 0,7 per cento, ma avverte che se non verranno segnali di controtendenza nell'economia globale e nella dinamica interna italiana, si potrebbe superare facilmente l'1 per cento;

              utilizzando un modello prudenziale relativo all'impatto dei provvedimenti adottati dal Governo sulle previsioni economiche (50 per cento), alcuni economisti prevedono invece che le stime di crescita del PIL per il 2013 saranno pari a circa meno 2,5-3 per cento del PIL;

              indicato dalla Nota di aggiornamento del DEF 2012, il tasso di disoccupazione raggiungerebbe in Italia il 10,8 per cento nel 2012 per poi aumentare all'11,4 per cento nel 2013;

              nei fatti, la recessione in atto ha fatto sì che – secondo quanto emerge dai dati della Confindustria – tra il secondo trimestre 2012 e lo stesso periodo del 2011, in Italia i disoccupati siano 758 mila in più. A fine 2013, la forza lavoro non utilizzata (valutando sia i disoccupati che i fruitori di cassa integrazione) salirà al 13,9 per cento, dal 12,8 per cento di fine 2012. Cifre a cui bisogna aggiungere il dato sui lavoratori ormai scoraggiati che non cercano neanche più lavoro uscendo di fatto dalle statistiche, stimati dall'Istat in misura pari a circa 2,897 milioni nel 2011, in aumento su base annua di circa il 5 per cento;

              una grossa fetta della popolazione femminile è tagliata fuori dal mercato del lavoro, e la disoccupazione riguarda un terzo dei giovani italiani. Dal 2007 al 2011 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è infatti passato dal 24 al 32 per cento, con un ulteriore balzo al 39,3 per cento nel primo trimestre 2012. La crisi incide in misura maggiore sui più giovani, perché sono loro i principali utilizzatori dei contratti di lavoro temporaneo ed i primi ad essere licenziati;

              il nostro Paese sta tragicamente vivendo una vera e propria emergenza occupazionale, che si aggraverà nei prossimi mesi;

              i consumi delle famiglie si stanno notevolmente riducendo, infatti secondo la Nota di aggiornamento del DEF, nel 2012 la spesa delle famiglie diminuirà del 3,3 per cento e l'anno prossimo dello 0,5 per cento. I consumi risaliranno solo nel 2014, con un +0,6 per cento, mentre nel 2015 ci sarà ancora un debole +0,8 per cento. Quest'anno, afferma il Governo, la domanda interna sarà «particolarmente debole». Sulle decisioni di spesa delle famiglie inciderebbero l'andamento del mercato del lavoro e quello del reddito disponibile, in un contesto di fiducia attualmente ai minimi storici. Nel medio termine – aggiunge il DEF – «la spesa delle famiglie ritornerebbe a crescere a ritmi moderati»;

              dopo il taglio delle pensioni, l'aumento delle accise e dell'IVA (tutte tasse indirette che colpiscono proporzionalmente in misura maggiore i ceti popolari), l'IMU sulla casa, la liberalizzazione del mercato del lavoro che toglie diritti ai lavoratori senza ottenere un solo posto di lavoro in più, siamo arrivati a questi risultati a dire poco preoccupanti;

              né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né le cosiddette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la riduzione del debito pubblico italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante;

              si registrano sacrifici a senso unico a carico dei ceti popolari, mentre il debito rimane immutato, anzi cresce, la disoccupazione aumenta, le tasse aumentano e calano i consumi. In definitiva, i problemi sono stati solo rinviati, e il peggio potrebbe ancora arrivare;

 

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              si è instaurata nel nostro Paese ed a livello europeo una spirale perversa di politiche di austerità che incidono negativamente sulla crescita deprimendo il PIL, che a sua volta diminuisce le entrate dello Stato e ne aumenta le spese per fare fronte alla disoccupazione crescente;

              si è innescato un meccanismo che non funziona, in cui si rincorrono recessione e manovre, manovre e recessione. L'austerità rende impossibile il raggiungimento di due obiettivi: l'azzeramento del deficit e la riduzione del debito;

              l'analisi delle cause profonde della crisi è sostanzialmente errata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa;

              in un rapporto di un gruppo di lavoro guidato dal governatore finlandese Erkki Liikanen, si stima che il sostegno pubblico al sistema finanziario tra il 2007 e il 2010 è stato di 1.600 miliardi di euro, pari al 13 per cento del PIL dell'Unione;

              la crisi dell'euro è spiegabile solo in parte con il deterioramento dei conti pubblici. In realtà, nel biennio della grande recessione l'aumento del rapporto tra debito pubblico e PIL è stato nei Paesi periferici solo leggermente superiore alla media della «zona euro»;

              la sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;

              la sfiducia dei mercati verso l'euro è stata esacerbata dagli evidenti limiti della governance dell'Unione monetaria, che dal 1999 si è data un'unica Banca centrale ma non ancora una politica fiscale coordinata. Solo recentemente, superando i veti e le incertezze dei Paesi più forti, sono stati messi in campo strumenti (il programma OMT – Outright Monetary Transactions della BCE e il fondo salva-Stati ESM – European Stability Mechanism) all'altezza di una crisi senza precedenti, anche se il cammino verso un'effettiva integrazione politica dell'Europa è ancora molto lungo;

              l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. A tre anni di distanza, i numeri evidenziano i limiti di questa politica di aggiustamento asimmetrico;

              nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle politiche di austerità;

              la Germania ha proseguito la propria politica neo-mercantilista, beneficiando di un enorme afflusso di capitali in fuga dalle economie più fragili. Ne è uscito indebolito lo stesso progetto di integrazione europea, logorato dalla divaricazione tra i Paesi più forti, assai poco disponibili ad aiutare popoli bollati come lassisti e corrotti, e Paesi periferici che per anni hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi, diventando però un grande mercato per i prodotti tedeschi;

              il danno grave di questa deriva riguarda proprio il rischio elevato di caduta dei consumi prodotta dall'austerità nei Paesi più deboli, con inevitabili conseguenze dannose per le esportazioni tedesche. Ciò che può accadere, quindi, è che proprio le scelte di rigore imposte dalla Germania diventino causa di un prossimo, ulteriore, rallentamento anche dell'economia tedesca e, di conseguenza, di un avvitamento perverso della crisi europea;

              i risultati delle politiche di austerità sono paradossali. Malgrado tagli alla

 

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spesa e aumenti delle tasse, il debito in molti Paesi è aumentato drammaticamente;

              l'andamento dei debiti pubblici sta mettendo a dura prova la strategia europea. Alcune cifre sono particolarmente significative: dal 2007 ad oggi, il debito pubblico in alcuni dei paesi più fragili della «zona euro» ha subito un forte aumento: del 368 per cento in Irlanda, del 123 per cento in Spagna, del 74 per cento in Portogallo, del 58 per cento in Grecia. In molti Paesi l'indebitamento ha ormai superato di slancio il 100 per cento del prodotto interno lordo;

              l'aumento del debito è dovuto alla presenza di un circolo vizioso: in un contesto economico debole, il risanamento dei conti pubblici pesa sulla ripresa a breve termine, riducendo le entrate fiscali e aumentando di converso il disavanzo pubblico. «Senza crescita l'economia globale è in pericolo», ha recentemente sostenuto la Signora Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale;

          valutato altresì che:

              gli obiettivi generali del disegno di legge di stabilità 2013 sono il pareggio di bilancio strutturale per il 2013, assieme alla crescita dell'avanzo primario. Ma il deficit vero, nel 2013, sarà pari al 2,6 per cento del PIL, lontano dal pareggio di bilancio promesso dal Governo, che infatti chiede ai mercati di guardare al dato del cosiddetto «deficit strutturale»;

              sono cinque gli assi delineati nel disegno di legge di stabilità: 1) dimezzamento dell'aumento dell'IVA e modifiche all'IRPEF; 2) incentivi alla produttività (territoriale) pari a 1,6 miliardi di euro; 3) contrazione della spesa dei ministeri programmata con la spending review; 4) garantire alcune spese indifferibili; 5) «garantire» – in modo però assolutamente insufficiente – le risorse per gli «esodati» riconosciuti, cosiddetti «salvaguardati»;

              gli strumenti per recuperare le risorse finanziarie necessarie per raggiungere gli obiettivi indicati fanno capo alla spending review, alle banche, alle assicurazioni ed alla Tobin tax. Al netto della Tobin tax e delle misure relative alle assicurazioni e alle banche, le misure previste nella legge di stabilità sono legate principalmente alla spending review; quest'ultima doveva servire a non toccare le aliquote dell'IVA: l'aumento dell'IVA doveva coincidere con la mancata attuazione della spending review. Quindi, non si sarebbe dovuto aumentare l'IVA, ma il Governo ha deciso comunque di aumentarla di un punto invece di due punti come inizialmente previsto. Il contemporaneo intervento sull'IRPEF ha un chiaro sapore propagandistico, inoltre è confuso e contraddittorio;

              nei fatti, per i cittadini, l'effetto netto della manovra determina un aumento di imposte non una diminuzione. I tagli delle deduzioni e delle detrazioni colpiscono mediamente i redditi più bassi, mentre la riduzione delle aliquote IRPEF, cioè dal 23 per cento al 22 per cento per i redditi da zero a 15.000 euro e dal 27 per cento al 26 per cento per i redditi da 15.000 a 28.000 euro, non sarà in nessun modo equivalente;

              l'aumento dell'IVA di un punto coinciderà con la riduzione delle aliquote fiscali IRPEF. La riforma delle deduzioni farà capo ai redditi superiori a 15.000 euro, con una franchigia di 250 euro per alcune deduzioni e detrazioni, con un massimo di 3.000 euro solo per le detrazioni, ed oltretutto, sarà retroattivamente valida a partire dall'anno fiscale 2012;

              l'introduzione di una franchigia di 250 euro sulle deduzioni e detrazioni IRPEF riconosciute ai contribuenti con un reddito superiore ai 15 mila euro vale circa 1,7 miliardi sul 2013 e, grazie all'effetto retroattivo di cassa, sul 2012. Che diventano più di 2 miliardi se al conto si aggiungono i 300 milioni attesi dalla previsione del tetto di 3.000 euro per le spese «detraibili» degli stessi soggetti;

              a pagare il conto della legge di stabilità saranno dunque ancora una volta

 

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i contribuenti onesti. Stando alla relazione tecnica del disegno di legge di stabilità, le nuove e maggiori entrate costituiscono il 51,8 per cento delle risorse necessarie a fare quadrare i conti. Dei 12,9 miliardi di «mezzi di copertura» conteggiati per il 2013 oltre 6,7 arriveranno infatti da «nuove o maggiori entrate». A fronte dei 6,2 miliardi di minori spese. Ma, nel 2014 e nel 2015 la forbice è destinata ad allargarsi perché il peso delle imposte arriverà al 60 per cento del totale;

              le tabelle allegate al disegno di legge di stabilità confermano che le tre voci più pesanti da coprire sono: la riduzione delle prime due aliquote IRPEF, che da sola vale 4,2 miliardi l'anno prossimo e 6,6 miliardi nel 2014; la sterilizzazione di un punto d'IVA, che ne richiede 3,2; la detassazione da 1,6 miliardi del salario di produttività. A cui vanno aggiunti i circa 4 miliardi di maggiori spese, di cui 2,2 di parte corrente. E tra questi spiccano i 500 milioni per il nuovo fondo sul fitto degli immobili delle pubbliche amministrazioni, i 464 per il trasporto locale e i 900 del nuovo «contenitore» creato a Palazzo Chigi per alcuni interventi settoriali (università statali, social card, terremoto dell'Aquila);

              sul fronte delle maggiori entrate va poi segnalata la stabilizzazione dell'incremento delle accise sui carburanti per il sisma in Emilia-Romagna, che vale 1,1 miliardi dal 2013 in avanti. Su livelli analoghi dovrebbe attestarsi la Tobin tax. Dall'imposta di bollo dello 0,05 per cento sulle transazioni finanziarie sono attesi infatti 1.088 milioni di nuovi introiti, oltre che un calo del 30 per cento delle compravendite azionarie e dell'80 per cento di quelle dei prodotti derivati. Ci sono, inoltre, i 623 milioni che arriveranno dall'aumento (da 0,35 a 0,5 per cento) dell'acconto sulle riserve tecniche delle imprese di assicurazioni e i 412 provenienti dal giro di vite sulla deducibilità delle auto aziendali;

              poche misure dispongono minori uscite. I 3,8 miliardi attesi con effetto sul deficit (che in termini di saldo netto da finanziare diventano 6,2 miliardi) arriveranno soprattutto dal taglio alle autonomie. Regioni ed enti locali subiranno riduzioni pari a 2,2 miliardi nel 2013, nel 2014 e nel 2015. Per le regioni il taglio sarà ancora più sensibile, visto che il fabbisogno sanitario nazionale dovrà essere ridotto di 600 milioni l'anno prossimo e di 1 miliardo nel biennio successivo. Completano il conto delle minori spese correnti i 631,7 milioni di riduzioni imposte al cosiddetto «Fondo Letta», i 300 milioni di taglio ai fondi per i progetti speciali degli enti previdenziali, i 19,8 milioni prelevati dall'AGEA;

              l'elenco delle minori spese in conto capitale può contare solo sui 5 milioni di risparmi sull'acquisto di mobili e arredi nella Pubblica amministrazione e i 25 milioni «rimodulati» nel bilancio della Difesa;

              sulla sanità, si prevede un taglio non inferiore a 1,5 miliardi di euro, agendo sull'insieme della spesa aggredibile dei farmaci (11 miliardi di euro), dei dispositivi medici (7 miliardi di euro) e degli investimenti (32 miliardi di euro);

              l'aumento dell'IVA al 10 per cento – fino ad oggi fissata al 4 per cento – per le prestazioni erogate dalle cooperative sociali (parliamo di prestazioni socio-sanitarie, educative, di assistenza ambulatoriale, domiciliare o in comunità, erogate per anziani ed inabili adulti, tossicodipendenti e malati di AIDS, disabili psicofisici, ma anche minori coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza) sarà un duro colpo al welfare del nostro Paese e negherà, di fatto, un sostegno importantissimo a milioni di italiani, poiché gli enti locali saranno costretti a tagliare i servizi ai cittadini e il costo di tutto questo ricadrà sulle famiglie, che dovranno farsi carico di tutto, senza alcun sostegno da parte dello Stato;

              gli altri principali provvedimenti proposti nel disegno di legge di stabilità per l'anno 2013 sono: il blocco dei contratti pubblici fino al 2014 ed il blocco

