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PDL 5495

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5495



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato DI PIETRO

Modifiche agli articoli 594 e 595 del codice penale e all'articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, concernenti i reati di ingiuria, diffamazione e diffamazione commessa con il mezzo della stampa

Presentata il 1o ottobre 2012


      

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Onorevoli Colleghi! — La vicenda del giornalista Sallusti è emblematica. È necessario che il Parlamento, in questo ultimo scorcio di legislatura, approvi una legge che depenalizzi molti reati minori come la diffamazione, l'ingiuria, il vilipendio nei confronti dello Stato e altri reati simili, derubricandoli come sanzione pecuniaria. Non è una legge pro Sallusti che serve, ma una legge civile e moderna che elimini molti reati minori, di matrice intellettuale, che impegnano i giudici allo stesso modo di cause e dibattimenti di ben altra importanza. Si tratta di processi che vanno iscritti a ruolo, durano anni e che in molti casi permettono di far andare in prescrizione reati come truffa, bancarotta e anche delitti contro la persona e la proprietà.
      Noti e oramai codificati – per legge, per codice deontologico, in giurisprudenza e in dottrina – sono i diritti di critica e di cronaca di cui devono poter usufruire tutti coloro che fanno informazione: l'informazione libera e senza bavaglio è uno dei princìpi cardini della Costituzione ed è alla base di ogni Stato di diritto e di ogni democrazia evoluta.
      Altrettanto noti e codificati sono anche i limiti e i doveri a cui ogni buon giornalista deve attenersi per rispettare altri princìpi costituzionali ugualmente intangibili, quali l'onore e il decoro della persona umana. Tali doveri consistono essenzialmente nel rispetto – da parte del giornalista – della verità della notizia che lui racconta, dell'interesse pubblico a renderla nota, nonché della continenza e
 

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correttezza con cui la notizia o la critica vengono esposte.
      Si ritiene doveroso porre all'attenzione del Parlamento la necessità di intervenire urgentemente per rivedere il dettato normativo degli articoli del codice penale, non nella parte precettiva, ma in quella sanzionatoria e si impone una soluzione immediata e certa per la difesa di un principio costituzionale e di una norma di democrazia e di civile convivenza: non si può e non si deve andare in carcere per un reato di opinione.
      Siamo, infatti, davanti ad una normativa che, caso quasi unico al mondo, punisce anche con il carcere un reato di opinione.
      Riteniamo, invece che – qualora il giornalista esorbiti dai limiti che è tenuto a rispettare (verità, continenza e interesse pubblico) – sia più rispondente al bilanciamento di entrambi i diritti costituzionalmente garantiti (diritto ad informare del giornalista e diritto alla privacy e alla propria reputazione della persona offesa) ritenere sufficiente (come peraltro già previsto dalla legislazione vigente) la sola sanzione pecuniaria, oltre la sanzione del risarcimento del danno in sede civile, della rettifica della notizia diffamatoria a spese del diffamatore e delle pubbliche scuse, qualora la gravità del fatto lo richieda.
      Si rende necessario anche esaminare, in tale materia, la giurisprudenza nel resto del mondo.
      Anche l'Unione europea si è espressa chiaramente sul tema del carcere per i giornalisti. Da ultima, nell'aprile 2009 (ricorso n. 2444/07, Kydonis), la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha sentenziato: «Il carcere, ancora previsto in casi di diffamazione a mezzo stampa negli ordinamenti dei Paesi membri, ha un effetto deterrente sulla libertà del giornalista di informare», con conseguenze altrettanto negative per la collettività che ha il diritto ricevere informazioni e opinioni. Una circostanza che si verifica anche quando il carcere è convertito in ammende pecuniarie e la pena è sospesa. Le pene detentive per chi esercita la professione di giornalista non sono nemmeno compatibili con la libertà di espressione sancita dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 14 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955. Tuttavia, dice la Corte europea, il carcere potrebbe essere previsto solo per chi incita alla violenza o all'odio.
      Dal 2009 nel Regno Unito la diffamazione a mezzo stampa non è più un reato. La svolta rispetto al passato è avvenuta per mezzo del «Coroners and justice act», un'ampia riforma che introduce la depenalizzazione di tutti i reati che riguardano la sfera dell'opinione e della diffamazione (in particolare, «defamation, sedition and seditious libel, defamatory libel, obscene libel»). L'Inghilterra e il Galles, dunque, si sono messi sulla strada della difesa totale della libertà di espressione, con l'intenzione di estendere le stesse tutele anche al panorama dei media digitali.
      Culla indiscussa del liberalismo, negli Stati Uniti d'America la legge sulla diffamazione trae fondamento dal Common Low inglese e s'inserisce nel primo emendamento alla Costituzione, in una linea di continuità che ha radici due secoli addietro. Per essere diffamante, il contenuto deve essere falso; per essere diffamante, il contenuto falso deve essere «motivato da intenzioni malevoli» (motivated by malice); in 33 Stati su 50 il reato non è nemmeno perseguito. Insomma lo strumento della querela per diffamazione non deve mai trasformarsi in un bavaglio.
      Alle porte del nostro Paese, in Svizzera, la regolamentazione della fattispecie diffamatoria è molto diversa da quella italiana. Qui «chiunque, comunicando con un terzo, incolpa o rende sospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possano nuocere alla reputazione (...) è punito, a querela di parte, con una pena pecuniaria sino a 180 aliquote giornaliere». Mai il carcere. Il giornalista, inoltre, non incorre in alcuna sanzione se prova di aver detto o divulgato cose vere oppure prova di aver avuto seri motivi di considerarle vere in buona fede.
 