 

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dell'indennità di vacanza contrattuale che sarà ripristinata nel 2015; la previsione di sei ore settimanali in più per i professori a salario invariato, con il conseguente taglio di trentacinquemila precari e di un miliardo di risorse alla scuola pubblica, mentre si erogano 223 milioni alle scuole non statali; l'aumento della tassazione sul TFR; l'istituzione di un fondo ad hoc di soli 100 milioni per gli «esodati» (ne servirebbero per coprire tutti i casi circa 8 miliardi): passa il principio del diritto in funzione delle risorse disponibili;

          nel frattempo il costo degli aerei F-35 è raddoppiato. I nuovi cacciabombardieri F-35 erano stati ridotti di numero dal governo «tecnico». L'Esecutivo Monti aveva portato la commessa statale da 131 velivoli agli attuali 90. La riduzione, annunciata nel febbraio scorso dall'ammiraglio-ministro Giampaolo Di Paola, era stata decisa come contributo alla prima spending review. Si scopre ora però che il costo di ogni singolo aereo nel frattempo è lievitato: il costo medio dell'aereo «nudo» (recurrent fly-away cost), sarà di 137,1 milioni di dollari nel 2015. Si tratta di un aggravio di circa 3,5 miliardi di euro rispetto alla spesa indicata al Parlamento. Quindi almeno 13-14 miliardi di euro invece dei 10 pattuiti dal Governo. E probabilmente la lievitazione dei costi in corso d'opera è solo agli inizi;

              è da ritenersi probabilmente eccessivo l'accantonamento per gli interessi. Il Centro Europa Ricerche (CER) ha calcolato che il calo di questi giorni degli spread libera circa 5 miliardi di euro;

              il Governo non ha previsto misure per fare fronte agli impegni del Fiscal compact che comporta una riduzione annuale del debito del 3 per cento del PIL per i prossimi 20 anni, a partire dall'anno 2013: circa 45 miliardi annui;

              si tratta, in sintesi, di una manovra insufficiente, iniqua e depressiva che, in ossequio alle politiche di austerity, continua ad impoverire il Paese e a farlo sprofondare in una crisi economica. L'Italia avrebbe bisogno di altre politiche, quelle che il Governo non sta facendo: politiche espansive e non recessive, redistributive e non di tagli lineari, di sviluppo e di intervento pubblico e non di gestione dell'esistente;

          considerato che, per quanto concerne le materie di competenza della IV Commissione:

              lo stato di previsione del Ministero della difesa reca uno stanziamento complessivo, in termini di competenza, pari a 20.935,2 milioni di euro, con variazioni positive per 973,1 milioni rispetto al bilancio preventivo 2012 (+90,437 milioni di euro rispetto al bilancio assestato) mentre nel successivo biennio il volume finanziario complessivo risulta, rispettivamente, ridursi a 20.483,2 milioni di euro nel 2014 per poi riespandersi a 21.024,1 milioni nel 2015;

              le spese per l'Esercizio vengono ulteriormente ridotte e sono ormai del tutto insufficienti a garantire la piena funzionalità dello strumento militare, in termini di formazione e addestramento del personale nonché di manutenzione ed efficienza dei mezzi e degli equipaggiamenti di sicurezza;

              documenti ufficiali della Difesa e dalla NATO attribuiscono all'Italia una spesa dell'1,4 per cento del PIL rispetto ad una media europea dell'1,6 per cento e che, pertanto, il nostro Paese spende più della Spagna (0,9 per cento del PIL) e quanto la Germania (1,4 per cento del PIL) ma meno di Francia e Gran Bretagna (rispettivamente 1,9 e 2,6 per cento del PIL), nazioni che dispongono di armamenti nucleari; al bilancio vanno aggiunte le risorse per le missioni all'estero e i finanziamenti per alcuni sistemi d'arma a carico del Ministero dello sviluppo economico per 1,7 miliardi, così da portare il budget della Difesa nel 2012 ad oltre 23 miliardi di euro;

              appare inaccettabile prevedere che i risparmi derivanti dai tagli al personale siano destinati a pagare nuovi sistemi d'arma, come gli F-35 e la loro manutenzione

 

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e che, al riguardo sul programma di acquisto del velivolo Joint Strike Fighter il capo del Segretariato Generale della Difesa, generale Debertolis, ha recentemente affrontato il nodo dei costi, chiarendo che la valutazione degli 80 milioni di dollari per ciascuno dei primi tre velivoli F-35A – annunciata in Parlamento – si riferiva a una pianificazione ormai superata e verteva sul solo aereo «nudo». Aggiornando i prezzi e aggiungendo tutte le altre voci di spesa, il costo di questi primi JSF italiani in realtà sarà più del doppio, facendo ulteriormente lievitare il costo del programma, come avviene costantemente da 11 anni. L'Italia comincerà ad acquistare la versione STOVL quando – secondo le previsioni del bilancio della Difesa 2013 degli Stati Uniti – il costo medio dell'aereo «nudo» (in gergo recurrent fly-away cost) sarà di 137,1 milioni di dollari, per scendere poi a 125,1 nel 2016 e a 118,8 nel 2017. Ciò ha ricadute anche sull'impianto Final Assembly and Check-Out (FACO) di Cameri che partirà a regime ridotto, con inevitabili aggravi di costo oltre gli 800 milioni di euro già spesi per realizzare la struttura;

              è stato disatteso l'impegno preso dal Governo finalizzato a promuovere l'adozione di misure correttive per introdurre l'innalzamento del limite del turn-over per le assunzioni delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare e dei Vigili del fuoco almeno al 50 per cento. Così come non sono previste le risorse necessarie per innalzare il medesimo limite per l'Arma dei carabinieri nel triennio 2012-2014 almeno al 50 per cento, così da rendere possibile l'ingresso dei 1.886 allievi carabinieri effettivi e dei 490 allievi marescialli vincitori dei due rispettivi concorsi;

              sia inaccettabile tassare le pensioni di guerra superiori ai 15.000 euro lucrando su cittadini con grandi e gravi difficoltà, nonché la necessità di incidere sulle spese per gli armamenti e non più su quelle relative al settore dell'esercizio, in un momento in cui si chiedono pesantissimi sacrifici ai cittadini;

              negli ultimi anni molteplici sono stati i tagli di risorse umane e finanziarie subiti principalmente dal settore dell'esercizio inferti al settore della difesa e della sicurezza a favore di investimenti insostenibili per gli armamenti che non hanno visto un'adeguata e legittima riduzione;

              si chiedono pesantissimi sacrifici ai cittadini e a settori delicati e importanti come la sanità, l'istruzione e l'ambiente e il Ministero della difesa persiste nel far ricadere i tagli sulle risorse per il personale e per l'efficienza del comparto;

              pertanto, per le ragioni citate in premessa e per la deficienza che tale provvedimento provoca al comparto,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.

 

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VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)

 

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VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)

(Relatore: Sergio Michele PIFFARI)

RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015 (5535)

Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015
(Tabella n. 2, limitatamente alle parti di competenza)

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013) (5534-bis)

      La VIII Commissione,

          esaminato il disegno di legge di stabilità e lo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (Tabella n. 2), limitatamente alle parti di competenza,

          evidenziato come il disegno di legge di stabilità per il 2013:

              si aggiunge a sei precedenti manovre correttive che a diverso titolo hanno aumentato le entrate e ridotto la spesa (decreto-legge n. 98 del 2011; decreto-legge n. 138 del 2011; la legge di stabilità 2012; decreto-legge n. 201 del 2011; decreto-legge n. 95 del 2012, meglio noto come «spending review»). L'ampiezza delle 6 manovre, cioè il reperimento (complessivo) delle risorse, è pari a poco meno di 5 punti di PIL nel 2012, poco sopra i 6,5 punti di PIL nel 2013 e oltre 7 punti di PIL nel 2014. Complessivamente, il Governo Berlusconi e il Governo Monti hanno predisposto delle misure correttive, per il triennio 2012-2013-2014, che sfiorano i 130 miliardi di euro;

              l'effetto delle manovre è stato quello di una diminuzione del PIL per il 2012 pari al 2,4 per cento. Il Governo spera per il 2013 in un calo contenuto e pari allo 0,2 per cento, mentre il Fondo monetario internazionale dà invece per

 

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scontato almeno un meno 0,7 per cento, ma avverte che se non verranno segnali di controtendenza nell'economia globale e nella dinamica interna italiana, si potrebbe superare facilmente l'1 per cento;

              utilizzando un modello prudenziale relativo all'impatto dei provvedimenti adottati dal governo sulle previsioni economiche (50 per cento), alcuni economisti prevedono invece che le stime di crescita del PIL per il 2013 saranno pari a circa meno 2,5-3 per cento del PIL;

              come indicato dalla Nota di aggiornamento del DEF 2012, il tasso di disoccupazione raggiungerebbe in Italia il 10,8 per cento nel 2012 per poi aumentare all'11,4 per cento nel 2013;

              nei fatti, la recessione in atto ha fatto sì che – secondo quanto emerge dai dati della Confindustria – tra il secondo trimestre 2012 e lo stesso periodo del 2011, in Italia i disoccupati siano 758 mila in più. A fine 2013, la forza lavoro non utilizzata (valutando sia i disoccupati che i fruitori di cassa integrazione) salirà al 13,9 per cento, dal 12,8 per cento di fine 2012. Cifre a cui bisogna aggiungere il dato sui lavoratori ormai scoraggiati che non cercano neanche più lavoro uscendo di fatto dalle statistiche, stimati dall'ISTAT in misura pari a circa 2,897 milioni nel 2011, in aumento su base annua di circa il 5 per cento;

              una grossa fetta della popolazione femminile è tagliata fuori dal mercato del lavoro, e la disoccupazione riguarda un terzo dei giovani italiani. Dal 2007 al 2011 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è infatti passato dal 24 al 32 per cento, con un ulteriore balzo al 39,3 per cento nel primo trimestre 2012. La crisi incide in misura maggiore sui più giovani, perché sono loro i principali utilizzatori dei contratti di lavoro temporaneo ed i primi ad essere licenziati;

              il nostro Paese sta tragicamente vivendo una vera e propria emergenza occupazionale, che si aggraverà nei prossimi mesi;

              i consumi delle famiglie si stanno notevolmente riducendo, infatti secondo la Nota di aggiornamento del DEF, nel 2012 la spesa delle famiglie diminuirà del 3,3 per cento e l'anno prossimo dello 0,5 per cento. I consumi risaliranno solo nel 2014, con un +0,6 per cento, mentre nel 2015 ci sarà ancora un debole +0,8 per cento. Quest'anno, afferma il Governo, la domanda interna sarà «particolarmente debole. Sulle decisioni di spesa delle famiglie inciderebbero l'andamento del mercato del lavoro e quello del reddito disponibile, in un contesto di fiducia attualmente ai minimi storici. Nel medio termine – aggiunge il DEF – la spesa delle famiglie ritornerebbe a crescere a ritmi moderati»;

              dopo il taglio delle pensioni, l'aumento delle accise e dell'IVA (tutte tasse indirette che colpiscono proporzionalmente in misura maggiore i ceti popolari), l'IMU sulla casa, la liberalizzazione del mercato del lavoro che toglie diritti ai lavoratori senza ottenere un solo posto di lavoro in più, siamo arrivati a questi risultati a dire poco preoccupanti;

              né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né le cosiddette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la riduzione del debito pubblico italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante;

              dunque, sacrifici – a senso unico a carico dei ceti popolari – mentre il debito rimane immutato, anzi cresce, la disoccupazione aumenta, le tasse aumentano e calano i consumi. In definitiva, i problemi sono stati solo rinviati, e il peggio potrebbe ancora arrivare;

              si è, infatti, instaurata nel nostro Paese ed a livello europeo una spirale perversa di politiche di austerità che incidono negativamente sulla crescita deprimendo il PIL, che a sua volta diminuisce le entrate dello Stato e ne aumenta le spese per fare fronte alla disoccupazione crescente;

 

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              siamo dunque, dentro un meccanismo che non funziona, in cui si rincorrono recessione e manovre, manovre e recessione. L'austerità rende impossibile il raggiungimento di due obiettivi: l'azzeramento del deficit e la riduzione del debito;

              è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa;

              in un rapporto di un gruppo di lavoro guidato dal governatore finlandese Erkki Liikanen, si stima che il sostegno pubblico al sistema finanziario tra il 2007 e il 2010 è stato di 1.600 miliardi di euro, pari al 13 per cento del PIL dell'Unione;

              la crisi dell'euro è spiegabile solo in parte con il deterioramento dei conti pubblici. In realtà, nel biennio della grande recessione l'aumento del rapporto tra debito pubblico e PIL è stato nei Paesi periferici solo leggermente superiore alla media della zona euro;

              la sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;

              la sfiducia dei mercati verso l'euro è stata esacerbata dagli evidenti limiti della governance dell'Unione monetaria, che dal 1999 si è data un'unica Banca centrale ma non ancora una politica fiscale coordinata. Solo recentemente, superando i veti e le incertezze dei Paesi più forti, sono stati messi in campo strumenti (il programma OMT – Outright Monetary Transactions della BCE e il fondo salva-Stati ESM – European Stability Mechanism) all'altezza di una crisi senza precedenti, anche se il cammino verso un'effettiva integrazione politica dell'Europa è ancora molto lungo;

              l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. A tre anni di distanza, i numeri evidenziano i limiti di questa politica di aggiustamento asimmetrico;

              nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle politiche di austerità;

              la Germania ha proseguito la propria politica neo-mercantilista, beneficiando di un enorme afflusso di capitali in fuga dalle economie più fragili. Ne è uscito indebolito lo stesso progetto di integrazione europea, logorato dalla divaricazione tra i Paesi più forti, assai poco disponibili ad aiutare popoli bollati come lassisti e corrotti, e Paesi periferici che per anni hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi, diventando però un grande mercato per i prodotti tedeschi;

              il danno grave di questa deriva riguarda proprio il rischio elevato di caduta dei consumi prodotta dall'austerità nei Paesi più deboli, con inevitabili conseguenze dannose per le esportazioni tedesche. Ciò che può accadere, quindi, è che proprio le scelte di rigore imposte dalla Germania diventino causa di un prossimo, ulteriore, rallentamento anche dell'economia tedesca e, di conseguenza, di un avvitamento perverso della crisi europea;

              i risultati delle politiche di austerità sono paradossali. Malgrado tagli alla spesa e aumenti delle tasse, il debito in molti Paesi è aumentato drammaticamente;

              l'andamento dei debiti pubblici sta mettendo a dura prova la strategia europea. Alcune cifre sono particolarmente

 

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significative. Dal 2007 ad oggi, il debito pubblico in alcuni dei Paesi più fragili della zona euro ha subito un forte aumento: del 368 per cento in Irlanda, del 123 per cento in Spagna, del 74 per cento in Portogallo, del 58 per cento in Grecia. In molti Paesi l'indebitamento ha ormai superato di slancio il 100 per cento del prodotto interno lordo;

              l'aumento del debito è dovuto alla presenza di un circolo vizioso: in un contesto economico debole, il risanamento dei conti pubblici pesa sulla ripresa a breve termine, riducendo le entrate fiscali e aumentando di converso il disavanzo pubblico. «Senza crescita l'economia globale è in pericolo», ha recentemente sostenuto la Signora Lagarde, Direttore generale del Fondo monetario internazionale;

          valutato altresì che:

              gli obiettivi generali della legge di stabilità (2013-2015) sono il pareggio di bilancio strutturale per il 2013, assieme alla crescita dell'avanzo primario. Ma il deficit vero nel 2013 sarà pari al 2,6 per cento del PIL, lontano dal pareggio di bilancio promesso dal Governo, che infatti chiede ai mercati di guardare al dato del cosiddetto «deficit strutturale»;

              sono cinque gli assi delineati nella legge di stabilità: 1) dimezzamento dell'aumento dell'IVA e modifiche all'IRPEF; 2) incentivi alla produttività (territoriale) pari a 1,6 miliardi di euro; 3) contrazione della spesa dei ministeri programmata con la spending review; 4) garantire alcune spese indifferibili; 5) «garantire» (si fa per dire) le risorse per gli «esodati» riconosciuti, i cosiddetti «salvaguardati»;

              gli strumenti per recuperare le risorse finanziarie necessarie per raggiungere gli obiettivi indicati fanno capo alla spending review, alle banche, alle assicurazioni ed alla Tobin tax. Al netto della Tobin tax e delle misure relative alle assicurazioni e alle banche, le misure previste nella legge di stabilità sono legate principalmente alla spending review;

              la spending review doveva servire a non toccare le aliquote dell'IVA: l'aumento dell'IVA doveva coincidere con la mancata attuazione della spending review. Quindi, non si sarebbe dovuto aumentare l'IVA, ma il Governo ha deciso comunque di aumentarla di un punto invece di due punti come inizialmente previsto. Il contemporaneo intervento sull'IRPEF ha un chiaro sapore propagandistico, inoltre è confuso e contraddittorio;

              nei fatti, per i cittadini, l'effetto netto della manovra determina un aumento di imposte non una diminuzione. I tagli delle deduzioni e delle detrazioni colpiscono mediamente i redditi più bassi, mentre la riduzione delle aliquote IRPEF, cioè dal 23 per cento al 22 per cento per i reddito da zero a 15.000 euro e dal 27 per cento al 26 per cento per i redditi da 15.000 a 28.000 euro, non sarà in nessun modo equivalente;

              l'aumento dell'IVA di un punto coinciderà con la riduzione delle aliquote fiscali IRPEF. La riforma delle deduzioni farà capo ai redditi superiori a 15.000 euro, con una franchigia di 250 euro per alcune deduzioni e detrazioni, con un massimo di 3.000 euro solo per le detrazioni, ed oltretutto, è retroattivamente valida a partire dall'anno fiscale 2012;

              l'introduzione di una franchigia di 250 euro sulle deduzioni e detrazioni IRPEF riconosciute ai contribuenti con un reddito superiore ai 15mila euro vale circa 1,7 miliardi sul 2013 e, grazie all'effetto retroattivo di cassa, sul 2012. Che diventano più di 2 miliardi se al conto si aggiungono i 300 milioni attesi dalla previsione del tetto di 3mila euro per le spese «scaricabili» degli stessi soggetti;

              a pagare il conto della legge di stabilità saranno dunque ancora una volta i contribuenti onesti. Stando alla relazione tecnica della legge di stabilità, le nuove e maggiori entrate costituiscono il 51,8 per cento delle risorse necessarie a fare quadrare i conti. Dei 12,9 miliardi di «mezzi di copertura» conteggiati per il 2013 oltre 6,7 arriveranno infatti da «nuove o maggiori

 

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entrate». A fronte dei 6,2 miliardi di minori spese. Ma nel 2014 e nel 2015 la forbice è destinata ad allargarsi perché il peso delle imposte arriverà al 60 per cento del totale;

              le tabelle allegate al disegno di legge di stabilità confermano che le tre voci più pesanti da coprire sono: la riduzione delle prime due aliquote IRPEF, che da sola vale 4,2 miliardi l'anno prossimo e 6,6 nel 2014; la sterilizzazione di un punto d'IVA, che ne richiede 3,2; la detassazione da 1,6 miliardi del salario di produttività. A cui vanno aggiunti i circa 4 miliardi di maggiori spese, di cui 2,2 di parte corrente. E tra questi spiccano i 500 milioni per il nuovo fondo sul fitto degli immobili delle Pubbliche amministrazioni, i 464 per il trasporto locale e i 900 del nuovo «contenitore» creato a Palazzo Chigi per alcuni interventi settoriali (università statali, social card, terremoto dell'Aquila);

              sul fronte delle maggiori entrate va poi segnalata la stabilizzazione dell'incremento delle accise sui carburanti per il sisma in Emilia. Che vale 1,1 miliardi dal 2013 in avanti. Su livelli analoghi dovrebbe attestarsi la Tobin tax. Dall'imposta di bollo dello 0,05 per cento sulle transazioni finanziarie sono attesi infatti 1.088 milioni di nuovi introiti oltre che un calo del 30 per cento delle compravendite azionarie e dell'80 per cento di quelle dei prodotti derivati. Ci sono, inoltre, i 623 milioni che arriveranno dall'aumento (da 0,35 a 0,5 per cento) dell'acconto sulle riserve tecniche delle imprese di assicurazioni e i 412 provenienti dal giro di vite sulla deducibilità delle auto aziendali;

              poche misure dispongono minori uscite. I 3,8 miliardi attesi con effetto sul deficit (che in termini di saldo netto da finanziare diventano 6,2) arriveranno soprattutto dal taglio alle autonomie. Regioni ed enti locali subiranno riduzioni pari a 2,2 miliardi nel 2013, nel 2014 e nel 2015. Per le regioni il taglio sarà ancora più sensibile visto che il fabbisogno sanitario nazionale dovrà essere ridotto di 600 milioni l'anno prossimo e di 1 miliardo nel biennio successivo. Completano il conto delle minori spese correnti i 631,7 milioni di riduzioni imposte al cosiddetto «Fondo Letta», i 300 milioni di taglio ai fondi per i progetti speciali degli enti previdenziali, i 19,8 milioni prelevati dall'AGEA;

              l'elenco delle minori spese in conto capitale può contare solo sui 5 milioni di risparmi sull'acquisto di mobili e arredi nella Pubblica amministrazione e i 25 milioni «rimodulati» nel bilancio della Difesa;

              sulla sanità, si prevede un taglio non inferiore a 1,5 miliardi di euro, agendo sull'insieme della spesa aggredibile dei farmaci (11 miliardi di euro), dei dispositivi medici (7 miliardi di euro) e degli investimenti (32 miliardi di euro);

              l'aumento dell'IVA al 10 per cento – fino ad oggi fissata al 4 per cento – per le prestazioni erogate dalle cooperative sociali (parliamo di prestazioni socio-sanitarie, educative, di assistenza ambulatoriale, domiciliare o in comunità erogate per anziani ed inabili adulti, tossicodipendenti e malati di AIDS, disabili psicofisici, ma anche minori coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza) sarà un duro colpo al welfare del nostro Paese e negherà, di fatto, un sostegno importantissimo a milioni di italiani, poiché gli enti locali saranno costretti a tagliare i servizi ai cittadini e il costo di tutto questo ricadrà sulle famiglie, che dovranno farsi carico di tutto, senza alcun sostegno da parte dello Stato;

              gli altri principali provvedimenti proposti nel disegno di legge di stabilità per l'anno 2013 sono: il blocco dei contratti pubblici fino al 2014 ed il blocco dell'indennità di vacanza contrattuale che sarà ripristinata nel 2015; la previsione di 6 ore settimanali in più per i professori a salario invariato, con il conseguente taglio di 35 mila precari e di un miliardo di risorse alla scuola pubblica, mentre si erogano 223 milioni alle scuole non statali; l'aumento della tassazione sul TFR; l'istituzione di un fondo ad hoc di soli 100 milioni per gli «esodati» (ne servirebbero

 

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per coprire tutti i casi circa 8 miliardi: passa il principio del diritto in funzione delle risorse disponibili);

              nel frattempo il costo degli aerei F35 è raddoppiato. I nuovi cacciabombardieri F35 erano stati ridotti di numero dal governo «tecnico». L'Esecutivo Monti aveva portato la commessa statale da 131 velivoli agli attuali 90. La riduzione, annunciata nel febbraio scorso dall'ammiraglio-ministro Giampaolo Di Paola, era stata decisa come contributo alla prima spending review. Si scopre ora però che il costo di ogni singolo aereo nel frattempo è lievitato: il costo medio dell'aereo «nudo», il cosiddetto recurrent fly-away cost, sarà di 137,1 milioni di dollari nel 2015. Si tratta di un aggravio di circa 3,5 miliardi di euro rispetto alla spesa indicata al Parlamento. Quindi almeno 13-14 miliardi di euro invece dei 10 pattuiti dal governo. E probabilmente la lievitazione dei costi in corso d'opera è solo agli inizi;

              è da ritenersi probabilmente eccessivo l'accantonamento per gli interessi. Il Centro Europa Ricerche (CER) ha calcolato che il calo di questi giorni degli spread libera circa 5 miliardi di euro;

              il Governo non ha previsto misure per fare fronte agli impegni del Fiscal compact che comporta una riduzione annuale del debito del 3 per cento del PIL per i prossimi 20 anni a partire dall'anno 2013: circa 45 miliardi annui;

              si tratta, in sintesi, di una manovra insufficiente, iniqua e depressiva che, in ossequio alle politiche di austerity, continua ad impoverire il Paese e a farlo sprofondare in una crisi economica. L'Italia avrebbe bisogno di altre politiche, quelle che il Governo non sta facendo: politiche espansive e non recessive, redistributive e non di tagli lineari, di sviluppo e di intervento pubblico e non di gestione dell'esistente;

          considerato inoltre che, per quanto concerne in particolare gli aspetti all'attenzione della Commissione ambiente:

              con riferimento agli stanziamenti di competenza della missione 14 (infrastrutture e logistica), presenti sia nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che in quello del Ministero dell'economia e delle finanze, si vede che l'incremento di risorse assegnate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) è però compensato da una forte riduzione di quasi 330 milioni di euro nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (MEF);

              relativamente alla missione 19 (casa e assetto urbanistico), relativa sia allo stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che a quello del Ministero dell'economia e delle finanze, si registrano due tendenze opposte: la quota MEF passa da 197,5 milioni di euro nel 2011 a 303 milioni nel 2013 (+53,4 per cento), ma tale aumento è più che compensato da una forte diminuzione nella quota MIT, che passa da 302,2 milioni di euro nel 2011 a 116,6 milioni nel 2013, con un taglio di ben il 61,4 per cento;

              per quanto riguarda in particolare il disegno di legge di stabilità per il 2013 si rileva quanto segue:

          a) nulla è poi previsto per la difesa del suolo e la messa in sicurezza del nostro territorio. Vera e prioritaria opera infrastrutturale in grado non solamente di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio, ma di attivare migliaia di cantieri con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;

          b) nell'audizione alla Commissione ambiente della Camera del 30 novembre 2011, lo stesso Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, sottolineava la necessità di «creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata, come è avvenuto con l'ultima legge di stabilità, ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente