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      In Francia la diffamazione a mezzo stampa conserva profili penalistici, eppure la pena è praticamente sempre un'ammenda, il cui importo varia a seconda della qualifica della vittima offesa. Di recente l’ex presidente della Repubblica Sarkozy aveva annunciato una riforma per la depenalizzazione del reato, eppure il maggiore sindacato dei giornalisti francesi (Snj) si era dichiarato contrario: «La procedura penale, infatti, è più vantaggiosa rispetto al procedimento civile. C’è una giurisprudenza, che inquadra il giudizio nell'ambito del rispetto delle libertà pubbliche fondamentali».
      La Scandinavia da anni vanta il primato tra i Paesi in cui si gode il massimo della libertà di stampa e di espressione, come ha certificato anche l'ultimo rapporto Freedom House e Reporter senza frontiere, che ha collocato Norvegia, Svezia e Finlandia sul podio ideale dell'informazione senza bavaglio. In Svezia, per comprenderci, la legge sulla libertà di stampa e di espressione è considerata fondamentale al pari di quelle sull'ordinamento costituzionale e l'ordine di successione dinastica. La diffamazione è punita con una sanzione solo pecuniaria.
      Già nel 2006 la Croazia, che ambisce a far parte a pieno titolo dell'Unione europea, ha escluso il carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Così il Paese affacciato sull'Adriatico ha seguito del resto l'esempio della Serbia e della Macedonia. L'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) ha negoziato con il governo una modifica in senso liberale della legge dopo che diversi cronisti locali avevano subito l'arresto.
      In Germania, come in Francia, la diffamazione a mezzo stampa – e il correlato omesso controllo nel caso del direttore della testata – è considerata un reato penale piuttosto che un illecito civile. Nella giurisprudenza tedesca il giornalista che al termine dei gradi di giudizio è ritenuto colpevole è assoggettato a una pena alternativa (sanzione pecuniaria) che può essere anche particolarmente ingente, ma non è mai condannato a scontare giorni, mesi o anni di carcere. Nella prassi, quindi, la diffamazione a mezzo stampa è ritenuta un reato di minore gravità.
      Pertanto, anche alla luce della normativa vigente nei Paesi elencati, si ritiene doveroso porre all'attenzione del Parlamento la necessità di intervenire urgentemente per rivedere il dettato normativo nella parte sanzionatoria degli articoli 594 e 595 del codice penale, in materia di ingiuria e diffamazione e la normativa in materia di diffamazione prevista dall'articolo 13 della legge n. 47 del 1948 recante disposizioni sulla stampa.
      Siamo, infatti, davanti a norme che, caso quasi unico al mondo, puniscono anche con il carcere un reato di opinione.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifica dell'articolo 594 del codice penale, in materia di ingiuria).

      1. L'articolo 594 del codice penale è sostituito dal seguente:
      «Art. 594. – (Ingiuria). – Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la multa fino a euro 2.500.
      Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
      La pena è della multa fino a euro 5.000 se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.
      Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone».

Art. 2.
(Modifica dell'articolo 595 del codice penale, in materia di diffamazione).

      1. L'articolo 595 del codice penale è sostituito dal seguente:
      «Art. 595. – (Diffamazione). – Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo 594, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la multa fino a euro 5.000.
      Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato la pena è della multa fino a euro 10.000.
      Se l'offesa è recata con il mezzo della stampa o con qualsiasi mezzo di pubblicità ovvero in atto pubblico, la pena è della multa non inferiore a euro 2.500.

 

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      Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, ovvero ad una sua rappresentanza, o a un'autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate».

Art. 3.
(Modifica all'articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, in materia di pene per la diffamazione).

      1. All'articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e successive modificazioni, le parole: «della reclusione da uno a sei anni e quella» sono soppresse e le parole: «a lire 500.000» sono sostituite dalle seguenti: «a euro 5.000».


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