 

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per la prevenzione del dissesto idrogeologico». Nulla è stato fatto;

          c) sempre il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, in diverse occasioni ha sottolineato la necessità di individuare ulteriori forme di finanziamento, quali per esempio, l'istituzione di un Fondo rotativo finalizzato alla messa in sicurezza del territorio, la previsione di un credito d'imposta per investimenti che hanno effetti positivi sulla sicurezza del suolo; la previsione di una fiscalità finalizzata e quindi di una possibile tassa di scopo. Nulla di tutto questo viene proposto né avviato;

          d) per quanto concerne la vigente detrazione fiscale del 55 per cento delle spese sostenute per la riqualificazione energetica – misura introdotta nel 2007 dal Governo Prodi – detta misura varrà solo fino a giugno 2013, per poi stabilizzarsi definitivamente, dal 1o luglio 2013, al 36 per cento, equiparandola (come previsto dal decreto legge n. 83 del 2012) all'aliquota per gli interventi di ristrutturazione edilizia;

          e) la legge di stabilità in esame non prevede inoltre alcuna proroga dell’ecobonus al 55 per cento oltre il termine del 30 giugno 2013 previsto dalla normativa vigente; questo «annacquamento» rischia di compromettere definitivamente uno dei più efficaci strumenti anticiclici di questi anni, oltre che il migliore strumento per promuovere l'efficienza energetica e lo sviluppo economico sostenibile nel sistema immobiliare italiano;

          f) la tabella C del disegno di legge di stabilità, indica uno stanziamento per il Fondo di protezione civile (cap. 7446) pari a 73,2 milioni di euro per il 2013, circa 79 milioni di euro per il 2014 e 80,8 milioni di euro per il 2015. Detti stanziamenti indicano, per l'anno 2013 una riduzione di oltre 4,5 milioni di euro rispetto alla dotazione finanziaria a legislazione vigente,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.

 

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VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)

(Relatore: Sergio Michele PIFFARI)

RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015 (5535)

Stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015
(Tabella n. 9)

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013) (5534-bis)

      La VIII Commissione,

          esaminato il disegno di legge di stabilità e lo stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Tabella n. 9);

          evidenziato come il disegno di legge di stabilità per il 2013:

              si aggiunge a sei precedenti manovre correttive che a diverso titolo hanno aumentato le entrate e ridotto la spesa (decreto-legge n. 98 del 2011; decreto-legge n. 138 del 2011; la legge di stabilità 2012; decreto-legge n. 201 del 2011; decreto-legge n. 95 del 2012, meglio noto come «spending review»). L'ampiezza delle 6 manovre, cioè il reperimento (complessivo) delle risorse, è pari a poco meno di 5 punti di PIL nel 2012, poco sopra i 6,5 punti di PIL nel 2013 e oltre 7 punti di PIL nel 2014. Complessivamente, il Governo Berlusconi e il Governo Monti hanno predisposto delle misure correttive, per il triennio 2012-2013-2014, che sfiorano i 130 miliardi di euro;

              l'effetto delle manovre è stato quello di una diminuzione del PIL per il 2012 pari al 2,4 per cento. Il Governo spera per il 2013 in un calo contenuto e

 

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pari allo 0,2 per cento, mentre il Fondo monetario internazionale dà invece per scontato almeno un meno 0,7 per cento, ma avverte che se non verranno segnali di controtendenza nell'economia globale e nella dinamica interna italiana, si potrebbe superare facilmente l'1 per cento;

              utilizzando un modello prudenziale relativo all'impatto dei provvedimenti adottati dal Governo sulle previsioni economiche (50 per cento), alcuni economisti prevedono invece che le stime di crescita del PIL per il 2013 saranno pari a circa meno 2,5-3 per cento del PIL;

              come indicato dalla Nota di aggiornamento del DEF 2012, il tasso di disoccupazione raggiungerebbe in Italia il 10,8 per cento nel 2012 per poi aumentare all'11,4 per cento nel 2013;

              nei fatti, la recessione in atto ha fatto sì che – secondo quanto emerge dai dati della Confindustria – tra il secondo trimestre 2012 e lo stesso periodo del 2011, in Italia i disoccupati siano 758 mila in più. A fine 2013, la forza lavoro non utilizzata (valutando sia i disoccupati che i fruitori di cassa integrazione) salirà al 13,9 per cento, dal 12,8 per cento di fine 2012. Cifre a cui bisogna aggiungere il dato sui lavoratori ormai scoraggiati che non cercano neanche più lavoro uscendo di fatto dalle statistiche, stimati dall'ISTAT in misura pari a circa 2,897 milioni nel 2011, in aumento su base annua di circa il 5 per cento;

              una grossa fetta della popolazione femminile è tagliata fuori dal mercato del lavoro, e la disoccupazione riguarda un terzo dei giovani italiani. Dal 2007 al 2011 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è infatti passato dal 24 al 32 per cento, con un ulteriore balzo al 39,3 per cento nel primo trimestre 2012. La crisi incide in misura maggiore sui più giovani, perché sono loro i principali utilizzatori dei contratti di lavoro temporaneo ed i primi ad essere licenziati;

              il nostro Paese sta tragicamente vivendo una vera e propria emergenza occupazionale, che si aggraverà nei prossimi mesi;

              i consumi delle famiglie si stanno notevolmente riducendo, infatti secondo la Nota di aggiornamento del DEF, nel 2012 la spesa delle famiglie diminuirà del 3,3 per cento e l'anno prossimo dello 0,5 per cento. I consumi risaliranno solo nel 2014, con un +0,6 per cento, mentre nel 2015 ci sarà ancora un debole +0,8 per cento. Quest'anno, afferma il Governo, la domanda interna sarà particolarmente debole. Sulle decisioni di spesa delle famiglie inciderebbero l'andamento del mercato del lavoro e quello del reddito disponibile, in un contesto di fiducia attualmente ai minimi storici. Nel medio termine – aggiunge il DEF – la spesa delle famiglie ritornerebbe a crescere a ritmi moderati;

              dopo il taglio delle pensioni, l'aumento delle accise e dell'IVA (tutte tasse indirette che colpiscono proporzionalmente in misura maggiore i ceti popolari), l'IMU sulla casa, la liberalizzazione del mercato del lavoro che toglie diritti ai lavoratori senza ottenere un solo posto di lavoro in più, siamo arrivati a questi risultati a dire poco preoccupanti;

              né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né le cosiddette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la riduzione del debito pubblico italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante;

              dunque, sacrifici – a senso unico a carico dei ceti popolari – mentre il debito rimane immutato, anzi cresce, la disoccupazione aumenta, le tasse aumentano e calano i consumi. In definitiva, i problemi sono stati solo rinviati, e il peggio potrebbe ancora arrivare;

              si è, infatti, instaurata nel nostro Paese ed a livello europeo una spirale perversa di politiche di austerità che incidono negativamente sulla crescita deprimendo il PIL, che a sua volta diminuisce le

 

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entrate dello Stato e ne aumenta le spese per fare fronte alla disoccupazione crescente;

              siamo dunque, dentro un meccanismo che non funziona, in cui si rincorrono recessione e manovre, manovre e recessione. L'austerità rende impossibile il raggiungimento di due obiettivi: l'azzeramento del deficit e la riduzione del debito;

              è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa;

              in un rapporto di un gruppo di lavoro guidato dal governatore finlandese Erkki Liikanen, si stima che il sostegno pubblico al sistema finanziario tra il 2007 e il 2010 è stato di 1.600 miliardi di euro, pari al 13 per cento del PIL dell'Unione;

              la crisi dell'euro è spiegabile solo in parte con il deterioramento dei conti pubblici. In realtà, nel biennio della grande recessione l'aumento del rapporto tra debito pubblico e PIL è stato nei Paesi periferici solo leggermente superiore alla media della zona euro;

              la sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;

              la sfiducia dei mercati verso l'euro è stata esacerbata dagli evidenti limiti della governance dell'Unione monetaria, che dal 1999 si è data un'unica Banca centrale ma non ancora una politica fiscale coordinata. Solo recentemente, superando i veti e le incertezze dei Paesi più forti, sono stati messi in campo strumenti (il programma OMT – Outright Monetary Transactions della BCE e il fondo salva-Stati ESM – European Stability Mechanism) all'altezza di una crisi senza precedenti, anche se il cammino verso un'effettiva integrazione politica dell'Europa è ancora molto lungo;

              l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. A tre anni di distanza, i numeri evidenziano i limiti di questa politica di aggiustamento asimmetrico;

              nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle politiche di austerità;

              la Germania ha proseguito la propria politica neo-mercantilista, beneficiando di un enorme afflusso di capitali in fuga dalle economie più fragili. Ne è uscito indebolito lo stesso progetto di integrazione europea, logorato dalla divaricazione tra i Paesi più forti, assai poco disponibili ad aiutare popoli bollati come lassisti e corrotti, e Paesi periferici che per anni hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi, diventando però un grande mercato per i prodotti tedeschi;

              il danno grave di questa deriva riguarda proprio il rischio elevato di caduta dei consumi prodotta dall'austerità nei Paesi più deboli, con inevitabili conseguenze dannose per le esportazioni tedesche. Ciò che può accadere, quindi, è che proprio le scelte di rigore imposte dalla Germania diventino causa di un prossimo, ulteriore, rallentamento anche dell'economia tedesca e, di conseguenza, di un avvitamento perverso della crisi europea;

              i risultati delle politiche di austerità sono paradossali. Malgrado tagli alla spesa e aumenti delle tasse, il debito in molti Paesi è aumentato drammaticamente;

 

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              l'andamento dei debiti pubblici sta mettendo a dura prova la strategia europea. Alcune cifre sono particolarmente significative. Dal 2007 ad oggi, il debito pubblico in alcuni dei Paesi più fragili della zona euro ha subito un forte aumento: del 368 per cento in Irlanda, del 123 per cento in Spagna, del 74 per cento in Portogallo, del 58 per cento in Grecia. In molti Paesi l'indebitamento ha ormai superato di slancio il 100 per cento del prodotto interno lordo;

              l'aumento del debito è dovuto alla presenza di un circolo vizioso: in un contesto economico debole, il risanamento dei conti pubblici pesa sulla ripresa a breve termine, riducendo le entrate fiscali e aumentando di converso il disavanzo pubblico. «Senza crescita l'economia globale è in pericolo», ha recentemente sostenuto la Signora Lagarde, Direttore generale del Fondo monetario internazionale;

          valutato altresì che:

              gli obiettivi generali della legge di stabilità (2013-2015) sono il pareggio di bilancio strutturale per il 2013, assieme alla crescita dell'avanzo primario. Ma il deficit vero nel 2013 sarà pari al 2,6 per cento del PIL, lontano dal pareggio di bilancio promesso dal Governo, che infatti chiede ai mercati di guardare al dato del cosiddetto «deficit strutturale»;

              sono cinque gli assi delineati nella legge di stabilità: 1) dimezzamento dell'aumento dell'IVA e modifiche all'IRPEF; 2) incentivi alla produttività (territoriale) pari a 1,6 miliardi di euro; 3) contrazione della spesa dei ministeri programmata con la spending review; 4) garantire alcune spese indifferibili; 5) «garantire» (si fa per dire) le risorse per gli «esodati» riconosciuti, i cosiddetti «salvaguardati»;

              gli strumenti per recuperare le risorse finanziarie necessarie per raggiungere gli obiettivi indicati fanno capo alla spending review, alle banche, alle assicurazioni ed alla Tobin tax. Al netto della Tobin tax e delle misure relative alle assicurazioni e alle banche, le misure previste nella legge di stabilità sono legate principalmente alla spending review;

              la spending review doveva servire a non toccare le aliquote dell'IVA: l'aumento dell'IVA doveva coincidere con la mancata attuazione della spending review. Quindi, non si sarebbe dovuto aumentare l'IVA, ma il Governo ha deciso comunque di aumentarla di un punto invece di due punti come inizialmente previsto. Il contemporaneo intervento sull'IRPEF ha un chiaro sapore propagandistico, inoltre è confuso e contraddittorio;

              nei fatti, per i cittadini, l'effetto netto della manovra determina un aumento di imposte non una diminuzione. I tagli delle deduzioni e delle detrazioni colpiscono mediamente i redditi più bassi, mentre la riduzione delle aliquote IRPEF, cioè dal 23 per cento al 22 per cento per i reddito da zero a 15.000 euro e dal 27 per cento al 26 per cento per i redditi da 15.000 a 28.000 euro, non sarà in nessun modo equivalente;

              l'aumento dell'IVA di un punto coinciderà con la riduzione delle aliquote fiscali IRPEF. La riforma delle deduzioni farà capo ai redditi superiori a 15.000 euro, con una franchigia di 250 euro per alcune deduzioni e detrazioni, con un massimo di 3.000 euro solo per le detrazioni, ed oltretutto, è retroattivamente valida a partire dall'anno fiscale 2012;

              l'introduzione di una franchigia di 250 euro sulle deduzioni e detrazioni IRPEF riconosciute ai contribuenti con un reddito superiore ai 15mila euro vale circa 1,7 miliardi sul 2013 e, grazie all'effetto retroattivo di cassa, sul 2012. Che diventano più di 2 miliardi se al conto si aggiungono i 300 milioni attesi dalla previsione del tetto di 3mila euro per le spese «scaricabili» degli stessi soggetti;

              a pagare il conto della legge di stabilità saranno dunque ancora una volta i contribuenti onesti. Stando alla relazione tecnica della legge di stabilità, le nuove e maggiori entrate costituiscono il 51,8 per

 

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cento delle risorse necessarie a fare quadrare i conti. Dei 12,9 miliardi di «mezzi di copertura» conteggiati per il 2013 oltre 6,7 arriveranno infatti da «nuove o maggiori entrate». A fronte dei 6,2 miliardi di minori spese. Ma nel 2014 e nel 2015 la forbice è destinata ad allargarsi perché il peso delle imposte arriverà al 60 per cento del totale;

              le tabelle allegate al disegno di legge di stabilità confermano che le tre voci più pesanti da coprire sono: la riduzione delle prime due aliquote IRPEF, che da sola vale 4,2 miliardi l'anno prossimo e 6,6 nel 2014; la sterilizzazione di un punto d'IVA, che ne richiede 3,2; la detassazione da 1,6 miliardi del salario di produttività. A cui vanno aggiunti i circa 4 miliardi di maggiori spese, di cui 2,2 di parte corrente. E tra questi spiccano i 500 milioni per il nuovo fondo sul fitto degli immobili delle Pubbliche amministrazioni, i 464 per il trasporto locale e i 900 del nuovo «contenitore» creato a Palazzo Chigi per alcuni interventi settoriali (università statali, social card, terremoto dell'Aquila);

              sul fronte delle maggiori entrate va poi segnalata la stabilizzazione dell'incremento delle accise sui carburanti per il sisma in Emilia. Che vale 1,1 miliardi dal 2013 in avanti. Su livelli analoghi dovrebbe attestarsi la Tobin tax. Dall'imposta di bollo dello 0,05 per cento sulle transazioni finanziarie sono attesi infatti 1.088 milioni di nuovi introiti oltre che un calo del 30 per cento delle compravendite azionarie e dell'80 per cento di quelle dei prodotti derivati. Ci sono, inoltre, i 623 milioni che arriveranno dall'aumento (da 0,35 a 0,5 per cento) dell'acconto sulle riserve tecniche delle imprese di assicurazioni e i 412 provenienti dal giro di vite sulla deducibilità delle auto aziendali;

              poche misure dispongono minori uscite. I 3,8 miliardi attesi con effetto sul deficit (che in termini di saldo netto da finanziare diventano 6,2) arriveranno soprattutto dal taglio alle autonomie. Regioni ed enti locali subiranno riduzioni pari a 2,2 miliardi nel 2013, nel 2014 e nel 2015. Per le regioni il taglio sarà ancora più sensibile visto che il fabbisogno sanitario nazionale dovrà essere ridotto di 600 milioni l'anno prossimo e di 1 miliardo nel biennio successivo. Completano il conto delle minori spese correnti i 631,7 milioni di riduzioni imposte al cosiddetto «Fondo Letta», i 300 milioni di taglio ai fondi per i progetti speciali degli enti previdenziali, i 19,8 milioni prelevati dall'AGEA;

              l'elenco delle minori spese in conto capitale può contare solo sui 5 milioni di risparmi sull'acquisto di mobili e arredi nella Pubblica amministrazione e i 25 milioni «rimodulati» nel bilancio della Difesa;

              sulla sanità, si prevede un taglio non inferiore a 1,5 miliardi di euro, agendo sull'insieme della spesa aggredibile dei farmaci (11 miliardi di euro), dei dispositivi medici (7 miliardi di euro) e degli investimenti (32 miliardi di euro);

              l'aumento dell'IVA al 10 per cento – fino ad oggi fissata al 4 per cento – per le prestazioni erogate dalle cooperative sociali (parliamo di prestazioni socio-sanitarie, educative, di assistenza ambulatoriale, domiciliare o in comunità erogate per anziani ed inabili adulti, tossicodipendenti e malati di AIDS, disabili psicofisici, ma anche minori coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza) sarà un duro colpo al welfare del nostro Paese e negherà, di fatto, un sostegno importantissimo a milioni di italiani, poiché gli enti locali saranno costretti a tagliare i servizi ai cittadini e il costo di tutto questo ricadrà sulle famiglie, che dovranno farsi carico di tutto, senza alcun sostegno da parte dello Stato;

              gli altri principali provvedimenti proposti nel disegno di legge di stabilità per l'anno 2013 sono: il blocco dei contratti pubblici fino al 2014 ed il blocco dell'indennità di vacanza contrattuale che sarà ripristinata nel 2015; la previsione di 6 ore settimanali in più per i professori a salario invariato, con il conseguente taglio di 35 mila precari e di un miliardo di risorse alla scuola pubblica, mentre si

 

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erogano 223 milioni alle scuole non statali; l'aumento della tassazione sul TFR; l'istituzione di un fondo ad hoc di soli 100 milioni per gli «esodati» (ne servirebbero per coprire tutti i casi circa 8 miliardi: passa il principio del diritto in funzione delle risorse disponibili);

              nel frattempo il costo degli aerei F35 è raddoppiato. I nuovi cacciabombardieri F35 erano stati ridotti di numero dal governo «tecnico». L'Esecutivo Monti aveva portato la commessa statale da 131 velivoli agli attuali 90. La riduzione, annunciata nel febbraio scorso dall'ammiraglio-ministro Giampaolo Di Paola, era stata decisa come contributo alla prima spending review. Si scopre ora però che il costo di ogni singolo aereo nel frattempo è lievitato: il costo medio dell'aereo «nudo», il cosiddetto recurrent fly-away cost, sarà di 137,1 milioni di dollari nel 2015. Si tratta di un aggravio di circa 3,5 miliardi di euro rispetto alla spesa indicata al Parlamento. Quindi almeno 13-14 miliardi di euro invece dei 10 pattuiti dal Governo. E probabilmente la lievitazione dei costi in corso d'opera è solo agli inizi;

              è da ritenersi probabilmente eccessivo l'accantonamento per gli interessi. Il Centro Europa Ricerche (CER) ha calcolato che il calo di questi giorni degli spread libera circa 5 miliardi di euro;

              il Governo non ha previsto misure per fare fronte agli impegni del Fiscal compact che comporta una riduzione annuale del debito del 3 per cento del PIL per i prossimi 20 anni a partire dall'anno 2013: circa 45 miliardi annui;

              si tratta, in sintesi, di una manovra insufficiente, iniqua e depressiva che, in ossequio alle politiche di austerity, continua ad impoverire il Paese e a farlo sprofondare in una crisi economica. L'Italia avrebbe bisogno di altre politiche, quelle che il Governo non sta facendo: politiche espansive e non recessive, redistributive e non di tagli lineari, di sviluppo e di intervento pubblico e non di gestione dell'esistente;

          considerato inoltre che, per quanto concerne in particolare gli aspetti all'attenzione della Commissione ambiente:

              l'esame dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, conferma ancora una volta i drastici tagli che hanno caratterizzato tutta la legislatura in corso;

              la missione 18 (Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell'ambiente), vede una riduzione delle risorse finanziarie di competenza che passano da 424,2 milioni di euro relative alle previsioni assestate per il 2012, a circa 367 milioni per il 2013, con una decurtazione di quasi 57 milioni di euro;

              il Programma «Prevenzione e riduzione integrata dell'inquinamento», passa da 12,7 milioni di competenza nel 2012, a 8,1 milioni per il 2013, con una riduzione di 4,6 milioni di euro, circa il 35 per cento in meno;

              il Programma «Tutela e conservazione del territorio e delle risorse idriche, trattamento e smaltimento dei rifiuti, bonifiche», passa da oltre 196,4 milioni di euro di competenza per il 2012, a 149,7 milioni per il 2013, con una riduzione di oltre 46,7 milioni di euro, pari a una riduzione di circa il 24 per cento;

              anche la missione 17 (Ricerca e innovazione), e in particolare il programma «Ricerca in materia ambientale» subisce un taglio di oltre 3,7 milioni di euro per il 2013;

              per quanto riguarda in particolare il disegno di legge di stabilità per il 2013 si rileva quanto segue:

          a) nulla è poi previsto per la difesa del suolo e la messa in sicurezza del nostro territorio. Vera e prioritaria opera infrastrutturale in grado non solamente di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio, ma di attivare migliaia di cantieri con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;

          b) nell'audizione alla Commissione ambiente della Camera del 30 novembre

 

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2011, lo stesso Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, sottolineava la necessità di «creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata, come è avvenuto con l'ultima legge di stabilità, ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la prevenzione del dissesto idrogeologico». Nulla è stato fatto;

          c) sempre il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, in diverse occasioni ha sottolineato la necessità di individuare ulteriori forme di finanziamento, quali per esempio, l'istituzione di un Fondo rotativo finalizzato alla messa in sicurezza del territorio, la previsione di un credito d'imposta per investimenti che hanno effetti positivi sulla sicurezza del suolo; la previsione di una fiscalità finalizzata e quindi di una possibile tassa di scopo. Nulla di tutto questo viene proposto né avviato;

          d) per quanto concerne la vigente detrazione fiscale del 55 per cento delle spese sostenute per la riqualificazione energetica – misura introdotta nel 2007 dal Governo Prodi – detta misura varrà solo fino a giugno 2013, per poi stabilizzarsi definitivamente, dal 1° luglio 2013, al 36 per cento, equiparandola (come previsto dal decreto legge n. 83 del 2012) all'aliquota per gli interventi di ristrutturazione edilizia;

          e) la legge di stabilità in esame non prevede inoltre alcuna proroga dell’ecobonus al 55 per cento oltre il termine del 30 giugno 2013 previsto dalla normativa vigente; questo «annacquamento» rischia di compromettere definitivamente uno dei più efficaci strumenti anticiclici di questi anni, oltre che il migliore strumento per promuovere l'efficienza energetica e lo sviluppo economico sostenibile nel sistema immobiliare italiano;

          f) la tabella C del disegno di legge di stabilità, indica uno stanziamento per il Fondo di protezione civile (cap. 7446) pari a 73,2 milioni di euro per il 2013, circa 79 milioni di euro per il 2014 e 80,8 milioni di euro per il 2015. Detti stanziamenti indicano, per l'anno 2013 una riduzione di oltre 4,5 milioni di euro rispetto alla dotazione finanziaria a legislazione vigente,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.

 

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VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)

(Relatore: Sergio Michele PIFFARI)

RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui

DISEGNI DI LEGGE

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015 (5535)

Stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015
(Tabella n. 10, limitatamente alle parti di competenza)

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013) (5534-bis)

      La VIII Commissione,

          esaminato il disegno di legge di stabilità e lo stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Tabella n. 10), limitatamente alle parti di competenza,

          evidenziato come il disegno di legge di stabilità per il 2013:

              si aggiunge a sei precedenti manovre correttive che a diverso titolo hanno aumentato le entrate e ridotto la spesa (decreto-legge n. 98 del 2011; decreto-legge n. 138 del 2011; la legge di stabilità 2012; decreto-legge n. 201 del 2011; decreto-legge n. 95 del 2012, meglio noto come «spending review»). L'ampiezza delle 6 manovre, cioè il reperimento (complessivo) delle risorse, è pari a poco meno di 5 punti di PIL nel 2012, poco sopra i 6,5 punti di PIL nel 2013 e oltre 7 punti di PIL nel 2014. Complessivamente, il Governo Berlusconi e il Governo Monti hanno predisposto delle misure correttive, per il triennio 2012-2013-2014, che sfiorano i 130 miliardi di euro;

              l'effetto delle manovre è stato quello di una diminuzione del PIL per il 2012 pari al 2,4 per cento. Il Governo spera per il 2013 in un calo contenuto e pari allo 0,2 per cento, mentre il Fondo

 

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monetario internazionale dà invece per scontato almeno un meno 0,7 per cento, ma avverte che se non verranno segnali di controtendenza nell'economia globale e nella dinamica interna italiana, si potrebbe superare facilmente l'1 per cento;

              utilizzando un modello prudenziale relativo all'impatto dei provvedimenti adottati dal Governo sulle previsioni economiche (50 per cento), alcuni economisti prevedono invece che le stime di crescita del PIL per il 2013 saranno pari a circa meno 2,5-3 per cento del PIL;

              come indicato dalla Nota di aggiornamento del DEF 2012, il tasso di disoccupazione raggiungerebbe in Italia il 10,8 per cento nel 2012 per poi aumentare all'11,4 per cento nel 2013;

              nei fatti, la recessione in atto ha fatto sì che – secondo quanto emerge dai dati della Confindustria – tra il secondo trimestre 2012 e lo stesso periodo del 2011, in Italia i disoccupati siano 758 mila in più. A fine 2013, la forza lavoro non utilizzata (valutando sia i disoccupati che i fruitori di cassa integrazione) salirà al 13,9 per cento, dal 12,8 per cento di fine 2012. Cifre a cui bisogna aggiungere il dato sui lavoratori ormai scoraggiati che non cercano neanche più lavoro uscendo di fatto dalle statistiche, stimati dall'ISTAT in misura pari a circa 2,897 milioni nel 2011, in aumento su base annua di circa il 5 per cento;

              una grossa fetta della popolazione femminile è tagliata fuori dal mercato del lavoro, e la disoccupazione riguarda un terzo dei giovani italiani. Dal 2007 al 2011 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è infatti passato dal 24 al 32 per cento, con un ulteriore balzo al 39,3 per cento nel primo trimestre 2012. La crisi incide in misura maggiore sui più giovani, perché sono loro i principali utilizzatori dei contratti di lavoro temporaneo ed i primi ad essere licenziati;

              il nostro Paese sta tragicamente vivendo una vera e propria emergenza occupazionale, che si aggraverà nei prossimi mesi;

              i consumi delle famiglie si stanno notevolmente riducendo, infatti secondo la Nota di aggiornamento del DEF, nel 2012 la spesa delle famiglie diminuirà del 3,3 per cento e l'anno prossimo dello 0,5 per cento. I consumi risaliranno solo nel 2014, con un +0,6 per cento, mentre nel 2015 ci sarà ancora un debole +0,8 per cento. Quest'anno, afferma il Governo, la domanda interna sarà particolarmente debole. Sulle decisioni di spesa delle famiglie inciderebbero l'andamento del mercato del lavoro e quello del reddito disponibile, in un contesto di fiducia attualmente ai minimi storici. Nel medio termine – aggiunge il DEF – la spesa delle famiglie ritornerebbe a crescere a ritmi moderati;

              dopo il taglio delle pensioni, l'aumento delle accise e dell'IVA (tutte tasse indirette che colpiscono proporzionalmente in misura maggiore i ceti popolari), l'IMU sulla casa, la liberalizzazione del mercato del lavoro che toglie diritti ai lavoratori senza ottenere un solo posto di lavoro in più, siamo arrivati a questi risultati a dire poco preoccupanti;

              né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né le cosiddette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la riduzione del debito pubblico italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante;

              dunque, sacrifici – a senso unico a carico dei ceti popolari – mentre il debito rimane immutato, anzi cresce, la disoccupazione aumenta, le tasse aumentano e calano i consumi. In definitiva, i problemi sono stati solo rinviati, e il peggio potrebbe ancora arrivare;

              si è, infatti, instaurata nel nostro Paese ed a livello europeo una spirale perversa di politiche di austerità che incidono negativamente sulla crescita deprimendo il PIL, che a sua volta diminuisce le

 

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entrate dello Stato e ne aumenta le spese per fare fronte alla disoccupazione crescente;

              siamo dunque, dentro un meccanismo che non funziona, in cui si rincorrono recessione e manovre, manovre e recessione. L'austerità rende impossibile il raggiungimento di due obiettivi: l'azzeramento del deficit e la riduzione del debito;

              è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa;

              in un rapporto di un gruppo di lavoro guidato dal governatore finlandese Erkki Liikanen, si stima che il sostegno pubblico al sistema finanziario tra il 2007 e il 2010 è stato di 1.600 miliardi di euro, pari al 13 per cento del PIL dell'Unione;

              la crisi dell'euro è spiegabile solo in parte con il deterioramento dei conti pubblici. In realtà, nel biennio della grande recessione l'aumento del rapporto tra debito pubblico e PIL è stato nei Paesi periferici solo leggermente superiore alla media della zona euro;

              la sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;

              la sfiducia dei mercati verso l'euro è stata esacerbata dagli evidenti limiti della governance dell'Unione monetaria, che dal 1999 si è data un'unica Banca centrale ma non ancora una politica fiscale coordinata. Solo recentemente, superando i veti e le incertezze dei Paesi più forti, sono stati messi in campo strumenti (il programma OMT – Outright Monetary Transactions della BCE e il fondo salva-Stati ESM – European Stability Mechanism) all'altezza di una crisi senza precedenti, anche se il cammino verso un'effettiva integrazione politica dell'Europa è ancora molto lungo;

              l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. A tre anni di distanza, i numeri evidenziano i limiti di questa politica di aggiustamento asimmetrico;

              nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle politiche di austerità;

              la Germania ha proseguito la propria politica neo-mercantilista, beneficiando di un enorme afflusso di capitali in fuga dalle economie più fragili. Ne è uscito indebolito lo stesso progetto di integrazione europea, logorato dalla divaricazione tra i Paesi più forti, assai poco disponibili ad aiutare popoli bollati come lassisti e corrotti, e Paesi periferici che per anni hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi, diventando però un grande mercato per i prodotti tedeschi;

              il danno grave di questa deriva riguarda proprio il rischio elevato di caduta dei consumi prodotta dall'austerità nei Paesi più deboli, con inevitabili conseguenze dannose per le esportazioni tedesche. Ciò che può accadere, quindi, è che proprio le scelte di rigore imposte dalla Germania diventino causa di un prossimo, ulteriore, rallentamento anche dell'economia tedesca e, di conseguenza, di un avvitamento perverso della crisi europea;

              i risultati delle politiche di austerità sono paradossali. Malgrado tagli alla spesa e aumenti delle tasse, il debito in molti Paesi è aumentato drammaticamente;

 

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              l'andamento dei debiti pubblici sta mettendo a dura prova la strategia europea. Alcune cifre sono particolarmente significative. Dal 2007 ad oggi, il debito pubblico in alcuni dei Paesi più fragili della zona euro ha subito un forte aumento: del 368 per cento in Irlanda, del 123 per cento in Spagna, del 74 per cento in Portogallo, del 58 per cento in Grecia. In molti Paesi l'indebitamento ha ormai superato di slancio il 100 per cento del prodotto interno lordo;

              l'aumento del debito è dovuto alla presenza di un circolo vizioso: in un contesto economico debole, il risanamento dei conti pubblici pesa sulla ripresa a breve termine, riducendo le entrate fiscali e aumentando di converso il disavanzo pubblico. «Senza crescita l'economia globale è in pericolo», ha recentemente sostenuto la Signora Lagarde, Direttore generale del Fondo monetario internazionale;

          valutato altresì che:

              gli obiettivi generali della legge di stabilità (2013-2015) sono il pareggio di bilancio strutturale per il 2013, assieme alla crescita dell'avanzo primario. Ma il deficit vero nel 2013 sarà pari al 2,6 per cento del PIL, lontano dal pareggio di bilancio promesso dal Governo, che infatti chiede ai mercati di guardare al dato del cosiddetto «deficit strutturale»;

              sono cinque gli assi delineati nella legge di stabilità: 1) dimezzamento dell'aumento dell'IVA e modifiche all'IRPEF; 2) incentivi alla produttività (territoriale) pari a 1,6 miliardi di euro; 3) contrazione della spesa dei ministeri programmata con la spending review; 4) garantire alcune spese indifferibili; 5) «garantire» (si fa per dire) le risorse per gli «esodati» riconosciuti, i cosiddetti «salvaguardati»;

              gli strumenti per recuperare le risorse finanziarie necessarie per raggiungere gli obiettivi indicati fanno capo alla spending review, alle banche, alle assicurazioni ed alla Tobin tax. Al netto della Tobin tax e delle misure relative alle assicurazioni e alle banche, le misure previste nella legge di stabilità sono legate principalmente alla spending review;

              la spending review doveva servire a non toccare le aliquote dell'IVA: l'aumento dell'IVA doveva coincidere con la mancata attuazione della spending review. Quindi, non si sarebbe dovuto aumentare l'IVA, ma il Governo ha deciso comunque di aumentarla di un punto invece di due punti come inizialmente previsto. Il contemporaneo intervento sull'IRPEF ha un chiaro sapore propagandistico, inoltre è confuso e contraddittorio;

              nei fatti, per i cittadini, l'effetto netto della manovra determina un aumento di imposte non una diminuzione. I tagli delle deduzioni e delle detrazioni colpiscono mediamente i redditi più bassi, mentre la riduzione delle aliquote IRPEF, cioè dal 23 per cento al 22 per cento per i reddito da zero a 15.000 euro e dal 27 per cento al 26 per cento per i redditi da 15.000 a 28.000 euro, non sarà in nessun modo equivalente;

              l'aumento dell'IVA di un punto coinciderà con la riduzione delle aliquote fiscali IRPEF. La riforma delle deduzioni farà capo ai redditi superiori a 15.000 euro, con una franchigia di 250 euro per alcune deduzioni e detrazioni, con un massimo di 3.000 euro solo per le detrazioni, ed oltretutto, è retroattivamente valida a partire dall'anno fiscale 2012;

              l'introduzione di una franchigia di 250 euro sulle deduzioni e detrazioni IRPEF riconosciute ai contribuenti con un reddito superiore ai 15mila euro vale circa 1,7 miliardi sul 2013 e, grazie all'effetto retroattivo di cassa, sul 2012. Che diventano più di 2 miliardi se al conto si aggiungono i 300 milioni attesi dalla previsione del tetto di 3mila euro per le spese «scaricabili» degli stessi soggetti;

              a pagare il conto della legge di stabilità saranno dunque ancora una volta i contribuenti onesti. Stando alla relazione tecnica della legge di stabilità, le nuove e maggiori entrate costituiscono il 51,8 per

 

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cento delle risorse necessarie a fare quadrare i conti. Dei 12,9 miliardi di «mezzi di copertura» conteggiati per il 2013 oltre 6,7 arriveranno infatti da «nuove o maggiori entrate». A fronte dei 6,2 miliardi di minori spese. Ma nel 2014 e nel 2015 la forbice è destinata ad allargarsi perché il peso delle imposte arriverà al 60 per cento del totale;

              le tabelle allegate al disegno di legge di stabilità confermano che le tre voci più pesanti da coprire sono: la riduzione delle prime due aliquote IRPEF, che da sola vale 4,2 miliardi l'anno prossimo e 6,6 nel 2014; la sterilizzazione di un punto d'IVA, che ne richiede 3,2; la detassazione da 1,6 miliardi del salario di produttività. A cui vanno aggiunti i circa 4 miliardi di maggiori spese, di cui 2,2 di parte corrente. E tra questi spiccano i 500 milioni per il nuovo fondo sul fitto degli immobili delle Pubbliche amministrazioni, i 464 per il trasporto locale e i 900 del nuovo «contenitore» creato a Palazzo Chigi per alcuni interventi settoriali (università statali, social card, terremoto dell'Aquila);

              sul fronte delle maggiori entrate va poi segnalata la stabilizzazione dell'incremento delle accise sui carburanti per il sisma in Emilia. Che vale 1,1 miliardi dal 2013 in avanti. Su livelli analoghi dovrebbe attestarsi la Tobin tax. Dall'imposta di bollo dello 0,05 per cento sulle transazioni finanziarie sono attesi infatti 1.088 milioni di nuovi introiti oltre che un calo del 30 per cento delle compravendite azionarie e dell'80 per cento di quelle dei prodotti derivati. Ci sono, inoltre, i 623 milioni che arriveranno dall'aumento (da 0,35 a 0,5 per cento) dell'acconto sulle riserve tecniche delle imprese di assicurazioni e i 412 provenienti dal giro di vite sulla deducibilità delle auto aziendali;

              poche misure dispongono minori uscite. I 3,8 miliardi attesi con effetto sul deficit (che in termini di saldo netto da finanziare diventano 6,2) arriveranno soprattutto dal taglio alle autonomie. Regioni ed enti locali subiranno riduzioni pari a 2,2 miliardi nel 2013, nel 2014 e nel 2015. Per le regioni il taglio sarà ancora più sensibile visto che il fabbisogno sanitario nazionale dovrà essere ridotto di 600 milioni l'anno prossimo e di 1 miliardo nel biennio successivo. Completano il conto delle minori spese correnti i 631,7 milioni di riduzioni imposte al cosiddetto «Fondo Letta», i 300 milioni di taglio ai fondi per i progetti speciali degli enti previdenziali, i 19,8 milioni prelevati dall'AGEA;

              l'elenco delle minori spese in conto capitale può contare solo sui 5 milioni di risparmi sull'acquisto di mobili e arredi nella Pubblica amministrazione e i 25 milioni «rimodulati» nel bilancio della Difesa;

              sulla sanità, si prevede un taglio non inferiore a 1,5 miliardi di euro, agendo sull'insieme della spesa aggredibile dei farmaci (11 miliardi di euro), dei dispositivi medici (7 miliardi di euro) e degli investimenti (32 miliardi di euro);

              l'aumento dell'IVA al 10 per cento – fino ad oggi fissata al 4 per cento – per le prestazioni erogate dalle cooperative sociali (parliamo di prestazioni socio-sanitarie, educative, di assistenza ambulatoriale, domiciliare o in comunità erogate per anziani ed inabili adulti, tossicodipendenti e malati di AIDS, disabili psicofisici, ma anche minori coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza) sarà un duro colpo al welfare del nostro Paese e negherà, di fatto, un sostegno importantissimo a milioni di italiani, poiché gli enti locali saranno costretti a tagliare i servizi ai cittadini e il costo di tutto questo ricadrà sulle famiglie, che dovranno farsi carico di tutto, senza alcun sostegno da parte dello Stato;

              gli altri principali provvedimenti proposti nel disegno di legge di stabilità per l'anno 2013 sono: il blocco dei contratti pubblici fino al 2014 ed il blocco dell'indennità di vacanza contrattuale che sarà ripristinata nel 2015; la previsione di 6 ore settimanali in più per i professori a salario invariato, con il conseguente taglio di 35 mila precari e di un miliardo di risorse alla scuola pubblica, mentre si

 

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erogano 223 milioni alle scuole non statali; l'aumento della tassazione sul TFR; l'istituzione di un fondo ad hoc di soli 100 milioni per gli «esodati» (ne servirebbero per coprire tutti i casi circa 8 miliardi: passa il principio del diritto in funzione delle risorse disponibili);

              nel frattempo il costo degli aerei F35 è raddoppiato. I nuovi cacciabombardieri F35 erano stati ridotti di numero dal governo «tecnico». L'Esecutivo Monti aveva portato la commessa statale da 131 velivoli agli attuali 90. La riduzione, annunciata nel febbraio scorso dall'ammiraglio-ministro Giampaolo Di Paola, era stata decisa come contributo alla prima spending review. Si scopre ora però che il costo di ogni singolo aereo nel frattempo è lievitato: il costo medio dell'aereo «nudo», il cosiddetto recurrent fly-away cost, sarà di 137,1 milioni di dollari nel 2015. Si tratta di un aggravio di circa 3,5 miliardi di euro rispetto alla spesa indicata al Parlamento. Quindi almeno 13-14 miliardi di euro invece dei 10 pattuiti dal governo. E probabilmente la lievitazione dei costi in corso d'opera è solo agli inizi;

              è da ritenersi probabilmente eccessivo l'accantonamento per gli interessi. Il Centro Europa Ricerche (CER) ha calcolato che il calo di questi giorni degli spread libera circa 5 miliardi di euro;

              il Governo non ha previsto misure per fare fronte agli impegni del Fiscal compact che comporta una riduzione annuale del debito del 3 per cento del PIL per i prossimi 20 anni a partire dall'anno 2013: circa 45 miliardi annui;

              si tratta, in sintesi, di una manovra insufficiente, iniqua e depressiva che, in ossequio alle politiche di austerity, continua ad impoverire il Paese e a farlo sprofondare in una crisi economica. L'Italia avrebbe bisogno di altre politiche, quelle che il Governo non sta facendo: politiche espansive e non recessive, redistributive e non di tagli lineari, di sviluppo e di intervento pubblico e non di gestione dell'esistente;

          considerato inoltre che, per quanto concerne in particolare gli aspetti all'attenzione della Commissione ambiente:

              con riferimento agli stanziamenti di competenza della missione 14 (Infrastrutture e logistica), presenti sia nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che in quello del Ministero dell'economia e delle finanze, si vede che l'incremento di risorse assegnate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) è però compensato da una forte riduzione di quasi 330 milioni di euro nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (MEF);

              relativamente alla missione 19 (casa e assetto urbanistico), relativa sia allo stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che a quello del Ministero dell'economia e delle finanze, si registrano due tendenze opposte: la quota MEF passa da 197,5 milioni di euro del 2011 a 303 milioni nel 2013 (+53,4 per cento), ma tale aumento è più che compensato da una forte diminuzione nella quota MIT, che passa da 302,2 milioni di euro nel 2011 a 116,6 milioni nel 2013, con un taglio di ben il 61,4 per cento;

              in particolare riguardo allo stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il programma 19.2 (Politiche abitative, urbane e territoriali) subisce una ulteriore sensibile riduzione. A fronte di circa 188,2 milioni di euro relativi all'assestamento per il 2012, si passa a 116,6 milioni di euro per il 2013, con una riduzione di oltre 71,5 milioni di euro;

              viene inoltre confermato il totale azzeramento del Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione (legge n. 131 del 1998). Un Fondo che in questi anni ha rappresentato uno strumento fondamentale in mano agli enti locali per contrastare la tensione abitativa e supportare le famiglie meno agiate;

 

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              per quanto riguarda in particolare il disegno di legge di stabilità per il 2013 si rileva quanto segue:

          a) nulla è poi previsto per la difesa del suolo e la messa in sicurezza del nostro territorio. Vera e prioritaria opera infrastrutturale in grado non solamente di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio, ma di attivare migliaia di cantieri con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;

          b) nell'audizione alla Commissione ambiente della Camera del 30 novembre 2011, lo stesso Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, sottolineava la necessità di «creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata, come è avvenuto con l'ultima legge di stabilità, ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente per la prevenzione del dissesto idrogeologico». Nulla è stato fatto;

          c) sempre il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, in diverse occasioni ha sottolineato la necessità di individuare ulteriori forme di finanziamento, quali per esempio, l'istituzione di un Fondo rotativo finalizzato alla messa in sicurezza del territorio, la previsione di un credito d'imposta per investimenti che hanno effetti positivi sulla sicurezza del suolo; la previsione di una fiscalità finalizzata e quindi di una possibile tassa di scopo. Nulla di tutto questo viene proposto né avviato;

          d) per quanto concerne la vigente detrazione fiscale del 55 per cento delle spese sostenute per la riqualificazione energetica – misura introdotta nel 2007 dal Governo Prodi – detta misura varrà solo fino a giugno 2013, per poi stabilizzarsi definitivamente, dal 1° luglio 2013, al 36 per cento, equiparandola (come previsto dal decreto-legge n. 83 del 2012) all'aliquota per gli interventi di ristrutturazione edilizia;

          e) la legge di stabilità in esame non prevede inoltre alcuna proroga dell’ecobonus al 55 per cento oltre il termine del 30 giugno 2013 previsto dalla normativa vigente; questo «annacquamento» rischia di compromettere definitivamente uno dei più efficaci strumenti anticiclici di questi anni, oltre che il migliore strumento per promuovere l'efficienza energetica e lo sviluppo economico sostenibile nel sistema immobiliare italiano;

          f) la tabella C del disegno di legge di stabilità, indica uno stanziamento per il Fondo di protezione civile (cap. 7446) pari a 73,2 milioni di euro per il 2013, circa 79 milioni di euro per il 2014 e 80,8 milioni di euro per il 2015. Detti stanziamenti indicano, per l'anno 2013 una riduzione di oltre 4,5 milioni di euro rispetto alla dotazione finanziaria a legislazione vigente,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.

 

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XIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Agricoltura)

 

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XIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Agricoltura)

(Relatori: Anita DI GIUSEPPE e Ivan ROTA)

RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015 (5535)

Stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015
(Tabella n. 12)

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013) (5534-bis)

      La XIII Commissione,

          esaminato il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015 (C. 5535, Governo), con riferimento allo stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Tabella n. 12) e le connesse parti del disegno di legge di stabilità per il 2013 (C. 5534-bis, Governo),

          evidenziato come il disegno di legge di stabilità per il 2013:

          si aggiunge a cinque precedenti manovre correttive che a diverso titolo hanno aumentato le entrate e ridotto la spesa (decreto-legge n. 98 del 2011; decreto-legge n. 138 del 2011; legge di stabilità 2012; decreto-legge n. 201 del 2011; decreto-legge n. 95 del 2012, meglio noto come «spending review»). L'ampiezza di tali manovre, cioè il reperimento (complessivo) delle risorse, è pari a poco meno di 5 punti di PIL nel 2012, poco sopra i 6,5 punti di PIL nel 2013 e oltre 7 punti di PIL nel 2014. Complessivamente, il Governo Berlusconi e il Governo Monti hanno predisposto delle misure correttive, per il triennio 2012-2013-2014, che sfiorano i 130 miliardi di euro;

          l'effetto delle manovre è stato quello di una diminuzione del PIL per il 2012 pari al 2,4 per cento. Il Governo spera per

 

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il 2013 in un calo contenuto e pari allo 0,2 per cento, mentre il Fondo monetario internazionale (FMI) dà invece per scontato almeno un meno 0,7 per cento, ma avverte che, se non verranno segnali di controtendenza nell'economia globale e nella dinamica interna italiana, si potrebbe superare facilmente l'1 per cento;

          utilizzando un modello prudenziale relativo all'impatto dei provvedimenti adottati dal Governo sulle previsioni economiche (50 per cento), alcuni economisti prevedono invece che le stime di crescita del PIL per il 2013 saranno pari a circa –2,5/3 per cento del PIL;

          come indicato dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (DEF) 2012, il tasso di disoccupazione raggiungerebbe in Italia il 10,8 per cento nel 2012 per poi aumentare all'11,4 per cento nel 2013;

          nei fatti, la recessione in atto ha fatto sì che – secondo quanto emerge dai dati della Confindustria – tra il secondo trimestre 2012 e lo stesso periodo del 2011, in Italia i disoccupati siano 758 mila in più. A fine 2013, la forza lavoro non utilizzata (valutando sia i disoccupati che i fruitori di cassa integrazione) salirà al 13,9 per cento, dal 12,8 per cento di fine 2012. Cifre a cui bisogna aggiungere il dato sui lavoratori ormai scoraggiati che non cercano neanche più lavoro, uscendo di fatto dalle statistiche, stimati dall'ISTAT in misura pari a circa 2,897 milioni nel 2011, in aumento su base annua di circa il 5 per cento;

          una grossa fetta della popolazione femminile è tagliata fuori dal mercato del lavoro e la disoccupazione riguarda un terzo dei giovani italiani. Dal 2007 al 2011 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è infatti passato dal 24 al 32 per cento, con un ulteriore balzo al 39,3 per cento nel primo trimestre 2012. La crisi incide in misura maggiore sui più giovani, perché sono loro i principali utilizzatori dei contratti di lavoro temporaneo ed i primi ad essere licenziati;

          il nostro Paese sta tragicamente vivendo una vera e propria emergenza occupazionale, che si aggraverà nei prossimi mesi;

          i consumi delle famiglie si stanno notevolmente riducendo; infatti secondo la Nota di aggiornamento del DEF, nel 2012 la spesa delle famiglie diminuirà del 3,3 per cento e l'anno prossimo dello 0,5 per cento. I consumi risaliranno solo nel 2014, con un +0,6 per cento, mentre nel 2015 ci sarà ancora un debole +0,8 per cento. Quest'anno, afferma il Governo, la domanda interna sarà «particolarmente debole. Sulle decisioni di spesa delle famiglie inciderebbero l'andamento del mercato del lavoro e quello del reddito disponibile, in un contesto di fiducia attualmente ai minimi storici. Nel medio termine – aggiunge il DEF – la spesa delle famiglie ritornerebbe a crescere a ritmi moderati»;

          dopo il taglio delle pensioni, l'aumento delle accise e dell'IVA (tutte tasse indirette che colpiscono proporzionalmente in misura maggiore i ceti popolari), l'IMU sulla casa, la liberalizzazione del mercato del lavoro, che toglie diritti ai lavoratori senza ottenere un solo posto di lavoro in più, siamo arrivati a questi risultati a dire poco preoccupanti;

          né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né le cosiddette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la riduzione del debito pubblico italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante;

          dunque, sacrifici – a senso unico a carico dei ceti popolari – mentre il debito rimane immutato, anzi cresce, la disoccupazione aumenta, le tasse aumentano e calano i consumi. In definitiva, i problemi sono stati solo rinviati, e il peggio potrebbe ancora arrivare;

          si è, infatti, instaurata nel nostro Paese e a livello europeo una spirale perversa di politiche di austerità che incidono negativamente sulla crescita deprimendo

 

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il PIL, che a sua volta diminuisce le entrate dello Stato e ne aumenta le spese per fare fronte alla disoccupazione crescente;

          siamo, dunque, dentro un meccanismo che non funziona, in cui si rincorrono recessione e manovre, manovre e recessione. L'austerità rende impossibile il raggiungimento dei due obiettivi: l'azzeramento del deficit e la riduzione del debito;

          è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa;

          in un rapporto di un gruppo di lavoro guidato dal Governatore finlandese Erkki Liikanen, si stima che il sostegno pubblico al sistema finanziario tra il 2007 e il 2010 è stato di 1.600 miliardi di euro, pari al 13 per cento del PIL dell'Unione europea;

          la crisi dell'euro è spiegabile solo in parte con il deterioramento dei conti pubblici. In realtà, nel biennio della grande recessione l'aumento del rapporto tra debito pubblico e PIL è stato nei Paesi periferici solo leggermente superiore alla media della zona euro;

          la sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;

          la sfiducia dei mercati verso l'euro è stata esacerbata dagli evidenti limiti della governance dell'Unione monetaria, che dal 1999 si è data un'unica Banca centrale, ma non ancora una politica fiscale coordinata. Solo recentemente, superando i veti e le incertezze dei Paesi più forti, sono stati messi in campo strumenti – il programma Outright Monetary Transactions (OMT) della Banca centrale europea e il «Fondo salva-Stati» ovvero l'European Stability Mechanism (ESM) all'altezza di una crisi senza precedenti, anche se il cammino verso un'effettiva integrazione politica dell'Europa è ancora molto lungo;

          l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. A tre anni di distanza, i numeri evidenziano i limiti di questa politica di aggiustamento asimmetrico;

          nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle politiche di austerità;

          la Germania ha proseguito la propria politica neo-mercantilista, beneficiando di un enorme afflusso di capitali in fuga dalle economie più fragili. Ne è uscito indebolito lo stesso progetto di integrazione europea, logorato dalla divaricazione tra i Paesi più forti, assai poco disponibili ad aiutare popoli bollati come lassisti e corrotti, e Paesi periferici che per anni hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi, diventando però un grande mercato per i prodotti tedeschi;

          il danno grave di questa deriva riguarda proprio il rischio elevato di caduta dei consumi prodotta dall'austerità nei Paesi più deboli, con inevitabili conseguenze dannose per le esportazioni tedesche. Ciò che può accadere, quindi, è che proprio le scelte di rigore imposte dalla Germania diventino causa di un prossimo, ulteriore, rallentamento anche dell'economia tedesca e, di conseguenza, di un avvitamento perverso della crisi europea;

          i risultati delle politiche di austerità sono paradossali. Malgrado tagli alla spesa e aumenti delle tasse, il debito in molti Paesi è aumentato drammaticamente;

 

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          l'andamento dei debiti pubblici sta mettendo a dura prova la strategia europea. Alcune cifre sono particolarmente significative. Dal 2007 ad oggi, il debito pubblico in alcuni dei Paesi più fragili della zona euro ha subito un forte aumento: del 368 per cento in Irlanda, del 123 per cento in Spagna, del 74 per cento in Portogallo, del 58 per cento in Grecia. In molti Paesi l'indebitamento ha ormai superato di slancio il 100 per cento del prodotto interno lordo;

          l'aumento del debito è dovuto alla presenza di un circolo vizioso: in un contesto economico debole, il risanamento dei conti pubblici pesa sulla ripresa a breve termine, riducendo le entrate fiscali e aumentando di converso il disavanzo pubblico. «Senza crescita l'economia globale è in pericolo», ha recentemente sostenuto la signora Lagarde, Direttore generale del Fondo monetario internazionale;

          valutato altresì che:

              gli obiettivi generali della legge di stabilità (2013-2015) sono il pareggio di bilancio strutturale per il 2013, assieme alla crescita dell'avanzo primario. Ma il deficit vero nel 2013 sarà pari al 2,6 per cento del PIL, lontano dal pareggio di bilancio promesso dal Governo, che infatti chiede ai mercati di guardare al dato del cosiddetto «deficit strutturale»;

              sono cinque gli assi delineati nella legge di stabilità: 1) dimezzamento dell'aumento dell'IVA e modifiche all'IRPEF; 2) incentivi alla produttività (territoriale) pari a 1,6 miliardi di euro; 3) contrazione della spesa dei Ministeri programmata con la spending review; 4) garantire alcune spese indifferibili; 5) «garantire» (si fa per dire) le risorse per gli «esodati» riconosciuti, i cosiddetti «salvaguardati»;

              gli strumenti per recuperare le risorse finanziarie necessarie per raggiungere gli obiettivi indicati fanno capo alla spending review, alle banche, alle assicurazioni e alla Tobin tax. Al netto della Tobin tax e delle misure relative alle assicurazioni e alle banche, le misure previste nella legge di stabilità sono legate principalmente alla spending review;

              la spending review doveva servire a non toccare le aliquote dell'IVA: l'aumento dell'IVA doveva coincidere con la mancata attuazione della spending review. Quindi, non si sarebbe dovuto aumentare l'IVA, ma il Governo ha deciso comunque di aumentarla di un punto invece di due punti come inizialmente previsto. Il contemporaneo intervento sull'IRPEF ha un chiaro sapore propagandistico, inoltre è confuso e contraddittorio;

              nei fatti, per i cittadini, l'effetto netto della manovra determina un aumento di imposte non una diminuzione. I tagli delle deduzioni e delle detrazioni colpiscono mediamente i redditi più bassi, mentre la riduzione delle aliquote IRPEF, cioè dal 23 per cento al 22 per cento per i redditi da zero a 15.000 euro e dal 27 per cento al 26 per cento per i redditi da 15.000 a 28.000 euro, non sarà in nessun modo equivalente;

              l'aumento dell'IVA di un punto coinciderà con la riduzione delle aliquote fiscali IRPEF. La riforma delle deduzioni farà capo ai redditi superiori a 15.000 euro, con una franchigia di 250 euro per alcune deduzioni e detrazioni, con un massimo di 3.000 euro solo per le detrazioni, ed oltretutto, è retroattivamente valida a partire dall'anno fiscale 2012;

              l'introduzione di una franchigia di 250 euro sulle deduzioni e detrazioni IRPEF riconosciute ai contribuenti con un reddito superiore ai 15mila euro vale circa 1,7 miliardi sul 2013 e, grazie all'effetto retroattivo di cassa, sul 2012. Che diventano più di 2 miliardi se al conto si aggiungono i 300 milioni attesi dalla previsione del tetto di 3mila euro per le spese «scaricabili» degli stessi soggetti;

              a pagare il conto della legge di stabilità saranno dunque ancora una volta i contribuenti onesti. Stando alla relazione tecnica della legge di stabilità, le nuove e maggiori entrate costituiscono il 51,8 per

 

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cento delle risorse necessarie a fare quadrare i conti. Dei 12,9 miliardi di «mezzi di copertura» conteggiati per il 2013 oltre 6,7 arriveranno infatti da «nuove o maggiori entrate». A fronte dei 6,2 miliardi di minori spese. Ma nel 2014 e nel 2015 la forbice è destinata ad allargarsi perché il peso delle imposte arriverà al 60 per cento del totale;

              le tabelle allegate al disegno di legge di stabilità confermano che le tre voci più pesanti da coprire sono: la riduzione delle prime due aliquote IRPEF, che da sola vale 4,2 miliardi di euro l'anno prossimo e 6,6 nel 2014; la sterilizzazione di un punto d'IVA, che ne richiede 3,2; la detassazione da 1,6 miliardi di euro del salario di produttività. A cui vanno aggiunti i circa 4 miliardi di euro di maggiori spese, di cui 2,2 di parte corrente. E tra questi spiccano i 500 milioni di euro per il nuovo fondo sul fitto degli immobili delle pubbliche amministrazioni, i 464 per il trasporto locale e i 900 del nuovo «contenitore» creato a Palazzo Chigi per alcuni interventi settoriali (università statali, social card, terremoto dell'Aquila);

              sul fronte delle maggiori entrate va poi segnalata la stabilizzazione dell'incremento delle accise sui carburanti per il sisma in Emilia. Che vale 1,1 miliardi dal 2013 in avanti. Su livelli analoghi dovrebbe attestarsi la Tobin tax. Dall'imposta di bollo dello 0,05 per cento sulle transazioni finanziarie sono attesi infatti 1.088 milioni di euro di nuovi introiti oltre che un calo del 30 per cento delle compravendite azionarie e dell'80 per cento di quelle dei prodotti derivati. Ci sono, inoltre, i 623 milioni di euro che arriveranno dall'aumento (da 0,35 a 0,5 per cento) dell'acconto sulle riserve tecniche delle imprese di assicurazioni e i 412 provenienti dal giro di vite sulla deducibilità delle auto aziendali;

              poche misure dispongono minori uscite. I 3,8 miliardi di euro attesi con effetto sul deficit (che in termini di saldo netto da finanziare diventano 6,2) arriveranno soprattutto dal taglio alle autonomie. Regioni ed enti locali subiranno riduzioni pari a 2,2 miliardi di euro nel 2013, nel 2014 e nel 2015. Per le regioni il taglio sarà ancora più sensibile, visto che il fabbisogno sanitario nazionale dovrà essere ridotto di 600 milioni di euro l'anno prossimo e di 1 miliardo di euro nel biennio successivo. Completano il conto delle minori spese correnti i 631,7 milioni di euro di riduzioni imposte al cosiddetto «Fondo Letta», i 300 milioni di euro di taglio ai fondi per i progetti speciali degli enti previdenziali, i 19,8 milioni di euro prelevati dall'AGEA;

              l'elenco delle minori spese in conto capitale può contare solo sui 5 milioni di euro di risparmi sull'acquisto di mobili e arredi nella pubblica amministrazione e i 25 milioni di euro «rimodulati» nel bilancio della Difesa;

              sulla sanità, si prevede un taglio non inferiore a 1,5 miliardi di euro, agendo sull'insieme della spesa aggredibile dei farmaci (11 miliardi di euro), dei dispositivi medici (7 miliardi di euro) e degli investimenti (32 miliardi di euro);

              l'aumento dell'IVA al 10 per cento – fino ad oggi fissata al 4 per cento – per le prestazioni erogate dalle cooperative sociali (parliamo di prestazioni socio-sanitarie, educative, di assistenza ambulatoriale, domiciliare o in comunità erogate per anziani ed inabili adulti, tossicodipendenti e malati di AIDS, disabili psicofisici, ma anche minori coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza) sarà un duro colpo al welfare del nostro Paese e negherà, di fatto, un sostegno importantissimo a milioni di italiani, poiché gli enti locali saranno costretti a tagliare i servizi ai cittadini e il costo di tutto questo ricadrà sulle famiglie, che dovranno farsi carico di tutto, senza alcun sostegno da parte dello Stato;

              gli altri principali provvedimenti proposti nel disegno di legge di stabilità per l'anno 2013 sono: il blocco dei contratti pubblici fino al 2014 ed il blocco dell'indennità di vacanza contrattuale che sarà ripristinata nel 2015; la previsione di

 

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sei ore settimanali in più per i professori a salario invariato, con il conseguente taglio di 35 mila precari e di un miliardo di risorse alla scuola pubblica, mentre si erogano 223 milioni di euro alle scuole non statali; l'aumento della tassazione sul trattamento di fine rapporto; l'istituzione di un fondo ad hoc di soli 100 milioni di euro per gli «esodati» (ne servirebbero per coprire tutti i casi circa 8 miliardi: passa il principio del diritto in funzione delle risorse disponibili);

              nel frattempo, il costo degli aerei F35 è raddoppiato. I nuovi cacciabombardieri F35 erano stati ridotti di numero dal Governo «tecnico». L'esecutivo Monti aveva portato la commessa statale da 131 velivoli agli attuali 90. La riduzione, annunciata nel febbraio scorso dall'ammiraglio-ministro Giampaolo Di Paola, era stata decisa come contributo alla prima spending review. Si scopre ora però che il costo di ogni singolo aereo nel frattempo è lievitato: il costo medio dell'aereo «nudo», il cosiddetto recurrent fly-away cost, sarà di 137,1 milioni di dollari nel 2015. Si tratta di un aggravio di circa 3,5 miliardi di euro rispetto alla spesa indicata al Parlamento. Quindi almeno 13-14 miliardi di euro invece dei 10 pattuiti dal Governo. E probabilmente la lievitazione dei costi in corso d'opera è solo agli inizi;

              è da ritenersi probabilmente eccessivo l'accantonamento per gli interessi. Il Centro Europa Ricerche (CER) ha calcolato che il calo di questi giorni degli spread libera circa 5 miliardi di euro;

              il Governo non ha previsto misure per fare fronte agli impegni del Fiscal compact che comporta una riduzione annuale del debito del 3 per cento del PIL per i prossimi 20 anni a partire dall'anno 2013: circa 45 miliardi annui;

              si tratta, in sintesi, di una manovra insufficiente, iniqua e depressiva che, in ossequio alle politiche di austerity, continua ad impoverire il Paese e a farlo sprofondare in una crisi economica. L'Italia avrebbe bisogno di altre politiche, quelle che il Governo non sta facendo: politiche espansive e non recessive, redistributive e non di tagli lineari, di sviluppo e di intervento pubblico e non di gestione dell'esistente;

          considerato, per quanto concerne le materie di competenza della Commissione Agricoltura, che:

              la legge di stabilità apporta una riduzione degli sgravi contributivi alle imprese che esercitano la pesca costiera nonché alle imprese che esercitano la pesca nelle acque interne e lagunari, sgravi previsti dall'articolo 6 del decreto-legge n. 457 del 1997, che vengono pertanto corrisposti nel limite del 63,2 per cento per gli anni 2013 e 2014, del 57,5 per cento per l'anno 2015 e del 50,3 per cento a decorrere dall'anno 2016;

              si prevede, all'articolo 12, comma 29, che, ai soli fini della determinazione delle imposte sui redditi, per i periodi d'imposta 2012, 2013 e 2014, il reddito dominicale e quello agrario siano rivalutati del 15 per cento (una sorta di minipatrimoniale), mentre per i terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, la rivalutazione è pari al 5 per cento. Tali incrementi non saranno immediatamente mitigati dalla riduzione di un punto percentuale delle prime due aliquote IRPEF, atteso che questa diminuzione opererà solo a partire dalle dichiarazioni dei redditi 2014, mentre le rivalutazioni hanno effetto già dal periodo d'imposta in corso;

              inoltre, dal 1o gennaio 2013 le società agricole non potranno più determinare il reddito su base catastale; si abolisce dunque la possibilità per le società che svolgono esclusivamente attività agricola, di optare per la tassazione su base catastale. Le società di capitali dal 1o gennaio 2013 cambiano registro e tornano così a redigere i bilanci. Si annullano sia gli sconti che la semplificazione del regime catastale;

              non è da meno, in termini di impatto sulla capacità di tenuta delle

 

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aziende, la norma, sempre contenuta nell'articolo 12 del disegno di legge di stabilità, che con un meccanismo indiretto riduce lo sconto fiscale sul gasolio agricolo. A decorrere dal 1o gennaio 2013 i consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all'impiego agevolato sono ridotti del 5 per cento;

              inoltre, l'aumento dell'IVA di un punto percentuale – dal 10 all'11 per cento – colpirà anche i prodotti di prima necessità, creando un ingente rincaro nella spesa alimentare annuale, in un momento di forte contrazione dei consumi. Il provvedimento rischia dunque di provocare effetti depressivi sui consumi alimentari a danno delle imprese e dei consumatori, già provati dalla crisi e dal crollo del potere di acquisto;

          valutato che:

              l'elenco 1 contiene le riduzioni delle dotazioni finanziarie rimodulabili di ciascun Ministero; viene previsto il taglio di 47 milioni di euro per l'anno 2013; 67 milioni di euro per il 2014 e 47 milioni di euro per il 2015 delle risorse recate dal bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze per il sostegno al settore agricolo;

              si prevede inoltre solo per l'AGEA, al bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze, uno stanziamento di 115,85 milioni di euro per il 2013; 121,98 per il 2014 e 120,94 per il 2015 per il funzionamento, pari a 50 milioni di euro in più per ciascun anno rispetto alla legislazione vigente. Ancora soldi ad un'Agenzia che negli anni non ha certo brillato per trasparenza e funzionalità;

              con tali interventi, il Governo ancora una volta non è riuscito a dare stimoli alle imprese del comparto agricolo e ancora una volta, ha adottato misure recessive volte a paralizzare tale settore,

          tutto ciò considerato,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.


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